I giovani si affaticano e si stancano;
i giovani scelti vacillano e cadono,
ma quelli che sperano nell'Eterno
acquistano nuove forze,
si alzano in volo come aquile;
corrono e non si stancano,
camminano e non si affaticano.
Isaia 40:30-31  

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Predicazioni
Una grande gioia

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.


    Marcello Cicchese
    maggio 2016

L'interesse di Cristo
FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.


Marcello Cicchese
novembre 2006

Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Coscrizione obbligatoria o riforma giudiziaria?

Chissà, forse saranno i partiti ortodossi a ostacolare la controversa riforma giudiziaria promossa dalla loro stessa coalizione.


di Ariel Schneider

Un ebreo ortodosso davanti all'ufficio di reclutamento dell'esercito a Gerusalemme
GERUSALEMME - I leader dell'alleanza di partiti United Torah Judaism (VTJ) hanno chiesto al Primo Ministro Benjamin Netanyahu di sospendere immediatamente tutte le leggi di riforma giudiziaria fino a quando non sarà approvata la legge sulla coscrizione degli studenti ortodossi delle yeshiva nelle Forze di Difesa di Israele. I leader dell'ortodossia ebraica hanno riconosciuto negli ultimi mesi che la riforma giudiziaria non è necessariamente nell'interesse degli ebrei ortodossi del Paese, poiché ha portato a una crescente opposizione all'ortodossia nella società israeliana, in particolare in relazione alla coscrizione. Il sito ortodosso Kikar HaShabat ha recentemente dichiarato che la riforma giudiziaria deve essere fermata fino a quando non ci sarà un ampio accordo con l'opposizione.
  Capisco molto bene il problema delle due parti, perché nella famiglia allargata degli Schneider c'è un ramo ortodosso. Nessuno dei nove figli della famiglia di mia sorella si è arruolato nell'esercito, ma si è sposato rapidamente. Gli uomini si limitano a studiare la Torah e tutti gli altri libri di questo tipo, mentre le donne vanno a lavorare. Due mondi diversi, ma nelle riunioni di famiglia siamo ancora una sola famiglia. È già capitato che i miei ragazzi siano andati ai matrimoni dei loro cugini in uniforme e con le armi. Con mia sorella non ne discuto. Ognuno serve il popolo a modo suo. "I tuoi figli al fronte e i miei figli che imparano la Torah e pregano". Questa è la sua posizione e quella dell'ortodossia ebraica. Tutto il resto me lo risparmio, ma tra la gente la questione è controversa. La leadership ortodossa non vuole perdere l'occasione, perché la coalizione di destra ha una maggioranza di 64 seggi. Non bisogna giocarsela, ma a loro sembra che il ministro della Giustizia Yariv Levin se la stia giocando a causa del suo ego e della sua forma giuridica.
   La leadership ortodossa del Paese si è resa conto che la riforma ha diviso troppo la società israeliana e ora non vuole più sostenere la riforma giudiziaria nel Parlamento israeliano. Anche se questo dovesse comportare le dimissioni del ministro della Giustizia Yariv Levin. I rabbini ortodossi e i loro deputati alla Knesset hanno un ottimo senso politico e forse si rendono conto che perderanno sia la riforma giudiziaria, sia la regolamentazione del servizio militare obbligatorio per gli studenti ortodossi della Torah. Hanno dunque scelto la legge sulla coscrizione. Se il governo cadrà a causa della riforma giudiziaria, i partiti ortodossi non avranno ottenuto nulla, quindi hanno deciso di giocare d'anticipo e di far legiferare sulla coscrizione per la loro giovane generazione. Benjamin Netanyahu ha promesso loro questo per iscritto quando ha formato la coalizione.
  Gli ortodossi ashkenaziti intendono votare contro ciascuna delle leggi unilaterali sulla riforma giudiziaria promosse da Levin. In questo modo, sperano di fare pressione su Netanyahu per raggiungere un consenso più ampio. Il partito sefardita Shass, all'interno della coalizione, si è invece espresso a favore della riforma giudiziaria. Il leader del partito Shass, Arie Deri, ha affermato di essere partner di Netanyahu e di voler portare avanti le riforme.
  I partiti ortodossi insistono per una nuova legge che esenti gli studenti delle yeshiva dal servizio militare e includa una clausola che esenti la legge dalla revisione giudiziaria da parte della Corte Suprema. Questo in risposta al fatto che la Corte Suprema ha annullato l'ultima versione di un progetto di legge ortodosso sul servizio militare in quanto violava la parità di genere. La legge è stata rinviata più di una dozzina di volte. La prossima scadenza per una nuova legge è stata fissata per la fine di marzo 2024. Se entro tale data non verrà approvata una nuova legge, l'esercito potrà arruolare tutti gli studenti ortodossi di yeshiva di 18 anni, come tutti gli altri israeliani.
  La nuova proposta prevede di abbassare l'età per l'esenzione permanente da 26 a 22 anni, in cambio dell'integrazione degli ebrei ortodossi in quegli anni nel servizio nazionale e nel mercato del lavoro all'interno della loro società. Ma anche questo progetto di legge viene criticato. Fondamentalmente, bisogna capire che agli occhi dei rabbini il servizio militare è uno dei due maggiori pericoli per i giovani studenti di Torah. Il servizio militare e lo smartphone sono i due "diavoli" che allontanano gli ebrei ortodossi dalla fede o dalla retta via. I rabbini temono di perdere il controllo sulle giovani generazioni, e hanno ragione. La questione è così importante nel Paese che persino il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha sollevato il problema della coscrizione ortodossa: "L'esercito di Israele subirà un duro colpo se la Knesset approverà la nuova legge sulla coscrizione".
  Si teme inoltre che il disegno di legge, nella sua forma attuale, possa scatenare una nuova serie di proteste in tutto il Paese, anche tra gli elettori del Likud di destra della coalizione. Allo stesso tempo, i leader ortodossi sostengono che l'apprendimento della Torah sia un servizio essenziale per il Paese e vogliono addirittura inserirlo nella Legge fondamentale. Ciò li esenterebbe dal servizio militare. Tuttavia, questo vale solo per l'ortodossia ebraica e non per i coloni ebrei religiosi. Questi ultimi considerano il servizio militare obbligatorio come un comandamento. Su richiesta dei rabbini ortodossi e degli studiosi della Torah, i partiti ortodossi hanno messo alle strette il capo del governo israeliano, Netanyahu. Egli deve ora scegliere tra il servizio militare obbligatorio per gli studenti delle yeshiva ortodosse o la riforma giudiziaria. In entrambi i casi, il suo governo potrebbe cadere, sia perché non vuole regolamentare il servizio di leva per i rabbini, sia perché blocca la riforma giudiziaria. Netanyahu ha promesso di farle passare entrambe, ma ora deve scegliere. Ma come sempre nella politica israeliana, tutto è possibile e alla fine, in qualche modo, si troverà una via di mezzo. Dopotutto, non bisogna giocarsi i 64 seggi del parlamento israeliano.

(Israel Heute, 16 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Ariel Schneider, è uno dei nove figli di Ludwig Schneider, a cui è succeduto nella direzione del giornale Israel Heute. Ho conosciuto Ludwig in alcuni dei suoi numerosi convegni pro-Israele che anni fa aveva organizzato in Germania e a cui io e mia moglie abbiamo partecipato. Abbiamo udito la sua testimonianza di ebreo laico che dopo essere arrivato alla fede in Cristo si è trasferito in Israele e ha dedicato molte delle sue energie a diffondere la conoscenza di Israele e l'amore per questo paese soprattutto fra i cristiani evangelici di Germania. Notizie su Israele riportava articoli di Schneider senior già vent'anni fa: "Ancora Gerusalemme". M.C.

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Israele vara il nuovo sottomarino lanciamissili Drakon e l’armamento è un mistero

di Jean Valjean

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La marina israeliana è nota per la segretezza che circonda la sua forza sottomarina. Si ritiene che 5 sottomarini di classe Dolphin-I/II trasportino missili con armi nucleari. Ora la nuova nave, INS Drakon, è stata tranquillamente varata a Kiel, in Germania e mostra un armamento missilistico rinnovato e ingrandito. 
   Si tratta di una variante della fortunata classe Dolphin-II, le sue linee uniche mostrano anche il pensiero navale fieramente indipendente di Israele.
   L’INS Drakon è più grande di qualsiasi precedente sottomarino israeliano, essendo molto più lungo delle prime due navi Dolphin-II. Ancora più evidente è la gigantesca sovrastruttura. Questo probabilmente contiene la sua caratteristica distintiva: nuovi missili avanzati.

• La necessità di un mezzo di maggior dislocamento
  Il Dolphin-II aveva già uno scafo allungato rispetto all’originale Dolphin-I per adattarsi all’AIP (alimentazione indipendente dall’aria). Il nuovo inserto dello scafo rende il sottomarino ancora più lungo. Sulla base delle informazioni disponibili, la successiva classe Dakar avrà all’incirca la stessa lunghezza del Drakon e presenterà una vela allungata in modo simile. Quindi INS Drakon può essere pensato come il ponte tra la classe Dolphin e la futura classe Dakar.
   I sottomarini sono stati già dotati di silos missilistici nella sovrastruttura. I primi sottomarini missilistici balistici appositamente costruiti dall’Unione Sovietica, le classi Hotel e Golf, seguivano questa tendenza. Più recentemente la Corea del Nord ha sfruttato questo trucco per inserire missili più grandi in sottomarini più piccoli. Eppure il sottomarino di progettazione tedesca è il primo moderno a mostrare questa caratteristica
   Stime approssimative suggeriscono che lo scafo e la vela più lunghi aggiungano uno spazio di circa 2 metri di larghezza per 4 metri di lunghezza e fino a 11 metri di profondità. Questo potrebbe ospitare due grandi silos missilistici o, più probabilmente, 4-8 più piccoli. È anche ragionevole presumere che possano essere dotate di armi nucleari.
   Dovrebbero essere prese in considerazione anche altre spiegazioni per questa configurazione curiosa. Forse si riferiva all’equipaggiamento delle forze speciali. O forse un hangar per veicoli sottomarini autonomi (AUV), veicoli aerei senza equipaggio (UAV), munizioni circuitanti o persino un sommergibile di salvataggio. Ma nessuno di questi è convincente quanto l’ipotesi del missile.

• Nuovi missili
  L’esatta natura dei nuovi missili può solo essere indovinata. Implicitamente sono missili balistici, possibilmente con uno stadio finale guidato. Qualunque cosa siano, Israele custodisce il segreto con attenzione.
   Il posizionamento dei tubi missilistici nello scafo sotto la sovrastruttura consente missili molto più lunghi che se dovessero essere sistemati sotto l’involucro del ponte. La vela aggiunge diversi metri alla loro lunghezza possibile, anche se il peso e la stabilità devono ancora essere considerati.
   È interessante notare che, nonostante i nuovi missili posizionati al centro, il sottomarino ha ancora quattro tubi lanciasiluri extra a prua. Questi sembrano essere invariati rispetto alle precedenti barche di classe Dophin-I e II. I tubi extra sono più grandi dei normali tubi lanciasiluri da 533 mm (21 pollici). Si ritiene che siano dedicati ai missili da crociera sviluppati da Israele, per cui questo sottomarino o ha due tipi di missili diversi o è in grado di lanciare gli stessi missili orizzontalmente e verticalmente.
   Forse i missili verticali e quelli orizzontali hanno funzioni diverse, ad esempio alcuni potrebbero avere testate nucleari altri no.
   Una risposta più prosaica è che i tubi di lancio verticali sono stati aggiunti tardi nel progetto, forse anche dopo l’inizio della costruzione. Potrebbe essere stato più economico e più facile mantenere i tubi lanciasiluri aggiuntivi. Ciò avverrebbe nonostante la tentazione del risparmio di peso e della semplificazione se venissero rimossi.
   Potrebbe volerci del tempo, forse anni, per decifrare le capacità del sottomarino. In effetti, la Marina israeliana mantiene segreti alcuni aspetti dei suoi sottomarini esistenti, quindi potremmo non saperlo mai tutto.

(Scenari economici, 16 agosto 2023)

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Berlino, sul tragico binario 17 un misterioso uomo ha bruciato libri sul nazismo

Un uomo non ancora identificato ha bruciato una scatola di libri sul nazismo, che facevano parte del memoriale Gleis 17.

di Martina Biz

Sabato mattina, un uomo non ancora identificato dalla polizia si è recato alla famosa stazione di Grunewald, dove si trova il memoriale per gli ebrei deportati nei campi di concentramento, il Gleis 17 (il Binario 17) ed ha incendiato una scatola di libri sul nazismo che faceva parte proprio del memoriale. Il caso è stato affidato all’Ufficio federale di polizia criminale che si occuperà di trovare il responsabile.

• Due testimoni hanno assistito all’incendio.
  Alle  cinque di sabato mattina si è verificato un tremendo atto vandalico nella stazione di Grunewald, proprio in quello che da tempo è un luogo di rispetto e commemorazione per tutte le vittime dell’Olocausto. Due testimoni hanno avvistato un uomo, ancora non identificato, che si avvicinava al memoriale del Gleis 17 ed incendiava una scatola di libri informativi ed educativi sull’ascesa del fascismo. I due testimoni hanno riportato quanto visto al dipendente di un panificio, poco distante dal memoriale. E’ stato proprio il dipendente del negozio a denunciare l’accaduto alla polizia.
   L’incendio ha coinvolto il fascicolo di libri insieme ad una ex cabina telefonica dismessa, che facevano parte del memoriale. La scatola di libri in particolare conteneva letteratura sul fascismo e sull’ascesa della dittatura. I vigili del fuoco hanno prontamente spento l’incendio, ma come dichiarato dalla polizia su Twitter, i libri sono stati completamente distrutti. 
   Il caso è stato affidato all’Ufficio della polizia criminale tedesca.

• L’importanza storica del Gleis 17
  Il Memoriale “Gleis 17” si trova nella stazione di Grunewald, nella zona immersa nel verde nel distretto di Charlottenburg-Wilhlemsdorf. La stazione è diventata ufficialmente sito commemorativo dell’Olocausto nel 1998: da questa stazione, infatti, venivano deportati decine di migliaia di ebrei a Riga, Varsavia, Auschwitz-Birkenau e Theresienstadt.
   Nel 1998 la Deutsche Bahn aveva indotto un concorso per istituire un memoriale proprio in quella stazione, in particolar modo nel famoso binario in questione, il Binario 17. Gli architetti Nicolaus Hirsch, Wolfgang Lorch e Andrea Wandel, vincitori del concorso, proposero un memoriale costituito da 186 lastre d’acciaio fuso incorporate nella ferrovia. Le targhe, in ordine cronologico, riportano le date di tutti i treni di deportazione del tempo che partivano da Berlino, ciascuna con il numero di ebrei deportati
   Il memoriale, inaugurato il 27 gennaio 1998, è diventato una tappa obbligata per gli appassionati di storia della seconda guerra mondiale. La Deutsche Bahn stessa si augurava, con l’istituzione del sito, che la comunità ricordasse e rispettasse i crimini e gli orrori commessi durante il regime nazionalsocialista.

• Il consiglio della Conferenza rabbinica ortodossa ha descritto l’atto come “disgustoso”
  Come dichiarato dalla Conferenza rabbinica ortodossa, l’atto è irrispettoso per tutte le vittime dell’Olocausto, ma anche per tutti i discendenti. E’ un’azione “disgustosa” che va contro al senso di responsabilità storica della società, ma “gli incendiari non saranno in grado di negare o minimizzare l’Olocausto”, afferma la Conferenza rabbinica.
   Allo stesso tempo, la Conferenza rabbinica si allarma per quella che sembra una crescente e allarmante continuazione di questa tendenza. Ci sono sempre più atti preoccupanti negli ultimi anni diretti proprio ai memoriali dell’Olocausto: c’è un’inclinazione a sminuire la Shoah, a equipararla ad altri conflitti che con la seconda guerra mondiale hanno ben poco a che fare.

(Berlino Magazine, 16 agosto 2023)

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Gorizia ebraica, una storia di confine da recuperare con la cultura

di Daniele Toscano

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La scelta dell’Unione Europea di assegnare a Gorizia e Nova Gorica il ruolo di Capitale Europea della Cultura per il 2025 ha un profondo valore politico, dopo le divisioni della Guerra fredda tra la città italiana e quella attualmente in Slovenia. Questa designazione ha un significato anche per il mondo ebraico, che potrebbe riscoprire una sua pagina di storia e valorizzare il relativo patrimonio. Oggi a Gorizia non ci sono più ebrei e dal 1969 è una sezione della Comunità di Trieste. Ma il periodo tra il XVI secolo e l’inizio del ’900 racconta una pagina importante per l’ebraismo europeo, in una città piccola ma strategicamente rilevante, crocevia tra Oriente e Occidente, ponte tra Impero asburgico e Repubblica di Venezia, punto nevralgico per gli scambi commerciali.
Porta del Ghetto di Gorizia
«A Gorizia si può ancora identificare l’antico ghetto, istituito nel 1696 – racconta a Shalom Livio Vasieri, Assessore alla Cultura della Comunità Ebraica di Trieste – La comunità goriziana, anche quando fu rinchiusa, mantenne sempre un livello sociale benestante, risentendo del benessere economico della città e delle attività commerciali in cui gli ebrei erano coinvolti, dalla produzione di cera alla filatura di seta, fino al prestito di denaro alla corte d’Austria, che permise a molte famiglie di avere dei privilegi, come la possibilità di spostamenti o non girare con segni distintivi. La dedizione agli studi e la prosperità della comunità portarono Gorizia a guadagnarsi l’appellativo di “piccola Gerusalemme sull’Isonzo”».
   Tra fine ’700 e inizio ’800 la comunità goriziana, in una città di 7mila abitanti, arrivò a contare circa 300 persone; fu sede di alcune famiglie facoltose come Pincherle e Morpurgo e di figure illustri, come la giornalista Carolina Luzzatto Coen, il filosofo Carlo Michelstaedter, il filologo e glottologo Graziadio Isaia Ascoli. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la comunità si è spopolata, ma ne restano visibili alcune tracce: la sinagoga del 1699, più volte restaurata; il portone in ferro battuto in via Ascoli che segnava l’ingresso del ghetto; la lapide in ricordo di Graziadio Isaia Ascoli; l’antichissimo cimitero di Valdirose, che si trova in territorio sloveno, con una lapide addirittura del 1371.
Ghetto di Gorizia
«L’investitura a Capitale della Cultura nel 2025 è un progetto che interessa tutta la regione, anche se visti i tempi ancora non si riscontrano particolari iniziative delle istituzioni locali – afferma Vasieri – In compenso, vi è un grande impegno della Fondazione Beni Culturali Ebraici Italiani che ha preso a cuore questo percorso. Speriamo che il ruolo di Capitale della Cultura possa essere lo stimolo per una nuova valorizzazione del patrimonio culturale ebraico, che a Gorizia testimonia una presenza significativa che ha lasciato in eredità strutture di un certo pregio di cui turisti, studiosi e cittadini potrebbero fruire. Il cimitero, parzialmente mutilato 40 anni fa per far posto a un’autostrada, dovrebbe essere restaurato, mentre si dovrebbe facilitare l’accesso alla sinagoga e al relativo museo». Proprio in questa estate 2023 la sinagoga di Gorizia si appresta a riaprire, grazie a uno stanziamento di 250mila euro deliberato dal Consiglio regionale per garantire la manutenzione straordinaria dei suoi locali e adeguare la struttura alle normative vigenti. Un primo passo importante verso il 2025.

(Shalom, 16 agosto 2023)

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Makkabi Berlin, la squadra ebraica che ora è tra le migliori della Germania

di Davide Rinaldi

Domenica 13 agosto, è scesa in campo il Makkabi Berlin, la squadra di calcio tedesca fondata dai sopravvissuti all’Olocausto, entrando nella storia. Il Makkabi è il primo club calcistico ebraico a competere nella Coppa di Germania, un torneo annuale della durata di una stagione con 64 delle migliori squadre del paese, dal livello amatoriale alla Bundesliga. Il massimo campionato tedesco che presenta alcuni dei migliori giocatori del mondo.

• Quando fu creato il torneo nel 1935, agli ebrei era proibito partecipare
   “Ci sono stato dal primo giorno. Non avrei mai immaginato che noi, come squadra ebrea, avremmo mai giocato una partita di coppa contro una squadra della Bundesliga”, ha detto il co-fondatore del club Marian Wajselfisz all’Associated Press “per noi e per me personalmente è una grande gioia”.
   Il Makkabi Berlin è stato fondato nel 1970 come successore del Bar Kochba Berlin, il primo club sportivo ebraico della Germania, creato nel 1898. Il nome della squadra è dedicato al famoso capo militare ebreo. Al massimo del suo splendore, questo contava più di 40.000 persone che praticavano sport diversi, prima che i nazisti salissero al potere.
   Oggi, Makkabi Berlin, ha 550 membri che provengono da realtà differenti. La squadra di calcio comprende giocatori provenienti da 15 paesi diversi e include ebrei, cristiani e musulmani. Lo stemma della squadra, però, è ancora una stella di David.
   “Questo è qualcosa di cui siamo estremamente orgogliosi”, ha detto il membro del consiglio di Makkabi Michael Koblenz. “Siamo qui per chiunque sia pronto a giocare con noi, ed sia aperto a giocare per un club con origini ebraiche e una sorta di cultura ebraica, siamo assolutamente felici di integrare diverse persone nelle nostre squadre.”

• La storia è più importante dello sport
   Il club è stato recentemente promosso al quinto livello del calcio tedesco, NOFV-Oberliga Nord, dopo aver vinto il campionato di Berlino la scorsa estate. Il Makkabi si è qualificato per la Coppa di Germania vincendo la Coppa di Berlino a giugno, la prima volta per la squadra.
   Il loro avversario di domenica era il Wolfsburg. La squadra avversaria gioca in Bundesliga ed è di proprietà della Volkswagen. Data l’importanza del Wolfsburg, la partita si è giocata in un grande stadio ed è stata trasmessa in televisione. Una novità per la squadra del Makkabi.
   “La popolarità, la visibilità e il successo dei club sportivi ebraici simboleggiano la crescita della vita ebraica consolidata in Germania e nel mondo” ha affermato il World Jewish Congress.
   Venerdì scorso, il WJC ha ospitato una tavola rotonda con rappresentanti di Makkabi e Wolfsburg “per onorare e discutere il ruolo fondamentale dei club sportivi ebraici in Europa prima dell’Olocausto e l’impatto della loro rinascita nell’era moderna” secondo un comunicato stampa. Le maglie dei due club di questa domenica riporteranno anche il logo del WJC.
   “La partita di questa settimana ci mostra che i club ebraici di tutto il mondo racconteranno sempre una storia che è più grande dello sport” ha detto il giornalista e storico di Israel Hayom, Adi Rubenstein, durante l’evento.

• I risultati
   La storia è importante più dello sport. Il Makkabi è stato battuto 6-0 dal Wolfsburg nella partita del primo turno. La squadra è andata rapidamente in svantaggio con gli ospiti che hanno segnato due gol in apertura con Lukas Nmecha e Jonas Wind per smorzare le speranze di un recupero a sorpresa. Ma il Makkabi non si è piegato contro la squadra della Bundesliga sostenuta dalla casa automobilistica Volkswagen e, Kanto Fitiavana Voahariniaina, si è visto annullare un goal  per fuorigioco.
   La vittoria del Wolfsburg era certa già all’inizio del secondo tempo e avrebbe segnato di più se non fosse stato per il portiere del Makkabi Jack Krause, che si è guadagnato il più grande applauso dei tifosi.
   A parte il risultato per il Makkabi, fondato dai sopravvissuti all’Olocausto nel 1970, è già un traguardo molto importante qualificarsi per la Coppa di Germania a 64 squadre – vincendo per la prima volta la Coppa di Berlino – per diventare il primo club ebraico a parteciparvi.

(Berlino Magazine, 15 agosto 2023)

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Israele suda e batte il record di consumo di elettricità

Una forte ondata di calore causa la tragica morte di un giovane soldato durante un'esercitazione dell'IDF.

di Pesach Benson

Lunedì Israele ha continuato a sudare sotto il caldo intenso, battendo un record di consumo di elettricità.
   Le alte temperature hanno causato la sospensione di alcuni voli all'aeroporto Ben Gurion, danni significativi all'agricoltura e la morte di un soldato durante un'esercitazione.
   In alcune aree della Valle del Giordano e della Bassa Galilea sono state registrate temperature fino a 41 °C. La Noga, una società statale responsabile dello sviluppo, del funzionamento e della gestione del sistema elettrico del Paese, ha dichiarato lunedì che gli israeliani hanno utilizzato 15.690 megawatt alle 14.53 di domenica, superando di oltre 300 megawatt il record stabilito il 25 luglio. Noga ha osservato che in entrambi i casi, la metà dell'elettricità utilizzata era per l'aria condizionata.
   Noga - L'indipendente gestore Israel Independent System Operator Ltd. ha assunto la gestione dell'approvvigionamento elettrico del Paese dalla Israel Electricity Company il 1° novembre 2021.
   Un colpo di calore e la disidratazione sono stati considerati le ragioni apparenti della morte di un soldato durante un'esercitazione lunedì mattina. Intorno alle 4, un comandante ha scoperto che il soldato, Hillel Nehemiah Ofen, giaceva immobile durante un'esercitazione e ha iniziato a curarlo. Il personale medico non è riuscito a rianimarlo.
   Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) stanno indagando sulle cause del decesso. L'IDF ha dichiarato che tutte le esercitazioni all'aperto sono state sospese fino alle 22 di domenica a causa del caldo. Quando le temperature sono scese durante la notte, alcune esercitazioni all'aperto sono state riprese. Ora tutte le esercitazioni sono state sospese fino alle 5 del mattino di mercoledì.
   Nel frattempo, l'Autorità aeroportuale israeliana ha annunciato lunedì che alcuni voli in atterraggio all'aeroporto Ben-Gurion saranno temporaneamente sospesi "a causa delle condizioni meteorologiche e del loro impatto sui sistemi tecnici delle unità di controllo e per mantenere la sicurezza dei voli". I viaggiatori sono stati invitati a verificare con le proprie compagnie aeree lo stato attuale dei loro voli.
Kobi Sarmili rimuove i polli morti durante l'ondata di caldo in una fattoria di Moshav Margaliot
Il caldo ha colpito anche l'agricoltura. Secondo il Fondo assicurativo per i danni naturali, meglio conosciuto con l'acronimo ebraico KNT (Kanat), gli agricoltori subiranno danni per 20 milioni di shekel (5,34 milioni di dollari). Il KNT (Kanat)ha dichiarato di aver ricevuto segnalazioni di morte di decine di migliaia di polli e di danni da calore alle colture. Le mele e i manghi, in fase di raccolta, sono stati particolarmente colpiti dal caldo. Il KNT ha anche rilevato danni particolari a cocomeri, peperoni, mais, pomodori e cotone.
   Moshav Margaliot, situato al confine con il Libano, ha dichiarato a KNT che 10.000 polli sono morti in un giorno. Il dottor Jalal Ashkar, responsabile del reparto di medicina d'urgenza del Centro medico Hillel Yaffe di Hadera, ha dichiarato che, sebbene tutti debbano prendere precauzioni, le persone con condizioni sanitarie fragili pregresse sono particolarmente vulnerabili al caldo estremo.
   "Le temperature estremamente elevate possono esacerbare le malattie e/o i problemi di salute esistenti, a volte fino alla disabilità e alla morte prematura, come nel caso delle malattie respiratorie", ha detto Ashkar.
   Il medico ha aggiunto: "Quando la temperatura esterna è elevata, i vasi sanguigni a livello cutaneo si dilatano, aumentando il flusso sanguigno, facendo sudare il corpo e raffreddandolo. Di conseguenza, il sangue affluisce meno agli organi interni vitali come il cuore, il fegato, i reni, il cervello e così via, il che può portare a gravi disfunzioni di questi organi interni, a un aumento significativo della temperatura corporea, alla perdita di conoscenza e persino alla morte".
   Ha consigliato alle persone di evitare l'esposizione prolungata al sole, di rimanere in casa o almeno all'ombra e di bere a sufficienza per evitare la disidratazione.

(israel heute, 15 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele, 18° esercito più potente del mondo

Lo Stato ebraico è appena dietro l'Iran (17°) nella classifica delle nazioni del mondo in base alla potenza di fuoco attualmente disponibile.

È stata recentemente pubblicata la classifica PowerIndex della potenza di fuoco mondiale. I risultati tengono conto di oltre 60 fattori individuali per determinare il punteggio PowerIndex ("PwrIndx") di una determinata nazione, prendendo in considerazione categorie che vanno dal numero di unità militari e dalla situazione finanziaria alle capacità logistiche e alla geografia.

• Gli Stati Uniti al vertice
La portaerei statunitense Carl Vinson e la sua flotta.
In cima al podio, senza sorprese, ci sono gli Stati Uniti, di gran lunga la prima potenza militare del mondo. Russia e Cina sono al secondo e terzo posto del podio, mentre la Francia è al nono posto. Israele è al 18° posto, tra Iran e Vietnam. Tra gli altri Paesi del Medio Oriente, la Turchia è all'11° posto, l'Arabia Saudita al 22°, l'esercito egiziano al 14° e il Qatar al 65°.
Caccia israeliano F-35 stealth presso la base di Hatzerim, nel Negev.
Per consentire alle nazioni più piccole e tecnologicamente avanzate di competere con le potenze più grandi e meno sviluppate, vengono applicati speciali modificatori, sotto forma di bonus e penalità, per perfezionare ulteriormente questa lista, che viene compilata ogni anno.
Per la revisione del GFP 2023, sono state prese in considerazione 145 potenze mondiali. Dal 2006, GlobalFirepower (GFP) fornisce statistiche e dati su 145 potenze militari moderne. Le classifiche del GFP si basano sulla potenziale capacità militare di ogni nazione a terra, in mare e in aria in un potenziale conflitto combattuto con mezzi convenzionali. I risultati incorporano valori relativi alla manodopera, alle attrezzature, alle risorse naturali, alle finanze e alla geografia, rappresentati da più di 60 fattori individuali utilizzati per formulare la classifica finale del GFP, che offre uno scorcio di un panorama militare globale sempre più instabile, in cui la guerra sembra tutt'altro che inevitabile.

(i24, 15 agosto 2023

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A largo della costa di Eilat è possibile nuotare con il raro squalo balena

di Michelle Zarfati

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Nella baia di Eilat, in Israele, è possibile fare un raro incontro. Gli ispettori della Nature and Parks Authority hanno infatti nuotato accanto a uno squalo balena, lungo circa quattro metri, sulla costa settentrionale di Eilat. Il progetto nasce da un giro di ispezione marina. I ricercatori hanno rivelato che lo squalo si avvicina di tanto in tanto alla riva del Golfo di Eilat in cerca di cibo. Il team ha inoltre consigliato ai bagnanti di consentire allo squalo di muoversi liberamente e di non toccarlo. Lo squalo balena è stato anche definito nel Libro rosso IUCN - l'Unione internazionale per la conservazione della natura e delle risorse naturali - come una specie in via di estinzione. Il più grande squalo balena mai catturato e misurato con precisione era lungo circa 12,65 metri e pesava oltre 21,5 tonnellate. Nonostante le sue dimensioni, l'Autorità per la natura e i parchi ha condiviso che questa specie di squalo non è considerata pericolosa per l'uomo e che molti ricercatori hanno nuotato al suo fianco riuscendo persino a toccarlo. Questa specie di squalo è spesso vista nelle Filippine, sulle spiagge della Thailandia, alle Maldive, nell'Australia occidentale, nelle Isole Galapagos e persino nel Mar Rosso. Lo squalo balena viene persino cacciato durante le stagioni di pesca.
   La specie di squalo balena fu identificata per la prima volta nell'aprile del 1828, dopo che una balena lunga 4,6 metri fu catturata a Table Bay, in Sudafrica. Successivamente l'animale è stato studiato e descritto da uno zoologo di nome Andrew Smith, un medico militare assegnato ai soldati britannici di stanza a Città del Capo. Il ricercatore ha continuato a pubblicare descrizioni sempre più dettagliate della stessa balena nel 1849. Il nome del pesce, "squalo balena", deriva dalla sua fisiologia: è uno squalo delle dimensioni di una balena e utilizza una tecnica alimentare simile a quella della balena: filtrare il cibo dall'acqua.

(Shalom, 15 agosto 2023)

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Israele: individuata una cellula di Hamas pronta a rapire militari e compiere attacchi

Il servizio di sicurezza interna di Israele (Shin Bet) ha scoperto una cellula terroristica del movimento palestinese Hamas che pianificava di rapire un militare delle Forze di difesa israeliane (Idf) e di compiere attacchi contro di loro nella regione di Binyamin, in Cisgiordania. Lo ha annunciato lo Shin Bet, che ha condotto l’operazione in collaborazione con le Idf e la polizia. Nel quadro delle indagini, erano stati arrestati nove palestinesi il mese scorso perché sospettati del loro coinvolgimento nella creazione della cellula terroristica per conto di Hamas, nel villaggio di Biddu, nel Consiglio regionale di Benyamin. L’indagine ha rivelato che i membri della cellula si sono armati, hanno preparato esplosivi, tracciato vie di fuga, raccolto informazioni per conoscere le abitudini dei militari israeliani nell’area di Binyamin e preparato un posto dove nascondere il militare da rapire.
   I risultati dell’indagine condotta dallo Shin Bet hanno inoltre rivelato che la cellula terroristica ha studiato la produzione di esplosivi e ha persino allestito un laboratorio per preparare e testare esplosivi all’interno di una casa. Il laboratorio è stato sequestrato e chiuso. Sul posto sono state trovate materie prime per la produzione di esplosivi e fuochi d’artificio, nonché tubi utilizzati per costruire esplosivi. Secondo quanto riferito, i membri della cellula terroristica hanno operato in modo isolato, pur mantenendo la massima segretezza per evitare di rivelare le loro attività.

(Nova News, 14 agosto 2023)

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La Francia scioglie il partito di estrema destra Civitas per episodi di antisemitismo

di David Fiorentini

Il ministro degli Interni francese, Gérald Darmanin, ha dichiarato lo scioglimento di Civitas, un partito di estrema destra ultra-tradizionalista cattolico, a seguito di numerosi episodi di antisemitismo.
   “Non c’è spazio per l’antisemitismo nel nostro paese, condanno fermamente questi commenti spregevoli e sto portando la questione all’attenzione del procuratore nazionale”, ha dichiarato Darmanin sulla piattaforma X, precedentemente conosciuta come Twitter.
   Fondata nel 1999, Civitas è un’organizzazione estremista che tra le sue azioni passate, annovera episodi di carattere razzista, omofobo o antisemita, come l’interruzione di eventi pubblici che coinvolgono artisti non eterosessuali, oppure il sostegno a un attivista accusato di aver esposto un cartello antisemita nel 2021, fino alle recenti proteste contro centri profughi in Francia. Durante un recente incontro del partito, l’autore Pierre Hillard ha affermato che sarebbe auspicabile tornare allo status precedente alla Rivoluzione francese del 1789, in cui gli ebrei e altre minoranze religiose erano esclusi dalla cittadinanza in quanto considerati “eretici”.
   Civitas, che conta su circa 165000 membri, ha acquisito lo status di partito politico nel 2016, ricevendo da allora finanziamenti pubblici. Alla presidenza del partito, invece, figura l’attivista belga Alain Escada, che dal 2016 guida anche il partito europeo Coalizione per la Vita e la Famiglia, a cui Civitas aderisce. Inoltre, durante le scorse elezioni presidenziali francesi, il partito ha espresso il suo sostegno al candidato di estrema destra Eric Zemmour, sconfitto al primo turno con il 7% dei voti.

(Bet Magazine Mosaico, 14 agosto 2023)

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Un inviato saudita per i palestinesi nella partita diplomatica di Riyadh con Israele

Il regno wahhabita nomina l’ambasciatore in Giordania quale rappresentante “non permanente” presso l’Autorità palestinese e “console” a Gerusalemme. La replica del ministro Cohen, secondo cui Israele “non autorizzerà mai” la missione. Sullo sfondo l’estensione degli “Accordi di Abramo”. 

GERUSALEMME - Riyadh annuncia - in via unilaterale - una estensione dei compiti dell’ambasciatore saudita in Giordania, che sarà chiamato ad assumere il ruolo di “ambasciatore non permanente” presso l’Autorità palestinese e “console” a Gerusalemme. Immediata la replica israeliana, che non intende riconoscere l’apertura di missioni diplomatiche fra il regno e l’Anp, anche e soprattutto se queste ultime andranno a coinvolgere lo status della città santa, che il governo considera capitale indivisibile dello Stato. Un botta e risposta che, almeno per il momento, sembra allontanare l’allargamento ai sauditi dei cosiddetti “Accordi di Abramo”, raggiunti sinora con altri Stati arabi spesso “sulla pelle” del popolo palestinese.
   Con una decisione inedita, il 12 agosto scorso l’Arabia Saudita ha nominato l’ambasciatore in Giordania Nayef al-Sudairi quale ambasciatore non residente per i Territori palestinesi e console generale per Gerusalemme. Un post sui social ufficiali della rappresentanza diplomatica ad Amman afferma che fra i suoi doveri vi sarà anche quello di “console generale” nella città santa (e contesa) da israeliani e palestinesi. Tuttavia, l’esecutivo israeliano ha già escluso ogni prospettiva che preveda concessioni - territoriali e non - ai palestinesi nella normalizzazione con Riyadh.
   Intervistato dall’emittente radio 103Fm il ministro degli Esteri Eli Cohen pur affermando che i sauditi “non hanno bisogno del nostro permesso” per aprire rappresentanze diplomatiche e “non si sono consultati con noi”, Israele non autorizzerà la nascita di alcuna missione. Anche perché, ha proseguito, la questione palestinese non è parte preponderante dei negoziati in corso con il regno wahhabita. Per il capo della diplomazia israeliana la mossa saudita è un messaggio ai palestinesi, che “non li hanno dimenticati” ma “noi non permettiamo ai Paesi di aprire consolati. È incompatibile con le nostre posizioni”. E nell’ottica dei dialoghi in corso, il ministro Cohen conclude dicendo che “abbiamo una finestra di opportunità di nove o 12 mesi, perché dopo questo periodo gli Stati Uniti saranno immersi nella campagna elettorale”.
   Diversa la posizione dell’Autorità palestinese, che plaude alla decisione saudita di nominare un rappresentante diplomatico di alto livello per i Territori e Gerusalemme. In una nota diffusa su X (ex Twitter), l’Anp sottolinea che i tempi della decisione riflettono “l’interesse” dell’Arabia Saudita “per la causa palestinese”, che è una delle “basi” sulle quali è fondata “la politica estera” di Riyadh “nel mondo arabo, islamico e internazionale”. Oltre a essere una “estensione della posizione dell’Arabia Saudita a sostegno della causa palestinese e dei diritti del nostro popolo”.
   L'annuncio è arrivato nel contesto dell’intensificarsi degli sforzi degli Stati Uniti per stabilire per la prima volta relazioni formali tra Israele e Arabia Saudita. In Israele si è anche ipotizzato che Riyadh - che finora si è opposta alla creazione di legami formali fino alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese - potrebbe ora essere disposta a firmare senza che Israele fornisca ai palestinesi una maggiore autonomia. “È una sorta di casella da spuntare” ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un’intervista trasmessa la scorsa settimana. Diversa la prospettiva nel mondo arabo, come emerge dalle valutazioni di analisti sauditi e palestinesi secondo cui la nomina stessa dell’ambasciatore al-Sudairi è segno di un tentativo di migliorare il trattamento dei palestinesi. Abdulaziz Alghashian, esperto saudita di relazioni fra Riyadh e Israele, afferma che “questo è il modo saudita di comunicare qualcosa” che potrebbe anche non piacere a Israele. 

(AsiaNews, 14 agosto 2023)


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Israele spiazzato dalla mossa palestinese di Riad

La mossa saudita di ampliare le credenziali dell’ambasciatore in Giordania sulle questioni palestinesi e sulle attività consolari a Gerusalemme Est mette in difficoltà Israele. Stress test mentre Washington negozia la normalizzazione tra Riad e Tel Aviv

di Emanuele Rossi

Il dialogo in corso da tempo per trovare una normalizzazione nei rapporti tra Arabia Saudita e Israele, tramite l’aiuto statunitense, ha avuto nei giorni scorsi una complicazione. I funzionari israeliani sono stati colti alla sprovvista dall’annuncio saudita di nominare un inviato per la Palestina che avrebbe anche il ruolo di console generale a Gerusalemme.
   Riad ha reso pubblico che sarà l’ambasciatore ad Amman, Nayef al Sudairi, ad andare a ricoprire il doppio ruolo per la questione palestinese e per gli affari consolari israeliani. Israele ha escluso domenica qualsiasi eventuale missione fisica a Gerusalemme per quello che diventerà il primo inviato saudita presso i palestinesi. Un post sui social media della sua ambasciata ha detto che sarà anche “console generale a Gerusalemme”.
   Riad dice che la decisione sarà un modo per facilitare il dialogo sulla soluzione a due Stati (che includa anche una parte di Gerusalemme come capitale dello stato palestinese, evidentemente). La mossa è arrivata dopo che Washington ha sostenuto informalmente (tramite spifferate ai media e smentite tattiche) che c’erano stati alcuni progressi negli sforzi per mediare la distensione tra Israele e Arabia Saudita — che in precedenza aveva escluso qualsiasi avvicinamento fino a quando non saranno affrontati gli obiettivi di statualità palestinese.
   All’inizio di questo mese, i diplomatici palestinesi hanno espresso preoccupazione agli omologhi sauditi sul timore che Riad procedesse in avanti nell’appeasement con gli israeliani senza dare priorità alla loro causa (come fatto in precedenza da altri Paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele). La notizia delle nuove credenziali ha creato un apparente ottimismo: “Cosa significa dire anche (è) ‘console generale a Gerusalemme’? Significa una continuazione delle posizioni dell’Arabia Saudita”, ha detto l’ambasciatore palestinese a Riad, Bassam Al-Agha, a proposito del nuovo doppio incarico di al Sudairi.

• Narrazioni e interessi
  Intervistato alla radio Voice of Palestine, Al-Agha ha inoltre interpretato la nomina come un “rifiuto” del riconoscimento degli Stati Uniti nel 2017 di Gerusalemme come capitale di Israele. I palestinesi vogliono uno stato in territori catturati da Israele in una guerra del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. I negoziati sponsorizzati (per anni) dagli Stati Uniti con Israele sul raggiungimento di una soluzione si sono bloccati più di un decennio fa. Tra gli ostacoli ci sono stati l’insediamento israeliano in terre occupate e la faida tra le autorità palestinesi sostenute dall’Occidente e gli islamisti armati di Hamas, che usano tecniche jihadiste e razziste per minare la convivenza con gli ebrei.
   Un altro punto critico è Gerusalemme, che Israele ritiene la sua capitale indivisibile — uno status non ampiamente riconosciuto dalla Comunità internazionale. “Questo (Al-Sudairi) potrebbe essere un delegato che incontrerà i rappresentanti dell’Autorità palestinese”, ha detto il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen alla stazione radio di Tel Aviv 103 FM.: “Ci sarà un funzionario seduto fisicamente a Gerusalemme? Questo non lo permetteremo”.
   Il governo di destra di Israele, guidato da Benajamin Netanyahu e sostenuto da formazioni radicali, ha lavorato contro qualsiasi prospettiva che dia un terreno significativo ai palestinesi. Ma tali prospettive diventano sempre più parte del potenziale accordo di normalizzazione con l’Arabia Saudita. “Ciò che c’è dietro questo sviluppo è che, sullo sfondo dei progressi nei colloqui degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita e Israele, i sauditi vogliano trasmettere un messaggio ai palestinesi che non li hanno dimenticati”, ha detto Cohen. L’affermazione limita l’interlocutore della mossa alla sola Palestina, ma è possibile che Riad pensi anche all’invio di un messaggio a Tel Aviv.

• Cavilli tecnici dal significato politico
  L’aspetto tecnico (e politico) sta nel ruolo di “non-resident”: questo significa che la feluca saudita non dovrà di fatto lavorare da un qualche ufficio diplomatico a Gerusalemme Est – dove Israele per policy non consente l’apertura di consolati per servire i palestinesi. Al Sudairi — che ha già presentato l’aumento delle sue credenziali al governo giordano — non avrà così bisogno di accreditamento a Tel Aviv, e potrà muoversi da Amman e Ramallah.
   Gli spostamenti probabilmente li farà in elicottero. Anche la scelta del mezzo è importante in queste situazioni così delicate: Yonatan Toval – un analista israeliano molto informato – fa notare che l’attraversamento del confine tramite il ponte Allenby è sotto il controllo israeliano, per tale ragione, viaggiare in auto richiederebbe, per lo meno, il coordinamento con le autorità israeliane, e forse anche l’accreditamento se l’inviato di Riad volesse essere certo della sua immunità diplomatica mentre viaggia in auto attraverso la Cisgiordania. Richiedere questo riconoscimento equivarrebbe a riconoscere la sovranità israeliana su Gerusalemme Est, spiega Toval.
   Molto difficile che l’Arabia Saudita faccia mosse diplomatiche (o scivoloni) del genere adesso. Molto improbabile che il governo Netanyahu fornisca concessioni speciali. La normalizzazione israelo-saudita è percepita da tutti come volontà strategica, ma in questo momento — mentre i rumors sulle evoluzioni si susseguono — tutti stanno cercando forme di stress test per capire cosa c’è sul piatto dell’intesa.

(Formiche.net, 14 agosto 2023)
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Si legge un grave errore in questo articolo dove il giornalista scrive: ”Gerusalemme Est – dove Israele per policy non consente l’apertura di consolati per servire i palestinesi”. Nella realtà dei fatti purtroppo molte nazioni, Italia compresa, hanno due diverse sedi consolari, una delle quali, a “Gerusalemme est” si interessa soltanto dei cittadini arabi. Emanuel Segre Amar.

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Israeliani in Germania: scappano da Netanyahu ma temono la destra

Secondo le statistiche del governo, l'anno scorso quasi 3.700 israeliani hanno ottenuto la cittadinanza tedesca. Preoccupazioni per l'ascesa della destra

di Kristina Jovanovski

Lo scrittore israeliano Tomer Dotan-Dreyfus è uno dei sempre più numerosi cittadini del suo Paese che hanno scelto di vivere in Germania. Se n'è andato nel 2011 per il suo disaccordo con la politica del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ora, Tomar dice che la rielezione di Netanyahu e le riforme giudiziarie che hanno innescato proteste massicce, stanno alimentando il dissenso e le partenze.
   "Molte persone mi hanno contattato: dalla mia cerchia di amici alla mia famiglia e anche persone che non conosco - dice Dotan-Dreyfus - ricevo continuamente tonnellate di messaggi in cui mi si chiedono consigli per lasciare Israele e venire in Germania".

• Israele, crescono dissenso e partenze
  Dopo le proteste e le ultime elezioni in Israele, si registra nel Paese un'impennata di interesse sulla possibilità di ottenere la cittadinanza tedesca.
   Yoav Stern è un imprenditore alla Stern EU: aiuta gli israeliani a presentare la domanda di cittadinanza tedesca.
   La Germania è considerata un Paese molto stabile in Europa, tutto il mondo sa cos'è la Germania - commenta Stern - Molti, moltissimi ebrei sono arrivati dalla Germania. Le famiglie ebree, i loro discendenti, ora chiedono questo.
   Secondo le statistiche del governo, l'anno scorso quasi 3.700 israeliani hanno ottenuto la cittadinanza tedesca.
   In totale, sono più di 14.000 le persone con cittadinanza israeliana che vivono in Germania.

• Germania, l'estrema destra guadagna consenso
  La nostra corrispondente da Berlino, Kristina Jovanovski, spiega però quali sono le criticità attuali: "Anche gli israeliani stanno affrontando alcune difficoltà in Germania. La Polizia dice che questo mese un turista israeliano è stato aggredito in strada dopo aver parlato al telefono in ebraico. La Polizia dice che sta valutando un possibile movente antisemita. La notizia giunge mentre il partito di estrema destra Alternative fur Deutschland - o AfD - registra numeri da record nei sondaggi".
   In passato, un politico dell'AfD ha puntato il dito contro il memoriale all'Olocausto di Berlino, definendolo un "monumento della vergogna".
   Secondo i sondaggi, il partito è il secondo più popolare del Paese. A giugno ha vinto per la prima volta le elezioni per la guida di un distretto.

• Il timore degli israeliani che vivono in Germania
  Secondo Lorenz Blumenthalee, analista politico, una delle maggiori possibilità di successo dell'AfD è rappresentata dalle elezioni europee: "Penso che se riusciranno a mobilitare il loro popolo, otterranno molti seggi anche lì e credo che questo sia davvero qualcosa da temere perché significa una minaccia imminente, non qualcosa a lungo termine".
   Tre dei nonni di Tomer sono sopravvissuti all'Olocausto. Lo scrittore dice di temere in modo particolare l'estrema destra in Germania a causa della sua storia nel Paese.
   "L'ascesa dell'estrema destra in Germania mi spaventa come ebreo e come immigrato - ammette Dotan-Dreyfus - Dovrebbe essere chiaro che è anche un problema molto grande per noi, perché siamo sulla stessa barca di altri gruppi oppressi e di altri gruppi della diaspora in Germania".

(euronews, 14 agosto 2023)

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Una delle notti più buie di Israele, ma la prova è appena iniziata

Ero a Gerusalemme la notte in cui è stata varata la riforma giudiziaria e la legge sulla ragionevolezza è stata abrogata. E non lo dimenticherò mai.

di Oriel Moran

GERUSALEMME - Il 24 luglio 2023 è stato il giorno che secondo molti segna la fine della democrazia nello Stato di Israele.
   Guardando la Knesset dal mio balcone nel centro di Gerusalemme, ho sentito la mia città in subbuglio.
   Questa volta era diverso dalle violente proteste che avevano avuto luogo in tutto il Paese per oltre 30 sabati sera consecutivi.
   Le principali autostrade erano bloccate da manifestanti che portavano bandiere, "De-mo-cra-tiah!" (Democrazia) al megafono, tra clacson, sirene, tamburi, fischietti e grida - nessuno poteva ignorare o soprastare il grido di migliaia e migliaia di cittadini arrabbiati che avevano sacrificato i loro fine settimana per combattere per il loro patrio ambiente [Heimat], le loro famiglie e la loro libertà.
   Da lontano, i manifestanti sembravano un mare di onde bianche e spumeggianti; la bandiera israeliana sventolava  nella brezza serale di Gerusalemme, tutti si dirigevano lentamente e senza sosta verso il centro della città, mentre droni ed elicotteri catturavano sopra di loro le immagini ormai familiari della capitale.
   Che si sia a favore della "democrazia" o della riforma, entrambe le parti erano "qui per restare", ed erano certamente pronte a sconvolgere la vita quotidiana come la conoscevamo, affinché nessuno dimentichi. I percorsi alternativi per tornare a casa a causa delle strade chiuse o del caos generale erano diventati la norma; i video di pneumatici in fiamme e della polizia che utilizza cannoni ad acqua circolavano costantemente sui social media e nei notiziari delle 20:00. 
   La nazione era divisa. Vicini si sono rivoltati contro vicini, fratelli contro fratelli, famiglie contro famiglie. E adesso, finalmente, siamo arrivati al punto: la legge è passata.
   Alcuni l’hanno chiamata la terza distruzione del Tempio (ironia della sorte, poco dopo Tisha B'Av), altri hanno temuto che fosse l'inizio della fine, altri ancora hanno pianificato un biglietto di sola andata per qualche luogo, affranti dal fatto che la loro nazione li ha delusi.
   Quel giorno è stato lungo e inimmaginabilmente intenso, mentre la gente tratteneva il fiato in attesa del verdetto. Quando ho aperto il rubinetto della doccia, la mia mente mi ha giocato un brutto scherzo: mi è sembrato di sentire il loro grido ancora più forte dell'acqua che scorreva. Anche quando mi sono stesa per dormire, continuavo a sentire i canti, non so se trasportati dal vento o se il mio stato di allarme li faceva sembrare tali. Non riuscivo a dormire.
   E non ero l'unica: centinaia di persone avevano piantato le loro tende nel Gan Sacher, molto vicino a me, con la preoccupazione dello scenario peggiore: una vita in cui una nazione tende lentamente all'autoritarismo e la libertà religiosa diventa un ricordo del passato.

• IL GIORNO DOPO
  Il giorno dopo la città era stranamente silenziosa, come se si fosse risvegliata da un incubo. Come il giorno dopo la morte di un familiare stretto, una domanda aleggiava sulla città: "È successo davvero? Come si andrà avanti adesso?”.
   I principali quotidiani hanno pubblicato un grande quadrato nero in prima pagina (poi si è scoperto che era un annuncio pagato da qualcuno del movimento di protesta). Una giornata molto buia per Israele, dove sembrava che non ci fossero vincitori. Non ho visto attivisti con bandiere camminare per la strada mentre andavano a protestare, o manifestanti che prendevano la razione militare, un meritato boccone da mangiare dopo essere stati per ore spalla a spalla con i loro compagni.
   Quelli che avevano trascorso la notte nelle tende hanno impacchettato le loro cose e sono tornati alle loro case e ai loro posti di lavoro, piangendo la perdita dell'unico Stato ebraico del mondo. Dove mai si può essere liberi se non nel proprio Paese? In quale altro posto sulla verde terra di Dio un ebreo, indipendentemente dal suo credo religioso, può esprimere la sua opinione ed essere ascoltato?
   A differenza delle conversazioni che ho sentito spesso incrociando le persone per strada, in questo giorno, sorprendentemente, non si è sentito dire "Bibi, quel figlio di …” o "Dovresti andartene adesso prima che inizi la protesta, così non rimarrai bloccato nel traffico". La nazione aveva esaurito le sue energie e la rabbia era stata sostituita da una profonda tristezza.
   Il mio vicino, con cui condivido il balcone, era appena tornato da un soggiorno di due mesi in India e Sri Lanka, dove lavorava nel settore high-tech e si beava su spiagge da sogno bevendo chai. In questo modo è riuscito a sfuggire non solo ai continui trapani e martelli dei lavori di costruzione nella nostra strada, ma anche alla pressione e allo stress di questa città tesa.
   Alla domanda su come sarebbe potuto ritornare, la sua risposta è stata: "In che paese di merda viviamo!” Lo capisco, ma ho disapprovato il suo pensiero dicendogli: “In quale altro posto andresti?". Niente però poteva consolare l'anima amareggiata di un giovane che aveva trovato pace sulle spiagge di sabbia bianca di una terra straniera.
   Mi sono chiesta quante tribolazione deve attraversare una famiglia prima che qualcuno decida di gettare la spugna. Qual è il limite oltre il quale si decide di richiedere un visto di lavoro o di cercare sangue "non ebreo" in famiglia per vedere se si può richiedere un passaporto europeo? Purtroppo, sapevo che il mio vicino era solo uno dei tanti che se ne sarebbe andato se avesse potuto.

• “LUNGA VITA AL RE”
  Mi chiedo spesso come sarebbe stata la storia di Israele se il popolo al tempo del profeta Samuele non avesse mai chiesto un re. Il capo di quel popolo sarebbe ancora il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? Avremmo profeti che chiedono al cielo risposte e guida?
   Samuele era angosciato quando gli israeliti gli hanno detto di voler essere come tutte le altre nazioni. E’ quello che devono provare adesso i cittadini religiosi che combattono quella che credono essere la guerra di Dio contro il secolarismo e quello che si frappone tra noi e il ritorno del Messia.
   Nei giorni prossimi credo che la tensione tra una nazione sotto Dio e una nazione "senza Dio”, e la realtà di questo nuovo ordine giudiziario metterà alla prova tutti noi. Da un lato, il Dio "ufficiale" di questa nazione è un Dio santo, dall'altro il libero arbitrio è una prerogativa dell'uomo, secondo il disegno di Dio. Le domande sulla fede e sulla religione affioreranno nei cuori delle persone, e i dibattiti sulla santità dello Shabbat, sulla modestia e sulle leggi del matrimonio civile saranno effettivamente sotto tiro, e le ragioni varieranno a seconda di chi li chiede.
   Come credenti, viviamo nella fede in un'altra dimensione, ma se pensiamo di non esserne influenzati, è meglio ricrederci. Arriverà il giorno, forse non oggi ma forse domani, in cui dovremo lottare per i nostri diritti religiosi.
   Dovremo lottare per il diritto di cittadinanza come ebrei anche se crediamo in Yeshua, per il diritto di parlare liberamente della nostra fede senza temere di essere perseguitati o imprigionati (una proposta di legge che non è passata) e per il diritto di celebrare una cerimonia di matrimonio ebraico rabbinico come ebrei messianici o come ebrei con un partner cristiano non ebreo.
   Sotto la superficie sono avvenute scosse che preparano un terremoto. Tutto sarà scosso: la prova è appena iniziata.

(israel heute, 14 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Oriel - Praying at the Western Wall at the Old City in Jerusalem

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Jerusalem Foundation, ristrutturato il centro ‘Emilio Cesare Ottolenghi Youth Club’ per i ragazzi di Kyriat Menachem

di Jacqueline Sermoneta

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Rispondere ai bisogni sociali, sanitari e comunitari delle persone più vulnerabili dei quartieri di Gerusalemme senza distinzione di cultura e religione. È questo lo scopo della Jerusalem Foundation, che, tra i numerosi progetti sostenuti e realizzati, ha contribuito alla ristrutturazione del centro “Emilio Cesare Ottolenghi Youth Club” per i ragazzi di Kyriat Menachem.
In questo quartiere risiedono circa 20mila persone, molti ‘olim chadashim’, nuovi immigrati, che provengono principalmente dai Paesi dell’ex Unione Sovietica e dall’Etiopia. Numerose famiglie si trovano in condizioni di svantaggio sociale. Un terzo dei 1.824 giovani tra i 12 e i 18 anni, che vive a Kyriat Menachem, necessita di intervento.
   In risposta a questa esigenza, grazie alla generosità della famiglia Ottolenghi, è stato rinnovato un centro giovanile dedicato alla memoria dell’imprenditore italiano Emilio Cesare Ottolenghi z.l.
   Attraverso l’impegno degli educatori, dei volontari e soprattutto delle iniziative promosse dal direttore Roi Trebelsi sono oltre 300 i ragazzi che frequentano e gestiscono il centro stesso. I giovani non solo sono coinvolti in attività utili alla collettività, ma viene data loro l’opportunità di seguire corsi affinché siano in grado di sviluppare capacità di leadership che possano proiettarli verso un futuro migliore.
   «L’intenzione è di potenziare il volontariato nel quartiere – ha spiegato Trebelsi – L’anno prossimo continueremo con il secondo anno del progetto ‘Forstart’, in cui i giovani istruiranno i bambini più piccoli in campo tecnologico. Abbiamo in programma di coinvolgere i ragazzi anche nella ristrutturazione delle case delle famiglie meno abbienti che lo richiederanno, sotto la guida di esperti volontari. Vogliamo inoltre far partire un secondo gruppo di SHAKEL, ‘moschettone’, in cui integrare i ragazzi della comunità etiope. Si tratta di esperienze avventurose all’aperto e di percorsi di leadership».
   Tra gli obiettivi «c’è anche quello di rafforzare la relazione genitori-adolescenti attraverso una serie di incontri in cui le coppie di partecipanti sperimenteranno dei laboratori incentrati sui rapporti interpersonali e la comunicazione – ha aggiunto Trebelsi – Per fare tutto questo sarà necessario assumere un secondo coordinatore, allo scopo di poter rispondere alle esigenze dei ragazzi e migliorare la qualità del contatto con i giovani».

(Shalom, 14 agosto 2023)

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Come si racconta la Shoah ai bambini

La storia della nonna Andra Bucci sopravvissuta ad Auschwitz al nipote.

di Lara Crinò

«La casa era piena di uomini, nazisti ma anche fascisti italiani, il nostro indirizzo era stato dato loro da uno spione che ci conosceva e ci aveva traditi». Il racconto della deportazione verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau di Andra Bucci comincia come altri racconti della Shoah: una casa affollata di parenti, perché in tempo di guerra e di persecuzioni le case sono affollate, e povere, e anguste; un colpo alla porta nella notte perché qualcuno, un delatore, spesso una persona conosciuta, ha rivelato che ci sono dei vicini ebrei; pochi minuti per raccogliere un piccolo bagaglio, poi il tragitto verso i vagoni della deportazione.
   Questa frase, con cui Andra Bucci comincia a narrare la sua storia di bambina rinchiusa nel lager e sopravvissuta allo sterminio, si trova nelle prime pagine di Sarò la tua memoria, di Mario Calabresi. Una storia di trasmissione di memoria dedicata ai più giovani, che affronta col giusto passo un tema di cui molto si dibatte negli ultimi anni: come trasmettere il ricordo di ciò che è accaduto? Si possono dare molte risposte. Tuttavia, per non scadere nella fictionalizzazione del passato è necessario stare un passo indietro e saper ascoltare.
   Così fa Calabresi in questo libro, dove il testo è accompagnato con grazia dalle illustrazioni di Carla Manea: in scena mette Joshua, il nipotino cresciuto in California, e la sua nonna Andra, che nel corso degli anni imparano a conoscersi durante le vacanze estive di lui in Italia e durante i soggiorni di lei negli Stati Uniti. In quel tempo insieme, man mano che il bambino cresce, nasce il racconto di ciò che la nonna ha vissuto durante la sua infanzia. Si dipana un po’ alla volta, guidato dalla voce «tranquilla, mai agitata» di Andra che rievoca la sua discesa nell’orrore, ma vuole al tempo stesso proteggere il nipote amato. Procede a sprazzi, per flashback successivi, perché ciò che fa male non si può mai dire in una volta sola, e anche noi insieme a Joshua scopriamo o riscopriamo la storia di Andra e di sua sorella Tati, figlie di Mira, una sarta di origini ebraiche, e di Nino, un marinaio cattolico. Andra cresce a Fiume, all’epoca una città italiana: nelle foto della prima infanzia è sempre vestita come sua sorella Tatiana detta Tati, e in quella somiglianza con la sorella, che è maggiore di lei di due anni ma sembra la sua gemella, sta la ragione della sua sopravvivenza.
   Quando con la madre arriveranno ad Auschwitz, due piccole di quattro e sei anni finiranno nella baracca dei bambini che il dottor Mengele sottopone ai suoi esperimenti. La mamma, prima che le loro strade si dividano, chiede alle figlie di ricordare ogni giorno il loro nome e cognome; la blokova, la delinquente comune che i nazisti hanno messo a guardia della loro baracca, consiglia loro di non dire mai di voler raggiungere la mamma e di non fare mai un passo avanti durante gli appelli; il cuginetto Sergio, invece, lo farà e verrà portato via e ucciso. Dopo la liberazione dal campo e la fine della guerra Andra e Tati non torneranno subito in Italia. Verranno portate prima in Cecoslovacchia, poi a Lingfield in Inghilterra. Scopriranno infine che la madre si è salvata, e potranno ricongiungersi a lei.
   Come elabora Joshua la storia della nonna? Cercando un modo per esserle vicino, la invita a parlare nella sua scuola americana, e scopre così l’enorme potere della testimonianza diretta. Ma non solo: durante le vacanze, a 17 anni, sceglie di sperimentare almeno in piccola parte le privazioni a cui Andra è stata sottoposta, isolandosi per giorni nel garage di casa, facendo lavori manuali per i vicini, mangiando poco, tenendo un diario: al ritorno in classe, racconterà la sua esperienza e la vicenda di Andra nell’auditorium del suo liceo. Si legge, in queste pagine, il grande affetto che lega nonna e nipote, ma anche quello dell’autore nei loro confronti. Uno sguardo empatico che non significa personalizzare la Storia ma dare importanza alle singole voci. Se continueremo ad ascoltarle, e a farle ascoltare ai nostri figli, salveremo un pezzo di memoria.

(la Repubblica, 14 agosto 2023)

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Il salmista ignoto (4)

di Marcello Cicchese

"L'autore ignoto del Salmo 119 è una prefigurazione del Messia". E' questa la tesi che sta alla base di questo studio. Chi non è convinto può sempre aggiungervi un punto interrogativo, e anche in questo modo può valer la pena di prenderla in considerazione perché nella Bibbia ebraica la figura del Messia appare al lettore in forma interrogativa non solo agli ebrei, ma anche ai cristiani che pure credono al Messia rivelato nei Vangeli.
   La tesi dunque può interessare sia ebrei sia cristiani, indipendentemente dal nome che in seguito individuerà la persona del Messia.
   Per come è formulata, la tesi manifesta che si sta facendo una lettura teocentrica della Bibbia, perché la figura del Messia rappresenta di per sé un intervento diretto e personale di Dio nella storia degli uomini.
   E' necessaria questa precisazione perché il lettore occasionale o distratto della Bibbia tende quasi inevitabilmente a fare una lettura di tipo antropocentrico, cerca cioè di comprendere il muoversi di Dio nel racconto biblico a partire da quella che è la sua comprensione degli uomini. Così può avvenire che si dica, soprattutto fra lettori "intellettuali", ebrei e non, che il Messia biblico non è una persona, ma un sistema politico in cui regnano pace e giustizia. Con questa idea in mente, sarebbe meglio abbandonare del tutto la lettura della Bibbia e dedicarsi ad altro.
   Tornando al Salmo 119, in questa sede si presuppone che esso abbia un autore in carne ed ossa, e si sostiene che il suo contenuto e la forma delle sue parole siano stati controllati da Dio al fine di annunciare in forma allusiva la venuta in Israele del suo Unto.
   Non si può dire che questo sia un modo strano di dare una spiegazione unitaria al testo, perché i tentativi di individuare nell'Antico Testamento allusioni al Messia, o sue prefigurazioni, non mancano di certo in ambito ebraico o cristiano.
   La particolarità teocentrica di questa tesi interpretativa sta nel sottolineare che il salmista - che per semplice comodità espositiva continueremo a chiamare Ariel - parla e agisce come "servo dell'Eterno", cioè esercitando un compito affidatogli da Dio in mezzo al popolo, e non come un qualsiasi pio israelita.
   Il salmo sarebbe dunque una sorta di diario personale in cui il servitore racconta per iscritto a Dio le sue esperienze nello svolgimento del suo compito; ricorda la parola che gli è stata rivolta e con cui il Signore l'ha fatto sperare (v. 49); eleva a Lui fervide preghiere di soccorso per se stesso (v. 82) o di intervento su altri (v. 78).
   Né il nome del salmista, né la situazione storica in cui si muove, né il suo preciso compito sono chiaramente indicati nel testo. Ma il dire e non dire, il periodare con riferimenti allusivi a significati possibili ma non dimostrabili, il lasciare il lettore col desiderio di comprendere meglio e più a fondo lo scritto, non è forse una caratteristica dello stile biblico quando si riferisce a realtà future non immediatamente comprensibili nel presente? In altre parole, una caratteristica dello stile profetico nella Bibbia?
   Diciamo allora che forse si capisce meglio la figura di Ariel se lo si vede come un particolarissimo profeta, cioè uno strumento scelto da Dio per compiere un'operazione speciale in mezzo al popolo. Non si può negare che il Dio della Bibbia agisce spesso così. Si pensi a tutte le volte in cui suscitò un liberatore a Israele (es. Giudici 3:9, 15), o allo Spirito dell'Eterno che investì qualcuno per farne uno strumento di qualche sua operazione (es. Giudici 14:6; 1 Samuele 10:10, 11:6, 16:13; 2 Cronache 20:14, 24:20). Certo, qui non è detto esplicitamente che lo Spirito di Dio investì il salmista per farne un suo strumento, ma anche questa reticenza può far parte del carattere profetico del salmo.
   Cerchiamo allora di immaginare, al solo scopo di favorire una riflessione, come potrebbe essere avvenuta questa operazione. Anche se non si conosce il periodo storico in cui si muove il nostro salmista, la cosa più verosimile è che sia vissuto nel periodo postesilico. Perché è soltanto dopo la distruzione del primo Tempio che "ritornò di moda" la legge in Israele; nei secoli precedenti si era perso perfino il ricordo dell'esistenza di un "libro della legge". Fu soltanto al tempo di re Giosia (sec. 7° a.C.) che il Sommo Sacerdote (!!) ritrovò "per caso" nella Casa dell'Eterno un libro che si scoperse essere il libro della legge di Mosè (2 Re 22:8-13).
   E' del tutto naturale allora che molti abbiano potuto pensare che la catastrofica distruzione del Tempio fosse avvenuta come un tremendo castigo per l'inosservanza della legge di Dio.
   Ma se la caduta di Gerusalemme era stata un castigo per la disubbidienza, allora si poteva sperare che anche la sua ricostruzione e il ristabilimento del Regno a Israele potesse avvenire come risultato dell'ubbidienza.
   Ma quanta ubbidienza sarebbe necessaria per ottenere il risultato? Qui le risposte possono variare, ma sono comunque collegate a qualche forma di eroica ubbidienza alla legge da parte di qualcuno. Anche oggi, in qualche ambiente circola l'idea che una condizione preliminare per la venuta del Messia sia la piena osservanza dello Shabbat, anche una sola volta, da parte di tutti gli ebrei.
   Chissà se qualche saggio ha mai sostenuto un'altra condizione da soddisfare per avere lo stesso risultato: che si trovi in Israele un giusto, anche uno solo, che mostri di saper osservare pienamente la Torà in tutta la sua vita. L'ipotesi potrebbe essere plausibile, perché in fondo appartiene allo stile di Dio fare misericordia a molti in risposta alla giustizia di uno solo. Per esempio, Israele era stata infedele a Dio per secoli, ma nel tentativo di evitare l'amaro compito di consegnare Gerusalemme nelle mani degli spietati Babilonesi, il Signore fece diffondere da Geremia questo appello:

    «Andate per le vie di Gerusalemme; guardate, informatevi; cercate per le sue piazze se vi trovate un uomo, se ve n’è uno solo che pratichi la giustizia, che cerchi la fedeltà; e io le perdonerò» (Geremia 5:1).

Ma non se ne trovò nessuno.
   E questo è il punto. I giusti sono merce rara. Sembra proprio che non se ne trovino in circolazione. Almeno stando al metro di valutazione di Dio:

    L'Eterno ha guardato dal cielo sui figli degli uomini per vedere se vi fosse qualcuno che avesse intelletto, che cercasse Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti, non c'è nessuno che faccia il bene, neppure uno (Salmi 14:2-3; 53:2-3).

Ma allora, se si pensa che il mondo sarà salvato quando sulla terra si troverà un giusto integrale che ha come prima qualità quella di adeguarsi pienamente alla volontà di Dio espressa nella sua legge, sarà proprio in quel giusto che si potrà riconoscere l'intervento di Dio che invia sulla terra il suo Messia. Potrebbe pensare qualcuno.
   E anche questa è una visione antropocentrica della Bibbia, ma di tipo ebraico, perché quello che si fa dipendere dall'uomo è un intervento di Dio nella storia.
   La visione antropocentrica cristiana (sbagliata) guarda invece da un'altra parte: punta l'attenzione sul desiderio che gli uomini hanno, o non hanno, di trasferirsi vantaggiosamente dalla terra (in cui si sta scomodi) al cielo (in cui si sta bene).
   Nella visione teocentrica si sostiene invece che la Bibbia pone la sua centrale attenzione sulla volontà di Dio, che dopo aver creato la terra su cui poi è avvenuta la disubbidienza della prima coppia umana, ha deciso di progettare ed eseguire un piano di riconquista salvifica della terra e di tutti gli uomini che in essa vivono col desiderio di essere eternamente uniti a Lui.
   In questo piano Dio ha previsto la venuta in mezzo al suo popolo Israele di un suo inviato speciale, conosciuto col nome di Messia. Poiché tutto il male è entrato nel mondo per l'originaria disubbidienza del primo uomo, è ragionevole pensare che questo Messia inviato per rimettere le cose a posto debba avere come prima caratteristica quella di essere in tutto conforme alla volontà di Dio che l'ha inviato. Trovare o generare un inviato che possa svolgere sulla terra un compito simile è un problema di Dio, non dell'uomo. Ed è un arduo problema. Perché richiede che il Messia incaricato di vivere sulla terra in perfetta conformità al volere di Dio sia anche pienamente uomo. Riuscirà Dio a portare a termine questo compito, che di sua propria volontà si è dato? La domanda è lecita, perché in questo modo non si limita l'onnipotenza di Dio, ma si tiene presente che nel gioco rientra anche lo spazio di libertà che il Creatore ha stabilito fin dall'inizio per le sue creature.
   Usando allora un linguaggio ad effetto, si potrebbe dire che il Salmo 119 contiene il resoconto delle parole appassionate rivolte a Dio da un suo anonimo servitore, qui chiamato Ariel, mentre svolge il particolare compito affidatogli di rappresentare in forma analogica una delle parti che competeranno al Messia: essere sulla terra la testimonianza vivente della piena osservanza della volontà di Dio espressa nella sua legge.
   Si può certamente immaginare che Dio abbia provvisto il suo servitore Ariel di tutto ciò che era necessario per portare a termine il suo compito: si può pensare per esempio che Dio abbia investito anche lui del Suo spirito, come aveva già fatto con altri suoi servitori, ma è chiaro che Ariel era e rimane un uomo, con tutto quello che significa dalla caduta di Adamo in poi.
   Che dire allora sulla conclusione di questa esperienza del salmista? E' riuscito Ariel a svolgere fino in fondo il suo compito analogico?
   Qui il Salmo 119 mantiene quell'ineffabile fascino che gli proviene dal suo carattere fondamentalmente enigmatico. Ariel appare perfetto in tutto: nel suo dire e nel suo fare. Se il suo compito era quello che essere del tutto ubbidiente, lui assicura il Signore di averlo svolto:

    Io ho riposto la tua parola nel mio cuore
    per non peccare contro di te
    (v. 11).

E non viene mai smentito. Ariel parla di avvilimento, sconforto, ma mai si autoaccusa, mai chiede perdono.
   Eppure manca l'apoteosi del lieto fine, come accade per esempio nel libro di Giobbe. L'esaurimento delle lettere ebraiche a disposizione impedisce che il testo possa essere allungato: il salmo appare formalmente completo, non c'è nulla da aggiungere o da togliere.
   Ma passando dalla forma al contenuto, il lettore può restare con un senso di incompletezza: sembra esserci un'interruzione; sembra che la storia finisca con un interrogativo, come nel libro di Giona.
   L'ultima strofa, corrispondente alla lettera TAV, si apre con un grido: una richiesta di intelligenza, dunque di sapienza, per sapere come muoversi. Prosegue con una supplica per ottenere liberazione, evidentemente perché avverte di essere costretto da forze esterne. Si alternano poi richieste di aiuto e assicurazioni di fedeltà al Signore.
   L'ultimo versetto dà molto da pensare:

    Io vado errando come pecora smarrita; cerca il tuo servo,
    perché io non dimentico i tuoi comandamenti
    (v. 176).

Nei miei appunti di anni fa aggiungevo un breve commento a questo versetto finale:
   «Non c’è un lieto fine entusiastico ed euforico. E’ un finale che ci esorta a essere sobri. I momenti di smarrimento (non sappiamo se per circostanze esterne o per debolezza interna) sono sempre in agguato.»
   E' un commento antropocentrico di vecchio stampo (cioè di quando ero più giovane) che ora considero non sbagliato come applicazione, ma certamente lacunoso. Il servo Ariel conclude il suo diario avvertendo il Signore di essersi perso per strada. Dice di andare errando come pecora smarrita per non si sa dove. Quindi Lo supplica di venire a cercarlo perché lui - assicura - non è di quelli che dimenticano i suoi comandamenti, quindi si aspetta che il Signore lo venga a cercare, lo ritrovi e lo riporti nell'ovile come una pecora smarrita e ritrovata.
   E qui il discorso si interrompe senza dirci se la pecora smarrita è stata ritrovata.
   Questo senso di incompletezza rafforza in un certo senso l'accostamento che abbiamo fatto all'inizio tra il Salmo 119 e quel capolavoro di Johann Sebastian Bach che è L'Arte della fuga. Quest'opera è rimasta incompiuta, e dopo pochi mesi il compositore è morto. Più che incompiuta, si è bruscamente interrotta, perché nella partitura lo scritto termina con le ultime note in mezzo al rigo, senza che il pezzo abbia una chiusura. E' un fatto che tuttora crea un certo imbarazzo negli esecutori, che restano incerti su come devono finire il pezzo che stanno suonando. Uno di questi ha scelto una forma sensazionale, quasi drammatica: si è bruscamente arrestato sull'ultima nota, immobile per alcuni lunghi secondi, col dito alzato, come fulminato .
   Gli studiosi di Bach suppongono che il musicista, avendo ormai raggiunto una maturità musicale che lo rendeva autonomo sul piano lavorativo e artistico, avesse voluto iniziare in quell'opera un suo originale progetto di elaborazione del contrappunto nella musica. Quel progetto si è interrotto.
   Tornando a noi, se pensiamo a Dio come all'ideatore di un progetto redentivo del mondo, e sulla base della Bibbia crediamo che in questo progetto rientri l'invio sulla terra di un Messia, allora si può pensare che il Salmo 119 costituisca un momento di passaggio nella storia di questo progetto. Il resoconto che il salmista ignoto fa nel Salmo 119 presenta un'interruzione, ma il progetto di Dio non si interrompe. Certamente prosegue. E il seguito non può che essere ricercato nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento.

(Notizie su Israele, 13 agosto 2023) .


 

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Il ministro israeliano per gli Affari strategici è atteso a Washington per un possibile accordo con Riad

Nei giorni scorsi, il quotidiano britannico “Financial Times” ha indicato che gli Stati Uniti stanno continuando a lavorare per normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita.

GERUSALEMME - Il ministro degli Affari strategici di Israele, Ron Dermer, è atteso a Washington, la prossima settimana, per colloqui con i funzionari statunitensi su un potenziale accordo di normalizzazione con l’Arabia Saudita. Lo riferiscono i media israeliani. Secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano “Walla”, Dermer discuterà degli sforzi diplomatici di Washington per ottenere un pacchetto di accordi con il regno saudita, compreso il riconoscimento dello Stato ebraico da parte di Riad. Nei giorni scorsi, il quotidiano britannico “Financial Times” ha indicato che gli Stati Uniti stanno continuando a lavorare per normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita, ma il processo resta molto tortuoso, soprattutto per le precondizioni poste dai due Paesi per giungere a un accordo. L’analisi pubblicata dal quotidiani indica che i parametri necessari per arrivare un’intesa sono complessi. L’Arabia Saudita, infatti, avvierà relazioni formali con Israele in cambio di un maggiore sostegno e assistenza nel settore della difesa da parte degli Stati Uniti sul programma nucleare civile. In cambio, Riad chiederà che Israele fornisca maggiori concessioni alle aspirazioni statali dei palestinesi. Per gli Stati Uniti, tale risultato determinerebbe un riavvicinamento con Riad dopo gli anni complessi dopo la vicenda dell’assassinio del giornalista Jamal Kashoggi, oltre che favorire una cooperazione in termini di sicurezza fra Arabia Saudita e Israele.
  Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha affermato di essere “aperto a possibili concessioni nei confronti dei palestinesi” se un accordo con l’Arabia Saudita dovesse dipendere da questo, in occasione di un’intervista rilasciata dal premier dello Stato ebraico a “Bloomberg”, nella quale ha lasciato intendere che non avrebbe permesso ai membri della coalizione di bloccare un possibile accordo con Riad. “Penso che sia fattibile raggiungerlo. Le questioni politiche lo bloccheranno? Ne dubito”, ha detto Netanyahu, secondo il quale “se c’è volontà politica, ci sarà una strada per raggiungere la normalizzazione e una pace formale tra Israele e Arabia Saudita”. “Penso che ci sia abbastanza spazio per discutere le possibilità”, ha aggiunto il premier. “Penso che la questione palestinese sia sempre messa sul piatto giusto per far vedere che viene seguita con attenzione”, ha affermato Netanyahu, spiegando che gli incontri per discutere della causa palestinese “avvengono a porte chiuse molto meno di quanto si pensi”.
  In un’intervista al quotidiano di proprietà saudita “Elaph”, il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha detto che la questione palestinese “non sarà un ostacolo alla normalizzazione delle relazioni con l’Arabia Saudita”. “L’attuale governo israeliano adotterà misure per migliorare l’economia palestinese”, ha affermato Cohen, commentando la possibilità che Riad possa chiedere “significative concessioni” ai palestinesi per un accordo di normalizzazione con Israele. “Una visita in Israele di un ministro degli Esteri saudita sarebbe un giorno di festa”, ha osservato Cohen, sottolineando che i governi guidati dal primo ministro israeliano hanno assicurato relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e il Marocco nell’ambito degli Accordi di Abramo firmati nel 2020.
  Secondo il quotidiano statunitense “New York Times”, un potenziale accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele richiederebbe “significative concessioni” ai palestinesi, che difficilmente sarebbero approvate dalla coalizione ultraconservatrice di Netanyahu, il quale potrebbe essere quindi costretto a cercare di costituire un governo di unità nazionale. Il quotidiano ha sottolineato che le richieste della parte saudita difficilmente saranno approvate dagli esponenti dell’estrema destra e della destra religiosa nel governo di Netanyahu: una spinta in tale direzione potrebbe dunque far cadere il governo. Da parte loro, i leader dell’opposizione in Israele hanno già dichiarato di non voler far parte di una coalizione con Netanyahu a causa del processo in corso a suo carico per corruzione, ma durante le discussioni con gli statunitensi è emersa la possibilità di un governo di unità nazionale, nel caso in cui ciò significasse stabilire relazioni diplomatiche con i sauditi.

(Nova News, 12 agosto 2023)


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Normalizzazione dei rapporti Israele-Arabia Saudita: Cohen ottimista

di Enrico Picciolo

Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, si espone ufficialmente in merito alle notizie che aveva diffuso mercoledì il Wall Street Journal, circa la buona riuscita di alcune intese tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. In questo contesto, infatti, si è inserito anche Israele che sembra tendere la mano al paese islamico, dichiarando che sussiste “una convergenza di interessi” tra Stati Uniti, Arabia Saudita ed Israele. In ballo la normalizzazione dei rapporti tra questi ultimi due paesi: la pace potrebbe essere davvero una cosa fatta. Forse. A fare da apripista Jake Sullivan, Consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense, che lo scorso 27 luglio si era recato a Riad per dei colloqui che avrebbero posto le basi per questo accordo: da un lato la seducente tutela militare americana, che farebbe gola ai sauditi spaventati dalla crescente ingerenza internazionale (e nucleare) dei vicini iraniani, dall’altro la necessità per Washington di ottenere energia a buon prezzo, concludendo un affare che agevolerebbe di molto l’economia americana e il prestigio interno di Biden alla vigilia della campagna elettorale per le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. “C’è, adesso, una finestra di opportunità di 9-12 mesi”, ha detto Cohen, ovvero il periodo di carica rimanente a Biden, affinché le parole si concretizzino.
  Gli Stati Uniti, con queste premesse, si pongono da intermediario tra Tel Aviv e Riad, allo scopo di far aderire l’Arabia Saudita agli Accordi di Abramo che hanno visto, in tre anni, Israele instaurare rapporti con Emirati Arabi, Bahrain, Marocco e Sudan. Ma Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita, del tutto in linea con il Re Salman, ha delle richieste verso Israele, che si basano innanzitutto su delle concessioni che Tel Aviv deve attuare in favore del popolo palestinese. In ogni caso l’ottimismo di Cohen non è condiviso dagli analisti. I sauditi chiedono a Washington, oltre ad un trattato di difesa militare, un aiuto per lo sviluppo del programma nucleare civile, fatto quest’ultimo che innesca i timori israeliani, convinti che il passaggio dall’uso nucleare civile a quello militare sia solo una questione di (brevissimo) tempo, specie perché l’Arabia Saudita gestirebbe – secondo quanto avrebbero richiesto – tutti i processi produttivi, a cominciare dal materiale fissile. La questione palestinese non è poi così pacifica e, nonostante le rassicurazioni di Netanyahu, le concrete decisioni dell’attuale governo (di destra, il più estremista della storia) potrebbero essere ben altre.
  Diffidenza condivisa dagli stessi palestinesi che, nonostante per ora siano solo alla finestra a guardare, temono addirittura che un accordo del genere renda il governo israeliano ancora più coeso e deciso, invece, a proseguire l’espansione in loro danno. Piuttosto chiedono di prendere parte a una qualsivoglia forma di accordo: “Vogliamo che l’Arabia Saudita ci ascolti e si consulti con noi. Le relazioni saudite-palestinesi sono forti e abbiamo fiducia in loro”, aveva detto la settimana scorsa Riyad al-Malki, ministro degli Esteri palestinese. Infine, proprio in casa americana esistono dissapori da dover superare, un dissenso bilaterale che incredibilmente accomuna una grossa parte di repubblicani e democratici, che vorrebbero vedere risultati concreti, in termini economici, prima di approvare un qualsiasi testo in seno al Congresso. Lo stesso John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, commentando le indiscrezioni trapelate dal Wall Street Journal, si era mostrato tutt’altro che ottimista, specificando che “le discussioni sono in corso” e che, prima di arrivare alla “normalizzazione” dei rapporti tra i due attori del Medio Oriente, c’è ancora molto lavoro da fare.

(International Post, 12 agosto 2023)

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Ebrei etiopi e israeliani evacuati dalla regione del conflitto

Un nuovo conflitto in Etiopia spinge il governo israeliano ad agire. Sta trasferendo 204 persone fuori dalla zona di pericolo.

Quattro voli hanno portato i civili nella capitale etiope
ADDIS ABEBA - Israele ha salvato più di 200 israeliani e aspiranti tali dalla regione etiope dell'Amhara, teatro di conflitti. Lì, nelle ultime settimane, milizie di insorti si sono scontrate con le truppe governative. L'Amhara confina con il Tigray, che in passato è stato scosso da violenti conflitti per due anni.
   Secondo l'ufficio governativo israeliano e il ministero degli Esteri, giovedì 174 persone sono state trasportate in aereo da Gondar e altre 30 dal capoluogo del distretto Bahir Dar. Non è chiaro quanti israeliani e quanti ebrei con diritto di cittadinanza facciano parte degli evacuati.
   Nei giorni precedenti, agli ebrei etiopi e agli israeliani era stato chiesto di recarsi ai punti di incontro nelle due città. Lì sono stati prelevati da autobus che li hanno portati all'aeroporto. Quattro voli hanno portato le 204 persone nella capitale etiope Addis Abeba.
   Secondo quanto riferito, l'esercito etiope ha riconquistato sei città dagli insorti, tra cui Bahir Dar e Gondar, . Mercoledì il governo ha dichiarato lo stato di emergenza. Aveva chiesto aiuto al governo centrale perché aveva perso il controllo dell'area. Almeno 20 civili sono morti durante i combattimenti.

(Israelnetz, 12 agosto 2023)

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Pantano ucraino. La controffensiva delude, c’è scoramento e ora Kiev accusa gli Stati Uniti

«Non abbiamo abbastanza armi, difese russe sottovalutate, servono gli F-16».

di Francesco Semprini

NEW YORK - «È molto più complicato di quanto si dica, la controffensiva non sortisce effetti sostanziali al momento». I funzionari che seguono il dossier militare ucraino per le Nazioni Unite dall’inizio dell’invasione russa mettono da subito le cose in chiaro. Assieme a loro e ad altre fonti cerchiamo di ricostruire il mosaico del conflitto le cui tessere negli ultimi tempi, appaiono scollate tra loro. Giovedì ad esempio è iniziata l’evacuazione di 37 località del distretto di Kupyansk, nella regione di Kharkiv, a causa «della difficile situazione di sicurezza e dell’aumento dei bombardamenti». Una situazione di segno opposto a quella che La Stampa ha avuto modo di raccontare nell’autunno 2022 nel corso dalla prima controffensiva ucraina. Cosa sta accadendo allora? Dallo scambio con gli interlocutori diplomatici e militari emerge un quadro dove serpeggia tra le forze di Kiev a volte scoramento talvolta frustrazione nei confronti degli alleati, in particolare gli Stati Uniti.
  Partiamo dall’inizio della controffensiva. «Gli attriti che hanno portato al ritardo dell’avvio derivavano dalla dialettica tra i vertici politici e i vertici militari. Questi ultimi erano consapevoli che le forze in campo non erano pronte a raggiungere gli obiettivi che i primi definivano a portata», ci spiegano le fonti chiedendo il rispetto dell’anonimato: «Appena però i minimi rifornimenti militari sono giunti dall’estero e, soprattutto, appena hanno terminato l’addestramento le tredici brigate disponibili, si è dato inizio alle operazioni», in una sorta di corsa contro il tempo. Rimaneva però un problema noto agli analisti americani sin dall’inizio, di superiorità numerica militare russa. «Prima che la controffensiva iniziasse, già a maggio, le forze di Vladimir Putin avevano schierato nelle zone occupate 400 mila uomini, 200 mila per il controllo del territorio e 200 mila per il combattimento», spiegano gli esperti: «Gli ucraini per questa controffensiva hanno potuto iniettare sul campo una quindicina di brigate», ovvero tra le 70 mila e le 90 mila unità. «A ciò si deve sommare il fatto che nella fase di attacco il confronto di perdite è di 3 a 1, ovvero tre perdite per chi attacca contro una per chi difende».
  Quindi già l’analisi numerica di partenza suggeriva un rapporto di forza chiaro, che impone una riflessione ovvero se si conquista una porzione di territorio occorre anche mantenerne il controllo. «A questo si aggiunge il fatto che c’è stata una sottovalutazione della forza russa, in parte come componente della campagna motivazionale ucraina. Dall’altra perché c’è stata una sottostima reale di cui sono responsabili gli stessi americani». Un esempio su tutti è la convinzione secondo la quale la Russia avrebbe esaurito gli arsenali missilistici. «Si tratta di una narrazione smentita dagli stessi vertici militari ucraini che in una riunione d’urgenza di un paio di mesi fa hanno presentato dati che dimostrerebbero come non solo la Russia non ha esaurito i missili ma ne ha raddoppiato la produzione rispetto al 2022 aggirando le sanzioni». Come è possibile questo? La componentistica presente nei missili, come ha spiegato lo stesso presidente Volodymyr Zelensky, proviene da una pletora di Paesi, compresi gli Stati Uniti (attraverso alcuni giganti del comparto hi-tech), «perché si tratta di prodotti che non rientrano nella categoria “dual use” (ovvero con scopi civili e militari) e pertanto vendibili su qualsiasi mercato». A ciò si aggiungono le intermediazioni tramite Cina e altri Paesi.
  C’è infine un’altra questione tecnica. I russi hanno preparato linee fortificate di difesa a tre o quattro stadi praticamente su tutti i fronti «che lasciano presagire la volontà di volersi trincerare là dietro e chiuderla lì. Ci vorrebbe pertanto una forza soverchiante che in questo momento gli ucraini non sono in grado di proiettare con le risorse a disposizione». E per di più senza copertura aerea visto che, come annunciato dal Washington Post, il primo gruppo di sei piloti ucraini completerà l’addestramento per gli F-16 non prima di giugno 2024. Lo stesso quotidiano della capitale sottolinea la frustrazione di Kiev per i ritardi: «Questo si chiama tirarla per le lunghe».
  Frustrazione palpabile anche sul terreno secondo le testimonianze raccolte da La Stampa alla vigilia dell’anno e mezzo di conflitto (il 22 agosto saranno 18 mesi). «C’è un po’ di scoramento tra le forze armate, per esempio sul fronte di Kherson», anche perché le tattiche mutuate in ambito Nato che prevedono l’invio di piccoli gruppi super attrezzati, come riporta il Wall Street Journal, nel tentativo di sfondare in punti precisi le linee nemiche, a volte non funzionano, specie in teatri tattici caratterizzati da spazi aperti. Di qui il fatto che sottoporre le truppe di Kiev ad addestramenti sugli standard Nato «interessa fino a un certo punto, perché questa è una guerra diversa, è una guerra sovietica». Così la rimostranza si traduce in rivendicazioni precise: «Dateci le armi che ci servono piuttosto che addestramenti iniqui».
  Ne segue la corsa contro il tempo del presidente Joe Biden che ha chiesto al Congresso altri 24 miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina, che si aggiungono agli oltre 113 miliardi stanziati dal 24 febbraio 2022, che rendono Washington il più grande finanziatore di Kiev nella difesa contro Mosca. Al Congresso (e non solo) c’è però chi inizia a chiedersi se limitarsi a riempire di armi l’Ucraina compensi da sola il divario di forze. Mentre al Pentagono si inizia a nicchiare sull’intaccamento delle riserve strategiche in un momento in cui le tensioni con la Cina sono in ascesa, e si registra una escalation di disordini in Africa e in Medio Oriente. «Possiamo dire che a Washington è in corso una rivalutazione della strategia seppure sempre con la priorità che l’Ucraina venga messa nelle condizioni di non subire più un’aggressione», ci spiegano fonti della capitale. Una rivalutazione, non a caso, propedeutica all’inizio dell’anno elettorale, con un presidente uscente in cerca di conferma pronto a presentarsi agli elettori, già dalle primarie di febbraio, come portatore di un piano di pace nel conflitto russo-ucraino.

(La Stampa, 12 agosto 2023)
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"... c'è però chi inizia a chiedersi..." Male! Un anno fa si poteva essere arrestati se si osava chiedersi qualcosa in pubblico sull'inderogabile difesa dell'Ucraina e mettere in dubbio il sicuro e imminente crollo della perfida Russia. Adesso "a Washington è in corso una rivalutazione della strategia". Facciano pure con comodo, perché tanto, morto più morto meno, di morti americani per l'Ucraina non ce ne sono molti. Nessuno, dice qualcuno, ma potrebbe essere una "fake news". M.C.

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L'Ucraina intende escludere Israele dal "formato Ramstein"

La parte ucraina sta valutando la questione dell'esclusione di Israele dal cosiddetto "formato Ramstein". Secondo The Kyiv Post, citando una fonte del Servizio di sicurezza e difesa nazionale dell'Ucraina (NSDC), Kiev non è soddisfatta della posizione di Tel Aviv all'interno di questo formato.
   Secondo la fonte, Israele, avendo aderito ai negoziati, non ha fornito all'Ucraina un'assistenza reale. Inoltre, si teme che le informazioni ottenute durante gli incontri possano essere utilizzate dalle autorità israeliane nei propri interessi. Questa conclusione è stata fatta, in particolare, dopo la riunione di giugno, durante la quale il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ignorato il suo omologo ucraino Alexei Reznikov e ha invece tenuto consultazioni con il capo del Pentagono Lloyd Austin.
   Un altro interlocutore, che ha parlato a condizione di anonimato, ha sottolineato che una tale decisione di Kiev potrebbe essere causata dalle azioni ostili di Israele nei confronti dell'Ucraina. Secondo lui, Israele dimostra una posizione filo-russa nell'arena internazionale, che provoca alcune preoccupazioni in Ucraina.
   Se Kyiv decidesse di escludere Israele dal "formato Ramstein", ciò potrebbe causare nuove tensioni nei rapporti tra i due Paesi. Al momento, i funzionari israeliani non hanno commentato queste informazioni.

(AVIA.PRO, 12 agosto 2023)

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“Stupore e sdegno per il voto dell’Italia all’ONU contro Israele”. La reazione delle associazioni

di Luca Spizzichino

Diverse associazioni hanno espresso stupore e sdegno per il voto favorevole dell’Italia ad una risoluzione adottata dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) di condanna verso Israele per aver violato i diritti delle donne. L’Italia è stata tra i 37 stati a votare favorevolmente a questa risoluzione. Una decisione che allinea lo Stato italiano a Paesi come l’Afghanistan, il Qatar, lo Zimbabwe e la Libia, nei quali i diritti delle donne vengono calpestati quotidianamente, e in maniera plateale. Tra i sei voti contrari sono stati registrati quelli della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, che hanno denunciato la selettività della risoluzione.
   Lo Stato ebraico, nella risoluzione patrocinata da Cuba, Siria, Corea del Nord, Venezuela e altri Paesi, è stato accusato di essere un “grande ostacolo” per le donne palestinesi “per quanto riguarda il rispetto dei loro diritti e il loro progresso, l'autosufficienza e integrazione nello sviluppo della loro società”.
   “Sono stupito dal voto del nostro Paese per la risoluzione adottata dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite lo scorso 26 luglio. Ancora una volta le decisioni prese dai diplomatici italiani all’Onu sembrano essere in netta contrapposizione con quelle che sono le azioni del governo” commenta il giurista Emanuele Calò, direttore dell’Osservatorio Enzo Sereni, associazione che vede il coinvolgimento di accademici ed esperti di diritto e che ha come sua prima finalità quella di contrastare il fenomeno dell’antisemitismo.
   “La votazione della Commissione dell’ONU ovviamente non scalfisce la situazione di fatto in Israele, dove la parità di diritti, di opportunità e di carriere è testimoniata, fra l’altro, dal fatto che la Presidente della Suprema Corte di Giustizia è una donna” si legge nel comunicato dell’Osservatorio Enzo Sereni, che invita il governo a fare “un cambiamento radicale degli ordini spediti alle delegazioni diplomatiche del Paese nei principali centri decisionali internazionali”.
   La Federazione delle Associazioni Italia-Israele ha espresso “stupore e delusione” per il voto favorevole dell’Italia, auspicando che “in futuro simili decisioni vengano meglio ponderate ed assunte con la necessaria, limpida obiettività che argomenti tanto delicati necessitano”.
   UN Watch, organizzazione non governativa con sede a Ginevra, il cui mandato è quello di monitorare le prestazioni delle Nazioni Unite in base al metro della propria Carta, è stata la prima a denunciare la risoluzione adottata dalla Commissione Onu.
   “La risoluzione chiude un occhio su come i diritti delle donne palestinesi siano influenzati dalle loro stesse autorità di governo. Né fa alcuna critica o alcun riferimento al modo in cui le donne e le ragazze sono discriminate all'interno della società patriarcale palestinese” afferma l’organizzazione. “La sessione dell'ECOSOC del 2023 ha completamente ignorato i peggiori violatori dei diritti delle donne al mondo, rifiutandosi di approvare un'unica risoluzione sulla situazione delle donne in Afghanistan, Iran, Pakistan, Iraq, Algeria, Ciad o Mali, che si collocano tra i 10 peggiori violatori dei diritti delle donne nel mondo, secondo il Global Gender Gap Report 2023, prodotto dal World Economic Forum”, ha affermato Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch.
   “In un momento in cui lo stupro è usato come tattica di guerra in Libia, gli esperti delle Nazioni Unite hanno accusato i talebani in Afghanistan di 'apartheid di genere', la Nigeria ha 20 milioni di sopravvissute alle mutilazioni genitali femminili, le donne possono finire in prigione in Qatar per aver denunciato violenza sessuale, e le donne leader dello Zimbabwe sono soggette a violenze sessuali e bullismo motivati politicamente, è teatro dell'assurdo per questi regimi misogini individuare Israele - unico al mondo - come presunto violatore dei diritti delle donne", ha aggiunto Neuer.
   Israele è l’unico Paese al mondo ad aver subito una condanna di violazione dei diritti della donna da parte dell’ONU. Infatti, su 19 punti dell'agenda 2023 del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, solo uno - l'articolo n. 16 contro lo Stato ebraico - ha preso di mira un paese specifico. Tutte le altre aree di interesse riguardano temi generali, come i soccorsi in caso di calamità e l'uso della tecnologia per lo sviluppo.

(Shalom, 11 agosto 2023)
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Un governo italiano che vergognosamente si piega alla richiesta degli Stati Uniti di inviare armi in Ucraina, manifesta poi la sua "autonomia" dagli americani votando contro Israele. Vergognoso. E malaugurante. M.C.

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Siria, Israele, Palestina. Le manovre dell’Iran in Medio Oriente

Il leader di Hezbollah si sarebbe incontrato con uno dei vertici dei pasdaran per discutere delle evoluzioni securitarie nella regione. Molteplici i temi trattati, dal confronto con gli Usa al sostegno alla Palestina. Mentre Israele minaccia di riportare il Libano “all’età della pietra”

di Lorenzo Piccioli| 

Secondo quanto riportano alcuni media israeliani ed arabi, nei primi giorni di agosto il generale di brigata Esmail Ghaani, comandante della Forza Quds (la branca del Corpo della Guardia della Rivoluzione Islamica responsabile di tutte le operazioni all’estero), si sarebbe incontrato a Beirut, con il segretario di Hezbollah Hassan Nasrallah. Come capo della Quds, Ghaani è il responsabile dei collegamenti con le milizie filo-iraniane e con tutti gli altri attori che rientrano nel cosiddetto “Asse di Resistenza”, compreso ovviamente il partito libanese guidato da Nasrallah e la sua organizzazione paramilitare. Non è chiaro quali siano stati i temi discussi nell’incontro tra i due esponenti sciiti; tuttavia, alcuni analisti del Critical Threat Project hanno provato a individuare le dinamiche più di rilievo per Teheran e la sua milizia affiliata nel quadrante di operazione levantino.
  Come, ad esempio, le tensioni registrate nella Siria orientale tra le Syrian Democratic Forces (Sdf), milizie antigovernative sostenute da Washington, e coloro che sostengono invece il regime guidato da Bashar al-Assad, compresi Iran ed Hezbollah. Nelle ultime settimane le Sdf sono state accusate congiuntamente da Mosca, Damasco e Teheran di pianificare un’offensiva all’interno dei territori sotto il controllo del regime. Queste accuse, anche se infondate, sarebbero finalizzate a giustificare l’ulteriore dispiegamento di forze lungo la linea di contatto da parte di questi attori con lo scopo di forzare il ritiro dei contingenti statunitensi dalla Siria. Anche gli effettivi di Hezbollah sono stati coinvolti in questo dispiegamento, con il presunto compito di attaccare i soldati statunitensi presenti nel paese in caso di un’escalation militare.
  Ma Hezbollah non è l’unica carta di cui l’Iran dispone in Siria. Vi sono innumerevoli milizie locali che, in cambio di risorse e finanziamenti, decidono di seguire le direttive impartite loro da Teheran. Lo stesso Ghaani, nei giorni precedenti all’incontro con Nasrallah, si era recato nella provincia di Deir Ez Zor per un’ispezione. Con il rinfiammarsi delle tensioni con Washington e i suoi alleati lungo la linea di contatto siriana, le forze Quds hanno deciso di rinforzare le proprie proxies presenti nel settore. È infatti di questi giorni la notizia diffusa da alcuni media siriani secondo cui un’importante clinica della città di Hatla, gestita e finanziata proprio dai pasdaran, avrebbe interrotto il sostegno medico a chiunque non avesse legami con le milizie filo-iraniane. Come risultato, gran parte delle famiglie locali ha fatto unire i figli maschi a queste milizie, nella speranza di recuperare l’accesso alle cure ancora più vitale in un contesto difficoltoso come quello della Siria dilaniata dalla guerra civile.
  Le tensioni continuano ad essere alte anche lungo il confine tra Israele e Libano. Dal giugno di quest’anno, Hezbollah sta lanciando una serie di provocazioni armate contro la linea di demarcazione, episodi che incrementano sensibilmente il rischio di un escalation militare con conseguenze drammatiche. Lo sa bene il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, il quale in una dichiarazione pubblica rilasciata l’8 agosto afferma che lo scoppio di un conflitto tra Tel Aviv e sarebeb così distruttivo da “riportare il Libano all’età della pietra”. Gli scontri tra militanti palestinesi residenti nei campi profughi siti nella stessa area e le forze armate israeliane rendono la situazione ancora più delicata, pur none essendo direttamente collegata alle azioni di Hezbollah.
  Tuttavia, le due fazioni musulmane potrebbero essere in contatto per altre questioni. Secondo quanto rivelato dal leader della guerriglia palestinese Zayed Nakleh, il gruppo guidato da Nasrallah avrebbe stretto contatti con le milizie palestinesi per fornire equipaggiamenti e informazioni ai gruppi presenti in Cisgiordania. Dopo che i raid israeliani del luglio scorso hanno minato profondamente le capacità operative di questi gruppi, Teheran ritiene fondamentale supportare la ripresa di un alleato così importante nella sua lotta contro il suo nemico giurato. E non potrebbe esserci intermediario più adatto che il gruppo sciita libanese fedele agli Ayatollah.

(Formiche.net, 11 agosto 2023)

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La nuova linea ferroviaria di Israele e le relazioni con l'Arabia Saudita

Che c'entra la costruzione di una nuova linea ferroviaria in Israele con la normalizzazione delle relazioni tra l'Arabia Saudita e lo Stato ebraico?

di Yochanan Visser

GERUSALEMME - Domenica 30 luglio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato un grandioso piano infrastrutturale che prevede una linea ferroviaria ad alta velocità dalla città settentrionale di Kiryat Shemona a Eilat, nell'estremo sud di Israele.
  Netanyahu ha definito il piano "Un solo Israele", attirando la derisione dei critici, dal momento che Israele è attualmente profondamente diviso e, secondo alcuni, addirittura sull'orlo di una guerra civile.
  Il Primo Ministro israeliano ha anche parlato di una futura estensione della linea ferroviaria ad alta velocità all'Arabia Saudita dopo il completamento del collegamento tra Kiryat Shemona ed Eilat.
  Di per sé non si tratta di un'idea nuova, poiché Israel Katz, nella sua precedente veste di ministro dei Trasporti, aveva già presentato questo piano in occasione di una conferenza regionale in Oman nel 2018.
  Il costo dell'intero progetto infrastrutturale è stimato in 104 miliardi di shekel (circa 30 miliardi di euro) e un comitato governativo è stato costituito per organizzare il finanziamento del piano indipendentemente dal bilancio biennale dello Stato di Israele.
  I critici hanno affermato che il piano rimane una chimera a causa del suo costo enorme, ma Netanyahu ha già dimostrato in passato di essere in grado di raccogliere i fondi per progetti di tale portata.
  Ne sono un esempio la linea ferroviaria ad alta velocità da Gerusalemme a Tel Aviv e il successo dello sviluppo dei vari giacimenti di gas naturale offshore.
  Prima di analizzare la nota del Primo Ministro sul prolungamento della linea ferroviaria fino all'Arabia Saudita, dovremmo esaminare i dettagli del piano infrastrutturale complessivo.

• IL PIANO A GRANDI LINEE
  Il piano è considerato urgente, poiché Israele soffre da anni di una grave congestione del traffico e la popolazione dello Stato ebraico è in rapida crescita.
  Il piano approvato dal gabinetto prevede un quinto e un sesto binario lungo l'autostrada Ayalon, che attraversa Tel Aviv.
  La linea ferroviaria sulla costa dovrà essere raddoppiata, la linea per Haifa elettrificata e bisognerà scavare un tunnel sotto la città.
  Ci sarà anche un collegamento ferroviario tra Gerusalemme e Beer Sheva, che collegherà la capitale con la più grande città del sud di Israele.
  Altre linee ferroviarie esistenti saranno meglio collegate in modo che le persone possano viaggiare più velocemente, poiché tutti i treni saranno elettrificati.
  Secondo Netanyahu, le persone potranno viaggiare da Kiryat Shemona a Eilat in due ore a bordo di un TGV, che sarà in grado di viaggiare fino a 250 chilometri all'ora. Attualmente, un viaggio in auto dall'estremo nord di Israele a Eilat richiede in media sei o sette ore.

• ATTIVISTI AMBIENTALI
  Gli attivisti ambientali riuniti nella Società per la protezione della natura in Israele (SPNI) si oppongono fermamente al progetto.
  La SPNI sostiene che uno studio condotto dagli esperti del Centro Shasha per gli studi strategici dell'Università Ebraica di Gerusalemme ha ritenuto il progetto irrealizzabile.
  La società sostiene inoltre che tutti gli obiettivi geostrategici, logistici, ambientali ed economici della ferrovia (di Eilat) non possono essere raggiunti e che la costruzione della ferrovia causerà danni ambientali significativi.
  Questi danni, se ci saranno, saranno probabilmente limitati al percorso lungo il Mar Morto, che è un patrimonio dell'UNESCO, o alle Montagne della Giudea, se il percorso del TGV passerà attraverso il deserto.
  Il resto del percorso attraverserebbe la Valle del Giordano e l'Arava, il polveroso fondovalle che va dai piedi del Mar Morto a Eilat.
  Un'autostrada attraversa già queste zone, che sono geograficamente ideali per costruire una linea ferroviaria, senza incidere significativamente sull'ambiente.

• NUOVA LINEA FERROVIARIA E NORMALIZZAZIONE DELLE RELAZIONI CON L'ARABIA SAUDITA
  Durante la riunione settimanale di gabinetto del 30 luglio, Netanyahu ha dichiarato, tra l'altro, che: "In futuro, saremo in grado di trasportare le merci da Eilat ai nostri porti del Mediterraneo su rotaia. Saremo anche in grado di collegare Israele con l'Arabia Saudita e la penisola arabica su rotaia. Stiamo lavorando anche su questo".
  I giornalisti hanno interpretato questa dichiarazione come un'indicazione che una normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele potrebbe essere ormai imminente.
  Questa speculazione è stata rafforzata dai media americani che hanno riportato la notizia di una recente visita di due diplomatici americani di alto livello nella capitale saudita Riyadh.
  Fonti della Casa Bianca hanno dichiarato che Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, e Bret McGurk, inviato di Biden per il Medio Oriente, hanno discusso, tra le altre cose, della normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita.
  È possibile che tale normalizzazione sia imminente. Speculazioni in tal senso circolano da tempo. Tuttavia, le aspettative sono state smorzate dall'atteggiamento della leadership saudita.
  Essa ha ufficialmente ritenuto che la normalizzazione delle relazioni con Israele dovrà essere legata alle aspirazioni nazionali dei palestinesi.
  Dato che non esiste alcuna prospettiva di un processo di pace con il movimento nazionale palestinese e che i vari movimenti politici palestinesi sono profondamente divisi al loro interno, questa sembra una condizione irrealistica per un tale accordo.
  Tuttavia, si ritiene che il Presidente Biden abbia bisogno di un successo in politica estera per sostenere la sua rielezione il prossimo anno.
  Se questo successo sarà effettivamente un accordo con l'Arabia Saudita sulla normalizzazione delle relazioni con Israele, come i cosiddetti Accordi di Abramo, è molto discutibile.
  Questi accordi tra Israele e quattro Paesi arabi sono stati conclusi durante la presidenza di Donald Trump.
  Hanno creato una pace completa tra Israele e questi Stati arabi in tre casi (con l'eccezione del Sudan), ma nel caso dell'Arabia Saudita potrebbe esserci inizialmente una sorta di "pace economica".

• PACE ECONOMICA
  Come ha sottolineato Netanyahu, il suo governo sta lavorando dietro le quinte per approfondire le relazioni (economiche) con il Regno e di recente ha inviato il direttore del Mossad David Barnea a Washington per dei colloqui.
  Mentre la costruzione di una linea ferroviaria è attualmente solo un progetto, i contatti economici esistono già.
  Secondo quanto riferito, le start-up israeliane sono attive da tempo in Arabia Saudita. Alcune sono anche coinvolte nella costruzione dell'enorme città futuristica NEOM sulla costa araba del Mar Rosso.
  Sia Netanyahu che il suo consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi hanno affermato che la decisione di normalizzare le relazioni con l'Arabia Saudita spetta alla leadership di Riad.
  Dal momento che il re Salman ha ufficialmente bloccato finora la normalizzazione  e suo figlio Mohammed, il principe ereditario, è a favore di una qualche forma di normalizzazione, potrebbe esserci una pace economica e quindi la costruzione di una linea ferroviaria tra Israele e la penisola arabica.

(israel heute, 11 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Abu Mazen caccia 12 governatori su 16

"Lotta di potere intestina con Hamas"

di Gaia Cesare

Abu Mazen caccia 12 governatori su 16. "Lotta di potere intestina con Hamas" Repulisti in casa palestinese. Con un decreto presidenziale a sorpresa e senza dare spiegazioni, Mahmud Abbas, alias Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese, ha rimosso 12 su 16 governatori locali. Tra loro ne figurano 4 che amministravano formalmente parte della Striscia di Gaza: dalla città di Gaza a Gaza-Nord, da Khan Yunes a Rafah e altri 8 all'opera in Cisgiordania, a Jenin, Nablus, Qalqilya, Tulkarem, Betlemme, Hebron, Tubas e Gerico. Quasi un azzeramento dei vertici locali, anche se i governatori nella Striscia di Gaza si erano già ridotti a ruoli simbolici, praticamente privi di autorità, dopo che l'Anp, guidata dal «partito» Al Fatah, è stata cacciata nel 2007 da Hamas, che da allora la governa.
  Con l'annuncio delle teste saltate, Abu Mazen, al potere da oltre trent'anni prima nell'Olp e poi nell'Anp, ha anche avviato la nuova fase, ordinando la costituzione di un «Comitato presidenziale» incaricato di esaminare i nuovi candidati. L'Autorità nazionale palestinese è sull'orlo del collasso finanziario e sta perdendo il controllo della sicurezza in alcune aree, dove cresce il malcontento per la sua gestione. Serve dunque un ricambio ai vertici. Che si inserisce proprio nello scontro con il gruppo rivale Hamas. Lo spiega bene al Giornale il generale israeliano Yossi Kuperwasser, ex capo della divisione ricerca dell'intelligence militare dell'Idf, la Forza di difesa israeliana. «Abu Mazen si è accorto che non controllava più i suoi incaricati - spiega il generale, ex Direttore del Ministero degli affari strategici israeliano - È una mossa con cui l'anziano leader vuole riaffermare il suo potere». Di Abu Mazen Kuperwasser è convinto che «non si dà per vinto». «La lotta intestina con Hamas - aggiunge il generale - sta scappando di mano al leader dell'Autorità nazionale palestinese. Non che Abu Mazen sia contrario al terrorismo diffuso nelle province palestinesi, ma in questi nidi di vipere, lui vuole essere il serpente capo».
  A luglio, i leader palestinesi rivali, Abu Mazen da una parte e Ismail Haniyeh di Hamas dall'altra, hanno tentato in Egitto una riconciliazione per mettere fine a 17 anni di fratture, ma senza risultati sostanziali.
  La manovra palestinese, una lotta di potere interna al mondo palestinese, si inserisce in un contesto più ampio e arriva dopo che indiscrezioni del Wall Street Journal hanno preannunciato importanti progressi verso un accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita perché Riad riconosca Israele in cambio di concessioni ai palestinesi. Una possibile intesa che secondo il ministro degli Esteri israeliano Ely Cohen è solo «una questione di tempo», ma che avvicina la pace tra i due Paesi, ormai «a portata di mano». Il portavoce per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca ha spiegato che ci sono «discussioni in corso» ma c'è «ancora molto da fare prima di arrivare a un quadro completo per la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele».
  L'intesa, secondo il Wsj, dovrebbe chiudersi entro il prossimo anno e sarebbe «il più importante accordo di pace in Medio Oriente in una generazione». Nonostante le continue tensioni, il ministro Cohen ne è convinto: La «questione palestinese» «non sarà un ostacolo» alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. L'adesione di Riad agli Accordi di Abramo - già sottoscritti da diversi Paesi musulmani per la normalizzazione dei rapporti con Israele - farà la storia»

(il Giornale, 11 agosto 2023)

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Israele, un centro studi avverte: "Tensioni al confine col Libano, Hezbollah vuole un conflitto"

Il ministro della Difesa israeliano: "Se fossimo attaccati, non esiteremmo a usare tutta la nostra forza all'ennesima potenza, fino a riportare il Libano all'età della pietra". Intanto, in Cisgiordania, ucciso nella notte un 23enne palestinese

Mentre crescono le tensioni al confine con il Libano, un centro studi israeliano (Alma Center) avverte oggi che gli Hezbollah sembrano intenzionati ad aprire un confronto armato con Israele. “Gli Hezbollah vogliono e hanno bisogno di questo confronto” scrive senza mezzi termini il centro studi. Ancora pochi giorni fa, durante un sopralluogo al confine con il Libano, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha dichiarato che, se Israele fosse attaccato, non esisterebbe a far ricorso a tutta la propria potenza “fino a riportare il Libano all'età della pietra”.
  Il Centro Alma afferma di aver documentato un'accresciuta attività militare degli Hezbollah lungo il confine, ma tale mobilitazione – a suo parere - non ha un legame immediato con la crisi politica in Israele, che è accompagnata da proteste fra i riservisti. Quelle attività, secondo Alma, sono iniziate un anno e mezzo fa, quando in Israele c'era ancora un governo centrista. Già oggi il potere degli Hezbollah in Libano “è enorme”, secondo Alma. Fomentando nuove tensioni militari con Israele, afferma il centro studi, gli Hezbollah ritengono che in quel modo “il loro potere in Libano crescerà ulteriormente”.
  Intanto in Cisgiordania un palestinese, identificato come Mahmoud Jihad Jarad, di 23 anni, è stato ucciso dal fuoco delle forze israeliane nella notte, durante un raid dell'esercito nel campo rifugiati di Tulkarm. Lo riferisce l'agenzia di stampa palestinese Wafa, citando fonti mediche, che aggiungono che altre quattro persone sono rimaste ferite e una di loro è in condizioni critiche.

(RaiNews, 11 agosto 2023)

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Perché Israele è molto cauto nell’affrontare le provocazioni di Hezbollah

Un rapporto dei servizi di sicurezza

di Ugo Volli

• Innovazioni positive
  La complessa situazione internazionale di Israele non è mai immobile: vi sono cambiamenti positivi e negativi che la modificano continuamente. L’innovazione positiva degli ultimi anni è stata costituita dai cosiddetti “Accordi di Abramo”, promossi da Trump e sviluppati da Netanyahu. La loro capacità propulsiva non è affatto terminata, tanto che si continua a discutere di una loro prossima estensione all’Arabia Saudita, che sarebbe un’innovazione fondamentale nel panorama del Medio Oriente. Ma anche le relazioni con Marocco, Emirati, Bahrein continuano a progredire, assicurando a Israele una rete di interlocutori vicini che fino a qualche anno fa non era immaginabile.

• Il pericolo permanente dell’Iran
  Fra gli elementi negativi costanti vi è la guerra non dichiarata ma praticata dall’Iran e dai suoi alleati contro lo stato ebraico, che Israele contrasta cercando di impedire accumuli di truppe e materiali ai propri confini, soprattutto con azioni aeree in Siria. Senza questa interdizione israeliana la capacità di attacco dei suoi nemici sul fronte settentrionale sarebbe già oltre la soglia della guerra aperta. Ma la capacità dell’esercito israeliano di bloccare i rifornimenti di armi avanzate ai satelliti dell’Iran è inevitabilmente limitata. Fra Iran, Iraq, Siria e Libano e in parte Gaza gli itinerari terrestri, marittimi, aerei sono numerosissimi, il nemico è disposto a subire perdite notevolissime pur di proseguire nella sua azione di accumulo di armamenti e quel che si può fare realisticamente è rallentare, ma non fermare, questo flusso.

• Le provocazioni di Hezbollah
  Il principale beneficiario di questi rifornimenti è il movimento terrorista di Hezbollah, che probabilmente dispone di 150.000 missili, fra cui alcune migliaia ad alta precisione. Questo movimento terrorista di recente ha sviluppato fortemente le proprie provocazioni nei confronti di Israele. Si sono viste suoi reparti armati pattugliare apertamente i confini con Israele sotto gli occhi delle forze dell’Onu che avrebbero proprio il compito di evitare ogni presenza armata in quelle zone che non sia l’esercito libanese ufficiale (peraltro a sua volta sotto il controllo di Hezbollah, rispetto a cui è molto più debole). Vi sono state ispezioni di dirigenti e manifestazioni, e soprattutto la costruzione di due tende militari su un luogo che sta nella “terra di nessuno” fra le due linee fortificate di confine, ma che giuridicamente appartiene a Israele: dunque un’occupazione di territorio di Israele, che ancora è in corso. Tutte queste provocazioni non costituiscono una minaccia militare attuale vera e propria, sono soprattutto propaganda, ma anche uno schiaffo alla deterrenza israeliana, una sfida aperta a osare una reazione che Israele ha ritenuto di non intraprendere, almeno per il momento. Perché Tsahal, l’esercito israeliano (e la dirigenza politica cui risponde), non ha messo a posto il movimento terrorista libanese, come continua a fare con la Siria? Lo spiega un documento reso noto proprio da fonti militari israeliane.

• Lo scenario di una guerra con Hezbollah
  Secondo lo scenario dei servizi di sicurezza, in caso di guerra con Hezbollah Israele dovrà fare i conti con un numero senza precedenti di razzi lanciati nel suo territorio – si ritiene 6.000 missili al giorno nel primo periodo di guerra e tra 1.500 e 2.000 in seguito. Sono numeri senza paragoni, per esempio, rispetto ai 294 razzi lanciati su Israele in media ogni giorno durante l’operazione di Gaza della primavera scorsa. Si valuta che questi lanci non potranno essere bloccati tutti da Iron Dome e potrebbero portare alla morte di circa 500 civili e al ferimento di altre migliaia (escluse le vittime militari dei combattimenti). Oltre ai diffusi danni alle case e alle migliaia di vittime, c'è molta preoccupazione per la capacità di funzionamento dei servizi pubblici, in particolare in termini di elettricità, comunicazioni, energia, catena di approvvigionamento alimentare e per il blocco della produzione industriale. Ciò che più preoccupa i responsabili della sicurezza è la capacità di lanci di precisione che l’Iran sta assicurando a Hezbollah. Una delle lezioni dalla guerra in corso in Ucraina più preoccupanti per Israele è l'efficacia dei droni iraniani. Oggi appare probabile che Hezbollah, usando armi iraniane, possa colpire pesantemente le infrastrutture vitali israeliane, come le centrali elettriche, i trasporti, i porti e l’aeroporto civile internazionale e le principali autostrade bloccando la circolazione di persone, mezzi, merci, armi di difesa. Inoltre, bisogna considerare la possibilità di migliaia di focolai di incendio, decine di attacchi ai depositi di materiali industriali pericolosi e naturalmente di attacchi informatici.

• Lo scontro militare
  Tutto ciò riguarda solo la vita civile, senza parlare dei piani di Hezbollah per "conquistare la Galilea" e, in pratica, tentare di invadere e occupare alcuni dei territori settentrionali di Israele - una minaccia propagandistica che non sembra molto probabile. È chiaro che Tsahal è molto più forte delle milizie terroriste. Ma quelle di Hezbollah sono mescolate alla popolazione civile e dar la caccia ai missili e alle bande terroriste richiederebbe, come ha minacciato di recente il ministro della difesa Gallant, di “far tornare il Libano all’età della pietra”. Il che naturalmente presenta molti altri problemi sia sul piano etico, che per l’esercito israeliano è importantissimo, sia su quello politico, perché immediatamente si salderebbe contro Israele uno schieramento che comprenderebbe almeno parte del partito democratico americano e dell’Unione Europea, ma certamente si baserebbe sul mondo arabo, rischiando di distruggere la normalizzazione in corso. Inoltre il territorio libanese è difficilissimo, come si è visto nelle guerre del passato, e la probabile avanzata di Tsahal non sarebbe certo una passeggiata.

• La deterrenza di Hezbollah
  Questa è la ragione per cui le provocazioni di Hezbollah sono affrontate da Israele con grande cautela. Ma bisogna anche dire che questa cautela (o contro-deterrenza di Hezbollah) è un rischio per la percezione della forza di Israele e della sua capacità di difendersi e di conseguenza rafforza l’aggressività iraniana e intimidisce gli amici di Israele. Anche questa situazione dice che in definitiva la testa del serpente sta a Teheran e non a Beirut e lo scontro decisivo, se ce ne fosse necessità, sarà con l’Iran e non con i suoi satelliti.

(Shalom, 11 agosto 2023)

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Settore tecnologico israeliano: calo di finanziamenti e di nuove startup nella prima metà dell’anno 23

di Francesco Paolo La Bionda

L’effetto domino dell’instabilità politica in Israele legata alla controversa riforma giudiziaria voluta dal governo si sta facendo sentire anche sul settore tecnologico, una delle industrie di punta del paese. È quanto emerge da un recente report di Start-Up Nation Central, un’organizzazione no-profit che promuove l’ecosistema dell’innovazione israeliano in tutto il mondo, relativo alla prima metà del 2023 e basato sull’analisi dei dati della piattaforma proprietaria Finder.
  Secondo la ricerca, i finanziamenti privati al settore hanno toccato i minimi da cinque anni: nei primi sei mesi del 2023 hanno infatti ammontato a 3,9 miliardi di dollari, il 29% in meno rispetto al semestre precedente. Un calo, peraltro, in accelerazione: solo tra il primo e il secondo trimestre di quest’anno la contrazione è stata infatti ben del 10%. Questo trend è in contrasto con l’andamento dei finanziamenti al settore tech invece negli Stati Uniti, dove si son mantenuti livelli tendenzialmente stabili.
  Anche la partecipazione degli investitori ai round di finanziamento è crollata, toccando i livelli minimi degli ultimi nove anni e dimezzandosi rispetto alla seconda metà dello scorso anno. Si rileva però una maggior attività degli investitori stranieri, che, per la prima volta in un decennio, rispetto alle loro controparti israeliane hanno effettuato il 70% in più di operazioni di finanziamento e hanno avviato il 17% in più di nuovi investimenti, fungendo da forza stabilizzatrice. Anche il comparto delle offerte pubbliche iniziali (IPO) è sceso ai minimi dal 2018 e anche le operazioni di fusione e acquisizione (M&A) sono a uno dei tassi più bassi dell’ultimo decennio.
  Yariv Lotan, VP of Digital Products, Development, Data and BI di Start-Up National Central, ha dichiarato: “L’incertezza e gli avvenimenti interni in Israele, insieme ai cambiamenti economici globali, influenzano in modo evidente l’attività dell’ecosistema tecnologico israeliano e si riflettono in un significativo rallentamento e in una contrazione delle attività”.
  Guardando ai diversi settori, i più colpiti risultano essere il fintech, l’IT, l’health tech e il settore agroalimentare, mentre cybersercurity e green hanno conservato livelli tendenzialmente stabili.

(Bet Magazine Mosaico, 10 agosto 2023)

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«Questione di tempo» per l'accordo di pace tra Arabia Saudita e Israele

È quanto sostiene il ministro degli esteri dello Stato ebraico Ely Cohen

TEL AVIV - «Non c'è fumo senza arrosto. Siamo a un punto in cui la pace fra Israele e Arabia Saudita è a portata di mano. Un accordo è solo questione di tempo»: lo ha affermato oggi in un'intervista al sito di notizie israeliano Ynet il ministro degli esteri dello Stato ebraico Ely Cohen riferendosi alle informazioni diffuse ieri dal quotidiano newyorchese The Wall Street Journal circa progressi registrati in un pacchetto di intese Washington e Riad.
  Cohen ha spiegato che in questa fase si delinea una «convergenza di interessi» fra Usa, Arabia Saudita e Israele, cosa che fa ben sperare per la riuscita dei contatti. «C'è adesso una finestra di opportunità di nove-dodici mesi», ha precisato.
  Nell'analisi di Cohen, gli interessi del presidente statunitense Joe Biden sono legati fra l'altro a un sostegno all'economia degli Usa che potrebbe giungere da un accordo con l'Arabia Saudita, anche con un abbassamento dei prezzi dell'energia. «Quell'accordo - ha aggiunto - rappresenterebbe inoltre un successo politico» utile a Biden in vista delle elezioni presidenziali del 2024.
  «L'Arabia Saudita - ha proseguito - cerca uno scudo protettivo per difendersi dalla minaccia iraniana». Secondo Cohen sarebbe utile che all'Arabia Saudita e ai paesi arabi moderati della regione fosse garantita da Washington una protezione analoga a quella assicurata alla Corea del Sud.
  I sauditi, ha rilevato, «guardano poi con interesse alla nostra cooperazione, anche in campo economico, con gli Emirati arabi uniti e vorrebbero fare altrettanto». «Ecco così - ha concluso - che gli interessi di Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele vanno verso una convergenza».

(tio.ch, 10 agosto 2023)

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Rinvenuto in Israele enigmatico ‘Specchio Magico’ dell’epoca bizantina

Il prezioso reperto è risalente a 1.500 anni fa.

Aviv Weizman
Durante un programma di formazione promosso dal Ministero della pubblica istruzione di Israele, che ha visto coinvolti 500 studenti e realizzato in collaborazione con l’IAA – Autorità Israeliana per le Antichità, è emersa un’incredibile scoperta.
  Aviv Weizman, una diciassettenne residente a Kiryat Motskin, si trovava nei pressi di Haifa partecipando a uno scavo archeologico presso il sito storico di Usha.
  Aviv è stata protagonista di una sorpresa straordinaria! Ha infatti rinvenuto un eccezionale manufatto risalente all’epoca bizantina, uno ‘specchio magico’ risalente a 1.500 anni fa.
  All’interno di questo corso, i giovani partecipano attivamente agli scavi archeologici condotti dall’IAA, l’Autorità Israeliana per le Antichità, in varie località dell’intero Paese.
  Questi siti sono destinati ad essere aperti al pubblico in futuro, contribuendo così alla condivisione della ricchezza storica. Uno dei luoghi oggetto di ricerca è il sito di Usha, nelle vicinanze di Kiryat Ata, dove l’archeologa Hanaa Abu Uqsa Abud, in servizio presso l’Autorità per le Antichità d’Israele, sta dirigendo lo scavo.
  In un recente comunicato diffuso dall’IAA, si è rivelato un ritrovamento di un frammento insolito di ceramica che è emerso dal terreno tra le pareti di un edificio.
  La giovane Aviv ha individuato e raccolto questo frammento, che ha poi presentato al dottor Einat Ambar-Armon, direttore del Northern Education Center dell’Autorità Israeliana per le Antichità. Con competenza, il dottor Ambar-Armon ha identificato il frammento come parte di uno ‘specchio magico’ risalente a 1.500 anni fa.
  Secondo le valutazioni di Navit Popovitch, esperto presso l’Autorità Israeliana per le Antichità:

    Il frammento costituisce una porzione di uno ‘specchio magico’ risalente al periodo bizantino, tra il IV e il VI secolo d.C..
    Al centro di questa tavoletta si trova un vetro specchiante, inserito come un amuleto inteso a sfuggire al malocchio: si credeva, infatti, che un’entità maligna, come ad esempio un demone, vedendo il proprio riflesso avrebbe deviato l’energia negativa, offrendo protezione al possessore dello specchio.
    Placche simili sono state precedentemente rinvenute all’interno di set funerari, collocate nelle tombe per custodire i defunti nel loro percorso verso l’Aldilà.

Eli Shayish, Direttore del Ministero dell’Istruzione Shelah e degli studi sulla terra d’Israele , ha commentato:

    La partecipazione degli alunni agli scavi archeologici è la prova tangente dei loro sentimenti rivolti al paese e al suo patrimonio culturale.

Eli Escusido, il Direttore dell’Autorità Israeliana per le Antichità, sottolinea con entusiasmo:

    Nel corso della settimana, i giovani hanno avuto l’opportunità di fare altre eccezionali scoperte, tra cui vasi di ceramica, monete, frammenti di pietra decorata e persino la scoperta di un acquedotto.
    La storia, solitamente appresa all’interno delle aule scolastiche, prende vita direttamente dalla terra. Un allievo che contribuisce a identificare un reperto durante uno scavo sperimenta un momento indelebile.
    Non esiste modo migliore per instillare nei giovani un profondo legame con il loro Paese e l’inestimabile patrimonio culturale che lo caratterizza.

Secondo Saar Ganor, coordinatore del progetto per conto dell’IAA:

    Questa scoperta impreziosisce la cooperazione in corso tra l’Autorità israeliana per le Antichità e il Progetto Shelah del Ministero dell’Istruzione: allo stesso tempo, aiuta a scoprire il passato del Paese e a fornire ai giovani un’esperienza di crescita personale, collegandoli alle loro radici.

(ExpArtibus, 10 agosto 2023)

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Fondato il primo kibbutz dopo 26 anni

Nei pressi della città desertica di Arad sorgerà un kibbutz. È la prima volta dal 1997 che viene fondato un kibbutz, ma il nome non è ancora stato deciso.

L'ubicazione prevista per il kibbutz è nel Negev, vicino alla città di Arad
ARAD - Le basi del piano per la creazione di un kibbutz alla periferia di Arad risalgono al 2011, quando il governo ha approvato la decisione 3782, che prevedeva la creazione di nuovi insediamenti nell'area di Arad, tra il raccordo di Shokat e Tel Arad. Tre anni dopo, le parti coinvolte hanno concordato la creazione di un blocco di insediamenti di 25.000 dunam. Lo ha riferito il quotidiano online "Yediot Aharonot" all'inizio di agosto.
  Il progetto è iniziato nel 2022 sotto il governo Bennett-Lapid. L'allora ministro degli Interni Ajelet Shaked (Jamina) decise che il primo insediamento sarebbe stato un kibbutz. Il kibbutz sarà costruito in collaborazione con il movimento giovanile socialista "HaShomer HaZair". Le famiglie possono già fare domanda per diventare membri del kibbutz. Il responsabile del progetto del movimento kibbutz, Neri Schoten, ha spiegato che l'insediamento sarà pianificato per gruppi di diversa estrazione "che lavoreranno insieme per la sua costruzione e prosperità". I membri non saranno coinvolti solo nell'agricoltura, ma anche nell'istruzione e nella città di Arad. L'obiettivo è quello di lasciare un segno forte su Arad e sull'area circostante. "È dal 1997 che non c'è stata una nuova fondazione di kibbutz. Ora siamo pronti per questa sfida".

• Disaccordo sul nome
  All'inizio di agosto, i media hanno annunciato il nome del nuovo kibbutz: "Ma'ale Aharon", in onore dell'ex ministro dell'Istruzione Aharon Jadlin. Quest'ultimo è morto lo scorso agosto all'età di 96 anni. Jadlin si era già trasferito nel kibbutz Chatzerim, non lontano dalla città desertica di Be'er Sheva, negli anni Cinquanta. È stato membro del Parlamento per il Partito Laburista (Avoda) tra il 1964 e il 1979, di cui tre anni come Ministro dell'Istruzione.
  Il segretario generale del Movimento dei Kibbutz, Nir Meir, ha definito Jadlin "un uomo del deserto del Negev, un uomo di visione e di fede". E ha aggiunto: "Con il suo nome vogliamo onorare la sua eredità e immortalarlo come stella polare nella costruzione del nuovo kibbutz".
  Tuttavia, proprio questo nome è stato rifiutato mercoledì. A capo della commissione per l'assegnazione del nome dell'Ufficio del Primo Ministro c'è Moshe Sharon. Egli ha dichiarato che il professore rispetta la memoria del defunto ministro. Tuttavia, ha detto, la commissione per l'assegnazione dei nomi cerca di evitare di intitolare i luoghi a personaggi pubblici. Sarebbe meglio intitolare a loro strade o istituzioni. "I nomi dei luoghi dovrebbero innanzitutto preservare i nomi storici del Paese".
  Il movimento dei kibbutz è rimasto sorpreso da questa risposta. Aharon Jadlin era stato vincitore del Premio Israele ed era "sinonimo di sionismo e di amore per la Terra d'Israele". Inoltre, anche un insediamento nel Golan aveva preso il nome dell'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
  Come ha riportato giovedì il quotidiano "Yediot Aharonot", "persone che hanno familiarità con la questione" hanno espresso il sospetto che il rifiuto del nome possa essere di natura politica: uno dei tre figli del ministro deceduto è l'ex capo dell'intelligence militare, il maggiore generale Amos Jadlin. Quest'ultimo in passato si era espresso pubblicamente contro la prevista riforma giudiziaria.

(Israelnetz, 10 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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La Fiera Internazionale del Libro Ebraico renderà omaggio ad Angelina Muñiz-Huberman

Angelina Muñiz-Huberman
Del 1-10 settembre si terrà il quarto Fiera Internazionale del Libro Ebraico (FILJU), organizzato dal Centro Ebraico di Documentazione e Ricerca del Messico (CDIJUM), Córdoba 238, Col. Roma.
  L’incontro ha programmato un centinaio di attività che affrontano la letteratura, il giornalismo, il cinema, il teatro, la filosofia, l’ambientalismo e la sostenibilità, la sessualità e la cultura pop, tra gli altri.
  In questa edizione sarà presente come ospite internazionale lo scrittore Giosuè Cohen (New Jersey, 1980), vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa 2022 e riconosciuto nella lista dei più brillanti giovani autori americani dalla rivista concesso. Ed è stato segnalato da Harold Bloom in cima agli scrittori ebrei americani insieme a Henry Roth, Philip Roth e Nathanael West. con il suo romanzo I Netanyahu. Ha inoltre ricevuto il National Jewish Book Award, prestigioso riconoscimento per scrittori di origine ebraica.
  Inoltre, il Premio FILJU rende omaggio alla carriera del Dr. Angelina Muniz-Hubermann, saggista, traduttore, narratore e poeta. “La sua narrazione riflette un interesse interdisciplinare orientato, sia alla letteratura e alla gestione del linguaggio, sia alla storia degli eventi e dei temi ebraici. In questo senso, i suoi contributi accademici e culturali sono una ricerca intorno agli studi sefarditi, al dialogo interculturale, alle identità ebraiche, al cripto-giudaismo e alle diaspore del popolo di Israele”, sostiene l’incontro in un comunicato.

(IT ES Euro, 10 agosto 2023)

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Donna arrestata per aver insultato studenti e insegnanti della scuola ebraica di Monaco

di Luca Spizzichino

Una donna di 57 anni è stata arrestata a Monaco di Baviera dopo aver insultato bambini e insegnanti della scuola elementare ebraica della città.
  La polizia locale afferma che l'incidente è avvenuto venerdì scorso, poco dopo le 8:00. Poco dopo l'incidente, gli insegnanti della scuola hanno chiamato le forze dell’ordine, che hanno subito arrestato la donna. Durante l'interrogatorio, la signora ha dichiarato che dopo aver sentito il gruppo parlare in ebraico ha deciso di imprecare contro di loro. Secondo la polizia la donna aveva commesso reati simili in passato.
  Questo è solo l’ultimo di alcuni episodi di antisemitismo che sta colpendo la comunità ebraica tedesca. Per esempio, lo scorso settembre un uomo è stato brutalmente aggredito nella metropolitana di Berlino dopo aver ricevuto insulti antisemiti. Giorni prima invece, un rabbino di Potsdam è stato aggredito nella capitale tedesca di fronte a suo figlio.
  Mentre la settimana scorsa la polizia nella capitale tedesca ha iniziato a indagare su un possibile attacco antisemita dopo che un turista israeliano di 19 anni ha riferito di essere stato aggredito da tre uomini. L'unità della polizia di Berlino incaricata di indagare sui crimini di matrice politica sta indagando sul caso dopo che sabato notte il turista ha riportato ferite a un braccio e al volto. Il turista israeliano ha detto alla polizia che stava camminando per una strada nel quartiere di Kreuzberg insieme a una ragazza di 18 anni mentre parlava al telefono in ebraico.
  A giugno, l’Associazione federale dei centri di ricerca e informazione sull'antisemitismo (RIAS), un'organizzazione di sorveglianza con sede a Berlino ha pubblicato un rapporto che ha rilevato come l'antisemitismo violento sia in aumento in Germania. Secondo lo studio del RIAS, "Antisemitic Incidentis in Germany 2022", il numero complessivo di incidenti è leggermente diminuito rispetto all'anno precedente, tuttavia sono aumentati quelli classificati come "estremamente violenti". È stato il totale più alto mai registrato dal 2017. Il numero totale di incidenti antisemiti registrati da RIAS è stato di quasi l'11% inferiore rispetto al 2021, che aveva un totale di 2.773, ma superiore del 26% rispetto al 2020, quando il totale era di 1.957.

(Shalom, 10 agosto 2023)

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Il treno di Tel Aviv non funzionerà di sabato

Il progetto del treno leggero di Tel Aviv, atteso e a lungo rimandato, sta finalmente per vedere la luce. Tuttavia, un recente annuncio ha scatenato un vivace dibattito nella comunità: il treno non funzionerà durante lo Shabbat e i giorni festivi. Questa decisione è stata un duro colpo per alcuni residenti che avevano sperato che il sistema di trasporto fosse operativo durante i giorni di riposo.
  Il progetto del treno di Tel Aviv, che consiste in una linea in parte aerea e in parte sotterranea, è iniziato nel 2011, con successive promesse di messa in funzione ripetutamente rinviate. I ritardi, dovuti principalmente a problemi tecnici come un malfunzionamento del sistema frenante, hanno frustrato i residenti locali, che per mesi hanno visto passare treni vuoti.
  Tuttavia, un nuovo raggio di speranza sta emergendo con l'imminente apertura della linea rossa, prevista per il 18 agosto. Questa linea collegherà Bat Yam a Petah Tikva, passando per quartieri chiave come Jaffa e Rothschild, con un totale di 34 stazioni. Gli urbanisti sperano che questo nuovo mezzo di trasporto possa contribuire a decongestionare il traffico e a rendere più comoda la vita degli abitanti di Tel Aviv.
  Uno dei motivi principali per cui si è deciso di non circolare il sabato è stato il fatto che il treno passa per Bnei Brak, una comunità Harédi densamente popolata che tradizionalmente osserva il sabato. La presenza di questa comunità ha influenzato la decisione, data la composizione del governo e la sensibilità religiosa in Israele.
  Il dibattito intorno a questa decisione ha polarizzato la società. I critici sottolineano la coercizione religiosa, l'interruzione degli spostamenti e i problemi finanziari che potrebbe causare ad alcuni residenti. Poiché Tel Aviv è una città prevalentemente laica, molti ritengono che la chiusura del treno durante il sabato non sia in linea con l'identità della città.
  D'altro canto, i sostenitori della decisione sottolineano l'importanza di mantenere il carattere ebraico dello Stato e sollevano questioni socio-economiche, in particolare il fatto che i più svantaggiati potrebbero essere costretti a lavorare nel giorno di riposo. È stata presentata una petizione all'Alta Corte di Giustizia per contestare la decisione, ma il governo ha affermato che la misura è in linea con la sua politica sui trasporti pubblici nei giorni di riposo.

(JForum.fr, 9 agosto 2023)

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Il velista israeliano Illy Wureit: il suo legame con l’Italia e con… il caffè

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Ha da poco conquistato una storica medaglia d’argento nel Campionato del mondo junior nella categoria 49FX, svolto a Travemunde in Germania, il diciannovenne velista israeliano Illy Wureit, la cui storia personale si intreccia con l’Italia e il caffè.
  Il giovane atleta si chiama Illy, nome dato dai genitori amanti del caffè, che hanno tratto l’ispirazione dal noto marchio triestino della bevanda. Lo riporta il quotidiano la ‘Repubblica’. A suggellare la scelta il regalo di Ernesto Illy, figlio del fondatore dell’azienda, che, venuto a conoscenza nel 2004 dell’episodio dal giornalista israeliano Menachem Gantz, fece recapitare ai genitori: un cucchiaino d’argento con il logo e il nome del neonato.
  La storia del giovane Wureit si lega all’Italia, anche perché il bisnonno, Vittorio Bellelli, partì proprio da Trieste nel 1934 per l'allora Palestina mandataria, dove fondò l’azienda di famiglia, specializzata nell’importazione del marmo, soprattutto dall’Italia.
  Ha coltivato la passione per la vela fin da piccolo, passione che, alla fine del mese scorso, l’ha portato a diventare insieme al suo compagno di vela Yuval Barnoon vicecampione del mondo under-21 nella classe olimpica 49FX - le imbarcazioni con derive plananti ad alte prestazioni. Una medaglia significativa per Israele perché è la prima vinta in questa categoria. Ora l’atleta dovrà affrontare i campionati europei in Portogallo e altre competizioni per arrivare alle Olimpiadi di Los Angeles 2028.

(Shalom, 9 agosto 2023)

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Ora sono davvero ebreo”

Un ateo diventa un convinto credente. Grazie a un’impolverata Bibbia

di Charles Gardner

Asaf Pelled fra amici
Come può un ateo ebreo cresciuto in un kibbutz israeliano diventare un missionario del suo stesso popolo?
Asaf Pelled, 43 anni, ammette che essere ateo ed ebreo è un po' insolito, considerando che si tratta del popolo eletto da Dio. Ma certamente non era solo.
  All'inizio si lasciava convincere dall'idea di discendere dalle scimmie e che bisognava adattarsi a questo, fino a quando, da adolescente, ha iniziato a porsi le grandi domande della vita.
  Anche se si considera molto razionale, è arrivato a capire che esiste davvero un Dio. "Non ero religioso, ma all'improvviso non ho più potuto negare l'esistenza di un Dio. Ho visto la sua mano nella natura e negli eventi del nostro Paese. Così mi sono messo alla ricerca di questo Dio".
  Dopo aver studiato la Bibbia con un rabbino ortodosso, "una voce piccola e ferma" gli ha detto che c'era dell'altro. Così ha continuato la sua ricerca della verità. Poi gli capitò tra le mani un Nuovo Testamento ebraico, che raccoglieva polvere sulla libreria dei suoi genitori. Cominciò a leggerlo.
  Era un regalo di volontari cristiani alla sua mamma olandese. All'interno del libro c'era la dedica: "Spero che attraverso questo libro tu e tuo marito possiate vedere la luce".
  Asaf ricorda: "Leggendo questo libro ho incontrato Gesù per la prima volta. La lettura dei Vangeli e l'autorità con cui Gesù parlava mi hanno commosso. Ho capito che la mia ricerca di Dio ruotava intorno a questa persona: Gesù".
  Qualche anno dopo, nei Paesi Bassi, iniziò a frequentare regolarmente la chiesa. Lì gli spiegarono la Bibbia e imparò come gli eventi del mondo fossero collegati a Gesù.
  ”Ho visto come i cristiani affrontano i problemi della loro vita; ho visto Gesù in azione. E questo mi ha fatto venire voglia di diventare cristiano anch'io. Ma come potevo, in quanto ebreo, diventare credente in Cristo, nel nome del quale il mio popolo ha sofferto per migliaia di anni?
  ”Ho scoperto che il messaggio di Gesù non è mai stato di guerra e di odio, ma di amore e di sacrificio. Ora vedo e credo che non ci sia alcuna dissonanza tra il mio essere ebreo e la mia fede in Gesù. Anzi, seguire Cristo mi ha reso veramente ebreo".
  Decenni dopo, tornato nei Paesi Bassi per condividere il suo cammino di fede alla Missione Internazionale per il Popolo Ebraico, Asaf è stato avvicinato dalla stessa coppia che anni prima aveva regalato la Bibbia ai suoi genitori.

(israel heute, 9 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Le mani di Teheran sulla industria bellica siriana

Teheran sta ricostruendo l'industria bellica siriana per decentralizzare (e rendere più sicura) la produzione di missili da crociera, droni e razzi

di Sarah G. Frankl

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L’Iran sta entrando sempre di più nell’industria bellica siriana nel tentativo di armare in modo più efficiente i proxy della Repubblica islamica nel Levante. Lo ha rivelato il Centro di ricerca e istruzione Alma in uno studio.
  Lo studio ha anche rilevato che Hezbollah potrebbe arrivare ad ottenere armi chimiche siriane.
  «Nel rapporto abbiamo dimostrato il coinvolgimento iraniano in un centro dell’agenzia governativa siriana che si occupa dello sviluppo di armi», ha dichiarato Sarit Zehavi, presidente del Centro di ricerca e istruzione Alma ed ex ufficiale della Direzione dell’intelligence dell’IDF.
  Il nuovo studio pubblicato la scorsa settimana ha rivelato il legame dell’Iran con il Centro siriano di studi e ricerche scientifiche, noto con l’abbreviazione francese CERS.
  Il CERS è stato istituito nel 1971 per promuovere lo sviluppo scientifico in Siria e ora funge da ala di ricerca e sviluppo dell’esercito siriano.
L’agenzia è distribuita in diversi istituti, tra cui l’Istituto 4000 nel nord-ovest della Siria, responsabile della produzione di missili, razzi e bombe, e un istituto separato dedicato allo sviluppo e alla produzione di armi chimiche.
  Zehavi ha dichiarato che la ricerca non ha evidenziato alcun coinvolgimento iraniano nella produzione di armi chimiche. L’obiettivo principale dell’Iran, secondo lo studio, «è sviluppare e produrre missili e razzi di precisione, missili da crociera e veicoli aerei senza pilota sul territorio siriano, utilizzando le infrastrutture dell’Istituto CERS 4000».
  Alcune strutture del CERS sono state distrutte da attacchi aerei in Siria. Israele non ha rivendicato la responsabilità degli attacchi, ma i rapporti siriani incolpano Gerusalemme. Zehavi ha descritto gli attacchi aerei come una probabile parte della campagna israeliana di «guerra tra le guerre», che consiste nel distruggere segretamente le minacce emergenti nei Paesi nemici.
  Zehavi ha spiegato che la politica iraniana di distribuzione di armi ai suoi proxy nella regione ha due scopi principali. «Uno è quello di creare piattaforme di influenza in questi Paesi – Siria, Libano, Iraq, ecc. – e il secondo è quello di creare una situazione multi-fronte contro Israele».
  Per raggiungere questi obiettivi, l’Iran deve affrontare la sfida logistica del contrabbando di armi in vari Paesi.
  A volte le armi vengono contrabbandate per via aerea attraverso voli civili diretti ad Aleppo, Damasco e Beirut. Nella maggior parte dei casi vengono contrabbandate con camion che percorrono più di 1.000 miglia dall’Iran alla Siria, secondo quanto detto da Zehavi.
  «Trasferire la produzione e lo sviluppo di armi in Siria significa accorciare questo corridoio, il che significa che Teheran non dovrà portare tutto dall’Iran, ma la produzione sarà in Siria per essere distribuita ai suoi proxy in Siria e in Libano», ha spiegato.
  Silvia Boltuc, amministratore delegato di SpecialEurasia, un’agenzia di intelligence geopolitica e di valutazione dei rischi, ha dichiarato che la produzione di armi in Siria permette all’Iran di salvaguardare l’accesso di Hezbollah alle armi. «In caso di attacco all’Iran, queste infrastrutture continueranno a funzionare in modo indipendente e la catena di fornitura di armi a Hezbollah non sarà intaccata», ha dichiarato Boltuc.
  Ha aggiunto che le infrastrutture iraniane sono state distrutte negli ultimi anni nonostante i migliori accorgimenti per tenerle segrete, il che potrebbe motivare l’Iran a diffondere le sue attività in più Paesi.
Questa politica potrebbe anche essere una risposta alla crescente influenza israeliana nella regione. «Mentre Israele ha aumentato la sua presenza nei Paesi vicini, come l’Azerbaigian, per avere accesso diretto all’Iran, Teheran ha aumentato la sua influenza in Siria e in Libano», ha detto Boltuc.
  Israele ha aperto un’ambasciata in Azerbaigian nel marzo 2023 e un’ambasciata in Turkmenistan, a soli 15 miglia dal confine con l’Iran, nell’aprile 2023.
  Zehavi ha affermato che le armi chimiche di produzione siriana potrebbero finire nelle mani di Hezbollah. Contesta i rapporti delle Nazioni Unite che affermano che il governo siriano non possiede armi chimiche dal 2013, osservando che il governo siriano «ha usato armi chimiche contro i propri cittadini nel 2018».
  Non ci sono prove del coinvolgimento iraniano nell’industria delle armi chimiche siriane, ma Zehavi ha detto che gli stretti legami tra Siria ed Hezbollah suggeriscono che il gruppo terroristico potrebbe ottenere le armi chimiche siriane. «Hezbollah ha avuto un ruolo chiave nel salvare il governo siriano dalla guerra civile, insieme ai russi e agli iraniani, e quindi la collaborazione è ad un livello molto alto», ha aggiunto Zehavi.
  Zehavi ha affermato che Hezbollah potrebbe usare armi chimiche contro Israele solo in situazioni estreme e sul campo di battaglia.
  L’uso di armi convenzionali da parte di Hezbollah contro Israele, invece, non è più in discussione. «Siamo già lì, cioè sappiamo che Hezbollah le userà in guerre future, che gli iraniani le useranno e che altre milizie le useranno», ha detto.
  «Questo è un rischio per lo Stato di Israele. Si tratta di armi precise, il che significa che se Iron Dome dovesse mancare anche un solo razzo i danni sarebbero ingenti», ha detto Zehavi.

(Rights Reporter, 9 agosto 2023)

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USA e Israele: Il ‘sacro legame’ si sta finalmente spezzando?

Cercare di capire come stanno realmente le cose ascoltando anche quello che dicono i veri nemici è meglio che lasciarsi sballottare a destra e a sinistra da quello che  ripetono i cosiddetti amici per interessi propri o stolide ideologie e non per amicizia. L’autore dell’articolo è un vero nemico di Israele. Ha dalla sua parte questo aspetto della verità. M.C.

di Ramzy Baroud

Sebbene gran parte dell’autoproclamata “indipendenza” di Israele sia il risultato del sostegno incondizionato degli Stati Uniti, gli israeliani difficilmente lo riconoscono.
  Il Presidente israeliano Isaac Herzog non ha aggiunto nulla di grande valore nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il 19 luglio.
  Il suo era il linguaggio tipico. Ha parlato di un “legame sacro”, ha promosso l’esperienza condivisa tra le due nazioni come “unica per portata e qualità” e ha celebrato i grandi “valori comuni che attraversano le generazioni”.
  Ma questo linguaggio teatrale aveva lo scopo di nascondere una verità scomoda: il rapporto tra Israele e Stati Uniti sta cambiando a un livello sostanziale.
  Due giorni prima del discorso di Herzog, il capo dell’opposizione israeliana ed ex Primo Ministro, Yair Lapid, ha dichiarato che “gli Stati Uniti non sono più il più stretto alleato di Israele”.
  Le parole di Lapid erano un insieme di fatti e opportunismo politico.
  Lapid e altri nel suo campo sono ansiosi di incolpare il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per il declino delle relazioni tra i due Paesi; o per usare un linguaggio più pertinente, per indebolire il “sacro”, “legame indissolubile”, che da molti anni unisce i due Paesi.
  La valutazione di Lapid, tuttavia, è imprecisa. Se è vero che Netanyahu ha avuto un ruolo nell’ampliare il distacco tra Tel Aviv e Washington, è altrettanto vero che quel distacco era alimentato anche da altre dinamiche: da una combinazione di cambiamenti e tendenze politiche, geopolitiche e demografiche.
  Ma quale valutazione è più vicina alla verità? L’affermazione di Herzog di un “vincolo sacro” o l’affermazione più drammatica di Lapid che la considera un’alleanza ormai vacillante?
  Per rispondere a questa domanda, dobbiamo guardare oltre le dichiarazioni pubbliche, spesso esagerate, fatte dai politici di entrambi i Paesi e in particolare dai leader dei due potenti partiti statunitensi, i Repubblicani e i Democratici.
  In termini di linguaggio, i leader di entrambe le parti insistono sul fatto che la devozione di Washington per Israele va oltre la politica e che la sicurezza di Israele è al di sopra della polarizzazione politica americana.
  In un discorso alla Knesset (Parlamento) israeliana il 1° maggio, il presidente della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy ha seguito il tipico copione americano su Israele. Anche lui ha parlato di “legame indissolubile” e “sostegno bipartisan degli Stati Uniti” e, prevedibilmente, è stato accolto con clamorosi applausi.
  Anche Biden è un convinto sostenitore di Israele. La sua frase spesso ripetuta: “Non serve essere ebrei per essere sionisti”, è ora un mantra tra gli alleati americani di Israele.
  Tuttavia, mentre il legame dei Repubblicani con Israele rimane forte, quello dei Democratici non lo è; così debole, infatti, che nel giugno 2022, un sondaggio del Centro di Ricerca Pew ha rilevato che “la maggioranza dei Democratici e coloro che sono inclini a dare il voto ai Democratici esprimono un’opinione più favorevole nei confronti dei palestinesi che degli israeliani”.
  Quindi, l’idea che Israele sia una causa comune tra i principali partiti politici americani è semplicemente falsa. Non c’è da stupirsi che Biden abbia ritardato di sette mesi l’invito di Netanyahu alla Casa Bianca dopo la formazione dell’ultima coalizione di governo israeliana.
  Affollata di politici di estrema destra, la coalizione di Netanyahu è semplicemente una responsabilità per qualsiasi sistema democratico in qualsiasi parte del mondo.
  Molti israeliani sono d’accordo, credendo in tutto o in parte che il loro governo non sia più democratico, a causa del crescente controllo di Netanyahu sulle istituzioni un tempo indipendenti del Paese.
  In tutto questo, Biden sta lottando per trovare l’equilibrio.
  “Sono molto preoccupato”, ha detto Biden ai giornalisti lo scorso maggio. “Israele non può continuare su questa strada, e l’ho chiarito”.
  Questo è lo stesso Biden che ha descritto come “assurda” la proposta dell’ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Bernie Sanders, di trattenere i fondi destinati a Israele a causa del suo maltrattamento dei palestinesi.
  Washington dà a Israele almeno 3,8 miliardi di dollari (3,5 miliardi di euro) all’anno in aiuti militari. Se la tendenza anti-israeliana tra i Democratici continua, le richieste di trattenere i fondi potrebbero, nel prossimo anno, non apparire più così “assurde”.
  Sotto l’intensa pressione della lobby filo-israeliana, il 17 luglio Biden ha finalmente invitato Netanyahu alla Casa Bianca. La visita, tuttavia, considerando l’intensificarsi delle proteste anti-Netanyahu, difficilmente riallaccerà i rapporti tra Washington e Tel Aviv.
  Infatti, anche se le proteste si placassero, le relazioni tra Stati Uniti e Israele non saranno le stesse.
  Per oltre un decennio, gli Stati Uniti si sono lentamente, ma inequivocabilmente, allontanati dal Medio Oriente, in parte a causa degli esiti disastrosi dell’invasione dell’Iraq, e in parte a causa del crescente potere della Cina nella regione dell’Asia-Pacifico.
  Il ritiro degli Stati Uniti ha fatto suonare un campanello d’allarme in Israele, con i politici israeliani e gli intellettuali tradizionali che sollecitano l’autosufficienza. Ciò ha portato a un’inesorabile ricerca israeliana di nuovi alleati, soprattutto nel Sud del Mondo.
  Il successo, dal punto di vista di Netanyahu, di questa campagna ha aiutato Israele a liberarsi in qualche modo da qualsiasi impegno nei confronti dell’agenda statunitense in Medio Oriente, compreso l’impegno nel “processo di pace” guidato dagli Stati Uniti con la dirigenza palestinese.
  Nonostante l’insistenza di Biden, durante il suo viaggio in Medio Oriente nel luglio 2022, sulla necessità di un processo di pace “rinvigorito”, Tel Aviv non ha sostenuto né sembrava nemmeno accorgersi della nuova ricerca di Washington.
  A quel tempo, Netanyahu non era nemmeno Primo Ministro, poiché Israele era governato da una coalizione di governo guidata dallo stesso Lapid.
  Mentre Netanyahu viene opportunamente incolpato per l’indebolimento delle relazioni, il disimpegno da Washington è stato, in realtà, principalmente una decisione collettiva e un processo prolungato.
  Quando, il 10 luglio, il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha dichiarato che “il Presidente Biden deve interiorizzare che Israele non è più un’altra stella nella bandiera americana”, stava semplicemente ribadendo una linea popolare usata da altri prima di lui.
  Anche Netanyahu ha fatto ricorso a un linguaggio simile quando, a marzo, ha dichiarato all’amministrazione statunitense che Israele è “una democrazia forte, orgogliosa e indipendente”.
  Sebbene gran parte dell’autoproclamata “indipendenza” di Israele sia il risultato del sostegno incondizionato degli Stati Uniti, gli israeliani difficilmente riconoscono questo fatto.
  Il Direttorato del Ministero della Cooperazione Internazionale della Difesa Israeliano (SIBAT) riferisce costantemente sulla crescita delle esportazioni militari di Tel Aviv verso il resto del mondo. Queste esportazioni hanno raggiunto i 12,5 miliardi di dollari (11,3 miliardi di euro) l’anno scorso. La maggior parte di questa tecnologia è stata sviluppata dagli Stati Uniti o in collaborazione con gli Stati Uniti e gran parte della ricerca è stata finanziata dai contribuenti americani.
  Tuttavia, questo senso di “indipendenza” ha dato a Netanyahu la fiducia necessaria per abbandonare il Partito Democratico a favore dei più accomodanti Repubblicani.
  Da parte loro, la nuova generazione di politici Democratici vede Israele, o almeno la destra israeliana, come un’estensione del Partito Repubblicano, da qui la crescente ostilità verso Israele.
  In ultima analisi, sia Herzog che Lapid hanno in parte torto: il “vincolo sacro” è meno sacro che mai e, che gli Stati Uniti siano o meno l’alleato più stretto di Israele, fa poca differenza, dal momento che è improbabile che Israele trovi un’alternativa al supporto cieco di Washington subito o in tempi brevi.

(Palestine Chronicle Italia, 5 agosto 2023)

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Al via l’operazione ‘Wings of Fire': Israele aiuta Cipro a contrastare gli incendi

di Luca Spizzichino

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Ieri Israele ha inviato una missione di soccorso a Cipro per spegnere gli incendi che stanno colpendo l’isola. La decisione è arrivata dopo che il presidente cipriota Nikos Christodoulides ha inviato al Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu una richiesta personale di assistenza immediata.
  Su istruzione del premier Netanyahu con l’approvazione del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e del ministro degli Esteri Eli Cohen, l'operazione dell'IDF denominata “Wings of Fire” aiuterà a domare gli enormi incendi nella città di Limassol.
  Gli equipaggi e gli aerei antincendio, guidati dal ministero della Sicurezza Nazionale, saranno sotto il comando della Divisione aerea della polizia israeliana in collaborazione con l'Autorità antincendio e di soccorso israeliana e l'IDF.
  ”Gli equipaggi e le attrezzature saranno trasportati dall'aereo Shimshon dell'IDF, che aiuterà a spegnere gli enormi incendi che stanno imperversando nella Repubblica di Cipro a causa delle condizioni meteorologiche estreme e dei forti venti", si legge in una nota pubblicata dall’Ufficio del Primo ministro.
  L’operazione include due velivoli antincendio Air-Tractor, un equipaggio di quattro piloti, un equipaggio di terra, esperti di incendi boschivi e attrezzature, tra cui circa sei tonnellate di ritardanti di fiamma del Servizio antincendio e di soccorso israeliano.
  ”Wings of Fire" arriva circa due settimane dopo che una missione israeliana è tornata dalla Grecia dopo averla aiutata a domare le fiamme in diverse regioni. Anche nel 2021 Israele ha inviato due aerei a Cipro per spegnere gli incendi che infuriavano sull'isola.

(Shalom, 8 agosto 2023)

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Una visita al Muro del Pianto

Giovedì scorso ero a Gerusalemme per alcune commissioni. Poi mi sono recato al Muro del Pianto con la mia famiglia. E voi potete unirvi a me.

di Dov Elion

Ancora una volta, la settimana è passata molto velocemente. È di nuovo martedì. Siamo nel bel mezzo delle vacanze estive, il che significa che la nostra vita quotidiana è un po' più tranquilla del solito. L'anno scorso è stato particolarmente segnato dagli studi di nostra figlia. Studia design tessile allo Shenkar College e sta per iniziare il suo quarto e ultimo anno. Che dire, viviamo ogni momento dei suoi studi praticamente sul nostro corpo. Soprattutto quando cammino a piedi nudi per casa e poi calpesto uno dei numerosi aghi da cucire sparsi sul pavimento. Oppure trascino per tutto l'appartamento un filo da cucito che a un certo punto si attorciglia intorno alla mia gamba. Di notte poi mi capita spesso di inciampare in una o l'altra borsa con i numerosi utensili di cui nostra figlia ha bisogno per i suoi studi. Ma adesso abbiamo la nostra pace e tranquillità. Il nuovo anno non inizia prima della fine di ottobre, cioè "dopo le vacanze".
  Ma come sicuramente saprete, purtroppo le cose nel nostro Paese non sono proprio tranquille. Per 31 settimane ci sono state manifestazioni regolari contro la riforma giudiziaria del governo di Benjamin Netanyahu. Tuttavia, la situazione è diventata un po' più tranquilla, almeno qui nel nostro Paese, da quando è stata approvata la legge con la clausola di ragionevolezza. Gli oppositori del governo sembrano aver esaurito le forze. Tuttavia, hanno confermato che continueranno le loro proteste. L'ultima manifestazione di sabato a Tel Aviv è stata molto più breve e più piccola di quelle a cui eravamo abituati. Anche l'autostrada Ayalon non era più bloccata. Sono curioso di vedere cosa succederà dopo le vacanze estive. Per ora mi godo la pace e la tranquillità della nostra strada. Speriamo che rimanga così.
  Poiché siamo già stati all'estero in inverno, quest'estate resteremo a casa e ci accontenteremo di qualche gita di un giorno. Così giovedì abbiamo combinato alcune commissioni importanti a Gerusalemme con una passeggiata in città e una visita al Muro del Pianto. Lì non c'era alcun segno della spiacevole situazione in cui si trova il nostro Paese. Al contrario, l'atmosfera era allegra e ottimista, semplicemente meravigliosa. Era molto affollato; oltre ai numerosi turisti, c'erano anche alcuni gruppi israeliani sulla strada.
  Al Muro del Pianto, come ogni giovedì (e anche il martedì), si tenevano diversi Bar Mitzvah, che mi hanno ricordato il Bar Mitzvah dei nostri figli. Anche noi siamo andati al Muro del Pianto a leggere la Torah in uno di questi giorni
  C’era una grande atmosfera al Muro del Pianto. Ma credo che le immagini siano meglio delle parole. Quindi ora vi invito a unirvi a me nella mia visita al Muro del Pianto. Siete pronti? Allora cominciamo:


Questa è stata la nostra visita al Muro del Pianto. Spero che questo abbia stuzzicato anche a voi la voglia di andarci. Per quanto riguarda me e la mia famiglia, abbiamo capito che possiamo goderci l'estate in modo meraviglioso nel nostro Paese. Lo dimostra anche il fatto che nei primi sette mesi dell'anno il numero di turisti è raddoppiato rispetto all'anno scorso. Nel nostro prossimo viaggio, forse potrete unirvi a noi per una passeggiata a Tel Aviv.
  Vi auguro un buon martedì. State bene!

(israel heute, 8 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Argentina, antisemitismo perfino nei fast-food

Proteste dalla Comunità ebraica per l’hamburger “Anna Frank” e le patatine “Adolf”

di Roberto Zadik

L’antisemitismo odierno non si ferma nemmeno a tavola e recentemente il fast food argentino Honky Donky avrebbe utilizzato due nomi decisamente “indigesti” come Adolf per le sue patatine fritte e Anne Frank per il suo nuovo hamburger. Stando a quanto racconta il sito JTA, Jewish Telegraphic Agency nell’articolo di Jackie Hajdeberg uscito lo scorso 3 agosto, la Comunità ebraica di Rafaela, cittadina nelle vicinanze di Buenos Aires ha prontamente denunciato “l’estro” di questo fast-food annunciando su Facebook un’imminente azione legale ed esprimendo nel messaggio “repulsione e indignazione”.
  Secondo vari media argentini, come riporta il JTA, quanto compiuto dal locale costituisce una violazione della rigida legislazione nazionale contro ogni discriminazione etnica, religiosa e fra Paesi che prevede pene molto severe, dalla multa alla reclusione. Successivamente, in risposta alle minacce legali, il fast food ha tolto dal menu le patatine Adolf e cambiato il nome dell’hamburger da Anne Frank ad Anna Bolena, seconda moglie di Enrico VIII, controverso sovrano inglese che accusandola di averlo tradito la fece decapitare.
  Il ristorante si è scusato su Instagram “per l’irresponsabilità nella scelta di questi nomi che aprono ferite nell’umanità intera”. “Questa situazione” ha proseguito la replica “ci induce a riflettere sull’inaccettabile banalizzazione del dolore delle milioni di vittime degli stermini e dei totalitarismi”. Come ha evidenziato il testo dell’articolo, Adolf non sarebbe l’unico dittatore menzionato dal menu del fast-food. Qualche esempio? Fra le pietanze ci sarebbero anche le patatine Benito, alludendo a Mussolini e gli hamburger Gengis, diminutivo di Gengis Khan e Mao in riferimento al tiranno cinese Mao Zedong.
  Infuriata da quanto accaduto, la Comunità ebraica locale ha fatto sapere al sito JTA di essere informata dal marzo scorso sul menu del ristorante interrogandosi, come ha confermato Ariel Rosenthal uno dei suoi membri di spicco, sulle ragioni del ritardo di questa modifica. Nella sua nota la Comunità ha evidenziato la propria costernazione riguardo all’episodio, visti gli ottimi rapporti con la società circostante e “l’eccellente integrazione interreligiosa”. Rivolgendosi al locale, Rosenthal ha evidenziato la propria indignazione invitando il personale a riflettere sull’episodio “nella speranza che non accada mai più” come ha affermato.
  Accanto alla Comunità, hanno protestato varie organizzazioni ebraiche, come l’Associazione Culturale e sportiva israelitica I.L.Peretz che ha espresso il proprio sdegno. “Immaginiamo – ha affermato in un comunicato – che per questioni di marketing si arrivi ad utilizzare nomi sconvolgenti per semplici prodotti alimentari”. Nel suo messaggio, l’associazione ha invitato il ristorante Honky Donky a scegliere per i propri snack nomi di figure positive, da Gandhi, a Madre Teresa a Martin Luther King Jr al Dalai Lama.

(Bet Magazine Mosaico, 8 agosto 2023)

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Breve storia degli ebrei egiziani in Francia

Accoglienza e integrazione di una comunità

di Filippo Petrucci

Ancora oggi esiste uno spesso velo che copre le storie degli ebrei nordafricani.
  Misconosciuti dai più e perlopiù ignorati dalla storiografia che si occupa di Africa e Vicino Oriente, degli ebrei nordafricani si è cominciato a parlare in Italia negli ultimi 20 anni, grazie soprattutto al lavoro fatto dalle stesse comunità emigrate. Fortunatamente, le storie di queste persone che formavano una parte del tessuto sociale nordafricano, sono sempre più note; meno conosciuto è il loro destino dopo il processo di decolonizzazione e la loro espulsione dai vari paesi dove vivevano da secoli.
  A partire dagli anni 40, con la nascita dello Stato di Israele, l’accesso all’indipendenza di diversi paesi nordafricani e l’instaurazione di nuovi regimi, dei profondi cambiamenti avvennero sia all’interno dei vari paesi nordafricani che all’interno delle stesse comunità ebraiche.
  In Egitto, in seguito alla creazione dello stato di Israele, la comunità cosmopolita e molto diversificata degli ebrei egiziani, subì violenze e pressioni tali che dovette lasciare il paese. In due anni, tra il 1948 e il 1950, 20.000 ebrei, sugli 80.000 registrati dopo la seconda guerra mondiale, abbandonarono il Paese. Negli anni successivi, centinaia di ebrei furono arrestati e deportati, centinaia di aziende sequestrate, i conti bancari vennero bloccati. Il 23 luglio 1952, il generale Naguib prese il potere al posto del re Farouk. In un primo momento la situazione per gli ebrei migliorò e sembrò tornare la calma, nonostante alcune tensioni ancora presenti ma la situazione cambiò di nuovo con l’avvento al potere di Gamal Abd el-Nasser nell’aprile 1954. Da quel momento in poi, gli ebrei non ebbero più posto in Egitto. Le continue violazioni delle libertà e, successivamente, le tensioni legate alla crisi del Canale di Suez (29 ottobre – 7 novembre 1956) spinsero 50.000 ebrei ad andarsene prima dell’inizio del 1958; a questi se ne aggiungono altri 10.000 tra il 1958 e il 1961.  All’inizio degli anni ‘70 gli ebrei presenti in Egitto erano meno di 1.000.
  I paesi in cui questi si recarono furono principalmente Israele, Francia, Stati Uniti, Italia, Svizzera e diversi paesi sudamericani.
  Circa 11.000 membri della comunità ebraica, tra il 1956 e il 1966, si diressero verso la Francia, per rimanervi o come ponte verso altre destinazioni. Di questi, 7.000 erano francesi e 4.000 stranieri o apolidi. La scelta della Francia derivava sia dal fatto che molti avevano già una nazionalità francese sia per ragioni culturali o linguistiche o a causa di legami economici familiari su quel territorio. I rifugiati egiziani partivano senza nulla: 20 chili di bagaglio e tra le cinque e le venti sterline egiziane perché era vietato andarsene con più soldi. I più lungimiranti (o quelli che erano stati in grado) avevano acquistato merci o inviato denaro in Europa in anticipo; ma, il più delle volte, la maggior parte di loro si era ritrovata, dopo una vita soddisfacente, a esser povera e senza casa improvvisamente.
  Arrivati dunque in Francia, questi rifugiati vennero presi in carico dal Cojasor (Comité juif d’action sociale et de reconstruction), un’ istituzione, fondata nel 1945 e ancora attiva, che ha come obiettivo l’aiuto sociale e, per ciò che ha riguardato i profughi dai paesi dell’Africa del Nord, il tentativo di contribuire al loro reinserimento nella nuova realtà che erano destinati ad abitare.
  A partire dal 1956, su proposta del Cojasor e con l’ausilio del Service social d’aide aux émigrants (SSAE) e della Croce Rossa francese, lo stato francese istituì un “Fondo Comune per l’Insediamento dei Profughi d’Egitto” (grazie ai finanziamenti nazionali nonché ai fondi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e dell’American Jewish Joint Distribution Committee).
  Il Cojasor operò in diversi modi: a livello materiale, con prestiti o aiuti finanziari per installarsi in un nuovo paese e per piccoli acquisti essenziali (un letto, una scrivania, delle sedie) e aiutandoli a trovare un lavoro. Inoltre, si attivò anche in sede giudiziaria, sostenendo le loro richieste nei confronti dell’Egitto. Infine fu un riferimento, anche se non sempre ottimale, per avere un supporto psicologico.
  Negli archivi del Cojasor, preziosa e pressocché inutilizzata fonte, troviamo innumerevoli storie riguardo alle 4300 famiglie che, dal 1956 al 1967, arrivarono a Marsiglia dall’Egitto: ebrei di nazionalità francese, italiana, greca, turca, tunisina, portoghese e ancora tanti apolidi.
  Il problema principale era fornire un tetto per tutti e per questo tante famiglie finirono in alberghi di ogni tipo. Col tempo, una percentuale relativamente ampia di profughi dall’Egitto riuscì a vivere in nuove località stabilite nei grandi sobborghi di Parigi che allora stavano nascendo: Villiers-le-Bel, Épinay, Sarcelles, Orly, Créteil, Gennevilliers. È interessante notare, come risulta dagli archivi del Cojasor, che i prestiti che vennero erogati ebbero un alto tasso di restituzione: fu un processo lento ma gli ebrei egiziani resero, in generale, le cifre che gli erano state accordate per ricominciare la propria vita.
  Circa il 14% di tutti gli ebrei in Egitto si è infine stabilito in Francia; nel complesso si può parlare di un insediamento positivo per questa comunità cosmopolita che seppe superare situazioni spesso difficili. Resta una amarezza di fondo dato che questa comunità si vide sradicata in pochi anni dal proprio paese mediterraneo.
  Vi è inoltre una ulteriore riflessione da fare in merito a questa comunità: gli ebrei egiziani hanno sempre avuto poco spazio nell’immaginario del mondo ebraico nordafricano. Alcuni autori come Krämer e Laskier in passato, Beinin, De Aranjo e Miccoli, più recentemente, hanno aperto importanti strade di ricerca su questo mondo ebraico ormai scomparso.

(JoiMag, 8 agosto 2023)

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Attentato a Tel Aviv

Un militante della Jihad ha sparato contro una guardia municipale, uccidendola. L’attacco dopo la morte di un palestinese in Cisgiordania

di Alessia Malcaus

Gli spari di un militante della Jihad islamica hanno scosso il centro di Tel Aviv. L’attacco è avvenuto lo scorso sabato 5 agosto in una via pedonale. L’attentatore ha sparato su una guardia municipale – l’uomo ferito alla testa è poi deceduto in ospedale – prima di essere neutralizzato da una seconda guardia.
  L’attentatore, Kamal Abu Baker, sarebbe giunto da Jenin dove militava in una fazione armata locale. Secondo la ricostruzione avrebbe girato per le vie di Tel Aviv in attesa di una manifestazione di massa contro la riforma della giustizia intrapresa dal governo Netanyahu quando ha attirato l’attenzione della guardia.
  L’attentato è seguito alla morte di un 19enne palestinese, Qosai Mitan, ucciso la sera prima in Cisgiordania durante uno scontro tra un gruppo di coloni e gli abitanti palestinesi del villaggio di Burqa. Per la morte del giovane sono stati arrestati dalla polizia israeliana due estremisti di destra ebrei.
  Uno di questi, un israeliano 19enne sospettato di aver sparato contro la vittima, si trova ora ricoverato dopo essere stato colpito con una grossa pietra e quindi incapace di fornire la sua versione dei fatti. Il secondo avrebbe in passato lavorato per Potere ebraico, il partito del ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir: il ministro palestinese Hussein a-Sheikh chiede ora che il partito venga incluso nelle liste internazionali dei gruppi terroristici.

(Il Mondo, 7 agosto 2023)


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Terrorista: “Io continuo a vivere con Allah in cielo!”

Una lettera del terrorista di Tel Aviv dimostra che i terroristi palestinesi vedono la vita in modo diverso da quanto spesso possiamo capire.

di Aviel Schneider*

GERUSALEMME - Nei media stranieri i terroristi palestinesi sono per lo più glorificati come eroi e come vittime dell'occupazione israeliana della Palestina. Il dottor Mordechai Kedar, esperto di religioni in Medio Oriente, con il quale Israel Heute ha avuto diverse conversazioni nel corso degli anni, ha tradotto le due pagine del biglietto d'addio del terrorista dell'attentato di sabato a Tel Aviv e le ha interpretate nel contesto del Corano. Lo scopo della traduzione è quello di spiegare le motivazioni del terrorista rispetto a quanto viene detto dai media. I terroristi palestinesi vedono la vita in modo diverso da quello che spesso possiamo capire.
  Il terrorista crede che la vera vita si trovi nella morte e per questo motivo non ha paura di compiere questi terribili attacchi in Israele. Perché presume che gli spareranno degli israeliani armati. L'israeliano spara per autodifesa e il terrorista spara agli israeliani per andare in paradiso. Ciò che guida gli attacchi palestinesi nel Paese è l'impulso spirituale a raggiungere Allah in cielo. Questo desiderio di Allah neutralizza ogni paura, anzi, l'israeliano gli fa un favore quando spara al terrorista, si legge nella lettera. I palestinesi lo chiamano amore per Allah, mentre per gli israeliani è terrore e follia. Dietro a tutto questo c'è l'educazione, perché il giovane non ha inventato tutto questo da solo. La predicazione nelle moschee fa il lavaggio del cervello ai giovani palestinesi.
  La data è interessante. Il terrorista ha scritto il testamento il 25 febbraio 2023. Ciò significa che aveva pianificato questo attacco mesi fa.
* Direttore di Israel Heute

La lettera e la traduzione

Pagina 1:

Nel nome di Allah, il Misericordioso, il Compassionevole, la preghiera e la pace siano sul Messaggero (che fu inviato) con la spada di Maometto per aiutare gli oppressi e gli umiliati.
Attesto che non c'è altro Dio all'infuori di Allah, attesto che Mohammad è il Messaggero di Allah.
Kamal Mahmoud Abu Bakr (Abu Dajana) vi dico le mie ultime parole e non parlo di testamento, perché c'è un testamento per l'erede (in cielo) ed è il seguente senza introduzione.

  1. Appartengo all'Islam e non accetto in alcun modo di essere considerato sotto qualsiasi altra bandiera che non sia "Non c'è altro Dio all'infuori di Allah, Mohammad è il Messaggero di Allah". La mia etichetta è solo l'Islam. Non includetemi in nessuna fazione, organizzazione o partito perché sono un musulmano e questo mi basta.
  2. Ovunque troviate il mio corpo, seppellitemi e non mettete il mio corpo nel frigorifero. Non costruitemi una tomba e non mettetemi una pietra tombale.
  3. Chiunque pubblichi una mia immagine, un proclama o una canzone su di me, in qualsiasi forma, io sarò il suo avversario nel Giorno del Giudizio.
  4. Non erigete tende di lutto su di me, perché questo non ha origine nella nostra religione.
  5. Non fate discorsi di lutto su di me, perché il lutto è per i morti e non per i martiri (sulla base del versetto del Corano che dice: "Non crediate che coloro che sono uccisi per amore di Allah siano veramente morti. Sono vivi e dalla mano di Allah ricevono il loro sostentamento e chiediamo ad Allah di accettarci").
  6. Non pregate per me, perché i martiri non pregano (perché non sono morti).

Pagina 2:

Perciò vi consiglio, fratelli e sorelle, di rivolgere le vostre intenzioni solo verso Allah, perché Allah accetta solo le azioni fatte a Lui solo e in fedeltà. Così che nessun orgoglio, in nessun modo e per nessun motivo, entri nella nostra anima e la nostra memoria sia cancellata in questo mondo.
Giuro su Allah e ripeto il giuramento quattro volte che desidero vedere Allah più di ogni altra persona in questo mondo. Giuro su Allah che ciò che mi rende triste è la mia permanenza in questo mondo, perché preferisco l'altro mondo e ho venduto la mia anima ad Allah che me l'ha data. (sulla base del Corano).
Chiedo ad Allah di perdonarmi, mi pento e torno indietro e chiedo ad Allah di rimanere fedele alla mia intenzione e di accettare la mia azione ("attentato terroristico").
Infine, attesto che non c'è altro Dio all'infuori di Allah e attesto che Mohammad è il Messaggero di Allah.

Kamal Abu Bakr, Abu Dajana. 25.02.2023



(israel heute, 7 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Gaza: sette condannati a morte per ‘collaborazione’ con Israele

GAZA CITY - Un tribunale militare della Striscia di Gaza il 6 agosto 2023 ha condannato all'impiccagione sette persone per "collaborazione" con Israele, ha comunicato il ministero degli interni dell'enclave costiera controllata da Hamas.
  Il tribunale ha anche condannato altre sette persone all'"ergastolo con lavori forzati", che a Gaza corrisponde a 25 anni, ha affermato il ministero in una nota.
  Per quanto riguarda i condannati a morte, il tribunale ha affermato che hanno fornito informazioni a Israele sui gruppi armati a Gaza - inclusi nomi, numeri di telefono, indirizzi e depositi di armi - in cambio di denaro, ha riferito l'agenzia Maan News.
  A uno degli imputati sarebbe stato concesso un permesso per lavorare in Israele in cambio di informazioni. Il gruppo terroristico Hamas controlla Gaza, dove il tribunale militare emette regolarmente condanne a morte per persone ritenute colpevoli di “collaborazione” con Israele.
  Secondo la legge palestinese, una condanna a morte richiede, per essere applicata, l'approvazione del presidente dell'Autorità palestinese, il cui quartier generale si trova in Cisgiordania.
  Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza nel 2007, ha ripetutamente ignorato questo obbligo e lo scorso settembre ha giustiziato due palestinesi per "collaborazione" con Israele e altri tre per omicidio.
  Ad aprile, due persone sono state condannate a morte e altre quattro all'ergastolo con le stesse accuse di collaborazione.
  Almeno 17 condanne a morte sono state emesse nel 2022 nella Striscia di Gaza.

(Nessuno Tocchi Caino, 7 agosto 2023)

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La rinascita dell'yiddish: pronto un corso all'Università di Tel Aviv

di Michelle Zarfati

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In risposta alla crescente domanda e all'interesse per gli studi della lingua e della cultura yiddish, la Facoltà di Lettere dell'Università di Tel Aviv introdurrà un nuovo programma di studi e ricerca nel teatro e nelle arti yiddish. Il programma comprenderà aspetti teorici e pratici dell'arte e della performance.
  Gli studenti si impegneranno nella ricerca storica e archivistica, nonché in esperienze teatrali pratiche, che rispondono alla ricchezza creativa del teatro yiddish e delle arti correlate. Durante i loro studi, gli studenti affronteranno la questione di ciò che costituisce l'eredità del teatro yiddish per i giovani creatori e la cultura contemporanea.
  Negli ultimi anni, lo yiddish ha vissuto un significativo risveglio accademico, attirando numerosi studenti sia da Israele che da tutto il mondo, che cercano sempre di più di sperimentare la ricchezza spirituale e linguistica della lingua e della cultura. Ogni anno, più di un centinaio di studenti si iscrivono a vari corsi di lingua e cultura yiddish, compreso un master. Inoltre, ogni anno si tengono programmi estivi internazionali per gli studi yiddish, con l'attuale programma che ospita 75 studenti provenienti da 14 paesi diversi, tra cui Stati Uniti, Portogallo, Argentina e Francia.
  Il dottor Yair Lipshitz del Dipartimento delle arti teatrali e capo dello Zimbalista Jewish Heritage Center ha condiviso che in Israele lo yiddish è per lo più percepito come tradizionale, nostalgico o, peggio ancora, grottesco e obsoleto. Tuttavia, nonostante queste idee, la cultura yiddish include voci diverse che un tempo erano considerate moderniste, radicali, sensuali e all'avanguardia.
  "Aspiriamo a riportare queste voci nella Tel Aviv contemporanea e consentire ai nostri studenti di sperimentare ed esplorare la sorprendente rilevanza della cultura yiddish nelle loro vite di oggi", ha detto il dott. Lipshitz. Nell'ambito degli sforzi per promuovere lo studio e la ricerca della lingua yiddish, in collaborazione con il dott. Mark Zilberkweit, presidente della Fondazione per la conservazione della cultura yiddish, è stata anche realizzata una statua di Sholem Aleichem, scrittore ebreo yiddish, recentemente collocata nel campus.

(Shalom, 7 agosto 2023)

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Il Tar obbliga il Ministero a rilasciare i dati sui decessi entro 14 giorni dal vaccino

I magistrati accolgono il ricorso che vuole far luce sugli eventi avversi e verificare le stime di Aifa. Un giudice di pace intanto smonta le multe comminate ai no vax

di Patrizia Floder Reitter

Due sentenze fanno ben sperare che i. giudici finalmente smettano di ignorare soprusi commessi durante la pandemia, mantenuti anche a emergenza conclusa grazie all'atteggiamento di molte istituzioni.
  Il Tar del Lazio ha ritenuto legittima l'istanza con la quale l'avvocato Lorenzo Melacarne aveva chiesto al ministero della Salute di poter conoscere il numero dei soggetti deceduti nei 14 giorni successivi alla somministrazione della prima dose di vaccino Covid.
  «Il ricorso è fondato», si legge nella sentenza pubblicata il 17 luglio e che «ordina» espressamente al ministero di fornire la documentazione richiesta entro 30 giorni, quindi prima della fine di questo mese. Non appena avrà ricevuto i dati, l'avvocato li farà esaminare dagli esperti dell'università di Pisa e di Firenze che assieme a lui, nel luglio dello scorso anno, avevano redatto il paper «Considerazioni critiche sul confronto tra decessi osservati e attesi dopo la vaccinazione nel 10° Rapporto Aifa sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19».
  Documento di grande interesse e importanza, come segnalò La Verità, eppure rifiutato da diverse riviste scientifiche perché era giunto alla conclusione che i risultati forniti dall' Aìfa non erano attendibili. «Il numero dei decessi attesi è sovrastimato, mentre quello dei decessi osservati è sottostimato, il rapporto standardizzato di mortalità risulta di conseguenza sottostimato», affermavano Bruno Cheti e Rachele Foschi (professori di economia e management), Alessio Iodice e Michela Baccini (statistica e informatica) Barbara Pinto (dipartimento ricerca traslazionale delle nuove tecnologie in medicina», assieme all'avvocato Melacarne del Foro di Milano e al pediatra Eugenio Serravalle. Ritenevano «grave che un'agenzia pubblica come Aifa, a cui è affidato un importante e delicato compito di informazione, pubblichi un'analisi viziata da errori grossolani come quella in oggetto», ovvero comparando il numero di morti atteso con le sole morti «segnalate» per sospetta correlazione con il vaccino.
  E sottolineavano che «la mancanza dei dati necessari ci impedisce di conoscere il numero di tutti i decessi avvenuti nei 14 giorni successivi all'inoculazione del vaccino». Per meglio valutare gli eventi avversi che possono scaturire dalla vaccinazione, una volta incrociati con altri dati statistici, l'avvocato Melacarne aveva così chiesto ad Aifa, ministero della Salute, Iss e lstat di poter accedere ai dati.
  «Non pensavo di incontrare così tante difficoltà e di dover fare ricorso al Tar», spiega il legale. «Mi sono poi concentrato nelle richieste al solo ministero, che mi veniva indicato come unico organo competente, ma furono respinte tre volte». Nell'istanza di accesso, il 16 giugno 2022, precisava di voler avere «il numero di soggetti, nonché la relativa età media, ai quali sia stata somministrata la prima dose di vaccino», tra il 27 dicembre 2020 e il 26 dicembre 2021, «e che siano deceduti entro 14 giorni dalla somministrazione della dose per qualunque motivo, non necessariamente riconducibile alla somministrazione del vaccino».
  Il 23 gennaio di quest'anno, la direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute rispondeva di non essere in possesso di tali dati. Il Tar, invece, ha ricordato che «i dati contenuti nell'Anagrafe nazionale vaccini (Anv) sono utilizzati dal ministero della Salute», che il decreto legge del 14 gennaio 2021 «prevede espressamente l'inserimento nel database dell'Anv dei dati relativi alle somministrazioni di massa dei vaccini anti Covid-19, aggiornati con frequenza giornaliera» ed «è dunque evidente che il ministero è in possesso dei dati, che dunque dovranno essere ostesi, previo oscuramento delle generalità dei singoli individui».
  Tra poche settimane, sarà così possibile avere una fonte di informazioni di grande utilità per coloro che sanno fare analisi accurate. «Consegnerò i dati ai professori di economia e statistica con i quali avevamo redatto il paper», fa sapere l'avvocato Melacarne. «Se Aìfa non è in grado di fare questa operazione di linkage, sarebbe opportuno che lo dichiarasse e ne spiegasse i motivi», scrivevano nel luglio di un anno fa. In 12 mesi, nulla è cambiato ma adesso è un tribunale amministrativo che dà torto al ministero della Salute e permetterà di fare studi statistici di estremo interesse sui morti per vaccino.
  L'altra sentenza che fa ben sperare è quella pronunciata dal giudice di pace di Fano, Pericle Tajariol e pubblicata il 28 luglio. Ha accolto l'opposizione di un over 50 a pagare i 100 euro di multa e condanna l'agenzia delle Entrate - riscossione al pagamento delle spese processuali. «I vaccini Covid non sono idonei a impedire ai soggetti di essere contagiati e nemmeno di contagiare a propria volta, quindi non appaiono strumenti di prevenzione, rivelandosi percentualmente idonei in misura di fatto, prossima allo zero», scrive il giudice.
  Il ricorrente sollevava una serie di eccezioni, quali l'omessa indicazione dei termini per proporre opposizione, e quindi la violazione del diritto di difesa; così pure la discriminazione tra vaccinati e non vaccinati, «ma l'aspetto su cui ci si deve necessariamente soffermare riguarda la legittimità di tale sanzione», scrive Tajariol che dice di «discostarsi dalle recenti pronunce sugli obblighi vaccinali della Corte costituzionale in quanto esse non hanno effetto vincolante a livello interpretativo per i giudici di merito [ ... ] l'osservanza dell'interpretazione della legge spetta esclusivamente alla Corte di cassazione e non già alla Corte costituzionale».

(La Verità, 7 agosto 2023)

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Israele: portato alla luce anfiteatro romano con pareti dipinte in rosso sangue

di Chiara Lombardi

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Le campagne di scavo condotte presso Tell Megiddo, in Israele, hanno recentemente portato alla luce un anfiteatro in quello che è, dal II sec. d.C., l’insediamento legionario orientale più grande dell’impero romano. Il sito di Megiddo, celebre città-stato, e patrimonio UNESCO, sta restituendo diversi momenti della sua storia, contesa da egiziani, cananei, ebrei ed assiri per la sua posizione strategica di controllo sul mare. Gli scavi sono co-diretti da Yotam Tepper e Matthew Adams per conto della Jezreel Valley Regional Project: Biblical Archaeology e l’Albright Institut di Gerusalemme, con il supporto dell’Autorità delle Antichità Israeliane e dell’American Archaeology Abroad.
  Particolare il rinvenimento dell’anfiteatro poiché esso presenta una caratteristica: le pareti sono dipinte di rosso. A Tell Megiddo erano di stanza la Legio II Traiana Fortis e la Legio VI Ferrata. Stando a quanto affermato dal professor Tepper, l’anfiteatro è da ricondursi ad un’arena militare scavata nella roccia e circondata da pietre dipinte in rosso, il cui colore doveva appunto ricordare quello del sangue. Un ludus, dunque, dove i legionari facevano pratica nell’arte militare.

(Mediterraneo Antico, 7 agosto 2023)

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Azerbaijan: a novembre grande congresso dei rabbini europei

di Nathan Greppi

Dal 12 al 15 novembre Baku, la capitale dell’Azerbaijan, ospiterà il raduno biennale della Conferenza dei Rabbini Europei (CER in inglese), che a ogni edizione raduna oltre 500 rabbini provenienti da tutto il continente per discutere le questioni più importanti che riguardano gli ebrei in Europa.
  Stando alla European Jewish Press, si tratta della prima volta nella storia che questo evento si tiene in un paese musulmano. Questo perché l’Azerbaijan, sin da quando si è reso indipendente dall’Unione Sovietica, ha stretto nel corso dei decenni ottimi rapporti con Israele, del quale è diventato un alleato strategico sul piano economico e militare. L’evento infatti si terrà a Baku su invito del Presidente azero Ilham Aliyev, che sarà presente come ospite onorario.
  Fondata nel 1956, la CER è la più importante organizzazione rabbinica ortodossa in Europa, e vi sono affiliati in totale circa 700 rabbini europei. La sua prima convention si tenne ad Amsterdam nel 1957, e si è sempre battuta per difendere i diritti della minoranza ebraica e la libertà di culto in Europa. Dal 2011 il presidente è Rav Pinchas Goldschmidt, ex-rabbino capo di Mosca costretto a lasciare la Russia nel 2022 per essersi opposto all’invasione dell’Ucraina.
  Proprio Rav Goldschmidt ha definito “simbolica” la decisione di tenere l’evento in Azerbaijan: si pensa che i primi ebrei giunsero nel territorio dopo la distruzione del Primo Tempio, intorno al 586 a.e.v., e attualmente nel paese vivono tra i 25.000 e i 30.000 ebrei, in un contesto dove l’antisemitismo è poco diffuso.
  Storicamente, le comunità ebraiche azere sono di tre tipi: ebrei europei giunti tra la fine dell’800 e la seconda metà del ‘900; ebrei georgiani, insediatisi principalmente a Baku ai primi del ‘900; e gli “ebrei delle montagne”, così chiamati perché costituiscono un gruppo a sé stante, né ashkenaziti né sefarditi, che hanno vissuto sulle montagne del Caucaso sin dall’antichità. Infatti, la convention prevede anche una visita presso l’antica città di Quba, per secoli nucleo degli ebrei delle montagne.

(Bet Magazine Mosaico, 6 agosto 2023)

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Il piacere di lasciarsi stupire: gli itinerari nascosti di Israele

L’aviturismo nel parco di Agamon Hula

di Fabiana Magrì

Sono un po’ remote, forse un po’ di nicchia e fuori dai sentieri battuti. Ma proprio per questo sono sorprendenti le tre destinazioni che Shalom ha selezionato per chi ama la natura, la storia e le diversità culturali di Israele. Per chi già conosce le mete più famose ma non per questo ha perso la curiosità. Agamon Hula, Revivim e Kfar Kama sono luoghi che custodiscono storie affascinanti da scoprire.
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In volo con uno stormo di gru sopra i campi coltivati, sulle acque del lago di Agamon e tra i papiri che ondeggiano al vento. Con il set per la realtà virtuale al posto del binocolo, il «birdwatching» diventa un’esperienza immersiva. Questa e altre tecnologie all’avanguardia, custodite in un edificio «eco-friendly» dall’atrio al tetto, fanno dello «Stephen J. Harper KKL-JNF Hula Valley Visitor and Education Center», in Israele, il gioiello della corona di uno dei luoghi più belli al mondo per gli amanti dell’ornitologia e della natura. All’interno dell’edificio, trasparente su tutti i lati, un muro digitale di 18 metri quadrati trasmette in tempo reale le immagini degli uccelli all’interno del parco. Un modello digitale in 3D della Hula Valley si aggiorna in modo dinamico grazie ai dati rilevati costantemente sul campo. Un quiz interattivo in tre lingue (inglese, ebraico e arabo), con domande e curiosità sulle varie specie di uccelli, anima il «Bird Wall» a riconoscimento gestuale.
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Sei postazioni attrezzate con set per la realtà virtuale consentono di volare in formazione con le gru, fra tramonti e temporali. L’edificio, ricoperto da un lungo prato, sembra emergere dal parco. Il tetto è una terrazza panoramica a 360° che affaccia sul bacino di Hula e sulle alture del Golan. L’esperienza al Visitor Center è propedeutica all’esplorazione della riserva a piedi, in bicicletta, in tandem o in golf car, alla ricerca di un punto panoramico per guardare e fotografare fenicotteri rosa, pellicani, aquile bianche e grigie, anatre e cormorani ma anche lontre, bufali d’acqua, daini e specie endemiche come la rana di Hula. Con il crescente interesse per il turismo responsabile, quello che un tempo era considerato un bizzarro hobby di nicchia, l’aviturismo oggi attrae sempre più persone disposte a viaggiare per il mondo sulle rotte migratorie degli uccelli.
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L’area che comprende il parco ornitologico del lago di Agamon e la Valle di Hula, una superficie di 3 chilometri quadrati, si trova proprio al centro della spaccatura afro-siriana, uno dei più significativi corridoi del cielo. Oltre 500 milioni di uccelli, di 550 specie diverse, sorvolano Israele due volte l’anno, in autunno e in primavera. Per afferrare l’enorme densità e varietà di esemplari, basta pensare che in Nord America, un’area 2 mila volte più estesa di quella israeliana, si registra appena il doppio delle specie. È la combinazione unica di lago e palude a fare del parco di Agamon Hula uno degli habitat umidi più importanti in tutto il Medio Oriente e nel mondo.

(Shalom, 6 agosto 2023)

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Pakistan, intelligence e polizia utilizzano spyware israeliano

Nonostante l’assenza di legami diplomatici con Israele, le agenzie pakistane utilizzano software di sorveglianza prodotti dalla società israeliana Cellebrite.

Le agenzie di intelligence e di polizia pakistane stanno utilizzando spyware israeliano, nonostante i due paesi non abbiano relazioni diplomatiche. Questa rivelazione, emersa da un rapporto pubblicato su Haaretz, ha sollevato domande sulla vendita di software di sorveglianza a regimi oppressivi.

• Dettagli sull’uso del software da parte del Pakistan
  L’Agenzia Federale d’Indagine del Pakistan (FIA) e diverse unità di polizia pakistane utilizzano prodotti realizzati dalla società di cybertecnologia israeliana Cellebrite dal 2012. Il software di Cellebrite permette alle forze dell’ordine di effettuare lavori forensi digitali, violando telefoni cellulari protetti da password e copiando tutte le informazioni in essi contenute.

• La vendita attraverso intermediari
  Sebbene il Pakistan non abbia legami diplomatici con Israele e sostenga il boicottaggio dello stato di occupazione, l’acquisto del software è stato effettuato attraverso Singapore. La filiale asiatica di Cellebrite ha venduto prodotti direttamente alle autorità pakistane fino al 2019, come rivelato dai registri delle spedizioni internazionali.

• Preoccupazioni sulla privacy e sui diritti umani
  La notizia ha sollevato nuovamente la questione se gli spyware dovrebbero essere venduti a regimi oppressivi, in paesi dove anche le organizzazioni per i diritti umani sono soffocate. Cellebrite ha venduto i suoi prodotti a diversi paesi accusati di abusi contro attivisti per i diritti umani e gruppi minoritari, tra cui Bielorussia, Cina, Uganda, Venezuela, Indonesia, Russia, Filippine, Etiopia e Bangladesh.

• La risposta di Cellebrite
  In una dichiarazione, Cellebrite ha affermato: “L’azienda non vende al Pakistan, direttamente o indirettamente. Cellebrite è impegnata nel suo obiettivo di creare un mondo più sicuro fornendo soluzioni alle forze dell’ordine che permettono loro di risolvere i crimini più rapidamente”.

(#Matrice Digitale, 6 agosto 2023)

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Giuseppe, da comandante di yacht alla sedia a rotelle dopo il vaccino

Giuseppe Sanacore ha 56 anni, è di origini siciliane e vive con la sua famiglia nelle Marche. Ha passato una vita sulle onde, tra le rotte della navigazione, su imbarcazioni di alto prestigio. Poi la vaccinazione, a cui si è affidato senza titubare, ha cambiato la sua storia.

di Giulia Bertotto

Nel silenzio delle istituzioni, nell’omertà dei grandi giornali, all’ombra di una strage che sta distruggendo le famiglie e ha già logorato il tessuto sociale italiano, QuotidianoWeb raccoglie la sua testimonianza. L’ennesimo cittadino italiano ricattato, vaccinato e abbandonato.

- Lei è molto fiero del suo lavoro, di quello che fino a due anni fa era il suo lavoro.

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Sì, sono un comandante di yacht di lusso, ho sempre avuto una vita molto dinamica, viaggiavo per mestiere, e quando non ero imbarcato, ero un responsabile di produzione navale. Passavo anche 12 ore nei cantieri, con 250 operai, 2800 metri quadri di magazzino da gestire, una grande impresa sotto di me, anche se non era la mia. Nel 2021 il capo dell’azienda mi disse che dovevo dare l’esempio ai colleghi e dipendenti e vaccinarmi per ottenere il Green Pass. Viaggiando, ero abituato alle vaccinazioni, ce ne sono tantissime obbligatorie e raccomandate quando si attraversano mari e continenti. Non avevo mai avuto problemi e così sono andato a vaccinarmi.

- Poi la sua vita ha preso un’altra rotta.

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Ho ricevuto la prima dose del composto Pfizer il 20 agosto 2021, e la seconda dose Pfizer il 16 settembre 2021. Non posso dire nulla a riguardo della prima dose, c’è una causa legale in corso. Ma posso dirle che non ho accusato alcun malessere.
  Dopo venti minuti dalla seconda dose sono entrato in coma. L’ambulanza mi ha portato all’Ospedale di Fano dove sono rimasto per un mese. In questo mese, senza alcuna diagnosi precisa, mi sono state somministrate tachipirina, cannabis e morfina. E questo lo ho scoperto solo dopo. Dall’ospedale ci sono uscito con la sedia a rotelle. Era settembre 2021 e il primario della struttura mi diceva che con una settimana di fisioterapia mi sarei rimesso in piedi. Due anni dopo sono ancora sulla sedia a rotelle.
  Solo quando sono stato dimesso è stato scritto sulla mia cartella che la mia sintomatologia è legata alla somministrazione.

- E’ il caso di ricapitolare quanto le è accaduto. Lei ha eseguito la seconda dose del vaccino Pfizer, è entrato immediatamente in coma e dopo un mese in ospedale è uscito invalido.
  Sì, e oggi dopo un anno e mezzo di terapie di ogni tipo, fisioterapie, sedute di psicoterapia, sono peggiorato. Ho assunto così tanti farmaci che il mio stomaco è devastato. Ad aprile 2022 ho avuto un’altra crisi con convulsioni e svenimenti e sono stato di nuovo ricoverato. Anche durante questo secondo ricovero mi hanno imbottito di tachipirina e cannabis. Tutto questo è documentato e dimostrabile. Da uno degli esami svolti dai dottori è emersa una colicistite acuta, fegato ingrossato e anche il pancreas era in tilt a causa dell’abuso di medicinali. Dopo quattro mesi di lista di attesa per l’intervento alla colecisti ho conosciuto il dottor Giovanni Frajese e il dottor Giuseppe Barbaro di Roma, che mi seguono ancora oggi, i quali mi hanno spiegato che è la proteina Spyke immessa con il vaccino, a causare ictus e così diversi e gravi disturbi a carico di differenti organi.
  Nell’attesa dell’intervento mi è stata data una cura per stare “calmo” a casa, perché non potevo mangiare, stare fermo o dormire. Tra i miei sintomi c’erano acufene (che neppure sapevo cosa fosse), netto abbassamento della vista, convulsioni e spasmi, attacchi epilettici, perdita di sensibilità agli arti inferiori, incapacità di presa con le mani, tremori, brividi di freddo. Non mi riconosco. Questo vaccino ha rovinato la mia vita e quella della famiglia, e anche l’azienda, perché i danni economici sono causati anche da tutti i lavoratori che hanno subito danni da vaccino. E per un virus che si curava con farmaci che tutti abbiamo in casa. C’è da impazzire.

- E secondo lei perché se il Covid era così facile da curare, sono morte così tante persone e alla cittadinanza è stato detto che l’unica salvezza era il vaccino? Che spiegazione si è dato?
  Lo chiamano vaccino, ma sono convinto che sia un prodotto militare; persone disumane e molto potenti potrebbero aver deciso che siamo troppi su questo pianeta e i nostri governi abbiano obbedito a questo ordine, in modo cosciente o incosciente.

- Attualmente che diagnosi le è stata firmata?
  Attualmente io sono sulla sedia a rotelle, incapace perfino di andare in bagno e lavarmi da solo. Mi aiutano mio figlio e mia moglie. E non ho neppure una diagnosi, se non quella di crisi epilettiche, non c’è nemmeno un nome a quello che mi è successo. Non posso lavorare, naturalmente, e quindi sono preoccupatissimo per la mia famiglia, siamo in affitto e lavora solo mia moglie in maniera occasionale. L’INPS paga o il sussidio di disoccupazione o l’invalidità e io beneficio della disoccupazione. La Naspi prevede un contributo di 780 euro, ma noi paghiamo 650 euro di mutuo al mese. Attendo un aiuto da parte dello Stato per poter riprovare con la fisioterapia correttiva a rimettermi in piedi. E così tornare a lavorare.

- Ha scritto ai giornali, ai canali Tv, alle istituzioni?
  Eccome, ho scritto ai sindaci di Fano e di Pesaro ma non ho ricevuto alcuna risposta. Quando con “Danni collaterali” abbiamo fatto la manifestazione contro il biolaboratorio lui non si è presentato, anche se aveva assicurato ufficialmente la sua presenza. Sempre con questa associazione abbiamo raccolto le firme per il riconoscimento dei danneggiati da vaccino e abbiamo scritto alla Premier Meloni. Due settimane fa la Camera ha accettato di risarcire le persone danneggiate da vaccino, ora dobbiamo attendere il pronunciamento del Senato.
  Sono invece grato alla azienda per cui lavoravo, la Sylent Yacht, la quale ha fatto di tutto per sostenermi e mi è stato ribadito che le porte restano aperte per me.

- Che cosa si augura per il futuro? Quali speranze in questo stato di cose?
  Complici di personaggi al di sopra dei nostri capi di stato hanno, probabilmente,  deciso di rovinarci la vita per interessi personali o di ristretti gruppi di potere. Gli sms tra la presidente della commissione UE e il CEO di Pfizer e gli incarichi del marito medico della stessa Presidente Von der Leyen  non possono non far sorgere dubbi e convincere che siano solo delle coincidenze.  Ma costoro sono intoccabili.
  Quindi non credo che nessuno finirà dietro le sbarre per quello che ci è stato fatto; ma in realtà non mi interessa neppure, quello che io pretendo e che mi curino e che curino chi si trova nella mia stessa situazione.
  Le persone danneggiate sono quasi quattro milioni in Italia, siamo in contatto e sono sempre di più quelle che hanno deciso di non stare zitte.
  Per le mie condizioni di salute non ho buone aspettative, dopo due anni di inferno come quelli che ho passato. A tenermi ancora qui è la responsabilità verso la mia famiglia. A volte penso di non farcela ma poi penso che lascerei in balia delle onde.

(QuotidianoWeb, 5 agosto 2023)

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Ecco cosa accadde a Gerusalemme dal ’48 al ’67: fu un Isis ante litteram

Gerusalemme è’ stata divisa solo per diciannove anni. Ecco che cosa accadde dal 1948 al ’67. Per la prima volta in un millennio di storia non rimase un solo ebreo nella Città vecchia. Fu un Isis ante litteram.

di Giulio Meotti

Nel gennaio 1964, quando Papa Paolo VI vi arrivò per la prima, storica visita di un pontefice nella moderna Gerusalemme, la città era divisa dal filo spinato. Si chiamava “kav ironi”, la linea arbitraria di divisione della città. I cecchini giordani erano piazzati sui tetti, mentre i campi minati erano ovunque nella “no man’s land”, in ebraico “shetah hahefker”, lunga sette chilometri. L’unico passaggio fra le due parti della città, quella israeliana e quella giordana, era attraverso la celebre Porta di Mandelbaum, dal nome dei coniugi Esther e Simcha Mandelbaum, proprietari della casa dove passava il confine. C’erano quartieri, come Abu Tor, con case che avevano un ingresso nella sezione giordana e uno in quella israeliana. I muri dividevano la città anche dentro le abitazioni. Ma mentre Paolo VI e il suo entourage furono in grado di attraversare liberamente Gerusalemme per pregare nei luoghi religiosi cristiani, israeliani ed ebrei potevano solo guardare dall’altra parte del filo spinato le mura della Città vecchia e, là sotto, sognare il Muro del pianto, il luogo più sacro al mondo per l’ebraismo.
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Allora, quando la Città vecchia era Judenrein, nessun Papa o Palazzo di vetro ha mai chiesto “l’internazionalizzazione di Gerusalemme”. Quando altri tre pontefici (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) sono tornati a far visita a Gerusalemme, hanno trovato una città aperta a tutte le tre religioni, senza barriere, né fili spinati, né cecchini, né campi minati o discriminazioni su base religiosa. Una città dove chiunque può venire a pregare e omaggiare il proprio Dio. E’ facile imbattersi oggi in musulmani salafiti arrivati dall’Arabia Saudita per visitare la Spianata delle moschee.
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Ora che gli Stati Uniti si sono decisi a riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele, da più parti si riscopre un’ansia di ridividere quella città. La città santa è stata conquistata da Gebusiti, Ebrei, Babilonesi, Assiri, Persiani, Romani, Bizantini, Arabi, Crociati, Mamelucchi, Ottomani, Inglesi, Giordani… Ma in migliaia di anni, Gerusalemme è stata divisa soltanto per diciannove anni, dal 1948 al 1967.
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E fu davvero un incubo. Fu un regime asimmetrico di divisione: mentre per Israele Gerusalemme ovest divenne la capitale, Gerusalemme est fu sempre una città di confine, un fortilizio. Gerusalemme occidentale era moderna, fiorente di attività politica e culturale, ricca e in costante crescita, mentre Gerusalemme est era un villaggio sonnolento, sottosviluppato e trascurato. Un anno fa, tre lettere spedite nel febbraio 1948 dalla Città Vecchia di Gerusalemme, in quel periodo assediata dalle forze arabe, furono rivelate dalla casa d’asta Kedem Auction House. Sono scritte dai residenti del quartiere ebraico durante l’assedio di Gerusalemme da parte delle forze arabe nella prima fase della guerra di indipendenza israeliana. Le lettere vennero scritte tre mesi prima che le forze inglesi lasciassero la città, allo scadere del Mandato britannico, e la Città Vecchia venisse conquistata dalle truppe giordane. Una delle lettere è una richiesta di aiuto firmata da Yitzchak Avigdor Orenstein, primo rabbino del Muro occidentale (“del pianto”), destinato a rimanere ucciso tre mesi dopo quando la Città vecchia verrà bombardata. “Abbiate pietà di uomini, donne e bambini e prendete misure drastiche, ove necessario, affinché noi non moriamo“, si legge nella lettera del rabbino Orenstein. “La vita degli abitanti della Città vecchia è in grave pericolo, le truppe britanniche hanno bombardato il quartiere ebraico nelle notti scorse danneggiando la santità della sinagoga“, scriveva Orenstein.
  La Gerusalemme ebraica fu il principale bersaglio dell’attacco giordano durante la guerra che accompagnò la fondazione di Israele. Il comandante della Legione, Abdallah el Tal, ricordò che “solo quattro giorni dopo il nostro ingresso a Gerusalemme, il quartiere ebraico era diventato un cimitero. Il ritorno degli ebrei è impossibile“.
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Il 27 maggio del 1948, 108 dei 150 difensori del Quartiere ebraico della Città vecchia cadevano in difesa della popolazione di 1.700 persone, piegate dalla fame e dalla sete. Se l’assedio fosse continuato, gli arabi avrebbero costretto gli ebrei alla resa o alla fame. Tutta la città rischiava di essere conquistata dagli arabi. Dopo la fine delle ostilità e con la divisione della città, a tutti gli israeliani – ebrei, musulmani e cristiani – fu impedito l’accesso alla Città vecchia, in flagrante violazione dell’armistizio fra Israele e la Giordania, firmato nel marzo 1949. Ai turisti stranieri in visita a Gerusalemme fu richiesto di presentare un certificato di battesimo. Anche se i cristiani, a differenza degli ebrei, avevano accesso ai loro luoghi santi, anch’essi furono soggetti a restrizioni secondo la legge giordana. C’erano dei limiti sul numero di pellegrini cristiani ammessi nella Città vecchia e a Betlemme durante Natale e Pasqua. Le organizzazioni di beneficenza e le istituzioni religiose cristiane non potevano acquistare proprietà immobiliari a Gerusalemme o possedere proprietà vicino ai luoghi santi. E le scuole cristiane erano soggette a severi controlli. Dovevano insegnare in arabo, chiudere di venerdì, il giorno santo musulmano, e insegnare a tutti gli studenti il Corano. Allo stesso tempo, non fu permesso di insegnare materiale religioso ai non cristiani. Nel corso degli anni sotto il dominio giordano, ogni vestigia della presenza ebraica nella città fu sistematicamente cancellata. Durante quei diciannove anni di occupazione illegale e non riconosciuta dal resto del mondo, agli ebrei non venne mai permesso di visitare i loro luoghi santi nella parte occupata della città, in spregio del diritto internazionale e in violazione degli accordi armistiziali.
  Il plurisecolare cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi venne sistematicamente profanato; le antiche sinagoghe, come la celebre Hurva, e la maggior parte degli edifici dell’antico quartiere ebraico della Città vecchia, vennero scientificamente distrutti dagli occupanti illegali. Centinaia di pergamene della Torah e migliaia di libri sacri furono saccheggiati e ridotti in cenere. Per la prima volta in mille anni non rimase un solo ebreo o una sinagoga nella Città vecchia. Fu una sorta di Isis ante litteram. La popolazione cristiana della città scese da trentamila a prima del 1948 a undicimila nel 1967.
  In ogni storia di Gerusalemme questi sono gli anni perduti della città, in cui pare non sia successo nulla. Un periodo morto e in cui i bunker giordani dominavano la città. Come a Mutzav Hapa’amon, una delle 36 postazioni giordane, che dominava tutto, da Gilo all’Herodion. Nel 1955, un gruppo di archeologi prese parte a una conferenza al kibbutz Ramat Rachel. I cecchini giordani fecero strage di archeologi. Quattro i morti. Dopo la conquista da parte giordana, gli ebrei furono costretti a lasciare le loro case. Sinagoghe, biblioteche e centri di studi religiosi furono distrutti, saccheggiati, utilizzati per alloggiamenti o come stalle per gli animali. Agli ebrei venne proibito anche di suonare lo shofar, il piccolo corno di montone.
  Furono fatti appelli alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale per dichiarare la parte antica come una “città aperta” e fermare questa distruzione, ma non ci fu risposta. Migliaia di pietre tombali provenienti dal cimitero sul Monte degli Ulivi furono utilizzate come pietre da pavimentazione per le strade e come materiale da costruzione nei campi militari giordani. Parti del cimitero furono trasformate in parcheggi, fu allestita una pompa di benzina e fu costruita una strada asfaltata. L’Intercontinental Hotel venne edificato nella parte superiore del cimitero. Il più antico cimitero ebraico del mondo si ritrovò così devastato. Delle 150 mila tombe, alcune risalenti ai tempi biblici di Assalonne e Zaccaria, ne furono distrutte 70 mila.
  L’Onu, che oggi si dice allarmato per il riconoscimento americano di Gerusalemme capitale, non approvò mai alcuna risoluzione contro questa distruzione della zona ebraica. Non appena la Città vecchia cadde nelle mani degli arabi musulmani, la libertà religiosa a Gerusalemme venne cancellata. Gerusalemme antica divenne di fatto, sia pure conservando la presenza cristiana, una città islamica. Gli ebrei furono cacciati e l’ebraismo cancellato. Mishkenot Sha’ananim, oggi uno dei luoghi più belli e trendy di Gerusalemme, luogo di ritrovo degli scrittori e degli intellettuali, divenne un insieme di baracche dove si viveva in costante paura dei colpi dei giordani. Mamilla, oggi fitta di ristoranti e boutique, era la linea di attacco, la “Sderot del 1948”, dal nome della piccola cittadina israeliana affacciata su Gaza e per anni bersagliata dal lancio dei missili di Hamas. Gli ebrei nella Gerusalemme divisa vivevano in case protette da sacchi di sabbia e strisciavano contro i muri. A memoria, ci sono le fotografie dei bambini e delle donne che sfollano dagli incendi delle loro case nella Città vecchia, il Muro del pianto che versa in rovina, spoglio, abbandonato, convertito all’islam come al Buraq Wall, e la città più bella del mondo trasformata in un grande Checkpoint Charlie mediorientale. Nei cinquant’anni successivi alla liberazione del 1967, Gerusalemme sarebbe riesplosa a livello urbanistico, religioso, demografico, economico. E’ successo sotto Israele, mai prima. Israele è l’unico custode di Gerusalemme che si sia dimostrato affidabile e responsabile.
  Dopo la liberazione, il governo israeliano varò la Legge per la Protezione dei Luoghi Santi, che garantiva libertà di accesso e di culto a tutte le religioni e autonomia ai vari gruppi religiosi nella gestione delle loro rispettive proprietà e dei loro luoghi santi. La Knesset estese la legislazione israeliana a Gerusalemme est, unificando così la città sotto il governo israeliano e mettendo fine alle leggi islamiche discriminatorie. Gli israeliani ripristinarono subito il diritto dei musulmani di pregare sul Monte del Tempio, malgrado il fatto che fosse anche il luogo più sacro all’ebraismo. Oggi il Wakf musulmano (consiglio religioso), a cui è affidata l’amministrazione del Monte del Tempio, impedisce agli ebrei di pregare su questo luogo. La storia dimostra non soltanto che una grande città divisa non funziona (Nicosia, Berlino, Belfast per citarne alcune). Ma soprattutto che il migliore destino di una città mista come Gerusalemme è quello di essere garantito soltanto dagli ebrei, per due motivi.
  Il primo è che il pluralismo funziona soltanto in una democrazia e Israele è l’unico paese democratico in una mezzaluna che va dal Nord Africa fino all’Asia minore. Il secondo è che il rispetto delle minoranze non esiste nel mondo arabo-islamico. Adesso si vorrebbero riportare le lancette della storia a quel terribile periodo, i diciannove anni perduti di una Gerusalemme atterrita e buia. E che divisa non deve tornare a esserlo più.

(Ticinolive, 4 agosto 2023)

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Il salmista ignoto (3)

di Marcello Cicchese

Il tentativo di dare un'interpretazione a un libro o a un capitolo problematico della Bibbia si aggira spesso intorno a un'unica domanda.
   Nel caso del libro di Giobbe: perché quell'uomo giusto deve subire una così atroce sofferenza da parte di Dio?
   Nel caso del salmo 109: perché il Re Davide, conosciuto come "il dolce cantore d'Israele", chiede a Dio di colpire il suo nemico con maledizioni di una così feroce violenza?
   Nel caso del salmo 119: chi è l'ignoto salmista che osa rivolgersi a Dio con parole di autoelogio così audaci?
   In tutti e tre i casi citati è in gioco la problematicità di un rapporto Dio-uomo. Nel modo in cui sono poste le domande, l'interrogativo parte sempre dall'uomo per arrivare a Dio.
   Giobbe subisce sofferenze da parte di Dio. Perché?
   Davide chiede a Dio maledizioni sul suo nemico. Perché?
   Il salmista ignoto osa rivolgersi a Dio con incredibile audacia. Perché?
   Nel cercare risposte plausibili di solito facciamo così: osserviamo come si muovono i personaggi umani della scena (che pensiamo di conoscere perché sono uomini come noi) e ci sforziamo di capire come mai hanno avuto un rapporto così difficile con Dio (che invece facciamo fatica a capire). In sostanza, è a partire dalla nostra conoscenza dell'uomo che cerchiamo di arrivare a capire chi è Dio. O per meglio dire: cerchiamo di immaginare una figura di Dio che si armonizzi con la comprensione che come uomini abbiamo di noi stessi. Con poche parole abbiamo descritto come si costruisce un idolo.
   Bisogna dire che purtroppo si corre il rischio di costruire idoli anche usando modi sbagliati di leggere la Bibbia. I cristiani evangelici degni di questo nome credono in modo unanime che la Bibbia sia interamente Parola di Dio; questa corretta dizione però dovrebbe essere precisata dichiarando che la Bibbia è storia sacra, cioè rivelazione delle gesta di Dio nella storia degli uomini, a partire dalla creazione di cieli e terra in Genesi per arrivare alla creazione di nuovi cieli e nuova terra in Apocalisse. Qualunque altro modo di leggere la Bibbia risulta essere inevitabilmente una lettura antropocentrica, e quindi, nei casi peggiori, idolatrica. Una lettura corretta della Bibbia deve essere, nei suoi modi e nei suoi riferimenti, una lettura teocentrica, cioè rivolta alla comprensione del muoversi di Dio in tutte le forme in cui la Scrittura lo rivela.
   Questo fa risaltare non soltanto l'inevitabilità del ricorso alla Bibbia per cercare di comprendere il pensiero, le parole e le azioni di Dio, ma anche la sua sufficienza, perché il ricorso ad altre fonti può essere utile, ma non è mai indispensabile.
   Nei tre casi sopra accennati, ciò che nella storia mette in evidenza il posto di Dio è che i personaggi umani entrano in scena come suoi servi. La cosa risulta evidente nel caso di Davide, più volte indicato da Dio stesso come "mio servo Davide" (2 Samuele 7:8).
   La cosa dovrebbe essere evidente anche nel caso di Giobbe, che per ben sei volte Dio nomina come "mio servo Giobbe" (vv. 1:8, 2:3, 42:7, 42:8), ma questo di solito è trascurato dai commentatori.
   Nel caso dell'ignoto autore del salmo 119 non si vede che Dio lo nomini come mio servo, ma è il salmista stesso che per ben tredici volte si rivolge a Dio presentandosi come il "tuo servo". La presente scelta interpretativa consiste appunto nel sostenere che il salmista ignoto, a cui abbiamo dato il nome fittizio di Ariel, è un servo dell'Eterno nel senso pieno della parola, cioè che ha ricevuto da Dio uno speciale incarico in cui rientra tra l'altro il mantenimento dell'anonimato per i posteri.
   Sottolineare che Ariel è un servo mette in primo piano non lui, ma il suo padrone. Nelle antiche civiltà il servo era proprietà del padrone, espressione della sua personalità; e se verso l'interno il servo doveva ubbidienza al suo padrone, verso l'esterno egli esprimeva la gloria di colui da cui dipendeva. Colpire un servo significava automaticamente colpire il suo padrone.
   Per questo Ariel alza la sua voce al cielo quando sulla terra è colpito dai suoi nemici:

    Quanti sono i giorni del tuo servo?
    Quando farai giustizia di quelli che mi perseguitano?
    (v. 84).

"Perché permetti che il tuo servo sia trattato in questo modo? Fino a quando questo durerà?" avrebbe potuto pensare Ariel. E più avanti grida:

    Io sono tuo, salvami,
    perché ho cercato i tuoi precetti
    (v. 94).

In che senso sono tuo? La frase può essere completata correttamente in un solo modo: "io sono tuo servo".
   Si può capire meglio il senso di questa frase paragonandola con una particolare implorazione di Davide a Dio:

    O Eterno, vivificami, per amore del tuo nome; nella tua giustizia, ritrai l'anima mia dalla tribolazione! Nella tua bontà distruggi i miei nemici, e fa' perire tutti quelli che affliggono l'anima mia; perché io sono tuo servo (Salmo 143:11-12).

Davide chiede a Dio di far perire i suoi nemici portando due motivi, fra loro collegati: "per amore del tuo nome" e "perché io sono tuo servo". "Dunque - dice in sostanza Davide al Signore - se possono continuare a colpire me che sono tuo servo, è il Tuo nome che ne patisce. Che diranno le nazioni?". E' un argomento molto efficace per convincere il Signore. Il primo ad usarlo è stato Mosè, che dopo il fattaccio del vitello d'oro riuscì a dissuadere Dio dal distruggere il popolo con queste parole:

    Allora Mosè supplicò l'Eterno, il suo Dio, e disse: “Perché, o Eterno, la tua ira si infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché direbbero gli Egiziani: 'Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per eliminarli dalla faccia della terra'? Calma l'ardore della tua ira e pèntiti del male di cui minacci il tuo popolo (Esodo 32:11-12).

E l'Eterno si pentì (Esodo 32:14).
   Dello stesso tipo è l'implorazione di Ariel, che nel suo testo fa uso ripetuto della dizione "tuo servo" perché è in quella qualità che egli si rivolge a Dio.
   Per dare peso a questa conclusione, prendiamo in considerazione il seguente versetto:

    Le tue mani mi hanno fatto e formato;
    dammi intelligenza e imparerò i tuoi comandamenti
    (v. 73).

L'espressione "mi hanno fatto e formato" fa venire subito in mente l'immagine genetica del Creatore che con le sue mani plasma l'argilla che costituirà l'uomo. In questo caso però l'immagine può arricchirsi di un altro significato. Consideriamo allora un altro versetto:

    È questa la ricompensa che date all'Eterno, o popolo insensato e privo di saggezza? Non è il padre tuo che ti ha acquistato? non è egli colui che ti ha fatto e stabilito? (Deuteronomio 32:6).

L'espressione qui usata "fatto e stabilito" è nell'originale la stessa di quella tradotta nel salmo 119 con "fatto e formato". E' vero che il popolo d'Israele è stato generato da Dio come un padre genera un figlio, ma qui il popolo non viene rimproverato per come è venuto al mondo, ma per essere stato infedele al compito per il quale era stato stabilito.
   Si può dunque passare da una lettura genetica del versetto 73 a una "istituzionale": Ariel ricorda al Signore che è stato Lui che lo ha fatto e stabilito in quell'incarico: gli chiede dunque di dargli la necessaria intelligenza per imparare ad eseguire fedelmente i Suoi comandamenti (che evidentemente già conosceva).
   Ariel svolge il suo compito già col suo semplice essere presente in mezzo al popolo, perché con la testimonianza della sua fedeltà alla parola di Dio consola e fortifica quelli che temono il Signore:

    Quelli che ti temono mi vedranno e si rallegreranno,
    perché ho sperato nella tua parola
    (v. 74).

E a questi timorati di Dio che si rallegrano alla sua presenza Ariel rivolge un invito che sarebbe pretenzioso se egli non avesse alcuna autorità morale, se fosse uno come tutti gli altri:

    Si rivolgano a me quelli che ti temono
    e quelli che conoscono le tue testimonianze
    (v. 79).

"E che dovrebbero fare da te, quelli che temono il Signore? Tu chi sei?" Potrebbero chiedergli i suoi nemici. Che risponderebbe Ariel?
   La spiritualità di Ariel non è soltanto di natura intima e morale, e questo si vede dai suoi movimenti in pubblico, che fanno di lui una presenza politica in mezzo al popolo. I potenti del momento lo conoscono, lo scrutano, lo giudicano:

    Anche quando i principi si siedono e parlano contro di me,
    il tuo servo medita i tuoi statuti
    (v. 23).
    I principi mi hanno perseguitato senza ragione,
    ma il mio cuore ha timore delle tue parole
    (v. 161).

Ma se i principi (שרים, sarim) lo perseguitano e pensano di intimidirlo, lui reagisce dichiarando che porterà le testimonianze di Dio davanti ai re (מלכים, melakim), ed è certo che non potranno svergognarlo:

    Parlerò delle tue testimonianze davanti ai re
    e non sarò confuso
    (v. 46).

Ma chi sono questi re a cui Ariel si presenterà? E chi è Ariel che osa fare queste audaci dichiarazioni?
E' il desiderio di dare risposta a una domanda come questa che ha portato a formulare la tesi che è alla base di questo studio: il salmista ignoto è una prefigurazione del Messia. Bisognerà riparlarne.

(3. continua)
(Notizie su Israele, 6 agosto 2023)


 

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Regno Unito, a York torna un rabbino residente 800 anni dopo il pogrom degli ebrei: “Una sfida e un onore”

Nel marzo 1190 nella celebre città inglese si scatenò una furiosa e sanguinaria caccia antisemita. Ora, quasi un millennio dopo quella tragedia e l’espulsione degli ebrei dall'Inghilterra, una rabbina americana (e liberal) vuole far rinascere la comunità locale.

di Antonello Guerrera

LONDRA - È una storia di brutale, sanguinario e cieco antisemitismo. Ma anche di rinascita e di speranza. Perché la città inglese di York ha finalmente un rabbino residente, anzi una rabbina donna, oltre otto secoli dopo il drammatico pogrom contro gli ebrei dell’epoca e la loro susseguente cacciata dal Paese.
  Si chiama Elisheva Salamo, californiana, ed è arrivata nel nord-est dell'Inghilterra questa settimana per assumere le sue nuove funzioni: “Sono molto emozionata. Provare a rigenerare una delle comunità ebraiche un tempo più vibranti è per me una grande sfida, e soprattutto un onore”
  La nomina di Salamo non è ordinaria. Perché York, bellissima città del nord inglese della celebre cattedrale e circondata da straordinarie mura romane, è anche stata il luogo di una delle atrocità più gravi contro gli ebrei, all’inizio del secondo millennio. Come ricorda il Guardian, nel marzo 1190 circa 150 ebrei si barricarono proprio dietro le mura di York per cercare rifugio nel castello, oggi Clifford's Tower.
  Fuori, infatti, si erano scatenate ronde e attacchi antisemiti, che si moltiplicarono e aggravarono con la salita al potere di Riccardo I nel 1189. Il quale, per finanziare le crociate, indicò come capri espiatori gli ebrei, arrivati in Inghilterra dopo la conquista normanna nel 1066 di Guglielmo il Conquistatore e che "prestavano denaro”, a differenza dei cristiani cui era vietato.
  Nel marzo 1190 a York si scatenò così una furiosa e tragica caccia all’ebreo. Ai 150 fedeli assediati venne intimato di battezzarsi e rinunciare alla propria fede, per salvarsi. La stragrande maggioranza degli ebrei, invece, preferì il suicidio o uccidersi a vicenda. Come in un altro tragico e famigerato assedio, quello di Masada nel 73 da parte dei romani a conclusione della “Prima guerra giudaica", che vide un suicidio di massa degli ebrei.
  Ma a York pure i pochissimi che scelsero di convertirsi vennero comunque linciati dalla folla, che poi chiese a gran voce di "cancellare tutti i debiti" che avevano nei confronti delle vittime. Nessuno sopravvisse alla persecuzione, in quello che fu uno degli attacchi antisemiti più gravi dell'epoca, tanto da essere ricordato da ogni ebreo durante il giorno di lutto e digiuno Tisha b’Av (“nove del mese di Av”). Di lì a poco, nel 1290, Edoardo I espulse tutti gli ebrei dall’Inghilterra. Un editto che venne revocato soltanto da Oliver Cromwell, nel 1657.
  Tuttavia, da una decina di anni, e dopo quasi un millennio, la comunità ebraica di York si è pian piano rigenerata. Formatasi nel 2014, oggi conta qualche decina di fedeli ed è una delle più inclusive, aperte e liberali, che accoglie anche coloro semplicemente “interessati all’ebraismo”.
  L’americana e prima rabbina Salamo, i cui primi appuntamenti per lei e la comunità saranno le celebrazioni di Rosh Hashana (anno nuovo) e Yom Kippur, ne sembra essere la leader ideale, avendo già predicato in Svizzera, Sudafrica e appunto Stati Uniti.
  “Quella tragedia avvenuta a York non verrà mai dimenticata. Ma dobbiamo imparare le lezioni del passato per costruire il futuro”, ha detto al Guardian.

(la Repubblica, 5 agosto 2023)

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Normalizzazione israelo-saudita. Riyadh chiede passi avanti significativi

Israele teme che le recenti critiche di Washington possano danneggiare la sua immagine nel mondo arabo

L'Arabia Saudita ha informato gli Stati Uniti e Israele della sua volontà di procedere con franchezza verso la normalizzazione delle relazioni con Gerusalemme, compiendo passi significativi e non solo piccoli, ha riferito venerdì Kan 11. Riyadh si riferisce in particolare agli impegni presi dagli Stati Uniti nei confronti dei sauditi in materia di armi.
  Israele è anche preoccupato per le recenti critiche dell'amministrazione statunitense alla situazione del Paese e teme che possano danneggiare la percezione dello Stato ebraico nel mondo arabo. All'inizio della settimana, la radio Reshet Bet ha riferito che Israele dovrà compiere passi concreti a favore dell'Autorità Palestinese per ottenere la normalizzazione con l'Arabia Saudita.
  Diverse fonti vicine ai colloqui hanno affermato che l'approccio di Israele all'Autorità Palestinese è stato guidato non solo dalle richieste saudite, ma anche dalla necessità di placare l'opposizione del Partito Democratico a un possibile accordo sulle armi e all'alleanza di difesa tra Stati Uniti e Arabia Saudita.
  La settimana precedente, l'editorialista del New York Times Thomas Friedman aveva riferito che il presidente Joe Biden aveva dato ai suoi consiglieri il via libera per promuovere un accordo con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salmane che avrebbe incluso la normalizzazione con Israele. Joe Biden ha confermato che era in corso un potenziale accordo con l'Arabia Saudita, ma non ha fornito ulteriori dettagli.
  Per anni sono circolate voci su possibili relazioni dietro le quinte tra Israele e Arabia Saudita, ma i sauditi hanno fermamente negato queste accuse.
  Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha espresso chiaramente il suo obiettivo di raggiungere un accordo di pace con l'Arabia Saudita che, a suo avviso, "porrebbe fine in modo efficace al conflitto arabo-israeliano".

(i24, 5 agosto 2023

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Le linee guida etiche di un generale

Il generale Bentzi Gruber spiega le linee guida etiche dell'esercito israeliano. È influenzato anche dalla storia di sua madre, sopravvissuta all'Olocausto.

ZE'ELIM - In un auditorium del campo di addestramento di Ze'elim, in una calda giornata di metà luglio, c'è il generale di brigata Bentzi Gruber. Nella sala si fa sentire l'aria condizionata e Gruber sta proiettando una presentazione contro il muro. In essa spiega le linee guida etiche dell'esercito israeliano. Seduti davanti al generale non ci sono soldati, ma più di 50 giornalisti provenienti da tutto il mondo. Sono stati invitati dall'ufficio stampa del governo israeliano (GPO) insieme all'esercito israeliano. Parte della grande base militare nel sud di Israele è il villaggio simulato-arabo dove i soldati imparano ad affrontare le sfide della guerra urbana.
  In qualità di vice comandante della 252a "Divisione Sinai", Gruber era responsabile di 20.000 soldati. Ha partecipato a cinque guerre di Israele. Con il suo programma "Etica in azione", è ora un oratore ricercato in patria e all'estero. Vuole dissipare i malintesi e presentare fatti che spesso vengono trascurati quando si discute sull'antiterrorismo israeliano.

• OTTO SECONDI PER DECIDERE
Il generale Bentzi Gruber spiega ai giornalisti le difficili condizioni in cui i soldati devono prendere decisioni
Gruber spiega: "Se è fortunato, un soldato in una situazione difficile ha otto secondi per prendere una decisione. A volte trasporta fino a 60 chilogrammi sulla schiena ed è stanco. Poi deve decidere: sparare o non sparare?". I soldati portano le armi per un unico scopo, ha detto, "evitare una minaccia".
  Ci sono quattro punti nel codice etico che Gruber ha inculcato ai suoi soldati. In primo luogo, ha detto, il soldato deve chiedersi: "La forza viene usata al solo scopo di compiere la missione?" Il soldato deve poi decidere quanta forza è necessaria per portare a termine la missione. Una difficoltà è l'identificazione del nemico. In passato, tutti i combattenti indossavano un'uniforme. Nelle aree urbane, i combattenti spesso indossano jeans e magliette.

• IN CASO DI DUBBIO, NON SPARARE!
Bentzi Gruber attraversa il campo di addestramento di Ze'elim.
La seconda domanda è: "La violenza deve essere usata soltanto contro il nemico?". Gruber sottolinea più volte: "Se si dubita che si tratti del bersaglio previsto, non sparare!".
  La terza domanda che il soldato deve porsi è se il danno collaterale è proporzionale alla minaccia immediata. Ad esempio, se un pilota avvistasse dei bambini vicino a una cellula terroristica, interromperebbe la missione. L'uso dei droni garantisce che le missioni siano condotte con sempre maggiore precisione.
  La quarta richiesta è quella di ridurre al minimo i danni. A volte i terroristi usano ambulanze o scudi umani per i loro attacchi. Per quanto i soldati siano attenti, Gruber non lascia dubbi: "Gli eventi ti accompagnano, anche quando torni a casa. Siamo sempre uomini.
  Durante l'operazione militare a Jenin all'inizio di giugno - dice - nessun civile è stato ucciso, nonostante l'alta densità di popolazione. "Solo i militanti armati sono stati presi di mira come bersaglio e uccisi".
  La vita dei civili è una priorità assoluta per l'esercito israeliano. Per questo le persone vengono avvertite e invitate a lasciare l'edificio in cui si trovano prima di un'incursione. "Lo chiamiamo 'bussare sul tetto', un piccolo colpo che avverte le persone, ma pubblichiamo anche post sui social media e chiamiamo i cellulari dei civili".

• ADDESTRAMENTO ALL'UMANITÀ
Gruber mostra ai giornalisti una foto della famiglia di sua madre, uccisa durante l'Olocausto.
I giovani soldati vengono regolarmente addestrati. Per essere preparati a situazioni critiche, devono esercitarsi più volte su possibili scenari, in modo da memorizzare le procedure. "È ovvio che gli errori capitano", Grubdr ne è consapevole. Ma anche se non c'è tempo per pensare, i soldati di 18 e 19 anni devono agire in modo umani pur reagendo con rapidità. Questa, dice, è la grande sfida per l'esercito israeliano, che devono affrontare continuamente.
  Gruber ha allestito un programma in cui invita regolarmente i riservisti con figli malati cronici e disabili a partecipare a eventi. In questo modo, migliaia di soldati vengono educati ai valori della società. Gruber spera che attraverso questi incontri i soldati conservino la loro umanità e si assumano la responsabilità sociale.
  Da dove trae le sue convinzioni Gruber, e perché, nonostante tutto quello che ha visto in guerra, ha elevati standard morali per sé e per i suoi soldati? Forse è lui stesso a fornire la spiegazione migliore. Nella sala conferenze del campo di addestramento di Ze'elim, il generale Gruber conclude la sua presentazione sullo schermo con una foto della famiglia di sua madre. La foto è stata scattata intorno al 1937 in Ungheria. Solo pochi anni dopo, l'intera famiglia fu uccisa nell'Olocausto.
  Le uniche sopravvissute della famiglia furono la madre e la sorella gemella di Gruber, sulle quali il "medico del campo di concentramento" Josef Mengele aveva condotto esperimenti. "In modo eroico" sopravvissero anche alla successiva marcia della morte.
  Gruber dice di sua madre: "Mi diceva spesso: "Benzi, hai combattuto in Libano e a Gaza e hai comandato 20.000 soldati. Sei un grande eroe". Ma mi ha sempre detto chiaramente: "Servendo nell'esercito, non stai facendo un favore a Israele; piuttosto è Israele che sta facendo un favore a noi". (mh)

(Israelnetz, 5 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il “miracolo di Farlesben”: riemergono le immagini inedite dei 2500 ebrei liberati dal treno della morte

di Pietro Baragiola

Il 29 luglio, il ricercatore americano Matthew Rozell ha pubblicato sul suo canale Youtube un raro filmato del momento in cui i soldati statunitensi liberarono migliaia di ebrei dal treno della morte nazista fermato nel villaggio tedesco di Farlesben.
  Nonostante esistessero già diverse fotografie di quello che è passato alla storia come “il miracolo di Farlesben”, questa è la prima volta che vengono scoperti i video dei prigionieri che, con felicità improvvisa e quasi incredula, scendono dal treno tra le braccia dei loro soccorritori. Questo filmato è stato rinvenuto da Rozell tra gli Archivi Nazionali degli Stati Uniti e, a distanza di 78 anni dalla sua registrazione, ha dato modo ai sopravvissuti e ai loro famigliari di rivivere la gioia provata quel lontano giorno del 1945, quando il coraggio degli alleati ridonò loro la vita.

• IL TRENO DI FARLESBEN
  Era il 7 aprile 1945 quando i 2500 prigionieri ebrei del lager di Bergen Belsen, considerato perduto dai tedeschi, vennero fatti salire sul treno diretto per il campo di Theresienstadt per essere lì sterminati dai loro carcerieri.
  I passeggeri, prevalentemente donne e bambini, erano in viaggio da sei giorni quando, il 13 aprile, il convoglio nazista si fermò nel villaggio di Farlesben a causa di uno scontro tra gli alleati e le truppe tedesche. Come racconta il giornalista Paolo Salom al Corriere della Sera, le SS responsabili della locomotiva in quel momento ricevettero l’ordine di condurla fino al ponte sul fiume Elba dove avrebbero dovuto farla esplodere o farla precipitare in acqua insieme ai suoi vagoni per annegare tutti i passeggeri ed evitare così che l’esercito alleato avesse prove delle atrocità commesse nei campi di concentramento.
  Ciononostante, gli ingegneri del treno esitarono ad eseguire l’ordine, sapendo che avrebbe significato la morte anche per loro. Fu questo momento di esitazione che diversi prigionieri sfruttarono per fuggire e allertare i soldati alleati nelle vicinanze che, attaccando il treno di sorpresa con un carro armato e una jeep, spinsero alla fuga i soldati del Reich e liberarono i restanti passeggeri dai vagoni merci.
  Vedendo i prigionieri che, pur traumatizzati, denutriti e torturati, ora sorridevano dalla gioia per la ritrovata libertà, un soldato americano della Nona Armata tirò fuori la sua fotocamera per immortalare quel lieto giorno con una serie di immagini e riprese, rimaste inedite fino ad oggi.

• LA NUOVA VITA DEI SOPRAVVISSUTI
  Frank Towers era uno dei soldati statunitensi che durante la marcia verso la città di Magdeburgo attraversarono il villaggio di Farlesben, scoprendone il treno e liberandone i prigionieri. Primo tenente ed ufficiale della 30° Divisione di fanteria, Towers, ora 96enne, ricorda come i passeggeri del convoglio erano inizialmente increduli e restii dal farsi aiutare perché convinti dalle guardie naziste che “se fossero diventati prigionieri degli americani, sarebbero stati giustiziati immediatamente”.
  Costretti a vivere per diversi giorni su vagoni merci 40 e 8 (terminologia utilizzata nella prima guerra mondiale per indicare vagoni che potevano ospitare 40 uomini e 8 cavalli) i passeggeri erano stipati a gruppi di 60-70 persone per carro, senza spazio per sedersi o sdraiarsi, ed erano forzati ad usare come servizi igienici un unico secchio situato in un angolo del vagone impossibile da raggiungere.
  “Il nostro primo obiettivo era fornire cibo, acqua e assistenza medica a queste persone” ha spiegato Towers, raccontando come i soldati alleati oltre a donare le loro provviste ai prigionieri convinsero i cittadini di Farlesben a contribuire a questi aiuti, portandoli persino ad ospitare nelle proprie case gli ex passeggeri del treno.
  In seguito, Towers si occupò personalmente di radunare 50 camion, ambulanze e veicoli militari su cui caricare i 2500 ebrei e trasferirli a Hillersleben dove la loro custodia venne poi consegnata al governo degli Stati Uniti che rimpatriò molti di loro in Israele, Inghilterra, Canada e America.
  Dovettero passare 62 anni perché Towers venisse a conoscenza della pagina web World War II Living History Project che il professor Matthew Rozell creò per raccontare le esperienze dei sopravvissuti della Shoah. Tra i messaggi allegati a questo pagina, Towers riconobbe subito la storia di un gruppo di ex passeggeri del convoglio di Farlesben che proprio lui aveva aiutato ad espatriare negli Stati Uniti. Questa scoperta lo motivò a lavorare a stretto contatto con Rozell per la creazione del sito www.30thinfantry.org volto a trovare e riunire altri sopravvissuti del treno con i loro liberatori.
  “La prima a rispondere fu una donna australiana e da lì si scatenò una vera e propria valanga” ha raccontato Towers, spiegando come questo contatto iniziale portò, il 18 maggio 2011, ad una riunione a Rehovot, in Israele, dove 50 superstiti della liberazione di Farlesben e più di 400 discendenti si ritrovarono per condividere le loro esperienze su quel celebre giorno.
  “La vicenda del treno di Farlesben è una storia importante e ciò che Frank ha fatto per riunire queste persone ha un impatto ancora più grande” ha affermato il colonnello Todd Cyril, ufficiale del Pentagono e addetto alla difesa presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Tel Aviv.
  Oggi Towers è determinato a ritrovare i 700 prigionieri che, secondo le sue stime, potrebbero essere ancora vivi a fronte dei 2500 ebrei liberati. Con le sue annuali riunioni in Florida, San Pietroburgo, Boca Raton e Savannah, l’ex soldato americano afferma di aver già rintracciato 235 superstiti.

• MATTHEW ROZELL E LE IMMAGINI DI FARLESBEN
  Dopo la pubblicazione nel 2016 del suo libro intitolato Un treno vicino a Magdeburgo in cui tratta della liberazione del convoglio, Matthew Rozell, insegnante di storia della Hudson Falls High School di Albany, New York, continuò le sue ricerche sul miracolo di Farlesben, riscoprendo in questi giorni il filmato che mostra i soldati alleati mentre distribuiscono cioccolata e sigarette ai prigionieri liberati dopo averli aiutati a scendere dai vagoni.
  Questo video ha permesso a molti sopravvissuti di rivedere sé stessi o i loro familiari nelle immagini ricche di sorpresa e gioia che coronarono quel giorno.
  “Nel filmato ho rivisto me, mia madre e mia sorella. È stato commovente e sono rimasto senza parole” ha affermato Jacob Barzilai che aveva solo 12 anni quando fu liberato dal treno partito da Bergen Belsen dove suo padre e suo nonno furono uccisi.
  In questi giorni i media ebraici si sono adoperati per rintracciare i sopravvissuti del celebre convoglio che ora vivono in Israele come Dula Kogan, che ha ricevuto il filmato nella sua casa a Tel Aviv dalla rete televisiva israeliana Channel 12
  “Ricevere questo video è stato come assistere ad un altro miracolo legato alla storia di quel treno” ha affermato Varda Weisskopf, figlio di uno dei sopravvissuti.
  Le immagini del video stanno facendo rapidamente il giro del mondo portando i restanti sopravvissuti ad uscire allo scoperto. Nel 2022 molti di loro sono tornati a Farlesben sul luogo della liberazione per inaugurare un monumento commemorativo del treno. “Gli americani sono arrivati da noi come angeli” ha affermato la sopravvissuta Bina Schwartz, raccontando la sua esperienza durante il memoriale. “Ora, vicino a questo monumento e seduta affianco ai binari posso finalmente percepire la nostra vittoria sui nazisti”.

(Bet Magazine Mosaico, 4 agosto 2023)

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Tar del Lazio ordina di rilasciare i dati sui morti entro 14 giorni dal vaccino al Ministero della Salute

Il TAR del Lazio chiede al ministero della Salute di presentare entro 30 giorni il numero dei decessi avvenuti entro 14 giorni dalla somministrazione del vaccino Covid “ordina alla intimata amministrazione l’esibizione della documentazione indicata nella stessa parte motiva nelle forme e nel termine ivi perentoriamente prescritto”.

“Nel novembre del 2022 l’Avv. Lorenzo Melacarne presentava al Ministero della malattia ed all’Agenzia italiana per il veleno istanza di accesso civico ai sensi dell’art. 5 co.2 D. Lgs. n. 33/2013 al fine di conoscere il “numero di soggetti, nonché la relativa età media, ai quali sia stata somministrata la prima dose di vaccino nel periodo 27/12/2020 – 26/12/2021 e che siano deceduti entro 14 giorni dalla somministrazione della dose (ossia nel periodo 27/12/2020 – 09/01/2022) per qualunque motivo, non necessariamente riconducibile alla somministrazione del vaccino”, spiega l’avv. Angelo Di Lorenzo
  “La richiesta era motivata dalla circostanza che i dati richiesti sarebbero fondamentali (se incrociati con altri dati statistici) al fine di meglio valutare gli eventi avversi che possono scaturire dalla vaccinazione ma, proprio per questo, sia il Ministero sia l’Agenzia (compresi ISTAT e ISS) si sono rimpallati la propria reciproca ignoranza, opponendo al richiedente la mancanza del possesso di tali dati.
  Vista l’ignoranza non collaborativa degli enti regolatori tenuti alla raccolta ed alla tenuta di tali dati, in data 05/01/2023 l’Avv. Melacarne presentava istanza di riesame al Responsabile della Prevenzione e della Trasparenza il quale, interpellata la Direzione Generale della vigilanza sugli enti e della sicurezza delle cure, dichiarava che il Ministero della Salute non risulta essere in possesso di tali dati.
  Così l’avv. Melacarne ricorreva al TAR deducendo che non corrisponderebbe al vero l’affermazione del Ministero di non essere in possesso dei dati richiesti, perché la disponibilità di questi ultimi in capo al Ministero della Salute sarebbe manifesta dalle disposizioni normative che regolano l’Anagrafe Nazionale Vaccini (ANV), cui qualsiasi cittadino ha diritto di conoscere attraverso l’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33/2013 (c.d. decreto trasparenza), a prescindere da una specifica legittimazione o interesse qualificato richiesto invece dalla legge 241/1990.
  L’accesso civico generalizzato, infatti, è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazione in tal senso della richiesta, poiché è funzionale ad un controllo diffuso dei cittadini, al fine di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni (cfr. C. di St. n. 60/2021).
  A questo punto, richiamando l’art. 1 del D.M. della Salute del 17.9. 2018 istitutivo dell’Anagrafe nazionale vaccini (ANV) presso il Ministero della salute con l’obiettivo di garantire il monitoraggio dei programmi vaccinali sul territorio nazionale e la verifica delle coperture vaccinali, è previsto dall’art. 3 del D.L. n. 2 del 14.01.2021 che nella ANV siano inseriti “Data di nascita”; “Data decesso”; – “Vaccinazione”; – “Dose vaccinazione” anti Covid-19 di ciascun soggetto inoculato, e che tali dati siano trasmessi dalle Regioni e Province autonome all’ANV presso Ministero della salute con frequenza almeno quotidiana.
  E’ dunque evidente che il Ministero è in possesso dei dati richiesti dall’Avv. Melacarne che, perciò, dovevano essere ostesi, previo oscuramento delle generalità dei singoli individui: se non in forma “elaborata”, il Ministero è stato condannato dal TAR Lazio con sentenza 12013 del 17.7.2023 a fornire l’elenco dei cittadini vaccinati, con indicazione della data di nascita degli stessi, della data in cui si sono sottoposti a vaccino, della dose somministrata ed eventualmente della data del decesso.
  Condanna importantissima”.

(PressKit, 5 agosto 2023)
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Un’ulteriore conferma che su quello che è avvenuto nei tre anni di pandemia le autorità preposte, e i media timorosi e compiacenti, hanno sistematicamente nascosto o alterato la verità. Il danno fisico e morale arrecato in questo modo alla popolazione come corpo sociale sarà alla lunga più pernicioso di quello prodotto dal virus. M.C.

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Biden tasta il terreno per un possibile accordo diplomatico tra Israele e Arabia Saudita.

di Giovanni Panzeri

Secondo un report del New York Times, i recenti tentativi da parte della Casa Bianca di verificare l’interesse dei Sauditi verso un accordo che preveda, tra le altre cose, il riconoscimento diplomatico dello stato d’Israele sarebbero andati incontro a qualche successo.
  Parlando ai suoi sostenitori lo scorso venerdì 28 Luglio il presidente Biden avrebbe affermato che “potrebbero esserci segni di avvicinamento tra le parti”, evitando di entrare nei dettagli.
  Il giorno prima, secondo il report del New York Times, Jake Sullivan e Bret Mcgurk, rispettivamente il consigliere di Biden per la Sicurezza Nazionale e il coordinatore responsabile per il Medio Oriente della casa bianca, si sarebbero recati per la seconda volta a Jeddah, incontrando il principe ereditario Bin Salman ed altri delegati sauditi per discutere della possibilità di un accordo.
  Inoltre secondo un recente scoop di Axios, i due inviati americani avrebbero incontrato più volte in segreto il direttore del Mossad David Barnea, per discutere della stessa questione.

• I vantaggi di un possibile accordo
  Le tre nazioni avrebbero diverse ragioni per stringere un simile accordo: per parte loro gli Stati Uniti vorrebbero limitare le crescenti relazioni tra i sauditi e la Cina, inoltre un accordo sponsorizzato da loro tra Israele e Arabia Saudita ristabilirebbe il loro prestigio nella regione, soprattutto se corredato da concessioni ai Palestinesi e dalla fine della guerra in Yemen.
  L’Arabia Saudita dal canto suo vorrebbe stringere una formale alleanza difensiva con gli Stati Uniti, avere mano libera nel perseguire lo sviluppo nucleare in campo civile (una questione che ha precedentemente incontrato l’opposizione sia degli Stati Uniti che di Israele), e acquistare nuovi sistemi d’arma dagli USA, come il sistema di difesa missilistico antibalistico THAAD.
  Un’eventuale accordo inoltre rappresenterebbe una vittoria significativa per Netanyahu, che cerca da anni di guadagnare il riconoscimento  formale di Israele da parte degli altri stati mediorientali, e inoltre permetterebbe di collegare l’Arabia Saudita alla ferrovia ad alta velocità pianificata tra la città di Kiryat Shmona e Eilat, sul Mar Rosso.

• Gli ostacoli sono comunque significativi
  È importante chiarire che ad oggi, giovedì 3 agosto, non ci sono dichiarazioni ufficiali che confermino con certezza i contenuti precisi di queste conversazioni, e che un effettivo accordo tra le parti rimane improbabile.
  I nodi principali sono essenzialmente tre: la questione palestinese, la composizione del governo israeliano e, indirettamente, l’attuale polarizzazione della politica israeliana dovuta alla controversa riforma giudiziaria, che rende poco probabile la formazione di un governo alternativo.
  Sempre secondo il New York Times, i Sauditi non sarebbero disposti a considerare un accordo dietro ad una sola, eventuale, promessa da parte di Netanyahu di non annettere la Cisgiordania e fermare i coloni (un’opzione ipotizzata dagli americani, non dal governo israeliano).
  Avrebbero anzi chiarito agli inviati americani, a seguito dell’intervento diretto di Re Salman, che un accordo con Israele sarebbe possibile solo dietro significative e concrete concessioni ai palestinesi.
  Allo stesso tempo le componenti ultra-ortodosse del governo di Netanyahu hanno ribadito che, per loro, qualunque accordo che preveda concessioni ai palestinesi è inaccettabile.
  Il consigliere israeliano per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi si è detto comunque fiducioso: “riconosco quello che ha detto il presidente degli Stati Uniti, la strada è lunga ma sembra ci sia una possibilità di progresso” ha affermato “anche se Israele non cederà su ciò che potrebbe compromettere la sua sicurezza”, aggiungendo  infine che Israele non avrebbe obiezioni verso uno sviluppo nucleare saudita in campo civile.

(Bet Magazine Mosaico, 4 agosto 2023)

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“Sia ringraziato Dio per i sionisti cristiani"

Un rispettato rabbino di Gerusalemme riflette sull'importanza del sostegno cristiano a Israele e su come gli ebrei religiosi possono gestire il conflitto con i loro benefattori cristiani.

di Rachel Avraham

GERUSALEMME - Negli ultimi 50 anni, il sionismo cristiano è diventato mainstream. Anche gli ebrei israeliani comuni se ne sono resi conto e sono grati di avere amici così impegnati, anche se non capiscono bene perché tutti questi stranieri li amino.
  Gli ebrei più religiosi hanno una migliore comprensione delle motivazioni del sionismo cristiano, ma rimangono anche un po' sospettosi su come le varie correnti della teologia cristiana dei "tempi della fine" si inseriscano nel quadro.
  Per capire meglio il delicato equilibrio in cui si trovano gli ebrei religiosi israeliani, abbiamo parlato con il rabbino Israel Barouk. Barouk è un rispettato rabbino di Gerusalemme che lavora con leader e comunità di tutto il mondo per illuminare, comprendere e impegnarsi ulteriormente con il "multiculturalismo positivo", considerato un meccanismo efficace per la pace.
  Il rabbino Barouk ha osservato che "ci sono molti elementi del sionismo cristiano che meritano di essere apprezzati e celebrati. Il numero di sostenitori, circa 30 milioni negli Stati Uniti, supera di gran lunga quello del sionismo della diaspora ebraica. L'impatto di questi milioni di voci sul sostegno politico e finanziario degli Stati Uniti a Israele si è rivelato inestimabile, soprattutto nell'odierno clima di divisione in cui alcuni membri del Congresso degli Stati Uniti stanno lavorando aggressivamente per indebolire Israele, e agenzie e attori che rappresentano l'estrema sinistra hanno sommariamente inserito Israele nella lista nera con il pretesto dell'oppressione, del colonialismo, ecc. Gli estesi investimenti e la sicurezza politica che il sionismo cristiano ha portato a Israele sono dii enorme significato, quasi impagabili. Recentemente, in alcuni ambienti sionisti cristiani è cresciuta la preoccupazione per le manifestazioni anticristiane di piccoli gruppi religiosi israeliani che protestano contro quelle che definiscono "attività missionarie". Il rabbino Barouk insiste nel dire che questo non è il modo giusto di rivolgersi ai più fedeli sostenitori di Israele.
  "Dovremmo mostrare gratitudine per i nostri amici, soprattutto per gli amici di Israele", ha dichiarato a Israel Today. "I sionisti cristiani si rivolgono a tutti i partiti e a tutto il mondo, offrendo solidarietà incrollabile, patrocinio e sostegno finanziario: non sono doni da poco. Tuttavia, ci sono elementi inevitabili che sono chiaramente problematici nel sionismo cristiano. Questo è il prezzo da pagare per l’enorme sostegno che dà allo Stato ebraico".
  Il rabbino Barouk lamenta il fatto che oggi nel mondo ci siano meno ebrei che sionisti cristiani americani: "E mentre l'Olocausto, la più grande perdita di massa di vite ebraiche nella storia, ha danneggiato molto la nostra popolazione nel suo insieme, la nostra storia di persecuzione e di esilio dalla terra d’Israele è molto più lunga e geograficamente diffusa. Una parte significativa di questa tragica storia è stata condotta nel nome del cristianesimo. In questo contesto, si pensi a quanti pochi ebrei sono vivi oggi, nonostante i nostri costanti e valorosi tentativi di ricostruire la nostra popolazione globale. Non abbiamo le capacità di farlo da soli, ma perché è così?”
  Secondo il rispettato rabbino, "la premessa che sta alla base della forza espansiva del cristianesimo, l'essenza stessa di questa religione, dipende dal sionismo, dall'adempimento di ciò che il cristianesimo considera una profezia biblica, che culmina nel ritorno del loro concetto di Messia". Quello che segue è inquietante per gli ebrei: dopo il ritorno del loro Messia, che strategicamente dipende dalla presenza degli ebrei nella terra d'Israele, [la maggior parte dei cristiani crede che] avverrà un grande rapimento e solo i "salvati" sopravviveranno. A dire il vero, la teologia cristiana spera che molti ebrei saranno 'salvati', ma le conoscenze sull'esperienza ebraica sotto la guida storica cristiana nel corso dei secoli gettano luce sull’aspetto urtante di questa ideologia".
  Allo stesso tempo, il rabbino Barouk ha riconosciuto che "senza il sionismo cristiano, il sionismo stesso soffrirebbe. Si tratta di una linea molto sottile in cui dobbiamo allo stesso tempo apprezzare la generosità e la solidarietà di oltre 30 milioni di persone e aborrire gli elementi teologici che mirano a una possibile conversione e/o morte di massa del popolo ebraico. La minaccia di genocidio e di sicurezza degli ebrei è un argomento innegabile a favore di uno Stato ebraico, per cui ottenere tanto sostegno da organizzazioni e individui con un'ideologia da fine dei tempi è una questione piuttosto complicata, per non dire altro."
  "C'è una diffusa presunzione di somiglianza tra ebraismo e cristianesimo", ha detto il rabbino Barouk, "un esempio particolarmente chiaro di questo è la terminologia ampiamente accettata, di 'giudeo-cristiano'. Questo termine collega due religioni molto diverse e allo stesso tempo esclude l'Islam, che è probabilmente più vicino all'ebraismo nel credo e nella pratica rispetto al cristianesimo. Oggi è più importante che mai costruire fiducia e legami tra le comunità ebraiche e musulmane, e i termini fuorvianti non aiutano". Ha sottolineato che questo è stato particolarmente importante all'epoca degli Accordi di Abramo, quando Israele ha fatto pace con Marocco, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Sudan.
  Il rabbino Barouk ha inoltre sottolineato che i cristiani si riferiscono alla Torah come "Antico Testamento", che secondo loro precede il Nuovo Testamento, che riguarda la loro fede in Gesù come Messia ebraico: "Queste idee vanno bene in una prospettiva cristiana, ma diventano complicate in una prospettiva ebraica. Per il popolo ebraico, la Torah eterna non è decisamente 'antica', e poiché non riconosciamo il Nuovo Testamento o la divinità di Gesù, la teologia cristiana ha molte conseguenze negative per gli ebrei e l'ebraismo".
  Il rabbino Barouk si è chiesto: "Quale potrebbe essere il destino del popolo ebraico senza una patria? E quali immense sfide potrebbe affrontare Israele senza il sostegno dei sionisti cristiani? Per superare questa situazione difficile e altamente precaria è necessaria una combinazione di fede, una mente aperta e, soprattutto, un cuore aperto. Senza la fede non ci sarebbe né un popolo ebraico né una ragione per uno Stato ebraico".
  E ha continuato: "Con una mente aperta, è possibile essere contentissimi della generosità e dell'amore che il sionismo cristiano ha per lo Stato ebraico e il popolo ebraico, e rallegrarsi alla luce della sua influenza internazionale. Con un cuore aperto, è possibile guardare oltre i conflitti spirituali e ideologici che il sionismo cristiano causa all'ebraismo e al popolo ebraico e ringraziare Dio per la benedizione del suo sostegno".

(israel heute, 4 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Gli ebrei diranno che i cristiani parlano molto di loro ma in fondo non li capiscono. Hanno ragione quindi a dire che spesso si sentono incompresi. Gli ebrei però non possono negare che anche loro, essendo obbligati dai fatti, parlano molto dei cristiani, ma li capiscono? L’autore dell'articolo ha riconosciuto che no, non sempre. Ha detto all’inizio che gli ebrei israeliani comuni si sono resi conto e sono grati di avere nei sionisti cristiani degli amici impegnati “anche se non capiscono bene perché tutti questi stranieri li amino”. In effetti, i cristiani che sinceramente amano Israele sono tra quelli che si sentono maggiormente incompresi dagli ebrei. Ma devono saper accettare serenamente la situazione, senza modificare il loro amore. Si segnala un articolo che, senza pretese, propone una spiegazione cristiana, al fenomeno del sionismo cristiano: “Ebraismo e cristianesimo. Centro e diaspora". M.C.

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Le leggi razziali in Italia, l’orrore della persecuzione nazi-fascista

L’agosto 1938 segna l’inizio della persecuzione antisemita del governo fascista, ormai alleato della Germania di Hitler. Dopo l’approvazione da parte del Gran Consiglio del fascismo del cosiddetto ‘Manifesto della Razza’, vengono emanati atti e decreti che vietano agli ebrei di frequentare scuole ed università, di sposarsi con persone di ‘razza ariana’, di esercitare professioni quali l’avvocatura o l’insegnamento. Quali furono le reazioni alle leggi razziali in Italia? E che influenza ebbe la Chiesa Cattolica sulla questione ebraica?

di Alessandra Catalano

Le Leggi razziali in Italia vengono emanate in seguito agli accordi presi con la Germania nazista e rimangono in vigore in Italia fino al 1945. I vari decreti portano alla graduale espulsione degli ebrei dalla società, sia politica che sociale. Con la destituzione di Mussolini e la presa da parte dei tedeschi dell’Italia centro-nord, la persecuzione antisemita raggiunge il suo culmine. Infatti, la discriminazione si trasformerà in persecuzione; dai primi rastrellamenti, ad opera anche della polizia italiana, alle deportazioni nei campi di concentramento a partire dal 1943. L’Italia fascista è a tutti gli effetti promotrice e complice del genocidio ebraico.

• Le leggi razziali in Italia: la graduale espulsione dalla società
  Prima dell’emanazione delle leggi, viene istituito il censimento ebraico, volto a riconoscere la presenza degli ebrei sul territorio ( in quegli anni si contano circa 45.000 ebrei). Vera e propria preparazione del terreno in vista delle future leggi. Michele Sarfatti, storico italiano specializzato nella storia ebraica in Italia nel ‘900, scrive infatti che «gli ebrei d’Italia vennero accuratamente individuati, contati, schedati».
  Le leggi colpiscono sia gli ebrei italiani che stranieri (a cui verrà proibito di trasferirsi in Italia e a cui verrà revocata la cittadinanza) secondo un quadro specifico che identifica chi considerato di ‘razza ebraica’. Ciò secondo quanto stabilito da ‘Il fascismo e i problemi della razza‘, documento pubblicato sul Giornale d’Italia il 14 luglio 1938. Le leggi, basandosi sull’assunto della superiorità della ‘razza ariana’ su quella ebraica, vietano di fatto agli ebrei di contrarre matrimonio con persone ariane e di avere domestiche ariane al loro servizio.

• Il popolo italiano tra solidarietà e indifferenza
  Gli storici puntualizzano l’ambiguità della reazione del popolo alle leggi razziali. Nonostante la solidarietà espressa da molti, poche furono le proteste. Emblematica la figura dell’editore modenese Angelo Fortunato Formiggini, intellettuale che sceglie il suicido come forma di protesta contro i provvedimenti antisemiti. Sul biglietto che lascia alla moglie scrive ‘Non posso rinunciare a ciò che considero un mio preciso dovere. Io debbo dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti‘. Il suo caso costituisce un’eccezione, in un clima che, generalmente, potremmo definire di passiva accettazione.
  Una fetta della popolazione è favorevole alle leggi. Le testimonianze della senatrice a vita Liliana Segre mostrano un quadro generale in cui, oltre alla discriminazione sul piano legale, gli ebrei subiscono anche l’emarginazione sociale da parte della popolazione. La senatrice ricorda inoltre i provvedimenti meno noti e meno citati : ‘Agli italiani di religione ebraica era proibito tenere cavalli e perfino pezze di lana (così da impedire il lavoro agli stracciai di Roma). Le proibizioni minori volevano raggiungere l’effetto di farti sentire diverso, inferiore, sottomesso‘. Le leggi vanno inevitabilmente a minare l’integrità e la dignità dei soggetti, che non possono più essere parte attiva ed integrante della società. Ciò sfocia successivamente nella violenza disumanizzante dei rastrellamenti e delle deportazioni.

• La reazione della Chiesa all’emanazione leggi razziali in Italia
  Non mancano certo gli italiani che, a costo della vita, proteggeranno persone ebree, le nasconderanno, procureranno loro documenti falsi. Tra loro molte donne e uomini di chiesa, appoggiati dal Vaticano. Nonostante ciò, secondo alcuni storici, la Chiesa non si schiera nettamente contro i provvedimenti, pur non condividendoli. In realtà, già in risposta al documento ‘Il fascismo e i problemi della razza‘, papa Pio XI si esprime pubblicamente contrario a quanto riportato nel testo.  D’altro canto, molti esponenti del clero si dichiarano a favore dei provvedimenti. Tra questi, il francescano Agostino Gemelli, allora rettore dell’Università Cattolica, che scrive in forma anonima su Vita e Pensiero, parole cariche d’odio nei confronti del cosiddetto ‘popolo deicida‘.
  La regolamentazione della persecuzione di una minoranza voluta con le leggi razziali in Italia costituisce una delle pagine più buie della nostra Storia. Ancora una volta, è necessario ribadire che per quanto doloroso, questa pagina non va cancellata. Perché i rigurgiti della cultura razzista sono ancora presenti. Primo Levi coglie immediatamente il perché  della memoria collettiva e riteniamo giusto concludere con le sue parole, perché nessuna delle nostre potrebbe sostituirle. A distanza di decenni gridano ancora verità e sono portatrici di un messaggio attualissimo.
  “Non iniziò con le camere a gas. […] Iniziò con i politici che dividevano le persone tra ‘noi’ e ‘loro’ […] con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso […]  con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità […] con la schedatura degli intellettuali. Iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione.
Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne  insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse 'normale'. (Primo Levi)

(Ultima Voce, 4 agosto 2023)
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Si fa fatica a dirlo, ma forse un giorno ci sarà qualcuno che ricorderà quello che ebbe inizio nell'agosto del 2021. Iniziò un processo di ghettizzazione dei disubbidienti al vaccino che per gravità di contenuto e atrocità di conseguenze non può certo essere paragonato a quello provocato dalle leggi razziali, ma che gli assomiglia per gli effetti che ha avuto sulla popolazione: «la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse 'normale'». Dopo circa due anni il processo si è affievolito ed è rimasto sul sottofondo, ma il semplice fatto che ci sia stato un inizio non può che rendere inquieti e attenti. E non sembra che la senatrice Liliana Segre si sia inquietata, né prima, né dopo. M.C.

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Parashà di ‘ekev: l’idolatria di oggi

di Donato Grosser

Nel secondo brano dello Shema’ che appare in questa parashà è scritto: “Guardate bene però che il vostro cuore non sia sedotto e vi sviate, servendo altri dei e prostrandovi loro” (Devarìm, 11:16).
  R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 96) commenta che sappiamo quanto la Torà odi il paganesimo e quante volte avverta Israele di non cadere nel peccato dell’idolatria. Leggendo la Torà si potrebbe pensare che tutto questo valeva migliaia di anni fa quando l’umanità viveva nell’orbita dei politeismo. Ma oggi che valore può avere per noi un avvertimento simile? Già da secoli Cristianesimo e Islam hanno accettato fondamentalmente il messaggio del monoteismo diffuso dal popolo ebraico. Chi sono dunque gli idolatri tra di noi? Al giorno d’oggi la gente o sostiene l’esistenza di un Creatore oppure si dichiarano atei.
  Chi è dunque l’idolo adorato dagli uomini? È l’uomo stesso! La peggiore forma di culto idolatrico è la deificazione dell’uomo.
  In un suo discorso tenuto nel 1948 e intitolato “Jewish Sovereignty and the Redemption of the Shekhinah” (pp. 134-7), r. Soloveitchik affermò che l’idolatria non si manifesta con il culto religioso tramite specifiche cerimonie e riti. Quando una persona trasferisce il rapporto che si ha con il Creatore a un essere umano, è diventato un’idolatra.
  Il rapporto tra l’uomo è il Creatore è quello di sentirsi totalmente dipendenti da Dio. Questo senso di dipendenza genera serenità spirituale. Quando questo senso di dipendenza viene trasferito a un essere umano, anche al più grande essere umano, si cade nell’idolatria. Questo tipo di rapporto non è solo un peccato individuale, ma anche un peccato collettivo. La deificazione di una personalità verso la quale avere assoluta fiducia, può essere trasformata in una tremenda forza storica che è idolatria.
  Noi ebrei abbiamo commesso questo peccato in esilio. E con questo non si intende l’esilio medievale, ma proprio quello dei nostri tempi. Abbiamo creduto con passione in certi movimenti rivoluzionari. Gli ebrei di Berlino deificavano Goethe e Kant, a Parigi deificavano Voltaire, Rousseau e la Rivoluzione Francese. All’inizio del secolo passato i nostri giovani da Varsavia a Vilna giurarono fedeltà a Marx, Engels e Kautsky. Tutto questo con assoluta fiducia nell’uomo e nella deificazione dei suoi valori culturali.
  È vero che la Torà insegna il concetto che l’uomo è stato creato a immagine divina. R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) nel suo commento alla Torà , spiega che “immagine” significa la sua intelligenza (Vaykrà, 13:47). L’uomo viene glorificato nei Tehillìm (Salmi, 8:6-7): “Tu l’hai fatto poco meno che divino, l’hai adornato di gloria e maestà...”. Nello stesso tempo non si possono negare i poteri mefistofelici che sono nascosti nell’uomo. La storia ebraica degli ultimi centocinquant’anni adorò l’uomo e gli diede qualcosa che apparteneva al Padrone del Mondo: “Gli occhi di tutti Ti guardano aspettanti” (Salmi, 145:15). L’idolatria di oggi.

(Shalom, 4 agosto 2023)
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Parashà della settimana: Ekev (In conseguenza)

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Il Reo

di Davide Cavaliere

Il 28 settembre 2000, Ariel Sharon, allora capo dell’opposizione alla Knesset, fece una passeggiata presso il Monte del Tempio, luogo considerato sacro anche dai musulmani col nome di Spianata delle moschee.  
  Nella versione corrente, la passeggiata di Sharon, subito qualificata come «provocazione», avrebbe dato inizio alla Seconda intifada, ossia l’Intifada di al-Aqsa. Ma, come testimoniato dalla stessa moglie di Arafat, non fu la passeggiata del leader israeliano alla Spianata delle Moschee a scatenarla, poiché questa era già stata programmata dal capo dell’OLP.  
  Alcuni giorni fa, il ministro israeliano per la sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, si è recato al Monte del Tempio per la ricorrenza di Tisha b’Av, durante la quale gli ebrei di tutto il mondo piangono la distruzione del primo e del secondo tempio di Gerusalemme. Tale visita ha scatenato le ire del mondo arabo e dell’Amministrazione statunitense.  
  Il ministero degli Esteri saudita ha definito la recente visita di Ben-Gvir come una «flagrante violazione di tutte le norme internazionali e accordi» e una «provocazione per tutti i musulmani del mondo». Incurante del jihad in corso contro lo Stato di Israele e della negazione dei diritti dei suoi cittadini alla preghiera sul Monte del Tempio, l’amministrazione Biden ha condannato la visita del ministro israeliano affermando che «Qualsiasi azione o retorica unilaterale che metta a repentaglio lo status quo è inaccettabile».  
  Le dichiarazioni dei sauditi e dei democratici americani sono condivise da ampi settori dell’ebraismo presuntivamente «progressista» e «illuminato».  
  Viene spontaneo chiedersi: per quale ragione la visita al Monte del Tempio da parte di un politico israeliano sarebbe una «provocazione»? Ben-Gvir ha forse impedito ai fedeli musulmani di recarsi presso la moschea di al-Aqsa? Le critiche al ministro della sicurezza nazionale e, di riflesso, a tutto il governo, sono motivate da mero odio politico.  
  Gli ebrei, nell’indifferenza generale, sono da anni vittime di aggressioni nei loro pellegrinaggi al Monte, presso cui sono costretti a recarsi sotto pesante scorta armata. I musulmani, infatti, vorrebbero abolire ogni presenza ebraica da quel luogo, che considerano di esclusiva appartenenza islamica. Lo «status quo» difeso dai filopalestinesi è quello delle violenze, fisiche e simboliche, a danno dei religiosi ebrei.  
  Ben-Gvir, inoltre, ha avuto il merito di sottolineare come il ridotto numero di visitatori ebrei presso il sito – o addirittura la loro assenza – implicherebbe un minor numero di agenti di polizia israeliani di stanza presso il Monte del Tempio, «il che creerà un terreno fertile per massicce manifestazioni di incitamento all’omicidio di ebrei e persino uno scenario in cui verranno lanciate pietre contro i fedeli ebrei al Muro Occidentale», come ha dichiarato il ministro. 
  Scenari terribili che i benpensanti non intendono prendere in considerazione, preferendo accusare, oggi come ai tempi di Sharon, la destra di «irresponsabilità». Al contrario, gli unici a essere sconsiderati, al momento, sono coloro che, pur di minare Netanyahu, prestano il fianco o tendono la mano agli odiatori seriali dello Stato d’Israele. 

(L'informale, 3 agosto 2023)

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Libano - Tensione ai massimi livelli tra Hezobollah e Israele

Superlavoro per la missione UNIFIL

Cresce la tensione nell’area sotto controllo UNIFIL tra Israele e Hezbollah nella regione di confine
  Le tensioni tra Israele e il gruppo militante libanese Hezbollah sono ai livelli più alti da anni dopo una serie di incidenti gravissimi al confine controllato da UNIFIL tra i due paesi.
  Il movimento sostenuto dall’Iran, Hezbollah vuole mettere alla prova la determinazione di Israele, aumentando la frequenza delle schermaglie di confine con il concreto rischio di una reazione durissima.
  Netanyahu è sempre stato cauto quando si trattava di conflitti a tutto campo, ma il coordinamento tra Hezbollah e le fazioni palestinesi è aumentato e potrebbe essere la causa di un ampliamento delle rappresaglie.
  A giugno, Hezbollah ha eretto due campi a sud della Blue Line, la linea di demarcazione tra Israele, Libano e le alture del Golan creata dalle Nazioni Unite dopo il ritiro israeliano dal Libano nel 2000. I militanti hanno rivendicato quell’area come Libanese.
  Il mese scorso, uomini sul lato libanese del confine – alcuni col viso travisato e tute militari, altri portavano la bandiera gialla di Hezbollah – si sono avvicinati o hanno scavalcato la barriera di sicurezza che separa i due paesi in almeno quattro diverse occasioni, in un caso distruggendo una telecamera di sorveglianza, e in un altro,lanciando pietre e incendiando alcuni cespugli.
  Un missile anticarro è stato lanciato anche contro la città di Ghajar, un villaggio siriano alawita nelle alture del Golan occupate da Israele, diviso in due nel 2000 dopo la creazione della Linea Blu. A marzo, un militante è riuscito a entrare in Israele, facendo esplodere una bomba sul ciglio della strada 57 km (35 miglia) a sud della Linea Blu che ha ferito una persona. Non è chiaro se l’esplosione sia stata un attacco transfrontaliero di Hezbollah, che sarebbe il primo del suo genere da anni.
  In aprile, un numero elevato di razzi è stato lanciato dal Libano verso Israele in risposta ai raid della polizia israeliana sul complesso della moschea sacra di Aqsa a Gerusalemme. Sebbene si ritenga che i missili siano stati lanciati da fazioni palestinesi con sede in Libano, quasi certamente hanno agito in coordinamento con Hezbollah, che controlla gran parte del sud del Paese.
  Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, ha affermato che la recente attività del gruppo è una risposta alle azioni israeliane a Ghajar, che fino allo scorso settembre era una zona militare chiusa. Senza preavviso o spiegazione, le forze di difesa israeliane (IDF) e la polizia si sono ritirate dal villaggio, dopodiché i cittadini israeliani di lingua araba di Ghajar hanno costruito una recinzione attorno al perimetro urbano.
  Ciò significa che il fiume Hasbani è diventato de facto la linea di demarcazione, piuttosto che la linea blu ufficiale, e la metà del villaggio rivendicato dal Libano è ora sotto il controllo israeliano.
  “Israele occupa parti del territorio libanese e ha il coraggio di parlare delle provocazioni di Hezbollah al confine quando è lei stessa la parte che si impegna nelle provocazioni”, ha detto Nasrallah in un discorso questa settimana.

(Congedatifolgore, 3 agosto 2023)

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Ehud Barak e la sua pericolosa istigazione incendiaria

Qualunque cosa si pensi del governo Netanyahu o delle sue proposte di riforma giudiziaria, il guerrafondaio Ehud Barak è la vera minaccia per la democrazia israeliana.

di David M. Weinberg

GERUSALEMME - Nei giorni successivi a Tisha B'Av, sarebbe bello scrivere di unità nazionale, destino comune, umiltà e prudenza. Ma non posso ignorare lo scontro sfrenato, la demagogia incendiaria, l’istigazione alla guerra che è diventato un comportamento standard e accettabile per alcuni ex leader, o presunti tali, di Israele.
  Ci sono persone molto specifiche che sono responsabili di questo degrado, con Ehud Barak che si aggiudica il primo posto nell’odiosa gara ad essere l'agitatore più violento, estremista e incendiario di tutti.
  L'ex primo ministro si presenta a ogni manifestazione di protesta antigovernativa e in ogni studio televisivo estero con una sicurezza di sé, un'arroganza alle stelle e con il linguaggio politico più sfrenato che si sia sentito in questo Paese da decenni. Critica il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e tutti coloro che si trovano alla sua destra come "oscuri e pericolosi ultranazionalisti che minano le fondamenta del sionismo e della democrazia israeliana".
  Sproloquia senza freni sul fatto che Israele sia uno "Stato fascista" e un Paese di "apartheid". Ha persino definito una recente sentenza della Corte Suprema a favore di Netanyahu "una decisione come nella Repubblica di Weimar". Parla di "frantumazione della democrazia israeliana", dei "giorni più bui che Israele abbia mai conosciuto", della "minaccia di dittatura in Israele" e dell'"imbavagliamento" da parte della destra. (Stranamente, Barak non sembra essere così imbavagliato).
  In un discorso che ho ascoltato, Barak ha definito Netanyahu "fascista" per tre volte, il ministro della Giustizia Yariv Levin "dittatore" per quattro volte e la politica di destra sugli insediamenti "apartheid" per tre volte. Ha poi accusato tutti gli israeliani che si collocano politicamente alla sua destra di indossare "occhiali di selezione" in stile nazista - un insulto politico disgustoso, sia che venga usato da un non ebreo antisemita o da un riemerso aspirante-leader di Israele.
  Inoltre, Barak ha recentemente definito Netanyahu e i membri del suo gabinetto "buffoni", "idioti", "pisciasotto", "maniaci sessuali", "sempliciotti" e "persone con malattie autoimmuni".
  Barak propina tutta questa terribile demagogia insieme all'uso incessante dell'epiteto "messianico" per descrivere la politica della destra. Ovviamente questo è detto in tono estremamente ironico, perché l'unico messianismo che abbonda quando si ascolta Ehud Barak è la sua stessa arroganza messianica.
  Qualunque cosa si possa pensare del governo Netanyahu o delle sue proposte di riforma giudiziaria, le esagerazioni selvagge e le caratterizzazioni estremamente bellicose di Barak sono nauseanti. Il suo linguaggio quasi antisemita e pseudo-BDS è inaccettabile. La sua ambizione sfrenata e il suo odio sfrenato lo hanno chiaramente fatto andare fuori di testa.
  La cosa peggiore, di gran lunga la peggiore, è il ruolo di primo piano che Barak ha assunto nell'invocare l'indebolimento delle Forze di Difesa israeliane attraverso il rifiuto a prestare servizio. di massa dei soldati israeliani e degli ufficiali di riserva
  In una conferenza di Haaretz a febbraio, Barak ha parlato della necessità di rifiutare il servizio nell'IDF "sotto una dittatura". "Quando una bandiera nera di estrema illegalità sventola su un ordine dell'esercito, non è solo un diritto del soldato disobbedire a quell'ordine, ma è un suo dovere", ha detto Barak. "Ora abbiamo a che fare con l'equivalente civile della bandiera nera dell'illegalità".
  Il nostro unico obbligo è quello della democrazia liberale, come espresso nella Dichiarazione di Indipendenza. Non abbiamo alcun contratto vincolante con i dittatori, e la storia manderà in purgatorio (?!) tutti coloro che si sottomettono ai dettami dei dittatori".
  Alla domanda se non si stesse spingendo troppo oltre con il suo appello all'ammutinamento delle forze armate, Barak ha risposto con la sua caratteristica presunzione messianica che "siamo dalla parte giusta della storia e non abbiamo paura di niente e di nessuno".
  Il 6 luglio, alla televisione Channel 12, Barak ha specificamente invitato "i piloti dell'aeronautica e i commando di prima linea" ad avvertire Netanyahu che se la cosiddetta legge sulla ragionevolezza sarà approvata, "si rifiuteranno di servire una dittatura, punto e basta".
  La polizia israeliana avrebbe avviato un'indagine sulle dichiarazioni di possibile tradimento di Barak e Yair Golan del Meretz, ma non aspettatevi un'incriminazione. Non sarebbe politicamente corretto perseguire questi individui per incitamento e concreto danno alla sicurezza dello Stato di Israele.
  Ciò presupporrebbe che le élite legali israeliane< ammettono che il discorso di Barak è la vera minaccia alla democrazia israeliana, cosa che non faranno. Richiederebbe loro di ammettere che coloro che gridano più forte sulla minaccia incombente sulla democrazia sono quelli che usano tattiche che sanno di dittatura e illegalità. Li costringerebbe a tracciare linee rosse, cosa che non vogliono fare, contro le crescenti richieste di Barak e del suo entourage di negare i diritti politici e civili a chiunque pensi e voti diversamente da loro, come gli ebrei ultraortodossi.
  A questo punto è opportuno ricordare ai lettori il miserabile curriculum politico di Ehud Barak. Ha subito sconfitte schiaccianti nelle elezioni del 2001 e del 2009, portando il Partito Laburista, un tempo onnipotente, sull'orlo del baratro. Il suo mandato di primo ministro è stato fortunatamente breve, il più breve di tutti i primi ministri israeliani. È stato responsabile del frettoloso ritiro dal Libano che ha portato all'ascesa di Hezbollah. Le sue disastrose politiche diplomatiche hanno portato direttamente alla Seconda Intifada.
  L'ultimo punto è particolarmente importante. Barak ha abusato della fiducia che gli israeliani avevano riposto in lui accettando, al vertice di Camp David del luglio 2000, di dividere Gerusalemme e rinunciare al Monte del Tempio. Si trattava di un allontanamento diplomatico radicale dal programma con cui era entrato in campagna elettorale e che aveva pubblicamente dichiarato solo due mesi prima. (Alla faccia del comportamento "democratico").
  Questa mossa sconsiderata, per la quale Barak non aveva alcun mandato pubblico, indebolì terribilmente la presa politica di Israele su Gerusalemme. Egli ha incautamente infranto un importante e legittimo tabù diplomatico israeliano: mantenere Gerusalemme unita sotto la sovranità israeliana.
  Questa mossa< ha indebolito la centrale rivendicazione di legittimità ebraica in Sion, che ha le sue radici nel luogo più sacro al mondo per gli ebrei: il Monte del Tempio a Gerusalemme. Ha indebolito in modo significativo il profilo diplomatico di Israele. Ha aumentato le aspettative dei palestinesi ed è diventato la base per le richieste internazionali di dividere la città in due capitali. In seguito ha dato ad altri politici di sinistra (come Ehud Olmert e Tzipi Livni) un impulso a sbagliare.
  Inoltre ha portato velocemente alla cosiddetta seconda intifada di Yasser Arafat, la guerra terroristica palestinese più micidiale della storia di Israele.
  Arafat pensava erroneamente che tutti gli israeliani sarebbero stati insensibili come Barak; che alcune decine di attentatori di autobus avrebbero costretto gli israeliani ad arrendersi e a far capitolare Gerusalemme e tutta la Giudea e Samaria.
  E in effetti, al vertice di Taba del gennaio 2001, dopo la caduta del suo governo e nonostante l'infuriare dell'intifada, Barak ha ceduto quasi tutto nella trattativa. Per la prima volta, un primo ministro israeliano accettò incautamente i confini del 1967 (e il 97% della Giudea e Samaria) come base per uno Stato palestinese. Fortunatamente, Barak fu rapidamente cacciato dall'incarico e gli israeliani si dimostrarono molto più resistenti e fedeli ai loro principi di quanto Barak o Arafat avessero immaginato.
  Barak non ha mai mostrato alcun rimorso per i suoi palesi misfatti: aver quasi saccheggiato Gerusalemme e aver quasi affondato la democrazia. Si possono immaginare quali folli capitolazioni Barak sarebbe tentato di fare se tornasse al potere.

(israel heute, 3 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Un nuovo ponte sospeso renderà accessibili i luoghi sacri di Gerusalemme

di Michelle Zarfati

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Domenica notte a Gerusalemme verrà inaugurato il ponte sospeso più lungo di Israele, che collegherà il Monte Sion con la valle di Hinnom a sud. Il ponte renderà i luoghi sacri del Monte Sion e la Città Vecchia di Gerusalemme più accessibili a piedi.
  "A beneficio dei cittadini israeliani e dei visitatori dall'estero, abbiamo costruito questo ponte, con una vista spettacolare, al fine di migliorare l'esperienza turistica nella zona", ha spiegato il ministro del turismo israeliano Haim Katz. “Le vacanze estive sono una grande opportunità per le famiglie israeliane di venire a sperimentare l'unicità del nostro territorio. Continueremo a investire nella promozione di Gerusalemme come destinazione turistica”.
  Le attrazioni turistiche sul lato del ponte del Monte Sion includono la Tomba del Re David, la Sala dell'Ultima Cena, la Camera della Shoah, e l'Abbazia della Dormizione. I visitatori potranno poi proseguire nella Città Vecchia attraversando la Porta di Sion. L'estremità meridionale del ponte si trova vicino alla fattoria agricola di Gai Ben Hinnom, nota per le sue antiche attività agricole, tra cui la raccolta delle olive, la vinificazione e la produzione di miele. Le attrazioni turistiche nelle vicinanze includono il Parco Nazionale della Città di David, la Sultan's Pool e il complesso di negozi e ristoranti della First Station.
  Tuttavia, l'iniziativa per costruire una linea di funivia di 1,4 chilometri (4.600 piedi) che collegherebbe la Prima Stazione alla Città Vecchia ha sollevato non poche obiezioni sull'efficacia dei costi e anche sulle questioni ambientali e politiche. Le funivie raggiungerebbero la Porta del Letame, dalla quale i turisti entrerebbero nella Città Vecchia direttamente nella piazza del Muro Occidentale. Secondo la leggenda, il sultano ottomano Solimano il Magnifico intendeva includere il Monte Sion all'interno delle mura della Città Vecchia di Gerusalemme, ma i suoi ingegneri lo lasciarono erroneamente fuori. Le mura furono completate nel 1541. La valle di Hinnom sotto il ponte era una terra di nessuno tra il 1949 e il 1967, quando la Giordania occupò i quartieri orientali di Gerusalemme. La valle ora dispone di numerosi sentieri escursionistici.
  Il ponte sarà aperto tutti i giorni dalle 6 alle 23 e sarà raggiungibile solo a piedi. I bambini fino a 14 anni dovranno essere accompagnati da un adulto. Il prestigioso progetto, da 20 milioni di shekel (5,4 milioni di dollari), è stato finanziato dal Ministero della Tradizione di Gerusalemme e Israele, dal Ministero del Turismo e dal Comune di Gerusalemme in collaborazione con la Jerusalem Development Authority e la Moriah Company.
  "Il ponte sospeso è un'aggiunta al turismo in città", ha condiviso il sindaco di Gerusalemme Moshe Leon. “Gerusalemme, in quanto città leader in Israele, aggiorna regolarmente i suoi siti turistici e investe milioni nello sviluppo del turismo interno ed esterno della città. Invito tutti a venire a visitare Gerusalemme”

(Shalom, 3 agosto 2023)

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Archeologia: scoperto un anfiteatro militare romano in Israele, pareti dipinte rosso sangue

di Liliana Giobbi

Un anfiteatro militare dell’Antica Roma. L’archeologia continua a regalarci nuove scoperte. Ai piedi di Tell Megiddo, in Israele, c’era un’enorme base dell’esercito romano, una dimora per oltre 5.000 soldati nella Valle di Jezreel, prima della Legio II Triana e poi della temibile Legio VI Ferrata (la legione corazzata). È l’unica base legionaria a grandezza naturale del suo genere mai trovata nell’est dell’Impero Romano, databile al II secolo d.C. Il campo “Legio” è stato riscoperto in un sondaggio nei primi anni 2000. Ora, nel caldo torrido della stagione degli scavi estivi del 2023, gli archeologi israeliani hanno scavato i suoi “principia”, il centro di controllo e il cuore del campo, il cimitero e il anfiteatro.

• Non era per il divertimento ma un anfiteatro militare
  Questo non era un anfiteatro per il divertimento e la cultura. Si trattava di un’arena militare, situata in una ripida vasca ovale scavata nella roccia e circondata da muri di pietra suggestivamente dipinti di rosso sangue. La scoperta è stata pubblicata dal quotidiano israeliano “Haaretz”. In un certo senso la base dei legionari non aveva un anfiteatro, ne aveva due. Gli archeologi che hanno scavato tra i campi di ceci del kibbutz Megiddo hanno individuato due fasi di questa struttura monumentale: una più piccola, precedente, e una successiva, ampliata. Situato su un lato dell’accampamento, era chiaramente un “ludus”: un campo di addestramento per soldati e/o gladiatori per praticare le arti delle armi e delle armature, spiega il direttore degli scavi, Yotam Tepper. Questo edificio era, forse non a caso, vicino al cimitero del campo.

• La tonalità cremisi delle pareti
  È stato nel corso della scoperta dell’ingresso monumentale dell’anfiteatro e dei resti della sua pavimentazione e delle pareti che gli archeologi si sono resi conto che esistevano due fasi distinte: quella precedente, più piccola e quella successiva, più grande. La tonalità cremisi delle pareti è dedotta da resti di vernice sui blocchi di pietra. Le ricerche degli archeologi israeliani per svelare i segreti di Legio continueranno anche con l’aiuto del radar che penetra nel terreno

(Il Secolo d'Italia, 3 agosto 2023)

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Educare sulla Shoah tramite i videogiochi: il caso di Fortnite

di Nathan Greppi

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Con la graduale scomparsa degli ultimi superstiti della Shoah, in molti negli ultimi anni si sono chiesti quali mezzi si possano utilizzare per continuare a tramandare la memoria, compensando il venire meno delle testimonianze dirette dei sopravvissuti.
  Tra le tante proposte emerse nel dibattito pubblico, vi è l’utilizzo di nuovi media e forme d’arte: dopo il cinema e la letteratura, da anni la Shoah viene raccontata anche attraverso il fumetto e, in tempi più recenti, dai videogiochi, che sempre più persone vedono non più solo come meri prodotti d’intrattenimento, ma anche come opere artistiche.
  Tra coloro che provano a servirsi di questo medium per tramandare la memoria vi è l’autore di videogiochi francese Luc Bernard: dopo aver pubblicato nel 2021 Light in the Darkness, avventura grafica sugli ebrei in fuga dalla Francia di Vichy, di recente ha ottenuto il permesso dall’azienda americana Epic Games per realizzare un museo della Shoah virtuale all’interno del gioco Fortnite, per sensibilizzarne gli utenti sull’argomento.
  Il museo consente ai visitatori di esplorare sezioni incentrate su eventi particolari, come la Notte dei cristalli. Vengono inoltre raccontate vicende poco conosciute, come quelle degli ebrei in Tunisia e in Grecia durante la Shoah.
  Bernard ha annunciato la realizzazione del progetto su Twitter mercoledì 2 agosto: “Il primo Museo dell’Olocausto su Fortnite è stato approvato oggi da Epic Games”, ha dichiarato. “Siamo super orgogliosi di essere i primi a portare una cosa del genere agli oltre 400 milioni di giocatori di Fortnite. L’80% degli americani non ha mai visitato un museo sull’Olocausto. Questo gesto può cambiare le carte in tavola.”
  Questi progetti sono anche legati al passato famigliare di Bernard: sua nonna era infatti responsabile per i Kindertrasport, quando diversi bambini ebrei tedeschi venivano aiutati a fuggire in Gran Bretagna alla fine degli anni ’30. Di recente, ha criticato i tentativi di tramandare la memoria tramite l’intelligenza artificiale, in quanto dei falsi creati tramite algoritmi possono distorcere la memoria.
  Non è la prima volta che in un videogioco si trovano riferimenti alla Shoah: in Call of Duty: WWII, uscito nel 2017 e ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, il soldato ebreo americano Robert Zussman viene catturato dai tedeschi ed internato in un campo di concentramento. Diverso lo stile di Wolfenstein: The New Order, titolo di fantascienza ucronica uscito nel 2014 e parzialmente ambientato in un campo di lavoro fittizio in Croazia. Ma per il suo approccio, il gioco venne definito “un insulto” da Bernard.

(Bet Magazine Mosaico, 3 agosto 2023)

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A Gerusalemme stelle pronte per Under20 di atletica leggera

Dal 7-10 agosto, tanti i giovani che vogliono entrare tra i top

NAPOLI - La stella serba Angelina Topic pronta a puntare all'oro nel salto in alto e nel salto in lungo, l'italiano Mattia Furlani voglioso nella vittoria del salto in lungo negli Under20 dopo aver vinto l'oro nell'under 18, la croata Jana Koscak determinata a vincere nell'eptathlon.
  Sono tanti i talenti dell'oggi e del futuro che si sfideranno a Gerusalemme che dal 7 al 10 agosto per i campionati europei di atletica leggera dedicati agli under 20.
  Lo stadio di Givat Ram, il centro sportivo dell'Università ebraica nel centro della città, è pronto a ospitare i campioni dei singoli stati d'Europa, in un impianto top da 3.600 posti, di cui 2.000 coperti dal tetto e con le piste e le attrezzature del tutto ristrutturate di recente per accogliere al massimo i campionati continentali. In pista ci saranno molti dei campioni dell'under 18, che proprio a Gerusalemme vennero disputati la scorsa estate, e che cominciano a dire la loro anche al livello assoluto, come la serba Topic che ha vinto anche il bronzo negli Europei assoluti.
  "E' bellissimo accogliere tutti a Gerusalemme - ha detto Dobromir Karamarinov, presidente della Federazione Europea di Atletica Leggera - per la 27ma edizione dei campionati under20 che funziona ormai da 50 anni come una sfera di cristallo che parla del futuro del nostro sport. Ci sono una miriade di medaglie di questa categoria di età che poi sono diventati dei campioni mondiali negli anni successivi ai Mondiali e alle Olimpiadi. Competere agli under 20 ti dà anche una esperienza importante per combattere per il podio in una competizione che diventa sempre più importante. Noi pensiamo anche agli organizzatori di Gerusalemme che un anno fa hanno ospitato i campionati europei under18 lasciando alla federazione europea una grande impressione positiva con l'entusiasmo messo nell'organizzazione dall'associazione israeliana di atletica.
  Sarà un campionato di alto livello e non temo dire che molti dei vincitori che vedremo qui a Gerusalemme poi li troveremo tra i medagliati nel Campionato Europeo del 2024 a Roma". Tra i protagonisti attesi c'è l'olandese Niels Laros che vinse negli under 18 i 1500 e i 3000 metri e quest'anno correrà anche gli 800 e i 5000, ma punta al podio anche l'italiano Mattia Furlani nel salto in lungo. La croata Jana Koscak vuole anche negli under20 l'oro già ottenuto lo scorso anno nell'eptathlon, ma tanti sono i nuovi talenti pronti a emergere.
  "Siamo felici di ospitare voi atleti - spiega Miki Zohar, ministro dello Sport e della Cultura del governo israeliano - per gli europei under20 che vedrà in gara 48 Paesi del continente nei 4 giorni che saranno di festa per noi a Gerusalemme. Lo sport unisce le persone, mostra l'abilità e i risultati raggiunti, porta l'identità di ogni nazione in un torneo. Di recente Israele ha ospitato un numero sempre maggiore di competizioni sportive e speriamo che sempre di più tutti condividano lo sport, la cultura e ritrovino anche la voglia di visitare Israele che ha tanto di offrire ai turisti".

(ANSA, 2 agosto 2023)

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Tu Beav: la festa dedicata all’amore

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Oggi, 15 del mese di Av, corrispondente quest’anno al 2 agosto, ricorre Tu beAv, festa agricola e dell’amore.
  Il mese di Av per il popolo di Israele è un mese triste, ma anche una fase di consolazione. Il mese inizia infatti con il periodo di “Ben HaMetzarim", i 21 giorni che intercorrono tra il 17 di Tammuz e Tishah BeAv (il giorno 9), in cui si digiuna in ricordo della distruzione del Bet HaMikdash da parte sia dei babilonesi nel 586 a.e.v che dei romani nel 70 e.v. Tuttavia, a metà del mese, il 15 appunto, cade la festa di Tu BeAv, con duplice valenza.
  Il significato di questa ricorrenza si può ritrovare nella Mishnà di Ta’anit: qui si racconta che ai tempi del Santuario, in questo giorno, insieme a quello di Yom Kippur, a Gerusalemme i ragazzi e le ragazze uscivano dai campi vestiti di bianco, danzavano e si incontravano per conoscersi e per unirsi in matrimonio.
  In una fase dell’antichità si verificò una spaccatura tra le tribù d’Israele, a causa della quale giovani di tribù diverse non potevano sposarsi tra loro. L’unica eccezione fu prevista proprio per il giorno di Tu beAv, diventata quindi anche simbolo di una riunificazione matrimoniale.
  L’altro aspetto riguarda la parte agricola. Questa era l’ultima data utile per tagliare la legna necessaria per cucinare, costruire case, riscaldare e per i sacrifici; da quel momento in poi si doveva dare agli alberi e alla natura un periodo di riposo, che sarebbe durato fino all’inizio del mese di Nissan, in primavera. Non a caso, la festa cade a distanza di sei mesi esatti da TuBishvat, il capodanno degli alberi. Inoltre, anticamente in questo giorno era fissata la festa della fine della vendemmia, come ricordano ancora oggi alcuni kibbutzim.
  La data di Tu beAv ha un’ulteriore valenza storica per la Comunità ebraica di Roma, in quanto ricorda l’inaugurazione del Tempio Maggiore avvenuta nel 1904 proprio in questo giorno.

(Shalom, 2 agosto 2023)

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La protesta del sionismo dal volto umano

Dopo oltre sei mesi di proteste, in Israele non sembra esserci spazio per una soluzione condivisa. Abbiamo fatto il punto con chi, da sempre, si batte per un paese in pace e unito.

di Eliana Pavoncello

In Italia, come ebrei della Diaspora, siamo abituati a essere con Israele senza se e senza ma. Tuttavia, quanto sta avvenendo ora in Israele, le proteste, le divisioni, ci lasciano quantomeno confusi.
Per fare chiarezza, abbiamo fatto alcune domande ad Angelica Edna Calò Livne e a suo marito Yehuda Livne.

- Qui in Italia viviamo le vicende che si stanno svolgendo in Israele applicando i parametri della nostra politica, una polarizzazione tra destra e sinistra, tra fascisti e comunisti. Cosa ne pensate?
  Questa non è assolutamente una lotta tra destra e sinistra. Questa è la lotta del popolo di Israele per mantenere lo spirito che ha consentito la nascita dello Stato di Israele. La visione che già dalla fine dell’Ottocento ispirò i primi chalutzim ( pionieri) a venire qui e a fondare uno stato democratico dove ci fosse il rispetto per tutti, sia ortodossi che laici. I partecipanti ora alla rivolta non sono solo esponenti della sinistra, ma anche leader storici del Likud come Ruby Rivlin, ex- presidente di Israele, o ex-capi del Mossad come Yossi Cohen o Tamir Pardo. E a questi si aggiungono tantissimi religiosi, Rabbini, tutti coloro a cui questo Paese è importante, che assistono con rabbia e tristezza al disgregamento di valori che hanno permesso di creare il miracolo di Israele in questi 75 anni di duro lavoro, di sofferenze e anche lutti. La linea di demarcazione, passa tra democratici e liberali da una parte e seguaci di un leader autocratico (per di più con problemi giudiziari) dall’altra. Un leader, che pur di stare al governo, ha accettato di fare coalizione con le frange più oltranziste ed estremiste dei partiti di destra ultra conservatori e super nazionalistici. Rappresentati questi da persone come Ben Gvir e Smootrich che credono in una “grande Israele” dando via libera alla costruzione di nuovi insediamenti, rallentando qualsiasi trattativa di pace con i nostri vicini.

- I sostenitori di Bibi dicono che democrazia è accettare un governo eletto con la maggioranza comprese le leggi che questo decide. Dunque, perché chi protesta pensa che la democrazia in Israele sia in pericolo?
  Cercheremo di spiegarci in breve: l’abolizione della clausola di ragionevolezza apre la strada all’approvazione di diverse proposte di legge antidemocratiche presentate nella sessione invernale della Knesset: queste sono 42 progetti di legge che potrebbero indebolire il sistema giudiziario. Tra queste ci sono 11 proposte per modificare le regole elettorali, 7 proposte per la politicizzazione del settore pubblico, 1 proposta di reclusione per i manifestanti che bloccano una strada, 30 disegni di legge per ridurre i diritti umani e civili (come per esempio matrimoni civili, abolizione dei diritti dei gay), 4 leggi per controllare i media, 12 proposte di legge per limitare la libertà accademica, 24 suggerimenti per incrementare la religione.

- E allora?
  Si deve considerare che tutto questo è iniziato perché c’era un processo contro Netanyahu. Bibi voleva uscire indenne da tutte le accuse e si è circondato di persone dubbie, come Aryeh Deri, che era in carcere per frode ed evasione fiscale ed è stato liberato, promettendo di non candidarsi nuovamente in politica. Deri non solo è rientrato in politica, ma pretende di diventare ministro delle finanze. Intorno a Netanyahu orbitano personaggi “ministri di Tik Tok”, come Itamar Ben Gvir, che hanno prodotto innumerevoli video che promettevano mari e monti in fatto di sicurezza. In realtà da quando è ministro degli interni, sono aumentati i casi di femminicidio e omicidio per mano della mafia per regolamento di conti. L’unico suo scopo è ricostruire il Bet HaMikdash e trasformare Israele in un paese messianico. Ma nel corso della storia abbiamo imparato che dobbiamo difenderci, che dobbiamo sviluppare, potenziare ed estendere tutte le nostre capacità creative, sociali e tecnologiche, anche se crediamo profondamente in Kadosh Baruch Hu. 

- Ma l’abolizione della clausola di ragionevolezza non era stata già proposta negli anni scorsi da chi oggi è all’opposizione?
  Era stato proposto dal governo precedente di cambiare alcune definizioni, ma non annullare totalmente come è stato fatto. Israele non ha una costituzione e la proposta dell’opposizione era di trovare un modo per affrontare il problema delle tante realtà del Paese, cercando di creare una pacifica convivenza tra ebrei, arabi, drusi, religiosi, laici. La clausola della ragionevolezza è fondamentale ed è stata importante anche nelle decisioni riguardanti molti progetti religiosi. Per esempio nella cittadina di Kfar Vradim non c’era un mikve e la comunità religiosa ne ha fatto richiesta. La Corte Suprema ha dichiarato, a chi si opponeva, che secondo il criterio di ragionevolezza la minoranza andava rispettata e se il mikve era una necessità andava concesso e ciò è avvenuto. In un altro caso si era detto di annullare i fondi per gli asili religiosi e, nuovamente, secondo il criterio di ragionevolezza, la Corte ha stabilito che i fondi andavano concessi, come agli altri asili. Questo dimostra che non c’è nulla di “antireligioso” nella Corte suprema, bensì che essa è la garante del “principio di uguaglianza”, uno dei principali messaggi della Dichiarazione d’Indipendenza (1948), e che viene combattuto oggi da gran parte della coalizione al potere e dei suoi seguaci.

- Potete farci quale che esempio, che permetta a noi della Diaspora di comprendere meglio?
  In questi giorni si stanno assegnando fondi senza limiti a una sola parte del Paese, come se il governo fosse di una sola parte della popolazione: sono stati approvati 146milioni di shekel per le scuole religiose, dove si studia solamente Torà mentre storia, matematica, l’inglese, l’ informatica sono banditi. Nel corso della sua breve storia lo Stato di Israele ha dovuto affrontare moltissime sfide, guerre, intifade, l’assassinio di un Primo Ministro, ciononostante non ha mai smesso di investire parte delle sue risorse non solo nella difesa, ma anche nella ricerca, come lo dimostrano gli studi più avanzati sul cancro, sull’alzheimer, cyber, giusto per citarne alcuni che hanno fatto sì che Israele diventasse a livello internazionale un polo di avanguardia nella ricerca e quindi di attrazione per moltissimi giovani, ebrei e non, che vengono qui in Israele a studiare e a specializzarsi nelle varie università ed istituti di ricerca. Senza parlare di tutte le startup nate in questi ultimi anni, che hanno creato nuovi posti di lavoro, oltre che benessere, ebbene, se la riforma passasse anche queste sarebbero a rischio, diversi imprenditori, infatti, hanno deciso di espatriare e di avviare in Paesi diversi le loro compagnie. 

- Però è stato detto che la maggioranza di governo aveva cercato una mediazione con l’opposizione, la quale invece ha rifiutato ed ha abbandonato l’aula.
  Non è corretto. Non c’è stato margine di alcun cambiamento. La richiesta dell’opposizione era stata quella di bloccare momentaneamente tutto, trovare un accordo e andare poi avanti insieme democraticamente e con rispetto reciproco ma c’è stato un rifiuto netto da parte di Netanyahu, che si è ricreduto su quanto aveva asserito precedentemente, ossia trovare un accordo se la legge fosse passata. In realtà si era vicini a una soluzione, con piccoli cambiamenti, ma non c’era alcuna volontà da parte della coalizione, se non abolire completamente il criterio di ragionevolezza. Ora tutte le altre leggi sono state momentaneamente sospese fino a novembre, ma la principale è passata.

- Ma perché questa clausola di ragionevolezza è stata tolta solo ora? Netanyahu poteva intervenire quando è stato al governo precedentemente.
  Precedentemente non era ancora sotto processo… Comunque, non è un’idea sua. Anzi per anni ha dichiarato che era importante mantenere la libertà giudiziaria per difendere il Paese ma a quanto pare Yariv Levin, membro del Likud che da tanti anni, insisteva per cancellarla e indebolire il sistema giudiziario è riuscito a metterlo in condizione di accettare la sua proposta per non far cadere il governo.

- Il ricorso che è stato fatto alla Corte Suprema contro l’abolizione di questa clausola, ha qualche possibilità di successo secondo voi?
  Personalmente, noi speriamo che la Corte Suprema sarà una volta ancora l’ultimo baluardo della democrazia israeliana. Se si deciderà che non è legale, vogliamo sperare che il governo si piegherà a questa decisione, come si fa in democrazia; a questo punto i fanatici potrebbero lasciare la coalizione ed essere sostituiti da partiti di centro, per provare a risanare questo paese lacerato…

- Il likud è compatto nel sostenere la riforma?
  Molti rappresentanti del Likud, rimasti in un silenzio imbarazzante e deludente fino ad ora, hanno finalmente ammesso che non è accettabile che i 64 parlamentari della coalizione siano allineati a 360 gradi alle posizioni del governo, senza mai esprimere una critica o un voto contrario. La realtà è che validi esponenti del Likud sono terrorizzati da Netanyahu, terrificati dall’opportunità di perdere la propria posizione. A quanto pare cinque o sei parlamentari del Likud hanno dichiarato che non voteranno altre leggi prima di un accordo. Speriamo che abbiano il coraggio di perseverare nelle loro affermazioni.

- In questi sette mesi, le proteste stanno diminuendo? Rimandare il completamento della riforma a novembre può essere una mossa per stancare chi protesta?
  Certo, questa è la speranza di Levine, Rothman e gli altri membri della Knesset estremisti. Ma non funzionerà. I manifestanti di Tel Aviv che giungono ogni sabato pomeriggio all’incrocio di via Kaplan, da 200.000 sono diventati 300.000 e noi qui in Galilea, da 100 che eravamo siamo diventati il doppio, e cosi in centinaia di crocevia, ponti e piazze di Israele. La parola chiave è dignità: sentiamo che non c’è più rispetto, né per i Padri fondatori di questo Paese, né per noi, cittadini attivi che vanno all’esercito, che pagano le tasse, che costruiscono, educano, curano, dirigono banche, ospedali, centri di ricerca e di sviluppo.

- Ho letto che nei concorsi pubblici l’esperienza nella Tzavà, l’esercito, e quella nello studio della Torà verranno equiparati. Cosa ne pensate?
  Ogni soldato riceve al mese un piccolo “stipendio” che ora, secondo un nuovo disegno di legge, si vuole estendere anche ai religiosi che studiano nelle Yeshivot, che non lavorano e non si arruolano nell’esercito. Non tutti loro, tra l’altro, sono in grado di studiare tutto il giorno e non potendo lavorare perché non hanno le basi scolastiche minime, divengono un peso perché mantenuti dai fondi pubblici. Abbiamo decine di migliaia di alunni nel sistema educativo ortodosso che non imparano nulla che possa aiutarli ad inserirsi nel mondo moderno, ad entrare nel mercato del lavoro, a contribuire alla creazione delle risorse nazionali necessarie al futuro di Israele, ed a quello loro personale. Secondo gli studi del Prof. Dan Ben-David dell’università di Tel Aviv, il futuro del Paese è minacciato da questa situazione molto più che non da qualsiasi minaccia esterna e questo nuovo governo nel frattempo non si occupa di questo problema, come non cura nessun altro dei gravi problemi sociali di questo paese.

- Come reagisce il mondo arabo che circonda Israele?
  Hamas e Hezbollah stanno rinnovando i legami con i paesi nemici limitrofi.   Secondo le statistiche, tra 25, 30 anni i cittadini religiosi saranno pari se non superiori in numero agli altri, per cui avremo un esercito più esiguo in proporzione alla popolazione. Questo renderà la situazione economica ancora più grave perché il problema del carovita, della sicurezza, delle case per le giovani coppie che erano la base delle promesse di questo nuovo governo nel frattempo sono state messe da parte: hanno dedicato il tempo solo e solamente a redigere leggi per il proprio tornaconto. Il popolo d’Israele si è svegliato, ha dato dimostrazione di un grado altissimo di umanità, di spirito morale e sociale e si è organizzato in questa protesta pacifica senza precedenti. Il destino di Israele e dell’Ebraismo in tutto il mondo sono la nostra preoccupazione più grande.

- Ecco, parliamo del video in cui tutti si baciano e si abbracciano perché si sentono fratelli. Chi ha prodotto questo video?
   In Israele siamo abituati alle differenze, a mentalità, culture differenti ma abbiamo imparato a rispettarci per amore del Paese. Purtroppo in questi ultimi vent’anni c’è stata una campagna massiva per accentuare le differenze, per dividere, per dipingere “l’altro” come un nemico. E questo altro è un ebreo come noi e anche se non ci sentiamo fratelli di chi semina razzismo contro gli omosessuali, o contro gli arabi o limita la libertà delle donne, sentiamo che dobbiamo essere uniti perché l’unione è il nostro punto di forza più considerevole. E’ stato commovente fino alle lacrime vedere tante bandiere israeliane alla manifestazione all’aeroporto, un senso di appartenenza allo stesso popolo, mentre aiutavamo a portare le valige di coloro che partivano o arrivavano, ma, subito dopo gli occhi si sono riempiti di lacrime davanti all’assalto della polizia a cavallo intervenuta per disperdere i manifestanti. Ben Gvir, ex dissidente, non arruolato all’esercito israeliano per motivi di condotta e ora ministro della sicurezza interna (non vi sembra il colmo dell’assurdo?) ha dato ordini ben precisi, ai quali ha accennato il comandante della polizia di Tel Aviv recentemente dimesso da Ben Gvir, Ami Eshed, nel suo discorso di addio, facendo capire che il suo rinvio era dovuto al fatto che “non aveva riempito il pronto soccorso dell’ospedale Ichilov di manifestanti”. Dichiarazioni da brivido, come nelle storie dei miei nonni ai tempi delle leggi razziali.

- Come reagiscono alle proteste le forze di polizia?
  Gli unici che sono arrivati in ospedale non sono stati i poliziotti, ma i manifestanti. Davanti a me, con un cannone d’acqua maleodorante hanno cavato un occhio a un manifestante e sparato su donne con bambini in braccio. Perché a queste manifestazioni ci andiamo con i bambini. Sicuri e convinti di portare un messaggio di pace. Netanyahu ha aizzato all’omicidio di Rabin, non dimentichiamolo. Omicidio che è stato compiuto da Igal Amir per il quale in questi giorni, nell’entusiasmo generale delle nuove leggi, è stata proposta la scarcerazione.

- Questa situazione di grandissima divisione (è di ieri la notizia della nomina del nuovo ambasciatore in Italia, che proviene dai Territori), secondo voi può avvicinare o allontanare la pace? Secondo alcuni mantenere una posizione forte e intransigente può ammorbidire il fronte palestinese e portare a un accordo…
  Assolutamente no. La mano forte non è mai servita a niente. In caso di guerra devi parlare con i nemici per arrivare alla pace. Le guerre finiscono solo attraverso il dialogo: attraverso la violenza non si acquisirà mai nulla, né in una famiglia, né in una comunità, né tra stati. Bisogna dialogare, come spesso non si fa anche in tante comunità. C’è qualcuno che questa pace non la vuole da tutte e due le parti, sono gli estremisti ma il mondo non è fatto solo di estremisti, è fatto anche di madri, di padri, di figli che vogliono studiare e vivere la propria vita. L’estremismo allontana il dialogo e la speranza.

- Riflessi tornerà a occuparsi di Israele dopo l’estate. Come possiamo lasciarci, per ora?
  Per concludere vogliamo dire che siamo orgogliosi di questo popolo che a ritmo di tamburi, mantiene uno spirito indomito. Vorremmo che tutti capissero che stiamo lottando per il futuro di Israele e dobbiamo ricordarci che proveniamo da tante parti del mondo e ciò che ci lega è l’ebraismo. Ma non dimentichiamo che tra il 62 e il 70 dopo E. V. si crearono gruppi di Ebrei di diverse fazioni a Gerusalemme e in Galilea, i meno abbienti sfruttati dai sacerdoti corrotti del grande santuario con tasse astronomiche e i gruppi che combattevano contro l’invasione romana e fu facilissimo per l’imperatore Tito lasciarli indebolire nelle loro lotte interne per poi saccheggiare e distruggere Gerusalemme…..Si dice che l’odio gratuito tra ebrei fu la causa della distruzione e l’inizio della diaspora, non sia mai! Vogliamo imparare qualcosa dalla storia?

(Riflessi Menorah, 2 agosto 2023)
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Commento di Emanuel Segre Amar:
«Angelica Edna Calò in questa intervista non fa mancare l’obiettivo che la guida da sempre, ma purtroppo senza risultati tangibili: che dialogando si possa arrivare ad una pace (che magari tanti arabi vorrebbero, ma che nessun governante palestinese è mai stato pronto a firmare; al massimo si sono dimostrati pronti a firmare una tregua).
  Dispiace che Calò parli di “coloro ai quali questo paese è importante”; non vedo con quale diritto possa fare un’affermazione simile; forse se si ha un’idea differente non si ha a cuore Israele? Calò prevede, immagina il futuro con affermazioni tipo “apre la strada”, ma dimentica che esiste tuttora un Parlamento nel quale, come lei stessa afferma, non tutti sono “estremisti”. E sbaglia quando afferma che “tutto è iniziato per il processo a Netanyahu: ci sono documenti molto espliciti che dimostrano la volontà, niente affatto democratica, di Ehud Barak di sostituirsi a lui come premier fin dal 2017 e ancora dal 2020.
  Non credo inoltre che Calò abbia partecipato a nessuno dei numerosi incontri tra maggioranza e minoranza nell’ufficio del Presidente, e quindi i suoi commenti in merito sono solo di parte.
  Ci sarebbero molte altre questioni da affrontare dopo la lettura di questa intervista, ma non essendo strettamente legate alle manifestazioni in corso le lascio per un’altra occasione.»

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Berlino, ambasciatore israeliano cacciato da café di un ebreo che non ama la politica attuale di Israele

di Davide Rinaldi

Avi Berg, proprietario del Cafè Dodo, ha cacciato l’ambasciatore israeliano Ron Prosor dal suo locale. L’evento è testimoniato proprio da un post su Facebook di Berg: non era il benvenuto nel mio caffè perché rappresenta Israele, e poiché attua una politica invalida e manipolatrice, che afferma che qualsiasi critica a Israele è antisemita.” Secondo lui, aggiunge, “Quella politica afferma che io e i miei colleghi siamo antisemiti.” Il ristoratore si è rivolto all’ambasciatore in maniera non sgarbata ma molto decisa. L’invito ad andarsene è stato subito accolto e Prosor con le guardie del corpo hanno abbandonato il Cafè.
  Jewish Telegraphic Agency ha intervistato tramite Facebook Messenger Avi. “Vorrei sottolineare che ho fatto quello che ho fatto specificamente perché l’ambasciatore non è un individuo ma un rappresentante ufficiale dello stato di Israele”, “e dal momento che lui e l’ambasciata sono profondamente coinvolti nel fare pressioni sul Bundestag e sui media e sulle istituzioni tedesche per bloccare qualsiasi critica a Israele e per etichettare qualsiasi critica del genere come antisemitismo. Questa diplomazia è attuata in tutto il mondo, ma è particolarmente efficace in Germania… Questa politica è anche molto dannosa nella lotta contro il vero antisemitismo!”

• Avi Berg non è un eccezione
  Stime approssimative dicono che circa 10.000 israeliani vivono a Berlino. Molti sono politicamente di sinistra e critici nei confronti delle politiche di Israele.
  In questo caso Avi si è fatto portavoce di una critica all’International Holocaust Remembrance Alliance. Il bersaglio è la definizione fornita dall’ente di antisemitismo. Il dibattito si è acceso per il fatto che all’interno di questa definizione rientrano anche le critiche allo stato di Israele.
  Israele è attualmente impantanato in una crisi politica per la spinta del governo di destra a indebolire il sistema giudiziario del Paese. Un movimento di protesta di centinaia di migliaia di persone contro la legislazione ha raggiunto l’apice all’inizio di questa settimana. I manifestanti hanno bloccato le principali autostrade e sono stati affrontati con cannoni ad acqua.

• Il ristoratore sottolinea che le sue azioni riguardano esclusivamente la politica del governo e non sono antisemite
  Avi Berg è un membro dell’associazione “Jewish Voice for Just Peace in the Middle East”. Secondo l’esperto Levi Salomon, amministratore delegato dell’associazione “Jewish Forum for Democracy and Against Antisemitism”, ci sono “molti esempi di ‘Jewish Voice’ a sostegno di posizioni antisemite.“
  Il proprietario del caffè israeliano ha accusato l’ambasciata in Germania di condurre una “caccia alle streghe contro chiunque non sostenga il governo israeliano” ed è ben noto per le sue opinioni sull’approccio della Germania all’antisemitismo. Berg, sempre su Facebook, ha annunciato che la definizione di sionismo significa che “qualsiasi critica a Israele è antisemita e questo ha conseguenze molto dure per la libertà di opinione in Germania”.

(Berlino Magazine, 2 agosto 2023)

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Così la rivolta di Treblinka riscrisse la storia

Il 2 agosto di ottant’anni fa gli ebrei rinchiusi nel campo di sterminio insorsero contro gli aguzzini nazisti. Un atto disperato che accese la luce sulla resistenza di un popolo.

di Marcello Pezzetti

La Germania nazista pensava che gli ebrei, per la sola ragione di essere nati tali, avrebbero dovuto “sparire” dall’Europa, fino al 1941 attraverso le espulsioni all’Est, poi con l’annientamento fisico. Ora, come reagirono gli ebrei a questo tentativo di sterminio, definito “Soluzione finale del problema ebraico”? Ci fu una concreta “resistenza” alla politica omicida del Reich? La tesi più diffusa rimane quella della “passività ebraica”, sostenuta da personalità tra le più rilevanti – anche da parte ebraica – della cultura e della storiografia del dopoguerra.
  Hannah Arendt definì la resistenza ebraica come «pietosamente limitata, incredibilmente debole e del tutto innocua» e Raul Hilberg scrisse che gli ebrei avrebbero opposto «parole ai fucili, dialettica alla forza». Questo atteggiamento, secondo il grande storico, si sarebbe basato sull’esperienza di duemila anni, consistente nel tentativo di evitare la distruzione venendo a patti col nemico, strategia che aveva funzionato per due secoli. Ciò, però, avrebbe reso gli ebrei «incapaci di operare un mutamento».
  Ora, non c’è dubbio che la reazione ebraica alla politica nazista si caratterizzò per un’iniziale incomprensione della seconda fase di questa politica, quella dell’annientamento fisico. Si ritenne fosse sufficiente utilizzare i meccanismi usati da secoli come degli “anticorpi” di fronte all’attacco di una normale malattia, senza rendersi conto che quella malattia era strutturalmente diversa da tutte le altre, perché non attaccava solamente una parte dell’organismo, bensì le sue difese immunitarie.
  Fino alla metà del 1942 gli ebrei misero dunque in atto un tipo particolare di resistenza: quella “civile”, che alcuni hanno definito “spirituale”, ma che per troppi anni è stata purtroppo chiamata “passiva”.
  Soprattutto nell’Europa orientale i responsabili delle istituzioni ebraiche considerarono “armi di sopravvivenza” la creazione di istituzioni di soccorso sociale, in particolare per l’infanzia; il tentativo di mantenere in vita istituzioni culturali rigorosamente proibite; l’educazione dei giovani, anche religiosa, e la preparazione di un’improbabile emigrazione dei bambini in Palestina. A volte si fece ricorso al contrabbando per nutrire gli elementi più deboli, in alcuni casi all’organizzazione di fughe. Le cose cambiarono radicalmente dopo alcuni mesi, quando fu chiaro che l’obiettivo del regime nazista fosse lo sterminio di massa del popolo ebraico. Soprattutto i giovani ebrei dell’Europa orientale passarono direttamente dall’oppressione alla rivolta, alla resistenza armata, e furono i primi in Europa a metterla in atto: nell’aprile del 1942 si assistette all’insurrezione di un intero ghetto, quello di Lachwa, in Bielorussia.
  La rivolta più conosciuta avvenne nel ghetto di Varsavia, che provocò l’uccisione di almeno 300 militi tedeschi, ma ve ne furono altre, almeno quattordici, tutte avvenute in poco più di un anno e terminate con la morte eroica della maggior parte dei rivoltosi.
  Ma cosa si poteva pretendere dalla “resistenza ebraica”, composta prevalentemente da giovani disperati che, senza alcuna preparazione militare, si stavano opponendo all’esercito più potente del mondo con armi totalmente inadeguate, privi di un ruolo nell’ambito della resistenza “classica”, abbandonati dal cosiddetto mondo civile, indifferente, quando non ostile? Ebbene, queste persone destinate a sparire riuscirono, nel 1943, a compiere un’impresa ritenuta impossibile: scatenare una rivolta nei due campi di sterminio nazisti più micidiali: Treblinka e Sobibor. Questi luoghi facevano parte, con un terzo, Belzec, di uno spaventoso progetto denominato “Aktion Reinhardt”, attivato nel territorio della Polonia occupata per eliminare tutta la popolazione ebraica lasciando momentaneamente in vita solo pochissimi lavoratori indispensabili.
  I persecutori, tedeschi appartenenti agli strati sociali più bassi, ma esperti nello sterminio col gas, perché provenienti dalla “Aktion T4”, ovvero l’uccisione dei cosiddetti “disabili”, erano coadiuvati da centinaia di guardie (ex prigionieri di guerra sovietici, circa 100-120 per campo), appositamente addestrati, chiamati “Trawniki-Männer”.
  La struttura di questi campi era simile: erano dotati di una cosiddetta Rampa per lo “scarico” delle vittime (i binari entravano all’interno del campo); di uno spazio per la raccolta degli oggetti e per gli spogliatoi; di una zona in cui si trovavano le camere a gas, collegate a una sala dotata di un motore di camion o carro armato, e di un ampio spazio in cui via via venivano scavate le fosse di seppellimento, utilizzate in un periodo successivo per la cremazione dei corpi a cielo aperto. A questa zona si accedeva attraverso un percorso obbligato verso la morte, chiamato Schlauch, “tubo”, attorniato da filo spinato camuffato con della vegetazione. I cadaveri inizialmente erano stati sepolti, ma nel 1943 vennero disseppelliti e bruciati.
  Anche se questi campi erano luoghi in cui avveniva esclusivamente l’eliminazione di chi vi era deportato, gruppi di vittime venivano tenuti momentaneamente in vita per espletare il lavoro più “sporco” della macchina di sterminio: raccogliere e sistemare le valigie e gli oggetti che arrivavano con ogni trasporto, aiutare la gente a svestirsi, tagliare i capelli alle donne, estrarre i cadaveri dalle camere a gas, pulire questi locali in cui si dava la morte, estrarre i denti d’oro dai cadaveri, portare i corpi verso le fosse con delle barelle, stratificare i cadaveri sul fondo delle stesse fosse e coprirli con un po’ di sabbia e calce di cloro per disinfettarli; procedere, nel 1943, alla cremazione a cielo aperto di quei cadaveri, setacciare il tutto e triturare a cenere le piccole ossa rimaste.
  Inizialmente gli ebrei, per evitare rappresaglie, pensarono di reagire solo con azioni individuali quali le fughe; poi, nel 1943, grazie alle notizie sulle rivolte in corso che giungevano dai ghetti, questi “lavoratori temporanei” si organizzarono e in primavera iniziarono a progettare insurrezioni. All’interno dei campi della morte, però, i prigionieri delle zone in cui si trovavano le installazioni di sterminio erano ben isolati rispetto agli altri; a Treblinka una sola persona era in grado di tenere i contatti con le due parti del lager: era Jankiel Wiernik, un carpentiere.
  La rivolta avrebbe dovuto essere messa in atto subito in primavera, tuttavia fu posticipata a causa dello scatenarsi di un’epidemia di tifo. Si formarono piccoli comitati per paura di traditori, ma la maggior parte dei prigionieri non sapeva quello che stava succedendo. Alcuni avevano accesso a strumenti che intendevano utilizzare, come coltelli o machete, e un fabbro duplicò la chiave del magazzino delle armi. I giovani che si occupavano delle pulizie nelle aree delle guardie riuscirono a rubare altri piccoli attrezzi, come anche qualche bomba a mano e un prigioniero mise su tutti i tetti una sostanza infiammabile. Fu fissata la data, il 2 agosto, e si decise il piano: la fuga di massa durante l’appello generale e, contemporaneamente, l’incursione negli uffici amministrativi e nelle baracche dei collaborazionisti per uccidere le guardie.
  La rivolta, tuttavia, iniziò prima del previsto, perché un tedesco (Küttner) sorprese un prigioniero con dei preziosi e decise di fucilarlo. Questo fatto generò grande confusione, quindi si decise di dare immediatamente inizio alla rivolta con un colpo di pistola come segnale.
  Circa 100 prigionieri, per debolezza, per terrore, o perché non informati, rimasero nel campo, mentre gli altri cercarono di fuggire. Molti, però, vennero colpiti con fucili dalle torrette di guardia. Solo circa 100 di essi, tra uomini e donne, riuscirono a superare il raggio di azione dei fucili.
  Contrariamente a ciò che avevano progettato, non riuscirono ad uccidere nemmeno una guardia tedesca, ma solo due “Trawniki” e alcuni prigionieri ritenuti delatori. Misero a fuoco, invece, molti edifici di legno (officine, stazione di benzina), ma rimasero intatte le camere a gas, costruite in muratura. È per questa ragione che poco dopo sarebbe arrivato ancor qualche altro trasporto, da Białystok.
  Dopo l’estate del 1943 anche a Sobibor i prigionieri si organizzano in un Comitato di resistenza. Qui, differentemente che a Treblinka, erano però impossibili i contatti con il settore dotato di installazioni di messa a morte. Un evento imprevisto cambiò in modo determinante la situazione: i nazisti commisero l’errore di inserire nel campo un gruppo di prigionieri di guerra ebrei da un trasporto da Minsk. Tra questi si trovava Aleksander Pecherski, un ufficiale dell’Armata Rossa, dotato della necessaria esperienza militare che si univa alla conoscenza delle strutture locali da parte degli altri prigionieri che erano nel campo da molti mesi. In poche settimane venne elaborato un piano concreto – studiato alla perfezione, diversamente da Treblinka – che prevedeva l’uccisione di un alto numero di sorveglianti tedeschi e guardie “Trawniki” e la fuga del maggior numero possibile di prigionieri.
  La rivolta ebbe inizio il 14 ottobre 1943, quando alcune autorità naziste erano in vacanza. I combattenti ebrei chiamarono i sorveglianti nazisti, notoriamente avidi e puntuali, uno dopo l’altro, con pretesti vari (provare nuove scarpe, nuovi cappotti, controllare i mobili, etc.) e, senza farsi accorgere, riuscirono a ucciderne almeno nove, fra cui il vice-comandante Niemann, oltre ad alcune guardie sovietiche. Poi un nazista, Bauer, trovò uno dei cadaveri e lanciò l’allarme. Così la rivolta, anche qui, scoppiò in anticipo. Gran parte dei 550 ebrei che, secondo il sopravvissuto Thomas Blatt, erano presenti a Sobibor cercò la via di fuga, ma 150 rimasero in campo, sotto tiro come a Treblinka; 80 furono uccisi durante la rivolta, colpiti da fucilate o per lo scoppio delle mine; moltissimi eliminati nel corso di successive perquisizioni.
  Per quelli che riuscirono a uscire dai due campi, il seguito della fuga fu altrettanto tragico: ovunque vennero affissi manifesti che informavano la popolazione della fuga dei “banditi” ebrei, e da subito iniziò la perquisizione dell’area alla caccia di questi poveretti. Il personale del campo ricevette rinforzi da altre unità per la ricerca: la Polizia di sicurezza (Sipo), la Gendarmeria, la Polizia doganale, la Polizia polacca, addirittura i ferrovieri.
  I prigionieri rimasti in campo, così come quelli via via riportati, furono nella quasi totalità uccisi, ma molti altri – almeno 100 solo quelli di Sobibor – vennero eliminati barbaramente, da tedeschi, ma anche da polacchi, durante il periodo in cui si nascosero nei boschi o nei centri abitati.
  Solo circa 50 resistenti di Treblinka e 50 di Sobibor sopravvissero alla guerra. Tra loro, alcune donne e anche i due responsabili della rivolta di Sobibor, Pechersky e Feldhändler. Il secondo, purtroppo, venne ucciso il 2 aprile 1945 a Lublino da antisemiti polacchi dell’Armia Krajowa (Esercito Nazionale Polacco).
  La resistenza ebraica al nazismo, e in particolare le eroiche rivolte dei campi della morte di Treblinka e Sobibor, così come quella del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau, non modificarono l’atteggiamento delle autorità naziste verso gli ebrei, non provocarono un arresto della loro politica genocida, né un suo ridimensionamento, tuttavia ebbe un impatto considerevole: provocò, infatti, un cambiamento epocale – anche se fu tardivo – della percezione che la società europea aveva degli ebrei e, insieme, che gli stessi ebrei avevano di se stessi. Senza queste disperate rivolte, senza testimoni, anche se pochissimi, non avrebbero potuto aver luogo i processi e, conseguentemente, oggi noi non avremmo la conoscenza che possediamo, fin nei particolari, di quella che è stata la più grande tragedia del ’900. Dovrebbe essere chiaro, infine, che, come scrisse lo storico Israel Gutman, resistente nel ghetto di Varsavia, ad alimentare la “Endlösung” furono l’ideologia ed i piani estremisti dei nazisti, non la passività degli ebrei.

(la Repubblica, 2 agosto 2023)

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Israele è ancora la Startup Nation?

Lavoratori del settore tecnologico protestano contro la revisione del sistema giudiziario prevista dal governo, a Tel Aviv, il 9 marzo 2023 (Tomer Neuberg/Flash90) Gli investimenti nelle startup tecnologiche israeliane sono crollati nella prima metà del 2023, come afferma oggi un osservatorio dell’industria tecnologica israeliana, citando il divisivo piano di revisione del sistema giudiziario del governo come uno dei principali fattori della flessione.
  Start-Up Nation Central, un’organizzazione senza scopo di lucro che segue e si occupa dell’industria tecnologica israeliana, afferma di aver registrato una diminuzione del 29% dei finanziamenti privati nel settore tecnologico israeliano nella prima metà del 2023 rispetto alla seconda metà del 2022, e un forte calo della partecipazione degli investitori. Anche le offerte pubbliche iniziali e le fusioni e acquisizioni hanno toccato il minimo da cinque anni a questa parte.
  L’organizzazione afferma che l’incertezza in Israele a causa della revisione del sistema giudiziario «si sta già facendo sentire con indicatori quali la diminuzione della raccolta di fondi e il calo delle startup israeliane emergenti».
  Yaniv Lotan, vicepresidente di Start-Up Nation Central, afferma che la correlazione tra la revisione giudiziaria e l’esitazione degli investitori è evidente. Secondo Lotan, mentre nell’ultimo anno gli investimenti tecnologici si sono stabilizzati negli Stati Uniti e nel resto del mondo, nello stesso periodo «nel mercato israeliano dell’high-tech stiamo assistendo a una continua tendenza al ribasso».

• i mercati non amano l’incertezza
  Il settore high-tech israeliano è uno dei principali motori dell’economia del Paese e rappresenta la metà delle esportazioni del Paese. Impiega decine di migliaia di persone e le sue start-up hanno attirato miliardi di dollari di investimenti negli ultimi decenni.
  «Alla fine, i mercati non amano l’incertezza», afferma Lotan.
  Il rapporto viene pubblicato una settimana dopo che la coalizione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha approvato una legge che indebolisce la supervisione della Corte Suprema sulle decisioni del governo, una parte fondamentale della revisione giudiziaria proposta dal governo.
  Da quando il piano è stato annunciato, a gennaio, Israele è stato attanagliato da proteste di massa settimanali, anche da parte della stessa industria tecnologica, che ha avvertito che la revisione avrebbe avuto ripercussioni sul suo lavoro. Il piano ha suscitato anche la costernazione della Casa Bianca e delle organizzazioni ebraiche americane.

(Rights Reporter, 1 agosto 2023)

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Netanyahu assicura che la riforma giudiziaria è "necessaria" ed esclude la guerra civile

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato lunedì, in un'intervista al canale americano NBC che Israele è lontano da una guerra civile. "Non ci sarà nessuna guerra civile, ve lo garantisco", ha detto. "Quando la polvere si poserà, la gente vedrà che era necessario", ha aggiunto, Netanyahu ha spiegato che la riforma avrebbe ristabilito l'equilibrio dei poteri, sostenendo di volerli affidare a rappresentanti eletti e scelti dal popolo piuttosto che a giudici non eletti. Questo argomento ha profondamente diviso Israele, provocando manifestazioni di massa. A marzo, il presidente Isaac Herzog ha avvertito del rischio di una "vera e propria guerra civile". Un sondaggio pubblicato la scorsa settimana da Channel 13 ha rivelato che il 56% degli israeliani teme che la crisi politica del Paese possa degenerare in una guerra civile.
  Ha ammesso che ci sono divisioni nella società israeliana, ma che la misura di ragionevolezza recentemente adottata "ne vale la pena". "Penso che i timori della gente si placheranno e vedranno che Israele è democratico come prima, se non di più", ha detto.
  Il Primo Ministro ha anche cercato di fugare i timori che le modifiche al sistema giudiziario israeliano stiano danneggiando le relazioni israelo-americane. "Penso che le relazioni siano sane", ha dichiarato. "Penso che la polvere si depositerà e si scoprirà, con il cambiare dei governi e delle amministrazioni, che Israele è il miglior alleato degli Stati Uniti e che gli Stati Uniti sono l'alleato insostituibile di Israele".
  Durante l'intervista, Benjamin Netanyahu ha anche difeso la sua coalizione di governo di destra e ha affermato che un eventuale accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita, sotto l'egida degli Stati Uniti, costituirebbe "un perno della storia".

(i24, 1 agosto 2023)

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Israele e Marocco, la pace passa anche dagli archivi

Siglata un’intesa per arricchire le rispettive collezioni documentarie. È un’emanazione del protocollo di cooperazione tra i due Paesi firmato nel 2021 come risultato degli Accordi di Abramo.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME – Duemila anni di storia da preservare. Tanto è lunga la presenza degli ebrei in Marocco – e ora una nuova iniziativa punta a salvaguardarne patrimonio e tradizione, da Parigi a Rabat passando per Gerusalemme.
Negli scorsi giorni infatti, gli archivi del Marocco e gli archivi di Israele hanno siglato un’intesa per arricchire le loro collezioni documentarie, promuovere la condivisione delle buone pratiche ed utilizzare efficacemente le collezioni archivistiche storiche e culturali di entrambi gli istituti.
Il documento rappresenta un’emanazione del protocollo di cooperazione tra i due Paesi firmato nel 2021 come risultato degli Accordi di Abramo.
  "La firma del memorandum a Rabat è stata molto commovente,” ha commentato Ruti Avramovitz, direttrice degli Archivi nazionali israeliani. “Sottolinea la forza della pace tra i due Paesi e tra i due popoli.”
  Uno degli obiettivi è quello di riunire gli archivi relativi all'ebraismo marocchino, attualmente dispersi in varie istituzioni, con fondi conservati in particolare dal centro archivi diplomatici del ministero degli Affari Esteri francese, dal Memoriale della Shoah di Parigi e dall'Alliance Israélite Universelle.
Fonti storiche documentano la presenza degli ebrei in Marocco sin dal II secolo a.C. Nel corso dei secoli la comunità crebbe di numero, anche in seguito all’espulsione degli ebrei dai domini spagnoli nel 1492. Nel 1948 vivevano nel paese oltre 270mila ebrei ma nei due decenni successivi la stragrande maggioranza lasciò il Marocco per fuggire dalle tensioni geopolitiche e dalla povertà.
  Oggi si pensa che nella nazione vivano tra i 2,500 e i 3,000 ebrei, mentre in Israele si contano 700mila cittadini di origine marocchina. Negli ultimi anni, e in particolare dall’ascesa al trono dell’attuale sovrano Mohammed VI la situazione per la comunità è progressivamente migliorata, fino ad arrivare alla svolta degli Accordi di Abramo.
  Secondo il direttore dell’Archivio Nazionale marocchino Jamaa Baida, le risorse documentarie recuperate che fanno luce su vari aspetti della vita quotidiana degli ebrei marocchini nel XVIII e XIX secolo, nonché sui legami cordiali che intrattennero con i loro compatrioti musulmani, rappresentano un mezzo per “riconciliare i marocchini con la loro storia e la loro identità plurale, il cui contributo ebraico è sancito dalla Costituzione.”
  Intervenendo alla firma del protocollo d’intesa, Baida ha sottolineato – come riferito dal North Africa Post – che la cooperazione tra Marocco e Israele consentirà di colmare alcune “lacune rilevate negli archivi relativi all'ebraismo marocchino oggi sparsi nel mondo”, aggiungendo che il suo archivio ha compiuto un grande sforzo per la riappropriazione di questa parte della storia del Paese che è stata cancellata, in un dato momento storico, “sotto l'effetto di tensioni geopolitiche o, a volte, per semplice negligenza”.

(la Repubblica, 1 agosto 2023)

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Accordo con l'Arabia Saudita: treno ad alta velocità verso la pace o trappola?

Sta prendendo forma un accordo di normalizzazione tra lo Stato ebraico e la culla dell'Islam.

di Stan Goodenough

GERUSALEMME - È sembrata quasi un’aggiunta, la dichiarazione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu di domenica, alla fine di un annuncio ufficiale sui piani di un progetto di treno ad alta velocità che attraverserà tutto Israele. La linea, che dovrebbe costare 100 miliardi di shekel, collegherebbe la città settentrionale di Kiryat Sh'mona con il porto di Eilat, sul Mar Rosso, 400 km più a sud. Netanyahu ha aggiunto che "in futuro potrà collegare Israele con l'Arabia Saudita e la Penisola Arabica".
  "Stiamo lavorando anche su questo", ha detto al suo governo.
  In una successiva conferenza stampa, per spiegare il piano il primo ministro si è limitato al progetto in Israele e non ha alluso a un'estensione all'Arabia.
  Tuttavia, la sua "aggiunta" ha aumentato le speculazioni sulla possibilità di una svolta negli sforzi per far entrare l'Arabia Saudita nell'Accordo di Abraham.
  Questo fa seguito a una settimana di notizie provenienti da Washington - insieme a una raffica di attività diplomatiche - che fanno intravedere un’amministrazione sempre più ansiosa (alcuni dicono disperata) di ottenere un accordo di normalizzazione tra Gerusalemme e Riyad prima di novembre.
  Secondo la Reuters, venerdì il presidente Joe Biden ha detto ai sostenitori che potrebbe esserci una "convergenza" di interessi tra i due Paesi.
  Gli sforzi in questa direzione vanno avanti da mesi.
  A maggio, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan ha incontrato a Gedda il principe ereditario saudita e de facto uomo forte  Mohammed Bin Salman (MBS). Gli analisti hanno dichiarato che "la Casa Bianca vuole spingere diplomaticamente per un accordo di pace tra Arabia Saudita e Israele nei prossimi sei o sette mesi prima della campagna presidenziale".
  Giovedì scorso, il giorno prima del messaggio di "convergenza" di Biden, Sullivan era di nuovo in Arabia Saudita per avere ulteriori colloqui con MBS.
  È chiaro che gli sforzi si stanno intensificando, ma quale forma potrebbero assumere e quali pericoli comportano per Israele?
  Netanyahu ha dichiarato che la normalizzazione delle relazioni con l'Arabia Saudita è uno dei principali obiettivi del suo governo, ma dai membri considerati estremisti del suo gabinetto il raggiungimento di questo obiettivo è considerato improbabile .
  C'è chi dice che farebbe quasi di tutto pur di costruire un baluardo contro l'Iran che si sta muovendo verso la realizzazione di armi nucleari. Persone a lui vicine dicono che il primo ministro "va a dormire pensando all'Iran e si sveglia pensando all'Iran".
  Questa è una cosa che effettivamente lo preoccupa, ma Netanyahu è anche consapevole della minaccia esistenziale per Israele rappresentata dai tentativi di creare uno Stato palestinese sugli altipiani di Samaria e Giudea.
  Ha cercato, con iniziale successo, di separare il cosiddetto veto palestinese dagli sforzi di pace con gli Emirati Arabi Uniti e altri firmatari degli Accordi di Abramo, tra cui Bahrein e Marocco.
  Ma la storia è diversa con l'Arabia Saudita - culla dell'Islam, epicentro della dottrina sunnita e meta del Hajj per i pellegrini sunniti e sciiti.
  Sabato il New York Times, citando un "funzionario israeliano senza nome", ha riferito che Riyadh sarebbe disposta a parlare di un accordo solo se Israele facesse "concessioni significative" e intraprendesse "azioni sul campo" verso la creazione di uno Stato palestinese.
  Come riportato dal Times of Israel, "l'Arabia Saudita non si accontenterebbe della promessa di Netanyahu di non annettere la Cisgiordania".
  Secondo il Times of Israel, tali richieste a Netanyahu, se venissero rispettate, farebbero probabilmente cadere il suo governo, e molti ritengono che sia proprio questo l'obiettivo della Casa Bianca.
  Tra gli ultimi sviluppi che fanno pensare sia a un disgelo in Oriente sia a una spinta da parte dell'Occidente, c’è il consenso dell'Arabia Saudita a far entrare per la prima volta rappresentanti del governo israeliano nel regno in occasione della riunione del Comitato per il Patrimonio Mondiale del prossimo settembre.
  Il 20 luglio, la Commissione per le Relazioni Estere del Senato ha introdotto la legge sull'integrazione e la normalizzazione regionale, che mira a rafforzare gli accordi di Abraham.
  Questo disegno di legge mira ad attuare le "priorità politiche" dell'Israel Policy Forum di estrema sinistra dell'ex ambasciatore statunitense in Israele, Martin Indyk, per "espandere l'integrazione regionale di Israele".
  L'Israele che vogliono vedere integrato è uno Stato liberale progressista, non uno Stato ebraico.
  Secondo quanto riportato, lunedì i democratici di Capitol Hill avrebbero presentato una proposta di legge con la quale gli Stati Uniti darebbero ufficialmente sostegno al movimento estremista antidemocratico in Israele nel tentativo di rovesciare il governo di Netanyahu.
  Con un governo di sinistra a Gerusalemme e un secondo mandato per Biden, nel caso ottenesse la rielezione, è chiaro che  l'agenda liberal-progressista degli Stati Uniti per il Medio Oriente sembrerebbe più realizzabile con l’obiettivo di uno Stato palestinese in primo piano.
  Altri esperti sono di parere diverso: per il sovrano saudita de facto, il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS), ricevere massicci aiuti militari dagli Stati Uniti in cambio di un accordo con Israele è una priorità assoluta, ed è pronto a "gettare i palestinesi sotto il bus". Questa direzione porta più verso un'alleanza anti-Iran.
  Come si evolverà la situazione? In base ai dati storici, potremmo scoprire il risultato prima di quanto pensiamo.
  Nel ripercorrere la storia della restaurazione di Israele nell'ultimo secolo, noi credenti della Bibbia dobbiamo renderci conto che le cose non sono sempre come appaiono, che non vanno come ci aspettiamo o desideriamo. Le Sue vie non sono le nostre vie. Tuttavia, preghiamo per il governo di Gerusalemme, affinché rimanga vigile e proceda con cautela; affinché non si lasci sedurre, né da un senso di forza politica né da speranze e promesse di pace.
  "La testa del serpente sta in Arabia".

(israel heute, 1 agosto 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Ecco Act News, il canale made in Israel dove le notizie saranno prodotte dall’IA

di Luca Spizzichino

È stato creato in Israele il primo canale di notizie completamente alimentato dall'intelligenza artificiale. Si chiama ACT News ed è presente sui principali social networks, in particolare Tik Tok e Instagram.
  Questo nuovo progetto editoriale, lanciato ad inizio aprile, è condotto dalla giornalista israeliana Miri Michaeli. Nei giorni scorsi inoltre si è aggiunto anche Amit Segal, noto giornalista e analista politico di Channel 12, il cui avatar generato dall'intelligenza artificiale fornirà informazioni in più lingue.
  In questa prima fase le voci di Segal e Michaeli generate dall'intelligenza artificiale suonano nettamente diverse da quelle delle loro controparti nella vita reale, ma lo spettatore occasionale può facilmente scambiare i video per registrazioni reali. L'iniziativa - che attualmente ha circa 20.000 follower e ha raggiunto "circa 40 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo" - è stata ideata da Michaeli e dal consulente politico Moshe Klughaft.
  Il tema dell’uso dell'intelligenza artificiale nelle redazioni è stato dibattuto molto negli ultimi mesi, con diversi giornalisti che hanno espresso preoccupazione per l'accuratezza, la trasparenza e l'etica alla base della presentazione di tali contenuti come prodotti dall'uomo.
  Tuttavia, in ACT News i testi generati dall'intelligenza artificiale passeranno al vaglio di Segal e Michaeli prima di farli pronunciare ai loro avatar, così da "garantire accuratezza e credibilità". Questo passaggio rende il modello non dissimile da quello in cui un reporter o un editore junior scrive sceneggiature per un conduttore senior da leggere in onda.
  Fino ad ora, hanno affermato i creatori, i video pubblicati sui social erano stati prodotti in modo tradizionale, ma andando avanti tutte le clip avranno sia i testi che verranno pronunciati che gli avatar completamente generati dall'intelligenza artificiale.
  "Come ogni startup, il nostro progetto è nato da un'esigenza personale", ha affermato Michaeli in una nota. “Il mio sogno è sempre stato quello di poter fare reportage da due postazioni contemporaneamente, fornire un'analisi approfondita e filmare un reportage contemporaneamente. Oggi offriamo questa possibilità ai giornalisti di tutto il mondo”.
  Ad aprile, Michaeli ha scritto su Instagram che lei e Klughaft erano motivati a lanciare l'iniziativa a causa della "frustrazione per il modo in cui siamo presentati nel mondo, nonché per un enorme amore per questo paese". La nuova versione della rete, lanciata ufficialmente domenica, si concentrerà invece "su notizie positive, mostrando eventi edificanti da tutto il mondo". La società offrirà clip di notizie in otto lingue. Un account TikTok in ebraico è stato lanciato il mese scorso.
  "Non sono sicuro che il mondo possa gestire due Amit Segal, forse anche uno è troppo", ha twittato il giornalista domenica insieme a una clip della sua apparizione inaugurale. "In ogni caso, sono felice di lanciare il mio avatar su ACT News questa mattina con alcune nuove analisi." Per chiarire, ha aggiunto: “Non l'ho filmato o registrato, e vorrei che il mio inglese suonasse così. Ho appena inserito il testo nel sistema ACT News e il resto è successo da solo”.
  In un comunicato stampa, ACT News ha affermato di aver già completato un round di investimenti per un valore di 7,5 milioni di dollari e che dovrebbe lanciare presto un secondo round. La rete ha affermato di essere in trattative per aggiungere versioni AI di conduttori di notizie statunitensi e britannici, nonché per aggiungere ulteriori personalità israeliane.

(Shalom, 1 agosto 2023)
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Israele sempre all'avanguardia sul piano tecnologico. Ma in molti casi (come questo) la cosa non è affatto consolante. M.C.

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Il Museo d’Israele è la migliore istituzione culturale del Paese

Un importante riconoscimento per il Museo d’Israele di Gerusalemme: il Globes Brand Index, pubblicato da Globes, il quotidiano finanziario in lingua ebraica ha, per la prima volta, classificato il Museo d’Israele tra i suoi 100 migliori marchi in Israele. Questo elenco include tutte le aziende, le imprese, le start-up e le istituzioni in Israele, che sono classificate secondo un elenco empirico di criteri. “Ancora più entusiasmante, – dice  Isaac Molho, Presidente del Consiglio di amministrazione –  una nuova categoria nell’Index, Istituzioni Culturali, che include musei, teatri, compagnie di danza e orchestre, ha classificato il Museo d’Israele come la migliore istituzione culturale del paese. Globes ha notato che il Museo di Israele ha ricevuto il punteggio più alto, superando i suoi concorrenti di Tel Aviv”. Globes ha inoltre notato che il Museo di Gerusalemme è accreditato di un doppio risultato: essere l’unico tra tutte le istituzioni culturali in Israele a far parte di entrambi gli elenchi, oltre ad essere incluso nell’elenco dei Globes del secolo.
  Globes ha sottolineato  che, nonostante le sfide degli ultimi anni, come la pandemia di COVID-19, il Museo di Israele mantiene ancora il suo posto come museo principale e più grande di Israele, con collezioni straordinariamente ricche, dalla judaica e dall’archeologia all’arte israeliana e internazionale, oltre a possedere un fascino internazionale grazie alla sua posizione e alle mostre innovative.
  “Anche se questa notizia – conclude  Isaac Molho – potrebbe non sorprendere la nostra devota ‘famiglia’ locale e internazionale del Museo di Israele, che ha sempre saputo che il nostro amato Museo è la principale istituzione culturale in Israele, ci dà grande orgoglio essere così riconosciuti da un tale rispettabile ente”. R.E.

(Bet Magazine Mosaico, 1 agosto 2023)

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I campi estivi dei palestinesi per uccidere gli ebrei

Quest'estate, più di 100 mila ragazzini palestinesi della Striscia di Gaza parteciperanno ai campi estivi gestiti da Hamas e dalla Jihad Islamica. I campi insegnano ai giovani come combattere Israele e gli ebrei, e forniscono un addestramento militare con esercitazioni pratiche con coltelli e armi da fuoco, combattimenti corpo a corpo, ed esercitazioni di marcia e a piedi.

di Bassam Tawil

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Mentre gli scolari e gli alunni di tutto il mondo si godono le vacanze estive praticando attività sportive e ricreative, ai ragazzini palestinesi viene insegnato come combattere Israele e gli ebrei e vengono addestrati a farlo.
  L'indottrinamento e il lavaggio del cervello di questi giovanissimi non sono una novità. I leader palestinesi hanno coltivato l'odio verso Israele e gli ebrei di generazione in generazione. Questo incitamento ha luogo da decenni negli asili palestinesi, nelle scuole, nelle università, nelle moschee, nei media e persino nei cruciverba. È questo il motivo per cui i sondaggi dell'opinione pubblica continuano ovviamente a mostrare, non a caso, che i palestinesi avallano opinioni radicali e sostengono il terrorismo contro Israele.
  Da più di un decennio, i gruppi terroristici della Jihad Islamica palestinese e di Hamas, appoggiati dall'Iran, organizzano campi estivi per migliaia di scolari e alunni di tutta la Striscia di Gaza. Questi campi fungono da cornice per inculcare un'ideologia estremista che glorifica il jihad (la guerra santa), il terrorismo e la lotta armata contro Israele con l'obiettivo di "liberare la Palestina dal fiume [Giordano] al Mar [Mediterraneo]".
  I campi forniscono altresì un addestramento militare con esercitazioni pratiche che prevedono l'uso di coltelli e armi da fuoco, combattimenti corpo a corpo, ed esercitazioni di marcia e a piedi. I ragazzini simulano scene di combattimento e di cattura di soldati israeliani o il lancio di razzi contro Israele.
  Il reclutamento e l'iscrizione ai campi estivi vengono effettuati attraverso i siti web e i social media di Hamas e della Jihas Islamica Palestinese (JIP) e presso gli stand gestiti dai membri delle due organizzazioni, allestiti all'interno delle moschee e in altri luoghi pubblici della Striscia di Gaza. Alti funzionari di Hamas e della JIP partecipano regolarmente alle cerimonie di apertura e di consegna dei diplomi, tenendo dei discorsi.
  L'8 luglio scorso, Hamas ha inaugurato i suoi campi estivi per il 2023, a cui partecipano più di 100 mila giovanissimi, maschi e femmine. I campi estivi di quest'anno si svolgono all'insegna dello slogan "Scudo di Gerusalemme", il che implica che il gruppo terroristico intende utilizzare i minori nella lotta contro Israele. I bambini vengono addestrati a compiere attacchi terroristici e a fare da scudi umani nel jihad contro Israele. Viene loro insegnato che vengono reclutati per prendere parte alla battaglia finalizzata a "liberare" Gerusalemme. Inutile dire che i palestinesi non riconoscono i diritti e la storia degli ebrei a Gerusalemme.
  Nel giugno 2022, il primo ministro dell'Autorità Palestinese Mohammad Shtayyeh ha negato la presenza di ogni traccia della storia ebraica a Gerusalemme:

    "Siamo alla periferia della capitale eterna, la punta di diamante, il punto in cui s'incontrano cielo e terra, il fiore di tutte le città, l'oggetto del desiderio dei cuori dei credenti musulmani e cristiani che vi si recano per pregare nella Moschea di al-Aqsa e percorrere la Via Dolorosa per andare a pregare nella Chiesa del Santo Sepolcro, che fu testimone della stipula del Patto di Omar, nel quale il Califfo Omar prometteva al popolo di Iliya [che in arabo sta per Aelia Capitolina/Gerusalemme] che nessun musulmano avrebbe pregato nello loro chiesa. [Gerusalemme] ha vestigia cananee, romane, islamiche e cristiane come nessun'altra città".

Il capo del Comitato superiore per i campi estivi di Hamas, Khaled Abu Askar, ha dichiarato durante una conferenza stampa tenuta all'Asdaa Entertainment City, nei pressi di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza:

    "Siamo qui oggi ad Asdaa City, che annovera la ricreazione di un certo numero di simboli di Gerusalemme per annunciare l'avvio dei nostri campi estivi, i cosiddetti campi intitolati 'Scudo di Gerusalemme'. Assicuriamo a tutti che la città di Gerusalemme, con i suoi luoghi santi, è la bussola di ogni palestinese libero e rispettabile".

Abu Askar ha affermato che Hamas ha a cuore le giovani generazioni ed è pronto a investire su di loro. Ha anche detto che i giovani palestinesi vengono sistematicamente presi di mira per minare le loro convinzioni, la loro condotta, i principi morali e il patriottismo. E chi incolpa di questo? Israele, ovviamente.
  "L'occupazione e i suoi collaboratori pompano enormi quantità di denaro e di sforzi per distogliere la generazione dalla loro appartenenza religiosa e alla loro terra d'origine", egli ha detto. Il funzionario di Hamas ha rilevato che il suo gruppo ha denominato i suoi campi 'Scudo di Gerusalemme' "per instillare il valore di Gerusalemme nei cuori dei giovani e il diritto dei palestinesi alla Città Santa, oltre a promuovere il ruolo nazionale della generazione della liberazione e accrescere la sua determinazione".
  Quando Hamas parla di "liberazione" esprime il suo desiderio di eliminare Israele, come recita lo Statuto del gruppo:

    "Art.11:
    Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro lascito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell'Islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell'Islam sino al giorno del giudizio.
    Art.13:
    Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di Resistenza Islamico. In verità, cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione. Il nazionalismo del Movimento di Resistenza Islamico è parte della sua religione, e insegna ai suoi membri ad aderire alla religione e innalzare la bandiera di Allah sulla loro patria mentre combattono il jihad. "Allah ha il predominio nei Suoi disegni, ma la maggior parte degli uomini non lo sa".

In un'altra cerimonia tenutasi nella Striscia di Gaza, il presidente del Comitato amministrativo di Rafah, Jum'a Hassanein, ha affermato che "questi campi [estivi] hanno lo scopo di formare la generazione della liberazione e della vittoria".
  Il direttore del campo estivo a Rafah, Muhammad Barhoum ha asserito che i campi fanno parte delle "attività di Hamas che si focalizzano sulla generazione [più giovane] per la sua importanza", come "la generazione della liberazione e della vittoria".

    "Come negli anni precedenti, i campi estivi si incentrano sulla familiarizzazione dei giovani con varie armi, tra cui gli AK-47, fucili da cecchino, lanciarazzi, mortai e mitragliatrici. I partecipanti ai campi si esercitano a montare e smontare le armi, a impugnarle e ad utilizzarle, e si addestrano anche alla guerra urbana e alla guerra nei tunnel. Alcune delle lezioni sono tenute da membri mascherati dell'ala armata di Hamas, le Brigate 'Izz Al-Din Al-Qassam, e alcune sono persino tenute nelle basi militari di Hamas. Un ragazzo di uno dei campi ha dato una dimostrazione della guerra nei tunnel dinanzi a Younis Al-Astal, un membro del Consiglio Legislativo Palestinese per conto di Hamas, il quale ha visitato i campi con altri funzionari di Hamas. In alcuni dei campi, le bandiere israeliane sono state adagiate a terra in modo che i partecipanti le calpestassero. I terroristi che hanno compiuto attacchi mortali contro gli israeliani vengono presentati ai campeggiatori come esempi, e i loro ritratti sono presenti nei campi e nelle attività del campo estivo".

Il portavoce di Hamas Abdel Latin Qanou ha dichiarato che i campi estivi organizzati quest'anno dal suo gruppo operante nella Striscia di Gaza rappresentano un importante passo nella formazione di questa generazione, inculcando negli animi dei giovani lo status di Gerusalemme e della Moschea di al-Aqsa, e collegandoli al loro "legittimo diritto al ritorno [in Israele] e alla liberazione". Secondo Qanou, il nome "Scudo di Gerusalemme" mira a preparare i bambini a "liberare Gerusalemme".
  In passato, la Jihad Islamica Palestinese ha organizzato campi estivi all'insegna dello slogan "Rivincita della Libertà", a cui hanno partecipato centinaia di ragazzini di età inferiore ai 17 anni.
  Darwish al-Gharabli, un leader della JIP, ha affermato quanto segue durante una cerimonia di consegna dei diplomi:

    "Questi campi formano una generazione in linea con la via del Jihad e della resistenza; credere in questa opzione, ritenere che la Palestina sia la questione principale e combattere gli ebrei è un atto di culto. Il nostro jihad contro tutto questo continua in tutte le arene. Assicuriamo al nostro nemico che questa generazione porterà la bandiera e resisterà con tutte le forze".

Nel 2021, l'ala armata di Hamas, le Brigate Izz al-din al-Qassam, ha organizzato campi estivi che si ispiravano allo slogan "Spada di Gerusalemme".
  Secondo il sito web delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, "l'obiettivo dei campi è alimentare le fiamme del jihad tra la generazione della liberazione, instillare i valori islamici e preparare il tanto atteso esercito per la liberazione della Palestina".
  Il portavoce dei campi estivi di Hamas, Abu Bilal, ha affermato che i campi sono tenuti "per la convinzione nel ruolo dei giovani e per un senso di responsabilità nei confronti della generazione [più giovane]". E ha aggiunto che "i giovani sono [sempre] stati quelli che hanno portato avanti le operazioni armate, e sono stati il motore delle Intifada e delle rivolte".
  Questo vasto abuso su minori da parte dei palestinesi è ignorato dai media occidentali, dalle Nazioni Unite e dalla maggior parte dei politici. La prossima volta che i palestinesi si lamenteranno dei minori uccisi o feriti mentre compivano attacchi terroristici contro gli israeliani, sarebbe opportuno ricordare le scene dei bambini nei campi estivi della Striscia di Gaza, dove inizia il processo per trasformarli in combattenti.
  È ora che la comunità internazionale, e soprattutto le organizzazioni per i diritti umani, ritengano i leader palestinesi responsabili degli abusi insiti nell'addestrare i loro figli a diventare "martiri", nel jihad per uccidere gli ebrei e nel tentativo di distruggere l'unica nazione democratica della regione.
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Bassam Tawil è un arabo musulmano che vive in Medio Oriente.

(Gatestone Institute, 31 luglio 2023 - trad. di Angelita La Spada)

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Benny Kashriel, sindaco di Ma'ale Adumim, è stato scelto come nuovo ambasciatore in Italia

di Luca Spizzichino

Benny Kashriel
Il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha deciso domenica di nominare come nuovo ambasciatore d’Israele in Italia il sindaco di Ma'ale Adumim, Benny Kashriel. Lo riporta il canale Arutz 7.
  Originario di Ashkelon, Kashriel, 71 anni, è sindaco di Ma'ale Adumim dal 1992. Capo della fazione del Likud nella Federazione delle autorità locali, è anche membro del consiglio di amministrazione della Lotteria Nazionale e dei Servizi Economici del Governo Locale. In passato è stato anche capo del Consiglio di Yesha, organizzazione ombrello dei consigli municipali in Giudea e Samaria.
  "L'Italia è uno dei più grandi e importanti alleati di Israele in Europa. Le relazioni tra i Paesi si fanno ogni giorno più strette e più forti” ha dichiarato il ministro degli Esteri. “Benny Kashriel è stato sindaco di Ma'ale Adumim per 31 anni e ha portato la città a risultati senza precedenti e a una crescita incredibile. - ha aggiunto - Sono sicuro che la sua esperienza e le sue capacità uniche contribuiranno a far progredire la cooperazione tra le nazioni in materia di sicurezza e stabilità regionale, nonché di economia ed energia".
  "Sono pieno di apprezzamento per il lavoro del Ministro e per i risultati raggiunti in campo diplomatico. Non ho dubbi che la collaborazione tra di noi porterà risultati positivi per l'Italia, rafforzando i legami tra i paesi” ha affermato Kashriel.

(Shalom, 31 luglio 2023)

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Adempimento di una profezia biblica: avvistata una volpe sul Monte del Tempio

Nel giorno di Tisha BeAv, in cui gli ebrei piangono la distruzione del loro Tempio, un simbolo di redenzione è stato avvistato sul Monte del Tempio.

di Michael Selutin

FOTO
GERUSALEMME - Nel giorno di digiuno di questa settimana per commemorare la distruzione dei due Templi di Gerusalemme, una volpe è stata avvistata sul muro del Monte del Tempio, adempiendo a un'antica profezia sulle rovine del luogo sacro.
  Il filmato della volpe sul muro meridionale del Monte del Tempio è diventato virale sui social media dopo che l'animale è stato avvistato mercoledì sera.
  Utenti dei social media hanno osservato che la presenza della volpe sul luogo sacro nella notte di Tisha BeAv - il tradizionale giorno di digiuno ebraico che commemora la distruzione del Tempio di Re Salomone e del Secondo Tempio - realizza la profezia di Uria del Libro di Michea (3:12): "Perciò Sion sarà arata come un campo a causa tua, Gerusalemme diventerà un cumulo di pietre e il Monte del Tempio una collina boscosa! (dove ci sono le volpi)".
  Il Talmud babilonese riporta la seguente storia:

    Accadde che Rabban Gamliel, Rabbi Elazar ben Azariah, Rabbi Joshua e Rabbi Akiva salirono a Gerusalemme. Quando raggiunsero il Monte Scopus, si stracciarono le vesti. Quando raggiunsero il Monte del Tempio, videro una volpe che usciva dal Santo dei Santi. Gli altri cominciarono a piangere, Rabbi Akiva prese a ridere.
    Dissero a lui: "Perché ridi?".
    Egli disse a loro: "Perché piangete?".
    Dissero a lui: "Un luogo così santo, di cui si dice: 'Lo straniero che si avvicina morirà', e ora vi passano le volpi, e noi non dobbiamo piangere?".
    Egli disse loro: "Per questo io rido. Perché sta scritto: 'Porterò dei testimoni fedeli per me: Uria, il sacerdote, e Zaccaria, figlio di Jeberechia'. Qual è il legame tra Uria e Zaccaria? Uria visse al tempo del Primo Tempio e Zaccaria al tempo del Secondo Tempio! Ma la Torah fa dipendere la profezia di Zaccaria da quella di Uria. Di Uria è scritto: "Perciò Sion sarà arata come un campo a causa tua; [Gerusalemme diventerà una collina e il Monte del Tempio come le alture di una foresta]”. In Zaccaria è scritto: "Vecchi e donne siederanno ancora per le strade di Gerusalemme" (Zaccaria 8:4) [la città sarà in pace]".
    "Finché la profezia di Uria non si era avverata, temevo che non si sarebbe avverata neppure quella di Zaccaria. Ma ora che la profezia di Uria si è compiuta, è certo che si compirà anche quella di Zaccaria".
    A queste parole gli risposero: "Akiva, ci hai consolati! Akiva, ci hai consolati!".

Oggi stiamo ancora aspettando il compimento della profezia di Zaccaria, ma siamo già più vicini ad esso di quanto lo fosse Rabbi Akiva circa 2000 anni fa. Gerusalemme è tornata in mano agli ebrei, ma la pace è ancora lontana.

(israel heute, 31 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Vertice dei gruppi palestinesi in Egitto: «approfittare del caos in Israele»

I gruppi del terrore palestinese si riuniscono in Egitto per decidere una strategia comune volta ad approfittare delle forti divisioni interne in Israele.

Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha invitato ieri (domenica) a «cogliere la finestra di opportunità che si è aperta a causa della fortissima divisione interna senza precedenti di cui soffre Israele, delle relazioni internazionali tese e di una resistenza crescente a cui è sottoposto lo Stato Ebraico».
  Haniyeh ha parlato durante un incontro di mediazione tra le varie fazioni palestinesi tenutosi a El-Alamein, in Egitto, sotto gli auspici del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha partecipato all’incontro, mentre la Jihad Islamica e il PFLP hanno deciso di boicottare l’incontro.
  Secondo l’agenzia di stampa palestinese WAFA, l’incontro si è sviluppato intorno ai modi per “ripristinare l’unità nazionale e porre fine alla divisione alla luce delle grandi sfide che la causa palestinese deve affrontare e che mirano a liquidare il progetto nazionale palestinese”.
  Oggi (lunedì), Abbas dovrebbe incontrare il presidente Sisi, per discutere «gli ultimi sviluppi in Palestina e gli sforzi compiuti per far avanzare il processo di pace e porre fine all’occupazione israeliana». (dove il “processo di pace” si riferisce alla riconciliazione intra-palestinese, non alla pace con Israele).
  Un funzionario palestinese, che ha parlato a condizione di anonimato, ha detto che i colloqui mirano a «porre fine alle divisioni [tra le fazioni] in preparazione di un governo palestinese unificato e delle elezioni presidenziali e generali».
  Egypt Today riporta che Abbas ha detto che i palestinesi sono pronti a tenere le elezioni il prima possibile, a condizione che i residenti di Gerusalemme possano votare. Non è chiaro se Israele permetterà ai palestinesi che vivono a Gerusalemme Est, la maggior parte dei quali sono residenti israeliani (non cittadini), di votare.
  Va detto che la leadership palestinese per anni ha ripetutamente usato la scusa di Gerusalemme per non tenere le elezioni o per rinviarle indefinitamente, l’ultima volta nel 2021.
  Le elezioni palestinesi si sono tenute l’ultima volta nel 2006 e i loro risultati hanno portato all’inasprimento delle tensioni tra le fazioni palestinesi e, in ultima analisi, alla conquista della Striscia di Gaza da parte di Hamas e all’instaurazione de facto di due regimi palestinesi.

(Rights Reporter, 31 luglio 2023)

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Israele accelera l’esportazione di gas naturale verso l’Europa

Il Ministero dell’Energia israeliano ha recentemente annunciato che nove società, tra cui cinque nuove al mercato israeliano, hanno manifestato interesse nell’ottenere le licenze per l’esplorazione di giacimenti di gas naturale al largo delle coste di Israele. Questa notizia rappresenta un passo significativo per il Paese, portandolo verso l’indipendenza energetica e una maggiore sicurezza nel settore energetico, soprattutto in un contesto di crisi come quella scatenata dal conflitto russo-ucraino.
  Le nove società coinvolte nella gara provengono da quattro gruppi distinti, e hanno presentato un totale di sei proposte, mettendo in luce la crescente attrattiva dell’industria del gas naturale in Israele. L’importanza di tali operazioni è indiscutibile, poiché la nazione, fino a poco tempo fa, era fortemente dipendente dall’approvvigionamento energetico estero, ma ora sta diventando un attore sempre più rilevante nel panorama energetico regionale.

(Money Premium, 31 luglio 2023)

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Kenya e Israele istituiranno la “Foresta di Zion” nella contea di Machakos

di Cristiano Volpi

Il Kenya inaugurerà la sua prima “Foresta di Sion” nella contea di Machakos a settembre per celebrare il 75° anniversario di Israele e i 60 anni di relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Il progetto, frutto della collaborazione tra l’Ufficio della First Lady del Kenya Mama Rachel Ruto, il Keren Kayemeth LeIsrael – Fondo Nazionale Ebraico, il Servizio Forestale del Kenya e il Governo della Contea di Machakos, dovrebbe includere un minimo di 5.000 alberi, ha spiegato Yahel Margovsky-Lotem, diplomatica e moglie dell’ambasciatore di Israele in Kenya Michael Lotem.
  “I kenioti sono persone molto religiose, per lo più cristiani, e per loro Sion ha un significato molto importante”, ha dichiarato al Jerusalem Post.
  L’idea della foresta è nata da Margovsky-Lotem e si allinea con la visione della first lady di piantare 15 miliardi di alberi in Kenya entro il 2032 per contribuire a combattere il cambiamento climatico e rivitalizzare il territorio del Paese.
  Il Paese sta collaborando con il KKL-JNF, il cui direttore delle relazioni internazionali, Karine Bolton, ha dichiarato che l’organizzazione invierà un team in Kenya a giugno per lavorare con il servizio forestale locale e determinare quali alberi piantare inizialmente. Il KKL invierà una delegazione in Kenya in estate. Il Presidente del Kenya William Ruto e sua moglie sono stati in Israele all’inizio del mese per incontri ufficiali. Durante il viaggio, Ruto ha piantato un albero nel Boschetto delle Nazioni. Lui e sua moglie hanno anche incontrato il personale del KKL-JNF per discutere i loro progetti.
  “Vorrebbero che fossimo coinvolti, anche per aiutarli a scegliere le specie che vogliono piantare e per fornire consulenze sulle tecniche di impianto e di coltivazione”, ha detto Bolton.
  Al momento, il piano prevede di piantare specie indigene e alcuni “alberi biblici””, ha detto Margovsky-Lotem, sottolineando che l’appezzamento di terreno che il gruppo ha ricevuto nella contea di Machakos è di 15 acri, e si aspetta che alla fine vengano piantati più di 5.000 alberi.
  Yahel Margovsky-Lotem pianta un albero fuori dall’ufficio del Commissario della Contea di Machakos. (credito: Ambasciata d’Israele a Nairobi) “Ho proposto l’idea della Zion Forest alla first lady perché è molto attiva nel campo del cambiamento climatico” attraverso la sua organizzazione no-profit Mama Doing Good, ha spiegato.
  Già prima che la First Lady Ruto entrasse in carica, aveva fondato l’organizzazione incentrata su tre pilastri: il cambiamento climatico, l’emancipazione delle donne e dei giovani e la diplomazia.
  Il Kenya, come Israele, ha un clima semi-arido che rende difficile la coltivazione. Nel 2017, il Kenya e il KKL-JNF hanno firmato un memorandum d’intesa per lavorare su iniziative di crescita, ma le iniziative congiunte devono ancora progredire ufficialmente.
  “Siamo entrambi estremamente interessati a rilanciare il MOU e a vedere se possiamo unirci”, ha detto Bolton. Per esempio, il KKL-JNF potrebbe fornire al Kenya un piano di sviluppo delle capacità, trasferimenti di tecniche e idee su come piantare alberi in modo che sopravvivano e riabilitino il paesaggio, come ha fatto l’organizzazione in Israele.
  “Gli ambienti semi-aridi rappresentano una sfida enorme”, ha spiegato Bolton. “Molti Paesi hanno avviato iniziative di piantumazione massiccia, ma spesso gli alberi non sopravvivono… Per riabilitare il paesaggio, quindi, bisogna considerare la biodiversità, la salute del suolo, le specie, il modo in cui si progetta il terreno per catturare quanta più acqua possibile e altro ancora”.
  Bolton è stato in Kenya e ha detto che gran parte di esso assomiglia al Negev.
  Israele ha collaborato privatamente con i kenioti su iniziative ambientali, come un’iniziativa di agricoltura del deserto tra l’Istituto Arava e una chiesa keniota che ha insegnato alle comunità locali come gestire i bacini idrici, raccogliere semi e coltivare alberi.
  Il successo del progetto Zion Forest, tuttavia, non si misurerà solo con la piantumazione di alberi. Sarà importante anche la capacità di integrare la comunità locale e i giovani nel progetto e di costruire la resilienza al clima, ha detto Margovsky-Lotem.
  “Le comunità locali sono considerate agenti influenti del cambiamento. L’obiettivo finale è far sì che la foresta serva da base per programmi educativi e di formazione per una maggiore consapevolezza ambientale”, ha concluso. “Nella nostra visione, la Zion Forest diventerà un polo regionale di eccellenza ambientale”.

(AFRICA24.IT, 31 luglio 2023)

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Così prospera l’antisemitismo sotto il naso dell’Unione europea

Un’inchiesta su quello che succede nelle scuole di Bruxelles dovrebbe suonare la sveglia anche per chi pensa che riguardi solo gli ebrei

Scrive l’Express (6/6)

Qualche tempo fa sono stata contattata, in qualità di membro della Rete di ricerca contro il razzismo e l’antisemitismo, da Fadila Maaroufi, fondatrice del Café Laïque di Bruxelles, praticamente l’unica persona in Belgio che combatte l’Islam radicale e l’odio antiebraico e che conduce questa lotta a rischio della sua vita” scrive la linguista Yana Grinshpun, nata in Unione Sovietica e che oggi insegna a Parigi. “Maaroufi mi ha fornito le testimonianze di diverse famiglie ebree che, abbandonate dalle istituzioni, ignorate dai media, messe a tacere dal consenso politico, si sono rivolte a lei per trovare conforto e rifugio. Sarebbe ironico se non fosse tragico”. Grinshpun ha avuto modo di raccogliere le testimonianze di queste famiglie. “I loro racconti, supportati dai documenti ufficiali delle istituzioni che li abbandonano apertamente, non fanno presagire ottimismo sul futuro degli ebrei in Belgio, ma anche sulla sorte di agnostici, atei e altri laici che non osano più aprire bocca per paura di perdere il lavoro ed essere oggetto di campagne diffamatorie sui social da parte degli islamisti e dei loro alleati di sinistra”.
  “I genitori di Claude hanno trovato una scuola aconfessionale in un bel quartiere di Bruxelles, dove la ‘diversità sociale’ è garantita. La stragrande maggioranza degli studenti è di fede musulmana. Non appena gli studenti scoprono che Claude è ebreo, ‘lo sporco ebreo’ è aggredito. I genitori si lamentano, anche Claude, ma la scuola la deve considerare un’espressione normale. Gli studenti gli dicono in presenza dell’insegnante: ‘Ti convertiremo, figlio del diavolo, miscredente, brucerai all’inferno’. Claude risponde: ‘La religione è una stronzata’. Viene sanzionato dalla scuola ed espulso. I genitori finiscono per portarlo via dalla scuola, perché temono per la sua integrità fisica e psicologica”.
  Poi un’altra testimonianza: “In un’altra scuola belga, un ragazzo ebreo viene ‘convertito’ dai compagni di classe. Gli intenditori sanno che l’Islam è una religione inclusiva, destinata a tutti e qualsiasi ebreo sarebbe musulmano senza saperlo. L’elegante soluzione l’ha trovata un caritatevole allievo, il quale, per risparmiare al compagno di classe l’inferno promesso agli ebrei, lo ‘convertì’ in un musulmano, pronunciando al suo posto le parole della shahada (professione di fede).
  Il problema è che non si tratta di coesistenza di ‘religioni’, ma di sottomissione alle istanze islamiche attraverso la paura. I belgi non conoscono la battuta armena: ‘preserviamo i nostri ebrei!’, perché dopo gli ebrei viene sempre il turno degli altri e la storia lo ha dimostrato”. Conclude Grinshpun: “Gli ebrei soffocano e l’establishment incoraggia e rafforza questo soffocamento perché è ‘islamofobo’ nel senso etimologico, cioè ha paura dell’Islam. In quale altro modo spiegare che le istituzioni belghe tacciono sul disinibito antisemitismo islamico? Nella lingua belga, ‘rispettare’ significa tacere, non criticare. Il Belgio è il paese del silenzio consensuale. E questo sta iniziando a diffondersi ovunque. Cosa aspettano le istituzioni? Che tutti gli ebrei lascino la loro terra per paura di essere attaccati, come nei paesi arabi per tredici secoli? Che si convertano all’Islam, attraverso la magia di un rito decretato da uno studente musulmano? Forse accadrà, gli ebrei se ne andranno, una Maaroufi non basterà a sostenerli, ma i belgi saranno i prossimi della lista”.

Il Foglio, 31 luglio 2023)

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Il leader di Hamas invita a ”approfittare della divisione interna di Israele”

Secondo il leader di Hamas, i palestinesi si trovano attualmente in una "fase eccezionale" della lotta contro il nemico.

"Attualmente abbiamo un'opportunità che dobbiamo sfruttare per prendere decisioni, perché l'occupazione soffre di una divisione interna senza precedenti, di tensioni nelle sue relazioni internazionali e dell'incapacità di piegare la volontà del popolo palestinese e la crescente resistenza dei militanti", ha dichiarato il capo dell'ufficio politico del movimento terroristico palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, durante una riunione delle fazioni palestinesi in Egitto.
  Secondo il leader di Hamas, i palestinesi si trovano attualmente in una "fase eccezionale" della lotta contro il nemico. "Dobbiamo adottare misure straordinarie per combattere le politiche di Israele e frenare gli estremisti nel governo", ha affermato, sostenendo che "il processo di pace ha raggiunto un'impasse". "Israele ha tratto vantaggio negli ultimi trent'anni, trasformando la nostra terra in ghetti e cantoni. Gli insediamenti hanno inghiottito la maggior parte della terra in Cisgiordania", ha insistito.
  Inoltre, Haniyeh ha sottolineato di aver appoggiato la richiesta dell'organizzazione del Jihad islamico di rilasciare i suoi membri arrestati per le loro attività contro Israele o sulla base della loro affiliazione politica, specificando che si tratta di una richiesta di tutte le fazioni palestinesi.
  Il presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, è arrivato sabato ad Al-Alamein, in Egitto, per partecipare domenica a una riunione delle fazioni palestinesi.

(i24, 30 luglio 2023)

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‘’La democrazia israeliana non è in pericolo’’

Intervista a Fiamma Nirenstein

di Luca Spizzichino

Con l’approvazione da parte della Knesset, in seconda e terza lettura, del disegno di legge sugli standard di ragionevolezza, ossia il primo frammento della tanto discussa riforma giudiziaria, si sono intensificate le proteste in tutta Israele. Per fare chiarezza su ciò che sta accadendo nello Stato Ebraico, Shalom ha intervistato la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein.
  «Non credo che la sostanza del contendere, cioè la riforma giudiziaria, sia in sé per sé quello scontro che pretende di essere, cioè uno scontro sulla democrazia. - ha affermato Nirenstein - Non vedo la democrazia israeliana in pericolo».
  «L’idea che la Corte Suprema debba restare fondamentale e importantissima è giusta. Ma il diritto di intervenire sulle leggi votate dal Parlamento secondo un criterio soggettivo, quello della cosiddetta “ragionevolezza”, è sbagliato: infatti ciò che è ragionevole per te, può non esserlo per me e viceversa. Proposte di modifica erano arrivate in passato anche da Yair Lapid, Benny Gantz, Gideon Sa'ar, Avigdor Lieberman», gli stessi che ora attaccano la riforma. «L’idea per cui la piramide giudiziaria israeliana dovrebbe avere il diritto di cancellare le leggi secondo un criterio di “ragionevolezza”, non esiste in nessun'altra parte del mondo» ha aggiunto.
  «Una volta cancellato questo criterio, la Corte Suprema ha comunque poteri vastissimi, infatti esistono molte altre ragioni per cui una legge, se impugnata e denunciata, può essere cancellata» ha spiegato Nirenstein, che ha sottolineato come lo stesso organo giudiziario stia valutando addirittura la possibilità di cancellare lo stralcio legge appena votato.
  Parlando delle proteste, la giornalista ne ha sottolineato la particolare veemenza: «A me sembra non l'antagonismo nei confronti di una legge, ma una furiosa negazione della legittimità di un Governo che ha 64 seggi in un Parlamento di 120». Secondo Nirenstein, l’insofferenza di chi si oppone al governo è dovuta al grande scontro che caratterizza tutto il mondo occidentale dal secondo dopoguerra fino al giorno d'oggi, «uno scontro mortale fra destra e sinistra che si serve di parametri eccessivi dal punto di vista della narrazione, per esempio come quando la sinistra accusa la destra di essere “fascista” e di volere uno stato autoritario».
  «Se si guarda ai sette mesi di enormi dimostrazioni di piazza, che hanno bloccato autostrade, ospedali e l’aeroporto, e all’atteggiamento di praticamente tutti gli organi di informazione, non vedo segni di repressione nella società israeliana».
  Sebbene molti media facciano intendere che Netanyahu abbia rifiutato tutti i compromessi sulla riforma, la giornalista ha spiegato a Shalom come in realtà siano stati «modificati in parecchi punti sostanziali e la parte di legge appena votata è stata sospesa fino a novembre, quando, il primo ministro ha affermato, verrà ripresa in mano la questione in un clima di maggiore unità». «Questo evidentemente sottintende che ci sono trattative in corso».
  Se ci si chiede perché comunque il governo abbia voluto procedere fino a questa votazione, che ha ancora una volta suscitato tanto rifiuto, Nirenstein dice che la risposta va cercata nel rapporto tra il Paese e l’esercito: «Il governo continua ad andare avanti con la riforma perché non può cedere al rifiuto a servire da parte di un numero non rilevante, ma significativo, di riservisti e soprattutto di piloti, essenziali alla sicurezza del Paese». «Se Netanyahu avesse ceduto al ricatto - ha detto Nirenstein - si sarebbe accettato il principio che il potere militare ha un ruolo determinante rispetto al principio che il potere civile, ossia quello del parlamento, che deve essere sempre al primo posto». Cioè è stato affermato che l’esercito dipende dal popolo d’Israele e non lo governa.
  Oltre a ciò, continua Nirenstein, «mettere l'esercito in difficoltà è una cosa a cui veramente bisognerebbe stare molto attenti, perché si mette in gioco la vita di un Paese e dell’intero popolo ebraico, che dipende prima di tutto dalla capacità di Israele di difendersi dai suoi nemici» ha aggiunto.
  «I piloti, per esempio, oltre ad essere pronti a qualsiasi attacco che possa provenire da acerrimi nemici, come l’Iran, Hamas o Hezbollah. Ogni giorno impediscono alle armi iraniane di raggiungere in Siria e finire nelle mani di Hezbollah. E proprio in questi giorni i terroristi libanesi hanno svolto esercitazioni sul confine israeliano, mentre si moltiplicano gli attacchi terroristici palestinesi. Tutto questo non deve essere dimenticato. Per il popolo ebraico l’unità è una questione di vita o di morte».
  Nonostante tutto quello che sta accadendo in Israele, Fiamma Nirenstein vede nelle immagini dove i manifestanti, pro e contro la riforma, si scambiano un saluto sulle scale mobili della stazione centrale di Gerusalemme, come l’essenza dello Stato d’Israele. «Siamo il piccolo, fortissimo, resistente popolo ebraico, che perseguitato da 3.000 anni, è riuscito comunque a portare al successo la più grande delle sue imprese, rifondare e far prosperare lo Stato ebraico» ha concluso.

(Shalom, 30 luglio 2023)

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Netanyahu non esclude collegamenti ferroviari con Arabia Saudita

TEL AVIV - Israele progetta una forte estensione della propria rete ferroviaria e ritiene che in futuro essa potrebbe servire anche ad assicurare collegamenti con l'Arabia Saudita.

Lo ha detto oggi il premier Benyamin Netanyahu nel corso del consiglio dei ministri, secondo la radio pubblica Kan.
  "Abbiamo varato - ha detto - un progetto denominato 'Israele unito' che collegherà con una ferrovia Kiryat Shmona (Galilea nord, ndr) a Eilat (Mar Rosso).
  In futuro potremo inoltrare carichi di merci ai nostri porti affacciati sul Mar Mediterraneo, e potremo inoltre collegare Israele con ferrovie dirette all'Arabia Saudita e alla penisola araba''. Netanyahu ha rilasciato queste dichiarazioni mentre l'amministrazione Biden sta lavorando ad un pacchetto di intese fra Usa e Arabia Saudita che, secondo i media, potrebbero includere anche una normalizzazione delle relazioni fra Arabia Saudita ed Israele, nel contesto degli Accordi di Abramo.

(ANSAmed, 30 luglio 2023)

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Usa, Arabia Saudita, Israele e palestinesi: per Biden l’ipotesi di un accordo a quattro in Medio Oriente

Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e Brett McGurk, il più alto funzionario della Casa Bianca che si occupa di politiche mediorientali, sono in Arabia Saudita per sondare l’eventualità di un’intesa a quattro

di Thomas L. Friedman

Per le centinaia di migliaia di difensori della democrazia israeliana che hanno cercato di impedire il golpe giuridico del Primo ministro Benjamin Netanyahu di lunedì il fatto che la Corte Suprema israeliana è stata espropriata dei suoi massimi poteri per tenere a freno il ramo esecutivo di sicuro è una sconfitta cocente. Lo capisco, ma non dispero. Non del tutto. Un aiuto potrebbe arrivare dai colloqui tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Sì, avete letto bene.
  La settimana scorsa, quando ho intervistato il presidente nello Studio Ovale, ho scritto che Biden sollecitava Netanyahu a non imporre la riforma giudiziaria senza neanche una parvenza di consenso da parte della nazione. In ogni caso, non abbiamo parlato soltanto di questo. Il presidente è combattuto dall’idea di cogliere l’occasione di lanciare un patto per la sicurezza reciproca tra Stati Uniti e Arabia Saudita che comporti la normalizzazione delle relazioni tra sauditi e israeliani, fermo restando che Israele faccia delle concessioni ai palestinesi tali da preservare la possibilità della soluzione dei due stati.

• La missione in Arabia Saudita
  Dopo i colloqui dei giorni scorsi – tra Biden, il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario di Stato Antony Blinken e Brett McGurk, il più alto funzionario della Casa Bianca che si occupa di politiche mediorientali –, il presidente ha inviato Sullivan e McGurk in Arabia Saudita, dove sono arrivati giovedì, per sondare l’eventualità di un’intesa a quattro di qualche tipo tra Stati Uniti, Arabia Saudita, Israele e Palestina.
  Il presidente non ha ancora deciso se procedere in questo senso, ma ha dato il via libera al suo team per verificare presso il Principe della Corona saudita Mohammed bin Salman la possibilità di un accordo, e capirne il costo. Concludere un patto multinazionale di questo tipo richiederebbe tempo e sarebbe difficile e complesso, anche nel caso in cui Biden decidesse di agire subito al livello successivo. Adesso, però, i contatti esplorativi procedono spediti – molto più di quanto io immaginassi – e ciò è importante per due motivi.

• Una pace tra Israele e l’Arabia Saudita
  Prima di tutto, un accordo di sicurezza tra Stati Uniti e Arabia Saudita in grado di garantire la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Stato ebraico – e di intaccare allo stesso tempo quelle tra Arabia Saudita e Cina – sarebbe un vero e proprio punto di svolta per il Medio Oriente, ancora più importante del trattato di pace di Camp David tra Egitto e Israele. La pace tra Israele e Arabia Saudita, la custode delle due città più sante dell’Islam, la Mecca e Medina, spianerebbe infatti la strada alla pace tra Israele e tutto il mondo musulmano, compresi alcuni Paesi di primo piano come l’Indonesia e forse addirittura il Pakistan. Si tratterebbe di un risultato molto significativo che Biden lascerebbe dietro di sé in politica estera.
  In secondo luogo, se gli Stati Uniti riuscissero a dar vita a un’alleanza per la sicurezza con l’Arabia Saudita – a patto che questa normalizzi i rapporti con Israele e che a sua volta Israele faccia concessioni significative ai palestinesi – la coalizione di Netanyahu al governo, formata da suprematisti ebrei ed estremisti religiosi, una buona volta dovrebbe rispondere alla seguente domanda: è possibile annettere la Cisgiordania oppure fare pace con l’Arabia Saudita e tutto il mondo musulmano, ma non è possibile fare entrambe le cose. Quale scegliamo?
  Beh, al tavolo di gabinetto di Netanyahu non si avvierebbe così una discussione interessante? Mi piacerebbe proprio vedere il ministro delle Finanze di destra di Israele, Bezalel Smotrich, che va in televisione e spiega al popolo israeliano i motivi per i quali Israele avrebbe interesse ad annettere la Cisgiordania e i suoi 2,9 milioni di abitanti palestinesi – per sempre – ma non l’avrebbe a normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita e il resto del mondo musulmano. Un accordo di pace tra sauditi e israeliani potrebbe diminuire drasticamente i contrasti tra musulmani ed ebrei sorti più di un secolo fa con l’inizio del conflitto tra ebrei e palestinesi.
  Prima di far scegliere al governo estremista israeliano tra annessione o normalizzazione, però, molte persone dovrebbero giungere a un accordo su molte cose.

• Cosa vogliono i sauditi
  Detto ciò, Jake Sullivan oggi non è a Riad in veste di turista. I sauditi vogliono ottenere tre cose importantissime da Washington: un trattato di difesa reciproco in stile Nato che imponga agli Stati Uniti di soccorrere l’Arabia Saudita in caso di attacco (molto presumibilmente dall’Iran); un programma nucleare a scopi civili, monitorato dagli Stati Uniti; e la facoltà di acquistare armi statunitensi più sofisticate, come il sistema di difesa missilistico antibalistico Terminal High Altitude Area Defense, particolarmente utili per i sauditi nei confronti dell’arsenale israeliano in continuo incremento di missili a medio e lungo raggio.

• Cosa vogliono gli americani
  Tra le cose che gli Stati Uniti vogliono ottenere dai Sauditi ci sono la fine dei combattimenti nello Yemen, dove nel corso dell’anno passato per fortuna il conflitto ha perso di intensità; un importante pacchetto di aiuti alle istituzioni palestinesi in Cisgiordania come ancora non si è visto; limiti significativi al rapporto sempre più stretto tra Arabia Saudita e Cina.
  Per esempio, gli Stati Uniti non sono rimasti soddisfatti quando l’anno scorso l’Arabia Saudita ha preso in considerazione l’idea del renminbi cinese al posto del dollaro statunitense per fissare il prezzo di alcune vendite di petrolio alla Cina. Tenuto conto del peso economico di Cina e Arabia Saudita, infatti, con il passare del tempo questa decisione avrebbe un impatto molto negativo sul dollaro americano e sul suo ruolo di principale valuta mondiale. Ecco, quella eventualità dovrebbe essere scongiurata. Gli Stati Uniti desiderano anche che i sauditi riducano i loro rapporti con i colossi cinesi dell’hi-tech come Huawei, i cui dispositivi per le telecomunicazioni più recenti sono vietati negli Usa.
  Si tratterebbe della prima volta che un accordo di sicurezza reciproca viene sottoscritto dagli Stati Uniti con un governo non democratico da quando il presidente Dwight Esenhower ne firmò uno con la Corea del Sud pre-democratica nel 1953, e sarebbe indispensabile l’approvazione del Senato.
  Altrettanto importante, comunque, è che cosa chiederebbero i sauditi a Israele per salvaguardare la prospettiva della soluzione dei due stati, proprio come gli Emirati Arabi Uniti chiesero a Netanyahu di rinunciare a qualsiasi tipo di annessione della Cisgiordania in cambio dei loro Accordi di Abramo.
  Le autorità saudite non prestano particolare attenzione ai palestinesi e non sono competenti in fatto di complessità del processo di pace.

• Il nodo palestinese
  Nel caso in cui giungesse a un accordo senza una significativa componente palestinese, invece, lo staff di Biden assesterebbe un colpo mortale sia al movimento democratico israeliano – concedendo a Netanyahu un bonus geopolitico enorme e gratuito, proprio quando ha appena fatto qualcosa di così antidemocratico – sia alla soluzione dei due stati, perno portante di tutta la diplomazia degli Stati Uniti in Medio Oriente.
  Non credo che Biden farà una cosa del genere. Scatenerebbe una ribellione nella base progressista del suo partito e renderebbe pressoché impossibile la ratifica del trattato.
  “Per il presidente Biden sarà abbastanza complicato far sì che il Congresso degli Stati Uniti accetti un accordo di questo tipo”, mi ha detto il senatore Chris Van Hollen, rappresentante democratico del Maryland nel Comitato per le Relazioni estere del Senato e nella Sottocommissione della Camera per le operazioni estere che finanzia il Dipartimento di Stato. “Ti posso assicurare, in ogni caso, che tra i democratici ci sarà uno zoccolo duro considerevole di oppositori che respingeranno qualsiasi proposta che non includa clausole apprezzabili, chiaramente definite e attuabili volte a tutelare la soluzione dei due stati e soddisfare l’istanza del presidente Biden stesso che palestinesi e israeliani godano di libertà e dignità in ugual misura. Si tratta di fondamenti basilari in qualsiasi accordo sostenibile di pace in Medio Oriente.”
  Io credo che, come minimo, sauditi e americani potrebbero e dovrebbero esigere quattro cose da Netanyahu in cambio di qualcosa di così prezioso come la normalizzazione e gli scambi commerciali con lo stato arabo musulmano più importante: L’impegno formale a non annettere la Cisgiordania. Mai. Nessuna nuova colonia o espansione in Cisgiordania fuori dagli insediamenti già esistenti. Nessuna legalizzazione di avamposti di insediamenti ebraici non programmati. Il trasferimento di parte del popoloso territorio palestinese dall’Area C in Cisgiordania (al momento sotto il pieno controllo di Israele) alle Aree A e B (sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese) – come previsto dagli Accordi di Oslo. In cambio, l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe sottoscrivere l’accordo di pace dell’Arabia Saudita con Israele.
  A dire la verità, oggi l’Autorità Nazionale Palestinese non si trova in una posizione tale da poter intavolare colloqui di pace con Israele. È sottosopra. I palestinesi devono rinnovare il loro governo, ma nel frattempo i ministri di estrema destra del gabinetto israeliano stanno cercando di assimilare quanto più territorio possibile della Cisgiordania il più rapidamente possibile.
  È indispensabile che questo cessi immediatamente, ma senza che il Dipartimento di Stato debba agitare il dito indice per far capire quanto gli Stati Uniti sono “gravemente preoccupati” per gli insediamenti israeliani. Sarebbe meglio un’importante iniziativa strategica imperniata su qualcosa di significativo per tutti, a esclusione dei fanatici di tutte le parti in causa.
  Ripeto: un accordo, di qualsiasi tipo sia, richiederà mesi di difficili negoziati tra Stati Uniti, Arabia Saudita, Israele e Autorità Nazionale Palestinese. Nel migliore dei casi, si tratterà di una scommessa azzardata.
  Se però Biden deciderà di provarci, se gli Stati Uniti riusciranno a mettere a punto un accordo che possa essere di enorme interesse strategico per l’America, di enorme interesse strategico per Israele, di enorme interesse strategico per l’Arabia Saudita (ammettendola nel club più che esclusivo dei Paesi sotto l’ombrello protettivo degli Stati Uniti), se riusciranno a rilanciare le speranze palestinesi di una soluzione con due stati, si tratterà di un trattato molto molto importante.
  Se poi, così facendo, si dovesse costringere Netanyahu a lasciar perdere gli estremisti del suo governo e a fare causa comune con il centrosinistra e il centrodestra di Israele, il nuovo trattato non sarebbe anche la ciliegina sulla torta?

(la Repubblica, 30 luglio 2023)

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Sui social spopola la “leggenda dell’ebreo che sparava alle nuvole” di Ceriano Laghetto

In questi giorni di precipitazioni e devastazioni, in molti si sono ricordati di questa leggenda, legata al Frutteto di Ceriano Laghetto, un tempo di proprietà della famiglia Wischkin, dal 2008 rilevato da un gruppo di imprenditori trentini.

di Tommaso Guidotti

FOTO
Che fine ha fatto l’ebreo che spara alle nuvole? Sembra una domanda da romanzo, invece è un quesito posto su uno dei gruppi Facebook che animano la vita social del territorio saronnese. L’ha posto una partecipante a “Sei di Saronno Se…”, scatenando una serie di commenti, foto e ricordi di un’epoca non lontanissima, ma ammantata di leggenda. 
  Leggenda che parte dal nome dell’autore degli “spari” contro le nuvole: l’ebreo. Così era chiamato nel territorio saronnese il proprietario del Frutteto di Ceriano Laghetto, di proprietà della famiglia Wischkin, poi nel 2008 l’area è stata rilevata da un gruppo di imprenditori trentini che si sono messi all’opera per il rinnovo e il potenziamento degli impianti frutticoli (vengono coltivate diverse varietà di mele e pere). Il Frutteto di Ceriano Laghetto oggi si estende per circa 80 ettari all’interno del Parco delle Groane e al suo interno, oltre alla vendita e alla produzione di frutta, vengono organizzati eventi aperti alla popolazione per la raccolta delle mele, visite guidate e tanto altro.
  Ma torniamo alla “leggenda”: su chi fosse l’”ebreo” non ci sono certezze, forse uno dei Wischkin, forse uno dei gestori del frutteto, incaricati dalla famiglia proprietaria di curare le loro piante di frutta. Qualcuno sostiene fosse un uomo di religione ebraica sfuggito alla cattura dei fascisti che si era nascosto in un primo tempo a Cogliate poi a Ceriano Laghetto. L’appellativo, usato non in termini sprezzanti e senza nessun intento razzista, era diffuso in tutto il territorio per identificare chi, quando il cielo si rabbuiava, sparava verso le nuvole, utilizzando una tecnica diffusa in diverse zone del Paese per evitare che la grandine rovinasse i raccolti: da Saronno a Rovellasca si sentiva il suono sordo dei “cannoni” e tutti subito lo identificavano: “ecco l’ebreo che spara”.
  In questi giorni di grande devastazione, con chicchi di ghiaccio grandi come palle da tennis che sono caduti in quantità impressionante, con una violenza mai vista prima, in molti hanno ripensato a quei boati. Chiariamo subito un punto: scientificamente non ha fondamento la tecnica dello sparo usato per “spaccare” le nuvole ed evitare la caduta della grandine. Questi cannoni sono visibili ancora al Frutteto i Ceriano Laghetto (erano tre quelli attivi) e alla Polveriera di Solaro, conservati per mostrare questo retaggio del passato agricolo della zona. I colpi di artiglieria, sparati da un cannone a cono rovesciato rivolto verso il cielo, venivano sparati a salve durante i temporali, provocando un’onda d’urto verso l’alto per spaccare le nuvole e impedire la formazione di celle. Come detto, non ci sono evidenze scientifiche sulla reale efficacia di questa pratica (come ad esempio il suono continuato delle campane, utilizzato per lo stesso motivo), ormai in disuso, ma il post sui colpi sparati da Ceriano Laghetto ha risvegliato i ricordi di tantissimi.

(Saronno News, 26 luglio 2023)

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Il salmista ignoto (2)

di Marcello Cicchese

L'ignoto autore del salmo 119, che per comodità abbiamo chiamato Ariel, nel suo scritto dà espressione a un insieme di considerazioni, riflessioni, interrogativi, timori, preghiere che gli provengono dal suo fermo proposito di continuare a vivere sulla terra in uno stretto rapporto di ubbidiente fede col suo Signore che è nel cielo.
  A un certo punto si rivolge a Dio e dice:

    Io sono straniero sulla terra;
    non nascondermi i tuoi comandamenti
    (19).

Sorprende che Ariel si consideri straniero sulla terra, perché tutto fa pensare che egli stia muovendosi su quella terra che è la patria dei comandamenti di Dio: Israele. Sono i suoi abitanti che gli pongono problemi:

    Si avvicinano a me quelli che vanno dietro all'infamia:
    essi sono lontani dalla tua legge
    (150).

E' una questione di vicinanza e lontananza. In un certo senso siamo vicini - pensa Ariel - perché apparteniamo alla stessa famiglia spirituale. Si avvicinano a me, ma restano lontani dalla legge di Dio. E questa è un'infamia, perché non si avvicinano per camminare insieme a me "secondo la legge dell'Eterno" (v.1), ma per trascinare anche me lontano da quella legge.
  Le difficoltà di Ariel coi suoi simili non sono di generica moralità, ma riguardano il valore che ha in sé la legge di Dio e il posto che occupa nella considerazione degli uomini. I superbi e gli empi che egli incontra nel suo percorso, e con cui si scontra, non sono valutati e giudicati per la gravità dei loro peccati,  per ingiustizie e violenze che possano aver commesso, ma tutto si concentra nel rapporto che essi mantengono con il bene unico e prezioso della legge di Dio. Non solo non la osservano, ma più che questo la ignorano, la disprezzano, e deridono chi vuole attenersi ad essa con scrupolo e gratitudine verso il Legislatore.
  Ariel, al primo posto tra quelli che vengono derisi, osserva, soffre e piange. Piange non per quello che gli fanno, ma per come viene trattata la legge di Dio:

    Rivi di lacrime mi scendono dagli occhi,
    perché la tua legge non è osservata
    (136).

La gravità dell'inosservanza della legge sta nel fatto che essa è un bene prezioso negletto e calpestato proprio da coloro a cui Dio l'ha consegnato. Perché i nemici di Ariel non sono pagani ignoranti, ma esponenti autorevoli del popolo della legge. La loro azione dunque è un tradimento. E questo è orribile:

    Io ho visto i traditori e ne ho provato orrore;
    perché non osservano la tua parola
    (158).

L'orrore esprime un sentimento di ripugnanza di fronte  a un modo di agire innaturale, contro natura, contrario alla natura del popolo di Dio.
  All'orrore si aggiunge una furente indignazione. Sì, Ariel oltre a piangere può essere anche furioso:

    Un'ira ardente mi prende a causa degli empi
    che abbandonano la tua legge
    (53).

Abbandonano, si badi bene. Abbandonare la moglie non è come non avere una moglie: lo stesso si può dire della legge di Dio. Non è dunque un sentimento di tenera compassione quello che prova Ariel verso quegli empi, perché essi hanno ricevuto la legge di Dio, ma l'hanno ignorata, calpestata e abbandonata. E nel tentativo di giustificare se stessi adesso si avvicinano con comportamenti ambigui,  percorrendo tortuosi sentieri di menzogna. Di qui la sua forte azione di rigetto:

    Io odio gli uomini dal cuore doppio,
    ma amo la tua legge
    (113);
    Odio e detesto la menzogna,
    ma amo la tua legge (163).

    Perciò ritengo giusti tutti i tuoi precetti,
    e odio ogni sentiero di menzogna
    (128).

Detestare i bugiardi e gli imbroglioni è cosa tutto sommato normale per ogni persona onesta, ma perché accostare ogni volta al vizio altrui la propria virtù? Eppure è così che agisce Ariel: a fronte di tortuosi comportamenti di uomini infedeli alla legge e menzogneri ribadisce ogni volta la sua integrale dirittura:

    Io ho scelto la via della fedeltà,
    mi sono posto i tuoi giudizi davanti agli occhi
    (30);

ed è sicuro che i suoi avversari non potranno coglierlo in fallo:

    Non sarò svergognato
    quando considererò tutti i tuoi comandamenti
    (6).

Sorge allora una domanda: ma se Ariel vuol essere un pio israelita fedele alla legge di Dio in tutto, che motivo ha di continuare a confrontarsi con quelli che invece a quella legge non ci pensano proprio e deridono  chi come lui lo vuole fare? Se quelli dimenticano le parole di Dio e abbandonano la legge, in fondo sono fatti loro, penserà qualcuno.  Non sarà che Ariel è come quelli a cui Isaia rimprovera di dire agli altri: "Fatti in là, non ti accostare, perché io sono più santo di te" (Isaia 65:5)?
  L'obiezione è seria, perché proprio questa è la reazione, soprattutto fra i credenti, che si avrebbe davanti a chi volesse sbandierare la sua fedeltà a Dio con parole simili a quelle di Ariel.
  Qualcosa dunque fa pensare che il centro del messaggio non può consistere in una spinta a imitare il salmista in tutto e per tutto. La chiave di lettura dev'essere un'altra.
  Un versetto può servire a metterci sulla strada:

    Il mio zelo mi consuma
    perché i miei nemici hanno dimenticato le tue parole
    (139).

Qualcosa di simile si trova in un altro salmo:

    Lo zelo per la tua casa mi divora
    gli insulti di chi ti oltraggia sono caduti su di me
    (Salmo 69:9).

Lo zelo di Ariel lo consuma; quello di Davide lo divora.
  Lo zelo di Davide ha come oggetto la casa di Dio; quello di Ariel la legge di Dio.
  Tutti e due incontrano ostacoli e si scontrano con nemici interni al popolo.
  Davide è riconosciuto da tutti come servo dell'Eterno, con tutto quello che questa espressione significa; Ariel si rivolge a Dio presentandosi ripetutamente (ben 13 volte) come tuo servo.
  Anche se l'espressione tuo servo è usata spesso come forma di cortesia anche in altre culture, in questo contesto il significato più adatto è quello letterale: il salmista si rivolge a Dio non come un qualsiasi pio israelita, ma come un servo dell'Eterno chiamato a svolgere un incarico che gli è stato affidato.
  Dovrà essere il testo stesso a far intuire qual è l'incarico, ma che di questo si tratti può essere avvalorato da due versetti:

    Mantieni la parola data al tuo servo,
    che inculca il tuo timore
    (38);
    Ricordati della parola detta al tuo servo;
    su di essa mi hai fatto sperare
    (49).

Ciò di cui qui si parla non è un ordine generale rivolto a tutti, ma una precisa parola data o una parola detta allo specifico servo dell'Eterno che ha scritto questo salmo e noi abbiamo chiamato Ariel.
  Questo può spiegare lo zelo che Ariel mette nello svolgere il suo incarico, perché per lui è un impegno che certamente lo onora, ma d'altra parte gli procura innumerevoli nemici e lo spinge a rivolgere preghiere appassionate al suo Signore.
  Ariel dichiara in modo chiaro di avere un rapporto personale con Dio:

    Tu hai fatto del bene al tuo servo,
    o Eterno, secondo la tua parola
    (65);

e ardisce chiedere a Dio di continuare a fargli del bene, affinché possa continuare a svolgere nel modo migliore il suo incarico:

    Fa' del bene al tuo servo
    perché io viva e osservi la tua parola 
    (17).

L'incarico assegnato al salmista potrebbe consistere nel dover essere in mezzo al popolo la presenza personificata della parola di Dio nella forma di un servo dell'Eterno che da una parte assume su di sé il peso della perfetta osservanza di quella parola e dall'altra svolge il compito di ricordarla incessantemente agli altri col suo esempio, i suoi inviti, le sue riprensioni. Incarico arduo, indubbiamente. Si direbbe impossibile. Eppure il salmista sembra esserci riuscito, stando alle ripetute dichiarazioni di fedeltà riportate nel numero precedente, tra cui ne ricordiamo qui soltanto alcune a mo' di esempio:

    io ho osservato le tue testimonianze;
    non ho abbandonato i tuoi precetti;
    ho fatto ciò che è retto e giusto;
    ho osservato i tuoi precetti e le tue testimonianze;
    ho messo in pratica i suoi comandamenti.

Si può discutere caso per caso se i verbi usati in queste dichiarazioni siano da intendere al passato (ho osservato) o al presente (osservo) o al futuro (osserverò), ma in ogni caso sono espressioni così insistentemente ripetute che non si può evitare di indicarne un significato coerente e ragionevole, traendone le dovute conseguenze sul piano dell'interpretazione.
  C'è un passaggio in particolare che merita speciale attenzione: il versetto 44. Ne riportiamo qui alcune traduzioni in italiano:

    Osserverò sempre la tua legge, per l'eternità (NR, R20).
    Osserverò la tua legge del continuo, per sempre (ND, D).
    Osserverò la tua legge del continuo, in sempiterno (R06).
    Osserverò la tua legge sempre, in perpetuo e ne' secoli de' secoli (Ricci).
    Osserverò sempre la tua legge, nei secoli e nei secoli dei secoli (Tintori).
    Custodirò la tua legge per sempre, nei secoli, in eterno (CEI).

Le traduzioni più soddisfacenti sono le tre ultime (cattoliche). Tutte comunque cercano di rendere il valore temporale della promessa di fedeltà del salmista, che non dichiara soltanto la risolutezza della sua osservanza alla legge di Dio, ma ne sottolinea anche la durata nel tempo.
  Riportiamo allora il testo originale:

    ואשמרה תורתך תמיד לעולם ועד

e la traduzione CEI;

    Custodirò (ואשמרה) la tua legge (תורתך) per sempre (תמיד), nei secoli (לעולם), e in eterno (ועד),

Questa traduzione rende al meglio il testo perché traduce singolarmente i tre termini del versetto che indicano la progressione temporale.
  Il termine לעולם (leolam), tradotto con nei secoli, è particolarmente interessante perché l'espressione עולם הבא (olam habà) indica in ambito ebraico il Regno di Dio che viene. Ha dunque un valore escatologico.
  L'ignoto salmista dichiara dunque che lui sarà fedele alla legge di Dio per sempre, nei secoli dei secoli e in eterno.
  Alla sorpresa che può generare una dichiarazione così ardita si aggiunge il fatto che in tutto il salmo non è presente alcuna confessione di peccato, alcuna espressione di pentimento.
  Chi è dunque costui? Non si sa. Il salmista è ignoto. E' mai esistito? Esisterà un giorno? Domande a cui ebrei e cristiani possono cercare di dare una risposta. Nel seguito proveremo a proporne una.

(2. continua)
(Notizie su Israele, 30 luglio 2023)


 

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Nasrallah minaccia Israele in caso di attacco al Libano e a Hezbollah

Il leader di Hezbollah ha dichiarato che "il Libano è sotto attacco" al suo confine meridionale e ha avvertito i leader israeliani di "guardarsi da qualsiasi follia".

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha avvertito sabato i leader israeliani di "guardarsi da qualsiasi follia" nell'attaccare il Libano o il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran, che "sarà pronto, senza esitazione, a rispondere".
   In un discorso televisivo per commemorare l'Ashoura, un giorno sacro di lutto osservato principalmente dai musulmani sciiti, Nasrallah ha affermato che "il Libano è sotto attacco" al suo confine meridionale.
"Il nemico sta ancora occupando parte della nostra terra... e parla sfacciatamente delle provocazioni della resistenza ai confini", ha detto.
All'inizio di questa settimana, membri armati di Hezbollah in uniforme completa hanno pattugliato il confine israelo-libanese vicino a Moshav Dovev, nell'Alta Galilea. L'esercito israeliano è stato inviato sul posto per prevenire qualsiasi incidente, in un contesto particolarmente delicato a seguito dei recenti eventi al confine e dell'attuale crisi politica in Israele. Quest'ultimo incidente si inserisce in un contesto di crescente tensione al confine tra Israele e Hezbollah, segnata in particolare dalla recente diffusione di un video del gruppo terroristico che simula un attacco allo Stato ebraico.
   L'avamposto installato da Hezbollah da marzo sul Monte Dov in territorio israeliano è una delle provocazioni. All'inizio di luglio, i funzionari di sicurezza israeliani hanno confermato che gli uomini del gruppo sciita avevano smantellato una delle due tende installate lì, ma che il numero di uomini armati all'interno non era cambiato.

(i24, 29 luglio 2023)

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L'intelligence militare israeliana mette in guardia Benjamin Netanyahu

La probabilità di un'escalation è aumentata drasticamente a causa del disaccordo sulle riforme giudiziarie.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - "I nemici vedono un'opportunità storica nella crisi di Israele", ha avvertito l'agenzia di intelligence militare israeliana Aman al primo ministro Benjamin Netanyahu. Negli ultimi mesi, l'Aman ha inviato quattro lettere personali di avvertimento a Netanyahu, in cui l'unità di intelligence ha espresso le gravi conseguenze per la sicurezza a causa della spaccatura nel popolo . La lettera afferma che i nemici vedono un'opportunità storica per cambiare una volta per tutte la situazione strategica in Medio Oriente a seguito dell'enorme crisi di Israele.
  Alti ufficiali dell'intelligence militare avvertono che il danno non è solo immediato, ma ha anche conseguenze a lungo termine. Secondo l'analisi di Aman, nemici come l'Iran e Hezbollah dividono il deterrente israeliano in quattro pilastri, tutti indeboliti dalla disunione popolare.

  1. La forza dell'esercito di difesa israeliano.
  2. L'alleanza con gli americani.
  3. La forte economia.
  4. L’unità del popolo.

Questo è un momento magnifico per attaccare e distruggere Israele. I nemici sono in agguato per aspettare il momento opportuno e su questo l'intelligence militare israeliana ha fonti attendibili.
  Come riportato in precedenza, la leadership di Hamas si è incontrata con il regime degli ayatollah a Teheran e ha discusso del momento migliore per attaccare Israele. Si è deciso di rimandare l'attacco per la semplice ragione che era troppo presto e che un attacco avrebbe unito il popolo di Israele in questo momento. La spaccatura tra il popolo deve approfondirsi, solo allora varrà la pena di attaccare. Inoltre, l'intervista dell'ex Primo Ministro Ehud Olmert ai media britannici ha fatto notizia: "Israele sta entrando in una guerra civile", ha detto. Alcune ore dopo l'approvazione da parte della Knesset della revoca dei criteri di adeguatezza, e all'ombra di enormi manifestazioni in tutto il Paese, l'ex primo ministro israeliano Olmert ha dichiarato: "Ci sarà una disobbedienza civile, con tutte le possibili conseguenze per la stabilità del Paese e la capacità del governo di gestire il Paese". A suo avviso, il governo nazionalista di destra guidato da Benjamin Netanyahu non è legittimo.
  I nemici di Israele stanno pazientemente osservando gli sviluppi di Israele e colpiranno quando sarà il momento.  Il 58% degli israeliani teme una guerra civile nel Paese. Questo secondo un sondaggio di Maariv. Solo il 38% degli israeliani non teme una guerra fratricida. Un altro 4% non lo sa. Come è stato spesso sottolineato, una guerra fratricida è sulla bocca di tutti, indipendentemente dall'appartenenza politica. Questo pericolo aleggia nell'aria come mai prima d'ora, soffiando come il vento oltre i confini dei Paesi arabi.
  La crisi politica di Israele nei confronti dell'America è considerata estremamente grave agli occhi dei nemici di Israele. Per quanto riguarda la competenza dell'esercito, Aman vede l'Iran e Hezbollah monitorare da vicino la crisi del sistema delle riserve e i danni ai sistemi vitali dell'esercito israeliano. L'"estate del 2023" in Israele, come il nemico vede la situazione di Israele, costituisce un punto di debolezza storico. Se prima si parlava solo di un attacco tattico di deterrenza contro Israele, oggi l'intelligence militare di Aman è più inquieta. I nemici vedono un possibile round di guerra perché, a loro avviso, c'è stata una significativa erosione della deterrenza di base in Israele.
  Oltre alle lettere di avvertimento al Primo Ministro israeliano, il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi ha incontrato Netanyahu e gli ha presentato informazioni e prove concrete a sostegno dell'analisi dell'intelligence militare Aman. L'intelligence stima che l'Iran e Hezbollah siano seduti sulla barricata e stiano lasciando dissanguare Israele dall'interno. La probabilità di un'escalation è aumentata drasticamente a causa del disaccordo sulle riforme legali, e questo deve essere sotto gli occhi dell'apparato di sicurezza israeliano. Questo spiega, tra l'altro, perché la maggior parte degli ex capi dell'intelligence del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e del Capo di Stato Maggiore hanno avvertito il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di fermare le riforme legali, perché questo rovinerà la strategia di deterrenza di Israele e metterà così a rischio l'esistenza di Israele.
  Ma dall'altra parte, ministri, pubblicisti e politici di destra vedono in questo una sorta di colpo di stato militare. Generali che spaventano inutilmente la popolazione per fermare il governo nazionalista di destra e le sue riforme legali. Ecco perché gli avvertimenti dell'intelligence militare israeliana non vengono presi sul serio dalla coalizione. Scopriremo chi ha ragione in futuro, ma nel frattempo i nemici di Israele sono in agguato e questo deve essere preso sul serio.

(israel heute, 29 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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In Israele quasi un terzo degli abitanti si dice pronto a lasciare il Paese a causa del governo

Da quando lunedì 24 luglio il parlamento israeliano ha votato un provvedimento faro della riforma giudiziaria voluta dal governo, quasi il 30% degli abitanti ha intenzione di lasciare Israele. Per questo, molti di loro si avvalgono dei servizi di avvocati specializzati nell’ottenimento di passaporti europei.
  Bandiera israeliana in mano, instancabile, Inbal si unisce ai suoi amici in un’altra manifestazione contro il governo e la sua riforma della giustizia. Erano ancora in migliaia a sfilare giovedì 27 luglio a Tel Aviv, nonostante il voto di lunedì di un provvedimento faro di riforma giudiziaria, molto controverso, portato dal premier israeliano. Secondo un sondaggio, il giorno dopo questo voto, il 28% degli israeliani ha intenzione di lasciare il proprio Paese, preoccupato per la politica attuale.
  Per Inbal e la sua famiglia la decisione è stata presa anche prima. “La notte delle elezioni, il 1° novembre, abbiamo visto i risultati e quello stesso giorno la mia famiglia ha preso la decisione di richiedere un passaporto straniero”. Questa partenza è “un’uscita di emergenza” per lei, che teme una deriva autoritaria e un Israele sempre meno laico, mentre l’attuale governo è il più religioso della storia del Paese.
  Per prepararsi a queste partenze, chi ne è sprovvisto deve munirsi di passaporto straniero. Yoshua Pex, avvocato specializzato in domande di naturalizzazione, conferma l’aumento di queste domande negli ultimi mesi,
Dalle ultime elezioni, è molto chiaro. Abbiamo visto un aumento delle ricerche di passaporti stranieri e un aumento delle domande. Israele è un paese di immigrati. Molti ebrei sono venuti dall’Europa, quindi ci sono molti interessati Alcuni non si qualificano nemmeno, ma ci provano lo stesso”.
  Mentre si stima che circa un milione di israeliani possiedano passaporti stranieri, l’autorità per la popolazione e l’immigrazione afferma di non conoscere i dati sulle partenze. Ma sui social network la tendenza è chiara: sempre più gruppi di israeliani si aiutano a vicenda per prepararsi al trasloco. Ophir, che lavora nell’alta tecnologia, non vede un possibile futuro in Israele.
  “Io e il mio compagno ci siamo sposati non molto tempo fa e abbiamo deciso che non avremmo assolutamente continuato la nostra vita qui”.
  “Abbiamo fatto tutto secondo le regole, siamo andati a scuola, abbiamo prestato servizio nell’esercito, abbiamo studiato, abbiamo trovato lavoro, nutriamo l’economia e finiamo con un governo che ci mette i bastoni tra le ruote e possiamo vedere che è non andrà bene. Tutti i nostri piani stanno andando a rotoli”, deplora il giovane israeliano. Lei e suo marito sono riusciti a ottenere un passaporto europeo e, come molti israeliani, hanno scelto il Portogallo.
  Ma alcune partenze destano più preoccupazione di altre. Dall’approvazione della prima legge di riforma giudiziaria, 3.000 medici si sono uniti a un gruppo WhatsApp per discutere di opportunità professionali all’estero. Il direttore generale del ministero della Salute ha tenuto una riunione d’urgenza sperando di convincerli a restare.

(dayFRitalian, 29 luglio 2023)

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Israele e la Cina. Test per Netanyahu in vista della visita a Washington (e Pechino)

Netanyahu gioca con la Cina. Foto con il libro di Xi anticipando un probabile viaggio a Pechino (prima o dopo della visita alla Casa Bianca?)

di Emanuele Rossi

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, insiste che a settembre andrà alla Casa Bianca, ma non solo Joe Biden non ha mai fornito una data per l’invito a Washington “entro l’anno”, ma le recenti vicende potrebbero aver ulteriormente raffreddato i rapporti. Non c’è solo la mossa sulla riforma della giustizia. A pochi giorni dal voto parlamentare che ha creato caos in Israele e che Washington aveva apertamente chiesto di evitare, Netanyahu si è fatto fotografare con l’ambasciatore cinese Cai Run mentre teneva in mano “Governare la Cina”, il libro manifesto del leader cinese Xi Jinping.
  Il combinato disposto non è stato apprezzato a Washington. Non perché gli americani non sapessero della testardaggine di Bibi (e delle sue necessità riguardo alla riforma della giustizia o delle azioni aggressive sui territori occupati palestinesi). Ma perché quella foto e quel sorriso beffardo sono sembrati a mezzo mondo una provocazione contro gli Stati Uniti — che vedono la Cina come potenza rivale. Sarebbe interessante sapere se ciò avrà avuto effetti sul mood dei colloqui che in questi giorni funzionari senior dell’amministrazione Biden terranno con le controparti saudite — e con l’erede al trono Mohammed bin Salman.
  Netanyahu sta cercando la sponda statunitense per normalizzare le relazioni con Riad. Gli americani tanto quanto i sauditi sono assolutamente d’accordo in linea generale, ma le questioni legate alla Palestina e le mosse radicali del governo israeliano stanno un po’ rallentando il processo. Si scrive “rallentando” perché una normalizzazione tra Riad e Gerusalemme rientra nei desiderata strategici di tutti e tre gli attori ed è il flusso degli eventi a renderla pressoché certa in futuro. Tuttavia gli eventi possono cambiare e quel futuro potrebbe allontanarsi anche per via della Cina — oppure avvicinarsi.
  Pechino ha già fatto da mediatore finale nel lungo e complicato processo di distensione tra Iran e Arabia Saudita: potrebbe fare altrettanto anche con Israele? Il rapporto con la Cina è parte del dialogo tra americani, sauditi e israeliani. Washington tiene sotto stretta osservazione le relazioni con il rivale sistemico globale, in particolare se toccano materie delicate (tecnologie, difesa, investimenti infrastrutturali), e soprattutto se coinvolgono alleati chiave come Israele e Arabia Saudita.
  La ragione di queste attenzioni le ha recentemente spiegate il professore della Fudan University Sun Degang, direttore del Center for Middle East Studies di una delle più prestigiose università cinesi. “In mezzo a grandi cambiamenti mai visti in un secolo, i paesi del Medio Oriente ‘guardano a est’, mentre i paesi asiatici ‘si dirigono a ovest’. Entrambe le parti stanno sviluppando rapporti di cooperazione sempre più stretti e pragmatici”.  Questo incrocio è particolarmente preoccupante per Washington perché teme di perdere contatto con una regione dalla quale vorrebbe in teoria ridurre il coinvolgimento, ma pretenderebbe di avere un totale controllo da remoto.
  Mentre possono sufficientemente fidarsi degli attori amici — come il giapponese Fumio Kishida (recentemente in tour nel Golfo) o i vietnamiti (che da poco hanno firmato un accordo di libero scambio con Israele che per gli Usa va sotto l’etichetta friendshoring) — gli americani temono che le collaborazioni che i Paesi mediorientali mettono in piedi con la Cina non solo sostituiscano quelle statunitensi, ma che in qualche modo vengano messe a repentaglio le basi della loro presenza nella regione: per esempio, pensano che la diffusione di sistemi 5G (o 6G) cinesi possa permettere alle intelligence di Pechino di acquisire informazioni a detrimento degli interessi americani.
  Per esempio, le preoccupazioni degli Stati Uniti sulla possibilità che tecnologie americane-israeliane raggiungano la Cina, per il potenziale controllo cinese delle infrastrutture vitali di Israele e per l’acquisizione di aziende innovative israeliane da parte di imprese controllate dalla Cina, sono state rese note a Israele in modo bipartisan, non solo nelle visite dei funzionari delle ultime due amministrazioni (caratterizzati da colori politici diversi e approccio diversi con Israele). Anche nel discorso del presidente repubblicano della Camera dei Rappresentanti, Kevin McCarthy, il primo maggio scorso, c’è stato un riferimento a queste preoccupazioni. McCarthy ha esortato Israele a rafforzare la sua supervisione sugli investimenti stranieri.
  In un recente saggio per il Jerusalem Strategic Tribune, pubblicazione boutique che si occupa di affari mediorientali con occhio israelo-centrico, il direttore Eran Lerman ha delineato l’agenda cinese di Netanyahu. Cosa porta il primo ministro israeliano a “liberarsi dalla morsa di una politica interna corrosiva e di rivendicare ancora una volta un posto sulla scena globale?” si chiede Lerman, ex direttore per gli affari internazionali al Consiglio di sicurezza nazionale israeliano.
  Punto primo, “chiarire la percezione della minaccia di Israele se l’Iran continuerà a progredire verso una capacità nucleare militare”, poi “riaffermare il reciproco interesse per la stabilità regionale, compreso il sostegno alla sopravvivenza economica di attori chiave come l’Egitto”, e poi “discutere di cooperazione tecnologica, dalla medicina all’agricoltura”. Questi sono gli obiettivi che porteranno Netanyahu a Pechino nei prossimi mesi, ma secondo Lerman, al di là delle foto e dei messaggi velenosi, si muoverà in misura molto più limitata e accorta rispetto alle visite a Pechino del 2013 e del 2017, “quando Israele sperava ancora di attirare grandi investimenti cinesi in infrastrutture e alta tecnologia, il cui entusiasmo si è poi spento da entrambe le parti”.

(Formiche.net, 29 luglio 2023)

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Israele: Yoav Gallant vuole un governo di unità nazionale senza i partiti religiosi sionisti

Il ministro della Difesa vuole un governo che includa il partito di unità nazionale di Benny Gantz

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, del partito Likud, afferma che ‘Israele ha bisogno di un governo di unità nazionale’ e intende ‘lavorare per esso, anche se questo significa dimettersi dal suo incarico’”, ha riportato venerdì il quotidiano. Yediot Aharonot.
  Per uscire dalla crisi, Gallant vuole un governo che includa il partito di Unità nazionale di Benny Gantz e il partito Yesh Atid di Yair Lapid, insieme a Likud e Benjamin Netanyahu, in modo da avere voti sufficienti per operare senza il sionismo religioso di estrema destra e Otzma Yehudit feste.
  “Vista l’attuale situazione nei settori della difesa, della sanità, della giustizia, dei rapporti con il governo americano, e visto quanto sta accadendo nelle nostre strade, questo è il massimo da intraprendere”, ha indicato il quotidiano, che sembra sostenere l’approccio del Ministro della Difesa. Secondo Yediot Aharonot Gallant avrebbe sollevato l’idea con il capo del CENTCOM (Comando centrale americano): “Alcuni membri del governo stanno pensando di salire sulla Tour Eiffel in questo momento, quando ci porteranno tutti alla Torre di Pisa”, avrebbe ha lanciato il ministro.
  Venerdì scorso, Yoav Gallant aveva già indicato di voler “con tutti i mezzi” promuovere un “ampio consenso” sul disegno di legge sulla ragionevolezza, che mira a impedire alla Corte Suprema di ribaltare una decisione governativa e che è stata approvata lunedì dalla Knesset.
  In una colonna dal titolo evocativo del 25 luglio, anche il presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder, invoca la formazione di un governo di unità nazionale: “Ci sono solo tre uomini che possono realizzare questa unità: Benjamin Netanyahu, Yair Lapid e Benny Gantz. Sulle loro spalle, questi tre leader portano una responsabilità storica. Pertanto, nonostante questo voto, devono sedersi immediatamente per discutere francamente della situazione allarmante della nazione. E devono superare i loro interessi personali e le loro differenze politiche per essere in grado di formare un governo di emergenza forte e stabile”.
  L’aiutante dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu parla delle minacce “esistenziali” a Israele dall’inizio della crisi: “Il futuro di Israele è in bilico. L’unico stato del popolo ebraico affronta un pericolo esistenziale imminente. Una combinazione senza precedenti di minacce esterne e interne ha portato Israele sull’orlo”.

(dayFRitalian, 29 luglio 2023)

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Messico. “Ebrea bulgara”: l’ex presidente contro la candidata alle presidenziali

Claudia Sheinbaum
Vicente Fox, presidente del Messico fra il 2000 à 2006, populista di destra, ha definito la candidata alle elezioni presidenziali 2024 Claudia Sheinbaum ‘ebrea bulgara’. I genitori di Claudia Sheinbaum sono originari della Lituania e della Bulgaria.
  Fox ha anche attaccato l’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador e il governo attuale come “dei pigri che non c’entrano niente con il governo”, secondo il Los Angeles Times. Lo riporta i24News.
  L’ex presidente si è in seguito scusato, dicendo di “avere un grande rispetto per la comunità ebraica”. Ma il Los Angeles Times riporta che non è la prima volta che la Sheinbaum viene trattata da “straniera” dagli avversari politici e che in risposta ha voluto pubblicare su Twitter il suo atto di nascita (messicano).
  Claudia Sheinbaum, un fisico esperto, è diventata il primo sindaco ebreo di Città del Messico nel 2018 e da allora la sua popolarità è in aumento. Si è affermata come la principale concorrente di Lopez Obrador per la nomina del suo partito alla presidenza del prossimo anno. La signora Sheinbaum, che secondo i sondaggi ha forti possibilità di vincere, diventerebbe la prima donna e la prima ebrea a guidare il Messico, se eletta.

(Bet Magazine Mosaico, 28 luglio 2023)

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Israele, le aziende tech stanno scappando

In Israele, Wix e Wiz sono l’emblema delle aziende di successo. Fondata nel 2010, Wiz è una piattaforma per costruire siti web, oltre che una delle società tecnologiche più note del paese e tra quelle con valutazione più alta del settore. Wiz invece è una società di cybersicurezza molto quotata: lanciata un decennio dopo Wix, ha raggiunto una valutazione di 10 miliardi di dollari nel giro di due anni, quasi la metà del tempo impiegato da aziende come Uber e Snapchat.
  Oggi però le due società stanno imboccando strade diverse: Wix sta aumentando il suo impegno in Israele, mentre Wiz sta tagliando i ponti con il paese.
  Negli ultimi sette mesi, Israele è attraversato da una crisi politica. A gennaio, Benjamin Netanyahu – arrivato al suo sesto mandato come primo ministro e sostenuto da una coalizione che comprende partiti di estrema destra – ha presentato un disegno di legge che punta a indebolire i poteri della Corte suprema israeliana. I sostenitori dell’iniziativa sostengono che è necessaria per evitare le ingerenze politiche del massimo tribunale israeliano. I critici sostengono che la riforma indebolirebbe la democrazia israeliana garantendo al governo un potere incontrollato. Nonostante le grandi proteste, questa settimana i legislatori israeliani hanno approvato la prima parte della riforma giudiziaria.
  Il conflitto è percepito in modo particolarmente accentuato nella “Startup Nation“, il nome con cui è stato ribattezzato l’influente settore tecnologico israeliano. In Israele molti lavoratori tech hanno partecipato alle proteste contro la riforma giudiziaria e i dirigenti delle aziende hanno espresso apertamente i loro timori per i possibili effetti sulla stabilità economica e sociale del paese. Prima del voto sul disegno di legge, circa 200 aziende tecnologiche si erano impegnate ad aderire alle proteste. All’indomani del voto, un gruppo chiamato Movimento di protesta hi-tech Protest ha comprato degli spazi pubblicitari su almeno quattro diversi giornali, oscurandone le prime pagine per sottolineare il “giorno nero per la democrazia“.
  “L’industria israeliana dell’alta tecnologia è molto coinvolta, molto impegnata in ciò che sta accadendo“, afferma Merav Bahat, amministratore delegato della società di sicurezza informatica Dazz, che racconta di sostenere i dipendenti che si sono assentati dal lavoro per scioperare o partecipare alle proteste.

• Tra opposizione e fuga
  I dati pubblicati nello scorso fine settimana da Start-Up Nation Central, un’organizzazione no-profit che promuove la tecnologia israeliana all’estero, mostrano che quasi il 70 per cento delle startup israeliane si sta adoperando per allontanarsi dal proprio paese, ritirando denaro o spostando la propria sede legale.

(World Magazine, 28 luglio 2023)

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L'insediamento cristiano di Nes Ammim in Israele compie 60 anni

Migliaia di volontari hanno vissuto e lavorato nell'insediamento di Nes Ammim, in Israele. Il villaggio è dedicato alla riconciliazione tra ebrei e cristiani, israeliani e tedeschi, ebrei e arabi. È stato fondato 60 anni fa.

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DÜSSELDORF / HAIFA - Una leggera brezza soffia dal Mediterraneo nell'insediamento cristiano di Nes Ammim, nel nord di Israele. Anja Mendouga si scosta una ciocca di capelli dal viso con un rapido gesto della mano. "C'è molto più sole qui che in Germania, mi mette davvero di buon umore", dice e ride. Alle sue spalle, le palme ondeggiano.
  La 35enne di Stoccarda lavora nel team di gestione di Nes Ammim dalla scorsa estate. Per decenni, il villaggio è stato un luogo popolare per i volontari provenienti dall'Europa e dagli Stati Uniti che vogliono vivere, imparare e lavorare in "Terra Santa" per un po'. Quest'anno festeggia il suo 60° anniversario, essendo stato fondato nella primavera del 1963.

• Idea di un protestante olandese
  Un villaggio cristiano in Israele: questa era l'idea del medico olandese Johan Pilon negli anni Cinquanta. Il protestante convinto era inorridito dall'omicidio di massa tedesco di sei milioni di ebrei, l'Olocausto. L'antisemitismo europeo, secondo la sua diagnosi, aveva una delle sue radici nel cristianesimo. Pilon voleva dimostrare che c'era un'altra strada: i cristiani dovevano conoscere l'ebraismo in Israele e diventare così sensibili alle molte forme di antisemitismo.
  Il medico ha trovato sostenitori nei Paesi Bassi, in Germania e in Svizzera. Con l'aiuto di donazioni, fu acquistato per un milione di franchi svizzeri un chilometro quadrato di terreno a nord di Haifa: il nucleo di Nes Ammim, in italiano "Segno per i popoli". I primi coloni arrivarono nel 1963, una coppia di svizzeri. Vivevano in un autobus dismesso che si trova ancora al centro del villaggio. Come museo, racconta i sei decenni in cui il villaggio è cresciuto fino a diventare un centro di incontro ecumenico: con un albergo turistico e numerose case per i volontari.
  E con un giardino che non ha eguali, con bouganville in fiore e cespugli di oleandro. Frank Böhm, tra gli altri, ne è oggi il responsabile. Il 76enne ha già vissuto con la sua famiglia a Nes Ammim 35 anni fa. Ora è tornato come "volontario senior". Indossando pantaloni da lavoro marroni e bretelle rosse, taglia le siepi o mantiene i sentieri in buone condizioni. L'educatore religioso in pensione di Heidelberg vuole aiutare il villaggio a rimettersi in piedi dopo la crisi del covid. "Ho la sensazione di essere necessario qui. Il villaggio è diventato un pezzo di casa per me".

• Non smettere di lavorare contro l'antisemitismo".
  Anche Anja Mendouga sente uno stretto legame con Israele. "Il fascino di Israele è il mix tra un Paese occidentale e i numerosi riferimenti storici e religiosi", afferma la specialista in informatica. Particolarmente toccante: il contatto con i sopravvissuti all'Olocausto e i loro discendenti. "La maggior parte delle persone che si incontrano qui sono state colpite personalmente. Questo è per me un appello ogni volta: non dobbiamo smettere di lavorare contro tutte le forme di antisemitismo e di estremismo".
  Anche la sua visione del cristianesimo è cambiata. "Gesù era un ebreo", dice nella videochiamata. "E possiamo capirlo davvero solo se siamo disposti a imparare dall'ebraismo invece di metterci sopra, come purtroppo è accaduto troppo spesso nella storia". Parla di "apertura degli occhi" perché ha sperimentato molte sorprese in Israele.
  Peter Noack si è sentito allo stesso modo. È rimasto così affascinato dal suo servizio di volontariato e da Israele che ora è presidente dell'Associazione tedesca Nes Ammim con sede a Düsseldorf. "Nes Ammim è un buon posto per esplorare il Paese e conoscerne le molteplici sfaccettature", dice il 31enne studioso di islamistica, che ha prestato servizio volontario nel villaggio per un anno dopo il diploma di scuola superiore. Un programma di studio aiuta i volontari a capire il Paese, aggiunge. "E mettiamo anche a disposizione delle auto".
  Una cosa, però, al momento gli crea problemi: dopo la crisi del covid, le autorità israeliane hanno esitato a rilasciare visti di volontariato per Nes Ammim. Al momento, quindi, ci sono solo pochi volontari nel villaggio, che lavorano nell'hotel e nel giardino. "È come se fosse ancora chiuso", dice Noack. Non può che interrogarsi sui motivi, ma è fiducioso che il problema possa essere risolto.

• Il rabbino temeva la stazione missionaria
  Non è la prima volta che Nes Ammim deve affrontare l'opposizione. Già 60 anni fa c'erano venti contrari: un rabbino temeva allora che l'insediamento diventasse una stazione di missione per convertire gli ebrei al cristianesimo. In seguito, è diventato un partner stretto nella conversazione ebraico-cristiana. Qualche anno dopo, ci furono proteste da parte dei sopravvissuti all'Olocausto: erano contrari al trasferimento a Nes Ammim di tedeschi provenienti dalla "terra dei carnefici". Ma anche in questo caso si sviluppò la fiducia.
  All'inizio del nuovo millennio, il villaggio era alle prese con problemi economici. Un vivaio di rose e una falegnameria, marchi di fabbrica di Nes Ammim per decenni, dovettero essere chiusi. Più volte il villaggio è stato sull'orlo della bancarotta.
  Era quindi chiaro che l'insediamento avrebbe dovuto riorientarsi. È nata l'idea di un villaggio di dialogo: i proprietari hanno venduto appezzamenti di terreno a famiglie ebree e arabe che ora appartengono saldamente al villaggio. Oggi Nes Ammim, con i suoi 400 abitanti, sta economicamente meglio che mai.
  Il 60° anniversario viene celebrato in diversi Paesi in date diverse. In Germania, la cerimonia è prevista per il 23/24 settembre presso la Haus Villigst di Schwerte.

(israelnetz, 28 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Vaetchannàn. Non è mai troppo tardi per affidarsi alla tefillà

di Ishai Richetti

Nella Parashà di Vaetchanan, Moshè racconta le sue infruttuose suppliche a D-o di revocare il decreto che gli proibiva di entrare nella terra di Canaan: E in quel momento supplicai D-o, dicendo: “Mio Signore, D-o, hai cominciato a mostrare al tuo servo la Tua grandezza e la Tua mano forte… Lasciami ora attraversare e vedere la terra buona che è dall’altra parte del Giordano, questo buon monte e il Libano». Ma Dio si è adirato contro a causa vostra e non mi ha ascoltato; e D-o mi ha detto: “È troppo per te! Non continuare a parlarMi di questo argomento. Sali in cima alla rupe e alza gli occhi a occidente, a settentrione, a meridione e a oriente e guarda con i tuoi occhi, perché tu non attraverserai questo Giordano».
  La tragedia del destino di Moshe, il fulcro su cui ruota l’intero libro di Devarim, continua ad essere fonte di domande. Questo leader umile, che ha pazientemente e scrupolosamente portato il popolo ebraico al confine dei propri sogni, per mandato divino non realizzerà quei sogni con loro. Perché D-o rifiuta le suppliche di Moshe? Il peccato di Moshe è così grande che gli si deve negare il perdono? Le porte della preghiera e del pentimento sono veramente chiuse al nostro leader più grande? In tal caso, che speranza abbiamo che D-o ascolti le nostre preghiere?
  I Chachamim si sforzano di capire quale sia l’esatto peccato di Moshe e Aharon sulla scena di Mei Meriva, dove Moshe colpisce la roccia invece che parlarle e dove D-o emette il Suo decreto riguardante il destino di questi grandi leader. Le possibilità suggerite per il fallimento di Moshe e Aharon includono deviazione dalle istruzioni di D-o, rabbia ingiustificata contro il popolo, assunzione di credito per un miracolo divino e altro . Qualunque sia il catalizzatore del verdetto di D-o, tuttavia, perché quel verdetto non può essere annullato ora?
  Numerose fonti rabbiniche suggeriscono che D-o, piuttosto che essere riluttante, non possa perdonare Moshe, basandosi sull’uso del termine lachen (quindi) nel versetto che riguarda Mei Meriva. Secondo la tradizione midrashica, la presenza di questo termine indica che è stato pronunciato un giuramento. Sulla scena di Mei Meriva, D-o in realtà giura che Moshe e Aharon non entreranno in Eretz Israel e questo giuramento divino, una volta prestato, non può essere abrogato. Basandosi su questo approccio, il Sifre suggerisce che la supplica di Moshe si basa su un fraintendimento della portata del voto di D-o. Una volta che Moshe vede che gli è stato permesso di partecipare alle battaglie per la conquista della Transgiordania, presume che il giuramento divino che decretava il suo destino sia stato abrogato e che ora gli sarà permesso di partecipare anche alla conquista di Eretz Canaan, ma D-o lo informa che il voto rimane in vigore e che l’ingresso di Moshe rimane proibito. I Chachamim, basandosi sul Midrash notano che le parole rav lecha possono essere interpretate nel senso di “[Moshe,] tu hai un maestro”.Di fronte al rifiuto delle sue suppliche, Moshe argomenta: Maestro dell’universo, per favore liberati dal Tuo voto, come hai liberato me dai miei voti, in passato. D-o risponde: Moshe, rav lecha, hai un maestro, qualcuno sopra di te che può liberarti dai tuoi voti. Io, invece, non ho padrone. Nessuno, quindi, può annullare i voti che prendo su di Me.
  Muovendosi in una direzione diversa, lo Sforno e il Kli Yakar sostengono che Moshe vuole impedire, attraverso la sua presenza imponente e il coinvolgimento personale nella conquista di Eretz Canaan, ogni possibilità di un eventuale esilio del popolo ebraico. Il piano di Moshe, tuttavia, va contro le intenzioni di D-o che sa che, in futuro, gli ebrei saranno destinati a peccare e che il loro ultimo esilio sarà inevitabile e necessario. Assicura Moshe quindi che la conquista di Eretz Canaan avverrà solo dopo la morte di Moshe, sotto la guida più debole di Yehoshua. Di conseguenza, il possesso continuato della Terra d’Israele non sarà assicurato, ma rimarrà per sempre dipendente dai meriti del popolo ebraico.
  Combinando aspetti degli approcci dell’Abravanel, da un lato, e dello Sforno e del Kli Yakar, dall’altro, il Malbim fa un’affermazione rivoluzionaria. Il decreto di D-o riguardo a Moshe non è affatto il risultato di alcun peccato da parte di questo grande leader, è invece segnato dai fallimenti del popolo ebraico. Secondo il piano originale di D-o, gli ebrei dovevano conquistare la terra di Canaan sotto la continua guida di Moshe. Lo stesso coinvolgimento di Moshe avrebbe portato a una miracolosa catena di eventi. Nessuna battaglia fisica sarebbe stata combattuta, poiché D-o avrebbe miracolosamente distrutto i nemici prima del loro arrivo. Moshe avrebbe supervisionato la costruzione di un Bet haMikdash destinato a rimanere in funzione in perpetuo e l’era messianica sarebbe stata raggiunta. La realizzazione di questi miracoli, tuttavia, rimase dipendente dalla continua fede del popolo in D-o. Quando gli ebrei, attraverso il peccato degli esploratori, si dimostrano indegni dell’intervento soprannaturale di D-o, D-o non ha altra scelta che assicurarsi che Moshe non entri In Eretz Israel e decreta che la generazione dell’Esodo perirà nel deserto, escludendo dal decreto solo Yehoshua e Calev. Da parte loro, Moshe e Aharon condivideranno il destino del resto della loro generazione. Resta però un’ultima possibilità di riscatto. Se la prossima generazione, la generazione che matura nel deserto, può dimostrare la forza del suo impegno verso D-o, il decreto che sigilla il destino di Moshe e Aharon può ancora essere invertito. Questi grandi leader saranno in grado di guidare il popolo ebraico alla conquista di Eretz Israel. Queste speranze però vengono deluse sulla scena di Mei Meriva dove, mentre “si radunano contro Moshe e Aharon”, il popolo ebraico si dimostra indegno della fiducia di D-o. Moshe, inoltre, colpito dal tumulto, perde l’opportunità di santificare pienamente il nome di D-o parlando alla roccia. Di conseguenza, il decreto originale contro Moshe e Aharon viene confermato ed elevato allo status di giuramento divino che non può essere successivamente annullato. Moshe e Aharon periranno “per amore” e “a causa” del popolo.
  Un ultimo approccio alla tesi secondo cui le preghiere di Moshe sono respinte “per il bene del popolo” può essere offerto reinterpretando, ancora una volta, gli eventi di Mei Meriva. La prima generazione di ebrei con cui Moshe ha a che fare, la generazione dell’Esodo, si relaziona a D-o solo attraverso l’emozione primitiva della paura. Quando, poco dopo l’Esodo, questa generazione si trova senz’acqua a Refidim, D-o comanda a Moshe di parlare al popolo nell’unica lingua che capiranno. Colpisci la roccia, comanda, in modo che gli ebrei riconoscano il potere celeste. Può essere che Moshe, in questi momenti critici, cerchi di sottrarsi alla responsabilità dei propri fallimenti passati? Perché D-o avrebbe rifiutato le suppliche di Moshe “per amore degli Israeliti” o “a causa degli Israeliti”?
  Questo enigma è risolto, sostiene l’Abravanel, se accettiamo la sua affermazione secondo cui gli eventi di Mei Meriva non determinano veramente il destino di Aharon e Moshe. L’Abravanel sostiene, contrariamente all’apparente evidenza del testo, che questi grandi leader sono in realtà puniti per peccati precedenti: Aharon per il suo coinvolgimento nel peccato del vitello d’oro e Moshe per la sua partecipazione al peccato degli esploratori. In ciascuno di questi casi, le azioni di questi grandi leader sono guidate da buone intenzioni ma contribuiscono inavvertitamente ai disastri nazionali che ne derivano. Quarant’anni dopo, a Mei Meriva, Moshe si trova di fronte a una generazione che è arrivata a relazionarsi con D-o attraverso la dimensione più matura dell’amore. D-o quindi ordina a Moshe: prendi il bastone. Mostra alle persone che puoi usarlo, ma che deliberatamente non lo farai. Parla alla roccia e, così facendo, “parla” al popolo. Dimostra loro, in questo momento critico, che il potere dell’amore è infinitamente più forte del potere della forza bruta. Moshe fallisce nella sua missione: Di fronte alle lamentele degli ebrei, torna a Refidim, vede davanti a sé gli ebrei di un tempo. In quell’istante, mentre Moshe solleva il suo bastone per colpire la roccia, non riesce a passare con la sua gente da una generazione all’altra. Questo fallimento segna il suo destino. Lui e Aharon (che non si muove per fermare suo fratello) rimarranno per sempre parte della loro generazione, destinati a perire nel deserto senza entrare in Eretz Israel, “per il bene del popolo”. Una nuova generazione ha bisogno di un nuovo leader, uno che sarà in grado di passare con il suo popolo nella marcia verso un futuro glorioso.
  Le interpretazioni di cui sopra, tuttavia, creano un’apertura per una domanda potente. Se il destino di Moshe è segnato “per il bene della nazione”, perché la sua leadership comprometterebbe in qualche modo il destino del popolo ebraico, perché non può entrare nel paese come un uomo comune? Questo umile leader ha già chiesto a D-o di nominare un successore al suo posto e, su comando di D-o, ha nominato pubblicamente Yehoshua come successore. Sicuramente Moshe ora accetterebbe di partecipare alla conquista di Eretz Canaan sotto la guida del suo fidato studente. Perché D-o rifiuta? La Mechilta immagina una conversazione in cui questo argomento, tra gli altri, viene effettivamente sollevato da Moshe: Maestro dell’universo, quando inizialmente hai decretato il mio destino, hai affermato: “Pertanto non porterai questa congregazione sulla terra …” Poiché io non posso portare il popolo ebraico nel paese come un re, per favore permettimi di entrare con loro come un cittadino comune. La risposta di D-o, continua il Midrash, è breve e va al punto: Un re non può entrare [nel paese] come un cittadino comune. Elaborando questo approccio midrashico, l’Abravanel suggerisce che la risposta di D-o a Moshe in questa Parasha, “Rav lecha, è troppo per te…”, può essere interpretata come una domanda retorica. Rav lecha? Sarebbe davvero appropriato, D-o chiede a Moshe, che Yehoshua insegni mentre tu ti siedi e guardi? Sarebbe davvero appropriato che Yehoshua fosse il tuo insegnante (rav) e maestro? Salito alla grandezza della leadership, Moshe non può ora scendere dalle sue altezze.
  Questo quadro evidenzia le potenti sfide che spesso emergono nei momenti di transizione e cambiamento personale. Quando un individuo deve allontanarsi da una specifica arena della vita e permettere a qualcun altro di “prendere il suo posto”, le domande spesso abbondano. Cosa devo lasciare andare? Come mi sentirò quando farà le cose in modo diverso? Posso restare o devo andarmene? Di quanto spazio ha bisogno il mio successore? Attraverso gli occhi dei Chachamim, osserviamo Moshe lottare con queste domande dopo oltre quarant’anni di straordinari investimenti e sacrifici personali. Mentre lo fa, vengono alla luce anche le nostre potenziali lotte.
  Il Talmud capovolge le nostre assunzioni riguardanti la narrazione iniziale di Parashat Va’etchanan. Secondo il Talmud, il testo non enfatizza il rifiuto di D-o delle preghiere di Moshe, ma, piuttosto, la Sua accettazione di quelle preghiere – almeno in parte: Il potere della preghiera è più grande del potere delle buone azioni, poiché nessuno era più grande di Moshe nelle buone azioni, eppure gli fu data risposta solo attraverso la preghiera. Come riferisce il testo: “Non continuare a parlarMi di questa questione. Sali in cima alla montagna [e alza gli occhi]…” Qui, quindi, c’è una visione molto diversa dei risultati del dialogo tra D-o e Moshe. Dopo tutto, le preghiere di Moshe vengono esaudite. Anche se Moshe non potrà entrare in Canaan, gli sarà permesso di vedere il paese da lontano. A volte le risposte che D-o fornisce alle nostre preghiere sono dipinte in sfumature di grigio, piuttosto che in bianco o nero.

• Questi insegnamenti ci portano dei messaggi importanti.
  La nostra parola è il nostro legame. Il suggerimento che D-o possa essere vincolato dalle restrizioni dei Suoi stessi voti sottolinea la serietà con cui dovremmo considerare i nostri impegni verbali. Se D-o non può sciogliere i propri voti, quanto dobbiamo stare attenti ad adempiere agli obblighi verbali che ci assumiamo?
  Non tutto dipende da noi. La tesi secondo cui il destino di Moshe è decretato, almeno in parte, per il bene degli altri ci sensibilizza sul fatto che il destino di un individuo è determinato non solo dai suoi bisogni ma anche dalle esigenze degli altri. Questa idea è sottolineata durante l’Alleanza tra le parti sancita da D-o con Avraham all’alba della storia ebraica. Predicendo l’eventuale ritorno dei discendenti di Avraham nel paese di Canaan, D-o afferma: “E la quarta generazione tornerà qui, poiché l’iniquità degli Emorei non sarà completa fino ad allora”. Non potrai acquisire la terra di Canaan finché gli abitanti indigeni non meriteranno di perderla. Ci sono momenti in cui ciò che è “meglio” per noi non è “meglio” per chi ci circonda. D-o, mentre determina i nostri destini, terrà conto nelle dei nostri bisogni e diritti come di quelli degli altri.
  Non è mai troppo tardi per pregare. L’affermazione che Moshe cambia la mente di D-o attraverso la preghiera segna questo episodio come una delle numerose occasioni nel testo in cui le preghiere di Moshe sembrano influenzare i giudizi di D-o. Questo, tuttavia, mette in luce un problema filosofico fondamentale. Come può un D-o essere spinto a “cambiare idea” a causa dalle parole dell’uomo? Qual è il meccanismo con cui funziona la preghiera?
  Secondo i Chachamim, le radici di questa possibilità possono essere ricondotte alle promesse iniziali di D-o ad Avraham: “E tu sarai una benedizione” Il Midrash interpreta questa frase nel senso: “Le benedizioni sono date nelle tue mani. Finora erano nelle Mie mani. Ho benedetto Adamo e Noè. Da questo momento in poi, tu benedirai chi vuoi”. Concedendo all’uomo il potere di benedire, D-o limita deliberatamente il proprio potere. Come parte di un accordo di partenariato con l’umanità, D-o rispetterà le parole pronunciate dall’uomo e le terrà in considerazione quando prenderà le Sue decisioni. L’uomo acquista così il potere della benedizione e della preghiera. D-o stesso concede efficacia alle nostre preghiere, sia per noi stessi che per il benessere degli altri. I Chachamim suggeriscono che l’efficacia della preghiera e del pentimento nell’influenzare i giudizi di D-o può essere vista da una prospettiva completamente diversa. La preghiera trasforma il supplicante. Un individuo che si impegna nella preghiera sincera e nel vero pentimento emerge come una persona diversa da quella che era prima. In questo senso, non è D-o ad aver cambiato idea, ma è l’uomo ad aver cambiato se stesso. La preghiera rimane, per l’ebreo, uno strumento che non perde mai la sua potenziale efficacia. “Anche se una spada affilata è sul suo collo”, sostiene il Talmud, “un individuo non dovrebbe mai astenersi dal [chiedere la misericordia di D-o]”.
  Mentre riconosciamo che la risposta di D-o alle nostre richieste potrebbe, a volte, essere no, le toccanti suppliche di Moshe all’inizio della Parashà di Vaetchanan ci ricordano che non è mai troppo tardi per pregare.

(Kolòt, 28 luglio 2023)
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Parashà della settimana: Vaetchanan (Io supplicai)

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Presto un treno ad alta velocità che collegherà Kiryat Shmona a Eilat?

Il progetto, avviato da Benjamin Netanyahu e Miri Regev, dovrebbe migliorare la qualità della vita, gli spostamenti e le opportunità per i residenti entro il 2040.

Domenica il governo israeliano dovrebbe approvare un piano per promuovere un progetto di collegamento delle principali città israeliane attraverso una rete ferroviaria ad alta velocità, da Kiryat Shmona a nord a Eilat a sud. Secondo il progetto avviato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dal Ministro dei Trasporti Miri Regev, il treno che collegherà queste città dovrebbe essere in grado di raggiungere velocità fino a 250 km/h e consentirà di popolare e sviluppare il Paese, migliorando la qualità della vita, gli spostamenti e le opportunità per i suoi abitanti entro il 2040.

(i24, 28 luglio 2023)

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Ritrovata rara moneta nel deserto della Giudea risalente alla prima rivolta contro i romani

di Michelle Zarfati

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Un mezzo shekel d'argento, risalente a duemila anni e con sopra l'iscrizione ebraica "Santa Gerusalemme", è stato scoperto nel deserto della Giudea. A rivelarlo l'Autorità per le Antichità di Israele - IAA.
  La rara moneta, datata 66/67 dell’era volgare, riporta ai tempi della prima rivolta ebraica contro i romani. Scoperta all'ingresso di una grotta vicino a Ein Gedi, il ritrovamento fa parte di un'operazione di rilevamento delle grotte, che l'IAA sta gestendo in collaborazione con il Ministero del Patrimonio israeliano. Recentemente, come parte dell'indagine, i ricercatori della IAA avevano raggiunto una sezione di una scogliera lungo uno dei torrenti nell'area di Ein Gedi; così i ricercatori hanno notato la moneta che sporgeva dal terreno all'ingresso di una delle grotte sulla scogliera.
  Yaniv David Levy, ricercatore del Dipartimento Monete della IAA, ha spiegato: “È possibile vedere un'iscrizione scritta in ebraico che reca la frase Santa Gerusalemme”. Il ricercatore ha anche notato che la moneta Gedi presenta tre melograni al centro della moneta, "un simbolo familiare sulla sterlina israeliana, usato dallo Stato di Israele fino al 1980". Sull’altro lato appare un calice, mentre sopra è incisa la lettera ebraica alef, che indica il primo anno della ribellione, così come l'iscrizione "Hatzi Shekel" [mezzo shekel], che indica il valore della moneta. Il calice era un simbolo tipico delle monete usate dalla popolazione ebraica nel tardo periodo del Secondo Tempio. Queste monete furono coniate nei valori di "shekel" e "mezzo shekel" durante la prima ribellione contro i romani, che ebbe luogo nella Terra di Israele dall’anno 66 al 70. Questa ribellione si concluse con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme.
  È interessante notare che, in conformità con il comandamento biblico che vieta agli ebrei la possibilità di rappresentare immagini, gli ebrei incisero simboli presi dal mondo delle piante sulle loro monete, oltre a motivi ispirati da oggetti religiosi.
  Si presume che le monete siano state coniate a Gerusalemme, e forse anche nello stesso complesso del Tempio. Con queste monete, i ribelli scelsero di usare l'antica scrittura ebraica che era comune centinaia di anni prima - durante il periodo del Primo Tempio - e non la scrittura greca che era usata nei giorni del Secondo Tempio.
  "Le monete del primo anno della rivolta, come questa moneta che è stata scoperta nel deserto della Giudea, sono rare", ha detto Levy. “Durante il periodo del Secondo Tempio, i pellegrini pagavano una tassa di mezzo shekel al Tempio. Quando scoppiò la rivolta, i ribelli emisero queste monete sostitutive che recavano le iscrizioni "Israel shekel", "half shekel" e "quarter shekel". Sembra che il culto del Tempio sia continuato anche durante la ribellione, e queste monete siano state utilizzate anche dai ribelli per questo scopo”.
  "Trovare una moneta d'argento del genere nel primo anno di uno scavo archeologico è un evento raro in Israele in generale, e nel deserto della Giudea in particolare" ha detto il ricercatore a Amir Granor.
  La scoperta dimostra l'importanza di esaminare l'intero deserto della Giudea "sistematicamente e professionalmente", ha aggiunto. "Ogni elemento scoperto aggiunge ulteriori informazioni sulla storia del nostro Paese".
  Se l'indagine non fosse stata effettuata, ha continuato, la moneta sarebbe caduta nelle mani dei ladri di antichità e sarebbe state venduta al miglior offerente.
  "L'entusiasmante scoperta porta alla luce ulteriori prove dei profondi e indiscutibili legami tra il popolo ebraico, Gerusalemme e la Terra d'Israele" ha detto Il ministro dell'eredità Rabbi Amihai Eliyahu.
  “La moneta è una prova diretta e tangibile della ribellione ebraica contro i romani, un periodo turbolento nella vita del nostro popolo di duemila anni fa, durante il quale l'estremismo e la discordia hanno diviso il popolo e portato alla distruzione. Siamo tornati qui dopo duemila anni di desiderio, e la città di Gerusalemme è tornata ad essere la nostra capitale, ma le dispute non sono finite. Trovare questa moneta ricorda il nostro passato e ci spiega perché dobbiamo lottare” ha aggiunto il direttore della IAA Eli Escusido.

(Shalom, 27 luglio 2023)

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Perché non ci sarà una guerra civile in Israele

Perché la destra non minaccia mai di rovesciare la scacchiera e abbandonare il gioco.

di Jerome M. Marcus

Israeliani di destra organizzano una manifestazione di massa a Tel Aviv a sostegno della riforma giudiziaria
I lettori della stampa tradizionale israeliana vedono ogni giorno una valanga di articoli e pubblicità che annunciano che il Paese è sull'orlo di una guerra civile, incolpando poi le proposte di riforma giudiziaria della destra per averci portato a questo punto. Ma non siamo arrivati a tanto.
  Si potrebbe far notare che l'affermazione di causalità è notoriamente falsa, perché le proteste sono state pianificate prima ancora che le proposte di riforma giudiziaria fossero pubblicate. In questo senso, i sostenitori delle proteste non sono diversi dal leader dell'OLP Yasser Arafat, che sosteneva che la Seconda Intifada fosse stata "causata" dalla visita di Ariel Sharon al Monte del Tempio nel settembre 2000. In realtà, sappiamo che il programma di terrore era stato pianificato in anticipo. La visita di Sharon è stata semplicemente usata come giustificazione per il terrore.
  Vorrei tuttavia richiamare l'attenzione su un altro punto, più fondamentale: la sinistra e la destra in Israele non giocano con le stesse regole.
  La sinistra, ben consigliata da costose società di pubbliche relazioni, ha usato la bandiera israeliana come propaganda, giustificando l'intensità della sua opposizione alla riforma giudiziaria con l'antica massima אין לנו ארץ אחרת - "Non abbiamo un altro Paese" - per dimostrare l'incrollabile impegno dei suoi sostenitori verso Israele. Allo stesso tempo, i leader delle proteste - un gruppo appartenente all'élite laica, ricca e high-tech - hanno invitato a emigrare o ad appoggiarsi ad altri Paesi. Minacciano di andare in altri Paesi, di trasferire i loro soldi o le loro attività in altri Paesi, di mandarvi i loro figli. E chiedono di togliere a Israele la capacità di difendersi se le loro idee politiche non saranno vincolanti per tutti.
  L'esempio più recente è una dichiarazione pubblicata il 20 luglio da Nadav Argaman, ex capo dello Shabak (l'FBI israeliano), secondo cui l'approvazione di una legge che proibisce ai tribunali di rovesciare le leggi approvate dalla Knesset solo perché la maggioranza di una commissione giudiziaria ritiene la legge inappropriata è una violazione del contratto solenne tra i soldati e lo Stato. Pertanto, il giuramento del soldato di obbedire agli ordini e difendere il Paese non è più valido.
  Una simile dichiarazione da parte di un uomo del genere potrebbe far tremare per il futuro di Israele. Ma è proprio questo l'obiettivo. Proprio come l'ondata di articoli su centinaia di soldati della riserva che dicono che non si presenteranno in servizio quando saranno chiamati. Si potrebbe pensare che la maggior parte dei combattenti chiave lascerà il Paese indifeso se le loro richieste non saranno soddisfatte.
  Questo è falso, come dimostrano gli eventi recenti e meno recenti, come anche quelli accaduti qualche tempo fa. E la forza trainante di questi eventi è un fatto politicamente scorretto che va affrontato: la sinistra e la destra non giocano con le stesse regole.
  Anche se il rifiuto di alcuni soldati di prestare servizio è stato ampiamente pubblicizzato da una stampa compiacente, esso è ridimensionato da decine di migliaia di altri soldati che ne sanno di più.
  Le lettere che per un giorno - un giorno solo - sono circolate tra i riservisti, in cui si prometteva di non rifiutare mai gli ordini, sono state firmate da più di 80.000 persone. In 24 ore. Per quanto ne so, queste lettere non sono state menzionate in nessun giornale o sito web israeliano ad alta tiratura.
  Ma questo impegno nei confronti della struttura di comando e del principio più basilare della democrazia - il controllo civile dell'esercito - fa parte di un fatto culturale più ampio: se il governo israeliano non fa quello che vuole la destra, questa non minaccia mai di rovesciare la scacchiera e abbandonare il gioco.
  Come erano impegnati nelle comunità ebraiche di Gaza, i leader della destra erano impegnati nello Stato di Israele. E sapevano che la sarvanut - rifiuto di obbedire agli ordini, anche a quelli che si pensa violino i profondi principi religiosi sulla santità della Terra d'Israele - avrebbe portato a una guerra civile che avrebbe potuto distruggere lo Stato. Perciò non si sono rifiutati, né hanno incoraggiato il rifiuto. Le poche figure marginali che hanno propagandato pubblicamente il rifiuto sono state liquidate come antipatriottiche. E queste persone furono ignorate.
  Possiamo andare ancora più indietro nel tempo. Nel 1944, il Lehi di destra assassinò un funzionario britannico in Egitto. In quello che divenne noto come il periodo "Sisson", le forze britanniche si unirono al Palmach di David Ben-Gurion per rastrellare e torturare gli avversari dell'Irgun di Menachem Begin.
  Gli uomini di Begin volevano vendicarsi del Palmach.
  Ma Begin si rifiutò di permetterlo perché sapeva che la rappresaglia avrebbe portato alla guerra civile. I suoi uomini gli obbedirono. Quindi non ci fu alcuna rappresaglia.
  Lo stesso profondo attaccamento allo Stato ebraico portò Begin a ordinare ai suoi uomini sull'Altalena di non rispondere al fuoco quando i soldati di Ben-Gurion spararono sulla nave nel bel mezzo di una disputa su chi dovesse avere il controllo delle armi a bordo. Era in gioco lo stesso principio, che poi fu messo in pratica: Se si spara, la guerra civile è vicina. Così i destri non risposero al fuoco.
  Così è stato allora, così è oggi e così sarà domani. La destra non risponderà al fuoco della sinistra.
  A differenza delle manifestazioni minacciose, se non violente, della sinistra, la destra non sta cercando di disturbare la gestione del Paese. Non solo non stanno cercando di paralizzare l'esercito o di usare l'esercito per piegare il resto del Paese alla loro volontà. Il fatto importante è che non stanno cercando di paralizzare il Paese. Non paralizzano l'aeroporto o i servizi ferroviari; non gridano contro i loro avversari politici nei ristoranti e non disturbano la loro vita privata o lo Shabbat.
  Le persone di destra non faranno nemmeno un'altra cosa di cui le persone di sinistra parlano e talvolta fanno: andarsene. Mentre marcia al ritmo di אין לנו ארץ אחרת, la sinistra è arrivata a sostenere una campagna di boicottaggio BDS contro il proprio Paese. Hanno chiesto il ritiro dei fondi di investimento e l'emigrazione di quelli che considerano i cittadini più preziosi di Israele - loro stessi - se vengono approvate leggi con cui sono fondamentalmente in disaccordo. Los Angeles, New York, Berlino sono i luoghi dove gli israeliani di questo tipo vanno. In realtà hanno anche altri Paesi. O almeno pensano di averli.
  Quelli di destra non li hanno e non credo che li avranno mai. Quando le persone di destra dicono אין לנו ארץ אחרת, sanno che è vero. Non minacciano di lasciare il partito perché le sue politiche non sono quelle prevalenti, e non se ne vanno per questo motivo. Dopo tutto, la destra è stata la parte perdente della politica per i primi tre decenni di esistenza del Paese. Ma non c'era nessun movimento di sostenitori di Jabotinsky o di Haredim che minacciasse di andarsene... da nessuna parte. Erano impegnati nel Paese (e nelle loro famiglie), ed è per questo che ora sono la maggioranza.
  Quindi la destra non sta lottando come la sinistra, sia per questo profondo impegno sia perché la destra sa di non doverlo fare. Questo è vero anche perché la destra è più numerosa della sinistra e perché questo divario demografico non potrà che aumentare nei prossimi anni, dato che il tasso di natalità delle famiglie religiose e tradizionali supera quello delle famiglie laiche.
  È anche inutile, perché la logica della posizione della sinistra è chiara e sarà seguita: se si ritiene che il proprio obbligo nei confronti dello Stato è condizionato - prometto di servire solo finché il governo non fa nessuna cosa di cui sono fondamentalmente in disaccordo - allora se i cittadini ritengono davvero che tale obbligo sia venuto meno, vorranno andarsene e se ne andranno. Questo è quello che dice la sinistra, e non ci sono dubbi che almeno alcuni di loro lo pensino davvero.
  Quindi se ne andranno. Forse qualcuno sentirà la loro mancanza, ma contrariamente alla valutazione che questi notabili fanno della loro importanza, lo Stato sopravviverà.
  C’è però un'alternativa: rinsaviranno e si renderanno conto che avevano ragione quando dicevano che non abbiamo altro Paese all'infuori di questo. Rimarranno. Si renderanno conto di dover adempiere ai loro obblighi nei confronti del Paese. Vivranno come persone libere in comunità che condividono i loro valori e parteciperanno al processo politico qui, come fanno le minoranze in ogni democrazia.
  Naturalmente, c'è anche una terza possibilità: gli israeliani che partono per pascoli presumibilmente più verdi potrebbero presto scoprire che quei pascoli non sono poi così idilliaci. Forse andranno a mangiare sushi a Los Angeles o in un supermercato di Parigi e si ricorderanno perché i loro nonni hanno ritenuto necessario fondare uno Stato ebraico.
  Allora capiranno che avevano ragione quando dicevano che non abbiamo un altro Paese.

(israel heute, 27 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Solo contro Israele

Zitti sull’invasione russa, gli antropologi americani boicottano lo stato ebraico.

di Giulio Meotti

ROMA - Nel 1982 l’American Anthropological Association approvò una risoluzione che condannava l’invasione israeliana del Libano. Dov’era la condanna del trattamento riservato dall’Unione sovietica agli ungheresi, ai cecoslovacchi o agli afghani? Dove la loro voce sulla brutale repressione cinese dei tibetani o di altre minoranze etniche? E il trattamento riservato dalla Romania agli zingari? Questa settimana l’American Anthropological Association ha votato in modo schiacciante per una risoluzione che chiede un boicottaggio accademico completo delle istituzioni universitarie israeliane (71 per cento di voti a favore). Nell’annunciare i risultati, l’organizzazione ha affermato che alle istituzioni israeliane sarà impedito di essere elencate nei materiali pubblicati, partecipare alle scuole di specializzazione e alle conferenze. L’American Anthropological Association, fondata nel 1902 e con sede ad Arlington, in Virginia, è la prima grande associazione professionale accademica ad appoggiare il movimento di boicottaggio d’Israele da quando lo fece la Middle East Studies Association. In precedenza aveva preso in considerazione il boicottaggio delle università israeliane, ma l’idea era stata respinta nel novembre 2015, quando una misura simile a quella di quest’anno è stata sconfitta con un margine di 39 voti. La nuova risoluzione definisce Israele un “regime di apartheid dal fiume Giordano al Mediterraneo”. Dunque se ne contesta l’esistenza pre e post 1967.
  Nell’ultimo anno peraltro c’è stato solo un comunicato dell’American Anthropological Association contro l’invasione russa dell’Ucraina. Nessun boicottaggio. I campioni del boicottaggio non hanno mai trovato il tempo di lanciare campagne contro la purga turca. Tutta l’ira va riservata all’unica democrazia del medio oriente. Una doppia morale emersa dalle parole di Curtis Marez, il presidente della American Studies Association. Quando gli è stato chiesto il motivo per cui la sua organizzazione stesse attaccando soltanto Israele e non, per esempio, la Cina o l’Arabia Saudita, Marez ha risposto: “Uno deve cominciare da qualche parte”. E da dove iniziare (e finire), se non dallo stato ebraico?

Il Foglio, 27 luglio 2023)

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Bielorussia: in vendita un’ex sinagoga per 21.000 euro

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Un’ex sinagoga nella città di Dziatlava (Dyatlovo), in Bielorussia,  a lungo utilizzata come stazione dei vigili del fuoco, sarà venduta all’asta il 10 agosto. Il prezzo richiesto, che include un garage costruito negli anni ’70, è l’equivalente di circa €21.000. Lo riporta il sito del Jewish Heritage Europe
  La sinagoga risale al 1880, quando la città, a metà strada tra Minsk e Bialystok, in Polonia, era uno shtetl con oltre il 75% di popolazione ebraica. L’edificio ha funzionato come sinagoga fino al 1939 ed è diventata una stazione dei pompieri dopo la Seconda guerra mondiale.
  Praticamente nulla rimane ad indicare l’uso originario dell’edificio, e la descrizione della vendita non fa menzione dell’uso originario dell’edificio e anzi afferma che risale al 1930. Ma il materiale pubblicato sul sito web del Center for Jewish Art racconta una storia diversa, affermando che la sinagoga fu costruita nel 1884 e ricostruita dopo un incendio nel 1899. L’edificio è stato esaminato nel 2002 da Vladimir Pervishin e Vladimir Starostin e include disegni misurati e una descrizione dettagliata, con fotografie, delle sue condizioni in quel momento.

(Bet Magazine Mosaico, 27 luglio 2023)

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Coltivare la memoria a Tish’à Beav

di Ariel Di Porto

Nel corso dell’anno nel Tempio Maggiore di Roma ci sono due momenti inconfondibili. Lo caratterizzano in modo segnato, ciascuno a modo proprio. Hosha’annà rabbà e Tish’à Beav sono impressi nella mente di ogni frequentatore del Tempio. A livello emozionale questi due momenti si trovano agli antipodi: se la gioia incontenibile di Hosh’annà rabbà ricorda, per quanto possibile, quella proverbiale del Santuario di Gerusalemme, l’intensità del lutto della sera di Tish’à beAv non è da meno. Gli stranieri in visita al Tempio spesso riconoscono di non avere mai visto un Tish’à beAv così triste. Sarete portati a dire che gli ebrei romani furono testimoni di quanto avvenne quasi duemila anni fa, e si tratta quindi di un atto dovuto. È possibile che sia così; questa idea deve però essere delineata in un modo più preciso. Non si tratta, infatti, solo di una commemorazione storica, c’è un elemento esperienziale, che è fondamentale per l’esistenza ebraica.
  Rav Sacks considera l’ebraismo una religione della memoria. Ricordare è un obbligo religioso, e questo è maggiormente percepibile nelle settimane fra il 17 di Tammuz e il 9 di Av. Il 9 di Av, com’è risaputo, ricorda la distruzione dei due Santuari di Yerushalaim, il primo distrutto dai Babilonesi nel 586 a.e.v., il secondo dai romani nel 70 d.e.v. La memoria di queste tragedie è ben presente nel sentire e nel vivere ebraici. In ogni matrimonio ebraico lo sposo dichiara: se ti dimenticherò, o Gerusalemme, si paralizzi la mia destra (Sl. 137,5). Ogni volta che viene edificata una nuova casa o struttura, una parte non viene intonacata a memoria della distruzione del tempio. All’inizio del XIX secolo lo storico Chateaubriand, visitando Gerusalemme, fu preso dall’emozione quando vide per la prima volta l’esigua comunità locale, che aspettava pazientemente il mashiach. Notando come questa piccola nazione fosse sopravvissuta, mentre i grandi imperi che tentavano di distruggerla fossero svaniti, disse: se c’è qualcosa tra le nazioni del mondo contrassegnato con il marchio del miracoloso, questo è, secondo noi, quel miracolo.
  Ci si deve chiedere, tuttavia, se è davvero giusto ricordare. Questa domanda deve essere posta anche in relazione alla Shoah. In fondo, se ci pensiamo, tanti conflitti dipendono dal ricordo di ingiustizie che risalgono a molto tempo fa. Se ce ne dimenticassimo, il mondo sarebbe senz’altro più pacifico. E allora, perché ricordare? Rav Sacks ritiene che la storia e la memoria siano profondamente diverse. La storia è la storia di qualcun altro. La memoria vuole invece dire qualcosa su di me. Vuole insegnarmi qualcosa sulla mia provenienza e sulla narrazione di cui faccio parte. Dobbiamo sì ricordare il passato, ma non dobbiamo permettergli di imprigionarci, dobbiamo renderlo una fonte di speranza e non di frustrazione. Questa concezione della memoria è quantomai preziosa nella società contemporanea. Si tratta di un vecchio adagio della filosofia, posto già da Platone, che rifletteva nel Fedro sull’inutilità del libro. La memorizzazione su supporti esterni, oggi spinta alle sue estreme conseguenze, sta atrofizzando la nostra memoria. Quanti numeri di telefono conosciamo a memoria? I nostri figli imparano a memoria le poesie? Conoscono i percorsi che hanno condotto alle grandi conquiste delle quali ci vantiamo, ad esempio la libertà, la dignità umana e la giustizia? Il Novecento, con le sue terribili e ripetute tragedie, ce lo ha insegnato. Tutte queste acquisizioni, se non siamo più che vigili, rischiano di svanire in men che non si dica. Per questo siamo tenuti a coltivare la nostra memoria. Ne va della nostra stessa identità.

(Shalom, 26 luglio 2023)

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La nuova legge sul “principio di ragionevolezza”. Ragioni e prospettive

di Ugo Volli

• Le conseguenze del voto
  La legge che limita l’uso del cosiddetto “principio di ragionevolezza” (“Ilat hasvirut”) nelle motivazioni dei provvedimenti giudiziari è stata approvata definitivamente dal parlamento israeliano l’altro ieri e non vi sono state conseguenze drammatiche che molti temevano. Si è svolto uno sciopero dei medici; un gruppo di avversari della riforma ha comprato tutte le prime pagine dei quotidiani principali e le ha fatto uscire tutte listate a lutto, completamente nere; vi sono state le solite manifestazioni pro e contro la riforma con qualche incidente minore non grave; non sono mancate le dichiarazione bellicose di qualche ex primo ministro: in questo caso Ehud Olmert che ha annunciato l’inizio della guerra civile. La coalizione di governo, naturalmente ha esaltato la vittoria ottenuta facendo passare un pezzo importante del suo programma.

• I poteri della Corte Suprema
  In realtà anche queste reazioni limitate sono eccessive, perché sul piano pratico poco cambia nel sistema giudiziario israeliano. È bene sapere innanzitutto che la Corte Suprema può essere interpellata con una petizione da chiunque trovi che una legge, un provvedimento amministrativo, una nomina o anche una mancata azione di qualunque autorità sia sbagliata o ingiusta. La Corte Suprema può abolire una legge (incluse le “leggi fondamentali” che in Israele regolano le materie che altrove sono oggetto della Costituzione) o una decisione amministrativa, può annullare una nomina (anche quella di un ministro o del primo ministro e infatti a settembre ci sarà un giudizio sulla possibilità di Netanyahu di continuare a ricoprire il ruolo per cui ha avuto la fiducia della Knesset) o anche imporre un’azione al governo o all’amministrazione pubblica. Per farlo, naturalmente, deve mettere una sentenza motivata.

• Che cos’è il principio di ragionevolezza
  Contrariamente a quel che avviene in quasi tutti i paesi democratici, però, la Corte israeliana non ha bisogno di motivare la propria decisione con l’applicazione di una legge. Può semplicemente sostenere che ciò che annulla, proibisce, ecc. non è “ragionevole” o “opportuno”. Naturalmente basta guardare la storia o la geografia per vedere che non esiste nulla di oggettivo nell’idea che qualcosa sia ragionevole o non lo sia. Basta vedere il modo in cui oggi tanti stati europei considerano irragionevoli le pratiche ebraiche in materia di macellazione degli animali e addirittura di circoncisione. Il che non significa che non si possa parlare di ragionevolezza e opportunità di molte scelte. Ma è importante sapere che si tratta di discussioni etiche e politiche, che comportano naturalmente divergenze di opinione, le quali in democrazia si risolvono col principio maggioritario: chi nelle elezioni ottiene più voti decide - fatti salvi i diritti fondamentali delle minoranze.

• Non si tratta di una rivoluzione
  La legge approvata impedisce alla Corte Suprema e agli altri tribunali di motivare le proprie decisioni con questo principio, proprio perché opinabile e politico. Fa parte dei principi della democrazia il fatto che i tribunali debbano applicare le leggi e non scriverle, perché questo compito spetta al parlamento. D’altro canto la richiesta di motivare le sentenze in termini di leggi e non di “ragionevolezza”, cioè di opinioni, non elimina affatto l’autonomia della magistratura, né rende insindacabili le scelte politiche, innanzitutto perché parlamento e governo devono renderne conto ai detentori della sovranità, cioè gli elettori; e poi perché non impedisce affatto ai giudici di fare il loro lavoro cioè di applicare la legge. Quindi nella riforma appena approvata non è affatto in gioco la democrazia e neppure la separazione dei poteri. D’altro canto la nuova legge non è affatto decisiva. Come ha detto l’ex presidente della Corte Suprema Aaron Barak, che negli anni Ottanta è stato l’iniziatore dell’interventismo politico della Corte e anche l’inventore dell’“Ilat hasvirut”, questo è solo uno strumento. Se la Corte è ben decisa a bloccare una decisione politica o amministrativa o al contrario a obbligarla, può trovare altri strumenti nelle leggi fondamentali, come per esempio il “principio di eguaglianza”.

• La riforma non è terminata
  Dunque la legge appena approvata non è il tassello decisivo del progetto di riforma della maggioranza, che mira a riequilibrare i poteri dello stato. Lo sarebbero molto di più la riforma del comitato di nomina dei giudici, che attribuisce alla Corte un potere decisivo sulla nomina dei nuovi giudici, inclusi i propri stessi membri, che non si ritrova in quasi nessun sistema democratico. O il principio per cui la Knesset possa superare con un voto l’annullamento di una legge deciso dalla Corte. Queste parti della riforma hanno già superato l’esame preliminare della Knesset, ma Netanyahu ha deciso di attendere fino alla sessione invernale prima di decidere se portarle avanti, per dar tempo alla trattativa con l’opposizione. Per ora quel che conta è che il sistema politico israeliano ha ricominciato a funzionare regolarmente, con la maggioranza che lavora in parlamento per trasformare il proprio programma in leggi. La speranza è che questo processo continui a essere pacifico e non sia sfruttato da chi è disposto a tutto pur di far cadere il governo e prendere il potere.

(Shalom, 26 luglio 2023)

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Meir Litvak: "Isolamento diplomatico, minacce esterne, crisi economica. Ecco cosa rischia Israele"

Parla il docente di Storia del Medio Oriente dell'Università di Tel Aviv: "La democrazia non è finita, ma è il primo step di un processo pericoloso. Non credo a cosa dice Netanyahu, non tiene i suoi partner. Questa convergenza di crisi metterà in difficoltà il governo, bisogna capire se prima o dopo aver pagato un prezzo molto alto”.

di Nadia Boffa

Meir Litvak, esperto di Medio Oriente, presidente del dipartimento di Storia del Medio Oriente all'Università di Tel Aviv e ricercatore associato presso l'Alliance Center for Iranian Studies dell'Università di Tel Aviv, analizza che cosa ne sarà di Israele all’indomani dell’approvazione definitiva alla Knesset della prima parte della riforma della giustizia. Due giorni fa è passata infatti al Parlamento l’abolizione della 'clausola di ragionevolezza', la legge fortemente voluta dal governo di Benjamin Netanyahu che impedirà ai giudici di esprimersi sulle decisioni prese dall’esecutivo.

- Professore, che cosa sta succedendo ad Israele?
  Direi che oggi siamo nel mezzo della peggiore crisi politica e costituzionale della storia israeliana, nonché una delle peggiori crisi sociali e culturali nella storia di Israele. È uno dei momenti più difficili nella storia di questo Paese dalla sua nascita nel 1948. 

- Ieri tutti i principali quotidiani israeliani sono usciti con una prima pagina in nero, in segno di lutto. Si è chiusa l’era della democrazia in Israele?
  No, la democrazia non è ancora finita. Questo però è il primo step di un processo che può portare alla trasformazione di Israele in un governo autoritario o in qualcosa di simile a ciò che possiamo definire democrazia illiberale, sul modello di Ungheria, Polonia e Turchia, che hanno alcuni elementi democratici, ma anche dittatoriali. Dunque si può sicuramente dire che questo è il primo passo verso una riduzione della democrazia e una trasformazione dello Stato.

- Lei l’aveva detto in un’intervista ad Huffpost dello scorso maggio: "Israele sta diventando sempre più simile alla Turchia"…
  Sì, potrebbe darsi che sia così. Ma direi che ci sono diverse differenze tra i due Paesi. La prima è che in Israele si può avere uno spettacolare movimento di resistenza popolare, qualcosa che non si vede in Turchia. In secondo luogo, al contrario della Turchia, Israele ha diversi altri problemi, che il governo sta esacerbando. L’approvazione della modifica alla clausola di ragionevolezza porterà il governo israeliano ad affrontare differenti e gravi crisi.

- Che cosa intende?
  Per prima cosa la situazione in Cisgiordania e Gaza peggiorerà. Poi potrebbe esserci una potenziale minaccia dal Libano. Quel che è successo avrà effetti anche sui rapporti con gli Stati Uniti. Avrà insomma tante ramificazioni incredibilmente negative. E avrà effetti anche sulla situazione economica. Penso che questa convergenza di crisi metterà il governo in una situazione veramente complicata in futuro. E nel futuro più immediato, o più a lungo termine, penso che potrà cambiare il corso del governo. La vera domanda è: tutto ciò accadrà prima o dopo che avremo pagato un prezzo molto alto?

- Moody's ieri ha messo in guardia sulle “gravi conseguenze economiche” che dopo il voto si potrebbero registrare in Israele…
  Ieri siamo stati informati che la moneta israeliana, lo Shekel, dopo l’approvazione della legge, sta perdendo molto valore rispetto al dollaro. Questo significa una forte crescita dell’inflazione. Se declassano il rating del credito, ciò avrà inevitabilmente diverse implicazioni economiche. E un'eventuale crisi economica potrebbe anche far cambiare il corso del governo, farlo cadere. Non lo so, non ne sono sicuro, ma penso possa succedere.

- Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, ha detto che lo stato ebraico un tempo era visto come una potenza regionale, ma "la sua fiducia, consapevolezza e autostima si sono deteriorate a causa della crisi dettata dalla riforma giudiziaria”. La crisi interna ad Israele può avere ripercussioni anche sulla sua posizione in Medio Oriente e sui rapporti con i nemici della Regione, ad esempio l’Iran?
  Assolutamente sì. Ed è un punto importante. L’approvazione di questa legge ha pesanti ripercussioni in tutti gli ambiti, all’interno, ma anche all’esterno del Paese. Guardiamo alla storia del conflitto arabo-israeliano. C’è voluto un bel po’ di tempo perché gli Stati arabi accettassero che Israele era lì per esistere più a lungo di quanto loro avessero programmato.  A loro non è mai piaciuta questa cosa, ovviamente, ma l’hanno accettata. Adesso, per la prima volta in tantissimi anni, gli Stati arabi affermano: “Israele sta per disintegrarsi, potrebbe sparire”. È uno sviluppo che se continua, sarà molto pericoloso. Porterà probabilmente Hezbollah e Hamas a compiere più facilmente azioni contro Israele, porterà sicuramente l’Iran ad essere più sicuro, più confidente nelle sue potenzialità. E ancora - ed è ugualmente grave - renderà più fragili i legami con quei Paesi con cui negli scorsi anni Israele ha siglato accordi di pace e che invece ora potrebbero cambiare attitudine nei confronti del nostro Paese. Ripeto, gli sviluppi saranno tutti negativi, sia internamente allo Stato d’Israele, sia riguardo la sua posizione in Medio Oriente.

- Secondo lei, dopo l’approvazione di questa prima parte della riforma, Netanyahu è davvero interessato a riaprire i negoziati con l’opposizione?
  Mi lasci dire due cose. Non credo ad una parola di quello che dice Netanyahu. Bibi forse pensa di aver ottenuto il primo risultato e ora cerca di fermarsi un attimo per placare gli animi prima che si prosegua sulla riforma. Ma già ieri abbiamo visto i suoi partner della coalizione di governo estremisti avanzare richieste sempre più folli. Se queste richieste verranno accettate allora si arriverà ad una protesta ancora più grande. Netanyahu si trova imprigionato tra la riconciliazione con l’opposizione e le piazze e la pace con i partner della coalizione. Non può fare entrambe le cose, non può tenere i piedi in due scarpe. Io penso che lui sia un bugiardo, non credo a niente di quello che dice. Non penso che riaprirà un compromesso vero. Ma bisogna vedere, forse sarà forzato a farlo e ciò dipenderà anche dalla reazione degli Usa o di alcuni Paesi europei. È molto presto per definire con certezza che cosa succederà.

- A proposito, Israele secondo lei corre il rischio di essere isolato diplomaticamente? Dopo gli Stati Uniti anche la Germania negli scorsi giorni è intervenuta, come mai fatto in precedenza, per chiedere che la riforma della giustizia fosse bloccata…
  Sicuramente questo passo che è stato effettuato ci renderà più isolati di prima. Analizziamo la situazione. Noi abbiamo un solo vero alleato, protettore, che sono gli Usa. Tra i Paesi europei alcuni sono amici, ma non abbiamo mai avuto relazioni strette con nessuno di loro come con gli Usa. In Germania c’è una grossa differenza tra opinione pubblica e governo, nel senso che l’opinione pubblica è molto meno amichevole con gli ebrei rispetto al governo che invece lo è ancora. Sicuramente i rapporti tra Israele, Paesi europei e Usa saranno più complicati dopo l’approvazione del disegno di legge e Israele diventerà più isolato diplomaticamente. Ricordiamoci che anche altre azioni compiute dal governo in altri settori ci stanno isolando. Ad esempio le decisioni che riguardano la Cisgiordania, con Bezalel Smotrich, leader del partito religioso sionista, che sostiene l’annessione a Israele della Cisgiordania e l’espansione degli insediamenti. Questo metterà non solo l’opinione pubblica contro Israele, ma anche i Paesi europei e gli Usa. La coalizione di governo sta accumulando nemici, critiche da parte di tutto il mondo. E questo porterà, alla fine, inevitabilmente ad una collisione.

- Ha detto che questo voto avrà effetti anche sulla situazione in Cisgiordania. In che modo?
  Una delle più forti lamentele dei colonizzatori è che la Corte suprema ha bloccato negli anni gli insediamenti israeliani, quando invece loro volevano estenderli. Adesso l’obiettivo del governo e dei colonizzatori è neutralizzare la Corte Suprema, in modo da fare tutto ciò che vogliono in Cisgiordania. Ciò significa una maggiore pressione contro i palestinesi, meno diritti: la situazione arriverà così ad esplodere. Ne sono sicuro perché già negli ultimi quattro mesi si è registrata una forte escalation della tensione in quell’area. Quotidianamente ci sono stati attacchi con vittime palestinesi. Un numero sempre maggiore di militari israeliani viene ucciso ogni giorno. Qualche giorno fa Smotrich ha rivelato il piano di aumentare l’autorità di Israele in Cisgiordania, questa sarà una delle maggiori crisi conseguenti a questo voto.

- Quale impatto il passaggio della riforma avrà sull’esercito, l’Idf, con i riservisti che sono già in protesta?
  L’esercito è sotto lo Stato, il comando dell’esercito è sotto lo Stato. La domanda è un’altra. Immaginiamo che domani la Corte Suprema promulghi una sentenza contro il governo. E questo creerà dei problemi con la conseguenza che il governo possa diffidare la Corte Suprema. A quel punto i membri dell’esercito e il Mossad avranno un dilemma: dobbiamo obbedire alla Corte o a Netanyahu? Loro hanno accennato che in quel caso obbedirebbero alla Corte Suprema. E non al premier. Nascerà una crisi costituzionale da questa ribellione. Finora il comando delle armi non si è ancora ribellato, è ancora leale, alla Legge, allo Stato. Lo ripeto: alla Legge, allo Stato, non a Netanyahu. Vediamo se arriveranno a diffidare il premier, ad assumersi questo rischio. Quando ci sono comunque centinaia di migliaia di persone che sono riservisti nell’esercito che dicono che non svolgeranno il loro compito di riservisti volontari, questo sicuramente va ad indebolire l’esercito. E a fare il gioco di Hezbollah, Hamas, e l’Iran. Sarà più facile per loro compiere azioni contro Israele.

- Lei pensa che la Corte Suprema possa respingere la legge approvata dalla Knesset come chiedono l’opposizione e altri movimenti pro-democrazia?
  Non so assolutamente se abbia l’autorità per farlo, non so se lo farà. Penso ci siano diverse possibilità, perché ci sono giudici conservatori che possono supportare il governo, altri che possono avere paura del governo. Oppure al contrario lo farà. Non lo si può dire ora.

- Dopo il voto di due giorni fa la protesta pro-democrazia si è ancora più estesa. È possibile che nei prossimi giorni diventi sempre più ampia e che assuma anche un ruolo politico?
  Ieri e oggi ci sono state meno proteste. Dobbiamo aspettare la giornata di sabato, quando è prevista una grande manifestazione, per capire come si evolverà la protesta. Vedremo cosa succederà. Vedremo anche cosa deciderà di fare il movimento dei riservisti dentro l’esercito. Per ora il governo è stabile. La grande domanda a cui non so dare risposta è: come questo governo affronterà la serie di crisi con cui si interfaccerà? Crisi economica, di sicurezza, sociale, culturale. Ripeto: a quel punto il governo collasserà. Anche se non so quando accadrà.

- L’ex primo ministro Ehud Olmert ha avvertito che Israele si sta avviando verso una "guerra civile”. Lei pensa che sia così?
  No, non ci sarà una guerra civile. Non sarà come la Spagna. È una crisi profonda, quella israeliana è una società fortemente polarizzata. C’è una forte instabilità, ma non arriverà ad esserci una guerra civile.

- Il cofondatore del Times of Israel David Horovitz, poco prima del voto, ha scritto che Netanyahu, approvando la legge, sarebbe andato “non solo contro la democrazia, ma contro i valori etici ebraici”. È così? E questo comporterà uno scollamento sempre più ampio tra istituzioni e popolo?
  Prima di tutto sì, confermo, Netanyahu è andato contro i valori ebraici. Il problema è che il popolo ebraico è diviso. Una larga parte della società supporta ancora Bibi: ultra-ortodossi, colonizzatori, la classe medio-bassa. C’è una società profondamente divisa. Quindi non si può dire che ci sia il governo contro la popolazione, anche se sembra così. Sfortunatamente il governo è supportato da un segmento molto ampio della società. Ma io credo che Netanyahu farà tornare Israele indietro nella storia. Bibi sarà ricordato, se non come distruttore di Israele, come il peggior primo ministro della storia d’Israele. Sempre se riuscirà a uscire da questa serie di crisi in futuro.

(L'HuffPost, 26 luglio 2023)

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L'altra “soluzione a due Stati”: Israele e Giudea

Quello che una volta era considerato una fantasticheria degli ultraliberali che vivono nello Stato ebraico, ora sta guadagnando terreno sulla scia della riforma giudiziaria.

di Ryan Jones

GERUSALEMME - A prima vista gli attuali disordini in Israele riguardano la riforma giudiziaria, le tensioni tra i diversi rami del governo e la politica di destra e sinistra. Ma sotto la superficie si tratta di religione: se Israele sia uno Stato ebraico e democratico o uno Stato democratico in cui la maggioranza è ebrea.
  Questo si vede nelle crescenti proteste e attacchi agli ebrei religiosi da parte di coloro che sembrerebbero occuparsi solo della riforma giudiziaria e di "salvare la democrazia". Per loro, un sistema religioso dominato dai rabbini è un anatema per la democrazia.
  Ma i rabbini non se ne vanno. Ecco perché un numero crescente di israeliani laici dice che se ne andranno allora.
  No, non all'estero. In realtà, non hanno alcuna intenzione di trasferirsi. Piuttosto, propongono una nuova soluzione a due Stati: Israele e Giudea.
  Il Movimento di Secessione (תנועת ההיפרדות) ha reagito lunedì all'approvazione della legge sulla "ragionevolezza" esortando i suoi sostenitori a "non arrabbiarsi. Quello che ora sta avvenendo porterà solo più sostenitori e accelererà la nostra visione".
  E qual è questa visione? Secondo un tweet del movimento, nei prossimi 20-30 anni Israele dovrebbe dividersi in due Stati : uno Stato democratico laico di Israele e uno Stato autoritario religioso della Giudea.
  Secondo l'autore del tweet, "sapremo di essere sulla strada giusta quando la parte conservatrice/fascista proibirà di parlare di [secessione] e la definirà un tradimento". Per inciso, nella maggior parte delle democrazie occidentali è considerato tradimento promuovere la secessione.
  Per ora, il movimento ha incoraggiato i suoi sostenitori a "commercializzare la visione, a guadagnare sostenitori e accumulare forza per le prossime elezioni in modo da poter vincere e poi attivare gradualmente il piano ".
  Normalmente, tali affermazioni sarebbero considerate marginali. Ma nelle attuali circostanze  assumono un tono più serio.
  Per mesi il quotidiano di sinistra Haaretz ha accusato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu di servire "lo Stato di Giudea" più che lo Stato di Israele. E lo dicono sul serio. Considerano già gli ebrei nazional-religiosi, soprattutto i "coloni" che vivono in Giudea e Samaria, come una nazione separata e nemica dell'Israele "democratico".
  Martedì, il conduttore del notiziario di Canale 13 Sivan Cohen Saban ha twittato che il movimento separatista "ha guadagnato migliaia di sostenitori negli ultimi giorni".
  Sulla pagina Facebook del movimento si legge che l'obiettivo è quello di "promuovere l'idea che lo Stato di Israele debba dividersi in una federazione o in due Stati separati, in modo che ogni gruppo di popolazione possa vivere secondo i propri valori".
  A dire il vero, il numero di persone coinvolte in questo movimento è ancora molto piccolo, e nessun politico dei partiti consolidati si farebbe coinvolgere oggi in un progetto del genere. Ma l'idea è sul tavolo, e questo è già di per sé un motivo di preoccupazione e un invito a ripensare alle divisioni storiche di Israele e alle terribili conseguenze che ne sono derivate.

(israel heute, 26 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Acqua dall’aria: la soluzione tech per la carenza idrica

di Angelo Vitolo

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“L’acqua è vita”. Roby Dagan è un imprenditore italo-israeliano che conosce bene il valore di questa risorsa. “Negli anni ’70 – ricorda e racconta – in ogni corridoio della scuola che frequentavo a Tel Aviv era affisso un manifesto che raffigurava un grande rubinetto. Da tenere chiuso con cura, per non sprecare nemmeno una goccia di acqua, dentro e fuori le nostre case”. Un insegnamento e un monito che Degan ha messo al centro del suo fare impresa, delle idee cui ha finora lavorato. Prima, però, è stato ufficiale dei carristi nell’Esercito israeliano, partecipando nel 1982 alla guerra del Libano nell’operazione Shalom HaGalil. Anche lì conoscendo il ruolo dell’acqua: dalle alture del Golan, la fonte di un terzo del fabbisogno di acqua di Israele che rifornisce anche il Libano, la Giordania e la Siria. Una guerra non a caso definita negli atlanti della geopolitica come un idroconflitto.
  Alla fine degli anni ’90 proseguendo all’inizio di questo secolo, da country manager del gruppo francese Veolia-Vivendi, leader mondiale del trattamento acque, la partecipazione ad una gara per la costruzione dell’impianto (attualmente, ancora uno dei più grandi al mondo) di desalinizzazione di Ashkelon.
  Oggi, per Dagan, una nuova stagione di impegno, proponendo anche al nostro Paese una soluzione che supera pure il ciclo della desalinizzazione, per creare acqua dall’aria. Una tecnologia avanzata, nata da una startup israeliana nella quale hanno nel corso degli anni creduto anche investitori stranieri. Arrivata ora ad essere fornitore di queste soluzioni già utilizzate e distribuite in decine di Paesi al mondo, player riconosciuto del tech per l’acqua potabile atmosferica. Una tecnologia illustrata in questi anni a molti dei Grandi della Terra e che ora Dagan sta presentando qui in Italia ai rappresentanti delle istituzioni, nazionali e regionali, impegnate ad affrontare le emergenze di ogni tipo e ogni situazione nella quale il valore dell’acqua sia tra quelli primari da assicurare alle popolazioni. Con macchine che possono produrre da 30 a 6mila litri di acqua potabile di alta qualità al giorno, anche in assenza di energia elettrica per consentirne il funzionamento, perché dotate di pannelli solari. Opportunità, però, anche domestica e quindi alla portata di famiglie e imprese che credono nella lotta allo spreco. Un’acqua che, in tutto il mondo, è stato calcolato costare al litro un valore pari ai nostri 7 centesimi, un terzo del costo dell’acqua desalinizzata, peraltro non immediatamente potabile.
  “Questa tecnologia – dice Dagan – è un’opzione di futuro per tutti. Anche per l’industria, ove per esempio lo sviluppo di microchip necessita sempre più di acqua purissima. O nell’automotive, che sta studiando ipotesi di veicoli che consentiranno di fruire in ogni momento dell’ acqua potabile di Watergen solo premendo un pulsante”.
  La più vera e importante frontiera di questa tecnologia, però, è quella della garanzia di acqua potabile per tutti sulla Terra. “Oggi nel mondo – riflette Dagan – 2 miliardi di persone non dispongono di acqua potabile sicura. E si stima che all’acqua contaminata bevuta siano ascrivibili l’80% delle malattie che le colpiscono, mentre 1,7 milioni di bambini sopra i 5 anni ne muoiono ogni anno. Siamo di fronte al calcolo che ipotizza nel 2025 il 50% della popolazione mondiale in scarsità idrica. E al dato che registra che ogni minuto siano gettate sul pianeta 1 milione di bottiglie di plastica, il 91% delle quali non riciclate”.

(L'identità, 26 luglio 2023)

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Vaccini anti-Covid, documento riservato: “Pfizer sapeva di tutti gli effetti avversi”

di Lorenzo Poli

Negli ultimi mesi sono stati rilasciati i documenti di farmacovigilanza di Pfizer richiesti dall’autorità di regolamentazione dei farmaci dell’Unione Europea, l’Agenzia Europea per i Medicinali, i quali dimostrano che Pfizer sapeva fin dall’inizio di un alto livello di effetti avversi.
  Un documento dell’agosto 2022 mostra che la società aveva già osservato il seguente ambito di danno da vaccino:

  • 351 segnalazioni di casi individuali di eventi avversi contenenti 1.597.673 eventi;
  • Un terzo degli eventi avversi è stato classificato come grave, ben al di sopra dello standard per i segnali di sicurezza solitamente fissato al 15%;
  • Le donne hanno riportato eventi avversi a un tasso tre volte superiore a quello degli uomini;
  • Il 60% dei casi è stato segnalato con “esito sconosciuto” o “non recuperato”, quindi molte delle lesioni non erano transitorie;
  • Il maggior numero di casi si è verificato nella fascia di età 31-50 anni e il 92% non presentava alcuna comorbidità, il che rende molto probabile che sia stato il vaccino a causare lesioni così diffuse e improvvise.

Nell’agosto 2022, un lavoro in “pre print” del Professor Peter Doshi[1] – che si basa sui dati degli studi clinici randomizzati di fase III controllati con placebo, consegnati alla FDA per l’autorizzazione al commercio dei vaccini mRna Covid-19 Pfizer e Moderna, raccogliendo sia le segnalazioni di tutti gli “serious adverse events” (SAE) che quelle relative agli “serious adverse events of special interest” (AESI)[2] – ha riportato che, con Pfizer, si sono registrati 67,5 eventi avversi gravi ogni 10.000 soggetti nel gruppo che aveva ricevuto il vaccino, contro 49,5 del placebo, quindi un Rischio Relativo (RR) pari a 1,36 (IC 1.31-1.83), ovvero un 36% in più statisticamente significativo di SAE nei vaccinati. Per Moderna si sono registrati 136 SAE nel gruppo vaccino contro 129 nel placebo, con RR pari a 1,05, che non ha raggiunto la significatività statistica.
  Per quanto riguarda gli eventi avversi gravi di particolare interesse (serious AESI), sono ancora più inquietanti i rischi per chi ha ricevuto il vaccino rispetto al placebo: per Pfizer se ne sono registrati 27,7/10.000 nel gruppo vaccino e 17,6/10.000 nel placebo; per Moderna rispettivamente 57,3/10.000 e 32,3/10.000. “Si tratta quindi un incremento del rischio di eventi avversi gravi – specie a carico del sistema cardiovascolare e della coagulazione – per i vaccinati con Pfizer del +57% e del +36% con Moderna” – affermava l’oncologa Patrizia Gentilini[3], membro della Commissione Medico-Scientifica Indipendente (CMSi).
  Facendo un bilancio complessivo “costi-benefici” dei vaccini e sul loro ruolo nella riduzione dei ricoveri totali, possiamo dire che è totalmente negativa. “Nella sperimentazione con Moderna l’eccesso di rischio per eventi avversi gravi di speciale interesse (serious Aesi) nei vaccinati è stato pari a 15,1/10.000, superando di gran lunga la riduzione del rischio di ricoveri per Covid rispetto al placebo (6,1/10.000). Anche per Pfizer il bilancio è negativo: l’eccesso di rischio di serious Aesi per i vaccinati è stato di 10,1/10.000, contro una riduzione del rischio di ricovero per Covid-19 pari a 2,3/10.000 rispetto al placebo. In conclusione quindi con i vaccini anti-Covid non solo non c’è riduzione del contagio, ma il rischio di ricovero per eventi avversi gravi supera nettamente il minor rischio di ospedalizzazione per Covid-19 – scriveva Gentilini.
  Questi numeri da soli suggeriscono non solo il fallimento qualitativo delle politiche pandemiche, ma anche la totale antiscientificità con cui sono state implementate le strategie vaccinali. Ciò dovrebbe portare a rimuovere immediatamente le protezioni di responsabilità dai produttori e portare ad indagare sull’irresponsabilità istituzionale dei governi e dei Ministeri della Salute, più impegnati a salvaguardare gli interessi delle case farmaceutiche, piuttosto che il diritto alla salute.
  È imbarazzante il mantenimento del sistema di “farmacovigilanza passiva” di AIFA sui vaccini anti-Covid che sottostima gli effetti avversi.
  Il rapporto del 26 giugno 2022, riportava infatti 100 eventi avversi, di cui solo 18 gravi, ogni 100.000 dosi e minori effetti dopo la seconda dose rispetto alla prima, ovvero l’opposto di quanto registrato negli studi randomizzati e in sistemi di sorveglianza attiva. Di contro il sistema di farmacovigilanza attivo presente negli Usa v-safe pubblicato il 28 ottobre 2021 riportava per i 2 vaccini a mRNA, per 100.000 dosi somministrate: 68.600 reazioni locali e 52.700 sistemiche dopo la prima dose e 71.700 reazioni locali e 70.800 sistemiche dopo la seconda dose. “Prendendo in esame solo le reazioni gravi (“severe”/con impatto sulla salute), si registrano fra prime e seconde dosi ben 21.000 eventi/100.000 dosi, numeri lontani anni luce dai 18 eventi avversi gravi riportati da Aifa. Possiamo pensare che queste differenze siano ascrivibili a caratteristiche genetiche tali da garantire una “fibra” particolarmente resistente al popolo italico, o piuttosto riconoscere che siamo di fronte ad una sottovalutazione clamorosa della situazione?” – scriveva Gentilini, proponendo il documento della Commissione Medico-Scientifica indipendente in cui si analizza il caso.
  Un documento più recente diffuso dalle istituzioni europee è ancora più devastante, perché scompone gli 1,6 milioni di eventi avversi osservati da Pfizer per categoria e sottocategoria di malessere e infortunio.
  Il documento di Pfizer riservato di 393 pagine, datato 19 agosto 2022, mostra che Pfizer ha osservato oltre 10.000 categorie di diagnosi, molte delle quali molto gravi e molto rare oltre a scoprire che:

  • Pfizer era a conoscenza di 73.542 casi di 264 categorie di disturbi vascolari da vaccino. Molti di loro sono condizioni rare.
  • C’erano centinaia di categorie di disturbi del sistema nervoso, per un totale di 696.508 casi.
  • Ci sono stati 61.518 eventi avversi da oltre 100 categorie di disturbi oculari, il che è insolito per un danno da vaccino.
  • Allo stesso modo, ci sono stati oltre 47.000 disturbi dell’orecchio, inclusi quasi 16.000 casi di acufene, che persino i ricercatori della Mayo Clinic hanno osservato come un effetto collaterale comune ma spesso devastante all’inizio.
  • Ci sono stati circa 225.000 casi di disturbi della pelle e dei tessuti.
  • Ci sono stati circa 190.000 casi di disturbi respiratori.
  • In modo inquietante, ci sono stati oltre 178.000 casi di disturbi riproduttivi o al seno, inclusi disturbi che non ti aspetteresti, come 506 casi di disfunzione erettile negli uomini.
  • In modo molto inquietante, sono stati osservati oltre 77.000 disturbi psichiatrici dopo le iniezioni, dando credito alla ricerca del Dr. Peter McCullough che osserva casi di studio che mostrano psicosi correlata alla vaccinazione.
  • Ci sono stati 3.711 casi di tumori benigni e maligni
  • 127.000 disturbi cardiaci, che coprivano la gamma di circa 270 categorie di danni cardiaci, inclusi molti disturbi rari, oltre alla miocardite.
  • oltre 100.000 disturbi del sangue e linfatici, per entrambi i quali esiste una vasta letteratura che li collega alla proteina spike.

Quando si legge ciò che Pfizer sapeva all’inizio giustapposto a studi indipendenti, è chiaro che nessuno avrebbe potuto scambiare la maggior parte di questi eventi avversi per semplici disturbi accidentali.
  Di seguito è riportato un elenco di 3.129 casi di studio che registrano danni da vaccino in ogni sistema di organi osservati in questo documento Pfizer.
  Ciò che è così sconcertante è che ci sono centinaia di disturbi neurologici molto rari che riflettono qualcosa di così sistematicamente sbagliato nelle iniezioni, una realtà che chiaramente non interessava né i produttori né i regolatori. Uno dei famigerati casi di danno da vaccino è stato Maddie de Garay, un’adolescente dell’Ohio che è diventata disabile a vita subito dopo aver partecipato alla sperimentazione clinica Pfizer, a causa di una rara diagnosi di polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (68 casi riconosciuti fino ad ora post-vaccino anti-Covid).
  Fino ad oggi, la FDA continua a etichettare il vaccino anti-Covid di Pfizer come “sicuro ed efficace”. Fino ad oggi, l’etichetta indica che l’iniezione è un vaccino completamente protettivo e non menziona tutti questi effetti collaterali, come richiesto dalla legge.
  Recentemente, Peter Doshi, direttore del British Medical Journal, ha scritto una lettera alla FDA chiedendo che l’agenzia aggiorni la sua etichettatura per riflettere la realtà di ciò che abbiamo appreso sui colpi. In particolare, ha chiesto di includere i seguenti effetti collaterali sull’etichetta: sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini, embolia polmonare, morte cardiaca improvvisa, disturbi neuropatici e autonomici, diminuzione della concentrazione di spermatozoi, sanguinamento mestruale abbondante e rilevamento dell’mRNA del vaccino nel latte materno. La relazione causale di tutti questi eventi avversi con il vaccino è supportata da ricerche sostanziali, sondaggi e sistemi di segnalazione degli eventi avversi.
  La FDA ha negato la relazione causale tra uno qualsiasi di questi effetti collaterali e le iniezioni di COVID. Anche per quanto riguarda la richiesta che i funzionari chiariscano sull’etichetta che i vaccini non interrompono la trasmissione, la FDA ha risposto: “Non siamo convinti che ci sia un malinteso diffuso al riguardo”.

(AsSIS, 24 luglio 2023)

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Il sì alla riforma. Netanyahu fa esplodere ancora Israele

Primo via libera alla Knesset. Accuse incrociate. Ma il Paese resta paralizzato: idranti sulla folla

di Fiamma Nirenstein

Dittatura, fascismo, vergogna, insopportabile egoismo politico, rischio per la vita dello Stato d'Israele. E questo è per Netanyahu da parte dell'opposizione. E dall'altra parte: estremismo irresponsabile, incitamento, anarchia, distruzione dei servizi indispensabili, rifiuto a servire mentre Israele è assediata. Ancora, dopo 7 mesi di scontro micidiale, queste sono le accuse nel giorno in cui, 64 voti a zero (l'opposizione si è dileguata in segno di disprezzo), è stato votato alla Knesset il capitolo della riforma della giustizia sulla «ragionevolezza».
  Finora la Corte Suprema poteva cancellare qualsiasi legge, in assenza del parametro della Costituzione, che non esiste, purché le apparisse «irragionevole». L'evidente arbitrarietà di questo criterio, per altro vigente solo dagli anni '90, è stata sollevata da ogni parte politica: avevano chiesto una riforma Yair Lapid, Benny Gantz, Gideon Sa'ar, Avigdor Lieberman. Tutti personaggi che oggi gridano al fascismo: Lapid ha detto che siamo di fronte a «una tragedia da fermare». Netanyahu, appena dimesso dall'ospedale per una simbolica operazione di pacemaker , ha detto che «non c'è nessuna intenzione di ferire la democrazia, al contrario, si vuole rafforzarla; la Corte - ha detto - seguiterà a monitorare la legalità delle decisioni del governo... con proporzionalità, giustizia, uguaglianza». Intanto però le manifestazioni bloccano le strade e le attività, il potentissimo sindacato, l'Istadrut, medita lo sciopero generale, la gente per le strade grida disperata «democrazia» come ne fosse stata privata: ma le manifestazioni, gli scioperi, il blocco di attività economiche, mediche, degli spostamenti, avvengono col minimo di disturbo, i canali tv e radiofonici e i giornali, sono schierati quasi tutti contro la riforma. Questo, già da febbraio. La polizia cerca di contenere al minimo (per esempio ha sbloccato le strade ai membri del parlamento che andavano a votare) l'attività, anche se si è fatto uso dei cannoni ad acqua davanti alla Knesset. Dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo, si fa sentire il proprio disappunto perché non si è giunti a un accordo, ma si fa cadere tutta la responsabilità sul governo, che invece ha spezzettato la riforma così da rimandarne una parte e che per altro ha dietro di sé la volontà di una maggioranza molto larga, che non può essere ignorata. D'altra parte, l'opposizione è mossa da una leadership che sogna di scardinare il governo e destituire Netanyahu, e che agisce palesemente per questo fine.
  Insomma, lo scontro che lacera in queste ore Israele e lo blocca eccitando purtroppo i suoi nemici, spezza il cuore di questo stato democratico situato nell'ingorgo dei Paesi arabi, ma non riguarda solo il Medio Oriente: si assiste qui, con lo scontro sulla riforma della giustizia, che dal febbraio ha bloccato il traffico, l'aeroporto, gli ospedali, ha stravolto l'esercito, alla parossistica furia di cui anche l'Italia ha avuto qualche assaggio. Quando la destra vince e fa politica, c'è un mondo di brave persone radicato in famiglie che hanno costruito il mondo moderno, che non può sopportare che si rompa la strada liberalsocialista scelta nel dopoguerra. Israele ha fra i suoi migliori scienziati, coltivatori, guerrieri i figli di quei kibbutz che sulla scia dei Ben Gurion hanno scelto la strada post socialista. Netanyahu, portando da destra prosperità e sicurezza, ha creato una frattura conoscitiva e politica che non gli viene perdonata, e che adesso è incarnata da un governo di cui fa parte anche una componente religiosa in genere marginale, di origine sefardita. Bibi siede al potere da un decennio, interrotto solo nel breve lasso del governo Bennett e Lapid: la sua presenza era stata mitigata da accordi con forze di sinistra, ma esse poi lo hanno rifiutato. Adesso viene radicalmente contestato, identificato con un'aspirazione autocratica mai in realtà espressa. E Israele è spaccato in due, con le bandiere con le stella di David brandite da ambedue le parti, ma con le stesse canzoni, le stesse dure esperienze di vita. Adesso la nuova legge verrà proposta per la cancellazione al Bagaz, la Corte Suprema, che è quella che si è fieramente opposta alla riforma, e si apre un altro difficilissimo capitolo.

(il Giornale, 25 luglio 2023)

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I due Israele

La riforma di Netanyahu e la politica del risentimento fra le anime dello stato ebraico

di Giulio Meotti

ROMA - Mentre crollavano gli ultimi tentativi di compromesso, la Knesset votava la tanto contestata riforma giudiziaria. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo essere uscito dall’ospedale per un pacemaker dichiarava: “In una vera democrazia, la mano decisiva non è quella che tiene un’arma, ma quella che mette la scheda elettorale nell’urna”. Il riferimento è ai militari che, in segno di protesta con la riforma, hanno rifiutato la riserva, il cuore dell’esercito israeliano. “Questo è un momento di emergenza”, diceva intanto il presidente Isaac Herzog.
  Il disegno di legge limiterà la capacità della Corte suprema di annullare le decisioni del governo sulla base della “ragionevolezza”, che secondo la coalizione di “Bibi” è un concetto troppo nebuloso e consente ai tribunali di annullare la volontà dei funzionari eletti per motivi ideologici e politici. Ma è solo il primo atto legislativo di una radicale revisione giudiziaria volta a indebolire la magistratura e dare al governo di turno maggiore influenza sulla nomina dei giudici. Se ne riparla a settembre, dopo le festività ebraiche. Intanto “Bibi” incassa anche il sostegno del ministro della Difesa, Yoav Gallant, e di dissidenti come Yuri Edelstein.
  Decine di migliaia di israeliani hanno protestato in questi giorni, contro e a favore della riforma, fino a bloccare l’entrata della Knesset. Quasi il 70 per cento delle startup israeliane starebbe adottando misure per ritirare denaro e spostare parti delle proprie attività al di fuori del paese, secondo un sondaggio di Start-Up Nation Central. Oltre mille membri dell’aeronautica, tra cui centinaia di piloti di caccia, come centinaia di membri di commando d’élite e unità di intelligence, hanno dichiarato ai propri comandanti che non si presenteranno in servizio se la legge sarà approvata.
  Nello scontro sulla riforma emerge tutta la politica del risentimento fra il “primo” e il “secondo” Israele. Il giornalista di Haaretz, Uri Misgav, dopo aver appreso che i piloti stavano minacciando di abbandonare la riserva ha detto: “I piloti se ne andranno. Con chi rimarrete? Shlomo Karhi?”. Karhi è il ministro delle Comunicazioni. E’ il primo di diciotto fratelli. Suo padre è un rabbino. Lui era studente della yeshivah e ha prestato servizio in un’unità di combattimento. E padre di sette figli. Ha conseguito un dottorato in Ingegneria e pubblicato ricerche in matematica applicata e informatica su riviste accademiche. Karhi è un ebreo religioso mizrahi, pelle scura, kippah e marcato accento sefardita.
  Medici, professori universitari, piloti, capitani d’industria, ex giudici della Corte suprema e procuratori generali, ex capi dei servizi segreti sono i blocchi di potere che si oppongono a queste riforme e sono tutti feudi della “prima Israele” ashkenazita di origine europea, contro cui si scaglia la seconda Israele, che Matti Friedman in un libro chiama “Mizrahi Nation”.
  Il padre di Yair Lapid, l’ex ministro della Giustizia Yosef (Tommy) Lapid, aveva notoriamente etichettato la cultura Mizrahi (sefardita e mediorientale) come inferiore: “Non abbiamo occupato la città araba di Tulkarem, Tulkarem ci ha occupato”. Israele è una società di immigrati. E negli anni successivi alla fondazione nel 1948, gli immigrati Mizrahi erano in grave svantaggio sotto molti aspetti. La maggior parte di loro proveniva da società agrarie, spesso poco istruiti, estranei alle reti economiche e culturali israeliane. Di conseguenza, gli elettori Mizrahi accorsero verso il Likud di Menachem Begin, molto più ospitale nei confronti della religione e della tradizione, molto più aggressivo in politica estera e molto più impegnato in un’economia di libero mercato che avrebbe avvantaggiato gli immigrati. Dopo lo choc della guerra dello Yom Kippur, che indebolì la fiducia del pubblico nel Partito laburista da sempre al governo, il Likud vinse le elezioni del 1977 grazie ai Mizrahi.
  I giudici della Corte suprema provengono da sempre da ambienti ashkenaziti, come i piloti dell’aeronautica militare – che hanno guidato la protesta contro il governo – sono l’epitome dell’élite ashkenazita. Una icona della cultura israeliana, Joshua Sobol, durante la campagna elettorale contro Netanyahu, ha definito gli ebrei religiosi “stupidi che baciano le mezuzah”. La mezuzah è l’astuccio che contiene il rotolo di pergamena montato sugli stipiti delle case. Di contro c’è il popolo del rabbino Ovadia Yosef, che non risparmiava attacchi feroci alla Corte suprema (“non tiene conto dell’essere umano, le interessa solo il potere”).
  Non importa che anche a livello di leadership, il Likud rimanga dominato da un’aristocrazia ashkenazita di destra, come lo stesso ministro della Giustizia artefice della riforma, Yariv Levin. I blocchi pro e anti Netanyahu rappresentano un grande divario sociale, economico e culturale (sebbene i matrimoni in Israele siano per un terzo misti). Secondo l’ultima ripartizione postelettorale pubblicata dal sito di sinistra Davar, i partiti della coalizione di destra hanno il voto degli elettori della metà inferiore socio-economica di Israele. I partiti ortodossi degli ebrei più poveri, il Likud e il sionismo religioso della classe medio-bassa. Al contrario, i partiti dell’opposizione –Yesh Atid, Labour e il Partito di unità nazionale – sono i partiti degli israeliani ricchi. Yesh Atid di Lapid da solo ha il 40 per cento della più alta fascia socio-economica. Allo stesso modo, Labour e Meretz di sinistra hanno i migliori risultati nei segmenti socio-economici più alti. La magistratura è dunque, agli occhi della destra, l’ultimo ostacolo che si frappone al rovesciamento del “vecchio ordine” e al completamento della rivoluzione iniziata da Begin, in quello che fu il primo trasferimento politico di potere in Israele. Intanto c’è stato un aumento del numero di membri della Knesset mizrahi, i cui genitori sono arrivati da stati islamici, e anche del numero di ministri mizrahi. Su 32 ministri, 19 sono mizrahi, il 60 per cento. Se si guarda alla Knesset com’era negli anni Novanta, capiamo l’entità del cambiamento. E la politica del risentimento.

Il Foglio, 25 luglio 2023)

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Il 25 luglio e la grande illusione degli ebrei italiani

di Elisabetta Fiorito

È la notte tra il 24 e il 25 luglio 1943. Gli alleati sono sbarcati in Sicilia e sono entrati a Palermo, Roma è stata bombardata il 19 a San Lorenzo. In una drammatica seduta del Gran Consiglio del fascismo, Mussolini venne messo in minoranza e nel pomeriggio del 25, dopo aver incontrato il re ed essere stato informato del nome del suo successore, il maresciallo Pietro Badoglio, viene arrestato. La gente si riversa in piazza, pensa erroneamente che la fine della guerra sia dietro l’angolo. Pochi danno importanza al proclama che ribadisce la continuazione del conflitto accanto all’alleato tedesco. Anche gli ebrei della Capitale, colpiti dalle leggi razziali del 1938, guardano dopo anni con ottimismo al futuro.
  I tedeschi sono ancora alleati e fino a quel momento nessuno li ha toccati. A Berlino, però, non si fidano della fedeltà italiana e iniziano a guardare con sospetto la situazione nella penisola. Seguono mesi drammatici, fino all’armistizio dell’8 settembre e alla deportazione del 16 ottobre, mesi in cui se si fosse agito diversamente, si sarebbero potute salvare molte vite. Tutto è scritto in un saggio di Gabriella Yael Franzone, coordinatrice del Dipartimento Beni e Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma, “La legislazione riparatoria e lo stato giuridico degli ebrei nell’Italia repubblicana. Note sull’abrogazione delle norme antiebraiche”.
  Nei mesi successivi al crollo del fascismo, a Roma non accade nulla. Soltanto in Sicilia, arriva un primo testo che mira a eliminare le leggi della vergogna, che viene pubblicato sulla Gazzetta n. 1 del governo militare alleato dei territori occupati. Si tratta del proclama n. 7 che abroga qualsiasi legge operante discriminazione contro qualsiasi persona per motivi legati a razza, colore della pelle, fede.
  Nei giorni successivi al 25 luglio, il governo Badoglio procede all’abrogazione di buona parte della legislazione fascista, ma nei 45 giorni fino all’8 settembre non viene presa nessuna misura significativa in favore degli ebrei per limitare i danni fatti o per arginare i rischi che si potevano prospettare. “Viene lasciata persino in vita la stragrande parte delle norme antiebraiche – racconta Gabriella Yael Franzone - e con essa persino la Direzione generale della demografia e la razza, la famigerata “Demorazza” istituita presso il Ministero dell’Interno. Presidente del tribunale della razza era Gaetano Azzariti, che viene nominato Ministro della Giustizia proprio del primo governo Badoglio e poi, dal 1957 al 1961, Presidente della Corte costituzionale della Repubblica: una continuità di apparato che desta perplessità”.
  Non manca poi l’intromissione della chiesa con la figura del gesuita Piero Tacchi Venturi che nell’agosto 1943 chiede al governo Badoglio il riconoscimento dei matrimoni misti avvenuti dopo l’ottobre del ’38, fino allora considerati illegittimi. Padre Tacchi Venturi sottolinea che nella legislazione razziale ci sono misure anche meritevoli di conferma “secondo i principi e le tradizioni della chiesa cattolica”.
  “La questione della cancellazione delle registrazioni anagrafiche degli ebrei presso le questure e i comuni non viene minimamente affrontata da Badoglio. Pietro Calamandrei (fondatore del partito d’Azione ndr) nel suo diario a inizio agosto ’43 si pone il problema - spiega Gabriella Yael Franzone. “Calamandrei ritiene che le leggi antiebraiche, ingiuste e vergognose, vadano abrogate anche solo per la loro immoralità; ma annota che nessuno parla, in quel momento, di una loro abrogazione, né – men che meno – si attiva per attuarla. Calamandrei ne trae la conclusione che molti di coloro che apparentemente si rallegravano della caduta del fascismo, in realtà fossero rimasti fascisti, filofascisti o filonazisti. Pochissimi, dopo il 25 luglio chiedono apertamente l’eliminazione della normativa razzista; i soli a farlo sono due filosofi, Antonio Banfi e Guido De Ruggiero, e lo storico del diritto Vincenzo Arangio Ruiz”.
  Arriviamo al 16 ottobre e alle conseguenze della mancata abrogazione. “Al momento in cui si dovette organizzare la deportazione degli ebrei si avevano liste, elenchi tratti dalle dichiarazioni di razza presso il ministero dell’interno, presso le questure e le prefetture. E questo agevolò il trasferimento. Gli studi effettuati sembrano confermare l’ipotesi che in realtà i nazisti abbiamo utilizzato la documentazione del ministero dell’Interno: gli ebrei che avevano cambiato domicilio e lo avevano comunicato – perché obbligati a farlo dalla normativa vigente – alla Pubblica amministrazione, ma non anche agli uffici della Comunità ebraica, sono stati infatti prelevati dai nazisti al loro nuovo indirizzo e non a quello che sarebbe risultato dagli elenchi comunitari”.

(Shalom, 25 luglio 2023)

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La Knesset approva la prima fase della riforma giudiziaria

di Luca Spizzichino

In un clima estremamente teso, sia dentro che fuori la Knesset, lunedì pomeriggio il parlamento israeliano ha approvato, con 64 voti a favore, in seconda e terza lettura il disegno di legge sugli standard di ragionevolezza. Si tratta del primo importante provvedimento che viene approvato nell'ambito della riforma giudiziaria. Durante le votazioni i parlamentari dell’opposizione hanno lasciato l’aula in segno di protesta.
  Il voto è stato preceduto da trenta ore di infuocato dibattito e da alcuni tentativi falliti di raggiungere un compromesso con l'opposizione. Fino all’ultimo infatti i ministri Bezalel Smotrich e Yoav Gallant hanno cercato di trovare un accordo, nonostante la dura opposizione dei ministri Yariv Levin e Itamar Ben Gvir, spingendo anche per ritardare di oltre sei mesi la normativa per le nomine giudiziarie. Il primo ministro Netanyahu ha valutato seriamente l'idea, lasciando il plenum più volte per discuterne con diversi ministri. Le trattative sono fallite con una dichiarazione alla stampa del leader dell’Opposizione Yair Lapid.
  "Stiamo seguendo con estrema attenzione l'evoluzione della situazione in Israele rispetto al voto avvenuto poche ore fa alla Knesset sulla limitazione della cosiddetta causa di ragionevolezza e le opinioni preoccupate di vertici militari e autorevoli esponenti sulla sostenibilità del Paese” ha affermato la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni in una nota. “Il varo di riforme che riguardano le questioni strutturali ed essenziali da parte di un governo eletto democraticamente e legittimato a promuovere iniziative importanti per il futuro del Paese richiede confronto ampio e pacatezza” si legge ancora nella nota. "La sicurezza, l'unità del Paese e la sua capacità di continuare a guidare innovazione e sviluppo nell'intera regione mediorientale e internazionale sono le direttrici essenziali e continueremo a sostenere Israele come Stato che esprime valori ebraici da 75 anni" ha dichiarato la presidente Di Segni.

(Shalom, 24 luglio 2023)

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Israele, auto investe manifestanti: ci sono feriti

Il conducente, poi arrestato, ha accelerato per investire deliberatamente un gruppo di manifestanti riuniti per protestare contro la riforma della giustizia
  Una persona alla guida di un'auto ha accelerato per investire deliberatamente un gruppo di manifestanti riuniti per protestare contro la riforma della giustizia in Israele, colpendo alcuni di loro. Lo riferisce il Jerusalem Post, secondo cui si contano tre feriti. L'incidente, secondo quanto riferito dai media locali, è avvenuto sulla strada 531 nei pressi di Kfar Saba, nella parte centrale di Israele. Ynet news parla di quattro feriti lievi.
  La polizia israeliana ha poi reso noto di aver arrestato il presunto conducente. "Un residente di una delle comunità della regione di Sharon è stato arrestato perché sospettato di aver colpito dei manifestanti sulla superstrada 531", ha riferito la polizia, citata da Haaretz. "Dopo una rapida indagine, la polizia ha arrestato il proprietario di un veicolo, è un ventenne", ha proseguito la polizia, aggiungendo che le indagini sono in corso.

(Adnkronos, 24 luglio 2023)

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Giornata della Cultura Ebraica: Firenze Capofila in Italia

Il prossimo 10 settembre torna l’appuntamento con la Giornata europea della Cultura Ebraica. Firenze ospiterà anche l’evento inaugurale: a partire dalle ore 10.30, nel giardino della Sinagoga di Firenze, in via Farini 6, alla presenza di Autorità nazionali e locali.

Domenica 10 settembre 2023 torna l’appuntamento con la Giornata Europea della Cultura Ebraica, iniziativa alla quale partecipano trenta Paesi europei, e coordinata e promossa nel nostro Paese dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  La manifestazione, che apre alla cittadinanza le porte di Sinagoghe, musei e altri siti ebraici, invitando ad approfondire la conoscenza di ebrei ed ebraismo, si svolgerà quest’anno in Italia in ben 101 località, distribuite in sedici regioni, da nord a sud alle isole.

Quest’anno è stato scelto un tema inedito: la bellezza.
  Un’occasione per far conoscere e valorizzare il patrimonio storico, architettonico, artistico e archeologico ebraico in Italia, e per riflettere sulle peculiari espressioni del bello da un punto di vista ebraico: le antiche e storiche sinagoghe e i tanti siti ebraici italiani, il pensiero, la filosofia e la tradizione ebraica. Ma anche la musica, l’arte, la letteratura, le specialità culinarie, al fine di presentare sotto molteplici declinazioni l’anima dello Stato d’Israele.
  Firenze, patria del Rinascimento e da secoli simbolo di bellezza, farà da Capofila all’esperienza italiana: il capoluogo toscano, infatti, offrirà ai visitatori un programma fitto di eventi, che animeranno l’incantevole Sinagoga in stile moresco e altri luoghi della città. Il prossimo 10 settembre, a partire dalle ore 10.30, nel giardino della Sinagoga di Firenze, in via Farini 6, si terrà l’inaugurazione ufficiale e nazionale della manifestazione alla presenza di Autorità nazionali e locali.
  La Giornata Europea della Cultura Ebraica è un appuntamento culturale ormai consolidato, e, nel nostro Paese, vanta il primato di edizione più ampia e riuscita in Europa secondo l’Aapj, l’associazione europea per la preservazione del patrimonio ebraico .
  “Grazie alla virtuosa e fattiva collaborazione tra Comunità Ebraiche, Comuni, Enti locali e Associazioni attive sul territorio, e a un patrimonio storico-culturale di sicuro interesse, ogni anno si dà vita a una manifestazione diffusa in modo capillare in gran parte della penisola, che accoglie decine di migliaia di visitatori”.

(Controradio, 24 luglio 2023)

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Netanyahu ha un pacemaker. Che cosa significa?

Domenica mattina il Primo Ministro si è fatto impiantare un piccolo dispositivo di stimolazione cardiaca alimentato a batteria per impedire al suo cuore di battere troppo lentamente.

di Renee Ghert-Zand

Agenti di polizia all'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale Sheba di Ramat Gan dopo il ricovero di Benjamin Netanyahu.
I professori Roy Beinart (d.) e Eyal Nof all'ospedale Sheba il 23 luglio 2023.
I medici dello Sheba Hospital hanno impiantato un pacemaker al Primo Ministro Benjamin Netanyahu sabato sera. Era stato ricoverato sabato sera dopo che un allarme trasmesso dal monitor cardiaco interno di cui era stato dotato una settimana fa aveva indicato un blocco cardiaco transitorio, cioè un problema nel sistema di conduzione elettrica del cuore.
Un pacemaker è un piccolo dispositivo alimentato a batteria che impedisce al cuore di battere troppo lentamente. Viene posizionato chirurgicamente sotto la pelle, vicino alla clavicola.
I pacemaker vengono prescritti quando il sistema di conduzione elettrica del cuore di una persona causa battiti lenti o irregolari, o in caso di insufficienza cardiaca.
I problemi al sistema di conduzione del cuore sono generalmente dovuti a danni al muscolo cardiaco, a fattori genetici o agli effetti di alcuni farmaci.
  Dopo il primo ricovero della settimana scorsa, l'ospedale aveva assicurato a Netanyahu che tutti i test effettuati su di lui andavano bene e che l'impianto sottocutaneo del "monitor cardiaco impiantabile" (ILR) era solo una "normale" precauzione.
  Tuttavia, in una dichiarazione video rilasciata dallo Sheba domenica mattina, è stato rivelato che il Primo Ministro ha una storia di problemi di conduzione cardiaca. L'ospedale ha anche detto che Netanyahu era svenuto lo scorso fine settimana, un'informazione che l'Ufficio del Primo Ministro non aveva rivelato.
  Nonostante i protocolli richiedano ai primi ministri di pubblicare un rapporto annuale sulla loro salute, Benjamin Netanyahu non ne pubblica uno dal 2016.
  Non è stato possibile obbligarlo legalmente a condividere queste informazioni sulla salute, poiché i protocolli non sono stati prescritti dalla legge.
  "Il Primo Ministro è venuto all'ospedale Sheba la scorsa settimana perché era svenuto. E poiché aveva un disturbo della conduzione che conoscevamo da molti anni, abbiamo deciso di effettuare uno studio elettrofisiologico, che è un tipo di cateterismo che valuta il sistema di conduzione", ha dichiarato domenica il professor Roi Beinart, direttore del Centro Davidai per i disturbi dell'aritmia e del pacing dell'ospedale Sheba.
  Il professor Beinart ha detto che il cateterismo è andato bene e che tutti i risultati erano buoni, e che è stata presa la decisione di impiantare l'ILR per monitorare costantemente la salute del cuore del Primo Ministro.
  "I dati che abbiamo ricevuto ieri sera dal monitor suggeriscono un blocco atrioventricolare transitorio, che giustifica l'impianto urgente di un pacemaker", ha aggiunto.
  Esistono diversi tipi di pacemaker, ma i medici di Sheba non hanno specificato quale sia stato impiantato. [...]
  L'inserimento chirurgico del dispositivo richiede generalmente da una a due ore e viene effettuato sotto sedazione, ma non in anestesia generale, il che significa che il paziente è generalmente intontito ma sveglio durante la procedura.
  Tuttavia, l'operazione di Netanyahu ha comportato un'anestesia generale, che lo ha portato a nominare il suo Ministro della Giustizia, Yariv Levin, come Primo Ministro ad interim.
  L'operazione viene eseguita in ospedale o in regime ambulatoriale e la convalescenza dura diversi giorni. In seguito, ai portatori di pacemaker si consiglia di portare con sé una scheda di registrazione del pacemaker e di evitare i campi magnetici.
  Sebbene uno studio tedesco del 2019 indichi che è possibile volare senza complicazioni dopo soli due giorni dall'inserimento del pacemaker , il servizio sanitario nazionale britannico (NHS) raccomanda di attendere almeno sei settimane, o fino al primo appuntamento di controllo post-operatorio.
  Netanyahu ha quindi annunciato il rinvio delle visite previste a Cipro e in Turchia nei prossimi giorni.

(Times of Israël, 24 luglio 2023 - trad. e adattamento www.ilvangelo-israele.it)


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Netanyahu evita i manifestanti

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è arrivato alla Knesset, il Parlamento israeliano, dopo essere stato dimesso questa mattina dall’ospedale. Lo rende noto Channel 12 spiegando che Netanyahu ha utilizzato un ingresso di emergenza e in questo modo ha evitato i manifestanti che si sono riuniti davanti alla Knesset per contestare la riforma della giustizia voluta dalla coalizione di governo.
  Entrato nel suo ufficio dopo aver evitato le domande dei giornalisti, il premier israeliano si sta incontrando con il ministro della Giustizia Yariv Levin e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich.

(Adnkronos, 24 luglio 2023)

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La guerra dell’Iran a Israele

Gli ultimi attacchi terroristici palestinesi non sono una nuova intifada ma un’operazione militare a tenaglia del regime di Teheran, scrive Dan Diker

E’invalsa la tendenza in occidente a classificare tutti gli attacchi terroristici palestinesi contro Israele come ‘intifada’”, scrive Dan Diker su Israel Hayom. “Il termine deriva dalle violenze di massa che si scatenarono nel dicembre 1987 nelle città arabe palestinesi in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Inizialmente innescata dalla rivendicazione degli arabi del posto per una maggiore libertà socio-economica e un migliore tenore di vita, nel giro di pochi mesi quell’intifada fu cooptata dal capo dell’Olp (Organizzazione per la l iberazione della Palestina) che aveva sede a Tunisi, Yasser Arafat, come una prosecuzione della sua pluri-decennale guerra totale contro l’esistenza dello stato ebraico e democratico, l’obiettivo esplicitamente dichiarato nella Carta dell’Olp del 1964/68. Il brand ‘intifada’ era destinato a restare scolpito nella percezione e nel lessico dei mass-media internazionali. Come tale, venne indebitamente applicato anche alla successiva campagna di terrorismo stragista suicida condotta da Hamas, Fatah e Jihad Islamica Palestinese soprattutto negli anni 2001-2004, definita appunto ‘seconda intifada’. Quella campagna era nota ai suoi protagonisti come ‘intifada al-Aqsa’, a indicare una guerra islamica incentrata sulla centenaria accusa palestinese secondo cui gli ebrei profanerebbero la moschea di al-Aqsa, una calunnia già brandita negli anni Venti dal primo leader clericale palestinese, Haj Amin al-Husseini.
  Oggi, nel 2023, la natura di quest’ultima ondata di terrorismo palestinese originato nelle città di Jenin e Nablus in Samaria dovrebbe essere molto più facile da identificare, visto che la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha apertamente esortato a esportare la rivoluzione islamica del regime khomeinista nelle colline della Cisgiordania settentrionale. Questa non è un’intifada. E’ una premeditata operazione militare a tenaglia del regime iraniano, che ora viene condotta dalle colline della Samaria settentrionale. Oggi l’Iran accerchia Israele su tre lati. Da Gaza, nel sud, i gregari del corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, Hamas e Jihad islamica palestinese, possono attaccare Israele con decine di migliaia di razzi e tunnel terroristici. Dai paesi confinanti a nord, Libano e Siria, la forza Quds del corpo delle Guardie rivoluzionarie e l’esercito terrorista iraniano per procura Hezbollah dispongono di circa 180.000 razzi e missili puntati contro le città israeliane. Di recente Hezbollah ha persino creato degli avamposti sul versate israeliano del confine internazionale fra Libano e Israele. Adesso il regime iraniano è riuscito a portare la sua guerra contro Israele, che dura da 44 anni, fin sulle colline di Samaria che si affacciano sull’aeroporto internazionale Ben Gurion e sulle principali città israeliane lungo la costa mediterranea.
  Le prove sono schiaccianti. Nella settimana di metà giugno, la dirigenza di Hamas e Jihad islamica palestinese si è recata in visita a Teheran per un incontro con la forza Quds, il braccio per le attività all’estero delle Guardie rivoluzionarie islamiche, per discutere delle recenti operazioni delle Forze di difesa israeliane a Gaza e coordinare le attività armate contro Israele, portando avanti la strategia multi-fronti ideata dal comandante delle Guardie rivoluzionarie Qassem Soleimani, che è stato ucciso da un attacco di droni statunitensi nel 2020 ma la cui eredità strategica permane. Questi incontri ad alto livello hanno coinciso con un’ondata di attacchi terroristici in Giudea e Samaria, alcuni compiuti direttamente da Hamas e Jihad islamica palestinese. Ciò ha incoraggiato l’Iran, che cerca di fare di Giudea e Samaria un ulteriore campo di battaglia nella sua escalation aggressiva contro Israele. Il recente attentato terroristico che ha ucciso quattro israeliani alle porte della comunità ebraica di Eli, in Samaria, è solo l’ultimo assalto sostenuto dall’Iran. Dall’inizio di quest’anno sono una trentina gli israeliani che sono stati assassinati in attacchi terroristici sostenuti dall’Iran.
  La campagna terroristica iraniana non si svolge nel vuoto. Il contesto storico è importante. Sin dal 1979, i capi iraniani hanno etichettato Israele come ‘il piccolo Satana’ e si sono votati alla sua distruzione. Il regime iraniano non ha mai abbandonato questo obiettivo. Da anni le Guardie rivoluzionarie dirigono e riforniscono di armi Hamas e Jihad islamica. Le navi cariche di armi iraniane Karine A (2002), Calipso (2003) e Klos (2014), inviate per rifornire Olp e Hamas a Gaza con migliaia di tonnellate di armi, sono state presto dimenticate dalla comunità internazionale. Fino a poco tempo fa, le Guardie rivoluzionarie del regime iraniano e la sua forza Quds per l’esportazione del terrorismo concentravano principalmente la loro presenza nella striscia di Gaza, dove i loro agenti in loco sono attivi sin dalla guerra antiterrorismo del 2014 nell’assistere Hamas nella produzione di droni e razzi. Fu Soleimani a suggerire a Hamas la campagna della Grande Marcia del Ritorno del 2018-2019, organizzata investendo migliaia di dollari per pagare gli adolescenti di Gaza che si lanciavano verso la barriera di confine tra Gaza e Israele esponendosi a fuoco di difesa israeliano. Gli agenti delle Guardie rivoluzionarie iraniane sono coinvolti anche nella costruzione dei tunnel di Hamas, pensati per infiltrarsi in Israele e uccidere o prendere in ostaggio israeliani. Significativamente, l’Iran vede l’eventuale tracollo del governo laico dell’Autorità palestinese, dominato da Fatah, come un’opportunità per avventarsi sulla Samaria. Recenti sondaggi palestinesi rispecchiano il sostegno di cui godono le milizie terroristiche locali sostenute dall’Iran, come la ‘Fossa dei leoni’, in quanto diretta conseguenza della frustrazione pubblica nei confronti dell’Autorità palestinese profondamente corrotta. Siccome è improbabile che emerga un chiaro successore del vecchio Abu Mazen, la sua uscita di scena scatenerà il caos tra questi gruppi armati che si contenderanno il controllo (facendo anche a gara a chi si può vantare d’essere più militante nel terrorismo contro Israele), e l’Iran sfrutterà il vuoto di potere a proprio vantaggio.
  L’attività iraniana nel nord della Samaria è il chiaro segnale che le forze terroristiche iraniane sono penetrate nel territorio e rappresentano una minaccia strategica per Israele. I dirigenti delle Guardie rivoluzionarie hanno garantito al capo della Jihad islamica palestinese, Ziyad al-Nakhalah, che l’Iran farà arrivare altre armi in Giudea e Samaria attraverso la Giordania e che la Jihad islamica riceverà ulteriore sostegno finanziario. L’Iran ha anche esortato a creare impianti per la produzione di razzi nel nord della Cisgiordania. Nakhalah ha apertamente celebrato l’incrollabile sostegno dell’Iran ai palestinesi dicendo: ‘Nessun altro paese al mondo prende una posizione così esplicita’ che ‘attesta il sostegno di Teheran alle fazioni della resistenza palestinese’ e ‘mette in risalto i forti legami tra Jihad islamica, Hamas e Repubblica islamica’. Il 17 giugno Nakhalah ha incontrato anche Mohammad Baqer Qalibaf, presidente del Majlis (parlamento iraniano). Dal canto suo, il capo di Hamas Ismail Haniyeh ha incontrato la Guida suprema Khamenei e il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Nell’occasione, Haniyeh ha dichiarato che l’attacco terroristico di giugno a Eli, costato la vita a quattro innocenti, era ‘solo l’inizio’ di una rinnovata campagna contro Israele. A Teheran è andato anche il vice di Haniyeh, Saleh al-Arouri, capo dell’ala militare di Hamas in Giudea e Samaria, responsabile di quell’attentato. In Iran, l’esponente di Hamas Osama Hamdan ha menzionato l’importante ruolo degli arabi israeliani nella battaglia contro Israele, evidenziato dalle violenze scoppiate durante l’operazione antiterrorismo delle Forze di difesa israeliane a Gaza nel maggio 2021. Hamdan ha detto che Giudea e la Samaria stanno entrando in una nuova fase di ‘resistenza’, riferendosi alla creazione in Samaria ad opera dell’Iran di 20 o 30 nuovi ‘battaglioni’ di 2.000 miliziani che puntano a diffondersi nella regione intorno a Ramallah (la capitale di fatto dell’Autorità palestinese di Abu Mazen ndr).
  Come ha ricordato l’analista di intelligence Micky Segal in una recente analisi del Jerusalem Center for Public Affairs, Khamenei ha ribadito l’importanza di Giudea e Samaria affermando che ‘se Gaza è il centro della resistenza, il punto che metterà in ginocchio il nemico è la Cisgiordania’. Khamenei, che spesso si incontra con i palestinesi della Jihad islamica, ha dichiarato: ‘La forza crescente dei gruppi di resistenza in Cisgiordania è la chiave che può mettere in ginocchio il nemico sionista, ed è fondamentale che proseguiamo su questa strada’”.

Il Foglio, 24 luglio 2023)

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Milano: Italia e Israele vincenti ai Mondiali di Ginnastica ritmica

di Nathan Greppi

La squadra israeliana di ginnastica ritmica ha recentemente vinto una medaglia d’argento la notte di sabato 22 luglio alla Coppa del Mondo 2023 di ginnastica ritmica, che quella sera faceva tappa al Mediolanum Forum di Assago, appena fuori Milano. Mentre l’Italia si è aggiudicata la medaglia d’oro, arrivando al primo posto a livello mondiale.
  Come riporta il Times of Israel, in precedenza il gruppo israeliano aveva vinto altre medaglie a questa edizione: nella gara a squadre a marzo vinse la medaglia d’oro ad Atene, cui sono seguite delle medaglie d’argento tra marzo e aprile a Sofia e a Baku (rispettivamente in Bulgaria e in Azerbaijan). Inoltre, a maggio, sempre a Baku presero parte anche ai Campionati Europei di ginnastica ritmica, vincendo un oro e tre argenti.
  Attualmente, nella Coppa del Mondo l’Italia è al primo posto per numero di medaglie vinte (17 ori, 12 argenti e 5 bronzi), seguita da Bulgaria e Germania, mentre Israele è quarta in classifica (5 ori e 8 argenti).
  Per quanto riguarda le performance individuali, ha vinto svariate medaglie l’italiana Sofia Raffaeli, mentre all’israeliana Adi Asya Katz è andata una medaglia d’argento durante la tappa a Sofia.
  In anni recenti, Israele ha ottenuto diversi premi importanti per la ginnastica ritmica, quali una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021, vinta a livello individuale dalla ginnasta Linoy Ashram, e altri due ori ai Giochi Mondiali di Birmingham nel 2022.

(Bet Magazine Mosaico, 24 luglio 2023)

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Hanno demolito un tempio ebraico centenario e c’è disaccordo sulla cura dei pezzi sacri

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La scorsa settimana è stato demolito un tempio ebraico centenario situato in via Oncativo nella città di Córdoba. Questa azione fa parte del lavoro per ampliare Avenida Maipú. Alcuni pezzi sacri sono stati lasciati sotto le macerie per essere trasferiti in altra sede nei prossimi giorni. Lasciare questi oggetti così importanti allo scoperto provocò indignazione tra alcuni ebrei.
  Tuttavia, a partire da questa domenica a mezzogiorno, nell’area è stato installato un controllo di polizia per proteggere il patrimonio storico.
  “C’è stata una piccola mancanza di intelligence tra la società che ha effettuato la distruzione, ma tutto è già risolto. Il posto ha la custodia della polizia. Sia la provincia che il comune e l’ente si sono messi al lavoro e sono riusciti a mettere in salvo tutti gli oggetti sacri. Tutto è protetto e il trasferimento degli oggetti è già in programma», ha spiegato Adrián Ganzburg, presidente di Daia, cioè il rappresentante politico della comunità ebraica.
  Il Comune di Córdoba aveva espropriato il tempio un anno e mezzo fa. Il luogo non fu più utilizzato per scopi religiosi per 10 anni. I pezzi sacri saranno trasferiti e custoditi in un’altra sede ebraica in via Sarmiento in città.
  “Quando quei pezzi sono stati demoliti, sono stati nascosti, per così dire, in fondo alle macerie. Erano naturalmente protetti perché hanno un peso e proprio per questo non si sono potuti muovere subito. Gli specialisti calcolano che per ottenere questi oggetti occorrono circa 12 persone più un mulo”, ha commentato Gustavo Guelbert, vicepresidente della Sefardite Israelite Union. I pezzi corrispondono a un lampadario a sette bracci e alle tavole di Mosè, cioè i 10 comandamenti. Questa simbologia ha un sentimento profondo e una grande importanza per gli ebrei.

(IT ESEuro, 24 luglio 2023)

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La complessa strategia di Golda Meir

di Luca Spizzichino

Per decenni Golda Meir è stata considerata la "Iron Lady" che ha perso ogni occasione per trovare la pace con l’Egitto e la principale responsabile per ciò che accadde durante la Guerra dello Yom Kippur. Ma fu lei la sola responsabile di quanto accadde nell’autunno del 1973? Diverse ricerche, riportate sul magazine di Yedioth Achronot e basate su informazioni recentemente declassificate, gettano una luce completamente nuova sull'eredità Golda Meir.
  I primi segnali di un pericolo imminente proveniente dalla Siria arrivarono un giorno prima della vigilia di Rosh Hashanà, il 25 settembre 1973. Il primo ministro israeliano incontrò segretamente il re di Giordania Hussein bin Talal nel quartier generale del Mossad. Non era la prima volta che i due si incontravano. Dopo la devastante sconfitta subita dalla Giordania nella Guerra dei Sei Giorni, re Hussein cambiò il suo approccio strategico e fu disposto a tutto pur di evitare un'altra guerra con Israele, compreso il mantenimento di contatti segreti con la sua leadership. Gli incontri tra Golda e Hussein furono più di dodici, tutti supervisionati dallo Shin Bet e tenuti sotto un pesante mantello di segretezza.
  "Hussein era in una posizione precaria", spiega Moshe Shwardi, un ricercatore di intelligence e sicurezza che ha studiato a fondo la guerra dello Yom Kippur. "Da un lato c’era il presidente dell'Egitto Sadat, che voleva riconquistare i territori occupati nella Guerra dei Sei Giorni, mentre a nord c'era la Siria, che voleva l'esercito giordano per la propria difesa e soppressione. Ma Hussein voleva preservare il suo regno. Pertanto, era disposto a collaborare con Israele".
  La sera del 25 settembre re Hussein condivise le sue preoccupazioni con Golda Meir, dopo un incontro avuto due settimane prima al Cairo con Sadat e il presidente della Siria Hafez al-Assad, durante il quale si discusse della possibilità di una guerra con Israele. Pochi giorni dopo, il re giordano incontrò il re Faisal dell'Arabia Saudita, al quale trasmise informazioni simili.
  Re Hussein fornì a Meir informazioni sensibili da una fonte altamente affidabile in Siria, indicando che stava per accadere qualcosa di drammatico. Il primo ministro israeliano dovette prendere sul serio le implicazioni. "È possibile che i siriani inizino qualcosa senza il coinvolgimento degli egiziani?" chiese a re Hussein, che rispose: "Non credo. Credo che collaboreranno". Questo momento è stato impresso nella memoria di Reuven Hazak, che in quel momento sedeva dall'altra parte dello specchio unidirezionale.
  Secondo la testimonianza fatta da Reuven Hazak, allora capo dell'unità operativa dello Shin Bet e successivamente vicedirettore dell'agenzia, a Shwardi, sembrava che un ufficiale dell'intelligence, seduto accanto a Hazak, fosse rimasto sorpreso dalle parole di Hussein. "Ricordo che saltò dal suo posto e disse: 'Guerra!'". Zizi Kanizar della direzione dell'intelligence dell'IDF e Golda Meir giunsero alla stessa conclusione.
  "Quando l'incontro finì e Hussein se ne andò, entrai nella stanza dove era seduta Golda, e Lev Kadar (il suo assistente personale e confidente) si unì a lei", ha raccontato Hazak nella sua testimonianza.
  La testimonianza di Hazak fornisce quindi un’indicazione di cosa Golda Meir pensasse stesse per accadere. Tuttavia, gli esperti dell'intelligence minimizzarono l'avvertimento di re Hussein. Le consultazioni militari, i funzionari dell'intelligence stimarono che le capacità offensive della Siria fossero destinate, nel peggiore dei casi, a un'operazione limitata. La connessione critica di Hussein tra i preparativi siriani e la cooperazione egiziana venne completamente omessa dalle discussioni dell'intelligence.
  "Un avviso di intelligence, dal momento in cui viene ricevuto dalla fonte fino a quando non raggiunge gli utenti finali, è come un cubetto di ghiaccio sotto il sole", ha riassunto Shwardi. "Molti cubetti di ghiaccio si sono sciolti tra Rosh Hashanah e Yom Kippur del 1973."
  Le scelte di Golda Meir furono quindi condizionate dalle valutazioni errate dell'intelligence israeliana nell'autunno del 1973. Meir, nonostante ciò, venne indicata come la principale responsabile di quanto accadde in quei giorni e venne attaccata per aver rifiutato ripetutamente la "mano tesa per la pace" di Sadat. Tuttavia, grazie ai documenti desecretati, si è scoperto che negli anni che hanno preceduto la guerra, Golda Meir cercò di contattare Sadat, offrendogli di impegnarsi in negoziati di pace segreti, ovunque e a qualsiasi livello volesse. Ma il presidente egiziano respinse per 15 volte le proposte.
  Shaul Rachavi, uno dei nipoti di Golda Meir e una delle poche persone nel Paese che ha avuto conoscenza in tempo reale degli incontri Golda-Hussein, è uno che osserva con entusiasmo questa rinascita di Golda. “Negli ultimi anni vengono pubblicati sempre più documenti ufficiali che dimostrano che aveva ragione. Aveva di fronte persone con un ricco background di sicurezza, come il capo di stato maggiore durante la Guerra dei sei giorni Moshe Dayan, l'ex capo di stato maggiore Haim Bar-Lev e il comandante dell'IDF Yigal Allon, che la rassicurarono del fatto che l'IDF fosse ben preparato a respingere qualsiasi attacco. Non si è mai perdonata per non aver ascoltato il suo cuore”.

(Shalom, 24 luglio 2023)

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Netanyahu: “Domattina raggiungerò i miei amici alla Knesset”

“Continuerò i miei sforzi per completare la riforma e per farlo con il consenso”

Il primo ministro dello Stato di Israele, Benjamin Netanyahu, ha annunciato che domani mattina “raggiungerà i suoi amici alla Knesset”, il Parlamento israeliano, e di “continuare i suoi sforzi per completare la riforma e per farlo con il consenso”. Lo ha dichiarato lo stesso Netanyahu, in un videomessaggio diffuso via Twitter, come riferisce il quotidiano israeliano “The Times of Israel”. Rinviate, invece, le visite a Cipro e in Turchia, in programma, rispettivamente per il 25 e il 28 luglio prossimi. Secondo i medici che gli hanno impiantato il pacemaker, infatti, il premier israeliano ha subito un “arresto cardiaco transitorio”, potenzialmente pericoloso per la sua vita. Irregolarità nel ritmo delle pulsazioni cardiache, inoltre, erano state rilevate già durante il suo ultimo ricovero, la scorsa settimana. Oggi, intanto, alla Knesset si è tenuta una nuova discussione tra le forze politiche sulla riforma della giustizia proposta da Netanyahu.
  Il presidente del Partito di unità nazionale, Benny Gantz, ha esortato la coalizione di governo a fermare la proposta di legge e a procedere solo attraverso il consenso e gli accordi tra i partiti. “Un accordo parziale o la ‘ragionevolezza’ non risolverebbero la crisi se il progetto di legge è solo il primo passo di una rivoluzione più grande che investe il modo in cui Israele è governato”. La Federazione generale del lavoro, Histadrut, il principale sindacato del Paese, ha annunciato intanto di aver inviato una proposta al premier, che limiterebbe la portata del principio di “ragionevolezza”. I tribunali, di conseguenza, non potrebbero annullare decisioni del governo in base a tale criterio se queste riguardano “questioni politiche” e sono state approvate dal Consiglio dei ministri. Inoltre, ai giudici sarebbe impedito di intromettersi sulla nomina di ministri e viceministri. “Tutte le altre decisioni dei ministri continueranno a essere sottoposte a revisione giudiziaria, incluso il criterio di ragionevolezza”, sostiene Histadrut, aggiungendo che i cambiamenti non entreranno in vigore fino a quando non verrà formato un nuovo governo dopo le prossime elezioni. La proposta prevede inoltre di riprendere i colloqui tra i rappresentanti della coalizione e dell’opposizione per raggiungere un accordo “sulle altre questioni”. La proposta di Histadrut, tuttavia, è stata respinta sia dal partito di Netanyahu, Likud, sia dal Partito laburista, sia dai principali organizzatori delle proteste, che hanno rifiutato qualsiasi “compromesso per il quale Israele diventi alla fine una dittatura”.
  Continuano intanto le proteste nel Paese, in particolare a Gerusalemme, dove i manifestanti, che si erano accampati con le tende nel parco Sacher, vicino alla Knesset, hanno effettuato una preghiera collettiva per l’unità presso il Muro del pianto. A Tel Aviv, invece, è previsto per le 18 di oggi un raduno a Kaplan Street dei sostenitori del progetto di riforma del sistema giudiziario. Tra i principali relatori ci saranno il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, il ministro dell’Istruzione, Yoav Kisch, e il ministro della Cooperazione regionale, David Amsalem. Per il ministro della giustizia, Yariv Levin, invece, è previsto un intervento in videoconferenza dalla Knesset.

(Agenzia Nova, 23 luglio 2023)

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Ecco il segreto dell’esercito israeliano

Un testimone di eccezione ci parla di ciò che rende forte Tzahal: lo spirito di sacrificio e di solidarietà attorno ai giovani soldati di Giacomo Kahn

Giuramento e ultima marcia delle nuove leve paracadutiste
Fin dalla preistoria l’uomo collabora con i suoi simili quando si tratta di trovare risposte ai bisogni primari: ricerca del cibo, un tetto sotto cui ripararsi, difendersi dai predatori o dai nemici, necessità di socialità e di riproduzione.
  Più in generale i membri di una comunità, di un’associazione, di un’intera nazione si sentono uniti e collaborano fra loro solo se hanno tutti un medesimo obiettivo, un comune traguardo, consapevoli che il benessere del singolo si realizza solo necessariamente attraverso il benessere di tutti gli altri.
  Tutto bene fino a quando si parla di benessere. Ma cosa succede e che fine fa il principio della solidarietà e della collaborazione quando per garantire la maggioranza, si richiede ai singoli anche la disponibilità al sacrificio o alla rinuncia? E’ solo in queste situazioni che emerge la vera ed intrinseca natura di una società, da una parte ci sono quelle altruiste e dall’altra le società egoiste e individualiste. Le prime sanno affrontare le sfide e le crisi; le seconde sono destinate prima o poi alla sicura disgregazione.
  Tra questi due estremi, solidarietà e individualismo, come si colloca in generale la popolazione israeliana? Il senso del sacrificio e della rinuncia personale trovano ancora una ragione d’essere o prevale l’individualismo? Cosa percepisce l’osservatore esterno della natura morale ed etica della società israeliana?
   Agli occhi di un qualsiasi turista quei ragazzi che animano le notti chiassose e festaiole di Tel Aviv, che cercano il divertimento e il disimpegno giocando sulle spiagge, non sembrano diversi dai loro coetanei che abitano nei paesi occidentali.
  Solo però quando si cambia prospettiva, quando si visita il Paese non più da turista, si possono vivere esperienze fuori dall’ordinario che dimostrano che la società israeliana è diversa da tutte le altre.
  Una di queste esperienze, che coinvolge i ragazzi e i loro genitori, è il servizio militare, tanto più quando si tratta di un chayal boded – un soldato senza famiglia – generalmente proveniente dall’estero, ma vi sono anche ragazzi israeliani senza famiglia o espulsi dalle famiglie haredì per la scelta di volersi arruolare.
  Questi chayalim bodedim trovano strutture, accoglienza e sostegno grazie a diverse organizzazioni che danno loro un appartamento, risolvono i problemi burocratici, li inseriscono in reti familiari che offrono cibo e li invitano per shabbat. L’obiettivo è quello di non far sentire solo o isolato il ragazzo lungo tutto l’arco del servizio militare che può avere momenti di crisi o di scoramento.
  In generale però questi ragazzi, proprio perché ‘soli’, hanno fortissime motivazioni e sono quindi straordinariamente forti nel superare le sfide e le difficoltà che diventano enormi quando si aspira a diventare kravì – un soldato combattente. Le difficoltà e le sfide iniziano fin dalla fase di selezione, attraverso test colloqui e prove fisiche, per poi proseguire lungo tutto il periodo dell’addestramento per circa otto mesi, con esercitazioni di tiro, marce forzate, combattimento corpo a corpo, lanci con il paracadute, orientamenti e movimenti di notte.
  L’addestramento si conclude con una marcia di 50 km, portando addosso un terzo del proprio peso (25/30 kg.), che termina a Gerusalemme dove si tiene la cerimonia di consegna del berretto di combattente. E’ una festa popolare con migliaia di persone che accompagnano i soldati negli ultimi chilometri della loro marcia, con le famiglie che si riuniscono sotto l’insegna del battaglione dei loro ragazzi. Qui si scopre la vera anima dell’esercito di Israele: non ci sono soldati professionisti, è un esercito di popolo formato da benestanti e da poveri, da ebrei e da non ebrei, da religiosi e da non religiosi, da drusi, da ucraini, da francesi, da sud africani, da americani, da israelo-giapponesi, e anche da qualche italiano.
  Ma cosa si festeggia? Se ci si ferma a pensare non ci sarebbe nulla da festeggiare. Con la fine dell’addestramento questi ragazzi per anni saranno destinati nelle zone più a rischio del Paese e a loro verrà richiesto una capacità operativa particolare. Non era un gioco durante l’addestramento di guerra (purtroppo un ragazzo del battaglione di mio figlio è stato mortalmente colpito) e non lo sarà tanto più per tutto il periodo della ferma e per il periodo dei richiami.
  Eppure noi festeggiamo. Perché un uomo individualista, un egoista che pensa solo al suo destino è destinato a scomparire, mentre noi aspiriamo all’eternità. Solo grazie a questi ragazzi Israele rimarrà per l’eternità.

(Riflessi Meorah, 17 luglio 2023)

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Nessuno ha aperto la breccia, l’errore della controffensiva ucraina (e della Nato)

Kiev non ha preparato reparti e mezzi di genieri d'assalto. L'opposto di quello che avvenne nel D-Day settantanove anni fa.

di Gianluca Di Feo

Prima del D-Day, gli Alleati spesero mesi per inventare strumenti in grado di scardinare le fortificazioni tedesche. Crearono i “Crocodile” e gli “Avre“ : tank britannici modello Churchill con lanciafiamme per espugnare i bunker e super-mortai per sbriciolare gli ostacoli in cemento. E i “Crab”: carri americani Sherman modificati per aprire un passaggio nei campi minati, grazie a flagelli meccanici che letteralmente frustavano il terreno con catene d’acciaio. Nelle spiagge dello sbarco questi veicoli corazzati sembravano proprio enormi granchi, impegnati a stritolare i capisaldi del Terzo Reich. Il generale Percy Hobart aveva allestito un’intera divisione con centinaia di queste macchine, così insolite da venire chiamate “le follie di Hobart”: erano gli attrezzi che servivano a scassinare il Vallo Atlantico realizzato dal feldmaresciallo Rommel per tenere l’Europa sotto il dominio nazista. E nonostante questo dispendio di tecnologie, ci vollero 84 giorni per sconfiggere le armate germaniche in Normandia.
  Esattamente 79 anni dopo, lo scorso 6 giugno, le brigate ucraine hanno cominciato la grande controffensiva senza premurarsi di avere qualcosa di simile. Hanno dimenticato la lezione di storia militare più antica: per espugnare una fortezza bisogna aprire una breccia, compito affidato ai genieri d’assalto o - nella tradizione italiana - al genio guastatori. Ricordate la terribile scena iniziale di “Salvate il soldato Ryan”? In mezzo alle raffiche e alla carneficina, una squadra di questi specialisti creava un passaggio nel muro di filo spinato ed eliminava il nido di mitragliatrici: il varco che permetteva ai fanti americani di uscire dal mattatoio di Omaha Beach. Invece i generali di Kiev hanno scatenato l’attacco della linea difensiva più agguerrita dell’era moderna privi di reparti e di mezzi per superare le barriere russe. I giganteschi Leopard 2 sono stati immobilizzati dalle mine, i cingolati Bradley donati dagli Usa hanno terminato la corsa davanti al tiro incrociato delle postazioni nemiche e non c’era nessuno che si occupasse di creare un varco. Non c’erano neppure i tank muniti di gru per rimorchiare i blindati danneggiati: decine di prodigi della tecnologia occidentale restano da settimane abbandonati nei prati, sotto il fuoco dei cannoni di Mosca.
  I comandanti ucraini infatti hanno completamente ignorato l’importanza dei genieri d’assalto, che nel cuore dei combattimenti gettano ponti sui torrenti, aprono varchi nei campi minati, fanno saltare in aria i fortini, portano via i mezzi colpiti prima che l’artiglieria li distrugga. Kiev non ha schierato nessuno di questi sistemi, spingendo le colonne corazzate verso le trappole piazzate dagli invasori lungo tutta la linea fortificata che blocca la marcia verso la Crimea.
  I risultati si vedono: la controffensiva non avanza da 48 giorni. Per avere un termine di paragone, la prima battaglia di El Alamein è durata 19 giorni; la seconda 26; quella delle Ardenne si è conclusa in 42 e l’enorme scontro di Kursk tra tedeschi e sovietici si è chiusa dopo 52 giorni: quasi lo stesso tempo perso dagli ucraini senza intaccare le muraglie issate dal Cremlino.
  Forse l’alto comando ucraino non aveva alternative: l’addestramento di un geniere d’assalto richiede molto più dei tre mesi di corso che hanno formato le nuove brigate di Kiev. Sono soldati molto speciali che devono avere competenze da ingegneri in esplosivi, meccanica, geologia unite a un senso tattico tale da permettergli di individuare le soluzioni nel caos delle sparatorie. “Aprire una breccia è la più difficile delle operazioni combinate - ha scritto il generale australiano Mike Ryan commentando la situazione della controffensiva -. Non soltanto tutte le unità sul campo devono muoversi insieme in una serie di azioni strettamente coordinate, ma devono anche ingannare il nemico e impedirgli di capire dove e quando colpiranno. E fare tutto ciò sotto il fuoco”.
  In più questi reparti hanno bisogno di veicoli “pioniere” speciali: tank con gru che sollevano 30 tonnellate, altri con vomeri e rulli d’acciaio che spazzano via le mine o che lanciano razzi particolari - chiamati le vipere - per aprire un passaggio nei campi cosparsi di ordigni.
  La colpa è anche della Nato, che non si è preoccupata di fornirli. Ma gli eserciti occidentali sono molto gelosi di queste dotazioni. L’Italia, ad esempio, ha mandato in pensione da vent’anni tutti i carri armati Leopard 1, tranne le versioni che trainano, sminano, gettano ponti: per tutti queste è stato appena finanziato un ulteriore programma di modernizzazione. E solo dopo il vertice di Vilnius, Germania e Svezia hanno donato una manciata di “tank pioniere” all’Ucraina, immediatamente trasferiti in prima linea. Ma la lezione che arriva dal campo di battaglia è drammatica e tutti i comandi atlantici stanno rivedendo le tattiche. Nei due decenni di missioni di pace, ai genieri guastatori era stato affidato il compito di eliminare gli Ied, gli ordigni artigianali dei miliziani jihadisti: ora si recuperano dai magazzini i veicoli parcheggiati alla fine della Guerra Fredda, aggiornandone l’uso con le informazioni raccolte dai droni.
  Quello che è stato provato nelle esercitazioni condotte in Sardegna a maggio dalla task force d’intervento rapido della Nato e dal Comando di Vertice Interforze italiano: l’attività dei guastatori è tornata al centro della manovra d’assalto. Chissà che nelle prossime settimane questo non avvenga pure nella pianura tra il Dnipro e il Mar d’Azov.
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Alcuni commenti all’articolo riportati sullo stesso giornale:

Nella impossibilità di continuare a sostenere la disastrosa idea del "armare l'Ucraina significa sconfiggere la Russia" e dopo 1 anno e mezzo di tributi inimmaginabili in termine di vite umane (ed economiche per gli Italiani), questo giornale deve iniziare prudentemente a rassegnarsi al fatto che seguitare a fare la guerra alla Russia perché Biden ha bisogno di essere rieletto non è una mossa felice. Non mancano naturalmente i commentatori che, registrando questo "cambio di rotta", lo attribuiscono ad una improvvisa genuflessione alla propaganda putiniana. Imbarazzante.

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Gli alleati sbarcarono il 6 giugno ed aprirono le prime brecce in agosto con enormi perdite e con enorme dispendio di mezzi. Nulla di paragonabile alla situazione odierna.
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Ma infatti Nato e fascisti Ucraini sono da paragonare con la Wehrmacht (di cui simboli le divise Ucraine sono ampiamente decorate) che nelle steppe orientali, contro l'Armata Rossa, subirono la sconfitta che cambio il corso della guerra ....
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"La guerra e' una cosa troppo seria per lasciarla ai generali" diceva Clemenceau! Strategie sballate, aiuti militari e tecnologie inadatti a superare ostacoli ignorati o sottovalutati da comandanti incapaci! Ed intanto, giovani soldati muoiono o rimangono menomati, in attesa che bombe a grappolo inesplose continuino poi l'opera coi civili.
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Cosa si aspetta a "convincere" Zelinsky che la sua vittoria fino alla liberazione della Crimea e' pura utopia e che e' ora si inizino trattative sulla base di qualche rinuncia fatta in nome della CONVENIENZA che regola le cose del mondo? Onore, giustizia, Patria, concetti astratti di cui cinicamente si serve chi vede nella prosecuzione del conflitto una, fonte di vantaggi, materiali o politici che siano. Immagino ora l'ira dei guerrieri da salotto, degli strateghi dello "armiamoci e partite",, dei fautori della guarra ad oltranza, ma con la pelle altrui.

(la Repubblica, 23 luglio 2023)

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Non solo di virus si può morire

Riflessione sui lunghi mesi in cui la pandemia ha imposto il distacco sociale

di Giuse Alemanno

Non so voi, gentili lettori, ma io saltuariamente ripenso a quello che ci è capitato. Non riesco a dimenticare i lunghi mesi in cui la pandemia ha imposto il distacco sociale. È stato un brutto periodo, con drammatiche conseguenze. Non ultima, dannosa quasi quanto il virus, la progressiva perdita di fiducia nell’informazione. Soprattutto quando si è caratterizzata nella contrapposizione infuocata tra chi era favorevole e chi era contrario alle vaccinazioni.
  La posizione maggioritaria era quella dei ‘favorevoli’, ma i contrari han battagliato alla selvaggia in tutti i modi possibili. Ragione, torto … vallo a capire! Anche perché, a distanza di tempo, iniziano a filtrare le prime ammissioni relative all’incerta sicurezza di alcuni vaccini, sdoganando l’ira di coloro che - forse con troppo semplicismo - sono stati etichettati con sufficienza ‘complottisti’ o ‘no vax’. Eppure non si è trattato mai di uno sparuto gruppo di fanatici. Per niente!
  Tali prese di posizione tenaci non riguardano, inoltre, solo i rimedi anticovid. Negli Stati Uniti, per esempio, ‘The sound of freedom’, l’ultimo film di Mel Gibson – una delle star di Hollywood più conosciute al mondo - sta spaccando i botteghini con una storia che pare scoperchi i segreti indicibili di lobbies esecrande: tratta di bambini, satanismo, traffico d’organi, sfruttamento sessuale e tutto il peggio che si possa immaginare. Figurarsi che ‘The sound of freedom’ sta superando gli incassi dell’ultimo ‘Mission: impossible’.
  Ma anche nel caso del film di Gibson si sprecano le polemiche: denuncia epocale o mistificazione cinematografica? Esigenza di giustizia o becera operazione di marketing? Ci fosse una informazione efficace e capillare, si potrebbe giungere a una risposta. Invece nisba. Così continueremo a convivere con teorie contrapposte, perdendoci la testa. Come con i vaccini. Come la già scalpitante campagna elettorale per le future elezioni regionali pugliesi. Uguale.
  Non va bene. Da questa umile colonna domenicale giunge, così, una richiesta: se, maledettamente, dovessimo cascare in un’altra pandemia o in un’altra campagna elettorale di qualsiasi natura, fosse pure quella che osanna il vicesottopostoaggiunto alla pigiatura del bottone dell’ascensore in uso al maggiordomo del segretario del prossimo presidente della regione Puglia, desidero che l’informazione sia immune da retro pensieri, illazioni e sospetti. Perché di virus e di lobby si può morire, di comunicazione inquinata … pure!

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 luglio 2023)

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Il salmista ignoto

Un magistrale virtuosista della parola di Dio.

di Marcello Cicchese

Il salmo 119 è il più lungo e il più strano di tutti i salmi. È unico. Chi per la prima volta avesse la pazienza di leggerlo di continuo tutto, dall'inizio alla fine, potrebbe forse arrivare alla conclusione che si tratta di un abile virtuosismo letterario. L'autore - così sembra - prende sette termini di significato affine (parola, legge, comandamenti, precetti, statuti, giudizi, testimonianze), le collega tra loro in un insieme di frasi abilmente intrecciate e di significato simile, ottenendo alla fine una composizione di un certo interesse letterario, ma apparentemente povera di contenuto.
  La formalità dell'opera potrebbe essere sottolineata da come si presenta il testo: ventidue strofe corrispondenti alle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico, in cui ogni versetto comincia con la lettera della strofa in cui si trova. Un'indubbia abilità letteraria.
  Quanto al contenuto, l'incredulo potrebbe concludere che si dicono sempre le stesse cose, e che il testo non ha né capo né coda, e che continuando con quello stile si potrebbe andare avanti all'infinito.
  A quest'ultima osservazione si potrebbe rispondere subito facendo osservare che l'opera non può essere allungata per il semplice fatto che non ci sono altre lettere ebraiche da usare per aggiungere altre strofe. Ventidue sono le lettere ebraiche e ventidue devono rimanere le strofe. Non manca alcuna lettera all'abbecedario di Dio.
  L'apparente virtuosismo del salmo potrebbe farne venire in mente un altro a cui si potrebbe accostare, non letterario ma musicale: L'Arte della fuga di Johann Sebastian Bach. Qualcuno che avesse la pazienza di ascoltare per intero, di continuo, per quasi un'ora e mezza, questo capolavoro di Bach al pianoforte, potrebbe forse concludere che secondo lui è sempre la stessa musica, più volte ripetuta e con poche variazioni. In realtà le cose non stanno così: le variazioni che si susseguono sono come fini ricami artisticamente pensati e magistralmente disposti in un ordito musicale fortemente strutturato. In quella partitura, scritta negli ultimi anni della sua vita, Bach ha messo in rilievo la ricchezza della struttura musicale che sta alla base del contrappunto, e anche, secondo studiosi del grande musicista, ha voluto esprimere quello che sta alla base del suo personale modo di intendere e vivere la musica: in altre parole Bach ha espresso se stesso come musico. Qualcosa del genere si potrebbe dire del virtuosista del salmo 119.
  Quanto alla reazione che questo salmo può provocare in un credente, si può dire che può mettere in imbarazzo sia ebrei sia cristiani.
  Il salmo è ebreo che più ebreo non si può. E' formalmente intraducibile, perché come si potrebbe rendere in altra lingua il "virtuosismo letterario" dell'acrostico? Considerato il valore che in ambito ebraico si attribuisce al testo scritto, e in particolare ad ogni singola lettera, è inevitabile che ogni traduzione in altra lingua sia destinata a far perdere per strada pezzi di significato che il testo potrebbe contenere. Quanto al tema, non potrebbe essere più ebraico: la Torà, presentata in una molteplicità di formulazioni variamente intrecciate.
  D'altra parte, questo testo così tanto ebreo è privo di essenziali riferimenti alla storia del popolo ebraico: non vi si nomina mai Israele né alcun personaggio della sua storia; non si parla di tempio, né di tabernacolo sacerdoti sacrifici. Si parla ripetutamente di precetti, ma non si dice mai in quale modo concreto si potrebbe metterli in pratica. Non dico tutti, ma almeno uno, almeno il sacro Shabbat, che tanta discussione ha provocato e provoca ancora tra gli ebrei. E invece niente: il Sabato non è neppure nominato.
  L'imbarazzo dei cristiani invece è diverso. Abituati a non tenere in gran conto "la legge fatta di comandamenti in forma di precetti" (Efesini 2:15), che l'apostolo Paolo presenta come un "muro di separazione" che Gesù ha abolito nel suo corpo (Efesini 2:14), i cristiani possono rimanere perplessi davanti ad un'esaltazione così appassionata della legge ebraica. Come considerare questo salmo? Come inserirlo nella presentazione del piano di salvezza di Dio? Se i riferimenti alla legge presenti nel testo sono da intendere come un generico invito a tenere in gran conto la parola di Dio nel suo significato più ampio, dove si troverà un fedele cristiano che in tutta onestà potrebbe ripetere in preghiera le ardite espressioni con cui il salmista si rivolge a Dio:

    io ho osservato le tue testimonianze (22),
    io osserverò sempre la tua legge (44),
    io non devìo dalla tua legge (51),
    io non ho dimenticato la tua legge (61),
    io osservo i tuoi precetti con tutto il cuore (69),
    io non ho abbandonato i tuoi precetti (87),
    ho giurato e lo manterrò di osservare i tuoi giusti giudizi (106),
    io non mi sono sviato dai tuoi precetti (110),
    io osserverò i comandamenti del mio Dio (115),
    io ho fatto ciò che è retto e giusto (121),
    io non dimentico i tuoi precetti (141),
    osserverò i tuoi statuti (145),
    osserverò le tue testimonianze (146),
    non ho dimenticato la tua legge (153),
    non devìo dalle tue testimonianze (157),
    ho messo in pratica i tuoi comandamenti (166),
    ho osservato i tuoi precetti e le tue testimonianze (167),
    ho scelto i tuoi precetti (173),
    non dimentico i tuoi comandamenti (176).

Ma chi è costui? vien voglia di dire. Ed è proprio questa la domanda che potrebbe mettere in imbarazzo sia ebrei sia cristiani.
  Comincio allora col raccontare il mio imbarazzo di cristiano.
  Fin da giovane ho capito che la Bibbia o si capisce con tutto se stesso o non si capisce. Nel mio tragitto di fede abbastanza presto mi sono sentito attratto dal salmo 119, e forse proprio per riuscire a spiegarmi il motivo di questa attrazione ho cominciato a studiarlo più a fondo.
  In seguito ho esposto i risultati del mio studio in due "campi" evangelici estivi a cui sono stato invitato come oratore. Per chi fosse interessato, ne metto qui a disposizione gli appunti.
  Come risulta anche da questi appunti, la chiave di lettura del salmo, considerato come parte della letteratura sapienziale, è esortativa: il credente è invitato a prendere esempio dal salmista, a osservare la realtà con i suoi occhi e a rapportarsi a Dio con le sue parole.
  A conferma del fatto che la Bibbia o si capisce con tutto se stesso o non si capisce, è a partire da fatti di vita personale che ho cominciato a vedere il salmo sotto una nuova luce.
  Nello sciagurato periodo degli arresti domiciliari improvvidamente imposti ai cittadini dalle nostre autorità durante il covid, nel nostro quotidiano culto familiare avevamo deciso di leggere le ventidue strofe del salmo 119, una al giorno. E così abbiamo fatto. Finito il covid, per qualche imprecisato motivo dopo qualche tempo abbiamo ripreso la lettura giornaliera di questo salmo, strofa per strofa. Ai miei familiari avevo fatto una breve introduzione di questo tipo: questo è un salmo che non ha particolari riferimenti storici o cultuali a Israele, né si rivolge a Dio con espressioni per noi irripetibili come nei salmi imprecatori, quindi le sue parole possono aiutarci a formulare le nostre preghiere e lodi a Dio nel timoroso rispetto della sua parola.
  Ma è proprio il sincero desiderio di usare in preghiera le parole di questo salmo che alla fine mi ha costretto a chiedermi: ma chi è che può pregare il Signore in questo modo?
  L'interesse per il salmo allora ha cambiato forma: dal devozionale è passato allo storico. L'attenzione è andata oltre l'aspetto devoto delle parole usate dal salmista per concentrarsi sulla persona di chi le pronuncia. Ed è arrivata la domanda: chi è l'autore?
  Le congetture in letteratura non mancano. Nelle 340 pagine dedicate al salmo 119 nel suo commentario "The Treasury of David", Charles H. Spurgeon non ha dubbi: l'autore è senz'altro Davide. E sottolinea la sua convinzione con una frase ad effetto: "Non possiamo lasciare questo salmo in mano al nemico: è bottino di Davide". Altri invece ipotizzano che l'autore sia Ezechiele, o Esdra, o un anonimo ebreo postesilico. Lo spazio temporale delle congetture quindi è molto ampio, e anche per questo forse è meglio rinunciare a fare ipotesi e tenere presente che nella Bibbia anche i silenzi parlano.
  Non si tratta dunque di soddisfare una curiosità, ma di riflettere sulla posizione che questa persona occupa nel suo rapporto con Dio e col suo popolo. Per semplicità narrativa, nel seguito a questo autore ignoto daremo un nome fittizio: Ariel.
  Diremo allora che Ariel è senz'altro un pio israelita, ma certamente non è uno qualsiasi. I suoi pensieri non sono diretti soltanto al Dio che è nei cieli, ma anche agli uomini che si muovono intorno a lui sulla terra. Ariel medita sugli statuti di Dio, ma è spinto a farlo in modo particolare quando si trova in difficoltà in mezzo agli uomini. Ariel ha dei nemici, e non sono nemici qualsiasi:

    Anche quando i principi si siedono e parlano contro di me,
    il tuo servo medita i tuoi statuti (23).

Ariel dunque non è uno sconosciuto ai potenti della terra: i principi sanno chi è, e su di lui non fanno soltanto pettegolezzi, ma siedono e parlano contro di lui; il che significa che lo prendono in considerazione e nella sede adatta, là dove siedono le persone autorevoli, parlano (cioè prendono decisioni) contro di lui.
  E che fa Ariel come reazione? lui medita. E che cosa medita? gli statuti di Dio. Indubbiamente strana, come reazione. Per meditare gli statuti di Dio - potrebbe dire un credente ebreo o cristiano - c'è sempre tempo, ma in una situazione dove si fanno strada menzogna e ingiustizia bisogna pur prendersi la responsabilità di dire o fare qualcosa. Sarà anche così, ma per Ariel la prima cosa da fare non è reagire a quello che gli uomini fanno, ma riflettere su quello che Dio ha detto. Anche in altre simili circostanze Ariel persevera nello stesso atteggiamento: ad ogni frecciata che gli arriva in orizzontale dagli uomini, lui risponde alzando gli occhi in verticale verso Dio.

    I principi mi hanno perseguitato senza ragione,
    ma il mio cuore ha timore delle tue parole
    (161).

I nemici parlano contro di lui e mentono spudoratamente:

    I superbi hanno ordito menzogne contro di me,
    ma io osservo i tuoi precetti con tutto il cuore
    (69).
    Siano confusi i superbi, perché, mentendo, pervertono la mia causa;
    ma io medito i tuoi precetti
    (78).

I nemici deridono. Probabilmente gli dicono: ma non ti accorgi di quanto sei ridicolo? Quand'è che abbandonerai la tua maniaca puntigliosa osservanza della legge? Ma Ariel non demorde:

    I superbi mi coprono di scherno,
    ma io non devìo dalla tua legge
    (51).

I nemici allora cercano di colpirlo per vie traverse:

    I superbi mi hanno scavato delle fosse;
    essi, che non agiscono secondo la tua legge
    (85).
    Gli empi mi hanno teso dei lacci,
    ma io non mi sono sviato dai tuoi precetti
    (110).
    I lacci degli empi mi hanno avvinghiato,
    ma io non ho dimenticato la tua legge
    (61)

Gli empi sono disturbati dal fatto che Ariel non si comporta come loro. Quando non si scontrano apertamente con lui, gli tendono trappole, tentano di "avvinghiarlo", cioè di spingerlo in una situazione in cui di lui si potrebbe dire che è un trasgressore della legge come tutti, come loro. Ariel rivolge gli occhi al cielo e rassicura il Signore:"ma io non ho dimenticato la tua legge", io non mi sono sviato dai tuoi precetti".
  Gli empi però non scherzano, anche loro sono tenaci: aspettano l'occasione buona per farla finita con quel molesto implicito accusatore dei loro costumi:

    Gli empi mi hanno aspettato per farmi perire,
    ma io considero le tue testimonianze
    (95).
    Mi hanno fatto quasi sparire dalla terra;
    ma io non ho abbandonato i tuoi precetti
    . (87).

Non è un bel vivere, quello di Ariel: sapere che qualcuno s'interessa a te, ti conosce, ti studia, cercando il momento adatto per colpirti a morte non è piacevole. Ma lui reagisce considerando le testimonianze di Dio, che vanno intese come formule di garanzia della Sua giustizia, potenza e fedeltà. Da queste testimonianze Ariel si sente protetto, perché da esse si ricava la certezza che le questioni di giustizia sono stabilmente assicurate fin dall'origine.
  Ma chi l'ha detto, che sono assicurate? l'ha detto Dio. Ma è proprio vero? ci sono testimoni, Dio stesso è testimone: è testimone di Se stesso.
  Ecco perché Ariel dice: "ma io considero le tue testimonianze". E non solo le considera, ma le ama:

    Tu togli via come schiuma tutti gli empi dalla terra;
    perciò amo le tue testimonianze (119).

Ariel ama le testimonianze che rivelano quello che Dio farà agli empi che sono sulla terra. Gli empi dunque non sono da temere, e tanto meno da invidiare. Infatti:

    La salvezza è lontana dagli empi,
    perché non cercano i tuoi statuti
    (155).

E quando i nemici si fanno avanti con malizia cercando di seminare dubbi in Ariel, lui sa come superarli in fatto di intelligence, e dice al Signore:

    I tuoi comandamenti mi rendono più saggio dei miei nemici;
    perché sono sempre con me.

    Ho maggiore comprensione di tutti i miei maestri,
    perché le tue testimonianze sono la mia meditazione
    (98-99).

Le testimonianze a cui Ariel si riferisce possono essere considerate "comandamenti con promessa". Se all'inizio del salmo dice: "Beati quelli che osservano le sue testimonianze" (2), è perché sa che nell'osservanza della volontà di Dio è contenuta una promessa di beatitudine.
  Ariel dunque può essere deriso, oppresso, ma non è depresso. Al contrario: è gioioso. Non perde tempo a soppesare le minacce e le derisioni dei nemici, ma da queste è invogliato a considerare con sempre maggiore impegno le testimonianze del suo Signore. E allora gioisce.

    Gioisco seguendo le tue testimonianze,
    come se possedessi tutte le ricchezze
    (14).
    Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre,
    perché sono la gioia del mio cuore
    (111).
    Sì, le tue testimonianze sono il mio diletto;
    esse sono i miei consiglieri
    (24).

Ariel dunque ha un rapporto con Dio di devota e totale sottomissione alla sua legge, e trova la forza di resistere alle angherie dei suoi nemici applicandosi sempre più convintamente e con gioia alla considerazione attenta e appassionata della parola di Dio in tutte le sue espressioni.
  Non si pensi però che Ariel è uno di quelli che si rifugiano nell'intimo del privato per sfuggire alle brutture del pubblico. Vedremo in seguito che Ariel è capace di fare considerazioni non soltanto sulla legge di Dio, ma anche sugli uomini che si muovono intorno a lui. E anche con parole forti.

(1. continua)
(Notizie su Israele, 23 luglio 2023)


 

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Israele, migliaia in marcia verso la Knesset contro la riforma della giustizia

29esima settimana di proteste e ultima tappa della marcia, disperato tentativo di fermare la modifica voluta dal governo Netanyahu: oggi il tratto finale del corteo che attraverserà Gerusalemme.

Decine di migliaia di persone stanno marciando verso la Knesset, il Parlamento israeliano, nel tentativo di fermare la riforma della giustizia voluta dal governo del premier Benjamin Netanyahu per limitare il potere dei magistrati. E’ l’ultima tappa della marcia e l’ultimo disperato tentativo di fermare la riforma, con il tratto finale del corteo che attraverserà Gerusalemme. Numerosi i rallentamenti del traffico, come scrive il Times of Israel. ”Non c’è dubbio che questo è un momento storico, la quantità di partecipanti qui è incredibile. Ogni persona è venuta da un luogo diverso, preoccupata per il destino del Paese”, ha detto al sito di Ynet un manifestante di Tel Aviv, Guy Shahar.
  Una volta arrivati davanti alla Knesset, gli organizzatori hanno in programma di allestire tende a Gan Sacher e rimanere lì per un periodo di tempo indefinito. Tutto questo mentre la coalizione di governo si prepara a trasformare in legge il divieto ai tribunali di annullare le decisioni governative e ministeriali in base alla loro “ragionevolezza”. Oltre alla grande protesta di stasera davanti alla Knesset, coloro che si oppongono alla legge dovrebbero riunirsi davanti alla residenza del primo ministro Netanyahu a Gerusalemme, così come a Kaplan Street a Tel Aviv. Questa è la 29esima settimana di proteste a livello nazionale contro la riforma giudiziaria sotto lo slogan “Non lasceremo che (Netanyahu, ndr) distrugga la nostra casa”.

(Radio Colonna, 22 luglio 2023)

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Una carriera da favola col pallone

È un altro grande passo nell'ancor breve carriera di Manor Solomon. Con il passaggio al Tottenham Hotspur, per il calciatore israeliano si aprono molte nuove porte. Fino ad ora il suo percorso è stato sempre in crescita.

di Valerie Wolf

Manor Solomon
Si guarda intorno allo stadio del Tottenham Hotspur con incredulità e quasi stupore. Sopra di lui c'è un enorme schermo con la sua immagine e la scritta in inglese "Welcome Manor Solomon". Una troupe che lo accompagna riprende i primi momenti del suo arrivo. Quando gli viene chiesta la sua prima impressione, le uniche parole che gli vengono sulle labbra sono "incredibile" e "indescrivibile". Il giovane israeliano è visibilmente colpito.
  Solo pochi giorni fa, il calciatore 23enne ha firmato un contratto di cinque anni con il Tottenham Hotspur, club della Premier League inglese. Dopo che le voci si sono moltiplicate, il club ha finalmente annunciato la conclusione del contratto martedì della scorsa settimana. Solomon si unisce al club in trasferimento gratuito dal club ucraino Shakhtar Donetsk.
  La scorsa stagione ha giocato in prestito per il Fulham FC, che ha concluso la stagione al 10° posto in classifica. Con il trasferimento agli "Spurs", come viene spesso chiamato il club ricco di tradizione, l'ala dribblatrice compie un altro grande passo nella sua ancora giovane carriera.

• Da Israele alla Champions League
  Solomon è nato e cresciuto nella città israeliana di Kfar Saba, a circa 15 chilometri a nord-est di Tel Aviv. All'età di cinque anni sognava già di diventare un calciatore professionista. Figlio di un insegnante e di una maestra, viene sostenuto attivamente dai genitori.
  All'età di 17 anni ha fatto il suo debutto da professionista per il vicino club di prima divisione Maccabi Petach Tikva. In un totale di 73 presenze, segna otto gol e sei assist. Durante la pausa invernale della stagione 2018/2019, Solomon si trasferisce allo Shakhtar Donetsk, che partecipa alla Champions League ucraina. Lasciare la famiglia e i genitori è stato molto difficile per lui, come racconta nella sua prima intervista a "Spursplay", la piattaforma cinematografica di proprietà del Tottenham.
  Ma il passo verso l'Europa paga. Nello stesso anno vince il campionato con lo Shakhtar e la Coppa d'Ucraina, paragonabile alla DFB Cup tedesca. Nella finale contro l'Inhulez Petrowe, segna l'ultimo gol della serata e il suo primo per il Donetsk pochi minuti dopo essere entrato come sostituto. E ne sono seguiti altri. Ha segnato un gol molto speciale nella partita di Champions League contro l'Atalanta di Bergamo. È diventato così il più giovane israeliano a segnare in questa competizione.
  Anche i responsabili della nazionale israeliana si sono convinti presto del talento del giovane giocatore. Dopo essere passato per tutti i settori giovanili, Solomon ha debuttato nella squadra maschile nel 2018 sotto la guida dell'allora allenatore Andreas Herzog. Nella partita di Nations League contro la Scozia, un torneo organizzato dalla federazione calcistica europea UEFA, ha segnato per la prima volta per il suo Paese nel 2020. Sui social media ha scritto: "È stato molto divertente segnare il mio primo gol con la maglia della nazionale”.

• Addio dall'Ucraina a causa della guerra
  Dopo un totale di 106 partite competitive, 22 gol e nove assist, Solomon si trasferirà in prestito al Fulham FC nella Premier League inglese nell'estate del 2022. Questo trasferimento è reso possibile da un regolamento speciale dell'associazione calcistica mondiale FIFA, che consente a giocatori e allenatori attivi in Ucraina e Russia di lasciare in anticipo i propri club.
  Anche in questo caso, la guerra in Ucraina sta lasciando il segno. Dopo la sospensione del gioco all'inizio della guerra, il gioco è ora ripreso, accompagnato da nuove regole. La vicinanza a un rifugio antiaereo fa ora parte del regolamento.
  Per Solomon, il cambiamento significa una grande opportunità nonostante le circostanze difficili: con il Fulham FC, ha la possibilità di mettersi alla prova in quello che è attualmente il miglior campionato del mondo. Nonostante sia temporaneamente rallentato da un infortunio al ginocchio, riesce a segnare cinque gol in 24 presenze. La sua abilità nel dribbling - la capacità di tenere il pallone vicino al piede - e la sua velocità sono particolarmente sorprendenti. Non sorprende quindi che il Fulham FC sia intenzionato a tenerlo e che anche gli Spurs abbiano manifestato interesse.

• Il secondo israeliano del Tottenham
  Dopo Ronny Rosenthal, Solomon è il secondo israeliano a giocare nel Tottenham. L'ormai 59enne ha collezionato 94 presenze e otto gol nei suoi tre anni e mezzo a Londra. Con il suo precedente club, il Liverpool FC, si è addirittura laureato campione d'Inghilterra nel 1990.  Il giovane Solomon dovrebbe avere in serbo una carriera altrettanto ricca di successi, se non addirittura di più.
  Per la sua prima stagione con i finalisti della Champions League 2019, vuole mostrarsi nel miglior modo possibile e sostenere la squadra con tutte le sue forze. Con il nuovo allenatore, Ange Postecoglou, l'obiettivo è quello di tornare a giocare un calcio d'attacco attraente e appassionante. Uno stile che dovrebbe adattarsi molto bene a Solomon. Ma le richieste e le aspettative sono alte, e lui ne è consapevole.
  Per il giovane israeliano, che compirà 24 anni lunedì prossimo, questa nuova sfida è un grande sogno che si realizza. Solo qualche anno fa, non l'avrebbe ritenuto possibile. Resta ora da vedere quanto lontano lo porterà il suo percorso.

(israelnetz, 21 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Archeologia, la grotta di Teomim a Gerusalemme probabile luogo di riti magici 1.700 anni fa

di Ilaria Ester Ramazzotti

Le lampade ad olio trovate nella grotta di Teomim
Gli esploratori britannici avevano mappato per la prima volta la grotta di Teomim, una grande grotta carsica sulle colline di Gerusalemme, nel 1873. Ma è stato solo nell’ultimo decennio, quando gli archeologi hanno iniziato a esplorare altre camere interne del sito, che è stata scoperta una serie di oggetti curiosi, come pezzi di tre teschi umani, 120 lampade a olio e ceramiche antiche (oltre ad armi risalenti all’età del Bronzo), tutti accuratamente immagazzinati e nascosti in profondità nelle fessure della roccia. Gli esperti ritengono oggi che il misterioso luogo possa essere stato dedicato alla pratica della negromanzia durante il periodo tardo-romano, intorno al 300 d.C. Secondo un articolo pubblicato questa settimana sulla Harvard Theological Review, la grotta di Teomim vicino a Beit Shemesh potrebbe in particolare essere stata considerata un portale per gli inferi e utilizzata per la magia rituale circa 1.700 anni fa.
  “L’intera area ha subito una trasformazione radicale dopo la fine della rivolta di Bar Kokhba – ha spiegato al Times of Israel Boaz Zissu, archeologo dell’Università Bar Ilan che studia la grotta dal 2009 insieme a Eitan Klein dell’Autorità israeliana per le antichità -.  In precedenza, questa era un’area ebraica, poi vi sono entrati […] coloni pagani romani”.

• Teomim, una grotta dalle proprietà curative e luogo di antichi riti magici
  Il 17 ottobre 1873, nell’ambito della loro ricerca Survey of Western Palestine, gli esploratori britannici si sono addentrati nella grotta carsica che gli abitanti del luogo chiamavano Mŭghâret Umm et Tûeimîn o “la grotta della madre dei gemelli”, rilevando che gli abitanti del luogo attribuivano proprietà curative all’acqua sorgiva che vi sgorgava. Il nome “madre dei gemelli” era infatti scaturito da una leggenda locale che narrava di una donna che aveva dato alla luce due gemelli dopo aver bevuto quell’acqua per curare la sua sterilità.
  Quando Boaz Zissu e gli altri esploratori israeliani, partire dal 2009, sono entrati in alcune camere interne della grotta, vi avevano in primis rinvenuto delle monete d’argento e d’oro lasciate all’epoca della rivolta di Bar Kokhba. Poi, si susseguirono altre strane scoperte, tra cui lampade a olio incastrate in fessure nella roccia, che gli antichi utilizzatori estraevano con un lungo gancio di metallo. “A un certo punto abbiamo capito la logica degli antichi e dove mettevano le lampade e abbiamo iniziato così a rinvenirne altre – ha aggiunto Boaz Zissu sempre al Times of Israel -. Le persone che hanno nascosto queste lampade a olio hanno là immagazzinato anche altri manufatti molto più antichi, come armi dell’età del bronzo, teste d’ascia e punte di lancia”.
  Gli antichi credenti pagani, secondo le loro antiche usanze, istituivano santuari o oracoli dei morti in grotte che avevano una serie di caratteristiche specifiche, tra cui una fonte d’acqua naturale e un pozzo profondo, perché pensavano che conducesse agli inferi e che i defunti lo potessero utilizzare per risalire in superficie e comunicare. Secondo alcune fonti storiche e archeologiche, esisteva un oracolo dei morti vicino a quasi tutte le città del mondo greco-romano. Anche la grotta di Teomim mostra al suo interno un pozzo naturale di 21 metri e una sorgente. Un tempo, l’acqua che vi sgorgava veniva raccolta in una vasca scavata nella roccia e, secondo la tradizione pagana, possedeva proprietà terapeutiche.
  “Fin dai primi giorni dell’esplorazione era chiaro che la grotta aveva un qualche tipo di significato religioso o magico – ha sottolineato l’archeologo Zissu -. Abbiamo allora pensato che facesse parte di un santuario o che fosse collegata a qualche tipo di rituale legato al mondo sotterraneo e che forse era legata alla storia di Persefone, regina degli Inferi nella mitologia greca e romana, spesso venerata nelle grotte”. Ma uno dei problemi nell’identificazione e della comprensione delle pratiche magiche in archeologia è che spesso la magia veniva praticata in segreto e non veniva documentata. “In alcuni periodi l’usanza fu dichiarata illegale – ha spiegato Eitan Klein dell’Autorità israeliana per le antichità -. In ogni caso, le autorità la consideravano negativamente”. Tuttavia, ha chiosato Boaz Zissu, non avremo mai la certezza: “È solo un’idea, una suggestione”, un’ipotesi. “Non abbiamo la prova definitiva che si tratti di questo”.
  Ci sono anche prove che gli antichi ebrei praticassero la negromanzia, tra cui un teschio che un collezionista di nome Shlomo Moussaieff aveva acquistato sul mercato delle antichità, che riporta un giuramento ebraico scritto in aramaico, probabilmente un incantesimo contro un demone. I rabbini del Talmud di Gerusalemme e babilonese tuttavia, come noto, condannano l’uso di “evocare i morti per mezzo di indovini e di chi consulta un teschio”. (Sanhedrin 65b).

(Bet Magazine Mosaico, 21 luglio 2023)

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Cento modellini dell'arca di Noè verranno esposti in Israele

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Dopo oltre due anni di ricerche in tutto il mondo, il rabbino Nathan Slifkin ha raccolto una collezione di cento modellini dell'arca di Noè, che saranno esposti al Museo Biblico di Storia Naturale di Beit Shemesh, in una mostra chiamata “The Ark of the Ark”.
  "Alcuni degli oggetti sono stati trovati in siti di vendita online come eBay, mentre altri in siti Internet e da persone disposte a vendere dalle loro collezioni private", ha spiegato Slifkin. "Cercavo oggetti speciali, ma ho trovato interessante il fatto che in tutti i paesi, l'enfasi dell’arca di Noè fosse sugli animali insieme a particolari riferimenti culturali. Ad esempio, un artista in Perù ha posto l'accento su un lama, mentre in Israele, sono maggiormente evidenziati gli animali biblici", ha aggiunto.
  Una degli esemplari più particolari trovati da Slifkin è proveniente dalla Cina. “Noah e sua moglie avevano gli occhi a mandorla ed erano circondati da panda, tigri e bufali d'acqua asiatici. - ha raccontato al sito di notizie israeliano - Quella era un'arca unica che era stata scolpita a mano da un'artista la cui famiglia era riluttante a vendere. Solo dopo che abbiamo detto loro che sarebbe stato esposto in un museo in Israele hanno accettato".
  Spilkin ha sottolineato come i costi delle arche differissero da un posto all'altro. I più costosi erano valutati intorno ai mille dollari.

(Shalom, 21 luglio 2023)

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Gli Stati Uniti stanno perdendo Israele

Israele potrebbe riconsiderare il valore che ha l’essere troppo legato a un alleato inaffidabile e spesso volubile.

di Lawrence Solomon

GERUSALEMME - I mantra "le relazioni tra Stati Uniti e Israele sono solide come una roccia" e "gli Stati Uniti coprono le spalle a Israele" - così spesso sbandierati da entrambi i Paesi - potrebbero starsi logorando in Israele.
  Con gli Stati Uniti che corteggiano l'Iran e si ritirano dal loro ruolo dominante in Medio Oriente, la Cina che entra nella regione per riempire il vuoto e la Russia che consolida la sua presenza negli Stati sunniti e sciiti, Israele comprensibilmente gioca sul sicuro. Intrattiene relazioni diplomatiche sia con la Russia che con la Cina, i principali rivali degli Stati Uniti, e mantiene un'alleanza con l'industria della difesa indiana.
  Israele sa che gli americani non l'hanno mai sostenuto veramente. Durante la guerra d'indipendenza israeliana del 1947-1948, gli Stati Uniti imposero un embargo sulle armi per impedire a Israele di difendersi dagli eserciti arabi pesantemente armati che invasero il Paese. Nella Guerra di Suez del 1956, gli Stati Uniti costrinsero Israele a ritirarsi dal Sinai e dalla Striscia di Gaza dopo aver sconfitto l'Egitto.
  Nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, gli Stati Uniti fecero pressione su Israele affinché fermasse la sua avanzata su Damasco. Nella Guerra dello Yom Kippur del 1973, gli Stati Uniti ritardarono le forniture a Israele per paura delle critiche arabe. Il conflitto del 2014 tra Israele e Gaza, in cui gli Stati Uniti hanno temporaneamente interrotto la fornitura di armi, ha dimostrato ancora una volta che Israele non può contare sulle forniture statunitensi in tempo di guerra.
  Gli Stati Uniti si sono opposti alla distruzione da parte di Israele del reattore nucleare iracheno nel 1981 e di quello siriano nel 2007, e ora stanno aiutando l'Iran ad acquisire armi nucleari.
  Nel corso dei decenni, ogni volta che Israele si è difeso dagli attacchi dei suoi vicini, gli Stati Uniti sono intervenuti per costringere Israele a ritirarsi. Questo ha impedito vittorie decisive che avrebbero potuto evitare guerre future e portare ad accordi di pace duraturi.
  L'affermazione che Israele possa sempre contare sull'aiuto militare americano è una finzione che entrambi i Paesi vogliono mantenere. Gli Stati Uniti lo fanno per rassicurare la popolazione ebraica interna. Israele lo fa per far sì che i suoi nemici vedano Israele molto più forte.
  Israele apprezza il sostegno americano ma - contrariamente a quanto si crede - non ne ha bisogno.
  "Israele sa come cavarsela da solo di fronte a qualsiasi sfida alla sicurezza", ha dichiarato di recente il Capo di Stato Maggiore dell'IDF Herzl Halevi alla Radio dell'Esercito. "È positivo che gli Stati Uniti siano al nostro fianco, ma non è assolutamente necessario". Anche l'ex ministro della Difesa israeliano Moshe Arens ha messo in dubbio l'importanza degli aiuti statunitensi.
  Il sostegno americano, che comprende circa 4 miliardi di dollari all'anno in aiuti militari, è un'arma a doppio taglio, in parte perché ha dei vincoli. Israele deve spendere la maggior parte del denaro per le armi statunitensi, che non sempre offrono un buon rapporto qualità-prezzo. Peggio ancora, le sovvenzioni inducono molti americani a credere che Israele debba rendere conto agli Stati Uniti, dando ai critici di Israele l'opportunità di intromettersi negli affari israeliani.
  In realtà, Israele ha meno bisogno degli Stati Uniti e gli Stati Uniti hanno più bisogno di Israele di quanto molti critici vogliano credere. Mentre l'IDF potrebbe cavarsela senza le sovvenzioni statunitensi, le capacità dell'esercito americano in Medio Oriente sarebbero gravemente ostacolate senza le risorse israeliane.
  Il generale George Keegan, ex capo dell'intelligence dell'aeronautica statunitense, una volta ha detto che l'intelligence che Israele fornisce agli Stati Uniti è equivalente a quella fornita da cinque CIA.
  Il generale Alexander Haig e l'ammiraglio Elmo Zumwalt hanno dichiarato: "Israele è la più grande portaerei statunitense che non richiede soldati americani a bordo, non può essere affondata ed è dislocata in una regione estremamente critica - tra Europa, Asia e Africa, e tra Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano e Golfo Persico. Questo eviterà agli Stati Uniti di costruire, dispiegare e mantenere alcune altre vere portaerei e ulteriori divisioni di terra, che costerebbero ai contribuenti americani circa 15 miliardi di dollari all'anno".
  I governi degli Stati Uniti sono stati spesso molto autoritari nelle loro relazioni con Israele, ma l'amministrazione Biden è stata particolarmente ostile, riflettendo la crescente ostilità della sinistra progressista americana nei confronti di Israele. Ha definito il governo israeliano estremista, ha rimproverato Israele su ogni tipo di questione e ha rifiutato di invitare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca.
  Le relazioni tra America e Israele sono tutt'altro che "solide". Se nel 2024 verrà eletto un governo repubblicano, è probabile che le relazioni siano ricucite. Se dovesse essere eletto Biden o un democratico progressista, Israele potrebbe riconsiderare l'utilità di essere troppo legato a un alleato inaffidabile e spesso volubile. In questo caso, gli Stati Uniti perderebbero probabilmente la loro più grande base all'estero.

(israel heute, 21 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Olimpiadi di matematica e di fisica: undici medaglie per gli studenti israeliani

di Jacqueline Sermoneta

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Ottimo risultato per le squadre israeliane che hanno partecipato alla 64esima edizione delle Olimpiadi Internazionali di Matematica (IMO) e alla 53esima edizione delle Olimpiadi Internazionali di Fisica, svolte rispettivamente a Chiba e a Tokyo, in Giappone. Tutti i giovani partecipanti tornano a casa con una medaglia al collo.
  Nella competizione di matematica 618 studenti delle scuole superiori di 112 diverse nazionalità si sono sfidati a colpi di problemi di matematica combinatoria, geometria e algebra. Nel team israeliano si è particolarmente distinto Itamar Nir di Rehovot che ha vinto l’oro, Ofer Bogoslavsky, Avner Spira e Assaf Yacouel hanno conquistato la medaglia d’argento, Yotam Amir e Ori Frankel quella di bronzo.
  Analogo successo nelle Olimpiadi di Fisica per i cinque membri della squadra israeliana che si sono aggiudicati la medaglia d’argento. In questa competizione 387 studenti, provenienti da 82 Paesi, si sono affrontati in gare teoriche e sperimentali.
  "Senza dubbio questo è un ottimo risultato, sembra che il Giappone sia il nostro portafortuna. - ha detto Gilad Cohen, ambasciatore israeliano nel Paese del Sol Levante - Attraverso questi traguardi rafforziamo i legami tra le nostre nazioni. La fonte della nostra forza qui deriva dagli obiettivi raggiunti in matematica, fisica, scienza e tecnologia”.
  In un tweet Cohen ha affermato: "Questi giovani studenti delle scuole superiori sono l’esempio delle menti brillanti che crescono nella nostra nazione. Grazie a loro oggi abbiamo un Paese leader e innovativo".

(Shalom, 21 luglio 2023)

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La Calabria Ebraica irrompe sulla tv francese

Un documentario dedicato integralmente alle mete ebraiche della Calabria [video a lato] sta riscontrando tantissimi consensi sul web. Il titolo è eloquente, ossia “En route vers le Judaisme d’Italie” (Torah-box.com) e dura circa 40 minuti. Rivolto alle comunità ebraiche di lingua francese sparse in tutto il mondo, non solo in Francia ma anche in Canada, Svizzera e Romania, questo documentario sta diventando un vero e proprio fenomeno virale su internet. Lo rende noto il giornalista e massmediologo Klaus Davi, promotore per conto di Calabria Film Commission e della Regione Calabria del progetto “Jewish Calabria” finalizzato a promuovere il turismo ebraico in Italia. Autore dell’inchiesta è il giornalista Isaac Eugenio De Giorgi che fin dall’inizio della trasmissione esorta i suoi oltre 200 mila followers a recarsi in Calabria. “E’ una regione con un rapporto molto forte e consolidato con lo Stato di Israele e gli ebrei. Qui la cultura dell’accoglienza è un diktat e praticamente nessun calabrese può dirsi non-ebreo visto che in passato le comunità erano insediate ovunque”, spiega l’autore.
  Durante i 40 minuti del documentario sfilano spettacolari immagini di Arena, Santa Maria del Cedro, Soriano, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Belvedere Marittimo, Tarsia e Cosenza. Il giornalista, ad esempio, scandaglia il retaggio ebraico a Soriano mostrando gli artigiani che producono i dolci di mandorle seguendo le ricette ebraiche. Indaga i termini di matrice ebraica presenti nei vari idiomi calabresi in special modo ad Arena. E ancora ricorda la capillare presenza delle Giudecche ebraiche a Reggio Calabria, la culla mondiale degli incunaboli ebraici stampati a caratteri mobili. Non potevano mancare le capitali dell’ebraismo calabrese: Nicotera, culla di una Giudecca perfettamente conservata e Santa Maria del Cedro che produce, per l’appunto, il cedro che il giornalista francese definisce come ‘il frutto perfetto’, simbolo dell’incontro tra uomo e Dio. Immagini di raro lirismo che celebrano questo sincretismo perfetto, uno straordinario ‘spot’ rivolto agli oltre 20 milioni di ebrei sparsi per il mondo estremamente attaccati alle loro radici.
  “Una prova che con la nostra campagna abbiamo fatto centro, commenta il giornalista Klaus Davi, che poi annuncia “A settembre presenteremo i risultati del percorso denominato ‘Jewish Calabria’ che abbiamo iniziato nel maggio del 2022 proprio a Santa Maria del Cedro e che dopo quattro tappe si è concluso lo scorso 31 maggio a Bisignano”. E non poteva mancare una dichiarazione della signora Tina Russo D’amico, moglie del giudice catanzarese Pietro D’amico scomparso nel 2013, autore di numerosi e illuminanti saggi sulla cultura ebraica, la quale fa una clamorosa rivelazione: “Molti calabresi celebrano lo Shabbat nella intimità della propria casa. Sono i cosiddetti ‘marrani’ che costituiscono l’ossatura del giudaismo meridionale. Mio marito diceva sempre che sperava che un giorno un ragazzo o una ragazza leggesse i suoi libri perché il giudaismo in Calabria non può e non deve morire”.

(il Dispaccio, 21 luglio 2023)

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Istao, parte la nuova offerta formativa con uno sguardo al sistema sanitario israeliano

Con l’anno accademico 2022-2023 l’ISTAO ha rinnovato la propria offerta formativa ed ha organizzato per la prima volta un Master in Gestione e Programmazione dei Servizi Sanitari realizzato in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche

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ANCONA - Con l’anno accademico 2022-2023 l’ISTAO ha rinnovato la propria offerta formativa ed ha organizzato per la prima volta un Master in Gestione e Programmazione dei Servizi Sanitari realizzato in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche. Il percorso è durato 10 mesi e ha previsto 900 ore d’aula e un programma multidisciplinare molto innovativo elaborato attraverso il coinvolgimento di quasi 100 docenti (accademici, professionisti e manager) tra cui economisti, medici, ingegneri, giuristi, ed esperti della Sanità israeliana.  Il Master, di cui ad ottobre partirà la seconda edizione, ha previsto anche un focus sul Sistema Sanitario Israeliano, oggi all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e organizzativo, si è concluso con uno Study Tour in Israele per comprendere, attraverso visite dirette, le peculiarità del modello e analizzarne i vari aspetti e i punti di forza. Lo Study Tour si è svolto dal 1° al 9 luglio, con la collaborazione dei docenti israeliani intervenuti durante l’anno, e ha previsto la partecipazione degli allievi, del Presidente dell’Istao e dei Coordinatori del Master.

• Perché Israele
  Israele, che ha un sistema sanitario pubblico considerato efficace, è fra i Paesi più innovatori al mondo ed è cuore pulsante dell’innovazione nel digital health; sede di centinaia di startup e aziende che promuovono innovazioni sull’analisi della salute, la telemedicina, le terapie sperimentali. 
  Per questo nel Master in Gestione e Programmazione dei Servizi Sanitari dell’ISTAO si è scelto di studiare un modello così avanzato ed efficiente.
  Israele ha oggi 9 milioni e mezzo di abitanti, 3 milioni in più rispetto al 2000, e continua a crescere ad un tasso di circa il 2% annuo, sia come conseguenza dell’indice di natalità (2,9 figli per donna nel 2020) sia come conseguenza dei flussi migratori. L’età media della popolazione è di 28 anni, contro i 49 dell’Italia. 
  Israele può vantare molti altri record oltre a quello demografico: la crescita esponenziale del PIL nell’ultimo trentennio (fino al raggiungimento di 522 miliardi di dollari nel 2022), il fortissimo incremento dell’export; la potenziata capacità di produrre fonti di energia internamente. A questo si aggiunga che oggi oltre il 40% del consumo di acqua proviene da impianti di desalinizzazione e questo ha permesso non solo di sfruttare al meglio tale risorsa pubblica a beneficio della popolazione, ma anche di sviluppare l’agricoltura e l’orticoltura e di rendere il territorio israeliano ricco di vegetazione di ogni tipo (Israele è l’unico Paese del Medio Oriente dove il deserto lascia il posto alla vegetazione). Lo Study Tour ha fatto base a Tel Aviv che ha una area metropolitana di circa 1,5 milioni di abitanti. Tel Aviv con i suoi dintorni è una citta multiculturale, molto aperta, dinamica, piena di giovani e fonte di attrazione per turisti di ogni parte. La città, sede di tutte le ambasciate, si affaccia su una baia sovrastata da alberghi di ogni categoria. La spiaggia pullula di locali, ristoranti e centri sportivi e anche con le alte temperature dei mesi estivi, ad ogni ora del giorno e della sera si possono vedere frotte di persone sul lungomare. Nonostante le notizie di attentati che riecheggiano frequentemente sulle pagine dei quotidiani internazionali, la città offre un senso di sicurezza e libertà, molto più delle grandi metropoli europee.

• Il Contact Center: il punto di partenza per ogni servizio sanitario
  Prima tappa dello Study è stato Acre, nel nord di Israele nei pressi di Haifa, dove il gruppo ISTAO ha visitato una delle sedi di Tik Shoov, il più grande Contact Center in Israele che gestisce oltre 300 milioni di chiamate ogni anno, di cui circa 50 milioni solo nel settore della sanità. Fondata nel 1996, conta oggi 16.000 addetti.  "Oggi in Israele ogni contatto con il mondo della sanità inizia proprio dal call center che ottimizza i flussi dei pazienti indirizzandoli, secondo necessità, alla rete medica, infermieristica o specialistica- si legge in una nota- si evitano ex-ante lunghe file negli ospedali e si risolvono rapidamente tramite uno dei numerosi canali messi a disposizione degli utenti (telefonata, videochiamata con un infermiere o un medico, chat istantanea tramite app, whatsapp, e-mail) molte delle problematiche dei pazienti. Il 96% dei chiamanti interagisce con il call center con un tempo medio di attesa di 45 secondi e una durata media della chiamata di 210 secondi. Il Call Center lavora 24 ore al giorno e collabora con tutte le strutture sanitarie. La particolarità del funzionamento del sistema sanitario israeliano è la possibilità di condividere, tramite avanzati e sicuri strumenti digitali, la documentazione medica di ogni paziente in modo che istantaneamente medici o professionisti sanitari possano accedere alle informazioni del paziente e formulare in tempi rapidi diagnosi, fornire risposte e indirizzare gli utenti alla struttura o all’esperto più adatto".

(Ancona Today, 21 luglio 2023)

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Parashat Devarim. Lo spirito rimane giovane se, come Mosè, condividiamo la nostra saggezza e diamo l’esempio

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò

Il 27 marzo 2012, per celebrare il giubileo di diamante della Regina*, si è svolta a Buckingham Palace un’antica cerimonia. Diverse istituzioni hanno presentato discorsi leali alla regina, ringraziandola per il suo servizio alla nazione. Tra questi c’era il Consiglio dei deputati degli ebrei britannici. Il suo allora presidente, Vivian Wineman, incluse nel suo discorso la tradizionale benedizione ebraica in tali occasioni. Gli ha augurato di stare bene “fino a centoventi anni”.
  La regina era divertita e guardò con aria interrogativa il principe Filippo. Nessuno dei due aveva mai sentito l’espressione prima. Più tardi il Principe chiese cosa significassero quelle parole e noi spiegammo. Centoventi è indicato come il limite esterno di una normale vita umana in Genesi 6:3. Il numero è particolarmente associato a Mosè, di cui la Torà dice: “Mosè aveva centoventi anni quando morì, eppure i suoi occhi non erano offuscati e la sua forza non era diminuita”. (Deuteronomio 34:7)
  Insieme ad Abramo, uomo di personalità e circostanze molto diverse, Mosè è un modello di come invecchiare bene. Con la crescita della longevità umana, questo è diventato un problema significativo e stimolante per molti di noi. Come si invecchia e si rimane giovani?
  La ricerca più importante su questo argomento è il Grant Study, iniziato nel 1938, che ha tracciato per quasi ottant’anni la vita di 268 studenti di Harvard, cercando di capire quali caratteristiche – dal tipo di personalità, all’intelligenza, alla salute, alle abitudini e alle relazioni – contribuiscano alla fioritura umana. Per più di trent’anni, il progetto è stato diretto da George Vaillant (psichiatra americano, 1934-…) i cui libri Aging Well e Triumphs of Experience hanno esplorato questo affascinante argomento.
  Tra le molte dimensioni dell’invecchiamento di successo, Vaillant ne identifica due particolarmente rilevanti nel caso di Mosè. La prima è quella che chiama generatività, cioè prendersi cura della generazione successiva. Cita John Kotre (psicologo americano, 1940-…) che definisce come “investire la propria sostanza in forme di vita e di lavoro che sopravvivranno al sé”, possiamo impaludarci o decidere di restituire agli altri: alla comunità, alla società e alla generazione successiva. La generatività è spesso caratterizzata dall’intraprendere nuovi progetti, spesso volontari, o dall’apprendere nuove competenze. I suoi segni sono l’apertura e la cura.
  L’altra dimensione rilevante è quella che Vaillant chiama custode del significato. Con questo intende la saggezza che deriva dall’età, qualcosa che è spesso più apprezzato dalle società tradizionali rispetto a quelle moderne o postmoderne. Gli “anziani” menzionati nel Tanach sono persone apprezzate per la loro esperienza. “Chiedi a tuo padre e te lo dirà, ai tuoi anziani, e loro ti spiegheranno”, dice la Torà(Deuteronomio 32:7). “Non si trova la sapienza tra gli anziani? La lunga vita non porta la comprensione? dice il libro di Giobbe (12:12).
  Essere custode del significato sottintende trasmettere al futuro i valori del passato. L’età porta la riflessione e il distacco che ci permettono di fare un passo indietro e non essere trascinati dall’umore del momento o dalla moda passeggera o dalla follia della folla. Abbiamo bisogno di quella saggezza, specialmente in un’epoca frenetica come la nostra in cui un enorme successo può arrivare a persone ancora piuttosto giovani. Esamina le carriere di figure iconiche recenti come Bill Gates, Larry Page, Sergey Brin e Mark Zuckerberg e scoprirai che a un certo punto si sono rivolti a mentori più anziani che li hanno aiutati e guidati attraverso le rapide del loro successo. Asseh lecha rav, “Fatti un maestro” (Avot 1:6, 16) rimane un consiglio essenziale.
  Ciò che colpisce del libro di Devarim, ambientato interamente nell’ultimo mese di vita di Mosè, è come mostra il leader anziano ma ancora appassionato e motivato, rivolto ai compiti gemelli di generatività e custode del significato.
  Sarebbe stato facile per lui ritirarsi in un mondo interiore di reminiscenza, rievocando le conquiste di una vita straordinaria, scelto da Dio per essere la persona che ha condotto un intero popolo dalla schiavitù alla libertà e sull’orlo della Terra Promessa. In alternativa avrebbe potuto rimuginare sui suoi fallimenti, soprattutto sul fatto che non sarebbe mai entrato fisicamente nella terra in cui aveva trascorso quarant’anni alla guida della nazione. Ci sono persone – le abbiamo sicuramente incontrate tutti – che sono ossessionate dalla sensazione di non aver ottenuto il riconoscimento che meritavano o raggiunto il successo che sognavano da giovani.
  Mosè non fece nessuna di queste cose. Invece nei suoi ultimi giorni ha rivolto la sua attenzione alla generazione successiva e ha intrapreso un nuovo ruolo. Non più Mosè il liberatore e legislatore, ha assunto il compito per il quale è diventato noto alla tradizione: Moshe Rabbeinu, “Mosè nostro maestro”. È stato, per certi versi, il suo più grande successo.
  Disse ai giovani israeliti chi erano, da dove venivano e qual era il loro destino. Diede loro delle leggi, e lo fece in modo nuovo. Non c’era più enfasi sull’incontro Divino, come era stato in Shemot, o sui sacrifici come avvenne in Vayikra, ma piuttosto sulle leggi nel loro contesto sociale. Ha parlato di giustizia, di cura per i poveri, di considerazione per i lavoratori e di amore per lo straniero. Ha esposto i fondamenti della fede ebraica in modo più sistematico che in qualsiasi altro libro di Tanach. Ha parlato loro dell’amore di Dio per i loro antenati e li ha esortati a ricambiare quell’amore con tutto il loro cuore, anima e forza. Ha rinnovato l’alleanza, ricordando al popolo le benedizioni di cui avrebbero goduto se avessero mantenuto la fede in Dio, e le maledizioni che sarebbero cadute su di loro se non l’avessero fatto. Insegnò loro la grande cantica in Ha’azinu e diede alle tribù la sua benedizione sul letto di morte.
  Ha mostrato loro il significato della generatività, lasciando dietro di sé un’eredità che gli sarebbe sopravvissuta, e cosa significa essere un custode del significato, facendo appello a tutta la sua saggezza per riflettere sul passato e sul futuro, dando ai giovani il dono della sua lunga esperienza. A titolo di esempio personale, ha mostrato loro cosa significa invecchiare rimanendo giovani.
  Alla fine del libro, leggiamo che all’età di 120 anni, “l’occhio di Mosè non era offuscato e la sua energia naturale non era diminuita” (Deuteronomio 34:7). Pensavo che queste fossero semplicemente due descrizioni, finché non ho capito che la prima era la spiegazione della seconda. L’energia di Mosè non è diminuita perché il suo occhio non è stato offuscato, il che significa che non ha mai perso l’idealismo della sua giovinezza, la sua passione per la giustizia e per le responsabilità della libertà.
  È fin troppo facile abbandonare i tuoi ideali quando vedi quanto sia difficile cambiare anche la più piccola parte del mondo, ma quando lo fai diventi cinico, disilluso, sfiduciato. Questa è una specie di morte spirituale. Le persone che non si arrendono, che non si demotivano mai, che “non entrano dolcemente nella buona notte”, che vedono ancora un mondo di possibilità intorno a loro e incoraggiano e rafforzano coloro che verranno dopo di loro, conservano la loro energia spirituale intatta.
  Ci sono persone che lavorano al meglio da giovani. Felix Mendelssohn scrisse l’Ottetto all’età di 16 anni, e l’Ouverture per “Sogno di una notte di mezza estate” un anno dopo, i più grandi brani musicali mai scritti da una persona così giovane. Orson Welles aveva già raggiunto la grandezza in teatro e in radio quando ha realizzato, all’età di 26 anni, “Citizen Kane”, uno dei film più trasformativi della storia del cinema.
  Ma ci furono molti altri che continuavano a migliorare man mano che invecchiavano. Mozart e Beethoven erano entrambi bambini prodigio, eppure hanno scritto la loro più grande musica negli ultimi anni della loro vita. Claude Monet ha dipinto i suoi scintillanti paesaggi di ninfee nel suo giardino a Giverny quando aveva ottant’anni. Verdi ha scritto Falstaff all’età di 85 anni. Benjamin Franklin ha inventato la lente bifocale all’età di 78 anni. L’architetto Frank Lloyd Wright ha completato i progetti per il Museo Guggenheim a 92 anni. Michelangelo, Tiziano, Matisse e Picasso sono rimasti tutti creativi nel loro nono decennio. Judith Kerr, che arrivò in Gran Bretagna quando Hitler salì al potere nel 1933 e scrisse il classico per bambini “The Tiger who came to Tea”, ha recentemente vinto il suo primo premio letterario all’età di 93 anni. David Galenson nel suo “Old Masters and Young Geniuses” sostiene che coloro che sono gli innovatori concettuali fanno il loro lavoro migliore quando sono giovani, mentre gli innovatori sperimentali, che imparano per tentativi ed errori, migliorano con l’età.
  C’è qualcosa di commovente nel vedere Mosè, a quasi 120 anni, guardare avanti e indietro, condividere la sua saggezza con i giovani, insegnandoci che mentre il corpo può invecchiare, lo spirito può rimanere giovane ad me’ah ve’esrim, fino a 120, se manteniamo i nostri ideali, restituiamo alla comunità e condividiamo la nostra saggezza con coloro che verranno dopo di noi, ispirandoli a continuare ciò che non siamo riusciti a completare.

(Bet Magazine Mosaico, 21 luglio 2023)
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Parashà della settimana: Devarim (Parole)

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L'altra faccia della lotta per la riforma di cui nessuno parla

80.000 riservisti hanno pubblicato una lettera aperta contro il rifiuto di servire dei loro compagni.

GERUSALEMME - Se Israele scivolerà in una guerra civile, o se diventerà una dittatura, o se sarà sconfitto da Hezbollah mentre un governo di estrema destra cerca di prendere il potere totale, è una cosa di cui si discute. Tuttavia, la maggioranza concorda, soprattutto all'estero, sul fatto che Israele sta affrontando un problema esistenziale perché il governo sta mettendo gran parte dei suoi cittadini contro se stesso.
  Come spesso accade, tuttavia, la situazione è molto meno critica di quanto i media vogliano far credere.
  Questo è stato chiaramente dimostrato quando lunedì è stata lanciata una petizione online, firmata finora da 80.000 riservisti dell'esercito israeliano. In essa si legge:

    "Noi, ex militari o riservisti dell'IDF, siamo contrari ai rifiuti e siamo fedeli allo Stato di Israele in quanto Stato ebraico e democratico. Serviremo lo Stato di Israele perché è il nostro unico Stato - e lo proteggeremo ad ogni costo!".

Martedì, i medici israeliani hanno anche contrastato l'annunciata protesta di altri medici dopo che questi avevano minacciato di scioperare per la riforma giudiziaria.

    "500 medici hanno firmato una lettera che si oppone allo sciopero della sanità e chiede al capo dell'Associazione medica israeliana di 'fermare la follia'",
ha twittato il giornalista di N12 Inbar Twizer.

    "Ci scusiamo con l'opinione pubblica per il comportamento irresponsabile di alcuni nostri colleghi professionisti. Scioperare a causa di una posizione politica è contrario al giuramento di Ippocrate",

hanno scritto i medici.

Poiché alcuni settori della maggioranza silenziosa israeliana si sono rivolti all'opinione pubblica e hanno espresso chiaramente il loro sostegno al governo eletto, si stanno levando altre voci di questo tipo.
  Tre diverse unità dell'esercito hanno pubblicato lettere a sostegno dello Stato.
  130 ufficiali e soldati della Brigata di Ricerca, diplomati della Divisione di Intelligence dell'IDF, hanno scritto:

    "Noi, riservisti della Divisione di Ricerca, dichiariamo che serviremo il nostro Paese con amore e dedizione in ogni momento, al fine di proteggere lo Stato di Israele sotto qualsiasi governo. Non rifiuteremo alcun ordine e non imporremo alcuna condizione al nostro servizio volontario nella Riserva dell'IDF".

Anche i soldati delle Forze speciali dell'IDF hanno dichiarato:

    "Noi, i sottoscritti comandanti e ufficiali dell'unità speciale , abbiamo servito in ruoli complessi per molti anni. Abbiamo deciso infine di rompere il nostro silenzio e di farci avanti  per affermare l'ovvio: continueremo a presentarci come riservisti ogni volta che saremo chiamati".

I riservisti dell'unità di forze speciali Sajeret Matkal hanno dichiarato in una lettera al comandante della loro unità:

    "Se, Dio non voglia, ci fosse una carenza di personale, ci offriremo tutti volontari per compensarla con giorni di servizio extra della riserva".

Quindi la situazione in Israele non è così grave come a volte sembra. Se alcuni soldati o medici rinunciano al loro lavoro per le loro idee politiche, ce ne sono molti altri che sono disposti a fare di più per il Paese che amano.

(israel heute, 20 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Sventato attentato contro Israele: l’ultimo piano (fallito) dei pasdaran

di Valerio Chiapparino

Continua la guerra di ombre tra Israele e Iran in Medio Oriente. Secondo quanto reso noto dal Mossad, il servizio segreto israeliano, i suoi agenti avrebbero sventato a giugno un attentato organizzato da Teheran che prevedeva l’uccisione di cittadini dello Stato ebraico sull’isola di Cipro. 
  L’operazione resa pubblica dal Mossad e definita nel suo comunicato come una “missione coraggiosa” si è svolta in territorio iraniano ed ha portato all’arresto del capo della cellula Yousef Shahabazi Abbasalilu. In un video rilasciato dagli israeliani il sospettato parla in persiano e confessa di essere entrato nella Cipro del Nord sotto il controllo turco per poi attraversare il confine con il compito di uccidere almeno una persona, un uomo d’affari israeliano, nella parte sud dell’isola. Abbasalilu ammette inoltre di essere stato assoldato dai Guardiani della Rivoluzione Islamica (Irgc) sostenendo di aver ricevuto da loro foto e indirizzo dell’obiettivo. Le indicazioni fornite dall’arrestato sarebbero state inoltrate alle autorità cipriote che avrebbero quindi arrestato la maggior parte degli appartenenti alla cellula dell’iraniano. “Arriveremo ad ogni individuo che pianifica attacchi terroristici contro gli israeliani ovunque nel mondo, Iran incluso” ha fatto sapere il Mossad dopo l’audace operazione. 
  L’iraniano, secondo la versione degli 007 israeliani, sarebbe stato interrogato dal Mossad “in remoto” mentre la cattura sarebbe avvenuta per mano di agenti stranieri sul posto in Iran. La pratica di reclutare elementi locali è stata adottata dall’intelligence di Gerusalemme almeno in un’altra occasione con risultati però non altrettanto positivi. L’anno scorso degli agenti malesi a Kuala Lumpur rapirono per conto delle spie d’Israele uno studente palestinese di ingegneria sospettato di essere un collaboratore di Hamas e del suo braccio armato, le Brigate Qassam. In quel caso le forze di polizia malesi riuscirono ad interrompere l’interrogatorio, ad arrestare gli operativi e a liberare il palestinese. 
  Non stupisce la località del Mediterraneo in cui il regime degli Ayatollah intendeva colpire questa volta. Infatti, secondo un report del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano i paesi a rischio di attacchi di Teheran contro obiettivi ebraici sono gli Emirati Arabi Uniti, la Georgia, l’Azerbaijan, la Turchia, il Bahrain e, appunto, Cipro, una destinazione a un’ora di aereo da Tel Aviv. La parte settentrionale dell’isola greca, come dimostra il piano appena sventato, è un’area particolarmente a rischio infiltrazioni a causa del suo incerto status internazionale. Nessun Paese, a parte la Turchia, riconosce infatti Cipro nord, la parte occupata da Ankara nel 1974 a spese della Grecia e dove stazionano ancora più di 35mila soldati turchi. Secondo successive ricostruzioni dei fatti sulle quali aleggiano alcune incongruenze, come accade nelle vicende di spionaggio, le stesse autorità turco-cipriote avrebbero rivendicato un ruolo primario nell’identificare Abbasalilu e deportarlo in Iran. 
  Non è la prima volta che Gerusalemme e Nicosia collaborano per fermare attacchi terroristici. Nel 2021 è stato arrestato un uomo con doppio passaporto russo-azerbaijano con la missione, anche questa affidata dai Pasdaran, di uccidere uomini d’affari sull’isola. Un altro piano sventato ha visto la polizia greca smantellare una cellula terroristica composta da due pachistani assoldati da un operativo con base in Iran. L’obiettivo in questo caso era una sinagoga e un ristorante nel centro di Atene ma l’attentato prevedeva anche la presa di ostaggi. Altri cittadini pakistani sono stati ingaggiati nel 2022 da Teheran per compiere un attentato ad Istanbul contro turisti e diplomatici israeliani, incluso un ex ambasciatore e sua moglie. In quell’occasione l’intelligence turca in concerto con quella israeliana era stata in grado di fermare dieci individui pronti ad agire camuffati da studenti e viaggiatori. A seguito del fiasco di Istanbul, il capo dell’intelligence dell’Irgc dal 2009, Hossein Taeb, è stato licenziato. 
  La serie di complotti, almeno quelli resi pubblici, mostra che l’ostilità iraniana nei confronti di Israele non accenna a diminuire. Secondo diversi analisti, la decisione da parte del Mossad di dare massima pubblicità all’ultima operazione cipriota sarebbe una risposta alle notizie sui colloqui indiretti tra Stati Uniti ed Iran sul programma nucleare degli Ayatollah. Oggetto degli accordi informali mediati dall’Oman e non soggetti alla ratifica del Congresso, dovrebbe essere la liberazione di tre cittadini americani detenuti in Iran con l’accusa di spionaggio in cambio della sospensione dell’arricchimento dell’uranio e dello sblocco di fondi iraniani congelati all’estero a causa delle sanzioni Usa. Un’altra chiave di lettura della pubblicità data al tentato attentato cipriota la fornisce il giornalista Yaakov Katz secondo cui l’interesse degli israeliani sarebbe quello di lanciare un duplice messaggio. Il primo è diretto alla comunità internazionale che pensa che Teheran sia impegnata “solo” con il suo programma nucleare e non anche a progettare omicidi su suolo europeo. Il secondo invece punta dritto al regime iraniano e a ricordare le superiori capacità dei servizi di intelligence del paese fondato da Ben Gurion. Sperando che questo effetto di deterrenza possa bastare per tenere a bada il nemico giurato.

(Inside Over, 20 luglio 2023)

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Francia, approvata una legge per facilitare la restituzione delle opere d’arte confiscate dai nazisti

di David Fiorentini

L’Assemblea Nazionale francese ha votato all’unanimità l’adozione di una nuova legge per consentire alle istituzioni pubbliche di restituire con facilità le opere sottratte dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale ai legittimi proprietari.
  In precedenza era necessaria l’approvazione di un disegno di legge ad hoc per la restituzione di ogni cimelio conservato presso una collezione pubblica. Adesso, ciascuna opera che rientrerà nei criteri definiti dalla mozione, potrà essere rilasciata senza questo macchinoso passaggio burocratico.
  Il Ministero della Cultura francese ha stimato intorno a 100 mila il numero di capolavori sequestrati nel contesto della persecuzione antisemita dal 1939 al 1945. Di questi, circa 60 mila furono trovati in Germania dopo la guerra e subito riportati in Francia, dove la maggior parte fu restituita ai proprietari o ai loro eredi.
  Tuttavia, ben 2200 opere furono trasferite invece nei musei statali, diventando beni “inalienabili” del patrimonio francese.
  “Spero che il 2023 sia un anno di progresso decisivo per le restituzioni”, ha dichiarato il ministra della Cultura, Rima Abdul Malak. L’approccio del suo paese al passato non deve essere “né di negazione e né di pentimento, ma di riconoscimento”.
  “La storia non può essere riscritta. Nulla può riparare alla tragedia della Shoah. Ma possiamo fare tutto il possibile per garantire che questi beni culturali possano essere restituiti ai legittimi eredi di coloro che ne sono stati privati… Lo dobbiamo alle vittime di ieri e ai loro eredi di oggi: restituire loro un frammento della storia familiare”.

(Bet Magazine Mosaico, 20 luglio 2023)

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La popolazione di Israele cresce: perché può diventare un problema per le istituzioni

La popolazione d’Israele, che attualmente conta 9 milioni di abitanti, dovrebbe raggiungere 13 milioni nel 2050, secondo le ultime proiezioni delle Nazioni Unite. A trainare questa crescita demografica sarà la componente ortodossa, destinata a costituire un terzo della popolazione del paese entro la metà del secolo. Questo potrebbe rappresentare un problema per le istituzioni israeliane.
  Infatti, gli ebrei ultraortodossi, ovvero gli Haredim, hanno un rapporto conflittuale con le istituzioni israeliane, come spiega neodemos.info e spesso sono esentati dalla leva militare.
  Gli Haredim si avvantaggiano di leggi israeliane ad hoc, che permettono a coloro che si dedicano allo studio della Torah di essere esonerati dalla leva militare ma di vedersi comunque riconosciuti dei sussidi statali, come riporta ancora il sito. Questo potrebbe generare maggiore tensione fra società civile israeliana e ultraortodossi, dal momento che le tasse vengono pagate in larga parte da ebrei laici e vengono impiegate anche per sostenere comunità semi-segregate in perenne crescita e poco attive economicamente come scriveva già nel 2019 Gol Kalev su foreignpolicy.com.

• I numeri della crescita
  Oggi la comunità Haredi (singolare di “Haredim”) conta 1 milione e 120 mila unità, ma si prevede che cresca con un tasso doppio rispetto a quello del resto della popolazione, come riporta The Israel Democracy Institute. Seppure in leggero calo rispetto ai decenni passati, i dati parlano di 7 figli per donna nella comunità ultraortodossa, più del doppio dei 3.1 della media israeliana.
  Questo trend significa che entro il 2050 la comunità Haredi diventerà più numerosa della popolazione araba del paese e che, poco dopo, un terzo degli Israeliani sarà Haredi.
  Una delle motivazioni di questi numeri è che gli ebrei Haredim cominciano ad avere figli già da molto giovani: il 45% delle nascite si concentra fra i 20 e i 30 anni d’età, quasi il doppio degli ebrei laici che nella stessa fascia d’età registrano il 25% delle nascite.
  Questi dati avevano destato l’attenzione del governo già nel 2017, quando un rapporto rilasciato del Consiglio economico nazionale aveva sottolineato la progressiva diminuzione del peso degli ebrei laici o non credenti e degli arabi cristiani con una fertilità media rispettivamente di 2,3 e 2 figli per donna.

• Il rapporto conflittuale con il sionismo
  La sempre maggiore percentuale di ebrei ultraortodossi in Israele rappresenta un rischio per le istituzioni, dal momento che quasi la totalità degli ebrei Haredim dichiara di votare per partiti come Shas (partito conservatore) ed Ebraismo della Torah Unito (ultraconservatore). Quest’ultimo è un partito non sionista tanto che non ha sostenuto le coalizioni di governo del partito nazional-liberale Likud guidato da Benjamin Netanyahu. Neodemos,info sottolinea come questo abbia avuto un ruolo importante nella crisi politica del Paese.
  A seconda delle varie correnti interne alla comunità, fra il 18% e il 45% degli Haredim non si identifica con lo Stato di Israele, mentre la maggior parte degli uomini Haredim dedica la propria vita allo studio della Torah e non ha un vero lavoro né istruzione superiore. Coloro che studiano lo fanno in scuole dedicate e intendono comunque lavorare nelle proprie comunità di origine, alimentando la tensione con il resto della società.
  I rapporti tra gli ultraortodossi e le istituzioni si sono ulteriormente inaspriti con la pandemia di Covid-19. Infatti, più del 60% degli Haredim ha dichiarato di fidarsi delle indicazioni date dai rabbini più che di quelle dei medici per combattere il virus. La comunità Haredi si è fortemente opposta alle misure restrittive. Non a caso, come dimostrano i dati rilasciati dal ministero della Salute tra gli over 60, il numero degli ultraortodossi morti per Covid-19 è stato quattro volte superiore a quello del resto della popolazione.

  Le prospettive future
  Nonostante l’intervento della Corte Costituzionale israeliana che ha dichiarato incostituzionale l’esenzione dalla leva per gli ebrei Haredim, tutt’ora una buona parte ne è ancora esclusa.
  Già nel 2019, tra le minoranze arabe e gli Haredim, 3 milioni di abitanti dello Stato di Israele erano sollevati dall’obbligo di leva (circa il 30% della popolazione totale).
  La crescita demografica degli ultraortodossi che procede a ritmo spedito potrebbe mettere in difficoltà Israele dal punto di vista della difesa, dal momento che l’esercito israeliano si basa sulla leva militare.
  Volgendo lo sguardo ai dati demografici dei Paesi confinanti si capisce come Israele rischi di essere inglobato: le Nazioni Unite prevedono che entro il 2030 l’Egitto dovrebbe raggiungere i 125 milioni di abitanti, l’Iraq 52 milioni, la Turchia quota 89 milioni, e la Siria 30 milioni. Numeri molto maggiori rispetto a quelli previsti per Israele che nel 2030 dovrebbe contare 10 milioni di abitanti. Dati ancora più allarmanti per le istituzioni israeliane se si considera che la crescita sarà trainata da comunità diffidenti verso l’establishment nazional-sionista.

(International Web Post, 20 luglio 2023)

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Israele: il quarto impianto di energia solare entra in funzione

Il governo ha dichiarato che la tariffa per l’elettricità generata dai pannelli fotovoltaici ad energia solare, applicata dall’operatore EDF Renewables sarà di soli 8 agorot per chilowattora.

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Il quarto impianto fotovoltaico israeliano ad Ashalim, nel deserto del Negev, è entrato in funzione e fornirà energia a un prezzo record e basso sul mercato dell’elettricità, ha annunciato il governo mercoledì.
  Il campo di pannelli fotovoltaici fornirà elettricità a 8 agorot (2,2 centesimi di euro) per kilowattora (1 kilowatt di energia sostenuta per un’ora), un prezzo significativamente più basso di qualsiasi altra centrale elettrica che genera elettricità dall’energia solare nel Paese. La tariffa si confronta con il prezzo di 40 agorot per kWh del primo impianto solare di Ashalim, che ha iniziato a produrre energia alla fine del 2017. Il governo ha dichiarato che il prezzo stabilito è più conveniente rispetto alla produzione di elettricità con combustibili fossili inquinanti e inferiore a progetti simili in tutto il mondo. In una dichiarazione congiunta, il Ministero delle Finanze, il Ministero dell’Energia e delle Infrastrutture e l’Autorità israeliana per l’energia elettrica hanno annunciato che la costruzione della quarta centrale solare di Ashalim è stata completata e che inizierà a pompare elettricità nella rete.
  “Il potenziale di energia rinnovabile del settore elettrico israeliano risiede attualmente soprattutto nei progetti solari”, ha dichiarato il Ragioniere generale Yali Rothenberg. “Le limitate risorse territoriali, la crisi climatica e gli obiettivi impegnativi nel campo delle energie rinnovabili richiedono la cooperazione tra i ministeri per promuovere i progetti e ottenere la certezza della loro realizzazione”. L’Ashalim Solar Park Ltd., guidata dalla filiale israeliana della società francese EDF Renewables e vincitrice della gara d’appalto governativa per la costruzione e la gestione dell’impianto solare fotovoltaico da 40 MW, ha completato i test di accettazione dell’impianto e ha ottenuto la licenza di produzione permanente per avviare il funzionamento commerciale.
  Gli impianti termosolari assorbono la luce del sole e la trasformano in calore prima di utilizzarla per la produzione di energia elettrica. L’impianto fotovoltaico (PV) – il preferito al giorno d’oggi – cattura i raggi solari e li converte direttamente in elettricità.
  Ashalim ha già due campi termosolari che producono 120 MW all’anno ciascuno e uno fotovoltaico che genera 30 MW all’anno. Insieme, le quattro stazioni di Ashalim – due centrali termosolari e due fotovoltaiche – forniranno elettricità per un totale di oltre 300 MW all’anno, ha dichiarato il governo. Il funzionamento delle fattorie solari in partnership pubblico-privata rientra nell’obiettivo del governo di generare il 30% dell’elettricità del Paese da fonti rinnovabili, cioè dall’energia solare, entro il 2030, rispetto al precedente obiettivo del 17%, mentre si cerca di eliminare gradualmente l’uso del carbone. Secondo il modello di partenariato pubblico-privato, lo sviluppatore è responsabile della pianificazione, del finanziamento, della costruzione e della gestione della centrale solare per un periodo di 25 anni, al termine del quale l’impianto sarà restituito allo Stato.
  “L’entrata in funzione dell’impianto è una pietra miliare significativa per l’avanzamento della produzione da energie rinnovabili, in linea con gli obiettivi del governo”, ha dichiarato Amir Shavit, presidente dell’Autorità per l’energia elettrica. “L’Autorità continuerà a promuovere la costruzione di impianti di produzione di energia elettrica puliti e competitivi”. Il governo ha dichiarato che sta attualmente portando avanti altri progetti, tra cui un complesso di fattorie solari ad Ashalim con una capacità di generazione fino a 100 MW e un complesso solare vicino alla città di Dimona con una capacità fino a 300 MW. Insieme, i progetti dovrebbero raggiungere una capacità di generazione totale di oltre 700 MW.
  All’inizio di questo mese, EDF Renewables ha dichiarato di aver completato un accordo di finanziamento con il Gruppo Harel per quasi 1 miliardo di NIS per sette dei suoi progetti di energia solare in Israele con una capacità totale di 189 MW.

(Israele 360°, 19 luglio 2023)

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Berlino era il top della moda. Poi arrivarono i nazisti e distrussero tutto

di Martina Biz

Quando si sente parlare di moda, a nessuno verrebbe mai in mente la capitale tedesca. Parigi, Milano, New York, sono le capitali che tutti associano all’alta moda. Tuttavia, non fu sempre così: prima dell’inizio della seconda guerra mondiale Berlino rappresentava un fiorente centro della moda riconosciuto a livello internazionale.
  Fu l’impiego delle macchine da cucire industriali a rappresentare un vero e proprio punto di svolta: nel giro di pochi decenni Berlino diventò un hub della moda prêt-à-porter

• L’arrivo della macchina da cucire a Berlino e il prêt-à-porter 
  Berlino iniziò a decollare nel campo della moda nella metà del 1800, quando per la prima volta arrivarono in Germania le macchine da cucire industriali. Esse rappresentarono una vera e propria svolta per la produzione tessile: si potevano realizzare vestiti in minor tempo e risparmiare denaro.
  Prima del 1900, gli abiti erano soltanto “su misura”, ossia il sarto realizzava ad hoc un abito per ciascun acquirente. Tuttavia, prima a Parigi, poi a Berlino, l’arrivo della macchina da cucire industriale cambiò totalmente il modo di produrre e concepire la produzione degli abiti, che infatti, di lì a pochi anni, divenne sempre più industrializzata e standardizzata.
  La meccanizzazione della produzione di abbigliamento, insieme anche alle materie tessili poco costose provenienti dalle colonie e al cambiamento radicale della moda in quegli anni, hanno dato vita ad un nuovo modo di produrre vestiti, rendendo l’industria tessile di Berlino una delle più importanti in Europa. 

• La produzione di abbigliamento in serie affonda le sue radici nel XVII secolo
  Berlino presentava anche delle condizioni storiche aggiuntive che favorirono lo sviluppo dell’industria di abbigliamento in serie. La produzione in serie di abbigliamento a Berlino nasce ben prima del 1800, quando si iniziarono a standardizzare le uniformi per l’esercito prussiano nel XVII secolo. Infatti, per poter soddisfare la grande richiesta di uniformi, le ditte corporative le producevano appunto su tagli standardizzati, non solo per risparmiare tempo e materiale, ma anche perché i soldati dovevano per forza soddisfare determinate dimensioni dal punto di vista fisico ed erano dunque tutti simili di corporatura.
  Oltre le uniformi, l’industria berlinese affonda le sue radici anche nella produzione in serie di biancheria intima in lino e cappotti. Negli anni venti dell’ottocento si iniziò a produrre la biancheria femminile in serie, non più su misura dalle scuole di cucito, ma realizzata secondo dimensioni standard, che venivano preferite dalle donne perché vestivano più morbide di quelle prodotte su misura dai sarti.

• Il commercio di abiti usati e confezionati era svolto principalmente dagli ebrei
  Con la crescente domanda di abbigliamento nelle città in crescita, aumentò anche la concorrenza tra i sarti e i commercianti. Gli ebrei non ne facevano parte poiché la maggior parte delle corporazioni commerciali tessili erano cristiane e nessuno poteva praticare sartoria se non i membri stessi della gilda.
  In Germania come in molti altri stati Europei, gli ebrei non erano ben visti dalla società. Le forti restrizioni che venivano loro imposte li rendevano sempre più emarginati e relegavano questi ultimi ai margini della società. Proprio questi ultimi, che non potevano prendere parte alle cooperazioni tessili cristiane, si dedicarono per lungo tempo al commercio di abiti usati e nel ‘800 ebbero l’idea di dar vita ad un commercio di abiti confezionati, abiti prêt-à-porter, non vincolato agli accordi sui prezzi e alle regole delle corporazioni.

• La moda Berlinese era riconosciuta a livello internazionale
  L’industria prêt-à-porter ebbe una fortuna impensata. Nei ruggenti anni ’20, Berlino era riconosciuta in tutta Europa come una delle capitali della moda, con ben 2.700 aziende prevalentemente di famiglie ebree. I nuovi imprenditori ebrei del settore furono lungimiranti. Sapevano che la classe media in Germania apprezzava la moda parigina, ma sapevano anche che la classe media non se la poteva permettere. Così iniziarono a commerciare capi d’abbigliamento eleganti ma a prezzi accessibili per le famiglie della classe media.
  La moda berlinese arrivò negli Stati Uniti, Paesi Bassi, Inghilterra Scandinavia ed Argentina. “Gli imprenditori ebrei avevano un’idea di ciò che piaceva alla gente e collegamenti internazionali con tutti i produttori di tessuti di alta qualità” afferma Uwe Westphal.

• L’ascesa al potere di Hitler sancì la fine della moda berlinese
  Con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, in particolar modo a seguito del boicottaggio contro i negozi ebraici il 1° aprile dello stesso anno, le imprese di proprietà ebraica subirono durissimi colpi. In particolare, il partito nazista aveva proibito di contrarre prestiti bancari agli imprenditori ebrei, che in questo modo non potevano più fare sfilate di moda.
  “Tutto ciò che era moda una volta è stato completamente distrutto. Soprattutto l’arte degli anni ’20: scuole di moda, architettura, Bauhaus, musica, industria cinematografica”, afferma sempre Westphal. Aggiunge sempre il critico “quello che trovo assurdo è che dal 1945 nessuno vuole ricordare i molti stilisti ebrei che hanno reso Berlino la capitale della moda per pochi anni”.

• Berlino ha inaugurato un memoriale a Hausvogteiplatz nel 2000
  La frustrazione di Westphal ha portato alla costruzione di un memoriale a Hausvogteiplatz, che venne poi inaugurato nel 2000 con un finanziamento del governo.
  Infine, il 7 settembre si terrà la prima sfilata di moda con stilisti ebrei e israeliani contemporanei. Secondo Westphal, l’ultima volta che c’era stata una sfilata di moda ebraica a Berlino era il 1939.

(Berlino Magazine, 17 luglio 2023)

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Israele è diventato a rischio

È attraversato da diverse e potenti tensioni che mettono in gioco Benjamin Netanyahu.

di Renato Mannheimer e Pasquale Pasquino

Nel settantacinquesimo anno dalla sua nascita, lo Stato di Israele sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia. Almeno tre diversi conflitti scuotono la patria del popolo ebraico sopravvissuto alle antiche persecuzioni criminali, a quelle della follia nazista e oggi all'antisemitismo che riemerge sempre come un fiume carsico. Il vecchio conflitto con i palestinesi, in particolare in Cisgiordania; quello fra ebrei moderati e diversi gruppi di ebrei estremisti; quello infine, molto più recente, relativo alla riforma del potere giudiziario che il governo di Benjamin Netanyahu cerca di imporre e la cui maggioranza dipende dal sostegno di partiti ferocemente conservatori o radicalmente antipalestinesi che non tollerano fra l'altro il relativo controllo della Corte suprema nei confronti delle loro politiche. Vi sono legami fra i tre conflitti, e infatti il pubblico di essi spesso si sovrappone e si confonde, anche nelle motivazioni, ma è utile analizzarli separatamente per capirne le connessioni.
  Gli scontri fra gli ebrei che hanno occupato negli anni parte della Transgiordania si sono intensificati di recente in parte per l'indebolimento dell'Autorità palestinese che, insieme all'esercito israeliano, dovrebbe assicurare un minimo di ordine nei Territori. Questo conflitto si sovrappone a quello fra palestinesi di diversi gruppi più o meno radicali che, a loro volta, rappresentano una minaccia terrorista per lo stato di Israele – di qui il triste intervento dell'esercito di Tel Aviv nel campo profughi di Jenin infiltrato da terroristi. Tragicamente e cinicamente si potrebbe dire business as usual in quell'angolo del Medio Oriente. Anche se l'indebolimento dell'Autorità palestinese e il radicalismo di gruppi di occupanti israeliani dei Territori fa temere il peggio, fino al rischio di una terza Intifada, certamente sostenuta dal regime iraniano.
  Intanto la società israeliana - che convive non troppo male con una popolazione del 20% di cittadini non ebrei - è sempre più divisa, vedendo da un lato soprattutto i partiti di Lapid e Ganz e dall'altro il Likud che si è alleato con gli occupanti dei territori e alcuni gruppi ultraortodossi. (i religiosi stanno da tutte le parti perché ci sono tutte le specie di ebrei religiosi). Costoro, grazie alle loro prolifiche famiglie sono stati tollerati anche perché assicurano agli ebrei una maggioranza nella cittadinanza rispetto al passato timore di una possibile futura messa in minoranza da parte degli israeliani arabi. Ma la differenza dei loro costumi, la condizione delle donne, l'esenzione da molte tasse e soprattutto dal servizio militare per coloro dediti allo studio della religione hanno creato col tempo un solco profondo dentro la comunità ebraica, che sul lungo periodo rappresenta forse la maggiore minaccia alla sopravvivenza stessa dello stato.
  A questi due conflitti, dopo le ultime elezioni che hanno permesso a Netanyahu di ritornare alla testa del governo, grazie all'alleanza con i partiti di estrema destra, si è aggiunto un terzo fronte di scontro in certa misura inedito: quello fra il governo e il potere giudiziario, che il primo cerca di controllare, riducendone l'indipendenza. L'opposizione forte e costante di una parte cospicua della popolazione che persiste da moltissime settimane nei confronti della riforma, ha costretto il governo a sospendere la riforma dopo il fallimento di un tentativo di negoziati con l'opposizione promesso dal Presidente della repubblica Isaac Herzog. La strategia di Netanyahu, il quale è sotto processo per corruzione e che è personalmente interessato a indebolire i giudici, è quella del salame: dividere la riforma in pezzi e provare a farla passare un po' alla volta, pezzo (o fetta) per pezzo.
  In prima lettura è stata approvata dalla maggioranza della Knesset la norma che impedisce al giudiziario di censurare nomine governative di persone condannate dalla giustizia. La legge potrebbe essere approvata presto in seconda e terza lettura. E sarà allora la volta della norma che potrebbe permettere alla maggioranza politica di avere la maggioranza nella commissione che in Israele nomina di tutti i giudici – i quali a differenza che in Italia non accedono alle loro funzioni attraverso concorsi, ma con modalità più o meno simili a quelle che esistono in America per i giudici federali. Non è chiaro se il governo riuscirà ad imporre tutto il pacchetto della riforma ad una popolazione che sembra in larga parte ostile alla medesima e che testimonia di uno straordinario attaccamento allo stato di diritto contro lo strapotere della maggioranza eletta che, dai sondaggi, parrebbe forse non essere più essere la maggioranza nel paese. Anche se come in molti altri paesi i sondaggi in Israele non prevedono sempre i risultati elettorali.
  Negli ultimi giorni si è aggiunto un fronte si conflitto più grave e pericoloso, quello fra il governo di Netanyahu e i piloti dell'esercito popolare. Questi rappresentano in realtà la punta di diamante della difesa militare di Israele e la più importante garanzia della sua sicurezza. Senza l'aviazione il paese è estremamente indebolito. Attraversato da tutte queste tensioni, lo stato di Israele lotta per la sua dignità e per la sua sopravvivenza fra le democrazie liberali, delle quali dalla sua nascita nel 1948 ha fatto parte.

(ItaliaOggi, 19 luglio 2023)

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Messaggi contrastanti da Biden a Israele dopo l'incontro con il presidente Herzog?

Secondo il New York Times, Biden ha detto che le relazioni tra USA e Israele sono a rischio, ma i funzionari israeliani ritengono che si tratti di una fake news.

di Ryan Jones

FOTO
GERUSALEMME - Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto una cosa ai leader israeliani, ma poi avrebbe detto il contrario al New York Times. Foto di Haim Zach (GPO),
  Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha incontrato martedì alla Casa Bianca il Presidente israeliano Isaac Herzog. I resoconti ufficiali di entrambi i governi e l'apparizione congiunta dei due uomini alla stampa hanno suggerito che l'incontro è stato cordiale e amichevole e che Biden ha riaffermato il legame indissolubile tra Israele e gli Stati Uniti.
  Ma poi è emerso l'editorialista del New York Times Thomas Friedman, il quale ha affermato che Biden gli aveva detto il contrario, ovvero che riteneva che le relazioni tra Stati Uniti e Israele fossero in pericolo a causa, tra l'altro, dell'iniziativa legislativa di riforma giudiziaria di Israele.
  Qual è dunque la vera storia? Quale versione è corretta? Oppure Biden, noto per le sue gaffe pubbliche, ha davvero preso due posizioni opposte nel giro di poche ore?
  "Questa è un'amicizia che credo sia semplicemente indissolubile", ha detto Biden all'apertura dell'evento stampa congiunto con Herzog. "Come ho ribadito ieri in una conversazione telefonica con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, l'impegno dell'America verso Israele è fermo e incrollabile".
  Herzog ha aggiunto di essere contento che Biden abbia ribadito a Netanyahu la forza delle relazioni tra Stati Uniti e Israele "perché ci sono alcuni nostri nemici che a volte vedono il fatto che abbiamo alcune differenze come un danno al nostro legame indissolubile".
  Herzog non si è reso conto che stava parlando soprattutto di Friedman, un inveterato odiatore di Netanyahu che da tempo cerca di creare un cuneo tra Washington e il primo ministro israeliano di più lunga data.
  Friedman ha intervistato Biden dopo la visita di Herzog alla Casa Bianca. Mentre i presidenti americano e israeliano non hanno parlato molto della controversa riforma giudiziaria israeliana, almeno non davanti alle telecamere, questo sembrava essere l'obiettivo principale di Friedman.
  Biden ha detto al giornalista del Times che Israele "ha bisogno di trovare un consenso su aree politiche controverse... Mi congratulo con la leadership israeliana per non aver affrettato le cose. Credo che il risultato migliore sia continuare a cercare il più ampio consenso possibile".
  Biden ha osservato che la "vivacità della democrazia israeliana" è il "cuore delle nostre relazioni bilaterali".
  In realtà, non è così. Vedi: Reagan, Blackstone e perché i cristiani americani sostengono davvero Israele.
  In qualche modo Friedman ha interpretato questo fatto nel senso che Biden teme per il futuro delle relazioni israelo-americane, contrariamente a quanto aveva appena detto ai leader israeliani.
  "In fondo sta chiedendo questo a Netanyahu e ai suoi sostenitori: se non vi accorgete che condividiamo questo valore democratico, sarà difficile sostenere per altri 75 anni la relazione speciale di cui Israele e l'America hanno goduto negli ultimi 75 anni", ha scritto Friedman, aggiungendo: "Messaggio agli israeliani di destra, sinistra e centro. Joe Biden potrebbe essere l'ultimo presidente democratico pro-Israele. Se ignorate le sue oneste preoccupazioni, questo è il vostro rischio".
  Quest'ultima parte potrebbe essere vera. Ma ha più a che fare con il fatto che il Partito Democratico americano si sta spostando sempre più a sinistra e si allontana da Israele che con quello che sta accadendo nello Stato ebraico.
  Funzionari del governo israeliano si sono scagliati contro Friedman e contro i media israeliani che riproducono tutto ciò che scrive come fosse verità evangelica.
  Il giornalista di Channel 12 News Amit Segal ha trasmesso un messaggio del consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi in cui si legge: "La conversazione telefonica tra il presidente degli Stati Uniti e il primo ministro è stata, come descritto da entrambe le parti, "buona, cordiale e costruttiva". Le cose attribuite al Presidente nell'articolo del New York Times non sono state affatto dette durante la conversazione".
  Un'altra fonte politica senza nome ha detto a Segal: "Ciò che Friedman ha citato da Biden non è stato nemmeno lontanamente detto nella conversazione con Netanyahu. La questione della riforma è stata menzionata soltanto a margine della conversazione".
  E allora? Una fake news? Non sarebbe una cosa inusuale per il Times. O Biden stava solo dicendo al pubblico quello che pensava volessero sentire?

(israel heute, 19 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele: oltre 3.600 attacchi terroristici palestinesi nella prima metà del 2023

di Luca Spizzichino

Il report pubblicato da Rescuers Without Borders, associazione fondata nel 2000 con l'obiettivo di creare un'infrastruttura civile di risposta alle emergenze in Giudea e Samaria, nei primi sei mesi del 2023 ha registrato 3.640 attacchi terroristi di matrice palestinese, inclusi 2.118 casi di lancio di pietre, 799 attacchi con bombe molotov, 18 tentativi di accoltellamento e sei speronamenti. Inoltre, il numero di sparatorie ha già superato il totale dello scorso anno, con 101 casi di sparatorie contro i civili israeliani.
  I dati riportati dal servizio d’emergenza israeliano non includono gli attacchi al personale di sicurezza durante le operazioni antiterrorismo nei villaggi palestinesi.
  Da gennaio, 28 persone sono state uccise dal terrorismo palestinese, mentre 362 sono i feriti, ha affermato l’organizzazione. Tra le vittime, anche due israeliani morti per le ferite riportate in attentati avvenuti negli anni scorsi, come nel caso di Shimon Maatuf, morto a febbraio per le gravi ferite subite in un attacco terroristico nel 2022, e Chana Nachenberg, morta il mese scorso dopo essere stata in coma per 22 anni per le ferite riportate nell’attentato alla pizzeria Sbarro nel 2001.
  Rescuers Without Borders ha pubblicato il suo report semestrale in un periodo in cui si sta registrando un escalation negli attentati a Gerusalemme e nella regione di Giudea e Samaria.
  La settimana scorsa le forze di sicurezza israeliane hanno sventato un possibile attacco terroristico al checkpoint di Shuafat a nord-est di Gerusalemme, arrestando un ragazzo palestinese di 14 anni che aveva con sé un coltello. Lunedì, terroristi palestinesi hanno lanciato pietre contro i veicoli nel nord della Samaria, ferendo almeno quattro civili israeliani, tra cui una donna in fase avanzata di gravidanza. Almeno tre auto sono state prese di mira nell'attacco, che ha avuto luogo sulla Route 55 vicino a Ma'ale Shomron, hanno detto funzionari medici. Mentre il giorno prima, un israeliano è stato colpito e ferito gravemente, e le sue due figlie sono rimaste leggermente ferite, in una sparatoria vicino allo svincolo di Tekoa a Gush Etzion. Secondo l'IDF, il terrorista ha aperto il fuoco da un veicolo di passaggio su un'autostrada a circa 15 chilometri a sud di Gerusalemme.
  Dopo una caccia all'uomo durata ore, le forze di sicurezza hanno arrestato l’attentatore, che si era barricato all'interno di una moschea.

(Shalom, 19 luglio 2023)

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Gaza. Hamas paga gli stipendi ai dipendenti. Ma critiche e polemiche non cessano

di Michele Giorgio

Da forza di opposizione Hamas conquista consensi tra i palestinesi in Cisgiordania, a danno dell’Anp di Abu Mazen che, al contrario, continua a perdere sostegni. Eppure nella sua roccaforte Gaza dove è anche un apparato di governo, il movimento islamico è oggetto di critiche e contestazioni crescenti. Nonostante il ministero delle finanze di Hamas abbia annunciato che oggi pagherà gli stipendi a circa 50mila dipendenti pubblici, superando il ritardo causata dalla mancata (o sospesa) erogazione del sussidio mensile di circa 30 milioni di dollari che riceve dal Qatar – oltre alla diminuzione delle entrate fiscali e l’aumento delle spese – a Gaza le polemiche non si spengono per i continui ritardi nel pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici. Decine di migliaia di famiglie sono costrette da anni a ricevere mediamente solo 1200 shekel (circa 300 euro), ossia metà dello stipendio.
  Non è la prima crisi salariale che si registra a Gaza, lembo di terra senza una economia a causa dell’occupazione [Gaza non è occupata, nsi], dal 2006 soggetto a un blocco rigido da parte di Israele e teatro di offensive militari devastanti e sanguinose. Quest’ultima crisi però ha scatenato una quantità insolita di polemiche e critiche sui social media, espresse in alcuni casi anche da militanti di Hamas. Ammar Q. sul suo account Facebook ha commentato che «Se le autorità responsabili non sono in grado di erogare gli stipendi regolarmente, allora devono riconsiderare le loro politiche e il numero alto dei posti di lavoro nella pubblica amministrazione». Per l’insegnante Hussam S., il ritardo degli stipendi sarebbe «una manovra del governo per negare i diritti dei lavoratori». Muhammad S. facendo riferimento alle analoghe difficoltà dell’Anp in Cisgiordania, ha scritto che la crisi è «Il risultato di 16 anni di divisione (tra Gaza e Cisgiordania): due governi di incapaci che non sono in grado di pagare stipendi pieni o puntuali ai propri dipendenti».
  La maggior parte dei 2,3 milioni degli abitanti di Gaza vive in povertà. Il Qatar ha erogato centinaia di milioni di dollari dal 2014 per progetti infrastrutturali e oltre ai 30 milioni di dollari per il lavoro pubblico, inoltre copre con suoi fondi anche l’acquisto (in Israele) del carburante per la centrale elettrica.  Secondo alcune voci il  ritardo della donazione è frutto di pressioni qatariote su Hamas.  Doha intenderebbe ricordare ad Hamas che dipende dai suoi fondi e che pertanto deve restare calmo.
  Vero o falso che sia, dall’inizio del 2023 è iniziato il ritardo nel pagamento degli stipendi a Gaza. Non solo. Il debito di Hamas con le banche è cresciuto dopo l’ottenimento di un prestito da circa dieci milioni di dollari ricevuto dalla Banca nazionale islamica, mentre sale il prezzo della benzina egiziana che sino ad oggi ha permesso di tenere basso il costo dei trasporti a Gaza. Di recente il governo di Hamas ha anche dovuto acquistare medicinali e saldare debiti con aziende farmaceutiche per 50 milioni di shekel (oltre 12 milioni di euro). Il viceministro Awni Al Bashar ha invitato la comunità internazionale a cessare il boicottaggio.
  La popolazione intanto non è convinta che la crisi sia frutto solo del blocco israeliano e del ritardo delle donazioni qatariote. «Ogni mese decidono una nuova tassa» si lamenta Sabri K., un commerciante «paghiamo anche l’aria, dove finiscono tutti questi soldi?».

(Pagine Esteri, 19 luglio 2023)

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Svezia, l’attivista musulmano: “Non ho mai voluto bruciare la Torà, la libertà di espressione ha dei limiti”

“È contro il Corano bruciare e io non brucerò. Nessuno dovrebbe farlo”: è quanto ha dichiarato il ragazzo musulmano che aveva chiesto di bruciare un rotolo della Torah davanti all’ambasciata israeliana a Stoccolma. Lo riporta il Times of Israel.
  Come avevamo raccontato su questo sito, l’uomo, identificato come Ahmad Alush, 32 anni, aveva ricevuto il permesso dalle autorità svedesi di compiere l’atto, suscitando condanne diffuse e proteste da parte di Israele e gruppi ebraici, tra gli altri. Ma Alush è arrivato sabato fuori dalla missione diplomatica israeliana con in mano solo una copia del Corano e ha detto che non è mai stata sua intenzione bruciare libri sacri ebraici o cristiani, solo per protestare contro il recente rogo del Corano il mese scorso da un immigrato iracheno.
  “Questa è una risposta alle persone che bruciano il Corano. Voglio dimostrare che la libertà di espressione ha dei limiti che devono essere presi in considerazione – ha aggiunto -. Voglio dimostrare che dobbiamo rispettarci a vicenda, viviamo nella stessa società. Se io brucio la Torah, un altro la Bibbia, un altro il Corano, qui ci sarà la guerra. Quello che volevo dimostrare è che non è giusto farlo”.
  L’azione provocatoria del ragazzo ha avuto il merito di sollevare il tema del rispetto reciproco e soprattutto la spinosa questione di fino a dove ci si possa spingere in nome della libertà di espressione. La decisione della polizia svedese, sia nel caso del rogo del Corano che del permesso a quello della Torà, lascia grande amarezza e preoccupazione per il futuro. Se sono le stesse autorità a valicare il limite della convivenza pacifica, a cosa arriveremo?

(Bet Magazine Mosaico, 18 luglio 2023)
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Il religioso musulmano ha chiesto alla laica polizia svedese il permesso di bruciare in pubblico una Torah e l'ha ottenuto. Il religioso musulmano non ha bruciato la Torah, la laica polizia svedese l'avrebbe fatto. Quello che un'istituzione di autorità permette è, sul piano della responsabilità, come se l'avesse fatto. Complimenti al religioso musulmano, vergogna alla laica polizia svedese. M.C.

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Perché Israele riconosce la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale

Secondo il professore marocchino Ajlaoui (Uni. Rabat), il riconoscimento israeliano della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale faciliterà le relazioni bilaterali tra Gerusalemme e Rabat. La mossa del governo Netanyahu era attesa per dare approfondimento agli Accordi di Abramo.

di Massimiliano Boccolini e Emanuele Rossi

Re Mohammed VI del Marocco ha dichiarato che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, gli ha annunciato che il suo Paese riconosce ufficialmente la sovranità marocchina sulla regione contesa del Sahara Occidentale.
  Il monarca nordafricano ha dichiarato che Netanyahu ha inviato una lettera che conferma la decisione dello Stato di Israele di “riconoscere la sovranità del Marocco sul territorio del Sahara occidentale”. L’ufficio dell’israeliano ha confermato che i due hanno parlato di recente.
  La dichiarazione ufficiale del regno ha aggiunto che la posizione sarà “riflessa in tutti gli atti e i documenti pertinenti del governo israeliano”, nonché “trasmessa alle Nazioni Unite, alle organizzazioni regionali e internazionali di cui Israele è membro e a tutti i Paesi con cui Israele mantiene relazioni diplomatiche”.
  Secondo la dichiarazione, Netanyahu ha anche informato il re marocchino che Israele sta valutando positivamente “l’apertura di un consolato nella città di Dakhla”, come parte della decisione. Dakhla, posta su una laguna tra il Sahara (occidentale) e l’Oceano Atlantico è una delle città simboliche della regione, importante sia dal punto di vista geostrategico che turistico.
  Il Sahara Occidentale è un territorio esteso oltre 260mila chilometri quadrati amministrativamente controllato dal Marocco, oggetto di passate rivendicazioni di Mauritania e Algeria, e soprattutto conteso dal movimento indipendentista del Polisario. Il gruppo, che negli anni Settanta cominciò la lotta armata per l’autodeterminazione del popolo sahrawi, è ancora oggi in scontro aperto con Rabat. In questi anni, riconoscimenti ufficiali sulla situazione del Western Sahara hanno prodotto scontri diplomatici con il Marocco e riacceso le tensioni del Paese con l’Algeria.
  Il Sahara occidentale è stato una colonia spagnola fino alla metà degli anni Settanta. Un accordo di cessate il fuoco del 1991 ha visto Rabat controllare l’80% del Sahara occidentale, mentre il resto è una zona cuscinetto controllata dalle forze Onu della missione Minurso. L’Algeria si è opposta alla rivendicazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco e ne ha sostenuto l’indipendenza. Il Marocco ha offerto una limitata autonomia, ma ha affermato che il territorio deve rimanere sotto la sua sovranità. Il movimento Polisario, invece, chiede un referendum sull’indipendenza.
  “La decisione israeliana di riconoscere lo status marocchino del Sahara è una grande vittoria per Rabat, consolidando il sostegno internazionale all’integrità territoriale del regno”, commenta Moussaoui Ajlaoui, professore di Scienze politiche dell’Università di Rabat. “Rafforza inoltre le dinamiche molto favorevoli create grazie all’Impulso di Re Mohammed VI negli ultimi anni, aggiunge Alijaoui, che ricorda come nel giro di poco tempo Rabat abbia ottenuto il riconoscimento americano da parte dell’amministrazione Trump, il sostegno alla sovranità marocchina di oltre 15 Paesi europei, tra cui Germania, Spagna, Svizzera, Austria, e infine l’apertura di 28 consolati dei Paesi africani, arabi e latinoamericani nelle province sahariane.
  “Questa decisione faciliterà e incoraggerà gli investimenti israeliani e internazionali nelle province meridionali del Regno”, sostiene Alijaoui. La mossa era in parte attesa, rientrante nelle dinamiche collegate agli Accordi di Abramo, con cui Israele ha normalizzato le relazioni diplomatiche anche con il Marocco, creando un momento particolarmente favorevole a Rabat. Negli ultimi mesi, Israele e Marocco hanno moltiplicato i contatti diplomatici. Il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, ha visitato il Marocco a giugno, dove ha incontrato il ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita. Dopo la visita, i media israeliani avevano già annunciato che Israele stava considerando di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara occidentale.
  Il riconoscimento di lunedì tuttavia rompe con la visione tradizionale di Israele sulla questione. Di norma, a causa del conflitto israelo-palestinese, Israele evita di prendere posizione sulle dispute territoriali in altre parti del mondo. Inoltre, il riconoscimento degli Stati Uniti nel 2020 ha generato la rabbia dell’Algeria, spingendola a bloccare la richiesta di Israele di entrare come osservatore nell’Unione Africana. “È bene sottolineare — aggiunge il professor Alijaoui — che Re Mohammed VI non ha cambiato la posizione a favore dei legittimi diritti del popolo palestinese, che il Sovrano ha elevato al rango di causa nazionale”.
  Il riconoscimento segue anche l’annullamento da parte del Marocco, il mese scorso, dei suoi piani per ospitare il Forum del Negev, il quadro guidato dagli Stati Uniti per promuovere l’integrazione regionale. Usa, Israele, Marocco, Emirati Arabi Uniti e altri Stati arabi avrebbero dovuto partecipare all’incontro di giugno, ma Rabat si è tirata indietro in risposta al piano di Israele di espandere gli insediamenti illegali in Cisgiordania.

(Shalom, 18 luglio 2023)

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Israele riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale

Israele ha riconosciuto ufficialmente la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale e potrebbe aprire un consolato nella città di Dakhla, che si trova in quella regione, ha annunciato l’Ufficio Reale del Regno. Lo riferisce con un lungo articolo il Jerusalem Post. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha comunicato la decisione al Re Mohammed VI per iscritto, ha dichiarato l’Ufficio Reale. Nella lettera, Netanyahu ha dichiarato che Israele “riconoscerà la sovranità del Marocco sul territorio del Sahara occidentale”. Netanyahu “ha indicato che la posizione del suo Paese sarà “riflessa in tutti gli atti e i documenti pertinenti del governo israeliano””, ha precisato l’Ufficio reale. Netanyahu “ha anche sottolineato” che Israele informerà della decisione le Nazioni Unite, le organizzazioni regionali e internazionali e i Paesi con cui intrattiene relazioni diplomatiche.
  Il ministro degli Esteri Eli Cohen ha accolto con favore la decisione di Netanyahu. “Questo passo rafforzerà le relazioni tra i Paesi e i loro popoli” e favorirà la “continuazione della cooperazione per approfondire la pace e la stabilità regionale”, ha dichiarato Cohen. Il Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria, chiede uno Stato indipendente nel Sahara occidentale. La sovranità marocchina sul territorio non è riconosciuta da molti nella comunità internazionale. Gli Stati Uniti lo hanno fatto solo nel 2020, quando hanno mediato un accordo per normalizzare i legami tra Israele e il regno. Solo altri 28 Paesi – per lo più africani e arabi – hanno aperto consolati a Dakhla o nella città di Laayoune, in quello che il Marocco considera un sostegno tangibile al suo dominio sul Sahara occidentale, un territorio nell’Africa nord-occidentale. Il mese scorso, il presidente della Knesset Amir Ohana si era recato a Rabat e aveva parlato a sostegno del riconoscimento da parte di Israele del Sahara occidentale come territorio marocchino. L’annuncio della decisione di Israele sulla questione è arrivato poche ore dopo la nomina del col. Sharon Itach ad addetto militare in quel Paese. È la prima volta che Israele colloca un addetto militare in un Paese dell’Accordo di Abramo.
  I legami tra Israele e Marocco sono rimasti indietro rispetto a quelli dei paesi firmatari dell’Accordo di Abramo, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Nessuno dei due Paesi ha aperto un’ambasciata vera e propria e si affida invece a uffici di collegamento. Le tensioni con il Marocco sono state elevate a causa delle attività di insediamento israeliane. Rabat ha annullato per due volte una riunione del Forum del Negev, che comprende rappresentanti di Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto, Israele e Stati Uniti.

(GEA, 18 luglio 2023)

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Trovato in Galilea un mosaico che mostra scene bibliche

di Michelle Zarfati

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Un mosaico mozzafiato, risalente a circa 1.600 anni fa, è stato scoperto durante gli scavi in un'antica sinagoga vicino al Mare di Galilea.
  Il mosaico è stato ritrovato da un team di archeologi guidati dal Prof. Jodi Magness dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, specializzato nell'archeologia di Israele e Giordania, con particolare attenzione ai periodi romano, bizantino e islamico.
  Il mosaico appena scoperto è costituito da un grande pannello con un'enigmatica iscrizione ebraica al centro, circondata da decorazioni floreali. Ai lati e sotto sono presenti dei fiori, e un'iscrizione aramaica che specifica i nomi di coloro che hanno contribuito alla costruzione dell'antica sinagoga o di coloro che hanno creato il mosaico. La corona floreale è circondata su entrambi i lati da leoni appoggiati alle zampe anteriori, che inseguono dei buoi. L'intero mosaico è adornato con illustrazioni di predatori che inseguono altri animali.
  Negli scavi sono state rivelate ulteriori sezioni del mosaico, precedentemente scoperte nel 2012 e nel 2013. Queste sezioni illustrano la figura del Sansone biblico e una rappresentazione di due coppie di volpi, con torce legate alla coda (che corrispondono alla descrizione nel Libro dei Giudici, Capitolo 15). La nuova scoperta mostra anche due guerrieri filistei.
  Inoltre, gli scavi dello scorso anno includevano un mosaico raffigurante figure chiave dei Giudici 4, tra cui Deborah la profetessa biblica, sotto una palma che fissa Barak figlio di Abinoam, dotato di uno scudo. Un'altra figura presentata è Yael, la moglie di Heber il Kenite, noto per aver ucciso Sisera comandante dell'esercito cananeo del re Jabin di Hazor.
  Secondo la credenza ebraica, durante quell'epoca, il re Jabin di Hazor regnò su Israele attraverso il suo esercito. In assenza di un leader in Israele, il popolo fu sottoposto all'oppressione dei loro nemici. Deborah la profetessa ricevette un comando da Dio di iniziare una guerra contro il re Jabin e Barak, figlio di Abinoam, sarebbe stato vittorioso nella battaglia che ebbe luogo nella valle di Jezreel.
  Esausto, Sisera fuggì a piedi e trovò rifugio nella tenda di Yael, la moglie di Heber il Kenite. Sisera chiese acqua a Yael, e invece gli diede il latte. Mentre dormiva, lei lo uccise trafiggendolo in testa con un picchetto da tenda. Infatti, le figure raffigurate nel mosaico rappresentano le prime descrizioni conosciute delle eroine bibliche Deborah e Yael.
  Il progetto archeologico, guidato dal Prof. Magness dal 2011, ha lasciato un'eredità unica di reperti con un significativo significato storico. Tra questi c'è un'iscrizione in ebraico circondata da figure umane, animali e creature mitologiche, tra cui una figura putto - un bambino maschio paffuto, di solito nudo e molto spesso alato, che nell'arte rappresenta il dio dell'amore (Eros nella mitologia greca e Cupido in quella romana).
  Inoltre, ci sono opere d'arte che documentano l'incontro tra Alessandro Magno e Geddote il Sommo Sacerdote - due delle spie inviate da Mosè per esplorare la terra di Canaan - che trasportano un bastone con un grappolo di uva (un riferimento al peccato delle spie nel Libro dei Numeri, capitolo 13), e un uomo con un animale accanto. Ci sono anche raffigurazioni di animali identificati da un'iscrizione aramaica come i quattro animali che rappresentano quattro regni (nel Libro di Daniele, capitolo 7), il sito biblico di Elim dove gli israeliti si accamparono durante le loro peregrinazioni nel deserto, vicino alle 12 sorgenti e alle 70 palme (come descritto nel Libro dell'Esodo, capitolo 15).

(Shalom, 18 luglio 2023)

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Palestinesi: preferiamo il terrorismo alla pace con Israele

L’amministrazione Biden ha ripreso gli sforzi per rilanciare i negoziati di pace israelo-palestinesi.

di Bassam Tawil (*)

Il 19 giugno, la sottosegretaria di Stato americana per gli Affari del Vicino Oriente Barbara Leaf è arrivata a Ramallah, la capitale de facto dell’Autorità Palestinese (Ap), e ha incontrato Hussein al-Sheikh, un alto funzionario palestinese che ricopre la carica di Segretario generale del Comitato Esecutivo dell’Olp.
   “La signora Barbara ha espresso la preoccupazione dell’amministrazione statunitense per la situazione della sicurezza [in Cisgiordania], ha parlato degli sforzi compiuti dagli Stati Uniti e degli intensi contatti in corso per riportare la calma, e ha esortato le due parti a tornare al tavolo dei negoziati”, ha dichiarato al-Sheikh dopo l’incontro.
   Alla vigilia dell’arrivo della Leaf a Ramallah, tuttavia, la maggioranza dei palestinesi ha nuovamente mostrato una chiara preferenza per il terrorismo contro Israele e gli ebrei. Ha anche espresso opposizione all’idea di una “soluzione dei due Stati”, spesso proposta dall’amministrazione Biden.
   Le opinioni dei palestinesi sono state rese note in un sondaggio d’opinione condotto dal Centro Palestinese di Ricerca Politica e d’Opinione (Psr) con sede a Ramallah, in occasione del 75° anniversario della “Nakba” (“Catastrofe”, il termine usato dai palestinesi per definire la costituzione dello Stato di Israele nel 1948, quando gli eserciti arabi iniziarono – per poi perderla – una guerra per impedire agli ebrei di avere un proprio Stato).
   I risultati del sondaggio, condotto tra il 7 e l’11 giugno, mostrano che l’amministrazione Biden e tutti coloro che continuano a parlare di rilancio del processo di pace tra Israele e i palestinesi vivono nell’illusione. Tali risultati indicano che la maggior parte dei palestinesi è più interessata a uccidere gli ebrei che a fare la pace con loro. I risultati, inoltre, mostrano che la maggior parte dei palestinesi vuole un successore del loro attuale leader, il presidente dell’Ap Mahmoud Abbas, che abbia legami con il terrorismo.
   Secondo il sondaggio, la più alta percentuale di palestinesi (il 24 per cento) ritiene che la nascita di gruppi terroristici islamisti estremisti come Hamas e la Jihad Islamica Palestinese (Jip) è stata “la cosa più positiva o migliore che sia accaduta al popolo palestinese dalla Nakba”. Un altro 21 per cento ha affermato che lo scoppio delle due rivolte o Intifada, nel 1987 e nel 2000, durante le quali più di mille ebrei furono uccisi e altre migliaia vennero feriti in attacchi terroristici, è stata la cosa migliore che sia accaduta al popolo palestinese dal 1948, mentre il 9 per cento ha asserito che la cosa più positiva è stata la nascita di Fatah e l’inizio della “lotta armata”. Ciò significa che la maggioranza dei palestinesi ritiene che i gruppi terroristici e l’uccisione degli ebrei, e non la costruzione di scuole e ospedali, siano il loro più grande successo degli ultimi settant’anni.
   Secondo il sondaggio, più della metà dei palestinesi preferisce una “lotta armata” (terrorismo) contro Israele ai negoziati.
   Il sostegno dell’opinione pubblica palestinese a vari gruppi terroristici che operano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non deve sorprendere. L’unica cosa che sembra turbare l’opinione pubblica palestinese è la possibilità che le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas possano dare la caccia ai gruppi terroristici.
   Più del 71 per cento dei palestinesi si dice favorevole alla formazione di gruppi armati come Lions’ Den e il Battaglione Jenin, secondo i risultati del sondaggio. Si noti che questi gruppi armati sono stati coinvolti nell’ultimo anno in un gran numero di attacchi terroristici contro soldati e civili israeliani. Lions’Den, con sede a Nablus, e il Battaglione Jenin, con sede nel campo profughi di Jenin, hanno trasformato le zone settentrionali della Cisgiordania in un covo di terroristi. I terroristi armati di questi gruppi sono costantemente acclamati dai palestinesi come eroi e martiri.
   Questo culto dell’eroe spiegherebbe le ragioni per cui l’80 per cento dei palestinesi si dice contrario alla consegna dei membri dei gruppi armati e delle loro armi all’Autorità Palestinese. I palestinesi vogliono che i miliziani restino nelle strade e continuino i loro attacchi terroristici contro gli ebrei. La stragrande maggioranza (l’86 per cento) afferma che l’Ap non ha il diritto di arrestare membri di questi gruppi terroristici per impedire loro di compiere attacchi contro Israele. Questa tesi sembra essere uno dei motivi per cui Abbas è riluttante a ordinare alle sue forze di sicurezza di prendere seri provvedimenti contro questi gruppi terroristici e di sequestrare le loro armi. Abbas è senz’altro consapevole dell’ampio sostegno di cui godono i terroristi tra la popolazione palestinese. Indubbiamente, il presidente dell’Autorità Palestinese sa che se si opponesse ai terroristi, sarebbe accusato dalla sua popolazione di essere un traditore e un collaboratore di Israele. Abbas e l’Ap sono già oggetto di aspre critiche per aver condotto il coordinamento della sicurezza con le forze di sicurezza israeliane in Cisgiordania.
   All’inizio di quest’anno, Christiane Amanpour della Cnn ha dichiarato in televisione che “gli ultimi sondaggi condotti da parte palestinese indicano altresì che essi desiderano una soluzione pacifica dei due Stati”. L’ultimo sondaggio, come i precedenti, mostra che Amanpour ha mentito ai telespettatori.
   Secondo quest’ultimo sondaggio del Psr, il sostegno all’idea della “soluzione dei due Stati” è del 28 per cento e l’opposizione è del 70 per cento. Un sondaggio condotto dallo stesso istituto tre mesi prima aveva rilevato che il sostegno per la “soluzione dei due Stati” era solo del 27 per cento e l’opposizione del 71 per cento.
   Per quanto riguarda la scelta dei loro leader, i palestinesi hanno dimostrato ancora una volta di preferire un candidato che ha ucciso ebrei e vuole distruggere Israele a chiunque appaia eccessivamente moderato nei confronti dello Stato ebraico. I risultati del sondaggio hanno rivelato che Marwan Barghouti e Ismail Haniyeh sono più popolari dell’87enne Abbas e lo sconfiggerebbero se le elezioni presidenziali dell’AP si tenessero oggi. Perché? Barghouti, un leader della fazione al governo di Fatah, sta scontando cinque ergastoli per il ruolo avuto in una serie di attacchi terroristici contro gli israeliani due decenni fa. Haniyeh è il leader di Hamas, un gruppo islamista radicale che non crede nel diritto di esistere dello Stato di Israele e il cui statuto invoca apertamente il jihad (guerra santa) per eliminare Israele.
   È indicativo il fatto che mentre l’amministrazione Biden continua a coinvolgere Abbas e l’Autorità palestinese e a inviare i suoi alti diplomatici a incontrarli a Ramallah, la stragrande maggioranza dei palestinesi ha evidentemente perso fiducia nei propri leader. Secondo il sondaggio del Psr, l’80 per cento dell’opinione pubblica palestinese vuole che Abbas si dimetta. Ciò segna un aumento del due per cento rispetto al precedente sondaggio condotto tre mesi prima. Circa il 31 per cento dei palestinesi afferma che Hamas è il più meritevole di rappresentarli e guidarli, contro il 21 per cento che ritiene che lo sia Fatah, la fazione di Abbas. Secondo il 43 per cento degli intervistati, né Hamas né Fatah meritano di rappresentarli.
   Mentre l’amministrazione Biden sembra avere fiducia in Abbas e nella sua Autorità Palestinese, l’84 per cento dei palestinesi, a ragione (si veda quiqui e qui), ritiene che le istituzioni dell’Ap siano corrotte. Inoltre, il livello di insoddisfazione per l’operato di Abbas, secondo il sondaggio, si attesta all’80 per cento.
   I risultati dell’ultimo sondaggio palestinese mostrano che l’amministrazione Biden e l’Unione Europea, credendo di poter promuovere l’idea di una “soluzione dei due Stati” tra Israele e i palestinesi, continuano a illudersi. Gli americani e gli europei sembrano inconsapevoli dei sentimenti dell’opinione pubblica palestinese e preferiscono prestare attenzione soltanto a ciò che gli alti funzionari palestinesi dicono loro a porte chiuse, a Ramallah. I leader palestinesi mistificano chiaramente la realtà quando parlano del desiderio palestinese di raggiungere la pace e creare uno Stato palestinese a fianco di Israele. Dicono questo perché sperano di avere uno Stato in Cisgiordania che potrebbero utilizzare come trampolino di lancio per attaccare Israele. Ed è proprio ciò che fecero i palestinesi dopo che Israele si ritirò dalla Striscia di Gaza, nel 2005, consegnandola così all’Autorità Palestinese: iniziarono a lanciare razzi dalla Striscia di Gaza contro Israele.
   Un sondaggio dopo l’altro ha dimostrato che questi funzionari, tra cui Mahmoud Abbas, ora al 18° anno del suo mandato quadriennale, hanno perso la fiducia della maggior parte dei palestinesi e da anni non rappresentano le opinioni della maggioranza della popolazione palestinese.
   I funzionari degli Stati Uniti e dell’Ue renderebbero a se stessi un grande servizio se vedessero la realtà così com’è, ossia che la maggior parte dei palestinesi è contraria alla “soluzione dei due Stati” e sostiene con forza il terrorismo. La maggior parte dei palestinesi vuole indiscutibilmente essere rappresentata e governata da terroristi.
   I risultati del sondaggio d’opinione non sorprendono coloro che sono a conoscenza dello stato d’animo palestinese. La radicalizzazione è la diretta conseguenza di decenni di lavaggio del cervello e di istigazione contro Israele che avvengono senza sosta nelle moschee, attraverso i media, nelle scuole, nei campus universitari, nello sport, nei campi estivi e persino nei cruciverba. Ai palestinesi viene costantemente detto – falsamente – dai loro leader che, ad esempio, gli ebrei “prendono d’assalto“ e “profanano con i loro piedi sporchi“ la moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme; gli ebrei israeliani “cercano di controllare il mondo“ e che gli ebrei avrebbero mandato topi nella Città Vecchia di Gerusalemme e cinghiali nei campi per cacciare gli arabi dalle loro case, anche se non è ancora chiaro come gli animali fossero addestrati a sapere quali case appartenessero agli arabi e quali agli ebrei.
   Se non altro, i risultati del sondaggio mostrano che gli americani e gli europei stanno perdendo tempo a cercare di convincere i palestinesi a tornare al tavolo dei negoziati con Israele.
   L’Ue o l’amministrazione Biden stanno esercitando pressioni su Abbas e sulla leadership palestinese per reprimere i gruppi terroristici e porre fine alla loro incessante istigazione contro Israele? No, piuttosto l’Unione Europea sta inviando attrezzature ai palestinesi per aiutarli a costruire illegalmente su terreni da negoziare. Gli Stati Uniti, da parte loro, non solo sostengono che la lotta al terrorismo equivalga moralmente a commettere atti terroristici, ma in barba al Congresso statunitense continuano a premiare la politica “dell’impiego” attuata da Mahmoud Abbas del “pagati per uccidere” con il denaro, bene fungibile per eccellenza, incoraggiando i palestinesi a uccidere gli ebrei.
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(*) Bassam Tawil è un arabo musulmano che vive in Medio Oriente.

(Gatestone Institute, 16 luglio 2023 - trad. di Angelita La Spada)

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L’America ebraica in subbuglio; grande attesa per la sentenza a carico di Robert Bowers, autore del massacro alla sinagoga di Pittsburgh

Al processo per la strage di Pittsburgh si attende la decisione finale che verrà emessa entro giovedì.  Pena di morte? O ergastolo? L’autore del massacro è un ex camionista cinquantenne, Robert Bowers, che il 27 ottobre 2018 fece irruzione nella sinagoga Tree of Life uccidendo undici persone.

di Roberto Zadik

Dopo cinque lunghi anni, il processo a carico dell’attentatore Robert Bowers, colpevole di aver ucciso undici persone in preghiera nella sinagoga Tree of Life di Pittsburgh, si sta avviando alla conclusione che, a quanto pare, ne prevederebbe la condanna a morte oppure l’ergastolo. Stando agli articoli di due importanti testate, il Jewish Telegraphic Agency (JTA) e il NY Times, giovedì scorso, il 13 luglio, i membri della giuria, composta da dodici persone, si sono riuniti arrivando alla condanna unanime di Bowers, cinquantenne ex camionista.
  La  valutazione di una serie di aggravanti  li spingerebbe a chiedere la pena capitale per l’autore di quella folle sparatoria in cui, il 27 ottobre 2018, egli ha sfogato il suo odio antisemita dopo aver fatto irruzione nell’edificio. Secondo i giurati ci sarebbero una serie di aggravanti e si sta decidendo, in queste ore, quale provvedimento applicare, escludendo qualsiasi possibilità di rilascio. Durante questa fase finale che  inizierà questa settimana, da lunedì 17 luglio, i giurati ascolteranno le testimonianze di una serie di soggetti coinvolti in quella strage, da quelli più strettamente colpiti, come i parenti delle vittime ed i feriti dai colpi di pistola di Bowers, fino a coloro che hanno assistito impotenti a quanto stava accadendo.
  Tutto dovrebbe concludersi in due o tre giorni con una serie di udienze in cui verranno interpellati circa sette testimoni. Accanto all’accusa ci sarà anche la difesa che esporrà una serie di attenuanti quali i problemi psichici dell’attentatore e le difficoltà della sua vita. Stando a quanto afferma il sito, la sentenza è prevista entro giovedì mattina e si sta valutando il grado di colpevolezza effettiva di Bowers che, a quanto pare, non avrebbe nessun rimorso riguardo a quanto compiuto; la difesa insisterebbe sulla sua schizofrenia e sulla mancanza di un reale intento omicida, elemento indispensabile per l’applicazione della pena capitale.
  Immediate le reazioni dei movimenti ebraici locali, come quella di Jeffrey Finkelstein, Ceo della Federazione ebraica di Pittsburgh, che ribadisce il movente antisemita del gesto che, come specifica, “non è certo questione di equilibrio mentale”. Fra i presenti in tribunale, davanti ai giurati, c’erano due dei poliziotti feriti durante l’attacco, i membri delle famiglie delle vittime e anche i famigliari di Bowers. Descrivendo meticolosamente anche gli stati d’animo della seduta, Kampeas, nel suo articolo, evidenzia l’atmosfera di calma apparente che regnava nella stanza e la freddezza dell’avvocato difensore dell’attentatore, Judy Clarke, nota penalista che “sembrava non provare alcuna emozione, compilando il suo quaderno con una serie di appunti e lo sguardo nascosto dagli occhiali da sole”.
  Il sito del New York Times, nell’articolo di Campbell Robertson, puntualizza la rarità dei processi per le stragi di massa perché la maggioranza delle volte l’attentatore viene ucciso dalle forze dell’ordine e riferisce che, solamente in pochi casi, gli autori di queste sparatorie che sono sopravvissuti sono stati poi condannati a morte; infatti a Charleston, nel 2015, un estremista di destra che aveva sparato su alcuni fedeli afroamericani, mentre entravano in chiesa, ha avuto l’ergastolo come anche il responsabile della sparatoria in Colorado del 2012 in cui morirono dodici persone. L’articolo approfondisce una serie di argomenti interessanti, come la contrapposizione di opinioni fra  i membri delle congregazioni ebraiche progressiste  New Life (Nuova vita) e Dor Chadash (Nuova generazione) che si oppongono duramente alla pena di morte per l’attentatore e le famiglie delle vittime che, invece, inneggiano alla pena capitale per Bowers. In questi giorni i membri di queste congregazioni avrebbero inviato una serie di lettere di protesta per “ragioni etiche e religiose” insistendo sulla gravità di una eventuale esecuzione mentre, al contrario, coloro che hanno perso i loro cari o sono rimasti feriti temono che le attenuanti possano essere “una facile via di uscita per un crimine che merita il massimo della pena” come afferma il testo.

• Cosa sta succedendo in New Jersey?
  Arrestato per minacce a luoghi ebraici il giovane Omar Alkattoul ora rischia cinque anni di carcere
  Contemporaneamente, in questi giorni, in New Jersey, secondo una notizia uscita sempre sul Jewish Telegraphic Agency e firmata da Julia Gergely, un ragazzo di 19 anni sarebbe in stato di arresto, dallo scorso novembre, sospettato di aver minacciato varie sinagoghe ed istituzioni ebraiche. Il giovane, di nome Omar Alkattoul, è stato giudicato responsabile di attacchi verbali, molto aggressivi, ai danni di sinagoghe e scuole ebraiche; inoltre le autorità investigative, come l’FBI, hanno identificato una serie di elementi preoccupanti quali il suo giuramento di fedeltà all’Isis ed il manifesto estremista, da lui pubblicato sui social, intitolato “Quando le spade si incrociano” in cui egli esprimeva tutto il suo odio antiebraico anche se non è chiaro se e quando egli volesse mettere in pratica le sue minacce. Le associazioni ebraiche hanno chiesto alle autorità di prendere precauzioni speciali contro questo giovane che, stando a quanto rivela l’articolo, rischia cinque anni di carcere. Nel testo viene evidenziato quanto sia un periodo estremamente teso per il mondo ebraico americano, dai commenti antisemiti del rapper Kanye West alle minacce di due uomini che, sul web, avevano annunciato l’intenzione di “sparare a una sinagoga” e che sono stati arrestati a New York.

(Bet Magazine Mosaico, 17 luglio 2023)

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Israele, destinazione per ogni viaggiatore, sarà sede della prossima convention Fto

Si terrà in Israele la prossima convention Fto. Sara Salansky, senior director overseas marketing department del Ministero del turismo d’Israele, ha così commentato l’annuncio dell’evento, programmato per gennaio 2024: «Siamo onorati di accogliere un’associazione tanto prestigiosa. Siamo certi che la nostra destinazione saprà sorprendere positivamente chi ancora non la conosce e rafforzare le tipologie di promozione in chi già la promuove, grazie ad un privilegiato momento di co-working».
  Israele sta vivendo un anno positivo sul fronte del turismo: in questi mesi, dopo un inizio promettente che ha rinforzato il dato positivo del 2022, i turisti stanno arrivando da tutto il mondo. In particolare dai mercati: americano, francese e tedesco e anche da quello italiano, che si posiziona al 5° posto. «Nel 2023 sono arrivati circa 85.000 italiani, un dato vicino a quello del 2019: contiamo di crescere ancora nei prossimi mesi e nel 2024 – sottolinea Kalanit Goren Perry, direttrice dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo -. Israele ha realizzato un’importante campagna di sensibilizzazione, presentando mete marine come Eilat, nella parte sud del paese, e mettendo in primo piano il tema dello sport e dell’avventura. Significativo il ruolo del mondo cristiano e cattolico, con la crescita dei pellegrinaggi del 30% rispetto al 2019. Quest’anno è stato riaperto il Santo Sepolcro; sono accessibili anche importanti musei e il Governo ha fatto molti investimenti nelle infrastrutture proprio per arricchire l’esperienza del visitatore. Israele ha tanto da offrire, con un fascino che avvicina passato e futuro: dalla vacanza balneare estiva amata dagli italiani, al percorso religioso e di scoperta della storia antica».
  Momenti diversi da vivere in un’unica vacanza durante la quale visitare Gerusalemme, il centro storico di Giaffa e la giovane Tel Aviv e la sua movida. La città, nominata “La città bianca” dall’Unesco, ha ottenuto il 5° posto del Global Startup Ecosystem, offre musei e spettacoli e festival ed ha riaperto il museo della Torre di Davide. Nei dintorni si può scoprire il suggestivo castello crociato di Nimrod, costruito nel 1193 e collocato in uno splendido parco naturale. Partendo dalla capitale è poi possibile trascorrere qualche giorno al mare, assaporando la ricchezza della gastronomia locale, oppure organizzare interessanti city-break: perché l’Italia è a sole 4 ore di aereo da Israele, che è una destinazione davvero per tutti, ideale in ogni mese dell’anno.
  «I turisti vengono da tutta Italia – prosegue Goren -. Sta anche crescendo il numero delle famiglie e dei giovani, felici di scoprire una meta nuova e inaspettata». Forte l’attenzione alla sostenibilità e il rispetto per la natura che si declinano sia nell’offerta turistica che nella gastronomia. Nel deserto del Negev, per soddisfare la domanda luxury, sono nati l’Israel Hotel&Luxury Spa Resort Six Senses – una realtà immersa nel silenzio e nel fascino delle atmosfere del deserto – mentre il Beresheet Mitze Ramon Hotel, della catena Isrotel, è un resort dall’architettura unica, un efficiente servizio e le camere che si aprono sui 12,5 acri di spazi sabbiosi, con una piscina premiata per la sua bellezza.
  I collegamenti aerei registrano una significativa crescita rispetto al 2019, con più di 120 voli settimanali, anche diretti, operati da molte compagnie, tra cui El Al e Ita Airways in partenza da Fiumicino, Milano Malpensa e Bergamo, Catania, Venezia e Bologna. «Ospitare l’appuntamento annuale dell’Fto è un modo per stringere forti legami con l’industria turistica italiana. Quest’anno ricorre per noi un importante anniversario perché celebriamo i 50 anni della presenza in Italia come Ufficio del Turismo Israeliano – conclude Kalanit Goren – Intendiamo promuovere delle attività per festeggiare la ricorrenza e i legami tra Israele e l’Italia: una vicinanza molto più che istituzionale. Infine rinnoviamo il nostro impegno verso il trade: con diverse iniziative e con la partecipazione al prossimo Ttg con nuovi rappresentanti del turismo israeliano e la compagnia aerea El Al».

(TravelQuotidiano, 17 luglio 2023)

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Israele, riforma giudiziaria: cresce la protesta dei riservisti IDF. Convocata una riunione d’emergenza

Il Ministro della Difesa teme ripercussioni sulla sicurezza a causa nel crescente numero di riservisti delle forze d'elite che rifiutano il servizio volontario

Il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha convocato domenica il Capo di Stato Maggiore e lo Stato Maggiore dell’IDF per una riunione d’emergenza per discutere del crescente numero di riservisti che hanno notificato all’esercito che non si sarebbero più offerti volontari per il servizio dopo la spinta del governo a cambiare il sistema giudiziario.
  Gallant e gli alti comandanti erano preoccupati che la preparazione dell’IDF alla guerra potesse essere compromessa. Dopo l’incontro, i funzionari hanno dichiarato che la questione potrebbe essere presentata al Primo Ministro Benjamin Netanyahu nei prossimi giorni per valutare ulteriormente la situazione.
  Fonti vicine al Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi hanno detto che egli ha chiesto a Gallant di specificare se pensasse che l’esercito sarebbe stato a rischio. L’ufficio di Gallant ha negato la notizia, ma domenica si è tenuta una riunione d’emergenza per determinare la portata dei potenziali danni all’IDF.
  Da quando il ministro della Giustizia Yariv Levin ha annunciato l’intenzione del governo di legiferare una revisione giudiziaria che, secondo gli oppositori, indebolirebbe la posizione della Corte Suprema e di un ramo co-eguale e permetterebbe ai politici di operare senza controllo giudiziario, centinaia di migliaia di israeliani hanno manifestato in proteste di massa settimanali in tutto il Paese.
  A marzo, Gallant ha avvertito il Primo Ministro Benjamin Netanyahu che la sicurezza di Israele era messa a rischio dalla proposta di legge ed è stato prontamente licenziato, provocando un crescendo di proteste e portando i membri delle forze aeree, delle unità di combattimento d’élite, delle unità informatiche e di intelligence di Israele ad annunciare che si sarebbero rifiutati di servire un regime non democratico.
  Dopo le crescenti critiche internazionali, Netanyahu ha lasciato Gallant al suo posto, ha bloccato la legislazione e ha accettato di tenere colloqui con l’opposizione per trovare un ampio consenso. Ma dopo mesi senza un accordo, i colloqui sono stati interrotti e la legislazione è stata nuovamente portata avanti.
  L’IDF cita una lettera di 200 riservisti volontari che prestano servizio nell’unità d’élite Matkal, tutti identificabili per nome, come un rischio maggiore. Nella loro lettera, hanno affermato di sperare ancora che la legge possa essere fermata prima che siano costretti a compiere un passo così drastico come quello di rifiutarsi di servire il proprio Paese. Hanno affermato che la spinta della coalizione ad approvare la legge sta lacerando la società israeliana e distruggendo le fondamenta su cui è stata costruita. “Non possiamo stare a guardare e permettere tutto questo”, hanno detto. “Questa legislazione antidemocratica mina il metodo stesso di governo e la sicurezza della nazione, che si basa su un corpo unito e solidale”.
  Un articolo del New York Times di sabato ha citato alti funzionari delle agenzie di sicurezza israeliane che hanno ammesso, a porte chiuse, che il dispiegamento delle forze armate, in particolare l’aeronautica e la preparazione alla guerra, sono a rischio e che potrebbero essere aggravati dal pensionamento su larga scala del personale in servizio attivo.
  Un gruppo di 800 ex membri dello Shin Bet ha avvertito domenica, in una lettera, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant che la legislazione della coalizione per la revisione del sistema giudiziario rappresenterà un pericolo reale per il Paese e la sua sicurezza ed esporrà i membri del servizio e dell’IDF ad accuse penali all’estero.

(Rights Reporter, 17 luglio 2023)

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Gasdotti. In Israele verrà realizzata una nuova pipeline per il giacimento Leviathan

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TEL AVIV - Il nuovo gasdotto di Energy, Chevron Mediterranean Limited e Ratio Energies aumenterà significativamente la capacità produttiva, da 12 a 14 miliardi di m3 all’anno
  Arriva un terzo gasdotto per Leviathan, il giacimento israeliano in mano a NewMed Energy, Chevron Mediterranean Limited (Cml) e Ratio Energies: i tre operatori hanno deciso di costruire la nuova pipeline che collegherà Leviathan alla sua piattaforma situata a dieci chilometri dalla costa israeliana. Il budget totale per il progetto è di circa 568 milioni di dollari.  

• L’AUMENTO DI PRODUZIONE
  Il nuovo gasdotto aumenterà significativamente la capacità produttiva di Leviathan, con il primo flusso previsto per la seconda metà del 2025. Si prevede un aumento da 12 a 14 miliardi di metri cubi all’anno. Scoperto nel 2010, questo giacimento mediterraneo, situato a circa 130 chilometri a ovest del porto israeliano di Haifa, contiene risorse sfruttabili stimate in circa 605 miliardi di m3 di gas naturale, secondo il consorzio israelo-americano che lo gestisce.

• IL PIÙ GRANDE GASDOTTO
  Si tratta del più grande giacimento di gas naturale offshore di Israele, che produce gas naturale anche nei giacimenti offshore di Tamar e Karish. “L’espansione della capacità produttiva ci permetterà di fornire più gas naturale al mercato locale e regionale e presto anche al mercato globale”, ha dichiarato Yossi Abu, amministratore delegato di NewMed Energy, che detiene i diritti di sfruttamento di oltre il 45% di Leviathan.  

• LEVIATHAN IN PILLOLE
  Scoperto nel 2010, Leviathan è il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo, in virtù di 22,9 trilioni di piedi cubi di gas recuperabile: fornisce il mercato del gas israeliano, la Giordania e l’Egitto. Chevron e Ratio detengono rispettivamente il 39,66% e il 15% delle quote nel campo. Il nuovo gasdotto partirà a 10 km dalla città costiera di Dor, costruito dal consorzio Leviathan con l’israeliana NewMed Energy, l’operatore Chevron e Ratio Energies. I primi flussi di gas inizieranno nel 2025. Il giacimento di gas offshore si trova a circa 120 chilometri a ovest della città portuale di Haifa.
  Come osservato dal ceo di NewMed, Yossi Abu, l’espansione della capacità di produzione e la futura liquefazione tramite un impianto di liquefazione designato consentirà di fornire più gas naturale al mercato locale, regionale e molto presto anche globale. Infatti entro quattro anni il consorzio prevede di raddoppiare la produzione dal giacimento di Leviathan a 24bcmpa. Secondo i tre player i piani per aumentare la produzione annuale e le esportazioni nel 2025 per soddisfare la crescente domanda spingono il valore stimato del giacimento a 12,5 miliardi di dollari.

(E-gazette, 17 luglio 2023)

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Cosa accadeva duemila anni fa davanti al kotel? Ora grazie ad un’app è possibile scoprirlo

di Michelle Zarfati

Che aspetto avevano le famose colonne di rame di Boaz e Jachin? A partire da questa settimana, utilizzando un’app di realtà aumentata, sarà possibile ricostruire il Muro Occidentale come appariva più di duemila anni fa. Si potrà persino viaggiare nel tempo e visitare il sito dall'epoca del Secondo Tempio.
  L'applicazione di realtà aumentata consentirà ai visitatori del Muro Occidentale di scoprire cosa avrebbero visto se si fossero fermati nello stesso punto 2000 anni fa. L'applicazione, chiamata Kotel AR, è stata lanciata dalla Western Wall Heritage Foundation in collaborazione con l'Ufficio del Primo Ministro, in previsione dell'arrivo di milioni di turisti nel sito durante l'estate.
  L'applicazione incorpora un'innovativa tecnologia di realtà aumentata che riconosce ciò che viene visualizzato attraverso la fotocamera del dispositivo mobile, scansionando lo spazio nella piazza del Muro e leggendo le informazioni virtuali su di esso. In questo modo, gli utenti dell'applicazione osservano effettivamente la realtà fisica del sito insieme alla realtà virtuale in un colpo d'occhio.
  Nell'ambito del nuovo servizio, aperto gratuitamente al pubblico e disponibile per il download su dispositivi Android e Apple, il visitatore potrà scoprire l'immagine che avrebbe visto se fosse stato sul posto duemila anni fa.
  “Gli oltre 12 milioni di persone provenienti da tutto il Paese e dal resto del mondo che ogni anno visitano la piazza del Muro Occidentale potranno ora connettersi ancora di più con l'eredità e il passato del Tempio", scrive in una nota la Western Wall Heritage Foundation. La nuova applicazione di realtà aumentata "fornirà ai visitatori un'esperienza storica e affascinante che arricchirà ulteriormente la visita del Kotel insieme ad una varietà di tour e programmi educativi per tutta la famiglia".

(Shalom, 17 luglio 2023)
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La cosa non è affatto entusiasmante. Andiamo sempre di più (con Israele in testa?) verso la sostituzione della realtà con la finzione. E' il campo adatto per il proliferare della menzogna, a tutti i livelli. M.C.

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Israele sviluppa una nuova AI militare in grado di pianificare missioni e selezionare i bersagli migliori in pochi minuti

Le AI sono ormai in grado di svolgere un numero sempre più grande di compiti, che spaziano dal creare immagini partendo da descrizioni testuali allo scrivere righe di codice di programmazione in pochi secondi. In molti, soprattutto tra artisti e programmatori, si dichiarano preoccupati di perdere il lavoro a causa delle Intelligenze Artificiali, ma una recente conferenza a Ginevra sembra aver dato alcune rassicurazioni.
  Un’applicazione di queste nuove tecnologie in ambito militare però non si era ancora mai vista: è di poche ore fa la notizia che, secondo l’Israel Defence Force, le forze armate dello stato d’Israele, lo stato del Medio Oriente stia sperimentando l’Intelligenza Artificiale per ottimizzare le proprie strategie di guerra e scegliere con più dovizia i propri bersagli militari.
  La storia di Israele dall’anno della sua nascita, il 1948, è sempre stata estremamente travagliata, perché la sua presenza è sempre stata fortemente contestata dal mondo arabo, con tensioni che spesso sono sfociate in guerre e schermaglie militari, soprattutto con il popolo palestinese ivi presente. Israele ha sempre puntato molto sulla difesa del proprio territorio, e non a caso le sue forze armate sono considerate tra le più addestrate e preparate del pianeta.

• Come funziona la nuova AI militare israeliana
  Ovviamente non è stato divulgato con dovizia di particolari il preciso funzionamento dell’Intelligenza Artificiale israeliana, ma alcuni ufficiali dell’esercito hanno spiegato che esistono due modelli di AI militare, uno improntato alla raccolta dati per i bombardamenti aerei, un altro (chiamato Fire Factory) destinato al calcolo e all’ottimizzazione delle risorse militari, come il numero di munizioni, il dispiegamento di un dato numero di droni e altre informazioni simili.
  In ogni caso, le decisioni ultime spetteranno sempre agli esseri umani: l’AI sarà sempre controllata da un operatore umano, che deciderà l’approvazione o meno della strategia proposta dal software. Si afferma inoltre che, secondo chi ha creato l’algoritmo alla base dell’AI, con questa tecnologia si ridurranno enormemente le perdite umane.
  Da un lato, si può apprezzare il continuo sviluppo e la ricerca di nuove applicazioni di utilizzo per l’Intelligenza Artificiale, ma dall’altro lato non si può che rimanere spaventati e inorriditi dall’uso militare che ne si sta facendo. Al momento, questa tecnologia non è stata ancora soggetta a regolazioni internazionali, quindi esiste il rischio che si possa abusare di questa nuova, macabra funzionalità delle AI.

(DrCommodore, 17 luglio 2023)

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Netanyahu sotto osservazione dopo la disidratazione in ospedale

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato portato sabato al centro medico Sheba di Ramat Gan dopo essersi sentito male.

GERUSALEMME - Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha trascorso la notte di domenica in ospedale sotto osservazione dopo essersi disidratato il giorno precedente, secondo l'Ufficio del Primo Ministro.
  Il 73enne Netanyahu ha diffuso un video dal Centro Medico Sheba di Ramat Gan, in cui dice: "Sono andato sul Mar di Galilea con mia moglie venerdì, sotto il sole, senza cappello, senza acqua. Non è stata una buona idea".
  "Vorrei innanzitutto ringraziare tutti voi per la vostra preoccupazione e le eccellenti équipe mediche qui a Sheba che mi hanno visitato. Grazie a Dio sto molto bene", ha continuato. "Ma ho una richiesta da farvi: siamo nel bel mezzo di un'ondata di caldo, quindi vi chiedo di passare meno tempo al sole, di bere più acqua e che tutti noi possiamo avere una buona settimana", ha aggiunto Netanyahu.
  In un comunicato congiunto di Sheba e dell'Ufficio del Primo Ministro si legge: "Il Primo Ministro ha trascorso ieri diverse ore al caldo sul Mare di Galilea. Oggi ha lamentato "leggere vertigini" e il suo medico gli ha consigliato di recarsi allo Sheba".
  Il comunicato aggiunge: "Gli esami iniziali hanno rivelato risultati normali, senza che sia stato rilevato nulla di insolito. La valutazione iniziale è di disidratazione. Su consiglio dei medici, il Primo Ministro sarà sottoposto a ulteriori esami di routine".
  Netanyahu è stato portato a Sheba dalla sua casa privata di Cesarea, dove ha trascorso il fine settimana.
  A causa del ricovero di Netanyahu, la riunione settimanale del Gabinetto, che normalmente si tiene la domenica, è stata rinviata a lunedì.
  Netanyahu non ha un successore designato che gli subentri automaticamente come primo ministro in caso di impossibilità a partecipare. Sebbene il ministro della Giustizia Yariv Levin detenga il titolo di vice primo ministro, i ministri dovrebbero votare un primo ministro ad interim.
  La regione del Mediterraneo orientale è nel mezzo di una ondata di calore iniziata mercoledì. Le temperature più alte in Israele sono state registrate a 38°-43 °C nella Valle del Giordano e nelle regioni meridionali di Israele.
  Il Ministero della Salute ha esortato gli anziani e i malati cronici a evitare il sole e ha invitato le persone a bere molta acqua per evitare disidratazione o colpi di calore. Le autorità hanno inoltre vietato l'accensione di fuochi nei luoghi pubblici e hanno messo in allerta speciale uno squadrone di aerei antincendio.

(israel heute, 16 luglio 2023 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele guida la rivoluzione della medicina

di Luciano Bassani

La guerra porta dolore e distruzione per chi la combatte e per chi ne è coinvolto indirettamente.
  In Israele, dove lo stato di guerra è permanente e dove più che in altri Paesi l'effetto del terrorismo continua a lasciare le sue conseguenze, la medicina è divenuta una delle eccellenze mondiali anche per necessità. Dopo che il soldato Daletfu colpito al volto da una pallottola che gli causò gravi lesioni vicino al cervello, agli occhi e alla lingua, i chirurghi del Rambam hospital hanno ricostruito con successo la sua mascella utilizzando una innovativa tecnologia 3D. I medici sono abituati a ricostruire un lato del viso quando l'altro lato è sano e può essere utilizzato come guida, ma nel caso di Dalet ciò non è stato possibile e i medici del Rambam healthcare campus di Haifa hanno dovuto trovare un'altra soluzione. «Nella maggior parte dei casi, eseguiamo l'imaging del lato sano e utilizziamo quelle immagini per pianificare e riparare il lato ferito. Tuttavia, in questo caso, entrambe le parti sono rimaste ferite», ha detto al Times of Israel il professor Adi Rachmiel, direttore del dipartimento di chirurgia orale e maxillofacciale di Haifa.
  I medici hanno creato modelli 3D computerizzati della mascella e li hanno stampati per prepararsi al complesso intervento chirurgico. Hanno eseguito l'operazione e la mascella del soldato è ora pronta per un completo recupero. «Abbiamo utilizzato un nuovo metodo che ha portato a un'operazione rapida e sicura e a ottimi risultati», ha affermato Rachmiel. «Il suo viso tornerà vicino alla normalità, a eccezione di alcune cicatrici sulla pelle».
  La start up Beyeonics, con sede ad Haifa, ha prodotto cuffie digitali per chirurghi oculisti, ortopedici e neurochirurghi. Il sistema combina la realtà aumentata, l'imaging 3D e l'elaborazione di dati, ottenuti grazie all'intelligenza artificiale, supportando il processo decisionale del chirurgo. Robot chirurgici e cuffie digitali: queste sono solo alcune delle innovazioni sviluppate dalla tecnologia israeliana, dove robotica e intelligenza artificiale si combinano, creando una nuova realtà nel campo della medicina e della chirurgia. Lo sviluppo di nuove tecnologie in campo medico, in particolare in quello chirurgico, ha consentito non solo la massima precisione negli interventi ma anche ricoveri più brevi. L'azienda israeliana Human xtensions, per esempio, ha sviluppato un piccolo robot che permette al chirurgo di eseguire con la massima precisione operazioni molto complesse nella cavità addominale, in aree di difficile accesso. Israele, cuore pulsante dell'innovazione della salute digitale, è sede di oltre 450 start up e aziende che promuovono innovazioni personalizzate, come l' analisi della salute e la telemedicina. Investimenti che negli ultimi tre anni si aggirano attorno a 800 milioni di dollari e rappresentano la scintilla della rivoluzione nella medicina che da tempo si attende.

(La Verità, 16 luglio 2023)

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Ciclismo: Israele, Bahrain ed Emirati Arabi insieme nella ‘’Race for Peace’’

di Jacqueline Sermoneta

“La gara mostrerà come il ciclismo e lo sport in generale siano una forza positiva per unire i popoli e le nazioni, creare ponti e avere un mondo più pacifico”. Queste le parole del filantropo israelo-canadese Sylvan Adams, patron del team Professional Israel-premier Tech, promotore di un significativo evento sportivo: una gara ciclistica professionistica per celebrare la pace e gli Accordi di Abramo. Lo riporta il JNS.
  La competizione si svolgerà dal 18 al 22 ottobre 2024 (3 giorni di corsa e 2 di viaggio) in tre tappe - Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti – con un formato innovativo: si partirà da Tel Aviv con una gara ad eliminazione, poi si passerà al Criterium di Manama, in Bahrain, e terminerà con una cronoscalata in cima allo Jebel Hafeet negli Emirati.
  La prima edizione dell’evento si terrà poco prima della cerimonia di consegna dei premi UCI - Union Cycliste Internationale - di fine stagione e dovrebbe riunire tutti i più grandi nomi del ciclismo. Le squadre saranno 20, formate da 5 ciclisti l’una.
  Questo appuntamento agonistico vedrà gareggiare, tra le altre, le squadre Israel-Premier Tech, Baherien Victorius e UAE Team Emirates, e probabilmente, nel 2025 sarà coinvolta anche l’Arabia Saudita che sarebbe in trattativa con la Jumbo-Visma.
  Sylvan Adams è noto per le numerose iniziative promosse soprattutto in ambito sportivo e nel mondo dell’intrattenimento per rafforzare l’immagine dello Stato ebraico: ad esempio, ha portato Lionel Messi e la nazionale di calcio argentina per un’amichevole a Tel Aviv, Madonna all’Eurosong Contest e ha organizzato la finale della Supercoppa di Francia sempre nella città israeliana. È stato anche l’artefice della partenza del Giro d’Italia 2018 da Gerusalemme.

(Shalom, 16 luglio 2023)

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Ricerca scientifica e filantropia, l’omaggio dell’Università ebraica

Viviana Kasam
Fondatrice con Rita Levi-Montalcini dell’associazione no-profit BrainCircleItalia e animatrice di numerosi progetti incentrati sulle eccellenze della ricerca scientifica, con un’attenzione di riguardo allo sviluppo dei rapporti tra Italia e Israele, Viviana Kasam siede da tempo nel board dell’Università ebraica di Gerusalemme. Un impegno di lungo corso, segnato da varie iniziative dal respiro internazionale e premiato ora dall’ateneo con il conferimento del dottorato honoris causa in filosofia.
  Nella motivazione del riconoscimento, che le sarà assegnato nel giugno del prossimo anno, in risalto l’attività svolta sotto il cappello di BrainCircleItalia e un recente progetto sulle “emozioni” avviato nel nome della grande scienziata torinese, oltre all’azione filantropica di cui l’Università e i suoi studenti hanno beneficiato nel corso degli anni. “Sono molto orgogliosa. L’Università ebraica di Gerusalemme, prossima a festeggiare il centenario dalla sua inaugurazione, è la più grande e importante università d’Israele. E una delle 100 più importanti al mondo. Un punto di riferimento, nato nel segno di figure come Albert Einstein e Sigmund Freud”, commenta Kasam.
  Il rapporto con l’Università, autorità mondiale nel campo delle neuroscienze, è iniziato proprio con Brain Circle. Ed è proseguito, anche in ambito divulgativo, per far conoscere a un vasto pubblico “novità e ricerche di valore”. Nel comunicare a Kasam il riconoscimento il presidente dell’Università ebraica Asher Cohen e il rettore Tamir Sheafer sottolineano anche, oltre ai risultati, l’attitudine da lei dimostrata, “seguendo gli insegnamenti del padre”, alla tzedakah e alla promozione della cultura ebraica.

(moked, 16 luglio 2023)

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Chi era Joan Rivers, la ‘vera’ Mrs Maisel?

di Pietro Baragiola

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Dopo cinque stagioni, 20 Emmy awards e molto umorismo ebraico, la pluripremiata serie TV La fantastica signora Maisel ha raggiunto la sua epica conclusione mostrandoci la protagonista, Midge, coronare il suo sogno e diventare una delle comiche più celebri al mondo.
  Molti non sanno che, pur essendo un personaggio inventato, la signora Maisel, cercando di imporsi nel mondo maschilista della stand-up comedy grazie alle sue battute sprezzanti ed abiti scintillanti, è stata creata traendo ispirazione da una celebrità realmente esistita, emblema della comicità ebraica americana: Joan Rivers (nella foto in basso, sotto a Rachel Brosnahan, interprete di Midge Maisel).
  Nota per il suo accento newyorkese, la battuta pronta e quello spiccato senso dell’umorismo con cui trasformava drammi personali in sketch divertenti, Rivers, mancata nel 2014, fu una delle prime pioniere della stand-up comedy femminile, illuminando la strada per personalità del calibro di Whoopi Goldberg e Amy Schumer. “Il nostro non è un lavoro, ma una vocazione: rendiamo felici le persone” affermò Rivers.

• La carriera speculare di Joan Rivers e Midge Maisel
  Creata da Amy Sherman-Palladino, la serie ha debuttato su Amazon Prime nel 2017 portando gli spettatori nella versione scintillante e colorata del mondo della stand-up comedy newyorkese degli anni ’60. Protagonista è l’ebrea Midge Maisel (interpretata da una bravissima Rachel Brosnahan) che, dopo essere stata tradita dal marito, scopre il proprio talento come cabarettista. Le sue battute pungenti e fuori dagli schemi sono ispirate dalla leggendaria comica Joan Rivers, venuta a mancare nel 2014.
  Come Midge, Joan nacque a New York City da una famiglia di origine ebraica. Uno dei luoghi più importanti della sua carriera di comica fu lo storico Gaslight Café, il palco del Greenwich Village che negli anni ’60 fu punto di ritrovo dei nomi più importanti della stand-up comedy americana, da Woody Allen a George Carlin. È proprio al Gaslight Café che, nella serie, Midge fa il suo debutto sul palco per poi tornarci diverse volte ad affinare le proprie abilità, su consiglio dello straordinario comico ebreo e amante occasionale Lenny Bruce.
  Nel mondo reale Bruce fu anche uno dei principali motivatori e mentori di Joan Rivers. L’attrice dichiarò infatti che, dopo uno dei suoi primi fiaschi davanti al pubblico, Bruce le diede un biglietto con su scritto “Tu hai ragione, loro torto” e lei lo conservò per anni, leggendolo ogni volta che le cose si facevano difficili.
  Grazie alla sua determinazione, poco tempo dopo Joan fece il suo debutto al celebre Tonight Show condotto da Johnny Carson, diventando un volto famigliare nelle case di tutti gli americani: un’ascesa molto simile a quella di Midge dopo la sua partecipazione al Gordon Ford Show.
  Tra tutte le caratteristiche che legano le due comiche la principale consiste nella loro abilità di affrontare tragedie personali (il tradimento per Maisel e il suicidio del marito per Rivers), trovando conforto nel loro mestiere ed emergendone ancora più forti. Rivers in particolare passò alla storia per essere in grado di trasformare le sue disavventure in battute audaci: “Mio marito voleva essere cremato e allora gli ho detto che avrei sparso le sue ceneri da Neiman Marcus, così sarei andata a trovarlo tutti i giorni”.

• Le regine della stand-up comedy ebraica
  “Cosa prepara la madre ebrea per cena? Le prenotazioni”. Questa era l’immagine della tipica ebrea americana quando gli uomini controllavano il mondo del cabaret: materialiste e sfaticate, le donne erano il bersaglio principale degli sketch comici maschili. Fu Joan Rivers a riscrivere il copione con una comicità esilarante ed irriverente, ridendo di sé come donna e trasformando i crudeli stereotipi sulla femminilità ebrea in punti di forza stupendi.
  La sua carriera però non fu priva di intoppi, ed anzi venne ostacolata proprio da alcune comiche della comunità ebraica newyorkese, prima fra tutte Totie Fields. Fields era diventata celebre per i suoi sketch sulla cucina, il matrimonio e le pulizie ma, a differenza di Rivers, la sua comicità era considerata “comoda” poiché si assoggettava al patriarcato degli anni ’50 piuttosto che sfidarlo.
  Vedendo in Joan lo stereotipo della “perfetta principessina ebrea di buona famiglia”, Totie cercò in tutti i modi di ostacolare la carriera della rivale, denigrandola e diffondendo commenti negativi sui suoi spettacoli, con la convinzione di essere l’unica “comica ebrea”.
  “Totie era una combattente di strada, sprezzante contro chiunque entrasse nel suo territorio” spiegò Rivers che, nonostante i sabotaggi, si esibì a Broadway, al Carnegie Hall e diventò la prima donna a condurre un proprio talk show notturno.
  Totie invece si ammalò gravemente: il diabete le causò l’amputazione della gamba sinistra nel 1976 e l’anno successivo dovette rimuovere un tumore al seno. Ciononostante non si fermò mai e registrò nel 1978 uno speciale HBO intitolato Totie Returns che riscosse molto successo. Questa sua grande tenacia di fronte alla malattia la portò ad essere nominata “Entertainer of the Year” dall’American Guild of Variety Artists, convincendosi persino a seppellire la rivalità con Joan: dopo l’esibizione di Rivers al nuovo MGM Grand di Las Vegas, Fields si recò al camerino della rivale per informarla che era stata in platea e lo spettacolo le era molto piaciuto. “Totie era da sola, con cento chili in meno, zoppicante, cieca e coraggiosa, coraggiosa, coraggiosa” affermò Rivers.
  Questo gesto mise finalmente fine alla loro faida e le due rimasero amiche fino alla morte di Fields pochi mesi dopo, legate dalla convinzione di essere due donne che si erano fatte strada da sole in un business dominato da uomini.
  Il loro fantastico rapporto ispirò la rivalità tra Midge Maisel e Sophie Lennon (interpretata dalla magistrale Jane Lynch) in La fantastica signora Maisel.

• Casting e orgoglio ebraico
  Nonostante la figura di Midge Maisel abbia caratteri che la rendono unica rispetto a Joan Rivers, far interpretare la protagonista ad un’attrice non ebrea, specialmente in uno show concentrato sulla comicità ebraica, ha provocato numerose polemiche. La fantastica signora Maisel presenta diverse scelte di casting che hanno causato queste polemiche: Tony Shalhoub e Marin Hinkle (interpreti dei genitori ebrei di Midge) non sono di origine ebraica così come non lo è Luke Kirby (interprete del comico Lenny Bruce).
  Ciononostante è innegabile che Rachel Brosnahan interpreta in maniera magistrale l’ambiziosa Midge Maisel, vincendo tre Golden Globe per il ruolo ed esprimendo l’ebraismo della protagonista con grande gioia e serenità. Questo orgoglio per la propria identità ebraica era tipico di Joan Rivers che, oltre ad includere nel suo testamento diversi enti ebraici, ha sempre ritenuto che era diritto degli ebrei crearsi il proprio posto nel mondo, camminando sempre a testa alta: “Se Dio avesse voluto che ci piegassimo, avrebbe coperto la terra di diamanti”.

(Bet Magazine Mosaico, 16 luglio 2023)

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Dio è sionista?

di Reinhold Federolf

Per alcuni, questo è un tema provocatorio, allo stesso livello della domanda: «Il diavolo può essere salvato?» Ma la complessità del quesito non dovrebbe impedirci di conoscere meglio il Dio della Bibbia. « ... se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio» (Atti 5:39).
  Che cosa significa «sionismo»? Il sionismo è il termine usato per descrivere un movimento politico moderno che si è prefisso l'obiettivo di riportare gli ebrei nella loro terra.
  Il movimento ha acquisito sempre più slancio verso la fine del XIX secolo, soprattutto a causa della discriminazione, della persecuzione e dello sterminio degli ebrei. Per alcuni anni, il terribile Olocausto costrinse i popoli a essere solidali con il rimpatrio degli ebrei nella terra dei loro padri.
  L'inno nazionale israeliano HaTikwa (Speranza) è una reinterpretazione positiva della visione di Ezechiele del campo delle ossa secche: «La nostra speranza è persa!» (Ezechiele 37:11). Il testo è tratto da un poema con 10 versi di Naphtali Herz Imber (1856-1909), nato in Ucraina. La sua poesia «Tìkvatenu» (Our Hope) divenne per la prima volta una nota canzone sionista. Quando la prima strofa fu eletta l'inno nazionale dello stato di Israele appena formato nel 1948, la parte riguardante il desiderio di tornare a Sion fu adattata.
  L'inno mette in chiaro che la preoccupazione del sionismo va al di là dell'aspetto puramente politico e comprende senza dubbio un anelito religioso: «Finché ci vive un'anima ebraica nel cuore ad est, in avanti, guarda con un occhio a Sion, a patto che la nostra speranza non sia persa. La speranza di avere dopo duemila anni, un popolo libero, nel nostro paese, nella terra di Sion a Gerusalemme!»
  Sionismo cristiano: una pericolosa eresia? Spesso nelle dichiarazioni si sentono frasi come: «i fondamentalisti ostacolano il processo di pace!» Oppure: «il comportamento di Israele rende difficile l'evangelizzazione tra i musulmani! Il sionismo è sinonimo di razzismo e politica dell'apartheid!» Queste dottrine, specialmente quando provengono da individui o gruppi cristiani, non devono restare senza risposta. La tesi difesa nel "conflitto" tra i cristiani è: «Non c'è la Terra Promessa nel Nuovo Testamento!» Il problema è che manca in molti ambienti la comprensione che il termine «Sion» esprime tutto ed è un termine che si ripete 167 volte nella Bibbia.
  Coloro che studiano attentamente i passaggi rilevanti concludono inevitabilmente che Sion era, è, e sarà di importanza basilare per il nostro Dio. Paolo cita in questo contesto il profeta Isaia e sottolinea che le parole del Vecchio Testamento predette molto tempo fa si compiranno nel futuro e tutto Israele sarà salvato, come è scritto in Isaia 59:20:

    «Un salvatore verrà per Sion e per quelli di Giacobbe che si convertiranno dalla loro rivolta», dice il Signore».

In questo verso è confermata la restaurazione di Giacobbe (il popolo di Israele), la terra promessa e la presenza di Dio nel Nuovo Testamento.
  La Bibbia «parla ebraico»: Gesù è chiamato il leone della tribù di Giuda, e il nostro futuro è ebreo. Pertanto, Paolo avverte in Romani prima di ogni esclusivismo pagano-cristiano:

    «Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell'olivo, non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te» (Romani 11:17-18).

Qui diventa chiaro che Dio non ha affatto sostituito Israele con la Chiesa. Questa visione errata viene spesso espressa in ambienti cristiani dove non si ascolta mai una predicazione sull'argomento o si fa una preghiera in favore degli ebrei davanti al Dio di Israele. Tuttavia, l'assenza di peso dottrinale nei confronti di Israele causa disorientamento e incertezza provocando spesso tendenze antisemite.
  In particolare, gli ultimi capitoli dell' Apocalisse vietano l'internazionalizzazione della nuova Gerusalemme. Per esempio, ricordare che i nomi delle dodici tribù di Israele possono essere visti sopra le porte di perle della Gerusalemme celeste dovrebbe darci spunti di riflessione. Israele è particolarmente enfatizzato nel contesto dei nuovi cieli e della nuova terra:

    «Infatti, come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per creare rimarranno stabili davanti a me», dice il Signore, «così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome» (Isaia 66:22).

C'è un altro riferimento che riguarda Sion nel Nuovo Testamento in Apocalisse: Gesù starà sul Monte Sion con 12.000 discendenti per ogni tribù di Israele.

    «Poi guardai e vidi l'Agnello che stava in piedi sul monte Sion e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulla fronte» (Apocalisse 14:1).

Se in qualche modo interpretiamo questo allegoricamente o simbolicamente e lo riferiamo alla Chiesa, allora siamo tra coloro che portano via qualcosa (Apocalisse 22:19).
  Tutti i cristiani fedeli alla Bibbia concordano sul fatto che quando Gesù tornerà, sarà sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme come detto in Atti 1:10-12:

    «E come essi avevano gli occhi fissi al cielo, mentre egli se ne andava, due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo». Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, che è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato. »

Questo evento è descritto in dettaglio alla fine del libro di Zaccaria:

    «In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi, che sta di fronte a Gerusalemme, a oriente, e il monte degli Ulivi si spaccherà a metà, da oriente a occidente, tanto da formare una grande valle; metà del monte si ritirerà verso settentrione e l'altra metà verso il meridione. Voi fuggirete per la valle dei miei monti, poiché la valle dei monti si estenderà fino ad Asal; fuggirete come fuggiste per il terremoto ai giorni di Uzzia, re di Giuda; il Signore, il mio Dio, verrà e tutti i suoi santi con lui» (Zaccaria 14:4-5).

Questo annuncerà l'inizio del regno di Gesù, il Messia di Israele. Quindi ci sarà la restaurazione di tutte le cose (Atti 3:21), e il tempo promesso di ristoro e benedizione per Sion (Atti 3:19). Sarà meraviglioso!
  Dobbiamo stare attenti a non togliere e non aggiungere nulla alla Parola di Dio:

    «Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell'albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro» (Apocalisse 22:18-19).

Da questo avvertimento molto serio, sembra che Dio si aspetti che comprendiamo correttamente la rivelazione. Alcune affermazioni errate possono anche essere frutto dell'ignoranza conseguente alla mancanza di studio della Bibbia, ma ci può essere anche la manipolazione cosciente al fine di costruire un edificio teologico per giustificare il peccato o le tendenze settarie.

    «Perché, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi; che cioè, un indurimento parziale s'è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili» (Romani 11:25).

Questo è un versetto biblico centrale. In tre capitoli della lettera ai Romani, capitoli 9, 10 e 11, Paolo spiega l'argomento Israele ai non ebrei salvati. Egli non evidenzia la salvezza individuale durante l'attuale epoca della Chiesa, ma ciò che verrà dopo la Chiesa, cioè la salvezza di Israele! Paolo chiama la conclusione della Chiesa «abbondanza» o «pienezza dei Gentili». Con questa espressione si intende un numero concreto che solo Dio conosce nella sua onniscienza. La parola «finché» lampeggia qui come una spia rossa, specialmente per le chiese e le denominazioni che danno spazio alla teologia della sostituzione e non possono o non vogliono fare nulla con Israele!
  Questo «finché» appare anche in Matteo 23:37-39:

    «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Poiché vi dico che d'ora innanzi non mi vedrete più, finché diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

Qui il Signore parla duramente contro il popolo di Israele. Oggi osserviamo a ritroso un periodo storico di quasi duemila anni di dispersione ebraica.
  Gesù lo annunciò anche altrove:

    «E cadranno sotto il taglio della spada, e saran menati in cattività fra tutte le genti; e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi dei Gentili siano compiuti. » (Luca 21:24).

Il «verso» in queste due profezie di Gesù è chiaramente diretto a Israele, non alla Chiesa ed è innegabilmente vicino, perché queste profezie includono automaticamente la promessa della terra data al patriarca. Il ritorno degli ebrei nella terra dei padri è senza dubbio un grande segno per tutti noi! Se la pazienza di Dio con i Gentili è finita, la situazione a Gerusalemme cambierà sicuramente. Da una prospettiva biblica, viviamo oggi (almeno dalla fondazione di Israele nel 1948) in un periodo di transizione. E studiando la profezia biblica, sappiamo cosa accadrà dopo questa fase: la completa restaurazione di Israele!
  La domanda dei discepoli di Gesù, che erano preoccupati per Israele dimostra la sua ferma speranza del Regno Messianico della pace:

    «Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele? Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra. E dette queste cose, mentr'essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro» (Atti 1:6-9).

Il contesto e la logica ci portano alla seguente conclusione: la risposta di Gesù alla tipica domanda nazionalista ebraica sulla restaurazione di Israele non è una negazione o un rifiuto. Il nostro Signore sottolinea chiaramente solo ciò che ora è una priorità nel programma di Dio: la proclamazione universale del Vangelo, chiamata anche periodo della Chiesa. Ciò che concerne Israele è stato chiaramente rinviato, ma in nessun modo revocato!
  Il diavolo conosce il significato di Sion?
  In Ezechiele scopriamo importanti rivelazioni e informazioni riguardanti Lucifero:

    «Eri un cherubino dalle ali distese, un protettore. Io t'avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio, camminavi in mezzo a pietre di fuoco» (Ezechiele 28:14).

La Bibbia luterana dice: «Ti ho posto sulla santa montagna di Dio». Senza dubbio, il cherubino caduto conosce la volontà chiaramente rivelata di Dio, poiché anche noi abbiamo letto della montagna di Dio:

    «Eppure, dirà, io ho stabilito il mio re sopra Sion, monte della mia santità» (Salmo 2:6) e: «Il Signore regnerà su di loro, sul monte Sion, da allora e per sempre» (Michea 4:7).

Poiché Satana ha come caratteristica quella di essere l'avversario, come tale lotta contro questo re con tutte le sue forze.

    «Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia e non sia stato manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch'egli è Dio» (2 Tessalonicesi 2:3-4).

Chiunque pensi che il riferimento è in qualche modo alla Chiesa, sminuirà di molto il conflitto cosmico. Questo riguarda l'attacco al centro del mondo! Dio permetterà un «piccolo» tempo in cui l'apparente Dio-uomo, l'Anticristo, si siederà nel tempio ricostruito a Gerusalemme. Poi, quando Gesù, il vero re divino apparirà, lo pseudo-Dio sarà esposto come un burattino di Satana al mondo:

    «E allora sarà manifestato l'empio, che il Signor Gesù distruggerà col soffio della sua bocca, e annienterà con l'apparizione della sua venuta». (2 Tessalonicesi 2:8).

Sì, il diavolo conosce il significato di Sion meglio di tutti i profeti e seguaci della teologia della sostituzione messi insieme! Alla prima venuta di Gesù, i demoni tremavano:

    «Ed ecco si misero a gridare: Che v'è fra noi e te, Figliuol di Dio? Sei tu venuto qua prima del tempo per tormentarci!» (Matteo 8:29).

Testimoniarono che Gesù era il Figlio di Dio, ed erano consapevoli esattamente quale fosse il loro destino. I sacerdoti e gli scribi, d'altra parte, semplicemente si rifiutarono di accettarlo e respinsero la salvezza offerta.
  Dio è un sionista? Come abbiamo accennato Sion non si limita a Gerusalemme o al monte Sion, ma abbraccia l'intero paese abitato da persone, come ribadito nei seguenti versi:

    «Ma Sion ha detto: 'L'Eterno m'ha abbandonata, il Signore m'ha dimenticata'. Una donna dimentica ella il bimbo che allatta, cessando d'aver pietà del frutto delle sue viscere? Quand'anche le madri dimenticassero, non io dimenticherò te. Ecco, io t'ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stan del continuo davanti agli occhi. I tuoi figliuoli accorrono; i tuoi distruttori, i tuoi devastatori s'allontanano da te. Volgi lo sguardo all'intorno, e mira. Essi tutti si radunano, e vengono a te. Com'è vero ch'io vivo, dice l'Eterno, tu ti rivestirai d'essi come d'un ornamento, te ne cingerai come una sposa. Nelle tue rovine, ne' tuoi luoghi desolati, nel tuo paese distrutto, sarai ora troppo allo stretto per i tuoi abitanti; e quelli che ti divoravano s'allontaneranno da te» (Isaia 49: 14-19).

Dio ha promesso al suo popolo la raccolta dopo la dispersione, il ritorno alla terra dei padri:

    «Ecco, io li riconduco dal paese del settentrione, e li raccolgo dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e quella in doglie di parto: una gran moltitudine, che ritorna qua. Vengono piangenti; li conduco supplichevoli; li meno ai torrenti d'acqua, per una via diritta dove non inciamperanno; perché son diventato un padre per Israele, ed Efraim è il mio primogenito. O nazioni, ascoltate la parola dell'Eterno, e proclamatela alle isole lontane, e dite: 'Colui che ha disperso Israele lo raccoglie, e lo custodisce come un pastore il suo gregge'» ( Geremia 31:8-10).
    «Ed io ho messo le mie parole nella tua bocca, e t'ho coperto con l'ombra della mia mano per piantare de' cieli e fondare una terra, e per dire a Sion: 'Tu sei il mio popolo'» (Isaia 51:16).

Dio non è solo un sionista, ma prenderà parte anche all'aliyah (ritorno in Israele) e vivrà in Sion:

    «E voi saprete che io sono l'Eterno, il vostro Dio, che dimora in Sion, mio monte santo; e Gerusalemme sarà santa, e gli stranieri non vi passeranno più ... Ma Giuda sussisterà per sempre, e Gerusalemme, d'età in età; io vendicherò il loro sangue, non lo lascerò impunito; e l'Eterno dimorerà in Sion» (Gioele 3:17, 20-21).
    «Manda gridi di gioia, rallegrati, o figliuola di Sion! poiché ecco, io sto per venire, e abiterò in mezzo a te, dice il Signore ... Così parla il Signore: «Io torno a Sion e abiterò in mezzo a Gerusalemme; Gerusalemme si chiamerà la Città della fedeltà, il monte del Signore degli eserciti, Monte santo». (Zaccaria 2:10, 8:3 ).

Queste sono promesse forti che dimostrano l'amore di Dio per Israele!
  Particolarmente suggestivi in questo contesto sono i versi in cui Dio usa parole come «eterno» o «per sempre»: «Perché il Signore ha scelto Sion ed è come se vivesse lì.

    «Poiché il Signore ha scelto Sion, l'ha desiderata per sua dimora. Questo è il mio luogo di riposo in eterno; qui abiterò, perché l'ho desidererete» (Salmo 132:13-14).

E il Signore gli disse (al re Salomone):

    «Io ho esaudito la tua preghiera e la supplica che hai fatta davanti a me; ho santificato questa casa che tu hai costruita per mettervi il mio nome per sempre. I miei occhi e il mio cuore saranno lì per sempre» (1 Re 9:3).

Sfortunatamente, questi aspetti sono stati ampiamente trascurati o reinterpretati negli ultimi 2000 anni di storia della Chiesa. Ma Sion è il centro del mondo! Un giorno, il monte Sion, sarà la sede del Signore e vi si riverseranno persone provenienti da tutte le nazioni (Isaia 2:1-4). Persino i sopravvissuti dei popoli che si erano precedentemente stabiliti a Gerusalemme saliranno sul Monte Sion per adorare il vero Dio, il Dio di Israele (Atti 14:16). Sion è il luogo in cui il servo del Signore, come Agnello di Dio, ha tolto i peccati del mondo:

    «Io faccio avvicinare la mia giustizia; essa non è lontana, la mia salvezza non tarderà; io metterò la salvezza in Sion e la mia gloria sopra Israele» (Isaia 46:13).

Colui che accetta personalmente questa salvezza diventa un cittadino di Sion:

    «E si dirà in Sion: ‘Questi e quello sono nati in essa; e l'Altissimo la renderà stabile’. Il Signore farà il censimento e nel registrare i popoli dirà: «Questi è nato là». (Salmo 87:5-6).

Quindi il piano finale di Dio è:

    - per gli ebrei: «Essi conosceranno che io sono il Signore, il loro Dio, quando, dopo averli fatti deportare fra le nazioni, li avrò raccolti nel loro paese e non lascerò là più nessuno di essi» (Ezechiele 39:28).
      - per il paese: «Io li pianterò nella loro terra e non saranno mai più sradicati dalla terra che io ho dato loro», dice il Signore, il tuo Dio» (Amos 9:15).
      - per Gerusalemme: «Tutta la valle dei cadaveri e delle ceneri e tutti i campi fino al torrente Chidron, fino all'angolo della porta dei Cavalli verso oriente, saranno consacrati al Signore, e non saranno più sconvolti né distrutti, per sempre» (Geremia 31:40).

Queste sono le tre parti del sionismo - popolo, terra e Gerusalemme: Sion - confermato direttamente da Dio stesso! Tuttavia, il sionismo ha ancora una quarta componente, cioè la presenza di Dio in mezzo al suo popolo:

    «Il Signore regnerà su di loro, sul monte Sion, da allora e per sempre» (Michea 4:7).
    «Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l'aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante. Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore pronuncerà; sarai una splendida corona in mano al Signore, un turbante regale nel palmo del tuo Dio. Non sarai chiamata più Abbandonata, la tua terra non sarà più detta Desolazione, ma tu sarai chiamata La mia delizia è in lei, e la tua terra Maritata; poiché il Signore si compiacerà in te, la tua terra avrà uno sposo. Come un giovane sposa una vergine, così i tuoi figli sposeranno te; come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio» (Isaia 62:1-5).

Oggi sperimentiamo una parte di queste grandi promesse, specialmente quando viaggiamo in Israele. Ma è anche riconoscibile come l'avversario inciti, usi e abusi contro Israele. Ciò non riguarda solo i vicini (in senso geografico) di Israele, ma le persone in tutto il mondo.
  Ecco perché dovremmo pregare, sostenere e difendere Israele:

    «Pregate per la pace di Gerusalemme! Quelli che ti amano vivano tranquilli!» (Salmo 122:6).

Quando preghiamo per la pace di Gerusalemme, stiamo in realtà pregando per la venuta del Principe della Pace, il divino Messia, perché solo Lui porterà la Vera Pace.

(Chiamata di Mezzanotte, mag/giu 2018)



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