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Notizie giugno 2013
Autentica apartheid: un ebreo italiano non può entrare nel territorio gestito da AP
La lettera di Emanuel Segre Amar inviata a Mamhoud Abbas, nell'impossibilità di poterla consegnare di persona come membro della delegazione torinese che doveva colloquiare con l'Autorità Palestinese, ha avuto un'eco internazionale, anche se ancora troppo lieve in relazione alla gravità del fatto. Riportiamo parte di un articolo di Arutz Sheva 7 del 28 giugno scorso che cita un articolo di Giulio Meotti sull'argomento.
Il concetto di rimozione di una comunità religiosa o etnica da una certa regione rievoca i momenti bui della seconda guerra mondiale, ma è diventato un fatto comune quando è applicato a una parte della terra di Israele.
Una recente visita ufficiale a Ramallah, la "capitale" dell'Autorità palestinese, da parte della delegazione ufficiale della città italiana di Torino, guidata dal sindaco di sinistra Piero Fassino, non ha potuto comprendere il vicepresidente della comunità ebraica, Emanuel Segre Amar.
Perché? Perché è EBREO. Sì, perché è EBREO.
Perché le istituzioni italiane e i loro rappresentanti hanno accettato la richiesta araba di una zona "Judenrein", come i nazisti chiamavano le entità prive di ebrei?
Emanuel è il figlio di Sion Segre Amar, una famosa figura della comunità ebraica di Torino nei primi anni del XX secolo, un coraggioso pioniere sionista che è stato condannato al carcere da un tribunale fascista e gettato in prigione insieme a Leone Ginzburg. E' vergognoso che a suo figlio non sia stato permesso di mettere piede nei "territori occupati". Sì, occupati, ma dai deprecabili islamisti e antisemiti.
Segre Amar non ha potuto mettere piede nemmeno nella zona controllata dall'Autorità Palestinese di Hebron, la culla dell'ebraismo e del popolo ebraico.
Nel dicembre 2010, il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha detto chiaramente: "Non permetterò mai a un israeliano di vivere tra noi sulla terra palestinese".
Ecco perché oggi non si può trovare nemmeno un Ebreo a Tulkarem, Nablus, Jenin, Ramallah o a Gaza. Questo è l'unica apartheid, la vera apartheid, ed è sostenuta da Barack Obama, da burocrati europei, da multiculturalisti occidentali, da istituzioni cristiane e - non dimentichiamolo - da ebrei liberali.
Emanuel Segre Amar ha consegnato una lettera a Mahmoud Abbas, che qui riportiamo.
Segue il testo inglese della lettera, di cui abbiamo riportato la traduzione integrale il 18 giugno.
(Notizie su Israele, 30 giugno 2013)
Netanyahu: referendum su ogni eventuale accordo di pace
GERUSALEMME, 30 giu. - Ogni eventuale futuro accordo di pace con i palestinesi sara' sottoposto ad un referendum popolare. Lo ha assicurato oggi il primo ministro israeliano, aprendo il consueto consiglio dei ministri della domenica, dopo aver avuto ieri sera un incontro di sei ore con il segretario di Stato americano John Kerry. In tal modo, Netanyahu ha voluto garantire la tenuta del governo, all'interno del quale non tutti sono favorevoli al negoziato.
(Adnkronos, 30 giugno 2013)
Tradotto in ebraico il libro "Mosè Di Segni, medico partigiano"
SAN SEVERINO MARCHE - Dopo l'annuncio, dato nei mesi scorsi, è arrivata l'edizione ebraica del libro "Mosè Di Segni, medico partigiano", pubblicazione realizzata, nella versione originale, dall'Anpi e dal Comune di San Severino Marche ed edita dalla Riserva Naturale Regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito, con il contributo della Comunità Montana. All'edizione ebraica, che segue fedelmente il testo italiano, è stata aggiunta una introduzione destinata a far conoscere e spiegare il significato della lotta partigiana nel Maceratese e il contributo della popolazione settempedana a questa lotta. Il libro rafforza la documentazione conservata nel Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto, dove si parla del ruolo di San Severino Marche nella lotta di Liberazione e nella protezione degli ebrei e di altri perseguitati.
L'annuncio della traduzione della pubblicazione, contenente un prezioso manoscritto del dottor Mosè Di Segni, alcune ricerche ed altre notizie riprodotte e raccolte dal giornalista settempedano Luca Maria Cristini, era stata accolta con grande felicità in città. I contatti fra la famiglia Di Segni e San Severino Marche sono vivi e costanti. Ai figli del medico Mosè Di Segni, il rabbino capo di Roma Riccardo, il medico israeliano Elio, e la scrittrice Frida, il Comune di San Severino Marche ha concesso, nel 2011, la cittadinanza onoraria.
"La pubblicazione in ebraico intende conservare per i nostri figli e nipoti il ricordo degli avvenimenti nei quali è stata coinvolta la nostra famiglia durante la seconda guerra mondiale - spiega il professor Elio Di Segni - Inoltre, questa traduzione offre l`occasione di ricordare, conservare, insegnare e tramandare, il contributo di singole persone e di una intera popolazione che non solo non abbandonò la nostra famiglia e altri perseguitati ma ci accolse come compagni nella lotta contro il nazifascismo e per l'ideale di un futuro migliore. La pubblicazione in ebraico da` l`occasione di far conoscere al pubblico israeliano alcuni aspetti della seconda guerra mondiale nell`Italia centrale, un capitolo della storia non particolarmente conosciuto in Israele. Gli avvenimenti che seguirono la caduta del regime fascista il 25 luglio del 1943 furono la causa della fuga della nostra famiglia da Roma a Serripola, un frazione di San Severino Marche, alla fine del mese di settembre". Nella stessa premessa al volume, Elio Di Segni ricorda ancora: "La conservazione del ricordo dei "dieci mesi di San Severino" ha una grande importanza dal punto di vista della memoria collettiva della popolazione locale. Questa conservazione non solo permette di mantenere il ricordo della lotta di Liberazione ma permette anche di comprendere e conservare i valori che ispirarono questa lotta. La pubblicazione di questo libro si inquadra nella crescente tendenza che si manifesta in tutto il mondo occidentale di conservare il ricordo degli avvenimenti della seconda guerra mondiale tanto di più quanto più va diminuendo il numero dei testimoni diretti di quegli eventi".
(Millepaesi, 29 giugno 2013)
Giovanni Palatucci: eroe o aguzzino?
di Roberto Malini
In questi giorni raccolgo opinioni sul caso Palatucci da parte di studiosi e testimoni della Shoah che sono anche miei cari amici, come Thomas Gazit e Wolf Murmelstein. Quest'ultimo mi scrive:
"In quell'epoca solo persone ritenute affidabili dal regime nazifascista potevano aiutare, ma non potevano fare pubblicità delle proprie azioni o lasciare documentazione burocraticamente perfetta. Nel Settembre 1944 l'Unione dei Rabbini Ortodossi di USA e Canada ha preso l'iniziativa giusta di contattare il Consigliere Federale Svizzero Jeam Marie MUSY, noto per aver buoni contatti nel III Reich. Non ha potuto fare molto ma, secondo me, se non ci fossero stati i suoi tentativi, Terezin pure sarebbe stato liquidato, ecc. ecc. Era un tentativo che avrebbe dovuto fare già prima Riegner del Congresso Mondiale Ebraico. Schindler ha potuto aiutare un gruppo proprio perché iscritto al partito nazista e ottimo camerata di bevute con quella gentaccia; nel film c'è la scena dove dice che 'è pericoloso se si dice in giro che da lui si sta bene', appunto era necessario il segreto assoluto. Poi ci sono i casi di aiuti indiretti: A Vienna il Prof. Victor Christian (aveva il grado di Maggiore SS ed era Pro-Rettore dell'Università) facendo valere le qualifiche scientifiche di Benjamin Murmelstein gli ha, indirettamente, fatto avere l'incarico di dirigere a Terezin la catalogazione di circa sessantamila libri razziati nelle biblioteche ebraiche. Era un aiuto indiretto, inconsapevole, che ha contribuito alla salvezza sia nostra personale che di altri che sapevano giusto lavorare su questi libri. Nel 1940 era grande impegno dei dirigenti ebrei italiani di ottenere che i profughi non venissero espulsi - riconsegnati alla Gestapo - ma mandati in internamento da qualche parte in Italia. Quei funzionari di polizia che hanno disobbedito all'ordine di espellere i profughi erranti mandandoli invece in qualche comune dell'Italia del Sud hanno dei meriti che certamente non potevano documentare con cura notarile".
Comprendo perfettamente questa posizione. E' difficile, a posteriori, ricostruire l'operato di un funzionario pubblico che operasse dall'interno delle istituzioni nazifasciste per sottrarre alla più efficiente macchina di morte di tutti i tempi quante più possibili vittime designate. Lasciare scritti, documenti, evidenze e testimonianze di tale "tradimento" avrebbe significato l'arresto, la deportazione o anche l'esecuzione seduta stante, per quel "Giusto".
Da parte mia, tuttavia, credo che si debba perseguire comunque la verità, affrontando anche anche gli eventuali danni che essa potrebbe portare con sé. Forse è vero che il revisionismo sugli eroi fa il gioco del negazionismo, come affermano alcuni studiosi e attivisti per la Memoria. Tuttavia è proprio la verità a garantire la preservazione della memoria di ciò che avvenne quale eredità fondamentale per le generazioni future. La verità, con le sue montagne di capelli e di cenere, con i milioni di martiri archiviati dal museo memoriale Yad Vashem di Gerusalemme, con le preziose testimonianze dei sopravvissuti. Mi è piaciuto molto l'atteggiamento di Avner Shalev, Dan Michman e degli altri ricercatori dello Yad Vashem, quando li ho conosciuti a Gerusalemme, nel 2006. Per loro, la ricostruzione della verità storica è assolutamente necessaria in ogni progetto di studio della Shoah o di educazione all'Olocausto. Ho fiducia anche nel lavoro del Centro Primo Levi, che utilizza metodologie molto scrupolose.
Una cosa è certa: i "Giusti fra le Nazioni" furono molto pochi, così come oggi sono pochi gli amici dei diritti umani, mentre tante persone, troppe, spendono parole e vanterie, senza far nulla di concreto o addirittura facendo danni. Alla base dell'essere giusto ci deve essere amore per il prossimo e sacrificio. Non dobbiamo temere chi cerca la verità e tutti insieme, con le diverse conclusioni e comunque l'analisi di documenti e testimonianze, possiamo contribuire a trovarla, sempre.
Riguardo agli studi sulle figure dei "Giusti fra le Nazioni", oltre che fondare ogni valutazione sui residui documentali e testimoniali, è importante mantenere obiettività ed equilibrio, prima di esprimere qualsiasi valutazione. E' sempre sbagliato iniziare questo tipo di analisi etichettando esseri umani come "eroi" o "aguzzini". Fra i due poli, ci sono anche persone di buona volontà che, pur non essendo animate costantemente dal fuoco del coraggio e della dedizione al prossimo, cercano di seguire la propria coscienza, quando possibile. Forse la verità, nel caso di Palatucci, si trova nelle stesse parole del questore, che definì il proprio operato, in una lettera ai genitori, con parole sobrie: "Ho la possibilità di fare un po' di bene e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare".
(IMGPress, 29 giugno 2013)
Armare i ribelli è una follia
di Fiamma Nirenstein
Ancora non si sa con certezza se le vittime della esecuzione mostruosa cui ci tocca assistere su Youtube siano frati francescani oppure no. Di sicuro l'ipotesi che il video sia fatto per terrorizzare i cristiani non è peregrina: certo, di nuovo gente innocente macellata in nome di Allah, stavolta perché erano «al soldo del regime», nell'agenda di uno di loro compariva il numero di un militare dell'esercito siriano. I tre erano anche accusati, dice il comunicato, di avere fornito armi a Bashar Assad.
Per nove minuti abbiamo modo, guardando l'inguardabile, di prendere nota del fatto che il miliziano «ribelle», l'assassino, parla con accento ceceno. I ribelli fanno ormai parte di brigate internazionali, proprio come la parte avversa che conta iraniani e Hezbollah.
Di video mostruosi ne abbiamo visti già parecchi. Gli assassini sono di origini, dialetti, sfumature di credo diversi ma l'abisso sussiste fra sunniti e sciiti. Le imprese jihadiste che realizzano, le stragi sono fanatiche e crudeli, anche se Assad ha di gran lunga battuto il nemico facendo centomila morti. Ma tagliare le teste è una grande sciccheria jihadista anche sunnita, una specie di citazione dei testi sacri (stiamo parlando dell'interpretazione delle forze estreme naturalmente): Richard Pearl nel 2002 è forse il caso più famoso, con Nick Berg decapitato personalmente da Al Zarqawi, con il tunisino apostata del 2012, il polacco del 2009... e tanti altri, purtroppo. L'esecuzione jihadista è sempre legata all'identità primaria, vera o presunta. Pearl era ebreo, come Berg, altri sono infedeli, apostati, cristiani, o imperialisti. Cioè, un cuscinetto di innocenti disgraziati che per religione di religione o origine geografica si trovano sballottati fra le due larghe fazioni. In Siria e nel resto del Medio Oriente contaminato dalla sua guerra (prima di tutto il Libano, ormai straziato) lo si vede bene: sono i sunniti (maggiori in numero e in potere economico, in parte affascinati dalla sirena di Al Qaida) e gli sciiti (in parte molto poveri, miseri del mondo musulmano, guidati dall'Iran e armati dagli Hezbollah).
Ma la parte estrema della rivolta siriana è stata come offuscata, obliterata, dalla fantasia malrisolta di Obama e anche dell'Europa di porre fine alla crudeltà di Assad con le nostre armi. Chi può aiutare ragionevolmente dei tagliatori di teste?
Se si guarda all'appello del famoso sceicco sunnita Yussef al Qaradawi, si legge nelle sue parole un accanimento che fa da pendant a quello degli hezbollah dall'altra parte. Anche i sunniti vogliono il loro esercito internazionale. Ha detto al Qaradawi: ogni musulmano che sa combattere deve andare a sostenere i ribelli siriani. I leader del partito di Satana (stavolta l'Iran e gli hezbollah, non la solita America) sono in Siria per combattere i sunniti, ma li batteremo.
I preferiti di Qaradawi sono certamente il fronte Jabat al Nusra, il più estremo dei gruppi anti Assad, e chi viene a combattere con loro trova un tappeto rosso. Di sangue, ma rosso. Ogni giorno fazioni avverse in tutto il Medio Oriente, ci mostreranno spettacoli di crudeltà inaudita. Ma primi, vengono gli occidentali: cristiani, ebrei, imperialisti. Niente armi dunque, perfavore. Piuttosto, fermiamoli. Tutti e due.
(il Giornale, 29 giugno 2013)
F-35: Primo squadrone da battaglia operativo in Israele dal 2018
Israele sarà il primo operatore internazionale, dopo gli Stati Uniti, ad utilizzare l' F-35.
Il primo squadrone da combattimento di F-35 raggiungerà la capacità operativa iniziale nel 2018 (2020/2025 per l'Italia).
I caccia F-35 consegnati potranno essere aggiornati non appena saranno disponibili nuove versioni software, ma la capacità specifica resterà prerogativa dei singoli operatori.
Ad esempio, i blocchi di software relativi all'utilizzo dei missili anti-nave degli F-35 norvegesi, non saranno disponibili agli altri operatori, a meno che non la Norvegia non decida di vendere proprio quell'arma ad uno dei paesi che utilizza lo Jsf.
I software specifici sviluppati per l'aviazione israeliana riguardano la guerra elettronica avanzata e la trasmissione criptata dei dati. Questi software resteranno prerogativa di Israele e non saranno disponibili per altri paesi.
I primi piloti israeliani inizieranno l'addestramento ad Eglin, in Florida, sull' F-35A, all'inizio del 2016. Il primo aereo sarà consegnato ad Israele verso la fine di quell'anno. Da quel momento, tutti gli altri diciannove velivoli acquistati saranno consegnati alla IAF, così come previsto dall'attuale piano quinquennale. Altri F-35 saranno ordinati nel 2018, nell'ambito del prossimo piano quinquennale.
Gli F-35 Israeliani saranno armati di missili aria-aria a corto raggio AIM-9X e di AIM-120 AMRAAM, per il combattimento oltre il raggio visivo. Attualmente, l'F-35 trasporta l'AIM-9X Block I sotto l'ala, in configurazione non-furtiva. Questa lacuna sarà colmata con il Block II.
Tuttavia, il trasporto ottimale per l'F-35 comprende esclusivamente i missili AMRAAM, consentendo al caccia di massimizzare la sua capacità di colpire il nemico oltre il raggio visivo, restando invisibile.
(teleradiosciacca.it, 29 giugno 2013)
Hamas: Abu Mazen non cada nella trappola dei colloqui di pace
ROMA - Hamas chiede al presidente palestinese Abu Mazen ''di non cadere ancora una volta nella trappola dei colloqui di pace'' con Isaele. Il premier del movimento islamico di Hamas, Ismail Haniya, in occasione della visita in Terra Santa del segretario di Stato Usa John Kerry, ha invitato Abu Mazen a ''costruire una strategia palestinese unitaria per la costruzione di un solida e resistente entita' palestinese'' prima di raggiungere un qualsiasi accordo con Israele.
(ASCA, 28 giugno 2013)
Hamas ha ragione: che senso ha parlare di pace con Abu Mazen quando questi non può garantire niente da parte dei gestori di Gaza? Prima o poi Hamas manderà un po di missili su Israele, e quando questi saranno troppi Israele reagirà. Dopo di che Abu Mazen prenderà le difese di Hamas e Israele sarà biasimato da tutti per eccesso di difesa. A chi serve il giochino del dialogo perpetuo? M.C.
"Circoncisione, importante fare chiarezza"
"In relazione alle agenzie di stampa rilasciate unilateralmente dal dottor Foad Aoti a seguito dell'incontro, su invito del ministro dell'Ambasciata d'Israele, tra il presidente dell'Associazione Medica Ebraica-Roma e il presidente dell'Associazione Medici Stranieri in Italia, si rende noto che non è stata avviata alcun tipo di collaborazione né tantomeno siglato alcun accordo tra le due suddette associazioni".
Ad affermarlo, in una nota scritta di proprio pugno, il presidente della sezione capitolina dell'Ame Dario Perugia. Nel documento, che corregge il tiro relativamente a quanto uscito nelle scorse settimane su alcuni organi di informazione, si puntualizza che "nessun progetto sulla circoncisione è stato avviato tra le parti".
Da tempo, conclude Perugia, "è stata creata una commissione scientifica dell'Ufficio Rabbinico della Comunità ebraica di Roma che, insieme al Centro Islamico Culturale di Italia, stà valutando gli aspetti bioetici e legali della circoncisione rituale a seguito dalla necessità di praticare la stessa per i maschi di religione ebraica e di religione musulmana nell'ambito delle strutture sanitarie pubbliche".
(Notiziario Ucei, 28 giugno 2013)
L'errore degli ebrei: non sapersi difendere. Neppure dai nazisti
Abituati da sempre a cercare l'appoggio dei sovrani dei vari Paesi "accettarono" i ghetti e i lager. E a volte collaborarono con i carnefici.
di Fiamma Nirenstein
Quanto è problematica, irritante, provocatoria la storia ebraica, quanto ogni considerazione ci rimanda poi a problemi complessi cui gli storici non trovano mai una risposta soddisfacente.
Ad esempio, perché gli ebrei non capirono che si avvicinava la mostruosa mannaia della Shoah? Perché si adeguarono (anche se non bisogna dimenticare che negli stessi anni nell'Yishuv ebraico di Palestina i guerrieri sionisti si battevano contro gli arabi per la loro Terra) a una realtà impossibile, a volte sistemandosi nei ghetti mortiferi, talora addirittura collaborando con i carnefici nelle deportazioni?
Lo spiega in un affollatissimo libretto Yosef Hayim Yerushalmi, scomparso nel 2009 dopo aver donato al mondo alcuni fra i migliori studi sulla cultura ebraica. Ora la Giuntina ha avuto l'intelligenza di pubblicare questo saggio che, come spiega nella bella introduzione David Bidussa, racconta come gli ebrei, «per ricevere protezione cercarono alleanze verticali» e, abituati a ottenerle, non capirono nulla di ciò che stava per accadere nei territori occupati dai nazisti. Da sempre, sino ai tempi della Shoah, pensavano che «il re», o chi per esso, li avrebbe salvati, almeno dallo sterminio di massa.
Per questo furono, come dice il titolo non privo di malizia, «Servitori di re e non servitori di servitori» (sottotitolo Alcuni aspetti della storia politica degli ebrei, pagg. 72, euro 10). Servitori non è una bella parola al giorno d'oggi, di chiunque lo si sia, tanto più dell'autorità costituita. Insomma, dice Yerushalmi un po' sulle tracce di Hannah Arendt, sempre ipercritica verso il proprio popolo più che verso il regime nazista da cui era fuggita, ricorsero alle massime autorità e trascurarono il rapporto con il popolo. Bidussa spiega che la percezione di un continuo pericolo e quindi la richiesta di aiuto al re deriva da una sorta di imprinting, per certi versi biblico (basta pensare al Libro di Ester e allo scampato pericolo di sterminio da parte di Aman per intervento di Ester presso il re!).
Yerushalmi dimostra come la storia abbia rafforzato la fiducia del mondo ebraico nel sovrano che li proteggeva nel medioevo dall'odio del popolino che vedeva negli ebrei gli assassini di Cristo, e li circondava di una pur fragile muraglia legislativa che ne impediva il libero eccidio, lo sterminio e, anzi, cercava di fare degli ebrei un utile instrumentum regni, creando la figura dell'ebreo di corte. Yerushalmi riporta parecchi episodi che dimostrano come il sovrano e i Papi abbiano cercato di aiutare gli ebrei quando erano pesantemente aggrediti da un antisemitismo che per altro essi non combatterono mai, anzi, fomentarono. Ma Yerushalmi ammette anche molte «violazioni» della sua norma, come in Spagna nel 613, e poi nel 1506 in Portogallo o le espulsioni dall'Inghilterra del 1290 o la cacciata dalla Spagna del 1492 e dal Portogallo nel 1506, o le persecuzioni dei nobili polacchi che a partire dal XVI secolo colpirono gli ebrei, diventati di fatto i «re» del Paese.
In realtà se si sfoglia una qualunque storia del popolo ebraico, si capiscono un paio di cose. La prima: era logico, sulla base di motivi molto pratici e non ideologici, che gli ebrei cercassero qualche «cappello» legislativo che proteggesse la loro incolumità, perché essa veniva violata ripetutamente e con grande violenza da folle fanatiche, cosacchi e chi più ne ha più ne metta. La più semplice ed efficace delle figure di riferimento era il sovrano, il quale a sua volta aveva interesse a tutelare i suoi «ebrei di corte». La seconda cosa importante è che è altresì vero che la minaccia della Shoah era subdola. Ci volle molto tempo (per tutti, non soltanto per gli ebrei) prima che fosse possibile capire che la Shoah era una Apocalisse definitiva non lasciava spazi a trattative. Così una parte del mondo ebraico pensò di poterla evitare con «colloqui» e con «compromessi». E queste parole tra virgolette devono far riflettere, a causa delle attuali minacce iraniane di sterminio degli ebrei e la certezza mondiale di risolverle con «colloqui».
Una terza considerazione riguarda il fatto che l'abitudine alla richiesta di protezione era radicata anche a causa di una mancanza. Oggi esiste lo Stato di Israele. Nel Medio Evo, nel 1492 e neppure all'alba della Shoah non esisteva affatto. Esso rappresenta dunque una mutazione rilevante che ai nostri occhi non è ancora stata interiorizzata dalla Diaspora, tuttora molto legata allo schema di un rapporto indispensabile di protezione con le autorità del proprio Paese. Per ultimo, Hannah Arendt, nonostante la «banalità del male» fosse uno schema che aveva applicato (scoperta mai più messa in discussione) a uno come Eichmann che aveva fatto della sua pochezza un uso niente affatto banale, spesso sottolineava come gli ebrei (anche un pazzo megalomane e probabilmente crudele come Chaim Rumkowski) fossero largamente colpevoli del loro crudele destino. Di fatto anche i kapò e i confusi e tremebondi capi delle comunità che cercarono scampo in modi improbabili furono protagonisti dello stesso tipo di choc che portava gli ebrei ad avventurarsi in richieste di aiuto che in gran parte non funzionavano. Bastava un contadino polacco o un giovane SS e il «gioco del re» era finito. Per questo, non c'è protezione regale possibile. Gli ebrei avrebbero dovuto ben prima cercare un'autodifesa. Ma è stato impossibile per tanto tempo.
(il Giornale, 29 giugno 2013)
Eichmann, i documenti restano segreti
Resta il mistero sulla fuga del criminale nazista che pianificò l'Olocausto. La Bild: i servizi sapevano tutto dal 1952
di Francesco Tortora
Resterà uno dei misteri più oscuri della storia dell'ex Repubblica Federale tedesca e probabilmente alimenterà nei prossimi anni nuovi dubbi tra storici e studiosi. La Corte federale di giustizia di Lipsia ha stabilito giovedì scorso che alcuni documenti in possesso dei servizi segreti tedeschi sulla fuga di Adolf Eichmann in Argentina, uno dei criminali nazisti che più si adoperò nello sterminio di massa degli ebrei - pianificandone quasi ogni dettaglio, persino l'orario dei treni che trasferivano i deportati nei lager - e che fu catturato e giustiziato dagli israeliani nel 1962, devono rimanere segreti.
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Il passaporto falso usato da
Eichmann per fuggire in Argentina |
SCOOP - Una precedente pronuncia di un tribunale del paese teutonico aveva permesso a un giornalista della Bild di consultare parzialmente gli stessi documenti e di pubblicare nel gennaio del 2011 un autentico scoop: i servizi segreti della Germania Federale avrebbero saputo sin dal 1952 che il criminale nazista si era nascosto in Sudamerica e non avrebbero fatto nulla per farlo estradare: «Eichmann non si trova in Egitto, ma vive sotto il falso nome di Klement in Argentina» recitava un'informativa del servizio d'intelligence degli anni cinquanta consultata dal reporter della Bild e in parte riprodotta sul tabloid tedesco.
POLEMICHE - La notizia della censura approvata da parte della Corte di ultima istanza della giustizia ordinaria ha scatenato grandi polemiche a Berlino. «E' deplorevole che il lavoro sulla giovane storia della Repubblica federale sia ostacolato così palesemente - ha dichiarato Christoph Partsch, avvocato della Bild che ha rivelato di voler sollevare il caso davanti alla Corte Costituzionale di Karlsruhe- Questa decisione alimenterà speculazioni sulle motivazioni di un tale atteggiamento». Dello stesso avviso Dieter Graumann, Presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania che taglia corto: «La mancanza di una completa trasparenza non può che far danni alla Germania».
DIFESA - Da parte sua la Corte ha rilevato che la maggior parte delle informazioni su Eichmann sono già pubbliche, mentre una minoranza di documenti sono censurati per garantire la sicurezza dello Stato. Adolf Eichmann, che viveva da oltre un decennio in Sudamerica, fu scovato in Argentina dall'agente del Mossad Tzvi Aharoni. Rapito e portato in Israele dai servizi segreti, fu processato e condannato a morte a Tel Aviv per crimini contro l'umanità. Il suo corpo fu cremato e le sue ceneri disperse al di là delle acque territoriali dello stato mediorientale.
(Corriere della Sera, 28 giugno 2013)
Si concluderà in agosto l'aliyah dall'Etiopia
Il governo israeliano ha dato la notizia che in agosto si concluderà l'aliyah di massa dall'Etiopia. Circa 400 persone si imbarcheranno su un volo che le porterà nello stato ebraico e il quartier generale di Gondar, che ha gestito l'emigrazione di migliaia e migliaia di etiopi, verrà restituito alle autorità del paese. Da quel momento in poi, le aliyot verranno permesse sulla base delle procedure standard basate sulla valutazione del singolo caso, come avviene per quelle dagli altri paesi. Ma la storia degli ebrei d'Etiopia non è stata come quella di tutti gli altri: la comunità, conosciuta come Beta Israel ha vissuto isolata fino al XX secolo in condizioni di grande difficoltà. Quando i legami con il resto del mondo ebraico sono stati riallacciati, epiche operazioni militari portarono in Israele migliaia di persone. Una storia fatta di luci ma anche di ombre: le tante vittime di malattie e stenti nelle lunghe marce attraverso per raggiungere i campi di raccolta con la speranza di partire, la situazione dei Falashamura, ebrei convertiti al cristianesimo a causa delle persecuzioni nel corso dei secoli e riavvicinatisi poi all'ebraismo, l'accoglienza non sempre facile della comunità in Israele, dove oggi vivono 120mila cittadini di origine etiope, di cui un terzo circa di seconda generazione. Anche l'annuncio della fine dell'Aliyah collettiva non ha mancato di suscitare polemiche, ricordando come chi rimarrà indietro non potrà più contare neppure sulle strutture comunitarie, la scuola e la sinagoga. Come ha sottolineato anche sulla sua pagina Facebook Yitish Aynaw, Miss Israele 2013, arrivata dall'Etiopia a 12 anni dopo aver perduto i genitori e che più di ogni altra persona oggi rappresenta il sogno della sua gente.
(Notiziario Ucei, 28 giugno 2013)
Caltagirone - Convegno regionale delle comunità ebraiche
Ci sarà anche Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana e principale esponente dell'ebraismo italiano, fra gli ospiti del convegno "La presenza ebraica nella storia e nell'economia della Sicilia", che sabato 29 all'hotel Villa Sturzo e domenica 30 giugno nel salone di rappresentanza "Mario Scelba" del municipio, vedrà impegnate le comunità ebraiche siciliane.
Il convegno, organizzato dall'associazione B' NEI EFRAIM e dagli Evangelici d'Italia per Israele con il patrocinio del Comune di Caltagirone, intende ripercorre il millenario cammino culturale, economico, etnico delle comunità ebraiche siciliane e il loro prezioso contributo artigianale, artistico e produttivo ai territori siciliani, che consentì alla nostra Isola di godere di un relativo sviluppo economico, in un tempo in cui il latifondo ed il feudalesimo nobiliare e notabiliare soffocavano sul nascere ogni iniziativa economica basata sul libero scambio e su scelte produttive. La "due giorni" vivrà il suo momento più importante domenica 30 giugno al municipio, dove, alle 9,15, Pacifici sarà accolto dal sindaco Nicola Bonanno, che sottolinea "l'importanza del convegno e di una presenza così rilevante, che fanno di Caltagirone un luogo significativo per importanti momenti di studio e riflessione nel segno dell'interreligiosità e dell'interculturalità".
Tanti i temi trattati, tra i quali quello relativo al ruolo di Israele nel futuro dell'economia siciliana. Ricca la presenza di ospiti e di studiosi di ogni parte della Sicilia, come pure corposo il contributo di storici e artisti di Caltagirone, che si espliciterà negli interventi di Domenico Amoroso, Ivan Basana, Nazzarena Condemi, Antonio Navanzino, Enzo Nicoletti, Massimo Porta e Giacomo Trombino. Per l'Amministrazione comunale interverranno il sindaco Bonanno e l'assessore ai Beni culturali, Bruno Rampulla. Intervalli musicali con canti ebraici si intercaleranno tra i vari interventi degli studiosi. Il convegno si concluderà domenica 30 giugno, alle 15,30, con la visita all'antico quartiere ebraico caltagironese posto in via Judeca.
(strettoweb.com, 28 giugno 2013)
Sondaggio tra gli israeliani sulla ripresa dei negoziati di pace
La maggioranza dei cittadini israeliani è favorevole alla ripresa dei negoziati di pace con i palestinesi ma si dice pessimista su un eventuale accordo. E' quanto emerge da uno studio pubblicato oggi.
Il 56,9% degli israeliani sostiene la ripresa dei colloqui con i palestinesi, che il segretario di Stato Usa John Kerry sta provando a rilanciare. Ma solo un terzo delle persone interpellate - il 30,9% - stima possibile un accordo. Il 55,4% ritiene invece che l'eventuale ripresa dei negoziati di pace non produrrà alcuna intesa.
Il sondaggio ha un margine di errore del 4,4% ed è stato compiuto contattando un campione di 500 ebrei israeliani.
(Today, 28 giugno 2013)
Le precondizioni palestinesi non hanno alcun fondamento di diritto e di fatto
di Alan Baker
Le recenti dichiarazioni di Nabil Shaath, alto esponente della squadra negoziale dell'Autorità Palestinese, e di altri che come lui promettono il ritorno al tavolo dei negoziati se Israele accetterà le precondizioni palestines, impegnandosi "a negoziare sulla base delle linee del 1967" e a congelare le attività edilizie ebraiche negli insediamenti in Cisgiordania, costituiscono un tipico esempio di mistificazione politica, doppiezza e pura menzogna da parte palestinese.
Da nessuna parte, in tutta la storia dei negoziati del processo di pace, compare alcun impegno verso "le linee del 1967". È vero esattamente il contrario. Tutti gli accordi tra Israele e Olp, così come i trattati di pace con Egitto e Giordania, si richiamano nel loro preambolo alla risoluzione 242/1967 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu con cui la comunità internazionale fa appello affinché le parti concordino "confini sicuri e riconosciuti". Come l'Egitto e la Giordania nei loro rispettivi trattati di pace con Israele, così anche la dirigenza palestinese in tutti gli accordi firmati ha ripetutamente accettato e si è impegnata su questa formula, la quale in pratica significa che le linee militari di demarcazione armistiziale in vigore dal 1949 al 1967 - mai destinate a diventare confini - e tutte le altre linee pre-'49 dovranno essere sostituite da confini concordati che rispondano al criterio del Consiglio di Sicurezza di essere "sicuri e riconosciuti". Il fatto che leader palestinesi come Shaath, Saeb Erekat e Mahmoud Abbas (Abu Mazen) cercano di manipolare il dato storico e giuridico ripetendo continuamente la loro pretesa che Israele si impegni in anticipo su quelli che loro chiamano "confini del 1967" dovrebbe essere fermamente respinto da tutti coloro che sono stati coinvolti a vario titolo nelle trattative dei diversi accordi.
I palestinesi sanno benissimo che i confini sono una delle questioni che devono essere discusse al tavolo dei negoziati; e che la loro pretesa non ha alcuna base di diritto e di fatto. Abu Mazen, Shaath ed Erekat, così come i leader di Stati Uniti e Unione Europea che controfirmarono gli accordi di Oslo come testimoni, oltre a Giordania ed Egitto, sanno tutti benissimo che la precondizione posta dai palestinesi è manifestamente priva di fondamento giuridico. Il fatto che continuano a ripeterla non dimostra altro che spudorata doppiezza, mancanza di buona fede e abuso della buona fede della comunità internazionale.
Altrettanto infondata e senza base negli accordi firmati fra Israele e Autorità Palestinese è l'altra precondizione, quella che Israele congeli ogni attività negli insediamenti. Israele non si è mai impegnato, in nessuno degli accordi con i palestinesi, a congelare l'attività di insediamento in un territorio che continua ad amministrare in virtù degli accordi con i palestinesi. Al contrario, l'Accordo ad interim israelo-palestinese (comunemente chiamato Oslo Due) consente espressamente, nell'Allegato III "Affari civili", progettazione, zonizzazione e attività edilizia da parte di ciascuna delle due parti nelle zone di Cisgiordania sotto la rispettiva giurisdizione: i palestinesi nelle Aree A e B, Israele nelle Aree C. Anche quella degli insediamenti è una delle questioni che le parti hanno concordato di trattare nei negoziati sullo status definitivo, insieme a profughi, risorse idriche, Gerusalemme, misure di sicurezza e, appunto, i confini (art. 31 "Clausole finali"). Dunque i palestinesi hanno concordato e sottoscritto di negoziare questo tema con Israele, e non si capisce come ora possano pretendere di rimuoverlo unilateralmente dal tavolo delle trattative, trasformandolo in una precondizione separata e indipendente per l'avvio di ulteriori negoziati. Così facendo minano gli accordi, e quando cercano di reclutare il sostegno della comunità internazionale su questa loro posizione non fanno che aggirare l'impegno che hanno preso di negoziare la questione direttamente con Israele. In pratica, stanno deliberatamente ingannando e manipolando la comunità internazionale.
Tra i suoi impegni ai sensi degli accordi di Oslo, Israele ha quello di negoziare la questione degli insediamenti con i palestinesi. Per attivare questo impegno non è prevista nessuna precondizione che non sia il ritorno a negoziati condotti in buona fede. Il proseguimento della attività edilizie negli insediamenti in attesa del risultato dei negoziati per lo status definitivo, che sia o meno politicamente avveduto, non è di per sé né una violazione degli accordi di Oslo, né una violazione del diritto internazionale. Si tratta di una questione bilaterale da negoziare con i palestinesi: niente di più e niente di meno.
Quanto prima i palestinesi smetteranno di tentare di minare, manipolare e aggirare unilateralmente il processo negoziale e lasceranno perdere le loro precondizioni, tanto prima la questione degli insediamenti potrà essere affrontata, risolta e quindi depennata dall'ordine del giorno. Sarebbe ora che questo fosse ben chiaro a tutti.
(Jerusalem Post, 18 giugno 2013 - da israele.net)
La questione palestinese nasce nella malafede. La malafede originaria del governo britannico che ha imbrogliato le carte internazionali per impedire lunico scopo per cui aveva ottenuto il Mandato dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale: favorire la nascita dello Stato ebraico sul territorio compreso da Dan a Beersheba, cioè sul territorio indicato dalla Bibbia per il popolo ebraico. Negli sviluppi storici successivi la malafede si è internazionalizzata, tanto da poter dire che la storia di Israele dopo la seconda guerra mondiale è la storia degli attorcinamenti pseudolegali con cui si è cercato, in malafede, di togliere legittimità giuridica al possesso della terra contesa da parte del popolo ebraico. Uno dei più diffusi argomenti usati oggi è la volontà di pace. Si trovano mille motivi per dire che Israele non vuole quella pace che il mondo vorrebbe e ricerca, a cominciare dalle Nazioni Unite. Vale la pena allora di ricordare le parole con cui David Lloyd George si dissociò nel 1939 da uno dei più gravi imbrogli che il governo britannico stava commettendo: approvare la stesura dellultima edizione del famigerato Libro Bianco con cui si impediva ai profughi ebrei in fuga dalla Germania nazista di entrare nella terra dIsraele: «NON SI PUÒ COSTRUIRE LA PACE NEL MONDO SE NON SULLA BASE DELLA BUONA FEDE INTERNAZIONALE». E sulla questione ebraica, nella forma che oggi ha assunto, cioè la questione israeliana, la buona fede internazionale non cè. E quindi pace non ci sarà. M.C.
Il discorso radiofonico di David Lloyd George
Le esercitazioni militari di Israele sulle alture del Golan
Dall'altopiano montuoso siriano occupato dallo Stato ebraico, le immagini delle manovre simulate dalla brigata di fanteria Golani. L'esercito israeliano è pronto, se necessario, ad entrare in azione.
Si sono concluse ieri le esercitazioni militari israeliane, durate diversi giorni, sulle Alture del Golan - l'altopiano montuoso appartenente de iure alla Siria, ma de facto militarmente occupato e amministrato da Israele dalla Guerra dei 6 giorni del 1967 - a cui hanno preso parte decine di mezzi blindati. Come precisato dalla stampa locale, è stata simulata l'occupazione di ampie zone aperte e di località abitate.
Come riferito da Radio Gerusalemme, ad una delle esercitazioni della brigata di fanteria Golani ha assistito mercoledì anche il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, accompagnato dal Ministro della difesa Yaalon e da diversi responsabili militari.
''Questa esercitazione - ha notato Netanyahu - non è solo teorica. La situazione attorno a noi è esplosiva e cambia rapidamente, per cui dobbiamo farci trovare pronti''. "Non intendiamo sfidare alcuno - ha detto - ma nessuno potrà colpire lo stato di Israele senza che ci sia subito una nostra risposta, forte e decisiva''.
Ex comandante nelle unità speciali di Israele, Netanyahu ha poi detto ai giovani combattenti, sulla base delle propria esperienza, che il campo di battaglia è ''il regno dell'incertezza'' dove la cosa più importante è ''la determinazione, la volontà di vincere, la capacità di 'rompere' il nemico e, al momento decisivo, di inculcargli una paura mortale. Così si vince in battaglia''.
Da parte sua il ministro della difesa Moshe Yaalon ha ricordato ai militari che potrebbero essere chiamati ad entrare in azione con un breve preavviso. Israele non tollererà attacchi ''né sul Golan, né ai bordi della striscia di Gaza, né altrove''.
(Panorama, 28 giugno 2013)
Troppa neve, accorciata la marcia della pace al Passo dei Tauri
BOLZANO, 28 giu - A causa delle enormi quantita' di neve in quota e' stata accorciata la marcia della pace 'AlpinePeace Crossing' al Passo dei Tauri, in programma domani. L'iniziativa, arrivata alla sua 7a edizione, ricorda la fuga di migliaia di profughi ebrei che, dopo essere scampati al nazismo, cercarono nel 1947 di raggiungere la Palestina attraverso l'Austria e l'Alto Adige. ''L'attraversata con 150 persone - spiega l'organizzatore Ernst Loeschner - sarebbe stata troppo pericolosa''.
(Euronews, 28 giugno 2013)
Web Memo: Centro Digitale di Documentazione Europea sulla Shoah
Martedi' incontro a Venezia
Comunicato stampa No 1137 del 28/06/2013
VENEZIA, 28 giugno 2013 - La memoria dell'Olocausto vive sul web e diventa eredità europea condivisa per tutte le giovani generazioni, grazie al progetto "Web Memo - European Digitalization of shared memories". A un anno dal suo avvio, i risultati conclusivi di questo progetto di dimensioni europee saranno presentati nell'incontro di martedì 2 luglio a Venezia, nella sala conferenze del Palazzo Grandi Stazioni della Regione con inizio alle ore 9. Raccogliere testimonianze storiche sulla Shoah, fare rete, trasmettere quello che è stato ai giovani rafforzando così il senso di identità europea: per questo è nato il sito internet www.webmemoproject.eu, diventato vetrina di un nuovo "Centro di Documentazione Europea" e strumento per coinvolgere dodici istituti superiori tra Veneto, Belgio e Baviera in un viaggio interattivo nella memoria.
Il progetto, finanziato dal Programma comunitario Europa per i Cittadini-Azione Memoria Europea Attiva, ha come capofila il Giardino dei Giusti del Comune di Padova e come partner la Regione del Veneto, attraverso la Direzione di Bruxelles, le Acli padovane e alcune delle maggiori comunità ebraiche europee: quelle di Venezia e Padova, insieme allo European Jewish Community Centre di Bruxelles e alla European Janusz Korczak Academy di Monaco di Baviera. Saranno i rappresentanti di questi enti a illustrare martedì il percorso che ha portato a radunare testimonianze di sopravvissuti alla Shoah ancora in vita, oltre a documenti, fotografie, video e documentari, disponibili anche in inglese oltre che nelle lingue originali. Un nucleo di testimonianze ora sempre disponibili e direttamente accessibili sulla rete, il cui valore sarà sottolineato anche dalla presenza alla conferenza finale di Web Memo di Riccardo Calimani, studioso dell'ebraismo, presidente della Comunità Ebraica di Venezia e autore del libro "Storia degli ebrei italiani" (ed. Mondadori 2013).
Il progetto Web Memo ha permesso di formare una rete europea, cresciuta tra Venezia, Padova, Bruxelles e Monaco di Baviera. Sul sito www.webmemoproject.eu, ad esempio, è consultabile la circolare datata settembre 1938 con cui il provveditore di Padova di fatto esonera ed espelle gli insegnanti ebrei dalle scuole; oppure si possono ripercorrere, attraverso alcuni video, i viaggi didattici degli studenti ad Auschiwitz, a Norimberga o a Bergenbelsen. Al progetto Web Memo hanno partecipato circa 180 studenti veneti, appartenenti all'I.T.I.S. Primo Levi e al liceo Majorana-Corner di Mirano, al liceo Stefanini di Mestre, e ai licei Tito Livio, Curiel e Amedeo di Savoia Duca d'Aosta di Padova. Circa altrettanti sono stati gli alunni coinvolti nelle scuole di Bruxelles e di Monaco.
(Regione del Veneto, 28 giugno 2013)
Erdogan frena sulla visita a Gaza: data non ancora fissata
GAZA, 27 giu. - Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha precisato di non aver ancora fissato la data per la sua visita nella Striscia di Gaza, dopo che fonti di Hamas avevano indicato che era in programma per il 5 luglio. "E' una data sbagliata, il primo ministro ha impegni in quei giorni", ha precisato l'uffico stampa del governo turco, "la visita ci sara' ma la data non e' ancora stata fissata". Era stato il segretario generale del governo di Hamas, Abdelsalam Siyyam, ad annunciare la data del 5 luglio per la visita di Erdogan in un'intervista al giornale del movimento islamico Falestin.
(AGI, 27 giugno 2013)
McDonald's non apre ad Ariel
E' nei territori, dice il proprietario, che è tra i fondatori 'Peace Now'
GERUSALEMME, 27 giu - McDonald's Israele ha detto no all'offerta di aprire uno dei suoi fast food ad Ariel, visto che si tratta di un insediamento ebraico in Giudea-Samaria. In risposta gli israeliani della zona hanno annunciato il boicottaggio della catena, a partire da quelli dove si mangia kasher, ovvero secondo i dettami alimentari religiosi ebraici.
McDonald's Israele e' di proprieta' di Omri Padan che e' tra i fondatori del gruppo pacifista israeliano 'Peace Now', da sempre contrario alla costruzione degli insediamenti nei territori contesi.
Il nuovo negozio avrebbe dovuto far parte di grande centro commerciale (da 100 mln di shekel, circa 20 milioni di euro) in costruzione ad Ariel, ma i rappresentanti della catena di fast food - citati dai media - hanno declinato l'offerta richiamandosi alla ''politica di sempre'' del gruppo.
In rivalsa, il Comitato dei pionieri della Samaria - secondo la loro radio, Canale 7 - ha annunciato che la notte scorsa sono stati affissi nei punti McDonald's di tutto il paese cartelli di protesta ed ha invitato a disertare i ristoranti del gruppo a partire da quelli kasher.
(Fonte: ANSAmed, 27 giugno 2013)
Hamas annuncia: il premier turco a Gaza il 5 luglio
Erdogan impegnato a fronteggiare in patria la delicata fase di contestazione
ANKARA, 27 giu. - Il premier turco Recep Tayyip Erdogan sarà a Gaza il prossimo 5 luglio. L'annuncio arriva da Hamas, che da giorni ribadisce che il il premier turco non intende cancellare i suoi piani di visita nella Striscia, malgrado la delicata fase di contestazioni in Turchia. La missione a Gaza di Erdogan è stata in precedenza rinviata, anche su pressione degli Stati Uniti, che considerano inopportuno in ottica negoziale un viaggio che sottolinei il sostegno turco ad Hamas.
(TMNews, 27 giugno 2013)
Siria: oltre centomila i morti in due anni. Allarme Unicef per i bambini
In Siria proseguono le violenze. Le milizie fedeli al presidente Assad hanno riconquistato ieri una località strategica nei pressi di Homs, con l'aiuto determinante degli Hezbollah libanesi. E secondo gli ultimi dati forniti da una delle piattaforme di attivisti anti-regime, sono oltre centomila i morti nei due annni e mezzo di conflitto. Intanto il wall Street Journal sostiene che gli Stati Uniti sarebbero pronti a rifornire di armi i ribelli entro un mese. La svolta seguirebbe le rivelazioni sull'utilizzo di armi chimiche da parte dell'esercito di Assad.
Nel frattempo, secondo l'Unicef 72 bambini nascono ogni settimana e la maggior parte delle donne attraversa il confine siriano per andare a partorire nel campo profughi di Za'atari, in Giordania. Per le donne, ma soprattutto per i neonati, serve tutto, a partire dai pannolini. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia:
R. - E' proprio una situazione drammatica, che del resto noi facciamo presente da due anni, dall'inizio, da quando è scoppiata la crisi in Siria, prevedendo questi numeri già circa un anno fa. Adesso, siamo nel momento proprio culminante della crisi, dove c'è bisogno di aiuto, c'è bisogno di tanto aiuto e di essere presenti sul posto con i mezzi necessari con gli aiuti necessari.
D. - Il campo di Za'atari, con le sue 120 mila persone, è diventato il secondo campo profughi più grande al mondo. Cosa manca in generale?
R. - Il campo di Za'atari, per avere un'idea, non è altro che una città italiana di media dimensione di oltre 120 mila abitanti. In questa città non c'è nulla: non ci sono palazzi, non ci sono case, ci sono soltanto tende, rifugi di emergenza, roulotte o container. In questa città manca tutto e tutto deve essere portato in in modo da poter soddisfare le esigenze di tutta la popolazione: dall'acqua ai generi di prima necessità, agli alimenti. Poi, manca naturalmente l'istruzione. L'Unicef, a questo punto, non chiede qualcosa di preciso, chiede un aiuto economico. perché noi come Unicef dobbiamo avere la possibilità di disporre di aiuti.
D. - C'è un altro problema che riguarda anche l'impennata delle temperature estive. Questo determina seri rischi anche per i bambini, perché ricordiamo che le condizioni igieniche sono abbastanza precarie
R. - Certo, questo determina sicuramente un'aggravarsi della crisi per via delle vaccinazioni che per noi restano comunque uno dei primi interventi che effettuiamo per quanto riguarda il settore sanitario. Ma, in questo momento, l'aumento della temperatura crea maggiore attenzione al problema dei contagi delle epidemie e quindi è necessario intervenire, ma intervenire in maniera programmata attraverso la collaborazione di tutti gli operatori che sono presenti nel settore. Quello che noi facciamo come Unicef è coordinare gli interventi per l'infanzia. Lo facciamo e ci viene riconosciuto questo ruolo. L'Unicef aveva programmato a suo tempo 470 milioni di dollari necessari per un intervento concreto e che potesse modificare la realtà. Abbiamo raccolto soltanto 300 milioni. Ne mancano parecchi all'appello.
D. - Per far capire l'importanza e la grandezza del vostro intervento è bene sottolineare che dall'inizio dell'anno sono quasi nove milioni le persone che voi avete aiutato. Purtroppo, c'è bisogno di interventi ancora maggiori...
R. - C'è bisogno di interventi ancora maggiori. Questi campi profughi realizzati nei Paesi limitrofi alla Siria dove la gente è costretta a scappare - non dobbiamo dimenticare che all'interno della Siria ci sono anche gli sfollati che hanno bisogno di aiuto - sono destinati ad aumentare sempre di più, perché i siriani vedono in questo la possibilità di trovare un rifugio sicuro. E' necessario quindi intervenire in questi campi con urgenza, ma in maniera appropriata. Quello che si verifica in queste realtà è facilmente comprensibile: poter organizzare tutta la logistica all'interno del campo, che non è certamente una cosa semplice. Con gli operatori che abbiamo, cerchiamo di realizzare anche centri per i bambini, centri a misura di bambino, dove i bambini vengono seguiti per cercare di distoglierli dalla guerra e dal dramma che hanno vissuto.
(Radio Vaticana, 27 giugno 2013)
Ma per molti gli autentici profughi da soccorrere a vita e da aiutare con flottiglie organizzate sono i palestinesi che si entusiasmano ai successi di Arab Idol; e la più seria minaccia alla pace nel mondo sono gli alloggi decisi da Netanyahu a Gerusalemme Est.
Pace in arabo e in ebraico nella pittura a quattro mani
A Riva del Garda i lavori-messaggio di Tobià Ravà e di Abdallah Khaled
RIVA DEL GARDA - Il nuovo evento espositivo organizzato dal Centro Culturale "La Firma" di Riva del Garda, fino al 9 luglio prossimo presso la Sala Civica "G. Craffonara" propone opere dell'artista veneziano di cultura ebraica Tobia Ravà e dell'artista algerino di cultura islamica Abdallah Khaled e si riallaccia alla grande esposizione allestita presso la Mole Vanvitelliana di Ancona nel 2002 ed all'esposizione Fondamenta di pace, allestita nel 2003 a Villa Benzi - Zecchini a Caerano San Marco (TV) in cui erano presenti anche l'artista israeliana Hana Silberstein e l'artista iraniano Nader Khaleghpour. Le opere eseguite a quattro mani da Ravà e Khaled hanno per tema la pace, argomento di scottante attualità politica, vista la situazione internazionale e il difficile rapporto tra ebrei e musulmani.
All'interno delle opere - scrive Maria Luisa Trevisan - sono presenti le parole "salam" e "shalom", "pace" in arabo ed ebraico. "Salam" e "salom" nelle lingue semitiche araba ed ebraica, hanno radici comuni, nascono da una stessa matrice semantica. I due artisti intendono dimostrare che attraverso un confronto culturale e artistico, non solo il dialogo è possibile, ma si può anche realizzare la convivenza e addirittura la collaborazione per un fine comune. Se la religione sembra dividere, con l'arte si vogliono gettare le fondamenta per costruire su nuove basi una pace durevole, affinché di questo sentimento sia permeato ogni gesto e ogni discorso.
La collaborazione tra Tobia Ravà, veneziano di cultura ebraica, e l'artista algerino Abdallah Khaled risale al 2002, allorquando l'agenzia pubblicitaria americana DDB invita i due artisti a eseguire un'opera grafica a quattro mani che poi è stata donata a tutti i loro clienti e ad organizzazioni internazionali come l'ONU e l'UNESCO. Nacque così l'opera Scoppio di Pace, quale evento deflagrante in positivo, quanto mai auspicabile in un mondo che si definisce civile. Da questa felice esperienza sono quindi nate in rapida successione altre opere sul medesimo tema che sono state esposte recentemente - accogliendo numerosi consensi dalla critica e dal pubblico - alla mostra personale di Tobia Ravà Memoria del Futuro (promossa dalla Comunità Ebraica di Verona, allestita presso la Fondazione Museo Miniscalchi Erizzo di Verona in occasione della IV Giornata Europea della Cultura Ebraica, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, il Ministero dei Beni Culturali, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con il Patrocinio della Regione Veneto, Provincia e Comune di Verona, alla mostra tuttora in corso presso la Galleria L'Occhio di Venezia) e alla mostra collettiva Halom Ha Shalom - Sogno di Pace (allestita al Kurhaus di Merano promossa e organizzata dal Centro Culturale "Anna Frank" della Comunità Ebraica di Merano in collaborazione con Concerto d'Arte Contemporanea, con il patrocinio del Comune di Merano e Provincia Autonoma di Bolzano e al museo della Repubblica di San Marino. Tobia Ravà riporta elementi archetipali della cultura ebraica riferiti ad un linguaggio cosmologico universale, poiché attraverso i concetti base della kabbalah, si può arrivare ad un percorso etico-filosofico moderno e antichissimo al contempo. Attraverso esse l'artista esprime l'idea che il patrimonio culturale dell'umanità possa essere trasmesso al futuro in forma di opera sintetica. Abdallah Khaled, algerino di cultura berbera esprime il sapore della sua terra d'origine (la piccola Kabilia), il suo intervento sembra emanare il profumo del deserto e avere i colori dell'Atlante.
(Trentino, 26 giugno 2013)
E' morta Milena Zarfati, tra le ultime sopravvissute alla Shoah
ROMA - La Comunita' Ebraica di Roma piange la scomparsa di Milena Zarfati, una delle ultime sopravvissute alla Shoah. Alle sorelle Franca e Pacifica, scampate alla Shoah, e ai figli di Vito e Alberto Sed mandiamo il nostro cordoglio sincero". Lo dichiara il Presidente della Comunita' Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.
"Nata nel 1929 Milena fu arrestata nel 1944 a Roma e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. Dovette subire come altri milioni di esseri umani la belva nazista - prosegue Pacifici - Tra le poche a finire la marcia della morte, fu liberata quando era nel campo di Bergen Belsen, nel 1945. Finita la guerra non torno' mai piu' ne' a Birkenau ne' in nessun campo nazista. Lei e' una delle ultime donne sopravvissute alla Shoah italiana e questo ci deve far riflettere. Ogni giorno e' importante per ricordare al mondo che dobbiamo correre per preservare la Memoria, nelle scuole e nelle istituzioni va continuato il lavoro affinche' cio' non accada mai piu'". "Milena guardava con speranza e ottimismo alla nascita in Italia del Museo della Shoah, l'unico vero luogo che come in altre Capitali del mondo da' la garanzia di raccogliere le testimonianze e trasmettere quel tragico pezzo di Storia alle nuove generazioni. La commozione e' grande in questi momenti cosi' tristi, porteremo per sempre Milena nei nostri cuori e nelle nostre menti'', conclude.
(Roma.OggiNotizie.it, 27 giugno 2013)
Gaza: le bambine non vedenti a lezione di corano
Una permeazione capillare della società palestinese sta avvenendo in 767 centri distribuiti lungo tutta la striscia di Gaza dove centinaia di ragazze non vedenti vengono istruite in scuole speciali perché imparino a memoria il Corano. La società musulmana Dar Al-Koran ha organizzato i corsi, prevedendo anche il trasporto delle bambine e delle ragazze, e messo a disposizione delle giovani versioni in braille del Corano. Le ragazze vengono istruite e aiutate da insegnanti a memorizzare il testo.
(Dattualità, 27 giugno 2013)
In Israele nasce il primo canale all news
Si chiama i24News e debutterà sugli schermi di mezzo mondo nei prossimi giorni. La stampa l'ha già definita l'Al Jazeera di Israele. Si tratta del primo canale televisivo israeliano all news 24 ore su 24, che trasmetterà in inglese, in francese e in arabo.
Basata a Tel Aviv, vicino al porto di Giaffo, la televisione conta oggi uno staff di 150 giornalisti. A guidarlo come direttore esecutivo, Frank Melloul, ex diplomatico francese già fondamentale nel lancio di France 24. A chiamarlo l'editore di i24News, il tycoon Patrick Dahi, proprietario della società di telecomunicazione Hot. Melloul promette giornalismo di qualità e soprattutto indipendente ("Ci tengo a sottolineare che non prendiamo un soldo dal governo israeliano - ha dichiarato - Ma era ora che nella regione si alzasse un'altra voce oltre a quella di Al Jazeera"). I24News si occuperà per il 70 per cento di affari internazionali e per il 30 di notizie israeliane. Sarà da subito visibile via satellite in Europa, Africa, Medio Oriente e Asia, con l'obiettivo di arrivare entro il 2014 anche in America.
(Notiziario Ucei, 26 giugno 2013)
Netanyahu avverte: nessuno provi ad attaccare Israele
GERUSALEMME, 26 giu. - Monito di Benjamin Netanyahu ad ambedue le parti in conflitto nella vicina Siria, che ha messo in guardia dal provare ad attaccare il suo Paese. "Noi non puntiamo a minacciare chicchessia", ha premesso il premier israeliano, in visita sulle alture occupate del Golan per assistere a manovre militari, "ma nessuno potra' nuocere allo Stato d'Israele senza ricevere una risposta. Una risposta forte e risoluta", ha enfatizzato. Netanyahu ha ribadito che lo Stato ebraico non ha alcun desiderio di lasciarsi trascinare in un conflitto, ma ha aggiunto che le sue Forze Armate stanno "addestrandosi per affrontare una varieta' di ipotesi". Dunque, "le esercitazioni in corso non sono puramente teoriche", ha sottolineato il leader del Likud, citato dalla radio pubblica. "La realta' intorno a noi sta cambiando a un ritmo tremendamente rapido, e' instabile e mutevole, e noi", ha concluso, "dobbiamo essere preparati di conseguenza" .
(AGI, 26 giugno 2013)
La vacanza perfetta? In Puglia secondo la tv israeliana
di Dominga DAlano
Complice il cambiamento del turismo e la giusta promozione del territorio allestero, oggi il nuovo fiore allocchiello del Belpaese, per i turisti extraeuropei, sembra essere diventata la Puglia. Il suo nome è diventato così tanto sinonimo di lifestyle da diventare teatro e protagonista della prima puntata, unica in Italia, di un importante show televisivo israeliano dal nome "The perfect vacation", che andrà in onda il prossimo 5 luglio.
A condurre questo giro del mondo è una star dello spettacolo di Israele, che, per ogni tappa, sceglie di farsi accompagnare da persone del posto per scoprire, grazie a loro, i tesori nascosti di queste città.
Abbiamo intervistato Erez Dan, 36 anni, creatore e produttore dello show e Oded Menashe 34, attore e conduttore del programma.
- Erez, come nasce questa trasmissione?
«Il programma rappresenta una novità assoluta. Nel nostro show il mondo di Internet è il vero regista dello spettacolo. Oded sceglie i posti grazie ai suggerimenti e ai consigli del popolo della Rete. Sono gli utenti online che gli suggeriscono dove andare, cosa vedere e da chi farsi accompagnare città per città a caccia dei luoghi perfetti».
- Come si sceglie una vacanza perfetta?
«Ci siamo resi conto che oggi non basta una cartolina a spingere qualcuno a partire, ma a fare la differenza sono i feedback, il passaparola che creano Facebook, Instagram, la possibilità di farsi seguire online, di segnalare dove ci troviamo, di far sapere cosa facciamo e cosa fotografiamo. In questo programma Oded conosce amici dei suoi amici online che gli segnalano mete e città che senza questo tam tam non avrebbe conosciuto».
- La Puglia rappresenta lunica tappa in Italia del vostro tour. Come mai non siete andati su destinazioni più tradizionali?
«Abbiamo scelto di proposito un posto come la Puglia, sconosciuto dal pubblico israeliano e fuori dalle tradizionali mete turistiche del vostro Paese. E non abbiamo sbagliato. Abbiamo incontrato gente meravigliosa, cibo squisito e spiagge invidiabili. Sono questi gli ingredienti ideali che rendono per un israeliano una vacanza perfetta. Vogliamo che il pubblico di Israele conosca questa terra meravigliosa e se ne innamori, perché per noi è un posto perfetto, per le vacanze perfette. Non a caso la abbiamo scelta come prima tappa del nostro show, siamo certi che piacerà e molti la sceglieranno come prossima meta di vacanza».
Oded Menashe è considerato nel suo Paese una stella del cinema e della tv israeliana. Ha iniziato la sua carriera piccolissimo e nel tempo si è guadagnato la fama di essere uno dei migliori presentatori del luogo. E un personaggio molto amato dal pubblico, visto anche il suo legame con Eden Harel, celebre presentatrice di Mtv.
- Oded, comè stata questa esperienza?
«E stata meravigliosa. La Puglia è un posto speciale, non avevo mai visto prima un posto così autentico, vero. La penso come Erez: cibo eccezionale, gente meravigliosa e la sensazione di sentirsi a casa».
- Come pensi che reagirà il pubblico israeliano di fronte alla scoperta di questa nuova Italia?
«Credo che se ne innamoreranno. Io per primo non volevo andarmene per come sono stato bene e anche se presto partiremo per una nuova avventura, la Puglia mi resterà nel cuore. Ma ho intenzione di tornare e portare questa volta con me mia moglie».
(WakeupNews, 26 giugno 2013)
Hamas minaccia nuovi sequestri
Sette anni dopo Shalit
GAZA, 26 giu - Il 'braccio armato' di Hamas (Brigate al-Qassam) minaccia oggi implicitamente nuovi sequestri di soldati israeliani in un filmato celebrativo del rapimento del caporale Ghilad Shalid, avvenuto sette anni fa. ''Abbiamo iniziato (la marcia) verso la meta'' dicono le Brigate al-Qassam, riferendosi alla liberazione di tutti i palestinesi reclusi in Israele, ''e la raggiungeremo''. Due anni fa Israele ha accettato lo scambio di Shalit con mille detenuti palestinesi.
(ANSA, 26 giugno 2013)
L'ebreo italiano bandito da Ramallah
di Giulio Meotti
Nella recente visita a Ramallah, "capitale" dell'Autorità Nazionale Palestinese, della delegazione ufficiale della Città di Torino, guidata dal sindaco Piero Fassino, non ha potuto far parte il vice Presidente della Comunità Ebraica di Torino, Emanuel Segre Amar, perché EBREO. Sì, perché EBREO. Perché le istituzioni italiane e i loro rappresentanti accettano il "judenrein", come i nazisti chiamavano le entità ripulite dagli ebrei? Emanuel è il figlio di Sion Segre Amar, un celebre esponente della comunità ebraica di Torino, coraggioso corsaro sionista della prima ora condannato dal tribunale speciale fascista e gettato in cella assieme a Leone Ginzburg. Vergogna che in quanto ebreo il figlio non abbia potuto mettere piede nei "territori occupati". Sì, da fanatici islamisti antisemiti. Emanuel Segre Amar ha fatto avere ad Abu Mazen una lettera. Eccola qui riprodotta.
Segue il testo della lettera che Notizie su Israele ha pubblicato il 18 giugno scorso.
(Il Foglio, 26 giugno 2013)
Israele riapre i valichi con la striscia di Gaza
Erano chiusi da due giorni per i lanci di razzi palestinesi
GERUSALEMME, 26 giu. - Israele ha riaperto i punti di passaggio con la striscia di Gaza, bloccati da due giorni in seguito ai lanci di razzi palestinesi contro il sud dello stato ebraico.
I valichi di "Kerem Shalom (per le merci) e di Erez (per le persone) hanno riaperto oggi ed è ripresa la loro normale attività", ha indicato in un comunicato l'esercito israeliano.
Domenica sera, tre razzi sono stati lanciati dalla striscia di Gaza contro il sud di Israele senza provocare né vittime né danni. Altri due razzi erano stato distrutti dal sistema 'Iron Dome'.
L'esercito dello stato ebraico ha lanciato in rappresaglia raid aerei contro obiettivi della Jihad islamica nella striscia di Gaza, che non hanno causato feriti.
(TMNews, 26 giugno 2013)
Notte Bianca a Tel Aviv il 27 giugno 2013
Tel Aviv è senza dubbio la città israeliana più movimentata. Il fulcro del divertimento e della movida di questo Paese è proprio nella Capitale di Israele [?!?],
Tel Aviv Capitale di Israele? La sfacciataggine di certi media sembra non avere limiti.
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dove nei prossimi giorni ci sarà un appuntamento ideale per chi ama diver tirsi. Giovedì 27 giugno 2013, infatti, ci sarà la Notte Bianca a Tel Aviv, dove migliaia di turisti ne approfitteranno per assistere a concerti e spettacoli, fare shopping fino all'alba e partecipare alla miriade di eventi in programma.
Il filo conduttore dell'edizione 2013 della Notte Bianca a Tel Aviv è "Tel Aviv Città Bianca", con i principali edifici Bauhaus, dichiarati Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO, che faranno da sfondo ad una serie di appuntamenti, senza contare che saranno anche loro dei protagonisti nella notte illuminata dalle luci.
Musei e monumenti apriranno le porte al pubblico gratuitamente o con biglietto a prezzo ridotto, non mancheranno spettacoli teatrali, concerti di generi vari (blues, jazz e reggae) in Piazza Rabin, Rothschild e Bialik Rothschild Boulevard e al Porto di Jaffa, visite guidate e animazioni per bambini. In programma ci saranno esibizioni di bande musicali, mentre ad intrattenere il pubblico ci saranno artisti di strada.
Per quanto riguarda lo shopping, oltre ai negozi aperti fino a tarda sera, ci saranno anche le bancarelle del mercato Carmel, mentre presso la spiaggia Zuk andrà in scena la mega festa fino all'alba.
(ViaggiOK.net, 26 giugno 2013)
Scritte inquietanti alla sinagoga di via dei Gracchi a Milano: "Intifada"
La scoperta nella mattinata. Vicino anche la sede dei Testimoni di Geova
MILANO, 26 giugno 2013 - Due scritte "Intifada" sono state scoperte questa mattina a Milano. E' la loro collocazione a inquietare. Sono state individuate vicino alla sinagoga e alla sede dei Testimoni di via dei Gracchi, nei pressi di piazzale Tripoli, nella zona ovest della metropoli.
I due templi (quello ebraico di professione sefardita) si trovano rispettivamente ai civici 25 e 10. Ed è là dove questa mattina, intorno alle 9.30, le due scritte sono state viste. Immediata la chiamata alle forze dell'ordine, che ora cercheranno di stabilire quando sono stare realizzate e da chi.
La parola araba "intifada" letteralmente significa sussulto, ma viene utilizzata comunemente con il significato di "rivolta" o "sollevazione". Storicamente, con intifada si intendono le rivolte arabe volte ad allontare gli israeliani dalla Palestina. E' per questo motivo che le due scritte vergate vicino alla sinagoga di Milano sono state subito controllate. Il gesto, comunica la polizia, al momento non è stato rivendicato.
(Il Giorno - Milano, 26 giugno 2013)
Ascoltavano sermoni che esortavano al martirio: espulsi due operai marocchini
L'accusa è di terrorismo. Il provvedimento eseguito verso un 43enne di Thiene, l'altro straniero non è più in Italia.
VICENZA - Ascoltavano sistematicamente i sermoni degli imam che esortavano al combattimento e al martirio, erano antisemiti dichiarati e assolutamente contro la cultura occidentale: sono questi gli elementi che hanno portato alla notifica di due decreti di espulsione immediata nei confronti di due persone di origine marocchina. L'accusa è di terrorismo. Il provvedimento, eseguito con il supporto dell'Ufficio Immigrazione della Questura berica, è stato disposto «per motivi di prevenzione del terrorismo» a firma del Ministro dell'Interno Alfano.
Il provvedimento è stato eseguito solo nei confronti di uno dei due stranieri: un 43enne originario del Marocco, impiegato come operaio in una ditta di carpenteria metallica di Schio e residente a Thiene, nel Vicentino. Il secondo marocchino, invece, è stato inserito nella banca dati "Schengen" poiché non più in Italia.
I provvedimenti trovano origine da una indagine condotta tra il 2011 ed il 2012 dai carabinieri del Ros con la Procura Distrettuale di Venezia - Area Antiterrorismo coordinata da Carlo Mastelloni, che ha permesso di dimostrare, da parte dei due magrebini, radicato ed esternato antisemitismo e antioccidentalismo, nonché l'utilizzo di internet per la sistematica visione, archiviazione ed ascolto di video e sermoni finalizzati ad esortare al combattimento e al martirio.
(Il Gazzettino.it, 26 giugno 2013)
Un metodo per purificare e rendere sicure le staminali
Le popolazioni di cellule derivate da cellule staminali possono essere purificate evitando la contaminazione di cellule ancora indifferenziate potenzialmente responsabili dell'insorgenza di tumori.
Una "procedura di pulizia" in grado di aumentare la sicurezza delle terapie a base di cellule staminali è stata scoperta da un gruppo di ricerca del Silberman Institute of Life Sciences della Hebrew University a Gerusalemme, in Israele.
Come si legge nell'articolo di resoconto apparso sulla rivista "Nature Communications" a firma di Uri Ben-David, Neta Nudel e Nissim Benvenisty la nuova metodica sfrutta una proteina della superficie cellulare espressa esclusivamente dalle cellule staminali per eliminare le cellule indifferenziate dalle popolazione di cellule miste....
(Le Scienze, giugno 2013)
Novità dal Monte del Tempio
di Ugo Volli
Cari amici,
vorrei commentare oggi con voi due notizie che riguardano il Muro Occidentale, quello che gli ebrei chiamano semplicemente Kotel e i cristiani "Muro del Pianto". Non si tratta del triste episodio dell'altro giorno in cui è stata coinvolta una guardia di quelle che difendono la sicurezza del sito (eh già, perché il più importante luogo di preghiera ebraico anche in Israele dev'essere difeso dagli attentati con metal detector e guardie armate, come del resto accade alle sinagoghe in mezz'Europa - eco non tanto lontano di ghetti e pogrom). Come avete letto anche su Informazione Corretta, sembra che uno squilibrato abbia strillato il grido di guerra arabo che gli attentatori in genere pronunciano prima di farsi saltare e abbia cercato di tirar fuori qualcosa dalle tasche suscitando la reazione del guardiano, che per fermarlo gli ha sparato colpendolo a morte. Di questo incidente si è ampiamente parlato sui giornali occidentali, come accade di tutto ciò che può proiettare un'immagine militarista e negativa su Israele.
Non si è parlato invece di una pronuncia del tribunale di Gerusalemme, che tre giorni fa ha lasciato libero un giovane ebreo scoperto a pregare sul monte del Tempio. Dovete sapere che Israele, è così tanto uno "stato di apartheid" da garantire a tutti libertà religiosa in tutto il paese e a Gerusalemme (basta girare cinque minuti per la città vecchia o il Monte degli Ulivi per vedere chiese e moschee liberamente funzionanti), con un'unica eccezione: il monte del Tempio, il luogo dove sorgeva il Tempio di Salomone, che è il più sacro al mondo per gli ebrei. Qui, nonostante l'"occupazione" del '67 sia iniziata col grido trasmesso alla radio "il monte del tempio è nelle nostre mani", Israele non ha mai soppiantato il potere dell'organizzazione islamica che deteneva fino al '67 il potere, il Wafk o fondo islamico. Anzi i poliziotti israeliani vi agiscono rispettando le sue istruzioni. Le quali non solo limitano drasticamente la possibilità per i non islamici di visitare il Monte, solo un paio d'ore al giorno e senza entrare nelle Moschee, ma proibiscono qualunque simbolo strumento o libro religioso non islamico (provate a fare la lunga fila per salire sul Monte nell'unico ingresso riservato agli "infedeli" con una croce o una stella di Davide al collo, e vi chiederanno di lasciarla lì come ogni Bibbia o libro di preghiera). E in particolare proibiscono agli ebrei di soffermarsi in meditazione e ancor peggio di pronunciare anche a voce bassa qualunque cosa che possa essere interpretata come una preghiera.
Il solo posto in Israele in cui non vi è libertà di religione è il Monte del tempio e chi non gode di nessuna libertà sono gli ebrei. Se vi ricordate, la semplice apparizione di Ariel Sharon sul Monte, pur rispettando tutte le regole che vi ho descritto, è stata presa dall'Autorità Palestinese come pretesto per scatenare la seconda intifada, l'ondata terrorista che provocò un migliaio di vittime israeliane, fatte saltare in ristoranti, bar, autobus, al mercato, per strada. Oggi sappiamo anche da fonti palestinesi che non era vero, che Arafat aveva dato l'ordine di far partire gli attentati ben prima della "passeggiata" di Sharon; ma in questo contesto non importa, quel che conta è che la semplice presenza di un ebreo nel luogo più sacro della sua religione è giudicata dai palestinesi un'offesa sufficiente a giustificare un'ondata di stragi. Nessuna meraviglia, dato che nei diciott'anni in cui i palestinesi (cioè i giordani) poterono fare a modo loro, dal '49 al '67, non a un singolo ebreo fu consentito l'accesso non solo al Monte, ma anche al Kotel, trasformato in un deposito di immondizie. Tanto per l'Islam "religione tollerante".
Ma questa sistemazione che discrimina i non islamici sul Monte è un accomodamento di fatto, non una regola giuridica sanzionata. Anzi in Israele c'è una "legge fondamentale" (una di quelle leggi privilegiate che sostituiscono la costituzione, stabilendo diritti e regole dello stato) che sancisce la libertà di religione. Sicché l'altro giorno un ragazzo che aveva sfidato la norma liberticida del Wafk, fermandosi a dire una preghiera sul Monte, ed era stato arrestato dalle guardie israeliane per questo, è stato liberato e assolto dal Tribunale di Gerusalemme, proprio sulla base del principio della libertà religiosa.
E' interessante notare che questa corte è la stessa che il mese scorso ha liberato e assolto anche le "donne del muro" che pretendevano di pregare al Kotel con gli indumenti che la tradizione ortodossa riserva agli uomini (non la legge ebraica, per esempio Maimonide, che li consente). Sempre sulla base della libertà di religione il giudice aveva stabilito che non ci dovesse essere nessuna regolamentazione che impedisse a queste donne di pregare secondo la modalità egualitaria che per esempio è prevalente nell'ebraismo anglosassone (le correnti "reform" e "conservative"). Anche questo è un segno che la società israeliana non solo è democratica e liberale quanto e più delle società europee, ma ha in sé i meccanismi per superare le chiusure che ancora informalmente permangono.
E qui vi è la seconda notizia. Sapete chi si è opposto alla sentenza? Gli ultraortodossi, naturalmente, isolati in questo dalla società israeliana. Ma anche l'Autorità Palestinese, che ovviamente vede la libertà religiosa come il fumo negli occhi e pretende di avere voce in capitolo su tutto ciò che riguarda il Monte del Tempio e dintorni, anche se non ha nessuna autorità legale per farlo (neanche dal punto di vista islamico, perché la responsabilità della custodia dei luoghi santi islamici resta del Re di Giordania). Israele ha trovato un meccanismo, proposto dal presidente dell'Agenzia Ebraica Natan Sharanski, per mettere fine al conflitto, istituendo oltre alla due sezioni attuali (mashile e femminile) del Kotel un'altra sezione mista o modernista. Ma questo per l'Anp è "inaccettabile" perché modifica la destinazione dei luoghi. E' lo stesso argomento con cui i palestinesi stanno sabotando da anni il restauro di una passerella danneggiata dal terremoto che porta al solo ingresso per i non musulmani sul Monte, minacciando fuoco e fiamme per questo. Per evitare provocazioni e per non dar voce alla diffamazione islamista, Israele ha (troppo) pazientato in questi decenni di fronte a tali assurde prepotenze. Ora forse è arrivato il momento in cui le cose iniziano a cambiare.
(Informazione Corretta, 25 giugno 2013)
Antisemitismo in Europa: drammatico nuovo rapporto
Un nuovo rapporto sull'antisemitismo in Europa condotto dalla European Union Agency for Fundamental Rights, l'agenzia dell'Unione Europea per i Diritti Fondamentali, è stato presentato domenica scorsa è delinea un quadro davvero preoccupante per gli ebrei residenti nel vecchio continente.
Secondo questo rapporto il 26% degli ebrei residenti in Europa ha subito molestie antisemite almeno una volta durante l'ultimo anno, il 34% ne ha subite nel corso degli ultimi cinque anni mentre il 5% ha denunciato che le loro attività o le loro abitazioni sono state deliberatamente danneggiate con motivazioni antisemite. Di questi il 7% ha subito attacchi fisici ed è rimasto ferito con vari gradi di gravità. Il 40/50% degli ebrei residenti in Francia, Belgio e Ungheria ha dichiarato che non si sente più al sicuro nel loro Stato di residenza e sta seriamente pensando di emigrare in un luogo più sicuro o addirittura di attuare la aliyah, cioè immigrare in Israele....
(Rights Reporter, 25 giugno 2013)
Buon appetito. La prima cucina sociale kasher di Milano
di Ruth Migliara
Il progetto è stato presentato nel corso di una serata il 17 giugno.
Il titolo della serata era beteavon, buon appetito in ebraico, e non è un caso. La finalità di questo galà benefico era infatti che questo augurio se lo possano scambiare, dora in poi, anche i più poveri di Milano.
Beteavon. La cena che nutre un progetto ha avuto luogo con grande successo lunedì 17 giugno, presso lo spazio esclusivo del teatro Vetra di Milano.
Lobiettivo dell iniziativa, organizzata dallAssociazione Merkos, era quello di raccogliere più fondi possibile per ultimare la realizzazione della prima cucina sociale kasher in Italia. Una mensa, dunque, che come altre strutture analoghe a Milano, distribuisca pasti ai bisognosi.
Una fra le tante - si potrebbe dire. Ma posto che queste iniziative non sono mai abbastanza, cè una novità a rendere unico il progetto. I pasti saranno preparati in osservanza delle più rigide norme secondo cui un cibo è kasher, ossia permesso secondo le regole enunciate nella Torà.
Ma torniamo a Beteavon.
Lunedì sera sono state molte le personalità pubbliche a partecipare: dalla Vice Sindaco De Cesaris, al Presidente della Comunità Ebraica di Milano Walker Meghnagi e al Rabbino Capo di Milano Alfonso Arbib. Tutti a sottolineare che quando una iniziativa è per il bene collettivo può e deve cadere ogni distinzione e divisione e non importa più se si è ebrei o meno, chabad e no. Ognuno porta la sua pietra per la costruzione e così, mattone dopo mattone, si arriva a costruire un tempio intero.
Una bella serata: ad accogliere i partecipanti un tripudio di fiori bianchi allestiti da Angelo Garini, il wedding planner delle star, e la cena di alto livello dello chef stellato della Locanda del Pilone che, presentato a fine serata, risulta essere un piccolo e timido uomo giapponese degno di un racconto di Murakami. Musica con Raiz degli Almamegretta, il cantante ebreo che a San Remo, questanno, si rifiutò di suonare di Shabbat. E ancora, divertimento con il comico televisivo Teo Teocoli.
Tutti accorsi rigorosamente gratis, per partecipare con un personale contributo alla riuscita della cena benefica.
Zedakà, si chiama in ebraico. Ossia il contributo personale di giustizia che ognuno dovrebbe dare, per ricordare che ogni ricchezza e successo non sono nostro merito e di nostra proprietà esclusiva, ma ci sono dati per essere messi a servizio di tutti.
E così eccoci alla bellezza spirituale della serata. Il fare una cosa bella per se stessi mentre si pensa però anche a chi è meno fortunato: ama il prossimo tuo come te stesso, recita la Torà - e, nel dire buon appetito agli eleganti compagni di tavolo, fare arrivare questo augurio anche a tutti coloro che mangeranno grazie alla cucina sociale del Merkos.
(Mosaico - Comunità Ebraica di Milano, 25 giugno 2013)
"Condividi una Coca Cola" grazie all'hi tech israeliano
di Rossella Tercatin
"Condividi questa Coca Cola con
l'amico/Giorgia/Davide/l'altruista/il nonno
". La nuova campagna pubblicitaria della bibita gasata più popolare al mondo è stata lanciata da poche settimane e già impazza. Etichette personalizzate, che riportano uno dei 150 nomi più popolari del luogo, oltre che generiche attribuzioni o titoli. Sono ben 32 i paesi in cui i genitori frugano il supermercato alla ricerca di bottiglie o lattine con i nomi dei propri figli, i figli alla ricerca di quelle con la scritta "Condividi con mamma/papà", e tutti ridacchiando davanti alle parole più fantasiose ("la stilosa", "un tesoro", "felicità"
) per un totale di 800 milioni di pezzi. E ovviamente non finisce qui, perché chi trova la Coca Cola giusta per se stesso o per i suoi cari, prova un'irrefrenabile voglia di condividere la notizia sui social network, e così le immagini finiscono online e la voglia di bibita aumenta in modo esponenziale. Per la compagnia di Atlanta, un vero affarone, che si protrarrà fino alla fine dell'estate.
Tra le nazioni coinvolte anche Israele, con le sue etichette personalizzate rigorosamente in caratteri ebraici e con i nomi più popolari: Adam, Yael, Michal, Alon
Ma la notizia è che senza Israele, questa campagna non sarebbe stata nemmeno possibile: per la precisione, occorre dire grazie alla divisione locale di HP Indigo, che ha elaborato una tecnologia per permettere di stampare le cinquemila etichette differenziate.
La Coca Cola infatti normalmente produce gli imballaggi con i propri macchinari, ma in questo caso la situazione era radicalmente più complessa. Dopo molte sperimentazioni, la società ha deciso di utilizzare le stampanti della Indigo HP, come ha spiegato al Times of Israel Marit Kroon, marketing manager per l'Europa. "La fase di packaging gioca un ruolo chiave in questa campagna, perché mette in connessione la bottiglia fisica con i canali di comunicazione online, compresi i social media e gli altri siti gestiti dagli utenti - ha sottolineato Kroon - La capacità di personalizzare un numero di etichette così elevato con le HP Indigo Digital Presses, mantenendo allo stesso tempo la qualità e la coerenza dell'imballaggio degli standard Coca Cola, spalanca nuove possibilità di portare la creatività delle nostre campagne a un livello superiore".
E pensare che cent'anni fa serviva solo a curare il mal di testa
(Notiziario Ucei, 25 giugno 2013)
Il grande amore dell'UNRWA per i "martiri"
Il nuovo Arab Idol palestinese, un "eroe" - insieme ai terroristi
Un editoriale di Ma'an celebra il nuovo Arab Idol, il palestinese Mohammed Assaf, che ha vinto il premio indossando una kefiah.
L'autore, Firas Attieh Tirawi, si riferisce ad Assaf come un "eroe" e lo paragona ad altri "eroi palestinesi", come Yasser Arafat, Abu Jihad e Abu Iyad e Abdul Qader Husseini, Faisal Husseini e Ahmed Shuqairi e Fathi Shikaki (fondatore della Jihad islamica) e Abdel Aziz al-Rantissi e Ahmed Yassin (co-fondatori di Hamas), Abu Ali Mustafa (FPLP), e George Habash (PFLP).
L'articolo si riferisce anche al canto di Assaf di "ritorno" in Palestina dal fiume al mare, espellendo gli ebrei da Haifa e Acco e Giaffa nonché Gerusalemme.
Intanto l'UNRWA ha nominato Assaf - il cantante che ha gareggiato con canzoni che sostengono la distruzione di Israele - a suo primo "ambasciatore".
Primo palestinese a vincere Arab Idol, Assaf è nato da genitori profughi palestinesi in Libia. È tornato nella Striscia di Gaza con la sua famiglia all'età di 4 anni ed è cresciuto in gran parte nel campo profughi di Khan Younis. Si è descritto come un "figlio della Palestina" e un "figlio dell'UNRWA": sua madre è un'insegnante dell'UNRWA, e lui stesso è stato educato in scuole dell'UNRWA.
Il che significa che non ha alcuna ragione di avere lo status di rifugiato - la sua famiglia si è trasferita in piena libertà al territorio della "Palestina", che è dove è cresciuto.
L'UNRWA, naturalmente, è d'accordo con Assaf che lo Stato ebraico deve essere distrutto con il "ritorno" di milioni di profughi falsi come la famiglia di Assaf. Ed è stato documentato che le scuole dell'UNRWA di Gaza in cui Assaf è cresciuto insegnano le glorie del jihad e il martirio.
Tradotto da Elder of Zion
(ilblogdibarbara, 25 giugno 2013)
Svastiche sui muri? Per qualcuno in Polonia portano fortuna
Il simbolo del nazismo disegnato a Bialystok, nella Polonia orientale: per le autorità locali porta fortuna.
Per qualcuno in Polonia una svastica disegnata sulla parete di un palazzo non rappresenta apologia di nazismo, bensì un semplice portafortuna. E se quel "qualcuno" sono le autorità di una città - Bia?ystok, nella Polonia orientale - il problema rischia di essere serio. La procura cittadina, infatti, si è rifiutata di avviare un'inchiesta sui simboli dipinti su un trasformatore elettrico nonostante diverse lamentele, sostenendo che "la svastica è un simbolo di buona fortuna e prosperità". A raccontarlo è il quotidiano Gazeta Wyborcza, che scrive anche con amara ironia che "le svastiche potrebbero essere state disegnate da alcuni indù, che credono nelle proprietà benefiche del simbolo". Il procuratore generale Andrzej Seremet ha già revocato la "scandalosa" decisione di Bialystok, città salita alla ribalta di recente per una serie di episodi razzisti a opera di gruppi neofascisti. Il codice penale polacco prevede multe e pene detentive fino a due anni per chi propaganda il fascismo e altri regimi totalitari.
(fanpage, 25 giugno 2013)
Giudea-Samaria: Netanyahu inaugura una scuola in un insediamento
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha inaugurato ieri una scuola in un insediamento ebraico in Giudea-Samaria.
La scuola, inaugurata dal capo di governo nellinsediamento di Barkan, nel nord-ovest del distretto di Tulkaren, porta il nome di Benzion Netanyahu, padre del dirigente israeliano morto lo scorso anno, riporta il quotidiano Haaretz nella sua edizione online.
Durante la cerimonia, Gershon Mesika, capo del consiglio regionale della Samaria, ha affermato che Netanyahu ha preso dal padre "la forza mentale necessaria per un essere un leader potente tra le nazioni del mondo" e lo ha esortato a "intensificare gli sforzi per popolare la terra", in riferimento ai territori contesi.
"Non cedere alla pressione esterna o interna. Ascolta le parole di tuo padre. La pace non sta nel prelevare i bambini dalle proprie case", ha aggiunto, mettendo in guardia contro la restituzione dei territori ai palestinesi.
Il direttore della scuola ha inoltre chiesto al premier come pensa di garantire "la continuità del sionismo in Samaria". Netanyahu non ha risposto direttamente, ma ha promesso che Israele non cesserà di "sviluppare la sua terra" e di rendere "le sue radici sempre più profonde".
(Tratto da Atlas, 25 giugno 2013)
Deputati arabi di Israele chiedono un nuovo inno e una nuova bandiera
I simboli nazionali secondo loro esprimono sentimenti ebraici, ma non arabi
GERUSALEMME, 25 giu - Un dibattito preliminare sulla opportunita' di sostituire l'inno nazionale di Israele e la sua bandiera e' stato tenuto ieri alla Knesset su iniziativa di alcuni deputati della opposizione di sinistra, per lo piu' arabi. Nei loro interventi hanno sostenuto che l'inno 'Ha-Tikwa' (la speranza) e la bandiera (che ostenta la stella di Davide) esprimono sentimenti profondi della maggioranza ebraica di Israele, mentre ignorano quelli della minoranza araba. Fra le proposte avanzate ieri vi e' la composizione di un nuovo inno, o anche il mantenimento di quello attuale ma con due testi paralleli: uno in ebraico e l'altro in arabo. Un'altra proposta suggerisce la aggiunta dei colori nazionali palestinesi al bianco-azzurro del vessillo israeliano.
(Fonte: ANSAmed, 25 giugno 2013)
Svastiche e scritte antisemite. Sfregio alla sinagoga di Padova
Indaga la Digos: al vaglio i video di sorveglianza
PADOVA Una ventina di giorni fa era toccato alla sinagoga di Verona. Nella notte tra domenica e lunedì è stata la volta di quella di Padova. Una svastica di notevoli dimensioni è comparsa praticamente di fronte alla sede della comunità ebraica di Padova, all'angolo tra via Delle Piazze e via San Martino e Solferino. Ma non solo. Altre tre o quattro svastiche «fresche» di bomboletta spray sono apparse a meno di una decina di metri dalla sinagoga. E ancora la scritta (in parte incomprensibile) «C'eravamo tutti a Dachau», la data «1933» (l'anno in cui Hitler andò al potere), il simbolo dell'organizzazione neofascista «Terza posizione» e alcune croci celtiche. E non è escluso che di simboli di questo tipo ce ne siano altri visto che le segnalazioni dei residenti del ghetto sono continuate per tutta la giornata di lunedì . Una serie di simboli e frasi inquietanti, di cui la Digos di Padova è già stata informata.
Gli agenti della questura hanno infatti già avviato delle indagini procedendo all'analisi delle registrazioni delle telecamere della videosorveglianza presenti in ghetto. Difficile dire chi possa essere l'autore del gesto. Solo una ventina di giorni fa, come detto, era toccato alla sinagoga di Verona. In quell'occasione erano comparse, direttamente sulla facciata, svastiche, stelle di David e la scritta nazista «Juden ». A disegnarle erano state alcune persone incappucciate riprese dalle telecamere di sorveglianza. «Purtroppo Padova ha una lunga tradizione in questo senso - ha spiegato il docente di Storia dell'ebraismo moderno e contemporanea dell'Università di Padova, Gadi Luzzato Voghera - a cominciare da una militanza di estrema destra piccola per dimensioni ma molto pesante. Solo un mese fa ci siamo incontrati per commemorare il settantesimo anniversario dell'incendio alla Scuola Grande Tedesca, il centro pulsante della vita ebraica a Padova e oggi ci troviamo a contare scritte e simboli sparsi per tutto il ghetto». Stranamente però non ci sono stati, come spesso accade, fatti o dibattiti recenti che possano avere riacceso le menti deliranti di intolleranti e antisemiti né le scritte fanno riferimento a fatti di cronaca. L'episodio sembrerebbe quasi essere la manifestazione di un antisemitismo di fondo che continua ad esistere al di là di tutto e nonostante tutto.
Il ghetto è in ogni caso una delle aree di Padova più densamente «coperta» da telecamere e non è escluso che attraverso queste si possa arrivare all'identificazione dei responsabili. «Purtroppo se si contano le decine di svastiche sparse per la città o si pensa all'esistenza di negazionisti come Franco Damiani, del liceo scientifico Rolando da Piazzola - ha continuato poi - si capisce come l'antisemitismo sia drammaticamente un fenomeno che continua a sopravvivere ». La Comunità ebraica di Padova ha preferito attendere di capire le dimensioni e la gravità dell'episodio prima di prendere provvedimenti in merito. Di certo non mancherà, come sempre accaduto in passato, di segnalare ogni nuova scritta o svastica agli agenti della questura.
(Corriere della Sera, 25 giugno 2013)
I confini insanguinati dello stato di Israele
di Stefano Magni
Nubi di guerra si stanno addensando su Israele. Dall'inizio dell'anno, lo Stato ebraico, di solito al centro delle violenze, ha vissuto in una sorta di irreale oasi di pace in mezzo a un Medio Oriente turbolento. Da una settimana, però, sono ripresi i lanci di razzi da Gaza e la guerra civile siriana sta coinvolgendo il Libano, a due passi dalla Galilea. I razzi di Gaza sono una vecchia e drammatica conoscenza per tutte le comunità (kibbutz, moshav e città) del Negev occidentale. Ogni casa ha un suo bunker, i cittadini sono ormai abituati a correre al riparo in quindici secondi, il tempo che trascorre fra l'allarme e l'impatto dell'ordigno. Nel 2012, in quella regione, la situazione era assolutamente invivibile: 2256 lanci in un anno, la maggior parte dei quali concentrati nel solo mese di novembre quando si sono riaperte le ostilità fra Hamas e Israele.
Dall'inizio del 2013, invece, i lanci erano in tutto 20. Alcuni sono stati effettuati proprio nel corso della visita di Barack Obama, giusto per segnalare a Israele, all'Autorità Palestinese e al presidente statunitense che il partito islamico palestinese non voleva sentir parlare di "processo di pace". La relativa calma sul fronte di Gaza era dovuta, essenzialmente, alla guerra di novembre che ha distrutto gran parte delle infrastrutture militari di Hamas. Come sempre avviene, dopo aver incassato un colpo molto duro, l'organizzazione islamica ha proclamato una tregua, negoziata con l'Egitto. Per farla rispettare, i corpi speciali della polizia di Gaza sono stati rischierati lungo i confini, per prevenire atti di guerra da parte di organizzazioni diverse da Hamas, o sue cellule armate fuori controllo. Nonostante tutto, lunedì scorso, un ordigno è stato lanciato contro Sderot.
Per motivi tecnici ha mancato clamorosamente il bersaglio ed è andato ad impattare in territorio palestinese. Dopo questa prima, maldestra, prova di guerra, a una settimana di distanza (domenica notte) altri sei razzi sono stati tirati. Almeno due di essi erano armi da guerra, non gli artigianali Qassam (che possono essere prodotti in tutte le officine meccaniche), ma Grad, katjushe di fabbricazione russa, passate dall'Iran a Hamas e Hezbollah. I razzi non hanno provocato vittime, mancando i loro bersagli e due di essi sono stati intercettati dal sistema anti-missile Iron Dome, mentre erano in volo su Ashkelon. Quasi immediata la risposta dell'aviazione israeliana: sono stati bombardati due depositi di armi, un'area usata per i lanci e un "centro di attività terroristiche". Mentre Hamas nega ogni responsabilità, il bombardamento viene rivendicato dalla Jihad Islamica, altra organizzazione palestinese di Gaza. Possibile che i corpi della polizia speciale di Hamas si siano lasciati sfuggire dei razzi Grad? In ogni caso, Benjamin Netanyahu, commentando i fatti, ha avvertito che «Israele è in grado, da solo, di rispondere ad ogni minaccia, lontana o vicina che sia», lanciando così un monito anche all'Iran, che ha cambiato il suo presidente, ma non il suo programma atomico.
Toni più duri da parte di Avigdor Liberman, ex ministro degli Esteri e attuale presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset: «Hamas non ha alcuna intenzione di accettare la presenza ebraica in Israele. E quindi abbiamo bisogno di tornare nella striscia di Gaza a fare pulizia». Una rioccupazione militare della Striscia di Gaza, dopo il ritiro unilaterale israeliano del 2005, non è mai stata presa in considerazione, almeno sinora. Dopo due guerre e un continuo stillicidio di razzi, però, anche questa politica può cambiare. Il peggior ostacolo alla soluzione "due popoli in due Stati" è proprio la constatazione che, da qualunque regione si ritiri Israele, ricomincia la guerra contro gli israeliani. Lo stesso discorso vale per il Libano: dopo il ritiro dal Sud del Paese, avvenuto nel 2000, è subentrato Hezbollah, che ha preso il controllo di tutta l'area e ha avviato l'escalation di azioni di guerriglia fino alla guerra del 2006. Solo la presenza di un nutrito corpo di interposizione internazionale (Unifil2) ha impedito lo scoppio di ulteriori ostilità.
Ma non il riarmo di Hezbollah, che ora dispone di un arsenale addirittura superiore rispetto a quello del 2006. Una guerra anche su quel fronte è considerata sempre più probabile. Hezbollah sta partecipando, con almeno 7000 uomini, alla guerra civile siriana, dove combatte dalla parte del dittatore Bashar al Assad. Il partito armato sciita ha perso centinaia di uomini, fra morti e feriti, anche se non vuole divulgare statistiche precise sul numero dei suoi caduti. E, nel Libano del Sud, si sono rafforzate milizie sunnite che combattono dalla parte dei ribelli anti-Assad. Ieri si è registrato un episodio grave da pre-guerra civile, uno dei tanti ormai: 16 militari libanesi morti a Sidone, in uno scontro con i sunniti seguaci dello sceicco Ahmad al Assir. Domenica era stato arrestato uno dei membri del gruppo, per trasporto di armi illegali. La reazione della milizia sunnita è stata molto violenta e a Sidone è scoppiata una vera e propria battaglia, con uso di razzi e mitragliatrici. Il rischio di una guerra fra sunniti e Hezbollah è sempre più vivo ed entrambe le parti sono dichiaratamente nemiche di Israele. Alla prima scintilla possono iniziare a combattersi tra loro. O lanciare provocazioni militari contro lo Stato ebraico per "distrarre" l'opinione pubblica libanese dal nemico interno.
(L'Opinione, 25 giugno 2013)
Custode di Terra Santa: P. Franҫois Mourad, ucciso dai ribelli islamisti a Ghassanieh
P. Pierbattista Pizzaballa, commenta l'uccisione del sacerdote, nuovo martire in Siria. Franҫois Mourad è stato ucciso durante un assalto dei guerriglieri islamisti al convento di Sant'Antonio, nella provincia di Idlib. Fino alla sua morte il sacerdote aveva lavorato con i francescani per alleviare le sofferenze di cristiani e musulmani. Ora il villaggio è completamente distrutto.
GERUSALEMME - "L'uccisione di p. Franҫois Mourad è un triste fatto e un duro colpo per tutti i frati della Custodia di Terra Santa". È quanto afferma ad AsiaNews p. Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, in occasione della morte del religioso siriano ucciso lo scorso 23 giugno a Ghassanieh, villaggio a maggioranza cristiana nel distretto di Jisr al-Shughur nella provincia di Idlib. I suoi funerali si sono stati celebrati ieri nel piccolo villaggio di Kanaieh a pochi chilometri da Ghassanieh.
Fino a ieri vi erano due versioni sulle dinamiche dell'omicidio, la prima parlava di un proiettile vagante, la seconda di un vero e proprio assalto compiuto da ribelli islamisti contro il convento di Sant'Antonio a Ghassanieh. "La versione più attendibile - spiega p. Pizzaballa - è la seconda. Dalle foto e dalle testimonianze di nostri religiosi, nelle scorse settimane i ribelli hanno attaccato il villaggio, costringendo la maggioranza della popolazione a fuggire. L'unica zona tranquilla era proprio quella del convento di Sant'Antonio, che ospitava insieme a p. Franҫois alcuni frati francescani, quattro suore e dieci cristiani. Ma il 23 giugno i ribelli, che fanno parte di una frangia estremista islamica, hanno invaso anche quella". Secondo il Custode di Terra Santa, gli islamisti hanno fatto irruzione nel convento, saccheggiando e distruggendo tutto. Quando p. Franҫois ha cercato di opporre resistenza per difendere le suore e le altre persone, i guerriglieri gli hanno sparato, uccidendolo. "Al momento - aggiunge p. Pizzaballa - il villaggio è ormai completamente deserto. I ribelli si sono trasferiti lì con le loro famiglie e hanno occupato le abitazioni ancora in piedi". "Preghiamo - conclude - perché questa guerra assurda e vergognosa finisca presto e che la gente di Siria possa tornare presto alla normalità".
Originario di un villaggio della provincia di Lattakia nel nord ovest della Siria, p. Franҫois Mourad, 49 anni, era stato formato dai Padre Francescani di Terra Santa. Sentendosi chiamato ad una vita più contemplativa alla fine degli anni '90 lascia i Francescani e completa i suoi studi presso i Trappisti di Latroun (Palestina). Una volta rientrato in Siria è ordinato sacerdote dal Vescovo Siro Cattolico di Hassaké nel Giaziret siriano. In questi anni inizia una nuova fondazione monastica, ispirandosi a San Simeone lo Stilita e fonda un piccolo monastero di vita contemplativa ad Hwar, nella provincia di Aleppo, dedicandosi alla formazione di alcuni giovani postulanti, tutti siriani.
Ad Hwar resta fino al 2013, finché per l'aggravarsi del conflitto fra ribelli islamici e regime è costretto a rifugiarsi a Ghassanieh, sul fiume Oronte, dove riceve ospitalità nel locale convento dei francescani. Fino alla sua morte ha lavorato insieme ai frati per portare sollievo alla popolazione cristiana e musulmana della zona. (S.C.)
(Asia News, 25 giugno 2013)
Summer camp a Gaza
di Maristella Carbonin
Chiudo l'occhio sinistro. E prendo bene la mira. Devo sparare a una bottiglia vuota. Ma qui mi insegnano a immaginare, al posto della bottiglia, un nemico che non ho. Ho solo otto anni. Come faccio ad avere nemici? Per diventare grande devi avere nemici, mi ripetono. Lezione numero uno. Sparo alla bottiglia vuota. La manco. Guardo Isaac, il mio amico immaginario, e sorrido: mancata. La scuola è finita da qualche settimana e io passo le vacanze al campo estivo di Gaza, come Marwan, Rami e Intissar. Sono i summer camp organizzati da Hamas. Siamo tanti qui. Io e Rami siamo nel gruppo dei più piccoli. Anche se non siamo i più piccoli. Ali ha sei anni, ad esempio. I più grandi hanno sedici anni, loro sparano con fucili veri. E' il turno di Marwan: un colpo. La bottiglia esplode come un fuoco d'artificio. Ride. Forse anche lui ha un amico immaginario. A minuti mangiamo tutti assieme, poi ci insegnano a strisciare sulla terra sotto il filo spinato. Io in questo esercizio sono bravo. Sono piccolo e agile. Arrivo primo. Mi premiano: devo saltare attraverso il fuoco. A me l'estate non piace. Io preferisco leggere e scrivere ma ho capito che qui e' meglio non dirlo. A me piace fare volare gli aquiloni. Io la passerei così la mia estate. A dare filo, a mandare su su l'aquilone. Il cielo bianco di Gaza ha bisogno di colori. Un giorno io e Isaac ne abbiamo costruito uno bellissimo. Azzurro, verde e giallo. Poi abbiamo aspettato il vento e gli abbiamo dato filo. 'L'aquilone da lassù riuscirà a vedere anche casa tua, a Gerusalemme', ho detto a Isaac, il mio amico immaginario. Ecco, mi richiamano. E' l'ora della prova di simulazione: dobbiamo fare finta di rapire un soldato israeliano. Guardo Isaac. Non vedo l'ora di tornare a scuola.
Chiuse le scuole sulle spiagge di Gaza sono spuntate numerose tende dove Hamas organizza campi estivi gratuiti. Ai ragazzi ospiti di Hamas (cui vengono date speciali uniformi) vengono anche date lezioni di religione. Il premier di Hamas Ismail Haniyeh stima di avere circa100 mila bambini e ragazzi iscritti ai campi estivi pensati per insegnare «i valori e la forza morale insiti nello spirito del jihad».
(Corriere della Sera-blog, 25 giugno 2013)
Iniezioni di plasma e piastrine contro l'alopecia
Uno studio di un gruppo di ricercatori italiani e israeliani
ROMA, 24 giu. - Iniezioni di plasma arricchito di piastrine per curare l'alopecia areata. La tecnica e' il frutto di uno studio di un gruppo di ricercatori italiani e israeliani guidati dal dermatologo Fabio Rinaldi dell'IHRF. Grazie a una collaborazione con l'Universita' di Brescia e con l'Hebrew University Medical Center di Gerusalemme, e' stata testata l'efficacia nel trattamento con il prelievo di sangue dal paziente stesso, una tecnica gia' utilizzata in alcune procedure cosmetiche di ringiovanimento della pelle del volto e delle mani, nella cura delle ulcere croniche della pelle e in odontoiatria. Come descritto dagli autori sulle pagine del British Journal of Dermatolog, il plasma e' stato prelevato dagli stessi individui in cui e' stato successivamente iniettato. La sperimentazione ha coinvolto 45 pazienti che sono stati trattati solo su meta' della testa con iniezioni di plasma, di triamcinolone acetonide - un cortisonico utilizzato per trattare diversi problemi alla pelle - o di un placebo. Ciascun partecipante ha ricevuto 3 trattamenti distanziati di un mese l'uno dall'altro. I pazienti sono stati seguiti per un intero anno, durante il quale sono stati monitorati la ricrescita dei capelli, la loro degenerazione, il bruciore e il prurito, la proliferazione delle cellule staminali e la morte cellulare.
Rispetto al placebo e al triamcinolone, le iniezioni di plasma arricchito di piastrine si sono rivelate piu' efficaci in termini di aumento della ricrescita dei capelli e di riduzione della degenerazione del capello e di bruciore e prurito. Non solo, anche la proliferazione delle cellule staminali e' risultata maggiore in seguito alle iniezioni di plasma, mentre non e' stato riscontrato nessun effetto collaterale durante il trattamento. "Nella pratica comune - rassicura Fabio Rinaldi - viene utilizzata un'altra tecnica, la ionoforesi. In sostanza viene applicato un campo elettrico che apre i canali sulle membrane delle cellule permettendo il passaggio di varie sostanze. Il paziente deve solo tenere una mano appoggiata su di una piastra mentre l'elettrodo viene passato sulla zona da trattare". Tuttavia, anche nel caso in cui vengano effettuate le iniezioni, i vantaggi rispetto a un trapianto sono numerosi.
"Un intervento chirurgico richiede che siano disponibili dei capelli da trapiantare, ha dei rischi e dei tempi di recupero ampi - sottolinea Rinaldi -. Questo trattamento, invece, e' a rischio zero, permette una ripresa immediata e, nell'80% dei casi di alopecia androgenetica, da' una ricrescita significativa. Inoltre e' molto meno costoso".
(AGI, 24 giugno 2013)
Oltremare - Ottavo: Tzàbar si diventa
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
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di Daniela Fubini, Tel Aviv
Se la condizione naturale dell'Ole Chadash sia di sentirsi nuovo immigrato a vita o meno, è oggetto di discussioni anche animate. Da una parte già all'arrivo è tutto un "benvenuti a casa", dall'altra l'ambientamento in Israele passa per molti livelli di conoscenza e comprensione del nuovo paese, spesso senza l'aiuto fattivo dei nativi, gli Tzàbarim, che hanno modi spicci e usano spesso l'espressione "tuffati nell'acqua alta che imparerai a nuotare". Io ricordo con orrore la prima volta che un italianissimo istruttore di nuoto mi ha presa di peso e lanciata in un punto dove non toccavo il fondo coi piedi, e a una vita di distanza non lo ringrazio del trauma. Che ne sapevo che poi avrei fatto l'aliyah, dico oggi. Qui tutta la vita è un tuffo in acque alte e agitate senza saper nuotare, e i più sopravvivono. Il termine "Tzàbar" (o "Sabre", il frutto del cactus) per definire l'israeliano nato nella Palestina del Mandato Britannico, e poi in Israele, è nato come affermazione di forza, perchè il cactus cresce in luoghi desertici, inadatti alla vita; ma è mezzo complimento e mezza offesa: descrive l'israeliano come ruvido e pungente all'esterno, mentre appena si apre è di una delicatezza e dolcezza inattese. Per quanto i nativi possano essere poco educati quanto a maniere e modi, e sono loro i primi ad ammetterlo, bilanciano con grandi gesti di affetto appena si supera quella buccia un po' respingente. Noi europei siamo troppo ben vestiti e ben educati per sentirci subito a casa in mezzo alle spine degli Tzàbarim e ci mettiamo del tempo a superarle. Però dopo qualche anno che ci stai a bagno, forza dell'osmosi, lo tzabarismo comincia ad attecchire. Di recente per esempio, inizio le domande agli sconosciuti omettendo l'europeo "Mi scusi signore, buongiorno, sa per caso.." e passo al "Che ore sono?" o "Dov'è la tale strada?", applicando il "tachless" come si dice qui - diritto al punto. Ci vuole un po', ma con la pratica e l'imitazione ognuno può diventare un po' Tzàbar. Meno fronzoli, più sostanza.
(Notiziario Ucei, 24 giugno 2013)
Missili su Israele: l'aviazione di Gerusalemme colpisce a Gaza
Ancora missili su Israele. Almeno sei missili sono stati sparati dalla Striscia di Gaza verso il sud di Israele. Quattro missili hanno colpito il Consiglio regionale di Hof Ashkelon, due missili hanno colpito il Consiglio regionale di Bnei Shimon mentre altri due missili sono stati intercettati dal sistema Iron Dome.
Il lancio di missili è avvenuto nella notte tra domenica e lunedì. Immediata la risposta dell'aviazione israeliana che ha colpito obbiettivi terroristici nella Striscia di Gaza mentre è tutt'ora in corso una riunione degli alti livelli militari con il capo di stato maggiore, Gen. Benny Gantz, per decidere le prossime mosse da adottare contro il lancio di missili da gaza verso il sud di Israele....
(Rights Reporter, 24 giugno 2013)
Nella notte tensioni con Gaza
di Rossella Tercatin
Potrebbe esserci una lotta di potere tra Hamas e la Jihad islamica, il secondo gruppo armato più potente della Striscia di Gaza, alla base del lancio di sei razzi contro Israele nella notte fra domenica e lunedì. Secondo fonti dell'intelligence sia israeliana sia palestinese riportate da Haaretz infatti, i razzi rappresenterebbero un regolamento di conti per la Jihad dopo l'arresto e uccisione di un suo miliziano da parte del personale di sicurezza di Hamas. Dei razzi, due sono stati intercettati dal sistema di Iron Dome che protegge Ashkelon (nell'immagine una batteria in azione), gli altri sono caduti nel sud del Negev senza causare vittime o danni. In risposta, Israele ha colpito due depositi di armi a Gaza. Tuttavia analisti auspicano che il cessate il fuoco raggiunto dopo l'operazione Pilastro di difesa, lo scorso autunno, che ha garantito sette mesi di stabilità, possa continuare a reggere, data la natura particolare dell'episodio.
Nel frattempo le acque si mantengono agitate anche sul fronte politico in Cisgiordania. Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas ha accettato le dimissioni del nuovo primo ministro Rami Hamdallah, presentate a sole due settimane dalla sua nomina come successore di Salam Fayyad, illustre economista dimessosi a sua volta negli scorsi mesi per contrasti con Abbas, che non ne apprezzava l'indipendenza e i legami di alto profilo. E l'ingerenza del presidente sarebbe alla base anche della scelta di Hamdallah, che prima di essere chiamato come primo ministro era a capo dell'Università di Nablus. Abbas aveva infatti imposto ad Hamdallah due vice a lui molto vicini Mohammed Mustafa e Ziad Abu Amr. I quali in queste due settimane avrebbero agito senza informare il primo ministro su una pluralità di fronti, compresi i rapporti internazionali: da qui la decisione di Hamdallah. E non è escluso, che il successore del successore non sia scelto del presidente dell'Anp proprio tra Mustafa e Abu Amr.
(Notiziario Ucei, 24 giugno 2013)
È rottura tra Hamas e Jihad Islamica
Ucciso leader delle Brigate Al Quds: la Jihad sospende i rapporti con Hamas. Da sempre in competizione, i due gruppi si erano riavvicinati con le rivoluzioni arabe.
ROMA, 24 giugno 2013 -Mentre Gaza finisce di nuovo sotto i bombardamenti israeliani, si apre una dura crisi nella Striscia tra Hamas, governo de facto dell'enclave, e il partito della Jihad islamica.
Stamattina Gaza è stata svegliata da una serie di bombardamenti dell'aviazione israeliana, in risposta a sei missili lanciati la notte scorsa verso il Sud di Israele. Due missili, secondo il portavoce Micky Rosenfeld, sono stati intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. Nessun gruppo ha rivendicato il lancio. Non si sono registrati feriti, ma nei bombardamenti, secondo l'esercito israeliano, sarebbero stati colpiti due magazzini di armi appartenenti alla Jihad Islamica a Rafah. Bombe anche su Khan Younis e Deir al-Balah.
Al lancio di razzi di ieri notte, il parlamentare - ex ministro degli Esteri - Avigor Lieberman ha suggerito al governo israeliano di riesaminare la possibilità di occupare nuovamente la Striscia per eliminare alla radice la minaccia di attacco: "Israele dovrà seriamente considerare l'opzione di conquistare tutta Gaza e ripulirla - ha detto Lieberman alla Israel Radio - Non sono sicuro di voler vivere in tale situazione, ma alla lunga è inevitabile".
Ma a mettere in crisi la Striscia è la rottura tra i due movimenti islamisti, Hamas e Jihad Islamica, dopo la morte di uno dei comandanti dell'ala militare delle Brigate Al Quds, braccio armato della Jihad, ucciso ieri durante una sparatoria con le forze di sicurezza di Hamas.
Raed Jundiya, 38 anni, era - secondo fonti giornalistiche - responsabile del lancio di razzi verso Israele. È stato colpito alla testa durante la sparatoria di ieri che, secondo il Ministero dell'Interno di Gaza, è stata cominciata dal leader della Jihad. La polizia si era presentata a casa di Jundiya per recapitare degli ordini di comparizione ad alcuni membri della sua famiglia.
Il governo della Striscia ha subito aperto un fascicolo per indagare sulla vicenda: "Spero che tutti aspettino i risultati dell'inchiesta che ha già iniziato a lavorare", ha detto il portavoce del governo, Ihab al-Ghussein, mentre un altro portavoce, Sami Abu Zuhri ha sottolineato che i rapporti con la Jihad non sono stati interrotti.
Di diverso avviso i militanti del partito islamista: "La Jihad Islamica ha sospeso i contatti con Hamas dopo che la polizia ha aperto il fuoco contro uno dei comandanti delle Brigate Al Quds - ha commentato uno dei leader del movimento, rimasto anonimo, aggiungendo che l'intera responsabilità della sua morte è attribuibile ad Hamas - L'omicidio di Raed Jundiya rappresenta un ottimo servizio a favore del nemico sionista, deliberato o meno, perché il martire era in cima alla lista nera dei sionisti".
Dopo l'operazione militare israeliana contro la Striscia "Colonna di Difesa" dello scorso novembre, i rapporti tra i due gruppi erano molto migliorati. Il cessate il fuoco negoziato da Hamas con Israele al Cairo aveva avuto l'approvazione della Jihad Islamica, avviando così - secondo gli osservatori esterni - una cooperazione senza precedenti tra le due fazioni. Una cooperazione, in particolare a livello militare, che seguiva ad anni di forte competizione per accaparrarsi il consenso della popolazione gazawi e probabilmente derivante dagli sviluppo regionali: la crescita dei Fratelli Musulmani (a cui entrambi i gruppi sono, seppur in forme diverse, vicini) e dei movimenti islamisti a seguito delle Primavere Arabe avrebbe spinto Hamas e Jihad ad allearsi per rafforzare i movimenti religiosi, a scapito di quelli laici.
(Nena News, 24 giugno 2013)
La verità sulle donne ortodosse (di Israele e del mondo)
di Gheula Canarutto Nemni
una charedit milanese (di nascita)
Il giovedì era il mio giorno da incubo, il giorno del tema. A 11 anni ti costringevano a soffermarti sulla vita, sulle frasi dei poeti, sui terremoti e a scrivere intere pagine di quaderno sviscerando ogni sillaba. Mi sedevo accanto a mia madre e insieme analizzavamo il titolo, cercando di capirne bene le parole e il senso. "Pregiudizio cosa vuol dire?" le domandai una volta mentre tiravo su con la forchetta l'ultimo spaghetto dal piatto. "Vuol dire che le persone ti giudicano senza sapere davvero chi sei. Pre vuol dire prima. E' un giudizio che si forma in un momento sbagliato. Il giudizio dovrebbe formarsi sempre dopo. Dopo aver conosciuto, aver parlato, aver discusso. Mai prima, ricordatelo". Me lo ricordo ancora. Dopo trent'anni.
Oggi apro uno dei miei blog preferiti, la 27esima ora. E ci trovo un articolo di Cecilia Zecchinelli, Una nuova battaglia per Barbra: la parità per le donne ortodosse di Israele. Tags: battaglie, diritti umani, discriminazioni, tradizioni. «È sconfortante leggere di donne che in Israele sono costrette a sedersi in autobus sui sedili in fondo o sono colpite con sedie di metallo quando vogliono pregare pacificamente e legalmente. O ancora di donne che non possono cantare nelle cerimonie pubbliche», ha detto la star
Le parole di Barbra si riferiscono chiaramente agli ultraortodossi, gli "haredim" ovvero "coloro che tremano per il timore di Dio", che respingono ogni modernità e continuano a vivere come nell'Europa dell'Est a fine Ottocento", scrive la giornalista.
Forse non tutti hanno subito il trauma del tema del giovedì. Peccato. Perché avrebbero imparato fin dalla quinta elementare a formulare un giudizio sulle persone solo dopo averle conosciute.
Io mi dichiaro una charedit, non "tremo per il timore di D-o" ma Lo temo, Lo amo e cerco di seguirne le leggi. Non vivo come a fine 1800. Uso macchina, Iphone (o Samsung a seconda di quello che mi lasciano bontà loro i miei figli), sto scrivendo da un Mac.
"Per le migliaia di donne haredim d'Israele invece il canto è un peccato, così come mostrare capelli, braccia e gambe, mentre non lo è - ad esempio ?- lavorare, visto che la stragrande maggioranza dei loro uomini si dedica solo alla preghiera e i sussidi pubblici spesso non bastano".
Io non mostro le braccia e le gambe, è vero. E lo faccio soprattutto perché D-o mi chiede di farlo. Ma non ci vedo nessuna discriminazione, secondo il tag utilizzato dalla signora Zecchinelli. Ci trovo un grande rispetto, per chi mi vede e mi giudica non in base a ciò che incontrano i sui occhi ma in base a quello che dico e che penso. Ci vedo un rispetto per le donne, che non vengono ridotte a oggetti ma rimangono dei soggetti.
Non indosso paramenti quando prego,("paramenti sacri che i rabbini ultraortodossi limitano agli uomini") ma non per questo mi sento figlia di un dio minore. D-o mi concede di avvicinarmi a Lui in ogni momento, senza talit, tfilin o segni che invece toccano agli uomini. Non li devo portare questi segni. perché sono superiore. Sono parte delle donne charediot, non charedim, come scrive la nostra giornalista. l'aggettivo si declina al femminile, le donne ebree sono fiere della propria femminilità.
"La condizione delle donne ultraortodosse non è un mistero per chi vive qui o conosce Israele" ma forse lo è per la nostra giornalista e per tutte quelle persone che immaginano un mondo e lo giudicano senza prendersi la briga di conoscerlo.
Noi siamo qui, dice Matteo Caccia nel suo programma di Radio24. Noi siamo qui, pronte a farci conoscere, a parlare, a spiegare il perché di una manica lunga, di una gonna, di una preghiera con uomini e donne separati.
Noi siamo qui, se qualcuno vuole trasformare il proprio pre-giudizio in un post-giudizio.
(nonsipuoaveretutto, 23 giugno 2013)
Ebrei in Italia, ebrei italiani, italiani ebrei
di Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
Enzo Campelli, sociologo della Sapienza di Roma, presenta in questi giorni i risultati della sua indagine conoscitiva sulla comunità ebraica in Italia. Un lavoro di tale estensione e profondità sugli aspetti demografici, socioeconomici e culturali della popolazione ebraica non veniva condotto dall'ormai arcaico anno 1965, prima di quello spartiacque storico che fu la guerra dei Sei Giorni. In Italia, ricordate, o forse no? era in carica il secondo governo di Aldo Moro, con Pietro Nenni vicepresidente del consiglio e Giulio Andreotti alla Difesa, ora perfino lui non c'è più
Il progetto di Campelli, frutto di una meditata iniziativa dell'UCEI, è stato svolto con l'ausilio di un ampio team di consulenti e di intervistatori, e costituisce l'oggetto di un denso rapporto di oltre duecento pagine, oltre che materia per un dibattito aperto a tutti. Dunque, è cambiato qualche cosa dagli anni '60, e che cosa? La risposta, curiosamente, può essere: tutto e nulla. Se guardiamo alle esternalità, l'Italia che allora, faticosamente ricostruita dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, ancora godeva del finale dell'onda lunga del miracolo economico, è oggi un paese con alle spalle molti anni di rapido sviluppo, ma profondamente in crisi sul piano dell'economia e delle motivazioni. Nell'Italia di allora, il vilipendio antisemita si articolava attorno all'accusa di deicidio e alle recriminazioni contro il processo Eichmann, nell'Italia di oggi l'antisemitismo in forte ascesa è un composito di demonizzazione vecchia e nuova dell'ebreo e dello stato d'Israele. L'ebraismo italiano di allora cercava di mantenere un'esile identità religiosa nel contesto assimilatorio di una società italiana cattolica o socialcomunista, oggi in una società civile più complessa ma dove la memoria viene già calpestata e le ideologie si stemperano in gretti personalismi, un ebraismo dotato di spessore culturale e mediatico grandemente potenziato affronta problemi non del tutto diversi. Lo fa con molte maggiori cognizioni, sfumature e opzioni identitarie, e (nel bene e nel male) fuori da ogni possibilità di astrarsi da un fenomeno che allora quasi non esisteva nell'immagnario collettivo - Israele, lontano e onnipresente.
Le riforme giuridiche dello statuto delle Comunità ebraiche italiane non hanno inciso più di tanto su una realtà esistenziale dominata dall'essere una piccola minoranza dalla scarsa massa critica e pari a meno del mezzo per mille del totale di un paese in cui perdura l'immutata confusione semantica fra "ebreo", "israelita", "israeliano". E la tipologia distributiva non è cambiata: l'autosufficiente Roma, semmai più dominante di allora, l'eterogenea e poco coesa Milano, le combattive ma esangui comunità medie, la tenace e commovente finzione delle piccole e piccolissime comunità.
Dagli anni '60, l'ebraismo italiano ha incorporato notevoli apporti immigratori e culturali: pensiamo soprattutto agli arrivi di migliaia di ebrei dalla Libia dopo il 1967 - caso esemplare di inserimento a tutti i livelli della partecipazione e delle responsabilità comunitarie - o dall'Iran dopo il 1979 - esempio più di enclave che di fluida convergenza. Si sarebbe potuto pensare a un corrispondente incremento demografico, ma le risultanze sono differenti. La compagine numerica non cambia molto, ma il numero degli iscritti alle comunità passa da circa 28mila nel 1965 agli odierni 25mila. È vero, sono in aumento i non-iscritti, per scelta ideologica o per una marginalità di stato giuridicoebraico personale affermata dalla corrente centrale dell'ebraismo istituzionale e non necessariamente condivisa dai diretti interessati.
Ma il parametro fondamentale dell'invecchiamento - un 24 per cento di persone fra i 18 e i 35 anni contro 28 oltre i 65 - grava pesantemente sulle capacità di funzionamento di una comunità ebraica vitale e sulle sue prospettive future. Questo dato, ampiamente previsto dalle ricerche passate, si colloca sulla falsariga delle tendenze demografiche recessive generali dell'Italia, e dimostra la grande influenza del contesto societario macro sui percorsi della diaspora ebraica. Un figlio virgola quattro in media non è sufficiente a garantire il futuro di una popolazione, anzi ne anticipa l'ulteriore calo.
I profili socioecomici e le mobilità sociali dell'ebraismo italiano riflettono in primo luogo la trasformazione generazionale con la graduale contrazione dei ceti più disagiati che ancora portavano i ritardi delle passate discriminazioni e in particolare l'emancipazione relativamente tardiva della comunità di Roma. Se nel 1965 il 25 per cento degli adulti disponevano di educazione elementare o inferiore, oggi questa condizione è quasi scomparsa (3,5 per cento). È invece più che raddoppiata, dal 16 per cento nel 1965 al 39 nel 2011, l'aliquota di laureati dove permane enorme il divario - oltre sei volte nel 1965, ben oltre il triplo oggi - rispetto alla popolazione italiana totale che, va detto, continua a essere in grave ritardo in confronto agli altri paesi sviluppati.
Questa promozione nei livelli d'istruzione si è naturalmente accompagnata a un processo di mobilità professionale ascensionale, soprattutto attraverso l'uscita dalle condizioni più modeste dell'attività commerciale al dettaglio, ancora molto diffuse in passato, verso una terziarizzazione e una professionalizzazione compatibili con lo sviluppo generale dell'economia nazionale. Oggi 26 per cento degli ebrei dichiarano uno stato sociale basso-mediobasso, il 34 uno stato medio, e il 40 uno stato medio-alto o alto.
Ma va notata anche una non marginale mobilità generazionale discendente: mentre il 48 per cento dichiarano uno stato superiore rispetto a quello del padre, il 19 dichiarano uno stato inferiore. E presumibilmente legati alla congiuntura economica dell'Italia, sono impressionanti i dati sulla propensione (non identica a intenzione) a emigrare. Fra i più giovani (età 18-25), il 77 per cento non escludono l'eventualità di partire, dato simile a quello di un'altra recente indagine condotta dal Centro Jonas. Ma anche a 36-50 anni, siamo oltre il 50. Se questo è un barometro della situazione nazionale, la prognosi è grave.
L'elemento maggiormente innovatore della nuova indagine concerne, ben specificati, i modi di espressione dell'identificazione ebraica. La frequenza alle scuole ebraiche in complesso non è cambiata drasticamente, da 54 per cento nel 1965 a 64 ora, ma è aumentato di 2-3 anni scolastici il numero medio di anni di studio. È aumentata la pratica delle tradizioni religiose che nel 1965 era bassa per circa una metà degli ebrei italiani e alta per meno di un quinto, mentre oggi si ripartisce in maniera più equilibrata fra le varie intensità. La partecipazione al Seder di Pesach rimane, allora come oggi, il rituale più amato e seguito.
Del tutto nuovi sono invece i dati sul significato dell'appartenenza e dell'identificazione ebraica dai quali si evince la centralità di un senso di comunione a livello di collettivo locale e di popolo globale e l'importanza percepita della trasmissione dei valori ebraici da una generazione alla successiva. In questo senso, l'ebraismo italiano - mutatis mutandis - non sembra allontanarsi dai paradigmi di molte altre comunità ebraiche contemporanee per le quali l'asse centrale del senso di identificazione ebraica si colloca in una intuizione di appartenenza al collettivo (Jewish peoplehood), mentre costituiscono personali e consapevoli scelte di possibile specializzazione le diverse opzioni offerte dal ciclo ebraico della vita familiare, dalla fede e ritualistica tradizionale, dallo studio, dal volontariato nelle organizzazioni, dall'impegno nella poliltica, nella società civile e nella lotta all'antisemitismo, e dalla sensibilità e solidarietà nei confronti di Israele e di altre comunità ebraiche nel mondo. L'analisi dei dati di Campelli non finisce certo qui, anzi è imperativo che si approfondiscano le interconnessioni più profonde fra i diverse aspetti della struttura socio-demografica della popolazione e quelli che toccano la cultura e l'identità ebraica.
L'anello debole appare essere la Comunità come ente attore e mediatore dei bisogni ebraici percepiti. È essenziale quindi che questo ricco materiale sia materia di studio e di riflessione da parte dei dirigenti delle Comunità e delle altre istituzioni ebraiche perché dai dati emergano elementi di azione per il futuro.
(Notiziario Ucei, 24 giugno 2013)
Rav Metzger fa un passo indietro
In un messaggio indirizzato al ministro israeliano della Giustizia Tzipi Livni, e a quello degli Affari religiosi Naftali Bennett, il rabbino capo ashkenazita d'Israele Yona Metzger ha annunciato la volontà di sospendersi temporaneamente dalle sue funzioni in seguito alle accuse di frode, corruzione e malversazione.
Fermato e interrogato dalla polizia israeliana negli scorsi giorni (e in particolare dall'unità Lahav 433 che si occupa di criminalità economica), rav Metzger si era poi trovato agli arresti domiciliari e ha comunque continuato a respingere ogni accusa.
Tra le funzioni cui ha dichiarato di rinunciare, quella di prendere parte all'alta Corte rabbinica, al Consiglio rabbinico (che assiste i due rabbini capo ashkenazita e sefardita) e alla nomina dei giudici nei Tribunali rabbinici, mentre continuerà a firmare i certificati di kasherut e la concessione di semichot (il titolo rabbinico). Livni ha definito la decisione di rav Metzger "la cosa giusta da fare".
Le elezioni per la nomina dei successori di rav Metzger e del rabbino capo sefardita Shlomo Amar avranno luogo nella settimana del 24 luglio. Sta prendendo forma in questi giorni il comitato elettorale di 150 membri chiamati a nominare i nuovi rabbini capo (e rav Metzger ha già indicato i cinque delegati di sua competenza).
(Notiziario Ucei, 23 giugno 2013)
Bandiere Blu alle spiagge di Israele
La prestigiosa Blue Flag da quest'anno sventola anche su nove spiagge di Israele
di Gianni Avvantaggiato
La Bandiera Blu è un riconoscimento internazionale, istituito in Francia nel 1987, anno europeo dell'Ambiente, dalla Foundation for Environmental Education. Obiettivo della FEE indirizzare la politica di gestione locale di centri rivieraschi verso un processo di sostenibilità ambientale.
La certificazione è assegnata ogni anno in quarantasei Paesi, in Europa, Africa, Nuova Zelanda, Sud America, Canada e Cariaibi, con il supporto e la partecipazione delle due agenzie dell'ONU: UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) e UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo) con cui la FEE ha sottoscritto un Protocollo di partnership globale.
La prestigiosa Blue Flag, che certifica sicurezza e accessibilità di quasi 4mila spiagge pubbliche di tutto il mondo, da quest'anno sventola anche in Israele. I turisti stranieri, dicono fonti semite, già durante la prenotazione delle vacanze al mare si informano sulle Bandiere Blu e ora possono contare su nove spiagge israeliane certificate FEE.
«Il programma è iniziato solo pochi mesi fa ma le parti interessate sono entusiaste del risultato - afferma Orly Babitsky, responsabile del progetto EcoOcean -. È una grande presa per il turismo».
Per far sventolare una Bandiera Blu, una spiaggia deve rispondere a standard concordati a livello internazionale. Si eseguono controlli ambientali per garantire che l'acqua sia pulita e sicura. Inoltre, la spiaggia deve essere gratuita, deve offrire l'accessibilità alle persone diversamente abili, devono essere provviste di contenitori per il riciclaggio dei rifiuti e devono essere servite da mezzi pubblici. La certificazione va rivalutata ogni anno e se le condizioni cambiano, la Bandiera Blu può essere sospesa fino a quando la spiaggia sotto osservazione non rientra negli standard.
«Israele è un Paese costiero - continua Orly Babitsky -. Più del 70 per cento della popolazione vive vicino alla costa e la spiaggia è diventata uno degli ultimi luoghi che una famiglia può frequentare senza dover pagare». Ma le 140 spiagge israeliane sono ora minacciate dallo sviluppo industriale ed edilizio costiero. Attraverso EcoOcean, il programma Bandiera Blu in Israele sta anche lavorando per sviluppare standard locali, come la limitazione del numero di sedie a sdraio di plastica sulle spiagge di Tel Aviv.
Dove trovare Bandiere blu in Israele
Netanya può essere orgogliosa di tre spiagge che hanno vinto la bandiera blu: Ha'onot, conosciuto per la sua musica, cui si può accedere dal lungomare della città; Sironit Beach, che offre ampie zone d'ombra, provvista di ascensore per scendere in spiaggia, di accesso per disabili e di servizi igienici ben segnalati; Poleg Beach, un'ex discarica di liquami trasformata in una spiaggia pulita certificata dove si possono fare sport acquatici da quelli motorizzati al kite surf.
Ashdod ha due spiagge premiate Bandiera Blu: il Lido Beach vicino al porto, che vanta strutture pubbliche, ristoranti e servizi igienici e la Yud Aleph Beach, più orientata verso le esigenze della famiglia.
Tel Aviv ha anche due spiagge premiate Bandiera Blu: Metzitzim a nord della capitale, con la laguna artificiale, dove si riuniscono fighetti e si possono portare i cani e Jerusalem Beach, una delle preferite, bella, accessibile e accogliente. C'è anche una palestra per gli adulti.
E ancora Haifa ed Eilat hanno ciascuna una spiaggia con la Bandiera Blu. Dado Beach ad Haifa vanta barche ristoranti, divani in spiaggia, connessione Wi-Fi gratuita, giardini, molta ombra, sabbia, erba e un chilometro e mezzo di passeggiata. Shchafim Beach a Eilat si trova lungo la passeggiata tra gli Hotel Dan ed Herod. La spiaggia vivace è una forte attrazione per viaggiatori internazionali e israeliani in cerca di un po' di evasione a basso costo.
(Ambient&Ambienti, 23 giugno 2013)
Fotografia - Natura e tradizione ebraica. Lanciato il concorso Cdec 2013
"Natura e tradizione ebraica". Questo il tema prescelto per il concorso Obiettivo sul mondo ebraico promosso dall'Archivio fotografico della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea con sede a Milano in collaborazione con AEPJ (European Association for the Preservation and Promotion of Jewish Culture and Heritage), la cui premiazione è ormai divenuta un appuntamento tradizionale della Giornata europea della cultura ebraica. "Le immagini dovranno sviluppare il tema e caratterizzarsi per la presenza di elementi ebraici: dal collegamento al significato simbolico della natura nelle feste e nei riti, dal legame con la terra d'Israele allo sviluppo delle tecniche agricole, dai campi scuola per chaluzim ai campeggi dei movimenti giovanili
" si legge nel regolamento di questa quinta edizione.
Il concorso è aperto a tutti con partecipazione gratuita, e le fotografie dovranno pervenire entro il 31 agosto 2013. Previste due diverse sezioni: Foto d'autore, per gli scatti realizzati direttamente dai concorrenti e Foto dal cassetto per le immagini storiche o di famiglia. le fotografie finaliste verranno esposte in una mostra durante la Giornata della cultura, mentre ai primi classificati, verrà assegnato rispettivamente un premio di 350 euro e una menzione speciale.
(Notiziario Ucei, 23 giugno 2013)
Puglia Ebraica: memoria, presenza e identità
BRINDISI - Il tema "Puglia ebraica: memoria, presenza e identità", ha suscitato particolare interesse a Brindisi ed ha fatto giungere in città storici, studiosi e curiosi provenienti da tutta la regione.
Organizzato dalle Comunità Ebraiche pugliesi, che hanno come capofila -come è stato spiegato nel corso dell'incontro nella sala conferenze di Palazzo Nervegna- la Comunità di Trani, sede della storica Sinagoga Scolanova del XII secolo, l'atteso momento di studio e di riflessione ha visto tre momenti diversi e tutti particolarmente significativi.
Il primo, di carattere istituzionale, ha avuto avvio con la presentazione dei lavori da parte delll'organizzatore, avv. Cosimo Pagliara, rappresentante della Comunità brindisina. In apertura, un messaggio dell'assessore regionale Silvia Godelli che ha inteso «condividere il forte valore morale e culturale che connota la vostra iniziativa». A seguire, il saluto dell'Amministrazione Consales da parte del Vice Sindaco Enzo Ecclesie che ha ribadito l'impegno della Giunta municipale ad aiutare gli Ebrei a reperire un locale per la preghiera e per lo studio. «Alla luce - ha riferito ECCLESIE - della notizia che una nota compagnia aerea israeliana, da fine luglio, farà scalo a Brindisi per voli infrasettimanali diretti sulla tratta Brindisi-Tel Aviv, il Comune di Brindisi s'impegnerà ancora di più per soddisfare le esigenze che riguardano gli Ebrei brindisini, ma anche i futuri turisti provenienti da Israele, dall'Italia ebraica e da altri Paesi».
Successivamente, la sessione di rievocazione storico-documentaria. Due le brillanti e affascinanti Relazioni, con l'ausilio di diapositive, sviluppate dalla prof. Maria Pia Scaltrito e Giovanna Rossella Schirone, allieve del compianto prof. Colafemmina, da poco scomparso, si sono esaminate le tracce e le presenze ebraiche del passato, sino alla cacciata del 1541 in applicazione dell'Editto d'Isabella di Castiglia, detta "la Cattolica", nella Puglia in generale e nel Salento, in particolare.
La sessione è stata chiusa con la lettura, cantillenata cioè accompagnata da particolare metrica musicale, di un componimento poetico di Amittai ben Shefatiah, poeta e scienziato di Oria, vissuto nel IX secolo, da parte del prof. Jonathan Curci dell'Università di Ginevra.
La terza parte dei lavori, infine, ha visto trattato il tema della quotidianità dell'essere Ebreo, oggi, in Puglia. Dapprima l'esperienza, commossa e partecipata di Lucia Leone, autorevole esponente della Comunità Ebraica di Sannicandro Garganico, discendente da una delle prime famiglie sannicandresi convertitesi nella cittadina dauna negli anni '30, a seguito della predicazione di Donato Manduzio, oggetto di studi anche presso università straniere per l'eccezionale singolarità dell'esperimento sociologico di una conversione di massa, addirittura sotto il Fascismo e durante la vigenza delle famigerate Leggi Razziali.
Per completare, l'esperienza di un giovane ebreo residente a Brindisi, studente liceale, alle prese con la rivendicazione della propria identità religiosa e culturale in un ambiente non ebraico e con gli esempi di vita vissuta in armonia con i suoi coetanei verso i quali -ha riferito- ha dapprima taciuto del suo modus vivendi, poi ha inteso "scambiare" con loro le diverse esperienze, sul piano della reciproca conoscenza e del rispetto per l'altro. «Prendiamo ad esempio la scelta della frequenza dell'ora di religione a scuola. I miei genitori m'hanno sempre fatto frequentare -da piccolo- l'ora di religione che, di fatto, è ora di religione cattolica, almeno per conoscere una cultura che è diversa dalla mia. Durante il Ginnasio, chiesi di non frequentarla più, perché assolutamente distante dalla mia sensibilità. Tuttavia, da quando ho cominciato il Liceo, ho deciso di tornare a frequentarla, approfondendo tematiche che non conoscevo e, al contempo, non nascondendo più ai miei compagni il mio status di ebreo, anzi coinvolgendo loro, ad esempio, a frequentare la mia casa e la mia famiglia durante lo Shabbat».
Il Rabbino Capo di Napoli e del Mezzogiorno, sotto la cui giurisdizione ricadono anche le comunità pugliesi (come quelle calabresi e siciliane), prof. Scialom BAHBOUT ha infine sintetizzato i lavori di Puglia ebraica, annunciando per il prossimo mese di luglio lo svolgimento di uno Shabbatòn a Brindisi, come quello realizzato nel novembre scorso e che vide la partecipazione di circa ottanta ebrei provenienti non solo dalla Puglia, ma anche dalle altre regioni meridionali e da Israele. Appuntamento fissato tra il 19 ed il 21 luglio.
(ilPaeseNuovo, 23 giugno 2013)
Un palestinese di 22 anni vince «Arab Idol». A Gaza la gente esulta in strada
Mohammad Assaf ha rischiato di non partecipare. È arrivato in ritardo al provino per le difficoltà create da Hamas.
di Cecilia Zecchinelli
RAMALLAH - Le città e i villaggi palestinesi sono esplose ieri notte in una rara e a lungo sperata festa popolare dopo l'annuncio della vittoria di Mohammad Assaf nel talent show più seguito del mondo arabo. Mohammad Assaf, 22enne della Striscia di Gaza è stato proclamato vincitore di «Arab Idol», la versione mediorientale del britannico «Pop Idol» trasmessa da Beirut dalla rete MBC.
Gaza, la festa per il vincitore di «Arab Idol»
IL VINCITORE - Nato in Libia da genitori palestinesi e poi trasferitosi nel campo profughi di Khan Younis, nella Stiscia, Assaf ha conquistato tutti con la sua voce meravigliosa, il suo sorriso smagliante e la sua storia. Fino all'ultimo non era riuscito a uscire da Gaza, per le difficoltà create da Hamas e poi dall'Egitto. A Beirut era arrivato in ritardo ma era riuscito alla fine a fare un provino. E a farsi ammettere. Nella «capitale» palestinese Ramallah, come in altre città, la gente ha seguito su schermi giganti per strada l'ultima puntata dello show, poi la festa ha travolto tutti, con danze, canti, fuochi d'artificio e ingorghi giganteschi.
IL SOSTEGNO - Sostenuto dal presidente Mahmoud Abbas in persona, nel silenzio imbarazzato del movimento islamico che governa Gaza e con qualche rara accusa da parte delle frange più oltranziste islamiche contrarie allo show «blasfemo», Assaf ha battuto la brava e bella concorrente siriana Farah Youssef e l'egiziano Ahmed Jamal, forte del voto popolare di milioni di connazionali. Ma la mobilitazione dei palestinesi qui e in tutto il mondo ha portato una valanga di voti per sms a Assaf, che ha cantato brani pop e della tradizione palestinese, è apparso in video con la kefiah, e ha ricordato apertamente le «sofferenze del suo popolo» di cui è diventato un emblema. E un simbolo di vittoria e speranza che ha fatto almeno per una notte dimenticare Israele, l'occupazione, i problemi interni e la crisi economica dei Territori e di Gaza.
(Corriere della Sera, 23 giugno 2013)
Abu Mazen accetta le dimissioni del premier Hamdallah
La causa dell'addio di Hamdallah sono le forti divergenze con due dei suoi vice, Mahmad Mustafa e Ziad Abu Omro. Hamdallah era subentrato al dimissionario Salam Fayyad.
di Alessandro Pignatelli
Dopo 21 giorni, il premier palestinese designato, Rami Hamdallah, ha rassegnato le dimissioni nelle mani del presidente Abu Mazen, che le ha accettate. La causa dell'addio di Hamdallah sono le forti divergenze con due dei suoi vice, Mahmad Mustafa e Ziad Abu Omro. Hamdallah era subentrato al dimissionario Salam Fayyad.
Il portavoce di Abu Mazen, Abu Rudeineh, ha detto molto semplicemente ai giornalisti: "Il presidente ha accettato le dimissioni del primo ministro", senza ulteriori commenti. Due giorni fa, sembrava che la crisi fosse stata superata e che Hamdallah avesse quindi deciso di ritirare la sua intenzione di dimettersi dall'incarico. C'era infatti stato un lungo confronto con il presidente che sembrava avesse riportato un po' di calma. Apparente, evidentemente.
Dopo le parole del portavoce di Abu Mazen, l'agenzia palestinese Maan ha inserito la notizia tra le breaking news. I media israeliani successivamente l'hanno ripresa, così come il sito di Ynet che cita una fonte anonima del governo palestinese. Hamdallah aveva giurato come nuovo capo di governo lo scorso 6 giugno. Secondo la fonte che ha parlato a Ynet, Hamdallah avrebbe lasciato il suo ufficio molto arrabbiato e sarebbe partito con il proprio veicolo invece che con quello di Stato.
Prima dell'ultimo summit tra Abu Mazen e Hamdallah - durato circa un'ora e mezza - il presidente dell'Autorità Palestinese aveva visto altre due volte, faccia a faccia, il premier cercando in tutti i modi di farlo desistere dalla sua intenzione di lasciare l'incarico. Un'intenzione già mostrata lo scorso 20 giugno, quando però Abu Mazen aveva invitato Hamdallah a riflettere ancora qualche giorno.
(PolisBlog, 23 giugno 2013)
Le lampade di Kannukah di Pomodoro e Maraniello donate al Museo dei Lumi
di Alberto Angelino
CASALE MONFERRATO - Domenica 23 alle ore 11 arriveranno alla Sinagoga di Casale Arnaldo Pomodoro e Giuseppe Maraniello, due esponenti tra i più famosi dell'arte italiana. In un incontro pubblico doneranno al Museo dei Lumi due lampade per la Kannukah realizzate appositamente per la comunità. Sono infatti le ultime acquisizioni di una straordinaria collezione che nei sotterranei sotto la Sinagoga raccoglie centinaia di esemplari realizzati dai più grandi artisti contemporanei variazioni del candelabro a otto braccia utilizzato per la festa dei lumi.
Per l'occasione saranno accompagnati da Antonio Recalcati, altro celebre artista internazionale, tra i primi a realizzare una lampada per il museo, oltre che a dare la propria testimonianza nel piccolo memoriale che ricorda i deportati di Casale e Moncalvo all'ingresso della Sinagoga. Sarà possibile vedere le due lampade in anteprima, incontrare gli artisti e partecipare a un brindisi per festeggiare questo straordinario trio.
Arnaldo Pomodoro (nato nel 1926 a Morciano di Romagna) è considerato uno dei più grandi scultori italiani di questo secolo e le sue opere, tra cui tutti ricordano quelle di forma sferica o discoidale, abbelliscono le più importanti piazze del mondo. Anche Giuseppe Maraniello (Napoli 1945) ha ricevuto importanti commesse pubbliche (una sua scultura è ai giardini di Boboli a Firenze), ha realizzato mostre nei più importanti musei del pianeta.
(Il Monferrato, 22 giugno 2013)
Il caso Mortara, una polemica lunga 150 anni
Il 23 giugno 1858 a Bologna le guardie del Papa strapparono alla famiglia il piccolo ebreo Egdardo perché, battezzato di nascosto dalla servetta di casa, non poteva crescere in una famiglia "giudia»". Dando vita a una querelle mai sopita.
di Enrico Silvestri
Era un'afosa serata di giugno, i Mortara, benestante famiglia ebrea, si stavano mettendo a tavola nella loro casa di Bologna quando alcuni «birri» pontifici bussarono alla loro porta. In mano un mandato per prelevare il loro figlio Edgardo di 7 anni. Motivo, era stato battezzato dalla servetta cristiana, ergo non poteva vivere in una famiglia «giudia» ma doveva avere un'educazione consona alla sua religione. Il ragazzino venne portato a Roma per essere avviato alla religione cattolica, nonostante i disperati tentativi dei genitori di farlo tornare a casa. Sembra che lo stesso Pio IX si sia personalmente opposto a ogni mediazione. Lo Stato Pontificio venne abbattuto, il Papa Re costretto a ritirarsi in Vaticano, e i laicissimi funzionari del laicissimo Regno del Piemonte si recarono dall'ormai diciannovenne Edgardo per proporgli di tornare alla sua famiglia. Ricevendo un netto rifiuto: era e voleva rimanere cattolico.
Rimasero di stucco i molti intellettuali laici ma anche protestanti e cattolici, per tacer della comunità ebraica internazionale e di quanti in mezzo mondo avevano seguito la vicenda con il fiato sospeso per oltre dieci anni. Vale a dire dal 23 giugno 1858, quando i gendarmi di Bologna, territorio Pontificio, andarono a prendere il ragazzino ponendo fine a una diatriba iniziata qualche settimana prima con la confessione di Anna Morisi, 20 anni. La ragazza era da tempo a servizio in casa di Salomone Momolo Mortara e di sua moglie Marianna Padovani, nonostante una legge, evidentemente disattesa, proibisse ai cristiani di lavorare per gli ebrei e viceversa. Nel 1852, quando il piccolo Edgardo cadde gravemente malato, la servetta, battezzò di nascosto il piccolo temendo potesse finire al Limbo. Tenne il segreto per sei anni, poi all'inizio del '58 fece le prime ammissioni che giunsero alle orecchio del Sant'Uffizio. La Chiesa proibiva il battesimo dei bambini di famiglie non cattoliche, anche ammetteva che se il sacramento potesse essere amministrato, anche contro il volere dei genitori, in punto di morte. Principio ancor'oggi rispettato. A quel punto non c'era soluzione: un cristiano non poteva essere allevato da ebrei. Si tentò dunque una mediazione con i Mortara: il piccolo sarebbe entrato in un collegio di Bologna e a 17 anni avrebbe deciso del proprio futuro, ma la proposta fu rifiutata.
La Chiesa passò dunque all'azione di forza e si scatenò il putiferio, pare orchestrato da Cavour per mettere n difficoltà Pio IX agli occhi di Napoleone III, strenuo difensore del Pontefice. La polemiche si estese in breve oltre i confini nazionali ed europei. Molte furono le pressioni da parte di associazioni protestanti ed ebree, ma anche cattoliche, affinché Edgardo tornasse a casa. Ma il Papa fu irremovibile «Non possumus». Il piccolo nel frattempo era stato portato a Roma presso la «Casa dei Catecumeni», istituzione destinata agli ebrei convertiti e mantenuta proprio con le tasse sulle sinagoghe. Ai suoi genitori non fu permesso di vederlo per diverse settimane e, quando in seguito fu loro concesso, non poterono farlo da soli. Con loro però fu subito inflessibile, spiegando di non desiderare rientrare in famiglia per effetto di una «grazia soprannaturale» che lo tratteneva. L'anno dopo una delegazione di notabili israeliti ricevette una risposta ancora più fredda: «Non sono interessato a cosa ne pensa il mondo». Più tardi, a proposito della visita, ebbe modo di annotare nelle sue memorie: «Allorché io venivo adottato da Pio IX tutto il mondo gridava che io ero una vittima, un martire dei gesuiti. Ma ad onta di tutto ciò, sono gratissimo alla Provvidenza che mi aveva ricondotto alla vera famiglia di Cristo, vivevo felicemente in San Pietro in Vincoli». E nel 1867 a 16 per dimostrare la saldezza della sua fede entrò nel noviziato dei Canonici Regolari Lateranensi. Il 20 settembre del 1870 la presa di porta Pia chiuse la storia dello Stato Pontificio e subito dopo, su pressione dei Mortara, il nuovo capo della polizia, questa volta sabauda, si presentò al convento di San Pietro in Vincoli. Chiese al ragazzo se voleva lasciare quella vita ottenendo un nuovo rifiuto: Edgardo rimase in convento e a 23 anni venne ordinato sacerdote.
Poi iniziò un frenetico girare per il momento alla ricerca di ebrei da convertire, compreso i suoi famigliari, imparando ben nove lingue. Negli ultimi anni si ritirò in convento a Liegi dove morì l'11 marzo 1940. Ma l'eco della sua vicenda non spense neppure negli anni a venire. Divenne un simbolo dell'arroganza della Chiesa, argomento per alimentare la polemica anticlericale. Tanto da tornare di attualità quando nel 2000 avvenne la beatificazione di Pio IX. Indubbiamente il caso Mortara può apparire mostruoso se osservato e giudicato con gli occhi dell'uomo del Duemila, ma allora quelle erano le leggi dello Stato Pontificio nonostante, come visto, non fossero proprio osservate rigorosamente. Senza contare che Edgardo a più riprese rifiutò di rientrare nella comunità israelitica e nella sua famiglia. «Colpa dei condizionamenti e delle violenze psicologiche subite dopo essere stato portato a Roma» ha sostenuto proprio in occasione della beatificazione di Pio IX Elena Mortara, diretta discendente della famiglia bolognese. Come dire che a 150 anni di distanza la polemica non è ancora chiusa.
(il Giornale, 21 giugno 2013)
Gerusalemme - Integrazione: dal Roma Club un segnale importante
di Luca Valdiserri
Non può essere un pallone ad arrivare dove non è riuscita la politica, ma di sicuro anche un piccolo passo verso la pace è qualcosa di molto importante. Il Roma Club Gerusalemme, fondato nel 1998 da un gruppo di italiani residenti in Israele e affiliato all' Associazione Italiana Roma Club (AIRC), ha provato a unire il tifo a un'attività sociale resa perfettamente dal loro motto: sport senza frontiere. Parte dell'attività, infatti, impegna in una scuola calcio bambini di tutte le religioni (ebraica, musulmana, cristiana, drusa..) che si possono trovare in quel crogiuolo che è la città santa. I fondatori sono ebrei, ma lo sforzo per non chiudersi in se stessi ma aprirsi alla realtà israeliana e al mondo è stato costante.
Il club è nato nel 1998 e, dopo una serie di alti e bassi, esattamente come capita a una squadra di calcio, negli ultimi tempi ha ripreso vigore. Il cuore è il presidente Fabio Sonnino, un uomo coraggioso che ha affrontato con il sorriso una sfida difficile come la tetraparesi spastica (che ha raccontato con un ironico doppio senso nel libro «Il contorSionista »), il cervello è il vicepresidente e segretario Samuele Giannetti che proprio in questi giorni ha organizzato il sesto torneo di calcetto tra italiani a Gerusalemme.
Il fiore all'occhiello è la scuola calcio giovanile, dove giocano bambini divisi in fasce d'età: italiani, israeliani, palestinesi, ebrei, musulmani e cristiani. Sono stati «allenati» anche dal c.t. Cesare Prandelli quando si è recato per un viaggio privato in Israele. I tornei di calcetto sono organizzati con l'aiuto del Consolato generale d'Italia e dal Centro Peres per la Pace. «Non nascondiamodicono che il nostro sogno sarebbe quello di poter veder giocare qui la Roma. Questa è per noi la Terra Promessa e chissà se un giorno questo sogno si avvererà». Non è sempre facile far convivere le etnie diverse, ma la cosa peggiore sarebbe arrendersi e non provarci.
Scherzando, Fabio e Samuele raccontano un esempio di integrazione: «Abbiamo fatto giocare nella squadra dei "grandi" un tifoso della Lazio. Noi riconosciamo che è fortissimo, ma lui accetta di vestire la maglia della Roma». Gerusalemme ha una squadra, il Beitar, con uno zoccolo duro di tifosi integralisti: non vogliono arabi in squadra e hanno abbandonato lo stadio quando il presidente Gaydamak ha acquistato due giocatori ceceni di religione musulmana e uno di loro ha segnato un gol contro il Maccabi Netanya. Per questo è così importante mostrare che può esistere anche un calcio «senza frontiere».
(Corriere della Sera, 22 giugno 2013)
Il Premier palestinese ha ripensato alle dimissioni
Il Premier palestinese Rami Hamdalà ha ripensato di dimettersi, dopo aver risolto i disaccordi con il capo dell'Autonomia palestinese Mahmoud Abbas.
Il rettore di una delle più grandi università palestinesi che 18 giorni fa ha sostituito l'economista Salam Fayyad al posto di Premier, ieri ha presentato le dimissioni. Né lui né i suoi rappresentanti hanno manifestato intenzioni di un passo indietro. Tuttavia i mass media scrivono che Hamdalà è stato scontento dei vasti poteri che hanno avuto i suoi vice.
(La Voce della Russia, 22 giugno 2013)
Rinasce il cimitero degli antichi Ebrei di Monteverde
Trovate in Germania le foto dello scavo del 1904 In un libro i nuovi studi sul sepolcreto dimenticato, ora tornato alla luce grazie a Nicholas Mueller
di Carlo Alberto Bucci
A vederli impettiti e impolverati davanti alle antiche vestigia, sembrano Schliemann e i suoi operai alla ricerca di Troia. La soddisfazione è la stessa, anche se quelli che Nicholas Mueller e gli altri archeologi portarono alla luce nel 1904 non sono i resti della città dell'Iliade. Ma i cunicoli, le sepolture e le menorah delle catacombe ebraiche di Monteverde. È una scoperta che si rinnova e amplifica adesso grazie al libro che Daniela Rossi e Marzia Di Mento presentano oggi [21 giugno] a palazzo Massimo.
E questo perché del sepolcreto israelitico sorto alle spalle di Trastevere nel corso del tempo si sono perse e ritrovate le tracce molte volte. A partire dalla scoperta fatta nel 1602 a Roma dal cultore di antichità cristiane Antonio Bosio.
La Catacomba ebraica di Monteverde: vecchi dati e nuove scoperte, questo il titolo del volume che raccoglie gli studi e gli sforzi prodotti dal Municipio XII, dalla Provincia e dalla Soprintendenza archeologica statale per dare una prospettiva scientifica, ma innanzitutto una mappa certa, al dedalo di gallerie, celle, tombe che sono state seppellite dalla città moderna. E di cui si erano perse le tracce.
Il lavoro che hanno fatto le archeologhe ogni volta che gli scavi per un parcheggio (2009) o la voragine in cui è caduto un camion nel 2012 rivelavano la presenza di cunicoli interrati, è stato quello di setacciare il terreno franoso di Monteverde ma, soprattutto, di andare alla origini della scoperta. Seguendo quel filo, Marzia Di Mento, 40 anni, archeologa che lavora per la Soprintendenza, è arrivata all'università di Humboldt, in Germania, e qui ha scoperto un vero tesoro: un centinaio di inedite foto in bianco e nero che documentano gli scavi fatti nel 1904 da Mueller nella vigna dei marchesi Pellegrini Quarantotti e che dimostrarono la veridicità della scoperta fatta 400 anni prima da Bosio. Poi cadde lentamente l'oblio. E sul cimitero degli israeliti infierì l'edilizia del boom economico.
Dallo scempio si sono salvati un sarcofago come quello del bimbo che gioca con i suoi animaletti, molte epigrafi e tante immagini dell'inconfondibile candelabro a 7 braccia. Rossi e Di Mento si sono messe allora alla ricerca dei reperti provenienti dalla necropoli sotterranea di Monteverde e li hanno rintracciati ai musei Vaticani e in diversi musei di Roma, compreso palazzo Massimo.
"È stato un lavoro di recupero di una memoria perduta - spiega Daniela Rossi, archeologa della Soprintendenza - e molto utili sono state le persone di Monteverde. Soprattutto i più anziani, ricordavano quelle "grotte" dove andavano a giocare da bambini o a ripararsi durante i bombardamenti". Frane e palazzi hanno sepolto gli ambienti entro i quali, dal terzo al quinto secolo d. C., gli ebrei trasteverini diedero sepoltura ai propri cari. "Scendere lì sotto ora è impossibile, dove possiamo mandiamo una sonda a perlustrare le gallerie. La scoperta delle vecchie foto ci ridà però forme e colori delle catacombe dimenticate di Roma".
(la Repubblica - Roma, 21 giugno 2013)
Una pagina di Talmud al giorno. Parte il progetto che unisce gli ebrei di tutto il mondo
Da domenica, prende vita l'iniziativa Daf HaYomi. Una pagina al giorno di Talmud in un ciclo di circa sette anni. Ebrei di tutto il mondo studiano una delle 2711 pagine del Talmud quotidianamente e nei prossimi giorni sarà possibile farlo anche a Roma. Il progetto suggerito da Marco Pavoncello avrà sede dal lunedì al giovedì al Tempio dei Giovani alle ore 20.15 e nelle ore mattutine del venerdì e della domenica al Tempio Maggiore o Spagnolo. Per tre settimane partirà il progetto pilota per poi divenire stabile da settembre. Il ciclo di lezioni in compagnia di diversi rabbini, ha lo scopo di rendere lo studio del Talmud accessibile a tutti, cosìcche ogni membro della Comunità possa sentirsi parte del processo di trasmissione dell'ebraismo. L'appuntamento giornaliero Daf HaYomi (una pagina al giorno), risale alla proposta di Rabbi Meir Shapiro nel Primo Congresso Mondiale del "World Agudath Israel" del 1923 a Vienna. "Un ebreo lascia gli Stati Uniti e va in Brasile o Giappone e si trova in una Beth Midrash dove vede che tutti stanno imparando lo stesso daf che lui aveva imparato quel giorno. Ci può forse essere un'unione di cuori più grande?", così il rabbino Shapiro aveva introdotto al Congresso la proposta di dar vita all'iniziativa. Grazie a questo progetto ambizioso, quello stesso ebreo che avrà visitato gli Stati Uniti, il Brasile o il Giappone, potrà venire a Roma e studiare ogni giorno una pagina di Talmud, così da imparare ogni giorno qualcosa di più, fortificare la propria identità ebraica e sentirsi parte di una comunità ricca di vita, tradizione e cultura.
(Comunità Ebraica di Roma, 21 giugno 2013)
Michele Sarfatti: "Su Palatucci serve chiarezza"
"Per la sua morte a Dachau Palatucci merita rispetto, ma il suo ruolo è stato ingigantito: non salvò certo 5mila persone". Sollecitato dal Corriere della sera, lo storico Michele Sarfatti - direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano - interviene relativamente al dibattito storiografico apertosi sulla figura del questore Giovanni Palatucci, Giusto tra le Nazioni dal 1990, dopo la conclusione di un lungo studio del Centro Primo Levi di New York che denuncia una trama "costruita ad arte" sulla sua figura. A supporto di Palatucci ci sono numerose testimonianze ritenute fondate ma che, osserva Sarfatti, "devono essere vagliate con attenzione studiando le carte". Il problema, sottolinea lo storico, è che i riconoscimenti pubblici "hanno preceduto la ricerca storica". Sarfatti sollecita quindi un processo di riflessione che interessi la comunità degli storici italiani nella sua globalità. "Noi, come Cdec - dice - siamo disposti a partecipare a un eventuale gruppo di lavoro incaricato di fare chiarezza".
(Notiziario Ucei, 21 giugno 2013)
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Su Palatucci deciderà lo Yad Vashem
Il presidente del Memoriale della Shoah di Gerusalemme deciderà sul caso del poliziotto italiano accusato di essere "un pieno esecutore delle leggi razziali" e non un "Giusto delle Nazioni"
Sarà il presidente della Commissione di Yad Vashem - il Memoriale della Shoah di Gerusalemme - che assegna il titolo di "Giusto delle Nazioni" a decidere sul caso del poliziotto italiano Giovanni Palatucci insignito del riconoscimento nel 1990.
Vicenda ora rimessa in discussione dal contenuto di nuovi documenti inediti riguardo la vera storia del personaggio e che Yad Vashem prende in considerazione ''molto seriamente''.
Lo ha detto all'ANSA un rappresentante dell'istituzione dopo l'arrivo delle informazioni e del materiale forniti di recente da un gruppo di storici e attivisti italiani.
Secondo questi nuove carte, studiate dal Centro Primo Levi di New York, Palatucci non sarebbe stato il "Giusto" che si è creduto, quanto invece ''un pieno esecutore delle leggi razziali'' che ''dopo aver prestato giuramento alla Repubblica sociale di Mussolini, collaborò con i nazisti''. Il processo di riesame del caso è già cominciato con l'analisi dei documenti pervenuti e che sono stati inoltrati al presidente della Commissione Jacob Turkel.
Sarà lui stesso a prendere la decisione finale insieme alla Commissione. Yad Vashem ha ricordato che Giovanni Palatucci morto a Dachau nel 1945 fu riconosciuto come Giusto ''in base al materiale allora disponibile''.
(ANSA, 21 giugno 2013)
Per il calciatore nazista nel nostro calcio non ci dev'essere spazio
Georgos Katidis è un giovane ragazzo greco, un promettente calciatore di vent'anni. Se ci fermassimo a questo nella descrizione non ci sarebbe nulla di male. Poi ti ricordi di aver letto di lui e ti viene in mente il suo caso: dopo aver segnato il gol della vittoria nel match che la sua squadra ha giocato contro il Veria è andato ad esultare sotto la tribuna dell'Olimpico di Atene con il braccio teso. Un gesto che non è piaciuto ai vertici della federazione greca che hanno deciso per una punizione esemplare, radiare il giocatore da tutte le nazionali (giovanili e la maggiore).
Passa il tempo, la notizia finisce nel dimenticatoio finché il Novara Calcio non decide in intavolare una trattativa con il club greco per portare il ragazzo a giocare in Italia. I dirigenti parlano di seconda possibilità da dare ad un giovane di soli 20 anni. Io rispondo a questi signori, come ha prontamente fatto Vittorio Pavoncello (Presidente del Maccabi Italia), che a chi ha dovuto subire le atrocità del nazifascismo non è stata concessa una seconda possibilità, a quasi tutti non è stata data la possibilità neanche di tornare a casa.
Video
(L'Huffington Post, 21 giugno 2013)
Colpo di mortaio sul Golan. Sedicenne soccorso da israeliani
GERUSALEMME, 20 giu. - Un colpo di mortaio si e' abbattuto in serata dalla Siria sulla porzione delle alture del Golan annessa unilateralmente da Israele, violando ancora una volta la frontiera di fatto tra i due Paesi, tecnicamente tuttora in stato di belligeranza dalla Guerra dei Sei Giorni, nel 1967: nel renderlo noto, una portavoce dell'Esercito dello Stato ebraico ha precisato comunque che nessuno e' rimasto ferito ne' sono stati accertati danni materiali sostanziali. Il proietto sarebbe caduto oltre confine accidentalmente, senza alcun intento ostile.
Nel frattempo fonti mediche locali hanno riferito che un sedicenne di nazionalita' siriana, ferito a un fianco e a una coscia da alcuni proiettili, e' stato soccorso da soldati israeliani nell'area contesa.
La giovane vittima e' stata subito trasferita a Safed, nella Galilea settentrionale, e ivi ricoverata all'ospedale 'Zid', dove gia' sono curati tre suoi connazionali. Negli ultimi mesi sono state nel complesso una ventina i cittadini del Paese arabo che nello stesso nosocomio hanno ricevuto assistenza sanitaria, tutti per lesioni da armi da fuoco.
(AGI, 21 giugno 2013)
La notte bianca di Tel Aviv
La città che non dorme mai d'Israele invita ad una serata fuori dal comune tra visite gratuite, spettacoli, intrattenimenti e musica. L'appuntamento il 27 giugno prossimo.
La notte è giovane a Tel Aviv, una realtà in continuo fermento che, negli ultimi anni, si è conquistata il titolo di "città che non si ferma mai" in quanto, ad ogni fascia oraria, riserva qualcosa da fare, da visitare ed è in grado di divertire no stop. Insolito il suo volto moderno inserito in un contesto quale quello d'Israele, un paese dal ricco passato custode di innumerevoli ricchezze storiche dinamicizzate da appuntamenti mondani che permettono di alternare approfondimenti di cultura a pause spensierate. A dare quel pizzico in più di pepe, in arrivo un evento che farà scintille, la Notte Bianca, un appuntamento sui generis che, il prossimo 27 giugno, illuminerà di immenso la Città Bianca, così chiamata per le migliaia di edifici in stile Bauhaus, la scuola tedesca che si diffuse nella zona intorno agli anni '30, il cui fascino è annoverato tra i siti del Patrimonio Mondiale dell'Umanità dell'Unesco in qualità di "un sorprendente esempio dell'urbanistica e architettura di una nuova città del primo XX secolo". A rendere giustizia a questa meraviglia architettonica bellissimi fasci di luce che andranno a mettere in evidenza circa una cinquantina di costruzioni posizionate lungo il Rothschild Boulevard e la Bialik Street, bellezze da ammirare partecipando alle visite guidate a cura della Tel Aviv-Jaffa Tourism Association.
Tante, tantissime le occasione per scoprire in una vesta insolita la frizzante città, a partire dal suo lato culturale, tra musei e gallerie che, per l'occasione, rimarranno aperti fino a notte fonda, alcune con ingresso gratuito, altre con biglietti a prezzi ridotti. Vietato andare a dormire presto, il buio non è motivo per abbandonare la strada e ritirarsi in hotel o in casa: ogni lasciata è persa, sarebbe un peccato non lasciarsi travolgere da quell'ondata di movimentata frenesia che si accinge ad invadere ogni angolo della città con sonorità di ogni genere jazz, swing, blues e reggae e spettacoli, artisti di strada e maghi, in grado di intrattenere tanto un pubblico di adulti quanto i più piccini. In Piazza Rabin, ad esempio, andrà in scena un grande party musicale che richiamerà l'attenzione di tutti i presenti con un ballo collettivo utilizzando gli auricolari mentre, per chi volesse ammirare il sorgere del sole, è cosa buona e giusta partecipare allo show dell'alba presso la spiaggia Zuk mentre, al Porto di Tel Aviv Deck, lungo uno dei più bei litorali del Mediterraneo, il buongiorno è in compagnia di un risveglio muscolare, rilassando anima e corpo con una sessione speciale di Yoga.
Se il giorno è troppo breve per dedicarsi ad una delle proprie passioni, lo shopping, al calar del sole le saracinesche non si abbassano e le spese possono proseguire in maniera serena curiosando e rovistando nel vivace e variopinto mercato delle pulci Shul Hapishpeshim, sito lungo la strada Olei Zion dove, tra tante cianfrusaglie, è possibile trovare veri affari iniziando lunghe trattative per accaparrarsi l'oggetto dei desideri al giusto prezzo. Altro punto cult per le spese è il mercato Carmel là dove le bancarelle rimarranno aperte fino alle 23. Da non sottovalutare la componente gastronomia: anche l'appetito vuole la sua attenzione e, in occasione della Notte Bianca, numerosi ristoranti e bar proporranno dei menu speciali "Notte Bianca".
(La Stampa, 21 giugno 2013)
Il rabbino capo Metzger ai domiciliari
Dopo dieci ore di interrogatorio negli uffici della polizia, al rabbino-capo ashkenazita Yona Metzger sono stati imposti cinque giorni di arresti domiciliari e l'allontanamento dal suo ufficio per le prossime due settimane, mentre gli investigatori procedono in una inchiesta su episodi di corruzione negli ambienti rabbinici. Attraverso il proprio legale, il rabbino Metzger ha oggi replicato di essere innocente e "stupefatto" nel trovarsi coinvolto nella vicenda.
(L'Unione Sarda, 21 giugno 2013)
Olio Extra Vergine premiato in Israele
Medaglia d'oro Gran Prestige TerraOlivo Jerusalem 2013
JESI (AN), 20 giu - Nuovo riconoscimento internazionale per l'Olio Extra Vergine di Oliva Monte Schiavo, 4 Ore, varieta' ''Frantoio'' che ha vinto in Israele la Medaglia d'Oro Gran Prestige, nella quarta edizione del concorso TerraOlivo Jerusalem 2013, Mediterranean International Olive Oil Competitio.
Il concorso ha visto la partecipazione di quasi 500 extra vergine finalisti provenienti da ogni parte del mondo. L'olio extra vergine 4 Ore proviene dall'oliveto dell'azienda marchigiana, in contrada Tassanare di Rosora (Ancona). Le olive, raccolte precocemente, sono molite a freddo in un lasso di tempo massimo di 4 ore dalla raccolta.
(ANSA, 21 giugno 2013)
Parola per parola la trasparenza delliraniano Rohani
MILANO - Nell'entusiasmo internazionale che circonda l'ascesa del neo presidente iraniano Hassan Rohani, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è l'unica voce fuori dal coro: la moderazione del nuovo numero due di Teheran è solo fumo negli occhi, wishful thinking. "Per noi non cambia nulla", ha detto il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon, nel frattempo però la luna di miele tra il presidente Rohani e le cancellerie occidentali si è aperta in grande stile. Secondo il New York Times la sua elezione "è molto promettente", il ministro degli Esteri Emma Bonino e il presidente francese François Hollande caldeggiano la partecipazione dell'Iran alla conferenza di pace sulla Siria Ginevra 2, la Russia rappresenta la vittoria di Rohani come una specie di primavera iraniana cui spalancare le braccia.
Il presidente russo Vladimir Putin, che ormai gestisce buona parte degli affari mediorientali su cui l'America balbetta (vedi la crisi siriana) lo definisce "un uomo molto esperto" e il plenipotenziario agli Esteri russo Sergei Lavrov si toglie i panni da "Mr Niet" e assicura: l'Iran è disponibile a sospendere il suo arricchimento dell'uranio al 20 per cento, bisogna pensare a sollevare Teheran dal peso delle sanzioni. Rohani lunedì ha esplicitamente escluso l'ipotesi di sospendere l'arricchimento dell'uranio, ma secondo Haaretz, i russi non si sarebbero esposti senza essere stati imbeccati dagli iraniani. Forse - scrive il quotidiano israeliano - il nuovo corso di Teheran è stato anticipato a Mosca a febbraio durante una visita in Kazakistan di Rohani alla vigilia dei colloqui tra L'Iran e i 5 più 1. Intanto l'Iran cerca di sfruttare il vento a favore: il nuovo round negoziale è in calendario ad agosto, ma un portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha lasciato intendere che Teheran è disposta a tornare a trattare anche prima e la disponibilità è stata subito sottolineata come un altro segnale di distensione. Solo due settimane fa Rohani criticava la politica estera iraniana degli ultimi otto anni ("possiamo contare amici e alleati sulle dita di una mano"), sottolineava la correlazione tra economia e dossier nucleare (le sanzioni hanno dimezzato le esportazioni petrolifere iraniane e contribuito al declino del riyal) e prometteva di restaurare la gloria nazionale con uno stile meno dogmatico e più razionale.
La strategia nucleare compete alla Guida suprema Ali Khamenei - specificava Rohani ma il governo può influire "sulla tattica e sul metodo di esecuzione". Gli è bastato definirsi moderato e ripetere la parola "trasparenza" più volte durante la sua prima conferenza stampa per trasformarsi nella nuova speranza della comunità internazionale, anche se "trasparenza" è una parola curiosa in bocca a Rohani. Essere stato definito il "no nonsense nuclear negotiator" non è garanzia del fatto che alla forma corrisponda la sostanza, lo ha ripetuto più volte lo stesso Rohani. Nel 2006 per esempio raccontava: "Mentre parlavamo con gli europei a Teheran, installavamo l'equipaggiamento necessario nella centrale di Isfahan. In effetti creando un clima di calma e serenità siamo riusciti a completare il lavoro a Isfahan" (la conversione dell'uranio da yellowcake a hexafluoride, ossia il gas che può andare nelle centrifughe). Così - si è vantato Rohani - mentre gli Stati Uniti supplicavano gli europei di non crederci, "gli europei rispondevano: noi ci fidiamo di loro". Erano gli anni in cui Washington voleva mandare il dossier iraniano al Consiglio di sicurezza. "Gli americani volevano fermarci e noi invece abbiamo raggiunto il nostro obiettivo - ha ribadito in un'intervista recente Rohani - Ho iniziato a parlare con i ministri e ho finito per negoziare con i' presidenti. Questo è quello che dovremmo fare oggi".
(Radicali Italiani, 20 giugno 2013)
Si dimette il premier Hamdallah. Caos nell'Autorità Palestinese
Divergenze con i suoi due vice, dicono alcune fonti. Abu Mazen chiamato a decidere entro 24 ore se accettare le dimissioni
RAMALLAH, 20 giugno - Non c'è pace in casa al Fatah. Aveva giurato il 6 giugno, nelle mani del presidente Abu Mazen, mettendo fine ai sei anni alla guida del governo palestinese di Salam Fayyad, uomo delle istituzioni finanziarie internazionali gradito agli Stati Uniti. E invece, tra la sorpresa generale, il neopremier dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Rami Hamdallah sembra già giunto al capolinea.
Hamdallah oggi ha presentato le sue dimissioni per motivi oscuri e Abu Mazen dovrà decidere se accettarle o respingerle nel giro di 24 ore. Ora nella sede dell'Anp a Ramallah regnano caos e sconcerto.
Secondo alcune fonti la causa delle dimissioni sarebbero da ricondurre a importanti divergenze del premier con due suoi vice: Mahmad Mustafa e Ziad Abu Amr.
Il primo è un esperto finanza che in passato era stato indicato come possibile premier dell'Anp e che non avrebbe mai accettato di essere stato scavalcato da Hamdallah, il secondo e' un ex docente universitario che ha rivestito l'incarico di ministro degli esteri nel primo governo del movimento islamico Hamas dopo le elezioni del 2006.
Un portavoce del governo, Ihab Bsiso, all'agenzia di stampa italiana Ansa non ha confermato ne' smentito le notizie che parlano di un legame tra le dimissioni di Hamdallah e contrasti con rappresentanti del suo governo.
(Nena News, 20 giugno 2013)
Corea del Nord - Kim Jong-un nega rabbiosamente di ammirare Hitler
Le autorità nordcoreane hanno minacciato di morte le persone, che hanno sparso la voce secondo cui il leader della Corea del Nord Kim Jong-un starebbe studiando l'esperienza di Adolf Hitler.
Pyongyang ha definito le notizie diffuse "un crimine odioso". "Prenderemo le misure necessarie per l'eliminazione fisica di gentaglia simile, responsabile di tradimento, - promettono le autorità. - Non potranno piu' vedere il cielo e non troveranno un solo centimetro di terra per riposare in pace dopo la morte."
In precedenza un anonimo funzionario nordcoreano che lavora in Cina aveva rivelato che Kim Jong-un aveva presentato ai membri del Comitato di Difesa dello Stato una copia del "Mein Kampf" di Hitler per studiarlo ed applicare alcune delle idee scritte nel libro.
(La Voce della Russia, 20 giugno 2013)
Suleiman: Hezbollah sta sbagliando, fermi la campagna militare
La campagna militare lanciata da Hezbollah in Siria, a sostegno delle truppe del regime di Bashar al-Assad, si sta rivelando "un errore". E' quanto ha affermato il presidente libanese, Michel Suleiman, in un'intervista al quotidiano 'As Safir'. Secondo il capo di Stato libanese, il movimento sciita dovrebbe richiamare indietro i suoi miliziani per evitare incidenti che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza del Paese dei cedri.
"Li ho ammoniti amichevolmente in merito a questo problema. Quando vedo che Hezbollah ha un comportamento sbagliato sono onesto con loro", ha dichiarato Suleiman, che ha ribadito il suo impegno a proteggere "la resistenza". "Se Hezbollah partecipera' alla battaglia di Aleppo, altri membri del partito saranno uccisi e ci saranno nuove tensioni" in Libano, ha affermato il presidente che ha ammonito: "I recenti incidenti (in Libano a Sidone e Tripoli, ndr) continueranno se il coinvolgimento (di Hezbollah, ndr) in Siria non si fermera'".
Nelle scorse settimane il movimento sciita libanese ha ammesso esplicitamente il proprio sostegno all'esercito siriano contro i ribelli. L'appoggio dei miliziani di Hezbollah e' stato decisivo nella riconquista da parte delle truppe lealiste di Qusayr, localita' strategica non lontana dal confine con il Libano.
(Aki, 20 giugno 2013)
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L'Arabia Saudita espellerà i libanesi che sostengono Hezbollah
BEIRUT, 20 giu. - L'Arabia Saudita espellerà i cittadini libanesi che sostengono Hezbollah, a causa del ruolo che il gruppo militante sciita ha assunto nella guerra civile in Siria. Lo ha annunciato l'ambasciatore saudita a Beirut, Ali Awad Assiri, all'emittente libanese Future tv, precisando che Riyadh rimpatrierà "chi offre aiuti finanziari a questo partito". Assiri non ha precisato quando inizieranno le espulsioni. L'Arabia Saudita è tra i più forti sostentori dell'opposizione siriana, a maggioranza sunnita, che lotta contro il regime del presidente Bashar Assad. Il leader siriano appartiene alla setta alawita, che fa parte della corrente sciita dell'islam. In Arabia Saudita lavorano e vivono decine di migliaia di cittadini libanesi.
(LaPresse, 20 giugno 2013)
L'archivio di Yad Vashem diventa parte del Registro Unesco
GERUSALEMME, 20 giu - Il data base di Yad Vashem - il Mausoleo del ricordo di Gerusalemme- con i nomi e le storie dei 6 milioni di ebrei uccisi durante la Shoah, e' stato incluso dall'Unesco come parte della Memoria del Registro Mondiale dell'organizzazione.
E' la prima volta - riportano i media - che l'Unesco, agenzia dell' Onu che si occupa di cultura e scienza - inserisce nel proprio registro un archivio israeliano. Per tanti sopravvissuti alla Shoah e le loro famiglie - ha detto il presidente di Yad Vashem, Avner Shalev - i dati contenuti nell'archivio sono "l'unica prova tangibile che i loro cari uccisi un tempo erano in vita".
(ANSAmed, 20 giugno 2013)
Docente dell'Università di Bologna laureato honoris causa all'Università di Gerusalemme
Mauro Perani, docente di Ebraico al Dipartimento di Beni culturali dell'Università di Bologna, è stato insignito del titolo di Doctor Philosophiae Honoris Causa
Domenica scorsa, 16 giugno, a Gerusalemme, presso l'anfiteatro Rothberg, nel Campus di Monte Scopus dell'Università Ebraica di Gerusalemme, Mauro Perani, docente di Ebraico al Dipartimento di Beni culturali dell'Università di Bologna, è stato insignito del titolo di Doctor Philosophiae Honoris Causa.
L'ateneo israeliano ha premiato il docente Unibo per il suo "grande contributo alla ricerca nel campo dei manoscritti ebraici e all'avanzamento di diversi campi degli studi ebraici, presente nei suoi libri e articoli, specialmente all'interno del progetto Ghenizà Italiana". Mauro Perani è stato recentemente tra i principali protagonisti del sorprendente rinvenimento alla Biblioteca Universitaria di Bologna del più antico rotolo esistente del Pentateuco ebraico.
(UNIBO, 20 giugno 2013)
Siria - Save the Children: bambini muoiono durante l'esodo
Oltre metà dei profughi siriani sono minori
Attualmente 1 milione e 600 mila persone scappate dalla Siria vivono nei campi profughi in Giordania; Libano, Iraq ed Egitto, di cui un milione ha attraversato il confine nel solo mese di marzo, e che hanno bisogno di aiuto umanitario. Save the Children, nella Giornata Mondiale del Rifugiato, sottolinea come più della metà di loro sono bambini.
Il numero dei profughi ti è cresciuto esponenzialmente negli ultimi dodici mesi (di ben 17 volte) e quest'estate sono previsti altri 2 milioni di arrivi nei campi.
"Abbiamo appreso storie tremende dai rifugiati siriani, che descrivono tantissimi minori uccisi, torturati, reclutati come bambini soldato e abusati. I minori vengono separati dalle proprie famiglie e molti muoiono per strada a causa delle ferite, cercando di scappare", ha dichiarato Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. "Sono proprio i più vulnerabili che pagano il prezzo più alto".
L'Organizzazione umanitaria ha raccolto le testimonianze dei profughi che hanno recentemente lasciato il Paese e che hanno parlato di un "viaggio della morte" dei bambini siriani.
Tra di esse la storia orrenda di un bambino di appena dodici anni che è stato lasciato indietro a morire dopo che, in seguito all'assassinio di sua madre, era diventato troppo debole per proseguire il viaggio a causa di una ferita provocata da alcune schegge di una granata. Quella di un neonato separato dalla propria madre e morto a causa del caldo e della mancanza di latte. Bambini calpestati dalla gente che correva sotto il fuoco delle armi. Un ragazzino di 13 anni ucciso da un colpo mentre tentava la fuga. Un ragazzo di 16 anni che dopo 15 giorni di detenzione aveva segni evidenti di tortura fisica. Il personale di un checkpoint ha tagliato la gola ad un ragazzo di 12 anni.
I bambini sono diventati ormai bersaglio per i cecchini, costretti a scappare sotto pesanti bombardamenti, costretti a cercare di ricavare un po' di acqua dall'erba e dalle foglie, per evitare la sete causata dalle torride temperature.
"Queste testimonianze raccolte dai nostri operatori offrono un'istantanea della disperazione e dell'orrore che i bambini siriani stanno affrontando quotidianamente. Fino a che questa spirale di violenza nel paese non si riesce a fermare, occorre raggiungere urgentemente queste persone e portar loro aiuto", continua Valerio Neri. "Tutti i bambini coinvolti in questo orrendo massacro ne hanno bisogno: da un lato coloro che all'interno del paese sono esposti all'atrocità del conflitto, dall'altro quelli che, riusciti a scappare, ora vivono in campi profughi affollatissimi, senza poter frequentare una scuola o senza avere un posto sicuro dove giocare".
Save the Children sta cercando di supportare la popolazione siriana sia all'interno delle comunità di rifugiati in Libano, Giordania e Iraq sia all'interno del Paese. Purtroppo, però, a causa della difficoltà di accesso, l'Organizzazione è attualmente riuscita a raggiungere solo il 10% delle persone che si era prefissa di aiutare.
(Julie News, 20 giugno 2013)
...tantissimi minori uccisi, torturati, reclutati come bambini soldato e abusati. I minori vengono separati dalle proprie famiglie e molti muoiono per strada a causa delle ferite, cercando di scappare". Ma per molti la minaccia alla pace nel mondo viene dalle abitazioni che il governo israeliano ha progettato in Gerusalemme Est.
Iran - Parla un deputato ebreo: l'Occidente tenda la mano a Rohani
di Elisa Pinna
ROMA, 19 giu - L'Occidente deve tendere la mano al nuovo presidente iraniano Hassan Rohani, non delegittimarlo e umiliarlo come accaduto in passato con il tentativo riformista di Mohammed Khatami, capo di Stato tra il 1997 e il 2005, prima dell'era di Ahmadinejad. A parlare e' un deputato iraniano molto particolare, Chamad Morsadeghi, rappresentante della minoranza ebraica iraniana, a Roma per un convegno interreligioso tra sciiti e cattolici, organizzato in Vaticano dall''Associazione internazionale Carita' Politica''. Pochi lo sanno, ma in Iran vive la piu' grossa comunita' di ebrei del Medio Oriente, Israele a parte: 25-30 mila persone, che godono - assicura Morsadeghi in un'intervista ad ANSAmed - di piena liberta' religiosa, rispetto e diritti politici e civili. L'atmosfera e' quella di ''fratellanza'', afferma il deputato, e a differenza delle sinagoghe di tanti Paesi arabi, in quella di Teheran si prega senza nessun tipo di misure di sicurezza. Dal punto di vista degli ebrei iraniani, la nuova presidenza di Mohammed Rohani offre grandi opportunita', sul piano interno e su quello della pacificazione nei rapporti con l'Occidente: ''ma stavolta gli Stati Uniti non devono ripetere gli errori fatti con Khatami''. Per rilanciare il dialogo spiega il parlamentare - la ''flessibilita''' e la buona volonta' devono essere mostrate da entrambe le parti. ''E' come con la questione palestinese - esemplifica Morsadeghi - : costringendo l'Autorita' nazionale palestinese a continui cedimenti, gli Usa hanno finito per togliere legittimita' ai moderati e contribuire alla crescita di Hamas''. Lo stesso discorso vale con l'Iran e per la sua nuova dirigenza moderata: se Rohani fallisse, potrebbe arrivare qualcuno di ''molto peggio''.
In realta', osserva il deputato ebreo, ''l'unico Paese al mondo che non vuole una normalizzazione delle relazioni internazionali con Teheran e la fine delle sanzioni economiche contro l'Iran e' Israele'': si tratta - spiega - di uno Stato ''militarista, alla continua ricerca di un nemico esterno su cui ricompattare la propria popolazione eterogenea''.
Gli ebrei dell'Iran - dice Marsadeghi - ''si sentono iraniani a tutti gli effetti''. ''Siamo in questo Paese da 2500 anni, dall'epoca di Ciro il grande. Durante l'Olocausto, molti ebrei europei trovarono rifugio qui. Io, personalmente, ho combattutto sulla linea del fronte per 18 mesi contro l'Iraq e sarei pronto a farlo anche contro Israele''. ''Chiunque e' nemico dell'Iran e' un nostro nemico'', aggiunge. A suo avviso, pero', difficilmente, Israele attacchera' mai l'Iran: ''In Medio Oriente si sa chi comincia una guerra, ma non chi la finisce'', sottolinea.
(ANSAmed, 20 giugno 2013)
Prima della Grande Guerra gli ebrei francesi volevano essere più francesi dei francesi, gli ebrei tedeschi più tedeschi dei tedeschi, gli ebrei italiani più italiani degli italiani. Sono finiti presi a calci da tutti: francesi, tedeschi e italiani. Si dovrà aspettare che una cosa simile avvenga anche agli ebrei iraniani perché cambino idea? Nel 1915, prima dell'entrata in guerra, il giornale "Il Vessillo Israelitico" scriveva: «L'Italia è in guerra e noi all'Italia daremo noi stessi interamente. Ogni sacrificio ci parrà dolce, ogni privazione un dovere. Daremo tutto, noi ebrei, alla patria nostra: daremo i figli, le sostanze nostre, le nostre vite. Tutto l'Italia ha diritto a pretendere da noi e tutto noi le daremo». E sappiamo comè andata a finire. Chissà se il nostro deputato ebreo iraniano ha letto qualcosa di Leon Pinsker:«Per vivere meglio, per godere in pace un piatto di carne, cerchiamo di far credere a noi e agli altri che non siamo più ebrei, ma figli legittimi ed autentici della patria [in cui abitiamo, ndr]. Vana illusione! Voi potete dimostrare di essere veri patrioti finché volete; vi ricorderanno ad ogni occasione la vostra origine semitica. Questo fatale memento mori non vi impedirà tuttavia di godere una larga ospitalità, finché un bel giorno non sarete cacciati dal paese e finché la plebe scettica della vostra legittimità non vi ricorderà che voi non siete, dopo tutto, altro che nomadi e parassiti, non protetti da nessuna legge. [...] Questi patrioti fanatici negano il loro originale carattere etnico per mostrarsi figli di un'altra nazione qualunque essa sia, umile o alta. Ma essi non ingannano nessuno. Non si accorgono quanto impegno mettono gli altri per liberarsi da questa compagnia ebraica." (da Autoemancipazione di Leon Pinsker)
Il museo dell'Olocausto di Washington sfratta Palatucci
NEW YORK. - Il museo dell'Olocausto di Washington rivede il ruolo giocato dall"'ultimo questore" di Fiume Giovanni Palatucci e lo 'sfratta' dalla mostra sul ventennale dell'istituzione.
"Nuove informazioni sono venute in luce che riesaminano gli sforzi di salvataggio di Palatucci", ha spiegato all'Ansa il centro ufficiale Usa per lo studio della Shoah informando che il caso Palatucci è stato ritirato dal sito web della mostra e che in futuro "ogni materiale relativo verrà tolto anche dalle sale". La mostra, intitolata "Alcuni erano vicini" esamina "le decisioni prese da individui mentre i nazisti e i loro collaboratori perseguitavano gli ebrei". Palatucci, morto a Dachau a 36 anni, è stato proclamato Giusto tra le Nazioni da Yad Vashem, il museo della Shoah di Gerusalemme nel 1990, e dal 2005 è in corso in Vaticano una causa di beatificazione.
A indurre il museo di Washington al ripensamento sullo 'Schindler italiano' sono stati il Centro Primo Levi di New York e il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano intervistati dal Corriere della Sera Online: spulciando migliaia di documenti e interrogando superstiti, le due istituzioni contestano la tesi che Palatucci avrebbe salvato 5.000 ebrei "in una regione dove non ce n'erano neanche la metà". L'ipotesi di un salvataggio di massa da parte di Palatucci è stata messa in dubbio da anni negli ambienti ebraici internazionali. Secondo l'ex direttore di Yad Vashem Mordecai Paldiel, Palatucci fu riconosciuto Giusto tra le Nazioni per aver aiutato una sola donna, Elena Aschkenasy, nel 1940: "Nessuna prova che avesse dato assistenza oltre questo caso". Le biografie ufficiali di Palatucci parlano di migliaia di ebrei da lui inviati nel campo di internamento di Campagna dove sarebbero stati protetti dal Vescovo Giuseppe Maria Palatucci, suo zio. Una ricostruzione giudicata impossibile da Anna Pizzuti, curatrice del database degli ebrei stranieri internati in Italia: "Quaranta in tutto furono i fiumani internati a Campagna. Poi un terzo del gruppo finì ad Auschwitz".
Palatucci fu funzionario di pubblica sicurezza pressola Questuradi Fiume dal 1937 al 1944, dove era addetto all'ufficio stranieri e si occupò dei censimenti dei cittadini ebrei sulla cui basela Prefetturaapplicava le leggi razziali. Proprio a Fiume i censimenti furono condotti con una capillarità ineguagliabile e le leggi applicate con un accanimento che provocò proteste internazionali, sostiene il Centro Primo Levi. Secondo lo storico veneziano Simon Levis Sullam l'affare Palatucci si inserisce nel dibattito sul ruolo degli italiani di fronte alla persecuzione degli ebrei sotto il fascismo.
"Il mito del bravo italiano ha costituito una fonte di autoassoluzione collettiva rispetto al sostegno offerto a politiche antisemite nel periodo 1937-1945", sostiene Sullam. Una tesi condivisa da Natalia Indrimi del Centro Primo Levi secondo cui il caso Palatucci mostra come "una narrativa agiografica semplificatoria sia riuscita a provocare la completa rimozione di un capitolo tragico della dittatura fascista".
(La Voce, 19 giugno 2013)
Un piccolo branco di stupidi razzisti, per di più ignoranti
di Boaz Bismuth
Per molti di noi la strada che porta a Gerusalemme significa fermarsi lungo il tragitto ad Abu Ghosh. Forse è per questo che ero così entusiasta quando, nel giugno 2004, prima di essere mandato in una capitale araba, fui invitato dal Ministero degli esteri israeliano a partecipare a Gerusalemme a un corso di un mese per dirigenti di consolato. Il corso mi offriva la preziosa occasione di far visita ogni giorno, durante il mio rientro a casa a Tel Aviv, ai miei amici Yaakov e Moussa Ibrahim, del ristorante Mifgash Hakaravan di Abu Ghosh. Così di giorno, al Ministero degli esteri, studiavo teoria e la sera, con Yaakov e Moussa, ricevevo lezioni su come applicare quelle teorie nella pratica: istruttive lezioni sulla coesistenza arabo-ebraica. Sapevo di non poter competere con Yaakov e Moussa su chi fa il humus migliore, ma con grande sorpresa scoprii che potevano darmi del filo da torcere anche su chi è più fiero di essere israeliano.
Ho provato un vero senso di disgusto alla notizia degli episodi vandalici anti-arabi di martedì ad Abu Ghosh. Pneumatici tagliati e vergognosi slogan scarabocchiati con lo spray sui muri della cittadina araba i cui abitanti, durante la guerra d'indipendenza del 1948, aiutarono i combattenti ebrei contro l'aggressione al neonato stato di Israele. Il che sostanzialmente ci dice quanto gli autori di questi vandalismi, oltre ad essere criminali e razzisti, sono anche un branco di ignoranti.
Ma se anche Abu Ghosh non fosse l'unica comunità araba che ci aiutò nella nostra guerra di indipendenza in quel tragico "corridoio" che collegava Tel Aviv a Gerusalemme (per sei mesi l'unica precaria via per rifornire la parte ebraica di Gerusalemme sotto assedio), saremmo comunque disgustati: non solo per il loro interesse, ma anche per il nostro. Questo genere di atti costituiscono un'offesa ai valori ebraici, ha ricordato martedì il primo ministro Benjamin Netanyahu. E ha ragione. La morale, l'ebraismo, l'essere israeliani, la legge ebraica: tutto concorre a respingere e condannare questi gesti. È ora che i responsabili vengano fermati. Bisogna capire che, oltre ai pneumatici, ai muri, agli ulivi, alle chiese e ai monasteri, questa banda di teppisti lede anche il buon nome del nostro paese. Nell'era della guerra combattuta sui mass-media, ogni singolo atto vandalico ha un peso e comporta un prezzo. Anche solo per questo, meriterebbero l'etichetta di "terroristi".
Martedì ho telefonato al mio amico Moussa. Ad essere sincero, mi vergognavo un po'. Volevo chiedere scusa. Lui invece era tranquillissimo. "Non cambia un bel niente - mi ha detto - Qui ebrei e arabi hanno un rapporto di affetto, di parentela, di convivenza e di buon vicinato. Era così prima e così continuerà ad essere".
Ma lo slogan "fuori gli arabi" non rischia di cancellare tutto questo? gli ho chiesto. Non potrebbe nuocere alle giovani generazioni?
"Stiamo parlando della minoranza di una minoranza - mi ha risposto - Costoro non rappresentano affatto il popolo ebraico".
Moussa, che in gioventù ha studiato in una scuola ebraica, mi ha detto che gli abitanti della cittadina non vogliono sollevare un putiferio per quello che è successo. Un putiferio non farebbe che regalare pubblicità ai vandali aggressori. Per coloro che desiderano infangare il buon nome di Israele, gli attivisti del vandalismo anti-arabo sono in pratica dei complici.
Chi ha commesso questi atti scellerati non riuscirà a rovinare il meraviglioso tessuto della coesistenza ad Abu Ghosh. L'unica cosa che hanno ottenuto è farci ripartire da Abu Ghosh con l'amaro in bocca: un fatto che normalmente è davvero quasi impossibile.
(Israel HaYom, 19 giugno 2013 - da israele.net)
Gli arabi che vivono in Israele e riconoscono il suo diritto biblico a quella terra possono ricordare agli ebrei del paese le parole della Torah: «Non maltratterai lo straniero e non l'opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto» (Esodo 22:21). Diverso è il caso di quegli arabi in Israele che si considerano i soli cittadini a pieno diritto e vorrebbero trattare gli ebrei come stranieri. M.C.
Israele esporterà il 40% della produzione di gas naturale
Israele limiterà al 40% della propria produzione le esportazioni del gas naturale prodotto nei suoi campi offshore: lo ha affermato il premier dello Stato ebraico, Benjamin Netanyahu, precisando che una decisione definitiva verrà adottata dal Consiglio dei Ministri previsto domenica. Secondo Netanyahu, il 60% rimanente delle riserve stimate (circa 550 miliardi di metri cubici) sarà sufficiente ad assicurare il fabbisogno nazionale per i prossimi 25 anni, mentre i ricavi delle esportazioni dovrebbero raggiungere i 60 miliardi di dollari nel prossimo ventennio. Fino al 2011 Israele otteneva il 41% del fabbisogno di gas naturale dall'Egitto, grazie all'oleodotto che attraversa il Sinai: una serie di attentati e sabotaggi ha di fatto interrotto le forniture.
(Milano Finanza, 19 giugno 2013)
La storia di un "mister" ebreo: dallo scudetto ad Auschwitz
"Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo, e chi sa come è finito?", scrisse Enzo Biagi, riferendosi a un allenatore famoso al tempo della sua adolescenza. Un altro giornalista scrittore, Matteo Marani, direttore del "Guerin Sportivo", ha risposto a quella domanda con un libro che presenta giovedì 20 giugno alle 18 nel chiostro di palazzo Santa Margherita in corso Canalgrande 103 a Modena. La presentazione di "Dallo scudetto ad Auschwitz.
Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo", edito da Aliberti, è il terzo appuntamento con "Memorie di sport", il ciclo di presentazioni di libri a tema sportivo, promossi dall'assessorato comunale allo sport. La partecipazione è libera e gratuita.
Le ricerche di Marani, a partire dagli archivi comunali bolognesi, hanno permesso di riscoprire la parabola drammatica di Weisz, passato dal trionfo con il Bologna al Torneo Internazionale dell'Expo Universale di Parigi (la Champions League dell'epoca), alla morte ad Auschwitz, in meno di 10 anni.
Per quello che fu probabilmente allora l'allenatore più famoso d'Europa, campione d'Italia con l'Inter e due volte con il Bologna, fu fatale il 1938, anno dell'emanazione e dell'applicazione delle leggi razziali in Italia, che prevedevano per lui e la sua famiglia, ungheresi ebrei, la persecuzione e la deportazione.
(ModenaToday, 19 giugno 2013)
Hamas impone a Gaza l'islamizzazione delle scuole. A rischio gli istituti cattolici
Da settembre vietate le classi miste per studenti di età superiore a 10 anni. Gli insegnanti divisi secondo i sessi, per non violare la sharia. Finora la Chiesa gestisce tre scuole per un totale di quasi mille studenti, in maggioranza musulmani. Il Vescovo di Gerusalemme: "Abbiamo due alternative: fare pressioni sul governo o chiudere".
GAZA - Le scuole cattoliche della Striscia di Gaza rischiano la chiusura. Il governo di Hamas sta varando una legge per impedire la presenza di scuole "non islamiche" nel territorio governato dal movimento estremista islamico: quelle che non si adeguano ai canoni stabiliti, come a esempio la rigida separazione fra i sessi, saranno chiuse.
A Gaza sono presenti tre istituti cattolici: la scuola del Patriarcato Latino, con circa 370 studenti; l'istituto gestito dalle suore della Sacra famiglia, con 650 alunni; la scuola delle Suore del Santo Rosario con circa 100 ragazzi. La maggior parte degli iscritti è di religione musulmana. Il decreto varato da Hamas entrerà in vigore a settembre, in concomitanza con l'avvio del nuovo anno scolastico. In queste settimane monsignor Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, ha espresso più volte l'intento di discutere la questione con Ismail Haniya, primo ministro di Gaza, ma nessun segnale di disponibilità è arrivato da Hamas.
Intervistato da AsiaNews, monsignor William Shomali, Patriarca vicario di Gerusalemme, sostiene che ormai il territorio di Gaza sta subendo una veloce islamizzazione. «Gli islamisti di Hamas vogliono controllare l'educazione e dividere gli istituti che ospitano i giovani con più di dieci anni secondo la separazione dei sessi» ha dichiarato Shomali, che ha spiegato altresì come in questi anni la Chiesa abbia ovviato al problema dividendo le aule fra alunni maschi e femmine, con i maschi posizionati nella parte posteriore delle aule. Hamas ha rifiutato anche questa soluzione di compromesso, imponendo pure la rigida divisione per gli insegnanti.
Secondo monsignor Shomali, questo provvedimento ha sbarrato la strada alla istituzione di altre tre scuole cattoliche, già prevista da diversi anni. Tra l'altro, l'imposizione di questa normativa contraria alla Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo (non a caso disconosciuta dagli islamici, che ne hanno elaborato una versione musulmana assolutamente ridicola) imporrà investimenti corposi, che la Chiesa locale non potrà affrontare perché non dispone di tali risorse. «Ora - ha spiegato il Patriarca vicario di Gerusalemme - abbiamo due alternative: o tentare di far pressioni sul governo di Hamas per smorzare il decreto, oppure chiudere i nostri istituti, dandoli in gestione alle autorità di Gaza». Questa seconda soluzione appare, in modo inequivocabile, come l'effetto in realtà perseguito dal governo di Ismail Haniya.
«Le scuole sono molto apprezzate dai musulmani che, grazie alla preparazione offerta, vedono i loro figli in grado di entrare all'università - ha chiarito Shomali - Tuttavia il governo non sostiene i nostri progetti, anzi li ostacola: a fine anno i nostri istituti, in gran parte gratuiti, sono sempre in deficit». La gratuità della formazione scolastica consente alle famiglie meno abbienti di poter mandare a scuola i figli, unica strada per garantire loro un futuro decisamente migliore.
Si attendono le reazioni dei terzomondisti in servizio permanente effettivo, cantori delle meraviglie della civiltà islamica.
(The Horsemoon Post, 19 giugno 2013)
Corea - Kim avrebbe preso Hitler a modello
SEUL, 19 giu. - Hanno scatenato le ire del regime di Pyongyang le indiscrezioni secondo cui il giovane leader della Corea del Nord, Kim Jong-Un ,avrebbe preso Adolf Hitler a modello, adottandone il famigerato saggio 'Mein Kampf' del 1924 quale guida da seguire. La fonte e' 'New Focus International', un portale on-line gestito da dissidenti nord-coreani in esilio, ripreso oggi da tutti i principali quotidiani di Seul.
Kim avrebbe distribuito ai collaboratori piu' stretti copie dello scritto lo scorso gennaio, in occasione del proprio compleanno, intimando loro di utilizzarlo come 'libro di testo' per selezionare nuovi funzionari dell'apparato statale. "Ricordando come Hitler riusci' a ricostruire la Germania in breve tempo dopo la sconfitta patita nella I Guerra Mondiale, Kim Jong-Un ha emesso l'ordine di studiare a fondo il Terzo Reich, e chiesto di trarne applicazioni pratiche", ha dichiarato al sito dell'opposizione un anonimo gerarca di Pyongyang operante in Cina. Si tratta di uno "stramaledetto crimine", e' stata la reazione della 'Kcna', agenzia di stampa ufficiale del Nord, secondo cui la mossa avrebbe avuto l'unico obiettivo di sminuire la figura dell'ultimo epigono della dinastia dei Kim.
Nel dispaccio si minaccia inoltre la "eliminazione fisica" della "spregevole e sordida feccia umana" responsabile di cotanto "tradimento", che "mai potra' volgere lo sguardo al cielo ne' trovare un pezzetto di terra dove essere seppellita dopo la sua morte". Seguono le tradizionali accuse rivolte alla Corea del Sud e agli Stati Uniti, cui la 'Kcna' promette "una spietata punizione" per aver fomentato la diffamazione di Kim da parte degli oppositori al loro soldo .
(AGI, 19 giugno 2013)
Domani il convegno "Puglia ebraica. Memoria, presenza e identità"
BRINDISI, 19 giu - Si svolgerà domani, giovedì 20 giugno, a partire dalle 17.30, un incontro di studi sul tema: "Puglia ebraica. Memoria, presenza e identità". L'evento, patrocinato dal Comune di Brindisi, si terrà presso la Sala Conferenze di Palazzo Nervegna, sede dell'Amministrazione comunale brindisina.
Sono state organizzate due distinte sessioni: una prima di carattere prevalentemente storico, affidato a due importanti studiose dell'Ebraismo e di quello pugliese in particolare, la prof. Maria Pia Scaltrito e la prof. Giovanna Rossella Schirone, entrambe allieve del compianto prof. Cesare Colafemmina, recentemente scomparso.
Alla prof. Scaltrito sarà affidata la relazione " Presenze ebraiche in Puglia sino al 1565", mentre la prof. Schirone tratterà il tema "Giudei e giudaismo in terra d'Otranto".
La sessione storica sarà conclusa dalla lettura e traduzione di due Pyitim (componimenti poetici) di Maestri pugliesi del X secolo, affidata al prof. Jonathan Curci dell'Università di Ginevra.
Seguirà la sessione dedicata all'attualità della presenza e dell'identità ebraica contemporanea, con le testimonianze di ebrei pugliesi, da Sannicandro Garganico a Brindisi. La signora Lucia Leone, discendente da una delle famiglie che, attorno agli anni '30 del secolo scorso, si riunirono attorno a Donato Manduzio, parlerà di "Identita' e presenza. L'esperienza di una madre".
A seguire, il giovane Jacopo Pagliata (appena sedicenne), parlerà di "identita' al presente: un adolescente a Brindisi" e la responsabile della Comunità Ebraica di Sannicandro Garganico e docente di Ebraismo a Roma, dr. Grazia Gualano riferirà su "identita' al presente: una donna a sannicandro".
Concluderà il prof. Scialom BAHBOUT, Rabbino Capo della Comunità di Napoli e del Mezzogiorno, con "Il risveglio dell'ebraismo in Puglia".
Chiuderà il ricco evento culturale e religioso l'esibizione del Coro della Sinagoga di Sannicandro, in formazione ridotta (Costantina Ferrazzano, Lucia Zurro e Lucia Leone), considerati i numerosi impegni di lavoro degli altri componenti.
(Brundusium.net, 19 giugno 2013)
Israele, democrazia multipartitica
di Adrian Weiss
Pubblichiamo il testo della lettera che il presidente dell'associazione Svizzera Israele Ticino ha inviato al quotidiano TICINO live in risposta ad una inqualificabile interpellanza fatta da un consigliere del Partito Comunista al sindaco di Lugano. Notizie su Israele ha riportato la notizia dell'interpellanza il 10 giugno scorso.
Il consigliere comunale Edoardo Cappelletti, del Partito Comunista, in un'interpellanza ha criticato la partecipazione del sindaco di Lugano, Marco Borradori alla festa per il giorno dell'indipendenza di Israele. L'ha fatto in così estremi termini, parlando di «nazione teocratica», «regime guerrafondaio e razzista», «tradizione coloniale», «apartheid», da travalicare non solo il legittimo diritto di critica, ma anche quel minimo rapporto con la realtà che anche la polemica politica deve mantenere. Israele non è affatto una «nazione teocratica», è una democrazia multipartitica, il solo paese del Medio Oriente che rispetta interamente la libertà di opinione, di voto, di religione e di associazione.
Al parlamento di Gerusalemme partecipano una decina di partiti, inclusi i comunisti arabi che godono probabilmente delle simpatie del signor Cappelletti. Israele è inoltre l'unico paese in pace nell'arco di crisi che coinvolge Iraq, Siria, Egitto, Tunisia, Yemen; non è affatto guerrafondaio, per la pace ha ceduto spontaneamente territori importanti negli ultimi decenni a Egitto, Libano e all'Autorità Palestinese.
Israele non è razzista, anzi nella sua legislazione il razzismo è un reato. La minoranza araba può vantare deputati, giudici della corte suprema, ambasciatori, generali dell'esercito, professori universitari, sindaci e anche giocatori della nazionale di calcio e divi della canzone. L'ultima Miss Israele è di origini africane e nel linguaggio di molti paesi sarebbe definita «nera».
Israele non appartiene affatto alla «tradizione coloniale»: non sfrutta i lavoratori arabi che hanno esattamente gli stessi diritti dei loro colleghi ebrei, non distrugge le risorse naturali, anzi ha fatto fiorire straordinariamente il suo territorio nei 65 anni della sua esistenza, non vive esportando materie prime, ma prodotti della sua agricoltura e soprattutto della sua industria hitech.
In Israele non c'è nessun tipo di apartheid, nessuna discriminazione sulla base di religione, etnia, provenienza, che colore della pelle è consentita dalla legge. Di fatto i dati mostrano che i cittadini arabi israeliani vivono molto meglio dei loro cugini d'oltre frontiera e i sondaggi confermano il loro attaccamento alla cittadinanza israeliana.
Naturalmente Israele non è perfetto, come tutti gli altri stati al mondo. Se potesse concludere una pace coi propri vicini palestinesi ne sarebbe felice, ma finora la cosa non è stata possibile, soprattutto per l'indisponibilità e la divisione del campo palestinese. Vi sono a Tel Aviv come a Zurigo e a Lugano persone infelici, ingiustizie sociali, criminali da catturare, cose che non vanno. Vi è il terrorismo che rende ancora la vita difficile, anche se meno di dieci anni fa. Ma Israele risolve le dispute al suo interno con le elezioni e non con le armi, ha una stampa libera e una giustizia indipendente, coltiva relazioni positive con tutti i paesi del mondo fra cui la Svizzera.
Per gli ebrei di tutto il mondo Israele è un rifugio e una garanzia rispetto all'antisemitismo. Vi sono molte somiglianze fra la fiera vocazione all'indipendenza, l'intraprendenza, il senso del lavoro, l'industriosità, lo spirito sportivo degli israeliani e quella degli svizzeri. Non mancano rapporti commerciali, iniziative scientifiche comuni, progetti di collaborazione tra le due nazioni.
Il sindaco Borradori con la sua presenza alla festa di Israele non ha solo compiuto un atto di cortesia, ma ha anche incoraggiato un'amicizia fra i due paesi che è certamente fruttuosa da entrambe le parti. Lo ringraziamo per questo.
(TICINO live, 17 giugno 2013)
Kaspersky Lab porta la Scuderia Ferrari a Gerusalemme
Grande folla di 60.000 spettatori nel primo giorno della manifestazione e altri 180.000 nella seconda giornata
Il 13 e 14 giugno 2013, Gerusalemme ha ospitato il primo show internazionale su strada, "Jerusalem Formula - The Peace Road Show". Il road show organizzato insieme alla Scuderia Ferrari si è svolto nella parte più antica della città insieme ad altri eventi, tra cui il motorbike show. La partecipazione del team Ferrari è stato reso possibile grazie a Kaspersky Lab. All'evento hanno partecipato diverse auto, tra cui quattro Ferrari che partecipano al Ferrari Challenge (tre F430 e una 458 Challenge del team Kaspersky Motorsport) guidate da alcuni piloti della Ferrari Driver Academy tra cui la giovane promessa Antonio Fuoco.
La manifestazione ha registrato una grande folla il primo giorno e oltre 180.000 spettatori nella seconda giornata di venerdì, un successo considerando che si trattava di un giorno festivo o prefestivo per la maggior parte degli abitanti della città che ha offerto per l'occasione un percorso di 2.800 metri. L'obiettivo di questo evento era di portare i simboli dello sport su due e quattro ruote nel paese, dove questo sport era proibito fino a due anni fa. Ebrei, cristiani, musulmani e turisti si sono riuniti per l'occasione, che non a caso comprende nel suo nome la parola 'pace'.
Eugene Kaspersky, fondatore e CEO di Kaspersky Lab, ha commentato: "Questo è il quarto anno di grandi successi ottenuti grazie alla collaborazione tra Kaspersky Lab e la Scuderia Ferrari. In tutto questo tempo abbiamo cercato di ampliare la nostra partnership e lo sviluppo di nuovi progetti di collaborazione. È una grande soddisfazione essere riusciti a portare la Scuderia Ferrari in Israele per la prima volta in occasione della "Jerusalem Formula - The Peace Road Show". Kaspersky Lab è orgogliosa di percorrere strade sempre nuove e di portare avanti iniziative diverse; spero che questo progetto unico sia l'inizio di una nuova tradizione in una città cosi piena di storia".
L'attrazione principale della manifestazione è stata la Ferrari, la prima squadra ad accendere una vettura di Formula 1 e a correre per le strade di Gerusalemme. Per i primi dieci giri, al volante della F60 c'è stato Giancarlo Fisichella. "E' stato un onore per me essere qui e voglio ringraziare Ferrari, Kaspersky Lab e la città per aver reso possibile questo evento", ha dichiarato il pilota in diretta attraverso la radio di bordo, in collegamento con la televisione israeliana. "Spero di essere qui anche il prossimo anno". Il pilota italiano era visibilmente commosso. "Anche se non corro più nel Gran Premio, è sempre un'esperienza incredibile guidare un'auto come la Ferrari di Formula 1 e non credo di aver mai trovato un'atmosfera così speciale come qui a Gerusalemme".
Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, ha dichiarato: "Le auto di Formula 1, sullo sfondo delle mura della Città Vecchia, sono un evento storico che contribuirà all'economia della città, al turismo e a far conoscere Gerusalemme in tutto il mondo. La Gerusalemme del presente è una città aperta e accogliente ed è importante per noi riuscire ad inviare un messaggio di pace senza conflitti politici attraverso questo spettacolo internazionale; invitiamo tutti i tifosi e gli appassionati di sport a partecipare a questi eventi ovunque si trovino, senza distinzione di religione, razza o genere".
(Data Manager Online, 18 giugno 2013)
Simulazione di rapimenti e uso di armi. Gaza, i campi estivi di Hamas per bimbi
Migliaia di palestinesi tra 6 e 15 anni parteciperanno ad attività di stampo militare. Il premier Haniyeh: «Così insegniamo i valori del jihad»
di Francesca Paci
A Kerem Shalom, l'unico varco per le merci in entrata e in uscita da Gaza, c'e' il solito andirivieni di tir provenienti da Israele, Cisgiordania e dai paesi donatori (compresi gli aiuti delle organizzazioni internazionali): al mattino presto arrivano soprattutto frutta e riso, nel primo pomeriggio i camion scaricano mobili, utensili per la casa, anche vasche da bagno jacuzzi. Si stima che nel 2012 il traffico di merci tra Gaza, Cisgiordania e Israele abbia raggiunto 4,5 miliardi di dollari (la maggior parte è import ma c'è anche un po' di export come per esempio le fragole).
«Da un paio di settimane non arrivano più le bottiglie di aranciata e coca cola perché Hamas ha avviato una fabbrica dentro Gaza e privilegia il mercato interno, per il resto siamo alla solita media di circa 400 carichi al giorno, business as usual» spiega agli ospiti dell'Europe Israel Press Association il responsabile della struttura dove lavorano 120 impiegati di cui 53 palestinesi. Sembra impossibile che solo sette mesi fa da queste parti infuriasse la battaglia, ma l'operazione "Pillar of Defence" lanciata dal premier Netanyahu a ridosso delle elezioni pare aver restituito la routine alla popolazione israeliana della zona. Secondo il sindaco di Sderot David Buskilla «anche le persone che non volevano il cessate il fuoco e che premevano perché l'esercito la facesse finita una volta per tutte con il terrorismo si stanno rendendo conto che questa operazione è stata forse ancora più efficace di quella del 2009».
Eppure, al di là della barriera che separa Israele da Gaza, oltre questi blocchi di cemento oltre i quali i tir passano sotto uno scanner capace di controllorare 100 tonnellate di merci in 7 minuti, la situazione non è esattamente normale e non solo per la vita misera degli oltre un milione e mezzo di abitanti, la stragrande maggioranza dei quali dipendenti al cento per cento dagli aiuti umanitari.
Hamas, al potere a Gaza dal 2007, è in difficoltà. I soldi dell'Iran che finora hanno arricchito l'arsenale degli arcinemici di Israele finiscono ormai solo nelle tasche della Jihad islamica, ancora più radicale di Hamas, mentre altri gruppi estremisti salafiti vengono finanziati dal Golfo. L'Egitto di Morsi, sulla carta alleato di Hamas in virtù della comune appartenenza alla Fratellanza Musulmana, si sta rivelando meno solidale di quanto ci si aspettasse anche perché l'esercito egiziano che non ama Morsi lo mette continuamente in difficoltà distruggendo i tunnel del contrabbando sotto Rafah, fonte di grande guadagno per Hamas. I ragazzi di Gaza guardano con invidia i fratelli ribelli in Egitto, Tunisia e Libia e l'antica amicizia tra Hamas e Hezbollah (alleato dell'Iran) sta venendo meno per via della questione siriana (Hamas sostiene i ribelli e Hezbollah sostiene Assad). Hamas infine, potendo contare su meno donatori, tassa tutto quello che può, le sigarette in arrivo dai tunnel (3 shekel a pacchetto) ma anche il cibo che passa da Kerem Shalom, inimicandosi ancor più i consumatori.
L'unica chance per evitare la rabbia della popolazione è distrarla. Cosi, rivela l'Idf, l'esercito israeliano, anche quest'anno Hamas (in collaborazione con Jihad islamica e Comitati di resistenza popolare) offre campi estivi ai bambini di Gaza. Solo che come attività sociali, migliaia di piccoli palestinesi tra i 6 e i 15 anni non faranno esclusivamente sport ma anche training militare, compreso l'addestramento alle armi e la simulazione di rapimenti di soldati israeliani. Il premier di Hamas Ismail Haniyeh conta di avere almeno 100 mila partecipanti ai campi estivi pensati per insegnare «i valori e la forza morale insiti nello spirito del jihad». Per chi dissente dalla retorica islamista restano i campi estivi dell'agenzia Onu per i rifugiati UNHCR che dovrebbe ospitare 150 mila bambini.
Non è la prima volta che Hamas si dedica al "tempo libero" dei piu piccoli. Lo scorso anno la France Press raccontò come tra le attività estive venisse privilegiato l'uso dell'AK-47, la fuga attraverso i cavalli di frisia, la dimestichezza con gli esplosivi.
«Hamas è sempre più impopolare a Gaza anche perché da mesi ha iniziato a islamizzare pesantemente i costumi, l'ultimo episodio è stata la legge che impone scuole separate tra maschi e femmine ai bambini sopra i nove anni» aggiunge il tenente colonnello Oren Hoasz, responsabile della base che coordina il valico di Erez. Che effetto avranno da queste parti le elezioni iraniane, che secondo il quotidiano Haaretz rinviano l'evventuale attacco israeliano al 2014? E la situazione in Siria? L'evoluzione/involuzione della transizione egiziana? Gaza è al centro del terremoto regionale ma sembra sempre più isolata.
(La Stampa, 19 giugno 2013)
Beteavòn, la cena che nutre un progetto
di Francesca Matalon
"L'aria di spensieratezza e di sontuosa festa di questa sera, attraverso il contrasto che genera, deve farci ancora maggiormente riflettere sul motivo per cui siamo qui, quello di aiutare persone che soffrono la fame", ha affermato Daniela Mevorah, ex assessore ai servizi sociali della Comunità ebraica di Milano, impegnata in prima persona nel progetto della cucina sociale kasher delle scuole del Merkos. Per finanziare il quale ieri sera a Milano al Teatro Vetra si è svolta la serata di beneficienza Beteavòn, la cena che nutre un progetto, organizzata dal Merkos l'Inyonei Chinuch, movimento educativo del gruppo hassidico Chabad-Lubavich. Sfiziosi micro bicchierini multicolori e alti calici di bollicine all'aperitivo, sedie trasparenti dal design minimal e frondosi centrotavola floreali ai tavoli, torte futuristiche nel menu da stella Michelin offerto dalla Locanda del Pilone di Alba (Cuneo) e il fascino retrò delle della grande sala che un tempo era lo storico Teatro Alcione hanno incantato gli invitati. Che durante tutto il corso della serata sono stati intrattenuti da Massimo Valli e Ilenia, deejay di Radio Monte Carlo e Radio 105, che hanno presentato i numerosi ospiti.
A portare per primo i suoi saluti rav Avraham Hazan, leader del movimento Chabad di Milano, che ha ringraziato fra gli altri anche Claudio Gabbai, assessore ai servizi sociali e alla casa di riposo della Comunità di Milano, il vicepresidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane Roberto Jarach e il consigliere Giorgio Mortara e rav Igal Hazan, direttore delle scuole Merkos di Milano, presenti in sala. Ha poi preso la parola Walker Meghnagi, presidente della Comunità di Milano, che ne ha ricordato la collaborazione nel progetto, seguito dal vicesindaco di Milano Ada Lucia De Cesaris, che ha sottolineato come l'istituzione di questa mensa gratuita per i bambini della scuola ma che offrirà pasti gratuiti a chiunque abbia bisogno di mangiare "sarà un punto di qualità per tutto il quartiere e per tutta la città". "La presenza di tutti come risorsa della città - ha infatti aggiunto Francesco Cappelli, assessore all'Educazione e all'Istruzione del comune di Milano con delega ai rapporti con le comunità religiose - è un bene che dobbiamo perseguire, e l'iniziativa di stasera ne è un esempio splendido". Perché soprattutto in un momento di grave crisi come quello attuale, "proprio quando è istintivo pensare a se stessi e ai propri problemi, è particolarmente giusto e necessario pensare a chi sta peggio, a chi soffre più di noi, e fare il possibile per aiutarlo", ha evidenziato Rifki Hazan, preside della scuola del Merkos. Perché purtroppo le persone che soffrono la fame, la fame vera, sono tante, mamme che non riescono a nutrire a sufficienza i propri bambini, famiglie che non possono mettere insieme una cena di Shabbat. E come ha specificato Rifki Hazan, "dare cibo significa dare amore".
E anche proprio sull'amore era incentrato l'intervento di Mario Lavezzi, celebre compositore, cantautore e produttore discografico italiano e Teo Teocoli, comico, attore cinematografico, conduttore televisivo, e imitatore italiano, che insieme hanno intervallato racconti di divertenti tempi d'oro, fra gavette mirabolanti e incontri fatali, con brani delle più belle canzoni d'amore della musica italiana, trascinando il pubblico in un coro sognante sulle note di Celentano. E forse "l'emozione non ha voce", ma sicuramente quella di Raiz, cantante napoletano degli Almamegretta, ha conquistato il pubblico con le sue note calde. Accompagnandolo dolcemente all'asta per la vendita di beneficienza di opere d'arte e gioielli, per raccogliere ulteriori fondi per sostenere il progetto. Perché, come ha affermato Daniela Mevorah, "dare conforto e aiuto ci renderà più forti".
(Moked, 18 giugno 2013)
Hamas invita Hezbollah a cessare di combattere in Siria
I leader del movimento palestinese Hamas hanno invitato il movimento sciita libanese Hezbollah ad abbandonare il conflitto siriano e a concentrarsi nella lotta contro Israele.
"Chiediamo ad Hezbollah di ritirare le truppe dalla Siria e di concentrarsi nella lotta contro il nemico sionista," - e' scritto sulla pagina Facebook di Mousa Abu Marzook, uno dei leader storici di Hamas.
(La Voce della Russia, 18 giugno 2013)
Da Eyesight un software per sostituire il sistema Kinect
Il programma trasforma la webcam in un sensore per comandare il pc senza usare le mani
TEL AVIV - Le aziende di informatica e sviluppo software lavorano ormai da tempo alla possibilità di comandare computer e device elettronici senza toccarle. In questo senso, il modello più seguito è quello del Kinect di Microsoft, dispositivo che incrocia i dati provenienti da una serie di telecamere, sensori e microfoni per captare ogni minimo movimento delle mani e trasformarle in comandi per il computer.
L'israeliana Eyesight, però, ha voluto percorrere un'altra strada ed ha realizzato un software che trasforma una semplice webcam in un dispositivo in grado di recepire i movimenti delle mani e tramutarli in comandi per il computer. Un sistema, questo, pensato originariamente per pc, ma che sarebbe utilizzabile anche su smartphone, tablet e device mobili e che, dunque, potrebbe rivoluzionare il modo di interfacciarci con la tecnologia.
Se il modello Kinect non ha conosciuto sinora un grandissimo successo è soprattutto a causa dei suoi costi, costi che verrebbero totalmente abbattuti dal programma Eyesight.
(TicinOnline, 18 giugno 2013)
Robert de Niro festeggia i novantanni di Shimon Peres
Lattore Usa a Gerusalemme per celebrare il presidente israeliano
GERUSALEMME - Robert de Niro festeggia i 90 anni di Shimon Peres. L'attore premio Oscar è a Gerusalemme per il compleanno del presidente israeliano.Per rendere omaggio a Peres sono arrivate altre star del calibro di Barbara Streisand, gli ex presidenti Bill Clinton e Mijail Gorbachov, e il principe Alberto de Monaco. Ai festeggiamenti parteciperanno 5.000 invitati da tutto il mondo.
Video
(TMNews, 18 giugno 2013)
Arnaldo Pomodoro e Giuseppe Maraniello doneranno una lampada al Museo Ebraico dei Lumi
CASALE MONFERRATO Nel fine settimana un appuntamento culturale di particolare rilievo attende la Comunità Ebraica: domenica 23 alle ore 11 arriveranno alla Sinagoga di Casale Arnaldo Pomodoro e Giuseppe Maraniello. In un incontro pubblico i due noti artisti doneranno al Museo Ebraico dei Lumi la propria lampada per la Kannukah, il candelabro a nove braccia legato a questa festa di cui il museo ospita una collezione unica, con centinaia di esemplari realizzati dai più grandi artisti contemporanei. Arnaldo Pomodoro, (nato nel 1926 a Morciano di Romagna) è considerato uno dei più grandi scultori italiani di questo secolo e le sue opere, tra cui tutti ricordano quelle di forma sferica o discoidale, abbelliscono le più importanti piazze del mondo.
Anche Giuseppe Maraniello (Napoli 1945) ha ricevuto importanti commesse pubblico (una sua scultura è ai giardini di Boboli a Firenze), come esponente di spicco dell'avanguardia ha realizzato mostre nei più importanti musei del pianeta.
Gli incontri sono ad ingresso libero. Per informazioni 0142 71807
(Il Monferrato, 17 giugno 2013
Il Re è nudo: la stranezza dellovvietà
Il Ministro dell'Economia israeliano, Naftali Bennett, ha detto una cosa ovvia, cioè che l'idea di uno stato palestinese è priva di senso e che gli ultimi venti anni, dagli accordi di Oslo in poi, sono stati un'enorme perdita di tempo. Ma in politica, e soprattutto nella politica di quella martoriata terra in cui si trova lo Stato d'Israele, le cose troppo ovvie non devono essere dette, perché avendo il carattere della semplice verità rovinano i giochi di chi è abituato a cercare di vincere la partita manovrando meglio degli avversari le armi della menzogna. L'ovvietà dell'insensatezza del pensiero di uno stato palestinese è tanto ovvia da non essere più percepita da chi è abituato a guardare la realtà con altri occhi. Ci si vergogna perfino a dover far notare che quando si dice "stato palestinese" non si sa neppure di che cosa si parli. Quello gestito dagli arabi di Fatah in Giudea-Samaria? o quello gestito dagli arabi di Hamas nella striscia di Gaza? O dall'insieme dei due dopo che i capi delluno saranno riusciti a scannare i capi dell'altro? E non sarà forse da accertare se sia gli uni che gli altri per "stato palestinese" intendano uno stato la cui terra va "dal Giordano al mare", con sparizione definitiva di una certa "entità sionista" che si ostina a voler essere chiamata Stato ebraico d'Israele? La domanda è più che lecita, visto che proprio questo dichiara esplicitamente uno dei due aspiranti gestori dello stato palestinese prossimo venturo. Ma se così stanno le cose - e così stanno, perché della distruzione dello Stato d'Israele Hamas ha fatto il punto fermo della sua politica, o meglio, della sua visione del mondo - dovrebbe essere ovvio che i "facitori di pace" come il premio Nobel Barak Obama e i suoi ammiratori, si trovano davanti a un dilemma secco: o stato palestinese o stato d'Israele. Ma poiché è ovvio che uno stato come quello d'Israele non ha nessuna voglia di sparire, e ha oggi tutte le capacità di opporsi fermamente alla sua sparizione, è anche ovvio che l'idea di uno stato palestinese è priva di senso: di senso logico, giuridico, politico. Che un ministro del governo israeliano si sia deciso a esprimere pubblicamente l'ovvietà di questa insensatezza, può essere una cosa strana; ma è ancora più strano che di tale ovvietà non parlino tanti fini commentatori e opinionisti, che non avendo remore di responsabilità politica dovrebbero avere soltanto lucidità critica e onestà intellettuale. M.C.
(Notizie su Israele, 18 giugno 2013)
Pesaro - Si apre il percorso cittadino della cultura ebraica
PESARO - Con il mese di giugno, si riapre il percorso cittadino della cultura ebraica composto dalla sinagoga e dal cimitero ebraico visitabili gratuitamente, come di consueto ormai da diversi anni, il giovedì pomeriggio.
Dopo essere stata aperta in occasione della Stradomenica, la sinagoga di via delle Scuole sarà visitabile dal 20 giugno al 12 settembre, ogni giovedì dalle ore 17 alle 20, grazie anche alla preziosa collaborazione delle associazioni FAI e Serc. Collocata nel cuore dell'antico quartiere ebraico, la sinagoga sefardita (o di rito spagnolo) è uno degli edifici storici più suggestivi del centro che risale alla metà del XVI secolo.
E' questo un periodo d'oro per Pesaro che vede il suo porto ampliato, per boicottare quello di Ancona, da Guidubaldo II Della Rovere. In città accorrono molti ebrei portoghesi che hanno l'esigenza di continuare i propri studi mistici; e infatti la struttura in cui è inglobata la sinagoga (o scola, termine con cui un tempo si indicava appunto la sinagoga), ospitava anticamente le scuole di studi cabalistici, di musica e materna. All'interno dell'edificio si possono ammirare ancora oggi gli elementi architettonici legati alle funzioni che quel luogo svolgeva per la comunità, come il forno per la cottura del pane azzimo o la vasca per i bagni di purificazione.
Accanto alla sinagoga, anche il cimitero ebraico (strada panoramica San Bartolo c/o n. 161), è visitabile da giugno a settembre il giovedì dalle ore 17 alle 19 (info Ente Parco Naturale Monte San Bartolo 0721 400858, 335 1746509). Per raggiungerlo bisogna uscire dal centro e arrivare in Panoramica. Adagiato sulle pendici del colle San Bartolo, fino a metà novecento lo spazio appariva come una scoscesa pendice campestre con rade alberature, nel 2002 è stato recuperato dalla Fondazione Scavolini che ne ha reso possibile la fruizione. Fra l'intrico di rovi affiorano più di 100 monumenti funerari realizzati con pietre locali, soprattutto calcare di Piobbico e più raramente arenarie, o marmi.
Info per Sinagoga 0721 387541, per Cimitero 335 1746509; www.pesarocultura.it.
(Vivere Pesaro, 18 giugno 2013)
Vietato cadere nel bluff di Hassan Rohani
Il "moderato" Hassan Rohani non è affatto moderato anche se in tutto il mondo i ciechi buonisti vogliono crederci a tutti i costi. Lo ha dimostrato ieri nella sua prima conferenza stampa quando ha detto chiaramente che l'Iran non intende interrompere l'arricchimento dell'uranio.
A pensarla così è anche il capo dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA), Yukiya Amano, il quale in una intervista alla Reuters ha detto che il programma nucleare iraniano non ha minimamente risentito delle sanzioni internazionali e che procede a pieno ritmo verso la costruzione di armi nucleari. Sulla possibilità di un cambio di strategia da parte iraniana, per altro smentita dallo stesso Rohani, il capo della AIEA è stato categorico: non ci crede, specialmente dopo che in 10 tornate di colloqui con l'Iran non si è fatto il benché minimo passo avanti. L'impressione generale all'AIEA è che adesso l'Iran, con la scusa del nuovo Presidente, cercherà nuovamente di prendere altro tempo come ha fatto fino ad oggi....
(Rights Reporter, 18 giugno 2013)
Budapest - Conferenza Nazionale su Israele
L'Associazione Ungherese di Chiamata di Mezzanotte organizza a Budapest il 13 luglio 2013, la sua terza conferenza nazionale su Israele.
I relatori saranno Norbert Lieth e Mészàros Kàlmàn: il tema verterà sulla profezia biblica per Israele negli ultimi tempi e la grave manifestazione antisemita che la evidenzierà.
La responsabile organizzativa Nagy Erzsbet, ha invitato EDIPI, che per l'occasione sta valutando la possibilità di organizzare un gruppo per partecipare all'evento, per dare una testimonianza di sostegno e di solidarietà in un momento caratterizzato da gravi rigurgiti antisemiti proprio in Ungheria. Il convegno si svolgerà su un battello fluviale che percorrerà il Danubio su tutto il percorso frontestante la capitale magiara e facendo base logistica nell'isola Margherita al centro del fiume, proprio a Budapest.
Per informazioni:
e-mail ejfelikialtas@gmail.com - www.ejfelikialitas.hu
www.edipi.ne tel.3475788106
(EDIPI, 18 giugno 2013)
Uniti per chiedere che la circoncisione sia accettata come pratica medica
Creare ambulatori specializzati che offrano il servizio con il pagamento di ticket "ragionevoli" per contrastare il mercato nero.
Una riunione ad hoc si è svolta tra il presidente dell'Associazione dei medici stranieri in Italia (Amsi) e della Co-mai (Comunità musulmane in Italia), il palestinese Foad Aodi, e il presidente dell'Associazione dei medici ebrei romani, Dario Perugia. Si è trattato, afferma proprio Foad Aodi, "dell'inizio di una cooperazione a lungo termine, dando il via ad un accordo di collaborazione tra medici dell'Amsi provenienti da tutti i continenti anche di origine araba e medici ebrei in Italia sui temi della sanità, a partire dalla circoncisione, pratica religiosa che unisce Islam ed ebraismo e che per le comunità musulmane in Italia rappresenta una vera emergenza". "A differenza dei neonati ebrei, che vengono circoncisi da medici - ricorda il presidente dell'Amsi - un terzo dei bambini musulmani viene operato in strutture clandestine, con rischi di complicanze e infezioni. Si tratta di grossi numeri, in quanto in Italia vivono circa 1 milione e 300 mila musulmani, nella quasi totalità credenti. L'Amsi si batte da tempo perché la circoncisione avvenga in strutture apposite all'interno del servizio sanitario nazionale".
"Innanzitutto per tutelare la salute dei bambini - afferma il presidente dell'Amsi e Co-mai. - In secondo luogo per eliminare il 'mercato nero' che fiorisce in Italia sulla circoncisione, con medici che arrivano a farsi pagare anche mille euro per un singolo intervento, costringendo molte famiglie a grossi sacrifici o persino a tornare nei Paesi di origine. La proposta dell'Associazione medici stranieri, condivisa anche dalla Comunità del mondo arabo in Italia, dall'associazione Uniti per Unire e ora è giunto anche il contributo importante dei medici ebrei, è quella di creare ambulatori specializzati che offrano il servizio con il pagamento di ticket 'ragionevoli' (un massimo di 100 euro). Ciò avviene già in alcune regioni, come l'Emilia Romagna e il Veneto. Si tratta però di uniformare le norme su scala nazionale e poter registrare la pratica ufficialmente come circoncisione e non utilizzare altri nominativi o patologie come la fimosi".
(ImmigrazioneOggi, 18 giugno 2013)
Parkinson e Alzheimer: una proteina per curarle?
di Valentina Cervelli
Quale è il problema più grande rappresentato da malattie degenerative come il Parkinson e l'Alzheimer? La mancanza di una cura. Dall'Università di Tel Aviv arriva una buona notizia: lo sviluppo di una proteina che potrebbe non solo proteggere ma aiutare a ripristinare le funzioni cerebrali perse.
I risultati ottenuti su modello animale dimostrano come questa potrebbe essere la via giusta per trovare una cura a patologie gravemente invalidanti come quelle sopra citate. Gli scienziati israeliani hanno creato in laboratorio una proteina in grado di agire positivamente in quei casi dove una malattia degenerativa o il declino cognitivo hanno apportato dei problemi al cervello. Parliamo quindi di Alzheimer e Parkinson come anticipato, ma anche di demenza e Sla, la sclerosi laterale amiotrofica.
(Medicina Live, 17 giugno 2013)
Haaretz: Lost in traslation
di Tamar Sternthal
Esiste una Haaretz in ebraico, e una Haaretz in inglese; e non si tratta soltanto della lingua o della zona di diffusione che le contraddistingue (l'edizione ebraica è molto ristretta rispetto alla diffusione degli altri quotidiani israeliani; viceversa, il suo portale in inglese è il punto di riferimento per giornalisti, politici, diplomatici e opinione pubblica internazionale).
Un'attenta lettura delle edizioni cartacee nel corso degli anni ha rivelato una tendenza radicata. Nel passaggio dall'edizione ebraica a quella inglese, si nota che gli articoli non sono semplicemente tradotti: spesso, sono anche editati. Talvolta in modo sostanziale; talatra in modo sottile: ma spesso e volentieri, una cronaca riportata nell'edizione ebraica in cui si descrive la militanza palestinese, la violenza e altre nefandezze arabe; sono ridimensionate o completamente omesse nella versione inglese. In alcuni casi, i due articoli sono completamente diversi.
Ad esempio, l'11 gennaio 2011 Zvi Barel ha scritto sulla versione ebraica un progetto del sindaco di Gerusalemme Nir Barkat di collegare lo sfratto di ebrei residenti in costruzioni illegali nei sobborghi di Silwan, allo sfratto nei confronti di arabi che vivono in abitazioni abusive nella stessa zona: «una casa in cui ebrei abitano illegalmente, per ogni caso in cui i palestinesi abitano illegalmente». La versione ebraica riporta correttamente la vicenda....
(Il Borghesino , 15 giugno 2013)
La marijuana protegge il cervello?
TEL AVIV - Marijuana, fa bene o fa male? Secondo una ricerca condotta da alcuni scienziati dell'università di Tel Aviv, la cannabis aiuterebbe a proteggere il cervello da eventuali lesioni e infortuni. Prima e dopo un infortunio il THC, ossia il suo principio attivo, aiuterebbe a salvaguardare il cervello dai danni provocati dai farmaci tossici, dalle convulsioni e dall'ipossia.
I ricercatori hanno dimostrato questa sua qualità attraverso un esperimento su alcuni topo da laboratorio. Occorre sottolineare che la quantità di THC somministrata ai roditori era di molto inferiore alla dose solitamente contenuta in uno spinello.
(Sportevai, 17 giugno 2013)
Naftali Bennett: priva di senso l'idea di uno stato palestinese
GERUSALEMME, 17 giu - ''L'idea di uno stato palestinese ha raggiunto un punto morto, non c'e' stato mai tanto tempo investito in qualcosa cosi' priva di senso''. Con queste dichiarazioni oggi il ministro dell'economia israeliano Naftali Bennett, leader di una formazione nazionalista religiosa che appoggia il governo di Benyamin Netanyahu, ha provocato un'immediata smentita da parte del premier. ''Non rappresentano la posizione del premier in materia'', ha precisato il viceministro degli esteri.
(Fonte: ANSA, 17 giugno 2013)
Oltremare - Settimo: nessuna Babele che tenga
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
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di Daniela Fubini, Tel Aviv
Si si, ti dicono, certo che con l'inglese te la cavi in Israele. Come no. Poi però il giorno dopo l'alyiah, all'ufficio che ti deve fare la carta di identità, la universalmente necessaria Teudat Zehut, comincia subito a insinuarsi il dubbio. Nessuno degli impiegati, anche quelli che lo capiscono, sa rispondere in inglese. Tenti con il francese, ma l'impiegato di famiglia marocchina proprio oggi è in ferie. Il russo? No, da noi non si impara a scuola, cosa vuole, sa, noi italiani siamo un po' provinciali. La preziosa Teudat Zehut in qualche modo poi si materializza, evidentemente tutti questi problemi con la documentazione non c'erano. Però un'ora di nuotata senza salvagente nelle acque profonde della burocrazia israeliana vale da sola l'iscrizione al migliore Ulpan disponibile. Cinque ore al giorno di studio intensivo dell'ebraico, per cinque giorni la settimana, per cinque mesi (chamsa-chamsa-chamsa!). Ti pare di essere ritornato al liceo compiti compresi, è gavetta dura di sopravvivenza multilingue, ma per entrare dentro Israele e non stare sospesi a mezzo metro da terra senza davvero toccarla, non c'è alternativa al parlare ebraico. Situazioni in cui l'ebraico è strumento insuperabile: viaggi in taxi (onde non farsi spennare dal concittadino tassista - che così invece ti racconta la storia della sua famiglia dall'Impero Ottomano ad oggi); supermercato (corso avanzato per non confondere detersivo per i piatti e ammorbidente, superato con lode all'Ulpan); ricerca di lavoro (ai colloqui, iniziare sempre in ebraico, e alla domanda "perchè hai fatto l'alyiah?" rispondere sempre sorridendo "è una storia lunga" - nessun israeliano vuole ascoltare una storia lunga, quindi l'intervistatore passerà ad argomenti più pregnanti, tipo le qualifiche); spiaggia (onde divertirsi ad ascoltare le idiozie che dicono i turisti vicini di ombrellone, che credono di non essere capiti - impagabile); ricerca di casa in affitto (per leggere gli annunci online scritti a caratteri lillipuziani, e poi intenerire i futuri padroni di casa, che per un Ole Chadash sono disposti a fare uno sconto e magari perfino a dare una mano di bianco).
Morale: l'ebraico è ostico ma utile, e ti fa sentire davvero a casa.
(Notiziario Ucei, 17 giugno 2013)
Barbra Streisand per la prima volta canta in Israele
L'attrice e cantante, Barbra Streisand, 70 anni, è sbarcata in Israele dove per la prima volta nella sua lunga carriera terrà due concerti a Tel Aviv, il 20 e il 22 giugno. Uno dei concerti si svolgerà in forma privata per rendere omaggio al presidente Shimon Peres che compie 90 anni. Accanto a lei il cagnolino bianco, la sorella e il figlio.
Video
(la Repubblica, 17 giugno 2013)
Creata la proteina che protegge e ripristina le funzioni cerebrali
Scienziati israeliani hanno sviluppato in laboratorio un nuovo peptide in grado di proteggere e ripristinare le comunicazioni tra le cellule nervose. Una risorsa contro le malattie neurodegenerative.
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| Un nuovo peptide pare possa proteggere e rimediare ai danni cerebrali dovuti alle diverse malattie neurodegenerative.
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Buone notizie sul fronte cervello e una sua possibile compromissione nelle funzioni. Scienziati dell'Università di Tel Aviv hanno sviluppato una proteina, o peptide, capace di proteggere e ripristinare le funzioni cerebrali. La scoperta potrebbe essere essenziale nelle malattie neurodegenerative e in tutti quei casi di compromissione delle facoltà cerebrali come il declino cognitivo, la demenza o la malattia di Alzheimer, ma anche nei casi di SLA (la Sclerosi Laterale Amiotrofica), e la malattia di Parkinson.
La nuova proteina, chiamata dai ricercatori NAP o Davunetide, andrebbe ad agire direttamente su quella che è nota come "rete di microtubuli", che è una parte cruciale del nostro sistema nervoso. Questa rete agisce come una sorta di sistema di trasporto all'interno delle cellule nervose, portando proteine essenziali e consentendo la comunicazione cellula-cellula.
Accade tuttavia che nelle malattie neurodegenerative detta rete si guasti, con una conseguente ripercussione negativa sulle abilità motorie e le funzioni cognitive.
Il nuovo peptide, sviluppato dalla prof.ssa Illana Gozes e colleghi della Tel Aviv University's Sackler Faculty of Medicine, avrebbe una doppia capacità: quella di proteggere e ripristinare le funzioni dei microtubuli.
La ricerca che ha portato allo sviluppo del peptide è partita dall'utilizzo di un composto derivato dalla proteina ADNP, che si occupa della regolazione di oltre 400 geni ed è fondamentale per lo sviluppo e la formazione di cervello, memoria e comportamento.
Dopo questa prima fase, i ricercatori israeliani - tra cui il dottor Yan Jouroukhin e Regin Ostritsky - hanno condotto una serie di test su modelli animali con danni ai microtubuli.
I risultati dei test, pubblicati su Neurobiology of Disease, mostrano che nei topi con sintomi associati a neurodegenerazione, questi migliorassero in modo significativo: il peptide NAP è stato in grado di mantenere o ripristinare il trasporto di proteine e altri materiali nelle cellule.
Un successivo studio condotto da un team di ricerca del Regno Unito, e pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, ha poi confermato quanto suggerito dai risultati dei ricercatori israeliani, mostrando un'effettiva azione del NAP.
Il peptide NAP potrebbe dunque essere uno strumento efficace nella lotta contro alcuni degli effetti più debilitanti delle malattie neurodegenerative.
La prof.ssa Gozes ricorda che più ricerca deve essere condotta per scoprire come ottimizzare l'uso di PNA come trattamento, compresi i pazienti che possono beneficiare maggiormente dell'intervento, tuttavia i risultati sono promettenti e indicano questo peptide potrebbe divenire un buon trattamento per le conseguenze delle malattie neurodegenerative.
(La Stampa, 17 giugno 2013)
Milano - Face to Face, Israele in mostra
Si intitola Face to Face e si propone di raccontare i tanti volti di Israele attraverso le opere di un gruppo di artisti contemporanei israeliani. E' la rassegna proposta dal 5 al 19 giugno al Museo d'Arte e Scienza di Milano. Loro sono Sarit Gura, Nurit Ruthbaum, Eithan Arnon, Eti Katzir, Shosh Yshurun,Vicky Kimchi, Rachel ramot, Rinat Kishony, Ruth Cohen, Isaiah Zilberman, Nira Lubanov, Sergey Truphanov, haim Yoseph, Shoshi Sela, Mira Sadot, Meir Salomon e Larisa Kupershtein.
Il progetto nasce da un'iniziativa dell'Associazione Internazionale Galleria "Il Collezionista" di Roma, presieduta da Roberto Giuliani, associazione che si propone di scoprire e scegliere nuovi artisti di spessore tecnico-creativo, con particolare riguardo alla pittura, alla scultura, alla grafica, alla fotografia, alla poesia, alla scrittura e alle arti visive in ogni loro forma. Ritratti di bambini e anziani, ricchi di dettagli o semplici astrazioni, ma anche sculture, per raccontare il volto della società israeliana contemporanea. La mostra è realizzata con il patrocinio dell'Ambasciata d'Israele.
Mostra: dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18
Presso: Museo d'Arte e Scienza - Via Quintino Sella 4, Milano
(Notiziario Ucei, 17 giugno 2013)
Anp e Tel Aviv riprendono la cooperazione economica
RAMALLAH - Al termine di un incontro tenuto a Gerusalemme, il ministro delle finanze di Ramallah e il suo omologo israeliano hanno deciso di riprendere la cooperazione economica tra Tel Aviv e l'Autorità palestinese (Anp).
Shukri Bishara, ministro delle Finanze di Ramallah, ha incontrato Yair Lapid, suo omologo israeliano, nell'ufficio di quest'ultimo, a Gerusalemme.
I due ministri hanno deciso di riprendere la cooperazione economica, sviluppare gli investimenti congiunti e accrescere il volume degli scambi commerciali tra Israele e l'Anp.
A termine della riunione, Lapid ha dichiarato che la cooperazione è nell'interesse di entrambe le parti.
(InfoPal, 17 giugno 2013)
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