Italia - Israele: un rapporto che vale 4,5 mlliardi di dollari
"La nuova Amministrazione regionale del Friuli Venezia Giulia intende dare grande slancio alle relazioni internazionali, specie con interlocutori storici come Israele".
Lo ha affermato oggi a Trieste il vicepresidente della Regione e assessore alle Attività produttive, Sergio Bolzonello, incontrando l'ambasciatore israeliano in Italia, Naor Gilon, al quale, a nome della presidente Debora Serracchiani, ha espresso l'auspicio che da questa prima presa di contatto si avvii un confronto che possa concretizzarsi, a breve, in incontri operativi di delegazioni qualificate di operatori economici, turistici e culturali.
L'ambasciatore Gilon, in visita a Trieste per la prima volta dal suo insediamento, ha ricordato che "tra Israele e Italia i rapporti sono strettissimi e valgono 4,5 miliardi di dollari nell'interscambio commerciale, mentre sotto il profilo strettamente turistico, hanno visto arrivare lo scorso anno nel nostro Paese ben 350 mila persone, pari - ha sottolineato - al 4 per cento della popolazione israeliana".
E se le opportunità di partnership che più interessano a Israele sono in ricerca, sviluppo e alta tecnologia, il vice presidente Bolzonello, menzionando diverse iniziative e aree di possibile interesse comune, tra cui l'agroalimentare, ha ricordato in particolare l'avvio di una fattiva collaborazione in tema di terapie oncologiche innovative tra il Centro di riferimento oncologico di Aviano (PN) ed analoghe strutture israeliane.
Il cordiale colloquio si è concluso con l'impegno di Naor Gilon ad approfondire i contatti, anche favorendo la missione in Friuli Venezia Giulia di un addetto "tecnico" dell'ambasciata, per identificare i settori sui quali puntare per rafforzare le relazioni tra le due realtà.
(DOVATU, 31 maggio 2013)
Siria: il bluff di Assad sui missili S-300
In una intervista rilasciata ieri alla TV libanese legata a Hezbollah, Al Manar , il dittatore siriano, Bashar Al-Assad, ha affermato che la Russia avrebbe già consegnato un primo lotto di missili antiaerei S-300 alla Siria. La notizia ha fatto in breve il giro del mondo allarmando tutte le cancellerie occidentali. Peccato che non sia vero.
Ad escludere in maniera categorica che i missili S-300 siano stati già consegnati alla Siria sono i servizi segreti israeliani i quali stanno monitorando con attenzione tutto quello che avviene sul suolo siriano e siccome le batterie di S-300 non sono certo così facili da nascondere dato che hanno una certa mole, escludono assolutamente che ciò sia avvenuto. Non solo, secondo fonti dell'esercito israeliano, gli eventuali missili S-300 che dovessero eventualmente arrivare alla Siria sarebbero distrutti prima di diventare operativi dato che la loro messa in opera non è contestuale al loro dispiegamento ma necessita di tempo....
(Rights Reporter, 31 maggio 2013)
Tutelare l'acqua fa bene alla pace. Firenze premia l'israeliano Wolf
Il capoluogo toscano ospita una rassegna di eventi in occasione della Giornata mondiale dell'Ambiente. L'appuntamento più importante il 5 giugno con l'assegnazione del riconoscimento di "maestro dell'acqua" allo "straordinario mediatore" di "vertenze internazionali legate all'oro blu".
Aaron Wolf
Firenze premia i "maestri dell'acqua". Per quattro giorni, dal 2 al 5 giugno, il tema 'Acqua al futuro' sarà al centro di alcuni eventi che culmineranno la mattina di mercoledì 5 giugno, Giornata mondiale dell'Ambiente, con un seminario nell'Aula Magna del Rettorato dell'Università durante il quale saranno assegnati i riconoscimenti ai sei vincitori di questa edizione del Premio Internazionale ambientalista 'Il Monito del Giardino'.
Si tratta di personalità di rilievo mondiale che si sono distinte nel campo del recupero, della conservazione, dell'uso e della distribuzione dell'acqua. Il primo premio, l'unico in denaro (15 mila euro) andrà all'israeliano Aaron Wolf, "straordinario mediatore nelle più delicate vertenze internazionali legate all'oro blu", a cominciare dal conflitto arabo-israeliano. Gli altri cinque vincitori, che riceveranno una statuetta in argento, sono: Tony Allan, lo studioso che per primo ha formulato il concetto di 'acqua virtuale', ovvero la quantità del prezioso liquido necessaria per produrre gli alimenti che consumiamo e gli oggetti necessari alla nostra vita; Simon Langan, per la sua infaticabile opera quale capo dell'Ufficio dell'International Water Management Institute (IWMI) per il Bacino del Nilo e l'Africa orientale; Pasquale Steduto, tecnico di eccellenza in campo internazionale e direttore della Divisione Terra e Acque della Fao; Helgard Zeh, chiamata la 'maestra dei fiumi' per le sue competenze di ingegneria naturalistica contro le alluvioni e le esondazioni; Angela Morelli, apprezzata comunicatrice e definita a livello internazionale "ambasciatrice" dell'acqua virtuale e degli studi sull'impronta idrica.
Le sei personalità sono state selezionate dalla giuria presieduta, a partire dal 2010, dal noto climatologo professor Maracchi, e composta dal professor Francesco Ferrini (segretario scientifico) e da studiosi e comunicatori come Marco Bindi, Antonio Cianciullo, Erasmo D'Angelis, Raffaello Giannini, Simone Orlandini, Stefano Mancuso, Lucilla Minelli, Pia Pera, Mariachiara Pozzana, Giannozzo Pucci, Simone Siliani, Rossella Sleiter, Vieri Torrigiani Malaspina, Massimo Venturi Ferriolo. La compagine organizzativa del Premio è invece composta da Riccardo Monni, ideatore e segretario, Marcella Antonini, segretario generale della Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e da Elena Marzili, consigliere della medesima Fondazione.
L'iniziativa si inserisce nel quadro degli appuntamenti dell'Onu in occasione dell'Anno internazionale per la cooperazione idrica e ha il patrocinio dell'International Hydrological Programme dell'Unesco, della Regione Toscana, dell'Università di Firenze e dell'Accademia dei Georgofili e si è potuta realizzare anche grazie al sostegno di Publiacqua, Unicoop Firenze e Life Beyond Tourism.
(la Repubblica, 31 maggio 2013)
Aziende piemontesi cercano business in Israele e Territori Palestinesi
TORINO, 31 mag. - Dal 2 al 5 giugno 6 imprese piemontesi dei settori infrastrutture, ambiente, energia partecipano alla missione in Israele e Territori Palestinesi, volta a individuare opportunita' di business in quest'area, con particolare focus sul tema delle energie rinnovabili.La missione e' organizzata dal Centro Estero per l'Internazionalizzazione su incarico della Camera di commercio di Torino, nell'ambito del progetto integrato di Filiera 'Infrastrutture e Logistica' in concomitanza con la presenza del sindaco di Torino Piero Fassino e di altre istituzioni piemontesi in Israele e Territori Palestinesi che presenzieranno ad incontri istituzionali, economici e culturali a di Tel Aviv, Ramallah, Haifa ed Hebron. Le aziende seguiranno un'agenda di incontri b2b personalizzata con controparti locali sulla base delle esigenze di ciascuna impresa e presenzieranno a momenti istituzionali e di networking comuni alla missione guidata dalla Citta' di Torino. La visita a Hebron e' volta in particolare a individuare opportunita' di collaborazione per sviluppare sistemi di governance innovativi sulla gestione energetica della citta'.
(Adnkronos, 31 maggio 2013)
Nasce sotto la Mole di Torino il "Pinguino" kasher
Il "superclassico" di Pepino sarà prodotto da fine anno anche secondo le regole della tradizione ebraica. E sbarcherà sui mercati francese e israeliano
di Claudio Mercandino
Un gelato di lusso per il rabbino. Nasce a Torino il primo "Pinguino" kasher, il classico pralinato che ora sarà creato nel rispetto delle regole alimentari della tradizione ebraica. Lo produrrà Gelati Pepino, lo storico marchio sabaudo già fornitore della Real Casa che si accinge a compiere 130 anni nel 2014.
L'idea è di Edoardo Cavagnino, presidente dell'azienda: "Questa scelta, a cui stiamo lavorando da alcuni mesi, nasce dalla volontà di aprirci a un mercato di grande importanza come Israele, ma anche di rivolgerci alla comunità ebraica italiana che proprio a Torino ha una sua forte rappresentanza e che può mostrare interesse in metropoli come Milano e Roma". Il mercato israeliano, che potrebbe offrire in prospettiva anche l'opportunità di aprire gelaterie col marchio Pepino, non è peraltro l'unico considerato: la ditta pensa infatti anche alla Francia, all'Olanda, a grandi città come Londra e New York.
L'aggettivo "kasher" significa adatto, conforme, opportuno, e indica i cibi che si possono consumare perché conformi alle regole della kasherut, la normativa ebraica sul cibo. Produrre kasher, per chi non lo ha mai fatto, non è proprio il massimo della semplicità. "E' un processo laborioso e articolato - conferma Cavagnino - Il primo passo è trovare un rabbino 'certificatore' che garantisca la correttezza della procedura produttiva, e questa è una scelta che dipende dal grado di 'ortodossia' dell'interpretazione delle norme della kasherut. Noi abbiamo deciso di ottenere il massimo livello, quello certificato dal marchio Ou, Orthodox Union".
Il secondo passo è poi individuare materie prime certificate kasker, e qui potrebbe essere necessario modificare qualche ricetta per adattarla agli ingredienti disponibili. Anche i macchinari utilizzati, infine, devono essere approvati: "E nel nostro caso - spiega ancora l'imprenditore - poiché non ne avremo uno dedicato unicamente alla produzione kasher, il rabbino dovrà certificare di volta in volta la sua conformità".
Entro la fine dell'anno potrebbe essere pronto il primo Pinguino Kasher che dall'anno della sua nascita, il 1939, si appresta ad indossare dunque una nuova veste, non si sa ancora se con tutti i suoi sei gusti (crema, nocciola, gianduja, menta, viola e caffè) o solo con alcuni di essi. Con il "superclassico" di Pepino dovrebbe essere lanciata una "minilinea" di prodotti kasher della casa torinese (come le coppette e i "mezzilitri"), che sbarcherà non solo sul mercato italiano ma anche su quelli francese e israeliano. I prezzi? "Cercheremo di mantenerli sullo stesso livello di quelli 'normali'".
(la Repubblica - Torino, 31 maggio 2013)
Shoah Foundation, si inaugura il sito di accesso italiano
Si inaugura il 7 giugno a Roma, presso l'Istituto Centrale per i beni sonori e audiovisivi, il nuovo sito di accesso italiano all'archivio della Shoah Foundation della University of Southern California. Fondata dal regista Steven Spielberg per raccogliere le interviste realizzate ai testimoni della Shoah, la Fondazione conserva quasi 52mila video testimonianze in 32 lingue. Un archivio vastissimo, tra i più forniti al mondo, in cui sono raccolte le memorie delle molte identità colpite dal nazifascismo con l'aggiunta, dal 1994, di una sezione specifica sul genocidio dei tutsi in Ruanda.
Ad arricchire il fondo una serie di interviste a personalità della vita politica, culturale, economica italiana. Lo scorso gennaio Istituto Centrale e Shoah Foundation hanno stipulato un accordo per stabilire un unico punto di accesso all'Archivio di Storia Visiva che integra la documentazione già fruibile online nell'ambito del progetto Ti racconto la storia: voci dalla Shoah (www.shoah.acs.beniculturali.it) curato dall'Archivio di Stato.
Con il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna interverranno Massimo Pistacchi, direttore dell'Istituto Centrale; Kim Simon, managing director della Shoah Foundation; Micaela Procaccia, direzione generale Archivi; Anna Foa, docente di storia moderna all'Università La Sapienza di Roma: Anna Veronica Pobbe, ricercatrice presso il medesimo ateneo; Francesco Baldi, dirigente dell'Istituto Centrale; Pupa Garribba, giornalista e testimone; Rossana Rummo, direttore generale per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d'autore.
(Notiziario Ucei, 31 maggio 2013)
E' ora di assolvere l'ebreo Mulmerstein?
di Anna Foa
Murmelstein
Il recente documentario di Claude Lanzmann, L'ultimo degli ingiusti, presentato al Festival di Cannes e non ancora apparso sui nostri schermi, ha autorevolmente riproposto la questione assai dibattuta del ruolo dei Consigli ebraici nella realizzazione dello sterminio nazista. Se cioè i Consigli ebraici preposti dai nazisti a gestire la vita dei ghetti abbiano avuto una funzione di collaborazione con i nazisti oppure si siano adoperati, ove più ove meno efficacemente, in modo da far sopravvivere, con l'esistenza dei ghetti, anche il maggior numero di ebrei possibile. È noto che i sopravvissuti, che avevano spesso veduto deportare vecchi, donne e bambini in base alle selezioni gestite da questi Consigli, hanno dato generalmente un giudizio molto negativo del loro ruolo. Chaim Rumkovski, il presidente del Consiglio del ghetto di Lódz, morto ad Auschwitz; Adam Czerniaków, presidente di quello del ghetto di Varsavia, suicidatosi nel 1942 quando non riuscì a impedire la deportazione della maggioranza degli ebrei del ghetto; Benjamin Mulmerstein, l'ultimo presidente del Consiglio ebraico di Terezin, sopravvissuto alla Shoah; tutti hanno avuto nel dopoguerra una pessima fama. In Israele, Rudolf Kastner, accusato di «aver fatto un patto con il diavolo», cioè con Eichmann, per salvare gli ebrei ungheresi, fu prosciolto, ma dopo essere stato assassinato da un fanatico. Nel giovane Stato di Israele, l'enfasi era posta sulla resistenza armata ai nazisti, non sui tentativi necessariamente compromissori di salvare il salvabile eseguendo i loro ordini. Gli eroi erano i combattenti del ghetto di Varsavia, non coloro che avevano intavolato trattative coi tedeschi. Mulmerstein, rabbino viennese, unico sopravvissuto dei membri del Consiglio ebraico di Terezin, fu nel dopoguerra imprigionato dai comunisti cechi, processato per collaborazionismo coi nazisti e assolto. Gershom Scholem, che basava il suo giudizio sulle informazioni ricevute dai reduci di Terezin, dichiarò che avrebbe voluto vederlo impiccato. Nel 1947 si stabilì a Roma, ma le accuse di collaborazionismo lo inseguirono qui, nonostante la sua assoluzione. Nella postfazione scritta oggi al libro sul ghetto di Terezin, già edito nel 1961 dalla Cappelli e ora ripubblicato dall'editrice La Scuola, il figlio Wolf racconta con parole molto accorate e polemiche le vicende dell'ultimo periodo della vita del padre: «Morì nel 1989 dopo lunghe sofferenze, dovute alle esperienze vissute negli anni di "quelle tenebre" e nei successivi. L'allora rabbino capo di Roma, Elio Toaff, che gli aveva negato nel 1983 l'iscrizione alla Comunità, nel 1989 gli vietò la sepoltura nella tomba della moglie. Infine, chi scrive fu mortificato nel 1989 col rifiuto di recitare in Sinagoga la preghiera in ricordo del padre, perché avesse "parte del mondo futuro"». Rav Toaff motivò le sue decisioni con le informazioni negative che aveva ricevuto su di lui. Mulmerstein fu sepolto al limite del cimitero di Prima Porta, in uno spazio che ospita ora anche le tombe di alcuni reduci della Shoah.
Con il documentario di Lanzmann, basato anche su una lunga intervista da lui fatta a Mulmerstein a Roma negli anni Settanta, ci troviamo di fronte a una sua sostanziale riabilitazione. Il libro di Mulmerstein (Terezin. Il ghetto-modello di Eichmann) è un testo di straordinario interesse, in cui l'autore descrive minuziosamente questo ghetto modello, creato vicino a Praga per imprigionarvi gli ebrei praghesi e molti ebrei tedeschi, in gran parte "prominenti", cioè personaggi che nella vita precedente erano stati autorevoli politici, artisti, studiosi, scienziati: un luogo in cui a sopravvivere erano soprattutto i vecchi e non gli uomini in grado di lavorare, al contrario di quanto successe altrove. Mulmerstein descrive anche nei particolari l'operazione di maquillage del ghetto realizzata dai nazisti nel 1943 in occasione tanto delle visite della Croce Rossa che della realizzazione del documentario propagandistico nazista «Hitler ha regalato una città agli ebrei», i cui protagonisti furono, a film finito, tutti deportati ad Auschwitz. Sono vicende su cui oggi molto è stato scritto, ma che allora erano sconosciute alla maggior parte non solo dei lettori ma anche degli studiosi. Interessato evidentemente a provare la sua innocenza, Mulmerstein privilegia nel suo pur lungo testo, rispetto ai tanti aspetti della vita di Terezin di cui molto si è parlato negli ultimi anni, come la vita dei bambini, la musica, l'arte, la questione della gestione del ghetto e dei rapporti con i nazisti fino alla liberazione nel maggio 1945. Proprio per questo il testo mette in luce senza filtri il terribile dilemma di fronte a cui il suo autore si è trovato di fronte: salvare il ghetto e quindi la vita di una parte dei suoi abitanti a spese dell'altra parte, oppure lasciare che tutto fosse distrutto. Nel testo emerge anche con evidenza il conflitto interno ai nazisti fra quanti erano interessati, in vista della sconfitta, a trattare con gli Alleati usando la vita degli ebrei come ostaggio e quanti volevano la loro eliminazione totale, non ultimo Adolf Eichmann, uno dei massimi protagonisti di questa vicenda.
Ci stacchiamo da questa lettura sconvolgente senza aver sciolto il dilemma che assillò per tutto il resto della sua vita anche Mulmerstein, quello di cosa si sarebbe dovuto fare in quella situazione, ma anche facendoci l'idea che egli fece quanto riteneva meglio per salvare il ghetto e i suoi abitanti. E che in ogni caso la colpa non era di quanti tentavano di mantenere in vita il ghetto, operando scelte terribili in una situazione comunque estrema, ma di chi li aveva collocati in questa condizione, i nazisti. Il resto appartiene alle responsabilità individuali di coloro che si fecero intermediari fra le vittime e i carnefici, che lo abbiano fatto per dovere o per altre meno nobili ragioni, quali il potere e la sopravvivenza. Mulmerstein, la cui maggior colpa è stata forse soltanto quella di essere sopravvissuto, è stato assolto dai tribunali. È forse arrivato il momento che sia assolto anche dalla storia.
(Avvenire, 31 maggio 2013)
Europei Under 21: le città e gli stadi
Le quattro città ed i quattro stadi che faranno da cornice all'Europeo Under21
Il 5 giugno cominceranno gli Europei Under 21. Otto squadre divise in 2 gironi per un totale di 15 partite che verranno giocate in quattro stadi differenti.
Il paese ospitante è Israele, uno stato del territorio della Palestina che si affaccia sul Mar Mediterraneo. Fondato nel 1948, Israele è l'unico stato al mondo con maggioranza ebraica. Scelto nel gennaio 2011 come paese ospitante, Israele mette a disposizione di squadre e tifosi gli stadi di Gerusalemme, Netanya, Petah Tiqwa e Tel Aviv.
Passiamo, dunque, in rassegna le quattro città e i relativi stadi:
Teddy Stadium
GERUSALEMME - Capitale dello stato di Israele e uno dei più grandi centri religiosi mondiali per il Cristianesimo e l'Ebraismo. Gerusalemme è nota soprattutto per essere stata meta di pellegrinaggi e obiettivo di conquista delle Crociate. Assediata e conquistata in diverse occasioni, la città ha subito nel corso della sua storia due ricostruzioni ed è stata dominio di Cristiani prima e Ottomani poi. Fino alla storia più recente, quando, nel 1917, la città fu conquistata dalla Gran Bretagna per poi divenire capitale di Israele nel 1948. Lo stadio di calcio di Gerusalemme è il Teddy Stadium.
Teddy Stadium: impianto che porta il nome di Teddy Kollek, politico israeliano di origini ungheresi. Il Teddy Stadium è stato costruito nel 1990 e ha subito tre ristrutturazioni: nel 1999, nel 2011 e nel 2013 in previsione dell'Europeo. Ha una capienza di 33.500 spettatori, dispone di un ampio parcheggio ed è l'unico stadio israeliano che soddisfa tutti gli standard europei. È sede delle partite casalinghe del Beitar Gerusalemme e dell'Hapoel Gerusalemme, nonché della Nazionale Israeliana.
Il Teddy Stadium ospiterà tre partite dei gironi (6 giugno Spagna-Russia, 9 giugno Olanda-Russia e 11 giugno Israele-Inghilterra) e la finale del 18 giungo.
Netanya Stadium
NETANYA - Città del Distretto Centrale israeliano, Netanya è famosa per le sue spiagge, che l'hanno resa una grande località turistica. Centro industriale, ospita la principale fabbrica di bevande alcoliche dello stato d'Israele. Una piccola curiosità su Netanya: è gemellata con la città di Como. Lo stadio di Netanya è il Netanya Stadium.
Netanya Stadium: uno stadio nuovissimo quello di Netanya. I lavori di costruzione iniziarono nel 2005, ma solo nel 2012 lo stadio è stato aperto al pubblico. Sede delle partite casalinghe del Maccabi Netanya può contenere 13.800 spettatori.
Il Netanya Stadium ospiterà la partita inaugurale del 5 giugno tra Israele e Norvegia; oltre alla partita del 9 giungo tra Germania-Spagna e quella del 12 giungo tra Russia-Germania. Il 15 giugno sarà sede di una delle semifinali.
HaMoshava Stadium
PETAH TIQWA - Anche Petah Tiqwa (in italiano "Soglia verso la speranza") fa parte del Distretto Centrale israeliano. Situata a Nord-Est di Tel Aviv è anche nota con il nome di "Madre delle Colonie". Lo stadio di Petah Tiqwa è l'HaMoshava Stadium.
HaMoshava Stadium: noto anche come Petah Tikva Stadium, è stato costruito nel 2010 e inaugurato nel 2011. Ha una capienza di 11.500 spettatori, ma si ha la possibilità di espandere la capacità a 20.000. Fa parte di un complesso che comprende un piccolo stadio da 3.000 posti e diversi campi d'allenamento in erba artificiale. È sede delle partite casalinghe dell' Hapoel Petah Tiqwa e del Maccabi Petah Tiqwa. Per il Campionato Europeo ospiterà Olanda-Germania (6 giugno), Inghilterra-Norvegia (8 giugno) e Spagna-Olanda (12 giugno). Anche l'HaMoshava Stadium sarà sede di una semifinale, in programma sempre il 15 giugno.
Bloomfeld Stadium
TEL AVIV - Situata sulle coste del Mediterraneo, la "Collina della primavera" (traduzione del suo nome) è il centro dell'area più popolosa dello stato d'Israele, nonché principale centro economico. Fondata nel 1909, deve il suo nome a un passo della Bibbia. Nel 1915 fu teatro dell'attentato in cui perse la vita il Premio Nobel per la pace Ytzhak Rabin. Ospita l'ambasciata dello Stato Vaticano ed è gemellata con Firenze e Milano. Il suo stadio è il Bloomfield Stadium.
Bloomfield Stadium: costruito nel 1962 e ristrutturato nel 2000, 2008 e 2009. Ha una capienza di 14.413 spettatori ed è sede delle partite di tutte le squadre di Tel Aviv: Maccabi Tel Aviv, Hapoel Tel Aviv e Bnei Yehuda.
Potremmo ribattezzarlo "Casa Italia" poiché il Bloomfield Stadium ospiterà, per tutto il corso della manifestazione, solo le tre partite del girone degli Azzurrini di Mangia: il 5 giungo contro l'Inghilterra, l'8 giugno contro Israele e l'11 giungo contro la Norvegia.
(Mondo Pallone, 31 maggio 2013)
Quella discriminazione a favore dei palestinesi
di Yoni Dayan
È giunto il momento di ammettere la verità: il mondo si preoccupa molto più della vita di un palestinese che di quella di un siriano, un sudanese, un keniota, un colombiano o un congolese.
Si tratta, molto semplicemente, di un principio avvalorato giorno dopo giorno sin dal 1949, quando le Nazioni Unite decisero di dividere in due l'agenzia globale per i profughi creandone una speciale con il compito di prendersi cura soltanto dei profughi palestinesi. Ancora oggi la comunità internazionale ha due agenzie che operano per i profughi: l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency per i profughi palestinesi nel Vicino Oriente).
Uno sguardo appena un po' approfondito su queste due agenzie rivela quanto sia profondo l'atteggiamento discriminatorio della comunità internazionale verso tutti i profughi del mondo rispetto a quelli palestinesi.
L'Alto Commissariato, che si prende cura di 33,9 milioni di profughi e sfollati interni in più di 125 paesi di tutto il mondo, dispone in tutto di un budget di 3 miliardi di dollari. L'UNRWA, che si occupa di cinque milioni di profughi e discendenti di profughi palestinesi, dispone di un budget di più di un miliardo di dollari: vale a dire 88,50 dollari a testa per i profughi e sfollati di tutto il mondo, e 200 dollari a testa per profughi e discendenti di profughi palestinesi.
Non basta. L'Alto Commissariato dispone di uno staff di 7.685 membri, cioè un dipendente ogni 4.411 assistiti. L'UNRWA ha uno staff quattro volte più grande, di 29.602 dipendenti: cioè 1 dipendente ogni 168 assistiti. Per chiarire bene: l'agenzia con il compito di prendersi cura di profughi e discendenti di profughi palestinesi ha 26 volte più personale per ogni assistito di quanto ne abbia l'agenzia che ha il compito di prendersi cura di profughi e sfollati in tutto il resto del mondo.
Comunità internazionale e cittadini in giro per il mondo hanno evidentemente deciso di adottare la causa dei profughi palestinesi come la loro prediletta, ed è loro diritto farlo.
diritto? davanti a quale canone morale hanno un simile diritto?
Ma è importante capire che questa scelta comporta un prezzo. Ogni dollaro inviato ai palestinesi nella striscia di Gaza è un dollaro che non viene inviato ai sopravvissuti del genocidio sudanese (circa 300.000 persone uccise per mano dei loro fratelli delle milizie assassine Janjaweed). Ogni evento, manifestazione, assemblea studentesca per "i diritti umani dei palestinesi" è un evento, una manifestazione, un'assemblea studentesca che non viene organizzata per le vittime della violenza sessuale e di genere in Congo o in Ruanda. Ogni "flottiglia" per la striscia di Gaza è una flottiglia che non parte per la Siria, dove da più di due anni il regime del presidente Bashar Assad sta perpetrando un brutale massacro della propria popolazione civile.
Sono più di 90.000 i siriani rimasti uccisi fino ad oggi nelle violenze della guerra interna siriana, e il numero continua a crescere. Ma accanto a questo agghiacciante bilancio di morte vi sono altri dati: più di un milione e mezzo di siriani sono stati finora ufficialmente registrati come profughi dall'Alto Commissariato Onu, anche se il loro numero effettivo è sicuramente molto più alto. Un alto funzionario delle Nazioni Unite ha recentemente stimato che 8,3 milioni di siriani, compresi quelli sfollati all'interno del paese, hanno urgente bisogno di aiuto. L'Alto Commissariato ha già diramato un appello chiedendo fondi d'emergenza, e si appresta a lanciarne uno ulteriore per chiedere di contribuire alla copertura dei costi sempre più alti dell'assistenza alla popolazione siriana. Per ora l'agenzia possiede poco più della metà dei fondi necessari per coprire le spese in Siria, e ha avvertito che "la mancanza di finanziamenti adeguati per la Siria rischia di trasformare l'attuale conflitto in un disastro che potrebbe travolgere la capacità di risposta internazionale sul piano delle conseguenze umanitarie, politiche e di sicurezza". Se fossi un profugo siriano, in questo momento guarderei con un certo rancore all'UNRWA, con il suo staff pletorico e il suo budget relativamente grande. Non vi è dubbio che l'UNRWA sta divorando i fondi d'assistenza che potrebbero essere usati meglio e più equamente altrove.
Ma non è ancora tutto. L'UNRWA in realtà sta perpetuando la situazione di degrado dei palestinesi. Uno dei compiti principali dell'Alto Commissariato è quello di trovare soluzioni permanenti per i profughi e gli sfollati attraverso sia il rimpatrio, sia l'integrazione nel paese ospite e il reinserimento in paesi terzi. L'agenzia ha fatto un lavoro enorme in questa direzione. È riuscita a reinserire 300.000 profughi vietnamiti in Cina, 140.000 profughi croati e bosniaci in Serbia, più di 27.000 profughi colombiani in Ecuador, solo per citare alcuni esempi.
Nel frattempo l'UNRWA non solo non reinserisce i suoi assistiti, ma anzi trova il modo di aumentarne il numero. Sono due in particolare le politiche adottate dall'UNRWA che hanno portato immancabilmente a gonfiare le dimensioni della popolazione di profughi palestinesi:
i palestinesi, a differenza di qualsiasi altra comunità di profughi nel mondo, passano il loro status di profughi a figli e nipoti, di generazione in generazione;
i palestinesi, a differenza di qualsiasi altra popolazione di profughi nel mondo, mantengono il loro status di profughi anche quando ottengono la cittadinanza di un altro paese.
Difficile non restare sbigottiti dall'assurdità di questa situazione.
Ma c'è di peggio.
In tutta una serie di occasioni le strutture dell'UNRWA sono state usate dai palestinesi come basi di lancio per attività terroristiche, ambulanze dell'UNRWA sono state usate dai palestinesi per proteggere le loro attività terroristiche dalla reazione israeliana, strutture scolastiche dell'UNRWA sono state utilizzate per insegnare agli scolari a glorificare il martirio mentre la scelta dell'UNRWA di adottare i programmi di studi del paese ospitante (in pratica, dell'Olp) ha portato all'uso di libri di testo e cartine geografiche che propugnano la distruzione di Israele, esaltando le virtù della jihad.
Vi sono diverse misure che le Nazioni Unite dovrebbero adottare immediatamente per offrire un'assistenza più equa ai profughi di tutto il mondo e porre fine al distruttivo circolo vizioso perpetuato dall'UNRWA. Einat Wilf, ex parlamentare israeliana laburista e poi del partito Indipendenza, ha proposto un piano in tre fasi per correggere questo meccanismo perverso. Eccone una versione leggermente modificata.
Smantellare l'UNRWA e integrare le sue attività in quelle dell'Alto Commissariato per i profughi: non dovrebbero più esistere "profughi muniti di cittadinanza", "profughi di seconda o terza generazione, "profughi di seria A e di serie B". L'Alto Commissariato dovrebbe iniziare subito ad applicare anche al caso dei palestinesi la sua ordinaria politica volta a favorire l'integrazione sul posto o il reinserimento in paesi terzi.
Trattare i palestinesi nella striscia di Gaza in base ai bisogni, e non allo status di profughi.
Trasferire il budget dell'UNRWA per la Cisgiordania all'Autorità Palestinese, che dovrebbe assumersi la responsabilità di amministrare strutture educative e sanitarie.
Ma la riforma del meccanismo internazionale degli aiuti umanitari sarebbe solo un primo passo da fare per correggere un sistema rimasto così gravemente iniquo per tanti anni. Sono i cittadini di tutto il mondo che dovrebbero porre fine alla loro personale discriminazione a favore dei palestinesi di cui hanno fatto dolorosamente le spese tanti altri profughi e sfollati in tutto il mondo. È ora che il mondo la smetta di mobilitarsi per i palestinesi più che per tutti gli altri messi insieme (e magari inizi a chiedersi perché finora lo ha fatto
"Per odio antiebraico." Questa dovrebbe essere la risposta onesta a questa domanda.
«Chi ha voluto e saputo interpretare, non ha potuto non cogliere il vero senso di quelle parole». E' un giudizio netto quello che Ruben Della Rocca, assessore alle Relazioni Esterne della Comunità Ebraica Romana, dà dell'ennesimo episodio di antisemitismo manifestatosi durante un derby all'Olimpico. Parliamo ovviamente dello striscione, comparso domenica sera al centro della curva Nord, con la scritta "La storia è sempre quella: sul petto vuoi la stella".
Un messaggio inequivocabile. E che non può prestarsi ad altre letture, false e dolose. Perché la danno vinta a chi ha giocato sull'ambiguità del contenuto, visto che l'eventuale decima conquista della Coppa Italia avrebbe regalato alla Roma la fatidica stella d'argento. Mentre quella a cui si fa riferimento è, ancora una volta, la stella di David, quella gialla, intesa come sinonimo di persecuzione nei confronti degli ebrei, che ebbe nella Shoah il culmine della barbarie nazista. Un episodio che, inserito nella relazione allegata al referto arbitrale dai quattro procuratori federali presenti allo stadio, non ha però indotto il giudice sportivo, Giampaolo Tosel, ad infliggere sanzioni nei confronti della società biancoceleste. Per "mancanza - si dice - di elementi sufficienti" a farle scattare. Una motivazione che non convince lo stesso Della Rocca.
«Ravviso del dolo anche in un altro elemento - continua infatti. - Domenica ero anch'io allo stadio. E ciò che mi ha impressionato è che, a differenza di altre volte, non ho sentito alcuno di quei cori, di stampo chiaramente antisemita - uno su tutti, "giallorosso ebreo" - che spesso mi capita di ascoltare quando vado all'Olimpico per il derby. E che mi sarei aspettato anche in quest'occasione. Stranamente, invece, non se n'è levato nessuno, neanche una volta. A dimostrazione che non si tratta di cori "spontanei", ma abilmente orchestrati. E ancora, che dietro a quei cori, e in questo caso anche dietro allo striscione - che volutamente si prestava all'equivoco, al solo scopo di uscirne impuniti - c'è una regìa precisa. Perché, se vi fossero stati i cori, sarebbe stato più facile associarli alla scritta, e chi avesse voluto avere orecchi per intendere, avrebbe tratto le proprie conseguenze. Mentre, con uno striscione "inattaccabile", chi non ha voluto vedere ha anche potuto lasciar cadere la cosa, senza prendere provvedimenti». Eppure, gli estremi ci sarebbero stati per adottarne nei confronti di quella curva. «Ammetto che anche noi tifosi della Roma siamo stati vittime di questo, con quei cori verso Balotelli, che hanno fatto sì che, per la prima volta nella storia della Roma, si arrivasse a chiudere, per il primo turno casalingo del prossimo campionato, un intero settore dello stadio».
Anche se quei "buu", va detto, si sono sentiti anche su altri campi, ma finora non avevano mai dato luogo a sanzioni di questo tipo. «La verità è che, nostro malgrado, Roma è oggi più che mai nell'occhio del mirino. E' la città più bella del mondo, e anche quella che più di altre è in grado di far convivere, pacificamente, tante etnie e religioni diverse, soprattutto se la si vede in rapporto ad altre città europee. E' una città che non respinge gli immigrati e le persone di diverso colore. Ma è anche quella che, per colpa di pochi mascalzoni, è purtroppo presa di mira per tali episodi. Io credo che le stesse Roma e Lazio dovrebbero tornare a fare qualcosa a riguardo. E' vero, lo si è già fatto lo scorso anno, quando, anche grazie all'iniziativa promossa dal Romanista insieme a Roma Capitale, le squadre entrarono in campo con la maglietta contro il razzismo e l'antisemitismo. Ricordo ancora la presentazione in Campidoglio (il 2 marzo del 2012, ndr), quando per la Roma vennero il direttore sportivo Walter Sabatini e Fabio Simplicio, mentre per la Lazio c'erano Igli Tare e Christian Brocchi. Un'iniziativa che è stata poi copiata da tante altre società, e la cosa non può che farci piacere, ma che - come abbiamo visto - evidentemente non è bastata. Dobbiamo però ripartire da qui, e promuovere un'azione che coinvolga le società ma anche i vertici del calcio italiano, perché non possiamo più nasconderci. Per il futuro del calcio stesso. Perché certi cori e certi striscioni non trasmettono cultura sportiva. E se poi nelle cronache leggiamo di cose bruttissime che avvengono anche sui campi minori, dove quando va bene ci si limita agli insulti, e quando va male si passa alle vie di fatto, penso che abbiamo tutti una grande responsabilità. Come Comunità Ebraica, sensibile a questi argomenti, siamo in prima fila e chiediamo l'intervento di tutti, per un'azione comune. Dei vertici del calcio, ma anche del Coni e di tutto lo sport, perché ci si mobiliti contro qualcosa che investe tutti i livelli, a partire dalle categorie minori. Come si dice, bisogna prendere il toro per le corna. Quale sia la medicina, non lo so. So però che si deve poter isolare questi mascalzoni. Capisco che quando uno striscione prende mezza curva, chi lo tiene in mano per un bordo può non sapere nemmeno cosa vi sia scritto. Bisogna però fare educazione sportiva, che vuol dire rispetto dell'avversario. So bene che, a volte, le forme di disapprovazione verso Balotelli possono non essere per il colore della pelle. Però, perché fargli "buu" e non fischiarlo, invece, come si farebbe con qualsiasi altro giocatore? Lo slavo, perché chiamarlo zingaro? Finché non riusciremo a superare questo passaggio, rimarremo sempre lì. Viviamo, purtroppo, una fase di imbarbarimento civile. E lo stadio ne è lo specchio. E chi ha delle responsabilità, non può permettersi di minimizzare. Ho letto commenti entusiastici dopo la partita perché c'erano stati pochi incidenti. Non esiste un livello fisiologico accettabile. Dobbiamo lavorare perché non vi sia più neanche quello. Né accettare blindature e militarizzazioni come quelle di domenica. E' deprimente. Anche spiegarlo ad un bambino. Che crescerà pensando che sia normale che lo stadio debba essere vissuto così. E' una cultura che dobbiamo sconfiggere».
(Il Romanista, 31 maggio 2013)
Israele - Slovacchia 1-0
Israele: vittoria che regala fiducia
Israele conclude la preparazione per gli Europei UEFA Under 21 battendo la Slovacchia 1-0 nell'amichevole di Haifa. La squadra di Guy Luzon, che ospiterà il torneo a partire dalla prossima settimana, inizia bene e passa in vantaggio con Alon Turgeman all'8'. L'attaccante del Maccabi Haifa FC insacca con freddezza sul centro di Ofer Verta.
Nonostante i nove cambi durante l'intervallo, Israele continua a spingere ma Omri Altman e Mohammad Kalibat sprecano buone occasioni, mentre il portiere slovacco Dobrivoj Rusov si supera per negare il gol a Israel Zaguri.
Israele: Kleyman (Barak Levi 46'); Verta (Azam 46'), Ben-Harush (Vahaba 46'), Gotlib (Dasa 46'), Davidadze (Twatha 46'); Golasa (Zaguri 46'), Biton (Ido Levi 46'), Kabha (Altman 46'), Krieff; Sallalich, Turgeman (Kalibat 46').
(UEFA.com, 30 maggio 2013)
La Norvegia e i suoi "blood libel"
Mentre al Parlamento norvegese infuria la polemica in merito all'uso degli aiuti finanziari destinati dal Paese all'Amministrazione palestinese e impiegati per fornire gli "stipendi" ai terroristi nelle carceri israeliane, uno dei tre giornali più importanti, Dagbladet, pubblica una vignetta che avrebbe fatto urlare di gioia Hitler.
La vignetta, uscita nell'edizione cartacea del giornale, mostra un bambino in attesa di essere circonciso, in un bagno di sangue. La didascalia dice: "Maltrattamenti? No questa è la tradizione, una parte importante della nostra fede! " Quello che dovrebbe essere il padre del bambino, intanto, lo trafigge alla testa con un forcone a tre punte, mentre qualcuno gli taglia le dita dei piedi con delle grosse cesoie....
(Federazione Sionistica Italiana, 30 maggio 2013)
EasyJet annuncia il nuovo collegamento Roma Fiumicino-Tel Aviv
EasyJet, primo network di trasporto aereo in Europa e terza compagnia aerea in Italia, annuncia oggi l'apertura del nuovo collegamento tra Roma Fiumicino e Tel Aviv. A partire dal 24 settembre 2013, easyJet collegherà Roma a Tel Aviv su base annuale, con 2 frequenze settimanali previste nelle giornate di martedì e sabato. I biglietti sono in vendita a partire da oggi sul sito web www.easyJet.com, sulla easyJet mobile app e su canali GDS, con tariffe a partire da € 43.80 a tratta, tutto incluso. L'introduzione del nuovo volo easyJet permette ai passeggeri che viaggiano per piacere o per affari di raggiungere Tel Aviv in modo più semplice e con tariffe convenienti. Tel Aviv è la città più grande d'Israele, una destinazione molto ambita dai turisti italiani in cerca di divertimento e relax, grazie alla sua atmosfera cosmopolita, il mare turchese, le ampie spiagge e le innumerevoli attrazioni turistiche, nonché il punto d'accesso per gli itinerari religiosi in Terra Santa.
Meta perfetta per un city break, Tel Aviv è anche la capitale economica del Paese e rappresenta un'importante aggiunta al network di destinazioni easyJet da Roma anche per il traffico di affari tra i due mercati. Si tratta inoltre di un interessante collegamento per la comunità ebraica italiana che desidera incontrare amici e parenti in Israele, nonché per i passeggeri israeliani che potranno approfittare del nuovo servizio per visitare la nostra Capitale. easyJet è stata la prima compagnia aerea low fare ad entrare nel mercato israeliano, nel novembre 2009. Da allora, la domanda dei passeggeri è costantemente cresciuta e Roma Fiumicino è la quinta destinazione del portfolio easyJet ad essere collegata con Israele, dopo Londra Luton, Manchester, Ginevra e Basilea. Con Israele, i Paesi raggiunti da easyJet dall'Italia salgono a 19.
Frances Ouseley, Direttore di easyJet per l'Italia, ha commentato: "easyJet è particolarmente orgogliosa di annunciare l'apertura di questo collegamento tra Roma Fiumicino e Tel Aviv. In qualità di partner strategico per il settore dell'aviazione civile italiana, sviluppiamo il mercato rendendo i viaggi facili ed accessibili a coloro che viaggiano per piacere o per affari. Tel Aviv da oggi diventa una meta per tutti, ed un maggior numero di turisti israeliani potranno visitare Roma. Come per le rotte già operative verso Israele dal Regno Unito e dalla Svizzera, siamo certi che anche questo nuovo volo riscontrerà un grande successo, poiché rappresenta un collegamento tra due delle destinazioni più ambite dai passeggeri leisure e business, così come dalla comunità ebraica in Italia. Tel Aviv rappresenta un importante ingresso nel nostro portfolio di connessioni da e per Roma".
(Ufficio Stampa easyJet, 30 maggio 2013)
Nuove avventure yiddish
di Enrico Bettinello
Gabriele Coen e il suo secondo disco per la Tzadik di John Zorn: «La sfida è proporre una nuova musica ebraica»
Gabriele Coen
È dai tempi dei Klezroym che Gabriele Coen è tra i musicisti più rappresentativi della scena new klezmer italiana. Nel 2010 il primo disco del suo quintetto Jewish Experience (con Pietro Lussu al pianoforte, lo svedese Lutte Berg alla chitarra, il contrabbasso di Marco Loddo e la batteria di Luca Caponi), Awakening, è uscito nella collana Radical Jewish Culture dell'etichetta Tzadik di John Zorn, cosa che suona un po' come una specie di imprimatur nel mondo del jazz di ricerca. È ora fresco di stampa, sempre per la Tzadik, il nuovo Yiddish Melodies In Jazz, e abbiamo approfittato dell'occasione per incontrare il sassofonista e clarinettista romano, per farci raccontare come sia nato questo disco.
«Dopo un lavoro molto personale ed emotivamente esplosivo come Awakening, che è stato una tappa fondamentale nella mia ricerca musicale, volevo che il mio nuovo disco fosse all'altezza della sfida continua che Zorn lancia a tutti noi, invitandoci a proporre una nuova musica ebraica capace di raccontare il passato e allo stesso tempo di proiettarsi verso il ventunesimo secolo. Ho concepito questo disco come un diario di bordo delle mie avventurose scoperte attraverso le geografie sonore della musica ebraica e del suo incontro con il jazz. Con Yiddish Melodies In Jazz ho voluto infatti raccontare, reinterpretandola e giocando con la cifra stilistica che appartiene al mio gruppo, una parte importante del jazz moderno, il suo debito segreto alla musicalità ebraica annidata nelle sonorità del mainstream americano. In particolare ho studiato e stravolto le versioni di brani di origine ebraica di alcuni grandi solisti, dalla Original Dixieland Jazz Band a Shelly Manne, passando attraverso Ella Fitzgerald, Benny Goodman, Cab Calloway, Billie Holiday e molti altri».
- Sebbene si tenda spesso a semplificare e a incasellare i generi, il rapporto tra musica ebraica e jazz è sempre stato molto stretto e fondamentale nello sviluppo stesso del linguaggio afroamericano. «Esistono dei punti di contatto innegabili tra la musica degli immigrati ebrei e le prime forme di jazz degli afroamericani. Prima di tutto, i musicisti di entrambe le tradizioni provenivano da ambienti socio-economici e culturali dominati dallo strapotere dell'America bianca e protestante. Sul piano più strettamente musicale gli organici strumentali sono accomunati da una massiccia presenza di ottoni su cui domina il solismo del clarinetto. Se gli ebrei portarono a casa gli strumenti che avevano imparato a suonare nelle bande delle armate zariste, i musicisti afroamericani si impossessarono di trombe e tromboni abbandonati dopo la fine della Guerra Civile americana. Lo stesso approccio vocalizzante, l'uso del vibrato e dei glissati, il gusto per la varietà timbrica caratterizzano questi due mondi musicali, più vicini di quanto si possa immaginare. Poi la presenza ebraica nel jazz ha sempre costituito un fil rouge imprescindibile, attraverso l'opera di solisti come Benny Goodman e Artie Shaw, fino a Lee Konitz, Stan Getz, Steve Lacy e Dave Liebman, tutte personalità con un rapporto personale anche difficile con le proprie radici ebraiche».
- Sei un attento studioso della musica klezmer e della tradizione culturale ebraica, per questo motivo sono curioso di sapere quali - secondo te - possono essere gli ulteriori sviluppi dell'unione tra quella tradizione e la ricerca contemporanea. «Ho studiato a lungo questi nessi, che poi ho voluto raccontare nel libro, scritto a quattro mani con Isotta Toso, Musica Errante [Stampa Alternativa, 2009]. Credo che la musica ebraica possa ancora dare molto al linguaggio musicale contemporaneo, sia in ambito jazzistico che "colto". Recuperare un'anima antica e alcune sonorità ancestrali sono operazioni essenziali che possono aiutare la contemporaneità a recuperare la capacità comunicativa che a volte si è persa per strada».
- Quali sono stati gli strumentisti che ti hanno più influenzato e quali quelli attivi oggi che ti sembrano più interessanti? «Il sax soprano è lo strumento che preferisco e che ho maggiormente approfondito. Per suonare una musica di frontiera è senz'altro ineguagliabile, trasformandosi a volte in un oboe classico, altre volte in una ciaramella o in un oboe indiano.Tra i sopranisti che amo e che continuo ad ascoltare ci sonoJohn Coltrane, Wayne Shorter, Dave Liebman, Jan Garbarek, John Surman e Paul McCandless. Solo successivamente ho scoperto il clarinetto e il clarinetto basso, strumenti estremamente versatili con una forte identità sia nel repertorio classico e contemporaneo che nel jazz e nella musica popolare, in particolare est-europea. Qui i miei riferimenti sono Gabriele Mirabassi, Don Byron, ma anche la formidabile Anat Cohen».
- Quali sono i tuoi prossimi impegni e progetti? «Sto pensando contemporaneamente a due nuovi progetti molto diversi: il primo è una libera interpretazione del repertorio di Kurt Weill, andando a pescare in tutta la sua preziosa opera, non solo l'Opera da tre soldi e Mahagonny. Il secondo è un progetto fatto di dieci brani originali scritti da me che ruotano attorno alla mistica ebraica, e alle sonorità che partono dal jazz rock alla Miles Davis... Speriamo non mi rubino l'idea!».
(Articolo pubblicato sul "giornale della musica" 302, aprile 2013)
Cresce la tensione tra la Siria ed Israele
Nervi tesi tra la Siria ed Israele. Ieri Tel Aviv ha detto
Tel Aviv non può aver detto niente perché a Tel Aviv non c'è il Presidente del Consiglio né il governo dello Stato di Israele, che ha sede nella sua capitale: Gerusalemme. Che anche e soprattutto al Vaticano questo non stia bene, è cosa nota. E come si vede, ha il suo peso.
che agirà perché i missili russi, dati a Damasco, non possano essere impiegati. Dichiarazioni che hanno spinto la Siria a parlare di "rappresaglia immediata" in caso di attacco. In questo contesto, gli Stati Uniti hanno invitato Hezbollah a lasciare il territorio siriano mentre la Gran Bretagna ha denunciato ancora una volta l'uso di armi chimiche nel Paese. Nessuna data, intanto, per la riunione di Ginevra.
Il servizio di Marina Calculli: Dopo lo sblocco dell'embargo sulle armi da parte dell'Unione europea, Cameron scrive all'ONU sostenendo di avere nuove evidenze dell'uso di armi chimiche. Una commissione delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani in Siria annuncia invece la pubblicazione di un rapporto definito "terrificante" e specifica: i crimini sono commessi "da entrambe le parti, siamo ad un livello di crudeltà peggio della Bosnia". Intanto sul terreno cresce la tensione in vista del Ginevra 2, l'attesa conferenza di pace, che però - a detta di Ban Ki Moon - ancora non è stata fissata. Il ministro degli esteri siriano Muallem fa sapere che Damasco parteciperà "con buone intenzioni" ma che Bashar rimarrà in carica fino alle elezioni presidenziali del 2014. Israele intanto ribadisce: faremo in modo che i missili S-300, promessi da Mosca a Damasco, non diventino operativi sul suolo siriano. Una nuova condanna internazionale è infine giunta nei confronti dell'Hezbollah libanese sempre più coinvolto nel conflitto siriano e accusato di trascinarvi tutto il Libano. Ieri altri tre razzi lanciati dalla Siria sono caduti nei pressi della città libanese di Hermel, proprio uno dei bastioni di Hezbollah.
(Radio Vaticana, 30 maggio 2013)
Bar Rafaeli alla conduzione dell'X Factor israeliano
Bar Refaeli, modella tra le più note al mondo e ospite dell'ultimo festival di Sanremo, presenterà la prossima versione israeliana di X Factor, talent show molto seguito anche in Israele. Lo ha annunciato 'Reshet', una delle due concessionarie di Canale 2, rete commerciale affermata: il programma andrà in onda alla fine di quest'anno. Bar Refaeli non è nuova al ruolo, lo scorso anno ha presentato in Germania il reality Million Dollar Shooting Star, incentrato sul mondo della moda. Haaretz riporta che la super modella, in passato legata all'attore Leonardo DiCaprio, avrà per la trasmissione un compenso stimato tra i 600-800 mila shekel, pari a circa 120/160 mila euro.
(LoSpaccaTV, 30 maggio 2013)
Hamas preoccupato per presunte minacce di Hezbollah
GAZA, 30 mag - Destano preoccupazione a Gaza notizie giunte la scorsa notte secondo cui Hezbollah vorrebbe l'espulsione immediata dei funzionari di Hamas attivi in Libano; cio' come ritorsione per il crescente allineamento di Hamas col il Qatar, un Paese impegnato nel sostegno alle forze ribelli al presidente Bashar Assad. La leadership di Hamas - che in anni passati era allineata con Assad e con Hezbollah - cerca adesso di ottenere chiarimenti sulla vicenda. ''A quanto ci risulta Hezbollah e' un partito politico del Libano, ma non ha il potere di decidere espulsioni dal territorio nazionale'', ha osservato un funzionario di Hamas, mentre i leader del movimento a Gaza mantengono per ora il silenzio.
Durante l'evolversi della guerra civile in Siria Hamas ha cercato di tenere una posizione equidistante fra la parti e ha ribadito che i suoi uomini si astengono dal partecipare ai combattimenti, da una o dall'altra parte.
(ANSAmed, 30 maggio 2013)
Verso l'arruolamento dei giovani haredim nell'esercito israeliano
di Rossella Tercatin
"Mi rivolgo a voi, fratelli haredim. Non permettete a nessuno di ostacolarvi nel perseguire il vostro potenziale. Ciò che sta accadendo non è un attacco al mondo della Torah. Nessuno sta cercando di minare il vostro modo di vivere e non abbiamo alcuna intenzione di imporvi scelte secolari, ma l'attuale situazione non può proseguire". Con queste parole Yair Lapid si è rivolto direttamente alla comunità haredi d'Israele nella conferenza stampa dopo l'annuncio che la Commissione Peri, incaricata di formulare una proposta di legge per arruolare nell'esercito gli studenti delle yeshivot, fino a questo momento esentati, ne ha approvato il testo. L'accordo prevede che, a partire dal 2017, i giovani haredim siano dunque obbligati a prestare i tre anni di servizio militare o civile, che potranno rimandare fino ai 21 anni. Un'eccezione è stata accordata per 1800 esenzioni agli studenti più brillanti (sui circa 8mila che in media raggiungono ogni anno l'età della leva).
La soluzione è arrivata al termine di alcuni giorni di tensione a proposito di un altro punto contenuto nella proposta di legge, la comminazione di sanzioni, anche penali, ai disertori, che aveva visto la strenua opposizione del ministro della Difesa, Moshe Ya'alon (Likud). Il quale è stato alla fine richiamato all'ordine dal premier Benjamin Netanyahu, dopo che Lapid aveva minacciato di ritirarsi dalla coalizione di governo se la proposta non fosse passata. L'arruolamento dei giovani haredim, definito in ebraico con l'espressione "shiviyon behalukat hanetel", cioè "equità nella suddivisione del carico" ha rappresentato infatti uno dei punti fondamentali nel programma di Yesh Atid e della sua forte affermazione elettorale con la conquista di 19 seggi. Un punto che aveva anche inizialmente favorito l'alleanza con il partito di ultradestra Habayit Hayehudì, che richiamandosi esplicitamente all'ebraismo sionista religioso, considera il servizio militare un dovere imprescindibile. Anche se in Commissione, l'unico voto contrario è stato proprio quello del ministro della Casa di Habayit Hayehudì Uri Ariel, con un ulteriore segnale dello smarcamento del partito guidato da Naftali Bennett dalle posizioni di Yesh Atid. A favore si sono invece espressi il ministro alla Cultura e sport Limor Livnat (Likud), il ministro della Pubblica Sicurezza Yitzhak Aharonovitch (Yisrael Beytenu), e Yaakov Peri (Yesh Atid), ministro della Scienza e Tecnologia, oltre a Ya'alon. Astenuto il ministro dell'Ambiente Amir Peretz di Hatnua.
(Notiziario Ucei, 29 maggio 2013)
Berlino. 800 milioni per i superstiti della Shoah
Nonostante l'austerità imposta dal governo Merkel, il paese donerà quasi un miliardo di euro ai 56mila sopravvissuti ai crimini nazisti.
Poco meno di 15 mila euro a testa. È la cifra che il governo tedesco è pronto a destinare ai sopravvissuti dei crimini nazisti sparsi per il mondo. Il governo di Angela Merkel sta così per sborsare un totale di 772 milioni di euro, che andranno a 56mila ebrei (un terzo dei quali vive in Israele) per l'assistenza e le cure mediche. La decisione è stata presa dal Ministero delle Finanze insieme con la Claims Conference, l'organizzazione che rappresenta le vittime del nazismo. I soldi verranno erogati dal 2014 al 2017.
La maggior parte dei sopravvissuti alla Shoa ha vissuto da bambino traumi estremi, sofferto gravi denutrizioni, e perso quasi tutti i parenti: oggi sono soli con gravi problemi psicologici e privi di una rete di sostegno familiare per aiutarli a tirare avanti.
Si tratta di "fondi importanti", commenta la Claims Conference, sopratutto ora che le vittime sono invecchiate e hanno sempre più bisogno di assistenza. "Questo gesto può rassicurare le vittime dell'Olocasuto", ha detto Stuart Eizenstat, ex ambasciatore americano che ha negoziato la cifra tra le parti. "Negli ultimi anni della loro vita queste persone devono sapere che si sta facendo di tutto per farli vivere con dignità dopo che la loro vita è stata scossa da incredibili traumi e sofferenze. Inoltre", ha concluso Eizenstat, "si tratta di una cifra notevole soprattutto considerando l'epoca di austerity che sta attraversando la Germania".
Finora i fondi erano destinati agli ebrei rinchiusi nei ghetti separati dal resto della città da mura. Ora invece i soldi andranno a tutti quegli ebrei discriminati nel lavoro, perseguitati, costretti a indossare la stella di David e costretti a vivere nella paura di un'imminente deportazione.
(TGCOM24.it, 29 maggio 2013)
Tel Aviv prima città 'full digital' al mondo: parte il progetto 'Digit-Tel'
Un programma imponente di interventi, ma che il sindaco Ron Huldai difende in prima persona: "E' vero che una città così costa tanto, ma bisogna investire soldi per ottenere ritorni economici per tutti, ridurre costi e contenere i consumi in futuro".
SMART CITY - Parte la rivoluzione digitale di Tel Aviv, con il lancio del nuovo progetto "Digit-Tel", per una città 'full digital', inclusiva, orientata al cittadino e ai servizi. I tempi si preannunciano davvero brevi, per un'intensa operazione di digitalizzazione di tutti i settori economici, culturali, amministrativi e culturali. "La nostra ricchezza sono i giovani e i giovani sono sempre più digitalizzati e impiegati nel settore high-tech", ha dichiarato il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, durante la presentazione di 'Digit-Tel', spiegando che la città "da tempo ha intrapreso la strada dell'innovazione tecnologica, proprio per raggiungere l'obiettivo di servizi accessibili a tutti in qualsiasi luogo, di un tessuto economico ricco di startup, in grado di dare lavoro e di formare sempre nuove figure specializzate, stimolando una sana competizione e sostenendo gli innovatori e i talenti". In tal modo, la più grande area metropolitana di Israele, popolata da 3,8 milioni di abitanti, offre ai suoi cittadini la possibilità di comunicare in rete (online e tramite mobile app dedicate) con la Pubblica Amministrazione, per pagare i consumi energetici o le tasse, ad esempio, per inoltrare domande e richieste di permessi, per rinnovare documenti personali e licenze, per partecipare a consultazioni pubbliche e sondaggi, per acquistare biglietti per eventi sportivi, culturali, di intrattenimento e per iscrivere i bimbi a scuola.
Un'ampia gamma di servizi che finalmente potranno essere utilizzati sfruttando la rete e la copertura Wi-Fi della smart city israeliana: per il pagamento dei parcheggi, per conoscere lo stato del traffico, per sapere a che ora passa un autobus, per prenotare un taxi, per conoscere le offerte culturali e le attrattive di Tel Aviv.
Il sindaco della cittadina costiera, che grazie al mare e a innovative infrastrutture, vive un consistente afflusso turistico durante l'anno, vede nel progetto 'Digit-Tel' l'occasione di realizzare "la prima città full digital della storia e completamente accessibile a tutti". "Una rete WiFi ampia e ramificata che garantisce sempre, in ogni momento e luogo, la possibilità di connettersi in rete e scoprire le tante offerte di lavoro, divertimento, svago, cultura e sport che questa città offre". "Una rete gratuita, senza limiti di tempo, che si basa su un network preesistente di hot spot attivati da ristoranti, alberghi, bar, locali, uffici dell'amministrazione, in modo trasparente e soprattutto sostenibile. Nessun'altra città al mondo offre servizi di rete gratuiti a tempo illimitato", ha commentato Huldai.
Ogni utente può attivare inoltre una carta servizi per ottenere sconti a manifestazioni, attività commerciali convenzionate ed eventi cittadini, con la possibilità di usare i propri smartphone e tablet anche in spiaggia. Un progetto piuttosto imponente, nelle sue intenzioni, per le risorse finanziarie di cui necessità e per il modello di sviluppo adottato (green, open access), che però ha il pieno sostegno del primo cittadino: "E' vero che una città così costa tanto, ma bisogna investire per ottenere ritorni economici per tutti, ridurre costi e contenere i consumi in futuro".
(Key4biz, 29 maggio 2013)
I colori della musica ebraica
Tutti i colori della musica ebraica: l'incontro ha mantenuto la promessa. E forse ha creato anche nuove sfumature. Accompagnati dall'allegria ironica e contagiosa di Evelina Meghnagi, ci siamo immersi con stupore nell'universo caleidoscopico delle note ebraiche, scoprendo che anche in campo musicale la cultura ebraica ha avuto il genio di creare a partire da prestiti, contaminazioni, suggestioni di altre culture. Colori aschenaziti e sefarditi, canzoni yiddish e giudeo-spagnole, flauti, chitarre e voci profonde, come quelle di Raiz ed Enrico Fink, hanno fatto soffiare un vento d'Oriente in questa serata di condivisione. Vorremmo esprimere la felicità che abbiamo sentito quando Ilana Bahbout insieme a Sira Fatucci hanno proposto all'Associazione La Convivia e alla casa editrice Editori Internazionali Riuniti di collaborare assieme per realizzare questo evento di musica e sogno. È stato commovente partecipare all'incontro dei membri della comunità ebraica con i nostri soci e amici, sotto il segno dell'amicizia e dell'amore per i tanti colori della musica. È stato bello andare insieme a intervistare David Zard, che della musica ebraica ha sottolineato i tratti della malinconia e della gioiosità. E toccare con mano, sulla nostra propria pelle, quello che ci ha insegnato il rabbino Scialom Bahbout: che il canto, come indica la sua etimologia ebraica "Shir", può essere muro ma anche ponte, speranza, luogo di incontro fra mondi diversi.L'incontro faceva parte del ciclo "Quale identità ebraica - Generazioni a confronto", promosso dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane presso il Centro Bibliografico e a cura di Ilana Bahbout e Sira Fatucci. Cristina Guarnieri e Cristiana Fanelli (La Convivia ed Editori Internazionali Riuniti).
(Notiziario Ucei, 29 maggio 2013)
Renzo Gattegna: "Onore agli eroi protagonisti della Brigata Ebraica"
La storia della Brigata Ebraica è quasi sconosciuta in Italia. Questa mancanza di conoscenza storica è stata usata per un'indegna manifestazione di pregiudizio e di odio antiebraico durante la cerimonia per l'anniversario della Liberazione a Roma e in altre città il 25 aprile scorso.
Il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, per contrastare simili episodi di intolleranza e ristabilire la verità, sarà presente alla commemorazione che avverrà domani mattina nel cimitero militare di Piangipane (Ravenna) per ricordare a tutti gli italiani il coraggio e l'abnegazione di quanti, vestendo l'uniforme della Brigata Ebraica, contribuirono a liberare il paese dal nazismo e dal fascismo anche con il sacrificio della loro vita.
Al fianco delle istituzioni locali parteciperanno rappresentanti dell'Ambasciata israeliana in Italia e delle Comunità ebraiche dell'Emilia Romagna. Ad intervenire, oltre al presidente dell'Unione, l'ambasciatore Naor Gilon, l'addetto militare Yehu Ofer e il rabbino capo di Ferrara rav Luciano Caro. Per l'UCEI saranno presenti anche i consiglieri Riccardo Pacifici (Roma), David Menasci (Bologna) ed Eileen Cartoon (Ferrara) con al seguito una delegazione delle rispettive Comunità.
"A Piangipane - ricorda il presidente dell'Unione - riposano le salme di quegli eroi che, con ripetuti attacchi, per primi sfondarono la Linea Gotica sul fiume Senio, costrinsero l'esercito nazista a retrocedere e aprirono la strada per la liberazione del Nord Italia. Che il loro ricordo sia di benedizione".
(Notiziario Ucei, 29 maggio 2013)
I Krumiri: un ponte tra Casale e Israele
di Miriam P. Carmi
I Krumiri
ISRAELE Pochi giorni fa in Israele, all'ingresso del kibbutz "I combattenti dei ghetti", io e mio marito Bruno (Carmi, pur abitando a Verona, esponenete della comunicata casalese, fratello di Elio, vice presidente, ndr) siamo stati accolti nell'ufficio di Beth Dotan, direttrice del Dipartimento Internazionale, con un sorriso ed una tazza di tè: la signora Dotan non si sarebbe certo aspettata di poter gustare, con il tè, uno dei "nostri" famosi krumiri - versione kashér - che le avevamo portato in dono.
Il kibbutz, situato a pochi chilometri a nord di Acco (San Giovanni d'Acri), è sorto nell'aprile del 1949, utilizzando inizialmente edifici pre-esistenti appartenuti all'esercito britannico: fondato da sopravvissuti alla Shoah (Olocausto), in particolare dai pochi scampati alla rivolta del ghetto di Varsavia avvenuta nella primavera del 1943, fu il primo museo al mondo sull'Olocausto, anteriore anche al Memoriale "Yad VaShem" di Gerusalemme. Lo scopo dei suoi fondatori non fu solo quello di ricordare le loro e le altre migliaia di famiglie ebraiche scomparse nella Shoah, ma soprattutto quello di "costruire case colme di vita", come disse Antek Zuckermann, uno dei leaders della rivolta del ghetto di Varsavia.
Infatti accanto al Museo, che ospita collezioni temporanee e permanenti - ad esempio quella sul Dottor Janusz Korczak, medico e pedagogo polacco, direttore dell'Orfanotrofio Ebraico situato all'interno del ghetto di Varsavia, e deceduto nel 1942 nel campo di sterminio di Treblinka assieme ai "suoi" bambini - c'è un Centro Educativo e Culturale che rappresenta un "unicum" nel suo genere: la sua finalità è quella di creare un luogo di incontro e di educazione alla diversità ed al multiculturalismo. La sua attività consiste principalmente in programmi destinati agli studenti dell'ultimo anno delle scuole superiori israeliane, siano essi ebrei, cristiani, mussulmani o drusi: partendo dalla Shoah, viene sviluppato un approccio dialettico in relazione agli altri genocidi del XX secolo, promuovendo così tra i giovani un più ampio dibattito con riferimento ai cosiddetti "meccanismi dell'odio", che hanno costituito e continuano ad essere causa dell'antisemitismo e del razzismo "tout court".
Da ricordare inoltre l'ultima recente parte del Museo, il Memoriale dedicato ai bambini: esso vuole non solo commemorare tutti i piccoli - circa 1.500.000 - annientati nella Shoah, ma soprattutto avvicinare i più giovani a questa difficile tematica, con programmi adatti alla loro età. Durante la visita, l'emozione più forte è stata però l'atteso incontro con Marco (Marek) Hermann: originario di Leopoli in Galizia (ora Ucraina), miracolosamente scampato all'Olocausto, alla fine della guerra fu tra le migliaia di ebrei - tra cui moltissimi adolescenti e perfino bambini - che, attraversando l'Italia, e con l'aiuto di insigni esponenti dell'Ebraismo italiano, come ad esempio Ada Sereni, raggiunsero la terra di Israele, allora ancora formalmente sotto mandato britannico, e perciò considerati "immigrati clandestini" fino alla fondazione dello Stato di Israele il 18 maggio 1948.
E' sorto quindi un nuovo "ponte" tra Casale Monferrato ed il kibbutz "I combattenti dei ghetti" in Israele; a mio avviso infatti il krumiro, è vero, può ricordare una virgola o persino il famoso baffo di sabaudia memoria, ma perché non vederlo come un ponte? In fondo, in Israele, già all'asilo una delle prime canzoncine insegnate ai bambini recita: "tutti sanno che la vita è un ponte molto stretto, ma l'importante è non averne paura".
(Il Monferrato, 29 maggio 2013)
Netanyahu chiede silenzio sui missili
GERUSALEMME - Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha chiesto ai ministri del suo governo di non rilasciare piu' dichiarazioni sulla Siria e sul passaggio dei missili russi S-300 al regime di Bashar Assad. Lo sostiene la radio pubblica secondo la quale l'intervento del premier segue le affermazioni di ieri del ministro della difesa Moshe Yaalon sul fatto che Israele saprebbe ''cosa fare'' se i missili arrivassero in Siria.
(ANSA, 29 maggio 2013)
A Beersheva un nuovo percorso per escursionisti e ciclisti
Il nuovo sentiero dedicato all'escursionismo a piedi e in bicicletta intorno alla città di Beersheva ha vinto un premio speciale nella competizione annuale ECO-Award sponsorizzata dalla Associazione Europea degli Escursionisti grazie alla Società per la Protezione della Natura in Israele (SPNI) e il suo Comitato Sentieri d'Israele. Il 'Round Beersheva Trail' (RBST) porta gli escursionisti e i ciclisti in giro per l'area urbana della città, passando nei pressi di siti del patrimonio mondiale e locale, aree archeologiche e storiche e di zone religiose cristiane, musulmane ed ebraiche. Il RBST è stato progettato come una 'cintura verde', confinante sia con le parti aperte sia con quelle costruite della città; questo modello urbano-ambientale insolito è quello che ha vinto il concorso della Associazione Europea degli Escursionisti.
"L'idea del sentiero è venuta a un gruppo di ragazzi che stavano esplorando i dintorni di Beersheva durante uno sciopero degli insegnanti nel 2007", ha raccontato Ronit Zeevi della Società per la Protezione della Natura in Israele di Beersheva.
Il percorso di circa 42 km di lunghezza è stato suddiviso in 5 parti di 5 differenti colori così da creare dei mini itinerari meno impegnativi. È stato mappato in modo tale da poter essere collegato anche all'Israel National Trail attraverso una serie di rami più piccoli ancora non terminati.
Il SPNI locale ha in programma molti tipi di attività per introdurre il RBST, tra cui visite guidate e forse una maratona, approfittando della lunghezza dell'intero percorso. Molte scuole hanno 'adottato' la parte del percorso dove sono collocate le cisterne d'acqua, i bambini fanno delle ricerche sul posto e lo tengono pulito, andando anche con i genitori nei giorni di festa a fare delle escursioni.
La città di Beersheva è conosciuta sin dai tempi biblici. È menzionata per la prima volta nella Genesi, con il nome della regione desertica sulla punta settentrionale del Negev, dove i patriarchi Abramo e Isacco fecero la loro casa.
(Travelnostop, 29 maggio 2013)
Gli ebrei americani: "Grillo studi la storia"
Fanno discutere le recenti dichiarazioni in aula del deputato del M5S, Manlio Di Stefano, che per protestare contro l'apertura degli Europei under 21 di calcio a Tel Aviv il 5 giugno prossimo, ha chiesto al ministro dello Sport Josefa Idem di "non rimanere in silenzio" e di esprimere nell'occasione "solidarietà al popolo palestinese".
di Raffaello Binelli
Il Movimento 5 Stelle non conosce la storia, peggio "la mistifica, la ribalta, la falsifica". A sostenerlo, ieri, era la Comunità ebraica romana (Cer) che, sul proprio sito, ha preso di mira l'intervento del deputato a 5 Stelle Manlio Di Stefano il quale, in un suo intervento in aula dello scorso 21 maggio - in polemica con l'imminente svolgimento della fase finale degli europei under 21 di calcio in Israele - ha chiesto al ministro dello Sport Josefa Idem di "non rimanere in silenzio" e di esprimere nell'occasione "solidarietà al popolo palestinese".
Di Stefano, osservando polemicamente che il torneo si inaugurerà il 5 giugno, data dell'anniversario dell'inizio della Guerra dei Sei Giorni del 1967, si è riferito a quell'evento storico come a un "attacco" israeliano. E la comunità ebraica romana non ha gradito. Ora arriva una bacchettata a Grillo anche dagli Stati Uniti. E un invito esplicito ad andarsi a studiare la storia.
"Dal momento che il Movimento 5 Stelle afferma che tutte le dichiarazioni fatte da suoi rappresentanti riflettono la linea ufficiale del partito - afferma l'American Jewish Committee in una nota diffusa dal suo rappresentante in Italia e presso la Santa Sede, Lisa Palmieri-Billig - vogliamo augurarci che quando si tratta di occuparsi del conflitto israelo-palestinese, i suoi portavoce, armati di una conoscenza oggettiva della storia, avranno come scopo quello di trovare strategie per la pace, piuttosto che cercare l'occasione di provocare nuovi conflitti".
La presa di posizione dell'associazione ebraica si riferisce alle recenti dichiarazioni del deputato del M5S, Manlio Di Stefano, che, riepiloga la nota, "nell'indire una protesta contro l'apertura dei Giochi UEFA a Tel Aviv il 5 giugno prossimo con il pretesto che questa data segna l'inizio della guerra del giugno 1967 che ha provocato l'annessione israeliana di Gaza, Gerusalemme Est, la Cisgiordania e le alture del Golan, mostra una triste lacuna nella conoscenza del contesto storico".
Perché si tira in ballo l'ignoranza storica? "All'epoca infatti, - sottolinea l'AJC - nessuno dei territori contesi era sotto il controllo palestinese: non era mai esistito uno Stato indipendente palestinese. Erano invece tutti nelle mani degli Stati arabi confinanti. Gaza apparteneva all'Egitto, Gerusalemme Est e la Cisgiordania erano state annesse dalla Giordania - annessione che fu riconosciuta da due sole nazioni al mondo - mentre le alture del Golan erano siriane".
"La Penisola del Sinai, anch'essa conquistata da Israele, - prosegue l'AJC - fu poi restituita all'Egitto a seguito del trattato di pace siglato nel 1979 assieme al presidente egiziano Anwar Sadat. Poco prima che scoppiasse la guerra, l'Egitto chiuse l'accesso al Mar Rosso alle navi israeliane, convinse l'Onu a ritirare le sue forze di pace, ed assieme alla Siria, ammassò truppe al confine nell'esplicita minaccia di invadere Israele (la cui superficie è un cinquantesimo di quella dell'Egitto). Anche la Giordania acconsentì alla richiesta egiziana di entrare a far parte dell'alleanza. Il leader giordano dell'epoca, Re Hussein, ammise in seguito che ciò fu un errore".
"Per quanto riguarda l'aspetto religioso, malgrado un armistizio formale, - è la ricostruzione dell'associazione ebraica - la Giordania impedì sempre agli israeliani l'accesso a Gerusalemme Est per pregare nei luoghi sacri all'Ebraismo, molti dei quali furono profanati. Nessuno di questi paesi arabi fece pressione alcuna per la creazione di uno Stato per il popolo palestinese, quando avevano la terra ed i mezzi per farlo. Il mondo arabo - commenta l'AJC - si trovò unanime solo nel negare il diritto ad esistere di Israele, a cominciare con il rifiuto del piano di spartizione in due stati votato dalle Nazioni Unite nel 1947".
Va inoltre ricordato - afferma l'AJC rivolto a M5S - che quando Israele offrì terra in cambio di pace al termine delle ostilità, la risposta unanime delle nazioni arabe fu quella espressa nella dichiarazione di Khartoum del 1 settembre 1967: Nessuna pace, nessun riconoscimento, nessun negoziato con Israele".
(il Giornale 29 maggio 2013)
Scoperto il rotolo del Pentateuco più antico al mondo
BOLOGNA, 28 mag. - La biblioteca universitaria di Bologna conservava da epoca immemorabile, senza saperlo, il rotolo del Pentateuco ebraico piu' antico del mondo. Il documento reca la segnatura "Rotolo 2", e' di morbida pelle ovina (lungo 36 metri e alto 64 centimetri), contiene il testo completo della Torah in ebraico (ovvero Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio) ed era stato precedentemente catalogato come probabilmente risalente al XVII secolo. Il "Rotolo 2", invece, e' stato vergato in un periodo compreso tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII (1155-1225) e risulta essere, dunque, il piu' antico rotolo ebraico completo della Torah oggi conosciuto: un esemplare d'immenso valore. La scoperta e' stata fatta dal professor Mauro Perani, ordinario di Ebraico presso il dipartimento di Beni culturali dell'universita' di Bologna, sede di Ravenna, durante la redazione del nuovo catalogo dei manoscritti ebraici della Biblioteca universitaria. La datazione, gia' chiara ad un esame grafico-testuale e paleografico, e' stata confermata da ben due analisi con il carbonio 14, eseguite dal Centro di datazione e diagnostica del dipartimento di Ingegneria dell'innovazione dell'universita' del Salento e dal Radiocarbon Dating Laboratory (Illinois State Geological Survey) dell'universita' dell'Illinois, Urbana-Champaign. L'antichita' del "Rotolo 2" non era stata riconosciuta da Leonello Modona, un ebreo originario di Cento che lavoro' per anni come bibliotecario, il quale, nel suo catalogo del 1889, lo riteneva risalente al secolo XVII, e ne descriveva la grafia come "un carattere italiano piuttosto goffo, in cui alcune lettere, oltre le solite coroncine e apici portano delle appendici non comuni e strane". Il professor Perani, invece, nell'esaminarlo per il nuovo catalogo, si e' accorto che la grafia orientale era, in realta', molto elegante e raffinata, mentre le caratteristiche grafiche e la struttura testuale risultavano atipiche e molto piu' antiche del Seicento. Il testo del rotolo, infatti, non tiene presente e non rispetta le regole fissate da Maimonide (morto nel 1204), che fisso' in maniera definitiva tutta la normativa rabbinica relativa alla scrittura del Pentateuco.
Compaiono ad esempio caratteristiche grafiche assolutamente proibite ai copisti dopo la codificazione maimonidea. Purtroppo ad oggi non e' dato sapere come e quando il "Rotolo 2" sia entrato a far parte del patrimonio della biblioteca universitaria di Bologna (Bub) se, come potrebbe essere probabile, in epoca precedente alle soppressioni conventuali napoleoniche. L'interesse suscitato intorno a esso potra' favorire ulteriori studi, anche in relazione all'identificazione della sua provenienza. L'importante scoperta e' stata possibile grazie anche all'iniziativa della Bub. La direttrice, Biancastella Antonino, ha accolto, infatti, con grande entusiasmo il progetto del professor Perani di compilare un nuovo catalogo del fondo ebraico manoscritto, realizzato con Giacomo Corazzol, decidendo di pubblicarlo nel terzo numero della rivista "inBUB: ricerche e cataloghi sui fondi della biblioteca universitaria di Bologna" (Minerva edizioni) da lei curata, con la collaborazione di Patrizia Moscatelli. Il volume uscira' alla fine di giugno 2013. Il fondo ebraico della Bub annovera tra gli innumerevoli codici anche il celebre Canone di Avicenna (ms. 2197), le cui splendide miniature, riprodotte su innumerevoli libri, sono note in tutte il mondo. Questi codici ebraici, come altri rari documenti e fondi conservati e valorizzati presso la bibliotca, sono frutto di donatori generosi come Ferdinando Marsili, fondatore dell'Istituto delle Scienze, il naturalista Ulisse Aldrovandi, papa Benedetto XIV, il poliglotta Gaspare Mezzofanti e altri munifici donatori. Questa scoperta sembra voler riconfermare il legame che unisce a filo doppio Bologna e la Torah: nella citta' di Bo-lan-yah (pronuncia dialettale che in ebraico significa: "In essa alloggia il Signore") fu stampata nel 1482 la prima edizione in assoluto del Pentateuco ebraico e, oggi, a Bologna si scopre il piu' antico rotolo della Torah che si conosca al mondo. Nel 1546, all'art. 50 degli Statuti di una Confraternita caritativa ebraica che si costituiva in quell'anno, i suoi membri parafrasavano il versetto di Isaia 2,3: "Poiche' da Sion uscira' la Torah" dicendo: Poiche' da Bologna uscira' la Torah, volendo riferirsi con cio' all'editio princeps, apparsa 62 anni prima nella loro citta', del testo piu' sacro che l'ebraismo possiede.
(AGI, 28 maggio 2013)
Israele: "Se la Russia dà missili alla Siria, reagiremo"
Ma Mosca insiste: "Non cambiamo i nostri piani". Non basta l'avvertimento lanciato dal governo israeliano perché non avvenga la consegna di S-300. Il ministro degli Esteri Sergei Ryabkov: "Queste forniture sono un fattore stabilizzante".
GERUSALEMME - Più che un avvertimento, una minaccia: Israele "saprà cosa fare" se la Russia consegnerà i missili S-300 al regime siriano. Lo ha detto oggi il ministro israeliano della difesa Moshé Yaalon, che ha aggiunto: "La consegna non ha ancora avuto luogo e spero che non accadrà mai. Ma se, disgraziatamente, i missili S-300 arriveranno in Siria, sapremo cosa fare". Yaalon ha commentato l'eventualità di un attacco chimico dalla Siria contro Israele: "il regime minaccia Israele in maniera diversa da come minaccia i ribelli. Il regime non è fermato dai suoi cittadini, mentre lo è da noi".
Ma Mosca non ha intenzione di modificare i suoi piani: la consegna al regime di Damasco dei sofisticati missili anti-aereo S-300 è "un fattore stabilizzante" per fare da deterrente a un intervento straniero nel conflitto siriano, ha fatto sapere la Russia, gelando così le speranze di chi contava che il Cremlino raccogliesse gli appelli di Israele a disdire il contratto. "Consideriamo queste forniture un fattore stabilizzante e riteniamo che questi passi dissuaderanno qualche testa calda dal considerare scenari che potrebbero trasformare (la crisi) in un conflitto internazionale con il coinvolgimento di forze straniere", ha detto il ministro degli Esteri, Sergei Ryabkov. Il 'numero' due della diplomazia russa ha poi ricordato che la consegna del materia è semplicemente l'adempimento di un contratto siglato alcuni anni fa.
La Russia si rifiuta di precisare se tali armi siano state già consegnate o meno. "Non posso né confermare né smentire notizie relative alla fase in cui si trova il processo di consegna" degli S-300, ha affermato ancora Ryabkov.
(la Repubblica, 29 maggio 2013)
Luftmensch
di Diego Marani
Arnold Zable
Arnold Zable è uno scrittore australiano, ma anche uno degli ultimi locutori di yiddish. Lo parla con i suoi amici nelle serate di lettura che organizza a Melbourne dove vive e dove si occupa di problemi dell'emigrazione. Quando gli chiedo se lo yiddish sopravviverà sorride, con la sua faccia mezza greca e mezza zingara: "Sicuro!" Lo credevo una lingua morta, nessuno ormai parla più lo yiddish, ma Arnold mi spiega che sono proprio quelli più lontani dalla sua visione dell'ebraismo che lo stanno inconsapevolmente sostenendo. "Lo yiddish è diventato la lingua degli ebrei ortodossi per i quali l'ebraico è una lingua sacra, riservata alla liturgia e quindi inadatta al parlare quotidiano." Così succede che proprio gli ebrei più chiusi e ostili alla mescolanza fanno vivere la lingua impura della vecchia diaspora. "La lingua dei cosmopoliti!" precisa Arnold e aggiunge, ancora ridendo: "Ruthless cosmopolitans!"
Di origini ebraico-polacche, Arnold coltiva una memoria che deve essere genetica se sopravvive così lontano dalle terre dei suoi padri: quella della fuga. "Ma cosa si dice meglio in yiddish che l'ebraico non può dire?" gli chiedo. "Gli insulti!" risponde lui. "Quando nulla e nessuno ti difendono dal sopruso, è l'unica arma che ti rimane". "Che al tuo verme solitario venga la diarrea!" mi insegna Arnold ed io segno sul taccuino dubbioso di poterlo rivolgere mai a qualcuno. "In yiddish noi siamo luftmensch, uomini sospesi a mezz'aria, che non appartengono a nessun luogo", continua a spiegarmi. Sarà per questo che appena vede arrivare Lionel Fogarty lungo il molo, Arnold lo accoglie con una pacca sulle spalle. Loro si intendono bene, perché anche Lionel è un luftmensch. Fatto di tutt'altra aria ma ugualmente in fuga, Lionel è un poeta aborigeno australiano. Cresciuto in una riserva del Queensland e fin da giovane attivista della causa aborigena, Lionel ha vissuto sulla sua pelle la durezza della discriminazione razziale. Suo fratello è morto in prigione, picchiato dalla polizia. Questa sera ride e scherza, ma Lionel è un uomo arrabbiato. Come tutta la sua gente che ancora oggi vive ai margini della società australiana.
Anche se da alcuni anni il movimento "Journey to recognition" ha messo in moto un processo di recupero della cultura aborigena che sta portando a una vera e propria ricostruzione identitaria dell'ex colonia britannica. L'Australia comincia ad avere il coraggio di stare in piedi da sola e riconosce che è fatta anche dei suoi aborigeni, malgrado siano ormai solo l'1% della popolazione. Ma in un continente grande quanto l'Europa non c'è mai stata un'unica identità aborigena. Le nazioni aborigene sono centinaia e parlano lingue diverse, molte delle quali oggi ridotte a poche, scarne di parole. Così gli aborigeni non hanno nessuna vera patria, sono anche loro luftmensch senza neppure una lingua in cui rifugiarsi ma tanti mozziconi di una cosa perduta che Lionel tenta invano di tenere insieme con la sua poesia.
(News.it, 28 maggio 2013)
Lech Lechà - Settimana di arte, cultura, letteratura ebraica
Ad agosto torna in Puglia Lech Lecha', settimana di arte, cultura e letteratura ebraica: anteprima a giugno con il corso intensivo di lingua ebraica ulpan. la comunita' ebraica di Trani organizza anche la giornata europea della cultura ebraica (Bari 29 settembre).
Dopo il grande successo di pubblico del 2012 torna in Puglia (con puntate a Catania, Napoli, Roma), dal 25 agosto al 1o settembre 2013, "Lech Lechà - Settimana di arte, cultura, letteratura ebraica", la rassegna di iniziative culturali, letterarie ed artistiche sull'ebraismo, tra ricerca di radici antiche e prospettive per il futuro. Quest'anno la manifestazione sarà preceduta da un'anteprima nel prossimo mese di giugno con l'avvio di una delle principali 'sezioni' che la caratterizzano fin dalla prima edizione: ossia "Ulpàn", corso intensivo di Lingua Ebraica Moderna, che in questa edizione sarà tenuto dalla prof.ssa Valeria Spizzichino. Il 24, 25, 26 giugno partirà infatti il corso base che avrà poi la sua prosecuzione (con lo svolgimento anche del corso avanzato) dal 26 al 30 agosto prossimi.
Il corso base si svolgerà presso la Biblioteca Comunale G. Bovio di Trani (Piazzetta S. Francesco, 1) , si svilupperà a giugno in 3 giorni consecutivi e riprenderà successivamente durante lo svolgimento del LECH LECHÀ con una full immersion quotidiana durante la quale il corso si articolerà in corso base e corso avanzato. Gli orari quotidiani dei corsi verranno concordati con la docente.
Per partecipare al corso è necessario inviare una domanda di iscrizione in forma libera a lechlecha.segreteria@yahoo.it oppure telefonare al numero di cell. 3459435487. La docente del corso consiglia a coloro che iniziano lo studio dell'ebraico dal corso base di munirsi del libro L'ebraico è facile di Eliezer Tirkel (Editrice Giuntina Firenze).
La rinnovata attenzione in Puglia verso l'ebraismo quest'anno avrà poi un appuntamento speciale anche domenica 29 settembre con la Giornata Europea della Cultura Ebraica nel cui circuito l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dopo Trani, ha inserito la città di Bari, su esplicita richiesta della Comunità Ebraica di Trani che curerà l'evento. Bari diventa così la 65a città ad essere ammessa a questo evento internazionale. L'U.C.E.I. ha inteso così premiare il lungo e faticoso lavoro compiuto dagli ebrei pugliesi per riportare l'ebraismo in una regione di grande importanza nella storia israelitica, obiettivo perseguito con una grande rinascita della vita ebraica che ha avuto in Trani il suo epicentro.
(PugliaLive.net, 28 maggio 2013)
Circoncisione, tra bioetica e dovere religioso
PADOVA - "Solo quando la circoncisione è motivata da ragioni terapeutiche o profilattiche deve essere realizzata da un medico. Per contro, la circoncisione rituale dei neonati ebrei può essere eseguita non solo da medici, ma anche da altre persone, in genere ministri di culto, competenti e responsabili della corretta effettuazione, con rispetto scrupoloso dell'igiene e dell'asepsi, che garantiscano personalmente la continuità dell'assistenza dopo la circoncisione". Così il presidente dell'Ordine di Padova e vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri Maurizio Benato ha sottolineato nel corso del convegno "La circoncisione tra bioetica e dovere religioso" organizzato a Padova, nella struttura della sinagoga tedesca, dall'Associazione medica ebraica in collaborazione con l'Ordine provinciale dei medici chirurghi e odontoiatri e la Comunità ebraica della città. Parole che il presidente Ame e consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega al sociale Giorgio Mortara definisce come molto importanti, perché testimoniano il riconoscimento della professionalità dei moalim che operano in Italia. A intervenire all'incontro sono stati il rabbino capo della Comunità di Padova Adolfo Locci e il presidente della Comunità islamica del Triveneto Kamel Layachi, che si sono soffermati sul significato religioso della pratica della circoncisione nell'ebraismo e nell'islam, mentre ad approfondire il profilo più strettamente medico, sono stati lo stesso dottor Bennato, l'urologo Fabrizio Dal Moro, il docente universitario David Sacerdoti, il dottor Ilan Brauner che ha affrontato la questione da un punto di vista legale.
Concludendo l'incontro, moderato da Daniele Radzik, David Sacerdoti e dal vicepresidente della Comunità ebraica Gianni Parenzo, Mortara ha infine proposto l'istituzione di un albo di moalim certificati e la previsione dell'assistenza, a ciascun brit milah, di un medico chirurgo.
Tra gli altri è stata affrontata dal presidente dell'Ordine di Padova anche la questione della mancata copertura delle spese per la circoncisione da parte del Servizio sanitario nazionale, che rappresenta un problema soprattutto per famiglie immigrate, in particolare dall'Africa, che non possono permettersi di coprire le spese di un'operazione che, se praticata oltre i primi mesi di vita, da adolescenti o adulti (come è uso nell'islam o in alcune religioni o tradizioni praticate in vari Stati africani) va assimilata comunque a un piccolo intervento chirurgico.
"Le circoncisioni maschili eseguite clandestinamente, non da medici esperti, senza idonei strumenti e garanzie di igiene, asepsi e assistenza, sono pericolose e da contrastare.
È necessario continuare l'opera di sensibilizzazione recentemente avviata dal ministero della Salute. Occorre nel contempo fornire alle famiglie interessate risposte adeguate e reali alternative. È infine opportuno sviluppare, nella formazione dei medici e degli operatori sanitari, i temi e le problematiche legate alla migrazione" ha sottolineato Benato.
(Notiziario Ucei, 28 maggio 2013)
«Nella primavera araba i cristiani sono quelli che hanno perso di più»
Parla Elias Chacour, arcivescovo della Chiesa greco-melkita in Israele: «In Siria la situazione è tragica, perché l'Occidente non interviene?»
di Andrea Tornielli
Elias Chacour
HAIFA - «Primavera araba è un nome sbagliato, non è stata una primavera, ma un oceanico spargimento di sangue. Molti sono stati i morti ma quelli che perdono di più sono i cristiani...». Elias Chacour, arcivescovo di Akka, San Giovanni d'Acri, e Tolemaide dei Greco-Melkiti è il capo della più grande comunità di arabi cristiani cattolici in Israele, che conta 80mila fedeli, 32 parrocchie e 28 sacerdoti. Riceve nella sua residenza di Haifa, città modello dello Stato d'Israele per la convivenza religiosa, un gruppo di giornalisti italiani. E con loro parla delle preoccupazioni per la sorte dei cristiani costretti a lasciare la Siria, dei passi nel dialogo con gli ortodossi, del nuovo Papa Francesco.
«Non so perché la "primavera" araba, che non è stata una primavera perché io non ho visto crescere il verde e i frutti, abbia provocato così tanti morti. Il vescovo caldeo negli Stati Uniti orientali, Ibrahim Ibrahim, mi ha detto che i 4000 cristiani caldei di Detroit sono diventati 130mila, perché tanti sono scappati dai Paesi dove vivevano. Mi chiedo: perché l'Occidente non interviene di fronte a ciò che sta accadendo in Siria? 160 piccoli villaggi abitati da cristiani sono stati completamente svuotati. In tanti stanno scappando in Libano, non sappiamo quanti siano. Ho visto il nostro vescovo di Damasco piangere come un bambino: ogni cristiano in Siria ha bisogno del nostro aiuto, di ogni pezzo di pane, di ogni bicchiere d'acqua...».
Per l'arcivescovo Chacour quanto accaduto negli ultimi anni in Tunisia, Egitto, Libia e Siria rappresenta «un cambiamento nella storia islamica, prima infatti c'erano lotte di potere al vertice che non coinvolgevano il popolo. Non eravamo contenti - dice - con i regimi totalitari, ma non lo siamo neanche oggi, anche per il rischio che si finisca per applicare la sharia, la legge islamica, che sarebbe esecrabile. Non sappiamo che cosa succederà nel lungo periodo».
Parlando della situazione interna, il capo della Chiesa greco-melkita spiega: «Siamo cittadini israeliani, non abbiamo risolto tutti i nostri problemi ma andiamo avanti: dobbiamo resistere a ogni assimilazione, e lavorare per l'integrazione. Al contrario di altre comunità cristiane, noi non abbiamo protettori stranieri». Un grande risultato, per Chacour, dal punto di vista della testimonianza dell'unità dei cristiani in Israele, è l'accordo sulla data in cui celebrare la Pasqua. «Abbiamo cominciato quattro anni fa, unilateralmente, senza chiedere nulla ai nostri fratelli ortodossi. Ci siamo adeguati noi al calendario giuliano. Questo ha ridotto le differenze. Hanno aderito i cattolici del patriarcato latino, gli anglicani... Per tre giorni, durante la Settimana Santa, le strade di Haifa hanno avuto il traffico bloccato. È stata una gioia uscire insieme ai nostri fratelli ortodossi dalle chiese per la processione della Domenica delle Palme. Il sindaco di Haifa ha visto ciò che è accaduto e mi ha detto: "Se lo fate ogni settimana, io vi sostengo"».
Sarebbe bene allora invitare Papa Francesco a dire pubblicamente al mondo che in Israele i cristiani
sono trattati bene, molto meglio che nei paesi arabi.
L'arcivescovo ha risposto anche a una domanda sulla decisione di Papa Francesco di sottolineare il suo essere vescovo di Roma. Una decisione guardata con molto favore dagli ortodossi, come ha confermato in un'intervista con Vatican Insider anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. «È stato un atto di umiltà, Francesco è un eroe di umiltà nel sottolineare particolarmente il suo essere vescovo di Roma, qualcosa che i Papi hanno spesso dimenticato finendo per considerarsi come vescovi del mondo».
Ma Elias Chacour tiene a sottolineare: «Non bisogna dimenticare Roma. Ma soprattutto non dimenticare che tutto è iniziato qui,
"qui", cioè nella terra d'Israele, non in "Palestina".
non a Roma. Ai miei preti che vanno in pellegrinaggio a Lourdes e a Medjugorje dico: "Dite a Maria che è tempo che torni a casa". Si tende a dimenticare che Maria è di Nazaret. E che Gesù è l'uomo vissuto a Nazaret,
e si tende anche a dimenticare, anzi a negare, che Gesù è ebreo, non "palestinese".
un mio compatriota».
"compatriota", cioè appartenente alla stessa patria israeliana a cui adesso appartiene Elias Chacour.
Un ultimo accenno l'arcivescovo melkita lo dedica ai cattolici del Patriarcato latino. «Loro sono meno di noi, la comunità di cattolici latini arabi è composta da 10mila persone, ma hanno un patriarca, quattro vescovi, centinaia di preti e moltissime suore: fortunati loro! Dobbiamo fare dei passi nella condivisione, non solo nella comunione. Non dobbiamo condividere soltanto i problemi. Sapete che ogni anno c'è la colletta del Venerdì Santo per i cristiani in Terra Santa. Vi assicuro che sono cattolico ma non vedo nulla di quelle offerte». La colletta a cui fa riferimento Chacour viene tradizionalmente suddivisa tra la Custodia Francescana, che si occupa dei Luoghi Santi e il Patriarcato latino.
(Vatican Insider, 28 maggio 2013)
Israeliani e palestinesi insieme nel progetto di ricerca Sesame
Iniziativa lanciata dalla Commissione europea e dal Cern
BRUXELLES, 28 mag - Commissione europea e Cern hanno deciso di unire le forze per costruire insieme Sesame, uno dei piu' ambiziosi impianti di ricerca in Medio Oriente, riunendo insieme scienziati provenienti anche da Israele e Territori palestinesi. Sesame, un generatore di luce di sincrotone il cui funzionamento e' simile a quello di un gigantesco microscopio, consentira' ai ricercatori della regione di studiare le proprieta' di materiali avanzati, processi biologici e opere d'arte. L'impresa, riferisce la Commissione europea, avra' sede in Giordania riunendo scienziati provenienti da Bahrein, Cipro, Egitto, Iran, Israele, Giordania, Pakistan, Territori palestinesi e Turchia. ''Oltre ad offrire ai ricercatori della regione l'accesso a strumentazioni all'avanguardia, Sesame richiamera' l'attenzione sui grandi progressi che possono essere realizzati nella regione attraverso una cooperazione pacifica'' ha commentato il commissario Ue alla ricerca, Maire Geoghegan-Quinn. ''Sono molto lieto che l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare possa dare questo importante contributo al successo del nuovo laboratorio'' ha aggiunto Rolf Heuer, direttore generale del Cern. L'accordo annunciato oggi prevede che la Commissione Ue contribuisca con 5 milioni di euro, consentendo al Cern, in collaborazione con Sesame, di fornire i magneti per un nuovissimo anello di stoccaggio degli elettroni, cuore dell'impianto: un primo importante passo che portera', nel 2015, all'avvio della fase operativa. Tre milioni di euro sono gia' arrivati a Sesame grazie allo strumento europeo di vicinato.
(ANSA, 28 maggio 2013)
Mohammed Assaf, 'Arab Idol' che unisce la sua gente
Giovane palestinese star talent show, tutti in tv per vederlo
di Michele Monni
RAMALLAH, 28 mag - Un giovane e talentuoso cantante palestinese sembra essere riuscito, in nome della musica, a riunificare il suo popolo, là dove invece i politici stentano. Mohammed Assaf - questo il suo nome - 22 anni, originario di un campo profughi di Gaza, è il personaggio del momento in Cisgiordania e nella Striscia e si appresta a vincere, con tutta probabilità, quello che è considerato il più famoso talent show del Medio Oriente: 'Arab Idol'. Il programma - trasmesso da Beirut e modellato sul format di 'X Factor' e altri famosi talent show - è una delle trasmissioni più viste nel mondo arabo e ogni settimana fa incollare ai televisori milioni di spettatori. All'edizione di quest'anno partecipano cantanti provenienti da Tunisia, Siria, Iraq, Libano, Cisgiordania, Arabia Saudita ed Egitto, tutti a contendersi i voti del pubblico che, a suon di sms, decreta il successo o la sconfitta dei concorrenti. I quattro giudici - come nel format occidentale - del resto sono quattro leggende della musica pop araba provenienti da diversi paesi: Ragheb Alama (l'Elvis Presley libanese), le due prime donne, Nancy Ajram e Ahlam e il produttore discografico egiziano Hassan El Shafei.
Ma la stella indiscussa dello show sembra essere il giovane Assaf, che con la sua voce ha conquistato il cuore di milioni di adolescenti per i quali è diventato il Justin Bieber mediorientale. I rumor dicono che il giovane cantante abbia dovuto penare prima di riuscire ad attraversare il confine di Rafah per recarsi al Cairo dove erano in programma le selezioni preliminari. Arrivato sul posto ha trovato però i cancelli chiusi, ma non si è dato per vinto: ha scavalcato gli ingressi e si è unito alla folla degli aspiranti concorrenti. Lì il primo colpo di scena: i biglietti per esibirsi erano finiti. Tutto è sembrato compromesso. Poi, come nella migliore delle sceneggiature di Hollywood, il classico colpo di scena: mentre disperato e affranto Mohammed comincia a cantare nel piazzale di fronte agli altri partecipanti, un ragazzo egiziano, colpito dalla sua voce, decide di cedergli il biglietto. Il resto è storia di oggi. Nei Territori e a Gaza - ma non solo - l'immagine di Mohammed Assaf è ormai un'icona: a Ramallah, venerdì scorso, migliaia di persone si sono riunite in strada per guardare lo show e per votare il proprio idolo. Le compagnie telefoniche palestinesi Jawwal e Watanya offrono sconti sugli sms per votare il nr 3, il suo numero. Il presidente palestinese Abu Mazen si è congratulato telefonicamente con lui. E anche a Gaza, dove Hamas è restio a manifestazioni in contrapposizione alla legge coranica, il giovane Mohammad ha fatto breccia. Tutti in fila a guardare il proprio concittadino in tv.
(ANSAmed, 28 maggio 2013)
Iran - Chiusa dalla polizia una chiesa che celebrava liturgie in persiano
TEHERAN - La chiesa "Assembra di Dio" a Teheran, la più grande chiesa cristiana di lingua persiana ("farsi") in Iran, è stata chiusa dalle forze di sicurezza iraniane. Nei giorni scorsi il Pastore Robert Asseriyan, che guidava il culto nella chiesa, era stato arrestato. Secondo fonti locali, le pressioni per la chiusura della Chiesa erano già forti da almeno sei mesi. La polizia ha annunciato che chiunque cerchi di entrare in chiesa sarà arrestato. Come riferiscono a Fides alcuni fedeli locali, la ragione principale per la chiusura è che le autorità di sicurezza iraniane, soprattutto un'ala delle Guardie della Rivoluzione, intende eliminare del tutto dal paese i servizi di culto in farsi e limitarli alla lingua armena.
In una nota giunta a Fides dagli Stati Uniti, il Pastore George O. Wood, a capo del Consiglio Generale delle "Assemblee di Dio" (comunità cristiane evangeliche) ha espresso la sua preoccupazione chiedendo alle autorità iraniane il rispetto della libertà di culto. Secondo il Pastore, l'episodio potrebbe dare il via alla chiusura di tutte le altre chiese cristiane che celebrano liturgie in persiano sul territorio iraniano.
Il Ministero iraniano dell'Intelligence e il Ministero della Guida Islamica monitorano da anni tutte le attività dei cristiani nelle diverse chiese e, per prevenire il diffondersi di servizi di culto e studi biblici in lingua farsi, hanno imposto ai leader cristiani di segnalare i nomi di tutti i cittadini iraniani partecipanti alle celebrazioni. In passato anche la comunità cristiana protestante "Emmanuel" aveva ricevuto l'ordine di interrompere tutti i suoi servizi liturgici in persiano.
(Agenzia Fides, 28 maggio 2013)
I nemici che salvano la vita
Al Wolfson Medical Center di Tel Aviv una piccola siriana viene strappata alla morte
di Dario Ferri
Una bambina siriana di quattro anni, vittima di gravi problemi cardiaci, è stata strappata alla morte con un delicato (e fortunato) intervento chirurgico realizzato in un paese nemico, precisamente al Wolfson Medical Center di Tel Aviv, Israele.
INTERVENTO SALVAVITA - La piccola, che fino a poco fa aveva difficoltà perfino a camminare o parlare è ricoverata, ora convalescente, in un reparto insieme a bambini provienienti da Cisgiordania, Striscia di Gaza, Sudan, Romania, Cina e Israele. "Sarebbe sicuramente morta se non fosse arrivata qui", ha spiegato Ilan Cohe, uno dei medici che ha curato la paziente. "Molti pazienti - ha aggiunto - arrivano da paesi nemici e vedono gli Israeliani come demoni". "Questa è la prima volta che li vedono senza divisa e credo sia una bella sorpresa". Intervento e cura sulla bambina siriana sono frutto del lavoro dell'organizzazione no profit israeliana "Save a Child's Heart", fondata da Ami Cohen e che dal 1992 ad oggi ha contribuito a curare 3.200 piccoli pazienti provenienti da 45 paesi. Anche con un po' di rammarico: "Abbiamo una capacità limitata e non siamo in grado di curare tutti i milioni di bambini che avrebbero bisogno di aiuto".
IDENTITA' SEGRETA - Il viaggio della bambina di 4 anni dal territorio martoriato dalla guerra civile tra le truppe del presidente Bashar al Assad e ribelli anti-regime è stato lungo e pericoloso. Madre e figlia hanno raggiunto il territorio di Israele attraverso un paese terzo e la loro identità non è stata svelata per ragioni di sicurezza. La donna non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione. La bambina è stata operata ad uno dei ventricoli cardiaci. Ora cammina liberamente per i corridoi dell'ospedale. E gioca con i bambini di diversa nazionalità. Lontana da povertà, bombe e paura. Almeno per un po'.
(Giornalettismo, 27 maggio 2013)
Leva per ebrei ortodossi: Lapid minaccia la crisi
TEL AVIV, 27 mag - Il neo ministro delle Finanze israeliano Yair Lapid, leader del movimento centrista-laico 'C'e' futuro', ha minacciato oggi una crisi di governo se non passera' la legge di riforma della leva che vuole includere gli ebrei ortodossi nella leva, o almeno in un servizio civile obbligatori. ''Voglio essere molto chiaro - ha detto Lapid, che della riforma ha fatto un cavallo di battaglia - o passa o il governo si dissolve''. Una dichiarazione che ha riportato al centro del dibattito politico - anche se da giorni si discute sulle proposte in materia della Commissione presieduta dal ministro della scienza e tecnologia Yaakov Peri, dello steso partito di Lapid - lo spinoso dossier: tema che gia' in passato ha messo in difficolta' il governo a guida di destra di Benyamin Netanyahu.
''Se qualcuno pensa che io sia entrato in politica - ha ammonito Lapid replicando ai mal di pancia di altre forze della coalizione, piu' sensibili alle proteste degli ebrei religiosi - solo per risolvere la catastrofe finanziaria lasciata dal precedente governo, allora non ha capito cosa stiamo facendo qui''. Moshe' Yaalon, influente ministro della Difesa in quota Likud, il partito del premier, ha tuttavia subito controbattuto: se ''Lapid vuol far infiammare la piazza degli ortodossi, io certo non lo seguiro'''. I molti compromessi che minacciano di svuotare la riforma - visto che in queste ore si intrecciano mediazioni e tentativi di 'aggiustamento' - sembrano non piacere neppure al capo dell'opposizione, la laburista Shelly Yachimovich. Il lavoro che sta uscendo dalla Commissione Peri sarebbe - a suo giudizio - addirittura ''peggiore'' d'una precedente proposta di riforma parziale, poi abortita. Al momento, a quanto riportano i media, la bozza del governo prevede che al compimento dei 17 anni tutti i giovani ortodossi debbano presentarsi negli uffici di leva. Avranno pero' diritto a rinviare l'arruolamento fino all'eta' di 21 anni e poi potranno scegliere se svolgere il servizio militare (come i loro coetanei sono tenuti a fare in Israele, i ragazzi per tre anni e le ragazze per due) o un servizio civile sostitutivo. Resterebbe invece esentato un numero ristretto di 1800 religiosi ogni anno.
Di fronte alle frizioni nella coalizione e' intervenuto in serata lo stesso Netanyahu, che ha provato a buttare acqua sul fuoco: ''Sono sicuro - ha assicurato - che alla fine si trovera' una soluzione sui pochi punti che rimangono aperti''.
(ANSA, 27 maggio 2013)
Oltremare - Quarto: l'ombra del semaforo
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
di Daniela Fubini, Tel Aviv
"Bevi molta acqua", ammonimento che dai primi giorni in Israele ho sentito di continuo - persino strano che non sia stato incluso nei Comandamenti, o perlomeno in una delle molteplici liste di regole e indicazioni all'uso della vita e della Terra d'Israele che certo non ci mancano. Tant'è. Noi donne comunque ci abituiamo presto alla scelta della borsetta in base alla capienza: mezzo litro almeno d'acqua ci deve stare, sì, meglio anche per la sera. Gli uomini non so, si regolano diversamente oppure per machismo rischiano ogni giorno la disidratazione.
Quello che invece nessuno mi ha insegnato, ma ho prontamente imparato per imitazione o meglio per osmosi, è il trucco del semaforo. Nell'attraversare di giorno una qualsiasi strada, specie se a più corsie, molto probabilmente la maggior parte del percorso è in pieno sole. Che in Israele significa, per molti mesi: 30/35 gradi centigradi calcolati all'ombra, più i 10/15 di differenza al sole, più l'effetto riscaldante dell'asfalto, più i gas di scarico (caldi anche quelli) delle automobili in moto e di quelle ferme al semaforo. Non oso tentare una somma. Dunque, poter stare anche parzialmente all'ombra mentre si aspettano lunghi secondi di passaggio dal rosso al verde, ha il suo senso. Anche solo con la testa, che come si impara qui traspira la maggior parte dell'acqua che il corpo perde durante il giorno. Ecco allora che l'ombra sottile del semaforo, di un palo della luce, o (magari!) di un cartellone pubblicitario, si trasformano in microscopiche oasi di riparo temporaneo dalla canicola estiva.
Per lo stesso principio, in Israele si vedono spesso persone che aspettano l'autobus non alla fermata, ma dietro o di lato, formando brevi file compatte e ordinate che non seguono l'ordine di arrivo o l'età, ma quel po' di ombra squadrata proiettata dalla fermata stessa. E mi sembrano bambini che vogliono fare uno scherzo alla maestra e si acquattano dietro a un muretto per poi uscire tutti insieme "Cu-Cù"! Invece chi arriva è l'autobus, e tutti salgono accalcandosi per pagare il biglietto all'autista, e godersi l'escursione termica di venti gradi in meno, dall'estate bollente all'aria condizionata che gela il sudore e il cervello in ugual misura.
(Notiziario Ucei, 27 maggio 2013)
La Banca centrale israeliana taglia ancora il tasso di riferimento
Nuovo taglio al costo del denaro per la Banca centrale israeliana. Per la seconda volta nellultimo mese, la Bank of Israel ha annunciato di aver ridotto il tasso di riferimento di 25 punti base portandolo all1,25%. Si tratta del livello minore dal marzo del 2010.
La mossa punta a indebolire la moneta locale, lo shekel, e a rilanciare lexport. Negli ultimi sei mesi il cambio euro/shekel è sceso del 4% mentre lincrocio con il dollaro Usa è arretrato del 3,9%.
(FinanzaOnline, 27 maggio 2013)
Il menu ebraico sbarca a Capri
Ecco l'offerta di piatti con certificazione koshèr: a Capri un occhio di riguardo anche per i visitatori di religione ebraica osservante.
di Flaminia Giurato
Carciofo alla giudia
E' l'unico ristorante in tutta l'isola di Capri e il primo in assoluto a sud di Roma a proporre un'offerta di piatti certificati koshèr, per chi osserva la religione ebraica: la cucina di Terrazza Tiberio del Capri Tiberio Palace Hotel da quest'anno viene incontro alle difficoltà che riscontrano nel mangiare fuori casa i clienti che obbediscono rigorosamente alle norme imposte dalla Torah.
Aperto a pranzo e a cena anche ai non ospiti dell'hotel, il ristorante propone piatti semplici che fondono la tradizione giudaica con quella locale, integrando l'offerta del menu tradizionale che si basa sulla cucina tipica dell'Isola Azzurra, centrata sulla qualità e stagionalità degli ingredienti mediterranei e sul pesce, con una serie di proposte del giorno in modo da offrire la scelta più vasta alla clientela.
Tra gli antipasti: Carciofi alla giudia, Cous cous con salsa haraimi, Humus,Insalata di patate con tahina. Tra i primi Casarecce alla genovese, Linguine con zucchine in fiore, Mezzi paccheri ceci e baccalà; tra i secondi Stracotto di carne, Kebab di carne macinata allo spiedo, Spigola all'acqua pazza, Bistecca di manzo arrostita, Vitello alla pizzaiola per concludere la tipica Torta Caprese,Semifreddo di frutti di bosco, Torta meringata al limone, Babà napoletano al rum.
Tutti i piatti, preparati secondo i precetti della religione ebraica e garantiti da un rigoroso controllo del rabbinato, assicurano grazie alla ferrea vigilanza, oltre al rispetto della complessa normativa religiosa in materia di nutrizione, un'alta qualità dei prodotti, freschezza e qualità, rendendo il nuovo menu interessante ed appetibile anche per una clientela tradizionale, curiosa di sperimentare l'inedito ed esotico connubio tra dieta mediterranea e cucina ebraica.
(La Stampa, 27 maggio 2013)
La comunità ebraica di Roma contro Di Stefano: "Su Israele è ignorante, non conosce la storia
Sotto accusa un intervento in Aula del deputato grillino Manlio Di Stefano. Fabio Perugia, portavoce della comunità ebraica: «Non conosce la Storia, si documenti"
di Marco Pasqua
«I grillini vadano a lezione di Storia. Sono ignoranti, non conoscono le basi della nostra storia più recente». Parole dure, quelle che Fabio Perugia, portavoce della comunità ebraica di Roma, rivolge a Manlio Di Stefano, giovane deputato grillino. Oggetto delle critiche, un intervento in Aula, nel corso del quale si chiede al ministro dello Sport, Idem, di «esprimere solidarietà al popolo palestinese». E in cui, come fa notare Perugia, Di Stefano ha dato «prova di come la scarsa preparazione dia luogo alla nascita di clamorosi falsi storici e di come molti dei 5 Stelle, informandosi su fonti web non certificate, inciampino nelle più becere teorie antisemite».
L'intervento di Di Stefano, come spiega il sito Romaebraica.it, è dello scorso 21 maggio e ha per oggetto l'inaugurazione della Coppa Uefa di calcio under 21, il prossimo 5 giugno, in Israele. «Il 5 giugno è una data particolare perché è la data in cui Israele attaccò e occupò la Cisgiordania, Gaza, le alture del Golan e parte del Sinai - ha detto Di Stefano in Aula - Quindi rappresenta una giornata di conquista per Israele e probabilmente l'inizio della sofferenza per molte altre popolazioni. Gli israeliani in questo momento stanno praticando discriminazione e violenza anche in ambito sportivo perché si stanno distruggendo stadi, stanno facendo ostruzionismo agli eventi che prendono in considerazione il lato palestinese».
Nell'intervento, Di Stefano, parlando a nome dei 5 Stelle, aggiunge: «Noi crediamo che neppure lo sport possa esimersi dal rispetto dei diritti umani e che un evento così importante a livello mondiale debba chiaramente essere sotto l'occhio della riflessione collettiva anche da questo punto di vista. Quindi, mi rivolgo al Ministro Idem, il nostro Ministro dello sport, chiedendo che il 5 giugno non rimanga in silenzio ma esprima la nostra solidarietà al popolo palestinese che non può godere della libertà di questi eventi come tutti gli altri popoli liberi».
«In questo intervento Di Stefano inizia male e finisce peggio», attacca Perugia, che fa notare come «nella guerra dei Sei Giorni Israele si difese dai Paesi confinanti che, dall'Egitto all'Iraq, ammassarono le proprie truppe ai confini e dichiararono ufficialmente guerra allo Stato Ebraico chiudendo gli Stretti. Non fu, dunque, Israele ad attaccare ma fu Israele a difendersi riuscendo a salvare il proprio popolo dalle minacce di distruzione. A questo va aggiunto che successivamente alla guerra dei Sei Giorni Israele prima restituì la Penisola del Sinai all'Egitto e poi, negli ultimi anni, si è ritirata dalla Striscia di Gaza, passando il controllo della stessa e di parte della Cisgiordania alle varie autorità palestinesi, nell'ottica dell'accordo "terra in cambio di pace».
Per il portavoce della comunità ebraica, «quello del deputato 5 Stelle non è altro che un goffo tentativo di boicottaggio d'Israele. Del resto, come ricordano gli analisti di Focus On Israel e Progetto Dreyfus, di Stefano è lo stesso che sulla sua pagina Facebook ha postato: 'E' sconcertante che Israele possa bombardare sostanzialmente chiunque senza alcuna reazione degli stati 'democratici' occidentali'. Da un rappresentante parlamentare una tale impreparazione delle materie su cui ritiene opportuno intervenire è ingiustificabile. Chi è a capo dei 5 Stelle prima mandi a lezione di Storia i propri parlamentari e poi faccia allora chiarezza su cosa vuole essere: qual è la posizione ufficiale del Movimento? E inoltre: perché vengono tollerati ancora commenti antisionisti-antisemiti e razzisti sul blog di Grillo? Sono solo dei troll? Ed è un troll anche l'onorevole di Stefano?».
(Il Messaggero 27 maggio 2013)
Le scritte contro gli ebrei dei tifosi laziali
Dagli striscioni alle scritte sui muri all'indomani del derby Roma-Lazio
di Valentina Spotti
Nel corso della finale di Coppa Italia di ieri sera la tifoseria laziale ha mostrato uno striscione con una chiara allusione antisemita diretta ai tifosi della Roma: "La storia è sempre quella, sul petto vuoi la stella" - un riferimento nemmeno troppo velato alla stella di David, con cui si identificavano gli ebrei durante nazismo e fascismo.
Questa mattina, la pagina Facebook "Roma dica no ai raduni fascisti" ha pubblicato un'altra inequivocabile foto: una scritta azzurra apparsa su un muro di un edificio della Capitale: "Ecco la tua stella - Romanista ebreo".
Inevitabili i commenti: alcuni tifosi puntano il dito sulla "lazialità" come sinonimo di razzismo e antisemitismo, ma la ma la maggior parte dei commentatori laziali si dissociano dal gesto, condannando l'accaduto.
(Giornalettismo, 27 maggio 2013)
«Il presidente egiziano Morsi conquisterà Gerusalemme. Israele svanirà»
Il Mufti dei Fratelli Musulmani, citando una profezia, ha dichiarato sabato: «Israele è una creazione artificiale degli stranieri e svanirà»
Il Mufti Abdel Rahman al-Barr
Mohamed Morsi libererà Gerusalemme. È il Mufti dei Fratelli Musulmani Abdel Rahman al-Barr a predire la conquista musulmana di Gerusalemme da parte del presidente dell'Egitto. Il Mufti lo ha dichiarato sabato scorso durate la conferenza "Abbiamo liberato i nostri saldati e ora liberiamo la nostra [moschea a Gerusalemme] Aqsa", rifacendosi alla profezia di un chiaroveggente ebraico.
LA PROFEZIA - La moschea di al-Aqsa è il terzo sito più importante per i musulmani e si trova nella Gerusalemme vecchia, ora sotto il controllo di Israele, nello stesso luogo dove una volta era eretto il Tempio santo della religione ebraica. «Durante il governo del presidente Gamal Abdel Nasser, un chiaroveggente ebraico ha profetato che tre uomini chiamati Mohamed avrebbe guidato l'Egitto e che il terzo avrebbe liberato la moschea al-Aqsa di Gerusalemme - ha detto il leader musulmano - Il terzo Mohamed è proprio il nostro presidente Morsi, mentre il primo era Sadat e il secondo Mubarak».
«ISRAELE SVANIRÀ» - «Prima di Gerusalemme - ha aggiunto - devono essere liberate il Cairo e Damasco, come fatto da Saladino (che nel 12mo secolo ha unito Egitto e Siria, ndr). Israele, come precondizione per ogni dialogo di pace, vuole essere riconosciuto come Stato. Ma Israele è una creazione artificiale degli stranieri e svanirà». Infine ha lanciato un appello: «Tutti gli egiziani, a prescindere dalla loro professione, devono considerare come loro priorità la liberazione della Palestina».
«EBREI SONO SCIMMIE» - Non è la prima volta che un leader dei Fratelli Musulmani annuncia che Gerusalemme sarà conquistata. L'anno scorso, a guida suprema dei Fratelli Musulmani Sheikh Mohammed Badie ha dichiarato: «Gerusalemme è islamica e nessuno può accampare pretese sulla città santa. Il jihad per riprendere Gerusalemme è un dovere per tutti i musulmani». A inizio 2013 ha fatto scandalo una vecchia intervista del presidente Morsi, che negli Stati Uniti dichiarava: «Gli ebrei e i sionisti sono sanguisughe che attaccano i palestinesi, sono guerrafondai, discendono dalle scimmie e dai maiali».
(Tempi, 27 maggio 2013)
Attacco missilistico a Beirut
A Beirut, capitale del Libano, nella zona sotto il controllo del movimento radicale della "Hezbollah", sono esplosi due razzi di un lanciarazzi "Grad". Non ci sono vittime ma pare che tre/quattro persone siano state ferite.
L'attacco missilistico è stato effettuato immediatamente dopo il discorso di sabato del leader della Hezbollah Hasan Nasrallah, nel quale aveva annunciato che i guerriglieri della sua organizzazione combatteranno in Siria in favore del presidente Bashar al Assad fino alla vittoria finale. Al momento ancora non si sa chi ha effettuato questo attacco, anche se in precedenza i ribelli siriani avevano accusato la "Hezbollah" di aver ucciso alcuni di loro.
(La Voce della Russia, 27 maggio 2013)
La crescita dell'antisemitismo in Europa
Una recente ricerca dell'Università di Tel Aviv rivela che gli episodi di antisemitismo in Europa sono aumentati del 30 per cento tra il 2011 e il 2012
di David Harris*
David Harris
Un'ulteriore analisi dell'antisemitismo in Francia rileva che tali episodi hanno subìto un incremento del 58 per cento nello stesso periodo, e svela che la metà di tutti gli atti di razzismo commessi in quel paese sono diretti verso gli ebrei, mentre costoro costituiscono solo l'uno per cento della popolazione. Il fatto più eclatante dello scorso anno è stato l'assalto ad una scuola ebraica di Tolosa, terminato con l'omicidio di quattro ebrei, tra cui tre bambini.
Inoltre, sia Jobbik in Ungheria che Alba Dorata in Grecia, due movimenti che perseguono aggressivamente politiche xenofobe ed antisemite, hanno ottenuto l'ingresso di propri rappresentanti nei parlamenti di Stati membri dell'Unione europea. Altri movimenti politici estremisti che operano all'interno dell'UE hanno riscosso un discreto successo a livello locale e regionale.
In un editoriale del 5 maggio scorso, il quotidiano britannico The Independent ha descritto Jobbik così: "[sono dei] populisti ungheresi venuti dal nulla in pochi anni, che attribuiscono le colpe di tutti i malanni del loro paese ad un nemico interno - sarebbe a dire, a mezzo milione di Rom e 100.000 ebrei. "
Dal canto suo, Alba Dorata utilizza immagini pseudo-naziste nella sua demonizzazione degli ebrei e degli immigrati per portare avanti la sua piattaforma - un fatto che, per un Paese che soffrì la brutale occupazione del Terzo Reich, rende il suo parziale successo alle elezioni ancora più scioccante.
Ulteriori sondaggi hanno mostrato che gli atteggiamenti antisemiti continuano ad essere molto diffusi in alcuni paesi europei, tra cui risaltano la Spagna e la Polonia.
Inoltre, l'antisemitismo online è in aumento, e ciò ha spinto almeno un governo, quello francese, a cercare di combatterlo attivamente.
Infine, la campagna di demonizzazione e delegittimazione di Israele si fa più pressante.
Questa campagna va al di là delle normali critiche verso specifiche politiche israeliane, che fanno parte della vita quotidiana di ogni nazione democratica. Invece, secondo la definizione operativa di 'antisemitismo' dell'Agenzia dell'Unione Europea per i Diritti Fondamentali, si tratta di "negare il diritto all'autodeterminazione del popolo ebraico", "applicando due pesi e due misure, esigendo da Israele un comportamento che invece non si richiede ad altri paesi democratici", "utilizzando i simboli e le immagini dell'antisemitismo classico per fare la caricatura ad Israele e gli israeliani", oppure "metterndo a confronto la politica israeliana odierna con quella dei nazisti".
La crescita dell'antisemitismo in Europa è alimentata da tre fonti principali: l'estrema destra, in gran parte sostenuta dalle preoccupazioni per la crisi economica e per la crescente migrazione; l'estrema sinistra, che si rifiuta di accettare il diritto di Israele ad esistere, e da quei musulmani che sposano l'odio per gli ebrei e Israele. Un recente studio condotto in Belgio ha rilevato in proposito che quasi la metà degli studenti adolescenti musulmani esprimono opinioni antisemite.
Perché l'Europa, tra le sue molte altre sfide, dovrebbe preoccuparsene?
Le ragioni sono chiarissime.
L'Europa, più di ogni altro continente, conosce il pericoloso percorso dell'antisemitismo - da dove comincia e dove può portare.
Inoltre, la storia insegna che l'antisemitismo inizia sì con gli ebrei, ma in ultima analisi, minaccia il benessere di interi paesi.
Infine, l'Unione Europea ha reagito a secoli di guerre e persecuzioni sul suolo europeo per difendere i valori umanistici. Quando questi valori sono minacciati è giunto il momento di agire.
Non vi è una unica soluzione all'annosa patologia dell'antisemitismo, ma un buon punto di partenza sarebbe quello di ammettere che il problema esiste.
Ciò può sembrare ovvio, ma c'è chi si rifiuta di ammetterlo. Alcuni funzionari europei preferiscono credere che gli attacchi contro gli ebrei siano solo atti di "teppismo", non atti di antisemitismo. Altri trascorrono interminabili ore mettendo in discussione la metodologia dei sondaggi, invece di digerirne i risultati, che si confermano essere sempre preoccupanti. Altri, poi, preferiscono discutere sino alla nausea su dove si trovi il confine tra la critica ad Israele "legittima" e quella "illegittima", invece di riconoscere il semplice fatto che l'antisemitismo sin troppo spesso prende di mira il singolo ebreo per passare poi all'intero Stato ebraico di Israele.
E' necessaria la completa mobilitazione delle quattro componenti delle nazioni democratiche: (a) gli organismi regionali come l'Unione europea, il Consiglio d'Europa, l'OCSE; (b) lo Stato: la sua leadership politica, le forze dell'ordine, la magistratura ed il sistema educativo; (c) la società civile - i gruppi religiosi, le organizzazioni per i diritti umani, ed i media; e (d) gli individui di buona volontà.
Naturalmente, ci sono molti esempi odierni di tale mobilitazione. L'OCSE possiede un suo rappresentante speciale per combattere l'antisemitismo. Alcuni governi hanno adottato misure forti contro l'antisemitismo. Vi sono poi leader cristiani e musulmani che mostrano solidarietà con gli ebrei, e viceversa, nell'affrontare gli atti di fanatismo. E ci sono atti spontanei di buona volontà, come quello degli studenti Italiani che hanno difeso la loro compagna di classe ebrea derisa in maniera scandalosa da una sua insegnante Eppure, mentre il problema cresce, sono necessarie più azioni di questo genere, ad ogni livello e in ogni paese. In caso contrario, non sono solo gli ebrei a rischio, ma lo è il tessuto stesso della società.
*David Harris è direttore esecutivo dell'American Jewish Committee (AJC).
(Vatican Insider, 27 maggio 2013)
Kerry, quattro miliardi ai palestinesi. Dollari in cambio di pace
Tutti contenti. Soprattutto Abu Mazen
John Kerry ci crede ancora. "Il piano per l'economia palestinese è quanto di più grande e ambizioso sia stato mai proposto dagli accordi di Oslo negli ultimi 20 anni". Nonostante anni di lavoro sprecato, il segretario di stato americano vuole rilanciare il negoziato tra israeliani e palestinesi con una iniezione di aiuti economici alla Palestina. Dal Mar Morto, in Giordania, annuncia 4 miliardi di dollari di investimenti per infrastrutture turistiche e per l'agricoltura. Obiettivo far crescere l'economia palestinese del 50 per cento nei prossimi 3 anni. Il piano, messo a punto dall'inviato speciale del quartetto, Tony Blair, si concentrerà sul settore privato della società palestinese ma per Kerry è evidente il gancio diplomatico. Il nuovo piano marshall avrà successo se saranno ottenuti dei risultati dal punto di vista diplomatico. Per adesso nella photo-opportunity, Kerry benedice la stretta di mano tra Abbas e Peres. Sempre secondo Kerry, il piano ha avuto l'ok del primo ministro israeliano Netanyahu. Ma forse gli israeliani si sono stancati di tutte le parole sprecate intorno al processo di pace e solo per una classe dirigente che sta invecchiano resta questo il problema prioritario del Paese. Kerry si ostina a sollevare la questione, ma sappiamo come la pensano i palestinesi sul riconoscimento dello stato ebraico o sulle questioni dei confini. Si prova a persuaderli con i finanziamenti. Vedremo se servirà a qualcosa, a differenza che in passato.
(l'Occidentale, 27 maggio 2013)
"Dollari in cambio di pace", ovvero "Hardware in cambio di software". Dieci anni fa scrivevamo su questo sito il seguente commento (Notizie su Israele 183):
«Le negoziazioni in Medio Oriente avvengono così. I palestinesi offrono agli israeliani "merce morbida" (software), etichettata sotto il termine generico "pace", in cambio di "merce dura" (hardware), consistente in terra, armi e soldi. I palestinesi incassano subito l'hardware israeliano, ma il software "pace" diventa addirittura volatile, perché agli israeliani non arriva niente. Segue allora un periodo di inevitabili contrasti, lotte, rabbie, sofferenze che spingono gli israeliani a desiderare ancora di più il software "pace" che si trova in mano alla controparte. Al momento opportuno i palestinesi tirano fuori solo una parte della merce che avrebbero dovuto consegnare subito e la rioffrono agli israeliani a un prezzo maggiorato. A questo punto intervengono gli americani che costringono gli israeliani a convincersi che si tratta di un buon affare.»
Il giochino palestinese continua ancora, perché evidentemente funziona. Lunica differenza è che adesso i palestinesi offrono la loro merce morbida pace direttamente agli americani in cambio della merce dura soldi suonanti. Quando questi saranno finiti, sarà sufficiente svalutare la merce pace già offerta con scompigli e agitazioni, e offrire come rimedio unaltra trancia di pace promessa (ne hanno in abbondanza) per ottenere così unaltra trancia di merce dura soldi suonanti. Ingegnoso il sistema. Con gli americani funziona alla meraviglia, soprattutto da quando a condurre le trattative con i palestinesi è un tipo come John Kerry. M.C.
Finisce il sogno dell'auto elettrica in Israele
Termina l'avventura dell'imprenditore israeliano Shai Agassi: la sua Better Place è entrata in regime di bancarotta. Il debito da 850 milioni di dollari era ormai diventato insostenibile, ed "I ricavi non sono sufficienti per coprire i costi operativi".
Better Place è entrata in regime di bancarotta. Termina quindi l'avventura dell'imprenditore israeliano Shai Agassi, uno fra i primi 'visionari' a credere ed investire nel campo delle automobili elettriche, capace di stringere accordi di collaborazione tanto con industrie private (Renault-Nissan) quando con attori pubblici (lo stato israeliano, che sperava di ridurre la sua dipendenza dal petrolio). La notizia è ufficiale e viene riportata da un comunicato. L'azienda californiana - il suo quartier generale è a Palo Alto - è stata infatti travolta da un debito monstre, quantificato in circa 850 milioni di dollari. "I ricavi non sono sufficienti per coprire i costi operativi" recita la nota.
Better Place viene fondata nel 2007 e trova finanziatori del calibro di Morgan Stanley ed HSBC. L'azienda cercava di sviluppare un modello di business alternativo, che prevedeva la sostituzione rapida di pacchi batteria scarichi: all'interno di specifiche stazioni era possibile rimpiazzare accumulatori esausti con altrettanti carichi nel giro di appena tre minti, replicando di fatto l'impostazione di un tradizionale benzinaio. Better Place era inoltre incaricata della vendita di una berlina elettrica alter ego della Renault Fluence Z.E. I suoi acquirenti potevano inoltre comperare pacchetti di ricarica annuali, che prevedono un chilometraggio prestabilito e l'accesso ai centri di cambio batteria: in Israele, ad esempio, la vettura era offerta con un pacchetto di 3 anni e 25.000 km annui al prezzo di 46.000 dollari, oppure al prezzo di 36.000 dollari con pacchetti mensili da 320 a 470 dollari in base al chilometraggio.
Nel prezzo era poi compresa l'installazione di una centrale di ricarica casalinga, da utilizzare quotidianamente nel caso in cui non sia necessario percorrere più di 160 chilometri. La situazione societaria di Better Place è turbolenta fin dallo scorso ottobre, quando Shai Agassi venne improvvisamente defenestrato. Questa mossa non si è rivelata sufficiente per arginare la crisi, come nemmeno la successiva chiusura delle sue attività in Australia e negli Stati Uniti.
(autoblog, 27 maggio 2013)
Quattro giorni per ricordare il salvataggio degli ebrei
di Fabio Zizzo
APRICA (SO) - Sarà una quattro giorni intensa per Alan Poletti, autore della ricerca storica e del libro sulla vicenda degli oltre duecento ebrei internati ad Aprica tra il 1942 e il 1943, posti in salvo grazie a una rete di rischiose solidarietà locali. Ma sarà soprattutto una grande emozione per Vera Neufeld e Branco Gavrin, all'epoca bambini, rivedere per la seconda volta i luoghi d'un periodo della loro infanzia e la fuga attraverso il confine svizzero.
Una prima volta, infatti, essi l'hanno già rivissuta interamente qualche anno fa. Soprattutto sarà, per gli aprichesi e gli ospiti che vorranno partecipare, un'occasione importante per ricordare un lontano e triste passato, durante il quale però vennero alla luce anche il miglior spirito e il miglior carattere dei nostri padri e nonni. Quasi tutti si distinsero per ospitalità, molti per fratellanza e alcuni anche per abnegazione nell'aiuto disinteressato agli sventurati Zagàbri. Ci sarà occasione per ricordarli tutti durante le cerimonie previste, compresi quelli ancora in vita. E all'Aprica sono più d'uno.
Si inizia l'1 giugno, con la posa di una Stele della Memoria nel Giardino di via Elvezia a Tirano, in ricordo di quanti collaborarono, nel Tiranese e in provincia, al salvataggio di quegli Ebrei perseguitati dalle leggi razziali. Uno degli eventi più significativi e rilevanti per il numero degli interessati, fu il trasferimento in Svizzera, organizzato con l'apporto di parroci, finanzieri, carabinieri e guide, degli ebrei di Aprica. All'avvenimento ha dedicato ricerche negli archivi inglesi, svizzeri e romani il prof. Alan Poletti, docente universitario a riposo e nipote di un emigrato di Villa di Tirano in Nuova Zelanda. Il suo studio, già edito in lingua inglese col titolo "A second life. Aprica to salvation in Switzerland 1943? è stato tradotto a spese dell'autore ed è stato pubblicato, per conto del Comune di Aprica, nelle edizioni del Museo Etnografico Tiranese con il titolo "Una seconda vita: Aprica - Svizzera 1943, la salvezza" (Sondrio 2012, pp. 155).
Il Comune di Tirano ha fatto i passi necessari per la realizzazione del monumento e ha identificato come luogo più idoneo il giardino pubblico di via Elvezia che si trova al centro dell'imbocco della Valle di Poschiavo, di fronte al commissariato di Pubblica Sicurezza. È questo un luogo simbolo della frontiera e del confine in senso concreto e anche ideale. Il monumento si chiamerà Stele della Memoria e sarà visibile a chi percorrerà la variante della Statale 38 che porta al valico di confine di Stato di Piattamala e a chi transiterà a bordo del Trenino Rosso del Bernina che collega Tirano a St. Moritz, da qualche anno iscritto nel Patrimonio Mondiale dell'Umanità Unesco.
Esprimi un desiderio in occasione del Concerto inaugurale dell'Auditorium di Tel Aviv che riapre rinnovato, dopo più di tre anni di lavori. Contiene 2400 posti, 300 in meno della vecchia struttura, ma molto più comodi e con un'acustica all'avanguardia. Sul podio dirige Zubin Mehta e suona Itzhak Perlman. Mehta comunica subito pathos dirigendo l'Hatkvah rivolto direttamente verso il pubblico. Si apre con il Festival Prelude di Noam Sceriff, segue il concerto per violino ed orchestra di Ludwig van Beethoven op. 61 con un'esecuzione magistrale e virtuosistica di Itzhak Perlmann. Una standing ovation interminabile accompagna Perlmann che lascia faticosamente il palco, ma è tale lo scroscio di applausi che rientra in scena per gustarseli, questa volta guidando velocemente una sedia a rotelle. Gli applausi si rinnovano e Perlmann esce seguito da un saltellante Zubin Mehta, visibilmente compiaciuto del successo dell'amico violinista.
La serata si conclude con la Quinta sinfonia di Gustav Mahler, che lascia il pubblico pienamente appagato mentre il direttore e l'orchestra sono visibilmente stremati.
All'uscita brilla la luna piena, di buon augurio per l'inaugurazione della nuova sala e la ripresa della programmazione. È anche l'uscita del sabato, 25 maggio 2013, e l'inizio di una settimana che nasce sotto buoni auspici.
(Notiziario Ucei, 26 maggio 2013)
Hezbollah promette impegno al fianco di Assad per la vittoria finale
Hezbollah combatterà a oltranza al fianco delle forze del presidente Bashar al Assad per garantire la vittoria finale in Siria. In un discorso televisivo trasmesso in occasione del tredicesimo anniversario del ritiro israeliano dal sud del Libano, il leader del movimento sciita libanese ha difeso l'intervento delle sue milizie nella lotta ai ribelli e ha accusato Israele e gli Stati Uniti - che considerano Hezbollah organizzazione terroristica - di fomentare il conflitto.
"Posso testimoniare - ha aggiunto Nasrallah - che l'attuale leadership siriana ha accettato di sedersi al tavolo delle trattative per raggiungere una soluzione politica e ha accettato di implementare riforme fondamentali nel regime ma l'opposizione ha rifiutato il dialogo finora".
I combattimenti in Siria si concentrano ora a Qusayr, città vicina al confine libanese che le forze governative starebbero riconquistando. Sul fronte politico, Damasco ha accettato in linea di principio di partecipare alla conferenza internazionale di pace promossa da Stati Uniti e Russia a giugno, ma il cammino verso la cosiddetta "Ginevra 2" è a ostacoli, con un'opposizione orientata a partecipare, ma fortemente divisa.
(Euronews, 26 maggio 2013)
Hacker filosiriani contro la distribuzione di acqua a Haifa
GERUSALEMME, 25 mag. - Gli hacker filosiriani hanno sabotato il sistema che gestisce la distribuzione dell'acqua ad Haifa, in Israele. "L'attacco", ha spiegato Yitzhak Ben-Israel, capo del Consiglio nazionale di Ricerca e sviluppo, "e' stato portato a termine da un'organizzazione della quale non conosciamo i capi". Ben-Israele, ex consigliere di Benjamin Netanyahu per la sicurezza cibernetica, che l'aggressione e' una sorta di ritorsione contro i raid dell'aviazione dello Stato ebraico nel Paese impegnato da due anni in un conflitto civile. Ad aprile c'era stato un altro cibernetico siriano, che, secondo i servizi di sicurezza dello Shin Bet, aveva causato un danno considerevole.
(AGI, 25 maggio 2013)
Pronti per un secondo disastro? Ecco il piano di pace per la Siria
di Danile Raineri
ROMA - Ieri la Russia ha detto che il governo siriano è d'accordo "in principio" a partecipare alla conferenza di pace che si terrà a Ginevra entro le prossime due settimane. Per la prima volta rappresentanti del presidente Bashar el Assad siederanno a un tavolo con l'opposizione, in un incontro sponsorizzato da Stati Uniti e Russia. Il piano di pace Ginevra 2 ricalca il Ginevra 1, proposto il 30 giugno 2012 e prevede un cessate il fuoco a tempo indeterminato e la creazione a Damasco di un governo di transizione a cui affidare i poteri. Le posizioni sono inconciliabili già in partenza. Washington mercoledì scorso ha chiesto che Assad lasci il potere e non faccia parte di questo nuovo, ipotetico governo. Moaz al Khatib, rappresentante dell'opposizione siriana, ha chiesto che Assad lasci la capitale "entro 20 giorni, con 500 persone a sua scelta che potrà portarsi dietro", ma senza garanzia di immunità legale contro eventuali processi. Assad invece è fermo sulla sua posizione, lascerà l'incarico soltanto se sarà sconfitto nelle elezioni presidenziali che intende tenere l'anno prossimo, nel 2014. I russi, suoi sponsor, non hanno accennato ad alcuna condizione su Assad. Insomma: sul punto centrale, se Assad debba o non debba restare al suo posto, le parti sono in completo disaccordo. Ginevra 2 rischia di fare la fine di Ginevra 1, che fu un fallimento completo. Il piano avrebbe dovuto fermare i combattimenti, ma è passato quasi un anno e sono aumentati d'intensità: allora i morti erano circa 19 mila, oggi sono attorno a quota 100 mila. Il mediatore delle Nazioni Unite, Kofi Annan, si dimise per la frustrazione quando si rese conto che il piano non poteva funzionare. Ieri il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si è sentito al telefono con il segretario di stato americano, John Kerry, per parlare della conferenza di pace di Ginevra (ancora non si conosce il giorno, anche se circola la data del 10 giugno). I due si incontreranno lunedì a Parigi, per parlare ancora. Questo clima d'intesa è però superficiale. Kerry nel suo recente viaggio a Mosca è stato tenuto fuori ad aspettare tre ore prima di incontrare il presidente Vladimir Putin - una rottura umiliante del protocollo - ma più che la forma conta la sostanza: Mosca continua le forniture di armi alla Siria sostenendo di dover onorare contratti già firmati, ma di recente sta fornendo ad Assad i mezzi per bloccare un eventuale intervento dall'esterno. Sistemi d'arma sofisticati, batterie di missili terra-aria capaci di colpire gli aerei che decollassero da Cipro, la base più vicina a disposizione della Nato, o dal mare davanti alle coste siriane. Washington rischia di trovarsi presto senza più possibilità di esercitare pressioni sul governo di Assad e non è la condizione ideale per sedersi ai negoziati. L'Amministrazione Obama non sembra nemmeno in grado di esercitare influenze pesantissime sui ribelli, perché per ora ha scelto la linea attendista dell'impegno ridotto. Gli aiuti più visibili sono le razioni militari di cibo già pronto che fa arrivare ai ribell. Così, se da una parte del tavolo di Ginevra 2 c'è idealmente Putin che sostiene Assad con i missili, dall'altra c'è Obama che aiuta l'opposizione con i tortellini secchi al formaggio. I sauditi in albergo a Istanbul La Russia annuncia la partecipazione del governo siriano alla conferenza di apce, ma a Damasco il potere pre-rivoluzione è stato sostituito da un consorzio allargato, di cui fanno parte Assad, il governo dell'Iran e i leader del gruppo libanese Hezbollah, che prende le decisioni strategiche come quella di attaccare la città di Qusayr e che non intende trattare sul serio un compromesso con l'opposizione. Sul fronte opposto, ieri una quindicina (su 30) di appartenenti del Consiglio militare supremo, lo stato maggiore dei ribelli (che però non rappresenta i gruppi estremisti come Jabhat al Nusra) ha incontrato in un albergo di Istanbul una delegazione saudita. Il regno del Golfo ha sostituito il Qatar come principale finanziatore della ribellione, ma tende a privilegiare i gruppi più moderati (può sembrare controintuitivo, ma i sauditi non vogliono rafforzare l'estremismo per poi ritrovarselo in casa). Il flusso di aiuti per ora ha rallentato.
(Il Foglio, 25 maggio 2013)
Gli europei di calcio under 21, arma per i terroristi e gli odiatori
Israele è quasi bloccato nelle risposte militari alle tante provocazioni che arrivano da parte di Hezbollah e di Hamas ed è attestato in posizioni prettamente difensive. A provocare questa situazione è l'avvicinarsi della data della fase finale degli europei di calcio under 21 che si terrà in Israele dal 5 al 18 giugno.
Infatti a Gerusalemme si rendono perfettamente conto che una risposta militare articolata a tali provocazioni provocherebbe una reazione da parte dei gruppi per il boicottaggio di Israele e dei tanti gruppi e sigle pacivendole che pullulano in tutto il mondo, reazioni che come sempre prescindono dal fatto che Israele abbia ragione o meno.
Ma se lo sanno a Gerusalemme lo sanno anche a Damasco, a Beirut, a Ramallah, a Gaza e, soprattutto, a Teheran. Per questo negli ultimi giorni sono aumentate le provocazioni sul Golan, lungo il confine con il Libano, a Gaza e in Cisgiordania ed è prevedibile che nei prossimi giorni e settimane aumenteranno ancora....
(Rights Reporter, 25 maggio 2013)
Gli ebrei a Sanremo e nel Ponente: da Walter Benjamin a Serge Voronoff
di Pierluigi Casalino
Walter Benjamin
SANREMO - E pur tuttavia, fin dall'Ottocento, gli ebrei di Sanremo disponevano di piccole sinagoghe, di centri di cultura giudaica e gestivano persino alberghi
Tra le storie degli ebrei a Sanremo e nel Ponente Ligure, si ricordano, in particolare, quelle di intellettuali come Walter Benjamin, che soggiornò a Sanremo e ne visse l'incanto, conservandone il ricordo fino alla sua tragica scomparsa, di scienziati come il medico russo di origine ebraica, Serge Voronoff, stabilitosi a Grimaldi nel 1925, allo scopo di promuovere i suoi studi di ringiovanimento. Entrambi furono assidui frequentatore della comunità ebraica della Città dei Fiori: una comunità non così nota come quelle dei russi, dei tedeschi, degli svizzeri e degli inglesi, che avevano scelto soprattutto Bordighera ed Alassio come centri d'elezione.
E pur tuttavia, fin dall'Ottocento, gli ebrei di Sanremo disponevano di piccole sinagoghe, di centri di cultura giudaica e gestivano persino alberghi. L'ex moglie di Walter Benjamin, definito l'Angelo della Storia, oltre che per aver tentato di coniugare la teologia ebraica con il marxismo, conduceva la pensione Villa Verde alla Foce. La bellezza del paesaggio e lo spirito universale e cosmopolita di Sanremo , la sua mondanità e vivacità culturale attrassero molti uomini di pensiero ed artisti ebrei, ma anche uomini d'affari e diplomatici di famiglia ebraica anche tra le due guerre mondiali.
Durante la Conferenza di Sanremo del 1920 che decise le sorti degli ex territori ottomani del Medio Oriente, notevole fu l'interesse suscitato nel mondo ebraico dalle trattative internazionali in corso sulla destinazione di quell'area del mondo. Walter Benjamin era uno scrittore oscuro, eccentrico, inquietante, introspettivo, misterioso, esoterico, pervaso da slanci cabalistici e poi convertitosi al materialismo dialettico. Benjamin perseguiva nel marxismo "le cose fini e spirituali", quali immagini autentiche della lotta di classe. Ricca di per sé di atmosfere e di sentimenti struggenti, Sanremo restò per questa ragione nel cuore di Benjamin fino all'ultimo suo giorno, quando temendo di essere consegnato ai nazisti e ai fascisti francesi, si tolse la vita a Port-Bou,al confine franco-spagnolo nel settembre del 1940.
Testimone del suo amore per Sanremo e per la Riviera fu il suo grande amico di gioventù, lo studioso di mistica ebraica, Gershom Sholem, che di Benjamin conservò un affettuoso ricordo, pur criticandone la deriva marxista. Intrecciata con la triste vicenda della guerra fu anche la sorte dei Zitomirski di Vallecrosia e dei Bassi di Ventimiglia, che condivisero le sofferenze del resto della popolazione ebraica della Liguria. Molti ebrei liguri, alla vigilia e nei primi giorni del grande conflitto scoppiato nel 1939, fuggirono, proprio da Grimaldi, verso la vicina Francia, anche se ben presto tale flusso fu ostacolato dalle stesse autorità transalpine, che non volevano problemi con la Germania e con un'opinione pubblica interna, sempre più sospettosa dell'immigrazione giudaica in quel Paese. Chi non riuscì a riparare in Francia subì la terribile esperienza dei campi di concentramento tedeschi.
(Riviera24.it, 25 maggio 2013)
I b&b si aprono al turismo ebraico
Sottoscritta a Napoli convenzione tra Aigo Confesercenti e Associazione Italo-Israeliana
Ha preso il via da Napoli il progetto di ospitalità nelle strutture ricettive extralberghiere per intercettare flussi turistici di religione ebraica. L'Aigo, associazione nazionale del settore extralberghiero, e l'Associazione Italo- Israeliana per il Mediterraneo hanno siglato una convenzione che si muove in tale direzione.
"Un target di turisti in crescita nel nostro Paese che preferisce strutture in grado di rispettare i principi kosher - dice Agostino Ingenito, presidente Aigo - La convenzione consentirà di selezionare i b&b e dimore che possono rispondere alle esigenze di questi turisti che provengono non solo dall'Europa ma anche da tante altre parti del mondo (sono 600mila solo in Francia) e profondamente attratti anche da luoghi del Sud Italia che hanno radici ebraiche".
La prima colazione nei b&b associati Aigo si consumerà 'kosher', rispettando gli usi e le tradizioni che la religione impone.
Il successo del nostro comparto ricettivo che intercetta sempre più un turismo individuale e che rappresenta il primo segmento di ospitalità italiana come censito dall'Istat - continua Ingenito - è in grado di rispondere alle esigenze di diversi target di turisti e ancor di più per viaggiatori ebrei di tutto il mondo che possono contribuire ulteriormente a garantire riscontri positivi nella nostra bilancia turistica nazionale".
(Travelnostop, 25 maggio 2013)
Napoli e il mondo ebraico sempre più vicini
Le bellezze campane e napoletane, risorse imprescindibili per la nostra economia. E in linea con questa prospettiva è stata siglata tra l'Associazione Italo Israeliana per il Mediterraneo e l'Associazione Nazionale A.I.G.O. dei B&B una convenzione turistica al fine di convergere verso l'intero mezzogiorno i flussi turistici provenienti da Israele e dai paesi europei dove è significativa la presenza delle comunità ebraiche.
Arricchita da numerosi eventi, torna il 27 giugno a Tel Aviv la Notte Bianca. Le celebrazioni ricorderanno la designazione di "Città Bianca" attribuita dall'Unesco nel 2003 per l'eccezionale collezione di edifici appartenenti all'architettura Bauhaus, che verranno illuminati lungo il Rotschild Boulevard e la Bialik Street, con visite guidate a cura della Tel Aviv-Jaffa Tourism Association. Numerosi ristoranti e bar proporranno menu speciali "Notte Bianca" e rimarranno aperte fino alle ore piccole le sedi delle manifestazioni culturali e ricreative, alcune con ingresso gratuito, altre con biglietti a prezzi ridotti. Noti musicisti suoneranno jazz, swing, blues e reggae, artisti di strada e maghi si esibiranno nei quartieri più trendy della città e numerodi attori di teatro reciteranno all'aperto.
(Travel Quotidiano, 24 maggio 2013)
Fiamma Nirenstein lascia l'Italia
Il saluto commosso della Comunità ebraica di Roma alla paladina dei diritti e d'Israele
Questo pomeriggio il Consiglio della Comunità Ebraica di Roma ha salutato con un brindisi Fiamma Nirenstein, che in queste ore si sta trasferendo in Israele. Il presidente, Riccardo Pacifici, e tutti i consiglieri, hanno voluto rendere omaggio a una delle più importanti voci internazionale a difesa dello stato di Israele e che per cinque anni si è battuta da deputato della Repubblica nell'aula del Parlamento o come semplice cittadina.
"Fiamma - ricorda Pacifici in un saluto commosso - è un esempio per tutti quelli che vogliono portare giustizia in Medio Oriente. La sua battaglia non è mai stata esclusivamente a favore di Israele ma anche in difesa di tutti i diritti civili e i diritti fondamentali dell'Uomo. A dispetto di chi in passato ha provato a criticarla per le sue posizioni, per noi è un esempio e la vogliamo ricordare anche come ex consigliere di questa Comunità, con un riconoscimento che la prossima settimana le conferiremo. Il suo contributo nella scorsa legislatura è stato decisivo e non poterla vedere più seduta in Parlamento è per noi una perdita incolmabile. Ora le auguriamo di continuare la sua attività nelle istituzioni internazionali e israeliane e la ringraziamo per tutto quello che ha fatto fino ad oggi, con la speranza di vederla sempre in prima linea assieme a tutti noi nelle battaglie in cui crediamo". Alla cerimonia era presente anche l'ambasciatore dello Stato d'Israele, Naor Gilon, che l'ha ringraziata per il suo impegno. Ma l'occasione del saluto alla Nirenstein ha raccolto anche i rappresentanti di tutte le associazioni e organizzazioni ebraiche, compreso il Benè Berith che ha conferito alla giornalista la medaglia d'argento.
"Per me è un'emozione unica - dice Fiamma ai suoi amici e compagni di tante campagne - perché da qui ho portato avanti innumerevoli battaglie a difesa dei diritti dell'Uomo e d'Israele, prima come giornalista e poi come parlamentare. Non potrò mai scordare quanto vissuto con ognuno di voi. Quello che abbiamo fatto per Israele e per le donne, i dissidenti, gli omosessuali e ogni minoranza discriminata mi commuove, come mi commuove vedervi qui oggi ad abbracciarmi. Ora farò l'alyah e anche se ho già fatto la giornalista in Israele per 20 anni, questo è un passo diverso. Ma non vi libererete facilmente di me - spiega in modo ironico la Nirenstein - continuerò a lottare per le stesse cose e sarò il vostro link affinché l'Europa tenga la testa alta e Israele porti sempre alta la bandiera della democrazia".
(Comunità Ebraica di Roma, 24 maggio 2013)
L'integrazione tra ebrei e arabi passa per l'innovazione tecnologica
Vocazione a innovare, investimenti alla ricerca scientifica. E cambio di rotta per la minoranza araba su scuola e lavoro. È la via israeliana spiegata da Manuel Trajtenebrg, economista della Tel Aviv University.
di Daniela Cipolloni
Mentre l'economia delle altre potenze occidentali naviga in cattive acque, c'è un piccolo Stato come Israele, in perenne conflitto con i suoi vicini e privo di risorse naturali, che sembra invece resistere alla crisi. Il pil cresce da 60 anni a questa parte (+3,2% nel 2012, anche se in diminuzione rispetto al +4,6% del 2011), l' inflazione è bassa (inferiore al 2%), il sistema bancario è solido, l' imprenditoria dinamica. Com'è possibile? Manuel Trajtenebrg, docente di economia della Tel Aviv University, tra i massimi esperti di politiche per l'innovazione, sintetizza così il segreto di Israele: "Da più di 40 anni, crediamo nell'industria basata sulla scienza. Nessun miracolo, quindi, seppur in Terra Santa", dice Trajtenebrg, in visita in Italia in occasione dell' Ambrosetti Technology Forum, il 24 e 25 maggio a Venezia.
Se, insomma, Israele può ben vantarsi del titolo di startup nation - in quanto detiene il record mondiale di neonate imprese - è perché ha investito a lungo termine su cervelli, università, ricerca scientifica d'eccellenza e trasferimento tecnologico. Chiamare lo stato ebraico la Silicon Valley del Medioriente sarebbe riduttivo. Anche se hi-tech e Itc sono i principali volani dell'economia (con più di quattromila imprese nel settore), l'acceleratore R&D spinge anche su altre direzioni: dalla genetica alle bioingegneria, dalle nanotecnologie alle energie rinnovabili. E chissà che non possa partire da qui, dalla cooperazione scientifica, tecnologica e imprenditoriale, un futuro più pacifista. Un primo segnale c'è: il governo di Benjamin Netanyahu ha avviato un programma per promuovere le opportunità professionali della comunità araba d'Israele, più emarginata e penalizzata rispetto agli ebrei. Trajtenebrg, a capo del Planning and Budgeting Committee del Council for Higher Education, è un convinto sostenitore di questo piano, finanziato per circa 80 milioni di dollari per i prossimi sei anni: "L'integrazione - afferma l'economista - sarà una leva per lo sviluppo".
- È una politica inedita per lo Stato ebraico. "Gli arabi israeliani sono il 20% della popolazione, una comunità giovane e numericamente in crescita, ma non sufficientemente integrata, sia geograficamente (sono concentrati soprattutto al Nord), sia a livello sociale: gli studenti sono sottorappresentati nelle università, solo il 10% del totale, i dottorandi ancora meno, di conseguenza le prospettive professionali sono più basse e il reddito medio è inferiore. È un quinto della popolazione, ma rappresenta solo per l'8 per cento dell'economia del paese. Credo che sia necessario un grande sforzo per colmare questo gap. Perché è la cosa giusta, e perché una politica di inclusione è una spinta propulsiva per la società che ha ricadute positive anche per la crescita del paese. Bisogna favorire l'ingresso e la competitività nel mondo del lavoro degli arabi israeliani, migliorando l'accesso all'istruzione superiore e la formazione di capacità tecnologiche avanzate. È quanto questo programma si propone nei prossimi anni".
- Quali altre strategie adotta Israele per scansare la crisi in questa lunga fase di recessione? "Anche se la crisi non ha influenzato la capacità d'innovazione delle imprese e delle startup, il paese ha risentito di una contrazione nelle esportazioni verso Europa e Stati Uniti. Ora sta virando e differenziando l'offerta anche verso altri mercati, come quello asiatico e sudamericano. Hi-tech e telecomunicazioni restano eccellenze in Israele (rappresentano la metà del volume dell'export), ma non è sostenibile una crescita economica fondata solo su un settore. Stiamo cercando di rafforzare l'innovazione che arriva dalla ricerca scientifica, in particolare nel campo delle nanotecnologie, delle scienze della vita e bioinformatica ed energie rinnovabili".
- Quanto investe Israele nella ricerca? "In un mondo che cambia rapidamente, si sopravvive solo se si è capaci di innovare, e innovare significa investire sul capitale umano. Ovvero: istruzione di alto livello, ricerca e trasferimento tecnologico. Israele è il paese che spende di più in R&D (il 4,5% del Pil, più di Finlandia, Svezia, Corea, Giappone) e può vantare il primato mondiale di brevetti da università e laboratori di ricerca. C'è un forte sostegno del governo perché le idee innovative si traducano in start-up, attraverso incubatori tecnologici, consorzi di imprese e università, grant a progetti di R&D commerciale, fondi alle iniziative individuali. La strategia di Israele è offrire questo supporto in modo neutrale, senza prescrizioni stabilite dall'alto. Non si dice 'sviluppate questo, perché m'interessa': così s'imbriglia l'innovazione, che invece dev'essere dinamica, aperta verso il mercato e libera. Ma non è importante solo quanto spendi: conta anche come lo spendi. Non vanno bene i finanziamenti a pioggia: in ambito accademico si premiano gli istituti migliori, che quindi cercano di formare e attrarre i cervelli migliori".
- Così si contrasta anche il fenomeno del "brain drain", la fuga dei ricercatori.
"Sì, per questo tre anni fa è stato lanciato un programma, chiamato I-Core (Israeli Centers for Research Excellence) che punta a creare in Israele centri di altissima specializzazione, dove reclutare i migliori scienziati, fare massa critica, guadagnare un vantaggio competitivo e diventare i numeri uno in specifici campi d'indagine. Gli ambiti di ricerca sono selezionati attraverso un processo bottom-up, una sorta di concorso delle idee. Della serie, 'diteci su cosa investire, e perché'. I primi programmi finanziati da I-Core riguardano: genetica e medicina personalizzata, studi cognitivi sul cervello, computer science e algoritmi, energie rinnovabili".
- Insomma, la chiave è la visione a lungo termine. Finora ha funzionato. Quali sono le migliori innovazioni nate in Israele? "Sono di origine israeliana le unità di memoria flash (le comuni chiavette Usb), la prima chat di istant messaging, la stampa digitale, la video-capsula endoscopica o i pomodorini pachino, solo per fare qualche esempio".
- Una voce enorme del budget di Israele - 14 miliardi di dollari, 3 dei quali finanziati da Washington - riguarda le spese militari. Un freno o un motore per lo sviluppo? "Ci sono pro e contro. L'intelligence, cioè la capacità di collezionare informazioni in campo militare, ha un ruolo estremamente importante, dà impulso a startup di information technology con ricadute importanti per il mercato civile. È una risorsa d'innovazione no-stop. Il lato negativo è che la spesa militare è troppo grande, drena risorse per altri scopi, come lo sviluppo civile. Va ridotta, e credo che il governo andrà in questa direzione".
- La pace a Israele conviene? "Assolutamente, e la nuova generazione di startupper sarà una forza trainante per raggiungere questo sogno. I giovani imprenditori non vogliono vivere in un paese circondato da nemici. Oggi ci sono pochi esempi di joint-venture nell'hi-tech tra israeliani e palestinesi, ma ci sono. Lavorare insieme è un punto di partenza".
Eden Viaggi ha incontrato gli agenti di viaggio a Lugano, Firenze e Roma con i Roadshow Eden Made Israele. Hanno partecipato agli eventi più di 140 agenti di viaggio che hanno visto l'intervento di Pietro de Arena, Direttore Marketing del Ministero del Turismo di Israele in Italia e di Silvia Brunetti, Responsabile Prodotto Eden Made di Eden Viaggi.
Matteo Bolognesi - Responsabile Eventi di Eden Viaggi - dichiara: una nuova affascinante avventura ci ha condotto ad incontrare gli agenti di viaggio a Roma, Firenze e Lugano desiderosi di conoscere Israele, il paese dei contrasti, dove convivono armoniosamente una ricca ed illustre storia con i moderni aspetti che caratterizzano alcune città come Gerusalemme e Tel Aviv. Siamo soddisfatti della folta partecipazione degli agenti di viaggio, questi incontri rappresentano sempre importanti momenti di condivisione e confronto.
(Travelling Interline, 24 maggio 2013)
UEFA Under 21 - I 23 convocati di Israele
di Boaz Goren
Il Ct di Israele Guy Luzon
"E' un giorno difficile per me", ha ammesso il Ct di Israele Guy Luzon dopo aver stilato la lista dei 23 calciatori che parteciperanno al Campionato Europeo UEFA Under 21.
A due settimane dall'inizio del Campionato Europeo UEFA Under 21, i padroni di casa di Israele hanno ufficializzato la lista dei 23 calciatori che parteciperanno al torneo.
Il centrocampista del Real Racing Club Gai Assulin è la principale esclusione del tecnico Guy Luzon, insieme a due colleghi di reparto del Maccabi Tel-Aviv FC, Dor Micha e Moshe Lugassi. "E' un giorno difficile per me - ha ammesso Luzon -. I giocatori che non ho convocato hanno grande talento e un incredibile spirito. Fanno ancora parte della famiglia dell'Under 21".
Israel disputa la gara di esordio contro la Norvegia a Netanya mercoledì 5 giugno, sfidando poi Italia (8 giugno) e Inghilterra (11 giugno) nel Gruppo A.
Quello a cui si è assistito ieri alla Camera dei Deputati italiani è stato un vero e proprio attacco del Movimento 5 Stelle contro Israele che mostra ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, come la pensa il partito di Grillo in merito allo Stato Ebraico.
Il "cittadino" Manlio Di Stefano parlando a nome del Movimento 5 Stelle ha chiesto al Governo Italiano che in occasione della inaugurazione della fase finale del campionato europeo di calcio Under 21 che si terrà in Israele dal 5 al 18 giugno 2013 lo stesso Governo (non si sa se nella persona del Ministro dello sport, Josefa Idem, oppure in quello degli Esteri, Emma Bonino) prendano posizione contro Israele ricordando durante la cerimonia di inaugurazione che lo stesso giorno (5 giugno) del 1967 ebbe inizio la guerra dei sei giorni che portò sotto il controllo di Israele la Penisola del Sinai, la Striscia di Gaza, le Alture del Golan e una parte della Cisgiordania. Non solo, il deputato del Movimento 5 Stelle è andato oltre accusando Israele di "distruggere gli stadi" e di "fare discriminazione anche in ambito sportivo" in quanto Israele farebbe "ostruzionismo agli eventi che prendono in considerazione il lato palestinese". E così ha chiesto al Ministro dello Sport, Josefa Idem, che "il 5 giugno non rimanga in silenzio ma esprima la nostra solidarietà (dell'Italia) al popolo palestinese che non può godere della libertà di questi eventi come tutti gli altri popoli liberi".
(Rights Reporter, 24 maggio 2013)
La prima cucina sociale kasher in Italia
di Ruth Migliara
La prima cucina sociale kosher in Italia. Questa è la nuova sfida del Merkos l'Inyonei Chinuch di Milano, associazione fondata in America nel 1940 dal Rebbe di Lubavitch, Rabbi Yosef Yitzchok Schneerson e presente in Italia dal 1959. Si tratterà di una mensa che distribuirà pasti gratuiti da asporto ai bisognosi e avrà sede nei locali delle scuole del Merkos di Milano, in Via Forze Armate. A sostegno dell'iniziativa si terrà il 17 giugno un evento benefico di grande prestigio al Teatro Vetra di Milano: "Beteavòn! La serata che nutre un progetto".
La grande differenza, che renderà la cucina sociale del Merkos un unicum rispetto ad altre iniziative simili già presenti sul territorio italiano e milanese, sarà quella di essere Kasher.
I cibi saranno infatti preparati secondo i dettami della Kashrut, ossia quell'insieme di regole enunciate nella Torah, sulla base delle quali un alimento può essere definito "Kasher", ossia permesso.
Dunque una iniziativa assistenziale per gli ebrei, ma anche per tutti coloro che ne avranno necessità.
Il cui successo è già stato testato su altri progetti analoghi, avviati della medesima associazione del Merkos in Australia e in Brasile.
Il cibo è vita e base di ogni sussistenza e, attraverso la vita e in nome di essa, possiamo e dobbiamo abbattere ogni distinzione culturale, etnica o religiosa che sia.
Intervistiamo perciò Rav Igal Hazan, Direttore delle scuole del Merkos di Milano, nonché promotore dell'ambizioso progetto.
- Da dove nasce l'idea di una cucina sociale kasher? Nasce dalla necessità della scuola di avere una cucina propria, che limiti i costi del catering esterno di fronte all'aumento del numero degli studenti iscritti che è raddoppiato negli ultimi anni.
In un ottica di ottimizzazione delle risorse, abbiamo tuttavia pensato di far fruttare questa mensa a 360 gradi e dargli un significato che vada oltre la sua finalità di mensa scolastica, distribuendo quotidianamente pasti d'asporto ai bisognosi, che saranno doppi nella giornata di venerdì, in previsione dello Shabbat ebraico.
- Chi saranno gli utenti della cucina? Saranno persone in difficili situazioni economiche, che hanno la volontà o la necessità di mangiare kasher, ma più in generale chiunque ne abbia bisogno.
E' emerso infatti dal confronto con altri enti che operano nel settore sul territorio milanese che l'utente tipo di una iniziativa di questo genere non è di questi tempi soprattutto l'emarginato che ci si immagina.
La congiuntura economica ha messo molte famiglie e individui in difficoltà, appartenenti alla cosidetta "classe media". Sono persone con problemi lavorativi, genitori single o famiglie che arrivano con fatica a fine mese. L'utenza è dunque vasta, ma la novità rispetto ad altre mense è per l'appunto il fatto che sia kasher, valore aggiunto importante per una persona di religione ebraica.
A questo proposito pensiamo di distribuire pasti anche a coloro che pur non essendo in gravi difficoltà economiche, ne abbiano bisogno per esigenze personali, dietro pagamento di una cifra simbolica sociale.
Un prezzo convenzionato per chi vuole mangiare kasher, e non ha tempo per prepararsi un pasto, ma neanche le disponibilità economiche da investire per mangiare sempre fuori casa in un ristorante.
- Saranno gli utenti a venire da voi o il contrario? L'idea è di operare in sinergia con coloro che sono già attivi nel sociale, sia in ambiente ebraico che non, per avere segnalazioni di eventuali casi che possano fruire del servizio.
Sfrutteremo inoltre anche la nostra rete di rabbini e persone che collaborano con noi per la segnalazione di chiunque possa essere nel target della cucina.
Infine sarà possibile l' accesso diretto, che incentiveremo attraverso una campagna di informazione non appena la mensa avrà iniziato le sue attività a pieno ritmo.
- Per quando è prevista l'apertura della cucina sociale kasher? Abbiamo appena ultimato la fase più impegnativa.
Sotto l'aspetto strutturale, sono terminati i lavori di ristrutturazione e di adeguamento alle rigorose normative sugli otre 100 metri quadrati della cucina.
Ora siamo in fase di acquisto dell'attrezzatura, fase che speriamo sia conclusa in pochi mesi.
L'idea è perciò di essere operativi per l'inizio della feste solenni ebraiche che cadranno quest'anno in settembre.
- Quali sono stati gli aiuti economici fino ad ora e come pensate di far fronte alle prossime spese? Nella prima fase abbiamo avuto aiuti da privati e in piccola parte da enti pubblici.
Attualmente invece stiamo preparando un grande evento benefico per il 17 giugno.
Una serata nel corso della quale speriamo di raccogliere i fondi per ultimare l'opera e avviare il progetto. Partecipare a questo evento sarà un modo per aderire al progetto e sostenerlo in prima persona. Si tratterà di una cena di gala con ottimo cibo e un fitto programma di intrattenimento, che avrà luogo in un bellissimo spazio, il Teatro Vetra, nel cuore di Milano.
Raiz degli Almanegretta, protagonista dell'ultimo Festival di San Remo, canterà per gli ospiti, mentre, a curare la riuscita della serata sarà un celebre wedding planner e un catering di prestigio da una stella Michelin.
- Perché aderire al progetto? Dare cibo a chi ne ha bisogno va oltre ogni filosofia, corrente e differenza culturale e religiosa.
E' un progetto trasversale, per creare unione e solidarietà di tutti verso tutti.
Fino ad ora ho trovato un grande entusiasmo e approvazione da parte di tutti coloro, ebrei e non, a cui è stata illustrata l'idea.
Come insegna la Torah, quando si dà, si aiuta anche se stessi e il cibo è qualcosa di universale alla base della vita, un valore che possono condividere e sostenere tutti.
Noi offriamo una splendida serata di divertimento, cibo di alto livello e condivisione, per dare lo stesso a chi non può avere altrettanto.
Vi invitiamo perciò tutti a partecipare
, contattandoci a info@merkos.it.
(Kolot, 24 maggio 2013)
La guerra per la verità
di Philippe Karsenty
Philippe Karsenty
Per più di dieci anni, insieme a molti amici, mi sono battuto perché venisse fuori la verità sulla "calunnia del sangue" al-Dura. E per tanti anni l'argomento più forte dei nostri avversari è stato il silenzio dello Stato di Israele sulla vicenda. Per questo, ottenere il sostegno della posizione ufficiale di Israele era un obiettivo estremamente importante.
Domenica scorsa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ricevuto il rapporto di Moshe Ya'alon e Yossi Kuperwasser che conferma le mie accuse alla tv pubblica francese. Si tratta di una pietra miliare sulla strada per la verità.
Ieri (22 maggio) una Corte d'appello francese avrebbe dovuto emettere sentenza su un altro episodio del mio processo per diffamazione contro "France 2", ma il verdetto è stato rimandato, per la seconda volta. Ora è atteso per il 26 giugno.
Una mia vittoria in questa causa potrebbe essere un passo avanti importante, ma nulla è certo. Cinque anni fa, dopo che avevo vinto in primo appello, "France 2" ha negato che il suo reportage su al-Dura fosse falso ed ha fatto ricorso alla Corte Suprema francese su questioni tecniche. L'anno scorso hanno vinto e il verdetto è stato annullato. La più alta Corte di Francia ha decretato che non avevamo il diritto di vedere tutto il filmato girato da "France 2", non montato, per decidere se avevo ragione o torto ad accusarli di aver contraffatto il loro reportage. Una sentenza kafkiana. Se perdo, si può star certi che i demonizzatori di Israele e "France 2" useranno il verdetto per calunniare Israele, e il sottoscritto, e poco importa se perdo su questioni procedurali.
Quasi tredici anni dopo la messa in onda della calunnia al-Dura, Israele sta ancora cercando di riabilitare il proprio nome, e questo dovrebbe essere motivo di preoccupazione per lo Stato e per i suoi cittadini. Tredici anni e così tante vite perdute a causa dei silenzi, dell'incapacità di Israele di capire che l'antisemitismo globale si nutre della riluttanza di Israele a difendere il proprio punto di vista. Ma non ho mai perso la fiducia, perché mi batto per la verità.
Ora che lo Stato d'Israele ha preso la decisione ufficiale di battersi per difendere la sua reputazione, è importante incoraggiarlo ad andare avanti e ad analizzare come sia stato possibile che questo enorme disastro d'immagine si protraesse così a lungo. L'inchiesta della Commissione Kuperwasser è stata importante e produttiva. Ora raccomando con forza che lo Stato d'Israele istituisca una commissione d'indagine per capire quali sono i problemi che hanno portato a questa situazione. Un giorno o l'altro Israele dovrà affrontare un'altra menzogna, un'altra "calunnia del sangue", altre false accuse durante le sue operazioni militari. Israele non era preparato per questa guerra, e l'ha persa.
Sin dalla creazione dello Stato d'Israele, i suoi nemici arabi con la complicità di alcuni occidentali hanno cercato di distruggere quella piccola nazione con la guerra aperta. Hanno fallito. Hanno tentato con il terrorismo, ma in fondo anche quello ha fallito. Allora sono passati alla guerra dei mass-media, e qui purtroppo hanno avuto successo. Il risultato è che ora le guerre che Israele vince sul terreno, nel rispetto delle leggi e dei trattati internazionali, le perde sul campo di battaglia dei mass-media e quindi nell'arena diplomatica.
Il rapporto ufficiale israeliano pubblicato domenica segna un punto di svolta nell'atteggiamento delle autorità israeliane: hanno deciso di battersi per il loro buon nome. È una buona notizia, ma sarà utile solo se saranno capaci di analizzare gli errori fatti e trarne le conclusioni per non ripeterli.
Come in ogni guerra precedente, Israele non ha altra opzione che vincere. È una questione di sopravvivenza, e sono certo che Israele ce la farà.
(Jerusalem Post, 23 maggio 1203 - da israele.net)
Netanyahu: Il rapporto Aiea sullIran mostra linutilità delle sanzioni internazionali
GERUSALEMME, 23 mag. - "È chiaro" che le pressioni economiche e diplomatiche "non sono riuscite a impedire all'Iran di portare avanti il proprio programma di armamento nucleare". Lo ha detto il premier di Israele Benjamin Netanyahu, citando un documento riservato fatto circolare questa settimana dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), in cui si afferma che Teheran ha migliorato le strutture per l'arricchimento dell'uranio e fatto progressi nella costruzione di un reattore per la produzione di plutonio. Netanyahu ha parlato nel corso di un incontro con il ministro degli Esteri britannico William Hague, il quale ha espresso la sua "forte preoccupazione" per il programma nucleare iraniano.
Israele e i suoi alleati occidentali ritengono che sia l'arricchimento dell'uranio sia la produzione di plutonio da parte dell'Iran siano mirati a realizzare armi atomiche, mentre Teheran afferma con forza che i suoi programmi abbiano scopi esclusivamente civili. Israele ha ripetutamente fatto capire di essere pronta ad attaccare le strutture nucleari iraniane nel caso in cui la diplomazia non riuscisse a fermare il programma di Teheran.
(LaPresse, 23 maggio 2013)
Israele - Legge sul Rabbinato, primo sì alla riforma
di Rossella Tercatin
I Rabbini Capo Yona Metzger e Shlomo Amar
Ha avuto esito positivo il primo passaggio alla Knesset della riforma della Legge sul Rabbinato Centrale israeliano per quanto riguarda le regole di nomina delle due figure di rabbino capo ashkenazita e sefardita. La proposta, conosciuta come Stern Law dal nome del deputato di Hatnua che l'ha proposta, ha ricevuto una larga maggioranza (53 i voti favorevoli, solo 14 i contrari) e prevede l'allargamento del comitato incaricato di eleggere i successori di rav Yona Metzger e rav Shlomo Amar (nell'immagine) che si formerà nelle prossime settimane. Attualmente l'assemblea è composta da 150 membri di cui 80 rabbanim, che includono rabbini capo di città e prescelti dal ministro per gli Affari Religiosi, i dayanim (titolo rabbinico superiore che abilita alla funzione di giudice) più anziani del Paese, e 70 rappresentanti del pubblico, tra cui spiccano i sindaci delle 25 principali città, due ministri scelti dal governo, cinque deputati eletti dalla Knesset, dieci cittadini selezionati dal ministro degli Affari religiosi. La riforma prevede che i grandi elettori aumentino di un quarto, raggiungendo i 200, ma soprattutto punta ad assicurare che una significativa percentuale di questi sia costituita da donne, per garantire una maggiore rappresentatività dell'intera società israeliana in una scelta che sull'intera società ha importanti ricadute, dal sistema matrimoniale alle conversioni e alla kasherut.
Il voto segna anche una spaccatura all'interno della formazione di ultra-destra religiosa Habayit Hayehudì: sebbene il partito ufficialmente appoggiasse la nuova legge, solo tre suoi suoi 12 deputati erano presenti in aula e hanno votato a favore: il leader Naftali Bennett, che ricopre anche la carica di ministro degli Affari religiosi, Uri Orbach, e Ayelet Shaked. Ossia quelli che, come sottolinea il quotidiano Haaretz, ne rappresentano l'area più moderata.
Questa situazione riflette una frattura della componente sionista religiosa nella politica israeliana (molti i deputati che vi si richiamano, nelle file di vari partiti) anche su un altro fronte: l'ala più liberal appoggia la candidatura al rabbinato ashkenazita del rav David Stav, a capo dell'organizzazione Modern Orthodox progressista Tzohar, l'ala più conservatrice sostiene invece il rabbino capo di Ramat Gan Yaakov Ariel.
(Notiziario Ucei, 23 maggio 2013)
Il Senato degli USA ha chiesto di sostenere Israele nel caso di scontro con l'Iran
Le autorità degli USA debbono sostenere Israele se lo Stato ebraico prenderà misure militari per neutralizzare la minaccia nucleare da parte di Teheran, si dice nella risoluzione, approvata mercoledì dal Senato del Congresso USA.
Nel documento, preparato dai senatori Robert Menendez e Lindsey Graham, è messo in evidenza che il testo non autorizzerà l'uso della forza, ma dichiara sostegno dell'Israele.
"Se Israele sarà costretto a prendere misure militare per difendersi dal programma nucleare iraniano, dobbiamo, usando tutti i nostri mezzi, aiutarlo a difendere il suo territorio, il popolo e la sua esistenza" si dice nella dichiarazione.
(La Voce della Russia, 23 maggio 2013)
E' pari a 5,4mld di Nis il deficit commerciale di Israele nel mese di aprile
Secondo dati pubblicati dalla Central Bureau of statistics Israeliano, le importazioni Israeliane (esclusi diamanti) nel mese di Aprile sono state pari a 19.9 miliardi di NIS, di cui il 35% da paesi UE, l' 11% dagli Stati Uniti, il 18% dall'Asia e il 36% dal resto del mondo.
Le esportazioni di beni (esclusi diamanti) nel mese di Aprile sono state pari a 14.5 miliardi NIS, di cui 33% verso paesi UE, 245 verso Stati Uniti, 19% verso l'Asia e il restante 24% delle esportazioni, sono stati verso al resto del mondo.
Nel periodo Gennaio - Aprile 2013 il deficit Commerciale di Israele (esclusi i diamanti) e' stato dunque di 17.6 miliradi di NIS, a fronte di un deficit di 29.6 miliardi nello stesso periodo dell'anno precedente.
(Tribuna Economica, 23 maggio 2013)
Allarme antisemitismo, ecco i gruppi politici più criticati
Per quanto possa sembrare un argomento lontano nel tempo, i fatti dimostrano che poi tanto lontano non è. I gruppi di matrice antisemita sono più attuali che mai, e si schierano ancora contro ebrei, turchi e molti altri.
di Ilaria Sulla
Il "Movimento per una Ungheria migliore", comunemente chiamato "Jobbik", è un partito politico di estrema destra che è stato tacciato di antisemitismo e fascismo. Il partito è inoltre antieuropeista: durante una manifestazione del 14 gennaio 2012 molti militanti sono scesi in piazza per chiedere l'uscita dall'Unione Europea, bruciandone addirittura la bandiera. Il motivo per cui da qualche giorno a questa parte il partito sta facendo tanto parlare di sé è la richiesta di un deputato di Jobbik, tale Marton Gyongyosi, di un lista di persone ebree presenti in Parlamento. Questa richiesta dal sapore antisemita ci riporta velocemente a più di mezzo secolo fa. Il deputato ha dichiarato di essere stato frainteso ed ha spiegato: "La mia affermazione potrebbe essere stata male interpretata. Mi scuso con i nostri compatrioti ebrei, perché la mia proposta non è contro di loro, ma punta a creare una lista dei residenti con doppia cittadinanza, ungherese e israeliana, per valutare i potenziali rischi contro la sicurezza nazionale" .
La "questione antisemitismo" non appartiene al passato come si potrebbe pensare; lo dimostra non solo Jobbik ma molti altri gruppi politici sparsi per il mondo. Uno tra questi "Alba dorata" in Grecia, anch'esso indipendentista rispetto all'UE e di estrema destra. Anche se molti mezzi di comunicazione si riferiscono al partito come "neonazista", "Alba Dorata" si dichiara come "nazionalista". In ogni caso, il leader Nikólaos Michaloliàkos ha dichiarato: " Auschwitz? Cos'è successo ad Auschwitz? Io non ci sono andato. Voi?". "Non c'è stato nessun forno e nessuna camera a gas - ha continuato - E' tutta una menzogna. Ho letto parecchi libri che hanno messo in dubbio la cifra propagandata di sei milioni di ebrei uccisi nei campi di sterminio". "Hitler - ha chiosato - fu una delle più grandi personalità del ventesimo secolo".
In Francia uno dei partiti più controversi è il "Front National", ascrivibile alla Destra sociale. Il partito ha fatto recentemente parlare di sé in Italia quando il leader Marine Le Pen ha dichiarato di aver ricevuto una mail da esponenti del Movimento 5 Stelle per stabilire una sorta di contatto, in quanto entrambi i partiti si definiscono "euroscettici".
Non meno discutibile la "Federazione anarchica informale", che si definisce "anarchica" perché "tende alla distruzione dello Stato e del capitale", e "informale" perché garantisce l'anonimato ai suoi appartenenti. Anche questo gruppo politico è contro l'Unione Europea, ma anche contro "Equitalia" e la "Deutsche Bank". Una prova è stata l'esplosione della bomba spedita dalla FAI ad Equitalia con sede a Roma e l'indirizzamento di un pacco analogo al presidente della "Deutsche Bank", avvenuti entrambi durante il governo Monti.
Il 6 maggio 2013 è stato aperto un processo nei confronti della NSU ("Nationalsozialistischer Unterground"), una cellula terroristica tedesca di matrice neonazista che sarebbe responsabile dei cosiddetti "delitti del Kebab" nei confronti di immigrati turchi in Germania. La "Commissione per i diritti dell'uomo della grande assemblea nazionale della Turchia" è stata invitata in Germania per seguire il processo, ma ci sono state molte polemiche perché inizialmente i media turchi erano stati esclusi dal processo.
Anche in Italia, non poche sono state le polemiche nei confronti del movimento politico "CasaPound", che più volte si è dichiarato lontano dall'antisemitismo. Le indagini degli inquirenti hanno invece dimostrato il contrario, portando alla luce alcune intercettazioni ai danni di Giuseppe Savuto, esponente di spicco del movimento, che insegnava ad un "discepolo" come comportarsi con la stampa: "Certo che le camere a gas non sono mai esistite e non c'è stata alcuna deportazione - diceva - ma non lo puoi dire davanti a un professore" perché, ha spiegato Savuto "ti comprometti".
(La Perfetta Letizia, 23 maggio 2013)
iran - "No al culto in lingua persiana": pastore cristiano arrestato
Il Pastore cristiano Robert Asserian, della denominazione evangelica "Assemblea di Dio" ("Assembly of God") è stato arrestato ieri a Teheran, durante lo svolgimento di un incontro di preghiera nella sua chiesa. Secondo quanto riferisce a Fides l'Ong "Christian Solidarity Worldwide" (Csw) la chiesa potrebbe essere costretta a chiudere entro la fine di giugno. Le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in casa del rev. Asserian e hanno confiscato alcuni dei suoi effetti personali, come computer e libri. Si sono poi recati alla chiesa, arrestando il Pastore che stava conducendo un incontro di preghiera. La comunità cristiana già aveva denunciato nei mesi scorsi intimidazioni da parte delle forze di sicurezza. La pressione sui cristiani iraniani si è intensificata negli ultimi anni, soprattutto verso le comunità che, come la "Assemblea di Dio", offre servizi di culto in "farsi" (la lingua persiana). Già nel 2009 era stato imposto il divieto di tenere liturgie in persiano il Venerdì, mentre restava in vigore l'autorizzazione per la domenica. Le autorità hanno ora ordinato di fermare il culto in "farsi" anche la domenica, lasciando la possibilità di celebrare in armeno. Il divieto di usare la lingua persiana deriva dai timori che cittadini musulmani iraniani possano convertirsi al cristianesimo. Secondo l'ultimo rapporto della Commissione internazionale Usa sulla libertà religiosa, l'Iran è fra le nazioni (con Egitto, l'Arabia Saudita, Iraq, Corea del Nord e Cina) dove vi sono le violazioni più gravi della libertà religiosa come "abusi sistematici sui credenti non musulmani, atti di tortura, detenzione prolungata senza accuse, sparizioni".
(Radio Vaticana, 22 maggio 2013)
"Gesù e dintorni"
Mercoledì 29 maggio a Venezia, nella Sala Montefiore - Ghetto Vecchio - Cannaregio 1189, alle ore 17:45, ci sarà la presentazione del libro "Gesù e dintorni" di Edoardo (Dino) Salvadori.
Il libro tratta di importanti documenti di una famiglia del ghetto e della realtà ebraica veneziana tra ottocento e novecento in tutte le contraddizione della vita nel ghetto ebraico.
Introdurrà il prof. Riccardo Calimani, presidente della Comunità Ebraica di Venezia. Alla presenza dell'autore interverranno Umberto Fortis e Gadi Luzzatto Voghera.
Per l'occasione il presidente di EDIPI, pastore Ivan Basana, incontrerà il presidente Calimani per verificare la realizzazione del XV Raduno Nazionale EDIPI a Venezia in occasione del 500o anniversario del Ghetto di Venezia.
Ricordiamo che il primo ghetto al mondo fu istituito proprio a Venezia il 29 marzo 1516.
(Edipi, maggio 2013)
City guide Tel Aviv - Riff Cohen
Videomaker, attrice, performer e voce soavemente spiazzante, Riff Cohen è la nuova It girl della musica israeliana. L'8 aprile è uscito A Paris, primo album mainstream inciso in Francia con la Universal. Poi seguirà un tour che si annuncia spettacolare e intimo al tempo stesso. In attesa delle date, le abbiamo chiesto quali sono i posti che raccontano meglio l'anima di Tel Aviv. Eccoli qua.
The container. In un hangar dismesso del porto di Jaffa, è nato il locale più vivace. Ospita concerti, eventi multimediali e cene a tema.
Maya Bash. È una giovane designer che fonde influenze mediorientali e stile minimal. La sua nuova collezione fa il giro del mondo (c'è da Antonioli a Milano), ma il suo studio-shop è in Barzilay St 13.
Jaffa Flea Market. Il mercato delle pulci nella "Città Araba" di Jaffa è un appuntamento da non perdere. Anche per il parrucchiere e il caffè che affacciano sulla piazza.
(marieclaire.it, 22 maggio 2013)
L'Iran installa 700 nuove centrifughe per l'arricchimento dell'uranio
Israele: «L'Iran nucleare più grande minaccia per la sicurezza»
Secondo fonti diplomatiche di Vienna, dall'inizio dell'anno l''Iran a installato 700 centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. L'Iran a fine gennaio aveva infornato l'International atomic energy agency (Iaea) della sua intenzione di istallare nuove centrifughe nel sito nucleare di Natanz. Secondo un rapporto dell'Iaea pubblicato a febbraio «Gli specialisti iraniani hanno istallato 180 centrifughe IR-2M a Natanz».
All'inizio di marzo il direttore dell'Organizzazione iraniana per l'energia atomica, Fereydoun Abbassi Davani, aveva annunciato che la Repubblica Islamica dell'Iran aveva avviato una linea di assemblaggio di 3.000 centrifughe di nuova generazione, destinate a rimpiazzare le centrifughe obsolete.
Il governo di Teheran a dichiarato più volte che l'Iran ha bisogno di 50.000 centrifughe per alimentare le sue future centrali nucleari.
L'Iaea oggi dovrebbe pubblicare un nuovo rapporto semestrale sul programma nucleare iraniano, ma già il 17 maggio, partecipando ad un convegno dell'Istituto per le relazioni internazionali di Mosca, il direttore generale dell'Iaea, Yukiya Amano, aveva anticipato che l'agenzia nucleare dell'Onu «Non ha certezza assoluta quanto al carattere pacifico del programma nucleare iraniano. Non possiamo essere certi che le informazioni fornite dal''Iran siano buone e conseguentemente non possiamo dire che l'Iran non utilizzi l'energia atomica a fini pacifici».
Ada Amano ha risposto il 18 maggio l'ambasciatore iraniano a Mosca, Reza Sajjadi, «L'Iran permetterà l'ingresso nei propri siti nucleari agli ispettori solamente dopo la firma di un "protocollo" con l'Iaea». Le illusioni del negoziato dell'Iran con il gruppo dei 5+1 (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia, Usa e Germania) in Kazakistan sembrano definitivamente cadute.
Intanto la tensione monta dopo che il ministro israeliano degli affari strategici e dei servizi segreti, Youval Steinitz, ha detto che «La questione più minacciosa per la sicurezza di Israele sarebbe l'emergenza di un Iran nucleare».
Steinitz, intervenendo alla conferenza internazionale Command and Control, Computers, Communications, Cyber and Intelligence (C5I), ha affermato che «Gli ultimi eventi e la situazione in Siria, nel Sinai e nella Striscia di Gaza non devono distoglierci dalla questione più cruciale, cioè l'Iran nucleare. Il progetto nucleare iraniano cambia il dato per lo Stato di Israele, per il Medio Oriente e per il resto del mondo. L'Industria nucleare dell'Iran è più sviluppata e rappresenta una minaccia più rande di quella della Corea del nord e del Pakistan». La cosa sembra un'esagerazione, visto che i nordcoreani hanno già fatto tre test nucleari e probabilmente hanno già la bomba atomica, mentre i pakistani (come Israele) hanno diverse centrali nucleari e molti missili balistici dotati di testate atomiche.
Ma secondo Steinitz in Iran «Esiste un'industria nucleare ramificata progettata non per produrre qualche bomba, ma materiali fissili in quantità sufficiente per l'elaborazione di dozzine, forse centinaia di bombe nucleari. La centrale di Natanz ospita circa 12.000 centrifughe e nei dintorni se ne contano 54.000. Questo è abbastanza per arricchire abbastanza uranio che occorre per la produzione da 20 a 30 bombe atomiche all'anno».
(greenreport.it, 22 maggio 2013)
Il senso di Israele per il poliziesco
Nel panorama letterario finora dal romanzo (spesso storico), fa capolino il genere giallo
di Francesca Paci
Perché Israele non ha una tradizione di letteratura poliziesca? Le risposte possono essere centinaia, a cominciare dal fatto che un paese abituato a sentire costantemente in pericolo la propria esistenza non ha particolare bisogno della suspance di Agatha Christie o Stieg Larsson. Poi c'è l'interpretazione dell'ispettore Avraham Avraham, pioniera versione ebraica del nostro Montalbano uscita dalla penna di Dror A. Mishani. classe 1975, professore di letteratura alla sua prima prova pratica.
Secondo Avraham, protagonista del giallo «Un caso di scomparsa» (appena pubblicato da Guanda), le ragioni della mancanza di romanzi polizieschi in ebraico starebbero nella pressoché totale mancanza di cronaca nera per le strade di Tel Aviv. «Qui non esistono delinquenti del genere. Niente serial killer, niente rapimenti, pochissimi stupratori che aggrediscono le donne per strada. Qui, da noi, quando c'è un delitto, di solito è stato il vicino, lo zio, il nonno, e non ci vogliono grandi indagini per scoprire e sciogliere il mistero» spiega l'ispettore alla signora Hanna Sharabi, seduta alla sua scrivania per denunciare la scomparsa del figlio sedicenne Ofer. La donna gli sembra la solita madre apprensiva che immagina chissà quali delitti dietro l'irrequietezza di un adolescente, dimenticando che laddove non esiste il mistero (come, a suo dire, in Israele) «la soluzione giusta è immancabilmente la più semplice». Avraham sbaglia, ovviamente. Ma questa facile intuizione è l'unica del libro che, pagina dopo pagina, svela invece un'anima sorprendente, inedita e dark della solare Tel Aviv capace di covare il segreti, depistaggi, omicidi.
I gialli non si raccontano. E raccontare «Un caso di scomparsa» significherebbe raccontare una storia ma anche una città, Tel Aviv, di cui l'autore ammette di amare il mare con la devozione generalmente riservata alle sinagoghe. Man mano che l'indagine avanza il lettore viene introdotto ai vicoli buii, le contraddizioni, il centro e la periferia israeliana, quella Holon in cui l'ispettore Avraham lavora e da cui guarda le luci dello skyline. Sociologia urbanistica. Dopo appena tre settimane il puzzle si compone, i tasselli descrivono la sorte di Ofer, una verità che non era affatto la più semplice.
Se Israele non ha una tradizione letteraria poliziesca non è perché la società (che sempre ispira la letteratura) sia diversa da quelle di altri paesi. È diverso il modo di trasferirla nella fiction. Ma la nuova generazione di scrittori, e di israeliani in generale, partecipa assai più organicamente al mondo globale rispetto ai suoi genitori. Così come il bravissimo Ron Leshem fotografa nel romanzo «Tredici soldati» una gioventù che non ha più voglia di crescere in trincea, che indossa la divisa mugugnando e preferirebbe di grand lunga poter attraversare i confini in bicicletta al pari dei coetanei di Amsterdam, che vota per abbassare i prezzi delle case anziché per la sicurezza e sogna una patria magari dalle ambizioni ridimensionate ma senza nemici, anche il connazionale Dror A. Mishani ci parla di una Israele più «normale», che vive e muore per ragioni non esclusivamente legate alla guerra o alla geopolitica internazionale, che scopre la cronaca nera, una Israele dove forse è arrivato il momento del genere poliziesco.
(La Stampa, 22 maggio 2013)
Gaza - Israele estende la 'zona di pesca'
Da tre a sei miglia marittime, palestinesi ed egiziani informati
TEL AVIV, 21 mag - Il primo ministro Benyamin Netanyahu e il ministro della difesa Moshe Yaalon hanno deciso di estendere la zona antistante la costa di Gaza entro la quale viene permessa la pesca. Lo rende noto un comunicato del ministero della difesa israeliano.
Da oggi essa passa così da tre a sei miglia marittime. Responsabili palestinesi ed egiziani sono stati informati di questa decisione, precisa il ministero. Dal comunicato si comprende che il provvedimento è legato alla calma relativa che si registra nella zona nelle ultime settimane.
(ANSA, 22 maggio 2013)
"Beautiful Israel", per gli ambientalisti d'oltremare una sede anche in Italia
Italia e Israele condividono lo stesso mare, il Mediterraneo, la stessa acqua, gli stessi pesci e gli stessi problemi ecologici, primo obiettivo delle campagne ecologiche dell'organizzazione internazionale
di Gianni Avvantaggiato
L'uomo non vive più immerso nella natura, l'habitat naturale degli esseri umani è, ormai, la città, con sempre più cemento e sempre meno spazi verdi. È, quindi, l'ambiente delle città che bisogna rendere più sostenibile. Bisogna portare l'ecologia dentro le aree urbane, per migliorarle, per preservare una proporzione tra le aree edificate e gli spazi aperti; curare l'inquinamento acustico e quello atmosferico. È l'obiettivo di "Beautiful Israel", associazione ambientalista che rappresenta nella terra di Sion "The Climate Project", l'organizzazione del premio Nobel Al Gore, l'ex vicepresidente Usa.
"Beautiful Israel", una delle prime organizzazioni ecologiste di Israele, già negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Svizzera e Belgio, martedì 21 maggio a Roma ha presentato l'Italian Council guidato da Dario Coen insieme con il suo vice Massimo Finzi. L'associazione italiana, però, sarà autonoma, non dipendente da Israele.
«Istituita nel 1968 dal ministero degli Interni israeliano - ha spiegato all'ANSA il presidente Avraham Katz Oz che insieme con l'ambasciatore israeliano in Italia Naor Gilon, ha presieduto il lancio dell'iniziativa -, Beautiful Israel è cresciuta passando dall'iniziale conservazione e tutela del paesaggio a occuparsi direttamente di sostenibilità e protezione dell'ambiente, con una presenza decisa nel campo della formazione, prevalentemente dei più giovani, iniziando dai bambini dell'asilo e poi della scuola fino anche ai giovani dell'esercito». «Pensiamo - ha spiegato Katz Oz - che il modo più efficace per raggiungere il pubblico di massa sia attraverso i bambini».
L'Italia e Israele sono due Paesi mediterranei, condividono lo stesso mare e con questo gli stessi problemi ecologici. Il Mediterraneo è un mare chiuso e solo una volta ogni centinaia di anni avviene un ricambio completo dell'acqua. Quindi, l'obiettivo principale della ONG è il mare con le sue spiagge.
Beautiful Israel non riceve fondi dal governo ma vende i suoi servizi e si alimenta attraverso campagne di "fund raising", raccolta fondi, proprio per essere indipendente; questo non vuol dire, però, che sia un organismo di protesta.
Ogni anno l'associazione green assegna due premi importanti per Israele. A consegnarli è lo stesso presidente Shimon Peres nella sua residenza a Gerusalemme. "Yakir" è una onorificenza per chi ha donato più di 100.000 dollari nell'arco dell'anno. "Magshim" è assegnato a un progetto unico per l'ambiente dentro un'area urbana, di solito progetti per spazi pubblici in una nuova città e a volte anche nel deserto con i Beduini.
(Ambient&Ambienti, 21 maggio 2013)
Liberati i sette agenti rapiti nel Sinai
Finisce dopo una settimana il sequestro, senza precedenti, di sette uomini della sicurezza egiziani nel Sinai del Nord, da parte di un gruppo di militanti. Ed è stato riaperto il valico di Rafah fra Egitto e Striscia di Gaza che era stato chiuso venerdì da uomini della sicurezza egiziana in segno di protesta contro il rapimento.
IL CAIRO - Finisce dopo una settimana il sequestro, senza precedenti, di sette uomini della sicurezza egiziani nel Sinai del Nord, da parte di un gruppo di militanti. I rapitori chiedevano il rilascio di loro compagni islamisti condannati per un assalto ad un commissariato nella stessa zona due anni fa nel quale morirono sei addetti alla sicurezza. Ed è stato riaperto il valico di Rafah fra Egitto e Striscia di Gaza che era stato chiuso venerdì da uomini della sicurezza egiziana in segno di protesta contro il rapimento.
Alla liberazione, ha spiegato il portavoce delle forze armate, si è arrivati grazie al lavoro dell'intelligence militare e alla collaborazione dei capi tribù beduini e della popolazione locale. Questo forse spiega la durata del sequestro, cominciato giovedì scorso e che ha rappresentato un altro duro test per il presidente egiziano Mohamed Morsi, stretto fra la linea dell'intransigenza nel non volere trattare con i rapitori e le sollecitazioni sempre più pressanti da parte dell'apparato militare di procedere ad un blitz per liberare gli ostaggi. La presidenza ha detto due giorni fa che tutte le opzioni erano aperte, ma che la priorità era riportare sani e salvi gli uomini a casa. Nella serata di ieri il premier Hisham Qandil ha affermato che erano in corso ''intensi sfozi'' per la liberazioni degli ostaggi.
Il sequestro, ultimo di una serie di episodi anche gravi, come l'uccisione di 16 reclute ad un posto di frontiera con Israele la scorsa estate, ha portato ad un nuovo build up della presenza militare egiziana nel Sinai del Nord, dove sono affluiti uomini e mezzi dell'esercito e del ministero dell'Interno.
(RaiNews24, 22 maggio 2013)
Alessandra Di Castro: "Ora anche Tel Aviv e New York vogliono i quadri di Primo Levi"
di Sara Moresco
Alessandra Di Castro
Alessandra Di Castro è il direttore del Museo Ebraico di Roma. Lei, storica dell'arte e dell'antiquariato, ha questo incarico pro-tempore da un anno. L'arte le scorre nelle vene, lei rappresenta la quarta generazione di una prestigiosa famiglia di antiquari romani. Vicepresidente dell'Associazione Antiquari d'Italia, gestisce anche una galleria. L'ultimo grande successo di Alessandra e del suo staff del Museo Ebraico, è una mostra temporanea che trova spazio nella Sala Novecento intitolata "Primo Levi nei ritratti di Larry Rivers", in esposizione fino al 15 ottobre. La mostra conta tre preziose tele acquistate dall'Avvocato Gianni Agnelli da Larry Rivers.
- Come è nata l'idea della mostra? "Da una conversazione affettuosa con Ginevra Elkann, sapendo del suo interesse per gli ambiti collezionistici internazionali, le ho chiesto se aveva qualche spunto per una collaborazione con il Museo Ebraico. Lei, di getto, mi ha parlato di queste tre grandi opere che il nonno aveva acquistato a New York da Larry Rivers. Rivers era un pittore che mi ha sempre incuriosito perché fin dai miei studi era sempre nominato tra gli artisti americani di grande successo negli anni 60, anche se in Italia non aveva mai avuto grandi retrospettive. Ho subito intuito il potenziale che poteva avere Primo Levi unito alla figura dell'Avvocato Agnelli nel decennale della sua morte, negli spazi del Museo Ebraico. Ho accolto con grande entusiasmo la proposta di Ginevra. Il successo è stato tale che immediatamente ho avuto richieste di prolungare la mostra e di portarla sia a Tel Aviv sia negli Stati Uniti."
- Ci sono altri progetti come questo in programma? "Abbiamo tante idee e materiale, ma gli spazi disponibili del Museo sono occupati da una collezione permanente e straordinaria: per sviluppare mostre temporanee dovremmo sacrificare questo tesoro. L'idea è quella di mettere su dei progetti che non siano solo di interesse della Comunità Ebraica di Roma, ma rivolti anche a Comunità Ebraiche all'estero che, naturalmente, sono molto incuriosite dalla cultura ebraica italiana e hanno un immaginario segnato da cinema, artisti e scrittori ebrei italiani. La pittura ebraica italiana o l'arte ebraica italiana, più in generale, di fatto non viene riconosciuta come una scuola. Ci sono artisti ebrei e italiani che sono riconosciuti in quanto grandi artisti, ma non in quanto ebrei. Lo stesso vale per importanti ambiti di committenza. La collezione permanente ha comunque molto successo: abbiamo 90.000 visitatori l'anno. A Roma, l'offerta degli altri Musei è molto alta e il Museo Ebraico potrebbe rimanere in seconda posizione, quindi questo numero ha ancora più valore. La cosa straordinaria del nostro Museo è di avere una collezione di tessuti unica al mondo che gli da una doppia valenza: Museo Ebraico e Museo di arti decorative a tutti gli effetti. E' di grandissimo interesse artistico e sarebbe bello collaborare con Musei internazionali in modo da far conoscere il Museo Ebraico anche sotto questo aspetto."
- Qual è la filosofia con la quale conduce questo Museo? "La direzione che mi ha preceduto era affidata a Claudio Procaccia, lui è uno storico colto e raffinato. Ha sviluppato un interesse che riguardava l'aspetto storico e la fisionomia del Ghetto, ad esempio, e anche un aspetto filologico che è stato un contributo fondamentale. La mia preparazione è invece storico-artistica e quindi io tendo a dare maggior risalto alla valenza estetica delle opere che abbiamo, che sono straordinarie. Uso appositamente questo aggettivo perché non dimentichiamo che gli artigiani che lavoravano per i membri della nostra Comunità erano gli stessi che lavoravano per le famiglie aristocratiche e per i Papi, abbiamo delle opere di una qualità sublime. Questo è un tema che mi sta molto a cuore perché ci distingue anche dagli altri Musei Europei. Siamo un Museo che parla di vita, di gusto, di committenza e di una Comunità che si è portata avanti nei secoli. Abbiamo una tradizione liturgica, culturale e con delle esigenze estetiche importanti."
I soldi per la cultura non basterebbero mai, ma il Museo avrebbe bisogno di qualche risorsa in più?
"Ovviamente i progetti che abbiamo in mente costano. Ricordiamo che il nostro è un Museo di arte ebraica, ma anche un Museo di arte italiana vista la convivenza protratta per anni degli ebrei in Italia . Inoltre, abbiamo contenuti importanti che appartengono a un patrimonio culturale di tutta l'umanità. Per questo possiamo attrarre fondi da tante istituzioni ebraiche e non."
- Come si sono salvati i reperti che sono esposti al Museo? "Il 13 ottobre 1943 ebbe inizio il saccheggio della biblioteca della Comunità, una fra le più antiche e ricche d'Europa. I preziosi arredi e gli oggetti rituali del Tempio erano stati dati in custodia al Banco di Napoli. Le minacce di sequestro da parte dei nazisti portarono dipendenti ed esponenti della Comunità Ebraica, i quali rischiarono molto, a consegnarli allo spedizioniere Bolliger, che li nascose fino alla liberazione. Quegli arredi che rimasero nel Tempio furono murati nei sotterranei. Purtroppo gli altri Musei ebraici europei hanno esposizioni ricostruite perché i loro materiali sono andati perduti e una collezione come la nostra, che è stata salvata e si è stratificata nei secoli, è molto rara."
(Comunità Ebraica di Roma, 22 maggio 2013)
Cosa vogliono questi ebrei?
di Deborah Fait
Leggere l'articolo di Giulio Meotti su
"9 ottobre 1982, il pogrom italiano", mi ha fatto ritornare alla mente antichi incubi mai dimenticati e mai, almeno da me, perdonati. Gli incubi vissuti da noi sionisti, ebrei e non ebrei, in quegli anni colmi di odio, di rigurgiti di neonazismo contro il solito capro espiatorio, l'ebreo non piu' fine a se stesso ma l'ebreo in quanto rappresentativo dell'odiato stato di Israele. Uno crede di aver superato il brutto ricordo di momenti in cui era quasi impossibile che trascorresse un giorno senza attacchi fisici o verbali contro qualsiasi persona difendesse Israele o rappresentasse Israele o semplicemente parlasse di Israele. Se poi capitava che uno parlasse di Israele con un Maghen David al collo era la fine e l'attacco fisico era inevitabile. E' capitato a tutti noi che amiamo Israele, credo che nessuno sia passato indenne attraverso quel periodo di neonazismo filoarabo. Botte, spintoni, parolacce, maledizioni, non mancava niente.
Persino nella tranquilla e sonnacchiosa Bolzano dove per un periodo della mia vita ho rappresentato la Federazione Italia Israele, avevamo bisogno della protezione della Digos per ogni manifestazione, per ogni conferenza, persino per le funzioni religiose nella sinagoga di Merano. Era il periodo in cui i pacifisti imperversavano bruciando bandiere di Israele, organizzando manifestazioni in cui Israele faceva la parte del demonio da odiare e distruggere, urlavano "Palestina libera" auspicando e reclamando la fine fisica di Israele. I feddayin palestinesi seminavano morte in tutta Europa, specialmente in Italia che aveva firmato un aberrante trattato con Arafat, il lodo Moro, una vergogna che avrebbe dovuto preservare dalla furia palestinese obiettivi italiani lasciando pero' liberta' di colpire i "sionisti", ovvero gli ebrei considerati forse dal governo Moro meno italiani degli altri.
Fu ucciso il piccolo Stefano Tache' mentre usciva ridendo dalla sinagoga di Roma, lo ricordo spesso nei miei articoli, lo ricordo quasi per chiedergli scusa per il silenzio con cui Roma e l'Italia accolsero la sua morte. Il silenzio piu' totale, vergognoso, rotto solo dalle perfide parole di Pertini, l'ultimo dell'anno, "ma cosa vogliono questi ebrei?". Non sara' bello parlare male dei morti ma devo dire che in quell'occasione Pertini mi ha fatto una rabbia mista a una pena infinita. Un uomo che a due mesi dalla morte assassina di un bambino italiano ammazzato perche' ebreo riesce a dire "cosa vogliono questi ebrei" non e' degno di rispetto e da allora non ho mai piu' potuto ascoltare la voce del "presidente piu' amato dali italiani".
Strana la storia dell'ebraismo nel secolo scorso. La Shoa' fu seguita dal silenzio mondiale, gli ebrei usciti vivi dai lager furono rifiutati da tutti e considerati "indesiderati" e anche questa vergogna passo' sotto silenzio, i sopravvissuti cercarono di fuggire verso la Palestina, gli inglesi glielo impedirono in tutti i modi per compiacere gli arabi. Nonostante tutte le difficolta' riuscirono a fondare Israele con i voti delle Nazioni Unite e furono subito attaccati dagli eserciti arabi con una guerra che doveva distruggere totalmente il piccolo Israele. Gli ebrei vinsero la guerra. In 600.000 male armati e stremati dall'Europa, vinsero la prima guerra mentre il mondo stava a guardare, come sempre, una possibile e promessa seconda Shoa'.
Dopo la guerra del 67 il mondo non si e' limitato a guardare ma ha ricominciato a odiare l'ebreo stato di Israele e da allora l'odio non e' mai finito, si e' moltiplicato, si e' autoalimentato. In Europa l'odio antisemita ha trovato ancora una volta terreno fertile, le squadracce nazifasciste furono sostituite dalle squadracce pacifiste, altrettanto violente, altrettanto piene di odio, altrettanto assetate di sangue ebraico. Gli anni che seguirono la vittoria israeliana nella guerra dei sei giorni furono terribili, sembrava impossibile che tanto odio risorgesse dalle ceneri di Auschwitz per colpire ancora e ancora il popolo ebraico che aveva avuto l'ardire di creare una nazione e il coraggio di difenderla fino all'ultimo respiro di fronte a eserciti di 5,6 nazioni arabe decise a distruggerlo.
Israele non lo permise e non lo permettera' mai.
(Informazione Corretta, 22 maggio 2013)
L'Unione europea vuole Hezbollah nella lista dei terroristi
L'Unione europea intende mettere la fazione armata del Hezbollah libanese nella lista delle organizzazioni terroriste. Lo hanno confermato martedì 21 maggio diverse fonti diplomatiche.
La Gran Bretagna ha presentato una richiesta in tal senso ai suoi partner europei e le discussioni sulla questione inizieranno in giugno.
L'iscrizione di Hezbollah nella lista dei gruppi terroristici necessita l'unanimità dei 27 Stati membri dell'Unione europea.
Stati Uniti e Israele chiedono da tempo all'Europa di prendere questa misura, ma sino ad oggi diversi Stati erano reticenti, argomentando soprattutto che una simile decisione potrebbe destabilizzare il Libano, dove Hezbollah ricopre un ruolo politico importante e per il timore di rappresaglie sulla forza delle Nazioni Unite in Libano.
(TicinoLive, 22 maggio 2013)
Da Israele la formula EatWith: cene in famiglia per turisti
Si chiama "EatWith" ed è la nuova "avventura" che consente ai turisti che si recano in Israele di vivere l'emozione dell'accoglienza all'interno delle case israeliane, un'esperienza unica e autentica.
Attraverso "EatWith" infatti i visitatori possono scegliere di cenare in decine di case israeliane in ogni parte del Paese e in differenti ambienti: dal loft alla moda a sud di Tel Aviv alle antiche case in pietra di Gerusalemme, alle belle abitazioni rurali nei Kibbutz. I turisti potranno spaziare dai piatti tradizionali ortodossi a Gerusalemme ai pic-nic asado-style argentini; dai piatti gourmet creati da chef di fama internazionale alle feste ungheresi con le antiche rovine romane di Cesarea sullo sfondo.
Gli ospiti hanno anche la possibilità di visitare le aziende agricole e corsi d'acqua in tutto Israele, dove i prodotti locali sono coltivati e pescati. Ogni casa o struttura extraalberghiera è stata accuratamente selezionata in base alla storia personale, ai servizi che offre, agli spazi di intrattenimento e alla qualità del cibo.
I padroni di casa possono accogliere un numero variabile di ospiti, da due a 20, a seconda dello spazio e delle condizioni meteorologiche. I prezzi vanno da 100 NIS a 300 NIS per ospite (1 NIS = 0,21 euro), in base al prezzo delle materie prime, dell'esperienza culinaria del padrone di casa e dello stile dell'evento o manifestazione proposti.
Per fornire informazioni dettagliate è stato anche creato un sito ad hoc:
www.eatwith.com
(Agenzia di Viaggi, 22 maggio 2013)
Come è nato il blocco navale al largo delle coste di Gaza
Un articolo dal titolo "I ritrovamenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale possono alterare l'equilibrio strategico", a firma di Yolande Knell e apparso sulle pagine dedicate al Medio Oriente del
sito della BBC News il 13 maggio scorso, è complessivamente equilibrato e accurato.
Tuttavia, verso la fine dell'articolo, in cui si discute delle riserve di gas al largo delle coste della Striscia di Gaza, ritroviamo la seguente affermazione:
«Da tempo è noto il giacimento marino di Gaza, a sud della linea costiera del bacino del Levante, ad una trentina di chilometri al largo delle coste del territorio palestinese. Nel 1999, l'ANP assegnò i diritti di esplorazione alla British Gas; tuttavia, la guerra fra palestinesi e israeliani ha impedito ulteriori sviluppi del giacimento. La situazione si è complicata quando gli estremisti islamici di Hamas hanno assunto il potere con la forza nel 2007, esautorando i rivali del Fatah. Israele ha conseguentemente irrigidito il blocco navale e costiero di Gaza».
Partiamo da un esame dell'accuratezza dell'ultima affermazione. La salita violenta al potere di Gaza ha avuto luogo fra il 5 e il 15 giugno 2007, con l'autorità palestinese - l'entità internazionalmente riconosciuta come rappresentativa del popolo palestinese - che fu espulsa con la forza dal governo. Dopo quell'evento, sia Egitto che Israele hanno chiuso i rispettivi confini con la Striscia di Gaza, in virtù del fatto che l'organismo incaricato dalle intese reciproche sottoscritte con gli Accordi di Oslo - l'autorità palestinese, appunto - della responsabilità di esercitare il controllo del territorio, non era più in grado di adempiere agli impegni.
Tre mesi dopo, il 19 settembre 2007, alla luce dell'escalation di attacchi missilistici terroristici nei confronti delle famiglie israeliane da parte della Striscia di Gaza controllata da Hamas, il governo israeliano decise di dichiarare Gaza
"territorio ostile": «Hamas è un'organizzazione terroristica che ha preso il controllo della Striscia di Gaza, trasformandola in un territorio ostile. Questa organizzazione è impegnata in attività ostile ai danni dello stato di Israele e dei suoi cittadini, ed è pienamente responsabile per questa attività. Pertanto, è stato deciso di adottare la raccomandazione presentata dai responsabili della sicurezza, inclusa quella di proseguire nelle attività di contenimento militare e controterroristico. Ulteriori misure saranno stabilite nei confronti del regime di Hamas, allo scopo di restringere il transito di alcuni beni verso la Striscia di Gaza, riducendo la fornitura di combustibili ed elettricità. Saranno previste altresì restrizioni sui movimenti di persone da e per Gaza. Le sanzioni saranno elevate dopo verifica dei requisiti di legge, tenuto conto sia degli aspetti umanitari afferenti la Striscia di Gaza, sia il proposito di evitare una crisi umanitaria».
(Il Borghesino , 22 maggio 2013)
Arrestato un gruppo di sei terroristi palestinesi a Hebron
In Israele e' stata diffusa la notizia dell'arresto nella città di Hebron di sei membri di un gruppo terroristico palestinese. Secondo quanto riferito, i terroristi avevano in programma il rapimento di soldati israeliani per poter scambiarli con i detenuti palestinesi delle carceri israeliane.
Avevano inoltre intenzione di fare una strage ad una fermata dell'autobus sulla riva occidentale del fiume Giordano per poter prendere i corpi degli israeliani e scambiarli con quelli dei terroristi palestinesi.
(La Voce della Russia, 21 maggio 2013)
Polonia - Ryanair propone un volo diretto Israele-Auschwitz
Ogni anno migliaia di studenti israeliani visitano lex lager
LONDRA, 21 mag. - La compagnia irlandese low cost Ryanair punta ad aprire un collegamento fra Israele e la Polonia per sfruttare il fiorente mercato dei viaggi scolastici degli studenti israeliani nell'ex lager nazista di Auschwitz-Birkenau. Lo ha affermato oggi un suo portavoce confermando le dichiarazioni rilasciate dal numero due del vettore.
"Apparentemente, tutti i giovani israeliani devono recarsi in Polonia per vedere Auschwitz. Noi possiamo aiutarli a farlo", aveva affermato ieri il direttore generale aggiunto di Ryanair, Howard Millar, secondo quanto riportato da diversi media. La compagnia "è in contatto con alcuni aeroporti israeliani ma attualmente siamo in una fase esplorativa", ha confermato il portavoce di Ryanair all'Afp.
Ryanair, la cui sede è a Dublino, è attiva in tutta Europa e da un anno è diventata la prima compagnia aerea della Polonia, secondo i risultati resi noti ieri. L'ex campo di sterminio di Auschwitz, situato ad una sessantina di chilometri da Cracovia, nel sud della Polonia, nel 2012 è stato visitato da un numero record di 1,43 milioni di persone. Ogni anno migliaia di studenti israeliani vi si recano, la maggior parte nell'ambito di viaggi scolastici. Circa 1,1 milioni di persone, fra cui circa un milione di ebrei, sono perite fra il 1940 e il 1945 nel famigerato lager nazista.
Il governo egiziano mantiene "tutte le opzioni sul tavolo, inclusa quella militare" per cercare di liberare i sette membri delle forze di sicurezza - sei agenti e un militari - rapiti giovedì scorso nel nord del Sinai. Lo ha fatto sapere ieri il portavoce della presidenza egiziana Omar Amer, ribadendo che non sono in corso trattative con i rapitori e che la vicenda di risolverà "presto". "Non c'è nessun negoziato con i criminali" aveva affermato domenica il presidente Mohammed Morsi dopo la pubblicazione su Youtube di un video che mostra i sette ostaggi nelle mani dei rapitori. Nel corso del video, uno degli ostaggi dichiara che i rapitori chiedono la liberazione di "militanti politici" beduini detenuti, nominando un beduino condannato a morte per un attacco contro un posto di polizia nel 2011 a el Arich, nel Nord Sinai. "Speriamo che lei, presidente, rilasci al più presto possibile i militanti politici del Sinai, perché non possiamo più sopportare la tortura", dice mentre i rapitori tengono tutti e sette sotto il tiro del fucile, con gli occhi bendati e le mani sulla testa.
Il rapimento dei sette membri delle forze di sicurezza, che tornavano da un pattugliamento, ha alzato la tensione in tutta la zona, già piuttosto "movimentata" dopo la caduta di Mubarak, e ha allarmato anche il governo di Hamas a Gaza. Ieri un commando di uomini ha attaccato con armi pesanti un campo delle forze di sicurezza a el Arish nel Nord Sinai, impegnando gli agenti per quasi una mezz'ora prima di ritirarsi. Lo riporta l'agenzia egiziana Mena, sottolineando che la struttura era già stata attaccata dopo la caduta Mubarak.
Da parte loro, i palestinesi si sono subito impegnati per evitare che i rapitori dei sette egiziani potessero trovare rifugio a Gaza. "I tunnel tra Gaza e l'Egitto, dove avviene il contrabbando e il trasporto di alcune merci, sono stati chiusi e il confine è stato dichiarato zona militare chiusa", hanno fatto sapere con una nota dal ministero degli Interni di Gaza. Tuttavia allo stesso tempo i palestinesi hanno criticato la decisione de Il Cairo di chiudere il valico di Rafah. "È un atto ingiustificato", ha dichiarato il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, sostenendo che "i problemi interni dell'Egitto vanno risolti in una maniera diversa, e non a scapito del popolo palestinese".
Fino a ieri anche il valico commerciale di al Ouja era bloccato, a causa di una manifestazione di solidarietà dei poliziotti egiziani nei confronti dei rapiti. Ieri l'esercito egiziano è riuscito a farlo riaprire, ma il valico per il transito delle persone di Rafah rimane chiuso per decisione del governo.
(Rinascita, 21 maggio 2013)
Damasco: "Distrutta una jeep israeliana". Smentita da Tel Aviv
A Damasco, capitale della Siria, risponde Gerusalemme, capitale di Israele, non Tel Aviv. Qualcuno più importante di noi potrebbe farlo presente al direttore del Giornale?
L'esercito siriano ha annunciato di avere colpito un veicolo militare nella zona del Golan e ucciso gli occupanti. Per Israele solo alcuni colpi a una jeep
di Andrea Cortellari
La crisi della Siria continua a interessare anche le aree limitrofe. L'area del Golan, confine tra Siria e Israele, è di nuovo al centro dell'attenzione.
Questa volta è l'agenzia di stampa ufficiale siriana (SANA) a riportare l'attenzione sull'area smilitarizzata. Damasco ha annunciato oggi di avere distrutto nel Golan un veicolo militare israeliano con uomini a bordo. Secondo quanto dichiarato dall'esercito di Damasco, il veicolo sarebbe stato attaccato dopo che aveva superato il confine con la Siria.
Israele: jeep danneggiata
La dichiarazione dell'esercito siriano arriva a sole sei ore di distanza da quella dell'esercito israeliano (Idf), che descrive invece una situazione differente: una jeep lievemente danneggiata da proiettili, mentre era di pattuglia a Tel Fares, nell'area del Golan.
Le truppe israeliane di stanza sulle alture al confine hanno risposto ai colpi - sempre secondo l'Idf - prendendo di mira il punto da cui arrivavano i proiettili.
Come ricorda il quotidiano israeliano Haaretz, quello di oggi è il terzo incidente simile in una settimana. L'esercito di Israele ha segnalato l'accaduto all'Undof, la missione delle Nazioni Unite di stanza nell'area di confine del Golan.
(il Giornale 21 maggio 2013)
Israele celebra l'amica Barbra Streisand
Laurea honoris causa a metà giugno
GERUSALEMME, 20 mag. - Israele celebra Barbra Streisand, la 71enne artista statunitense di origine ebraica che lo ha spesso aiutato con raccolte fondi e iniziative di sostegno. A meta' giugno la cantante di "Woman in Love" sara' insignita della laurea honoris causa in filosofia dall'Universita' Ebraica di Gerusalemme. In un comunicato, l'ateneo ha spiegato che il riconoscimento premia una carriera, anche nell'ambito del cinema, e "l'altruismo e la leadership" della Streisand nelle questioni di "diritti umani e civili e la sua dedizione a Israele e alla sua popolazione". Il conferimento della laurea avviene nell'ambito dei festeggiamenti per il 90esimo compleanno del presidente Shimon Peres. E' previsto anche un concerto allo stadio di Tel Aviv davanti a 40mila persone, e l'esibizione al gala' inaugurale per le celebrazioni del presidente, il 18 giugno. La Streisand ha vinto 10 Grammy Awards e due premi Oscar, il primo come miglior interprete femminile per il musical "Funny Girl" (1968) e il secondo nel 1977 nella categoria "Evergreen" con il dramma musicale "E' nata una stella".
(AGI, 21 maggio 2013)
Quali Comunità Ebraiche nell'Italia di ieri e di oggi
MILANO - Nuova tappa nella presentazione della grande indagine socio-demografica sull'ebraismo italiano realizzata per l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sotto la guida del professor Enzo Campelli, docente di metodologia delle scienze sociali alla Sapienza di Roma. L'occasione è stata la serata organizzata a Milano da Progetto Kesher, coordinata dal direttore rav Roberto Della Rocca, che guida il Dipartimento educazione e cultura dell'UCEI: ospite d'eccezione, oltre a Campelli, il demografo Sergio Della Pergola, autore dell'indagine "Anatomia dell'ebraismo italiano" pubblicata nel 1975.
Davanti a un folto pubblico (presenti in sala tra gli altri il consigliere UCEI Giorgio Mortara e vari consiglieri della Comunità milanese, tra cui il vicepresidente, Daniele Cohen), i due studiosi hanno commentato i risultati e i trend emersi dalla ricerca, che come suggerisce il titolo di dantesca memoria ("Comunità va cercando, ch'è sì cara") rivelano una percezione delle istituzioni ebraiche da parte degli iscritti alle Comunità italiane a metà tra l'aspirazione e la delusione. Vari i profili della ricerca esposti dal sociologo. Un primo sguardo è stato rivolto ai temi riguardanti l'identità ebraica e il rapporto con la Comunità (come anticipati sul numero di
Pagine Ebraiche di maggio), con un occhio particolare al dato disaggregato riguardante Milano. Per altro verso è stata approfondita la composizione sociodemografica delle Comunità ebraiche italiane. "A definire il proprio stato sociale basso o medio basso sono ben il 26 per cento degli intervistati, contro il 34 per cento che lo definisce medio e il 40 medio alto o alto" ha sottolineato Campelli, raccontando inoltre di ebrei italiani maggiormente impiegati nell'ambito del lavoro autonomo e meno in quello dipendent, rispetto al resto della società, e con un numero maggiore di laureati.
"Cos'è cambiato rispetto a 30 anni fa? Tutto e nulla" ha messo invece in evidenza Della Pergola. "Abbiamo un numero di iscritti significativamente inferiore a quello di allora, nonostante le ondate di immigrazione ebraica che ha conosciuto l'Italia negli ultimi decenni, e ancora più incredibile è il dato che ci rivela che il 77 per cento dei giovani prendono in considerazione l'idea di lasciare il Paese, e persino gli adulti che pensano a emigrare sono tanti, oltre il 50 per cento. Dati che rispecchiano i problemi dell'Italia" ha puntualizzato il sociologo, che ha inoltre offerto alcuni spunti di confronto con altra realtà ebraiche europee e internazionali.
Auspicio generale, espresso da relatori e pubblico, è che questa ricerca possa aiutare a costituire strategie per affrontare i problemi dell'ebraismo italiano.
(Notiziario Ucei, 21 maggio 2013)
Commissione israeliana: «Al-Dura era vivo alla fine del video»
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ricevuto domenica un rapporto di 36 pagine con i risultati dei lavori di una speciale commissione d'inchiesta governativa che ha indagato le circostanze della morte di Muhammad al-Dura durante i primi giorni della seconda intifada (o "intifada al-Aqsa"). Il rapporto si concentra sul controverso reportage dell'emittente tv "France 2" del settembre 2000 dalla striscia di Gaza (nel quale veniva mostrato il ragazzino palestinese accucciato dietro il padre sotto quello che veniva descritto come fuoco israeliano) e giunge alla conclusione che al termine del famoso filmato il dodicenne al-Dura era vivo.
Secondo i risultati della commissione, contrariamente a quanto è stato detto e pubblicato sinora non vi sono prove che il ragazzo e suo padre siano stati colpiti o feriti nei momenti in cui veniva girato il video, e pertanto sussiste un ragionevole dubbio circa l'asserita responsabilità delle Forze di Difesa israeliane nella morte del ragazzino.
"E' importante concentrarsi su questo incidente - ha detto Netanyahu ricevendo il rapporto della commissione - giacché si è tradotto in una calunnia contro Israele, ed è paradigmatico del tipo di demonizzazione e delegittimazione che Israele deve continuamente affrontare. C'è un solo modo per combattere le menzogne - ha aggiunto Netanyahu - ed è combatterle con la verità".
Stando alla commissione, "France 2" inquadrò la vicenda come se, al momento della messa in onda del filmato, vi fossero prove concrete a sostegno della tesi che il ragazzino fosse morto a causa dei colpi dei militari israeliani benché la responsabilità per la morte di Al-Dura fosse ancora controversa, cosa che mette in dubbio l'intera credibilità del reportage.
Il rapporto critica anche altri mezzi d'informazione che hanno sempre basato la loro copertura del caso unicamente sul reportage di "France 2", trascurando il fatto che all'incidente assistettero più giornalisti (nessuno dei quali si accorse del tragico episodio che si stava consumando). "Oltretutto - dice il rapporto - lo stesso resoconto del giornalista francese e del suo cameraman è cambiato nel corso degli anni ed è pieno di contraddizioni e falsità".
Il rapporto rileva anche grossolane incongruenze nei referti medici che riferiscono degli interventi cui furono sottoposti padre e figlio nell'ospedale Shifa di Gaza. "Nessuno dei proiettili che li avrebbero colpiti è stato mai recuperato né dai giornalisti che assistettero all'incidente, né dalle forze di sicurezza palestinesi, né dai medici che si occuparono di loro".
La commissione, formata nel 2012, è stata inizialmente presieduta dall'attuale ministro della difesa Moshe Ya'alon, e ha concluso i lavori di recente sotto la guida di Yuval Steinitz. Lo stesso Steinitz ne ha così sintetizzato i risultati: "E' stato un caso di 'calunnia del sangue' contro Israele: il reportage francese era semplicemente falso".
Intervistato lunedì mattina da giornalisti israeliani, il padre Jamal Al-Dura, alla domanda se fosse disposto ad acconsentire alla riesumazione del cadavere (a suo dire sepolto nel campo palestinese di al-Bureiz) per un esame forense, ha dichiarato: "Innanzitutto Israele deve accettare un'inchiesta internazionale. Solo allora potremo parlare di riesumazione. Ma dubito che Israele sia disposto ad accettare". "Israele non si è mai opposto a un'inchiesta internazionale in materia - ha dichiarato a radio Galei Zahal il direttore generale del ministero israeliano per gli affari strategici Yossi Kuperwasser - Chiunque avesse voluto, ha avuto tredici anni di tempo per farla".
Al-Dura padre ha sempre sostenuto d'essere rimasto gravemente ferito nell'incidente, mostrando ai giornalisti le cicatrici riamaste sul suo corpo. Tali dichiarazioni avevano spinto anni fa il medico israeliano David Yehuda, dell'ospedale Tel Hashomer, a rivelare che quelle cicatrici erano in realtà gli esiti di un intervento chirurgico che Jamal Al-Dura aveva subito anni prima, dopo essere stato aggredito da uomini di Hamas che lo accusavano di collaborazionismo con Israele. "L'ho operato nel 1994 - dice il dottor Yehuda, anch'egli citato in giudizio da "France 2" per diffamazione e assolto da un tribunale di Parigi nel febbraio 2012 - Era stato colpito alla schiena e il suo braccio destro è stato lacerato da ferite di coltello. Per alcuni anni ha mostrato quelle cicatrici come se fossero frutto di questo incidente".
Intervistato su questo punto, Jamal Al-Dura ha affermato che si tratta di "menzogne". Pressato dalle domande dei giornalisti, ha evitato di rispondere dicendo: "Potete chiederlo al mio avvocato in Francia, lui vi risponderà. Io, per me, non sono autorizzato a parlarne".
Nel febbraio 2012 la più alta corte d'appello francese ha accolto il ricorso di "France 2" contro la sentenza che respingeva la sua querela per diffamazione ai danni di Philippe Karsenty, l'analista di mass-media francese che aveva accusato l'emittente televisiva d'aver falsificato l'intera vicenda.
"France 2" aveva fatto causa a Karsenty nel 2004 dopo che questi aveva sostenuto che tutte le riprese video montate e trasmesse dal giornalista Charles Enderlin il 30 settembre 2000 erano frutto di una messinscena finalizzata alla produzione del reportage dalla striscia di Gaza.
Il filmato, girato dal cameraman palestinese Talal Abu Rahma all'incrocio di Netzarim durante un prolungato scambio di colpi d'arma di fuoco fra palestinesi e israeliani, mostrava Muhammad al-Dura che veniva colpito mentre suo padre cercava di proteggerlo col suo corpo. Le immagini shock fecero il giro del mondo scatenando un'ondata di furore contro i soldati israeliani automaticamente considerati responsabili della morte del ragazzino.
In un primo momento le Forze di Difesa israeliane avevano ammesso la possibilità che la morte di al-Dura fosse stata accidentalmente provocata dai propri militari che rispondevano al fuoco palestinese proveniente da quella direzione e che non era cessato nonostante la situazione in cui si trovavano i due al-Dura. Tuttavia, alcuni mesi dopo, un'inchiesta interna delle forze armate israeliane aveva portato i comandi militari ad escludere tale responsabilità sulla base di una serie di considerazioni balistiche dalle quali risultava assai più plausibile che a colpire i due al-Dura fosse stato il fuoco palestinese.
Negli anni successivi Karsenty, sul suo sito web, si spinse oltre arrivando a sostenere che tutta la vicenda fosse contraffatta e che costituisse un esempio lampante del pregiudizio anti-israeliano di gran parte dei dei mass-media.
Non limitandosi alle responsabilità del corrispondente e del cameraman, Karsenty giunse ad accusare la stessa emittente francese d'essersi prestata alla falsificazione dell'incidente al-Dura. E fu per queste affermazioni che "France 2" lo citò per diffamazione, vincendo la causa in prima istanza quando un tribunale francese sentenziò che il filmato non era stato manipolato.
Karsenty non si diede per vinto e ricorse in appello affermando che "France 2" non aveva reso di pubblico dominio l'intero video girato. Nel settembre 2007 la corte d'appello francese dispose che l'emittente consegnasse l'intero nastro filmato quel giorno, e non montato, riaprendo di fatto il caso.
Nel filmato intero, che Enderlin diceva di aver tagliato perché contente "immagini insopportabili dell'agonia del ragazzo", si vede Muhammad al-Dura che muove una gamba e un braccio, sotto al quale sembra quasi sbirciare, senza nessun visibile versamento di sangue nonostante in quel momento dovesse essere già morto dissanguato per gravi ferite all'addome, stando al resoconto diffuso dal reportage.
La corte francese ha anche acquisito come prova il rapporto balistico di un esperto forense secondo il quale non vi è alcuna possibilità che il ragazzino sia stato colpito a morte dal fuoco israeliano. Secondo tale rapporto, inoltre, non vi sono prove a supporto della tesi che padre e figlio siano stati anche solo feriti in quella circostanza, cosa che rilancerebbe l'accusa di un filmato sostanzialmente fasullo.
Dopo un lungo iter giudiziario, Karsenty era stato assolto in secondo grado dall'accusa di diffamazione, ma l'emittente francese ha fatto ulteriore ricorso.
Il rapporto finale della commissione israeliana giunge a pochi giorni dalla prevista sentenza di terzo grado.
(netNews, Times of Israel, Jerusalem Post, Israel HaYom, 20 maggio 2013 - da israele.net)
Oltremare - Terzo: porzioni da dopoguerra
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
di Daniela Fubini, Tel Aviv
Non ci si abitua mai abbastanza presto alla porzionatura dei piatti in Israele. E dire che io sono arrivata qui dopo quattro anni di America, che anche lei, con le porzioni, non scherza per niente. In America credo ci sia ancora l'eredità dei costruttori di ferrovie e lavoratori pesanti, tutti uomini, che si nutrivano compatibilmente alla fatica fisica esercitata per 10-12 ore continuative.
In Israele ci sono due eredità nel piatto strabordante: quella dei pionieri che da bravi ebreini intellettuali europei si trasformavano in una sola generazione in rudi contadini (il nuovo ebreo, quello che zappa la terra e costruisce il Paese), e quella parallela delle madri che avevano fatto la fame vera, per lunghi anni, nella prima e poi nella seconda guerra mondiale. Prendi ancora, che devi crescere. Prendi ancora, non me lo lascerai lì. Prendi ancora, dici sempre che ti piace
Come questo affetto bulimico sia passato ai ristoratori non mi è del tutto chiaro, ma basta sedersi in qualsiasi Beit Cafè (bar ristorante) ovunque in Israele e ordinare un piatto per ciascun commensale ed è chiaro: il contenuto non è minimamente compatibile con quello che una persona mediamente nutrita può mangiare in un solo pasto. Soprattutto se fuori ci sono 35 gradi, soprattutto se è estate (cioè 7-8 mesi l'anno qui da noi), e soprattutto se si mangia in fretta per poi ritornare al lavoro o alle attività della giornata.
Va detto che i picchi di quantità li tocca di solito l'insalata israeliana, piramidi di semplici pomodori e centrioli a cubetti con aggiunta a volte di cipolla. E tuttavia, tre etti netti di insalata di solo contorno possono stroncare molti stomaci. Turisti e nuovi immigrati avvisati.
(Notiziario Ucei, 20 maggio 2013)
Chiusura del valico di Rafah. Hamas critica lEgitto
'Atto ingiustificato'
GAZA, 20 mag - "Un atto ingiustificato": cosi' un portavoce di Hamas ha qualificato la chiusura del valico di Rafah, fra il Sinai e la Striscia di Gaza, imposta venerdi' dalle autorita' egiziane. Ieri gli egiziani hanno chiuso, nella stessa zona, anche il valico commerciale Auja. Queste misure sono giunte dopo il rapimento di sette militari egiziani nel Sinai settentrionale, a quanto pare da integralisti islamici, e nel timore che gli ostaggi possano essere trafugati verso Gaza.
Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha fatto appello all' Egitto affinche' torni ad autorizzare il transito di persone e merci fra la Striscia e il Sinai. "I problemi interni dell' Egitto - ha precisato - vanno risolti in una maniera diversa, e non a scapito del popolo palestinese". Il valico di Rafah, precisano fonti locali, resta chiuso anche oggi. Secondo Hamas questo stato di cose ha ripercussioni gravi in modo particolare per quegli abitanti di Gaza che contavano di ricevere cure mediche in Egitto.
(ANSAmed, 20 maggio 2013)
Nuovo sito web per il turismo israeliano
Il ministero del turismo di Israele ha lanciato un nuovo sito web dedicato al turismo incentive e congressuale. Disponibile in lingua inglese e russa, il sito offre video, immagini e tante informazioni sui fornitori di servizi del settore e sugli uffici del turismo sparsi nel mondo. Israele può ospitare convention fino a 10 mila partecipanti utilizzando hotel, università e strutture con tutti i servizi ed i supporti tecnici richiesti, spaziando dagli hotel di lusso nelle principali città agli spa resort ad Eilat, in Galilea e mar Morto fino a strutture nella natura come i kibbutz. I tour pre o post convention possono includere i tradizionali luoghi santi, siti archeologici, sport, avventura, deserto ed altro ancora. Ai viaggi incentive, Israele offre quattro grandi categorie: Anima e corpo (trattamenti termali olistici, meditazione, kabala, ecc), Sport (anche il nuoto con i delfini del mar Rosso, bird-watching, escursioni in bicicletta, gite in jeep), Cibi e vini (cantine boutique, uliveti e caseifici, mercati alimentari all'aperto, ) Tempo libero e storia (visite culturali, siti archeologicim produzioni notturne nel deserto, musei).
Per informazioni
(Travel Quotidiano, 20 maggio 2013)
La simbologia degli oggetti sacri dell'ebraismo
La rabbina Barbara Irit Aiello ospite dell'associazione "Altrove"
di Lina Latelli Nucifero
Barbara Irit Aiello
LAMEZIA TERME - L'analisi dei tratti più significativi dell'ebraismo e dei suoi simboli è stato il tema principale che ha caratterizzato l'incontro, promosso da Anna Cardamone, presidente dell'associazione culturale "Altrove", al fine di ospitare Barbara Irit Aiello, unica rabbina donna in Italia ed esponente dell'ebraismo progressivo, considerata punto di riferimento per quelle famiglie italiane che, con lei, hanno riscoperto radici giudaiche. Il desiderio di divulgare la religione dei patriarchi e la conoscenza dell'Olocausto, subito dagli ebrei nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale, ha indotto la rabbina a fermarsi a Serrastretta dove ha fondato una sinagoga e un Centro per la ricerca e lo studio sugli ebrei in Calabria e Sicilia. Alcuni anni fa le notizie diffuse da qualche studioso sulla presenza degli ebrei al Timpone, risalente a tanti secoli fa, hanno suscitato una certa ostilità da parte delle istituzioni e di alcuni cittadini. Nel riportare alla memoria le persecuzioni, perpetrate contro gli ebrei anche in Calabria, la rabbina ha ricordato che ben 4000 ebrei, internati nel campo di concentramento di Ferramonte, furono salvati dalla generosità e coraggio dei cittadini. Ha anche aggiunto che alcune persone sopravvissute hanno parlato dell'umanità che il comandante Palatucci espresse verso i prigionieri ebrei ai quali offrì perfino il gelato. Ai numerosi convenuti la rabbina ha raccontato le sue origini calabresi, infatti suo padre Antonio era nativo di Serrastretta e da ragazzino andava a studiarela Torah, il testo sacro degli ebrei, nel quartiere Timpone di Nicastro (la Giudecca) , dove era stata impiantata l'industria della ginestra con la quale si realizzavano tessuti pregiati. Antonio da adolescente,con i suoi familiari, emigrò in America, dove è nata Barbara e dove tutta la famiglia ha rispettato e tramandato alle generazioni successive riti e tradizioni della propria religione.
La rabbina, che è a capo di una sinagoga a Milano
L'articolo non dice quale
, ha spiegato il significato di molti simboli, esposti su un tavolo, soffermandosi sui particolari riguardanti ognuno di essi sia in rapporto alla religione che alla storia dell'Antico Testamento. Tra i numerosi oggetti esposti c'era la menorà, il candelabro con sette candele che rievoca i sette giorni della creazione. Ha inoltre illustrato l'importanza della festa dello Shabbat, con cui i fedeli dell'ebraismo rendono grazie a Dio che ha creato il mondo, osservando il riposo nel settimo giorno, e la festa dell' Hanuka ovvero della luce rappresentata dai candelabri con nove candele, una delle quali simboleggia l'amore e l'aiuto per gli altri, in particolare per il fratello in difficoltà. Infine Barbara Aiello ha letto e cantato un passo in ebraico tratto da un'antica Torah, e lo stesso brano in lingua italiana tratto dalla Bibbia. «Questa Torah - ha chiarito la rabbina - fu realizzata a Torino nel 783 in pelle di montone e portata in America dalla quale finalmente ha fatto ritorno a casa». In conclusione si è aperto un dibattito durante il quale sono stati approfondite le tematiche proposte puntando sulle differenze tra l'ebraismo e il cattolicesimo ed è stato evidenziato il comportamento etico che gli ebrei devono mantenere sempre, il senso della fratellanza, dell'amore, della comprensione verso le altre persone anche se appartengono a religioni diverse.
(lamezia web, 20 maggio 2013)
L'ufficiale nazista «Giusto delle Nazioni»
di Anna Foa
Quando il Signore decise di distruggere Sodoma a causa dei peccati dei suoi abitanti, Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città. Davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?» (Gen 18,23-24).
Uno di quei giusti che erano in mezzo agli empi ha da poco ottenuto dallo Yad Vashem il riconoscimento del titolo di Giusto delle Nazioni. È Gehrard Kurzbach, ufficiale della Wermacht che durante la guerra diresse un'officina di riparazione di veicoli militari a Bochnia, a cinquanta chilometri ad est di Cracovia. A Bochnia, dove prima dell'occupazione gli ebrei erano 3500, il 20% circa della popolazione, fu creato nel 1941 un ghetto in cui furono deportati anche altri ebrei della zona. Molti di loro lavoravano nell'officina militare di riparazione, a cui era a capo Kurzbach. Nel 1942, quando iniziarono le deportazioni nel campo di solo sterminio di Belzec l'ufficiale tedesco si diede a proteggere quanti ebrei poteva, nascondendo nell'officina quelli che vi lavoravano quando erano previsti rastrellamenti, radunando là anche le loro famiglie e rimandandoli nel ghetto quando il pericolo immediato cessava.
Secondo le testimonianze, avrebbe così salvato duecento ebrei. Le dichiarazioni dei sopravvissuti sono numerose, e sono quelle che hanno determinato il riconoscimento che gli è stato conferito. Di Kurzbach non si hanno più notizie dopo il 1944, data delle sue ultime lettere ai famigliari dalla Romania. Aveva lasciato Bochnia nel 1943, probabilmente trasferito, anche se, secondo la testimonianza di alcuni degli ebrei da lui salvati, egli sarebbe stato invece scoperto ed arrestato. Alla cerimonia di consegna della medaglia di Yad Vashem, ritirata per la famiglia da un nipote, e tenutasi a Berlino nel novembre 2012, hanno partecipato il presidente della Repubblica federale tedesca Joachim Gauck e l'ambasciatore di Israele. Era presente anche uno degli ebrei salvati da Kurzbach, Romek Marber, sopravvissuto alla deportazione e divenuto in Inghilterra un grafico assai noto, autore di memorie sul periodo della Shoah in cui ricostruisce anche la vicenda di Kurzbach. Il suo ricordo di lui e della sua umanità è stato caldo e affettuoso.
Il riconoscimento di Giusto ad un ufficiale della Wermacht ci riporta al tema della responsabilità del popolo tedesco nella guerra di Hitler. Nell'immediato dopoguerra, com'è noto, gli Alleati sottolinearono con forza la responsabilità collettiva del popolo tedesco, nell'ambito della loro azione di "denazificazione". Sono gli anni in cui il filosofo Karl Jaspers parla di "colpa metafisica" dei tedeschi, mentre invece Hannah Arendt sottolinea la valenza sempre individuale di ogni responsabilità. Più tardi, l'idea della colpa collettiva avrebbe lasciato il posto ad una rimozione altrettanto collettiva, che sarà rotta solo alla fine degli anni Sessanta. Intanto, anche la ricostruzione storica contribuiva a sfumare il quadro dei filosofi, con la conoscenza della larghezza dell'opposizione ad Hitler testimoniata non solo dall'episodio dell'attentato di von Stauffenberg, ma delle decine di migliaia di comunisti, socialisti, cattolici detenuti a Dachau dal 1933 in avanti e gli altri esempi di resistenza, come quello dei giovani della Rosa Bianca. E possiamo anche ricordare le responsabilità immani dei collaborazionisti non tedeschi, dal regime di Vichy a quello di Salò, dagli ustascia croati alle Croci Frecciate ungheresi.
Che cosa mosse Kurzbach a questa rischiosa opera di salvataggio? Sappiamo troppo poco di lui per ipotizzare convincimenti politici o anche una forte spinta religiosa, i due moventi che hanno avuto la maggior forza nello spingere i tedeschi alla resistenza contro il nazismo. Era un uomo come gli altri. Era nato a Posen nel 1915 in una famiglia tedesca che nel primo dopoguerra, quando Posen era ridivenuta polacca, era emigrata in Slesia. Era una famiglia modesta, suo padre era un meccanico e lui stesso, prima di essere arruolato, lavorava nell'officina del padre. Si era sposato nel 1940. Nel sito di Yad Vashem possiamo trovare di lui varie foto, fra cui appunto quella del suo matrimonio, ed altre in divisa della Wermacht. Ma anche se non sappiamo molto di quello che Kurzbach pensava e provava mentre salvava gli ebrei, sappiamo certamente che era mosso da una forte reazione morale contro il Male, che tentava di fare il possibile per salvare quelle vite di ebrei che i nazisti stavano alacremente tentando di distruggere fino all'ultimo.
Era uno dei Giusti di cui parla il testo biblico a proposito di Sodoma. Quello che ha fatto è andato molto oltre quello che altri tedeschi, nella stessa divisa, hanno in alcuni casi fatto, come ci testimoniano tanti racconti del tempo: chiudere un occhio di fronte ad un bambino che fuggiva durante un rastrellamento, trattare dei detenuti con umanità, perfino avvisare degli ebrei che erano stati denunciati e lasciarli fuggire, come un ufficiale della Wermacht ha fatto con i miei nonni, consentendo loro di mettersi in salvo.
Quello che Kurzbach ha fatto è stato operare attivamente, in modo pianificato, utilizzando il suo grado e il suo compito nell'esercito tedesco, per contrastare gli ordini ricevuti e salvare gli ebrei, invece di assassinarli. Per questo, la sua sola esistenza ci dimostra che la colpa non è mai collettiva, che la responsabilità è sempre individuale, nel bene come nel male. Per questo l'esistenza di uomini come lui basta a salvare Sodoma.
(Avvenire.it, 20 maggio 2013)
Tre serate rock alla fortezza di Masada
Un omaggio alla musica israeliana si svolgerà ai piedi della fortezza di Masada (mar Morto) dal 30 maggio al 1o giugno 2013. La serata di apertura vedrà la performance del cantautore israeliano Shalom Hanoch in un concerto dal vivo sul suo album "White Wedding", per la prima volta in 32 anni. Hanoch ospiterà anche cantanti israeliani come Aviv Geffen, Tom e Orit, Dag Nahas e Shlomi Shaban per far rivivere uno degli album che ha fatto la storia del rock 'n roll israeliano. Venerdì 31 maggio sarà la volta dei Mayumana, mentre sabato 1o giugno è previsto il leggendario artista israeliano Shlomo Artzi, che torna dopo 20 anni con Avraham Tal e Dudu Tasa.
(Travel Quotidiano, 20 maggio 2013)
Badier e Davidovitch lasciano il calcio
Due nomi famosi del calcio israeliano hanno annunciato l'addio al calcio questo weekend: insieme Walid Badier e Nir Davidovitch hanno collezionato 12 campionati, sette coppe e 125 presenze in nazionale.
Due nomi famosi del calcio israeliano hanno annunciato l'addio al calcio questo weekend: Walid Badier e Nir Davidovitch lasciano con un totale, tra i due, di 12 campionati vinti, sette coppe e 125 presenze in nazionale tra di loro.
Il portiere del Maccabi Haifa FC Davidovitch, 36 anni, smette dopo 535 partite con lo stesso club dopo il 3-2 contro l'Hapoel Tel-Aviv FC. Con la squadra sconfitta c'era invece in campo il 39enne Badier, ex compagno di Davidovitch all'Haifa.
Davidovitch fu promosso in prima squadra all'Haifa il 4 novembre del 1995, giorno in cui il primo ministro Itzahak Rabin fu assassinato a Tel Aviv. A 22 anni arriva la prima di 51 presenze in nazionale e nel 2003 la grande prestazione nello 0-0 in Coppa UEFA contro il Valencia CF che gli vale il soprannome 'la piovra'.
Badier debutta in prima squadra nel 1992 con la maglia dell'Hapoel Petach Tikva FC. Sette anni dopo si trasferisce in Inghilterra per giocare con il Wimbledon FC segnando il suo unico gol in casa del Manchester United FC, prima di trovare Davidovich all'Haifa. Nel 2005 il trasferimento all'Hapoel Tel-Aviv, dove aggiunge un campionato ai quattro vinti con il Maccabi. In nazionale vanta ben 74 presenze.
(UEFA.com, 20 maggio 2013)
Valico di Rafah bloccato dallEgitto. Proteste
GAZA - Mille palestinesi sulla via del ritorno dall'Egitto verso la Striscia di Gaza sono bloccati da giorni, in condizioni igieniche allarmanti, sul versante egiziano del valico di Rafah, che e' stato chiuso fino a nuovo ordine dall'esercito egiziano. Lo denunciano fonti locali. Il blocco e' stato ordinato dopo il rapimento, avvenuto giovedi' nel Sinai, di 7 militari egiziani da parte di estremisti islamici locali: militari che al Cairo si teme possano essere condotti verso la Striscia.
(ANSA, 19 maggio 2013)
Tutta qui la nota dagenzia, forse perché il fatto che arabi facciano soffrire altri arabi non fa notizia. Se fosse stato Israele a fare un blocco simile, le fotocamere dei reporter sarebbero arrivate subito a registrare le sofferenze imposte ai poveri palestinesi dai cattivi israeliani.
Damasco punta i missili su Tel Aviv
Il governo minaccia: pronti a colpire se nuovo raid in territorio siriano. Nuova offensiva dell'esercito contro Qusayr, roccaforte dei ribelli al confine con il Libano e snodo cruciale nei collegamenti tra i due paesi. Convocata per giovedì una riunione d'urgenza dei ministri degli Esteri della Lega Araba.
Damasco ha spostato le proprie batterie di missili Tishreen puntandole contro Tel Aviv e avverte Israele: colpiremo in caso di un nuovo raid in territorio siriano. Lo rivela il Sunday Times.
L'esercito siriano ha iniziato a dispiegare i missili avanzati terra-terra Tishreen, capaci di trasportare una testata da mezza tonnellata, scrive il giornale britannico, precisando che queste informazioni derivano dal monitoraggio satellitare delle forze siriane. I militari, afferma il quotidiano, "hanno ricevuto ordine di colpire Israele in caso di altri attacchi in Siria".
L'esercito siriano ha poi lanciato oggi un'offensiva contro la città di Qusayr (Qusseir), roccaforte dei ribelli nel centro della Siria da questa mattina sotto il tiro di raid aerei. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Invece secondo la Tv di Stato la città è stata conquistata.
Qusayr è collocata tra la città siriana di Homs e il confine con il Libano, in una zona cruciale per i collegamenti tra la Siria e il Libano e in particolare la valle della Beqaa, retrovia di Hezbollah, il movimento sciita antisraeliano libanese.
"L'assalto a Qusayr è cominciato e violenti combattimenti tra ribelli ed esercito sono in corso nella città", ha dichiarato il direttore dell'ong Rami Abdel Rahmane. Secondo gli attivisti dell'Osservatorio, le forze governative siriane sarebbero penetrate a Qusseir da sud, appoggiate da miliziani sciiti libanesi di Hezbollah, alleati del regime di Damasco e dell'Iran. "L'assalto è cominciato e ci sono combattimenti accaniti fra i ribelli e l'esercito", ha detto una fonte.
L'opposizione anti-Assad ha denunciato da parte sua l'attacco come un'azione destinata di fatto a sabotare l'ipotesi di conferenza di pace proposta in questi giorni da Usa e Russia e paventando il rischio di un nuovo eccidio.
Su richiesta del Qatar la Lega Araba ha convocato per giovedì una riunione d'urgenza dei ministri degli esteri arabi sulla crisi siriana, sotto la presidenza del capo della diplomazia di Doha, Sheikh Ahmad Ben Jassem al Thani. Lo ha reso noto il vicesegretario generale, Ahmed ben Helli. La riunione, che ha all'ordine del giorno la situazione in Siria dopo l'appello internazionale per una soluzione urgente, si terrà il giorno dopo la conferenza degli 'amici della Siria' convocata in Giordania mercoledì.
(la Repubblica, 19 maggio 2013)
Siria - Netanyahu pronto a ogni scenario
GERUSALEMME, 19 mag. - Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha evocato la prospettiva di nuovi raid israeliani in Siria, impegnandosi ad agire per evitare che armi sofisticate arrivino nelle mani di Hezbollah o di altri gruppi.
Intervenendo alla consueta riunione settimanale del gabinetto di governo, il premier Netanyahu non ha fatto alcun riferimento esplicito agli attacchi di inizio maggio in Siria, ma ha chiarito che Israele e' pronto a intervenire in futuro e ha aggiunto che si sta preparando "a ogni scenario" nel conflitto siriano. "Agiremo per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani anche in futuro", ha detto Netanyahu, descrivendo le azioni del governo come "responsabili, determinate e di alto livello". Israele non ha mai confermato ne' smentito di aver attaccato e distrutto i missili iraniani custoditi alle porte di Damasco nella clamorosa operazione condotta a inizio maggio .
(AGI, 19 maggio 2013)
Palestinesi al voto (ma solo in tv)
Da otto anni non vanno alle urne per scegliere il presidente, ma ora un reality show offre al popolo l'illusione di decidere
di Rolla Scolari
BETLEMME - Ogni settimana i palestinesi votano il loro presidente. Lo fanno via sms, nell'ovattato mondo televisivo, per finta. In realtà, non vanno alle urne per cambiare il loro leader dal 2005.
Al Rais, il presidente, è il reality show che appassiona il pubblico palestinese ricostruendo una politica in stallo. Un gruppo di giudici - politici, accademici, uomini d'affari - assieme agli spettatori a casa decide chi, tra i giovani concorrenti, è qualificato per diventare raìs. «Che sistema economico svilupperesti in un futuro Stato palestinese?»; «Come salveresti una compagnia in crisi economica?», hanno chiesto nell'ultima puntata i giudici, tra i quali un deputato arabo al Parlamento israeliano, Ahmed Tibi, e politici dell'Autorità nazionale palestinese, come Khoulod Deibes.
Il reality show è inziato a marzo. «La nostra storia è la storia di una leadership fallita», ha detto nello stesso periodo il premier dimissionario Salam Fayyad al New York Times, per poi negare di aver pronunciato quelle parole. Con una leadership divisa politicamente e geograficamente - gli islamisti di Hamas a Gaza e l'Autorità nazionale di Abu Mazen in Cigiordania - senza una data fissata per elezioni, la crisi dei vertici politici palestinesi è profonda.
Seduto nell'atrio del moderno Centro conferenze di Betlemme, in Cisgiordania, dove è girata parte del reality, Raed Othman racconta come è nata l'idea di Al Rais. È il manager di Ma'an, agenzia di stampa e canale tv indipendente palestinese che produce la serie assieme all'organizzazione non profit «Search for Common Ground». «È semplice: non votiamo per un presidente da otto anni», spiega mentre alle sue spalle i dieci candidati rimasti in gara - nove uomini e una donna - si preparano a entrare in scena. In 1.200 palestinesi - tra i 25 e 35 anni - hanno sfidato le telecamere per diventare raìs.
Ogni sabato, i giovani, seguiti dagli operatori tv, affrontano una sfida diversa, di cui poi discutono davanti ai giudici nella puntata successiva. La settimana scorsa, i candidati hanno lavorato per un giorno seduti su una poltrona importante: c'è chi è stato sindaco di Nablus, chi governatore di Hebron, chi amministratore delegato della società di telecomunicazioni, come Baha'a Al Khatib, 26 anni, nella vita vera program manager in una compagnia che distribuisce software didattici online. Baha'a vorrebbe diventare veramente presidente per «portare avanti un cambiamento reale» che si focalizzi «sul rafforzamento delle istituzioni, dell'educazione, dei servizi, della sanità» per costruire uno Stato. Un accordo di pace con Israele? «Certo che lo firmerei se fossero riconosciuti i diritti dei palestinesi e dei rifugiati: nessuno vuole uccidere e vedere sangue», dice al Giornale il candidato che parla già un po' da presidente: «Io sono un uomo di pace».
La notizia del reality è arrivata sui quotidiani israeliani, che hanno notato come alcuni partecipanti abbiano preso posizioni contro la violenza nel conflitto con Israele e abbiano piuttosto parlato, come Baha'a, di «resistenza civile». Secondo il manager di Ma'an, Raed Othman, la leadership palestinese guarda con attenzione lo show «e prende appunti». Il messaggio che Raed vorrebbe mandare ai vertici è riassunto dall'aspirante presidente Baha'a: «C'è una giovane generazione palestinese che vuole e può portare il cambiamento". Chi potrà parlare come "ambasciatore" di questa nuova guardia televisiva lo deciderà per il 25% il pubblico, via sms, e per il 75% i giudici. La finale sarà a giugno. Intanto, forse suggestionati dalla realtà del piccolo schermo, i vertici di Hamas e quelli di Fatah, partito del presidente, hanno dichiarato mercoledì che la data per nuove elezioni potrebbe essere annunciata entro tre mesi.
(il Giornale, 19 maggio 2013)
Sorgente di vita - Il World Jewish Congress e la storia degli ebrei di Rodi
Antisemitismo e razzismo in Europa sono stati i temi al centro della riunione del Congresso Mondiale Ebraico che si è tenuta nei giorni scorsi eccezionalmente a Budapest: una scelta di solidarietà e di attenzione verso la comunità ebraica locale, allarmata per gli attacchi che provengono da Jobbik, il partito di estrema destra ultranazionalista, xenofobo e dichiaratamente antisemita. Ne parlano Roberto Jarach, vice presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Edith Bruck, scrittrice di origine ungherese nella puntata di Sorgente di vita di questa sera, domenica 19 maggio.
Segue la storia degli ebrei dell'isola di Rodi, nel racconto doloroso di tre sopravvissuti nel film - testimonianza "Il viaggio più lungo" del regista Ruggero Gabbai. Il ritorno nell' "isola delle rose", i luoghi, i ricordi, le emozioni di una vita felice fino alle Leggi Razziali fasciste, poi l'occupazione nazista e la deportazione, con il lungo e drammatico viaggio per mare e in treno, fino allo sterminio ad Auschwitz di quasi tutta la comunità.
Infine un servizio dedicato a Jacob Finci, ambasciatore, benefattore e uomo di cultura che ha ricevuto a Genova il premio del Centro Primo Levi. In un'intervista Finci parla dell'attività umanitaria durante la guerra dei Balcani, della comunità ebraica della Bosnia Erzegovina e della Haggadah di Sarayevo prezioso manoscritto medievale, a cui è dedicata una mostra nel Museo Ebraico di Genova.
Sorgente di vita va in onda questa sera, domenica 19 maggio alle ore 1,20 circa su RAIDUE. La puntata verrà replicata lunedì 20 maggio alla stessa ora circa e lunedì 27 maggio alle ore 9,30 del mattino.
I servizi di Sorgente di vita sono anche on line.
(Notiziario Ucei, 19 maggio 2013)
Farmaco sperimentale protegge la fertilità durante la chemioterapia
LONDRA, 18 mag. - Un nuovo farmaco sperimentale ha mostrato di proteggere la ovaie durante la chemioterapia. Lo studio della Tel Aviv University ha documentato nei topi che il farmaco AS101 riusciva a contrastare gli effetti del ciclofosfamide sulla fertilita' delle cavie. La sostanza chemioterapica, a quanto si legge su 'Science Translational Medicine', aumentava il numero di follicoli attivi in crescita nelle ovaie e innescava una processo cellulare associato all'attivazione del follicolo. Questo lasciava i follicoli attivati vulnerabili alle dosi successive del farmaco, che li uccideva dividendo le cellule. Quando i ricercatori hanno testato il farmaco AS101 nei topi che avevano prima ricevuto ciclofosfamide, hanno scoperto che veniva attivato un minor numero di follicoli e che la fertilita' veniva preservata. .
(AGI, 18 maggio 2013)
Ha tatuaggi nazisti. Ecluso dal gala
Atleta di arti marziali escluso da evento perché sul petto ha tatuata una svastica, il volto di Hitler e scritte anti-ebrei.
Un combattente di arti marziali miste (Mma) ungherese è stato escluso, sotto la pressione degli sponsor, da un gala a Praga perché sul suo corpo aveva dei tatuaggi a sfondo nazista. Gli organizzatori della manifestazione hanno così annullato il combattimento di Attila Petrovszki che si era fatto tatuare sul suo cuore una svastica e l'effigie di Adolf Hitler
. E di seguito aveva un tatuaggio con scritto in inglese: "Morte agli ebrei".
«Il combattimento ci era stato proposto dal suo manager che si è basato sulle sue performance sportive e sui suoi risultati », hanno spiegato gli organizzatori in un comunicato pubblicato sul sito internet del torneo. «Purtroppo non eravamo al corrente dell'esistenza dei tatuaggi: a dir la verità, noi non lo volevamo». L'annuncio del combattimento di di Petrovszki ha provocato scalpore in Repubblica Ceca dopo la pubblicazione questa settimana di una foto dell'ungherese sul sito d'informazione Romea.
(La Stampa, 18 maggio 2013)
Chiuso il valico di Rafah per il secondo giorno consecutivo
IL CAIRO, 18 mag. - Per il secondo giorno consecutivo le autorita' egiziane hanno stabilito la chiusura del valico di Rafah con la Striscia di Gaza. Lo riferiscono fonti locali, citate dall'agenzia d'informazione 'Xinhua', precisando che la chiusura e' la reazione al rapimento giovedi' di sette uomini della sicurezza egiziana da parte di un commando jihadista nel nord della Penisola del Sinai.
Secondo testimoni, centinaia di persone sono in attesa in queste ore di attraversare il valico, sia dal lato egiziano che palestinese. I vertici di Hamas, che governa nella Striscia di Gaza, hanno fatto sapere che sono in contatto con le autorita' egiziane per ottenere l'apertura di Rafah. "Gaza non ha alcun legame con i sequestri", ha assicurato Yousef Rezka, un consigliere del primo ministro di Hamas, Ismail Haneya. Rezka ha quindi sottolineato che la protesta della polizia egiziana "si ripercuote negativamente sulla vita degli abitanti di Gaza".
(Adnkronos, 18 maggio 2013)
Medici, affari, false accuse. Ecco la storia degli ebrei
di Matteo Sacchi
Quella degli ebrei italiani è una storia lunghissima e intricata. La comunità ebraica, ma si potrebbe anche parlare di diverse comunità che si susseguono nel tempo, risiede nella nostra penisola sin dai tempi della Roma repubblicana. Una presenza che ha cambiato la cultura del nostro Paese in molti modi. Alcuni davvero poco studiati. Ecco perché "Storia degli ebrei italiani, dalle origini alXVsecolo" (Mondadori, pagg. 618, euro 28) di Riccardo Calimani (a cui seguirà, nelle intenzioni dell'autore, un volume che arriverà ai giorni nostri) è davvero untesto foriero di spunti. Calimani, a cui si devono alcune delle maggiori monografie sull'ebraismo (Storia del Ghetto di Venezia; Storia dell'ebreo errante, Ebrei e pregiudizio...)e che si occupa del Meis (Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah) di Ferrara, ha raccontato al Giornale la genesi e il senso dell'opera.
- Quanto è antica la presenza ebraica nella Penisola? «Gli ebrei sono in Italia da almeno 22 secoli. Sono sempre stati una minoranza molto piccola ma con un ruolo rilevante. Una minoranza non abbastanza studiata».
- Non è stata sempre una convivenza semplice quelle tra ebrei e cristiani. E ancora prima quella tra ebrei e pagani... «Durante l'Impero romano ha avuto un andamento altalenante, un susseguirsi di aperture e di leggi repressive. Soprattutto per quanto riguarda la questione della divinità dell'Imperatore. Poi nel medioevo uno dei fattori di tensione più forte diventerà la presenza del papato. In un tessuto giuridicamente vario e complesso credo si possa dire che i momenti più difficili sono stati durante le Crociate, un momento in cui la paura del diverso prese il soprawento, e poi in seguito durante le pestilenze... In quei casi gli ebrei diventavano facilmente un bersaglio».
- Lei dedica un intero capitolo alla così detta accusa del sangue ci spiega cos'è?
«Il primo ad accusare gli ebrei di omicidio rituale fu Apione di Alessandria nel primo secolo dell'Era Volgare. A lui rispose lo storico ebreo Giuseppe Flavio nel suo Contra Apionem definendo questa accusa la "più tragica delle favole". Ma quella favola non è mai morta, sostanzialmente nel medioevo l'accusa, assolutamente priva di qualsiasi fondamento, divenne quella che gli ebrei uccidessero ritualmente dei bambini e questo scatenava la furia del popolino. La cosa ridicola è che nell'Impero romano anche i cristiani erano accusati di omicidio rituale forse per la questione del corpo e del sangue nell'eucarestia».
- Qualche hanno fa il libro di uno storico di origine ebraica ha causato molto scandalo su questo tema. Ariel Toaff in Pasque di sangue sostiene che c'è, in alcuni casi, traccia reale di questi omicidi rituali... «Guardi lo studio di Toaff secondo me, e secondo molti altri storici, è privo di validità, è fatto male. Credo ci siano anche aspetti psicologici nella questione... Ma su questi non voglio entrare».
- In quali zone dell'Italia la presenza degli ebrei era radicata nel periodo da lei studiato?
La presenza era fortissima in Puglia, Sicilia e Calabria, il radicamento massiccio nei centri del Nord,come Venezia è arrivata dopo, Tra le grandi città, anche se può sembrare un paradosso è Roma».
- Quali sono le professioni in cui hanno dato un contributo maggiore allo sviluppo della cultura italiana?
«Sicuramente la medicina e le scienze, in cui non erano soggetti a molte delle limitazioni che colpivano i cristiani. E poi i medici ebrei curavano il corpo e non l'anima e questo gli giovava dal punto di vista dell'efficacia. Durante il medioevo poi c'è stato un confronto teologico che è stato proficuo per entrambe le parti. Poi ovviamente visto tutti i divieti verso il prestito tra il 1300 e il 1500 si sono ritagliati un ruolo importantissimo ma pericoloso rispetto alla banca».
- Lo studio della Kabbalah ha favorito gli scienziati e i medici ebrei?
«No, la Kabbalàh è basata sull' intuizione, la base razionalista viene dal Talmud».
(il Giornale, 18 maggio 2013)
Parlamento greco - Bagarre in aula: un deputato urla "Heil Hitler"
Un deputato di Alba Dorata, Panayiotis Iliopoulos, è stato espulso dall'aula del Parlamento greco per aver insultato altri deputati. E mentre l'esponente del partito di estrema destra lasciava l'aula, qualcuno ha scandito tre volte il saluto nazista "Heil Hitler": le telecamere non inquadravano i deputati di alba dorada e non è chiaro chi sia stato a invocare Hitler. E' la prima volta in oltre vent'anni che un deputato greco viene espulso dall'aula.