Ebrei traditi morti a Auschwitz. Tutta la verità settant'anni dopo
TREGNAGO (VR) - La drammatica ricostruzione della retata dell'agosto 1944: «Ci risparmiarono solo per il mio pianto» La testimonianza di Iris Valbusa i cui genitori ospitarono la famiglia Coen «I vicini di casa segnalarono alle SS i nostri inquilini: vennero a prenderli di notte...»
di Vittorio Zambaldo
Iris oggi con la camicetta regalata dalla signora Coen nel 1944
Sono passati quasi settant'anni ma il ricordo di quella notte d'agosto del 1944 la inchioda ancora alla paura e solo oggi ne parla per la prima volta con la stessa emozione di quando tredicenne, ancora in camicia da notte, si avventò urlando al collo del comandante delle SS, rischiando un gesto folle di reazione che avrebbe potuto fulminarla sul posto. Trattenuta a stento dall'interprete e da un militare, Iris Valbusa non voleva che i suoi genitori, colpevoli di aver ospitato in casa una famiglia ebrea, venissero trascinati via assieme agli sventurati per i quali già si sapeva che non ci sarebbe più stato ritorno.
Papà Enrico, classe 1896, faceva l'elettricista e per il regime era già «una testa calda», segnalato perché trovato a leggere un libro sull'Inquisizione: aveva la tessera fascista perché dovendo lavorare per la Sei - la Società elettrica italiana - per la quale leggeva i contatori nelle case e riscuoteva le bollette, era stato obbligato a iscriversi al partito. Ma lo tenevano d'occhio, tant'è che in occasione della morte di un militare tedesco erano già andati a prenderlo, tenendolo in ostaggio con don Ferruccio Spada, perché anche se non erano stati loro gli esecutori del fatto, erano sicuramente ben informati. Nel 1939 aveva smesso con quel lavoro e acquistato con i risparmi la trattoria alloggio «Alla Stazione», oggi Bio Bar Bottega, all'ingresso del centro storico del paese. Ci rimasero per un anno e mezzo. La moglie con la sorella e la cognata si dedicavano alla cucina e lui curava il bar e la cantina.
Prima della guerra gli affari andavano abbastanza bene, con presenza di villeggianti. Poi cominciarono ad accogliere anche sfollati che fuggivano dai bombardamenti su Verona: sei famiglie in tutto, fra le quali anche l'avvocato Girolamo Alberto Coen con la mamma Ida Ravenna, 78 anni e una sorella della madre che morì di morte naturale durante il soggiorno a Tregnago. C'era un altro figlio, ingegnere, che rimase pochi giorni per trasferirsi poi oltre la Linea gotica: fu l'unico a salvarsi dal rastrellamento. I Coen vivevano separati dagli altri ospiti grazie a una porta in legno che per precauzione li divideva dal resto della casa. «Solo l'avvocato scendeva qualche volta al piano di sotto e si fermava per due chiacchiere con i miei genitori, ma quando arrivò la notizia di rastrellamenti tedeschi a Badia Calavena e Sant'Andrea, preferì vivere di giorno in collina, alle Saline, in casa di una signora che veniva ad accudire la madre. I miei gli avevano consigliato anche di non tornare a dormire perché, sebbene passasse da una porta dal retro della casa, poteva essere notato», racconta Iris. A complicare la loro vita segregata c'era stato anche il ritorno improvviso di Lionello, fratello di Iris, alpino che aveva lasciato il suo battaglione scappando con un amico di Sant'Andrea, fucilato invece sulla strada di casa. Lo avevano convinto a consegnarsi ma da quel momento non avevano più saputo nulla e avevano continui controlli in casa, che si allentarono solo quando, dopo sei mesi, arrivò una sua lettera da un campo di prigionia in Germania.
Ma a Tregnago la situazione restava tesa e la presenza di spie fasciste tra gli sfollati era nota. «Lo sapevamo che vicino a casa nostra era ospitato uno di questi, fra l'altro nella casa del mio padrino», racconta Iris. Quella notte d'agosto aveva sentito il trambusto in strada e con l'amichetta sfollata con cui divideva la stanza si era affacciata a guardare tra le fessure degli scuri: «Ho visto i militari tedeschi, mio padrino e il suo ospite sfollato che indicavano chiaramente alle SS di dirigersi verso casa nostra», racconta Iris che dell'episodio ha in mente chiarissimi nomi e cognomi: «Forse lui lo ha fatto perché costretto dal fascista che aveva in casa, ma non doveva», dice ancora oggi. «Hanno cominciato a battere violentemente sulla porta e fatto scendere al piano terra tutti. Hanno controllato il registro delle presenze e i nomi che trascrivevo io, accusandoci di ospitare degli ebrei. In realtà sulla carta d'identità, che avevano probabilmente falsificato, c'era scritto "razza ariana", ma mi hanno rinfacciato che dovevo sapere che Coen è un cognome ebreo. La povera signora Ida era quasi cieca e passandomi vicino mi ha sussurrato "Grazie", poi lei e il figlio sono stati caricati e portati via con il camion dove erano già saliti anche i miei genitori. Solo le mie urla hanno convinto i militari a lasciarli a terra, con la promessa di non allontanarsi da casa».
Il giorno dopo ci fu la sceneggiata del processo con la pena della condanna a morte per i coniugi Valbusa: «Io ero fuori dalla stanza, ma quando ho sentito pronunciare quella parola mi sono messa a urlare e a battere alla porta», racconta Iris. La condanna fu tramuta in obbligo di firma e divieto di lasciare il paese, ma l'albergo fu affittato e la famiglia Valbusa si trasferì a vivere nei locali messi a disposizione del medico Aristide Bruno che aveva una villa in centro paese. Il destino dei Coen era segnato: trasferiti in carcere a Verona e poi nel campo di smistamento di Bolzano, da lì furono deportati ad Auschwitz il 24 ottobre 1944 e inviati alla camera a gas il giorno stesso del loro arrivo, il 28 ottobre. L'avvocato Alberto Girolamo, figlio di Giacomo e Ida Ravenna, aveva 53 anni; sua madre, nata a Ferrara da Salomone ed Enrichetta Levi ne aveva compiuti 78. Il fratello che si salvò dal rastrellamento tornò a Tregnago a fine guerra: «Mio padre gli consegnò quanto i familiari gli avevano affidato nel timore del peggio che poi avvenne. Era tutto quanto era riuscito a salvare perché i tedeschi avevano portato via tutto dallo loro stanza, mobili e la ricchissima biblioteca che avevano».
(L'Arena.it, 31 marzo 2013)
Colloqui Hamas-Egitto al Cairo
Presente anche Khaled Meshal
GAZA, 31 mar - Il rilancio delle relazioni fra Egitto e Gaza e' al centro di colloqui al Cairo fra esponenti locali dei servizi di sicurezza e una delegazione della Striscia. All'origine delle tensioni le accuse giunte dall'Egitto di un coinvolgimento di Hamas nella strage di 16 agenti egiziani nel Sinai la scorsa estate.
Al Cairo la delegazione di Gaza incontra inoltre esponenti di Hamas che operano all'estero, fra cui il leader politico Khaled Meshal, Mussa Abu Marzuq ed Izzat al-Resheq.
(ANSA, 31 marzo 2013)
Tamar: i problemi di produzione di gas israeliano
di Gerard Fredj
Sabato scorso il giacimento offshore Tamar ha iniziato per la prima volta a fornire gas.
Con riserve stimate a 300 miliardi di metri cubi, e quattro anni dopo la sua scoperta, la prima messa in funzione è una preparazione, un giro di prova, prima che il gas inizi ad alimentare il mercato israeliano, sconvolgendo così la sua economia e fisionomia.
Le prime prove di pompaggio del gas industriale sono cominciate sabato ("una giornata storica", come l'ha presentata il primo ministro israeliano) ad un terminale di gas costruito sulla costa a Ashdod, attraverso circa 150 chilometri di condotte.
Da domenica il terminale di Ashdod comincerà ad alimentare il mercato israeliano.
Questa operazione rappresenterà un vantaggio per il grande pubblico - forse, perché per il momento è previsto per aprile un ulteriore aumento del 6% delle tariffe di energia elettrica - e certamente per le aziende di settore del paese.
Tamar dovrebbe garantire l'indipendenza energetica del paese per i prossimi 25 anni, consentendo un risparmio di 35 miliardi di dollari all'anno.
Dopo l'arresto delle esportazioni di gas egiziano l'anno scorso, Israele ha utilizzato e importato a caro prezzo petrolio e carbone.
Lo sfruttamento del giacimento sicuramente consentirà un notevole risparmio per lo Stato e per il pubblico in generale (con minori costi di energia e tasse), ma arricchirà solo debolmente le casse dei paesi che incasserano i diritti di sfruttamento e di concessione, nonché le imposte sulle società minerarie. Noble Energy, una società che ha sede in Texas, possiede il 36% dello sfruttamento, con tre compagnie israeliane: Delek drilling (31%), Isramco (29%), Dor (4%).
Se l'indipendenza energetica è importante, è la realtà di altri giacimenti scoperti nella stessa zona, tra cui Leviathan (il doppio di Tamar), che permetterà a Israele di trasformare positivamente il tentativo: l'insieme dei giacimenti scoperti darà a Israele indipendenza energetica per oltre un secolo e, soprattutto, gli darà la possibilità di diventare un importante esportatore regionale, anche se rimane molto indietro rispetto aille grandi potenze mondiali di gas che sono Russia, Norvegia e Qatar.
In un documento che risale a due anni fa, il Fondo Monetario Internazionale aveva raccomandato allo Stato ebraico di utilizzare queste future entrate per ridurre il suo debito pubblico e creare un "fondo sovrano" a imitazione di altri paesi esportatori di energia (Norvegia, Emirati Arabi Uniti, Cina, Qatar) al fine di sviluppare le infrastrutture del paese "per le generazioni future", e fare investimenti.
Secondo le previsioni dell'ex ministro delle Finanze Yuval Steinitz, nel corso dei prossimi 25 anni i giacimenti dovrebbero produrre 150 miliardi di dollari allo Stato.
Il giacimento Leviathan potrebbe cominciare ad essere sfruttato nel 2016, e questo segnerebbe l'inizio delle esportazioni israeliane.
Senza contare che Israele possiede la seconda riserva mondiale di petrolio di scisto (equivalente alla riserva di petrolio saudita), ma la questione dell'olio di scisto resta problematica per quel che riguarda il suo impatto ambientale (produzione significativa di gas con effetto serra).
Nulla tuttavia è ancora definitivo: in materia di gas Israele non ha ancora definito una politica di esportazione (che implica una infrastruttura per portare questo gas fuori dal paese) e in Israele si alzano voci che invitano a mantenere questa energia nel paese, piuttosto che esportarla. Si deve inoltre tener conto della geopolitica della regione: le tensioni e le rivalità si acutizzano.
Se la scoperta di questi giacimenti ha permesso a Israele di delimitare, con Cipro e la Grecia (che hanno scoperto anche loro giacimenti attigui), i tratti di mare in esclusiva - cioè frontiere marittime - il Libano nega di aver condivisione con Israele, e la Turchia ha minacciato le imprese che accetteranno di firmare contratti di sfruttamento con Cipro e la Grecia, e quindi di fatto con Israele, sperando così di controbilanciare il quasi monopolio russo di Gazprom nella regione.
Resta il fatto che, secondo gli esperti statunitensi, le scoperte degli ultimi anni sono soltanto una piccola parte di quello che sarebbero le riserve nel Mediterraneo orientale.
(Israèl Infos, 31 marzo 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Tensione sulla spianata delle moschee
Lanciati sassi contro fedeli ebrei al muro del pianto
GERUSALEMME, 31 mar - Tensione oggi nella Citta' vecchia di Gerusalemme dopo incidenti verificatisi nella Spianata delle Moschee.
Fonti locali riferiscono che fedeli islamici hanno lanciato sassi contro agenti della polizia e contro fedeli ebrei, nella sottostante Spianata del Muro del Pianto.
Non si segnalano vittime. La polizia ha compiuto alcuni fermi fra i dimostranti palestinesi e ha vietato l'accesso alla Spianata delle Moschee agli israeliani e ai turisti stranieri.
(ANSA, 31 marzo 2013)
Interessante confronto tra due tipi di fedeltà: al muro del tempio i "fedeli ebrei" pregano e piangono; dalla spianata delle moschee i "fedeli islamici" lanciano sassi sui fedeli ebrei che stanno di sotto.
La congiura del silenzio sull'antisemitismo
di Giorgio Israel
Non voglio entrare nelle polemiche di questi giorni circa il Movimento 5 Stelle, il fascismo e l'antisemitismo. Limitiamoci ai fatti. Da tempo chiunque perlustri appena superficialmente i siti web di Beppe Grillo non avrà difficoltà a trovarvi una impressionante mole di manifestazioni di antisemitismo, quello classico, più tradizionale e contundente. Ricevo in queste ore messaggi sconfortati di persone che hanno avuto il fegato di fare simili perlustrazioni. Si va dagli insulti comuni («ebrei maìalì»), alla giustificazione dell' odio («se gli ebrei sono stati sempre odiati un motivo c'è»), ai rimproveri a Hitler per la sua moderazione («ma gli ebrei ancora esistono? .. ahi, ahi, Hitler non ti sei impegnato abbastanza!»). E poi la solita solfa sugli ebrei che ordiscono complotti per dominare il mondo, o che già lo controllano, che sono i responsabili della crisi economica, maledetti affamatori del popolo, e così via. Naturalmente Grillo potrà dire che quelli non sono suoi commenti e che lui non li condivide, sebbene una selezione dei commenti (notoriamente possibile in rete) renderebbe più decoroso l'ambiente dei suoi siti. E se questo non gli fosse possibile, per mancanza di tempo e collaboratori o per la scelta di evitare ogni censura, ci si chiede perché mai una persona che ha dimostrato, in tante occasioni, di avere un ascendente enorme sul proprio "popolo" non colga l'occasione per prendere posizione ed esercitare una severa e argomentata pedagogia nei confronti degli scalmanati che rovesciano questo pattume razzista sulle sue pagine web. Sarebbe meglio della censura, perché è preferibile guardare in faccia il peggio che si agita nella società, per potervi applicare il vaccino della ragione. Ma, in fin dei conti, queste sono faccende che riguardano Grillo. Tuttavia, quel che è molto più preoccupante è il silenzio, diciamo pure il disinteresse, che circonda questo fenomeno. Non una voce si leva dal mondo politico per deprecare quanto accade e per chiedere di fare qualcosa. In particolare, per il centrosinistra sembra che l'ossessione di fare un governo a qualsiasi costo renda queste vicende marginali, alla stregua di un fastidioso intralcio sulla via di un auspicato accordo con il Movimento 5 Stelle, che i fatti hanno dimostrato chimerico. Immagino di sentire vibrate proteste contro una simile "insinuazione". Ma i dirigenti del centrosinistra dovrebbero serenamente riflettere sul fatto che, anche contro la loro volontà, questo è il messaggio che sta passando in questi giorni. Molto, ma molto più preoccupanti dei commenti dei frequentatori dei bloggrillini sono i commenti che si sentono da parte di militanti o votanti del centrosinistra e che si possono così riassumere: qui si fa politica, non ci si può perdere dietro gli ideali; non interessa a nessuno e non ha implicazioni elettorali utili la pregiudiziale sull'antisemitismo e sul razzismo; l'obbiettivo primario, dietro cui tutto sparisce, è riprendersi i voti che sono fuggiti dalla sinistra verso Grillo. Si potrebbe osservare che il machiavellismo è pane quotidiano in politica, a condizione di aver successo, altrimenti si fa una doppia figuraccia. Ma il problema è più serio: anche il machiavellismo va coniugato con un fondamento solido, magari anche minimo, ma solido di principi, altrimenti l'unico risultato è impartire al Paese una lezione di cinismo che serve soltanto a fabbricare un disastro. Diciamo la verità: gli ebrei sono abituati da sempre a essere scelti come capro espiatorio quando vi sono crisi sociali e nasce la tentazione di incanalare l'ira delle gente verso un responsabile facilmente identificabile. Ma le lezioni della storia non hanno insegnato che il prezzo della scelta di chiudere gli occhi di fronte a questa deriva lo paghiamo tutti? Se l'Europa è ridotta in questo stato non è forse perché sta ancora pagando il prezzo di aver consentito sulle proprie terre il più grande scatenamento razzista della storia? Agli amici che dicono «scusate, ma non possiamo compromettere il nostro disegno politico per voi, dopo provvederemo», va detto che non ci sono due tempi per queste cose e che, quando si accantonano certi principi poi risulta difficile recuperarli.
Questo Paese ha mostrato in molte occasioni decisive di saper mettere da parte le divisioni per difendere i principi fondamentali che sono alla base della democrazia e della libertà; e alla sinistra va riconosciuto di essere stata sempre coerente in tale difesa. È da augurarsi che questa capacità non si sia pericolosamente appannata e che, in generale, il mondo politico ritrovi il nucleo della sua ragion d'essere.
(Il Messaggero, 31 marzo 2013)
Anniversario della scomparsa di Anna Frank: una ragazza come tante
di Francesco Fario
«Anna era una ragazzina piena di vita, amava molto parlare, e le piacevano i ragazzi! Se fosse ancora viva sono convinta che sarebbe diventata un'eccellente scrittrice». Con queste parole Nanette Blitz Konig ricorda la sua compagna di scuola, divenuta celebre in tutto il mondo per la sua storia, per la sua scrittura e il famoso diario, con il suo messaggio di speranza che ha tramandato alle generazioni future: Annelies Marie Frank, meglio nota come Anna Frank, di cui oggi si celebra l'anniversario della morte, avvenuta sessantotto anni fa (31 marzo 1945).
La storia di Anna e della sua famiglia è anche la storia dell'Europa degli anni che precedettero e che portarono alla guerra: gli eventi storici che avvenivano intorno a loro, sono stati la diretta conseguenza del modo in cui si è svolta la loro tragica storia.
Anna era figlia di Otto Heinrich Frank, imprenditore tedesco di origine ebrea. Dopo la Grande Guerra, Otto assunse la gestione della banca di famiglia e nel 1925 si sposò con Edith Hollander, madre di Anna. Il 1925 è anche uno dei primi anni bui della Germania. Hitler infatti pubblica in quell'anno il Mein Kampf, dove sottolinea il proprio pensiero politico e la sua ideologia sulla razza.
Nel 1926 i Frank coronano il loro sogno d'amore, dando alla luce una bambina, Margot. Il 12 giugno del 1929 nasce invece la piccola Anna, pochi mesi prima del crollo della borsa di Wall Street, principio della prima grande crisi economica mondiale. La crisi portò disoccupazione e povertà, primi ingredienti per far esplodere il malcontento popolare, che permise ad Hitler di accumulare sempre più consensi che lo portarono a diventare, nel 1933, Cancelliere.
I Frank, essendo «ebrei puri», come scriverà la piccola Anna sul suo diario un giorno, percepiscono l'ascesa di Hitler come una minaccia. Decidono perciò di emigrare in Olanda, precisamente ad Amsterdam, dove sono sicuri di stare al riparo dal razzismo nazista. Lì, nella capitale olandese, la vita di Anna e della sua famiglia segue il suo corso abituale: le ragazze iniziano ad andare a scuola, Edith si occupa della casa e Otto dei suoi affari. Anne inizia a vedere la vita con quell'entusiasmo e quello splendido sorriso che mostra sempre nelle sue foto. Un giorno Anna racconterà nel suo diario quest'esilio: «Dato che siamo ebrei puri, nel 1933 mio padre è andato nei Paesi Bassi dove è diventato direttore della Opekta Mij. olandese, una ditta che produce marmellate. In settembre mia madre lo ha seguito mentre io e Margot siamo andate ad Aquisgrana dalla nonna. Margot ha raggiunto i nostri genitori in Olanda in dicembre ed io in febbraio. Il giorno del suo compleanno mi hanno messo sul tavolo, come una specie di regalo».
Contemporaneamente, dal 1933 al 1938, la Germania nazista costruisce i vari campi di concentramento e annette l'Austria attraverso lo "anschluss". Gli ebrei che vivono in Germania e nei territori occupati sono sempre più in pericolo. Molti di loro emigrano. Circa 30.000 ebrei vanno in Olanda. La vita di tutto il mondo, compresa quella dei Frank, viene sconvolta quando il 1 settembre del 1939 Hitler invade la Polonia e, a maggio del '40, paesi neutrali e nemici, come la Francia, la Danimarca, il Belgio e l'Olanda. Gli ebrei di tutta Europa cominciano a rendersi conto che, in qualunque paese si trovino, la minaccia hitleriana è comunque troppo forte. E' in quel momento che le nuvole nere cominciano a mostrarsi nel cielo sereno dei Frank, che scoprono attraverso immagini e notizie ciò che accadeva agli ebrei. Anna scriverà di quell'anno: «In maggio del 1940 i bei tempi finirono: prima la guerra, poi la capitolazione, l'invasione tedesca e l'inizio delle sofferenze di noi ebrei. Venivano continuamente emanate leggi antisemitiche che limitavano gravemente la nostra libertà».
I primi mesi trascorrono senza significativi cambiamenti. La schedatura degli ebrei rappresenta il primo passo verso l'isolamento. La vita di Anne è limitata in misura crescente dalle leggi razziali emanate dagli invasori. Per esempio deve frequentare una speciale scuola ebrea e i luoghi pubblici, come il cinema ed il tram, diventano terreno proibito. Otto, a causa della sua etnia ebraica, è costretto a lasciare la proprietà della propria azienda; senza però far pesare troppo la cosa alle figlie e alla moglie: la famiglia infatti seguita a vivere normalmente.
Nel 1942 la felicità muove l'ultimo e significativo passo nella vita di Anne. Le viene infatti regalato per il suo compleanno un quadernino a righe bianche e rosse. Sarà lì che Anna annoterà, da quel momento in poi, tutto il suo passato, tutto il suo presente e le sue speranze per il futuro: tutte cose documentate da foto incollate su quelle pagine. Quell'anno, però, è anche l'inizio della tragedia. Margot riceve la prima convocazione: deve andare in un campo di lavoro in Germania. Otto e Edith non hanno intenzione di lasciar andare la loro figlia nella Germania nazista. Se Margot non si presenta, verrà arrestata tutta la famiglia.
La famiglia comincia così una vita clandestina, nella stessa città dove aveva trovato la salvezza. Il luogo prescelto come nascondiglio è la casa sul retro della sede dell'azienda di Otto. Il nascondiglio accoglierà, oltre ai Frank, la famiglia Van Pels: Hermann, Auguste e il figlio Peter (per il quale Anna proverà i primi sentimenti adolescenziali) Hermann van Pels è un dipendente dell'azienda di Otto Frank.
La porta di accesso era nascosta dietro una libreria. Naturalmente Anne ha anche il diario. Più tardi, ripensando a quel periodo scriverà: «Il tempo spensierato e senza affanni della scuola non tornerà mai più».
Gli avvenimenti che racconterà nel suo diario sono tanto banali, come le piccole discussioni sul cibo o le insofferenze fra persone che vivono troppo vicine, quanto profonde e significative, come le paure causate dal vivere in clandestinità o le difficoltà angosciose per dei prigionieri, come il cibo che non arriva o il pericolo di malattie, i sentimenti per Peter, i conflitti con i genitori, la sua aspirazione di diventare scrittrice. Tutto annotato con considerevole talento.
Vissero lì nascosti dal 9 luglio 1942 al 4 agosto 1944, durante l'occupazione nazista. Una mattina, però, una soffiata di un informatore olandese portò la Gestapo al loro nascondiglio. Vennero arrestati dalla Grüne Polizei, e il 2 settembre 1944 Otto e la sua famiglia vennero caricati su un treno merci che andava ad Auschwitz, dove giunsero tre giorni dopo. Nel frattempo Miep Gies ed Elly Vossen, due persone che si erano prese cura del gruppo durante quel periodo clandestino, trovarono il diario e lo misero al sicuro.
Anna, Margot ed Edith Frank, i van Pels e Fritz Pfeffer non sopravvissero ai campi di concentramento tedeschi (nel caso di Peter van Pels, alle marce della morte tra un campo e l'altro). Margot e Anna passarono un mese ad Auschwitz e vennero poi spedite a Bergen-Belsen: qui Anna morì di tifo il 31 marzo 1945, due settimane prima che le truppe inglesi liberassero il campo.
La storia di Anna è identica a quella di tante vite stroncate e distrutte nel pieno del fiorire della giovinezza dall'orrendo e vergognoso evento che fu l'Olocausto. Il suo diario è un perfetto esempio di scrittura storica, poiché grazie alla penna di Anna, oggi possiamo leggere la storia della guerra in quegli anni, resa ancora più comprensibile da brevi racconti giornalieri di questa ragazza.
La storia di Anna, trasformata anche più volte in pellicola cinematografica (come quella del '59 che fece vincere a Shelley Winters il primo Oscar), è una storia che va ricordata sempre, senza interruzioni, giorno per giorno, ripresentandoci gli orrori del passato: orrori che vanno ricordati non solo nel Giorno della Memoria, poiché, come scriveva Primo Levi: «Chi non ricorda il suo passato, è destinato a riviverlo».
(Wake up News, 31 marzo 2013)
Mille anni di storia ebraica nel tetto della sinagoga ricostruita
Esposta al nuovo museo di Varsavia, nel cuore del ghetto
VARSAVIA - E' un simbolo dei mille anni di vita e di storia degli ebrei in Polonia, terra d'accoglienza per chi era in fuga da Spagna e Francia, che rinasce dopo la distruzione da parte dei nazisti. Il museo di storia degli ebrei polacchi di Varsavia svela il primo dei capolavori in mostra: il tetto in legno della sinagoga di Gwozdziec, citt ora in Ucraina, risalente al XVIII secolo. "Abbiamo costruito l'edificio, non ricostruito, non si tratta di una replica o di una copia. L'abbiamo fatto con le nostre mani, usando strumenti, materiali e tecniche tradizionali" spiega Barbara Kirshenblatt-Gimblett, direttore della mostra. "E' stato tutto realizzato da un gruppo di 300 volontari da tutto il mondo, persone di tutte le et e di diverse religioni e nazionalit" spiega Piotr Wislicki, presidente dell'Associazione dell'Istituto storico ebreo della Polonia.Le pitture policrome, con rosso e blu colori dominanti, ricoprono tutto il soffitto, dove campeggiano scene di animali, miti e motivi floreali: un lavoro che ha coinvolto 300 esperti di tutto il mondo. Il museo sorge in un luogo simbolico, il cuore del ghetto di Varsavia, e apre i battenti il 19 aprile, per il 70esimo anniversario dell'insurrezione. L'edificio, disegnato da due architetti finlandesi, proprio di fronte al monumento dedicato agli eroi di quei giorni: la facciata ha uno strappo simbolico, che si apre su pareti ondulate, allusione alla traversata biblica del mar Rosso, quando Mos condusse il popolo d'Israele fuori dall'Egitto.
(TMNews, 30 marzo 2013)
Libano: mentre l'Europa dorme Hezbollah rafforza la sua posizione
di Noemi Cabitza
Mentre l'Europa nicchia sull'inserimento di Hezbollah nella lista nera dei gruppi terroristici, il movimento terrorista sciita libanese rafforza la sua posizione politica e militare in Libano attraverso una serie di colloqui e, in particolare, per mezzo di diktat alle forze politiche libanesi che si apprestano a varare una nuova legge elettorale in previsione delle nuove elezioni parlamentari che si dovranno svolgere in Libano a seguito delle recenti dimissioni del Governo.
Fonti libanesi hanno reso noto che nei giorni scorsi una delegazione di Hezbollah ha avuto colloqui con rappresentanti di Amal e del Free Patriotic Movement (FPM). All'ordine del giorno la nuova legge elettorale che, in teoria, dovrebbe concedere una maggiore rappresentazione della minoranza cristiana nel nuovo Parlamento libanese. In teoria perché Hezbollah ha posto alcune condizioni che stravolgono l'impostazione originale della proposta di legge. Secondo quanto riferito da Hussein Khalil, braccio destro di Hassan Nasrallah, Hezbollah voterà la legge ma a determinate condizioni. Non è dato sapere quali siano le condizioni poste da Hezbollah ma fonti libanesi sostengono che tali limitazioni non sarebbero gradite al FPM, partito a maggioranza cristiana guidato dal'ex generale Michel Aoun. La cosa non preoccupa minimamente Hezbollah che durante i colloqui ha fatto valere il suo peso militare minacciando, più o meno esplicitamente, gli altri partiti.
Negli ultimi mesi Hezbollah ha rafforzato notevolmente la sua posizione militare all'interno del Libano. Tecnici iraniani hanno messo a punto un sofisticato sistema di comunicazione militare che a livello tecnologico supera di gran lunga quello statale e che in sostanza permette a Hezbollah di avere il controllo totale sulle comunicazioni civili e militari in Libano. Non solo, secondo fonti di intelligence occidentali lo stesso sistema permetterebbe a Hezbollah di avere il totale controllo degli aeroporti militari e civili. L'installazione di questo sistema che di fatto mette sotto controllo dei terroristi sciiti l'intero Paese, esercito compreso, è stato alla base di furibonde contestazioni da parte dei partiti politici, contestazioni che però non hanno avuto alcun esito se non portare alle dimissioni del Governo.
Il paradosso dei paradossi è che alcuni personaggi europei di primo piano, tra i quali Catherine Ashton, vedono in questo rafforzamento di Hezbollah in Libano una "fonte di stabilità" politica per il paese dei cedri e per questo si rifiutano di inserire il gruppo terrorista nella blacklist europea dei gruppi terroristici. Di fatto si tratta di un riconoscimento della politica di Hezbollah che si basa completamente sulla prepotenza e sulla prevaricazione degli altri.
(Rights Reporter, 30 marzo 2013)
Siria - Bambino soldato: 'non ho altra scelta'
Incendiata una sinagoga vicino Damasco e' una delle piu' antiche del Paese. Regime e ribelli si accusano a vicenda di atto vandalico
Nella piccola mano un kalashnikov che non riesce neanche ad imbracciare, nell'altra una sigaretta che aspira per sentirsi adulto. Lui ha solo 8 anni, ma è già un soldato della guerra civile siriana. Il video shock - pubblicato dal britannico Telegraph - mostra il piccolo tra le rovine di una Aleppo martoriata. Nell'intervista racconta che i genitori sono morti sotto i bombardamenti del regime, che il padre combatteva con i ribelli e che l'unica persona della famiglia rimastagli è lo zio miliziano. Ahmed ora combatte con lui: "Non ho altra scelta. Non ho la scuola, la mia famiglia è morta, cosa posso fare?". La storia del bambino purtroppo non è un caso isolato. Un rapporto di Human Rights Watch lancia l'allarme su centinaia di bambini con storie simili, anche loro vittime di una guerra che finora ha causato oltre 70mila morti, rovine e disperazione.
Intanto una delle più antiche sinagoghe della Siria è stata incendiata nei pressi di Damasco, e ribelli e regime si accusano a vicenda dell'atto vandalico. Alcuni residenti di Jawbar, quartiere periferico della capitale affermano - citati dal portale di notizie All4Syria del noto dissidente Ayman Abdel Nur - che l'esercito governativo siriano ha assaltato e incendiato i locali dell'antica sinagoga. Dal canto suo, il sito di notizie DamPost, vicino al regime, afferma che a dare fuoco all'antico tempio sono stati membri dell'Esercito libero (i ribelli), che controllano Jawbar. La maggior parte degli ebrei siriani ha lasciato il Paese negli anni '90 mentre a Damasco e nel nord-est rimangono poche decine di famiglie che ormai vivono in semi-clandestinita'.
(ANSA, 30 marzo 2013)
A Berlino c'è un ebreo in vetrina, la provocazione al Museo della Shoah
di Andrea Tarquini
BERLINO - Che cosa vuol dire essere ebreo? È lecito chiamare qualcuno ebreo? Quanto pesa oggi, qui, l'Olocausto? Domande da campo minato, visto il passato tedesco. E insieme, inevitabile curiosità da senso di colpa made in Germany. Il museo ebraico di Berlino affronta il tema con una mostra, che ha subito spaccato l'opinione pubblica, dentro e fuori la comunità ebraica. Perché il "pezzo forte", se così si può definirlo, è l'ebreo in vetrina, o l'ebreo nella teca. Cioè un vero ebreo, volontario, che a turno ogni giorno (tranne che durante lo Shabbath) siede appunto in una teca, e risponde alle domande dei visitatori: sulla cultura ebraica, sulla Storia, su come gli ebrei oggi guardano alla Germania e come ci si sentono.
«Hanno chiesto anche a me di partecipare, mi sono rifiutato, ci manca solo che diano una banana e dell'acqua all'ebreo nella teca, e poi magari accendano il riscaldamento al massimo», protesta Stephan Kramer, dirigente della comunità ebraica. «È un'idea orribile e degradante », incalza Eran Levy. Ma Miriam Goldmann, curatrice del Museo Ebraico, noto in tutto il mondo da quando ha aperto qui i battenti, si difende decisa: «È una provocazione voluta, so che per alcuni è oltraggioso, ma secondo me è il miglior modo di superare le barriere emotive».
L'idea della mostra "Tutta la verità" resterà aperta, ogni giorno dalle 10 alle 20 e lunedì dalle 10 alle 22, fino al primo settembre è volutamente provocatoria. Fin nella seconda parte
del titolo, che allude a un celebre film di ironia sul sesso del grande Woody Allen: "Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sugli ebrei". Ma che, sottinteso appunto, voi tedeschi non avete mai osato chiedere. La cosa più importante: tutti gli ebrei nella teca, ovviamente, sono volontari, ebrei tedeschi o israeliani viventi a Berlino. Come Leeor Englander: «Siamo così pochi qui che ti senti comunque un pezzo da esposizione, o in ogni caso chiunque sappia che sei ebreo è spinto automaticamente a chiederti cosa significa, o a porre domande sull'Olocausto e la colpa dei tedeschi». Domande tra le più frequenti che i visitatori pongono. Dice Ido Porat, un altro dei volontari: «Potrebbero servire ancora di più per capire come si arrivò alla Shoah. Certo, ti senti un po' come in uno zoo...». O anche, battuta dura degli stessi ebrei, «come Adolf Eichmann alla sbarra al processo dietro il vetro di sicurezza».
La comunità si è divisa. Il rabbino Yehuda Teichtal invita tutti ad andarla a vedere, contestando la leadership. I visitatori pongono domande d'ogni genere all'ebreo nella teca, dalla religione, alle tradizioni, fino all'attualità in Palestina o all'omosessualità. La mostra poi espone anche, in sette sale, domande e risposte d'ogni tipo sulla vita ebraica, e brevi biografie di vip di cui pochi conoscono l'origine ebraica, come David Beckham e Justin Bieber, o la conversione all'ebraismo, da Sammy Davis Jr. a Marilyn. E la domanda-battuta più pungente: "Perché gli ebrei rispondono sempre a domande con domande?". "Perché no?".
(la Repubblica, 30 marzo 2013)
Comune di Bagnacavallo: "Celebrato in Consiglio comunale il ricordo dei Giusti"
Nella seduta del Consiglio comunale di Bagnacavallo di giovedì 28 marzo si è svolta una cerimonia in ricordo dei cinque Giusti bagnacavallesi (Aurelio, Amelia, Vincenzo e Rosa Tambini e Antonio Dalla Valle), che a rischio della propria vita contribuirono alla salvezza della famiglia ebrea Weiss Galandauer dalle persecuzioni nazifasciste durante la seconda guerra mondiale.
Sono intervenuti il sindaco Laura Rossi, l'esponente della comunità ebraica di Bologna Ines Miriam Marach e il direttore del Museo Civico delle Cappuccine Giuseppe Masetti.
«I Giusti tra le nazioni - ha ricordato il sindaco nel suo intervento - sono non ebrei che durante la Shoah salvarono uno o più ebrei dalla deportazione e dalla morte, rischiando la propria vita senza trarne vantaggio personale. Nella nostra comunità, accanto ai cittadini riconosciuti "Giusti" dall'Istituto per la Memoria della Shoah, ci furono molte altre persone che aiutarono famiglie ebree a sfuggire a un terribile destino, dimostrando grande umanità, spirito di solidarietà e di giustizia e un enorme coraggio. Il sindaco, dopo aver rivolto un saluto e un ringraziamento particolare alla signora Marach e ai discendenti dei Giusti bagnacavallesi, presenti in sala, ha sottolineato l'importanza dell'esempio dato da questi cittadini: «persone normali che con semplicità, rispondendo al richiamo della loro coscienza, in ogni parte del mondo e anche a Bagnacavallo, salvarono tante vite umane nei genocidi e difesero la dignità umana durante i totalitarismi, incarnando così i valori fondanti della nostra società civile. Il loro esempio - ha concluso il sindaco - ci ricorda la straordinaria forza che si può nascondere dietro la cosiddetta normalità.»
Ha poi preso la parola Ines Miriam Marach, della comunità ebraica di Bologna, che con parole toccanti ha ricordato e ringraziato i Giusti bagnacavallesi, evidenziando la massima del Talmud secondo la quale «chiunque salvi una vita salva l'umanità intera». Il direttore del Museo Civico, Giuseppe Masetti, ha tratteggiato la storia dei Giusti bagnacavallesi e di come salvarono la famiglia Weiss Galandauer mettendo a rischio la propria vita e ha ricordato che, nonostante le enormi difficoltà, nel nostro territorio ci furono molti altri esempi di altruismo e solidarietà, fra i quali quello della signora Lea Zannoni che contribuì a salvare la famiglia Vita.
Fino al 28 aprile, presso il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, è possibile visitare la mostra I Giusti tra le Nazioni. I non ebrei che salvarono gli ebrei in Emilia-Romagna 1943-1945, curata dal Museo Ebraico di Bologna in collaborazione con la Comunità Ebraica bolognese. La mostra storico-documentaria rende omaggio e porta all'attenzione del largo pubblico la storia dei 54 Giusti tra le Nazioni che hanno operato in Emilia-Romagna.
Sempre fino al 28 aprile il Museo Civico delle Cappuccine ospita, accanto a quella sui Giusti, anche la mostra Bagnacavallo al tempo della guerra curata in occasione del 60o anniversario della Liberazione dall'Istituto storico della Resistenza di Ravenna.
Orari di entrambe le mostre: 10-12 e 15-18; chiuse il giorno di Pasqua (31 marzo) e aperte il Lunedì dell'Angelo (1 aprile).
Le iniziative sono curate dall'assessorato alle Politiche formative del Comune di Bagnacavallo, in collaborazione con Museo Civico e Istituto comprensivo, per ricordare i Giusti bagnacavallesi in occasione della Giornata europea dei Giusti, istituita dal Parlamento Europeo nel 2012 e fissata il giorno 6 marzo, in omaggio alla memoria di Moshe Bejski, presidente della Commissione dei Giusti di Yad Vashem, scomparso il 6 marzo 2007.
(Faenzanotizie.it, 30 marzo 2013)
Regista israeliano picchiato in Francia da un gruppo di arabi
Yariv Horowitz
Il regista si era attardato in strada, dopo la proiezione del film, per prelevare a un bancomat: lì è stato aggredito prima verbalmente e poi preso a calci
Era in Francia per partecipare con il suo ultimo film, "Rock the Casbah", al Festival internazionale del cinema di Aubagne, ma Yariv Horowitz, regista israeliano, ricorderà questi giorni per l'aggressione subita da un gruppo di giovani arabi.
Il regista si era attardato in strada, dopo la proiezione del film, per prelevare a un bancomat: lì è stato aggredito prima verbalmente e poi preso a calci.
L'uomo ha perso anche conoscenza per qualche minuti, ma ripresosi ha preferito non denunciare l'accaduto per non passare la notte in commissariato.
Ha però raccontato oggi la sua storia al quotidiano israeliano Yediot Ahronot, specificando però di non essere certo che i suoi assalitori sapessero che fosse israeliano.
(today, 29 marzo 2013)
"Perché mio padre era nazista"
di Stefano Vastano
Aly Götz, Perché i tedeschi? Perché gli ebrei?, ed. Einaudi
Il nazismo? Lo sterminio di sei milioni di ebrei? In fondo, si tratta d'una vicenda familiare. Ma anche - e le cose sono strettamente legate - dell'invidia sociale e del rancore dei giovani, laureati o comunque diplomati, figli di piccola borghesia e che in una situazione di crisi non vedevano futuro.
È questo il nocciolo delle tesi che Götz Aly storico tedesco di fama sostiene nel libro "Perché i tedeschi? Perché gli ebrei?" in uscita con Einaudi. Il testo in Germania ha sollevato non solo colti dibattiti, ma anche imbarazzo tra gli addetti ai lavori. E questo perché Aly nella sua ricostruzione della catastrofe tira in ballo il passato nazista di suoi nonni, zii e di suo padre Ernst. «Classe 1912, aderì nel 1938 al partito nazista », racconta nel suo studio a Berlino, «è stato ufficiale sul fronte russo». Dove è stato soldato anche August, uno zio dello storico. Le sue lettere dal fronte, Aly le utilizza nel libro: «L'ho potuto scrivere solo dopo la morte dei miei genitori», precisa. Mai un professore tedesco aveva intrecciato così strettamente genesi del nazismo e Shoah alle proprie vicende familiari. «Ho chiamato in causa la mia famiglia», incalza, «perché altrimenti non si riesce a capire perché i tedeschi hanno sostenuto fino all'ultimo il nazismo ed erano partecipi alla Shoah». Così, per 300 pagine, sfilano davanti al lettore 130 anni di "storie parallele".
A partire dal 1802 (data dei primi editti prussiani sulla libertà di commercio agli ebrei) rivediamo la vita della comunità ebraica in Germania insieme, ad esempio, alle lettere che, nel 1915, l'ufficiale Wolfgang Aly scrive alla famiglia. Era un altro nonno dello storico, responsabile a Verdun di una batteria di cannoni. Oppure, si raccontano le peripezie che Ottilie e Friedrich Schneider (nonna e nonno di parte materna), vivono nella Repubblica di Weimar.
La convinzione di Aly è che se non capiamo perché un ferroviere come suo nonno Friedrich, appunto, nel 1928 sia passato nelle file di Hitler, «la catastrofe tedesca resterà un oscuro capitolo astratto di "Olocaustologia"». E rincara la dose: «A forza di parlare solo delle Ss si finisce per esorcizzare il nazismo e tenere a distanza l'orrore. Alle conferenze», provoca, «mi diverto a chiedere ai colleghi: tuo padre e tuo nonno erano nazisti?». E nonno Fridrich? La sua vicenda è citata nel libro: «Il 1 aprile 1926 mi sono ritrovato disoccupato. Ero padre di tre bambine di sei, quattro e due anni e in gravi difficoltà. Così, in buona fede, mi sono affidato al programma del partito nazionalsocialista».
Ma cos'è che agli occhi d'un ferroviere e a quelli di milioni di altri tedeschi dell'epoca rendeva così attraente il programma di Hitler? La risposta, sconcertante nella sua semplicità, è che il Führer li stregava «soddisfacendo », dice Aly, «il rancore nutrito dai tedeschi nei confronti degli ebrei». Sì, l'invidia, per i veri e i presunti successi sociali, economici e culturali che in pochi decenni hanno avuto gli ebrei in Germania ha condotto i tedeschi nelle braccia di Hitler. «Il nazismo», sintetizza Aly indicando di fronte al suo studio il Luftwaffe Ministerium, il ministero dell'aviazione che fu di Hermann Göring, «è il più grande monumento mai innalzato all'invidia».
Ma attenzione, quando Aly vede alla radice del nazismo «un gigantesco senso d'inferiorità e una massiccia dose di rancore nell'animo dei tedeschi», non fa un esercizio di psicologia. Il libro è pieno di dati statistici. «Nel giro di due generazioni», spiega Aly, «puntando sull'istruzione dei figli molte famiglie ebraiche hanno fatto in Germania una strepitosa ascesa sociale», mentre lentissimo è stato per la maggioranza dei tedeschi non ebrei il passaggio dalla società rurale a quella industriale.
Nella Germania del 1907, il tre per cento dei cattolici faceva il medico, l'avvocato o il professore. Contro il 37 per cento di liberi professionisti ebrei. Un primato che non concerne solo le professioni: nei primi del Novecento, a Francoforte il gettito fiscale proveniente dagli appartenenti alla comunità ebraica era quattro volte superiore a quello dei protestanti e di otto volte a quello dei cattolici. A Berlino (dove gli ebrei erano il cinque per cento della popolazione) il loro gettito copriva il 30 per cento delle spese del municipio. E lo storico berlinese, Theodor Mommsen notava, nel 1894, come il virus antisemita fosse frutto «di invidia, anzi di odio selvaggio contro la cultura e il senso di libertà degli ebrei». I dati raccolti da Aly parlano per sé: intorno al 1900, il 56 per cento degli ebrei in Germania aveva un diploma di scuola media superiore, contro il 7 per cento dei tedeschi non ebrei. Nei primi due decenni del secolo gli ebrei, l'un per cento della popolazione, costituivano il 10 per cento degli universitari in Germania.
Tutto questo, ed ecco il secondo punto importante del libro, era causa di una profonda insicurezza personale. L'ambasciatore fascista a Berlino, Carlo Sforza annotava: «I tedeschi si chiedono in ogni momento cosa sia o non sia l'essere tedesco». Spiega Aly: «Il complesso d'inferiorità portò i giovani, specie studenti e laureati nelle braccia di Hitler». Il suo era, e voleva presentarsi come tale, il partito più "giovane" della Repubblica di Weimar. Hitler aveva 32 anni quando fu eletto presidente del partito. Alle elezioni del 1930 i 114 deputati nazisti in Parlamento avevano in media 38 anni. «A sostenere il partito erano giovani che, nonostante studi e diplomi, avevano paura di non trovare lavoro ». "Ein Stück Papier": un pezzo di carta, così Joseph Goebbels, (laureato in filosofia prima di diventare ministro della propaganda nazista) chiamava il diploma.
Nel 1929, due terzi degli iscritti alle università erano figli d'impiegati e di artigiani. È stata la loro frustrazione, ad aver portato nel 1930 il 35 per cento degli universitari a votare Hitler. «L'acceso antisemitismo dei nazisti», conclude Aly, «era una valvola di sfogo, tanto che nel 1930 Goebbels organizzò tre serate con Hitler, acclamato come una rockstar di oggi, allo Sportpalast di Berlino». Tutti e 12 mila i biglietti andarono a ruba. Il seguito è noto.
(Espresso, 29 marzo 20139)
Tennis - Il marocchino Younes El Aynaoui coach per una settimana per i bimbi israeliani
Polemiche in patria
Younes El Aynaoui
Younes El Aynaoui con il suo Si, sta costruendo un ponte tra le culture.
Su invito dell'ex giocatore israeliano Harel Levy, trascorrerà una settimana in Israele, con dei corsi di tennis gratuiti per i bambini locali. La decisione di El Aynaoui però sta provocando diverse polemiche in patria, a causa dei rapporti tesi tra i due paesi.
Lo sport, ed in questo caso il tennis, è un ponte ideale per aiutare le diatribe tra paesi o religioni.
(Live Tennis, 29 marzo 2013)
Che cosa è accaduto agli ebrei d'Egitto?
di Elisa Pierandrei
Camminando nelle strade del Cairo non diresti mai che fino alla prima metà del 20esimo secolo questa metropoli è stata la patria di decine di migliaia di ebrei. Nella centralissima Al Adly Street fa ancora bella mostra una maestosa sinagoga, non piu' funzionante. Un giovane regista egiziano di nome Amir Ramses ha realizzato, con il contributo del produttore Haitham El Khamissi, un documentario costato 5 anni di ricerche che mercoledi' 27 marzo è uscito finalmente nelle sale egiziane. In due sale al Cairo e in una ad Alessandria d'Egitto. E io naturalmente non me lo sono perso.
La pellicola si intitola "Jews of Egypt" ed era stata bloccata dall'apparato della Sicurezza Nazionale prima di ottenere il via libera, alcuni giorni fa (Cosa che mi aveva reso ancora piu' curiosa!). In sala, mercoledi', c'era anche il regista, il quale mi ha commentato lo stop preventivo come "pura paranoia". Il documentario infatti era già stato mostrato al pubblico nell'ambito di un evento culturale intitolato Cairo Panorama of the European Film (ottobre 2012). "In questa occasione, il film doveva restare in calendario in una sala, per un solo giorno - ha spiegato - E invece l'enorme interesse di pubblico lo ha fatto restare in cartellone per altri 2 giorni". La prima si è trasformata in un evento culturale al quale sono stati presenti esponenti del mondo culturale egiziano, mentre su Twitter e Facebook rimbalzavano inviti ad andare.
"Jews of Egypt" è un film denso di fatti storici e memorie, che riporta alla luce un capitolo doloroso, spesso frainteso, della storia dell'Egitto che ha cancellato la presenza di questa comunità molto integrata nella sua vita economica, politica e culturale. Un esempio è la figura dell'attrice e cantante Laila Murad protagonista di tanti film prodotti dalla potente industria cinematografica egiziana degli anni 40/50.
Attraverso le testimonianze di ebrei, soprattutto di un gruppo che adesso vive in Francia, il documentario ricostruisce la vita di questa comunità in Egitto prima della decisione da parte di Abdel Nasser di dichiarare guerra ad Israele, nel 1948 (e del disastroso affare Lavon e Guerra di Suez), inizio della fine della loro presenza in Nordafrica. E poi indaga sul forte senso di appartenenza nazionale, ancora vivo anche fra alcuni di quelli deportati. In una recente intervista, Ramses ha puntato il dito contro restrizioni assurde del governo di allora, che sono ancora in vigore: "Abbiamo raggiunto un punto nella storia in cui abbiamo un trattato di pace con Israele, secondo cui israeliani che non sono egiziani possono venire in Egitto, con un semplice timbro sul passaporto. Mentre per quegli egiziani (ebrei deportati o costretti a lasciare l'Egitto, ndr) che non hanno mai messo piede in Israele è ancora vietato".
Amir Ramses non è l'unico giovane regista arabo che di recente ha realizzato un documentario su una comunità ebraica nordafricana. L'anno scorso, in Marocco, è stata la volta di "Tinghir-Jerusalem: Echoes from the Mellah" di Kamal Hachkar che a sua volta ha raccolto l'attenzione di media e pubblico.
Ecco il trailer:
(Linkiesta, 29 marzo 2013)
Gaza, condannato a morte: "E' una spia di Israele"
di Riccardo Noury
Domenica scorsa, il tribunale militare di Gaza ha condannato all'impiccagione Faraj Abed Rabbo, un impiegato civile di 23 anni, per reati di collaborazione col nemico. Detto in modo più semplice, spia per conto di Israele.
Dal 1994, anno dell'istituzione dell'Autorità nazionale palestinese, le condanne a morte sono state 133 (di cui 107 emesse a Gaza e 26 in Cisgiordania), 27 delle quali eseguite (25 a Gaza e 2 in Cisgiordania).
Da quando Hamas ha assunto il controllo di Gaza, nel 2007, i suoi tribunali hanno emesso 47 condanne a morte, compresa quest'ultima, 14 delle quali eseguite.
La condanna a morte di Faraj Abed Rabbo ha mobilitato le organizzazioni internazionali per i diritti umani e, non è una novità, quelle palestinesi, tra cui la Commissione indipendente per i diritti umani e il Centro palestinese per i diritti umani.
Le due organizzazioni hanno definito "estrema e inumana" la condanna a morte di Faraj Abed Rabbo e ne hanno chiesto la sospensione, sollecitando un nuovo processo, equo e di fronte a un giudice civile.
Le loro preoccupazioni e richieste, però, vanno al di là del singolo caso.
A essere chiamato in causa è quel ginepraio di legislazioni contraddittorie e in parte illegali, applicate nei processi capitali: la legge n. 74 del 1936, la legge giordana n. 16 del 1960, il codice penale rivoluzionario dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina del 1979 e il codice di procedura penale palestinese n. 3 del 2001.
Da un punto di vista strettamente giuridico, nessuna di queste leggi è stata ratificata dal parlamento palestinese. Inoltre, nessuna condanna a morte eseguita a Gaza dal 2007 è stata firmata dal presidente palestinese Mahmoud Abbas. Hamas non riconosce questa prerogativa ma ciò non rende comunque legittima la procedura d'esecuzione delle condanne a morte.
L'obiettivo finale delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani è quello di sospendere l'uso della pena di morte in vista della sua abolizione.
(Corriere della Sera - I Blog, 29 marzo 2013)
Un angolo di Israele a Salerno grazie all'Associazione Intercultura
Un gruppo di 21 teenager israeliani di una scuola di Tel Aviv farà visita ai coetanei, studentesse e studenti del Liceo Artistico "Sabatini Menna" di Salerno, dal 2 al 9 aprile, con un programma di scambi di classe organizzato da Intercultura.
Per una settimana i ragazzi con i loro insegnanti frequenteranno la scuola e potranno conoscere la realtà e la cultura locali come ospiti nelle famiglie degli studenti della scuola stessa e in famiglie di volontari di Intercultura. Si tratterà di un primo passo verso la costruzione di una bella amicizia, visto che i ragazzi italiani saranno ospiti della scuola israeliana il prossimo ottobre.
Il soggiorno in un altro Paese, sciolto dagli aspetti turistici, rappresenta un'esperienza che fa crescere nei giovani e nelle famiglie la comprensione internazionale, la conoscenza di altre abitudini di vita e di altre culture, insieme alla scoperta dei valori della propria cultura di appartenenza.
I ragazzi israeliani riceveranno un caloroso benvenuto da parte della dirigente scolastica Ester Andreola, la docente di riferimento del liceo salernitano, Annamaria Stabile e i rappresentanti di Intercultura, Mina Felici e Maria Rosaria Citarella. Da una dichiarazione della Preside Andreola, si evince che Lei e gli insegnanti del suo Liceo, credono fortemente nello scambio tra giovani studenti provenienti da tutto il mondo, e che l'incontro con il promotore di questo scambio nonché Preside dell'Istituto di Tel Aviv, Prof. Zeev Degani sia stato davvero arricchente: "Sono certa che l'esperienza dei giovani studenti di Tel Aviv sarà positiva. Da parte nostra abbiamo predisposto la
migliore organizzazione possibile, affinché si sentano accolti e interessati alle attività che abbiamo programmato per loro.
Sono altresì sicura che la relazione tra le due scuole proseguirà nel tempo". Durante il soggiorno, gli studenti israeliani parteciperanno ad attività didattiche nei laboratori di arti figurative e scultura della scuola guidati dai docenti, compreso uno spettacolo teatrale organizzato per il 3 aprile, alle 18, dal titolo "Teatro immagine".
Il programma include anche visite guidate della città di Salerno (giovedì 4 e sabato 6), al sito archeologico di Pompei (venerdì 5 aprile), di Pastum (lunedì 8 aprile) nonché breve visita della città di Roma (martedì 9 aprile) prima del ritorno a casa.
Sostenuti anche dai volontari locali di Intercultura i 21 studenti israeliani e i 21 italiani coinvolti nello scambio di classe parteciperanno anche ai momenti di socializzazione e svago, discussioni su temi di interesse comune e incontri con autorità. Per giovedì 4 aprile alle 10.20 è infatti previsto un incontro con l'Assessore alla Cultura, Ermanno Guerra a cui seguirà una conferenza stampa.
I ragazzi e le ragazze di Intercultura riceveranno così il benvenuto da un'Autorità civile del territorio e avranno modo, anche solo presentandosi, di esprimere la gratitudine per l' accoglienza che questo territorio riserverà loro durante la settimana.
(Salernonotizie.it, 29 marzo 2013)
Cipro : condannato un membro di Hezbollah
Un tribunale cipriota ha condannato a 4 anni di carcere un membro degli Hezbollah libanesi, reo confesso di aver ordito un complotto contro Israele.
Hossam Yaacoub, 24 anni, con doppio passaporto libanese e svedese, era già stato riconosciuto colpevole lo scorso 22 marzo, dopo che aveva confessato di aver raccolto informazioni sui turisti israeliani in visita a Cipro. L'uomo ha però negato di voler preparare un attentato.
(Zazoom Social News, 28 marzo 2013)
Tanti italiani alla Maratona di Gerusalemme
Considerata come una delle Maratone più difficili al mondo, la III edizione della Maratona di Gerusalemme che si è corsa il I marzo scorso ha visto il trionfo dell'Etiope Abraham Kabeto Ketla che ha chiuso con il tempo di 2:16:29.25, un nuovo record per il vincitore di questa manifestazione. In seconda ed in terza posizione si sono classificati due kenioti: Luka Kipkemoi Chelimo che ha chiuso in 2:19:01.95, II posto;
Vincent Kiplagat Kiptoo che ha chiuso in 2:20:12.60., III posto.
Tra le donne, la prima classifica è risultata essere l'etiope Mihiret Anamo Anotonios che ha chiuso in 2:47:26.40 ottenendo un nuovo record seguita dall'Etiope Radiya Mohammed Roba che ha chiuso in 3:05:58.15 seguita dalla statunitense Elissa Ballas che ha chiuso in 3:11:37.70. "Sono estremamente felice non solo per aver vinto la Maratona di Gerusalemme, ma anche per aver stabilito un nuovo record" ha dichiarato il vincitore Abraham Kabeto Ketla. Prima della partenza gli organizzatori hanno annunciato che risultavano registrati per la Maratona 1.750 persone provenienti da 52 differenti nazioni, con una crescita di oltre 200 corridori rispetto all'edizione precedente.
Oltre 80 testate straniere erano presenti per coprire l'evento e ben 518 atleti che hanno corso la Maratona sono arrivati dagli Stati Uniti.
Secondo il JDA, il Dipartimento della Promozione e del Turismo del Comune di Gerusalemme che si è occupato di promuovere l'evento nelle comunità internazionali con differenti iniziative di comunicazione, il crescente interesse per l'evento dimostra come Gerusalemme sia una destinazione interessante per ogni tipologia di turismo, aggiungendo ora anche un interesse straordinario legato agli eventi sportivi. La Maratona di Gerusalemme è uno degli eventi promossi dal Dipartimento della Promozione e del Turismo di Gerusalmme con successo anche grazie al nuovo sito web che la Municipalità ha recentemente messo a disposizione, in differenti lingue: www.itraveljerusalem.com
Il Sindaco di Gerusalemme Nir Barkat, egli stesso un maratoneta ideatore e promotore della manifestazione ha dichiarato: "Siamo riusciti a rendere questa come la più importante manifestazione sportiva internazionale che Israele abbia mai visto e quest'anno la giornata della gara è stata motivo di orgoglio per la nostra città e per il Paese".
Oltre alla Maratona di 42,2 Km si è corsa una Mezza Maratona ed una corsa di 10 km e complessivamente alla gara hanno partecipato in 20.000. Correndo, ci si è imbattuti nei luoghi più significativi e simbolici della Città: dalla Knesset, il Parlamento, alla Città Vecchia con le sue Mura, dal Monte Sion al Monte degli Ulivi. Grande l'affluenza europea e statunitense, ma quest'anno sono arrivati corridori ed appassionati anche dal Sud America e dal Giappone. L'Italia era presente con una buona rappresentanza di atleti e di appassionati provenienti un po' da tutta Italia, ma soprattutto da Modena, Vicenza e dalla Lombardia. Buona la presenza dei Media Italiani con ben 7 differenti testate giunte appositamente dall'Italia per l'evento. Due special guest dall'Italia: la show girl Annalisa Minetti, cantante ed ora anche atleta di fama mondiale dopo i successi alle para-olimpiadi di Londra, e Linus (nella foto con altri italiani), voce storica di RadioDJ, da sempre appassionato di maratone che da tutto il mondo racconta la sua passione per questo sport, amatissimo dagli italiani che con lui sempre condividono il momento della corsa.
(SporTerni, 29 marzo 2013)
Israele, malumori al governo: "Erdogan fa di tutto per farci pentire delle scuse"
Bennett, nuovo ministro dell'Economia, risentito con la Turchia, chiede più sforzi da parte di Erdogan nella questione Mavi Marmara: "Nessuno ci sta facendo un piacere".
di Andrea Cortellari
Alla Knesset israeliana tira una strana aria, un misto di malumori e di attesa per i rinnovati rapporti tra Tel Aviv e Ankara. La telefonata tra Netanyahu ed Erdogan ha segnato la riapertura di uno spiraglio sul fronte diplomatico, con le scuse da parti di Bibi per le vittime dell'assalto israeliano alla Mavi Marmara, nave di attivisti che nel 2010 aveva cercato di raggiungere Gaza. Ma se è vero che i rapporti di vicinato iniziano a farsi un po' meno tesi, non tutti i ministri sono convinti di come Israele sta giocando le sue carte.
Nel manipolo dei diffidenti spunta il nomi di Naftali Bennett, leader di HaBayit HaYehudi nella coalizione di maggioranza. Il nuovo ministro dell'Economia israeliano lamenta l'atteggiamento di Erdogan, che "da che sono state fatte pubbliche scuse sta facendo il possibile per far pentire Israele, conducendo una campagna priva di tatto ai danni delle relazioni tra i due Paesi".
Bennett posta il commento stizzito sulla sua pagina facebook e - tanto per mettere in chiaro il suo punto di vista - fa presente che "nessun Paese sta facendo un favore a Israele nel rinnovare i legami diplomatici".
L'accusa è chiara. La Turchia di Erdogan sta tirando troppo la corda. E le incomprensioni sulla questione del risarcimento da destinare alle famiglie delle vittime della Mavi Marmara al momento sono fonte di non poca tensione. Ankara ha chiesto un milioni di dollari per ognuna delle nove famiglie, Israele preferirebbe aprire il cordone della borsa per un solo prelievo da un milione, da dividere tra i nove nuclei famigliari.
Se questo non bastasse Erdogan ha dichiarato nei giorni scorsi di attendere "passi importanti" da Israele, prima dei quali non farà la propria parte. Nel frattempo continuano le trattative per definire i termini dell'accordo tra Tzipi Livni, ministro israeliano della Giustizia, e Ahmet Davotoglu, ministro degli Esteri turco.
(il Giornale, 28 marzo 2013)
Dopo una settimana Israele riapre due valichi con Gaza
GERUSALEMME, 28 mar. - Dopo una settimana di chiusura e di severe restrizioni, Israele ha riaperto due dei principali valichi di confine con la Striscia di Gaza: quello meridionale di Kerem Shalom e quello settentrionale di Erez. Il primo, unico valico merci dell'enclave palestinese, era rimasto completamente chiuso da giovedi' scorso, mentre il secondo era rimasto agibile soltanto per eventuali emergenze sanitarie. I provvedimenti erano stati adottati in seguito al lancio di due razzi da Gaza, uno dei quali si era abbattuto nel cortile di una casa a Sderot, causando ingenti danni materiali. Non e' chiaro se contestualmente sia stata revocata anche la riduzione della zona di pesca della Striscia, che da 6 miglia nautiche era stata portata ad appena 3.
(la Repubblica, 28 marzo 2013)
Gaza, la sposa arriva attraverso il tunnel dei contrabbandieri
Attraverso le gallerie scavate lungo il confine tra l'Egitto e la Striscia passa ogni genere di merce: stavolta è una giovane egiziana
Il 21 marzo 2013, la sposa egiziana Manal Abu Shanar (nella foto) ha percorso una strada insolita per raggiungere il luogo delle sue nozze nella Striscia di Gaza: un tunnel per contrabbandare merci.
Lo sposo, il palestinese Emad al-Malalha, ha raccontato all'agezia di stampa Reuters che le autorità egiziane non hanno concesso a Shanar il permesso per entrare a Gaza.
La coppia quindi è passata al piano B: usare il tunnel. Lungo il confine tra Egitto e Gaza ve ne sono a centinaia, lunghi anche quasi un chilometro, come ha raccontato il servizio di Paolo Pellegrin pubblicato dal magazine di dicembre 2012.
I tunnel fanno parte del vasto e complesso giro d'affari che ruota attorno al contrabbando di qualunque genere di merci - dalle medicine, al materiale di costruzione, ai rifornimenti per i ristoranti, alle armi - che arriva nei territori palestinesi.
I contrabbandieri usano i tunnel almeno dal 1982, quando la città di Rafah venne divisa tra Egitto e Gaza, e il traffico illegale ha conosciuto un'impennata da quando Israele, sei hanni fa, ha imposto l'embargo su Gaza.
Si stima che dai tunnel, attorno a cui lavorano decine di migliaia di persone, passino i due terzi dei beni della zona.
(National Geographic Italia, 28 marzo 2013)
Una recentissima produzione cinematografica palestinese
Scopo dell'ultima produzione di Pallywood (versione palestinese di Hollywood) è quello di mettere in cattiva luce Israele, cosa che spesso le riesce.
In un video comparso recentemente su Youtube si vedono dei soldati israeliani che fermano tre bambini, che devono avere gettato delle pietre. Su Youtube, il video è descritto così:
"Soldati israeliani picchiano tre bambini palestinesi a Hebron, uno è stato ferito a una gamba. I soldati li trascinano per le strade, li picchiano, li arrestano ... e poi li lasciano andare. "
Per comodità del pubblico abbiamo spezzato il video in sette scene, per sottolineare come si conviene le capacità di recitazione dei soggetti palestinesi impegnati nella produzione.
SCENA 1
Si vedono tre bambini accompagnati (non trascinati) da una parte. Tutti i tre si muovono agevolmente, ma uno dei tre indica al soldato una gamba, probabilmente per dirgli che gli fa male.
Scena 1
SCENA 2
Uno dei tre bambini (non quello a cui fa male la gamba) indica al militare la gamba "ferita" del compagno. La ferita non si vede, ma il pubblico deve immaginarsela. Il bambino cerca di piangere, senza riuscirci molto, ma si guarda intorno come aspettando qualcuno. Anche gli altri due bambini continuano a guardarsi intorno.
Scena 2
SCENA 3
Qualcuno arriva. E' una donna, ovviamente palestinese, tutta vestita di nero. Si suppone che sia la madre del bambino. La presenza della mamma aiuta il bambino a piangere, e sembra dirle che adesso gli fa male non solo la gamba, ma anche la testa. E la mamma, dopo aver trattato male i militari, lo consola amorevolmente.
Scena 3
SCENA 4
Il bambino spiega alla mamma, piangendo, quello che i soldati gli hanno fatto. E adesso, oltre al male alla gamba e alla testa è anche preso da conati di vomito. Il bambino però si riprende e sia pure zoppicando un po' riprende a camminare.
Scena 4
SCENA 5
Qualche altra cosa di grave deve essere successa nel frattempo perché adesso si vede il bambino disteso a terra accudito da un uomo accorso. Si può ammirare poi la scena clou di un uomo (suo padre?) tremendamente infuriato contro i militari. La scena viene ripresa anche da altri operatori.
Scena 5
SCENA 6
Un pezzo classico della filmografia palestinese: un altro uomo, diverso dai primi due, prende in braccio il bambino (che deve essersi aggravato fulmineamente perché adesso non riesce più nemmeno a stare in piedi) e percorre la scena con il bambino in braccio, per un tempo abbastanza lungo da poter permettere le riprese.
Scena 6
SCENA 7
Scena finale della tragedia. Il bambino si trova adesso su quella che sembra essere una vettura trasformata in ambulanza, con un braccio legato al collo con una fascia. Non viene detto che cosa gli sia successo al braccio, ma probabilmente il regista deve aver considerato che un pubblico abituato alle produzioni di Pallywood capisce subito quello che è successo: i cattivi soldati israeliani hanno picchiato il bambino. Come fanno sempre con tutti i bambini palestinesi. Chi non lo sa?
Scena 7
E adesso il film completo, con sottotitoli in francese.
Video
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(Notizie su Israele, 28 marzo 2013)
29 marzo 1516, a Venezia nasce il primo ghetto ebreo
Il 29 marzo 1516 il senato veneto obbligò gli ebrei a vivere in un quartiere dotato di due porte, aperte al mattino e chiuse la sera. La zona ospitava una fonderia, da qui il termine "geto", presto adottato in molte altre città italiane ed europee. Sconfitta da Napoleone, la Serenissima fu poi anche la prima nel 1797 a cancella questa orribile istituzione
di Enrico Silvestri
Venezia, terra di libertà, democrazia grazie ai suoi mille anni di repubblica, capitale della musica e dell'editoria, nasconde un terribile «segreto»: il 29 marzo 1516 fu la prima città a chiudere gli ebrei in un ghetto.
Anzi il termine deriva proprio dalla deformazione di una parola veneziana «geto», poiché il luogo scelto ospitava un'antica fonderia. Con il tempo altri ghetti vennero poi aperti in Italia e nel resto d'Europa, diventando presto sinonimo di emarginazione ed esclusione. Fino a quando vennero aperti, o chiusi a secondo dei punti di vista, dalla ventata napoleonica alla fine del Settecento. E ancora una volta la Serenissima precedette tutte le altre città: fu la prima a cancellare questa vergogna.
Venezia come molti altri centri europei, iniziò assai presto a ospitare gli ebrei erranti, primi insediamenti sono infatti documentati tra il IV e il V secolo. Una comunità rimasta per quasi un millennio in perfetto equilibrio, convivendo pacificamente con il resto della popolazione. La situazione precipitò dopo il 1492 quando i cattolicissimi re di Spagna Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castglia ultimarono la «reconquista». Il 2 gennaio di quell'anno infatti cadde Granada l'ultimo califfato arabo oltre le colonne d'Ercole. Boabdil, governatore della città, venne cacciato insieme agli altri mori, ma l'azione dei due Reyes Católicos non si fermò qui. Spostarono subito la loro attenzione verso la numerosissima comunità ebrea ordinando la conversione o la cacciata. Molti accettarono il diktat, diventarono «conversos», o «marrani» termine che all'inizio non aveva nulla di spregiativo, altri invece lasciarono il Paese.
Iniziò così la peregrinazione degli ebrei sefarditi, da Sefar, nome con cui definivano la Spagna, che si dipanò lungo il nord Africa, la Turchia, i Balcani e l'Italia. All'inizio del Cinquecento dunque a Venezia il numero degli israeliti iniziò a crescere in maniera tumultuosa. In quel periodo infatti si rifugiò in laguna anche Grazia Nasi, alias Gracia Miquez, alias Beatriz de Luna, vedova di Francesco Mendes, una delle donne più ricche e influenti del suo tempo. Denaro e influenza che usò per salvare molti ebrei dai pogrom che iniziavano a scoppiare in varie città europee.
Una presenza, e una potenza, che cominciò presto anche a destare qualche preoccupazione nei governanti veneziani così il 29 marzo 1516 il Consiglio dei Pregadi, il senato veneto, ordinò a tutti gli ebrei a concentrarsi in una determinata zona della città, chiusa da due porte da aprire al mattino e chiudere alla sera, quando non era dunque più permesso agli israeliti, di girare per calli e campielli. Come zona venne scelto un'ex fonderia, per questo chiamata «geto» che gli ebrei askenaziti, provenienti dal mondo germanico, pronunciavano però «ghetto». Da lì non poteva uscire e neppure allargarsi, tanto che quando i residenti cominciarono a necessitare di maggior spazio dovevano ricavarlo, come poi avvenne in molti altri ghetti, in altezza. Sopraelevando le loro abitazioni, arrivarono così a edifici alti fino a otto piani, veri grattacieli per l'epoca. Una soluzione che però non bastò, tanto che il governo della Serenissima fu costretta ad aggiungere al Ghetto Vecchio, quello Nuovo e quello Nuovissimo.
Dopo Venezia, la soluzione venne adottata presto anche in altre città italiane: Ancora e Osimo, 1555, Bologna, 1566, Firenze, 1571. Nel Seicento non c'era grosso centro che non avesse il suo quartiere, dove rinchiudere gli ebrei. I ghetti rimasero attivi fino alla fine del Settecento quando Napoleone passò come un ciclone attraverso la pianura Padana. Fatta capitolare Venezia nel 1797, il futuro imperatore chiuse il ghetto, contemporaneamente a quelli di Padova, Verona e Reggio Emilia. Poi toccò a Mantova, 1798, Gradisca, 1782, Gorizia e Trieste, 1784. Per gli altri, bisognerà attendere un altro mezzo secolo: il Piemonte e la Toscana li cancellarono nel 1848, L'Emilia Romagna nel 1859, le Marche nel 1861. L'ultimo fu quello di Roma nel 1870, quando le truppe piemontesi entrarono dalla breccia di Porta Pia e lo fece scomparire dalla storia, insieme allo Stato Pontificio e alla figura del Papa Re.
(il Giornale, 28 marzo 2013)
In Israele la maggiore comunità ebraica
Il primato fin'ora era detenuto dagli Stati Uniti con 5 milioni e mezzo di ebrei
TEL AVIV - Per la prima volta, la popolazione ebraica di Israele è la comunità più grande al mondo e sorpassa quella residente negli Stati Uniti.
Lo rivela alla stampa il demografo israeliano Sergio Della Pergola che stima in oltre 8 milioni i cittadini israeliani: un aumento rilevato proprio nel periodo di Pesach, la Pasqua ebraica. Di questi, 6 milioni sono i cittadini ebrei contro 1,6 milioni di arabi, 350 mila cristiani e altri, per lo più immigrati o loro parenti, provenienti dall'ex Unione Sovietica la cui religione non è riportata nei registri del ministero dell'interno.
Con la cifra di 6 milioni gli ebrei israeliani superano quelli residenti negli Stati Uniti che sono circa 5 milioni e mezzo di cui 2 milioni solo a New York. Gli USA perdono quindi il primato e scivolano al secondo posto.
(Corriere del Ticino, 28 marzo 2013)
Erdogan vuole andare a Gaza. Il no delle autorità palestinesi
Le critiche di Ramallah a Ankara: "Hamas non è il legittimo rappresentante dei palestinesi, una visita del leader turco nella Striscia aumenterebbe le divisioni"
di Marta Ottaviani
ISTANBUL - La Palestina alza il cartellino giallo sulla visita del Premier turco, Recep Tayyip Erdogan, sulla Striscia Gaza, che dovrebbe avvenire nelle prossime settimane. A Ramallah sembrano aver preso male le parole che il carismatico primo ministro turco ha pronunciato settimana scorsa durante un comizio, in cui anticipava la sua intenzione di recarsi non solo in Cisgiordania, ma anche nel territorio controllato da Hamas, per favorire il processo di pace in Medio Oriente.
"La dirigenza dell'autorità palestinese ha informato il governo turco che si oppongono a questa visita, perché aumenterebbe le divisioni fra i palestinesi - ha spiegato un alto funzionario di Ramallah al Jerusalem Post -. La Striscia di Gaza non è un territorio indipendente dallo Stato palestinese e Hamas non è il legittimo rappresentante dei palestinesi". Una doccia fredda per il premier, dopo gli sforzi turchi dello scorso dicembre per il riconoscimento all'Onu della Palestina come stato non-membro.
Settimana scorsa, durante una telefonata fra il premier israeliano, Benjamin Netanyahu e l'omologo turco Recep Tayyip Erdogan mediata dal presidente americano Barack Obama, Israele ha inviato scuse formali ad Ankara e accettato il pagamento di una compensazione economica per i morti sulla nave Mavi marmara del 2010. In quell'occasione, nove cittadini turchi avevano perso la vita, attaccati in acque internazionali dalla marina israeliana, mentre un convoglio umanitario cercava di forzare il blocco per portare viveri sulla Striscia di Gaza.
L'episodio ha incrinato le relazioni fra Ankara e Gerusalemme, da deceni alleati strategici. Già nel 2009, durante il World Economic Forum, sempre Erdogan aveva attaccato duramente il presidente isralieno, Simon Perez per l'embargo sulla Striscia, causando gravi conseguenze sulle relazioni bilaterali. La Turchia oltre alle scuse ufficiali e la compensazione economica per le vittime ha chiesto anche la fine dell'isolamento di Gaza. Un punto su cui i margini di mediazione con Israele sono più stretti che mai.
Da tre anni il primo ministro turco è diventato uno dei personaggi più popolari nella regione e proprio a Gaza è venerato come una rockstar o una star del calcio. Il permesso di recarsi sulla Striscia gli era già stato negato nel settembre del 2011, quando aveva effettuato un lungo tour nei Paesi coinvolti nella cosiddetta "primavera araba". Ankara è formalmente impegnata negli sforzi per favorire una conciliazione fra al Fatah e Hamans. Ma la popolarità di Erdogan piace poco e preoccupa Ramallah.
(La Stampa, 28 marzo 2013)
Israele lancia un servizio per i turisti-baby
Anche i piccoli ospiti hanno diritto a un'assistenza ad hoc per godersi la vacanza: da questo concetto è nata in Israele l'idea di lanciare un servizio per i turisti-baby.
Ai genitori che viaggiano in Israele con neonati o bambini piccoli viene offerta un'esperienza di viaggio più confortevole e un bagaglio un po' più leggero. Un apposito sito - israelwithbaby.com - offre infatti alle famiglie la possibilità di noleggiare una vasta gamma di attrezzature per bambini per tutta la durata della loro vacanza.
Nelle attrezzature per noleggio sono inclusi: sedili di sicurezza (per neonati e bambini), culle, passeggini (singoli e doppi), carrozzine, seggioloni e vasche per bambini. I prezzi vanno da 1,30 dollari al giorno per un seggiolone a 5 dollari al giorno per una culla o un seggiolino per auto.
(agenzia di viaggi, 28 marzo 2013)
Fermati a Gerusalemme manifestanti con un agnello pasquale
Un poliziotto tiene in braccio un agnello che era
destinato
a un sacrificio pasquale a Gerusalemme
GERUSALEMME - Lunedì scorso, la polizia di Gerusalemme ha fermato Noam Federman ed altri attivisti di estrema destra per aver tentato di sacrificare un agnello sul Monte del Tempio di Gerusalemme, nella città vecchia. Al gruppo è stato anche contestato il "trasporto non autorizzato di animale". "Esigiamo di offrire il sacrificio pasquale, uno dei comandamenti più importanti. In questo modo la polizia sta danneggiando la libertà di religione", ha dichiarato Federman.
(cristiani.info, 27 marzo 2013)
Gerusalemme Est: provocazione araba e insulto alle altre religioni
di Noemi Cabitza
La decisione araba di istituire un fondo da un miliardo di dollari per mantenere il carattere islamico di Gerusalemme Est è una vera e propria provocazione nei confronti di Israele, dell'ebraismo e del cristianesimo. Non solo, allontana probabilmente in maniera definitiva qualsiasi ipotesi di accordo con i cosiddetti palestinesi.
Cosa è successo? Ieri durante la seduta della Lega Araba tenutasi a Doha, in Qatar, gli arabi hanno approvato una proposta dell'Emiro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Khalifa Al-Thani, per l'istituzione di un fondo da un miliardo di dollari volto a favorire il mantenimento del carattere islamico di Gerusalemme Est e a impedirne quella che gli arabi chiamano la "giudaizzazione di Gerusalemme". Lo sceicco Al-Thani contribuirà da solo con 250 milioni di dollari mentre gli altri Paesi arabi daranno il resto. Il fondo sarà gestito dalla Banca Islamica di sviluppo.
Soddisfazione per la decisione ha espresso il Presidente della Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen (Mahmoud Abbas) il quale, mentendo spudoratamente, ha detto che "l'occupazione israeliana sta lavorando in modo sistematico e molto velocemente per ebraicizzare Gerusalemme est, cambiare le sue caratteristiche e sradicare i suoi abitanti palestinesi, attaccando la Moschea di al-Aqsa e tutti i luoghi santi musulmani e cristiani".
In realtà gli unici che fino ad oggi hanno garantito l'accesso ai luoghi santi a tutte le fedi religiose sono stati proprio gli israeliani che, a differenza degli arabi, riconoscono e rispettano tutte le religioni e il valore di Gerusalemme per il culto cristiano e musulmano. Oggi tutti possono andare a Gerusalemme Est e professare liberamente la propria fede, cosa non possibile se quella parte della città santa fosse stata in mano ai musulmani. Oltretutto Abu Mazen persiste con la vergognosa menzogna secondo cui gli israeliani vorrebbero distruggere la Moschea di al-Aqsa, menzogna facilmente verificabile dal fatto che la Moschea è aperta al culto per i musulmani.
In realtà la proposta dello sceicco Hamad bin Khalifa Al-Thani mira ad altri obbiettivi. Il primo è finanziare il terrorismo con una operazione all'apparenza "umanitaria". Infatti a nessuno sfugge che un miliardo di dollari sono una cifra immensa per garantire "solo" il mantenimento del carattere islamico di Gerusalemme Est. E anche la formula è ambigua. Cosa significa "garantire il carattere islamico di Gerusalemme Est"? In che modo? E le altre religioni che pure considerano Gerusalemme la "città santa"? Si ha l'impressione che Al-Thani finanzi in realtà un atto di forza e che lo faccia in modo davvero cospicuo. Il secondo chiaro obbiettivo è quello di mettere il bastone tra le ruote di qualsiasi iniziativa di pace tra Israele e ANP, iniziativa che metterebbe in un angolo Hamas sul quale proprio Al-Thani ha puntato tutto. Il terzo chiaro obbiettivo è quello di negare il fatto (conclamato e irrevocabile) che Gerusalemme (tutta) è la capitale di Israele.
Quale sarà la prossima mossa dello sceicco Hamad bin Khalifa Al-Thani? Quella di dichiarare che il Vaticano è in realtà un luogo santo per l'islam e di finanziare la sua islamizzazione? No perché a questo punto tutto è possibile dato che Gerusalemme per l'ebraismo ha un valore altamente religioso così come il Vaticano ce l'ha per i cristiani e la Mecca per i Musulmani. E ripeto, a differenza degli arabi, gli israeliani garantiscono comunque l'accesso ai luoghi santi per le altre religioni. Provate ad andare alla Mecca con un crocefisso al collo e vedete se ne uscite vivi.
L'iniziativa presa ieri dalla Lega Araba è un affronto all'ebraismo e al cristianesimo dato che Gerusalemme non ha storicamente nessun nesso con l'islam (Maometto non c'è mai nemmeno andato) ed è un atto di indicibile prepotenza che non farà altro che acuire le tensioni.
(Rights Reporter, 27 marzo 2013)
Adesso forse si capirà meglio il valore dei segni che il Presidente degli Stati Uniti, tra una battuta e una pacca sulle spalle, ha lasciato in Israele con la sua ultima visita: Gerusalemme non deve diventare la capitale unica di Israele e il Monte Sion deve essere lasciato nelle mani dei musulmani palestinesi. A questo purtroppo sono disposti oggi ad arrivare anche molti ebrei e molti israeliani. Ma è uno di quegli errori storici a lunga scadenza destinati ad essere pagati cari. M.C.
UEFA - Israele sulla retta via
Il Ct Eli Guttman ha sottolineato il grande carattere di Israele dopo il successo per 2-0 contro l'Irlanda del Nord, ma Lior Refaelov avverte che la sua squadra "non può più commettere errori" nelle prossime gare.
di Boaz Goren
Lior Refaelov esulta dopo il gol al Windsor Park
Il Ct di Israele Eli Guttman ha sottolineato il grande carattere della sua squadra vittoriosa 2-0 contro l'Irlanda del Nord.
Nonostante una partenza difficoltosa nel Gruppo F, Israele ha saputo rinascere e dopo il 3-3 di venerdì contro il Portogallo ha conquistato tre punti decisivi in Irlanda grazie alle reti di Lior Refaelov e Eden Ben Basat. Una vittoria che vale il secondo posto dietro la capolista Russia.
"Sapevamo che sarebbe stata una gara difficile in uno stadio ostico e abbiamo avuto la meglio su una squadra che nel primo tempo ha fatto meglio di noi", ha ammesso Etey Shechter. "Ad un certo punto abbiamo capito che le cose sarebbero potute andarci bene e abbiamo segnato due gol".
Anche il tecnico ha voluto congratularsi con i propri giocatori: "Sono orgoglioso di essere l'allenatore di una squadra così convinta e sincera", ha affermato Guttman. "Dalla sconfitta per 4-0 contro la Russia siamo cresciuti molto. Abbiamo vissuto una partenza difficile e me ne assumo le responsabilità. C'è ancora molto lavoro da fare ma vedo il grande sacrificio e la grande determinazione dei miei giocatori".
Refaelov ha voluto rimarcare la grinta della squadra. "Siamo venuti a Belfast per prenderci i tre punti e ce l'abbiamo fatta. E' chiaro che stiamo costruendo qualcosa di positivo ma il modo in cui abbiamo iniziato questo cammino non ci permette più di sbagliare".
(UEFA.com, 27 marzo 2013)
Corsi e ricorsi (antisemiti)
Sdegno per certi rischiosi giochi con le parole e con la storia del grillismo
di Paola Ricci Sindoni
Non occorre scomodare le penetranti analisi filosofiche di Gianbattista Vico sui corsi e ricorsi della storia, per riscoprire una drammatica verità: nei momenti di crisi valoriale e culturale, di confusione istituzionale e politica l'antisemitismo, mai del tutto sopito in Europa, riemerge con i suoi aculei velenosi, in modo tanto subdolo quanto violento.
L'allarme viene dal Consiglio di rappresentanza delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif), che guarda con preoccupazione crescente la significativa presenza nel Parlamento italiano del Movimento 5 Stelle, che - a partire dal suo stesso leader - non ha affatto nascosto una preoccupante matrice antisemita, fino al punto di rispolverare le logore motivazioni proprie dei falsi "protocolli di Sion". Una visione secondo la quale il "potere ebraico" sarebbe una enorme piovra che continua a soffocare non solo il mondo della finanza, ma la "nostra" visione del mondo, sottoposta alla supervisione dei servizi segreti israeliani, specie per quello che riguarda l'area mediorientale, araba e iraniana.
Numerose le esplicite dichiarazioni di Grillo rilasciate in alcune interviste, ma soprattutto nel suo blog, secondo il quale l'Iran degli ayatollah è un Paese pacifico, dove le donne sono libere e dove il presidente Ahmadinejad, accusato falsamente di negare l'Olocausto e di avere un atteggiamento ostile nei confronti di Israele, è in realtà la vittima degli attacchi delle lobby giudaiche americane ed europee, da cui ha il dovere il difendersi con la costruzione dell'atomica.
Ciò che sembra stare sullo sfondo di questa paranoica visione del mondo - che, in questi giorni, viene anche utilizzata per giustificare la non volontà e la sostanziale incapacità di gestire un qualche serio progetto politico in dialogo/confronto con altre forze - è una visione complottistica della storia. Il movimento e il suo leader si sentono sotto attacco sul loro stesso terreno preferito, quello della democrazia digitale, che ha costruito attorno a loro il consenso. Nelle rete, perciò - a parere di Grillo - sono ora presenti tanti "infiltrati", manipolati dai poteri forti, che gettano idee alternative e contraddittorie, mettendo in crisi la compattezza delle opinioni che in precedenza riusciva realizzarsi in linea con le idee forti del M5S.
Chi osa criticare questo atteggiamento dispotico - ormai ci si è abituati - viene persino demonizzato in modo verbalmente violento, mostrando un'inquietante dimensione nichilista di questo tipo di movimentismo, e scatendando forne di nevrosi sociale, d'intolleranza fanatica, d'impotenza a gestire in modo equilibrato differenti punti di vista. Da qui gli insulti come quelli - è solo un esempio - che hanno visto come obiettivo il giornalista (di origine ebraica) Gad Lerner, aggredito da dichiarazioni infarcite con i classici stereotipi antisemiti ( del tipo: «Io non mi fiderei mai di uno con il naso adunco»).
Anche gli show grilleschi, disseminati su You Tube non mancano di esprimere sentimenti odiosi contro Israele; basta andarli a cercare e la confusione tra antisemitismo e antisionismo si moltiplica, generando nei sostenitori del movimento disprezzo verso quanti reclamano una visione oggettiva dei fatti storici e indicano nella sana pratica dialogica l'unica possibilità di comporre opinioni differenti.
La denuncia ferma e preoccupata di Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, di cui anche Avvenire ha dato conto nei giorni scorsi, è stata violentemente contrastata da Grillo che è arrivato a pretendere persino una rettifica, ricordando che occorre «conoscere i fatti prima di giudicare» (!). Quali fatti? Il primo è che tre Comuni retti da giunte grilline si è potuta celebrare, il 27 gennaio, la Giornata della memoria. E ci mancherebbe altro... Il secondo è che non si nega affatto la Shoah, tant'è che nel Movimento - parola di Grillo - si riconosce che sono morti «tre milioni di ebrei» (la metà delle vittime reali...), ma s'insinua anche che lo sterminio nazista è dipeso dalle ruberie degli ebrei stessi e dal loro strapotere finanziario
Davanti a "fatti" come questi è comprensibile che serpeggi nelle comunità ebraiche italiane l'inquietudine e il brivido di antiche paure, che spingono persino a valutare di andarsene via da questo Paese. È perciò necessario che si risvegli in tutti i noi lo sdegno e una rinnovata capacità di denuncia e di civile ripulsa verso parole e gesti che offendono e colpiscono non solo i nostri concittadini di origine ebrea, ma tutti i figli di Israele, e l'intera umanità.
(Avvenire, 27 marzo 2013)
Mavi Marmara: avvio dei negoziati dopo le scuse di Netanyahu
Risarcimenti alle famiglie delle vittime della Mavi Marmara e fine dell'embargo in Palestina. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha ribadito queste richieste a Israele, all'indomani dell'avvio dei negoziati sugli indennizzi. Negoziati resi possibili dalle scuse di Benjamin Netanyahu e che potrebbero normalizzare i difficili rapporti turco-israeliani.
Davanti al gruppo parlamentare del suo partito, l'Akp, Erdogan ha annunciato inoltre che ad aprile visiterà la Striscia di Gaza.
"Ho già affermato molte volte che quelle scuse non ci ridaranno i nostri martiri, queste scuse non toglieranno l'embargo in vigore da decenni in Palestina", ha detto Erdogan. "Ma queste scuse sono molto importanti per i nostri martiri e per il sangue dei nostri fratelli palestinesi".
Secondo la stampa israeliana, lo Stato ebraico sarebbe disposto a pagare decine di milioni di dollari per risarcire le vittime turche, attraverso un fondo umanitario. In cambio però chiede la cancellazione delle accuse contro gli ufficiali israeliani e dei procedimenti legali avviati.
Venerdì, grazie anche alla mediazione del presidente statunitense Barack Obama in visita in Israele, Netanyahu al telefono si è scusato con Erdogan per l'operazione di tre anni fa contro la Mavi Marmara diretta a Gaza, durante la quale morirono nove attivisti turchi.
(euronews, 26 marzo 2013)
Turchia: dopo le scuse di Netanyahu atteso un ritorno di turisti da Israele
ANKARA, 26 mar - Dopo le scuse del premier di Israele, Benyamin Netayahu, venerdi' scorso al collega turco, Recep Tayyip Erdogan, che hanno posto fine a tre anni di gelo fra i due Paesi in seguito all'incidente della nave Mavi Marmara nel 2010, gli operatori turchi prevedono un ritorno in massa dei turisti israeliani, riferisce la stampa di Ankara. La crisi e le tensioni fra i due ex alleati nel 2008 avevano fatto precipitare da mezzo milione a 80 mila l'anno scorso il numero di turisti provenienti dallo stato ebraico. Gli operatori turchi prevedono 300 mila turisti israeliani quest'anno, mezzo milione l'anno prossimo e fino a un milione negli anni successivi scrive Milliyet. ''Israele ha corretto un grave errore. Con le scuse alla Turchia e' stata cancellata la tensione fra i due Paesi'' ha affermato il presidente dell'Unione delle Agenzie di viaggio turche Tursab, Basaran Ulusoy. ''La Turchia e' un Paese molto sicuro: gli israeliani, ha aggiunto, possono fare shopping, riposarsi o visitare i siti storici tranquillamente nel nostro Paese''.
(ANSA, 26 marzo 2013)
Obama in Israele non ha lasciato segni
di Rossana Miranda
Quando tutti i riflettori del mondo sono su una visita mediatica così importante, è normale che vengano attribuiti risultati (nel breve termine) che magari corrispondono ad altre dinamiche. In un'intervista con Formiche.net, Giampiero Gramaglia, giornalista e consigliere per la comunicazione dell'Istituto Affari Internazionali, spiega che l'avvicinamento dell'Israele alla Turchia non è precisamente un effetto immediato della visita di Barack Obama in Terra santa.
"La visita di Obama è importante perché è la prima volta. Durante il suo primo mandato il presidente americano non era mai andato in Israele. Invece, adesso, è la prima missione all'estero del secondo mandato. Ma bisogna capire che in realtà non è stato lasciato nessun segno nel processo di pace tra israeliani e palestinesi. La situazione è ferma su quel fronte", ha detto il giornalista.
Le scuse che ha rivolto Benjamín Netanyahu alla Turchia per l'attacco in acque internazionali a Gaza Mavi Marmara a maggio del 2010 sono effettivamente un superamento delle tensioni tra i due Paesi. Ma, secondo Gramaglia, era un riavvicinamento inevitabile e in questo Obama è intervenuto ben poco. "Faceva parte degli interessi di entrambi. Israele non ha altri alleati nella regione. Con l'Egitto in fase di transizione, non ha interlocutori nell'Islam. Dobbiamo però aspettare ulteriori conferme", ha spiegato Gramaglia.
(Formiche.net, 26 marzo 2013)
Associazione di studenti ebrei francesi fa causa a Twitter per messaggi antisemiti
di Michele Pacella
Questo è la richiesta avanzata dalla UEJF, un'associazione di studenti ebrei francesi, a Twitter per i tweet razzisti comparsi sulla piattaforma di microblogging.
Il sito dei cinguettii sarebbe finito al centro della vicenda poiché, secondo l'accusa, non avrebbe fornito dati e nomi degli autori dei messaggi di stampo razzista comparsi sul sito.
Il tutto risalirebbe allo scorso mese di ottobre 2012, quando tra le tendenze di Twitter era comparso l'hashtag "#unbonjuif" ("un buon ebreo" in francese).
Con tale hashtag sarebbero stati pertanto pubblicati numerosi tweet razzisti e frasi dal contenuto antisemita.
A tal proposito, in seguito alle sollecitazioni ricevute, i vertici del sito di microblogging avrebbero provveduto alla rimozione e cancellazione dei messaggi incriminati.
Nel contempo Twitter si sarebbe però rifiutata di fornire alle autorità francesi i dati e i nomi degli autori dei tweet razzisti facendo appello al cosiddetto Primo Emendamento (sulla "libertà di espressione") e questo poiché la sede del sito in questione sarebbe ubicata negli Stati Uniti, e pertanto sotto la giurisdizione degli USA.
In conseguenza di ciò, l'associazione UEJF avrebbe avanzato la richiesta milionaria di risarcimento.
Nei prossimi giorni potrebbero emergere ulteriori aggiornamenti sulla vicenda.
(PianetaTech, 26 marzo 2013)
"I non ebrei che salvarono gli ebrei in Emilia-Romagna"
Un'esposizione al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo (RA)
È in programma mercoledì 27 alle 10.30 presso il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo l'inaugurazione della mostra I Giusti tra le Nazioni. I non ebrei che salvarono gli ebrei in Emilia-Romagna 1943-1945, curata dal Museo Ebraico di Bologna in collaborazione con la Comunità Ebraica bolognese.
Interverranno all'inaugurazione l'assessore alle Politiche formative del Comune Giuseppina Dessy, il direttore del Museo Civico Giuseppe Masetti, Vincenza Maugeri, curatrice della mostra assieme a Franco Bonilauri, i discendenti dei Giusti bagnacavallesi e gli alunni delle classi terze delle scuole medie di Bagnacavallo e Villanova.
La mostra storico-documentaria rende omaggio e porta all'attenzione del pubblico la storia dei 54 Giusti tra le Nazioni che hanno operato in Emilia-Romagna, fra i quali anche i cinque bagnacavallesi Antonio Dalla Valle e i membri della famiglia Tambini (i coniugi Aurelio e Amelia e i loro figli Vincenzo e Rosita), che a rischio della propria vita contribuirono alla salvezza di famiglie ebree dalle persecuzioni nazifasciste durante la seconda guerra mondiale. Dalla Valle e i Tambini sono stati riconosciuti Giusti tra le Nazioni dal Museo dell'Olocausto Yad Vashem il 18 aprile 1974. Accanto a loro, molte altre famiglie bagnacavallesi, una quarantina circa, diedero asilo a ebrei e partigiani, rischiando la vita o la deportazione.
Visitando la mostra, si conosceranno le storie dei 54 Giusti dell'Emilia-Romagna, in gran parte persone semplici, umili, spesso contadini o gente di montagna. Alcuni erano impiegati o artigiani (Guido Morganti era un sarto), o commercianti (i coniugi Muratori); si annoverano tra questi anche un maresciallo dei Carabinieri (Osman Carugno), un magistrato (Pellegrino Riccardi pretore a Fornovo di Taro), un'infermiera crocerossina (Luisa Minardi). Diversi sono stati anche i sacerdoti, particolarmente attivi nella guerra di liberazione e nel salvataggio non solo degli ebrei, ma anche di soldati alleati e partigiani. Va ricordato che il primo Giusto riconosciuto in Italia è stato, nel 1964, Ezio Giorgetti di Bellaria, mentre gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati i coniugi Attilio e Jole Cornini di Parma, riconosciuti il 25 maggio 2011.
Il Museo è in via Vittorio Veneto 1/a.
La mostra resterà aperta dal martedì alla domenica fino al 28 aprile negli seguenti orari: 10-12 e 15-18. Sarà chiusa il giorno di Pasqua (31 marzo) e aperta il Lunedì dell'Angelo (1 aprile).
L'iniziativa è organizzata dall'assessorato alle Politiche formative del Comune di Bagnacavallo, in collaborazione con Museo Civico delle Cappuccine e Istituto comprensivo, per ricordare i Giusti bagnacavallesi in occasione della Giornata europea dei Giusti, istituita dal Parlamento Europeo nel 2012 e fissata il giorno 6 marzo, in omaggio alla memoria di Mosha Bejski, presidente della Commissione dei Giusti di Yad Vashem, scomparso il 6 marzo 2007.
Giovedì 28 marzo alle 17 i Giusti bagnacavallesi saranno ricordati in Municipio dal Consiglio comunale.
(Lugo24ore, 26 marzo 2013)
Campionati Europei UEFA Under 21 - Israele pensa positivo
Le due sconfitte di misura recentemente subite in amichevole hanno convinto il centrocampista Marouan Kabah del fatto che la squadra "farà bene" alle fasi finali dei Campionati Europei UEFA Under 21.
di Boaz Goren
Anche se Israele, paese organizzatore dei Campionati Europei UEFA Under 21, ha incassato due sconfitte 2-1 contro Olanda e Germania nelle ultime due amichevoli di preparazione al torneo, il morale della truppa resta alto.
Israele ha giocato solo gare amichevoli negli ultimi due anni, ma i dubbi sullo stato di forma della squadra sono stati fugati dalle prestazioni offerte contro l'Olanda, due volte campione d'Europa, e la Germania, vincitrice del torneo nel 2009. La squadra ha ancora margini di miglioramento, ma la fiducia in vista delle fasi finali certo non manca.
"Stiamo ancora imparando - ha spiegato il centrocampista Marouan Kabah -. In ogni caso, se giocheremo come in queste due partite, mostrando la stessa determinazione, sono sicuro che faremo bene". L'attaccante Orr Barouch ha invece elogiato la forza del collettivo della squadra di Guy Luzon: "Il nostro vantaggio sta nel fatto che siamo un vero gruppo".
Un'altra nota positiva per Israele arriva dal pubblico. Una media di 10.000 spettatori a partita ha assistito alle ultime due amichevoli e a giugno i numero lieviteranno ulteriormente in occasione delle fasi finali.
"Dobbiamo dire grazie ai nostri tifosi - ha spiegato il centrocampista Omri Altman, che milita nelle giovanili del Fullham FC ed è il più giovane membro dell'Under 21 istaeliana -. Li abbiamo ripagati per il loro calore con due buone prestazioni e ci auguriamo che in estate il sostegno del pubblico sia ancora maggiore".
"Davide incontra Golia, e il primo capisce che quest'ultimo non è così spaventoso come era sembrato", ha detto Luzon. "Abbiamo dimostrato di giocarcela contro una delle migliori squadre a livello europeo e questo mi incoraggia molto".
(UEFA.com, 25 marzo 2013)
Gerusalemme tra storia e futuro
di Anna Maria De Luca
Un'idea di stagione. A Pasqua. Da vivere tra le maestose reminescenze storiche e la mondanità dei giorni nostri. Dai caffè boemi alla (ex) stazione ottomana, che rinasce come centro multifunzionale.
Davanti al Muro del Pianto decine di donne silenziose infilano bigliettini accartocciati nelle fessure ormai piene. Desideri, preghiere, pensieri da spingere con le dita nel cuore di ciò che resta del Sacro Tempio. E'un'emozione antica e nuova che fa dimenticare in un attimo le macchine di ferro dei controlli di sicurezza a pochi metri di distanza. Qui, nella città che conosce ben settanta nomi per la parola amore, ebrei, armeni, cristiani e musulmani convivono nei quattro quartieri di Gerusalemme. Circondati dalle antiche mura, vivono le loro giornate accanto ai luoghi più significativi delle tre maggiori religioni del mondo: il Muro Occidentale, sacro agli Ebrei, la chiesa del Santo Sepolcro e la Cupola della Roccia sul Tempio del Monte, di età omayyade dove, secondo il Corano, Maometto ascese da vivo al Cielo.
Gerusalemme, nelle antiche mappe, veniva rappresentata al centro del mondo. Ed è questa la sensazione che dà ancora oggi. La sua storia si respira nel vento e nelle pietre, oltre che nella dozzina di musei che palpitano nel suo presente, dal Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem al Museo di Israele, dal Museo di Storia Naturale a quello Scientifico Bloomfield, per finire al Museo Armeno ed al Bible Lands Museum, che racconta i popoli e le terre della Bibbia, dagli Egizi ai Cananei, dai Filistei agli Aramei, dagli Ittiti agli Elamiti, ai Fenici ed ai Persiani
La Città Vecchia, patrimonio dell'Umanità dal 1981, è circondata dalle mura costruite nel 1538 durante il regno del sultano ottomano Solimano I il Magnifico. Un modo particolare per esplorarla è in bici. Non è semplicissimo ma ne vale la pena pedalare tra sinagoghe, moschee, chiese e conventi, rovine e scavi archeologici, strade ed acquedotti, centri commerciali e uffici, scuole e teatri. Utile, prima di partire, è avere chiara la geografia dei quartieri: quello cristiano si trova a nord-ovest e confina sia con il quartiere armeno - che sorge, a sud-ovest, oltre la porta di Giaffa - sia con il quartiere musulmano che si estende a nord tra la porta di Damasco, la porta di Santo Stefano e la Porta Dorata. Ad est di questa Porta si trovano il Monte degli Ulivi e l'orto del Getsemani. Il quartiere ebraico si trova invece nel quadrante sud-orientale della Città Vecchia, tra il quartiere musulmano e armeno.
Potreste cominciare a pedalare dal Monte Scopus e andare nella direzione del Monte degli Ulivi passando vicino all'Augusta Victoria Hospital. Una sosta per ammirare il paesaggio e poi giù verso Mt.Olives Rd attraverso l'antico cimitero Dominus Flevit, fino al Giardino dei Getsemani. Una visita alle chiese e poi su verso le mura della Città Vecchia, alla Dung Gate. Pedalate dentro la Città Vecchia fino alla Porta di Sion, al quartiere Ebraico, poi dirigetevi verso il Monte Sion - dove si trova la Tomba di Davide, vicino alla stanza dell'Ultima Cena - fino alla Chiesa della Dormizione. Seguendo le mura in direzione della Porta di Giaffa, ecco il mercato del quartiere Cristiano. Un'esplorazione è d'obbligo, prima di ripartire pedalando verso la Chiesa del Sacro Sepolcro. Passeggiando lungo la sommità delle mura della Città Vecchia potete ammirare la vista completa delle Città Vecchia e Nuova.
(la Repubblica, 25 marzo 2013)
Medichesse e medici ebrei nella Sicilia medioevale
La prima "dottoressa" della storia della medicina italiana è Trotula, vissuta a Salerno nel Duecento. È una figura avvolta nella leggenda e molti dubitano della sua reale esistenza. Altri nomi di medichesse italiane del medioevo sono quelli di Rebecca Guarna, Costanza Calenda, Federica Vitale, Venturela Cisinato, Tomasia di Castro, Antonia di Daniello, Perla da Fano. Di esse sappiamo pochissimo. Qualche cosa di più, invece, risulta a proposito della siciliana Bella de Paija, ebrea.
I suoi pazienti le versano cospicui onorari e la gratificano, in segno di riguardo, dell'appellativo di "donna". Intanto la sua maestria con il bisturi ha varcato i confini di Mineo, la piccola città dove Bella esercita la professione di chirurgo, ma senza la prescritta abilitazione. Fino a quando la regina Bianca di Sicilia stabilisce per decreto che la "dutturissa" può esercitare liberamente in quanto è stato comprovato che l'interessata ha praticato «cum sanitati di li pacienti». L'abilitazione d'ufficio si accompagna, poi, al privilegio di non pagare le tasse. È il 6 settembre 1414 e Bella de Paija entra così, ufficialmente, nella storia della sanità italiana.
Virdimura da Catania, uxor Pascalis de Medico, anch'essa ebrea, si è invece sottoposta, il 7 novembre 1376, alla prova di abilitazione, davanti a una commissione, composta da esperti di fiducia della corona e presieduta dal protomedico reale. La candidata, che ha studiato in casa, giunge all'esame accompagnata da una «lodabile fama» e sorprende gli esaminatori con una inedita dichiarazione d'intenti: dichiara, infatti, di volersi dedicare alla cura dei poveri «ai quali è difficile pagare gli immensi compensi richiesti da medici e da chirurghi».
Bella e Virdimura fanno parte della folta schiera di medici ebrei siciliani, presenti nell'Isola fra il '300 e il '400, in condizioni di quasi monopolio della professione. Si formano nelle università del "continente", ma soprattutto frequentando, in Sicilia, gli studi di medici autorizzati. L'esame di abilitazione è, però, essenziale. La loro attività è documentata dal 1362, ma la loro presenza è senza dubbio più antica e risale al periodo dell'invasione araba, quando i conquistatori musulmani portano al loro seguito medici (che non sono della loro religione) specializzati nella "preparazione" degli eunuchi per gli harem.
Medici ebrei nell'Italia meridionale sono, peraltro, attivi fin dal decimo secolo: il primo di cui abbiamo notizia è Shabbetai Donnolo, nato nel 913 ad Oria, presso Brindisi. Per quanto riguarda, poi, l'accennato "monopolio" della professione: si tratta in realtà di un fenomeno che ha dimensioni europee e si ritiene sia in rapporto con il divieto per i religiosi di studiare medicina, sancito dal sinodo di Clermont nel 1130 e dal concilio di Reims nel 1131. Ai monaci, inoltre, le autorità ecclesiastiche hanno proibito l'esercizio dell'arte medica al di fuori dei conventi, insinuando anche il principio dell'immoralità di trarre profitti dalla cura dei malati.
Questo interessante panorama storico è la cornice dentro la quale Giuseppe Sicari, autore de "La kippà di Esculapio" (Pungitopo editore) ha racchiuso i nomi e le storie di duecento medici ebrei siciliani attivi tra il '300 e il '400, indicando anche i loro luoghi di residenza. Spicca, fra i tanti, la figura di Moyse Medici, nato a Messina nel 1395. Il suo nome era in realtà Moshe Hefez, probabilmente d'origine catalana. Il grande studioso dell'ebraismo siciliano, l'Inquisitore taorminese Giovanni Di Giovanni, lo definisce "rabbino della città di Messina" e ricorda che nel 1431 gli è concesso di curare anche pazienti cristiani. Moyse Medici, con l'autorevole commendatizia del viceré Giovanni d'Aragona, si reca nel 1416 a Padova e si addottora in quella università, ottenendo il titolo accademico di artium et medicine doctor che lo abilita anche all'insegnamento. Diventerà in seguito "giudice universale degli ebrei siciliani" e medico della casa reale.
Nell'elenco dei medici ebrei operanti in Sicilia nel '400 figurano ben quattro "licatesi", sicuramente attivi fra il 1460 e il 1492. La loro "esistenza" è comprovata da documenti ufficiali di sicura autenticità, conservati all'Archivio di Stato di Palermo. Il primo è Farachi de Anello, appartenente a una delle più cospicue e potenti famiglie ebraiche di Licata e ucciso in circostanze misteriose nel 1460; segue Gabriele di La Medica il quale nel 1473 promuove un'azione legale nei confronti di un paziente che non ha pagato gli onorari dovuti; altra singolare figura è quella di Prospero Muczimecu, protagonista (nel 1492, al momento dell'espulsione) di una vicenda riguardante il possesso di una schiava saracena; Joshua ben Isaac Joel, il quarto della serie, è invece l'autore di una personale copia (in ebraico) di un famoso trattato di medicina realizzata dall'interessato nel 1484, proprio a Licata, come recita testualmente il colophon dell'opera oggi conservata alla Biblioteca di Stato di Berlino.
Nel corso della presentazione del libro "La kippà di Esculapio" saranno mostrate alcune riproduzioni di questo singolare e prezioso libro che lega il nome di Licata ad una delle più importanti testimonianze della cultura scientifica del Medio Evo.
(Vivi Enna, 25 marzo 2013)
Perché me ne vado da questa Chiesa debole con l'islam
di Magdi Cristiano Allam
Credo nel Gesù che ho amato sin da bambino, leggendolo nei Vangeli e vivificato da autentici testimoni - religiosi e laici cristiani - attraverso le loro opere buone, ma non credo più nella Chiesa. La mia conversione al cattolicesimo, avvenuta per mano di Benedetto XVI nella notte della Veglia Pasquale il 22 marzo 2008, la considero conclusa ora in concomitanza con la fine del suo papato. Sono stati 5 anni di passione in cui ho toccato con mano la vicissitudine del vivere da cattolico salvaguardando nella verità e in libertà ciò che sostanzia l'essenza del mio essere persona come depositario di valori non negoziabili, di un'identità certa, di una civiltà di cui inorgoglirsi, di una missione che dà un senso alla vita.
La mia è una scelta estremamente sofferta, mentre guardo negli occhi Gesù e i tanti amici cattolici che proveranno amarezza e reagiranno con disapprovazione. C'è stata un'improvvisa accelerazione nel far maturare questa decisione di fronte alla realtà di due Papi, che per la prima volta nella Storia s'incontrano e si abbracciano, entrambi depositari di investitura divina, dal momento che il grande elettore è lo Spirito Santo che si manifesta attraverso i cardinali, entrambi successori di Pietro e vicari di Cristo anche a prescindere dalla decisione umana di dimettersi.
La Papalatria che ha infiammato l'euforia per Francesco I e ha rapidamente archiviato Benedetto XVI, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un quadro complessivo di incertezze e dubbi sulla Chiesa che ho descritto correttamente e schiettamente già nel mio "Grazie Gesù" del 2008 e in "Europa Cristiana Libera" del 2009.
Se proprio Benedetto XVI denunciando la "dittatura del relativismo" mi aveva attratto e affascinato, la verità è che la Chiesa è fisiologicamente relativista. Il suo essere contemporaneamente Magistero universale e Stato secolare, ha fatto sì che la Chiesa da sempre accoglie nel suo seno un'infinità di comunità, congregazioni, ideologie, interessi materiali che si traducono nel mettere insieme tutto e il contrario di tutto. Così come la Chiesa è fisiologicamente globalista fondandosi sulla comunione dei cattolici in tutto il mondo, come emerge chiaramente dal Conclave. Ciò fa sì che la Chiesa assume posizioni ideologicamente contrari alla Nazione come identità e civiltà da preservare, predicando di fatto il superamento delle frontiere nazionali. Come conseguenza la Chiesa è fisiologicamente buonista, mettendo sullo stesso piano, se non addirittura anteponendo, il bene altrui rispetto al bene proprio, compromettendo dalla radice il concetto di bene comune. Infine prendo atto che la Chiesa è fisiologicamente tentata dal male, inteso come violazione della morale pubblica, dal momento che impone dei comportamenti che sono in conflitto con la natura umana, quali il celibato sacerdotale, l'astensione dai rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, l'indissolubilità del matrimonio, in aggiunta alla tentazione del denaro.
Ciò che più di ogni altro fattore mi ha allontanato dalla Chiesa è il relativismo religioso e in particolare la legittimazione dell'islam come vera religione, di Allah come vero Dio, di Maometto come vero profeta, del Corano come testo sacro, delle moschee come luogo di culto. E' una autentica follia suicida il fatto che Giovanni Paolo II si spinse fino a baciare il Corano il 14 maggio 1999, che Benedetto XVI pose la mano sul Corano pregando in direzione della Mecca all'interno della Moschea Blu di Istanbul il 30 novembre 2006, mentre Francesco I ha esordito esaltando i musulmani che "che adorano Dio unico, vivente e misericordioso". Sono invece convinto che, pur nel rispetto dei musulmani depositari al pari di tutte le persone dei diritti inalienabili alla vita, alla dignità e alla libertà, l'islam sia un'ideologia intrinsecamente violenta così come è stata storicamente conflittuale al suo interno e bellicoso al suo esterno. Ancor di più sono sempre più convinto che l'Europa finirà per essere sottomessa all'islam, così come è già accaduto a partire dal Settimo secolo alle altre due sponde del Mediterraneo, se non avrà la lucidità e il coraggio di denunciare l'incompatibilità dell'islam con la nostra civiltà e i diritti fondamentali della persona, se non metterà al bando il Corano per apologia dell'odio, della violenza e della morte nei confronti dei non musulmani, se non condannerà la sharia quale crimine contro l'umanità in quanto predica e pratica la violazione della sacralità della vita di tutti, la pari dignità tra uomo e donna, la libertà religiosa, infine se non bloccherà la diffusione delle moschee.
Sono contrario al globalismo che porta all'apertura incondizionata delle frontiere nazionali sulla base del principio che l'insieme dell'umanità deve concepirsi come fratelli e sorelle, che il mondo intero deve essere concepito come un'unica terra a disposizione di tutta l'umanità. Sono invece convinto che la popolazione autoctona debba legittimamente godere del diritto e del dovere di salvaguardare la propria civiltà e il proprio patrimonio.
Sono contrario al buonismo che porta la Chiesa a ergersi a massimo protettore degli immigrati, compresi e soprattutto i clandestini. Io sono per l'accoglienza con regole e la prima regola è che in Italia dobbiamo innanzitutto garantire il bene degli italiani, applicando correttamente l'esortazione di Gesù "ama il prossimo tuo così come ami te stesso".
Sono stati dei testimoni - coloro che fanno sì che la verità che affermano corrisponde alla fede in cui credono e si traduca nelle opere buone che compiono - a persuadermi della bontà, del fascino, della bellezza e della forza del cristianesimo come dimora naturale dei valori non negoziabili, dei binomi indissolubili di verità e libertà, fede e ragione, valori e regole. Ed è proprio nel momento in cui attorno a me viene sempre meno la presenza di testimoni autentici e credibili, in parallelo alla conoscenza approfondita del contesto cattolico di riferimento, che è vacillata la mia fede nella Chiesa.
Faccio questa scelta, nella sofferenza interiore e nella consapevolezza della disapprovazione che genererà nella patria del cattolicesimo, perché sento come imperativo il dovere morale di continuare ad essere coerente con me stesso e con gli altri nel nome del primato della verità e della libertà. Non mi sono mai rassegnato alla menzogna e non mi sono mai sottomesso alla paura. Continuerò a credere nel Gesù che ho sempre amato e a identificarmi orgogliosamente nel cristianesimo come la civiltà che più di altre avvicina l'uomo al Dio che ha scelto di diventare uomo e che più di altre sostanzia l'essenza della nostra comune umanità. Continuerò a difendere laicamente i valori non negoziabili della sacralità della vita, della centralità della famiglia naturale, della dignità della persona, della libertà religiosa. Continuerò ad andare avanti con la schiena dritta e a testa alta per dare il mio contributo alla rinascita valoriale e identitaria degli italiani. Lo farò da uomo integro nell'integralità della mia umanità.
(Io amo l'Italia, 25 marzo 2013)
Pesach nei quadri di Tadema
di Daniele Liberanome
"La morte del primogenito del Faraone"
Nella sera di Pesach bisogna sentirsi proprio come se fossimo appena usciti dall'Egitto; ciò potrebbe anche significare che bisogna immergersi in quella realtà. Per questo, niente di meglio che ammirare uno dei quadri che il pittore olandese-inglese Alma Tadema ha dedicato alla storia di Pesach. Da vero virtuoso, ma anche profondo conoscitore dei testi, ci ha lasciato dei quadri che molti apprezzeranno. Ricchi di colore, pieni di fiori (ecco la matrice olandese), precisi fin nei dettagli. "La morte del primogenito del Faraone", che si trova al Rijksmuseum di Amsterdam riesce anche ad emozionare per le sue tinte stranamente scure, per l'alternanza fra visi affranti a sguardi impietriti, per la posizione del figlio del Faraone che ricorda la prima Pietà di Michelangelo. Peccato non abbia mai decorato una Haggadah.
(Notiziario Ucei, 25 marzo 2013)
Sulla Turchia, Lieberman biasima Netanyahu
GERUSALEMME, 25 mar - Sull'opportunita' di disgelo con la Turchia si sfaldano i vertici di Likud Beitenu, la lista nazionalista guidata da Netanyahu e Lieberman. L'ex ministro degli esteri Lieberman attacca la decisione di Netanyahu di scusarsi per 'errori operativi che potrebbero essere accaduti' nel raid israeliano del 2010 sulla nave turca Marmara e la sua disponibilita' a versare risarcimenti. Secondo Lieberman, le scuse sono inopportune,la decisione di Netanyahu rischia di demoralizzare l'esercito israeliano.
(ANSA, 25 marzo 2013)
Israele riprende il trasferimento di fondi ai palestinesi
GERUSALEMME, 25 mar. - Le autorita' israeliane hanno deciso di sbloccare i fondi dovuti all'Autorita' nazionale palestinese, dopo l'interruzione nel dicembre scorso. Dall'ufficio del premier israeliano hanno fatto sapere che Benjamin Netanyahu "ha deciso di autorizzare il trasferimento delle entrate fiscali all'Autorita' palestinese", specificando che il ministro delle Finanze ha gia' dato incarico ai funzionari di riprendere il flusso di fondi.
(AGI, 25 marzo 2013)
Intolleranza e apartheid
Ronaldo esce dal campo
Non riusciamo ancora a distogliere lo sguardo dallo splendore di Yityish Aynaw, la nuova Miss Israele di origine etiope, che un nuovo esempio di rispetto e di integrazione delle minoranze si para davanti ai nostri occhi.
Lina Makhoul, 19 anni, ha appena trionfato nell'edizione 2013 di "The Voice", format canoro olandese. La particolarità? la vincitrice è araba. Un'araba israeliana, come il 20% della popolazione dello stato ebraico. Probabilmente negli stati arabi confinanti una cantante cristiana, o ebrea, o drusa, o di qualunque altra religione, non potrebbe mai esibirsi su un palcoscenico, senza correre rischi per la propria vita. In Israele non è così. E forse è per questo che Gerusalemme rappresenta una spina nel fianco degli stati confinanti: Israele è paladina del rispetto delle minoranze, esempio di tolleranza e di libertà, malvisto da regimi dispotici e oscurantisti.
Mentre Lina trionfava nel reality show canoro, poco lontano Cristiano Ronaldo, delizioso con il suo gioco di gambe quanto maldestro con le sue affermazioni, perdeva la testa commettendo un fallo grossolano. Alla fine dell'incontro Israele-Portogallo, valido per la qualificazione ai Mondiali di Brasile 2014, CR7 ha platealmente rifiutato lo scambio della propria maglia con quella di un avversario. Secondo l'agenzia iraniana Irib, un giornalista di Al Jazeera avrebbe avvicinato il fenomeno in campo chiedendo una localizzazione in tempo reale; al che Ronaldo avrebbe dichiarato di sentirsi in "palestina", e non in Israele.
Sentivamo proprio la mancanza di una prova eclatante di queste manifestazioni di intelligenza. Per conseguire la pace, gli sforzi devono essere molteplici. Serve a poco, se a fronte della tolleranza in Israele, altrove regna l'apartheid.
(Il Borghesino, 25 marzo 2013)
Poprad, commemorato il primo treno di donne ebree ad Auschwitz
Ieri a Poprad i rappresentanti della comunità ebraica insieme alle istituzioni locali e alla gente comune hanno commemorato presso la stazione ferroviaria cittadina le vittime dell'Olocausto, in occasione del 71o anniversario del primo trasporto di cittadini ebrei verso il campo di sterminio di Auschwitz, con un treno carico di migliaia di donne e ragazze ebree. Ricordare significa cercare di impedire che la storia si ripeta, ha detto il direttore del Museo della cultura ebraica Pavol Mestan, sottolineando l'importanza che la gente comune non dimentichi gli eventi che hanno segnato la storia della Slovacchia e del suo popolo.
Nella stessa circostanza è stata inaugurata una mostra di fotografie di Katarina Rachel Krajcovicova dal titolo 'Ritorno alle origini' presso la Tatranska Galeria di Poprad con ritratti di personaggi famosi come l'attrice Geraldine Chaplin, il tenore slovacco Peter Dvorsky e l'attrice ceca Stella Zazvorkova i cui parenti sono morti nei campi di concentramento nazisti.
Le leggi razziali nella prima Repubblica Slovacca vennero implementate nel 1939 (a pochi mesi dallo nascita dello Stato) e contenevano una definizione dell'appartenenza alla razza ebrea. Nel settembre 1941 venne immesso nella legislazione il Codex Judaicus, e solo nel maggio 1942, due mesi dopo le prime deportazioni, il Parlamento di Bratislava legalizzò retroattivamente i trasferimenti, insieme alla deprivazione della cittadinanza e l'esproprio delle proprietà. Lo Shoah Resource Center (yadvashem.org) stima che siano circa 100 mila gli slovacchi morti nell'Olocausto, includendo nel numero coloro che erano fuggiti in precedenza all'estero. La gran parte dei circa 15 mila sopravvissuti (4-5 mila dei quali si presume siano rimasti nascosti fino alla liberazione o inquadrati con i partigiani) sono emigrati dopo la guerra in Israele.
(Buongiorno Slovacchia, 25 marzo 2013)
La voce di Lina Makhoul incanta Israele. La 19enne araba vince "The Voice"
La musica oltre le barriere culturali. Così l'esordiente libanese è arrivata prima al talent show per cantanti.
Non c'è barriera culturale che la musica non possa superare. E non è un caso che per la sua ultima performance Lina Makhoul abbia scelto proprio di cantare quell'"Hallelujah" di Leonard Cohen che è un'ode alla vita e all'amore. La sua interpretazione morbida, a tratti sofferta e intimamente toccante la scorsa notte è valsa alla diciannovenne arabo-cristiana, alla sua prima esperienza televisiva, la vittoria della versione israeliana reality "The Voice". Dopo tre mesi di battaglia in diretta sul piccolo schermo, ora la giovane, nata nel sud del Libano, potrà coronare il sogno di un contratto discografico e una borsa di studio per una prestigiosa scuola di musica.
Oltre il 40 per cento dei telespettatori israeliani ha seguito la finalissima che ha "incoronato" Lina come voce più bella che ha incanto i giudici con una serie di noti brani musicali che spaziavano dal repertorio della celebre cantante araba Fayrouz a quello della star statunitense Whitney Huston.
Ma il pubblico ha amato anche per la sua fortissima personalità la Makhoul, che - ha raccontato in diretta - è stata anche vittima di episodi di razzismo durante le riprese del popolare show televisivo. Con la proclamazione della sua vittoria, Lina è stata portata in trionfo dagli organizzatori, assieme con i familiari giunti dalla località di Akko, S. Giovanni d'Acri. E così ha salutato i suoi fan: «Grazie per avermi ascoltato, aver creduto in me e messo la musica al primo posto».
(La Stampa, 24 marzo 2013)
Pacifici: pronti a incontrare Grillo
"Siamo lieti di incontrare Beppe Grillo nei tempi e nei modi che decideremo insieme". Lo afferma in una nota Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma.
"Siamo lieti di incontrare Beppe Grillo nei tempi e nei modi che decideremo insieme". Lo afferma in una nota Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma.
"Sarà l'occasione per avere un confronto con il leader del Movimento 5 Stelle sulle tematiche che più ci allarmano e presentargli la documentazione inquietante che abbiamo raccolto".
In un'intervista pubblicata ieri da Haarezt a Pacifici sono state attribuite affermazioni polemiche nei confronti del movimento di Beppe Grillo.
(RaiNews24, 24 marzo 2013)
La storia di Amal, falegname per sopravvivere a Gaza
Una storia che arriva dalla Striscia di Gaza. In una società dove l'islam radicale sta rendendo sempre più complicata la vita delle donne, vi raccontiamo di Amal una donna che ha deciso di diventare falegname per mantenere se stessa e la sua famiglia in una zona afflitta da un tasso di disoccupazione che supera il 50%, ancora più alto tra le donne.
Cresce la tensione nel Golan. Israele: "Situazione esplosiva"
L'esercito di Tel Aviv risponde al fuoco proveniente dalla sponda siriana del confine: «Siamo pronti a ogni evenienza»
Il capo di stato maggiore dell'esercito israeliano, Benny Gantz, ha definito «esplosiva» la situazione lungo il confine con la Siria e ha sottolineato che l'esercito di Israele è «preparato ad ogni evenienza».
Sui colpi partiti stamattina dalla parte siriana del Golan, Gantz - ripreso dai media - ha spiegato che erano «in grado mettere in pericolo le forze israeliane» e che per questo l'esercito «ha attaccato e distrutto la postazione» dalla quale i colpi stessi sono partiti.
Il nuovo ministro della Difesa israeliano, Moshe' Yaalon, ha messo oggi in guardia il regime siriano avvertendo di ritenerlo «responsabile di ogni infrazione» alla sovranità d'Israele, lungo la linea delle alture del Golan occupate. Yaalon ha chiarito di aver dato ordine all'esercito di rispondere d'ora in poi immediatamente, colpo su colpo, a ogni proiettile - vagante o voluto - sparato dal territorio siriano. Yaalon si è riferito a quanto successo ieri sera e questa mattina a cavallo del Golan, con lo scambio di colpi seguito a un nuovo episodio in cui un veicolo militare israeliano era stato centrato da un proiettile finito oltre confine dal territorio siriano.
Ad ogni violazione della sovranità israeliana e ad ogni colpo da parte siriana, si risponderà al fuoco «facendo tacere la fonte da cui proviene il fuoco», ha ammonito «Prendiamo in seria considerazione i colpi indirizzati verso l'esercito israeliano» e la riposta da parte dell'esercito, ha aggiunto Yaalon, «è in linea con la politica del governo». A ridosso delle alture del Golan, all'interno della Siria, infuriano da settimane combattimenti fra ribelli anti-Assad e reparti delle forze lealiste.
(La Stampa, 24 marzo 2013)
La strategia del sorriso
di Sergio Minerbi
Per gli israeliani Barack Obama è affascinante e sprizza simpatia da ogni poro. Molti sono disposti a dimenticare quando sembrava ostile a Israele o piuttosto al suo primo ministro. Si potrebbe dire che Obama è sempre lo stesso, ma non essendo riuscito a convincere con le maniere forti, ha invertito l'ordine dei fattori ed è diventato simpatico, amichevole, quasi collegiale. Dice le stesse cose di prima, ma con un largo sorriso e un abbraccio forte. Invece di discutere sugli insediamenti, momentaneamente li accetta. Va a Ramallah da Abu Mazen e gli rende omaggio anche se questi rimane immobile. Obama si impegna in prima persona, parla direttamente ai giovani oltre il protocollo diplomatico e si affida a loro per cambiare la situazione. Di fronte all'offensiva del sorriso, perfino Netanyahu tentenna. Ma questi non può cambiare i risultati delle ultime elezioni che hanno creato parecchi controsensi come il blocco Bennett-Lapid che impone la paralisi di fronte ai palestinesi. Obama ha capito che questo è l`ultimo momento per agire, per evitare uno Stato unificato nel quale i palestinesi sarebbero una minoranza, eternamente in lotta contro Israele. Insomma per trovare una soluzione. Obama sa che non si può piegare Israele con la forza e tenta di riportarlo alla ragione abbracciandolo. I palestinesi invece di prendere la palla al volo e cercare un compromesso, sono ancorati su posizioni sterili. Poco prima di tornare negli Stati Uniti Obama è riuscito a convincere Netanyahu a telefonare al suo omologo turco, Erdoghan, per scusarsi dell'incidente della nave Marmara che portò alla morte di nove cittadini turchi. La questione è ormai sanata e Obama torna a Washington con una piuma sul cappello e con un successo strategico importante per il suo paese nel Mediterraneo orientale. Si può solo sperare che un giorno Obama avrà successo anche con Abu Mazen.
(Notiziario Ucei, 24 marzo 2013)
La pace tra Turchia e Israele conta più di quella coi palestinesi
di Fiamma Nirenstein
Dopo la visita di Obama: per chi si lamenta che il presidente Usa non lascia il processo di pace aperto, attenti che invece ce n'è uno in corso, e ancora più importante di quello con i palestinesi. È quello fra Israele e la Turchia, una Turchia che dovrà smetterla di odiare lo Stato ebraico, ricordando che fino a tre anni fa con Israele scambiava scambiava tecnologia, intelligence ed esercitazioni militari. Ora riprenderanno, specie quelli degli aerei israeliani nei cieli turchi, molto vicini all'Iran. È il processo di pace più importante, perché disegna uno schieramento moderato insieme al re di Giordania: creerà, speriamo, stabilità contenendo l'Iran, la Siria e gli Hezbollah. Adesso Erdogan, secondo il capo di Hamas Haniyeh, farà una visita a Gaza. Ha detto che ha anche ricevuto l'annuncio dal suo carissimo amico Erdogan insieme a quello delle scuse del nemico, Israele. Una pillola amarissima, e lo zuccherino della visita. Non stupisce peraltro che Erdogan si dilunghi nel rapporto con Hamas: lo ha fatto anche con Assad di Siria finché ha potuto. Gli sono simpatici. Ma poi, nonostante i trattati, le visite, i party di odio antisraeliano, ha dovuto lasciar perdere. Anche il fidanzamento con Hamas si dovrà rompere, anche se duole a Erdogan: ma la telefonata con Bibi Netanyahu è fatta. Gli Stati Uniti lo chiamano a far parte dell'alleanza contro l'estremismo che divora il Medio Oriente, come potrà restare amico dell'organizzazione sunnita terrorista?
(il Giornale, 24 marzo 2013)
I politici e gli analisti pragmatici concentrano le loro analisi e valutazioni sugli aspetti "concreti" dei fatti. La cosa funziona in molti casi, ma non con la nazione d'Israele e la città di Gerusalemme. Il fatto che il Presidente degli Stati Uniti non abbia voluto entrare nel Parlamento israeliano, e il fatto che abbia continuato a parlare di Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est (dove si trova il Monte Sion) sono segni più gravi e forieri di sciagure per il popolo ebraico della simpatia popolare ottenuta nella popolazione e della "pace" che sarebbe riuscito a strappare nei rapporti fra Israele e Turchia. Barack Obama, presidente della più importante tra le "nazioni buone" che pretendono di insegnare allo Stato ebraico qual è il suo vero bene e come si deve comportare, è un oggettivo nemico di Israele che in questa occasione ha saputo giocare bene le sue carte. E proprio per questo è più pericoloso di molti altri. M.C.
M5s . Gattegna: gli ebrei italiani valuteranno atti e comportamenti
Renzo Gattegna
ROMA, 23 mar. - "Per quanto riguarda le polemiche su Beppe Grillo e il movimento da lui ispirato, riteniamo che all'interno di M5s siano presenti diverse anime e diverse metodologie in quanto il movimento stesso è riuscito a raccogliere e interpretare un malcontento e un desiderio di rinnovamento che certamente è in fase crescente nella nostra società. Nei confronti di questo movimento è indispensabile, prima di esprimere giudizi definitivi, verificare attentamente i suoi concreti comportamenti". Lo ha affermato il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, sottolineando che "l'intervista rilasciata dal presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici al quotidiano israeliano Haaretz ha il valore di una sua riflessione e non di una linea definita dagli organi rappresentativi". "In particolare - ha evidenziato il presidente dell'Ucei- è doveroso riaffermare che le Comunità ebraiche italiane, parte integrante e fondante del nostro paese da oltre duemila anni, mai si sono sentite più tutelate e garantite nei loro diritti di quanto non sia stato a partire dal 1948, anno di promulgazione della Costituzione repubblicana, ad oggi". E dunque "gli ebrei italiani guardano al futuro con la speranza che, alle difficoltà economiche e all'incertezza politica di questo periodo, faccia seguito una positiva revisione delle regole e dei comportamenti in modo tale da riportare l'Italia, nel consesso mondiale, ai vertici in tutti i campi - culturale, politico, economico e sociale". "Gli ebrei italiani, come tutti gli altri cittadini - ha detto ancora Gattegna- hanno posizioni ideologiche e politiche variegate. Gli organi rappresentativi delle Comunità ebraiche, sia durante la recente campagna elettorale che in questa delicata fase di consultazioni e di trattative finalizzate a costruire una maggioranza di governo, hanno mantenuto una posizione attenta rivolta soprattutto a capire le vere intenzioni di tutte le forze politiche al di là delle parole e delle facili dichiarazioni programmatiche e pubblicitarie. Tutti gli organi responsabili dell'ebraismo italiano si sono attenuti a questa esigenza evitando dichiarazioni non adeguatamente elaborate".
(TMNews, 23 marzo 2013)
Facebook di Grillo pieno di commenti antisemiti
Nella bacheca del comico un fiorire di razzismo a commento del post sulla polemica Grillo-Pacifici. Perché non li cancellano?
Dopo il botta e risposta dei giorni scorsi tra Beppe Grillo e Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma, su dei presunti attacchi antisemiti del Movimento 5 Stelle, ora arrivano i commenti nella pagina facebook del comico ligure.
Sotto al post pubblicato ieri "Di fronte agli insulti gratuiti e infondati del presidente della Comunità Ebraica Riccardo Pacifici" molti egli utenti di Facebook hanno lasciato commenti antisemiti, tra la rabbia di altri. Per esmpio, e ne riportiamo solo alcuni:
"Ebrei maiali",
"nessuno si puo permettere di insultare gli Ebrei però loro possono sciacallare su tutto e tutti!!!",
"Se gli Ebrei sono sempre stati odiati un motivo c'è",
"Credo che Pacifici si sbagli... ma i commenti razzisti ed antisemiti di alcuni commentatori qui sono insopportabili. Ma nessuno modera questa pagina?",
"ma gli ebrei ancora esistono? ai ai Hitler... non ti sei impegnato abbastanza!",
"Sono così. Una razza che si piange addosso sempre per guadagnare soldi e importanza. Ora sono pure i nazisti attuali. Non mi piaceranno mai".
Altri utenti fanno notare che questi commenti non sono stati cancellati, perché?
(globalist, 23 marzo 2013)
Gli Usa sbloccano cinquecento milioni di dollari per la Palestina
Prima 295,7 milioni di dollari per attività di assistenza e poi 200 milioni per l'Autorità Nazionale Palestinese
Atterrato a Tel Aviv il 20 marzo, la prima visita di Obama in Israele ha sollevato finora forti critiche sia da parte dei palestinesi, che da parte di alcuni giornalisti e autorità israeliane. Nel periodo delle elezioni presidenziali, quando la minaccia iraniana veniva agitata durante la campagna elettorale, la posizione di Obama non sempre è risultata sufficientemente forte e netta alle élite ebraiche, mentre per i palestinesi il presidente americano non rappresenta nulla di buono. Si stupisce un lettore palestinese che chiede al quotidiano Maariv "Davvero voi israeliani pensate che avremmo potuto accogliere Obama con gioia? Cosa ha fatto per noi o cosa potrebbe fare per meritarsi un benvenuto dignitoso? Se fosse arrivato il primo ministro turco Erdogan, lo avremmo onorato. Se fosse venuto Hugo Chàvez, l'intera città sarebbe stata piena di bandiere e manifesti. Obama non è un bene per i palestinesi".
E infatti non sono mancati momenti di tensione quando, nei giorni precedenti, i palestinesi hanno manifestato contro Obama impegnando la polizia israeliana nella difesa del palazzo presidenziale Miqata. Nel frattempo, alla richiesta di Abu Mazen di condannare gli insediamenti israeliani in Palestina, Obama rispondeva negativamente. Il principale riconoscimento del Presidente americano all'Autorità Nazionale Palestinese era stato riconoscere che "I palestinesi si meritano uno Stato". Arriva però un'ulteriore apertura: Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato Usa, ha infatti dichiarato che 200 milioni di dollari saranno sbloccati a favore dell'Anp per l'anno fiscale 2013, che si aggiungono ai 295,7 milioni per l'anno fiscale 2012 e che non sono destinati direttamente all'Anp, ma per attività di assistenza economica, umanitaria e per lo sviluppo.
(fanpage, 23 marzo 2013)
Violenta tempesta di sabbia a Gerusalemme durante la visita di Barack Obama
Una violenta tempesta di sabbia su Gerusalemme ha costretto Barack Obama a rinunciare all'elicottero e a recarsi in auto da Israele a Betlemme, in Cisgiordania, per la visita ala Basilica della Nativita'. Quella che era iniziata come una mattinata di sole anche se ventosa e' rapidamente trasformata per una tempesta di sabbia con violente raffiche, che hanno costretto a un improvviso cambio di programma nei piani del presidente. Per lasciare il passo al convoglio presidenziale, alcune delle strade principali tra Gerusalemme e Betlemme sono state chiuse per ragioni di sicurezza. Il deterioramento meteo costringera' probabilmente Obama a spostarsi in auto anche da Betlemme all'aeroporto Ben Gurion, da dove alle 14:15 ora italiana e' prevista la partenza dell'Air Force One alla volta di Amman, ultima tapaipa del suo tour in Medio Oriente. La situazione all'aeroporto e' gia' problematica, perche' i venti sono molto forti e c'e' zero visibilita', tanto che le stesse tende e barriere allestite per la stampa che vuole assistere alla cerimonia di commiato di Obama rischiano di essere trascinate via.
(MeteoWeb, 23 marzo 2013)
A Tel Aviv l'incontro tra Miss Israele e Obama. «È un fusto mondiale»
E il presidente Usa: «Lei è molto bella, mia moglie Michelle vorrebbe avere la sua altezza...»
«Una persona emozionante, un fusto mondiale, un uomo affascinante e un vero gentleman»: così ha sintetizzato il suo breve colloquio con Barack Obama la nuova Miss Israele, Yitish Aynaw (21 anni, originaria dell'Etiopia), che ha incontrato il presidente degli Stati Uniti nella cena ufficiale offerta dal Capo dello Stato Shimon Peres in onore dell'ospite americano. Un metro e 82 di splendore, e munita per l'occasione di tacchi a spillo di altri 15 centimetri, la slanciatissima Aynaw (Titi, per gli amici) non poteva certo passare inosservata fra i 120 invitati.
REGINA ETIOPE - Peres ha comunque voluto presentarla di persona a Obama. «In passato - ha notato, riferendosi all'epoca biblica di re Salomone - abbiamo già avuto qua un'altra regina etiope. Titi è una moderna Regina di Saba». Obama è rimasto folgorato al suo cospetto. «Lei è molto bella», ha affermato, «mia moglie Michelle vorrebbe avere la sua altezza...». Titi (una ebrea falascia) ha replicato di esser stata costretta a farsi strada da sola dopo l'arrivo in Israele e di essersi ispirata proprio a lui, al primo presidente nero della storia degli Stati Uniti.
MOSSAD - Orfana dei genitori e cresciuta con i nonni in un rione povero di Natanya (Tel Aviv), per Yitish l'incontro con Obama e con i vertici politici di Israele è stato dunque «indimenticabile». Ma presto si è sentita a suo agio: al capo del Mossad Tamir Pardo (che sedeva a un tavolo vicino al suo) ha chiesto con disinvoltura: «Perché non mi arruoli?». In una intervista alla Cnn ha poi detto di essere fiera di essere la prima Miss Israele nera. «Anche Peres è stato con me molto carino. Una serata così - ha concluso - la ricorderò per tutta la vita»
(Corriere della Sera, 23 marzo 2013)
Tre domande a Menachem Gantz, corrispondente di Yediot Ahronot
- Lei che ha intervistato Grillo, pensa che gli ebrei italiani debbano tenere alta la guardia? «Ci sono elementi preoccupanti nelle posizioni di Grillo e di alcuni suoi sostenitori che giocano sottilmente su posizioni difendibili davanti a giudici e tribunali ma pericolose per il messaggio inviato alle masse. È bene vigilare per l'Italia prima ancora che per gli ebrei».
- Grillo ha invitato Pacifici a un incontro di «reciproca conoscenza». È una buona idea?
«Il dialogo è sempre utile perché disinnesca odio e pregiudizi. Ma certe posizioni, come la condanna dell'antisemitismo, andrebbero chiarite prima di un incontro. Se sul suo blog e nei suoi spettacoli Grillo lascia intendere che Israele potrebbe essere la causa di una terza guerra mondiale e non coglie neppure l'occasione di un'intervista con un quotidiano israeliano per smentire, allora Pacifici farebbe bene a chiedere rassicurazioni in anticipo».
- Dal punto di vista israeliano, il M5S assomiglia più a un partito di destra o di sinistra?
«Israele era assente dalla campagna e dal programma elettorale di Grillo. Chi ha votato per lui non l'ha fatto pensando a Israele ma perché disperato, stufo della corruzione e alla ricerca di una vendetta politica. Sulla proposta alternativa e sul metodo per cambiare il sistema, il M5S mi sembra confuso così come lo è riguardo alla posizione su Israele».
(La Stampa, 23 marzo 2013)
Hezbollah, una minaccia che incombe sull'Europa: affiliati e cellule dormienti
ROMA - Hezbollah, una minaccia che incombe sull'Europa. Tra migliaia di affiliati, cellule dormienti e operativi che si infiltrano in Israele, la rete di Hezbollah nel Vecchio Continente si sta allargando sempre di più. Lo scorso febbraio la Bulgaria ha rivelato i legami fra i terroristi dell'attentato anti israeliano di Burgas del luglio scorso con il "Partito di Dio" libanese.
L'Unione Europea deve quindi decidere se iscrivere Hezbollah nella lista nera dei gruppi del terrore. "Non è possibile decidere l'inclusione di Hezbollah nella lista nera dei movimenti terroristi prima che siano concluse le indagini e incriminati gli autori dell'attentato di Burgas. Indagini e processo mostreranno se dovremo fare passi politici e prendere decisioni, non possiamo decidere prima", aveva detto lo scorso 7 marzo il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, dopo un incontro con il presidente israeliano Simon Peres.
Come scrive Nicholas Kulish per il New York Times, Hezbollah è ben radicato in Europa e conta su amici influenti per timore di rappresaglie o calcolo politico. Prima delle rivelazioni bulgare l'Olanda era l'unica, sui 27 Paesi Ue, ad aver etichettato il movimento armato sciita come organizzazione terroristica vietando qualsiasi attività sul suo territorio. L'Inghilterra infatti ha messo al bando solo il servizio segreto estero di Hezbollah, ma non il Partito di Dio.
Germania, Francia e Spagna hanno invece proibito la messa in onda della televisione del Partito di Dio, Al Manar. Gli altri Paesi Ue non hanno preso alcun provvedimento nei confronti della rete di Hezbollah in Europa. Lo scorso anno il ministro degli Esteri di Cipro, Erato Kozakou-Marcoullis, aveva ammesso che "non c'è consenso nella Ue nell'inserire Hezbollah nella lista nera, perché mancano prove tangibili".
La Germania è però il Paese europeo preferito da Hezbollah: secondo i servizi segreti i suoi affiliati sul suolo tedesco sono 950. Nel 2008 hanno arrestato all'aeroporto di Francoforte quattro libanesi con 8,7 milioni di euro. Soldi che arrivano dal traffico di cocaina in Europa e si sospetta che parte del narcotraffico nel vecchio continente serva a finanziare i miliziani sciiti in Libano. Hezbollah ha sempre smentito.
Ma il vero pericolo sono le cellule dormienti disseminate in Europa. "Hanno degli operativi che non utilizzano da tempo, ma possono venir attivati in caso di necessità", spiega Alexander Ritzmann della Fondazione per la democrazia di Bruxelles.
(Blitz quotidiano, 23 marzo 2013)
Brutte notizie per l'Iran: la resa dei conti è più vicina
di Noemi Cabitza
Dalla visita di Obama in Medio Oriente arrivano brutti segnali per l'Iran e per il suo programma nucleare. Prima l'estremo riserbo sulle consultazioni tra Obama e Netanyahu, poi l'improvviso e repentino riavvicinamento tra Israele e Turchia con le scuse (accettate) di Netanyahu a Erdogan. Sembra davvero che, come ci fa notare Londei sul suo blog, l'ora X per Teheran si stia avvicinando.
Già ieri avevano fatto notare che le mosse di Obama in Medio Oriente sembravano volte alla costruzione di un "ambiente ideale" per chiudere la partita del nucleare iraniano con l'unico mezzo valido per farlo: l'uso della forza. La riappacificazione tra Israele e Turchia chiude il cerchio specie perché arriva dopo mesi di durissimi attacchi da parte di Erdogan a Israele. E le parole di ieri sera del Premier turco non lasciano spazio a interpretazioni, specie quando ha rimarcato la "secolare amicizia tra la Turchia e gli ebrei", la "vecchia e forte collaborazione militare tra Ankara e Gerusalemme" e in particolare quando ha fatto intendere che "la riconciliazione tra Turchia e Israele riaprirà la collaborazione militare tra i due Paesi" una collaborazione che in questo particolare momento per il Medio Oriente è indispensabile come non mai.
Agli Ayatollah devono fischiare le orecchie se è vero che ieri sera è stato un susseguirsi di minacce a tutto e a tutti. I primi a reagire sono stati gli Hezbollah libanesi, storici alleati di Iran e Siria, che hanno definito il Presidente Obama "un servo dei sionisti" e un "criminale". A ruota sono arrivate le prime riflessioni iraniane, poche a dire il vero, ma tutte minacciose sia per quanto riguarda un eventuale intervento alleato in Siria che per quanto riguarda le parole di Obama che ha detto che gli USA e i suoi alleati non avrebbero mai permesso all'Iran di dotarsi di armi nucleari.
E Teheran mostra anche i muscoli con il varo, previsto per domani, di due cacciatorpediniere di classe Jamaran che presumibilmente saranno impiegati nel Golfo Persico. I due cacciatorpediniere hanno una stazza di 1.420 tonnellate, possono raggiungere i 30 nodi di velocità, possono ospitare elicotteri da trasporto e da combattimento e hanno un moderno sistema lanciamissili.
Preoccupata per l'evolvere della situazione appare anche la solita Catherine Ashton che ieri sera attraverso la Press TV ha lanciato un appello al gruppo dei 5+1 affinché "adottino maggiori misure per costruire un livello di comunicazione e fiducia con l'Iran". La baronessa inglese non si smentisce mai.
Saranno i prossimi giorni a dirci cosa bolle in pentola ma i segnali che arrivano sembrano andare tutti in un'unica direzione, quella di un attacco alle centrali nucleari iraniane, logico epilogo di anni di inutili colloqui e di prese in giro da parte dell'Iran.
(Rights Reporter, 23 marzo 2013)
Israele - Portogallo 3-3
Pareggio 3 a 3 fra Israele e Portogallo nel girone F valido per le qualificazioni ai Mondiali 2014. Cristiano Ronaldo i suoi vengono "salvati" da un gol a tempo scaduto di Fabio Coentrao che completa una rimonta molto pesante, una rimonta che potrebbe essere decisiva per i lusitani a caccia di un pass per la qualificazione ai Mondiali brasiliani. Israele "tiene" il secondo posto a quota 8 punti, ma soltanto grazie alla migliore differenza reti, il Portogallo resta appaiato e dovrà utilizzare le prossime partite per superare gli inattesi rivali che tante grane (e preoccupazioni) stanno causando alla squadra guidata dal fenomeno del Real Madrid.
La partita inizia benissimo per i portoghesi che passano dopo appena due minuti grazie al colpo di testa sugli sviluppi di un calcio d'angolo di Bruno Alves, sembra il preludio ad una vittoria in trasferta che può delineare chiaramente gli equilibri del gruppo ma gli israeliani riescono a ribaltare il risultato con i gol di Hemed e Ben Basat al 24' e il 40' del primo tempo. Al 70' la rete di Gershon porta i padroni di casa sul 3-1, un'ipoteca importante a 20 minuti dal termine, ma la reazione del Portogallo si materializza all'improvviso.
Sgroppata di Cristiano Ronaldo che va via all'avversario diretto con pura velocità e potenza, assist intelligente per Postiga e la speranza si riaccende. Il pareggio arriva soltanto in pieno recupero, due nuovi entrati fra i protagonisti: palla lunga in area di Martins, Almeida colpisce di testa ma la palla batte sulla traversa restando in campo, i difensori israeliani sono goffi nel liberare e sul secondo tentativo Coentrao mette la gamba a contrasto e ribatte il pallone in rete. 3-3 fondamentale, se la Russia di Capello continuerà a dettare legge saranno queste due squadre a giocarsi il secondo posto nel girone, il confronto è destinato a durare ancora.
Inventato dall'imprenditore israeliano e fondatore di Argo Medical Technologies Amit Goffer, il dispositivo ReWalk permette alle persone con paraplegia e in sedia a rotelle di mantenere una posizione eretta, deambulare e salire le scale. Un movimento possibile attraverso l'integrazione di un esoscheletro da indossare e controllare con un sistema computerizzato e sensori di movimento. Grazie a ReWalk una giovane atleta paraplegica, Manuela Migliaccio, la prima in Italia ad usare questo sistema, correrà domenica i dieci chilometri della Stramilano. Un risultato straordinario, frutto della collaborazione scientifica i due paesi. Negli ultimi cinquecento metri Manuela correrà insieme ad altri due paraplegici che hanno recentemente completato la loro formazione per l'utilizzo del ReWalk. Manuela è la seconda paraplegica al mondo a correre su questa distanza. Prima di lei solo l'israeliano Radi Kaiof che ha negli scorsi giorni ha partecipato alla maratona di Tel Aviv. A partire dal mese di giugno, essendo terminata la sperimentazione sull'apparecchio ospedaliero per riabilitazione, l'Inail inizierà la fornitura del dispositivo personale ReWalk nella propria sede di Budrio in provincia di Bologna. "Sono molto orgogliosa dei progressi e dei risultati che sono riuscita a raggiungere grazie al mio esoscheletro. ReWalk - spiega Manuela Migliaccio, ospite negli scorsi mesi dell'Associazione medica ebraica - ha davvero migliorato la qualità della mia vita. Correre la Stramilano è l'ulteriore conferma di come si possano ancora ottenere soddisfazioni inaspettate".
(Notiziario Ucei, 22 marzo 2013)
Rapiti nel Sinai due turisti: "uno israeliano e una belga"
I due sequestrati mentre viaggiavano in auto da una banda di beduini armati. Minacciati, sono stati obbligati a lasciare la macchina e a salire sulla jeep dei rapitori
Lo leggo dopo
IL CAIRO - Due turisti sono stati rapiti oggi nella penisola del Sinai, nel nord dell'Egitto. In base alle prime informazioni si tratta di un israeliano e di una donna di nazionalità belga. A rapirli, una banda di beduini, riferisce il sito Ynet citando l'agenzia France Presse.
Secondo la polizia, i rapitori armati hanno intercettato l'auto su cui viaggiavano i turisti, che si stavano spostando da un villaggio sul mare ad un altro. Minacciandoli, li hanno obbligati a salire sulla loro jeep.
I rapimenti di stranieri allo scopo di ottenere la liberazione di beduini in prigione si sono moltiplicati negli ultimi due anni nel Sinai, complice anche il deterioramento delle condizioni di sicurezza dopo la caduta del regime di Mubarak. In genere si tratta di sequestri lampo - mai più di 48 ore - che si risolvono in maniera positiva.
Il 7 marzo una coppia di cittadini britannici è stata rapita dai beduini per poi essere rilasciata rapidamente dopo negoziati con le forze di polizia. Diverse ambasciate sconsigliano viaggi in questa regione se non strettamente necessari.
(la Repubblica, 22 marzo 2013)
Bernard-Henri Lévy non è gradito in Libia
Bernard-Henri Lévy
Il nouveau philosophe Bernard-Henri Lévy è stato l'architetto intellettuale dell'intervento militare della Nato in Libia, l'attivista-scrittore che ha spronato il presidente Nicolas Sarkozy a farsi portavoce della necessità di abbattere il regime del colonnello Gheddafi. Foreign Policy, in un corsivo dedicato al rentier parigino, ebbe a definirlo "il filosofo più potente del mondo", considerato il ruolo avuto nel convincere l'Eliseo a intervenire in Libia. "BHL", come viene chiamato, avrebbe dovuto essere accolto dal nuovo governo libico come un novello André Malraux. Un liberatore in camicia bianca sbottonata. Ieri invece le autorità di Tripoli hanno stabilito che Lévy è "persona non grata". Niente tour celebrativo in Libia al fianco di Sarkozy e degli uomini che hanno defenestrato il colonnello. Il motivo? Bernard-Henri Lévy è ebreo. Secondo una fonte vicina a BHL, Sarkozy voleva cancellare il viaggio ma Lévy lo ha convinto ad andare comunque. Il primo ministro libico Ali Zeidan ha confermato che BHL alla fine non è stato invitato. L'interventismo occidentalista, guidato da Lévy, aveva presentato una guerra organizzata nelle regioni orientali della Libia, da sempre ostili al potere centrale di Tripoli, come una lotta di liberazione popolare contro un tiranno che faceva affari con l'occidente. Il citoyen pasciuto di ingerenza umanitaria, che nessuno meglio di Lévy è in grado di rappresentare, aveva ipnotizzato l'opinione pubblica occidentale per guidare una guerra dall'alto, nobile nella sua astrattezza letterale quanto sghemba nella sostanza. Ma alla fine BHL è rimasto vittima dell'anima nera celata nella grande parte dei conflitti mediorientali.
(Il Foglio, 22 marzo 2013)
Il ricatto di Obama a Israele: fermare l'Iran in cambio della Palestina
di Miriam Bolaffi
Mano a mano che passano i giorni appare più evidente la strategia che sta dietro al viaggio del Presidente Obama in Medio Oriente, una strategia che è apparsa palese nell'ascoltare il discorso di Gerusalemme (definito storico) a oltre 600 studenti israeliani.
Da quando è arrivato in Israele e con il passare delle ore Obama ha introdotto sempre di più il "tema Palestina" nei suoi discorsi pubblici. Anche nel discorso di ieri sera a Gerusalemme il tema fondamentale è stato quello della creazione di due Stati per due popoli, un argomento che Obama ha legato indissolubilmente al tema della pace e della sicurezza di Israele. Obama ha condannato ancora una volta la nascita delle colonie e ha spiegato la sua visione di "pace". Un discorso pieno di retorica che però fa a cazzotti con la situazione sul terreno e soprattutto con la volontà da parte di una buona parte del popolo palestinese di non fare affatto la pace con Israele.
Non starò a fare il riassunto del discorso di Obama limitandomi a fare due sole osservazioni: la prima è sulla richiesta avanzata da Obama ai giovani israeliani di "mettersi nei panni dei loro coetanei palestinesi", la seconda è invece sulla importante dimenticanza da parte del Presidente Obama delle divisioni in seno ai palestinesi, divisioni che vedono da una parte la maggioranza degli arabi appoggiare un movimento terrorista come quello di Hamas che vuole (per statuto) la distruzione di Israele. Sul primo punto, è difficile per un giovane israeliano mettersi nei panni di un giovane palestinese semplicemente perché mentre in Israele sin da piccoli viene insegnato ai bambini il rispetto di tutti, ai giovani arabi sin dalle scuole primarie viene insegnato che Israele è il nemico da distruggere. Nelle scuole israeliane si fa insegnamento, in quelle palestinesi (anche della Cisgiordania) si fa apologia del martirio. La differenza tra i due modi di pesare è incolmabile. Forse sarebbe stato più saggio da parte di Obama invertire i fattori, fare cioè un discorso ai giovani palestinesi e chiedere loro di mettersi nei panni dei giovani israeliani. Sul secondo punto il Presidente Obama dovrebbe spiegare invece come sia possibile trattare con una controparte che ha come obbiettivo la tua distruzione. Quando i palestinesi abbandoneranno l'idea di distruggere Israele e con questa nuova mentalità parleranno con una sola voce, allora e solo allora sarà possibile sedersi ad un tavolo e trattare finalmente di pace e di due Stati per due popoli.
Ma questo il Presidente Obama lo sa benissimo. Ho come l'impressione, anzi, ne ho quasi la certezza, che Obama e Netanyahu abbiano concordato in precedenza queste uscite del Presidente americano. E' un dazio che Israele deve pagare per vedere affrontato quello che al momento è per lo Stato Ebraico il problema più incombete: il programma nucleare iraniano. Obama ne ha fatto un accenno anche nel discorso di ieri sera ed ha ammesso che è corretto per Israele considerare la minaccia iraniana una "minaccia esistenziale", ribadendo ancora una volta la promessa che gli USA impediranno con qualsiasi mezzo all'Iran di arrivare a detenere un arsenale nucleare. Anzi, se vogliamo essere onesti, ho l'impressione che Obama abbia messo la questione palestinese sul piatto della approvazione di una azione militare contro le centrali nucleari iraniane. Una specie di ricatto (anche se forse la parola "ricatto" è inappropriata) con il quale Obama ha ottenuto un allentamento della politica israeliana sulle colonie in cambio del via libera ad azioni risolutive sul programma nucleare iraniano.
Ufficialmente durante questo viaggio di Obama in Medio Oriente si sono fatti pochi accenni al "problema iraniano" e il più delle volte sono stati accenni generalisti. Nessuna chiara minaccia, nessun ultimatum, niente che faccia pensare ad eventi imminenti. Ed è proprio questa differenza di comportamento dal recente passato che mi fa pensare che il conto alla rovescia sia già iniziato. Ormai credo che sia chiaro a tutti che il "problema iraniano" non si risolverà né pacificamente né con nuove sanzioni. Come è chiaro che la fantomatica "linea rossa" stia per essere raggiunta. Questo mutamento delle condizioni e l'avvicinarsi del momento fatidico in cui non sarà più possibile aspettare oltre ha spinto, secondo me, il Presidente Obama a chiedere a Israele una contropartita che, tradotto in parole povere, si chiama Palestina.
E'un prezzo accettabile per Israele? Di fronte alla "minaccia esistenziale" portata dal programma nucleare iraniano potrebbe essere accettabile, a condizione però di avere dall'altra parte un interlocutore affidabile e che si getti alle spalle definitivamente qualsiasi obbiettivo di "distruzione di Israele".
Vedremo dai segnali che arriveranno i prossimi giorni se quello che penso corrisponde a verità, ma credo di non essere lontana dalla realtà. E credo anche che ormai il mondo si debba seriamente preparare ad imminenti azioni estreme contro il programma nucleare iraniano. E' semplicemente inevitabile.
(Rights Reporter, 22 marzo 2013)
Tutto fa pensare che nella mente di Obama e Netanyahu, e nei colloqui privati fra di loro, la questione palestinese non sia stato il tema principale. Come interpretare altrimenti il silenzio di tutti e due sullultimo lancio di missili da parte di Hamas? Obama ha taciuto, e non ha nemmeno chiesto ad Abu Mazen di esprimersi in merito. Eppure anche quelli di Gaza sono palestinesi del futuro stato che dovrebbe vivere in pace con Israele. Obama ha detto che i palestinesi hanno diritto ad avere uno stato, ma non sono palestinesi anche quelli che da Gaza lanciano missili su Israele e sparano alle immagini degli uomini politici israeliani? Per motivi che hanno a che fare con lIran, Obama evidentemente pensa che oggi Israele possa essere utile o addirittura indispensabile alla sua politica, ma il suo parlare di oggi non è sostanzialmente diverso da quello di ieri, e con le sue generalissime dichiarazioni di amicizia si è lasciato aperte tutte le possibilità, anche quella di pretendere domani, in cambio dellamicizia espressa oggi, concrete azioni politiche di sottomissione agli interessi degli Stati Uniti. Barack Obama sembra destinato a diventare amico di Israele come lo è stato a suo tempo Winston Churchill: il preparatore di un imbroglio storico ai danni di Israele. M.C.
Jerusalem Peace Road Show: la F1 sbarca in Israele con la Ferrari di Fisichella
La Ferrari correrà per le strade di Gerusalemme. Una monoposto affidata a Fisichella parteciperà il 13 e il 14 giugno alla prima edizione del "Jerusalem Peace Road Show"
La Ferrari correrà per le strade di Gerusalemme. Una monoposto della Scuderia di Maranello, affidata a Giancarlo Fisichella, parteciperà il 13 e il 14 giugno prossimi alla prima edizione del "Jerusalem Peace Road Show", evento organizzato sotto l'egida del Comune di Gerusalemme e con il supporto di Kaspersky Lab, uno dei più importanti partner del team.
L'annuncio è stato dato nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella Città Santa dal Sindaco Nil Barkat e dallo stesso Fisichella, giunto appositamente dall'Italia per questo importante evento.
«E' bellissimo avere l'opportunità di guidare una vettura di Formula 1 sulle strade di una città così affascinante e ricca di storia come Gerusalemme - ha dichiarato Giancarlo Fisichella - sono sicuro che l'evento attirerà tantissima gente lungo il percorso, un vero e proprio circuito che si snoderà su e giù per le colline e correrà per una parte accanto alle mura della Città Vecchia; sarà davvero un'esperienza unica ed affascinante. Voglio ringraziare il Sindaco Barkat per aver reso possibile questo evento e il nostro sponsor Kaspersky Lab per aver creato questo collegamento fra il progetto e la Scuderia».
«Una monoposto di Formula con lo sfondo delle mura di Gerusalemme rappresenta un evento storico - ha sottolineato il Sindaco Nil Barkat - costituirà inoltre un'opportunità per l'economia, il turismo e la promozione della città in tutto il mondo. Gerusalemme ha cinquemila anni di storia ma non può e non deve restare ferma, anzi deve legarsi alla modernità. La nostra è una città aperta a tutti ed è importante mandare un messaggio di pace, senza nessun significato politico: auspichiamo di avere Ebrei, Arabi e Mussulmani tutti insieme a vedere da vicino l'espressione più bella del motorismo sportivo».
La Ferrari correrà per le strade di Gerusalemme. Una monoposto della Scuderia di Maranello, affidata a Giancarlo Fisichella, parteciperà il 13 e il 14 giugno prossimi alla prima edizione del "Jerusalem Peace Road Show"
Dopo Mosca, Rotterdam, Doha, Rio de Janeiro ed altre città, una Rossa di Formula 1 sarà protagonista di un nuovo evento cittadino, dando così la chance agli appassionati ma anche a chi non conosce l'automobilismo sportivo di avvicinarsi questo mondo, come ha ricordato Fisichella: «Eventi come questi sono fondamentali per dare maggiore popolarità al nostro sport, Per noi piloti è un'esperienza ovviamente diversa da una gara perché non c'è la stessa pressione ma è comunque molto interessante, anche perché ci permette di conoscere nuovi Paesi».
«Sono particolarmente contento del fatto che qui avremo la possibilità di fare un vero e proprio giro (il tracciato sarà lungo 2,4 chilometri, n. d. r.) invece di un tradizionale percorso su un rettilineo, come spesso accade in occasioni simili. Sono sicuro che sarà un grandissimo successo: il pubblico si divertirà tantissimo».
(Automoto, 22 marzo 2013)
Pacifici: «Grillo è antisemita. Ebrei, preparatevi a scappare»
Il Presidente degli ebrei romani in un'intervista-choc al quotidiano israeliano Haaretz: «Ho la responsabilità di dire alla mia comunità che è il caso che inizi lentamente a prepararsi».
Il presidente degli ebrei romani Riccardo Pacifici in un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz confida i timori diffusi all«interno della comunità dopo l'affermazione politica di Bebbe Grillo e del suo Movimento 5 Stelle. Questo, dice Pacifici, è il momento «in cui gli ebrei italiani dovrebbero iniziare a prepararsi per trasferirsi in Israele».
Contestualizzando il problema all'interno dei più ampi mutamenti in corso in Europa («la natura ebraico-cristiana del continente sta cambiando»), Pacifici esprime tutta la sua preoccupazione. «Alcuni pensano che Grillo sia solo un clown. In Germania dicono che è come l'ex premier Berlusconi. Ma Grillo dice che i partiti politici non sono importanti, cioè esattamente quanto sosteneva Hitler prima di prendere il potere. Il partito di Grillo è più pericoloso dei fascisti perché non ha una piattaforma chiara; non sappiamo quali siano i suoi limiti. Non conosciamo bene chi faccia parte de movimento, ma sappiamo che vi sono estremisti sia di destra che di sinistra - fascisti e radicali - e sono tutti contro le istituzioni, contro la democrazia».
Pacifici spiega di non pensare che tutti gli elettori di Grillo «condividano l'antisemitismo»« dell'ex comico ma la situazione, insiste, è potenzialmente preoccupante. E in questo contesto la possibilità dell'Aliyah, il ritorno in Israele degli ebrei della diaspora, si fa concreta. Per noi «l'aliyah è una garanzia, un'assicurazione....Ho la responsabilità di dire alla mia comunità che è il caso che inizi lentamente a prepararsi. Lo dissi già l'anno scorso dopo l'assassino degli ebrei a Tolosa» (quando tre studneti e un insegnante furono uccisi alla scuola ebraica»).
A inizio mese un'analoga presa di posizione era venuta dal Consiglio di Rappresentanza delle Istituzioni ebree di Francia (Crif). Beppe Grillo, oltre a essere «demagogo, populista, controverso e razzista» è anche «profondamente antisemita e antisionista». E le «tesi nauseabonde» del Movimento 5 stelle «potrebbero riportare l'Italia a un periodo oscuro della sua storia», il fascismo aveva scritto un articolo apparso sul sito del Crif è «Beppe Grillo, le Dieudonné italiano» alludendo al famoso umorista militante franco camerunense. Il Crif - che promuove la lotta contro le forme di antisemitismo, razzismo ed intolleranza, oltre che solidarietà verso Israele - prendeva di mira il percorso politico di Beppe Grillo che «non ha mai nascosto la sua simpatia e ammirazione per il suo amico Maurizio Blondet», direttore di Effedieffe.com, uno dei «più importanti siti italiani antisemita e complottista».
Secondo l'associazione ebraica francese Grillo e il M5s godono di un considerevole sostegno da parte di gruppi «profondamente radicati nel tristemente celebre falso antisemita 'I Protocolli dei Savi di Sion'» di fine 800 che accusa gli ebrei di tutti i mali del mondo. Il leader 5 stelle «ha sempre rivendicato senza alcuna ambiguità il suo antisemismo» sia nei suoi comizi che sul blog, sul quale «sono stati pubblicati centinaia di messaggi anti-israeliani, prendendo le difese del politico comunista italiano, Marco Ferrando, sionista e noto antisemita, e del controverso attore Mel Gibson, autore di numerose dichiarazioni antisemite».
(l'Unità, 22 marzo 2013)
Obama in Israele: Hamas gli manda un saluto con quattro missili
di Sarah F.
Questa mattina Hamas ha pensato bene di dare il suo benvenuto in Medio Oriente al Presidente Obama. Così, non sapendo come fare, ha pensato bene di fare l'unica cosa che gli riesce bene: sparare missili sui civili inermi del sud di Israele. Ne hanno lanciati quattro.
Per fortuna non ci sono state vittime, ma il fatto è gravissimo perché per la prima volta viene palesemente infranta la tregua stabilita a seguito dell'azione difensiva israeliana denominata "Pillar of Defense" che scattò proprio a seguito del continuo lancio di missili sui civili israeliani.
Ieri Obama e Netanyahu hanno discusso marginalmente della cosiddetta "questione palestinese" preferendo affrontare problemi ben più seri come quello del nucleare iraniano e della situazione in Siria. Tuttavia il premier israeliano ha ribadito che il suo nuovo governo sarà impegnato per trovare una soluzione pacifica con i cosiddetti "palestinesi" e che farà quanto necessario per promuovere la soluzione dei "due Stati per due popoli". Questo ha fatto un po' infuriare gli arabi che abitano la Cisgiordania ai quali non è gradita questa soluzione in quanto vorrebbero uno Stato unico binazionale anche se ufficialmente affermano il contrario.
Oggi il Presidente Obama si recherà a Ramallah per incontrare il leader della Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen, al quale ribadirà che gli Stati Uniti non accetteranno in nessun caso qualsiasi iniziativa unilaterale da parte palestinese. Secondo diverse fonti arabe Abu Mazen sarebbe pronto a rinunciare alla richiesta di una dichiarazione ufficiale israeliana che annunci il blocco della costruzione di nuove colonie come precondizione per riaprire i colloqui con Israele. In cambio riceverebbe aiuti finanziari.
(Rights Reporter, 21 marzo 2013)
Ingegnosa la tattica di Abu Mazeni: prima chiede a Israele qualcosa che sa di non poter ricevere; poi promette agli americani che se gli danno un po di soldi per amor di pace rinuncerà a chiedere. Ovviamente Obama, premio nobel per la pace, non può esimersi dallaccondiscendere alla richiesta. Quando i soldi saranno finiti, il meccanismo si rimetterà in moto e il presidente dei palestinesi ripartirà con qualche altra richiesta impossibile. Pare che funzioni.
Tweet antisemiti: l'Unione degli Studenti Ebrei Francesi porta Twitter in tribunale
Chiede 38,5 milioni di euro di risarcimento
di Barbara Barbieri
L'Unione degli Studenti Ebrei Francesi UEJF ieri ha annunciato pubblicamente di avere intrapreso un'azione penale nei confronti di Twitter e del suo Presidente Dick Costolo, per non avere risposto alla richiesta della giustizia francese di provvedere all'identificazione degli autori di alcuni tweet antisemiti.
L'UEJF ha chiesto a Twitter un risarcimento di 38,5 milioni di euro, che, secondo quanto precisato nello stesso testo della citazione a comparire, si impegna a versare alla fondazione dedicata al memoriale della Shoah.
Jonathan Hayoun, Presidente del UEJF, ha dichiarato "Twitter gioca la carta dell'indifferenza e non avendo fornito alcuna replica, non ha rispettato la decisione del 24 gennaio scorso del Tribunale di Grande Istanza di Parigi, che gli intimava di rispondere entro le due settimane successive".
"Abbiamo mantenuto il dialogo aperto con l'UEJF, ma come dimostra l'azione giudiziaria intrapresa dall'associazione, sembra che siano più interessati ai grossi risarcimenti, che a trovare la giusta procedura internazionale per riuscire a ottenere le informazioni che ci sono state richieste" così si è difeso e ha pubblicamente risposto lo staff direttivo di Twitter, che ha aggiunto, che il social network farà appello contro l'ordinanza dello scorso 24 gennaio, appello che avrebbe già fatto, se l'UEJF non avesse impiegato deliberatamente così tanto tempo per prendere quest'ultima decisione.
Secondo la giustizia francese le parti hanno 15 giorni di tempo entro cui possono presentare appello contro un'ordinanza come quella emessa lo scorso 24 gennaio, ma Twitter, multinazionale con sede negli USA, sostiene di avere ricevuto la notifica di questa ordinanza solo negli ultimi giorni.
Il caso giudiziario era stato sollevato dall'UEJF nell'ottobre 2012, dopo che da alcuni account francesi di Twitter erano stati pubblicati e diffusi numerosi tweet antisemiti, contenenti i seguenti hashtag #unbonjuif e #unjuifmort.
Nel testo della citazione penale l'UEJF articola "che è di tutta evidenza che perseguendo la propria politica commerciale la società Twitter Inc. si è rifiutata di identificare gli autori dei tweet illegali" l'associazione francese aggiunge inoltre di non ritenere sufficienti gli argomenti con cui Twitter sostiene che la sua piattaforma, come quelle di altri social network, consente a tutti gli utenti di segnalare ogni messaggio avente contenuto illegale.
(assodigitale.it, 21 marzo 2013)
«Hitler era meglio di Roosevelt e di Churchill»
Due giorni prima della visita del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida ha pubblicato un editoriale violentemente anti-americano, condito di considerazioni a favore di Hitler.
Quello che segue è il brano più significativo dell'articolo, firmato da Hassan Ouda Abu Zaher (e diffuso in inglese da Palestinian Media Watch Bulletin, 19.3.13):
«"La storia è una grande menzogna scritta dai vincitori" disse Napoleone Bonaparte, origine di una dubbia narrazione storica e padre della Massoneria in Francia. Se le cose stanno così, sarà poi vera la storia che ci viene inculcata attraverso la televisione e i normali programmi scolastici? La fonte di questa storia è l'Occidente, sempre vincitore a partire dalla caduta dell'Andalusia (la Spagna musulmana). ... La nostra storia è piena di menzogne: dalla menzogna circa il corrotto [Califfo] Harun Al-Rashid, che ignora le fonti che mostrano che si dedicava un anno al pellegrinaggio [alla Mecca] e un anno alla jihad (cioè, che era un buon musulmano), sino alla menzogna su al-Qaeda e l'evento dell'11 settembre, secondo cui sarebbe stato commesso da terroristi musulmani e non si trattava di un'azione interna americana ad opera di massoni, già menzionata nelle carte degli Illuminati dieci anni prima che avesse luogo e in più di quindici film sionisti e massoni prodotti da Hollywood negli anni '90. Il metodo di ripetere [le bugie] più e più volte ha convalidato fatti falsi. Se avesse vinto Hitler, il nazismo sarebbe un onore, e la gente farebbe a gara per appartenervi, e non un'ignominia punibile per legge. Churchill e Roosevelt erano alcolizzati e in gioventù erano stati interrogati più di una volta per le risse da bar che avevano provocato, mentre Hitler odiava l'alcol e non ne era dipendente. Aveva l'abitudine di coricarsi presto e di alzarsi presto, ed era molto ben organizzato. Anche questi fatti sono stati capovolti, e Satana è stato rivestito con le ali degli angeli».
(Da: Al-Hayat Al-Jadida, 18 marzo 2013 - ripreso da israele.net)
Palestinesi e israeliani uniti contro Obama
di Stefano Magni
George W. Bush era stato contestato per la sua politica mediorientale "sbilanciata" a favore di Israele. Obama è riuscito a riequilibrarla: appena il 10% degli israeliani esprime un giudizio positivo sul presidente statunitense e ieri, al suo arrivo in "Terra Santa", anche i palestinesi organizzavano manifestazioni di protesta. Come ha fatto ad ottenere un record negativo di consensi in Israele? L'impennata di integralismo islamico fra i vicini dello Stato ebraico, fra cui i Fratelli Musulmani al potere in Egitto, è un prodotto diretto della politica di Barack Obama. Già nei primi mesi della sua presidenza, nel 2009, si preoccupò subito di recarsi al Cairo a tenere un ormai famoso discorso di riconciliazione fra Islam e Occidente. Ma non ci pensò neppure a compiere qualche decina di km più a Est per metter piede in Israele. Quello iniziato ieri è infatti il primo viaggio del presidente democratico in terra di Sion. Non ci era andato nemmeno durante la sua campagna elettorale del 2008, dove pure aveva viaggiato in lungo e in largo. Non ci ha neppure pensato in questa campagna elettorale.
In tutti e quattro gli anni del suo primo mandato presidenziale, pur avendo viaggiato più di una volta nella regione mediorientale (oltre all'Egitto, si è recato in visita ufficiale anche in Iraq, Turchia, Arabia Saudita), non ha mai pensato di parlare a quattr'occhi, a Gerusalemme, con quello che ha sempre definito come un "alleato di ferro" degli Stati Uniti. In compenso sono state molto numerose le visite di Benjamin Netanyahu a Washington. Accolto sempre in modo glaciale (a dir poco) dall'inquilino della Casa Bianca. Nel marzo del 2010, il premier dello Stato ebraico dovette fare anticamera per più di un'ora, mentre Obama si allontanava per la pausa pranzo. Un anno dopo, i due si incontrarono a porte chiuse e non rilasciarono neppure un comunicato congiunto alla stampa. I loro volti formalmente sorridenti, rivelavano una tensione di fondo che era difficile da nascondere. Nel 2012, quando Netanyahu si è recato all'Onu in occasione dell'Assemblea Generale, Obama non l'ha neppure ricevuto. Quello fra il presidente democratico e il premier conservatore è un rapporto fondato sull'incomunicabilità e l'incomprensione, sia ideologica che pratica. All'atto pratico, infatti, Obama ha chiesto a Netanyahu di rinunciare alla convinzione che Gerusalemme sia una città indivisibile e capitale di Israele.
Gli attriti di questi anni sono causati proprio dalla costruzione di nuove case per ebrei a Gerusalemme Est, che Netanyahu considera parte integrante della capitale, mentre per Obama è territorio conteso, cedibile ad un futuro Stato palestinese. Per il presidente democratico, Israele deve "fare concessioni", "fare un passo indietro", magari fino ai confini del 1967, come disse (subito ripreso in pubblico da Netanyahu) nel 2011. Obama tradisce la visione del conflitto mediorientale tipica degli accademici e dei think tank progressisti: la tensione nella regione è causata dalla cosiddetta "intransigenza" dello Stato ebraico. Terrorismo, guerre e fondamentalisti sono la conseguenza e non la causa della guerra, secondo questa visione del Medio Oriente. Dal punto di vista di Netanyahu (come di Bush, a suo tempo) questo paradigma deve essere rovesciato. La Giordania è la dimostrazione che Israele e un vicino arabo possono coesistere in pace anche nel lungo periodo.
La presenza di una popolazione araba in Israele, pari al 20% dei cittadini, è la dimostrazione che l'origine del conflitto non è una "repressione israeliana": gli arabi, nello Stato ebraico, godono di tutti i diritti dei loro concittadini. È l'ideologia (pan-arabista prima e islamista poi) che fomenta il conflitto contro Israele, perché mira alla cancellazione dello Stato ebraico dalla mappa del Medio Oriente. Ma è proprio con arabisti (buoni rapporti con la Siria fino al 2011) e islamisti (in Egitto) che Obama preferisce dialogare Ma perché, allora, il presidente degli Stati Uniti non è amato neppure dai palestinesi? Perché, alla prova dei fatti, nel nome dell'interesse nazionale, ha sempre sostenuto militarmente Israele. La sua amministrazione ha fornito allo Stato ebraico armi, tecnologia e sostegno diplomatico. Il sistema anti-missile a corto raggio Iron Dome, protagonista dell'ultima guerra con Hamas, è frutto della cooperazione israelo- statunitense. Il nuovo sistema anti-missile a lungo raggio Arrow3 (che potrebbe essere di fondamentale importanza in un'eventuale guerra con l'Iran) è anch'esso un progetto israelo-americano. In campo diplomatico, gli Usa hanno sempre votato, all'Onu, al fianco di Israele. Alla fine, i palestinesi considerano Obama come un nemico, esattamente come tutti i presidenti statunitensi che lo hanno preceduto.
(l'Opinione, 21 marzo 2013)
Officinamusica presenta Gabriele Coen Trio con "Yiddish Melodies In Jazz"
CASERTA - Protagonista del nuovo appuntamento con la programmazione 2013 di Officinamusica sarà il progetto Jeshish Experience di Gabriele Coen nella collaudata variante in trio. Sassofonista, clarinettista e compositore, Gabriele Coen si dedica da oltre quindici anni all'incontro tra jazz e musica etnica, in particolare mediterranea ed est-europea, svolgendo un'intensa attività a livello nazionale e internazionale impreziosita anche da importanti commissioni di tipo teatrale e cinematografico. Dopo aver fondato e guitato per molti anni i KlezRoym - la piu' nota formazione italiana dedita alla rivisitazione del repertorio musicale ebraico in chiave modernamente jazzistica - il meritato riconoscimento a questo tipo di percorso e' subito provenuto dall'apprezzamento di John Zorn alle composizioni e musiche proposte con il nuovo progetto "Jewish Experience", straordinario quintetto autore di "Awakening", fortunato e acclamato album d'esordio targato Tzadik a cui e' subentrato da qualche mese il nuovissimo disco "Yiddish Melodies In Jazz", opera che la formazione capitolina sara' lieta di presentare in esclusiva a OfficinaMusica. Costola del quintetto d'origine radicata su una coppia di valenti solisti (il chitarrista d'origine svedese Lutte Berg e il contrabbassista Marco Loddo), il Gabriele Coen Trio sa coinvolgere l'ascoltatore in modo amabile e irresistibile, proiettandolo in un mondo artistico e culturale estremamente affascinante ma anche complesso come quello finora prodotto dal popolo ebraico e da tutti gli enclavi internazionli ad esso collegati. Un concerto e un repertorio imperdibili, per sondare la freschezza e la molteplicita' delle piste musicali e culturali su cui viaggiano oggi composizione e libera improvvisazione.
"Gabriele Coen e' compositore e interprete di uno dei piu' entusiasmanti esempi di Nuova Musica Ebraica, capace di combinare una profonda conoscenza e un sincero rispetto per la tradizione, con un eccezionale intuito comunicativo e sensibilita' immaginifica.
All'avanguardia, eppure fermamente radicato nella tradizione, il progetto "Jewish Experience" esprime passione, integrita' e un'impeccabile arte interpretativa". (John Zorn) Prima del concerto ci sara' una degustazione di vini campani offerta da Marina Alaimo - Acino Ebbro Wine Consultant, Comunicazione ed Eventi nel settore enogastronomico.
Info: 0823.363066 www.soundcontest.com info@soundcontest.com posti limitati - prenotazione obbligatoria.
(casertanews.it, 21 marzo 2013)
Lo Sharia Tourism vale 126 miliardi di dollari
L'Indonesia scommette sullo Sharia Tourism. E dunque: cocktail senza alcol, niente maiale nelle pietanze, uomini separati dalle donne nei siti turistici. Così, il governo punta a conquistare sempre più viaggiatori musulmani, soprattutto quelli provenienti dal Medio Oriente.
Il direttore Mice del ministero del Turismo, Rizky Handayani, ha annunciato la collaborazione con adv, hotel e ristoranti per creare pacchetti ad hoc. Con un giro d'affari di oltre 126 miliardi di dollari, e una crescita stimata del 4,8% ogni anno fino al 2020, il turismo della sharia è uno dei principali mercati di nicchia nel mondo. Il ministro indonesiano del Turismo ha selezionato nove province particolarmente adatte ad accogliere questo tipo di visitatori: West Sumatra, Riau, Lampung, Banten, Jakarta, West Java, East Java, South Sulawesi e West Nusa Tenggara.
(agenzia di viaggi, 21 marzo 2013)
Antisemiti in Parlamento
di Francesco Lucrezi
E così, dopo la Grecia e l'Ungheria, un altro Paese europeo - molto più grande e importante - ospita, nel suo Parlamento, un partito (pardon, movimento) apertamente, violentemente antisemita. Un partito che ha raccolto addirittura il 25 per cento dei suffragi, e che, in ragione delle forti contrapposizioni tra le altre forze politiche, tiene in mano le sorti della legislatura e del Paese, giocando con gli altri soggetti politici, e con le istituzioni, come il gatto col topo.
Al suo indiscusso capo e padrone va riconosciuto il merito di avere sbriciolato le fasulle differenze tra antisemitismo e antisionismo, grazie a una retorica equamente, imparzialmente bilanciata, nelle sue furiose invettive, tra attacchi a Israele e attacchi agli ebrei "tout court": così, se gli israeliani ammazzano i palestinesi "come in una tonnara", e "l'Iran è nel mirino di Israele", "gli ebrei dominano il mondo attraverso l'usura"; se "Israele col suo comportamento può far scoppiare la terza guerra mondiale", Eichmann è stato cattivo, più o meno, come Romiti; se Le Brigate Rosse sono state finanziate dal Mossad, "a manovrare tutto sono gli ebrei americani", il giornalista critico è "un verme ebreo" ecc. ecc. Un merito che condivide con i suoi seguaci, che brillano tutti per autonomia di giudizio, originalità di valutazione e spirito indipendente: le pagine Facebook dei disciplinati soldatini della nuova idea grondano di pensieri carini: Israele - citiamo a caso dalla silloge offerta da Fiamma Nirenstein sul Giornale dello scorso 6 marzo - è "uno stato canaglia, equiparabile alla Germania nazista", "gli ebrei dominano il mondo con la finanza", la Shoah è stata una conseguenza delle ruberie degli ebrei, Israele è "uno stato sanguinario, schiavista e razzista" ecc. ecc. (voci dissenzienti? zero). Dai neo-onorevoli sono subito cominciate a venire frasi di ammirazione verso il fascismo, e arriveranno presto - se non sono già arrivate, non so - altre perle di pensiero.
La perfetta distribuzione dei colpi - metà esatta contro Israele, l'altra metà contro tutti gli ebrei - non è certo casuale, ma funzionale all'idea di novità che il movimento intende rappresentare: prendersela solo contro gli ebrei potrebbe generare confusione con i piccoli partitini neonazisti, mentre concentrarsi contro Israele potrebbe far pensare a una replica dei centri sociali e dei gruppi pro-Flotilla. Tutta roba vecchia. Il movimento è nuovo, nuovissimo, ben diverso tanto dai primi quanto dai secondi, infinitamente più grande e potente. Rifiuta l'idea che l'antisemitismo e l'antisionismo debbano essere confinati negli angusti confini di questo o quel partito, essi devono essere patrimonio di tutti. Per questo, giustamente, il vastissimo consenso finora raggiunto appare ancora decisamente insufficiente: il 25% è solo l'inizio, l'obiettivo è il 100%. E' un obiettivo raggiungibile, già qualcuno, in tempi non troppo lontani, ci era andato vicino. Il fatto che, in questo 100%, dovrebbe essere compresa anche l'esigua minoranza ebraica presente nel Paese, non costituirà certo un problema. Gli ebrei "si arrenderanno".
L'Europa forse protesta? Figuriamoci. Lo fa esattamente come l'ha fatto nei confronti di Grecia e Ungheria. E gli altri partiti dello sfortunato Paese? Men che meno. Sono rosi dall'invidia, e lanciano al vincitore timide e imbarazzate "avance", ricevendo in risposta la consueta dose di insulti.
(Notiziario Ucei, 21 marzo 2013)
M5s . Gattegna: gli ebrei italiani valuteranno atti e comportamenti
Renzo Gattegna
ROMA, 23 mar. - "Per quanto riguarda le polemiche su Beppe Grillo e il movimento da lui ispirato, riteniamo che all'interno di M5s siano presenti diverse anime e diverse metodologie in quanto il movimento stesso è riuscito a raccogliere e interpretare un malcontento e un desiderio di rinnovamento che certamente è in fase crescente nella nostra società. Nei confronti di questo movimento è indispensabile, prima di esprimere giudizi definitivi, verificare attentamente i suoi concreti comportamenti". Lo ha affermato il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, sottolineando che "l'intervista rilasciata dal presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici al quotidiano israeliano Haaretz ha il valore di una sua riflessione e non di una linea definita dagli organi rappresentativi". "In particolare - ha evidenziato il presidente dell'Ucei- è doveroso riaffermare che le Comunità ebraiche italiane, parte integrante e fondante del nostro paese da oltre duemila anni, mai si sono sentite più tutelate e garantite nei loro diritti di quanto non sia stato a partire dal 1948, anno di promulgazione della Costituzione repubblicana, ad oggi". E dunque "gli ebrei italiani guardano al futuro con la speranza che, alle difficoltà economiche e all'incertezza politica di questo periodo, faccia seguito una positiva revisione delle regole e dei comportamenti in modo tale da riportare l'Italia, nel consesso mondiale, ai vertici in tutti i campi - culturale, politico, economico e sociale". "Gli ebrei italiani, come tutti gli altri cittadini - ha detto ancora Gattegna- hanno posizioni ideologiche e politiche variegate. Gli organi rappresentativi delle Comunità ebraiche, sia durante la recente campagna elettorale che in questa delicata fase di consultazioni e di trattative finalizzate a costruire una maggioranza di governo, hanno mantenuto una posizione attenta rivolta soprattutto a capire le vere intenzioni di tutte le forze politiche al di là delle parole e delle facili dichiarazioni programmatiche e pubblicitarie. Tutti gli organi responsabili dell'ebraismo italiano si sono attenuti a questa esigenza evitando dichiarazioni non adeguatamente elaborate".
(TMNews, 23 marzo 2013)
Facebook di Grillo pieno di commenti antisemiti
Nella bacheca del comico un fiorire di razzismo a commento del post sulla polemica Grillo-Pacifici. Perché non li cancellano?
Dopo il botta e risposta dei giorni scorsi tra Beppe Grillo e Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma, su dei presunti attacchi antisemiti del Movimento 5 Stelle, ora arrivano i commenti nella pagina facebook del comico ligure.
Sotto al post pubblicato ieri "Di fronte agli insulti gratuiti e infondati del presidente della Comunità Ebraica Riccardo Pacifici" molti egli utenti di Facebook hanno lasciato commenti antisemiti, tra la rabbia di altri. Per esmpio, e ne riportiamo solo alcuni:
"Ebrei maiali",
"nessuno si puo permettere di insultare gli Ebrei però loro possono sciacallare su tutto e tutti!!!",
"Se gli Ebrei sono sempre stati odiati un motivo c'è",
"Credo che Pacifici si sbagli... ma i commenti razzisti ed antisemiti di alcuni commentatori qui sono insopportabili. Ma nessuno modera questa pagina?",
"ma gli ebrei ancora esistono? ai ai Hitler... non ti sei impegnato abbastanza!",
"Sono così. Una razza che si piange addosso sempre per guadagnare soldi e importanza. Ora sono pure i nazisti attuali. Non mi piaceranno mai".
Altri utenti fanno notare che questi commenti non sono stati cancellati, perché?
(globalist, 23 marzo 2013)
Gli Usa sbloccano cinquecento milioni di dollari per la Palestina
Prima 295,7 milioni di dollari per attività di assistenza e poi 200 milioni per l'Autorità Nazionale Palestinese
Atterrato a Tel Aviv il 20 marzo, la prima visita di Obama in Israele ha sollevato finora forti critiche sia da parte dei palestinesi, che da parte di alcuni giornalisti e autorità israeliane. Nel periodo delle elezioni presidenziali, quando la minaccia iraniana veniva agitata durante la campagna elettorale, la posizione di Obama non sempre è risultata sufficientemente forte e netta alle élite ebraiche, mentre per i palestinesi il presidente americano non rappresenta nulla di buono. Si stupisce un lettore palestinese che chiede al quotidiano Maariv "Davvero voi israeliani pensate che avremmo potuto accogliere Obama con gioia? Cosa ha fatto per noi o cosa potrebbe fare per meritarsi un benvenuto dignitoso? Se fosse arrivato il primo ministro turco Erdogan, lo avremmo onorato. Se fosse venuto Hugo Chàvez, l'intera città sarebbe stata piena di bandiere e manifesti. Obama non è un bene per i palestinesi".
E infatti non sono mancati momenti di tensione quando, nei giorni precedenti, i palestinesi hanno manifestato contro Obama impegnando la polizia israeliana nella difesa del palazzo presidenziale Miqata. Nel frattempo, alla richiesta di Abu Mazen di condannare gli insediamenti israeliani in Palestina, Obama rispondeva negativamente. Il principale riconoscimento del Presidente americano all'Autorità Nazionale Palestinese era stato riconoscere che "I palestinesi si meritano uno Stato". Arriva però un'ulteriore apertura: Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato Usa, ha infatti dichiarato che 200 milioni di dollari saranno sbloccati a favore dell'Anp per l'anno fiscale 2013, che si aggiungono ai 295,7 milioni per l'anno fiscale 2012 e che non sono destinati direttamente all'Anp, ma per attività di assistenza economica, umanitaria e per lo sviluppo.
(fanpage, 23 marzo 2013)
Violenta tempesta di sabbia a Gerusalemme durante la visita di Barack Obama
Una violenta tempesta di sabbia su Gerusalemme ha costretto Barack Obama a rinunciare all'elicottero e a recarsi in auto da Israele a Betlemme, in Cisgiordania, per la visita ala Basilica della Nativita'. Quella che era iniziata come una mattinata di sole anche se ventosa e' rapidamente trasformata per una tempesta di sabbia con violente raffiche, che hanno costretto a un improvviso cambio di programma nei piani del presidente. Per lasciare il passo al convoglio presidenziale, alcune delle strade principali tra Gerusalemme e Betlemme sono state chiuse per ragioni di sicurezza. Il deterioramento meteo costringera' probabilmente Obama a spostarsi in auto anche da Betlemme all'aeroporto Ben Gurion, da dove alle 14:15 ora italiana e' prevista la partenza dell'Air Force One alla volta di Amman, ultima tapaipa del suo tour in Medio Oriente. La situazione all'aeroporto e' gia' problematica, perche' i venti sono molto forti e c'e' zero visibilita', tanto che le stesse tende e barriere allestite per la stampa che vuole assistere alla cerimonia di commiato di Obama rischiano di essere trascinate via.
(MeteoWeb, 23 marzo 2013)
A Tel Aviv l'incontro tra Miss Israele e Obama. «È un fusto mondiale»
E il presidente Usa: «Lei è molto bella, mia moglie Michelle vorrebbe avere la sua altezza...»
«Una persona emozionante, un fusto mondiale, un uomo affascinante e un vero gentleman»: così ha sintetizzato il suo breve colloquio con Barack Obama la nuova Miss Israele, Yitish Aynaw (21 anni, originaria dell'Etiopia), che ha incontrato il presidente degli Stati Uniti nella cena ufficiale offerta dal Capo dello Stato Shimon Peres in onore dell'ospite americano. Un metro e 82 di splendore, e munita per l'occasione di tacchi a spillo di altri 15 centimetri, la slanciatissima Aynaw (Titi, per gli amici) non poteva certo passare inosservata fra i 120 invitati.
REGINA ETIOPE - Peres ha comunque voluto presentarla di persona a Obama. «In passato - ha notato, riferendosi all'epoca biblica di re Salomone - abbiamo già avuto qua un'altra regina etiope. Titi è una moderna Regina di Saba». Obama è rimasto folgorato al suo cospetto. «Lei è molto bella», ha affermato, «mia moglie Michelle vorrebbe avere la sua altezza...». Titi (una ebrea falascia) ha replicato di esser stata costretta a farsi strada da sola dopo l'arrivo in Israele e di essersi ispirata proprio a lui, al primo presidente nero della storia degli Stati Uniti.
MOSSAD - Orfana dei genitori e cresciuta con i nonni in un rione povero di Natanya (Tel Aviv), per Yitish l'incontro con Obama e con i vertici politici di Israele è stato dunque «indimenticabile». Ma presto si è sentita a suo agio: al capo del Mossad Tamir Pardo (che sedeva a un tavolo vicino al suo) ha chiesto con disinvoltura: «Perché non mi arruoli?». In una intervista alla Cnn ha poi detto di essere fiera di essere la prima Miss Israele nera. «Anche Peres è stato con me molto carino. Una serata così - ha concluso - la ricorderò per tutta la vita»
(Corriere della Sera, 23 marzo 2013)
Tre domande a Menachem Gantz, corrispondente di Yediot Ahronot
- Lei che ha intervistato Grillo, pensa che gli ebrei italiani debbano tenere alta la guardia? «Ci sono elementi preoccupanti nelle posizioni di Grillo e di alcuni suoi sostenitori che giocano sottilmente su posizioni difendibili davanti a giudici e tribunali ma pericolose per il messaggio inviato alle masse. È bene vigilare per l'Italia prima ancora che per gli ebrei».
- Grillo ha invitato Pacifici a un incontro di «reciproca conoscenza». È una buona idea?
«Il dialogo è sempre utile perché disinnesca odio e pregiudizi. Ma certe posizioni, come la condanna dell'antisemitismo, andrebbero chiarite prima di un incontro. Se sul suo blog e nei suoi spettacoli Grillo lascia intendere che Israele potrebbe essere la causa di una terza guerra mondiale e non coglie neppure l'occasione di un'intervista con un quotidiano israeliano per smentire, allora Pacifici farebbe bene a chiedere rassicurazioni in anticipo».
- Dal punto di vista israeliano, il M5S assomiglia più a un partito di destra o di sinistra?
«Israele era assente dalla campagna e dal programma elettorale di Grillo. Chi ha votato per lui non l'ha fatto pensando a Israele ma perché disperato, stufo della corruzione e alla ricerca di una vendetta politica. Sulla proposta alternativa e sul metodo per cambiare il sistema, il M5S mi sembra confuso così come lo è riguardo alla posizione su Israele».
(La Stampa, 23 marzo 2013)
Hezbollah, una minaccia che incombe sull'Europa: affiliati e cellule dormienti
ROMA - Hezbollah, una minaccia che incombe sull'Europa. Tra migliaia di affiliati, cellule dormienti e operativi che si infiltrano in Israele, la rete di Hezbollah nel Vecchio Continente si sta allargando sempre di più. Lo scorso febbraio la Bulgaria ha rivelato i legami fra i terroristi dell'attentato anti israeliano di Burgas del luglio scorso con il "Partito di Dio" libanese.
L'Unione Europea deve quindi decidere se iscrivere Hezbollah nella lista nera dei gruppi del terrore. "Non è possibile decidere l'inclusione di Hezbollah nella lista nera dei movimenti terroristi prima che siano concluse le indagini e incriminati gli autori dell'attentato di Burgas. Indagini e processo mostreranno se dovremo fare passi politici e prendere decisioni, non possiamo decidere prima", aveva detto lo scorso 7 marzo il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, dopo un incontro con il presidente israeliano Simon Peres.
Come scrive Nicholas Kulish per il New York Times, Hezbollah è ben radicato in Europa e conta su amici influenti per timore di rappresaglie o calcolo politico. Prima delle rivelazioni bulgare l'Olanda era l'unica, sui 27 Paesi Ue, ad aver etichettato il movimento armato sciita come organizzazione terroristica vietando qualsiasi attività sul suo territorio. L'Inghilterra infatti ha messo al bando solo il servizio segreto estero di Hezbollah, ma non il Partito di Dio.
Germania, Francia e Spagna hanno invece proibito la messa in onda della televisione del Partito di Dio, Al Manar. Gli altri Paesi Ue non hanno preso alcun provvedimento nei confronti della rete di Hezbollah in Europa. Lo scorso anno il ministro degli Esteri di Cipro, Erato Kozakou-Marcoullis, aveva ammesso che "non c'è consenso nella Ue nell'inserire Hezbollah nella lista nera, perché mancano prove tangibili".
La Germania è però il Paese europeo preferito da Hezbollah: secondo i servizi segreti i suoi affiliati sul suolo tedesco sono 950. Nel 2008 hanno arrestato all'aeroporto di Francoforte quattro libanesi con 8,7 milioni di euro. Soldi che arrivano dal traffico di cocaina in Europa e si sospetta che parte del narcotraffico nel vecchio continente serva a finanziare i miliziani sciiti in Libano. Hezbollah ha sempre smentito.
Ma il vero pericolo sono le cellule dormienti disseminate in Europa. "Hanno degli operativi che non utilizzano da tempo, ma possono venir attivati in caso di necessità", spiega Alexander Ritzmann della Fondazione per la democrazia di Bruxelles.
(Blitz quotidiano, 23 marzo 2013)
Brutte notizie per l'Iran: la resa dei conti è più vicina
di Noemi Cabitza
Dalla visita di Obama in Medio Oriente arrivano brutti segnali per l'Iran e per il suo programma nucleare. Prima l'estremo riserbo sulle consultazioni tra Obama e Netanyahu, poi l'improvviso e repentino riavvicinamento tra Israele e Turchia con le scuse (accettate) di Netanyahu a Erdogan. Sembra davvero che, come ci fa notare Londei sul suo blog, l'ora X per Teheran si stia avvicinando.
Già ieri avevano fatto notare che le mosse di Obama in Medio Oriente sembravano volte alla costruzione di un "ambiente ideale" per chiudere la partita del nucleare iraniano con l'unico mezzo valido per farlo: l'uso della forza. La riappacificazione tra Israele e Turchia chiude il cerchio specie perché arriva dopo mesi di durissimi attacchi da parte di Erdogan a Israele. E le parole di ieri sera del Premier turco non lasciano spazio a interpretazioni, specie quando ha rimarcato la "secolare amicizia tra la Turchia e gli ebrei", la "vecchia e forte collaborazione militare tra Ankara e Gerusalemme" e in particolare quando ha fatto intendere che "la riconciliazione tra Turchia e Israele riaprirà la collaborazione militare tra i due Paesi" una collaborazione che in questo particolare momento per il Medio Oriente è indispensabile come non mai.
Agli Ayatollah devono fischiare le orecchie se è vero che ieri sera è stato un susseguirsi di minacce a tutto e a tutti. I primi a reagire sono stati gli Hezbollah libanesi, storici alleati di Iran e Siria, che hanno definito il Presidente Obama "un servo dei sionisti" e un "criminale". A ruota sono arrivate le prime riflessioni iraniane, poche a dire il vero, ma tutte minacciose sia per quanto riguarda un eventuale intervento alleato in Siria che per quanto riguarda le parole di Obama che ha detto che gli USA e i suoi alleati non avrebbero mai permesso all'Iran di dotarsi di armi nucleari.
E Teheran mostra anche i muscoli con il varo, previsto per domani, di due cacciatorpediniere di classe Jamaran che presumibilmente saranno impiegati nel Golfo Persico. I due cacciatorpediniere hanno una stazza di 1.420 tonnellate, possono raggiungere i 30 nodi di velocità, possono ospitare elicotteri da trasporto e da combattimento e hanno un moderno sistema lanciamissili.
Preoccupata per l'evolvere della situazione appare anche la solita Catherine Ashton che ieri sera attraverso la Press TV ha lanciato un appello al gruppo dei 5+1 affinché "adottino maggiori misure per costruire un livello di comunicazione e fiducia con l'Iran". La baronessa inglese non si smentisce mai.
Saranno i prossimi giorni a dirci cosa bolle in pentola ma i segnali che arrivano sembrano andare tutti in un'unica direzione, quella di un attacco alle centrali nucleari iraniane, logico epilogo di anni di inutili colloqui e di prese in giro da parte dell'Iran.
(Rights Reporter, 23 marzo 2013)
Israele - Portogallo 3-3
Pareggio 3 a 3 fra Israele e Portogallo nel girone F valido per le qualificazioni ai Mondiali 2014. Cristiano Ronaldo i suoi vengono "salvati" da un gol a tempo scaduto di Fabio Coentrao che completa una rimonta molto pesante, una rimonta che potrebbe essere decisiva per i lusitani a caccia di un pass per la qualificazione ai Mondiali brasiliani. Israele "tiene" il secondo posto a quota 8 punti, ma soltanto grazie alla migliore differenza reti, il Portogallo resta appaiato e dovrà utilizzare le prossime partite per superare gli inattesi rivali che tante grane (e preoccupazioni) stanno causando alla squadra guidata dal fenomeno del Real Madrid.
La partita inizia benissimo per i portoghesi che passano dopo appena due minuti grazie al colpo di testa sugli sviluppi di un calcio d'angolo di Bruno Alves, sembra il preludio ad una vittoria in trasferta che può delineare chiaramente gli equilibri del gruppo ma gli israeliani riescono a ribaltare il risultato con i gol di Hemed e Ben Basat al 24' e il 40' del primo tempo. Al 70' la rete di Gershon porta i padroni di casa sul 3-1, un'ipoteca importante a 20 minuti dal termine, ma la reazione del Portogallo si materializza all'improvviso.
Sgroppata di Cristiano Ronaldo che va via all'avversario diretto con pura velocità e potenza, assist intelligente per Postiga e la speranza si riaccende. Il pareggio arriva soltanto in pieno recupero, due nuovi entrati fra i protagonisti: palla lunga in area di Martins, Almeida colpisce di testa ma la palla batte sulla traversa restando in campo, i difensori israeliani sono goffi nel liberare e sul secondo tentativo Coentrao mette la gamba a contrasto e ribatte il pallone in rete. 3-3 fondamentale, se la Russia di Capello continuerà a dettare legge saranno queste due squadre a giocarsi il secondo posto nel girone, il confronto è destinato a durare ancora.
Inventato dall'imprenditore israeliano e fondatore di Argo Medical Technologies Amit Goffer, il dispositivo ReWalk permette alle persone con paraplegia e in sedia a rotelle di mantenere una posizione eretta, deambulare e salire le scale. Un movimento possibile attraverso l'integrazione di un esoscheletro da indossare e controllare con un sistema computerizzato e sensori di movimento. Grazie a ReWalk una giovane atleta paraplegica, Manuela Migliaccio, la prima in Italia ad usare questo sistema, correrà domenica i dieci chilometri della Stramilano. Un risultato straordinario, frutto della collaborazione scientifica i due paesi. Negli ultimi cinquecento metri Manuela correrà insieme ad altri due paraplegici che hanno recentemente completato la loro formazione per l'utilizzo del ReWalk. Manuela è la seconda paraplegica al mondo a correre su questa distanza. Prima di lei solo l'israeliano Radi Kaiof che ha negli scorsi giorni ha partecipato alla maratona di Tel Aviv. A partire dal mese di giugno, essendo terminata la sperimentazione sull'apparecchio ospedaliero per riabilitazione, l'Inail inizierà la fornitura del dispositivo personale ReWalk nella propria sede di Budrio in provincia di Bologna. "Sono molto orgogliosa dei progressi e dei risultati che sono riuscita a raggiungere grazie al mio esoscheletro. ReWalk - spiega Manuela Migliaccio, ospite negli scorsi mesi dell'Associazione medica ebraica - ha davvero migliorato la qualità della mia vita. Correre la Stramilano è l'ulteriore conferma di come si possano ancora ottenere soddisfazioni inaspettate".
(Notiziario Ucei, 22 marzo 2013)
Rapiti nel Sinai due turisti: "uno israeliano e una belga"
I due sequestrati mentre viaggiavano in auto da una banda di beduini armati. Minacciati, sono stati obbligati a lasciare la macchina e a salire sulla jeep dei rapitori
Lo leggo dopo
IL CAIRO - Due turisti sono stati rapiti oggi nella penisola del Sinai, nel nord dell'Egitto. In base alle prime informazioni si tratta di un israeliano e di una donna di nazionalità belga. A rapirli, una banda di beduini, riferisce il sito Ynet citando l'agenzia France Presse.
Secondo la polizia, i rapitori armati hanno intercettato l'auto su cui viaggiavano i turisti, che si stavano spostando da un villaggio sul mare ad un altro. Minacciandoli, li hanno obbligati a salire sulla loro jeep.
I rapimenti di stranieri allo scopo di ottenere la liberazione di beduini in prigione si sono moltiplicati negli ultimi due anni nel Sinai, complice anche il deterioramento delle condizioni di sicurezza dopo la caduta del regime di Mubarak. In genere si tratta di sequestri lampo - mai più di 48 ore - che si risolvono in maniera positiva.
Il 7 marzo una coppia di cittadini britannici è stata rapita dai beduini per poi essere rilasciata rapidamente dopo negoziati con le forze di polizia. Diverse ambasciate sconsigliano viaggi in questa regione se non strettamente necessari.
(la Repubblica, 22 marzo 2013)
Bernard-Henri Lévy non è gradito in Libia
Bernard-Henri Lévy
Il nouveau philosophe Bernard-Henri Lévy è stato l'architetto intellettuale dell'intervento militare della Nato in Libia, l'attivista-scrittore che ha spronato il presidente Nicolas Sarkozy a farsi portavoce della necessità di abbattere il regime del colonnello Gheddafi. Foreign Policy, in un corsivo dedicato al rentier parigino, ebbe a definirlo "il filosofo più potente del mondo", considerato il ruolo avuto nel convincere l'Eliseo a intervenire in Libia. "BHL", come viene chiamato, avrebbe dovuto essere accolto dal nuovo governo libico come un novello André Malraux. Un liberatore in camicia bianca sbottonata. Ieri invece le autorità di Tripoli hanno stabilito che Lévy è "persona non grata". Niente tour celebrativo in Libia al fianco di Sarkozy e degli uomini che hanno defenestrato il colonnello. Il motivo? Bernard-Henri Lévy è ebreo. Secondo una fonte vicina a BHL, Sarkozy voleva cancellare il viaggio ma Lévy lo ha convinto ad andare comunque. Il primo ministro libico Ali Zeidan ha confermato che BHL alla fine non è stato invitato. L'interventismo occidentalista, guidato da Lévy, aveva presentato una guerra organizzata nelle regioni orientali della Libia, da sempre ostili al potere centrale di Tripoli, come una lotta di liberazione popolare contro un tiranno che faceva affari con l'occidente. Il citoyen pasciuto di ingerenza umanitaria, che nessuno meglio di Lévy è in grado di rappresentare, aveva ipnotizzato l'opinione pubblica occidentale per guidare una guerra dall'alto, nobile nella sua astrattezza letterale quanto sghemba nella sostanza. Ma alla fine BHL è rimasto vittima dell'anima nera celata nella grande parte dei conflitti mediorientali.
(Il Foglio, 22 marzo 2013)
Il ricatto di Obama a Israele: fermare l'Iran in cambio della Palestina
di Miriam Bolaffi
Mano a mano che passano i giorni appare più evidente la strategia che sta dietro al viaggio del Presidente Obama in Medio Oriente, una strategia che è apparsa palese nell'ascoltare il discorso di Gerusalemme (definito storico) a oltre 600 studenti israeliani.
Da quando è arrivato in Israele e con il passare delle ore Obama ha introdotto sempre di più il "tema Palestina" nei suoi discorsi pubblici. Anche nel discorso di ieri sera a Gerusalemme il tema fondamentale è stato quello della creazione di due Stati per due popoli, un argomento che Obama ha legato indissolubilmente al tema della pace e della sicurezza di Israele. Obama ha condannato ancora una volta la nascita delle colonie e ha spiegato la sua visione di "pace". Un discorso pieno di retorica che però fa a cazzotti con la situazione sul terreno e soprattutto con la volontà da parte di una buona parte del popolo palestinese di non fare affatto la pace con Israele.
Non starò a fare il riassunto del discorso di Obama limitandomi a fare due sole osservazioni: la prima è sulla richiesta avanzata da Obama ai giovani israeliani di "mettersi nei panni dei loro coetanei palestinesi", la seconda è invece sulla importante dimenticanza da parte del Presidente Obama delle divisioni in seno ai palestinesi, divisioni che vedono da una parte la maggioranza degli arabi appoggiare un movimento terrorista come quello di Hamas che vuole (per statuto) la distruzione di Israele. Sul primo punto, è difficile per un giovane israeliano mettersi nei panni di un giovane palestinese semplicemente perché mentre in Israele sin da piccoli viene insegnato ai bambini il rispetto di tutti, ai giovani arabi sin dalle scuole primarie viene insegnato che Israele è il nemico da distruggere. Nelle scuole israeliane si fa insegnamento, in quelle palestinesi (anche della Cisgiordania) si fa apologia del martirio. La differenza tra i due modi di pesare è incolmabile. Forse sarebbe stato più saggio da parte di Obama invertire i fattori, fare cioè un discorso ai giovani palestinesi e chiedere loro di mettersi nei panni dei giovani israeliani. Sul secondo punto il Presidente Obama dovrebbe spiegare invece come sia possibile trattare con una controparte che ha come obbiettivo la tua distruzione. Quando i palestinesi abbandoneranno l'idea di distruggere Israele e con questa nuova mentalità parleranno con una sola voce, allora e solo allora sarà possibile sedersi ad un tavolo e trattare finalmente di pace e di due Stati per due popoli.
Ma questo il Presidente Obama lo sa benissimo. Ho come l'impressione, anzi, ne ho quasi la certezza, che Obama e Netanyahu abbiano concordato in precedenza queste uscite del Presidente americano. E' un dazio che Israele deve pagare per vedere affrontato quello che al momento è per lo Stato Ebraico il problema più incombete: il programma nucleare iraniano. Obama ne ha fatto un accenno anche nel discorso di ieri sera ed ha ammesso che è corretto per Israele considerare la minaccia iraniana una "minaccia esistenziale", ribadendo ancora una volta la promessa che gli USA impediranno con qualsiasi mezzo all'Iran di arrivare a detenere un arsenale nucleare. Anzi, se vogliamo essere onesti, ho l'impressione che Obama abbia messo la questione palestinese sul piatto della approvazione di una azione militare contro le centrali nucleari iraniane. Una specie di ricatto (anche se forse la parola "ricatto" è inappropriata) con il quale Obama ha ottenuto un allentamento della politica israeliana sulle colonie in cambio del via libera ad azioni risolutive sul programma nucleare iraniano.
Ufficialmente durante questo viaggio di Obama in Medio Oriente si sono fatti pochi accenni al "problema iraniano" e il più delle volte sono stati accenni generalisti. Nessuna chiara minaccia, nessun ultimatum, niente che faccia pensare ad eventi imminenti. Ed è proprio questa differenza di comportamento dal recente passato che mi fa pensare che il conto alla rovescia sia già iniziato. Ormai credo che sia chiaro a tutti che il "problema iraniano" non si risolverà né pacificamente né con nuove sanzioni. Come è chiaro che la fantomatica "linea rossa" stia per essere raggiunta. Questo mutamento delle condizioni e l'avvicinarsi del momento fatidico in cui non sarà più possibile aspettare oltre ha spinto, secondo me, il Presidente Obama a chiedere a Israele una contropartita che, tradotto in parole povere, si chiama Palestina.
E'un prezzo accettabile per Israele? Di fronte alla "minaccia esistenziale" portata dal programma nucleare iraniano potrebbe essere accettabile, a condizione però di avere dall'altra parte un interlocutore affidabile e che si getti alle spalle definitivamente qualsiasi obbiettivo di "distruzione di Israele".
Vedremo dai segnali che arriveranno i prossimi giorni se quello che penso corrisponde a verità, ma credo di non essere lontana dalla realtà. E credo anche che ormai il mondo si debba seriamente preparare ad imminenti azioni estreme contro il programma nucleare iraniano. E' semplicemente inevitabile.
(Rights Reporter, 22 marzo 2013)
Tutto fa pensare che nella mente di Obama e Netanyahu, e nei colloqui privati fra di loro, la questione palestinese non sia stato il tema principale. Come interpretare altrimenti il silenzio di tutti e due sullultimo lancio di missili da parte di Hamas? Obama ha taciuto, e non ha nemmeno chiesto ad Abu Mazen di esprimersi in merito. Eppure anche quelli di Gaza sono palestinesi del futuro stato che dovrebbe vivere in pace con Israele. Obama ha detto che i palestinesi hanno diritto ad avere uno stato, ma non sono palestinesi anche quelli che da Gaza lanciano missili su Israele e sparano alle immagini degli uomini politici israeliani? Per motivi che hanno a che fare con lIran, Obama evidentemente pensa che oggi Israele possa essere utile o addirittura indispensabile alla sua politica, ma il suo parlare di oggi non è sostanzialmente diverso da quello di ieri, e con le sue generalissime dichiarazioni di amicizia si è lasciato aperte tutte le possibilità, anche quella di pretendere domani, in cambio dellamicizia espressa oggi, concrete azioni politiche di sottomissione agli interessi degli Stati Uniti. Barack Obama sembra destinato a diventare amico di Israele come lo è stato a suo tempo Winston Churchill: il preparatore di un imbroglio storico ai danni di Israele. M.C.
Jerusalem Peace Road Show: la F1 sbarca in Israele con la Ferrari di Fisichella
La Ferrari correrà per le strade di Gerusalemme. Una monoposto affidata a Fisichella parteciperà il 13 e il 14 giugno alla prima edizione del "Jerusalem Peace Road Show"
La Ferrari correrà per le strade di Gerusalemme. Una monoposto della Scuderia di Maranello, affidata a Giancarlo Fisichella, parteciperà il 13 e il 14 giugno prossimi alla prima edizione del "Jerusalem Peace Road Show", evento organizzato sotto l'egida del Comune di Gerusalemme e con il supporto di Kaspersky Lab, uno dei più importanti partner del team.
L'annuncio è stato dato nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella Città Santa dal Sindaco Nil Barkat e dallo stesso Fisichella, giunto appositamente dall'Italia per questo importante evento.
«E' bellissimo avere l'opportunità di guidare una vettura di Formula 1 sulle strade di una città così affascinante e ricca di storia come Gerusalemme - ha dichiarato Giancarlo Fisichella - sono sicuro che l'evento attirerà tantissima gente lungo il percorso, un vero e proprio circuito che si snoderà su e giù per le colline e correrà per una parte accanto alle mura della Città Vecchia; sarà davvero un'esperienza unica ed affascinante. Voglio ringraziare il Sindaco Barkat per aver reso possibile questo evento e il nostro sponsor Kaspersky Lab per aver creato questo collegamento fra il progetto e la Scuderia».
«Una monoposto di Formula con lo sfondo delle mura di Gerusalemme rappresenta un evento storico - ha sottolineato il Sindaco Nil Barkat - costituirà inoltre un'opportunità per l'economia, il turismo e la promozione della città in tutto il mondo. Gerusalemme ha cinquemila anni di storia ma non può e non deve restare ferma, anzi deve legarsi alla modernità. La nostra è una città aperta a tutti ed è importante mandare un messaggio di pace, senza nessun significato politico: auspichiamo di avere Ebrei, Arabi e Mussulmani tutti insieme a vedere da vicino l'espressione più bella del motorismo sportivo».
La Ferrari correrà per le strade di Gerusalemme. Una monoposto della Scuderia di Maranello, affidata a Giancarlo Fisichella, parteciperà il 13 e il 14 giugno prossimi alla prima edizione del "Jerusalem Peace Road Show"
Dopo Mosca, Rotterdam, Doha, Rio de Janeiro ed altre città, una Rossa di Formula 1 sarà protagonista di un nuovo evento cittadino, dando così la chance agli appassionati ma anche a chi non conosce l'automobilismo sportivo di avvicinarsi questo mondo, come ha ricordato Fisichella: «Eventi come questi sono fondamentali per dare maggiore popolarità al nostro sport, Per noi piloti è un'esperienza ovviamente diversa da una gara perché non c'è la stessa pressione ma è comunque molto interessante, anche perché ci permette di conoscere nuovi Paesi».
«Sono particolarmente contento del fatto che qui avremo la possibilità di fare un vero e proprio giro (il tracciato sarà lungo 2,4 chilometri, n. d. r.) invece di un tradizionale percorso su un rettilineo, come spesso accade in occasioni simili. Sono sicuro che sarà un grandissimo successo: il pubblico si divertirà tantissimo».
(Automoto, 22 marzo 2013)
Pacifici: «Grillo è antisemita. Ebrei, preparatevi a scappare»
Il Presidente degli ebrei romani in un'intervista-choc al quotidiano israeliano Haaretz: «Ho la responsabilità di dire alla mia comunità che è il caso che inizi lentamente a prepararsi».
Il presidente degli ebrei romani Riccardo Pacifici in un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz confida i timori diffusi all«interno della comunità dopo l'affermazione politica di Bebbe Grillo e del suo Movimento 5 Stelle. Questo, dice Pacifici, è il momento «in cui gli ebrei italiani dovrebbero iniziare a prepararsi per trasferirsi in Israele».
Contestualizzando il problema all'interno dei più ampi mutamenti in corso in Europa («la natura ebraico-cristiana del continente sta cambiando»), Pacifici esprime tutta la sua preoccupazione. «Alcuni pensano che Grillo sia solo un clown. In Germania dicono che è come l'ex premier Berlusconi. Ma Grillo dice che i partiti politici non sono importanti, cioè esattamente quanto sosteneva Hitler prima di prendere il potere. Il partito di Grillo è più pericoloso dei fascisti perché non ha una piattaforma chiara; non sappiamo quali siano i suoi limiti. Non conosciamo bene chi faccia parte de movimento, ma sappiamo che vi sono estremisti sia di destra che di sinistra - fascisti e radicali - e sono tutti contro le istituzioni, contro la democrazia».
Pacifici spiega di non pensare che tutti gli elettori di Grillo «condividano l'antisemitismo»« dell'ex comico ma la situazione, insiste, è potenzialmente preoccupante. E in questo contesto la possibilità dell'Aliyah, il ritorno in Israele degli ebrei della diaspora, si fa concreta. Per noi «l'aliyah è una garanzia, un'assicurazione....Ho la responsabilità di dire alla mia comunità che è il caso che inizi lentamente a prepararsi. Lo dissi già l'anno scorso dopo l'assassino degli ebrei a Tolosa» (quando tre studneti e un insegnante furono uccisi alla scuola ebraica»).
A inizio mese un'analoga presa di posizione era venuta dal Consiglio di Rappresentanza delle Istituzioni ebree di Francia (Crif). Beppe Grillo, oltre a essere «demagogo, populista, controverso e razzista» è anche «profondamente antisemita e antisionista». E le «tesi nauseabonde» del Movimento 5 stelle «potrebbero riportare l'Italia a un periodo oscuro della sua storia», il fascismo aveva scritto un articolo apparso sul sito del Crif è «Beppe Grillo, le Dieudonné italiano» alludendo al famoso umorista militante franco camerunense. Il Crif - che promuove la lotta contro le forme di antisemitismo, razzismo ed intolleranza, oltre che solidarietà verso Israele - prendeva di mira il percorso politico di Beppe Grillo che «non ha mai nascosto la sua simpatia e ammirazione per il suo amico Maurizio Blondet», direttore di Effedieffe.com, uno dei «più importanti siti italiani antisemita e complottista».
Secondo l'associazione ebraica francese Grillo e il M5s godono di un considerevole sostegno da parte di gruppi «profondamente radicati nel tristemente celebre falso antisemita 'I Protocolli dei Savi di Sion'» di fine 800 che accusa gli ebrei di tutti i mali del mondo. Il leader 5 stelle «ha sempre rivendicato senza alcuna ambiguità il suo antisemismo» sia nei suoi comizi che sul blog, sul quale «sono stati pubblicati centinaia di messaggi anti-israeliani, prendendo le difese del politico comunista italiano, Marco Ferrando, sionista e noto antisemita, e del controverso attore Mel Gibson, autore di numerose dichiarazioni antisemite».
(l'Unità, 22 marzo 2013)
Obama in Israele: Hamas gli manda un saluto con quattro missili
di Sarah F.
Questa mattina Hamas ha pensato bene di dare il suo benvenuto in Medio Oriente al Presidente Obama. Così, non sapendo come fare, ha pensato bene di fare l'unica cosa che gli riesce bene: sparare missili sui civili inermi del sud di Israele. Ne hanno lanciati quattro.
Per fortuna non ci sono state vittime, ma il fatto è gravissimo perché per la prima volta viene palesemente infranta la tregua stabilita a seguito dell'azione difensiva israeliana denominata "Pillar of Defense" che scattò proprio a seguito del continuo lancio di missili sui civili israeliani.
Ieri Obama e Netanyahu hanno discusso marginalmente della cosiddetta "questione palestinese" preferendo affrontare problemi ben più seri come quello del nucleare iraniano e della situazione in Siria. Tuttavia il premier israeliano ha ribadito che il suo nuovo governo sarà impegnato per trovare una soluzione pacifica con i cosiddetti "palestinesi" e che farà quanto necessario per promuovere la soluzione dei "due Stati per due popoli". Questo ha fatto un po' infuriare gli arabi che abitano la Cisgiordania ai quali non è gradita questa soluzione in quanto vorrebbero uno Stato unico binazionale anche se ufficialmente affermano il contrario.
Oggi il Presidente Obama si recherà a Ramallah per incontrare il leader della Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen, al quale ribadirà che gli Stati Uniti non accetteranno in nessun caso qualsiasi iniziativa unilaterale da parte palestinese. Secondo diverse fonti arabe Abu Mazen sarebbe pronto a rinunciare alla richiesta di una dichiarazione ufficiale israeliana che annunci il blocco della costruzione di nuove colonie come precondizione per riaprire i colloqui con Israele. In cambio riceverebbe aiuti finanziari.
(Rights Reporter, 21 marzo 2013)
Ingegnosa la tattica di Abu Mazeni: prima chiede a Israele qualcosa che sa di non poter ricevere; poi promette agli americani che se gli danno un po di soldi per amor di pace rinuncerà a chiedere. Ovviamente Obama, premio nobel per la pace, non può esimersi dallaccondiscendere alla richiesta. Quando i soldi saranno finiti, il meccanismo si rimetterà in moto e il presidente dei palestinesi ripartirà con qualche altra richiesta impossibile. Pare che funzioni.
Tweet antisemiti: l'Unione degli Studenti Ebrei Francesi porta Twitter in tribunale
Chiede 38,5 milioni di euro di risarcimento
di Barbara Barbieri
L'Unione degli Studenti Ebrei Francesi UEJF ieri ha annunciato pubblicamente di avere intrapreso un'azione penale nei confronti di Twitter e del suo Presidente Dick Costolo, per non avere risposto alla richiesta della giustizia francese di provvedere all'identificazione degli autori di alcuni tweet antisemiti.
L'UEJF ha chiesto a Twitter un risarcimento di 38,5 milioni di euro, che, secondo quanto precisato nello stesso testo della citazione a comparire, si impegna a versare alla fondazione dedicata al memoriale della Shoah.
Jonathan Hayoun, Presidente del UEJF, ha dichiarato "Twitter gioca la carta dell'indifferenza e non avendo fornito alcuna replica, non ha rispettato la decisione del 24 gennaio scorso del Tribunale di Grande Istanza di Parigi, che gli intimava di rispondere entro le due settimane successive".
"Abbiamo mantenuto il dialogo aperto con l'UEJF, ma come dimostra l'azione giudiziaria intrapresa dall'associazione, sembra che siano più interessati ai grossi risarcimenti, che a trovare la giusta procedura internazionale per riuscire a ottenere le informazioni che ci sono state richieste" così si è difeso e ha pubblicamente risposto lo staff direttivo di Twitter, che ha aggiunto, che il social network farà appello contro l'ordinanza dello scorso 24 gennaio, appello che avrebbe già fatto, se l'UEJF non avesse impiegato deliberatamente così tanto tempo per prendere quest'ultima decisione.
Secondo la giustizia francese le parti hanno 15 giorni di tempo entro cui possono presentare appello contro un'ordinanza come quella emessa lo scorso 24 gennaio, ma Twitter, multinazionale con sede negli USA, sostiene di avere ricevuto la notifica di questa ordinanza solo negli ultimi giorni.
Il caso giudiziario era stato sollevato dall'UEJF nell'ottobre 2012, dopo che da alcuni account francesi di Twitter erano stati pubblicati e diffusi numerosi tweet antisemiti, contenenti i seguenti hashtag #unbonjuif e #unjuifmort.
Nel testo della citazione penale l'UEJF articola "che è di tutta evidenza che perseguendo la propria politica commerciale la società Twitter Inc. si è rifiutata di identificare gli autori dei tweet illegali" l'associazione francese aggiunge inoltre di non ritenere sufficienti gli argomenti con cui Twitter sostiene che la sua piattaforma, come quelle di altri social network, consente a tutti gli utenti di segnalare ogni messaggio avente contenuto illegale.
(assodigitale.it, 21 marzo 2013)
«Hitler era meglio di Roosevelt e di Churchill»
Due giorni prima della visita del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida ha pubblicato un editoriale violentemente anti-americano, condito di considerazioni a favore di Hitler.
Quello che segue è il brano più significativo dell'articolo, firmato da Hassan Ouda Abu Zaher (e diffuso in inglese da Palestinian Media Watch Bulletin, 19.3.13):
«"La storia è una grande menzogna scritta dai vincitori" disse Napoleone Bonaparte, origine di una dubbia narrazione storica e padre della Massoneria in Francia. Se le cose stanno così, sarà poi vera la storia che ci viene inculcata attraverso la televisione e i normali programmi scolastici? La fonte di questa storia è l'Occidente, sempre vincitore a partire dalla caduta dell'Andalusia (la Spagna musulmana). ... La nostra storia è piena di menzogne: dalla menzogna circa il corrotto [Califfo] Harun Al-Rashid, che ignora le fonti che mostrano che si dedicava un anno al pellegrinaggio [alla Mecca] e un anno alla jihad (cioè, che era un buon musulmano), sino alla menzogna su al-Qaeda e l'evento dell'11 settembre, secondo cui sarebbe stato commesso da terroristi musulmani e non si trattava di un'azione interna americana ad opera di massoni, già menzionata nelle carte degli Illuminati dieci anni prima che avesse luogo e in più di quindici film sionisti e massoni prodotti da Hollywood negli anni '90. Il metodo di ripetere [le bugie] più e più volte ha convalidato fatti falsi. Se avesse vinto Hitler, il nazismo sarebbe un onore, e la gente farebbe a gara per appartenervi, e non un'ignominia punibile per legge. Churchill e Roosevelt erano alcolizzati e in gioventù erano stati interrogati più di una volta per le risse da bar che avevano provocato, mentre Hitler odiava l'alcol e non ne era dipendente. Aveva l'abitudine di coricarsi presto e di alzarsi presto, ed era molto ben organizzato. Anche questi fatti sono stati capovolti, e Satana è stato rivestito con le ali degli angeli».
(Da: Al-Hayat Al-Jadida, 18 marzo 2013 - ripreso da israele.net)
Palestinesi e israeliani uniti contro Obama
di Stefano Magni
George W. Bush era stato contestato per la sua politica mediorientale "sbilanciata" a favore di Israele. Obama è riuscito a riequilibrarla: appena il 10% degli israeliani esprime un giudizio positivo sul presidente statunitense e ieri, al suo arrivo in "Terra Santa", anche i palestinesi organizzavano manifestazioni di protesta. Come ha fatto ad ottenere un record negativo di consensi in Israele? L'impennata di integralismo islamico fra i vicini dello Stato ebraico, fra cui i Fratelli Musulmani al potere in Egitto, è un prodotto diretto della politica di Barack Obama. Già nei primi mesi della sua presidenza, nel 2009, si preoccupò subito di recarsi al Cairo a tenere un ormai famoso discorso di riconciliazione fra Islam e Occidente. Ma non ci pensò neppure a compiere qualche decina di km più a Est per metter piede in Israele. Quello iniziato ieri è infatti il primo viaggio del presidente democratico in terra di Sion. Non ci era andato nemmeno durante la sua campagna elettorale del 2008, dove pure aveva viaggiato in lungo e in largo. Non ci ha neppure pensato in questa campagna elettorale.
In tutti e quattro gli anni del suo primo mandato presidenziale, pur avendo viaggiato più di una volta nella regione mediorientale (oltre all'Egitto, si è recato in visita ufficiale anche in Iraq, Turchia, Arabia Saudita), non ha mai pensato di parlare a quattr'occhi, a Gerusalemme, con quello che ha sempre definito come un "alleato di ferro" degli Stati Uniti. In compenso sono state molto numerose le visite di Benjamin Netanyahu a Washington. Accolto sempre in modo glaciale (a dir poco) dall'inquilino della Casa Bianca. Nel marzo del 2010, il premier dello Stato ebraico dovette fare anticamera per più di un'ora, mentre Obama si allontanava per la pausa pranzo. Un anno dopo, i due si incontrarono a porte chiuse e non rilasciarono neppure un comunicato congiunto alla stampa. I loro volti formalmente sorridenti, rivelavano una tensione di fondo che era difficile da nascondere. Nel 2012, quando Netanyahu si è recato all'Onu in occasione dell'Assemblea Generale, Obama non l'ha neppure ricevuto. Quello fra il presidente democratico e il premier conservatore è un rapporto fondato sull'incomunicabilità e l'incomprensione, sia ideologica che pratica. All'atto pratico, infatti, Obama ha chiesto a Netanyahu di rinunciare alla convinzione che Gerusalemme sia una città indivisibile e capitale di Israele.
Gli attriti di questi anni sono causati proprio dalla costruzione di nuove case per ebrei a Gerusalemme Est, che Netanyahu considera parte integrante della capitale, mentre per Obama è territorio conteso, cedibile ad un futuro Stato palestinese. Per il presidente democratico, Israele deve "fare concessioni", "fare un passo indietro", magari fino ai confini del 1967, come disse (subito ripreso in pubblico da Netanyahu) nel 2011. Obama tradisce la visione del conflitto mediorientale tipica degli accademici e dei think tank progressisti: la tensione nella regione è causata dalla cosiddetta "intransigenza" dello Stato ebraico. Terrorismo, guerre e fondamentalisti sono la conseguenza e non la causa della guerra, secondo questa visione del Medio Oriente. Dal punto di vista di Netanyahu (come di Bush, a suo tempo) questo paradigma deve essere rovesciato. La Giordania è la dimostrazione che Israele e un vicino arabo possono coesistere in pace anche nel lungo periodo.
La presenza di una popolazione araba in Israele, pari al 20% dei cittadini, è la dimostrazione che l'origine del conflitto non è una "repressione israeliana": gli arabi, nello Stato ebraico, godono di tutti i diritti dei loro concittadini. È l'ideologia (pan-arabista prima e islamista poi) che fomenta il conflitto contro Israele, perché mira alla cancellazione dello Stato ebraico dalla mappa del Medio Oriente. Ma è proprio con arabisti (buoni rapporti con la Siria fino al 2011) e islamisti (in Egitto) che Obama preferisce dialogare Ma perché, allora, il presidente degli Stati Uniti non è amato neppure dai palestinesi? Perché, alla prova dei fatti, nel nome dell'interesse nazionale, ha sempre sostenuto militarmente Israele. La sua amministrazione ha fornito allo Stato ebraico armi, tecnologia e sostegno diplomatico. Il sistema anti-missile a corto raggio Iron Dome, protagonista dell'ultima guerra con Hamas, è frutto della cooperazione israelo- statunitense. Il nuovo sistema anti-missile a lungo raggio Arrow3 (che potrebbe essere di fondamentale importanza in un'eventuale guerra con l'Iran) è anch'esso un progetto israelo-americano. In campo diplomatico, gli Usa hanno sempre votato, all'Onu, al fianco di Israele. Alla fine, i palestinesi considerano Obama come un nemico, esattamente come tutti i presidenti statunitensi che lo hanno preceduto.
(l'Opinione, 21 marzo 2013)
Officinamusica presenta Gabriele Coen Trio con "Yiddish Melodies In Jazz"
CASERTA - Protagonista del nuovo appuntamento con la programmazione 2013 di Officinamusica sarà il progetto Jeshish Experience di Gabriele Coen nella collaudata variante in trio. Sassofonista, clarinettista e compositore, Gabriele Coen si dedica da oltre quindici anni all'incontro tra jazz e musica etnica, in particolare mediterranea ed est-europea, svolgendo un'intensa attività a livello nazionale e internazionale impreziosita anche da importanti commissioni di tipo teatrale e cinematografico. Dopo aver fondato e guitato per molti anni i KlezRoym - la piu' nota formazione italiana dedita alla rivisitazione del repertorio musicale ebraico in chiave modernamente jazzistica - il meritato riconoscimento a questo tipo di percorso e' subito provenuto dall'apprezzamento di John Zorn alle composizioni e musiche proposte con il nuovo progetto "Jewish Experience", straordinario quintetto autore di "Awakening", fortunato e acclamato album d'esordio targato Tzadik a cui e' subentrato da qualche mese il nuovissimo disco "Yiddish Melodies In Jazz", opera che la formazione capitolina sara' lieta di presentare in esclusiva a OfficinaMusica. Costola del quintetto d'origine radicata su una coppia di valenti solisti (il chitarrista d'origine svedese Lutte Berg e il contrabbassista Marco Loddo), il Gabriele Coen Trio sa coinvolgere l'ascoltatore in modo amabile e irresistibile, proiettandolo in un mondo artistico e culturale estremamente affascinante ma anche complesso come quello finora prodotto dal popolo ebraico e da tutti gli enclavi internazionli ad esso collegati. Un concerto e un repertorio imperdibili, per sondare la freschezza e la molteplicita' delle piste musicali e culturali su cui viaggiano oggi composizione e libera improvvisazione.
"Gabriele Coen e' compositore e interprete di uno dei piu' entusiasmanti esempi di Nuova Musica Ebraica, capace di combinare una profonda conoscenza e un sincero rispetto per la tradizione, con un eccezionale intuito comunicativo e sensibilita' immaginifica.
All'avanguardia, eppure fermamente radicato nella tradizione, il progetto "Jewish Experience" esprime passione, integrita' e un'impeccabile arte interpretativa". (John Zorn) Prima del concerto ci sara' una degustazione di vini campani offerta da Marina Alaimo - Acino Ebbro Wine Consultant, Comunicazione ed Eventi nel settore enogastronomico.
Info: 0823.363066 www.soundcontest.com info@soundcontest.com posti limitati - prenotazione obbligatoria.
(casertanews.it, 21 marzo 2013)
Lo Sharia Tourism vale 126 miliardi di dollari
L'Indonesia scommette sullo Sharia Tourism. E dunque: cocktail senza alcol, niente maiale nelle pietanze, uomini separati dalle donne nei siti turistici. Così, il governo punta a conquistare sempre più viaggiatori musulmani, soprattutto quelli provenienti dal Medio Oriente.
Il direttore Mice del ministero del Turismo, Rizky Handayani, ha annunciato la collaborazione con adv, hotel e ristoranti per creare pacchetti ad hoc. Con un giro d'affari di oltre 126 miliardi di dollari, e una crescita stimata del 4,8% ogni anno fino al 2020, il turismo della sharia è uno dei principali mercati di nicchia nel mondo. Il ministro indonesiano del Turismo ha selezionato nove province particolarmente adatte ad accogliere questo tipo di visitatori: West Sumatra, Riau, Lampung, Banten, Jakarta, West Java, East Java, South Sulawesi e West Nusa Tenggara.
(agenzia di viaggi, 21 marzo 2013)
Antisemiti in Parlamento
di Francesco Lucrezi
E così, dopo la Grecia e l'Ungheria, un altro Paese europeo - molto più grande e importante - ospita, nel suo Parlamento, un partito (pardon, movimento) apertamente, violentemente antisemita. Un partito che ha raccolto addirittura il 25 per cento dei suffragi, e che, in ragione delle forti contrapposizioni tra le altre forze politiche, tiene in mano le sorti della legislatura e del Paese, giocando con gli altri soggetti politici, e con le istituzioni, come il gatto col topo.
Al suo indiscusso capo e padrone va riconosciuto il merito di avere sbriciolato le fasulle differenze tra antisemitismo e antisionismo, grazie a una retorica equamente, imparzialmente bilanciata, nelle sue furiose invettive, tra attacchi a Israele e attacchi agli ebrei "tout court": così, se gli israeliani ammazzano i palestinesi "come in una tonnara", e "l'Iran è nel mirino di Israele", "gli ebrei dominano il mondo attraverso l'usura"; se "Israele col suo comportamento può far scoppiare la terza guerra mondiale", Eichmann è stato cattivo, più o meno, come Romiti; se Le Brigate Rosse sono state finanziate dal Mossad, "a manovrare tutto sono gli ebrei americani", il giornalista critico è "un verme ebreo" ecc. ecc. Un merito che condivide con i suoi seguaci, che brillano tutti per autonomia di giudizio, originalità di valutazione e spirito indipendente: le pagine Facebook dei disciplinati soldatini della nuova idea grondano di pensieri carini: Israele - citiamo a caso dalla silloge offerta da Fiamma Nirenstein sul Giornale dello scorso 6 marzo - è "uno stato canaglia, equiparabile alla Germania nazista", "gli ebrei dominano il mondo con la finanza", la Shoah è stata una conseguenza delle ruberie degli ebrei, Israele è "uno stato sanguinario, schiavista e razzista" ecc. ecc. (voci dissenzienti? zero). Dai neo-onorevoli sono subito cominciate a venire frasi di ammirazione verso il fascismo, e arriveranno presto - se non sono già arrivate, non so - altre perle di pensiero.
La perfetta distribuzione dei colpi - metà esatta contro Israele, l'altra metà contro tutti gli ebrei - non è certo casuale, ma funzionale all'idea di novità che il movimento intende rappresentare: prendersela solo contro gli ebrei potrebbe generare confusione con i piccoli partitini neonazisti, mentre concentrarsi contro Israele potrebbe far pensare a una replica dei centri sociali e dei gruppi pro-Flotilla. Tutta roba vecchia. Il movimento è nuovo, nuovissimo, ben diverso tanto dai primi quanto dai secondi, infinitamente più grande e potente. Rifiuta l'idea che l'antisemitismo e l'antisionismo debbano essere confinati negli angusti confini di questo o quel partito, essi devono essere patrimonio di tutti. Per questo, giustamente, il vastissimo consenso finora raggiunto appare ancora decisamente insufficiente: il 25% è solo l'inizio, l'obiettivo è il 100%. E' un obiettivo raggiungibile, già qualcuno, in tempi non troppo lontani, ci era andato vicino. Il fatto che, in questo 100%, dovrebbe essere compresa anche l'esigua minoranza ebraica presente nel Paese, non costituirà certo un problema. Gli ebrei "si arrenderanno".
L'Europa forse protesta? Figuriamoci. Lo fa esattamente come l'ha fatto nei confronti di Grecia e Ungheria. E gli altri partiti dello sfortunato Paese? Men che meno. Sono rosi dall'invidia, e lanciano al vincitore timide e imbarazzate "avance", ricevendo in risposta la consueta dose di insulti.
Chissà, forse ha ragione Beppe Grillo, il comico ligure proprietario assieme alla Casaleggio srl di un partito italiano, a fare proprio la denuncia del suocero iraniano: MEMRI non traduce bene le notizie che giungono dal Medio Oriente. Forse è meglio abbassare il volume, e limitarsi ad osservare le immagini.
Detto, fatto: a Gaza, nell'ambito di una cerimonia di premiazione, un gruppetto di balde soldatesse islamiche dalla testa ai piedi ha fornito un saggio della propria perizia sparando ripetutamente una sagoma che raffigurava la stella di David, ai cui estremi figuravano i politici israeliani.
Quale espressione di gioioso compiacimento da parte di Khaled Meshal, il capo di Hamas, organizzazione terroristica che alcuni vorrebbero rimuovere dalla lista nera delle Nazioni Unite (e degli Stati Uniti e dell'Unione Europea e di altri stati pacifisti) per favorire l'avvicinamento con gli amici-rivali dell'OLP.
Quale avvenire radioso attende la Striscia di Gaza: una volta eliminati fisicamente tutti gli israeliani, s'intende.
Che pensa Obama di questa performance?
(Il Borghesino, 20 marzo 2013)
Putin invita Netanyahu a visitare la Russia
GERUSALEMME, 20 mar. - Reduce dalla fiducia riscossa due giorni fa dal suo nuovo gabinetto alla Knesset, e mentre in Israele si attende l'arrivo di Barack Obama, Benjamin Netanyahu e' stato invitato da Vladimir Putin a effettuare una visita ufficiale a Mosca: lo hanno riferito in via riservata fonti governative israeliane, secondo cui il presidente russo ha inviato al premier dello Stato ebraico una lettera di congratulazioni, nella quale era contenuto l'invito.
(AGI, 20 marzo 2013)
Minacce antisemite all'università ungherese
All'universita' di Budapest affissi degli slogan intimidatori alla porta dell'ufficio di alcuni docenti.
BUDAPEST - l' univerisità del posto è stata presa d'assalto da alcuni esponenti antisemiti i quali hanno affisso slogan intimidatori sulla porta dell'ufficio di alcuni docenti. Alcuni slogan recitano:" Ebrei! Quest'università è la nostra, non la vostra. Attenti!". L'intolleranza in questo paese stava già dilagando e questo episodio insieme ad alcune affermazioni razziste di un giornalista tv suscitano panico nella comunità ebraica.
TORINO - Presentazione in musica martedì sera per il libro di Enrico Fubini "Musica e canto nella musica ebraica", pubblicato dalla casa editrice Giuntina, Ad aprire l'incontro al Circolo della stampa di palazzo Ceriana Mayneri il concerto klezmer del gruppo Mishkalé. Il testo di Fubini parte dalla mistica ebraica per poi concentrarsi sui temi della musica del canto e della preghiera.
(la Repubblica - Torino, 20 marzo 2013)
Parigi restituisce opere trafugate da nazisti a ebrei
Come promesso la Francia ha restituito oggi sette dipinti trafugati dai nazisti alle famiglie ebree durante la Seconda guerra mondiale, tra cui alcuni capolavori del Rinascimento italiano provenienti dal museo del Louvre. La cerimonia di restituzione è stata presieduta dal ministro della Cultura francese, Aurelie Filippetti. "Ci saranno altre restituzioni nel corso dell'anno - ha annunciato il ministro -. Prima si attendeva che i diretti interessati si manifestassero per dare inizio alle ricerche. Oggi saremo noi ad andare alla ricerca dei proprietari. È una questione morale".
Le ricerche si concentrano su 163 dipinti classificati Mnr, cioè Musees nationaux recuperation, attualmente conservati nei musei francesi. È stato quindi creato un gruppo di lavoro ad hoc per ritrovare i proprietari delle opere che dovrà presentare un rapporto entro il primo semestre del 2014.
Grazie a queste restituzioni l'americano Tom Selldorff, 82 anni, oggi ha potuto recuperare sei opere tra cui "Il ritratto di Bartolomeo Ferracina" di Alessandro Longhi, e "Abramo e i tre angelì" di Sebastiano Ricci, appartenenti al bisnonno Richard Neumann. Quest'ultimo si era rifugiato da Vienna a Parigi nel 1939 con la sua collezione di quadri, ma aveva dovuto poi abbandonarli nel 1942.
Tra le restituzioni ai discendenti degli ebrei spoliati, anche una tela del XVII secolo di un banchiere ceco, Josef Wiener, morto durante le deportazioni. Destinati al museo che Adolf Hitler sognava di costruire a Linz, la sua città natale, questi capolavori vennero ritrovati dagli Alleati in Germania e poi spediti in Francia.
(Il Sole 24 Ore, 20 marzo 2013)
Orban, il "nemico" ungherese creato dall'Unione Europea
di Stefano Magni
Viktor Orbàn
La notizia è di quelle che provocano terremoti. Nel cuore dell'Europa, in un Paese membro dell'Ue, un governo assegna tre premi a tre razzisti e antisemiti dichiarati. Stiamo parlando, manco a dirlo, dell'Ungheria. Il governo del conservatore Viktor Orbàn, ormai, pare divertirsi a violare sistematicamente tutte le regole del politicamente corretto. E così ha dato il premio Tancsics per il giornalismo a Ferenc Szaniszló, noto per aver paragonato i Rom alle scimmie e per aver detto che "gli ebrei hanno occupato l'Ungheria o comunque la stanno per occupare", fra le tante altre cose dello stesso tenore. Poi è stato assegnato l'Ordine al Merito a Kornel Bakay, archeologo, noto per le sue tesi antisemite sulla storia, fra cui quella secondo cui gli ebrei avrebbero organizzato loro la tratta degli schiavi, dal Medio Evo sino al secolo scorso. Infine, la Croce d'Oro al Merito è andata a Janos Petras, frontman della band ultranazionalista Karpatia.
Sotto attacco della stampa ungherese per il premio assegnato a Ferenc Szaniszló, il ministro delle Risorse Umane Zoltàn Balog ha accampato scuse quasi surreali: "Ho preso questa decisione senza sapere che questo editorialista e giornalista di esteri, i cui lavori precedenti erano di qualità ineccepibile, abbia violato la dignità umana con le sue dichiarazioni più recenti". Che, paragonato alla realtà italiana, sarebbe un po' come dire "Non sapevo che Santoro fosse di sinistra". Il ministro Balog, comunque, non ha alcuna intenzione di ritirare il prestigioso premio a Szaniszló, perché "Le regole non me lo consentono. Posso solo rammaricarmi di aver preso una pessima decisione".
In questa vicenda si possono evidenziare tre aspetti, che troppo spesso sfuggono. In Ungheria l'antisemitismo è evidentemente dilagante nella cultura, anche se si verificano meno assalti antisemiti rispetto alla vicina Russia. Il 63% della popolazione ungherese, secondo un sondaggio della Anti Defamation League, esprime idee e posizioni antisemite. Il pericolo è tanto grave che, per solidarietà con la grande comunità locale (150mila individui), il prossimo maggio il Congresso Mondiale Ebraico si terrà a Budapest. E sarà un evento storico, una delle rare volte che si svolgerà fuori da Gerusalemme. Ciò che troppo spesso sfugge di mente è che in Ungheria, per mezzo secolo, ha regnato un regime comunista, che si professava vincitore della lotta contro il nazismo e predicava la fratellanza dei popoli. Se questi sono i risultati, evidentemente il vecchio regime ha lasciato un buco enorme nella memoria storica collettiva degli ungheresi. Non è un caso i Paesi europei in cui, negli ultimi due decenni, si registra un'impennata di razzismo, siano tutti ex comunisti: Germania orientale, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria (con i Rom), per non parlare della Russia, che "vanta" attualmente la società più razzista di tutte. La fratellanza ideologica, ipocrita nell'applicazione, è da individuare proprio fra le cause dell'impennata di odio etnico. Costretti a coesistere sotto lo stesso sistema totalitario, i vicini e i popoli coesistenti hanno iniziato a odiarsi, in un modo che noi non abbiamo sperimentato neppure fra meridionali e settentrionali d'Italia. Disabituati a ragionare in termini economici, in sistemi pianificati, i cittadini dell'Est hanno continuato a covare antichi rancori e leggende nere contro gli ebrei, come ai tempi del nazismo. Il giornalista Szaniszló è proprio l'esempio giusto: comunista della prima ora, educato a Mosca, corrispondente ungherese in Unione Sovietica, non gli ci è voluto molto per convertirsi in un razzista antisemita.
Seconda cosa che si tende a dimenticare: l'Ungheria è nell'Unione Europea dal 2004 e da allora ad oggi sta diventando sempre più razzista. Prova ne è la crescita di voti presi dal partito di estrema destra Jobbik: 2,2% nel 2006, 14,8% nel 2009, 16,7% nel 2010. Il 2009 è l'anno della crisi economica. La vecchia ideologia nazionalista è tornata ad ardere, ma l'Ue ha fatto da carburante invece che da estintore, evidentemente. Jobbik intercetta buona parte del voto euroscettico ed ha sempre più successo anche per quel motivo. Un percorso analogo lo si trova solo in Grecia, con la crescita del partito neonazista Alba Dorata. L'Ue, insomma, rischia di svolgere lo stesso ruolo che svolse l'Urss a suo tempo: predicando ipocritamente la fratellanza, finisce per alimentare l'odio etnico.
La novità dell'assegnazione di questi premi è la partecipazione del governo di Viktor Orbàn. Finora il suo partito Fidesz, era sempre stato attento a non mischiare le carte con i nazionalisti di Jobbik. Orbàn stesso ha difeso la comunità ebraica in più di un'occasione, mantiene buoni rapporti con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha fatto parte dell'American Enterprise Institute (un think tank conservatore statunitense che, sul Medio Oriente, esprime posizioni filo-sioniste) ed è stato premiato dall'ex presidente George W. Bush, uno dei maggiori alleati di Israele in tempi recenti. Dall'altra parte, Jobbik non ha mai sostenuto Orbàn: ha boicottato la sua riforma della Costituzione nel 2011 e quest'anno si è astenuto dal votare gli ultimi emendamenti alla legge suprema ungherese. Paradossalmente è proprio l'Unione Europea che sta spingendo Orbàn nelle braccia di Jobbik. Perché Bruxelles, del premier conservatore ungherese, ha condannato tutto, ma veramente tutto quello che ha detto, scritto e fatto. Accusandolo di populismo ed euroscetticismo, bocciando tutte le sue misure economiche anti-crisi, arrivando a parlare di rischio di violazione dei diritti umani per una riforma della Costituzione che (almeno finora) non viola alcun diritto individuale. Bruxelles (e la grancassa dei media) ha fatto di Orbàn un mostro, esattamente come ha fatto con Geert Wilders in Olanda, attribuendogli un fascismo che esiste solo nella mente dei suoi avversari socialdemocratici. E alla fine il mostro lo hanno creato. Contro un'Ue nemica e incombente, Viktor Orbàn dovrà cercare il consenso di Jobbik. E questi tre premi sono un sintomo che lo stia già facendo.
(l'Indipendenza, 20 marzo 2013)
Gioisce per l'uccisione di turisti ebrei in Bulgaria
SVIZZERA - Maurus Candrian, caposezione al Dipartimento delle costruzioni del canton San Gallo ed ex deputato del PPD in Gran Consiglio, è stato condannato per discriminazione razziale e rischia ora anche il posto di lavoro. In una email all'ambasciata israeliana a Berna aveva espresso la sua gioia per l'uccisione di ebrei nell'attentato a un bus di turisti israeliani avvenuto il 18 luglio 2012 in Bulgaria.
"Ebrei uccisi in Bulgaria. Magnifico. Un buon giorno nella mia vita. Sono orgoglioso degli eroi che hanno ucciso gli ebrei", avrebbe scritto Candrian secondo l'ultimo numero della "SonntagsZeitung", che ha rivelato la notizia domenica senza fare il nome del funzionario (ci hanno subito pensato altri media). La condanna, tramite decreto d'accusa, risale allo scorso dicembre: la Procura di San Gallo ha inflitto a Candrian una pena pecuniaria di 90 aliquote giornaliere con la condizionale e 1200 franchi di multa.
Il capo del Dipartimento delle costruzioni sangallese Willi Haag, interpellato dal giornale regionale per la Svizzera orientale della radio svizzerotedesca SRF, si è detto indignato per due ragioni: in primo luogo per il contenuto della email, poi perché Candrian non lo ha informato subito della condanna.
Secondo il "St. Galler Tagblatt" di oggi il dipartimento sta attualmente valutando con l'ufficio del personale se Candrian può ancora lavorare per il Cantone oppure no. La decisione dovrebbe essere presa ancora questa settimana. Jörg Frei, presidente del PPD del canton San Gallo, ne ha chiesto il licenziamento.
(swisscom, 19 marzo 2013)
Una volta si chiamava "messa di intronizzazione"
CITTÀ DEL VATICANO, 19 mar. - Centinaia di migliaia di fedeli previsti, mass media di tutto il mondo, 132 tra capi di Stato e di Governo, principi e sovrani, ambasciatori e ministri, e poi cardinali, patriarchi, rabbini, imam. La messa di inaugurazione del ministero petrino del vescovo di Roma - un tempo si chiamava "messa di intronizzazione" per sottolineare la maestà - può essere regale. Oppure piuttosto semplice, come dovrebbe essere quella presieduta stamani da Papa Francesco per avviare il suo Pontificato. Il Vangelo sarà "cantato in greco". Concelebreranno solo due sacerdoti, il generale dei francescani José Rodriguez Carballo e il generale dei gesuiti Adolfo Nicolas. L'omelia sarà tenuta in italiano. Alla messa saranno presenti la presidente di Argentina Cristina Kirchner e poi i presidenti di Brasile (Dima Roussef), Messico (Enrique Pena Nieto) e Cile (Sebastian Pinera). La delegazione italiana che assisterà alla messa di inaugurazione di Papa Francesco, è guidata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accompagnato dalla consorte, signore Clio, ed è comporta da 16 persone. Tra di esse, il presidente del consiglio Mario Monti e la consorte, signora Elsa, e i nuovi presidenti di Senato e Camera, Piero Grasso e Laura Boldrini. Sono previste delegazioni di 132 tra paesi (sovrani, capi di Stato, capi di Governo o ministri) e organizzazioni internazionali. I capi di Stato previsti sono 31 (oltre ai latino-americani, Lombardi ha citato Italia, Polonia e Portogallo). Inoltre, tra gli altri, il vicepresidente Usa Joe Biden, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il premier francese Jean-Marc Ayrault. Tra gli altri, presenti il ministro degli Esteri iraniano, il principe Felipe di Borbone e Letizia, due 'first ladies' (o meglio, 'prima dama'), Vanda Pignato per El Salvador e Candida Montilla de Medina per la Repubblica Dominicana. Molti esponenti ebrei, ma anche protestanti, anglicani, musulmani, buddhisti, sikh, jain, indù. Nessun esponente dalla Cina.
(Fonte: TMNews, 19 marzo 2013)
Il titolo di questo articolo nell'originale era "Oggi si insedia Francesco, messa imponente ma 'semplice'". L'abbiamo modificato per sottolineare che l'aspetto importante della cerimonia non è la "semplicità" (si fa per dire), ma il preteso aspetto giuridico. Si tratta di una vera e propria cerimonia di "intronizzazione", e se il termine non è stato usato non è perché il significato adesso sia diverso, ma perchè l'eccessiva chiarezza in questo tempo non giova all'istituzione. Il linguaggio ecclesiastico predilige oggi l'uso della polisemia, la pluralità di significati di parole e gesti, in modo che da avvenimenti come questo ognuno possa trarre quello che si addice meglio alla sua coscienza, permettendo così all'istituzione ecclesiastica romana di continuare a perseguire senza deflettere gli obiettivi che ritiene conformi alla sua precisa coscienza di sé, a cui non è minimamente disposta a rinunciare. Il "vicario di Cristo" oggi si insedia su quello che considera essere il "trono di Davide" annunciato dall'angelo Gabriele a Maria. Il regno messianico promesso a Davide trova oggi, nell'autoconsapevolezza cattolica, la sua visibile espressione nella regalità del Sommo Pontefice che ha sostituito il Sommo Sacerdote e il Re d'Israele. L'aspetto fondamentale della cerimonia è la manifestazione di regalità, e precisamente quella regalità messianica che i profeti hanno annunciato e promesso da Dio a Israele. L'aspetto pastorale della cerimonia non è affatto quello principale; le parole di umiltà e attenzione ai poveri, naturalmente prevedibili in tempi come questi, vorrebbero sottolineare il carattere benevolo di questa sovranità, ma non si sognano nemmeno lontanamente di mettere in dubbio l'universale validità giuridica del diritto alla sovranità della chiesa cattolica guidata dal vescovo di Roma. Si addice dunque alla cerimonia di intronizzazione del supremo capo della chiesa cattolica, e quindi capo spirituale di tutto il mondo, la presenza dei potenti della terra e l'ossequio di tutti gli uomini, religiosi e non. La cerimonia è un segno, e quindi anche l'esservi presenti è un segno, che agli occhi della chiesa cattolica resta tale, quali che siano i pensieri e sentimenti soggettivi con cui vi si partecipa. M.C.
Ad aprile riapre la storica stazione ferroviaria di Gerusalemme
Dopo importanti lavori di restauro torna fruibile in una veste nuova
La storica stazione ferroviaria di Gerusalemme, situata nella cosiddetta 'German Colony', è stata riqualificata con lavori di restauro e sarà aperta al pubblico nel mese di aprile. Il complesso denominato 'first Stop' comprenderà in un'area di 7.000 mq dove sarà possibile scoprire ristoranti, bar, un mercato ortofrutticolo, gallerie e spazi per concerti.
Grande cura è stata posta nella conservazione della struttura originale, per trasmettere la medesima atmosfera di un viaggio in treno, conservare elementi soprattutto in legno di squisita fattura, rinnovare finestre con vetri colorati e pietra scolpite. I piccoli pub ed i caffè presenteranno strutture che vorranno ricordare le carrozze ferroviarie del tempo.
Tra le attrazioni sette ristoranti, di cui due sotto la supervisione dello chef israeliano Moshe Segev, 4 gelaterie e caffè, una galleria d'arte, un mercato con freschissimi e splendidi prodotti agricoli ed uno spazio per concerti che può ospitare 2 mila persone.
Israele sta anche investendo sull'alta velocità nella costruzione di un treno veloce da Tel Aviv a Gerusalemme che dovrebbe essere completato entro tre anni.
(Travelnostop, 19 marzo 2013)
A Tel Aviv non c'è più spazio, e i militari si trasferiscono nel Negev
di Luca Pistone
L'esercito israeliano trasferirà la maggior parte delle sue basi dal centro di Tel Aviv come parte di un progetto di 5,4 miliardi di euro destinato ad alleviare la grave carenza di spazi abitativi nella città israeliana.
I terreni che i militari hanno intenzione di lasciare hanno un valore di 10,8 miliardi di euro.
La Banca d'Israele, allarmata dall'aumento dei prezzi immobiliari, ha chiesto al governo, che controlla circa il 93% della terra nel paese, di rilasciare parte di essa per poter soddisfare la domanda.
Il quartier generale delle forze di difesa israeliane, conosciuto come Kirya, occupa 19 ettari del centro di Tel Aviv.
In quello che sarà uno dei progetti infrastrutturali più grandi della storia di Israele, il perimetro di Kirya sarà ridotto e altri complessi verranno trasferiti in nuove "mega basi", soprattutto nel deserto del Negev, che occupa due terzi del territorio israeliano.
(Atlas, 19 marzo 2013)
La Sinagoga di Zilina diventerà un centro artistico
La comunità ebraica di Zilina affitterà la sua ex sinagoga ad artisti, addebitando loro una tariffa simbolica, per trasformarla in una galleria d'arte. L'edificio, originariamente chiamato Sinagoga Neolog, è stato progettato nel 1930 dal famoso architetto modernista tedesco Peter Behrens e smise di essere adibito al culto nel 1941, quando la maggior parte dei 19.000 ebrei della città furono deportati e in gran parte uccisi durante l'Olocausto.
Dopo il 1989, la costruzione è stata restituita alle istituzioni di ciò che rimaneva della comunità ebraica della Slovacchia, dopo essere stata usata come cinema, teatro e sala concerti. L'edificio, secondo gli esperti, è uno dei monumenti architettonici più notevoli tra le due guerre a livello europeo, dichiarato nel 1963 monumento culturale nazionale slovacco.
Ora, anche per evitare che venga magari trasformata in un centro commerciale, un gruppo di artisti si sono fatti avanti per prendere in mano il destino della sinagoga, restaurarla e aprire entro l'anno prossimo «una galleria che metterà Zilina sulla mappa» delle località degne di una visita. I lavori sono iniziati lo scorso anno e stanno procedendo alacremente, con l'invito alla popolazione a partecipare, come volontari o con donazioni, con lo slogan "Kupte si smrtelnost", compratevi l'immortalità.
Il progettista del restauro, che dovrebbe costare circa un milione di euro è Martin Jancok, uno dei premiati del noto premio di architettura slovacco CE-ZA-AR.
Un tempo centro importante della cultura ebraica, la comunità di Zilina è ora composta da appena 50 ebrei.
(Buongiorno Slovacchia, 18 marzo 2013)
La Ferrari correrà sulle strade di Gerusalemme
Fisichella a giugno sarà protagonista del 'Peace road show'
MARANELLO, 18 mar - La Ferrari correrà per le strade di Gerusalemme. Una monoposto della Scuderia di Maranello, affidata a Giancarlo Fisichella, parteciperà il 13 ed il 14 giugno alla prima edizione del "Jerusalem Peace Road Show", evento organizzato sotto l'egida del Comune di Gerusalemme e con il supporto di Kaspersky Lab, uno dei più importanti partner del team.
- L'annuncio è stato dato questa mattina nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella Città Santa dal Sindaco Nil Barkat e dallo stesso Fisichella, giunto appositamente dall'Italia. "E' bellissimo avere l'opportunità di guidare una vettura di Formula 1 sulle strade di una città così affascinante e ricca di storia come Gerusalemme - ha detto Fisichella - Sono sicuro che l'evento attirerà tantissima gente lungo il percorso, un vero e proprio circuito che si snoderà su e giù per le colline e correrà per una parte accanto alle mura della Città Vecchia; sarà davvero un'esperienza unica ed affascinante. Voglio ringraziare il Sindaco Barkat per aver reso possibile questo evento e il nostro sponsor Kaspersky Lab per aver creato questo collegamento fra il progetto e la Scuderia". "Una monoposto di Formula con lo sfondo delle mura di Gerusalemme rappresenta un evento storico - ha sottolineato il Sindaco Barkat. Costituirà inoltre un'opportunità per l'economia, il turismo e la promozione della città in tutto il mondo. Gerusalemme ha cinquemila anni di storia ma non può e non deve restare ferma, anzi deve legarsi alla modernità. La nostra è una città aperta a tutti ed è importante mandare un messaggio di pace, senza nessun significato politico: auspichiamo di avere ebrei, arabi e musulmani tutti insieme a vedere da vicino l'espressione più bella del motorismo sportivo". Dopo Mosca, Rotterdam, Doha, Rio de Janeiro ed altre città - ricorda il sito media della Ferrari - una Rossa di Formula 1 sarà protagonista di un nuovo evento cittadino, dando così la chance agli appassionati ma anche a chi non conosce l'automobilismo sportivo di avvicinarsi a questo mondo, come ha ricordato Fisichella: "Eventi come questi sono fondamentali per dare maggiore popolarità al nostro sport. Per noi piloti è un'esperienza ovviamente diversa da una gara perché non c'é la stessa pressione ma è comunque molto interessante, anche perché ci permette di conoscere nuovi Paesi. Sono particolarmente contento del fatto che qui avremo la possibilità di fare un vero e proprio giro (il tracciato sarà lungo 2,4 chilometri, n.d.r.) invece di un tradizionale percorso su un rettilineo, come spesso accade in occasioni simili. Sono sicuro che sarà un grandissimo successo: il pubblico si divertirà tantissimo".
(ANSA, 18 marzo 2013)
Pressioni su Obama per graziare la spia Pollard
Il cittadino statunitense è in carcere da 28 anni per aver passato documenti segreti allo Stato ebraico; favorevoli a un atto di clemenza anche negli Stati Uniti
di Patrizio Cairoli
Jonathan Jay Pollard
La visita di Barack Obama in Israele, la prima da presidente degli Stati Uniti, sarà l'occasione per le maggiori personalità del Paese e per l'intera opinione pubblica per fare pressione affinché Washington conceda la grazia a Jonathan Jay Pollard, il cittadino statunitense che sta scontando una condanna a vita in North Carolina per spionaggio in favore di Israele.
Se per lungo tempo la questione, che mise a dura prova i rapporti tra Stati Uniti e Israele, è stata a cuore solo dei più accesi conservatori, ora il tema della grazia a Pollard, l'ex analista della Marina statunitense condannato nel 1987 all'ergastolo, è sostenuto dal presidente Shimon Peres e da molte rispettabili figure pubbliche dello Stato ebraico, da scienziati vincitori del premio Nobel a intellettuali, che hanno firmato insieme ad altri 175.000 cittadini un petizione per un atto di clemenza.
Secondo l'opinione pubblica, è ormai tempo di rilasciare Pollard, 58 anni, 28 dei quali trascorsi in carcere. Per le persone che si battono per lui, si tratta di una permanenza in carcere senza precedenti per un americano colpevole di spionaggio a favore di un alleato. "Non è umano tenerlo ancora in carcere" ha dichiarato al New York Times Amnon Rubinstein, professore di legge all'Interdisciplinary Center di Herzliya ed ex ministro dell'Istruzione.
Anche numerose personalità statunitensi hanno chiesto la grazia per Pollard, compresi due ex segretari di Stato, George Shultz e Henry Kissinger, e un ex direttore della Cia, James Woolsey. Pollard cominciò a consegnare documenti segreti a funzionari israeliani nel 1984; quando fu scoperto 18 mesi più tardi, cercò di rifugiarsi nell'ambasciata israeliana a Washington, ma l'ingresso gli fu negato. Dopo aver sconfessato Pollard, che si era dichiarato colpevole, le autorità israeliane riconobbero che l'uomo aveva lavorato per loro e gli concessero la cittadinanza nel 1995.
(America24, 18 marzo 2013)
Bar Refaeli testimonial di Israele, ma l'esercito dice no
La supermodella è stata scelta dal ministero degli Esteri come figura di spicco di un breve filmato sulle 'invenzioni israeliane che hanno cambiato il mondo', a cui la Refaeli ha partecipato gratuitamente. Ma la decisione ha suscitato l'indignazione del portavoce militare israeliano: "E' inconcepibile che la Refaeli sia stata scelta come rappresentante di Israele per una campagna rivolta all'estero. Si è sottratta alla leva, non ci rappresenta e lancia un messaggio negativo per i nostri giovani''. Una fonte del Ministero ha replicato che a questo punto l'eventuale annullamento dell'iniziativa, non ancora online ma pronta per la diffusione, "sarebbe controproducente".
La Refaeli, da parte sua, ha preferito non esprimersi. La notizia è apparsa sul giornale Israel Hayom.
C'è un'immagine, la pagina di un piccolo libro, che tutta Israele porta impressa nelle esperienze infantili della memoria condivisa. Quella di Hannaleh e dei suoi vestiti dello Shabbat. La bimba di quattro anni che si ferma lungo la strada per aiutare un vecchio carbonaio a trascinare il suo fardello, i vestiti che finiscono irrimediabilmente per macchiarsi e sono infine resi più splendenti di prima dai raggi della luna e dalla carezza delle stelle capaci di salvare la situazione. Israele aveva da poco conquistato la propria indipendenza al prezzo di una guerra e di durissimi sacrifici. I suoi bambini erano il tesoro e l'orgoglio di una società alla disperata ricerca di un futuro lontano dagli orrori delle persecuzioni e della Shoah, quando il libro I vestiti dello Shabbat di Hannaleh apparve per la prima volta nelle librerie.
Divenuto subito il titolo di punta delle celebre collana per l'infanzia delle edizioni Ofer, la storia raccontata da Itzhak Schweiger Dmi'el è stata a lungo il libro per l'infanzia più diffuso in lingua ebraica. Innumerevoli generazioni, dai nonni, ai genitori, ai piccoli lettori, lo hanno visto come un luogo del pensiero intimo e confortante. Niente di strano, per chi ha conosciuto la forza dei sogni, la semplicità, l'Israele dei grandi ideali. Ma oggi? Non è il disincanto, il consumismo, l'eclisse degli grandi ideali sionisti, insomma il freddo egoismo, a farla da padrone? Un libro così ingenuo, come si fa a metterlo nelle mani dei bambini di un paese che dimostra tutto il dinamismo e le dure contraddizioni di oggi?
Quando si entra a Gerusalemme al Museo di Israele e ci si dirige alla Ruth Youth Wing Library che continua a proporre un programma intenso e prestigioso di attività per i giovanissimi visitatori, la mostra dove Hannaleh torna protagonista (Days of Innocence: Illustrator Eva Itzkowitz and the Ofer Library, visitabile fino al 31 dicembre di quest'anno e curata da Orna Granot) consente invece di rispondere a molti interrogativi proprio sulla società israeliana attuale. Hannaleh, rigorosamente ristampato e ben evidenziato nel catalogo della gloriosa casa editrice, è ancora il più diffuso libro per bambini. E i visitatori di tutte le generazioni che vengono a godersi l'esposizione non ci tengono a coltivare sentimenti nostalgici. Preferiscono piuttosto chiedersi cosa è rimasto vivo e cosa è profondamente mutato nella nostra maniera di vedere l'infanzia e l'educazione. Ma soprattutto vogliono fare la conoscenza di un'artista straordinaria, che con il proprio disegno ha popolato la mente di chi è cresciuto con la lingua ebraica nel cuore.
Lei, l'autrice di Hannaleh e di tanti altri celebri libri per l'infanzia, per oltre sessant'anni è entrata nelle menti di tutti, ha abitato sugli scaffali di ogni casa, ha fatto ridere e piangere, ha liberato l'immaginazione, senza mai dire il suo nome. Tutti i libri della collana Ofer per l'infanzia riportano il nome degli autori dei testi, mai quello dell'illustratrice. Per una sua modestia eccessiva, quasi un vezzo, mentre Israele nasceva, cresceva, combatteva, sognava, ha preferito rimanere nell'ombra. Immagini abbaglianti nella loro purezza e totale silenzio sulla propria identità. Oggi, grazie proprio all'impegno dei ricercatori del più autorevole museo di Israele, Eva Itzkowitz ha deciso, compiuti i novant'anni, di lasciar cadere il velo e di rivelare la propria identità. E la mostra vuole celebrarla, incontrarla di persona, dirle grazie. Proprio con l'intento di incontrare l'autrice, rivedere il suo lavoro paziente e lontano dai riflettori e rendere omaggio alla madre dei propri sogni, tanta gente di tutte le età viene ora a visitarla. Ci sono ovviamente molti giovanissimi lettori, ma anche tantissimi adulti e ognuno a proprio modo ha da commentare, da raccontarsi quale immagine, quale personaggio porta sempre vividamente impresso nel cuore.
La Itzkowitz non è stata, come qualcuno forse avrebbe creduto, una fata disegnatrice, ma apprendiamo oggi che la sua vita è stata segnata dalle vicende di molti ebrei della sua generazione. Tedesca, nata nel Land di Sassonia nel 1922, in fuga dalle persecuzioni già nel 1939, ha studiato disegno ad Atene, dove era riuscita a rifugiarsi prima di raggiungere la Palestina del Mandato britannico nel 1945. I britannici avevano bloccato e respinto la famiglia che tentava di raggiungere Israele negli anni del conflitto. Tornati ad Atene il padre, morto nella Shoah, fu identificato e deportato dagli occupanti nazifascisti. Eva, la madre e la sorella riuscirono a sopravvivere sotto falso nome.
Cominciata una nuova vita in Israele, il tratto della disegnatrice anonima entrò in tutte le case e accompagnò la crescita della nuova gioventù di un popolo intero nelle numerosissime pubblicazioni per l'infanzia che la Ofer e altri editori diffusero fino al 1975. Nessuno si chiese chi era veramente l'autrice, né pensò che si trattasse di un'artista di prima grandezza. La mostra al Museo di Israele rende ora giustizia al suo nome, ma anche alla sua arte. Orna Granot, che dirige il centro di ricerche per l'infanzia in seno al museo nazionale, ha fatto emergere nell'esposizione dei disegni originali il tratto limpido, diretto, volutamente semplice. "C'è una bellezza - afferma ora la Granot - in questa semplicità. Oggi i libri per l'infanzia sono spesso strutturati per parlare agli adulti con un linguaggio e ai bambini con un altro. Pongono problemi e pretendono di risolverli. Allora non era così. Il messaggio era molto semplice, più diretto e meno sofisticato".
Emerge ovviamente anche l'impostazione ideologica che contrassegnava l'Israele di allora. Il tentativo di indicare ai bambini un percorso di crescita per assumere un loro ruolo nella società, raggiungere con fiducia le abilità dimostrate dai genitori, identificarsi in un modello positivo. Tutti ideali che oggi potrebbero forse far sorridere, ma che hanno sorretto e accompagnato l'infanzia di numerosi bambini nati in famiglie spesso uscite da traumi indescrivibili. Fedele alla tradizione culturale tedesca, il tratto dell'autrice tradisce un'estetica iper ashkenazita che sembra estranea alla multietnicità dell'Israele di oggi e riflette piuttosto la tranquillizzante, asettica bellezza delle icone di bambini nordeuropei.
Attraverso una rilettura della sua opera è oggi consentito comprendere lo sforzo immenso delle generazioni che ci hanno preceduto di rielaborare gradualmente le loro identità di europei e di mediare fra la codificazione estetica, il gusto occidentale e i nuovi impulsi di vita che Israele a contribuito a moltiplicare nel corso della sua evoluzione verso una società estremamente diversificata, complessa e talvolta tumultuosa. Proprio nella sua apparente ingenuità, nella sua tenera nostalgia, il lavoro della Itzkowitz ritrova, attraverso questa rilettura nuova luce.
E Israele riscopre l'emozione di dire grazie, chiamandola per la prima volta con il suo vero nome, all'autrice di quel tenero mondo incantato destinato a simboleggiare eternamente l'immaginario dell'infanzia di un paese intero.
(Pagine Ebraiche, marzo 2013)
Sulla via delle spezie in Israele
Dopo tre anni di chiusura, riapre il Parco Nazionale di Avdat, roccaforte dei Nabatei situato lungo l'antica rotta delle spezie, nel deserto del Negev.
Terra dalle mille sorprese e contrasti che spaziano dalla frenetica e pulsante Tel Aviv alla spiritualità dell'antica Terra Santa, l' Israele è una meta in grado di plasmarsi alla esigenze del visitatore, vero artefice di un'esperienza che va al di là del puro e semplice viaggio. C'è chi ama godere del clima sempre gradevole abbandonandosi ai piaceri delle acque del Mar Morto, chi predilige i siti dal valore storico e ancora chi intende dedicarsi all'anima religiosa toccando con mano le bellezze della Terra Promessa della Bibbia: a prescindere dalle aspettative, Israele è invaso da un'aria magica in grado di lasciare, positivamente, il segno. Al di là delle grandi città e villaggi, a dominare il paesaggio è l'immensità del deserto, che va ad illuminare lo scenario del Negev estendendosi per oltre la metà del Paese.
Tra l'aridità del territorio ed altipiani, i visitatori, dopo 3 anni di restauri, potranno tornare ad ammirare il Parco Nazionale di Avdat, il sito iscritto dal 2005 nella lista del Patrimonio Mondiale dell'Unesco, tornato fruibile dopo essere stato gravemente danneggiato dai vandali nell'ottobre 2009. Sono stati necessari 2 milioni di dollari al fine di riportare questo sito al suo fascino originale, investimento necessario anche per il ripristino delle pietre distrutte e delle colonne della chiesa bizantina, oltre alla rimozione dei graffiti sopra l'altare e sulle pareti e perfino su una delle più antiche presse per il vino israeliane. Fanno parte del programma di restauro anche vetrine che spiegano come la città dei Nabatei apparsa 2.000 anni fa era inserita in quest'area.
Una passeggiata a tu per tu con la storia in quella realtà datata II secolo a.C molto fiorente all'epoca bizantina, uno splendore che sopravvive quasi immune allo scorrere del tempo là dove ripercorrere quello che era un'importante via commerciale, la rotta delle spezie battuta dalle carovane dei Nabatei diretti, con il loro prezioso carico, verso il Mediterraneo tutt'oggi molto frequentata come punto di sosta per i pellegrini cristiani e i turisti in viaggio verso Eilat, un porto ancora molto operativo, lo sbocco d'Israele sul Mar Rosso.
Lo splendore di questo salto nella tempo permette di contemplare arte e natura, con un occhio volto al paesaggio desertico, da ammirare dall'alto della collina, e l'altro alle antiche testimonianze delle civiltà passate come testimoniano i resti di meraviglie come l'antico battistero a forma di croce, le terme romane, una dimora bizantina ricostruita e ancora la grotta funeraria con le catacombe e il laboratorio per la fabbricazione di oggetti in ceramica. Il periodo migliore per spingersi alla conquista del deserto è quello primaverile, tra marzo e aprile, in quanto le sfumature del deserto sono in grado di regalare all'occhio nudo uno spettacolo che, da solo, merita lo stesso viaggio.
(La Stampa, 18 marzo 2013)
Israele di nuovo sotto attacco da parte del Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu
di Sharon Levi
Che il Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu fosse solo un burattino nelle mani dei peggiori violatori dei Diritti Umani del mondo lo sapevamo già, ma la sfrontatezza di questo inutile e costosissimo organismo potrebbe oggi superare ogni limite.
Oggi sarà infatti in discussione al Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu una relazione scritta da tre personaggi di cui si conosce pochissimo se non che già in precedenza si erano distinti per rapporti unilaterali contro Israele. La relazione analizza tutti gli insediamenti in Cisgiordania e nelle Alture del Golan dal 1967 in poi e, in maniera del tutto faziosa, li definisce "illegali".
La discussione in effetti è del tutto inutile in quanto già da diverse settimane (la relazione è stata presentata a Gennaio) si parla di una risoluzione contro Israele, l'ennesima emessa da Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu contro lo Stato Ebraico. Sembra quasi che il Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu sia stato creato solo per emettere risoluzioni contro Israele invece che per difendere i Diritti in tutto il mondo e denunciarne le violazioni reali. Si pensi, per esempio, che in un momento in cui in Siria vengono massacrate decine di migliaia di persone, in Egitto la situazione sta precipitando, in Africa ci sono almeno una decina di conflitti devastanti e in molte parti del mondo le violazioni dei Diritti sono palesi, il Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu si interessa da ben tre mesi solo ed esclusivamente degli insediamenti israeliani sorvolando allegramente su fatti ben più gravi e urgenti.
Indicativa in tal senso la dichiarazione del portavoce del Ministero degli Esteri israeliani, Yigal Palmor: «non ci saranno sorprese. Faranno le loro dichiarazioni oltraggiose verso Israele come sempre». Non da meno quella di Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch a Ginevra: «l'inchiesta è un falso. La loro pretesa di obbiettività si scontra palesemente con il fatto che sin dall'inizio questa "inchiesta" puntava a una condanna. Anzi, è stata creata appositamente per questo».
E a poco serve il tentativo di apparire credibili con la denuncia che ad uccidere, durante l'ultimo conflitto tra Israele e Hamas, il figlio undicenne di un ex giornalista della BBC la cui foto fece il giro del mondo (la foto in testa all'articolo), non siano stati aerei israeliani ma un missile sparato da Hamas. La storia stava per emergere grazie ad alcune riprese aeree israeliane e a diverse testimonianza di parte palestinese.
C'è poi da dire che quello che emerge da questa relazione sembrerebbe sostenere l'ipotesi del boicottaggio dei prodotti israeliani in quanto "favorirebbero le violazioni dei Diritti Umani", un fatto questo gravissimo e senza precedenti che togli definitivamente al Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu ogni pretesa di credibilità e imparzialità.
Dunque nulla di nuovo sul fronte dell'Onu. Da oggi ci aspettiamo l'ennesima risoluzione contro Israele che, come le altre, sarà unilaterale e del tutto pretestuosa. L'unica sorpresa che potrebbe venir fuori da questa buffonata potrebbe essere una dura condanna contro Hamas e la Jihad islamica per aver lanciato nei mesi scorsi migliaia di missili contro obbiettivi civili in Israele, ma vedrete che di questo non ce ne sarà traccia.
(Rights Reporter, 18 marzo 2013)
Gaza - Muore la 'Madre dei martiri', disse di volere cento figli terroristi
GAZA, 17 mar. - E' morta la deputata palestinese chiamata la 'Madre dei martiri'. La 64enne Mariam Farhat è deceduta in ospedale a Gaza a seguito di complicazioni tra cui disturbi renali e polmonari, come riportato da fonti sanitarie. Farhat aveva elogiato tre dei suoi figli che si erano fatti esplodere in attacchi contro israeliani e aveva affermato di desiderare 100 figli con il coraggio di morire in azioni contro Israele. La donna è diventata famosa per la prima volta nel 2002 dopo aver registrato un video d'addio del suo figlio 19enne Mohammed dandogli la sua benedizione la notte precedente all'attentato.
Nel video in questione il figlio Mohammed dava la mano a sua madre, che pregava per lui che sarebbe diventato un 'martire', termine utilizzato per militanti uccisi in attacchi contro israeliani. Armato con granate e fucili automatici si era introdotto in una sala studio uccidendo cinque seminaristi israeliani prima di essere ucciso a sua volta da un soldato. Farhat diceva nel video che "vorrei avere 100 ragazzi come Mohammad, li sacrificherei tutti per amore di Dio". "Quando - aggiungeva guardando in camera - vedrò tutti gli ebrei in Palestina morti, allora per me sarà sufficiente". La 'Madre dei martiri' ha perso altri due figli che preparavano attacchi contro Israele, mentre un quarto è detenuto in un carcere israeliano. La deputata palestinese è anche sopravvissuta a un attacco militare sulla sua casa, quando uno dei capi di Hamas, Emad Akel, fu ucciso da un bombardamento nel cortile della donna dopo che era rimasto nascosto nella sua cantina per un anno. Farhat aveva spiegato ad Associated Press di aver pianto per i propri figli, ma aveva detto pure che la Jihad, ovvero la guerra santa, viene prima di tutto. Circa 4.000 palestinesi hanno partecipato ai funerali della donna, tra cui il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh.
(LaPresse, 17 marzo 2013)
Ungheria: Viktor Orban premia tre simboli razzisti ed antisemiti
Ennesimo schiaffo all'Europa del governo ungherese
di Antonio Rispoli
BUDAPEST - Ennesima provocazione del premier ungherese Viktor Orban, che in pochi giorni ha premiato tre ungheresi, noti antisemiti.
Il primo è Ferenc Szanizslò, giornalista TV, rimproverato dall'ente governativo che controlla i media pervhè nel 2011 paragomò i rom a delle scimmie. E' stato lui il vincitore del premio Tancsics, un premop molto prestigioso in Ungheria, riservato ai giornalisti. Una decisione che hs portato molti precedenti vincitori a protestare e a dichiararsi pronti a restituire il premio.
Il secondo è Kornel Bakay, archeologo, anche lui noto per il suo antisemitismo. Bakay è stato premiato, per decisione del governo ungherese con l'Ordine al merito, una importante onoreficenza nazionale. Tra gli scandali più noti che ha provocato c'è stato quello quando accuso pubblicamente gli ebrei di aver organizzato la tratta degli schiavi dall'Africa, che è andata avanti per secoli. In realtà la situazione è molto più complessa: spesso i cacciatori di schiavi erano finanziati dagli stessi governi o da grosse società private (come la Compagnia delle Indie, società inglese), e non di rado si avvalevano della collaborazione di potentati locali, che collaboravano anche nelle razzie nei villaggi africani.
Il terzo è Janos Petros, cantante del gruppo Karpatia, che ha ricevuto la Croce d'oro al Merito. Si tratta di un gruppo musicale che potremmo definire "nazirock", che nelle sue canzoni inneggia alla "Grande Ungheria" (che comprende in tutto o in parte i Paesi dalla Serbia all'Ucraina, passando per la Romania, la Repubblica Ceca e la Slovacchia). Si tratta di un gruppo musicale molto vicino al partito Jobbik, del premier Orban, al punto che spesso partecipano alle sfilate della Guardia Magiara, le milizie private di Orban.
(Julie news.it, 18 marzo 2013)
Gli israeliani godono di grande simpatia (in America)
Mentre si approssima la prima storica visita di Obama in Israele, un sondaggio condotto di recente da Gallup evidenzia il raggiungimento di un nuovo massimo assoluto nei livelli di simpatia del popolo americano nei confronti dello stato ebraico. Il perenne conflitto arabo-israeliano è definito in termini netti dai residenti negli Stati Uniti: il 64% dei quali appoggia le posizioni di Gerusalemme, mentre soltanto il 12% parteggia per i palestinesi.
Il livello di simpatia nei confronti di Israele risulta in crescita dalla fine degli anni '90: in particolare l'accordo di pace saltato nel 2000 a causa del voltafaccia di Arafat, la rivolta palestinese (Seconda Intifada) che seguì, con la sua lunga scia di sangue, hanno provocato un drastico mutamento di orientamento da parte degli americani, il cui filo-sionismo si colloca adesso ai livelli più alti della storia. Orientamento ora molto polarizzato: gli indecisi, gli incerti e i privi di una posizione sul conflitto sono in netta caduta, da più del 50% di 15 anni fa all'attuale 23%: praticamente sui minimi assoluti. Una informazione più obiettiva e trasparente ha consentito in questi anni di evidenziare il desiderio di pace e sicurezza da un lato, e il ripudio della prima e offesa della seconda, dall'altro.
Significativo rilevare come l'appoggio nei confronti delle posizioni israeliane risulti - come si suole dire oggi - bipartizan: mostrano simpatia verso Israele il 78% di chi si dichiara repubblicano, in calo peraltro dal picco quasi plebiscitario di tre anni fa; al tempo stesso, la maggioranza dei democratici sostiene le posizioni di Gerusalemme.
La diffidenza del popolo americano verso le posizioni palestinesi spiega perché in pochi si aspettano concreti passi in avanti nel processo di pace; interrottosi nel 2010 con il rifiuto di Abu Mazen di sedersi al tavolo delle trattative con il Primo Ministro israeliano Netanyahu, malgrado la concessa sospensione dell'attività edilizia nei territori contesi; e tuttora in stallo per le improponibili richieste palestinesi (oltre al famoso blocco, la questione dei discendenti dei profughi palestinesi del 1949, i confini fra i due stati, i quartieri orientali di Gerusalemme e i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane). La dirigenza palestinese sa bene che il presidente Obama, malgrado la sua nota ostilità verso le posizioni israeliane, non dispone di un mandato favorevole ai palestinesi da parte dell'elettorato americano, e ha ammonito Obama a non visitare il Monte del Tempio e i luoghi sacri di Gerusalemme, dove peraltro di recente sono state registrate provocazioni e veri e propri scontri.
(Il Borghesino, 17 marzo 2013)
In calo i casi di antisemitismo in Svizzera
I casi di antisemitismo sono calati lo scorso anno in Svizzera: 25 contro 36 nel 2011, stando ad un rapporto della Federazione svizzera della comunità israelite (FSCI) e della Fondazione contro il razzismo e l'antisemitismo (GRA). Il dato da solo però non è necessariamente rappresentativo, visto che le esternazioni in internet non vengono contabilizzate.
Il numero di contenuti antisemiti nella rete è preoccupante. Le due associazioni però costatano con soddisfazione che la maggior parte dei siti, ad esempio "20minuten.ch", non tollerano commenti discriminatori di lettori e li cancellano d'ufficio.
A differenza del 2011, lo scorso anno non sono stati registrati incidenti gravi. Nella maggior parte dei casi si è trattato di lettere, graffiti o propositi antisemiti. Nel 2012 due persone sono state condannate per aver propagato idee antisemite. Un caso riguarda un architetto che ha pubblicato tesi negazioniste su internet. L'altro un radioamatore della Svizzera orientale che ha diffuso propositi che incitano all'odio. È stato condannato, ma ha fatto ricorso.
(ticinonews, 17 marzo 2013)
Il Rabbino Di Segni alla Messa inaugurale del Papa
Tra i primi pensieri di Papa Francesco, il rilancio del dialogo inter-religioso: nel giorno stesso dell'insediamento, il nuovo Pontefice ha scritto al rabbino capo di Roma per invitarlo alla Messa inaugurale, il 19 marzo.
Un'attenzione alla comunità ebraica, oltreché al dialogo. Apprezzata, nell'antico ghetto di Roma: "Ognuno ha la sua fede, la sua religione, il suo credo. Però il dialogo si può avere con chiunque, basta avere l'umiltà da ambo le parti", dice una residente.
Riccardo Di Segni, il rabbino capo, ha immediatamente risposto al Papa, sottolineando i passi avanti di portata storica fatti negli ultimi anni, in materia di dialogo. Anche se sul Medio oriente qualche punto di dissenso resta: "Il Vaticano è presente in quella regione come parte coinvolta nel conflitto, non come entità super partes. Ma se quella parte è disponibile a colloqui ragionevoli con una volontà di pace, è benvenuta".
Di Segni ha poi confermato la propria presenza alla messa inaugurale. Sui temi etici, sociali e della Fede, ha detto, le due comunità possono lavorare bene insieme.
(euronews, 17 marzo 2013)
Il volto del nuovo governo di Israele
di Rossella Tercatin
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato il nuovo governo israeliano al presidente Shimon Peres al termine dello Shabbat. A consentirlo è stato l'accordo perfezionato venerdì solo all'ultimissimo momento tra Likud-Beytenu (31 seggi, di cui 20 del Likud e 11 di Yisrael Beytenu), e i partiti rivelazione di questa tornata elettorale, il centrista Yesh Atid (19 seggi) e l'ultradestra religiosa Habayit Hayehudi (12 seggi). Completa il quadro dell'esecutivo Hatnua (6 deputati): Netanyahu potrà dunque contare su una maggioranza di 68 parlamentari sui 120 della Knesset.
"Ho portato a termine la missione che mi era stata assegnata - ha dichiarato al presidente - Sono convinto che questa coalizione potrà portare ai cittadini israeliani buone notizie in tutti i campi". Peres ha sottolineato che accanto alle grandi sfide che deve affrontare lo Stato ebraico esistono anche "grandi opportunità da cogliere nelle aree di sicurezza, azione sociale e progressi di pace e questo è il momento di sfruttarle".
Nel complesso il governo avrà un numero di posti ridotto rispetto al precedente (da 30 a 22), come fermamente richiesto dal leader di Yesh Atid Yair Lapid. Di questi sette saranno assegnati al Likud (Difesa a Moshe Ya'alon, Trasporti a Yisrael Katz, Acqua ed Energia a Yuval Steinitz, Sviluppo regionale e di Negev e Galilea a Silvan Shalom, Sicurezza interna e Comunicazione a Gilad Erdan, Interni a Gideon Sa'ar, Cultura e Sport a Limor Livnat), in cui però rimangono molti scontenti, soprattutto dalle nuove leve del partito che dopo aver ottenuto un ottimo risultato alle primarie si sono viste scavalcate dai nomi storici nelle nomine di maggiore peso. Quattro ministeri andranno a Beytenu (Esteri ad Avigdor Liberman - una volta prosciolto dalle accuse di frode per cui è attualmente sotto processo - Pubblica Sicurezza a Yitzhak Aharonovitch, Agricoltura a Yair Shamir, Immigrazione a Sofa Landver), cinque a Yesh Atid (Finanze a Yair Lapid, Educazione al rabbino Shai Piron, Sanità a Yael German, Welfare a Meir Cohen, Scienza e Tecnologia a Yaakov Peri), tre a Habayit Hayehudi (Economia e Commercio a Naftali Bennett, che manterrà anche quello per gli Affari Religiosi, Abitazione a Uri Ariel, Anziani a Uri Orbach), due ad Hatnua (Giustizia alla leader Tzipi Livni, e Ambiente ad Amir Peretz).
Caso più unico che raro nella storia delle amministrazioni targate Likud, i partiti haredim (il sefardita Shas, 11 seggi, e l'ashkenazita Yahadut HaTorah, 7 seggi) andranno dunque all'opposizione, che sarà guidata da Shelly Yachimovich, leader del Labor (15 deputati). Un risultato ottenuto dalla forte alleanza tra Lapid e Bennett, che sono riusciti a strappare molto a Netanyahu nei negoziati di coalizione. Un'alleanza che i due hanno promesso proseguirà anche nell'azione di governo, anche se sono molti analisti si domandano se questo sarà effettivamente possibile, data la diversità di posizione dei due su svariati temi, soprattutto legati agli insediamenti e alle prospettive di pace con i palestinesi.
Il giuramento del nuovo esecutivo è previsto per lunedì, a poche ore dall'arrivo di Barack Obama, in programma per il 20 marzo. Il presidente Usa ha rivolto a Netanyahu un messaggio di congratulazioni "Sono ansioso di lavorare fianco a fianco con il primo ministro e il nuovo governo - ha dichiarato tramite il portavoce Jay Carney - di affrontare le tante sfide che abbiamo davanti e di progredire nel comune interesse della pace e della sicurezza".
(Notiziario Ucei, 17 marzo 2013)
I pasdaran iraniani a Obama: "Anche noi abbiamo tutte le opzioni sul tavolo"
TEHERAN, 16 mar. - "Signor Obama, anche noi abbiamo tutte le opzioni sul tavolo. Torni a casa!". Tra l'ironico e il minaccioso, il generale Masoud Jazazery, comandante nel corpo di elite dei Guardiani della Rivoluzione, rivolgendosi al presidente americano lo ha invitato a "non fare un errore e avventurarsi in un pantano", dopo che era stato l'inquilino della Casa Bianca a non escludere un intervento militare per fermare un Iran in gradi di fabbricarsi la bomba atomica "nel giro di un anno". "I nostri comandanti", ha aggiunto Jazayeri, secondo quanto riporta il sito ufficiale dei pasdaran, sephanews.com, "sono autorizzato a rispondere a qualsiasi mossa da parte del nemico".
(AGI, 16 marzo 2013)
Superstite della Shoah cerca il fratello gemello su Facebook
WASHINGTON, 16 - Pur di trovare il suo fratello gemello s'e' affidato a Facebook. E' l'insolita storia di Menachem B., un sopravvissuto di Auschwitz di 72 anni, che ha speso una vita nell'affannosa ricerca del fratello gemello. L'ultima volta che l'ha visto fu 68 anni fa nel lager, all'età di 4 anni, quando i due bimbi vennero tragicamente divisi. In mano ha solo due elementi: dai documenti sa che come lui si sarebbe salvato, uscendo vivo dal campo di sterminio, e che ha tatuato sul braccio il numero A7734.
(ANSA, 16 marzo 2013)
Israele: fuori i partiti religiosi
di Rolla Scolari
GERUSALEMME
- C'è chi aveva perfino ipotizzato che i ritardi nella formazione di un governo in Israele potessero mettere in forse la visitadi Barack Obama. Invece, Benjamin Netanyahu, a sole 24 ore dalla scadenza legale e dopo sette settimane di strappi e disaccordi, è riuscito a trovare un accordo. ll premier, che per molti analisti esce perdente dalla tenzone delle consultazioni, ha dovuto gestire le richieste dei due giovani politici sorpresa delle elezioni di gennaio: l'ex giornalista Yair Lapid - guida del partito laico e centrista C'è Futuro - e Naftali Bennett, capo di Focolare ebraico, movimento vicino alle posizioni degli abitanti degli insediamenti. Lapid avrebbe voluto la poltrona degli Esteri, che assieme a Difesa e Interno resta al partito del premier. Ha ottenuto invece la difficile posizione di ministro delle Finanze: dovrà gestire un deficit che è il doppio del previsto. Il suo movimento ha conquistato anche il dicastro dell' Educazione, centrale per il laico Lapid che punta ad arginare l'influenzadei partiti ortodossi dalla società. E proprio a causa della sua opposizione, per la prima volta in decenni mancano dal governo i movimenti religiosi, tradizionali alleati della destra del Likud. Il nuovo governo israeliano giurerà lunedì, a sole 24 ore dall'arrivo del leader americano. Difficile capire dalla composizione variegata di questo esecutivo se ci sarà un chiaro approccio a un tema che Obama solleverà per certo: la ripresa di negoziati tra israeliani e palestinesi. Il nuovo ministro della Giustizia Tzipi Livni guiderà una squadra per la riattivazione del processo di pace, cui è favorevole anche Lapid.
(il Giornale, 16 marzo 2013)
Polemiche sul viaggio di Obama in Israele: niente questione palestinese
di Adrian Niscemi
Fioccano le polemiche sull'imminente viaggio del Presidente americano, Barack Obama, in Israele. Ad attaccarlo in particolare è la stampa inglese supportata da diversi media pacivendoli i quali contestano a Obama il fatto che non presenterà alcun nuovo piano riguardante la questione israelo-palestinese.
Le polemiche sono scoppiate in particolare dopo che giovedì scorso il vice consigliere per la sicurezza nazionale, Ben Rhodes, ha confermato alla stampa che la questione israelo-palestinese non è nell'agenda del Presidente Obama. Immediato il fuoco di fila dei media pacivendoli e anti-israeliani che hanno definito il viaggio di Obama in Israele un "maintenance trip" o addirittura un "viaggio turistico". Furiose le reazioni sui siti e blog pacivendoli che si chiedono un po' tutti per quale motivo Obama va in Israele se non intende affrontare la questione degli insediamenti e quella israelo-palestinese più in generale, ormai ferma al palo dal 2010.
In realtà il viaggio di Obama in Medio Oriente (che non visiterà solo Israele ma anche la Giordania e la Cisgiordania) è molto importante per due punti ben più fondamentali della irrisoria questione israelo-palestinese: L'Iran e la Giordania.
Sull'Iran Obama farà il punto della situazione con il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu. La questione diventa sempre più complessa e pericolosa nonché urgente specie dopo quanto è successo con la Corea del Nord, fatti che hanno dimostrato che la politica delle sanzioni non funziona con chi è determinato ad avere armi nucleari. Non è un caso che alla vigilia della partenza per il Medio Oriente Obama abbia ribadito con forza che "ogni opzione è sul tavolo". I due parleranno anche di aiuti militari a Israele e del potenziamento del sistema antimissile Iron Dome.
Sulla Giordania la questione è un po' più complessa anche se non ne parlano in tanti. La Giordania si trova in una condizione non tropo felice con da un lato l'Egitto che sta implodendo su se stesso e dall'altro la Siria in Fiamme. Non solo, con l'Egitto che non è più un partner regionale affidabile per gli Stati Uniti è chiaro che Washington cerchi di trovare un'altra sponda che faccia da mediazione con gli arabi e in particolare con i cosiddetti "palestinesi". Re Abdullah sembra essere la persona giusta. Infatti lo scorso 28 gennaio il Re giordano ha incontrato per la terza volta in poco meno di un anno il capo politico di Hamas, Khaled Mashaal, con lo scopo di intavolare una trattativa diretta tra Hamas e Israele. Questa cosa non piace molto alla ANP di Abu Mazen, ma ormai tutti hanno capito che la politica della ANP non può portare a niente così si cercano altre strade. Il discorso poi è strettamente legato alla più che probabile azione militare israeliana contro le centrali nucleari iraniane. La garanzia da parte di Hamas (mediata dalla Giordania) di restare fuori da un eventuale conflitto tra Israele e Iran sarebbe senza dubbio un gran risultato per Re Abdullah e proietterebbe la Giordania in testa alla classifica dei paesi arabi affidabili.
Visto così il viaggio di Obama in Medio Oriente sembra tutto fuorché un "viaggio turistico". E' chiaro che la questione degli insediamenti e di un eventuale accordo con la ANP è di secondaria importanza rispetto agli altri punti (e non dimentichiamo la Siria). Questa cosa fa infuriare i pacivendoli, ma se ne dovranno fare una ragione.
(Rights Reporter, 16 marzo 2013)
Un'agenda per l'Obama mediorientale
Il presidente rieletto degli Stati Uniti tranquillizza l'opinione pubblica mondiale, poco prima di volare in Israele: «non vi preoccupate, sappiamo che l'Iran sta lavorando alla bomba atomica, e che l'otterrà entro un anno. E faremo di tutto per evitarlo». Questo il succo del discorso di Obama, che trova il tempo per cenare con la nuova Miss Israele, la splendida Yityish Aynaw, di origine etiope (l'apartheid non è di casa, nello stato ebraico); ma non trova il tempo di rendere visita alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme.
I rapporti fra Obama e Israele non sono mai stati idilliaci, tutt'altro. E la riconferma a fatica a Primo Ministro da parte di Benjamin Netanyahu deve essere costata non poca irritazione al presidente americano, che in cuor suo sperava in un ridimensionamento più drastico.
Ma c'è chi può azzardarsi di formulare suggerimenti pià qualificati. Khaled Abu Toameh, giornalista arabo israeliano del Jerusalem Post, ieri sul sito del Gatestone Institute suggeriva alcuni punti al presidente Obama. Nessuno si aspetta che il processo di pace faccia concreti passi in avanti; anzi, sarà un miracolo se lo status quo resterà invariato. Ad ogni modo, non sarà una cattiva idea dare una scorsa a questo decalogo, mentre l'Air Force One attraverserà l'Atlantico...
Qualunque accordo sottoscritto fra Israele e Autorità Palestinese (AP) sarà respinto da un consistente numero di palestinesi; specie quelli che continuano a pretendere un "diritto al ritorno" nei villaggi dove hanno abitato alcune generazioni fa i loro discenenti.
La maggior parte del mondo arabo e musulmano respingerebbe un accordo fra Israele e AP, specie all'indomani della "primavera araba", che ha visto l'ascesa al potere in diversi stati arabi degli islamici. Non si vede come i Fratelli Musulmani, che ora comandano in Egitto, possano salutare con favore un accordo di pace con "l'entità sionista".
Anche qualora uno stato palestinese fosse istituito nel West Bank, Hamas e altri gruppi ne assumerebbero il controllo e, con l'aiuto di Iran e di Al Qaeda, lo trasformerebbero in una piattaforma di lancio per attaccare Israele e gli altri stati confinanti. L'AP controlla il West Bank grazie alla presenza dell'esercito israeliano. Ironicamente, porre fine alla "occupazione" israeliana porrebbe fine anche al governo di Abbas.
Molti palestinesi non considerano gli Stati Uniti un arbitro neutrale. Qualunque accordo raggiunto con la collaborazione dell'amministrazione USA sarebbe accolto con enorme diffidenza. Sin d'ora molti attivisti palestinesi stanno orchestrando una campagna sui social network per «impedire ad Obama di dissacrare la terra di "Palestina"». Gli attivisti stanno sollecitando anche «enormi manifestazioni» nel West Bank, per protestare contro la visita di Obama; e stanno approntando le scaroe da lanciare contro il suo corteo.
Eccezion fatta per Fatah, tutte le organizzazioni palestinesi - in primis Hamas, la Jihad Islamica, il FPLP e il FDLP - respingerebbero automaticamente ogni accordo di pace con Israele, e questo per varie ragioni: alcuni vorrebbero cancellare lo stato ebraico dalla faccia della Terra; altri credono che Israele non accetterebbe mai le loro pretese, come il ritiro ai confini pre-esistenti la Guerra dei Sei Giorni (ossia le linee armistiziali del 1949), e il rilascio di tutti i criminali palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
I palestinesi sono divisi in due blocchi non solo geograficamente, ma anche ideologicamente. Il primo gruppo è radicale, e non fa alcuna concessione: crede semplicemente che Israele non abbia neanche il diritto di esistere. Il secondo è meno radicale, "moderato"; e non è in grado di adempiere. Non ha nemmeno il controllo dell'intero territorio palestinese, per non parlare del mandato di tutta la popolazione palestinese.
Abbas si oppone all'idea di raggiungere un accordo temporaneo con Israele, che porterebbe alla nascita di uno stato palestinese provvisorio sul territorio del West Bank interamente controllato dall'AP.
Anche l'AP appare divisa in due fazioni: una capitanata dal primo ministro Salam Fayyad, e la seconda governata dal presidente Abbas. Le tensioni sono montate con le dimissioni del responsabile delle finanze Nabil Qassis: mentre Abbas ha respinto le dimissioni, Fayyad le ha accettate, scatenando una crisi con il presidente dell'AP.
Molti palestinesi, incluso Abbas e la leadership dell'AP, si oppongono al ripristino di colloqui di pace con Israele, a meno che sia rilasciato un consistente numero di detenuti palestinesi, sia sospesa l'attività edile israeliana nei territori contesi e nei quartieri orientali di Gerusalemme, e che sia accettata la linea armistiziale del 1949 come confine del futuro stato palestinese.
Il presidente dell'AP Mahmoud Abbas non ha un mandato dal suo popolo per raggiungere un accordo con Israele: il suo mandato difatto è scaduto a gennaio 2009, e da allora le elezioni tardano ad essere tenute.
(Il Borghesino, 16 marzo 2013)
Un Göring sterminava gli ebrei, il fratello invece li salvava
di Andrea Brenta
Il fratello maggiore, Hermann, era il numero due del Terzo Reich, nonché l'ideatore della soluzione finale della questione ebraica. Il fratello minore, Albert, provava una fortissima avversione per l'ideologia nazista e salvò numerosi dissidenti, tra i quali anche degli ebrei.
Il dossier di Albert Göring è attualmente allo studio presso il Memoriale israeliano dell'Olocausto Yad Vashem per attribuirgli il riconoscimento di Giusto fra le nazioni.
Anche fisicamente i due fratelli erano l'uno l'opposto dell'altro: Albert bruno, elegante e discreto, Hermann, fautore dell'arianizzazione della Germania, biondo, grasso e fanfarone.
All'arrivo al potere di Hitler, quando Hermann diviene una delle figure centrali del Terzo Reich, Albert decide di trasferirsi a Vienna e di prendere la nazionalità austriaca.
Un vero affronto per il regime nazista. «Ho un fratello in Germania che fa comunella con quello str... di Hitler e, se continua così, finirà male per lui», diceva, secondo le testimonianze raccolte dallo scrittore australiano William Hastings Burke nella sua biografia di Albert Göring.
Dopo l'Anschluss dell'Austria nel 1938, si oppose attivamente alle Ss. Un giorno, durante un attacco contro il negozio di un commerciante ebreo a Vienna, i nazisti costrinsero l'anziana madre dell'uomo a mettersi in vetrina con attaccato al collo un cartello con la scritta «Sono una sporca ebrea». Göring si intromise, permettendo alla donna di scappare e di evitare una morte immediata o la deportazione. Le Ss, dopo aver esaminato i suoi documenti, lasciarono andare Albert, per timore di reazioni da parte del potente fratello. L'episodio è stato descritto in un articolo pubblicato nel 1962 da Ernst Neubach, un amico ebreo di Göring.
Quando le Ss costrinsero gli ebrei viennesi a pulire le strade con le spazzole, anche Albert si mise in ginocchio per fare lo stesso. E quando un Ss lo sollevò per il collo e gli chiese di esaminare i suoi documenti, la spedizione punitiva finì, per paura della collera dell'altro Göring.
Il fratello cadetto organizzò anche la fabbricazione di falsi documenti e salvacondotti e la distribuzione di denaro per i perseguitati dal regime nazista. Albert sapeva di poter contare sull'influenza del fratello maggiore, che, nonostante tutto, gli restò fedele e che lo salvò in diverse occasioni: come quando, imitando la carta intestata di Hermann, ordinò la liberazione di detenuti nel campo di concentramento di Dachau, firmandosi semplicemente «Göring».
Nel 1945 Albert si consegnò agli americani, che lo accusavano di complicità con i nazisti. Detenuto ad Augusta, a poche celle di distanza dal fratello che attendeva il processo di Norimberga, Albert faticò a convincere gli inquirenti della propria innocenza. A nulla valsero le testimonianze di Hermann, che lo discolpò definendolo un «uomo buono». Per provare la sua avversione nei confronti della Germania di Hitler, Albert stilò un elenco delle circostanze nelle quali egli salvò 34 ebrei da morte certa. Neanche questo bastò. Benché non avessero trovato nulla contro di lui, lo trattenero un anno, finché, per una incredibile coincidenza, uno degli inquirenti trovò sulla lista il nome di un suo zio.
Non del tutto convinti, gli americani consegnarono Albert alle autorità cecoslovacche. Fu detenuto un anno a Praga, prima di essere liberato nel 1947 grazie alle testimonianze dei suoi colleghi della Skoda, dove aveva lavorato. Tornato a Monaco, Albert decise di conservare il suo cognome, che però fu sempre associato ai crimini del fratello. Non riuscì mai a trovare lavoro, malgrado le competenze riconosciute di manager. Anche la moglie finì con l'abbandonarlo. Morì, povero e alcolizzato, nel 1966.
(ItaliaOggi, 16 marzo 2013)
Damasco: colpiremo i 'terroristi' in Libano se Beirut non li ferma
Damasco ha minacciato operazioni militari contro "le postazioni dei terroristi" in Libano, nel caso le autorita' di Beirut non fermino le infilitrazioni dei militanti in Siria. E' quanto si legge sull'agenzia d'informazione ufficiale 'Sana', che cita un telegramma inviato dal ministero degli Esteri siriano al governo libanese.
Nel comunicato e' sottolineato che negli ultimi giorni un "numero elevato" di militanti ha varcato il confine del Libano settentrionale dirigendosi verso la citta' siriana di Tel Kalakh. "La Siria - e' precisato - si aspetta che i libanesi impediscano a questi gruppi di terroristi armati di usare il confine come un valico di frontiera, perche' hanno come obiettivo i civili e violano la sovranita' siriana".
Il regime di Damasco ha infine evidenziato come la sua pazienza "non e' illimitata", aggiungendo che "i terroristi in terra libanese sono visti a occhio nudo dalle postazioni delle nostre forze armate che stanno agendo con massimo equilibrio, sperando che le autorita' libanesi competenti agiscano per controllare i confini con la Siria".
(Aki, 15 marzo 2013)
Assad usa bombe chimiche
di Frédéric Helbert da Beirut
La denuncia choc dei medici: dalle città in guerra arrivano negli ospedali del Libano feriti con ustioni che non possono essere state prodotte dalle solite armi. Ecco le prove che l'Occidente non vuole vedere
Nola e il figlio Mohamad, che ha bruciature sul 40% del corpo
Omar procede a fatica lungo una stradina in salita di Tripoli del Libano, come un vecchio. E' ingobbito, tiene lo sguardo basso, fisso sul marciapiedi. Ha il fiato corto, le gambe rigide. E i movimenti di un burattino slogato. Ogni passo è una sofferenza. Eppure Omar ha tredici anni. Due mesi fa in Siria, a Homs, una bomba ha mandato in frantumi la sua infanzia e la sua vita. «Era una bomba diversa dalle altre», dice con difficoltà, in un mormorio, questo bambino dal volto e dal corpo ustionati in modo atroce. «Dalla bomba si è alzato subito un fumo giallo, credo. Era molto denso. Mi hanno detto che ho perso conoscenza e che alcuni vicini mi hanno trasportato in un ambulatorio di campagna. Non ricordo più molto bene. Ma non ho visto i miei genitori. Da allora sono scomparsi. Voi sapete dove si trovano?». Cala un silenzio pesante. Omar è ancora sprofondato nelle tenebre del suo incubo e per proteggerlo dal peggio gli è stata nascosta la verità: la sua intera famiglia è morta intrappolata in una casetta della parte vecchia di Homs. Sono morti soffocati, hanno detto i medici. Sono morti senza nessuna ferita fisica apparente, senza essere stati colpiti direttamente da un'esplosione qualsiasi, hanno detto alcuni testimoni.
Neanche Omar, che era in un'altra stanza, è stato colpito. Ma due giorni dopo sul suo corpo sono comparse ustioni, piaghe, vesciche, che lo hanno sfigurato. Poi sono sopraggiunti problemi di equilibrio, perdita di memoria, dolori muscolari. A Homs i medici hanno pensato immediatamente alle conseguenze di un bombardamento chimico. Ma quei volontari che avevano aperto un ambulatorio in aperta campagna non hanno potuto fare niente. Così hanno organizzato un trasferimento e clandestinamente l'hanno fatto portare in Libano. Speravano che lì il bambino potesse trarre giovamento da una diagnosi e da una terapia adeguata... Ma il "sogno" è rovinato dall'impotenza di coloro che nel Paese dei Cedri hanno accolto la vittima.
«Benvenuto nel Regno delle sofferenze misteriose, dell'orrore della guerra chimica». Usando l'ironia come un'arma di difesa, il dottor Ghazi Aswad, chirurgo francese di origine siriana, 58 anni, chiede con dolcezza a Omar, nell'ambulatorio che si chiama "24/24" di Tripoli del Libano, di sdraiarsi su un lettino per visitarlo. Il bambino "mummificato" da decine di bende obbedisce, con lo sguardo angosciato. Nell'ambulatorio preso d'assalto ogni giorno da almeno un centinaio di vittime civili della guerra, di rifugiati, soprattutto donne e bambini, talvolta combattenti, il dottor Aswad presta le sue cure dal mattino alla sera senza un minuto di respiro. «Guardate: non parla più. Non mangia più. Vive
annientato dal dolore e dal terrore. Attorcigliato su se stesso, murato nei ricordi. E' un "bambino-mummia". Un morto vivente. Perfino noi gli incutiamo paura. Perché le cure sono limitate e dolorose. Perché la malattia fa quello che vuole. E io non posso somministrargli altro che un antibiotico contro le infezioni e cambiargli le bende che si sporcano di continuo per le piaghe purulente, e questo aggiunge sofferenza alla sofferenza. Non possiamo fare altro. Avrebbe bisogno di creme dermatologiche speciali, di una reidratazione continua, di cocktail vitaminici ad alto dosaggio, di assistenza costante, fisica e psicologica».
Omar, 13 anni, mostra le sue ustioni
Il dottore apre un vecchio cassetto che scricchiola e ne tira fuori una scatola di caramelle. La porge al suo piccolo paziente, strappandogli un leggero sorriso. Ne prende una, poi un'altra. Sono antidepressivi. Omar ne ingoia due in un colpo solo. «Il momento in cui tutto è andato in pezzi», racconta il chirurgo francese, «è stato quando abbiamo visto arrivare donne e uomini come Omar, con sintomi di cui non capivamo niente, prima di fare tutte le analisi possibili. Poi, per esclusione, siamo arrivati alla conclusione di avere a che fare con feriti che portano addosso i sintomi dei bombardamenti con armi chimiche».
Bruciature sottocutanee che corrodono l'epidermide, vesciche, irritazioni della pelle, deformazioni fisiche, perdita di capelli, della memoria, cedimenti del sistema nervoso, dolori muscolari o ossei, malori, nausea, vomito, accessi febbrili, astenia, paralisi. Tutto il corpo che si sfascia, letteralmente. Non c'è alcuna cura adeguata. E talvolta, alla fine, c'è soltanto la morte. «Un vero orrore», dice il medico. «Perché qui tutti noi siamo venuti come volontari da ogni parte del mondo. E ci siamo ritrovati davanti a un'impotenza cronica. A interrogativi. A rompicapi. E infine, alla certezza che il regime siriano impiega le armi peggiori in assoluto, come meglio gli pare».
(Espresso, marzo 2013)
Legge ebraica e Giustizia
Roma - Quarto appuntamento del ciclo Quale identità ebraica: generazioni a confronto a cura di Sira Fatucci e Ilana Bahbout. "La giustizia e solo la giustizia perseguirai: Tzedeq Tzedeq Tirdof (Deuteronomio, 16, 20)", questo il titolo dell'incontro svoltosi al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con interventi di Daniela Dawan, avvocato penalista, rav Umberto Piperno e rav Shmuel Yishai Hochman. A moderare il dibattito l'avvocato Rafi Korn.
Giustizia per educare, punire o tutelare? Questo l'interrogativo di partenza per approfondire il tema con un confronto tra l'ordine giuridico ebraico e quello italiano, un'analisi della struttura e delle procedure adottate dai tribunali rabbinici, le analogie e le differenze rispetto al principio di certezza della pena e le misure eccezionali di fronte allo "spargimento di sangue" - in generale e nel diritto di guerra - il codice penale militare, le sentenze rabbiniche penali in Italia, la detenzione, le misure preventive, i reati contro la sicurezza e casi particolari come quello che vide coinvolto Erich Priebke, tra i maggiori responsabili della strage delle Fosse Ardeatine di cui quest'anno ricorre il 69esimo anniversario.
(Moked, 16 marzo 2013)
La storia di Varian Fry che salvò duemila ebrei dalla deportazione
PALERMO, 15 mar. - Varian Fry fu il primo cittadino americano a essere entrato nella lista dei Giusti di Israele, per aver salvato oltre duemila ebrei dalla deportazione. Adesso la sua autobiografia e' stata raccolta dall'editore Sellerio che ne ha fatto un libro: "Consegna su richiesta", con un sottotitolo molto lungo: "Marsiglia 1040-1941, artisti, dissidenti ed ebrei in fuga dai nazisti" perche' nelle sue pagine Fry racconta di molti personaggi famosi e importanti, da Andre' Breton a Marcel Dushamp, da Max Ophuls a Anna Seghers, da Max Ernst a Marc Chagall e tanti altri.
Nell'agosto del 1940 Varian Fry, giovane giornalista americano, viene mandato a Marsiglia da una organizzazione americana (l'Emergency Rescue Committee, ERC) con l'incarico di fare espatriare gli esuli europei che avevano trovato rifugio in Francia e che sono minacciati dalla clausola contenuta nell'armistizio con la Germania nazista che ammetteva la «consegna su richiesta» dei rifugiati segnalati dal Reich. In tredici mesi, prima che la polizia di Vichy espella Varian Fry, l'ERC riuscira', con mezzi legali e illegali, a salvare migliaia di persone. Una testimonianza diretta e insieme un racconto di grande commozione.
(Adnkronos, 16 marzo 2013)
Gerusalemme - Davide La Cecilia incontra gli Italkim
Primo incontro ufficiale per il nuovo console generale d'Italia a Gerusalemme Davide La Cecilia a lungo intrattenutosi, nella sede della Hevrat Yehudei, con le rappresentanze delle più importanti realtà italiane attive nella regione. Ad accoglierlo il presidente della Hevrat Yehudei Eliahu Ben Zimra, il presidente del Comites Italia Beniamino Lazar, il presidente dell'Irgun Olè Italia Vito Anav la curatrice del museo d'arte ebraica Umberto Nahon Andreina Contessa. Rappresentati anche il Club Giallorosso, il Fondo Anziani Italiani per Beneficienza, la Fondazione Raffaele Cantoni per la gioventù ,la UIL Scuola, la storica testata Kol HaItalkim. In sala, tra gli altri, anche l'ex vicesindaco di Gerusalemme David Cassuto.
La Cecilia ha portato il saluto del ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, che poche ore prima aveva partecipato a Hertzlia alla conferenza internazionale Time for new national and regional agendas e a Gerusalemme ad alcuni importanti appuntamenti diplomatici con il nuovo governo israeliano.
L'incontro è stata anche l'occasione per prendere commiato dalla vice console Hanna Pappalardo che tra qualche giorno terminerà il suo mandato per tornare a Roma.
(Notiziario Ucei, 15 marzo 2013)
Palestinesi lanciano pietre contro un'auto: grave una bambina israeliana di due anni
Nelle ultime settimane la tensione è aumentata nella Cisgiordania, dove si sono moltiplicati gli incidenti e gli scontri tra palestinesi da un lato e soldati e coloni dall'altro
Una donna israeliana e le sue tre figlie sono rimaste ferite, una in modo grave, in un incidente d'auto provocato probabilmente dal lancio di pietre da parte gi un gruppo di palestinesi nei pressi della colonia di Ariel, nel nord della Cisgiordania. "La madre, che era alla guida, è rimasta ferita in modo lieve, così come due figlie, dopo che l'auto ha urtato contro un camion, probabilmente a causa del lancio di pietre", ha detto il portavoce della polizia Micky Rosenfeld. "La terza figlia, di due anni, è stata ricoverata in gravi condizioni".
Nelle ultime settimane la tensione è aumentata nella Cisgiordania, dove si sono moltiplicati gli incidenti e gli scontri tra palestinesi da un lato e soldati e coloni dall'altro. La polizia israeliana ha deciso di rafforzare la sua presenza e limitare l'accesso ai palestinesi per domani, venerdì, alla Spianata delle moschee a Gerusalemme est per ragioni di sicurezza.
(today, 15 marzo 2013)
Dialogo con l'ambasciatore della Start-up Nation. Dal "segreto israeliano" a Beppe Grillo
di Annalisa Chirico
L'ambasciatore Naor Gilon
In tempi di crisi economica internazionale c'è un Paese che ha chiuso il 2012 con un tasso di crescita pari al 3,5% e che continua, nonostante tutto, a investire oltre il 4,5% del Pil in ricerca e sviluppo. Il "miracolo israeliano" è stato al centro della serata organizzata dal Rotary Club Roma Campidoglio e da Alé&Partners con un ospite d'eccezione, l'ambasciatore d'Israele in Italia Noar Gilon.
Un popolo di otto milioni di abitanti, in permanente stato di guerra e privo di risorse naturali diventa il centro propulsore dell'hi-tech, dove investono le principali aziende tecnologiche del mondo. Il più alto numero di aziende nel Nasdaq, dopo gli Stati Uniti, e cinquemila start-up che vedono la luce ogni anno, a fronte delle settecento in Europa. "La necessità è la madre di ogni invenzione", dichiara l'ambasciatore Gilon. "Essere un Paese giovane presenta vantaggi e svantaggi. Da una parte, abbiamo puntato sulla new economy all'insegna dell'innovazione tecnologica. Dall'altra però ci manca quella rete di imprese che connota invece l'Italia". Da qui l'idea di creare una piattaforma capace di connettere imprese e centri di ricerca di entrambi i Paesi. "In questo modo - continua Gilon - intendiamo intensificare gli scambi tra le due sponde del Mediterraneo per valorizzare al massimo le potenzialità di ciascuno".
Negli anni sono state formulate diverse teorie sul "segreto israeliano". E' del 2009 il best-seller intitolato "Start-up Nation" di Dan Senor e Saul Singer. Una cultura aperta all'innovazione e alla sperimentazione, naturalmente incline a trasformare le avversità in punti di forza. La leva militare obbligatoria, che educa alla responsabilità e permette ai giovani di acquisire vere e proprie competenze manageriali da reinvestire nel civile. "Non è un caso - dichiara Gilon - che le prime imprese israeliane abbiano cominciato nel campo militare e si siano poi adoperate a sviluppare le applicazioni civili delle loro tecnologie". Secondo l'ambasciatore, ha giocato un ruolo chiave il mix di politiche "smart" messe in campo dal governo (dai massicci investimenti in R&D alla politica fiscale e di incentivi agli investitori stranieri). "Rispetto all'Europa, in Israele la gerarchia è abbastanza livellata e c'è un ambiente più informale che favorisce lo scambio di idee. L'ambizione e l'individualismo sono valori forti tra gli israeliani. Le persone vogliono avere successo". E' indubbio che l'apertura all'immigrazione, soprattutto dall'ex Unione Sovietica, sia stata anch'essa un fattore di successo, gli immigrati sono per natura "risk-takers". Lo sanno bene gli israeliani, costretti ad un esilio di duemila anni e capaci nel giro di sessant'anni ad aumentare di cinquanta volte la loro crescita economica.
"Israele ha più Premi Nobel che medaglie olimpiche", l'ambasciatore Gilon cita Shimon Peres. Tuttavia, secondo Gilon, non bisogna mai accontentarsi dell'esistente. Sono poche le imprese israeliane che trasformano le loro innovazioni in business multimilionari. Un problema israeliano è il nanismo del tessuto produttivo, le aziende rimangono piccole e spesso vengono fagocitate da multinazionali straniere. L'unica compagnia israeliana di grandi dimensioni è Teva nella medicina generica. "Da questo punto di vista l'Italia con la sua rete di piccole e medie imprese è qualcosa da cui possiamo imparare". Dal canto suo Israele porta in Italia l'eccellenza di un'economia che ha puntato sul capitale umano e sulla conoscenza. Robert Hassan, esperto di comunicazione e ideatore della piattaforma per lo scambio tra i due Paesi, spiega così il progetto: "Si tratta di un vero e proprio ponte tra Israele e Italia: un'avanzatissima piattaforma tecnologica che permetta di conoscersi e sviluppare opportunità di business. Con alcuni amici giornalisti conoscitori di Israele abbiamo pensato di utilizzare il web documentario: un viaggio nella Silicon Wadi israeliana, con i suoi protagonisti, dai premi Nobel ai giovani imprenditori, passando per i centri di R&D e per le università".
La piattaforma, spiega Hassan, può essere uno strumento per migliorare le relazioni di Israele col resto del mondo. Nell'anemica economia della West Bank, del resto, il settore high-tech è in crescita e sono molti i contatti con imprese basate in Israele. "Per avere la pace - è l'opinione dell'ambasciatore Gilon - le persone devono avere lo stomaco pieno. I rapporti economici tra le imprese israeliane e palestinesi consentono alle persone di conoscersi e di superare reciproche diffidenze. Se hai una casa e un buon salario, allora hai qualcosa da perdere. Quanto più prospera è l'economia palestinese, tanto più rosee sono le chance per la pace". Non c'è da scordarsi poi che il 20% della popolazione residente in Israele è di origine araba.
Secondo Gilon, oggi la parola stabilità è fondamentale non solo in Israele, ma anche in Europa. "La stabilità è importante anche sul piano psicologico. Se c'è instabilità i mercati agiscono di conseguenza e si innesca un circolo vizioso". L'ambasciatore porta il caso dell'Italia, dove, in seguito alle ultime elezioni, nel giro di pochi giorni lo spread tra i titoli di stato italiani e tedeschi si è impennato. Se l'economia va male, continua Gilon, la gente coltiva frustrazione e si fanno strada forme di radicalismo politico che propugnano il cambiamento totale. "È una delle radici dei movimenti antisistemici in Europa". Inevitabile non correre col pensiero a Beppe Grillo, che su Israele e le presunte manovre del Mossad ha proposto teorie a dir poco complottiste. "Io auguro all'Italia di trovare presto un governo stabile. Grillo ha coltivato il malcontento popolare verso la classe politica e i suoi costi. Le opinioni su Israele, che non posso certo dire di aver gradito, le ha espresse a titolo personale. Non è su queste che ha chiesto e ottenuto il voto degli elettori italiani".
(Panorama, 15 marzo 2013)
Un morto per il caldo nella Maratona di Tel Aviv
TEL AVIV - Un morto e diverse persone colte da malore per il forte caldo: e' successo durante la Maratona di Tel Aviv dove attualmente si registrano 34 gradi e un'ondata di afa inusuale. I medici del pronto soccorso hanno affermato di aver curato 50 persone e 20 di loro sono state trasportate in ospedale. Il sindaco Ron Huldai ha detto che, nonostante il clima, 'non sarebbe stato giusto cancellare la maratona. La prossima settimana in Israele arriva Obama e non si poteva spostare la gara senza abolirla'.
(ANSA, 15 marzo 2013)
Il pane azzimo a Gerusalemme
Foto di ebrei ortodossi che raccolgono l'acqua di un ruscello e la impastano con la farina per la Pesach, la Pasqua ebraica
Il fotografo di Getty Images Uriel Sinai ha realizzato un servizio sul Maim Shelanu, la cerimonia della cottura del matzoth, il pane azzimo che viene consumato dagli ebrei durante gli otto giorni della Pesach, la pasqua ebraica. Le foto ritraggono un gruppo di ebrei ultraortodossi che raccoglie l'acqua da un ruscello a Gerusalemme, che verrà poi utilizzata per impastare la farina: può essere solo di cinque cereali (frumento, orzo, avena, segale e spelta), non deve essere assolutamente lasciata lievitare e dev'essere poi cotta in forno per una ventina di minuti.
La Pesach ricorda l'Esodo, ovvero la fuga e la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana sotto la guida di Mosé. Quest'anno cade dal 25 marzo al 2 aprile, e in questo periodo è proibito mangiare cibi lievitati. La prima sera della Pesach viene festeggiata con il seder, una cena con famigliari e amici in cui si leggono e cantano testi sacri e si serve il Piatto del seder, che prevede erbe amare, capretto, uova sode e una marmellata fatta di mele, datteri, mandorle, prugne e noci: ogni cibo ha un valore simbolico e richiama un fatto accaduto durante l'Esodo.
(il Post, 15 marzo 2013)
"LIran tra un anno avrà la bomba atomica"
Obama: "ora tutte le opzioni sul tavolo per fermarli". Caccia iraniano prova a intercettare un drone Usa
"Entro un pò più di un anno" l'Iran sarà in grado di dotarsi dell'arma nucleare: lo ha dichiarato il presidente americano, Barack Obama, in una intervista concessa alla televisione israeliana Canale 2, alla vigilia del suo primo viaggio in Israele, la prossima settimana. "Tutte le opzioni sono sul tavolo" per impedire all'Iran di dotarsi della bomba atomica, ha ribadito l'inquilino della Casa Bianca.
Un caccia iraniano F-4 Phantom, intanto, ha tentato di intercettare un drone americano Predator "nei cieli sopra alle acque internazionali" del Golfo, ma poi ha rinunciato dopo l'arrivo nella zona di due aerei militari americani. Lo ha reso noto il portavoce del Pentagono, George Little. "Uno dei due apparecchi americani ha emesso un richiamo per mettere in guardia il velivolo iraniano, che si è ritirato", ha aggiunto il portavoce ricordando che a novembre scorso si era già verificato un episodio analogo.
I fatti in questione si sono verificati martedì, ha precisato il portavoce del Pentagono. Il drone Predator stava effettuando un "volo segreto di ricognizione di routine sopra le acque internazionali del Golfo" quando l'F-4 iraniano si è avvicinato. I due apparecchi sono arrivati fino a una distanza di una trentina di chilometri. Allora il Predator "è stato scortato da due aerei militari americani" non identificati, verosimilmente dei caccia. L'esca, una sorta di razzo di avvertimento che serve ad ingannare i missili a raggi infrarossi, ha convinto il velivolo iraniano ad abbandonare l'inseguimento", secondo quanto riportato da Little.
"In seguito all'incidente di novembre scorso quando un caccia iraniano aveva sparato contro un Predator non armato, gli Stati Uniti avevano fatto sapere agli iraniani che avrebbero continuato a condurre voli di ricognizione sopra le acque internazionali per assicurare la sicurezza della regione". "Abbiamo indicato loro, inoltre, che ci riserviamo il diritto di proteggere i nostri beni militari e i nostri uomini", ha detto il portavoce.
Cinque giorni prima delle presidenziali americane, il 1 novembre, due aerei iraniani avevano aperto il fuoco contro un Predator sulle acque del Golfo. Il drone non era stato colpito.
(BlogTaormina, 15 marzo 2013)
Siria: lo spettro delle armi chimiche e il risiko su Israele
di Giovanni Giacalone
L'ANALISI - Lo spettro delle armi chimiche è ormai il grande spauracchio di Israele; alla conferenza internazionale sulla sicurezza che si tiene annualmente a Hertzliya il generale maggiore Avi Kohavi ha dichiarato che Assad ha ancora pieno controllo sui depositi di armi chimiche nei dintorni di Damasco e potrebbe farne uso contro l'opposizione in qualunque momento.
IL RISIKO SU ISRAELE - Lo Stato ebraico è però preoccupato anche dal fatto che tali armi possano passare nelle mani di gruppi filo Assad come Hizbullah o altri filo-opposizione come i jihadisti di Jabhat al-Nusra, gruppi che potrebbero a loro volta utilizzarle contro Israele. Fonti della sicurezza israeliana hanno recentemente affermato che le richieste per kit di emergenza e maschere anti-gas sono drasticamente aumentate negli ultimi mesi e le autorità postali israeliane confermano che in un solo giorno ne sono state distribuite più di quattromila.
JABHAT AL-NUSRA - Secondo alcune analisi la brigata jihadista Jabhat al-Nusra sembra acquisire sempre maggior rilievo all'interno dei gruppi di opposizione, è ormai diventata una colonna portante dell'offensiva anti-Assad ed in diverse occasioni è addirittura intervenuta a soccorso dei combattenti dell'Esercito Libero Siriano. I suoi membri sono particolarmente temuti dall'esercito regolare di Assad in quanto non hanno alcuna paura della morte e non esitano a immolarsi in nome di quella "guerra santa" contro il regime; ciò purtroppo è dimostrato anche dai diversi attentati suicidi come quello di al-Midian nel gennaio 2012 che fece 26 morti e più di 60 feriti, molti dei quali civili; quello del 3 ottobre scorso ad Aleppo che fece 48 morti e 122 feriti e diverse altre zone del paese; attentati decisamente poco apprezzati dall'Esercito Libero Siriano.
LA VARIABILE IRANIANA - In aggiunta subentra un'ulteriore preoccupazione, ovvero che in caso di caduta del regime, l'esercito iraniano e le milizie di Hizbullah potrebbero decidere di entrare in Siria per cercare di salvare il salvabile e salvaguardare i propri interessi; una prospettiva che obbligherebbe Israele e forse anche la Nato a un immediato intervento in Siria. In effetti risulta difficile credere che l'Iran lasci che il suo storico alleato cada senza muovere un dito, tant'è che gli Stati Uniti hanno denunciato ancora una volta, tramite il direttore dell'Intelligence nazionale James Clapper, il continuo supporto economico, logistico e militare fornito da Teheran ad Assad.
IL RICONOSCIMENTO DI ISRAELE - Se poi il regime siriano dovesse cadere e l'opposizione prendesse il potere, quali saranno i conseguenti rapporti con Israele? Il nuovo governo sarebbe disposto a riconoscere lo Stato ebraico? Secondo alcune fonti sarebbero in corso trattative con alcuni esponenti dell'opposizione siriana che sarebbero pronti a riconoscere la sovranità di Israele; il problema nascerebbe dal fatto che questi esponenti non godrebbero della necessaria rappresentatività all'interno dello schieramento di opposizione.
La caduta del regime di Assad rischia dunque di non essere la fine della tragica guerra civile siriana ma piuttosto l'inizio di un più ampio conflitto che rischia di espandersi su larga scala.
(Diritto di critica, 15 marzo 2013)
Capo dell'intelligence di Israele: Assad prepara armi chimiche
GERUSALEMME, 14 mar - Il regime di Bashar al Assad sta compiendo preparativi avanzati in vista del ricorso ad armi chimiche: ma finora non sono stati impartiti gli ordini di utilizzarle. Lo ha affermato il comandante dell'intelligence militare di Israele, gen. Aviv Kochavi, in una conferenza tenuta oggi a Herzlya (Tel Aviv).
Kochavi ha aggiunto che ogni settimana l'aviazione siriana conduce 40-50 incursioni contro obiettivi civili in Siria. La Siria, assieme con l'Iran e gli Hezbollah, sta adesso costituendo un 'Esercito popolare' forte oggi di 50 mila uomini, destinati a raddoppiarsi in un futuro più lontano.
"L'Iran finanzia questa iniziativa, gli Hezbollah provvedono agli addestramenti e la Siria ne gestisce gli aspetti logistici", ha precisato il generale.
(ANSAmed, 14 marzo 2013)
Israele - Raggiunto l'accordo per il governo
Fiato sospeso fino all'ultimo, ma anche per Israele è fumata bianca: a due giorni dalla scadenza del termine concesso a Benjamin Netanyahu per dare vita a una maggioranza in grado di governare il paese, le tre principali formazioni della Knesset, Likud-Beytenu (31 seggi), Yesh Atid (19 seggi) e Habayit Hayehudi (12 seggi) hanno raggiunto un compromesso di governo, che comprenderà anche Hatnua di Tzipi Livni (6 seggi).
Il principale protagonista si è rivelato senz'altro l'ex giornalista Yair Lapid. Il leader di Yesh Atid, alla prima esperienza politica, si è dimostrato un negoziatore abile, capace di dare vita a una solida alleanza strategica con il leader della ultradestra religiosa Naftali Bennett per mettere alle strette Netanyahu e massimizzare i risultati. E così i partiti haredim, il sefardita Shas e l'ashkenazita Yahadut HaTorah sono rimasti fuori dal governo, caso non unico ma comunque raro nella storia dello Stato ebraico, e soprattutto delle amministrazioni guidate dal Likud. Imposta dall'asse Lapid-Bennett anche una notevole cura dimagrante all'esecutivo, che passa dai trenta ministeri dello scorso mandato a ventuno più il premier. Mercoledì, a pochissimi giorni dalla scadenza, l'ultima grande battaglia, quella per il Ministero dell'Educazione, con Netanyahu deciso a riconfermare l'uscente Gideon Sa'ar e Lapid pronto a non firmare l'accordo senza l'affidamento dell'incarico al rabbino Shai Piron, numero due di Yesh Atid. A mediare tra i due lo stesso Bennett, che si è mantenuto fedele all'alleanza con Lapid, riuscendo però a sbrogliare la matassa. Rav Piron sarà dunque il titolare dell'Educazione, mentre a Sa'ar andrà il Ministero degli Interni, che in fasi precedenti del negoziato si era ipotizzato venisse invece assegnato a Yesh Atid. Che ha dovuto anche rinunciare alla posizione di Ministro degli Esteri per il suo numero uno, posizione che verrà mantenuta da Netanyahu in attesa di essere restituita al leader di Beytenu Avigdor Lieberman, dimessosi dall'incarico che ricopriva già nella precedente amministrazione per vicende giudiziarie e pronto a riassumere la carica non appena prosciolto dalle accuse di frode. Lapid ha invece accettato la cruciale ma scomoda posizione di Ministro delle Finanze. Il Likud può dirsi soddisfatto anche per aver mantenuto un altro ministero di peso, quello della Difesa, che verrà assegnato a Moshe Ya'alon, già comandante in capo dell'esercito, ma anche per il mantenimento della maggioranza all'interno del governo (12 ministri, contro i dieci di tutte le altre formazioni messe insieme). Bottino importante anche per Habayit Hayehudì: oltre al Ministero del Commercio, Industria e Lavoro allo stesso Bennett, la formazione politica di riferimento degli abitanti degli insediamenti incassa anche la leadership della Commissione finanze della Knesset e il cruciale dicastero della Casa, che nell'ultimo governo era detenuto da Ariel Atias dello Shas. L'eccessivo prezzo delle abitazioni è stato una delle questioni al centro delle proteste sociali nell'estate 2011. E oltretutto, sono in molti ad accusare i criteri di assegnazione di fondi o agevolazioni di essere ritagliati in modo da favorire le giovani coppie haredim. Ma il Ministero contiene anche la delega alla questione degli insediamenti. Che ovviamente per Bennett rimane centrale. E certo, le istanze di Habayit Hayehudì in questa prospettiva, non saranno facili da conciliare con quelle di Tzipi Livni, Ministro della Giustizia e delegata ai negoziati con i palestinesi, che sogna di ottenere passi concreti nella direzione della pace.
In corso di perfezionamento tutti i dettagli dell'accordo, mentre Netanyahu riceve gli scontenti del suo partito, esponenti della vecchia guardia rimasti senza cariche di rilievo, e giovani astri nascenti, che dopo aver ottenuto ottimi risultati alle primarie del Likud si sono visti messi da parte.
La presentazione al presidente israeliano Shimon Peres dovrebbe avvenire al termine dello Shabbat, e l'insediamento ufficiale del governo all'inizio della prossima settimana. Giusto in tempo per accogliere il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in arrivo in 20 marzo.
(Notiziario Ucei, 14 marzo 2013)
Film documentario sugli ebrei dEgitto bloccato dalla sicurezza centrale egiziana
IL CAIRO, 13 mar - La sicurezza centrale egiziana ha bloccato l'uscita nelle sale, prevista per oggi, del docufilm "Gli ebrei d'Egitto". La denuncia è del produttore della pellicola Haytham Al Khamesi, secondo il quale malgrado il film abbia già ottenuto il via libera due volte dalla censura, ieri é arrivato lo stop della sicurezza centrale, che ha chiesto di rivederlo per la terza volta. Al Khamesi si è detto "scioccato" dalla notizia.
"Non ci sono ragioni valide per bloccare l'uscita della pellicola. Ci troviamo di fronte a un problema che non si può spiegare, legato alla repressione e all'intimidazione esercitate dalla sicurezza centrale e dalle agenzia di sicurezza dello stato contro la libertà di pensiero e di creazione", ha affermato.
Il Fronte per la creatività egiziano, che raccoglie artisti e intellettuali, ha denunciato la mossa, sostenendo che "supera i poteri della censura". In una dichiarazione il Fronte esprime la sua solidarietà al produttore, al regista e all'autore del film e annuncia che prenderà tutte le misure legali contro il ministero della cultura, contro la sicurezza centrale, che "equivale alla disciolta sicurezza di stato" dell'era Mubarak e contro il ministero dell'Interno, dalla quale dipende.
(ANSAmed, 14 marzo 2013)
Obama a cena con Miss Israele, la prima reginetta di colore del Paese
L'invito è giunto su iniziativa personale del presidente Usa
di Elmar Burchia
Yityish Aynaw, la prima Miss Israele nera
Migliaia di bandiere statunitensi sono pronte per essere sventolate all'arrivo del presidente Usa Barack Obama, in visita ufficiale in Israele la prossima settimana. Migliaia sono anche i curiosi che affolleranno le strade nella speranza di veder passare il presidente americano. Sarà tuttavia una 21enne, fino a qualche settimana fa una semplice commessa in un negozio di scarpe di Tel Aviv, ad aver l'onore di sedere al tavolo di Obama nella cena ufficiale organizzata per il presidente americano. Yityish «Titi» Aynaw, non è una ragazza israeliana come le altre: due settimane fa la giovane è stata incoronata Miss Israele, la prima ragazza di colore a vincere il concorso di bellezza.
«ECCITATA» - L'accoglienza in Israele sarà calorosa, sebbene Obama, secondo i media Usa, abbia già chiarito a Benjamin Netanyahu che la sua visita non sarà un'opportunità per farsi fotografare, quanto piuttosto per lavorare su temi caldi quali l'Iran, lo Stato palestinese e la presenza israeliana in Cisgiordania. Ciò nonostante, giovedì prossimo a Gerusalemme, alla cena ufficiale offerta dal capo dello Stato israeliano, Shimon Peres, in onore di Barack Obama, tra i 120 commensali (perlopiù alti funzionari americani e israeliani) ci sarà anche la giovane Aynaw. Al Jerusalem Post la ragazza ha raccontato di essere «molto eccitata» all'idea di incontrare Obama. «Non mi pare vero, ancora dieci anni fa giravo scalza nel mio villaggio in Etiopia e adesso vengo invitata nella residenza del Capo dello Stato».
GIOVANE IMMIGRATA - Yityish Aynaw è un'ebrea falasha orfana dei genitori immigrata a Natanya (Tel Aviv) dalla zona di Gondar. In Israele è stata cresciuta dai nonni e ha svolto il suo servizio militare (obbligatorio per i giovani israeliani) nella polizia militare, fino al grado di ufficiale.
MICHELLE - L'invito, scrive la stampa americana, è giunto su iniziativa personale del presidente americano. Alla domanda del quotidiano israeliano se si fosse chiesta perché proprio lei era stata scelta per partecipare alla cena, la bella Yityish ha risposto: «Sono la prima israeliana di carnagione nera a essere eletta Miss Israele e Obama è il primo presidente americano di colore. Queste cose vanno insieme. In Obama - ha aggiunto la Aynaw - vedo peraltro una fonte di ispirazione: è la prova evidente che ogni persona può raggiungere la vetta».
(Corriere della Sera, 14 marzo 2013)
Mille anni di storia ebraica nel tetto della sinagoga ricostruita
Esposta al nuovo museo di Varsavia, nel cuore del ghetto
VARSAVIA - E' un simbolo dei mille anni di vita e di storia degli ebrei in Polonia, terra d'accoglienza per chi era in fuga da Spagna e Francia, che rinasce dopo la distruzione da parte dei nazisti. Il museo di storia degli ebrei polacchi di Varsavia svela il primo dei capolavori in mostra: il tetto in legno della sinagoga di Gwozdziec, città ora in Ucraina, risalente al XVIII secolo. "Abbiamo costruito l'edificio, non ricostruito, non si tratta di una replica o di una copia. L'abbiamo fatto con le nostre mani, usando strumenti, materiali e tecniche tradizionali" spiega Barbara Kirshenblatt-Gimblett, direttore della mostra.
"E' stato tutto realizzato da un gruppo di 300 volontari da tutto il mondo, persone di tutte le età e di diverse religioni e nazionalità" spiega Piotr Wislicki, presidente dell'Associazione dell'Istituto storico ebreo della Polonia.
Le pitture policrome, con rosso e blu colori dominanti, ricoprono tutto il soffitto, dove campeggiano scene di animali, miti e motivi floreali: un lavoro che ha coinvolto 300 esperti di tutto il mondo. Il museo sorge in un luogo simbolico, il cuore del ghetto di Varsavia, e apre i battenti il 19 aprile, per il 70esimo anniversario dell'insurrezione. L'edificio, disegnato da due architetti finlandesi, è proprio di fronte al monumento dedicato agli eroi di quei giorni: la facciata ha uno strappo simbolico, che si apre su pareti ondulate, allusione alla traversata biblica del mar Rosso, quando Mosè condusse il popolo d'Israele fuori dall'Egitto.
(TMNews, 14 marzo 2013)
Vienna, musicisti ebrei espulsi dalla Filarmonica
Dopo l'Anschluss (l'annessione dell'Austria alla Germania nel 1938), la Filarmonica di Vienna si trasformò in un covo di musicisti nazisti. E fino alla fine degli anni Sessanta continuò a essere diretta da ex Ss.
Queste le conclusioni di un'inchiesta condotta da alcuni storici su iniziativa della prestigiosa istituzione.
Secondo Oliver Rathkolb, che ha coordinato le ricerche, già prima del 1938, quando il partito nazista era ancora clandestino in Austria, il 20% dei musicisti dell'Orchestra filarmonica di Vienna apparteneva all'Nsdap (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei). «A partire dal 1938», spiega Rathkolb, «la politica ha messo le mani nel modo più brutale sul destino della Filarmonica: i nazisti hanno licenziato dall'oggi al domani tutti gli artisti ebrei». Così, tredici musicisti ebrei furono cacciati per far posto a simpatizzanti di Adolf Hitler. Dal 1938 al 1945 la proporzione dei membri del partito nazista all'interno dell'orchestra (60 musicisti su un totale di 123) era assai superiore alla media in seno alla popolazione (circa il 10%). Autorizzati a restare in virtù di un permesso speciale, gli 11 musicisti sposati a degli ebrei o considerati «mezzi ebrei» vivevano sotto la costante minaccia di un licenziamento seguito dalla deportazione in un campo di concentramento.
Secondo l'inchiesta, pubblicata in occasione del 75esimo anniversario dell'Anschluss, sei musicisti ebrei della Filarmonica viennese furono assassinati e dieci deportati nei campi di sterminio.
Ma il fatto più sconcertante emerso dall'inchiesta è che, dopo la guerra, nessuno sforzo serio di denazistificazione è stato intrapreso all'interno della Filarmonica. Anzi, gli storici hanno rivelato che un trombettista dell'orchestra, Helmut Wobisch, membro dal 1933 del partito nazista, dal 1938 delle Ss e collaboratore della Gestapo, escluso dall'orchestra nel 1945, era stato reintegrato nel 1951, prima di diventare presidente della prestigiosa istituzione.
Venerdì 15 marzo la città bianca sarà invasa da una marea colorata di runner, che caleranno festosi da tutto il mondo per scoprire di corsa le meraviglie di Tel Aviv lungo un tracciato che esalta le peculiarità architettoniche del centro storico e l'atmosfera friendly, oltre alla gioiosità della sua popolazione.
«E' un po' New York, ma dentro una bottiglia di vetro. Tel Aviv, la città che non dorme mai, questa metropoli senza spigoli, la dama bianca di Israele coi suoi oltre quattro mila edifici bianchi tondeggianti eretti dai discepoli ebrei della Bau Haus tedesca (la scuola fondata a Weimar nel 1919 da Walter Gropius - ndr) fuggiti dal nazismo, con la piccola Manhattan fatta di grattacieli in vetro che sfiorano le nuvole e il lungomare è l'emblema dell'Israele moderna. Vi aleggia uno spirito nuovo, rilassato. Un'ansia di vivere contagiosa. L'integrazione qui non è una parola ma una realtà in divenire, un work in progress». La prova che Etgar Keret non sta mentendo, la si può avere accompagnando lo scrittore e regista, in una delle sue passeggiate d'ispirazione - come le chiama l'autore di "All'improvviso bussano alla porta" (Feltrinelli, pg 187, € 15), raccolte di short stories un po' surreali, edite in Italia per i tipi E/O - nel quartiere di Rehov Shenkin, l'anima alternativo-chic della più grande città israeliana. Soldatesse bambine entrano col fucile a tracolla e il rossetto carminio negli atelier di moda vintage. Studenti ortodossi con i peiòt, le treccine penzolanti gettano lo sguardo per qualche attimo dentro le gallerie degli artisti contemporanei, non riuscendo a ritirarlo in tempo prima che si intrufoli nelle vetrine di biancheria intima aperte proprio a ridosso dei negozi di pratica religiosa che espongono le menoròt, i candelieri a sette braccia e i libri della torah.
Nelle librerie di seconda mano, che sono i moderni salotti letterari israeliani si incontrano e conversano, accoccolati su divani dalla pelle sdrucita, ragazzi rasta, bellezze etiopi ed ebrei israeliani. Insieme a Keret andiamo a scoprire anche Nachlat Binyamin, il quartiere degli artisti per antonomasia, risalente al primo Novecento, dove sino a pochi anni fa abitavano i mercanti di stoffe. Passeggiamo tra palazzi un po' fané in stile funzionale che sfoggiano elementi di architettura pre-bau haus, turca, gotico moderno. Sulle facciate delle case compaiono quindi prue di navi, gigantesche anfore, palmeti, caprette. Un'arca di Noé scolpita nella pietra, a perenne memoria della provenienza del popolo israeliano. Gli artigiani espongono nel mercatino del martedì e del venerdì le loro creazioni sui tavoli all'aperto, i giovani entrano nelle boutique dalle vetrine più sfrontate come Schwartz Furs per indossare le pellicce sintetiche, gli abiti dai colori psichedelici, o soltanto per curiosare e sedersi sui divanetti tigrati. «Tel Aviv - continua Keret - ribolle di un magma di sentimenti e sensazioni, che è facile infondere nei romanzi e nei film. Io amo la spiaggia, che si stende per oltre 8 chilometri, e rappresenta un una livella sociale, religiosa e politica. Questo è l'unico luogo di Israele in cui, una volta spogliatisi degli indumenti, non c'è differenza tra un ragazzo arabo e un soldato che reca sulla divisa militare la stella di Davide. Sul lungo mare si fa jogging di notte, si balla la break dance e l'hip hop nei party del pomeriggio e al chiaro di luna. Surfisti e scrittori, taxisti e ballerine si godono la luce di questa città bagnata dal sole praticamente tutti i giorni dell'anno».
(TGCOM24.it, 13 marzo 2013)
Accordo per il governo. Netanyahu si accorda col Lapid
Il premier designato israeliano Benjamin Netanyahu è riuscito a trovare un accordo per la formazione di un governo di colazione dopo le elezioni del 22 gennaio scorso. A sbloccare la situazione l'assegnazione del ministero dell'Istruzione alla formazione laica e centrista Yesh Atid di Yar lapid (la sorpresa del voto). Intesa che lascera' fuori dal governo per la prima volta da anni le formazioni della destra religiosa. Lo riferiscono i media israeliani. A tre giorni dalla scadenza dei termini concessigli dalla legge Netanyahu ha ottenuto oltre ai 31 deputati della lista Likud-Beitenu, potra' contare su almeno 68 seggi su 120 alla Knesset. Ai suoi si aggiungono i 19 parlamentari di Lapid e i 12 dell'estrema destra laica nazionalista 'Casa Ebraica' di Naftali Bennett, cui si sommano i 6 voti del centrista Hatnua di Tzipi Livni, ministro della Giustizia in pectore, la prima formazione ad aver accettato l'offerta di Netanyahu. A questi si protrebbero aggiungere all'ultimo due parlamentari di Kadima. I leader si vedranno in serata per formalizzare l'accordo.
(affaritaliani.it, 13 marzo 2013)
Netanyahu ha risposto
di Marcello Cicchese
Le cose sono andate così.
Dopo il voltafaccia fatto dal governo italiano nell'approvazione del voto sulla "Palestina" come membro osservatore dell'Onu, vigliaccata compiuta motu proprio dall'attuale Presidente "tecnico" del Consiglio, Mario Monti, con la tutela del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e l'approvazione del leader della sinistra, Pier Luigi Bersani, la delusione e l'amarezza erano aggravate in me dalle critiche che in quei giorni la stampa nazionale rivolgeva al Premier dello Stato d'Israele, Benjamin Netanyahu, per il modo in cui aveva temporaneamente risolto la questione dei missili che Hamas dalla striscia di Gaza faceva piovere sul territorio israeliano. Sotto l'impulso di fare o dire qualcosa, una sera ho pensato di scrivere una virtuale lettera aperta a Netanyahu con cui esprimere, in una forma il cui aspetto puramente letterario era dimostrato dal fatto che lo chiamavo confidenzialmente Bibì, pensieri e valutazioni sull'argomento. Ho preso carta e penna - si diceva una volta -, adesso invece dico che mi sono messo davanti al computer e ho continuato a scrivere, correggendo e limando, fino a tarda notte.
La mattina successiva la "lettera aperta" era sul sito di "Notizie su Israele", e quella stessa mattina ho ricevuto dal presidente di Edipi, Ivan Basana, un'inaspettata telefonata in cui mi esprimeva il suo desiderio di far tradurre in inglese quella lettera e di consegnarla, nell'incontro che sarebbe avvenuto a Roma alcuni giorni dopo, all'ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, affinché la facesse pervenire a Netanyahu. Così ha fatto e così è avvenuto: la lettera è arrivata sul tavolo del Primo Ministro israeliano.
Ma il fatto ancora più inaspettato è che Netanyahu ha risposto, e non come il confidenziale Bibì a cui mi ero rivolto, ma proprio come il Rosh haMemshalah, il Capo del Governo dello Stato d'Israele, consegnando in forma ufficiale una lettera a Dani Viterbo, responsabile di Keren Hayesod in Italia, affinché la consegnasse personalmente a me, e per conoscenza a Ivan Basana, nella sede dell'Associazione Edipi a Padova. Cosa che è avvenuta nella giornata di ieri.
Poiché la mia lettera aperta era stata pensata per i lettori di "Notizie su Israele", è giusto che gli stessi lettori ne conoscano la risposta, che qui riporto senza tradurla, nella forma originale inglese.
Terminavo quella lettera aperta dicendo di essere certo di "intepretare il sentimento sincero di molti miei fratelli in fede": invito quindi questi fratelli a considerare la risposta di Netanyahu come rivolta a tutti loro, affinché ne traggano consolazione e stimolo ad andare avanti nel loro lavoro di amorevole sostegno alla causa d'Israele.
Eci Telecom ha usato un cavo della connazionale Bezeq per trasmettere 100 G di traffico coerente fra Tel Aviv e Bari. Il trail per dimostrare che è possibile amplificare la potenza dei cavi sottomarini
di Patrizia Licata
Un viaggio andata e ritorno da Israele all'Italia che prova le potenzialità delle Ngn basate su tecnologia ottica coerente, anche lungo un cavo sottomarino. La trasmissione è stata condotta con successo da Eci Telecom (fornitore di soluzioni per reti Ngn a livello globale) sul cavo sottomarino internazionale Jonah di proprietà di Bezeq International (la principale telco israeliana): coprendo una distanza totale di 4.600 km, da Tel Aviv a Bari e ritorno, è stato trasportato traffico coerente 100 G senza rigenerazione del segnale ottico usando i prodotti Apollo Omlt (la famiglia di piattaforme Eci per il trasporto ottimizzato multi-layer).
L'impiego del 100 G permette di trasmettere più dati più velocemente su distanze maggiori. Applicando la tecnologia avanzata di correzione d'errore Sd-Fec (Advanced coherent soft-decision forward error correction), l'impiego di queste reti rende possibile per gli operatori mobili di tutto il mondo offrire servizi di nuova generazione senza dover affrontare investimenti onerosi.
Il trail 100G si è svolto sul cavo sottomarino di Bezeq International in collaborazione con il Consorzio Tera Santa (creato nel 2011 da un gruppo di aziende tecnologiche e cinque università israeliane per sviluppare la prima rete mondiale 1 T basata su Ofdm, con fondi dell'Israeli chief scientist office) come parte della sua ricerca sul comportamento del canale adattivo coerente su lunga distanza. L'esperimento ha dimostrato che il sistema di trasmissione e le tecnologie 100 G di Eci riescono efficacemente a compensare l'insorgenza di effetti non lineari sul canale e la dispersione cromatica usando avanzati algoritmi Sd-Fec. Da parte sua la tessera transponder Apollo 100 G migliora significativamente la capacità del cavo ottico alleviando la congestione del traffico e abilitando nuove applicazioni.
Eci ha già implementato o testato soluzioni 100 G sulle reti di diversi clienti in tutto il mondo e ora ha dimostrato di poter applicare la sua tecnologia anche ai cavi sottomarini. "Eci ha di nuovo dato prova della potenza delle prestazioni della sua tecnologia di trasmissione ottica coerente", sottolinea Eran Dariel, GM Portfolio Business, Eci Telecom. "I canali 100 G dell'Apollo Omlt permettono agli operatori del cavo sottomarino di accresce notevolmente la capacità su collegamenti molto costosi con il minimo degli interventi sulla rete".
(Corriere delle Comunicazioni, 13 marzo 2013)
Expo 2015, posto d'onore per Israele e sua agricoltura high-tech
MILANO - Israele e la sua agricoltura super tecnologica avranno un posto d'onore all'interno dell'Expo 2015. Il suo padiglione di 2.400 metri quadrati sarà infatti l'unico confinante con quello italiano e mostrerà soprattutto le tecniche d'avanguardia che in quel Paese hanno reso coltivabile anche il deserto attraverso una gestione molto attenta dell'acqua. Un patrimonio di conoscenza che se fosse diffuso in tutto il mondo risolverebbe il problema della denutrzione. Israele è il trentacinquesimo Paese ad avere firmato il contratto di partecipazione, e l'amministratore delegato della società Expo 2015, Giuseppe Sala, ha garantito che altri dieci lo faranno nei prossimi giorni. "Questi numeri sono, a un po' meno di 800 giorni dall'apertura, superiori a quello di Shanghai che è stata la più grande Expo che si ricordi. Di questo non possiamo che essere fieri e grati a chi ci ha dato tanta fiducia. I 123 Paesi che hanno aderito significano l'80% della popolazione mondiale e nei prossimi giorni speriamo di avere qualche altra adesione importante".
(tiscali, 13 marzo 2013)
"Le Note della Memoria: la musica 'spezzata' della Shoah"
CD presentato all'Università degli Studi di Salerno
Venerdì 15 marzo 2013 ore 12.15 presso l' Aula Magna Università di Salerno si terrà la presentazione del CD "Le Note della Memoria: la musica 'spezzata' della Shoah".
Il progetto è stato realizzato dal Conservatorio statale di Musica "Nicola Sala" a cura del Mo Rossella Vendemia. Questo l'organico che si esibirà in concerto: ottavino Erica Parente, flauti Vittorio Coviello, Erica Parente, Rosalba Pettrone, clarinetti Agostino Napolitano, Alessandro Verrillo, violini, Mariarosa Grande, Federica Sarracco, violoncello Emilio Mottola, percussioni Christian Di Meola, pianoforte Lucio Maioriello e Domenico Palmieri, voce narrante e recitante Davide Giangregorio.
Questi invece i brani in programma: Die Moorsoldaten, A Compiègne, Canzone del Ghetto di Varsavia, Antonio, Ninna nanna del figlio nel crematorio, L'Evaso, Buchenwalder Lagerlied, Quando la guerra finirà. "Le Note della Memoria: la musica spezzata della Shoah" consiste nell'elaborazione articolata e completa di partiture musicali composte nei campi di concentramento.
L'opera, arricchita da un'introduzione storica a ciascuna corrispondente parte musicale, è stata realizzata attraverso l'integrazione di ottime competenze tecniche ed esecutive. La versione strumentale dei canti è stata realizzata da Domenico Palmieri.
Il 27 gennaio 2012 il CD "Le Note della Memoria: la musica 'spezzata' della Shoah" è risultato vincitore del Premio "I Giovani ricordano la Shoah" promosso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Direzione Generale Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche, sotto l'Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.