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Notizie su Israele 199 - 2 ottobre 2003

1. Buon anno, Israele!
2. Raccondo mediorientale
3. Abu Ala: sintetico profilo politico del Primo Ministro palestinese
4. I rapporti tra ebrei americani e cristiani evangelici
5. Bambini mandati allo sbaraglio dai terroristi palestinesi
6. Notizie in breve
7. Libri
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 60:1-3. «Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta, e la gloria del SIGNORE è spuntata sopra di te! Infatti, ecco, le tenebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli; ma su di te sorge il Signore e la sua gloria appare su di te. Le nazioni cammineranno alla tua luce, i re allo splendore della tua aurora.».

1. BUON ANNO, ISRAELE!

    
Il lago di Galilea




Shanà Tovà


di Deborah Fait
    
Alcuni anni fa, prima che incominciasse questa terribile guerra chiamata "seconda intifada", la televisione israeliana, tra un programma e l'altro, mandava in onda il visetto di una bellissima bambina che con un sorriso pieno di fossette augurava "Shana' Tova' Israel".
     Era un periodo di tranquillita' anche se non di pace, era un periodo pieno di speranze poi crollate miseramente e tragicamente, era un periodo in cui gli israeliani si sentivano generosamente pronti ad accettare qualsiasi concessione pur di poter incominciare una vita normale, senza paura di andare in autobus o al bar sotto casa.
     Quel visetto e quel sorriso pieno di fossette sono scomparsi nel terrore che ci ha colpiti e oggi, a pochi giorni dal nuovo anno ebraico, 5764, non c'e' gioia, non c'e' aspettativa, siamo tristi, stanchi, mortalmente stanchi e viviamo nella paura che i terroristi palestinesi approfittino, come sempre fanno, delle nostre feste per colpirci, ricoprire ancora una volta le nostre strade di sangue e di fuoco e sommergere la nostra gente di lacrime e dolore.
     Dopo tre anni di guerra e nessuna speranza all'orizzonte, il mondo ci condanna perche' vogliamo espellere il responsabile della nostra tragedia, il nostro mortale nemico.
     Dopo tre anni di guerra abbiamo dovuto vedere ancora una volta i pacifisti duri e puri correre ad abbracciare Arafat mentre i corpi delle nostre ultime vittime ancora bruciavano sull'asfalto e lui, il nostro nemico, mandava baci e sorrisi a tutti quelli che lo acclamavano. Ma perche' poi lo acclamavano? Quale puo' essere il motivo per cui un terrorista viene acclamato?
     Quindici morti tra noi, gli ultimi, 900 milioni di dollari rubati ai palestinesi e messi sui suoi conti privati eppure il mondo lo acclama.
     Incredibile!
     116 paesi su 133 votano contro Israele in suo favore, si leggono articoli pieni di livore: Arafat e' il leader eletto dei palestinesi, non si tocca!
     Nelle dittature arabe, compresa quella palestinese, le presidenze durano a vita ma questo non disturba il democratico occidente. Sembra sia normale cosi'.
     Arafat e' stato eletto nel 1996, con elezioni imposte e truccate. Fino a quando sara' "presidente democraticamente eletto" come hanno la sfrontatezza di dire i suoi ammiratori?
     Quanti oppositori politici potra' ancora appendere per i piedi ai pali della luce, esposti, dopo averli sventrati, al ludibrio della folla?
     Quanti miliardi di dollari potra' ancora rubare?
     Quanti ebrei potra' ancora far ammazzare?
     Quante porcherie sara' ancora libero di fare questo vecchio acclamato dal mondo e difeso dalle nazioni?
     Ci ha negato la pace e ci ha rubato la speranza per la sua sete di potere eppure dopo tre anni di guerra dobbiamo assistere ancora e soltanto alla diffamazione di Israele.
     Cosa avete in testa, Signori del mondo? e cosa avete nel cuore?
     Fra due giorni in Israele festeggeremo il nuovo anno e tutti speriamo di poterlo fare senza lacrime e sangue.
     Quella bella bambina col sorriso a fossette non si vede piu', al posto suo ci sono invece migliaia di bambini negli ospedali, bambini feriti, bruciati, bambini sopravissuti con biglie nel cervello, le biglie che i terroristi mescolano all'esplosivo per fare piu' male, bambini su sedie a rotelle, bambini morti anche se respirano. Mamme e papa' che piangono.
     A tutti questi piccoli figli di Israele rovinati dal vecchio che il mondo acclama e a tutti noi che siamo qui a soffrire nel nostro amato Paese , io dico:

"SHANA TOVA' ISRAEL - BUON ANNO ISRAELE"

(Informazione Corretta, 23 settembre 2003)



2. RACCONTO MEDIORIENTALE

La vera storia di OLA

di Avshalom Kor

    Suonano alla porta, sento tossicchiare, guardo attraverso l'occhiolino ma non si vede niente.
    Apro la porta e mi trovo davanti un uomo vestito elegantemente, baffi ben coltivati, anelli su tutte le dita, un classico arabo. Mi mostra un suo biglietto da visita. Il biglietto recita: Abdallah Al Fatah, padrone di IBM, General Motors, Renault, Fiat, Seven Up e dell'ONU.
    Lo faccio entrare, era il 1964. Per impressionarmi mi mostra la foto del grattacielo dell'ONU:"Sto per comprare questo palazzo".
    Gli chiedo: "A che ti serve un palazzo così enorme, non c'è nessuna privacy, è tutto di vetro."
    "E' semplicemente bello", mi spiega, "muri di marmo, corrimani d'oro, tanto vetro, mi piace e me lo posso permettere. Anche alle mie mogli piace, e cosa non si farebbe per soddisfare le proprie mogli?"
    Mi sembrava ricco questo ospite, Al Fatah, e non capivo perché era venuto da me. Uno dei più ricchi del mondo, che si può permettere tutto, perché viene da me, che tutto quello che ho è un modesto miniappartamento nel medioriente?
    Ma le cose si sono chiarite subito.
    Il signor Al Fatah tira fuori da un'elegante borsa foto di bambini vestiti di stracci, sdraiati in una tenda o sulla sabbia, e delle baracche pericolanti, e mi dice:
    "In queste condizioni vive mio fratello Ahmed, che è il tuo vicino, proprio nell'appartamento di fianco al tuo. Io e tutti i miei fratelli che possediamo tutti gli altri appartamenti di questo condominio non te la possiamo far passare liscia. Solo per colpa tua il nostro fratello Ahmed sta soffrendo così."
    Rispondo ad Al Fatah: "Nel 1948, quando siamo entrati nel nostro appartamento, Ahmed ha avanzato la pretesa, davanti al padrone di casa, un tale inglese, Lord Pill, di avere anche il mio appartamento. Lui, con tutti i suoi fratelli mi ha aggredito, e io sono stato costretto a difendermi. Alla fine abbiamo firmato un accordo a Rodi in cui Ahmed ha ricevuto una camera e un balcone del mio appartamento, adesso cosa volete di più?"
    Ma il ricco Al Fatah risponde arrabbiatissimo: "Ma i figli di Ahmed sono profughi!"
    Faccio le spallucce e rispondo:"Signor Al Fatah, perché non fai vivere la famiglia di Ahmed in una delle tue ville o dei tuoi appartamenti? O persino nel palazzo dell'Onu che mi hai fatto vedere? I soldi non ti mancano per sistemarli in modo decente."
    "Non si può", risponde Al Fatah, "Ahmed e i suoi figli sono profughi e noi insistiamo per farli entrare nel tuo appartamento per risolvere il loro problema."
    Cerco di convincerlo mostrandogli il mio piccolo appartamento:"Guarda che anche qui è pieno di profughi. Oltre a quelli arrivati dall'Europa, abbiamo i profughi cacciati dall'Iraq, dalla Siria, dall'Egitto, dal Marocco, dalla Tunisia, dall'Algeria, dallo Yemen, e anche da noi i problemi non mancano."
    Mister Al Fatah diventa paonazzo come la sua cravatta: "I tuoi non sono «profughi», sono «nuovi immigrati» che sono stati sistemati e stanno bene. Profughi sono solo mio fratello Ahmed e la sua famiglia. E ti avverto che se non li fai entrare nel tuo appartamento ci riuniremo tutti i vicini per cacciarti via di qua."

    Questo avveniva nel 1964, quando vivevo in un piccolo appartamento circondato da vicini ricchi, tutti fratelli di Ahmed. Così loro hanno costituito la OLA (Organizzazione per la Liberazione dell'Appartamento), per liberarmi della preoccupazione del possesso del mio piccolo appartamento.
    Questa loro organizzazione ha cominciato a fare esplodere i tubi che portano l'acqua nel mio appartamento, a tagliarmi le gomme della macchina, a spezzarmi i vetri delle finestre, rendendomi la vita molto dura.
    Dopo tre anni, nel 1967, hanno bloccato l'entrata del mio appartamento, minacciando di bastonare chiunque tentasse di entrare lì, e dopo mi hanno attaccato da tutte le direzioni. Il vicino di sopra ha cercato di saltare dentro al mio appartamento. Quello di sotto si è arrampicato lungo le grondaie, ma il peggio è stato Ahmed, che ha sparato diritto dentro al mio salotto e ha quasi fatto fuori mia moglie e mia cognata. Ho organizzato i profughi che erano con me nell'appartamento e li abbiamo respinti. E alla fine abbiamo cacciato anche Ahmed dal balcone che teneva occupato dal 1948 e da cui sparava dentro al mio salotto.
    Il fatto che mi sono reimpossessato del balcone ha calmato per un po' Ahmed e la sua OLA, ma poco dopo ha cominciato a terrorizzare tutti i miei amici, prendendo degli ostaggi, mettendo delle bombe, dirottando degli aerei, assassinando degli atleti. Oltre a questo ha cominciato una campagna di disinformazione, dicendo che quello che lui voleva era soltanto riavere indietro il balcone che gli avevo portato via nel 1967, quando mi sparava dentro casa.
    Tutta la gente, molto impegnata nel suo tran tran quotidiano (debiti, mutuo, elettrodomestici) ha cercato di convincermi dicendo:"Assalonne", mi ripetevano innumerevoli volte, "dagli il balcone, tutto quello che vuole è soltanto la liberazione del balcone."
    Ma io ho sempre risposto:"Questa organizzazione non vuole liberare il balcone, vuole liberare tutto l'appartamento, si chiama OLA e questa OLA l'hanno costituita nel 1964 quando il balcone era nelle loro mani… e poi attraverso questi muri sottili sento i loro preparativi per cacciarmi di qua."

    Poi, nel 1973, proprio mentre stavo digiunando durante lo Yom Kippur, mi hanno di nuovo attaccato, assalendo il mio appartamento, sia il vicino di sopra che il vicino di sotto. Sono riuscito a respingerli, ma è stata dura. Più tardi, riposandomi nel mio salotto pensavo :"Che fortuna che mi sono tenuto il balcone, mia moglie ha sentito gli spari, ma almeno non sono riusciti a spararci dentro al salotto e nessuno è riuscito ad avvicinarsi a lei."
    Sembrava ragionevole andare avanti così, fino a che sono arrivati i geniali architettidell'accordo di Oslo che hanno riportato dentro Ahmed, riconsegnandogli il balcone. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

(tradotto e diffuso da Yosef Tiles)


3. ABU ALA: SINTETICO PROFILO POLITICO DEL PRIMO MINISTRO PALESTINESE


Il 7 settembre 2003, il Comitato centrale del movimento Fatah e il Comitato esecutivo dell'OLP hanno approvato la nomina del presidente del Consiglio legislativo palestinese, Ahmad Qurei', conosciuto anche come Abu Ala, all'incarico di primo ministro palestinese.
    La nomina di Abu Ala è avvenuta alcuni giorni dopo le dimissioni di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), a causa di gravi dissidi all'interno di Fatah. A differenza della nomina di Abu Mazen, avvenuta in conseguenza a pressioni esterne e non gradita da Yasser Arafat, il nome di Abu Ala è stato scelto da Arafat. Segue un breve profilo politico di Abu Ala, che mette a fuoco il suo atteggiamento nei confronti del conflitto con Israele, del processo di pace e dello status finale.


Il processo politico. Gli accordi di Oslo

Abu Ala, uno degli artefici degli accordi di Oslo, ritiene che "la prima Intifada ha determinato Oslo, che rappresenta un risultato importante perché ha portato a diverse conquiste senza dover dare niente in cambio."(1)

Nonostante l'Intifada Al-Aqsa, ha spiegato, gli accordi di Oslo sono ancora validi: "Il problema non è Oslo, ma la politica israeliana, che è incapace di mettere in pratica Oslo e di conseguenza non può attenersi alle risoluzioni dell'ONU…"

"Oslo non è morto e non è concluso, perché se fosse morto o concluso, sarebbe scomparsa ogni sua traccia. E' vero che Israele sta cercando, e ha già cercato in passato, di sottrarsi a tutti i suoi doveri, ma [Oslo] è ancora fonte autorevole e base ancora esistente che influenza le relazioni israelo-palestinesi, nonostante l'aggressione e le violazioni israeliane."(2)


Camp David e il piano Clinton

In qualità di membro del gruppo negoziale palestinese, Abu Ala ha parlato del summit di Camp David del luglio 2000 in diverse occasioni. In un'intervista con il quotidiano dell'ANP, Al-Ayyam, Abu Ala ha affermato: "Nei negoziati di Camp David non è stata presentata nessuna nuova posizione israeliana. Al contrario, le stesse inaccettabili posizioni presentate nei negoziati [precedenti] sono state riproposte."(3)

Secondo quanto riportato dal quotidiano dell'Oman, Al-Watan, Abu Ala ha affermato che non avrebbe accettato quello che gli israeliani proponevano a Camp David, con il sostegno degli americani, "neanche se venisse offerto una volta ogni cent'anni, perché quel che è necessario è un accordo di pace completo e attuabile, che porti stabilità e sicurezza per entrambi i popoli allo stesso modo… Barak voleva raggiungere un accordo con i palestinesi e al suo popolo appariva come un eroe. Ma le sue proposte non erano assolutamente sufficienti per raggiungere un simile accordo. Si era illuso che invitare il presidente Arafat al summit avrebbe portato la dirigenza palestinese ad accettare quello che le veniva offerto. Questo non è accaduto e non accadrà mai."(4)

In un'intervista con il quotidiano libanese, Al-Nahar, Abu Ala afferma di aver previsto il fallimento di Camp David e di aver perfino cercato di evitare di parteciparvi: "Non ci sono dubbi sul fatto che il presidente Clinton fosse deciso a raggiungere una soluzione per il conflitto palestinese-israeliano e che [nel tentativo di riuscirvi] abbia fatto uno sforzo straordinario, di questo sono testimone. Ma mancava un partner israeliano serio."

"Prima di Camp David, non ci sono stati negoziati seri a Stoccolma. Li ho condotti personalmente con [l'allora ministro degli esteri israeliano] Shlomo Ben-Ami. Non fu raggiunta una soluzione utile, ma si fecero molti progressi. Ad esempio, si concordò che il confine orientale dello stato palestinese dovesse andare da Beit She'an nel Nord fino al Mar Morto a Sud. Poi siamo passati a parlare dell'Ovest e siamo quasi riusciti a raggiungere [un accordo] riguardo alle frontiere occidentali. Stabilimmo il principio secondo il quale i confini restavano quelli del 1967 con adattamenti reciproci. Questa è la prima volta che affronto questo argomento, perché voglio parlare di Camp David."

"Venti giorni prima di Camp David, Shlomo Ben-Ami venne da me e mi disse:'Dobbiamo andare al summit di Camp David.' Io gli risposi: 'Se il divario fra noi non è colmato, [anche] se piccolo, sarà un fallimento. E' inconcepibile che i leader vengano al summit per affrontare la questione da cima a fondo. Ma se noi andiamo al summit con posizioni chiare, questo è un altro discorso.'

"Ci recammo a Camp David senza posizioni chiare e fu questo a causare il fallimento. Lo dissi in pubblico dopo che fu comunicato l'invito [americano] a Camp David. Cercai di evitare di partecipare al summit, ma poi ci andai e ci furono problemi. Gli israeliani e gli americani non proposero assolutamente nulla, su diverse questioni, cui i palestinesi avrebbero potuto dire 'sì' e il summit fallì. Ciò non significa che qualcuno possa incolparci del fallimento del summit. I nostri diritti sono sacri e non possiamo rinunciarvi. Se Camp David fosse stato [solo] una fase dei negoziati, allora l'avrei giudicato ottimo. Ma visto che si trattava di un summit dove si prendevano decisioni, fu un fallimento."(5)

Riguardo al proseguimento dei negoziati dopo il fallimento di Camp David, ha spiegato: "Perché possa essere convocato un ulteriore summit, la posizione israeliana deve avvicinarsi a quella palestinese, e non il contrario, perché i palestinesi non sono la parte che si arrende alle pressioni." Abu Ala ha affermato che i palestinesi volevano riprendere i colloqui "da dove li abbiamo conclusi" e che "le concessioni sottoposte a condizioni mantenevano la propria validità.(6) Ha detto inoltre: "Le regole del gioco sono cambiate. Ora è necessario mettere in atto le legittime decisioni internazionali e non tornare ai negoziati, secondo le regole precedenti… Dopo Camp David, ci convincemmo che il governo israeliano avrebbe tentato di imporre le proprie posizioni alla parte palestinese con la forza. Ma il popolo palestinese ha contrastato i tentativi di Barak, rimanendo fedele ai propri principi nazionali."(7)

Anche l'atteggiamento palestinese di rifiuto del piano di pace di Clinton, nel dicembre del 2000, fu sostenuto da Abu Ala: "Rifiutammo di accettare l'iniziativa di Clinton come base per i negoziati. Gli israeliani dissero che doveva essere considerata come una base [per il negoziato], ma noi la rifiutammo, e quando Clinton disse che l'80% dei coloni sarebbe stato assorbito [negli insediamenti], chiedemmo: Secondo quale criterio?! Con quale logica? Questi criteri sono insensati e quindi non li consideriamo come una base [per i negoziati]. La base, per quel che ci riguarda, è la legalità internazionale."(8)


La questione dello status finale. L'accordo definitivo della questione di Gerusalemme

Secondo Abu Ala, Gerusalemme Est in generale, e Al-Haram Al-Sharif in particolare, la zona delle moschee sul Monte del Tempio, deve essere sotto l'esclusiva sovranità palestinese: "Gerusalemme è la causa più importante per la leadership palestinese" ha affermato "e non ci può essere la pace senza Gerusalemme, la cui restituzione [ai palestinesi] viene esplicitamente menzionata nelle risoluzioni internazionali."(9) Ha aggiunto "Il governo israeliano e i suoi funzionari devono sapere che lo Stato palestinese, agli occhi dei palestinesi in Cisgiordania, nella striscia [di Gaza] e nella diaspora, è Gerusalemme. Lo stato significa Gerusalemme e uno stato in cui Gerusalemme non sia capitale non sarebbe uno stato."(10)

Gerusalemme Est, secondo Abu Ala, deve essere sotto la sovranità palestinese e deve includere anche i quartieri ebraici, come French Hill e Ramat Eshkol(11). "Quando si parlerà di Gerusalemme" ha dichiarato "la parte palestinese discuterà delle proprietà palestinesi a Gerusalemme Ovest, come Ein Kerem."(12)

Nell'agosto 2000, Abu Ala ha affermato che accettare la proposta di compromesso israeliana a Camp David, secondo la quale ci sarebbe stata la sovranità palestinese sull'Al-Haram Al-Sharif e la sovranità israeliana per la zona sottostante, avrebbe significato commettere un'abiura: "[A Camp David], gli israeliani proposero la sovranità palestinese nella parte superiore e la sovranità israeliana nella parte inferiore. Chi avrebbe accettato una cosa simile? Proposero anche la sovranità palestinese con la supervisione israeliana. Una cosa simile non ha precedenti. Offrirono anche il controllo palestinese sotto la sovranità israeliana, una specie di rappresentanza diplomatica simile alla condizione dell'ambasciata palestinese in terra israeliana. Chiunque accetti una simile offerta tradisce la fede. Hanno proposto di dividere la città in quartieri: quartiere cristiano, quartiere musulmano, quartiere ebraico e quartiere armeno. La città non è mai stata divisa in quartieri, come propongono loro. Se ci sarà un soldato israeliano davanti a una delle porte della Città Vecchia, parlare di sovranità palestinese non ha senso."(13)

Nel luglio 2000, Abu Ala ha dichiarato al quotidiano palestinese Al-Ayyam: "In questo momento Gerusalemme è in pericolo. Le proposte americane e israeliane suonano come un complotto [allo scopo di] imporre nuovi stati di fatto nella città ed è quindi necessario sostenere la posizione palestinese, attraverso una risoluzione islamica [congiunta da parte degli stati islamici]."(14)

Nonostante queste posizioni, in un discorso al parlamento europeo di Strasburgo, in Francia, Abu Ala avanzò la proposta di "internazionalizzare Gerusalemme". L'offerta, in seguito respinta dalla dirigenza dell'ANP quando fu fatta da Shimon Peres, era basata sulla risoluzione 181 dell'Assemblea Generale dell'ONU del 1947, ossia la risoluzione della partizione UNFA del '47. Secondo la proposta di Abu Ala, se non si fosse raggiunto un accordo definitivo, le due parti della città sarebbero state unite, per diventare "la capitale del mondo", soggetta alla sovranità internazionale.(15)
piano della questione della moschea di Al-Aqsa."(16) del diritto al ritorno è sacro, e il problema dei profughi è sullo stesso "Gli accordi di Oslo sono riusciti a riportare più di 150.000 palestinesi nella loro patria", ha affermato. "Questo fa parte della nostra grande ambizione, far tornare tutti i profughi palestinesi, il nostro popolo, ai loro villaggi e città e ottenere per loro un risarcimento per le perdite e le sofferenze subite fin dal 1948."(17)

Già nel 1996, Abu Ala sosteneva che, oltre al diritto al ritorno, i profughi dovessero ricevere un risarcimento: "Il diritto al ritorno non cancella il diritto al risarcimento e il diritto al risarcimento non cancella il diritto al ritorno, non costituisce un suo sostituto, visto che si tratta di un risarcimento per l'espulsione dei profughi palestinesi dalla loro patria, la distruzione della loro


Riguardo alla questione dei profughi e al diritto al ritorno

La posizione di Abu Ala riguardo alla questione dei profughi

prosegue ->

palestinesi è che devono ritornare alle loro case e che "il principio struttura politica, sociale ed economica, l'interruzione del corso delle loro vite e lo sfruttamento delle loro terre e delle loro case, nel corso degli ultimi cinque decenni."(18)

In qualità di membro del gruppo negoziale palestinese, Abu Ala ha inoltre richiesto che Israele dovesse prima riconoscere il principio del diritto dei palestinesi a tornare alle proprie case e che solo a quel punto si sarebbe potuto cominciare a parlare dei metodi di attuazione: "Gli israeliani devono riconoscere la propria responsabilità politica, legale e morale per la tragedia dei profughi e devono riconoscere il diritto al ritorno dei profughi. Dopo che Israele avrà riconosciuto la risoluzione 194, si potranno discutere il meccanismo e i programmi per [attuare] il ritorno e, in seguito, il diritto dei profughi a ricevere un risarcimento…" (19)


L'Intifada di Al-Aqsa e la lotta contro Israele. Sostegno alla resistenza all'occupazione e opposizione agli attentati suicidi

Abu Ala ha rilasciato dichiarazioni a sostegno della resistenza palestinese all'occupazione, ma si è anche opposto agli attacchi suicidi all'interno di Israele. Durante una conferenza stampa a Ramallah, nell'ottobre 2000, ha dichiarato: "La resistenza del nostro popolo continuerà finché Israele non rispetterà la legge, le risoluzioni internazionali e i diritti nazionali palestinesi."(20) Nel novembre 2001 ha spiegato "Tutti gli sforzi per fermare l'Intifada falliranno, perché Israele e le altre parti affrontano la crisi come un problema di sicurezza, invitando a fermare le sparatorie e le azioni dimostrative e a tornare a un coordinamento sulla sicurezza, e non come un problema politico per il quale è necessario trovare una soluzione politica."(21)

Già nel 1996, Abu Ala non escludeva la possibilità che un conflitto violento con Israele potesse riprendere. Quando gli fu domandato, durante un'intervista con il quotidiano palestinese indipendente
  
  Yasser Arafat e Abu Ala
Al-Nahar, se "l'Intifada poteva ricominciare, nonostante la presenza della dirigenza palestinese a Gaza e in Cisgiordania?", rispose:"E' sicuramente possibile, se non ci saranno alternative. Oggi ne abbiamo due: o il processo di pace continuerà oppure verrà intrapresa una lotta con qualsiasi mezzo, comprese le sassaiole contro l'occupante. La risposta all'occupazione sarà più pericolosa dell'Intifada. Vengono distribuite armi e l'organizzazione è migliore rispetto al passato. Un'opzione alternativa alla pace sarà difficile per gli israeliani. Lo hanno capito dopo l'Intifada di Gerusalemme [del settembre 1996], che ha lanciato loro il messaggio sulla possibilità che tutti i palestinesi si uniscano contro l'occupazione, a cominciare dai bambini, e anche gli anziani e la polizia. Gli israeliani devono capire che abbiamo possibilità di scegliere tra diverse alternative."(22)

Nel 1998 ha rilasciato una dichiarazione simile: "La leadership che lanciava le pietre è pronta a tornare a usarle per liberare il popolo e la terra."(23)

Nel corso dell'Intifada Al-Aqsa, Abu Ala ha espresso la propria opposizione agli attacchi suicidi all'interno d'Israele, sostenendo al tempo stesso che l'Intifada aveva portato ai palestinesi risultati politici e che ne dovevano approfittare. A una domanda del quotidiano libanese Al-Nahar riguardante gli attacchi suicidi, ha risposto: "Personalmente, sostengo che sia necessario interrompere queste operazioni e dare una possibilità al processo di pace di tornare al suo percorso naturale. Questo perché credo che l'attuale Intifada abbia ottenuto molto e noi dobbiamo approfittarne."(24)


Sostegno della soluzione politica

Accanto al suo sostegno alla 'resistenza', Abu Ala ha spesso invitato a risolvere il conflitto attraverso la politica. In un'intervista con il quotidiano libanese Al-Nahar, ha spiegato: "Non dico che l'attuale Intifada debba finire, ma deve intraprendere un'altra strada e in un'altra direzione. Ci sono diversi modi in cui il nostro popolo può impegnarsi per esprimere la propria assoluta resistenza all'occupazione."(25)

Abu Ala ha inoltre affermato: "Il sangue non è l'unico mezzo per raggiungere i nostri obiettivi. C'è anche la lotta politica, culturale e sociale, e questi pure sono elementi della lotta per la nostra causa."(26)

Nel gennaio 2002, durante la visita di una delegazione di membri del Congresso Usa nel suo ufficio ad Abu Dis, ha sostenuto: "L'Autorità Palestinese capisce perfettamente che il mondo è entrato in una nuova era dopo gli eventi dell'11 settembre e per questo sta potenziando i propri sforzi per fermare la violenza e per riportare il processo di pace sulla sua rotta". (27)

Durante una visita a Parigi, Abu Ala ha affermato: "L'unico modo per ottenere un'effettiva apertura, che ci faccia uscire dall'attuale crisi, è una soluzione politica… C'è bisogno di un cambiamento nella mentalità di palestinesi e israeliani, come il cambiamento prodotto dalla firma dell'accordo di principio del 1993 fra Israele e i palestinesi. In quel momento, Israele dichiarò di riconoscere lo Stato di Palestina [che si sarebbe trovato all'interno] della linea di confine del 4 giugno 1967, Gerusalemme compresa, e la Palestina riconobbe lo Stato di Israele all'interno dei confini precedenti al 4 giugno 1967, il che significava la soluzione del 70% del problema."(28)


Negazione dell'identità ebraica di Israele

Abu Ala rifiuta l'identità ebraica d'Israele. Ha reso nota la sua opinione al quotidiano libanese Al-Nahar, riguardo le dichiarazioni sull'argomento del presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, nel giugno 2003 al summit di Aqaba: "Il discorso del presidente Bush, secondo il quale Israele è uno stato ebraico, ha destato una grande preoccupazione fra noi. Queste parole non avrebbero dovuto essere pronunciate. Il summit ha avuto dei risvolti positivi, come il risalto dato al fatto che lo stato palestinese è un diritto del popolo palestinese. Ma le questioni riguardanti la natura [di questo stato] verranno definite durante i negoziati…"

"Cosa significa 'stato ebraico'? Diciamo forse 'questo è uno stato ebraico, questo è uno stato sunnita, questo è sciita o alauita o quest'altro è cristiano?' Sono definizioni che getteranno la regione nel caos. Suscitano anche preoccupazioni riguardo al diritto di ritorno, che è un principio palestinese che nessuno deve discutere prima di tornare al tavolo delle trattative." (29)


Richiesta di attuazione del piano di partizione dell'ONU

Nonostante sia stato uno degli artefici degli accordi di Oslo, che fanno riferimento alle risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, Abu Ala ha minacciato, in seguito al ritardo nell'attuazione degli accordi, di pretendere la sovranità palestinese sui territori del 1948, come stabilito dal piano di spartizione dell'ONU del 1947.

In un articolo scritto per il quotidiano dell'ANP Al-Hayat Al-Jadida, Abu Ala ha affermato "La legittimità legale dello stato [palestinese] può essere rafforzata sottoponendolo al tribunale internazionale, che rimetterà in evidenza la legittimità dell'esistenza dello Stato di Palestina, con tutti i suoi diritti e doveri, come ogni altro stato del mondo. Allo stesso modo, deve essere sottolineato che questo paese ha dei confini che sono internazionalmente riconosciuti e si tratta dei confini stabiliti dal piano di spartizione."

"Non ci sono dubbi sul fatto che tutte le delibere, che hanno riconosciuto la fondazione dello stato arabo [in Palestina] sulla suddetta risoluzione, includono implicitamente il riconoscimento dei confini dello stato palestinese, per il quale esiste la legittimità di fondarlo [fin dal 1947] anche se a quell'epoca non è stato fatto."(30)

In un'altra occasione, Abu Ala ha dichiarato che, allo scopo di sollecitare Israele a compiere i propri doveri, "noi riconsidereremo i nostri doveri nei confronti di Israele e chiederemo di iniziare nuovi negoziati riguardo a Haifa, Jaffa e Safed…"(31)

Note:

(1) Al-Nahar (Libano), 12 giugno 2003.
(2) Arabic Media Internet Network
(3) Al-Ayyam (ANP), 30 luglio 2001.
(4) Al-Watan (Oman), 25 luglio 2001.
(5) Al-Nahar (Libano) 12 giugno 2003.
(6) Al-Ayyam (ANP), 30 luglio 2000.
(7) Al-Hayat Al-Jadida (ANP), 26 ottobre 2000.
(8) Al-Ayyam (ANP), 29 gennaio 2001.
(9) Al-Hayat Al-Jadida (ANP), 22 gennaio 1997.
(10) Al-Quds (Gerusalemme), 12 novembre 1997.
(11) Si veda l'intervista con Abu Ala su Independent Media Review and Analysis, 22 dicembre 1997.
(12) Al-Hayat Al-Jadida (ANP), 22 gennaio 1997.
(13) Al-Ayyam (ANP), 12 agosto 2000.
(14) Al-Ayyam (ANP), 30 luglio 2000.
(15) Al-Hayat Al-Jadida (ANP), 6 settembre 2000.
(16) Al-Hayat Al-Jadida (ANP), 20 dicembre 2000.
(17) Al-Ayyam (ANP), 13 settembre 1998.
(18) Al-Nahar (Gerusalemme), 28 giugno 1996.
(19) Al-Ayyam (ANP), 29 gennaio 2001.
(20) Al-Hayat (Londra), 26 ottobre 2000.
(21) Al-Quds (Gerusalemme), 26 novembre 2000.
(22) Al-Nahar (Gerusalemme), 27 dicembre 1996.
(23) New York Times, 3 dicembre 1998.
(24) Al-Nahar (Libano), 12 giugno 2003.
(25) Al-Nahar (Libano), 12 giugno 2003.
(26) 6 febbraio 2003.
(27) Al-Ayyam (ANP), 11 gennaio 2002.
(28) Al-Ayyam (ANP), 25 gennaio 2003.
(29) Al-Nahar (Libano), 12 giugno 2003.
(30) Al-Hayat Al-Jadida (ANP), 21 dicembre 1998.
(31) Al-Nahar (Gerusalemme), 28 giugno 1996.

(The Middle East Media Research Institute, 24.09.2003)


4. I RAPPORTI TRA EBREI AMERICANI E CRISTIANI EVANGELICI

Gli ebrei americani esitano ad allearsi con gli evangelici, che tuttavia restano i loro più fedeli alleati

del rabbino Yechiel Eckstein


Per cinismo o per ignoranza, gli ebrei americani sono ancora riluttanti ad allearsi con i cristiani evangelici fondamentalisti, che tuttavia, sono i più fedeli alleati d'Israele, afferma il rabbino Yechiel Eckstein.

    Se c'è un argomento che merita un'attenzione tutta particolare da parte della comunità ebraica degli Stati Uniti, questo è proprio il sostegno dei cristiani evangelici a Israele e al popolo ebraico.
    Tuttavia, se c'è un punto che è vistosamente assente dall'ordine del giorno della comunità ebraica, è proprio questo. Io sono ebreo, e da venticinque anni opero per le buone relazioni tra ebrei e cristiani evangelici. A questo proposito, sono testimone della cura che la comunità ebraica mette nell'evitare di occuparsi della questione. Risultato: nonostante l'impegno attivo della destra cristiana negli ultimi due decenni, molti ebrei continuano a rifiutare sistematicamente questa preziosa amicizia. Questo rigetto è dovuto al cinismo, all'ignoranza, alla paura, agli stereotipi e ai pregiudizi semplicistici verso i cristiani evangelici e le loro motivazioni. Si teme che questi sedicenti amici d'Israele cerchino unicamente di evangelizzare l'America, di promuovere una politica di estrema destra e di affrettare la "seconda venuta" [di Gesù Cristo] spedendo il più presto possibile tutti gli ebrei in Israele. In quanto rabbino ortodosso, non avrei molto interesse a difendere una comunità d'individui che mi vogliono convertire alla loro religione. Essendo il primo, e molto spesso il solo ebreo che ha costruito dei ponti con la comunità cristiana di destra, godo di una posizione favorevole per comprendere l'impegno pro-israeliano. E' evidente che la maggioranza degli evangelici è appassionatamente pro-israeliana perché l'amore e il sostegno al popolo ebraico fanno parte della loro religione. Secondo la loro interpretazione delle Sacre Scritture, gli ebrei sono in effetti il popolo eletto di Dio.
    Nel corso degli ultimi venti anni, la comunità evangelica ha fatto dono di più di 60 milioni di dollari all'Associazione di amicizia ebraico-cristiana che ho creata per sostenere Israele e gli ebrei più sprovvisti del pianeta. Questo denaro ha permesso di organizzare delle mense popolari a Gerusalemme, di fornire delle automobili blindate agli scolari israeliani, di nutrire persone anziane delle comunità ebraiche dell'ex Unione sovietica e di pagare dei corsi di formazione professionale a degli immigrati ebrei etiopi.
    I doni hanno anche assicurato l'aiuto e l'alià di ebrei d'Argentina e d'Etiopia e, recentemente, 400 ebrei americani hanno potuto stabilirsi in Israele [Notizie su Israele 104], il che rappresenta il più grande flusso d'immigrazione di ebrei americani verso la Terra promessa degli ultimi tempi. Secondo Sallai Meridor, presidente dell'Agenzia Ebraica per Israele, il sostegno della comunità cristiana evangelica ha permesso a più di 200.000 ebrei di fare la loro alià. In Israele, dove io stesso sono emigrato, questo aiuto è assolutamente benvenuto, mentre suscita diffidenza e critiche nella comunità ebraica degli Stati Uniti.
    Mentre altre chiese cristiane sono rimaste scandalosamente mute quando Israele è stato colpito in pieno dagli attacchi terroristi degli ultimi anni, la comunità evangelica ha investito somme enormi nella lotta contro il terrorismo, ha condannato senza appello quegli attentati ed è letteralmente scesa nelle strade di tutto il mondo per sostenere Israele. In paesi in cui il fatto di radunarsi in luoghi pubblici può far rischiare la vita, è sconvolgente vedere questi cristiani sfilare per sostenere Israele.
    Perfino i miei amici israeliani più ostili agli evangelici si sono rimessi in questione dopo aver assistito a queste scene. Lungi dall'essere antidemocratici, come dicono alcuni, i cristiani evangelici hanno saputo manifestare le loro idee in modo pienamente legale. La loro presenza e le loro possibilità sulla scena politica sono immense. E sono nostri amici fedeli. E' tempo che la comunità ebraica non sia più riluttante a un conveniente avvicinamento con loro.
   
(The Jewish Journal/ Courrier International, 16.09.2003)
  

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Altre informazioni si possono trovare su Notizie su Israele, numeri 103, 104, 123, 132, 133, 144.



5. BAMBINI MANDATI ALLO SBARAGLIO DAI TERRORISTI PALESTINESI

Una pattuglia delle Forze di Difesa israeliane ha arrestato venerdi' sera due adolescenti palestinesi di 15 e 16 anni che avevano tentato di superare a nord del passaggio di Sufa la barriera di sicurezza che separa la striscia di Gaza da Israele.
    Interrogati, i due hanno rivelato di essere stati mandati da un adulto palestinese a prelevare armi e altri materiali illegali. L'uomo aveva promesso del denaro ai due ragazzini se fossero riusciti ad attraversare il "confine", strettamente sorvegliato, e a portare all'interno della striscia di Gaza delle borse che erano state lasciate vicino alla barriera. Le borse dovevano contenere armi, un cellulare (spesso usato per fabbricare ordigni comandati a distanza) e altro materiale per attivita' aggressive. Successive ricerche nella zona hanno portato alla scoperta di due grossi ordigni da 40-50 kg l'uno, piazzati sulla strada solitamente usata dalle pattuglie israeliane.
    Fonti militari israeliane sottolineano che quello di venerdi' scorso non e' il primo caso in cui emerge in modo palese lo sfruttamento di bambini palestinesi mandati allo sbaraglio in azioni "paramilitari" da gruppi terroristici palestinesi. Solo un paio di settimane fa, il 14 settembre, due bambini palestinesi di 8 e 10 anni erano stati catturati dalle forze di sicurezza israeliane vicino alla barriera difensiva, presso il passaggio di Kissufim. I due avevano spiegato d'essere stati mandati da un adulto palestinese ad attraversare la barriera per "testare" la reazione delle Forze di Difesa israeliane.
    Lo scorso gennaio, due giovani fratelli palestinesi di 14 e 17 anni armati di coltelli vennero arrestati, e uno leggermente ferito, dopo che erano penetrati nell'abitato di Netzarim. Una settimana prima, tre adolescenti palestinesi di 15 e 16 anni, armati di coltelli, avevano tentato di introdursi nell'abitato di Alei Sinai.
    "Questi episodi sono la prova dell'uso cinico di ragazzini e bambini innocenti che le organizzazioni terroristiche palestinesi non esitano a fare pur di compiere attentati contro la popolazione israeliana", ha commentato una fonte militare israeliana, sottolineando che i casi di coinvolgimento di bambini e ragazzi nelle attivita' terroristiche sono in aumento, fino a includere persino il tentativo di usarli come attentatori suicidi. "E' il frutto dell'indottrinamento all'odio e della continua istigazione alla violenza contro Israele e gli israeliani cui questi giovanissimi palestinesi sono sottoposti", ha aggiunto la fonte.

(Jerusalem Post, 28.09.2003 - israele.net)



NOTIZIE IN BREVE

Il sindaco di Gerusalemme è ancora contrario alle visite al Tempio
Il sindaco di Gerusalemme, Lupolianski, un ebreo ortodosso, si è dichiarato ancora contrario alla visita di ebrei e cristiani alla spianata del Tempio, per ragioni politiche e religiose. Il compromesso raggiunto tra Israele e i musulmani, secondo cui i non musulmani non possono entrare nella spianata del Tempio, mostra che i musulmani sono ancora i padroni dei luoghi del Tempio.
   
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Palestinese ucciso come collaboratore
Un palestinese che avrebbe collaborato con Israele è stato gravemente ferito da altri palestinesi e trasportato nell'ospedale di Ramallah. Là i palestinesi lo hanno finito.

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Un altro pilota prende le distanze
Un altro pilota ha ritirato la sua firma dalla dichiarazione di rifiuto fatta qualche giorno fa da 27 piloti israeliani. Questo è il terzo pilota che cambia opinione in un secondo momento. In compenso, si è associato ai renitenti un altro pilota: Moshe Bokai, eroe della guerra del Sinai del 1956, che da 20 anni non è più attivo.

(NAI-Stimme aus Jerusalem, 02.10.2003)



7. LIBRI


LUCA PULEO, "Israele-Palestina, Storia, Giudizi e Pregiudizi", Proedi Editore, Rho (Milano), maggio 2003, € 15.

Il libro si presenta come un "Album visivo del conflitto arabo-israeliano, con prefazioni di Piero Ostellino e Angelo Pezzana. E'un lavoro molto ben fatto, sia storicamente che graficamente. Con pochi tratti, accompagnati da  molte cartine e fotografie, agevolate dal grande formato del libro, espone tutti i nodi essenziali del conflitto arabo-israeliano. Può essere letto in un paio d'ore, ma è tutt'altro che superficiale. E' particolarmente adatto per tutti coloro che hanno le idee confuse anche sui dati storici elementari della situazione mediorientale, ma può essere utile anche a chi è già familiare con l'argomento.



8. MUSICA E IMMAGINI

Lo Eamer Lach


9. INDIRIZZI INTERNET


The Jewish Journal

For the Sake of Zion



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