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Notizie marzo 2010

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Sondaggio: 21% dei coloni resisterebbe a uno sgombero con le armi

Per il 63% occorrerebbe un referendum

ROMA, 31 mar. - Il 21% dei coloni ebraici crede che un sgombero forzato degli insediamenti debba essere combattuto con ogni mezzo, compreso l'utilizzo delle armi: è quanto risulta da un sondaggio pubblicato dal quotidiano israeliano Ha'aretz, il quale sottolinea che in uno studio simile effettuato cinque anni fa solo il 15% diede la medesima risposta. Inoltre, il 63% dei coloni ritiene che un eventuale sgombero debba essere portato a termine solo dopo un referendum nazionale, e non una semplice decisione parlamentare; il 54% poi ritiene che il governo non abbia alcuna autorità per ordinare l'abbandono delle colonie; ma anche se un referendum approvasse lo sgombero degli insediamenti il 49% degli intervistati si rifiuterebbe comunque di lasciare la colonia. Da notare che fra la popolazione israeliana nel suo insieme il 72% ritiene che il governo abbia l'autorità per decidere uno sgombero, il 67% accetterebbe una decisione della Knesset e il 51% è favorevole ad un referendum. Il 60% degli israeliani è poi favorevole allo sgombero della maggior parte degli insediamenti cisgiordani (un punto percentuale in più rispetto al 2005); tra i coloni solo il 23% sarebbe d'accordo (cinque anni fa erano il 30%).
Il sondaggio è stato condotto su un campione di 501 adulti in Israele e di 506 adulti nelle colonie, con un margine di errore del 5% dovuto al fatto che lo studio del 2005 comprendeva anche i coloni della Striscia di Gaza che oggi risiedono in Israele.

(Apcom, 31 marzo 2010)

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Chi è l'esperto di diritti umani che accusa Israele e colleziona cimeli nazisti

Marc Garlasco, l'inviato di human rights watch si firmava "Heil Hitler"

di Giulio Meotti

Tira una brutta aria nel quartier generale di Human rights watch (Hrw) a Manhattan, che contende ad Amnesty International il primato e i finanziamenti nella battaglia per i diritti umani. E l'imbarazzo della celebre Ong ha un nome di origine italiana: Marc Garlasco. E' stato per anni il principale esperto militare dell'organizzazione, inviato in tutti i teatri di guerra, dall'Afghanistan a Gaza. Di giorno, Garlasco rispondeva ai giornalisti, accusando americani e israeliani delle peggiori nefandezze. Di notte, l'esperto si trasformava in "Flak88", il suo nickname nei forum nazistoidi. Garlasco era un accanito collezionista di cimeli hitleriani.

E' stato un blogger a notare come l'esperto militare scrivesse su Amazon recensioni entusiastiche di libri sul Terzo Reich. Come simbolo in rete, Garlasco aveva adottato una svastica. Flak88 è un nome in codice per un'arma tedesca e il corrispondente numerico di "Heil Hitler". Assidue erano le sue frequentazioni nei siti internet che inneggiano alla Wehrmacht (suo nonno aveva vestito la divisa della Luftwaffe). Il governo israeliano di Netanyahu aveva accusato più volte Hrw di parzialità.

Se all'inizio l'organizzazione aveva offerto sostegno a Garlasco, evocando perfino una "cospirazione" contro l'organizzazione, adesso è come se l'esperto militare non avesse mai lavorato per il Nobel per la pace. Lo scorso 5 marzo, scrive il quotidiano Times, il nome di Garlasco è scomparso dal sito di Hrw. Era stato lui a denunciare come "crimine di guerra" il lancio a Gaza di proiettili traccianti al fosforo, usato da tutti gli eserciti per illuminare il campo di battaglia. Ma Garlasco era in preda a una vera e propria febbre per i cimeli nazisti. E' il secondo incidente per la lobby dei diritti umani, dopo la denuncia del giro propagandistico alla ricerca di finanziamenti in un paese come l'Arabia Saudita. Il caso Garlasco non avrebbe attirato tanta attenzione se Hrw non avesse sposato una chiara linea antisraeliana. In poche settimane, l'organizzazione ha dedicato cinque rapporti a Israele. E per fare un raffronto, in vent'anni appena quattro memo sul conflitto in Kashmir, costato la vita a 80mila persone. E sulle repressioni in Iran, Hrw non ha scritto nulla.

Dalla imbarazzante cacciata di Garlasco, altre ombre emergono al vertice dell'organizzazione. Joe Stork, vicedirettore del dipartimento mediorientale, elogiò il massacro di atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco. E partecipò a una conferenza contro Israele promossa da Saddam Hussein. Darryl Li è l'uomo del Palestinian center for human rights, che definisce "atti di resistenza" gli attacchi contro i civili israeliani e che nel suo grossolano elenco delle vittime civili a Gaza enumera anche Nizzar Rayyan, il capo di Hamas che ha mandato uno dei figli a compiere un attentato suicida. Reed Brody è l'uomo che tentò di far processare in Belgio il premier israeliano Ariel Sharon e oggi dirige l'ufficio europeo di Hrw. Ci sono anche Charles Shamas, consulente dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, e Gary Sick, che ha invitato Ahmadinejad alla Columbia University.

La collezione di cimeli nazisti di Marc Garlasco
Ad accusare Human rights watch di bancarotta è stato perfino il suo leggendario fondatore, Robert Bernstein, per il quale Hrw "ha perso la prospettiva critica su un conflitto che ha visto Israele ripetutamente aggredito da Hamas e Hezbollah, due organizzazioni che si accaniscono contro i cittadini israeliani e usano la propria stessa gente come scudi umani". Il massimo esperto mondiale di uniformi hitleriane era anche quello che doveva giudicare la condotta degli israeliani in guerra. Troppo persino per un'organizzazione antipatizzante verso Israele come Human rights watch. Un'organizzazione che era nata con altri intenti in un piccolo appartamento nel cuore di Mosca, dove quarant'anni fa si riunivano i dissidenti sovietici assieme all'americano Bernstein. Fra di loro c'era anche Nathan Sharansky.

(Il Foglio, 31 marzo 2010)

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Da un sito pro Hamas

Bardawil: litigi utili tra Israele e Occidente

GAZA - Ma'an. I diplomatici arabi e palestinesi devono approfittare delle divisioni tra Israele e l'Europa per incoraggiare gli stati dell'UE a negare ogni favore allo Stato israeliano e all'occupazione: lo ha sostenuto ieri il leader di Hamas Salah Bardawil in un comunicato.
Le sue dichiarazioni sono seguite all'annuncio da parte del Regno Unito di una prossima revisione del proprio accordo con Israele sugli armamenti. La decisione s'inserisce nel contesto dell'espulsione di un ambasciatore israeliano che Londra ritiene sia coinvolto nella falsificazione di alcuni passaporti, usati due mesi fa dal Mossad per entrare negli Emirati Arabi e assassinare un altro leader di Hamas.
L'Unione Europea ha annunciato a sua volta, all'inizio di questo mese, che i beni esportati da Israele e prodotti nelle colonie non saranno inclusi negli accordi commerciali tra le due entità governative; tuttavia, un recente incontro tra i ministri degli Esteri degli Stati membri ha deciso di approvare un accordo sulla maggior integrazione del commercio di alcuni prodotti industriali.
"Nonostante stiano emergendo lentamente - ha commentato Bardawil - questi sviluppi riflettono una crescente consapevolezza da parte dell'Europa riguardo alla realtà dell'occupazione israeliana, e mostrano quanto sia pericoloso ottenere la pace e la stabilità non solo in Medio Oriente, ma nel mondo intero".
Il leader palestinese ha riservato parole di speranza anche nei confronti di una svolta nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele, affermando che Washington potrebbe riconsiderare il suo sostegno a Tel Aviv per evitare di danneggiare gli altri suoi interessi in Medio Oriente.

(Infopal, 31 marzo 2010)

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Israele, la terra promessa dell'anonimato

Una sentenza stabilisce garanzie per l'anonimato dei netizen: un indirizzo IP non può svelare un nome. Almeno fino a che il legislatore non metterà in campo normative ad hoc

ROMA - La Corte Suprema di Israele ha deciso che non esiste una procedura civile per risalire attraverso un indirizzo IP all'identità degli utenti.
Fintantoché tale possibilità non venga esplicitamente prevista dal legislatore, ogni post e attività sulla Rete può rimanere anonima e viene così riconosciuto il diritto alla privacy, reso di fatto un diritto costituzionale.
Il caso riguardava un praticante di medicina alternativa che riteneva essere stato calunniato online: per svelare la sua identità si era dunque indirizzato al tribunale, che però ha rilevato non esistere una procedura che gli permettesse di oltrepassare il velo d'anonimato garantito dall'agire in rete. Mancando una procedura civile è solo tramite il procedimento penale che si può, eventualmente, procedere ad identificare un'utenza.

(PuntoInformatico, 31 marzo 2010)

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Ferrara - Le carte della memoria in mostra alla biblioteca Ariostea


Prorogata fino al 22 maggio l'esposizione sugli ebrei ferraresi e le persecuzioni razziali

Il "viaggio attraverso i giacimenti culturali e librari della città" per ricostruire il lungo legame tra Ferrara e la sua comunità ebraica proseguirà fino al prossimo 22 maggio. Sarà infatti prolungata di alcune settimane l'apertura al pubblico dell'esposizione dal titolo "Le carte della memoria", allestita nella sala Ariosto della biblioteca Ariostea e promossa dal Museo del Risorgimento e della Resistenza, assieme alla stessa biblioteca Ariostea Fondi Rari e Manoscritti e all'Archivio Storico comunale.
La decisione intende soddisfare le richieste dei cittadini che ancora non sono riusciti ad ammirare i preziosi documenti esposti e consentirà di includere la mostra tra le iniziative della "Festa del libro ebraico in Italia" (17-21 aprile), alcune delle quali previste a Palazzo Paradiso.
L'esposizione, a cura di Delfina Tromboni, Mirna Bonazza e Giampiero Nasci con la collaborazione di Enrico Trevisani, resterà dunque aperta al pubblico fino al 22 maggio, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19....

(CronacaComune, 31 marzo 2010)

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Argelia, arrestato un agente del Mossad con passaporto falso

Il quotidiano in lingua araba Ennahar ha informato che le autorità di Argelia hanno arrestato la scorsa settimana, nella città di Hassi Messaoud, un agente del Mossad, il servizio segreto israeliano, in possesso di un passaforto falso.
Secondo la ricostruzione del giornale - che cita fonti della sigurezza argelina - l'agente del Mossad era arrivato a metà marzo da Barcellona con la falsa identità di uno spagnolo di 35 anni, Alberto, e rimase nella città circa dieci giorni prima di essere arrestato. La polizia argelina ha interrogato approfonditamente il presunto agente del Mossad prima di trasferirlo alla capitale.
Venerdì scorso il quotidiano arabo con sede a Londra "Asharq el Awsat" aveva rivelato che le autorità argeline stavano investigando il possibile sequestro di un israeliano che era entrato nel paese con un passaporte spagnolo da parte dell'organizzazione terrorista Al Quaida del Magreb Islamico (AQMI). Succesivamente, i media israeliani informarono che l'israeliano aveva parlato per telefono con la famiglia rivelando di essere sano e salvo. La fonte citata dal giornale informa che le autorità argeline autorizzarono all'uomo a parlare per telefono con la sua famiglia per smentire la notizia del suo sequestro.
Il giornale afferma che l'agente visitava regolarmente una mosquea e si faceva passare per un palestino originario di Gerusalemme occidentale, di nome Abu Amar. Nello stesso tempo assicura che l'uomo aveva relazioni con vari egiziani che lavoravano per la compagnia di costruzione e telecomunicazioni di questo paese, l'Orascom.
La stessa fonte relaziona questo caso con la visita lo scorso giovedì a Argeli del vicedirettore del FBI statunitense, John Pistole, che avrebbe cercato di intercede per l'israeliano dato che l'Argelia e Israele non hanno relazioni diplomatiche.

(NewsNotizie.it, 30 marzo 2010)

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Siracusa: dopo 500 anni gli ebrei del Mediterraneo si riuniscono in federazione

Stefano Di Mauro
Parte da Siracusa la costituzione della "Federazione delle Comunità ebraiche del bacino del Mediterraneo".
"La Federazione, costituita lo scorso 22 marzo con sede nel capoluogo aretuseo, riunirà tutti gli ebrei dell'Italia meridionale e di Malta- sottolinea il Rabbino capo Isaac Ben Avraham, al secolo dott. Stefano Di Mauro - molti dei quali ancor oggi continuano ad evitare di esporsi. Dopo 500 anni - prosegue - potremo avere più voce nei confronti degli Stati nazionali e rapporti diretti con lo Stato di Israele".
La Federazione ha il compito di rappresentare e tutelare gli ebrei, di stipulare intese e di stringere alleanze, rapporti ed adesioni con altre organizzazioni internazionali e nazionali con analoghi scopi.

(Siracusa News.it, 30 marzo 2010)

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Circa il 70 percento degli ebrei in Israele rinuncia al pane lievitato

GERUSALEMME - La maggioranza degli ebrei israeliani vuole rinunciare al pane lievitato durante gli otto giorni della festa di Pessach (Pasqua). La maggior parte di loro celebra un tradizionale Seder serale all'inizio della festa. E' il risultato di un'inchiesta condotta dall'organizzazione non-profit "Gescher" ("Ponte").
Alla domanda se avrebbero mangiato pane lievitato durante la festa di Pessach il 69 percento ha risposto "no". Il 19 per cento ha detto che avrebbe mangiato pane lievitato solo in privato, e non in pubblico per non ferire i sentimenti religiosi di altri ebrei. Il 12 percento ha detto che in pubblico avrebbe mangiato pane adatto.
Circa il 63 percento degli interrogati ha progettato un Seder tradizionale. Fa parte di questo una lettura estesa di testi riguardanti il tempo della schiavitù degli israeliti sotto gli egiziani e l'esodo dall'Egitto sotto la guida di Mosè avvenuta più di 3000 anni fa. Canti e preghiere completano il pasto serale, costituito da cibi con significato simbolico. Il 23 percento dei partecipanti all'inchiesta ha dichiarato che avrebbe letto solo la parte del racconto che riguarda la cena. Soltanto il 4 percento ha detto che avrebbe rinunciato del tutto al "racconto".
Ilan Geal-Dor, direttore generale di Gescher, si è detto soddisfatto dei risultati dell'inchiesta. "Più del 90 percento delle persone vuole celebrare il Seder, e questo è un numero incredibile", ha detto Geal-Dor al quotidiano "Yediot Aharonot". La sua organizzazione studia già da tre anni l'atteggiamento degli israeliani verso la festa di Pessach, e i risultati sono notevoli.
"Qualche volta sembra che gli israeliani hanno rigettato tutte le caratteristiche ebraiche, ma la nostra inchiesta mostra che questo non è vero. La società israeliana vuole mantenere in pubblico la sua identità ebraica. Ma non vuole pressione, e questo è il motivo per cui l'ebraismo deve rimanere aperto alla libera scelta di ciascuno", ha detto ancora Geal-Dor.
L'inchiesta è stata condotta su 300 ebrei in tutto il paese.

(www.israelnetz.com, 30 marzo 2010 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il progetto di legge sull'immigrazione discusso alla Knesset

Porte chiuse per i convertiti

di David Harris

Nella Knesset, vi è un tentativo di precludere a tutti i non ebrei che abbiano visitato Israele la possibilità di chiedere la cittadinanza israeliana secondo la Legge del Ritorno, se essi si convertono all'ebraismo successivamente alla loro visita. A parte l'ottusità di mettere in pericolo i legami con la vasta maggioranza della Diaspora, proprio nel momento in cui quei legami sono più importanti che mai per Israele, vi è l'insensibilità pura e semplice di tale mossa. Noi dovremmo essere una comunità accogliente, non chiusa. Ironicamente, noi piangiamo sui nostri numeri stazionari anche se noi stessi creiamo un percorso ad ostacoli per quei molti che trovano un significato nell'ebraismo e mostrano interesse a appartenervi....

(l'Opinione, 30 marzo 2010)

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Le giornate del libro ebraico nella Ferrara di Bassani

Giorgio Bassani
Ferrara ospiterà dal 17 al 21 aprile la prima festa del libro ebraico in Italia, promossa dal Museo nazionale dell'Ebraismo italiano e della Shoah, con il patrocinio del ministero per i Beni culturali, di Provincia e Comune e dell'Unione delle comunità ebraiche in Italia. Centro della manifestazione sarà l'ex convento di San Paolo, ma iniziative e itinerari coinvolgeranno tutta la città.
Nel salone d'onore del municipio sarà allestita un'esposizione di opere rare dell'editoria ebraica: incunaboli, cinquecentine, edizioni rare dei secoli più recenti. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 30 aprile. Il chiostro di San Paolo ospiterà per la durata della festa una libreria in cui si potranno acquistare testi contemporanei, spesso non facilmente accessibili: oltre 1.500 titoli, in pratica tutto ciò che l'editoria italiana ha in catalogo di autori ebrei o di temi ebraici. In una serie di incontri si alterneranno oltre quaranta autori. Sono previsti poi dibattiti su letteratura, filosofia, beni culturali, cultura rabbinica, e anche su grandi temi storici come le radici dell'antisemitismo, il fascismo, la Shoah. Gli studenti potranno confrontarsi con i rappresentanti di tre generazioni di ebrei italiani, e concerti testimonieranno le molte anime della musica di tradizione ebraica. Un'attenzione particolare sarà dedicata a Ferrara e al suo maggiore scrittore contemporaneo, Giorgio Bassani, mentre di «pregiudizi sugli ebrei, pregiudizi degli ebrei» discuteranno in una tavola rotonda Enrico Mentana, Ferruccio De Bortoli, Gian Arturo Ferrari, Arrigo Levi e Renato Mannheimer; durante l'incontro sarà proiettato un video inedito di Moni Ovadia.

(Brescia Oggi, 30 marzo 2010)

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Hamas invoca la conquista islamica di Roma

di Dimitri Buffa

"La profezia sulla conquista di Roma resta valida, per volontà di Allah. Così come Costantinopoli fu conquistata circa 500 anni fa, anche Roma sarà conquistata". Il genio islamico che ha fatto lo scorso 5 marzo questa profezia si chiama Yunis Al-Astal, di professione fa il telepredicatore d'odio sulla tv di Hamas, Al Aqsa tv. E questo perché, come dice dalla Tv con il piglio del telepredicatore occidentale, sul modello degli americani "tv evangelist," "Allah ha scelto te per Se stesso e per la Sua religione, in modo che tu possa agire come il motore che smuove questa nazione verso la fase della successione, della sicurezza e del consolidamento del potere ed anche a conquiste attraverso il da'wa (la predicazione) e le conquiste militari delle capitali del mondo intero." E che c'entra Roma? Ce lo spiega ancora una volta l'interessato: "Molto presto, per la volontà di Allah, Roma sarà conquistata, come già è accaduto per Costantinopoli e come era stato profetizzato dal nostro Profeta Maometto. Oggi Roma è la capitale dei cattolici, ovvero la capitale dei crociati, che ha dichiarato la sua ostilità all'Islam ed ha impiantato i figli delle scimmie in Palestina al fine di evitare il risveglio dell'Islam - questa loro capitale sarà l'avamposto delle conquiste islamiche che si spargeranno per tutta l'Europa in ogni dove, e poi si dirigerà verso le due Americhe e perfino nell'Europa dell'Est". Per chi non lo avesse capito "i figli delle scimmie in Palestina" sarebbero gli ebrei nello stato di Israele. Il sermone che chiunque voglia vederlo in arabo con i sottotitoli in inglese può andare sul sito di Memri, così si conclude: "Credo che i nostri figli ed i nostri nipoti erediteranno il nostro jihad ed i nostri sacrifici e, se Allah vorrà, i comandanti della conquista verranno dai loro stessi ranghi".
Per la cronaca non è stato questo l'unico caso di profezia sulla conquista di Roma da parte dell'Islam. Nel 2008 qualcosa di molto simile e sempre dalla tv di Hamas "Al Aqsa tv" era stato detto dall'ex-ministro giordano per gli affari religiosi Ali Al-Faqir. Che il 2 maggio 2008 giurava di conquistare la Spagna e Roma dichiarando che "l'America e l'Europa arriveranno presto alla fine". "Dobbiamo dichiarare che la Palestina dal fiume Giordano al mare Mediterraneo, è terra islamica e che la Spagna, cioè l'Andalusia, è anche terra islamica. Sono terre islamiche che sono state occupate dai nemici e che diventeranno nuovamente islamiche. Inoltre, andremo al di là di questi paesi che ad un certo punto sono stati perduti. Proclamiamo che conquisteremo Roma, come una volta è stata conquistata Costantinopoli". A quel punto intervenne lo pseudo intervistatore di Hamas con questa esclamazione: "in sha Allah", cioè se Dio vorrà, come si intitola anche uno dei più noti romanzi della compianta Oriana Fallaci. Al che l'ex ministro giordano ribadiva che ".. noi governeremo il mondo, come è stato detto dal Profeta Maometto". Aggiungendo anche che "...noi metteremo in campo un fronte di battaglia che è sempre più ampio e più forte. I suoi inizi sono stati in Palestina, in Iraq, in Afghanistan e in Cecenia. Quello che è stato cominciato sarà completato. Non si fermerà…". Perché, diceva nel 2008 l'ex ministro giordano, "questa mattina, su Al-Jazeera Tv, ho visto degli scienziati americani e teorici di strategia, dire che presto l'America arriverà alla sua fine. Lo avevano detto in precedenza per l'Urss e, indubbiamente è finita, e adesso noi diciamo che l'America e l'Europa arriveranno alla loro fine e che solo la crescente forza dell'Islam prevarrà." Insomma se questa è l'idea di fondo dei moderati come i giordani dovrebbero essere, quando parliamo di dialogo, senza sconfinare nei deliri anti islamici di alcuni partiti politici italiani ed europei, bisogna comunque sapere di chi e di cosa stiamo parlando.

(l'Opinione, 30 marzo 2010)

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L'israeliana Elbit System in lista nera anche in Svezia

Quattro fondi pensioni governativi della Svezia, che vantano asset complessivi pari a 800 miliardi di corone (81,8 miliardi di euro), hanno deciso di seguire le orme del Norwegian Government Pension Fund. Hanno infatti posto in lista nera l'israeliana Elbit Systems, che nel settembre scorso era stata esclusa dal ministro delle Finanze di Oslo per aver perpetrato nel tempo «un comportamento tale da costituire un inaccettabile contributo ad una serie di violazioni delle fondamentali norme etiche, in particolare per quanto concerne il coinvolgimento nella costruzione della barriera di separazione nei territori occupati, voluta dal governo di Gerusalemme».
Il muro di West Bank, dunque, costituisce un motivo di messa al bando anche per gli svedesi, che seguono così anche le indicazioni della Corte di giustizia internazionale che nel 2004 aveva dichiarato illegittima la costruzione della barriera. Una sentenza che il governo israeliano aveva snobbato.
Difficile, tuttavia, che la scelta di Stoccolma possa influenzare anche gli attuali più grandi azionisti della Elbit System, che secondo quanto riportato dal sito Responsible Investors sono attualmente Migdal Insurance, BlackRock Institutional Trust Co. e l'hedge fund Renaissance Technologies.

(Valori.it, 30 marzo 2010)

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Israele ribadisce la sua posizione su Gerusalemme: No a concessioni

I Ministri Begin e Lieberman restano intransigenti

ROMA, 29 mar. - Israele non ha intenzione di cedere alle richieste degli Stati Uniti su Gerusalemme e, secondo tre influenti ministri del governo Netanyahu, manterrà la propria posizione in merito alla costruzione di nuovi insediamenti nella zona Est della città santa.
Per Benny Begin, ministro senza portafoglio e membro del gabinetto dei sette ministri più vicini a Netanyahu, lo status di Gerusalemme può essere risolto solo attraverso negoziati diretti con i palestinesi, non in anticipo. "E' irritante e anche preoccupante" la richiesta statunitense, ha sottolineato Begin nel corso di un intervento a Radio Israele. "Questo mutamento porterà l'esatto contrario dell'effetto sperato: una radicalizzazione della politica degli arabi e dell'Autorità nazionale palestinese", ha detto Begin.
In un'intervista a un quotidiano israeliano, il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, ha ricordato come la richiesta di congelamento degli insediamenti da parte di Obama ricomprenda molti quartieri ebraici di Gerusalemme. "Non ho sentito nessuno tra i sette che sia disposto ad accettare questa richiesta", ha precisato il falco della destra israeliana. "Nei giorni passati ho capito che non c'è margine per altre concessioni".
Secondo il ministro della Difesa, Ehud Barak, unico esponente di centrosinistra nel gabinetto, solo Israele è responsabile della propria sicurezza, anche se è vitale avere relazioni forti con gli Stati Uniti. Per il leader del partito laburista comunque le richieste specifiche degli Stati Uniti sono meno importanti del messaggio inviato da Israele: lavorare assieme agli Usa per il processo di pace.

(Apcom, 29 marzo 2010)

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Yerushalaim - Capitale di Israele e città universale

di Donatella Di Cesare

Yerushalaim è grammaticalmente un duale. Il nome rinvia a un duplice compito. Può essere già in questa forma grammaticale la risposta alla questione che negli ultimi giorni è tornata in primo piano sia sulla scena politica internazionale sia all'interno del mondo ebraico. Comunque si giudichino gli insediamenti a Gerusalemme est, difendendoli a oltranza o distanziandosene con preoccupazione, occorre riflettere sul ruolo di Yerushalaim.
Gerusalemme indica che il popolo ebraico è un popolo come gli altri, ma è anche "di più". Perché ha un duplice compito che emerge proprio attraverso Gerusalemme: la soglia attraverso cui si passa, in Israele, dalla singolarità all'universalità. Nella tradizione ebraica Gerusalemme è al di fuori della spartizione delle terre perché è l'apertura mobile che permette l'unità, è il luogo del Tempio, la Residenza dell'Estraneità dell'Altro sulla terra. La condizione di questa Residenza, dell'apertura all'Altro, è che Gerusalemme sia capitale di Israele. Ma essere capitale dello Stato di Israele non basta. È a Yerushalaim che lo Stato degli ebrei può andare al di là dello Stato singolare, può accogliere l'estraneità dello straniero che sfugge alla sua sovranità.
In breve: per rispondere alla sua vocazione universale, Israele ha bisogno della sua singolarità, e Gerusalemme deve essere capitale. Ma è una strana capitale o, meglio, è il luogo dell'apertura all'estraneità. È attraverso questa apertura che è possibile la continuità e l'esistenza di Israele. È nel passaggio dalla singolarità all'universalità che si giocherà non solo il futuro dello Stato di Israele, ma la possibilità di un nuovo ordine del mondo. Scandalo per chi nel XXI secolo ragiona ancora con gli antiquati schemi del nazionalismo e del patriottismo, Yerushalaim dovrà essere città universale, aperta all'umanità, "pietra da carico per tutti i popoli" (Zaccaria 12, 3). È in questa Gerusalemme che - nella nostra Haggadah - promettiamo di esserci il prossimo anno.

(Notiziario Ucei, 29 marzo 2010)

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Israele, i preparativi alla Pasqua ebraica tra gli ultraortodossi

Le festività di Pesach, detta anche Pasqua ebraica, ricorda l'esodo e la liberazione del popolo israelita dall'Egitto. Prima dell'inizio della festività, si eliminano dalla casa tutte le tracce di lievito e di ogni tipo di cibo che lo contenga. Durante tutto il periodo della festività - otto giorni (sette nella sola Israele) - non viene consumato cibo lievitato: il pane, la pasta e i dolci sono sostituiti da cibi appositamente preparati.
La Pesach viene solitamente trascorsa in famiglia. Nelle prime cene si mangiano i cibi seguendo un ordine particolare e alternando le pietanze a delle preghiere ed alla narrazione del conflitto con il faraone, delle 10 piaghe e della fuga finale, seguendo il racconto della Haggadah di Pesach. Questo rito prende il nome di seder, che significa ordine. Tradizionalmente, il bambino più piccolo della famiglia chiede all'uomo più anziano di raccontare cosa successe all'epoca dell'Esodo.
Nel corso del seder c'è l'obbligo di bere quattro bicchieri di vino, il che aiuta a far terminare la cena con canti tradizionali.

(Panorama, 29 marzo 2010)

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Gerusalemme est: Israele non «provoca», si difende

Domenica delle Palme: code tranquille di pellegrini cristiani si accalcano attorno alle porte della Gerusalemme antica, ripercorrendo le stesse strade calcate da Gesù Cristo. La scena è idilliaca, la folla dei fedeli è multicolore e multirazziale, come a San Pietro durante l'Angelus. Tutto questo avviene sotto lo sguardo vigile della polizia israeliana. Proviamo a pensare la stessa scena se, al posto dei poliziotti con la divisa blu e la camicia azzurra di Israele, ci fossero i miliziani con la divisa nera e i pantaloni mimetici del partito Hamas… I cristiani avrebbero la stessa libertà e tranquillità?
Sì, risponderebbero le autorità del partito islamico, per attirare il consenso dell'opinione pubblica. No, risponderebbero i cristiani di Gaza, che il potere di Hamas lo subiscono ormai da quattro anni e sono costretti a subire intimidazioni, a veder bruciare i propri luoghi di culto e le proprie sedi dell'Ymca, a non doversi sposare in pubblico e con la musica per timore dei nuovi guardiani religiosi dell'ordine, come in un qualsiasi regime integralista islamico. Si dirà che Gerusalemme non è contesa fra Israele e Hamas, ma fra Israele e l'Autorità Palestinese, cioè la Palestina moderata, quella di Abu Mazen e del premier liberale Fayyad, che già da anni permette regolari pellegrinaggi nei luoghi di culto cristiani di Betlemme.
Ma al di fuori di Natale e Pasqua, festività di interesse internazionale, l'Autorità Palestinese garantisce libertà di culto negli altri 363 giorni all'anno? No, a giudicare dalla drastica riduzione dei cristiani nei territori che controlla. A Betlemme erano la maggioranza della popolazione. Adesso sono una sparuta minoranza (15% della popolazione). Il sindaco della città, un musulmano di Hamas, nel 2005 impose addirittura la tassa sugli infedeli, la tradizionale jizya, come ai tempi dell'Impero Arabo e dell'Impero Ottomano: vuoi vivere? Fai atto di sottomissione e paga la tassa ai musulmani. Il giornalista investigativo Khaled Abu Toameh, nel 2007, aveva scritto una lunga inchiesta sulle minacce subite dai cristiani in Cisgiordania (la Palestina "moderata", dunque, non quella di Gaza controllata da Hamas): imprenditori costretti a chiudere, terre rubate, occupate o sottratte con la frode, donne molestate, minacce di morte per chi non si converte. "Dalla fondazione dell'Autorità Palestinese" - scrive Toameh - "Neanche un singolo cristiano ha ottenuto un posto di rilievo nell'amministrazione pubblica".
Se i cristiani subiscono una persecuzione strisciante, non dichiarata e dissimulata da tolleranza (e la Chiesa, soprattutto quella locale, continua a parteggiare per la causa palestinese), la presenza degli ebrei in Palestina è a dir poco inconcepibile. I luoghi di pellegrinaggio ebraici, come la Tomba dei Patriarchi a Hebron, sono costantemente a rischio. Gli ebrei che vi si recano, devono farlo con la scorta della polizia, in autobus con i vetri blindati, spesso oggetto di sassaiole. Nella striscia di Gaza, quando gli ebrei dovettero lasciare le loro case e le loro serre al momento del disimpegno militare (estate del 2005), le sinagoghe rimaste furono tutte bruciate dai nuovi padroni del territorio.
Perché è bene ricordare questa intolleranza palestinese musulmana, latente e manifesta, quando è Israele che sta "ostacolando" il processo di pace con la costruzione dei nuovi insediamenti? Perché il problema è lo stesso: i palestinesi non accettano la presenza di ebrei nel loro futuro territorio. La loro presenza, la loro stessa esistenza è l'"ostacolo" che tanto fa indignare l'opinione pubblica internazionale, l'Onu, l'Ue e Obama. I palestinesi non accettano la presenza di ebrei nei territori che sono già amministrati dall'Autorità Palestinese. Non li accettano nei territori che prevedono di amministrare nei prossimi due anni, compresa Gerusalemme Est che, pur essendo territorio israeliano al 100%, è già stata proclamata dal governo palestinese come capitale del futuro Stato indipendente.
Il premier Fayyad aveva dichiarato, solo nel 2008, che non ci sarebbero stati problemi a dare la cittadinanza e tutti i diritti ai cittadini ebrei della futura Palestina indipendente. Ma adesso ha gettato la maschera, indignandosi per la costruzione di 1600 appartamenti a Ramat Shlomo, in un quartiere di Gerusalemme Est. Al di là della confusione mediatico-diplomatica che si è creata attorno al caso, la sostanza del problema è che: non accetta la presenza di 1600 famiglie ebraiche nel suo territorio. Non vuole neppure sentir parlare di 20 (venti) nuovi appartamenti nella struttura di Sheikh Jarrah, in un'area che apparteneva agli ebrei prima della Guerra di Indipendenza (1948), poi fatta sgomberare con la forza dai soldati giordani occupanti.
Per i palestinesi più militanti, più vicini a Hamas, non solo è un problema la presenza di nuove case ebraiche nell'Anp o nella futura Anp, ma anche quello che gli ebrei fanno nei quartieri ebraici. L'inaugurazione della sinagoga Hurva, ad esempio, è un fatto interamente interno al quartiere ebraico di Gerusalemme. Eppure ha scatenato una rivolta alimentata da Hamas ("giornata della rabbia") e appoggiata dal movimento islamico israeliano, formato da cittadini israeliani di religione musulmana. La sinagoga Hurva, storicamente importante per Israele (fu visitata da Herzl all'alba del sionismo e fu teatro del primo reclutamento della Legione Ebraica, il primo progenitore dell'esercito israeliano nella I Guerra Mondiale), fu fatta saltare in aria nel 1948 dalle truppe occupanti giordane. Dopo aver compiuto questo bel gesto di intolleranza religiosa, il comandante della Legione Araba ebbe anche modo di dichiarare con orgoglio: "Per la prima volta in mille anni non resta un solo ebreo nel quartiere ebraico di Gerusalemme". E questo a soli tre anni dalla fine dell'Olocausto. La "giornata della rabbia" non può che essere letta, dunque, una protesta contro gli ebrei che "osano" ritornare nei loro quartieri.
Ed eccolo che riaffiora, il passato recente: quando Gerusalemme Est fu occupata dalla Giordania, dal 1948 al 1967, gli ebrei furono oggetto di un'espulsione di massa. Non solo la sinagoga Hurva, ma anche tutte le altre sinagoghe, i negozi, le case, le biblioteche, furono date alle fiamme. Una comunità antica di 1000 anni, sopravvissuta sotto le autorità prima arabe e poi ottomane, subì un tentativo di cancellazione fisica. Gli ebrei lo ricordano. E venderanno cara la pelle prima di cedere di nuovo, a un'Autorità Palestinese tutt'altro che tollerante, tutta la metà orientale della loro capitale. E' questo ciò che le cancellerie occidentali (compreso Berlusconi) vedono come un "ostacolo" al processo di pace. E' questa tenacia a non veder replicare il passato che fa indignare Barack Obama e lo induce a far entrare Netanyahu dalla porta di servizio della Casa Bianca, abbandonandolo da solo, nella sala Roosevelt, mentre lui andava a mangiare, nel bel mezzo della trattativa.

(libertiamo, 29 marzo 2010)

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Cisgiordania - Centinaia di insegnanti licenziati da Anp

Sospettati di essere legati ad Hamas

ROMA, 29 mar. - Negli ultimi due anni l'Autorità Palestinese ha licenziato centinaia di insegnanti scolastici e imam sospettati di essere legati ad Hamas, il gruppo integralista che dal giugno 2007 controlla la Striscia di Gaza. Lo hanno rivelato fonti palestinesi di Ramallah, secondo quanto riporta il sito web del Jerusalem Post. Con questi licenziamenti l'Anp vuole cercare di impedire ad Hamas di prendere il controllo anche della Cisgiordania, hanno precisato le fonti.
L'Anp vuole essere certa che le scuole e le moschee della Cisgiordania non vengano usate come centri per l'attività politica per conto di Hamas e altri gruppi radicali. "Siamo determinati a combattere le attività politiche nelle moschee e nelle scuole", hanno detto le fonti.
Oltre mille insegnati e più di 300 imam hanno perso il loro lavoro da quando l'Autorità Palestinese ha lanciato questa stretta, ma non tutti hanno legami con Hamas. "Molti sono stati licenziati perchè non appoggiano al Fatah e l'Autorità palestinese", ha detto un'altra fonte. "Altri sono stati licenziati perchè sono diventati troppo religiosi e c'era il timore che avrebbero potuto avvicinarsi ad Hamas".

(Apcom, 29 marzo 2010)

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Netanyahu minaccia risposta armata ad attacchi

GERUSALEMME - Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha avvertito oggi i militanti palestinesi che Israele risponderà a ogni eventuale attacco dalla Striscia di Gaza contro israeliani, dopo gli scontri di due giorni fa lungo la frontiera.
"La politica di risposta è decisiva e ferma. Fornisce una ferma risposta a ogni danno causato ai nostri cittadini o soldati. Questa politica è nota e continuerà", ha detto Netanyahu ai giornalisti all'inizio della riunione settimana del consiglio dei ministri.
"Hamas e altri gruppi terroristici devono sapere che sono responsabili delle proprie azioni".
Due soldati israeliani e due militanti palestinesi sono stati uccisi venerdì scorso in quel che è stato il più sanguinoso scontro sulla frontiera tra Israele e Gaza dalla fine dell'offensiva israeliana 14 mesi fa.
L'esercito israeliano ha detto che un ufficiale e un soldato di leva sono stati uccisi in un'imboscata palestinese contro una pattuglia.
All'episodio ha fatto seguito un'incursione dell'esercito israeliano a Khan Younis, nella parte centrale della Striscia di Gaza. Le truppe si sono poi ritirate ieri.

(Reuters, 28 marzo 2010)

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«Stai attento maiale ebreo» Seviziato in collegio da sette bulli

PADOVA - Legato e immobilizzato sul letto con del nastro adesivo, picchiato, molestato sessualmente e umiliato con una scritta antisemita sulla pancia: «Achtung maiale ebreo». Per questo due studenti delle superiori del convitto maschile San Benedetto da Norcia di Brusegana (Padova), a pochi passi dal centro storico del paese, dovranno comparire martedì davanti al giudice delle indagini preliminari.
Un rito d'iniziazione secondo qualcuno, una vendetta, secondo altri, per punire il compagno reo di simpatizzare per la destra. Una storia rimasta per anni sotto silenzio, i fatti risalgono infatti al 6 giugno 2006, ma chissà perché fino a ieri tenuta segreta. Per il branco, composto da sette ragazzini delle province di Venezia, Belluno e Treviso (cinque dei quali minorenni all'epoca dei fatti e per questo indagati dalla Procura per i minori del Tribunale di Venezia) le accuse sono di violenza sessuale, sequestro di persona e ingiurie.
A dare il via all'inchiesta è stato uno dei controllori del convitto. Teatro del «Burba Day» (tra i militari indica la giornata di «iniziazione» della recluta) il convitto «San Benedetto da Norcia» in via Cave, collegio gestito dall'Istituto professionale agrario.
Quella notte la vittima - il più anziano del gruppo ma l'ultimo arrivato nel convitto - sarebbe stata «catturata» dai compagni e legata al suo letto. L'inizio dell'incubo, filmato dagli aguzzini con un telefonino. Girato e messo a pancia in giù dal gruppetto il ragazzo aveva dovuto subire gli abusi. Uno seduto sulla schiena per immobilizzarlo meglio; un altro, per infierire, impugnava per sodomizzarlo, forse una banana.
Solo l'arrivo tanto inaspettato quanto provvidenziale di un addetto alla sorveglianza, aveva impedito che la violenza continuasse. Immediato il fuggi fuggi.
Nonostante questo, diverse testimonianze, tra cui quella della vittima, hanno poi permesso di individuare gli aggressori. Tra questi cinque minorenni (originari di Jesolo, Mestre, Chioggia, Mel e Lentiai, nel Bellunese) e due maggiorenni, tra cui un trevigiano e un veneziano. Nei loro confronti le pesanti accuse sono di sequestro di persona, violenza sessuale e ingiurie.
Il ragazzino all'inizio aveva taciuto, una volta tornato a casa, una settimana dopo la violenza, decise di sporgere denuncia.
Ora al vaglio del gip Lara Fortuna le testimonianze dei ragazzi presenti. Loro hanno già raccontato che si trattava di una «goliardata». L'intenzione dei legali degli imputati, intanto, pare essere quella di affrontare il dibattimento, ma non si esclude che possano optare per il rito abbreviato, che consentirebbe lo sconto di un terzo della pena: i due giovani imputati rischiano una condanna fino a dieci anni di carcere solo per il reato di violenza sessuale. Sequestro di persona e ingiurie a parte.

(il Giornale, 28 marzo 2010)

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Esce il Rapporto Malam, la risposta israeliana a Goldstone e all'ONU

di Luca Meneghel

Sono centinaia di pagine. Il frontespizio recita Hamas and the Terrorist Threat from the Gaza Strip, un titolo che introduce alla versione d’Israele sulla guerra di Gaza del dicembre 2008 - gennaio 2009. Si tratta di una risposta molto documentata all’ormai celebre rapporto stilato dal giudice Goldstone per conto delle Nazioni Unite, in cui lo Stato ebraico veniva accusato di gravi crimini compiuti nel quadro dell’operazione Cast Lead (Piombo Fuso). Che Israele non avesse gradito le conclusioni di Goldstone è cosa nota: alle autorità e ai vertici militari israeliani, il rapporto delle Nazioni Unite apparve decisamente sbilanciato a favore di Hamas, tanto da annunciare una contro inchiesta che oggi risponde punto su punto alle accuse lanciate dal giudice sudafricano. Significativa è la tempistica scelta per la pubblicazione del documento: il report israeliano - anticipato da un lungo servizio sul quotidiano conservatore “Jerusalem Post” - vede infatti la luce in settimane burrascose, segnate da uno scontro tra Washington e Tel Aviv e da nuovi razzi provenienti dalla Striscia di Gaza....

(l'Occidentale, 27 marzo 2010)

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Tutti contro Israele, ormai è una moda

di Fiamma Nirenstein

Forza, diamoci giù. Quale migliore occasione per un attacco mondiale contro gli ebrei, pardon, contro Israele, di questo momento di frizione fra gli Usa di Obama, il presidente che con tutti i dubbi risultati ottenuti in politica mediorientale (Iran con i suoi mortali sberleffi, Siria e di conseguenza Libano che cadono in ambito iraniano, Turchia che passa all’islamismo, palestinesi sempre più radicalizzati...) non può tuttavia mai sbagliare. L’ultima ad essersi unita alle azioni diplomatiche antisraeliane è l’Australia, che con mossa inusitata si associa all’Inghilterra che ha cacciato il capo del Mossad (e pare che i Servizi agli ordini di Sua Maestà non siano per niente contenti) per dire che è allo studio un’azione fotocopia se risulterà che sono stati falsificati dagli israeliani anche passaporti australiani.
Intanto ci pensano i quotidiani britannici a sollevare l’opinione pubblica in favore di Miliband e del suo partito laburista fortemente antisraeliano e della notevole porzione elettorale dei musulmani immigrati. Il Daily Mail sottolinea per esempio come «Nessuno ha più bisogno di alleati di Israele circondata da nemici», e poi lo stigmatizza proibendogli di fatto di reagire agli attacchi: «Tuttavia invadendo il Libano (sgomberato nel 2000, ndr) e costruendo insediamenti nelle aree disputate di Gerusalemme... Tel Aviv (Tel Aviv?, ndr) sembra determinata a alienarsi ogni governo che le sia amica».
Sono davvero queste le ragioni? A guardarsi intorno sembra piuttosto che attaccare Israele garantisca un guadagno diplomatico e morale, di quella morale che piace alle maggioranze dell’Onu: Ban Ki Moon l’ha fatto di nuovo due giorni fa, di nuovo stigmatizzando Israele per gli insediamenti; la Ue invece di dispiacersi che la signora Ashton, suo nuovo ministro degli Esteri, si trovasse a Gaza proprio mentre da là veniva sparato il missile che ha ucciso il povero lavoratore thailandese nei campi di un Moshav di confine, ha prodotto mercoledì un’ennesima condanna di Israele per gli insediamenti. L’Onu nel frattempo lascia che sul suo sito appaia di nuovo, stavolta nella parte dedicata al Consiglio per i diritti umani, un documento di una delle sue Ngo (International Organization for all Forms of Race Discrimination Eaford) che come fece con un articolo privo di ogni fondamento che apparve sul giornale svedese Aftonbladet sostiene che gli israeliani rapiscono palestinesi, li uccidono e ne estraggono gli organi per farne commerci, che vengono definiti anche, secondo uno dei tanti stilemi antisemiti propri dell’articolo (congiura del sangue, teoria della cospirazione, ecc.) molto vantaggiosi. Non è finita: l’Unhcr, ovvero il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, riunito a Ginevra nei giorni scorsi, e di cui è l’alto commissario la signora Navy Pillay, che recentemente è stata in visita nel nostro Paese coprendolo di accuse per le nostre, a sua detta, gravissime violazioni verso gli immigrati clandestini e i rom, ha di nuovo seguito la sua tradizione: già su 33 risoluzioni ne aveva dedicato 27 a Israele fra il 2006 e il 2009, adesso ne ha approvate ben 4 in una sessione tutte contro lo Stato ebraico. E nonostante le relazioni con gli Usa in questo momento diano evidenti segni di stress, pure i rappresentanti americani a Ginevra hanno accusato il Consiglio di trattamento discriminatorio nei confronti di Israele. Lo ha fatto l’ambasciatrice Eileen Chamberlain Donahoe che ha detto: «Siamo di nuovo terribilmente colpiti dal dovere assistere all’approvazione di risoluzioni così dense di elementi controversi e ispirati da una sola parte... Il Consiglio è troppo spesso usato come una piattaforma da cui accusare Israele».
L’Italia oltre a altri otto Paesi ha votato contro una delle quattro risoluzioni che accusa Israele di gravi violazioni nei confronti dei palestinesi, anche se però ieri il ministro Frattini ha chiesto «di fermare gli insediamenti». Si è invece astenuta sulla risoluzione che auspica la restituzione del Golan alla Siria, e meno male dato che l’argomento è fatale. Proprio ieri Assad di Siria ha minacciato Israele di guerra, e certo anche lui l’ha fatto sull’onda di un clima che ritiene favorevole per chiunque attacchi lo Stato ebraico. Sulle altre due risoluzioni, di cui una sull’autodeterminazione del popolo palestinese e l’altra sugli insediamenti, solo gli Usa hanno votato contro.
Al Consiglio per i diritti umani vigono e vincono sempre maggioranze islamiche e terzomondiste, capaci di dettare la loro agenda anche in maniera sottile e raffinata, come capita sul tema dei quartieri gerusalemitani ormai definiti da tutta la stampa internazionale “insediamenti”. Solo gli Usa, da prima dell’amministrazione Obama, hanno negli anni sempre accettato l’idea che le parti densamente abitate da ebrei siano destinate ad appartenere anche nel futuro allo Stato ebraico. E qui Obama entra in contraddizione con la sua stessa tradizione politica. Come ha detto ieri l’ex ministro degli Esteri laburista Shlomo Ben Ami, la differenza fra Clinton e Obama, lasciando da parte Bush, la si vede dai loro preti: la guida spirituale di Clinton che si fece promettere dal futuro presidente che avrebbe per sempre protetto Israele; quello di Obama, invece fortemente convinto di tutta una serie di posizioni antioccidentali e antiamericane che predicava nella sua Chiesa; in esse era sempre presente una forte diffidenza terzomondista contro lo Stato d’Israele.
Ma l’America non ha questo carattere nella sua storia politica. Dunque Obama si muove in maniera controversa, proprio come ha fatto con la riforma sanitaria. La sua strategia di spingere Israele a concessioni preventive e di metterlo in un angolo, aiutato adesso da tutto il mondo, la sua speranza, che forse potrebbe realizzarsi, di cambiarne la maggioranza di governo introducendo la presenza di Kadima può anche avere successo, ma questo non cambia il problema di come raggiungere la pace, ed esso riguarda i palestinesi e il mondo arabo. Non Israele. Come mai nessuno usa la sua forza per premere sulla parte giusta?

(il Giornale, 26 marzo 2010)

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Israele orgogliosa di accogliere la UEFA

Il presidente di Israele, Shimon Peres, il presidente della Federcalcio israeliana, Avraham Luzon, e il presidente della FIFA, Joseph S Blatter, hanno preso la parola in occasione del XXXIV Congresso Ordinario UEFA a Tel Aviv.

di Michael Harrold

TEL AVIV - Il XXXIV Congresso Ordinario UEFA si è aperto giovedì a Tel Aviv con un discorso del presidente di Israele Shimon Peres, che ha ringraziato la UEFA per la decisione di "riunirsi in Israele per la prima volta", sottolineando l’importanza del calcio nel mondo attuale, in particolare come strumento di pace.
"Tutti i campioni del calcio che ho incontrato sono istintivamente messaggeri di pace - ha spiegato -. Il vostro contributo per la pace è a mio giudizio molto significativo”. Peres ha quindi dato il benvenuto in Israele ai delegati delle 53 federazioni affiliate alla UEFA e spiegato perché ritiene lo sport un potente mezzo a servizio del bene.
"Il calcio comporta grande impegno. Parliamo di stelle, di giocatori dotati di grande talento. Ma a mio avviso il talento non è un dono, bensì un processo. Per essere bravi calciatori occorre investire ore e ore di allenamento. Il messaggio è chiaro: se davvero si vuole ottenere qualcosa, occorre lavorare e impegnarsi al massimo”.
"Il calcio avvicina le persone, senza distinzione di credo politico, origine, razza o religione. È un momento di incontro fra persone dedite a una causa. Il calcio è stato il primo vero tentativo di combattere il razzismo, il primo luogo dove il colore della pelle o la religione o la regione di provenienza non aveva importanza… È il fenomeno più educativo che conosca”.
Sul tema dell’educazione ha insistito il presidente della federcalcio israeliana (IFA) Avraham Luzon, il quale si è detto "orgoglioso, emozionato e intimorito di accogliervi nel nostro paese nella veste di presidente della federazione israeliana”.
"L’IFA considera il calcio uno strumento educativo, che mette in collegamento tutti i percorsi della società. Vediamo e parliamo con gli allenatori, i bambini e le squadre giovanili educandoli alla tolleranza. Il calcio è fonte di gioia e felicità, tuttavia vi è chi lo mette in pericolo con la violenza e il razzismo. È un nostro dovere espellere questi razzisti”.
Dello stesso parere anche il presidente della FIFA Joseph S Blatter, accanto a Luzon sul podio. "Cerchiamo di promuovere attraverso il calcio le stesse cose di voi politici: educazione e valori sociali. Incoraggiamo tutti a fare altrettanto e a non considerare il calcio soltanto una palla da calciare, ma molto di più”.
Blatter ha espresso inoltre soddisfazione per l’inserimento di un paragrafo sulla specificità dello sport nel Trattato di Lisbona, ratificato lo scorso anno dall’Unione Europea. "In Europa è stata presa una decisione importante con il Trattato di Lisbona, che ha finalmente riconosciuto la specificità dello sport”, ha dichiarato.

(UEFA.com, 25 marzo 2010)

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Dalla Lega Araba 500 milioni di dollari per i palestinesi di Gerusalemme

I ventidue ministri degli Esteri della Lega Araba hanno concordato di destinare 500 milioni di dollari ai palestinesi che vivono a Gerusalemme per cercare di 'resistere all'allargamento degli insediamenti israeliani'. Lo ha annunciato il segretario dell'organizzazione, Amr Moussa, sottolineando che lo stanziamento sara' formalmente ratificato sabato al summit annuale a Sirte in Libia.

(AGI, 25 marzo 2010)

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I palestinesi danneggiati dai loro amici arabi

di Gianni Pardo

C’è un aneddoto che spiega perfettamente perché il problema dei palestinesi è insolubile e perché i loro amici arabi non collaborano a risolverlo.
Giacomo soffriva di una brutta malattia. Prima camminava appoggiandosi alle sedie e ai mobili, poi comprò un bastone, infine si rese conto che dipendeva dalla moglie per ogni cosa e cominciò a piangere in segreto. Tutti gli amici lo incoraggiavano con belle parole, come ignorando la gravità del caso, finché un giorno venne a trovarlo Guido, un suo amico d’infanzia, che gli disse: “Sei praticamente paralitico. Devi comprarti una sedia a rotelle. Meglio se elettrica”.
La sua brutalità raggelò tutti ma Giacomo presto si rese conto che il consiglio migliore era proprio quello, mentre edulcorare la realtà rendeva la sua vita un disastro. Comprò dunque la sedia a rotelle e scoprì di avere ricuperato la libertà: non solo poteva girare per casa, ma anche andare a leggere in giardino, andare a prendere gli occhiali se li aveva per caso dimenticati, e perfino andare a comprare il giornale all’angolo della strada. Ammettere che non si può guarire di una malattia nel modo desiderato è l’unico modo per diminuirne gli effetti negativi.
In Palestina bisognerebbe riconoscere alcuni dati. Israele esiste ed è imbattibile militarmente. Si deve dunque accettare che ha il diritto di annettersi tutto ciò che vuole: e dal momento che vuole Gerusalemme, il Golàn solo per motivi militari e poco altro, tanto vale darglieli, ringraziando il Cielo che non sia più avida. Dato il grave stato di indigenza della Cisgiordania, bisognerebbe trarre vantaggio dalla vicinanza di un Paese sviluppato, dalla sua tecnologia e dalle occasioni di lavoro che può offrire. Sarebbe come andare a comprare la sedia a rotelle, ma è sempre meglio della paralisi.
Viceversa che cosa fanno gli amici musulmani? Incoraggiano i palestinesi a chiedere la Luna. Ad esigere vantaggi che forse nemmeno una loro vittoria avrebbe giustificato. In questo modo li allontanano da una pace che potrebbe condurli a non vivere più di carità, a fruire di una vera indipendenza (armamenti a parte) e ad avere piena dignità nella società internazionale. Anche l’Europa e gli Stati Uniti, traboccanti di bontà, li spingono ad atteggiamenti irrealistici, perfino riguardo alla politica abitativa della capitale israeliana: il risultato è che la pace non c’è stata per sessantadue anni e non ci sarà nel prevedibile futuro. La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Tempo fa Edward N.Luttwak espose una verità agghiacciante, del tutto contraria alla political correctness. Nell’antichità i conflitti etnici giungevano alla pace definitiva in due modi: o un gruppo ammazzava tutti i membri dell’altro, oppure uno dei due gruppi per sfuggire al massacro andava via. Se invece si impone una tregua, i contendenti sono ancora sul campo, rimangono pronti a riprendere le armi e non si ha mai pace. Naturalmente nessuno auspica che questa sia oggi la soluzione per i Balcani, per l’Africa o per la Palestina. Ma è vero che la pace è figlia della vittoria, non della tregua. Che ci sia un vincitore indiscutibile è l’unico modo perché la guerra cessi.
Questo doloroso riconoscimento può avvenire in due modi. O chi perde subisce un tale catastrofico disastro che non può negarlo nessuno: è il caso della Germania dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e non della Prima (infatti solo stavolta l’Europa ha ottenuto sessantacinque anni di pace). Oppure il perdente ha il buon senso di non aspettare il verificarsi di quella tragedia, per prendere atto della realtà: e si arrende veramente. È il caso di tante guerre del passato e del Giappone dopo Nagasaki.
I palestinesi hanno avuto a che fare con un vincitore mite e sono stati spinti da consiglieri dementi a non riconoscerlo. Anzi a sfidarlo: ed è così che hanno perso ogni speranza di pace.
Non si può che ripeterlo: la strada dell’inferno è lastricata di ipocrisia e di retorica.

(Affaritaliani, 25 marzo 2010)

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Netanyahu non cederà. Ecco i suoi dieci motivi

Obama vuole «addomesticare» il premier di Israele, ma il leader dello Stato ebraico ha buone ragioni per mantenersi intransigente

di R. A. Segre

Dopo tre ore trascorse alla Casa Bianca di cui una e mezza a quattr’occhi col Presidente Obama la crisi provocata dalla decisione di Netanyahu di continuare a costruire alloggi alla periferia di Gerusalemme Est (e in una casa di antica proprietà ebraica nel quartiere arabo di Sheik Jerrah dove nel 1947 i palestinesi sterminarono sotto gli occhi degli inglesi un convoglio medico ebraico) resta insoluta e grave.
Non è la prima e la peggiore fra i due Paesi perché avviene in condizioni differenti dalle precedenti. Ad esempio non è l'ultimatum dato da Eisenhower a Ben Gurion del 1956 di ritirarsi dall'Egitto; non è la «revisione» dei rapporti minacciata da Kissinger nel 1975 che obbligò Rabin a evacuare il Sinai; non è neppure la minaccia di cancellare la copertura dei crediti nel 1991 se non fosse mutata l'occupazione della Palestina. È una crisi fastidiosa per ambo le parti che l'incontro di martedì pomeriggio fra Obama e Netanyahu ha aggravato, sia per la difficoltà reciproca di salvare la faccia sia perché gli americani non credono alla buona fede del premier israeliano.
Vediamo dieci ragioni per cui Netanyahu manterrà una linea di «schiena diritta» nei confronti della Casa Bianca.

INSOSTITUIBILE
Per Obama ha dimostrato incompetenza e debolezza nella guida del carrozzone indisciplinato della sua coalizione governativa e resta debole ma, al momento, non c'è nessuno che possa sostituirlo. Netanyahu non sembra particolarmente turbato anche se l'opposizione in Israele grida al disastro.

VOLONTÀ DI COSTRUIRE
È convinto del buon diritto di costruire a Gerusalemme, come hanno fatto tutti i suoi predecessori dal 1967, fuori dalle zone urbane arabe.

RAGIONI DI POLITICA INTERNA
Opponendosi a Obama si rinforza all'interno del governo, anche se non necessariamente all'interno del Paese, che teme lo scontro con l'America.

UN MODO PER «SMARCARSI» DA WASHINGTON
La crisi gli dà visibilità internazionale, dimostra che Israele non è un «servo dell'imperialismo americano», vanifica l'accusa dei liberal statunitensi di essere «la coda che fa muovere il cane americano», responsabile degli errori di Bush.

SIMPATIA DELL’OPINIONE PUBBLICA AMERICANA
Sa che, per il momento, 8 americani su 10 simpatizzano per Israele, di disporre di largo sostegno al Congresso e al Senato dove Obama ha ancora bisogno dei voti degli amici di Israele in vista delle prossime elezioni di «mid term» e per l'approvazione di altre grandi riforme: quella delle banche e di Wall Street, delle infrastrutture di comunicazione, dell'educazione.

SCETTICISMO SULL’INFLUENZA DELLA CASA BIANCA SUGLI ARABI
Netanyahu - e con lui tutto Israele - non crede che Obama sia in grado di strappare qualsiasi concessione araba nei confronti di Israele.

È FINITA L’EPOCA DEI REGALI
Dopo l’evacuazione di Gaza, trasformata in base di attacco da Hamas, non intende più cedere senza ricevere.

DEBOLEZZA DI ABU MAZEN
È convinto che Abu Mazen sia obbligato a massimizzare le richieste nei confronti di Israele, perché è alla testa di un Olp ideologicamente e militarmente più debole di quello di Arafat e con il 40% dei palestinesi sotto controllo dell'avversario Hamas.

FRAGILITÀ DELL’AMERICA
Soprattutto non crede più all'America come superpotenza, convinto della sua fragilità economica, morale e politica. Non teme punizioni economiche americane o europee grazie alla nuova solidità finanziaria e - nel prossimo futuro - energetica del Paese grazie alla scoperta e al rapido sfruttamento dei depositi sottomarini di gas di fronte a Haifa.

INTERDIPENDENZA E NUOVI EQUILIBRI
È convinto del bisogno che Washington ha della collaborazione di Israele nella crisi con l’Iran, e allo stesso tempo cerca di spostare il più rapidamente possibile il baricentro politico israeliano verso est, con una più stretta collaborazione con la Russia e la Cina.
Avendo compreso e ammesso la necessità di Israele di convivere con uno Stato palestinese, non abbandonerà questa posizione nonostante la pressione dei coloni. La sua strategia è ora quella di guadagnar tempo e di raggiungere coi palestinesi uno stato di prolungato armistizio. Che in fondo è quello che Hamas - di cui gli israeliani hanno molto più rispetto di al-Fatah di Abu Mazen - propone.

(il Giornale, 25 marzo 2010)

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Londra avverte i suoi turisti: attenti ai doganieri israeliani, vi clonano i documenti

Il ministero degli Esteri britannico avverte i propri connazionali: i vostri passaporti non sono al sicuro se viaggiate in Israele. È una nuova mossa critica dopo la vicenda passaporti britannici clonati dal commando che il 20 gennaio ha ucciso un dirigente di Hamas a Dubai.
Martedì il ministro degli Esteri David Miliband aveva annunciato l’espulsione di un diplomatico israeliano a Londra, sembra il capo del Mossad nella capitale britannica. Intervenendo ai Comuni, Miliband ha definito il comportamento di Israele «intollerabile».
Nel «travel warning» emesso martedì sera dal Foreign Office, si sottolinea che i britannici che viaggiano in Israele «dovrebbero dare il loro passaporto ad altre persone, compresi i funzionari israeliani, solo se è assolutamente necessario».

(il Giornale, 24 marzo 2010)

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Se Israele osa accennare a un’identità ebraica, è razzismo

di Giorgio Israel

Giorgio Israel
Una standing ovation per Benjamin Netanyahu. Con la stessa dignità con cui Menachem Begin nel 1981 respinse le “punizioni” americane, il Primo ministro israeliano ha rivendicato i diritti di Israele e ha bollato come irrazionali e irricevibili le pregiudiziali al dialogo poste dai palestinesi.
È semplicemente inaudito che Israele sia l’unico paese al mondo che non ha il diritto di rivendicare dei luoghi sacri e dei luoghi di memoria storica. I musulmani hanno ormai costellato il mondo di luoghi sacri irrinunciabili. Gerusalemme per loro è soltanto Al-Quds “la Santa”, in cui non vi è mai stata traccia di presenza ebraica. L’islam si arroga il diritto di impedire la costruzione di qualsiasi luogo sacro di altre religioni nelle proprie nazioni a “identità musulmana” e pretende di costruirne in qualsiasi altro paese. Ma se Israele osa accennare a un’identità ebraica, è razzismo.
Obama è andato al Cairo a declamare le virtù dell’islam, a spiegare quanto di grande esso ha dato al mondo e a difendere i suoi diritti inalienabili. Siamo in attesa che spieghi cosa ha dato l’ebraismo al mondo e quali diritti storici ne derivino. Frattanto Netanyahu ha fatto più che bene a rammentarglielo.

(Informazione Corretta, 24 marzo 2010)

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Non dimentichiamo il 1933

di Alberto Toni

Non dimentichiamo il 1933: la Germania di Hitler iniziò apertamente la lotta agli ebrei. Ma in quell’anno sono successe anche altre “cose”: in aprile il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma esprime la preoccupazione degli ebrei per le trame antisemitiche che iniziavano a serpeggiare; il 20 luglio la Chiesa cattolica firma il Concordato con la Germania di Hitler e il Papa chiama monsignor Ludwig Kaas a Roma e lo nomina suo consigliere per le “questioni tedesche”. Sarà anche il consigliere di Pio XII. Inizia la persecuzione contro gli ebrei e nessuno interviene, non interviene la Società delle Nazioni, non interviene nessuna delle Nazioni libere del mondo. Gli ebrei sono dimenticati da tutti e solo dopo la fine della guerra tutti si rammaricano per la immane strage. E ora? L’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Unione europea, gli Stati Uniti d’America, si dicono tutti “irritati” verso Israele e chiedono “un segnale”. Ma questo segnale lo diano prima l’Organizzaziomne delle Nazioni Unite, l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America intervenendo contro l’Iran che è già nella fase terminale della preparazione della bomba atomica.

(Avanti!, 24 marzo 2010)

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Hamas: "Siamo pronti a giustiziare le spie di Israele"

GAZA, 24 mar. - Sono caduti nel vuoto gli appelli delle organizzazioni umanitari per salvare la vita di 'spie' al servizio di Israele catturate dalle milizia di Hamas nella Striscia di Gaza. Il gruppo fondamentalista ha annunciato che "a breve saranno messi a morte gli agenti al servizio di Israele, a prescindere dalla posizione assunta dalle organizzazioni che si oppongono a questo tipo di sentenze", come ha detto il ministro dell'Interno di Hamas, Fathi Hammad.
Le sentenze sono state emesse negli ultimi due mesi e anche se Hamas ha gia' condannato a morte altre spie e trafficanti di droga, nessuno e' stato mai giustiziato.

(AGI, 24 marzo 2010)

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Un fiorente commercio sessuale palestinese

di Amira Hass - Haaretz

Da un rapporto pubblicato mercoledì, giovani donne palestinesi sono obbligate alla prostituzione in bordelli, in servizi di scorta e in appartamenti privati a Ramallah e Gerusalemme, anche in quartieri abitati da Ebrei. L’organizzazione palestinese SAWA (Tutte le donne insieme, oggi e domani) ha pubblicato l’articolo, il primo del genere, invitando energicamente la società palestinese a rompere il silenzio sulla sua industria sessuale. Il rapporto è stato compilato con l’aiuto di UNIFEM, il Fondo per lo sviluppo delle donne delle Nazioni Unite, che ha stanziato dei fondi per la ricerca su questo tema....

(zeroviolenzadonne.it, 24 marzo 2010)

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Prima festa del libro ebraico in italia dal 17 al 21 aprile 2010

Dal 17 al 21 aprile, intorno a quella che sarà la più completa libreria ebraica italiana, Ferrara propone la prima "Festa del libro ebraico in Italia". Epicentro della manifestazione l'ex Convento di San Paolo, ma iniziative e itinerari coinvolgeranno tutto il cuore storico della città estense.
A promuoverla è il MEIS - Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah, un'istituzione operante a Ferrara dal 2008, che ha tra i suoi scopi quello di far conoscere la cultura dell'ebraismo italiano e di organizzare manifestazioni attinenti a questo tema.
"In questa prima edizione della Festa del libro ebraico in Italia si vuole trasmettere l'importanza di un Museo, che pur in fase di costruzione, ha già l'obiettivo di porsi come un laboratorio culturale dinamico", sottolinea il Presidente del MEIS, Riccardo Calimani.
La manifestazione, dedicata al rapporto speciale che gli ebrei hanno con i libri, sarà caratterizzata da molteplici iniziative: concerti, tavole rotonde con illustri partecipanti, incontri con decine di autori di opere, le più varie e di respiro internazionale, dedicate alla storia, alla tradizione e alle testimonianze ebraiche".
Alla prima "Festa del libro ebraico in Italia" hanno concesso il proprio patrocinio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Provincia e il Comune di Ferrara e l'Unione delle Comunità Ebraiche in Italia, con il supporto organizzativo di Ferrara Fiere.
Un dato è certo: sul mercato librario vi è una presenza senza precedenti di testi di autori ebrei o dedicati all'ebraismo: il tema da argomento di nicchia si è trasformato in una presenza costante e molto diffusa. Né si tratta più solo dei grandi scrittori e intellettuali senza i quali la cultura del Novecento resterebbe incomprensibile: Freud, Kafka, Einstein, Joseph Roth, Buber, Singer, Primo Levi, e molti altri. Sono ormai imprescindibili anche nomi di autori viventi: Wiesel, Gordimer, Oz, Yehoshua, Grossman, Safran Foer, per citarne solo alcuni, ma gli esempi sarebbero innumerevoli. "Indubbiamente", afferma ancora Calimani, egli stesso scrittore e storico, "si tratta di un fenomeno che merita di essere messo a tema".
Nella Festa il rapporto speciale del mondo ebraico con il libro è incorniciato da due poli: una mostra e una grande libreria specializzata.
Nel Salone d'Onore del Municipio di Ferrara sarà allestita una raffinata esposizione di opere rare della storia dell'editoria ebraica: incunaboli, cinquecentine, edizioni rare dei secoli più recenti. La mostra, che inaugura in occasione della Festa, rimarrà aperta al pubblico sino al 30 aprile.
L'ampio e suggestivo chiostro di S. Paolo ospiterà, per l'intera durata della Festa, una grande libreria in cui si potranno acquistare testi contemporanei, spesso non facilmente accessibili. Si tratta di oltre 1500 titoli, in pratica tutto ciò che l'editoria italiana ha in catalogo di autori ebrei o di temi ebraici.
La libreria sarà costantemente animata da incontri: in quattro giorni si alterneranno oltre quaranta autori. Non solo libri al chiostro di San Paolo, ma anche il piacere di stare insieme sorseggiando un bicchiere di vino, ovviamente kosher, assaggiando piccole specialità della ricchissima cucina ebraica.
Durante la Festa, in varie sedi, ci saranno numerosi incontri e dibattiti su ambiti diversi: letteratura, filosofia, beni culturali, cultura rabbinica; ma anche su grandi temi storici: le radici dell'antisemitismo, il fascismo, la Shoah.
Non poteva mancare l'incontro con il mondo della scuola: i ragazzi avranno la possibilità di confrontarsi con i rappresentanti di tre generazioni di ebrei italiani, tre storie diverse, tre modi differenti di vivere l'essere ebrei in Italia.
La presenza degli ebrei nella cultura musicale, è ben conosciuta: ci saranno perciò concerti che, nella loro diversa tipologia testimoniano le molte anime della musica di tradizione ebraica.
Un'attenzione particolare sarà dedicata alla città di Ferrara e al suo più grande scrittore contemporaneo: Giorgio Bassani. Itinerari turistici, a piedi e in bicicletta (mezzo di trasporto simbolo della città estense), ripercorreranno luoghi ebraici intervallati da letture bassaniane.
Resta il tema del pregiudizio di cui gli ebrei sono stati così spesso vittime: ma essi, a loro volta, ne sono forse del tutto esenti? A questo stimolante argomento sarà dedicata una tavola rotonda coordinata da Riccardo Calimani, in cui Ferruccio De Bortoli, Gian Arturo Ferrari, Arrigo Levi, Renato Mannheimer, Enrico Mentana parleranno di «pregiudizi sugli ebrei, pregiudizi degli ebrei». Nel corso dell'incontro sarà proiettato un video inedito di Moni Ovadia che esprime la sua opinione in modo aperto e spregiudicato: il dibattito sarà certamente coinvolgente.
"Dal 17 al 21 aprile Ferrara sarà un microcosmo vivace che stupirà il visitatore e lo trascinerà all'interno di un mondo ebraico in grado, ancora oggi, di mettere in mostra il suo anticonformismo e la sua capacità di introspezione, la sua straordinaria originalità". Parola degli Organizzatori.

(ItaliaLavoroTv, 24 marzo 2010)

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Isreale, l'italiano diventa materia di studio

In base a un recente accordo la nostra lingua sarà insegnata nei licei israeliani e potrà essere inserita fra le prove dell'esame di maturità. Dal Paese del Medio Oriente arrivano ogni anno in Italia circa 600 studenti per frequentare da noi l'università

Le relazioni culturali tra Italia e Israele stanno compiendo «passi concreti». Ne è convinta Simonetta Della Seta addetto culturale dell'ambasciata italiana in Israele - guidata da Luigi Mattiolo - sottolineando i due risultati più recenti: l'introduzione dell'italiano come lingua di studio facoltativa nelle scuole superiori israeliane e la prossima apertura - entro maggio - ad Acco (l'antica San Giovanni d'Acri) del centro di restauro «Città di Roma», il primo operante in Israele.
«L'italiano - spiega Della Seta - è stato riconosciuto "strumento di cultura" e come tale a partire dall'anno scolastico 2010-2011 potrà essere studiato negli ultimi tre anni del liceo e diventare materia d'esame per la maturità. La lingua e la cultura italiana saranno così discipline facoltative in aggiunta alle tre lingue obbligatorie di studio in Israele: l'ebraico, l'arabo e l'inglese. Un risultato raggiunto nel corso dell'ultimo vertice bilaterale tra i due paesi dello scorso febbraio. Ma il lavoro preparatorio è durato molto a lungo e fu avviato nel 2006 dall'Istituto italiano di cultura di Tel Aviv». Il riconoscimento della lingua e della cultura italiana ha solide basi: sono circa 600 gli studenti israeliani che ogni anno si iscrivono nelle università italiane e finora sono stati più di 15 mila quelli che lo hanno fatto . «Una ragione in più - continua Della Seta - che gioca a favore dell'introduzione dell'italiano come lingua facoltativa di studio. Senza contare la vasta comunità italiana presente nel paese, circa 10mila persone. Insomma, l'Italia è un paese molto amato in Israele».
Ai primi di maggio partiranno i corsi di formazione per gli insegnanti in collaborazione con l'Università degli Stranieri di Perugia e attualmente è in corso, da parte di una speciale Commissione, la valutazione dei numerosissimi "curricula" già pervenuti dai possibili futuri insegnanti di italiano in Israele.
La prossima apertura del Centro di restauro «Città di Roma» è tra i risultati del vertice tra i due Paesi e corona - sottolinea Della Seta - «un percorso di collaborazione fra istituzioni italiane e israeliane cominciato nel 2005 con la firma del Memorandum of Understanding da parte dell'allora segretario generale del Ministero beni culturali italiano (Mibac) Giuseppe Proietti e del direttore dell'Israel antiquities authority Shuka Dorfman. Intesa poi inserita nell'accordo culturale stipulato nel 2008 fra l'attuale ministro degli Esteri Franco Frattini e quello israeliano dell'epoca Tzipi Livni».
Il progetto ha avuto l'impulso definitivo - spiega ancora Della Seta - da parte del sindaco di Roma Gianni Alemanno che nel 2009 ha deciso di devolvere il premio Dan David alla città di Roma per la ristrutturazione dell'edificio - nel vecchio porto pisano - che entro maggio ospiterà il Centro di restauro intitolato appunto alla capitale italiana.
Il Centro avrà la consulenza del Mibac e del suo Istituto centrale per il restauro, mentre in Israele la «copertura» accademica ai laboratori di Acco sarà fornita dall'Università di Haifa con un master in Restauro archeologico e dall'Università di Tel Aviv con un master in Restauro architettonico.
La nascita del Centro si inserisce in un «fitto» scambio di rapporti per la valorizzazione e la conservazione dei beni archeologici in territorio israeliano, tra i quali i cinque teatri romani (Cesarea, Bet Shean, Tiberiade, Shuni, Bet Guvrin). Per il teatro di Tiberiade il cantiere di restauro sarà organizzato in collaborazione con l'Ice, l'Istituto nazionale per il commercio estero.

(il Giornale, 24 marzo 2010)

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Comunità ebraica di Roma - Dibattito sul futuro e riforma dello statuto

Dissensi solo politici e metodologici e nessuna messa in discussione della "condotta morale" del presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. Questo il contenuto di una nota congiunta dei rappresentanti di maggioranza e minoranza della Cer, resa nota al termine di un incontro tra le parti. “Alla presenza del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, i rappresentanti del Consiglio della Comunità di maggioranza e di minoranza - dice la nota - hanno convenuto che le problematiche che hanno portato alle dimissioni di alcuni consiglieri, sono esclusivamente di natura politica e metodologica e verranno affrontate nelle apposite sedi istituzionali”. Inoltre viene precisato che “non è messa in discussione la condotta morale del presidente Pacifici e dei singoli consiglieri”. La nota segue alle polemiche sorte negli scorsi giorni tra maggioranza e minoranza in seguito alle dimissioni di otto consiglieri di quest'ultima - dopo altri della stessa componente nelle settimane scorse - in opposizione alla conduzione del presidente Pacifici definita “verticistica”.
Nella serata di ieri, fra l'altro, Pacifici ha partecipato assieme a molti altri leader ebraici italiani a un incontro organizzato dal Benè Berith di Roma e dedicato al dibattito sulla riforma dell'ebraismo italiano.
Fra gli ospiti, che sono stati accolti e presentati dal presidente del Benè Berith e Consigliere Ucei Sandro Di Castro, anche il presidente dell'Ucei Renzo Gattegna, il presidente della Commissione per la riforma dello statuto e Consigliere Ucei Valerio Di Porto, l'ex presidente della Comunità ebraica di Roma Leone Paserman e molti altri consiglieri degli enti ebraici italiani e delegati al Congresso Ucei.
Gattegna ha delineato il quadro generale in cui si trova la realtà ebraica italiana, sottolineando l'urgenza di elaborare strategie idonee a rispondere a una stagione contrassegnata dalla lunga stabilità che ha caratterizzato gli ultimi decenni nel mondo occidentale, ma anche dal rischio dell'assimilazione, della frammentazione e della cadutademografica.
Di Porto e Paserman hanno spiegato i motivi e i dettagli del progetto di riforma, lasciando poi spazio a un dibattito vivace e sentito che si è svolto in un clima di grande attenzione e di marcata volontà costruttiva.
Nella sala era fra l'altro presente, oltre a Pacifici, anche Roberto Coen, primo fra i consiglieri della Comunità di Roma ad aver presentato le proprie dimissioni, dando vita alle polemiche degli scorsi giorni.
Il presidente della Comunità di Roma ha svolto un lungo intervento per spiegare le esigenze e le aspettative della prima comunità italiana di fronte alla sfida della riforma, alla gestione delle risorse e alla progettazione del futuro.
Una nuova occasione di confronto che ha visto sia Pacifici che Coen, così come la vicepresidente dell'Ucei Claudia De Benedetti e molti altri intervenuti, su una linea di sostanziale sintonia e consapevolezza di quanto una riforma sia necessaria. Le prossime complesse scadenze istituzionali degli enti ebraici italiani serviranno anche a delineare tempi e modi per realizzare la riforma. Appare chiaro fin d'ora che la delicata questione degli equilibri da definire fra le realtà più grandi di Roma e Milano e le altre 19 comunità italiane minori, che risentono maggiormente della crisi demografica ma sono depositarie di una storia gloriosa e intrattengono rapporti vivi e preziosi con la società circostante, sarà al centro del dibattito.
Il confronto è proseguito fino a tarda notte in un clima molto costruttivo e ha costituito un primo segno della volontà comune, al di là delle differenze, di identificare soluzioni che rispondano effettivamente alle esigenze, sottolineate dal presidente dell'Unione Gattegna, di modernizzazione, di equilibrio e di armonia da realizzare in una realtà tanto complessa e delicata.

(Notiziario Ucei, 24 marzo 2010)

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Israele potrebbe rimpiazzare gli agenti del Mossad espulsi da Londra

GERUSALEMME - Israele potrebbe presto rimpiazzare il diplomatico che la Gran Bretagna ha detto che espellerà in seguito al caso dei falsi passaporti britannici usati dai sospetti killer di un comandante di Hamas a Dubai. Lo hanno detto oggi i media israeliani.
Yedioth Ahronoth, quotidiano più letto di Israele, ha detto che il diplomatico mandato a casa era in realtà un agente del servizio segreto israeliano, il Mossad, e che tornerà in aereo a casa all'inizio del mese prossimo.
Israele potrebbe rimpiazzare l'agente con un altro mentre i rapporti fra i due Paesi non sono stati gravemente danneggiati, ha scritto il quotidiano. La radio dell'esercito ha diffuso una notizia analoga, mentre il ministero degli Esteri israeliano non ha avuto commenti immediati sulla questione.
Sono 26 le persone identificate dalle autorità di Dubai sospettate di essere coinvolte nell'uccisione di Mahmoud al-Mabhouh.
Mabhouh è stato ucciso in gennaio nella sua stanza d'albergo. Secondo la polizia di Dubai, si sarebbe trattato di un'azione del servizio segreto israeliano, il Mossad.

(Reuters, 24 marzo 2010)

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Rabbino: siamo il popolo dei carciofi, non solo della Shoah

ROMA - La gastronomia come simbolo culturale di un popolo, ma anche strumento di dialogo con la cittadinanza e le altre religioni. A sottolinearlo e' il rabbino capo della Comunita' ebraica di Roma Riccardo Di Segni che, in occasione della presentazione del libro 'Beteavon - Buon appetito Incontro di culture e ricette della cucina ebraico-romana' con guida alle regole alimentari ebraiche, ha detto ''siamo il popolo dei carciofi, non solo della Shoah''.
Il rabbino capo ha poi espresso ''soddisfazione'' per la pubblicazione del volume - distribuito gratuitamente dalla Comunita', e alle famiglie romane dall'assessore all'Agricoltura della Regione Lazio Daniela Valentini - che, dopo tre edizioni rivolte ai membri della Comunita', ''trova interesse fuori, e nella citta' di Roma in particolare. Ci rallegriamo tantissimo per questo - ha detto Di Segni - e ringraziamo l'assessore Valentini per questo ulteriore passo che ci aiuta a diffondere la cultura ebraica, sia le ricette che la parte rituale, trasformando cosi' l'alimentazione e lo stare insieme a tavola da un percorso che potrebbe essere banale a uno ricco di significati''.
Il volume contiene 53 ricette kasher ed e' stato presentato dall'assessore Valentini, dal rabbino capo Di Segni e dal presidente della comunita' piu' grande d'Italia Riccardo Pacifici, nella nuova sede del Centro di cultura ebraica, in Via del Tempio. ''Sottolineiamo cosi' - ha detto Pacifici - l'idea che la nostra cultura si possa godere nelle strade e vicino alle scuole e alla grande Sinagoga, non nei palazzi chiusi. Un miscuglio che potra' essere di grande importanza, come e' un mix positivamente esplosivo l'incontro odierno tra la cucina ebraica e quella romana. Questo libro era un vecchio sogno di Daniela Valentini che, nel suo percorso politico, si e' spesso misurata con la nostra cultura e ci aiuta ad aprirci alla citta'. Non e' quindi una 'marchetta' elettorale, ma la presentazione di un progetto iniziato 18 mesi fa, del quale ringraziamo Valentini, che aiutera' le piccole imprese ad avere la certificazione, un cittadino a ricevere un ospite di religione ebraica a casa, e a comunicare che molti piatti che crediamo siano romani, sono invece nati in questa riva del Tevere. Ma soprattutto una nostra apertura alla citta'''.
Il legame tra Comunita' ebraica e Roma, ha poi sottolineato Valentini, ''e' antichissimo, un tutt'uno in realta'. Oggi si segna un incontro ravvicinato, sviluppando un percorso di conoscenza. Come feci nel 1998 da vice presidente dell'Ama e responsabile dei servizi cimiteriali quando fu finalmente consentita le sepoltura la domenica, dopo che le salme rischiavano attese fino a 8 giorni per l'intreccio tra le diverse festivita' delle due religioni. I popoli - secondo Valentini - si avvicinano rendendo evidente il dialogo di vita che si e' stabilito nel tempo, anche nell'intreccio tra le cucina ebraico e romana. A partire dai celeberrimi carciofi alla giudia, i filetti di baccala' fritto, e la concia. Vogliamo una societa' - ha concluso l'assessore - che si organizza pensando a tutte le culture, valorizzando la convivenza, mentre l'assenza delle istituzioni rischia di portare all'intolleranza e al razzismo. Questo libro serve invece a consolidare il rapporto tra due culture''.

(ANSA, 23 marzo 2010)

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"Gerusalemme capitale d'Israele"

Netanyahu: "Non è una colonia"

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, intervenendo a Washington all'annuale riunione dell'Aipac, la più importante lobby ebraica d'America, ha affermato che "Gerusalemme non è una colonia ma "la nostra capitale". Il premier ha poi sollecitato una risposta "rapida e decisiva" della comunità internazionale affermando che, in caso contrario, Israele si "riserverà il diritto di difendersi da solo".
Netanyahu ha respinto le critiche internazionali all'annuncio del piano per la costruzione di 1600 nuovi alloggi a Gerusalemme est. "Le illazioni fatte contro lo stato di Israele devono trovare fondamento nei fatti", ha aggiunto il premier.
"Il popolo ebraico ha costruito Gerusalemme 3mila anni fa e il popolo ebraico costruisce Gerusalemme oggi", ha aggiunto Netanyahu, spiegando di non far altro che seguire la politica di tutti i governi israeliani dal 1967. Una dichiarazione accolta con un'ovazione della maggior parte dei circa 7500 delegati presenti alla conferenza. In un intervento pronunciato poche ore prima, il segretario di Stato americano Hillary Clinton aveva esortato Israele a compiere scelte "difficili ma necessarie".
Un progresso in direzione della pace "esige che tutte le parti, compreso Israele facciano scelte difficili ma necessarie", aveva dichiarato. Netanyahu ha tenuto a sottolineare nel suo discorso che Israele vuole che i palestinesi siano "nostri vicini, che vivano liberamente" ed ha rivolto un appello al presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas, invitandolo a "venire e negoziare la pace".
Il premier israeliano ha infine mostrato fermezza anche sulla questione del nucleare iraniano: Israele si attende che "la comunità internazionale agisca in maniera rapida e decisiva" contro la minaccia nucleare iraniana e si riserva "il diritto di difendersi da solo".

(TGCOM.it, 23 marzo 2010)

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Sinagoga Hurva, Clinton: I palestinesi istigano violenza

"Rappresentazione falsa" della ricostruzione della sinagoga

WASHINGTON, 22 mar. - Il segretario di stato americano Hillary Clinton ha accusato i responsabili palestinesi di incitare alla violenza con la loro "falsa rappresentazione" della ricostruzione a Gerusalemme della storica sinagoga di Hurva. Quando "si presenta in modo falso e deliberato la nuova inaugurazione di una sinagoga nel quartiere ebraico della Città vecchia di Gerusalemme, e si invita (...) a difendere i vicini luoghi musulmani da possibili attacchi, è esclusivamente e semplicemente una istigazione" alla violenza, ha ritenuto Clinton. "Queste provocazioni sono dannose e devono essere condannate, perchè alimentano inutilmente le tensioni e mettono in pericolo la prospettiva di una pace veritiera", ha aggiunto. Il segretario di Stato ha pronunciato un discorso di fronte al congresso annuale dell'Aipac, principale lobby filo-israeliana negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti avevano respinto fin da il 15 marzo le critiche palestinesi contro l'inaugurazione, lo stesso giorno, dell'Hurva ricostruita nella Città vecchia di Gerusalemme. "Questa sinagoga sarà il preludio alla violenza, all'estremismo e al fanatismo religioso, e ciò non si limita ai fondamentalisti ebrei ma include membri del governo israeliano", aveva accusato lo stesso giorno Hatem Abdel Qader, il responsabile del dossier di Gerusalemme nell'ambito di al Fatah, il movimento del presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen. Gli integralisti di Hamas, che controllano la striscia di Gaza, avevano da parte loro indetto "la giornata della collera".

(Apcom, 23 marzo 2010)

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Netanyahu sfida il Quartetto, avanti con gli insediamenti

Incurante delle richiesta di congelare la costruzione di nuovi edifici a Gerusalemme est avanzata dal Quartetto (Onu, Usa, Russia e Ue) e dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, oggi a Gaza, Benjamin Netanyahu ha ribadito che le politiche edificatorie nella citta' santa sono 'le stesse in vigore a Tel Aviv'. Il premier ha confermato, in sintesi, quella che e' da sempre l'univoca posizione di Israele: Gerusalemme est, conquistata nel 1967 al termine della Guerra dei Sei Giorni, e' parte integrante dello Stato ebraico .

(la Repubblica, 21 marzo 2010)


Vista da Gerusalemme, la farsa dell’indignazione mondiale per la “costruzione di nuovi edifici a Gerusalemme est” appare ancora più allucinante.

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Un presidente anti-israeliano alla Casa Bianca

I dubbi sono diventati reali

di Piera Prister Bracaglia Morante.

La sceneggiata orchestrata dall’amministrazione Obama contro Israele che e’ uno stato democratico e amico da lunga data degli Stati Uniti, non ha precedenti. Ma Bibi Netanyahu - per nulla irretito dall’ira e dalla reazione sproporzionata di Barack Obama, di Joe Biden e di Hillary Clinton alla notizia del via libera del ministro degli Interni israeliano alla costruzione di1600 costruzioni abitative a Gerusalemme - ha risposto con maesta’ e dignita’ alla loro vile acrimonia dichiarando che: “I lavori di costruzione andranno avanti”. E’ quello che le nostre orecchie volevano sentire, e Bibi e’ come un novello David che affronta il gigante Golia! D’altronde che diritto hanno di interferire nelle decisioni di uno stato sovrano! Tutta la nazione ebraica invece fa quadrato intorno al suo primo ministro perche’ c’e’ una cosa che sfugge ai piu’, e’ che quando e’ in gioco la sopravvivenza di Israele, quando c’e’ un incombente pericolo, tutti gli Israeliani dimenticano le divisioni politiche e mostrano una compatta unita’. Sanno che se rimangono uniti, sono forti e se invece sono divisi, sono deboli.
Lo scontro con lo stato ebraico si preparava da tempo e i tre di concerto hanno preso la palla al volo, per nuocere ad Israele, ben consapevoli che l’eco sarebbe risuonata a lungo sullo scenario internazionale. Una settimana di fuoco quella che finisce, con i Palestinesi pronti ad una terza intifada con rivolte e disordini, e Hamas che da Gaza lancia missili iraniani assassini.
Ad Obama ha fatto seguito la stampa che dal NYTimes al Guardian ha condannato Israele. Obama si sente frustrato, la sua popolarita’ si sta eclissando e il suo partito ha perduto in Massachusetts, tradizionale feudo dei Kennedy; l’economia nazionale si avvia verso la bancarotta, come grandi economisti sostengono; la disoccupazione aumenta e, di tutte le promesse grandiose fatte non ne ha mantenute una. L’Iran continua con il suo programma nucleare e la riforma sanitaria ancora non c’e’. Che Israele sia per lui come un capro espiatorio su cui far convergere l’attenzione dei media, in tempi di crisi?
La verita’ e’ che Obama ha gettato giu’ la maschera e ha mostrato, non potendo dissimularla piu’, tutta la sua avversione contro lo stato ebraico che covava da tempo sin dai tempi delle sue allegre frequentazioni con gli antisemiti, come ha detto ad una radio israeliana il cognato di Bibi. La Clinton poi, s’e’ messa subito sull’attenti e si e’ fatta convincere dal regista Obama a fare il lavoro sporco, rampognando al telefono Netanyahu; e Biden poi, in tutta risposta, s’e’ presentato al ricevimento di gala offerto dal primo ministro israeliano con quasi un’ora di ritardo facendo aspettare tutti, e giocando a fare, non si sa se il prezioso, l’offeso o lo sdegnato. Stavolta Biden, da bravo gregario non ha sbagliato, ha eseguito per filo e per segno gli ordini di Obama, certamente non come aveva fatto nel luglio del 2009 quando rispondendo a ABC, incautamente aveva riconosciuto al governo di Netanyahu il diritto alla difesa anche eseguendo un “pre-emptive military strike” contro gli arsenali atomici iraniani. Ma Biden il giorno dopo era stato sconfessato dal presidente Obama, incassando l’umiliazione del sentirsi dire pubblicamente da lui di aver parlato a vanvera, facendo cosi’ una figuraccia di fronte agli Americani che gia’ da tempo, gli hanno affibbiato il nomignolo di quello che parla senza riflettere.
Domenica 21 marzo iniziano i lavori della conferenza dell’AIPAC che si protrarranno fino al 23, con migliaia di attivisti pro-Israel che si riuniscono a Washington.
Obama e la Clinton intanto fanno finta di niente, la loro ira e’ rientrata e paciosi, ora simulano la calma sostenendo che non esiste alcuna animosita’ contro Netanyahu. Questa e’ la loro tattica di abili suonatori di grancassa, perche’ sanno che cosi' richiameranno sempre piu' seguaci dal momento che il numero di parlamentari contro Israele e’ paurosamente in aumento nel Congresso americano, da 27 che erano nel 2008, sono passati a 54 quest’anno, e sono tutti democratici. E’ utile sottolineare che in totale i membri del Congresso sono 535, i senatori sono 100 e i deputati sono 435, e la percentuale del 10 % contro Israele non e’ da sottovalutare. Israele e' cosi' stretto fra due fuochi, i nemici che vogliono distruggerlo e i cosiddetti amici che sicuramente faranno pressioni su Israele perche’ riduca ancor piu’ il suo territorio in cambio di “pace”.

(Informazione Corretta, 21 marzo 2010)

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La cooperazione fra un discepolo di Arafat e uno di Rabin

Dopo i kamikaze, un faro di speranza da Jenin

di Aldo Baquis

JENIN (CISGIORDANIA) - La statua di un cavallo rampante prodotto saldando le parti di carrozzeria di automobili distrutte durante la rivolta, in bella mostra in una piazza del centro: così la città cisgiordana di Jenin - un tempo considerata la 'capitale dei kamikaze' palestinesi - rende omaggio alla intifada. Ritenuta luogo di disperazione, Jenin è divenuta col tempo un faro di speranza. Nelle sue strade pattuglie della polizia palestinese mantengono l'ordine, il crimine è stato azzerato e i responsabili locali dell'Anp stanno lavorando a progetti che in un prossimo futuro - in una zona afflitta da alti tassi di disoccupazione - potrebbero dare lavoro a 15 mila operai. Dietro a questi sviluppi, che non hanno eguale in altre zone della Cisgiordania, ci sono due uomini che in passato hanno combattuto per i rispettivi popoli e che adesso cercano di costruire una cooperazione sui due versanti della Barriera di sicurezza.
A Jenin il motore pulsante della operazione è il governatore Qadoura Mussa, membro del Consiglio rivoluzionario di al-Fatah. Ha alle spalle 12 anni di reclusione nelle carceri israeliane. "Gli israeliani chiedevano che a Jenin tornasse la stabilità. Lo abbiamo fatto. Adesso - dice all'ANSA e ad altri cronisti in visita - è giunto il momento di costruire il futuro". Alle sue spalle una grande immagine di Jenin e le fotografie di Yasser Arafat e di Abu Mazen. Era il 2005 quando in questo ufficio il telefono squillò. Dall'altro capo della linea c'era Dani Atar, responsabile del Consiglio regionale Gilboa, la zona israeliana che confina con la provincia di Jenin. Ex comandante militare, Atar è entrato nella politica negli anni Novanta per sostenere Yitzhak Rabin alla guida del partito laburista. Come Rabin, Atar ritiene che i presupposti della pace con i palestinesi vadano gettati in casa, più precisamente con gli arabi israeliani. Per anni ha provveduto ad elevare i servizi per la popolazione araba nella sua Regione, con gli aiuti degli insediamenti agricoli ebraici. "Gli arabi israeliani possono e devono essere un ponte di pace fra Israele e i palestinesi" conferma il suo vice, Eid Salim.
Nel moderno ufficio del Consiglio regionale Gilboa, in una zona verdeggiante di prosperose aziende agricole collettive, ai cronisti vengono illustrati i progetti definiti in questi anni dal volitivo tandem Mussa-Atar, col sostegno entusiasta del ministro spagnolo degli esteri Miguel Angel Moratinos e di Tony Blair, l'emissario del Quartetto. "Da quando abbiamo eretto la Barriera di sicurezza, la violenza è stata eliminata e possiamo progettare il futuro" spiega Atar. Nei pochi chilometri compresi fra Jenin e la Barriera dovrebbe sorgere una vasta area industriale. I prodotti passeranno poi in territorio israeliano: quando sarà pronta la ferrovia, le merci arriveranno in 45 minuti al porto di Haifa o in un tempo analogo al Ponte Sheikh Hussein, porta di ingresso per la Giordania. Da alcuni mesi il valico di Gilboa è inoltre aperto alla popolazione araba israeliana che compie adesso i suoi acquisti a Jenin: le vendite sono subito cresciute, la disoccupazione è calata, un cauto ottimismo ha cominciato a mettere radici. Se la comunità internazionale vuole dare una mano, Atar e Mussa non chiedono di meglio. Ad esempio il turismo potrebbe rafforzare le loro iniziative: Gilboa e Jenin propongono pacchetti turistici comuni per chi (studenti, sindacalisti, religiosi) voglia studiare l'edificazione della pace. "Non tutto però fila liscio" aggiunge Mussa, scuro in volto. "Di giorno parliamo di cooperazione con Atar, ma di notte le incursioni dell'esercito e le provocazioni dei coloni ci fanno compiere passi indietro". Eppure Jenin, la città che forse ha più sofferto per la intifada, ha una gran voglia di normalità. Alla periferia si sta completando uno stadio di calcio e su una collina vicina si staglia un moderno villaggio turistico circondato da uliveti, dotato di un albergo, di parchi giochi, di un museo di cultura palestinese e di un teatro da 2000 posti. "Sarebbe il posto migliore per firmare il trattato di pace fra Palestina ed Israele", sogna ad occhi aperti il proprietario.

(ANSA, 20 marzo 2010)

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Minaccia di Hamas: "Roma sarà conquistata dall'Islam"

Dai territori palestinesi della Striscia di Gaza, ci giunge una testimonianza significativa dello spirito e dell'ideologia che animano Hamas e i suoi affiliati. In un sermone di venerdì 5 marzo, trasmesso da Al-Aqsa TV, il predicatore musulmano di turno rilancia il jihad contro il mondo cristiano alla presenza di numerosi giovani dalle orecchie attente e dalla mente aperta a ricevere il suo messaggio di conquista.
Ecco le parole esatte pronunciate dall'ulema di Hamas: "La profezia della conquista di Roma resta valida, Allah volendo. Come Costantinopoli è stata conquistata 500 anni fa, anche Roma sarà conquistata. Le nostre preghiere, il nostro digiunare e la nostra carità saranno inutili se dubitiamo del Profeta Maometto. Come potremmo procedere lungo il cammino della rettitudine, se non siamo sicuri nella nostra convinzione che Roma verrà conquistata, come promesso dal Profeta Maometto e proclamato da Allah?"
Evidentemente, ai jihadisti di Hamas - avanguardia terroristica palestinese dei Fratelli Musulmani egiziani, oggi sponsorizzata in primis dall'Iran e dalla Siria, ma in passato legata soprattutto all'Arabia Saudita -Gerusalemme non basta: sembra essere solo il trampolino di lancio verso la sottomissione dell'intera civiltà giudaico-cristiana ad opera della spada dell'Islam.

(l'Occidentale, 20 marzo 2010)

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Israele critica il Quartetto, danneggia il processo di pace

GERUSALEMME, 19 mar - Israele respinge la richiesta del Quartetto per il Medio Oriente per un congelamento degli insediamenti nei territori occupati e per un accordo sui due Stati entro due anni. ''La pace non puo' essere imposta artificialmente e attraverso un calendario irrealistico'', ha detto il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, secondo il quale il comunicato del Quartetto ''danneggia solo le possibilita' di raggiungere un accordo''.

(ASCA, 19 marzo 2010)

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Prove di disgelo Usa-Israele

Clinton: Risposta "utile e produttiva" di Israele"

ROMA, 19 mar. - Prove di disgelo tra Stati Uniti e Israele dopo le tensioni dei giorni scorsi dovute all'annuncio israeliano della costruzione di 1.600 nuove case a Gerusalemme Est, giunto all'inizio della scorsa settimana, proprio quando il vice presidente Usa Joe Biden si trovava nella regione per promuovere il processo di pace. Dopo che ieri sera il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha esposto in una telefonata al segretario di Stato Usa Hillary Clinton una serie di misure che israeliani e palestinesi potrebbero compiere congiuntamente per ricreare un clima di fiducia favorevole alla ripresa del negoziato, il capo della diplomazia Usa, da Mosca, ha espresso parole di apprezzamento per l'iniziativa: Abbiamo ricevuto una risposta "utile e produttiva" da Israele per risolvere la crisi, ha detto Clinton in conferenza stampa a Mosca al termine della riunione del Quartetto dei mediatori per il Medio Oriente (Usa, Russia, Onu e Ue). "Ciò che ho ascoltato dal primo ministro (israeliano) in risposta delle nostre richieste è utile e produttivo, e stiamo continuando i colloqui con lui e con il suo governo", ha detto Clinton, secondo quanto riporta il Washington Post, senza fornire dettagli sul contenuto delle proposte di Netanyahu. "Le nostre relazioni continuano, sono profonde, solide e durature", ha aggiunto il segretario di Stato Usa. A riprova di un miglioramento del clima su cui Washington e Gerusalemme stanno scommettendo, il capo della diplomazia Usa ha quindi comunicato che l'inviato speciale americano George Mitchell tornerà nei prossimi giorni in Israele per incontrare il premier israeliano. La stessa Clinton invece vedrà Netanyahu a Washington la prossima settimana. Il primo ministro si recherà infatti negli Usa per una conferenza dell'Aipac, la principale lobby ebraica degli Stati Uniti, e nell'occasione incontrerà la ex first lady.

(Apcom, 19 marzo 2010)

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Israele, sondaggio: per il 27% Obama è antisemita

di Marinella Bandini

ROMA, 19 mar - Per il 27 per cento degli israeliani il presidente Usa Barack Obama è antisemita. È quanto emerge da un sondaggio pubblicato dal quotidiano Haaretz. Il 56 per cento degli intervistati, invece, non crede ai politici che descrivono Obama come antisemita o nemico di Israele, né a coloro che dicono che stia cercando “di rovesciare Netanyahu”. Il sondaggio è stato supervisionato dal professor Camil Fuchs e realizzato martedì e mercoledì scorsi, dunque a pochi giorni dalla crisi tra Stati Uniti e Israele, dopo l’annuncio di Tel Aviv della costruzione di 1.600 nuove case nel quartiere ebraico di Gerusalemme Est, in coincidenza con la visita in Israele del vice presidente Usa Joe Biden, che ha duramente condannato l’operazione. Un episodio che non ha scalfito la fiducia della popolazione israeliana nel primo ministro, rimasta sostanzialmente invariata - riporta il quotidiano - rispetto a un sondaggio di sei settimane fa. Quanto agli insediamenti, la popolazione è sostanzialmente divisa a metà: il 48 per cento degli israeliani sostiene che Israele deve continuare a costruire a Gerusalemme Est, anche a costo di acuire la crisi con gli Stati Uniti, mentre il 41 per cento sarebbe per accettare la richiesta di Washington di fermare le costruzioni fino alla fine dei negoziati di pace (che non sono ancora iniziati).

(il Velino, 19 marzo 2010)

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Israele colpisce Gaza dopo lancio missile

GAZA - Aerei israeliani hanno colpito questa notte almeno sei obiettivi nella Striscia di Gaza, dopo che ieri un razzo lanciato da una fazione palestinese ha provocato la morte di un lavoratore thailandese in Israele. Lo hanno riferito rappresentanti di Hamas e testimoni.
In uno dei tre attacchi, contro i tunnel attraverso cui passano merci di contrabbando lungo il confine con l'Egitto, sono rimaste ferite due persone. Tra gli altri obiettivi c'era un'area all'aperto di Khan Younis e una fonderia vicino a Gaza.
Un portavoce militare israeliano ha confermato che sei siti sono stati colpiti, tra cui due tunnel vicino alla frontiera con Israele e un centro di fabbricazione di armi.
Ieri il vice primo ministro israeliano aveva detto che Israele avrebbe dato una forte risposta al primo razzo che ha fatto vittime sparato da Gaza, oggi sotto il controllo di Hamas, in oltre un anno. Il lancio è stato rivendicato da un gruppo precedentemente sconosciuto, Ansar al-Sunna, che avrebbe le stesse radici ideologiche di al Qaeda, ma anche dalle Brigate dei martiri di Al- Aqsa, gruppo legato al partito laico Fatah.
Israele ha anche inviato una lettera di rimostranze al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che dovrebbe visitare il Paese nel fine settimana, e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
L'ambasciatrice israeliana presso l'Onu, Gabriela Shalev, ha invitato Ban a lanciare un appello per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, catturato da militanti palestinesi di Gaza nel 2006. Hamas ha chiesto a Israele di liberare alcune centinaia delle migliaia di militanti incarcerati in cambio del rilascio del soldato.

(Reuters, 19 marzo 2010)

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Alla tv per bambini palestinesi, Israele non esiste

La televisione dell’Autorità Palestinese sta mandando in onda un nuovo programma educativo per bambini in cui viene mostrata una carta della “Palestina” che copre l’intero territorio dello Stato d’Israele. Lo ha reso noto martedì l’organizzazione Palestinian Media Watch....

(israele.net, 19 marzo 2010)

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Israele: si indeboliscono i maggiori partiti

Tutti i maggiori partiti politici in Israele perderebbero diversi seggi se in questo momento fossero indette elezioni anticipate mentre emerge a sorpresa e con ampio seguito un nuovo partito, sulla carta finora inesistente, che si vocifera che un popolare scrittore e giornalista avrebbe intenzione di costituire. E' quanto emerge da un sondaggio d'opinione i cui risultati sono stati diffusi oggi dalla radio pubblica israeliana.
Stando al sondaggio, il Likud, partito del premier Benyanin Netanyahu, otterrebbe 24 seggi, 3 meno di quelli di cui ora dispone alla Knesset; il partito di maggioranza relativa Kadima precipiterebbe a 18 (-10); in flessione Israel Beitenu, il partito di destra estrema del ministro degli esteri Avigdor Lieberman, con 13 seggi (-2); allo Shas, formazione religiosa degli ebrei sefarditi ultraortodossi, andrebbero 11 (+1); ai laburisti del ministro della difesa Ehud Barak 9 (-4); a Yahadut Ha-Torah-Aguda, degli ultraortodossi ashkenaziti, 6 (invariato); a HaBait HaYehudi, ultranazionalisti, 5 (+2); a Ihud Leumi, estrema destra, 4 (invariato); a Meretz, sinistra sionista, 3 (invariato), ai tre partiti arabi 12 (+1).
I risultati del sondaggio sono influenzati dal fatto che agli interpellati e' stato anche chiesto se voterebbero per un finora ipotetico partito che il popolare giornalista Tv e scrittore Yair Lapid avrebbe in mente di costituire: a questa formazione, gia' nella sua prima apparizione, andrebbero 14 seggi.
Questo risultato, a giudizio di diversi analisti, indica la grande insoddisfazione di molti elettori per i partiti esistenti e la sete di nuove alternative politiche. Pur scendendo nei consensi il premier Benyamin Netanyahu e' ancora ritenuto il leader politico piu' adatto al compito di capo del governo dal 43% degli interpellati. Alla leader di Kadima Tizpi Livni e' andato il 31% dei consensi. L'emittente non ha precisato la dimensione del campione, il suo grado di fiducia e il margine di errore.

(Clandestinoweb, 18 marzo 2010)

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Due razzi Qassam su Israele

Due razzi Qassam lanciati dalla Striscia di Gaza - l'enclave palestinese controllata dagli islamico radicali di Hamas dal 2007 e sottoposta da allora al blocco israeliano - sono caduti nelle scorse ore sul territorio d'Israele, in prossimita' di Sderot, senza fare vittime. Lo ha confermato oggi un portavoce militare.

Due razzi Qassam lanciati dalla Striscia di Gaza - l'enclave palestinese controllata dagli islamico radicali di Hamas dal 2007 e sottoposta da allora al blocco israeliano - sono caduti nelle scorse ore sul territorio d'Israele, in prossimita' di Sderot, senza fare vittime. Lo ha confermato oggi un portavoce militare.
Il primo razzo, lanciato ieri sera, ha centrato il territorio di un kibbutz vicino alla cittadina e ha provocato panico e alcuni casi di shock tra le gente che vi risiede. Il secondo e' finito invece in campo aperto, poco fuori Sderot.
Il doppio lancio segnala una recrudescenza di attacchi dopo un periodo di minor frequenza. Hamas negli ultimi giorni e' in effetti tornato ad alzare i toni: aderendo alla cosiddetta 'giornata della collera' palestinese - promossa due giorni fa in risposta alla ricostruzione di una sinagoga nella citta' vecchia di Gerusalemme e ai progetti di espansione degli insediamenti ebraici e sfociata in violenti tafferugli tanto a Gerusalemme est quanto in Cisgiordania -, ma anche invocando ripetutamente una "terza intifada".
Proprio oggi e' attesa a Gaza la nuova responsabile della politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, autorizzata in via eccezionale da Israele a passare il varco di confine con la Striscia per una visita dichiarata ufficialmente di carattere umanitario. La settimana prossima la stessa cosa potra' farla il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon.
(RaiNews24, 18 marzo 2010)

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Attacco da Gaza, razzo uccide immigrato in Israele

GERUSALEMME, 18 mar. - L'attacco dei palestinesi di Gaza ha fatto un morto nel sud di Israele. Un razzo, secondo quanto riporta Haaretz, ha centrato l'area su cui sorge un kibbutz e ucciso un operaio immigrato di origine thailandese.
Dalla fine dell'operazione Piombo Fuso, da Gaza sono partiti un centinaio di razzi alla volta del territorio dello Stato ebraico. .

(AGI, 18 marzo 2010)

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Richetti a capo dei rabbini italiani

Elia Richetti
VENEZIA - Il rabbino capo di Venezia, Elia Richetti, è stato eletto presidente dell'Assemblea Rabbinica Italiana, organo che riunisce i capi religiosi delle comunità ebraiche a livello nazionale. La nomina di Richetti è avvenuta a Bologna, da parte del rinnovato consiglio dei Rabbini italiani, eletto a fine febbraio a Modena. Richetti succede a Giuseppe Laras, presidente del Tribunale Rabbinico del Centro-Nord Italia e del Comitato Scientifico della Fondazione Maimonide. «Cercherò di proseguire sulla strada del dialogo interreligioso, nel senso del rispetto e della chiarezza», ha spiegato Richetti.
Per quanto riguarda il dialogo con la Chiesa Cattolica, Richetti, a proposito dell'assenza del suo predecessore, Giuseppe Laras, all'incontro allaSinagoga di Roma con il Papa, ha sottolineato che «la realtà del dialogo non può essere negata. D'accordo con il mio predecessore, però credo che un dialogo concreto debba partire dalla chiarezza e dal rispetto reciproco tra tutte le parti, e non sempre questa chiarezza c'è stata».

(Il Giornale di Vicenza, 18 marzo 2010)

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Il significato della sinagoga di Hurva

Editoriale del Jerusalem Post

Si è tenuta domenica una cerimonia di consacrazione della sinagoga di Hurva (letteralmente: “rudere”), che sorge nel cuore del Quartiere Ebraico della Città Vecchia di Gerusalemme.
Molto più di una semplice casa di preghiera, la sinagoga Hurva è stata teatro di eventi fondamentali nella storia della ricostituzione della sovranità ebraica: la visita a Gerusalemme di Theodor Herzl, una cerimonia di arruolamento della Legione Ebraica di Ze’ev Jabotinsky, gli onori resi al primo Alto Commissario britannico, il filo-sionista sir Herbert Samuel....

(israele.net, 18 marzo 2010)

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Islam moderato: no ai parrucchieri

Aziende nautiche costrette a togliere l'ancora dal logo: troppo simile alla croce Vietati gli abiti non conformi alla sharia e la lettera "X" nei marchi. I divieti si moltiplicano: gli uomini non possono pettinare donne senza velo.

di Maurizio Piccirilli

Se non fosse tutto molto serio e drammatico, si potrebbe parlare di Islam creativo. Interpretazioni del Sacro libro a uso e consumo di una propaganda oscurantista che mira a soggiogare il popolo. Divieti che possono sfociare in condanne a morte. L'ultima prescrizione, in ordine di tempo, arriva dalla Striscia di Gaza. Gli integralisti di Hamas, così moderni nell'utilizzare il web e armi sofisticate, hanno emesso un editto che vieta ai parrucchieri uomini di esercitare. Il motivo è surreale: gli uomini non possono pettinare le donne senza velo. A Gaza c'è quasi aria di rivolta: i saloni di bellezza sono stati chiusi dai miliziani ed i coiffeur si sono rivolti al Centro palestinese per i diritti umani e hanno chiesto al governo di Gaza di ripensarci. I governi islamici tengono molto agli stili di vita dei loro cittadini. Ne sanno qualcosa gli iraniani. Oltre a essere controllati su cosa pensano, la «polizia della morale» degli ayatollah si preoccupa di come vestono.
Non solo riguardo al velo per le donne, ma anche negli abiti meno conformi alla religione. Così basiji e pasdaran controllano ogni giorno i negozi e sequestrano l'abbigliamento non ritenuto idoneo. Commercianti e cittadini vengono colpiti da una «nota di infamia» che segnerà la loro vita ala stregua di un oppositore del regime. Persino le automobili devono corrispondere a certi canoni: vietate quelle dove le donne sono costrette a togliersi il velo per avere maggiore visibilità. I solerti difensori della morale islamica sono arrivati, questa volta in Arabia Saudita, nella città santa de La Medina, a picchiare per strada una donna che, pur in compagnia del marito, indossava i pantaloni: indumento vietato secondo un'interpretazione della sharia.
La polizia religiosa saudita è certamente la più rigorosa visto che ha presentato ricorso presso un tribunale di Riad per fermare la nascita di due nuove aziende locali. L'Ente per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, nome usato per la polizia religiosa saudita, ha denunciato il ministero dell'Industria e del Commercio perché ha accettato l'iscrizione di due nuove società saudite accusate di avere una croce all'interno del loro logo ufficiale. In particolare una di queste aziende, che opera nel settore nautico, ha un'ancora nel suo logo, che secondo la polizia religiosa saudita «è molto simile a una croce e questo offende la nostra religione». Per questo è stato chiesto alle aziende di cambiare logo per poter operare nel paese. Un anno fa è stata bandito un prodotto perché nel nome compariva una «X».
La Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha messo una fatwa per cancellare la concessione all'azienda. La «X» è troppo somigliante alla croce simbolo del cristianesimo è stata la motivazione. Dopo questa sentenza su molti blog arabi si è acceso un dibattito nel quale si suggeriva alle autorità islamiche di censurare anche i simbolo matematici della somma e della moltiplicazione. Il matematico e filosofo islamico Averroè, sostenitore del Corano come espressione della religione perfetta e guida dell'umanità, oggi rimarrebbe esterefatto e finirebbe lapidato sulla pubblica piazza.

(Il Tempo, 18 marzo 2010)

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Bertinoro: ebraismo ed ecologia, convegno a Palazzo Ordelaffi

BERTINORO (FC) - Nel mondo ebraico è sempre stata particolarmente forte l'attenzione al mondo della natura, non per un ecologismo di moda, ma per la consapevolezza che l'uomo è solamente "amministratore" dei beni che Dio gli ha affidato.
A tal proposito l'ebraismo celebra una ricorrenza molto importante nel proprio calendario: il Capodanno degli alberi, Rosh Ha-Shanà Lailanot, conosciuta anche con il nome della data ebraica in cui cade: Tu bi-Shevat.
Anche se quest'anno tale festività è già stata ricordata all'inizio di questo mese il Centro di Cultura Ebraica "Ovadyah Yare da Bertinoro" terrà, nell'ambito delle attività annuali programmate, presso Palazzo Ordelaffi a Bertinoro, domenica 21 marzo p.v., dalle 10.30 alle 13.30, un'iniziativa dal titolo "Ebraismo ed ecologia".
Il tema sarà affrontato da un intervento di Rav. Luciano Caro, Rabbino Capo di Ferrara e delle Romagne.
La mattinata proseguirà poi con un momento musicale a cura del Maestro Riccardo Moretti. Nell'occasione verrà eseguita dal flautista Claudio Ferrarini una raccolta di brani composti dal Maestro Riccardo Joshua Moretti tratti dal "Giardino dei Melograni" la cui caratteristica, che va sotto il nome di Niggun, sottintende una composizione musicale senza l'uso del testo. Il sapore vagamente malinconico fa di questo genere musicale uno dei più adottati nell'esperienza meditativa da parte di quei Santi Rabbini studiosi di Kabbalah e di Mistica Ebraica.
Al termine del concerto è previsto il pranzo kasher presso la mensa del Centro Universitario di Bertinoro.

(RomagnaOggi.it, 18 marzo 2010)

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L’Autorità palestinese blocca l’unica emittente cristiana nei Territori

Dopo 14 anni di trasmissioni il governo mette i sigilli all’unico canale cristiano. La sede a 350 metri dalla Chiesa della Natività e ha diffuso trasmissioni di carattere sociale, religioso, economico e culturale. Il direttore parla ad AsiaNews di “provvedimento ingiustificato” e rivendicato gli “attestati di stima” ricevuti.

BETLEMME - L’autorità palestinese ha disposto la chiusura, per “mancanza di licenza”, dell’emittente cristiana Al-Mahed “Nativity” TV. È quanto denuncia il direttore Samir Qumsieh che rivendica “i 14 anni di programmazione” e “gli attestati di stima ricevuti”. Ieri alle 14 ora locale, la polizia ha fatto irruzione nella sede della tv cristiana e, seguendo una direttiva impartita dal Ministero degli interni, ha bloccato le trasmissioni. Interpellato da AsiaNews, il direttore afferma di essere “confuso” per un provvedimento che ritiene “ingiustificato”.
Situata su un’altura a circa 350 metri di distanza dalla Chiesa della Natività, a Betlemme, l’emittente Al-Mahed “Nativity” TV ha rappresentato per anni “la sola voce cristiana” in terra palestinese nel circuito dei media televisivi. Le numerose trasmissioni svariavano dal campo dell’educazione, all’ambiente, alla politica, la cultura e la società locali, insieme a programmi di carattere religioso - messe, preghiere e celebrazioni più importanti del calendario liturgico - rivolte non solo ai cristiani, ma anche ai musulmani.
Voci non confermate, raccolte da AsiaNews in città, riferiscono che dietro la chiusura vi sarebbero motivazioni economiche. Il governo, infatti, pretendeva il pagamento di una somma di denaro, la “licenza”, che non sarebbe stata versata.
In una lettera inviata al presidente palestinese Mahmoud Abbas e al premier Salam Fayyad, Samir Qumsieh denuncia l’ingiustificata chiusura del canale cristiano perché parrebbe “sprovvisto di licenza”. Il direttore ricorda i “14 anni di diffusione” dei programmi dell’emittente e gli apprezzamenti ricevuti da telespettatori, testimoniati da centinaia di e-mail e lettere di ringraziamento. “Una roba - scrive - da Guinness dei primati”.
Nella missiva rivolta all’Autorità palestinese egli aggiunge di “non scommettere” sulla riapertura dell’emittente e “manda tutto al diavolo” perché “l’ingratitudine” di cui si sente vittima “è inaccettabile per ogni religione, logica e coscienza”.

(AsiaNews.it, 17 marzo 2010)

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Giovani ebrei superstiziosi, l'irritazione del rabbino

Di Segni interviene sulla paura per i "demoni" biblici

Idolatria, bestemmia o, più semplicemente, idiozia. Il rabbino capo di Roma Riccardo di Segni ha bollato senza mezzi termini la paura - superstiziosa, a suo dire - che si starebbe diffondendo tra i giovani ebrei romani nei confronti dei demoni biblici. "Tra i tanti problemi che ci affliggono non mi ero accorto che ce ne è uno che sembra preoccupare particolarmente alcuni giovani della nostra comunità", ha spiegato il rabbino, con la sua consueta punta di humor, in un recente intervento sul notiziario dell'unione delle comunità ebraiche italiane. "Sono appena reduce da un sorprendente incontro-lezione al liceo ebraico nel quale sono stato invitato (da insegnanti preoccupati) a spiegare agli studenti chi siano veramente gli shedim, i 'demoni' di cui la Bibbia parla solo due volte e che hanno varie citazioni nella letteratura rabbinica di tutti i tempi. Beninteso, non perché conosca direttamente gli shedim (o forse li conosco ma non me ne sono reso conto). La notizia degli shedim si è sparsa e crea agitazione, molti evitano persino di nominarli e usano un prudente shin-dalet. E' un fatto preoccupante: non la presenza degli shedim, ma la strana attenzione che viene loro rivolta con totale caduta di spirito critico, da una parte, e di corretto rapporto con la religione, dall'altra (che non vuol dire rinunciare allo spirito critico). Si parla di zampe di gallina e di farina sotto al letto e altre amenità del genere". Nel notiziario, il rabbino Di Segni afferma: "Un messaggio deve essere chiaro: se non c'è un rispetto coerente degli obblighi religiosi e il rapporto con la tradizione si limita o si esprime nel timore degli shedim, il cui nome neppure si pronuncia per paura, siamo nel campo dell'idolatria e della bestemmia, per non dire, più semplicemente, in quello dell'idiozia".

(Apcom, 17 marzo 2010)

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Gerusalemme: riaperta la Spianata delle Moschee

Riaperti anche i valichi di transito con la Cisgiordania

GERUSALEMME, 17 mar - Dopo gli scontri di ieri con dimostranti palestinesi, la polizia di Gerusalemme ha riaperto stamani la Spianata delle Moschee. L'ingresso, ha precisato la radio militare, e' garantito sia ai musulmani sia agli ebrei.
Nel contempo la polizia mantiene una forte presenza nelle strade di Gerusalemme est per prevenire possibili disordini. In precedenza si era appreso anche della riapertura dei valichi di transito fra Gerusalemme e la Cisgiordania dopo una chiusura di circa una settimana.

(ANSA, 17 marzo 2010)


Ecco alcuni titoli di giornale di questi ultimi giorni:

“La terza Intifada”,
“Scontri a Gerusalemme, Hamas incita a nuova intifada”,
“Hamas ha preannunciato l'inizio di una nuova intifada",
“Israele: sassi contro lacrimogeni, si teme la terza Intifada”,
“I dirigenti di Fatah mettono in guardia da una terza Intifada” ,
“I dirigenti di Fatah criticano con forza gli appelli a una terza Intifada”,
“Lampi di Intifada a Gerusalemme”,
“I lampi di intifada abbagliano Israele",
“Su Israele l’ombra di una nuova intifada” (l’intifada qualche volta abbaglia e qualche volta fa ombra).

Ma questo gran parlare di possibile intifada da parte dei giornalisti era una previsione o una speranza?

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Ma perché tanto chiasso?

di Barry Rubin

Si sono scritte un sacco di sciocchezze circa l’annuncio del governo israeliano che verranno costruiti 1.600 nuovi appartamenti in un quartiere di Gerusalemme est. La scelta dei tempi è stata sicuramente stupida, dal momento che il vice presidente Usa Joe Biden si trovava in quel momento nella città, e non ha apprezzato la cosa. E poi, venirsene fuori con quell’annuncio proprio quando stavano per iniziare negoziati indiretti con l’Autorità Palestinese non ha fatto apparire Israele granché collaborativo.
Ma è tutto qui. Il gesto, certo non tempestivo, non era tuttavia né una provocazione, né la creazione di “un nuovo insediamento”, e nemmeno una prova che Israele non voglia la pace....

(israele.net, 17 marzo 2010)

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Hamas: Ebrei destinati alla distruzione

“Voi che state inaugurando la [sinagoga di] Hurva, vi state dirigendo verso la vostra rovina. Dovunque siete stati, siete andati incontro alla vostra distruzione. Avete ucciso e assassinato i vostri profeti e avete sempre trafficato con usura e distruzione”.
Lo ha detto lunedì a Gaza l’alto esponente di Hamas Mahmoud al-Zahar, in un aspro discorso pieno di retorica antisemita pronunciato in occasione della re-inaugurazione della secolare sinagoga di Hurva, nel quartiere ebraico della Città Vecchia (dopo che era stata distrutta dagli arabi nel 1721 e nel 1948).
“Siete destinati ad essere distrutti - ha continuato il leader islamista palestinese rivolgendosi agli ebrei - Avete fatto un patto col diavolo e con la distruzione stessa, proprio come la vostra sinagoga”.
Mahmoud al-Zahar ha fatto appello a tutti i palestinesi ovunque si trovino perché osservino cinque momenti di silenzio “per la scomparsa di Israele e per immedesimarsi con Gerusalemme e la moschea di al-Aqsa”. Ha anche esortato il mondo arabo a rispondere “ai crimini di Israele e a difendere i luoghi che sono santi per musulmani e cristiani dall’assalto razzista dei sionisti”.
In conclusione del discorso, il leader di Hamas ha chiesto all’Autorità Palestinese di non negoziare con Israele, aggiungendo che “i movimenti di resistenza devono prepararsi per la liberazione di tutta la Palestina [cancellando Israele] e per il ritorno dei profughi alle loro case [dentro Israele]”.

(YnetNews, 15.3.2010 - da israele.net)

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Denunciamo il nuovo razzismo di chi paragona Gaza ad Auschwitz

Dopo l'Israel Apartheid Week

di Giorgio Israel

Si è conclusa la sesta settimana mondiale “Israel Apartheid Week”, volta a denunciare il regime di apartheid che Israele imporrebbe in modo analogo a quanto accadde in Sudafrica. L’intellettuale olandese Ian Buruma, che certamente non è un sionista, ha definito questo paragone «intellettualmente pigro, moralmente discutibile, e persino menzognero». Nella settimana un deputato arabo-israeliano ha viaggiato negli USA e in Canada per spiegare che Israele è uno stato di apartheid. Ma se è così, perché esiste un deputato arabo che rappresenta al Parlamento israeliano i cittadini arabi israeliani? E come mai costoro possono avere deputati, persino un ministro, una stampa autonoma, non hanno vincoli a frequentare le spiagge e i ristoranti? Perché questo era l’apartheid sudafricano.
Come mai quel deputato può entrare liberamente nei territori controllati dall’Autorità Palestinese, può avere incontri con i dirigenti di Hamas e Hezbollah, andare e venire tra Israele, Siria e Libano, magari per tenervi propositi anti-israeliani? E non si dica che le barriere tra i territori di Israele e quelli palestinesi configurino qualcosa di analogo ai bantustan. In primo luogo, perché le barriere hanno una funzione di sicurezza e non di segregazione razziale e sono destinate a sparire appena conseguito un accordo di pace. In secondo luogo perché non si è mai sentito di bantustan sudafricani gestiti in autonomia, persino con una polizia armata.
Nella diffusione di questo indecente paragone porta una grande responsabilità il vescovo sudafricano Desmond Tutu che, diversi anni fa, si scagliò su The Guardian contro il potere della “lobby ebraica”, aggiungendo che «anche il governo dell’apartheid era forte, ma non esiste più. Anche Hitler, Mussolini, Stalin, Pinochet, Milosevic e Idi Amin erano forti, ma alla fine hanno morso la polvere». La giornalista inglese Melanie Phillips, nell’accusarlo di sfacciataggine, espresse stupore di fronte al fatto che un vescovo cristiano ripetesse «la menzogna del “potere ebraico” confrontato per giunta con quello di Hitler, Stalin e altri tiranni», aggiungendo che era indecente tacere delle persecuzioni dei cristiani da parte degli islamisti nel mondo, e denunciare soltanto gli israeliani che sono sulla linea del fronte di questo terrore.
Queste parole sono oggi più attuali che mai. Dall’accozzaglia indegna che si riunisce annualmente per fare professione di antisionismo - in realtà di odio antiebraico - non c’è nulla da attendersi. Sono i veri razzisti. Blaterano di Gaza come Auschwitz ma non dicono una parola delle vittime israeliane del terrorismo, non una parola dei bambini di Sderot. Se salta per aria una sinagoga o un ebreo viene torturato a morte da una banda islamista a Parigi, voltano la testa dall’altra parte. Parlano di discriminazione ma non dicono che un omosessuale palestinese, se vuole sopravvivere, deve rifugiarsi in Israele. Parlano di apartheid ma tacciono su quel che sta accadendo in Giordania e che il New York Times ha denunciato, e cioè che cittadini identificati come “palestinesi”, pur se aventi la cittadinanza giordana prima che Israele esistesse, ne vengono privati per inventare un diritto al ritorno in Israele.
Condannano il razzismo ma non dicono una parola dei cartelli posti all’ingresso dei locali di Petra: “Vietato l’ingresso ai cani e agli israeliani”. Qualche antisionista nostrano ha commentato: «Che hanno fatto di male i cani?». Da questa accozzaglia pseudointellettuale non ci si può attendere che questo. Ma dagli altri? Criticare Israele si può? Certamente. Ma demonizzare Israele come il concentrato di tutti i mali della terra è un’infamia razzista che nessuna persona onesta deve tollerare.

(l'Occidentale, 17 marzo 2010)

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Il gran rabbino d'Israele compiange at-Tantawi

Muhammad Sayyid
NAZARETH - Il gran rabbino di Israele, Shlomo Amar, ha comunicato alle autorità egiziane il dolore e la tristezza di tutti i rabbini dello Stato ebraico per la scomparsa dello sheykh di al-Azhar Muhammad Sayyid at-Tantawi, avvenuta il 10 marzo in Arabia Saudita.
La radio israeliana ha riferito che il gran rabbino ha inviato tramite l'ambasciatore egiziano a Tel Aviv una lettera di condoglianze al presidente Hosni Mubarak [peraltro in pessime condizioni di salute, ndr], nella quale si sottolinea "l'importante ruolo di guida svolto da at-Tantawi nel dialogo tra le religioni e nel porre salde basi religiose e morali nella regione mediorientale".
Nella sua lettera a Mubarak, il gran rabbino si è detto pronto a visitare Il Cairo "per esprimere i suoi sentimenti di tristezza e studiare i modi per proseguire il percorso indicato dallo sheykh di al-Azhar nel realizzare la pace e la fratellanza tra i popoli della regione".

(Infopal, 17 marzo 2010)

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Firenze - Onore a una eroina silenziosa

di Adam Smulevich

Domani mattina il popolo ebraico renderà il giusto onore a una delle sue salvatrici: il nome di Maria Agnese Tribbioli, fondatrice nel 1927 della Congregazione delle Pie Operaie di San Giuseppe di via dei Serragli, verrà scritto nel registro dei Giusti tra le nazioni. Il riconoscimento ufficiale avverrà nel corso di una cerimonia organizzata nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio alla quale parteciperanno le più importanti autorità civili e religiose cittadine, tra cui il sindaco Matteo Renzi, l’arcivescovo Giuseppe Betori e il rabbino capo Joseph Levi.
In apertura di mattinata è previsto l’intervento di Cesare Sacerdoti, figlio di uno dei tanti ebrei salvati dalla religiosa e promotore di questa iniziativa. Seguiranno gli interventi di alcuni docenti universitari, che ricostruiranno le tappe più significative nella vita della Tribbioli. Sarà poi Gideon Meir, ambasciatore di Israele in Italia, a consegnare medaglia e pergamena dell’istituto Yad Vashem a Marta Lombardi, attuale superiora generale della Congregazione.
Negli anni delle persecuzioni nazifasciste numerosi ebrei trovarono rifugio all’interno della Casa Generalizia della Congregazione, sfuggendo così alla deportazione nei campi di concentramento. Ad aprir loro le porte fu proprio Maria Agnese Tribbioli, che preferì non avvertire le altre suore della rischiosa decisione presa (non a caso in seguito verrà definita “operaia silenziosa”).
Il ricordo della donna è nelle parole commosse di Emanuela Vignozzi, vicaria generale delle Pie Operaie di San Giuseppe: “È sempre stata molto umile, modesta, non raccontava mai quello che aveva fattonel corso della sua vita. Anche in questo caso operò silenziosamente, per non allarmare la comunità sui rischi che avrebbe creato questa azione assistenziale nei confronti degli ebrei”.
E mentre il popolo ebraico le conferisce la massima onorificenza prevista per chi scelse la via del coraggio invece di quella dell’indifferenza, in Vaticano è in pieno svolgimento il suo processo di beatificazione.

(Notiziario Ucei, 17 marzo 2010)

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L'Australia acquista tecnologia da Israele

Si trattera' di un nuovo sistema di comunicazione e comando

SYDNEY, 16 mar - L'Australia ha firmato un contratto con una compagnia israeliana per l'acquisizione di tecnologia di nuova generazione per la sua difesa. Il ministro per il Personale e materiale di difesa Greg Combet ha annunciato che il contratto del valore di circa 220 mln di euro e' stato assegnato alla Elbit Systems Limited di Haifa che sviluppera' una capacita' di comando,controllo e comunicazioni per il comando operazioni speciali dell'esercito e il gruppo di supporto al combattimento dell'aeronautica.

(ANSA, 16 marzo 2010)

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Hamas ha usato i bambini come scudi umani

di Fausto Biloslavo

Travestiti da donne i miliziani portano in braccio neonati per scampare al fuoco nemico e si servono di ragazzini per proteggere gli arsenali. Nelle foto e nei video di una Ong israeliana la prova degli abusi del gruppo integralista durante la guerra di Gaza

Bambini usati come scudi umani, miliziani palestinesi travestiti da civili, oltre a moschee e ospedali trasformati in arsenali, comandi o postazioni per lanciare razzi. Un rapporto israeliano di 500 pagine denuncia le porcherie di Hamas durante la guerra nella striscia di Gaza dello scorso anno.
Reuven Erlich
Il documento, anticipato ieri sul quotidiano Jerusalem Post, è stato realizzato dal Centro di informazione di intelligence e terrorismo (Malam), un'organizzazione non governativa formata in gran parte da ex agenti israeliani. Non a caso la minuziosa ricerca è stata guidata da Reuven Erlich, ex ufficiale dell'intelligence militare. Le forze armate israeliane e lo Shin Bet, il servizio segreto interno, hanno messo a disposizione informazioni, foto e riprese aeree, oltre alle confessioni dei prigionieri e le testimonianze degli ufficiali impegnati nell'operazione Piombo fuso scatenata da Israele contro Hamas, nella striscia di Gaza, fra il 27 dicembre 2008 ed il 18 gennaio 2009.
In un video citato nel rapporto, del 6 gennaio dello scorso anno, si vede un cecchino palestinese che spara contro le truppe israeliane da un palazzo. Si accorge di essere stato individuato e chiede ai civili di aiutarlo a fuggire. Poco dopo arriva un gruppetto di bambini all'ingresso dell'edificio utilizzato come postazione. Il cecchino esce e grazie ai piccoli utilizzati come scudi umani si dilegua. Un altro video del 13 gennaio 2009 mostra un capo di Hamas finito nel mirino di un velivolo israeliano. Per sfuggire all'attacco corre verso un'anziana donna camminandole a fianco pur di non venir colpito. Più tardi le truppe israeliane scopriranno che «la vecchietta» era in realtà un miliziano di Hamas travestito.
Il rapporto dell'Onu dell'ex giudice Richard Goldstone sulla guerra di Gaza sosteneva di non aver «trovato prove che i combattenti palestinesi si siano mescolati tra i civili con l'intenzione di nascondersi dagli attacchi». Gli israeliani adesso dimostrano che gli uomini di Hamas usavano abiti civili per non farsi individuare. Le conferme arrivano non solo dalle immagini, ma dalle testimonianze di diversi ufficiali che hanno combattuto in prima linea e dalle ammissioni dei prigionieri. Gli uomini di Hamas si sono addirittura mascherati da donne con bambini in braccio per fregare gli israeliani. Il rapporto Malam denuncia anche il trasporto di una partita di razzi in un rimorchio dove c'erano dei bambini, che servivano a «proteggere» il carico.
Il palazzo Andalous, nel quartiere al-Karama della città di Gaza, ridotto ad uno scheletro di cemento, è diventato un simbolo di come gli israeliani bombardavano i civili. Invece sul tetto c'era una postazione di fanatici di Allah, che non volevano muoversi nonostante le suppliche degli inquilini. «Morire con noi è un grande onore. Sia fatta la volontà di Allah», dicevano.
A Sheik Zayed, 20 chilometri a nord di Gaza city, un farmacista palestinese era barricato con la famiglia al secondo piano del suo condominio. I militanti islamici avevano piazzato una trappola esplosiva sulla strada di fronte nascondendosi al terzo piano con il detonatore. La famiglia del farmacista ha dovuto fuggire per evitare il peggio. I soldati con la stella di Davide hanno sequestrato uno schizzo con il reticolo di cecchini e trappole esplosive che aveva trasformato Beit Lahiya, una cittadina nel nord della Striscia dove si è combattuto duramente, in un enorme scudo umano. Il rapporto Malam denuncia anche l'utilizzo di un centinaio di moschee e otto ospedali come posti di comando, arsenali o zone di lancio per i razzi di Hamas.
Erlich, l'ex ufficiale dell'intelligence militare responsabile del gruppo di ricerca, ha dichiarato: «Mettendo tutte le loro armi vicino alle case, operando nei dintorni delle abitazioni, dalle moschee e dagli ospedali, sparando razzi vicino alle scuole e usando scudi umani, Hamas è responsabile per la morte dei civili».

(il Giornale, 16 marzo 2010)

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"Giornata della rabbia" a Gerusalemme, massima allerta

ROMA, 16 mar. - Se ieri la giornata si è conclusa senza disordini di rilievo, oggi le forze di sicurezza israeliane sono in stato di massima allerta per la "giornata della rabbia" proclamata da Hamas. Scrive il quotidiano israeliano Haaretz che 3.000 poliziotti e soldati supplementari sono stati dispiegati a Gerusalemme e nei posti di frontiera con la Cisgiordania. Hamas ha proclamato la "giornata della rabbia" in risposta all'inaugurazione della sinagoga Hurva nella Città vecchia. Ieri le proteste si erano limitate a lanci di pietre nei pressi del Monte degli Ulivi. Oggi, per il quinto giorno consecutivo, è stato vietato l'accesso ai fedeli musulmani al Monte del Tempio. La sinagoga di Hurva, uno dei luoghi di culto più importanti per gli ebrei in Palestina prima della creazione dello Stato d'Israele nel 1948, è stata interamente ricostruita 62 anni dopo essere stata distrutta dai giordani in occasione della prima guerra arabo-israeliana.

(Apcom, 16 marzo 2010)

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Che cosa c'è dietro la "giornata della rabbia" indetta da Hamas

Così Netanyahu difende il carattere ebraico di Gerusalemme

di Giulio Meotti

Alcune migliaia di persone stanno manifestando da questa mattina nel centro della città di Gaza in occasione della "giornata di rabbia" proclamata da Hamas contro Israele. Violenti gli scontri nella parte nord di Gerusalemme, tra agenti della sicurezza israeliana e giovani palestinesi. I militari lanciano lacrimogeni contro i palestinesi che rispondono con le pietre. La protesta è nata in seguito all'inaugurazione della sinagoga Hurva, avvenuta ieri nella città vecchia di Gerusalemme, contestata dagli arabi perché troppo vicino alla moschea di al-Aqsa.
    Antiche sinagoghe. Tombe millenarie. Fortezze nel deserto. E' attorno ai simboli religiosi e alla conservazione del carattere ebraico di Gerusalemme che è scoppiata "la peggior crisi tra Israele e Stati Uniti dal 1975", come ha detto ieri l'ambasciatore israeliano a Washington Michael Oren (nel 1975 Israele si rifiutò di firmare un trattato sul Sinai). Una crisi che secondo molti commentatori rischia di sfociare in una terza Intifada. Il governo Netanyahu ha annunciato la costruzione di 1.600 abitazioni a Gerusalemme est, che i palestinesi reclamano come loro capitale. Negli stessi giorni a Gerusalemme c'era in visita il vicepresidente Joe Biden e la Casa Bianca ha usato parole durissime, denunciando l'"oltraggio" israeliano.
    Se in "Giudea e Samaria", come i religiosi israeliani chiamano la Cisgiordania contesa, Netanyahu ha promosso un congelamento per diversi mesi degli insediamenti, decisione politica senza precedenti tra i governi israeliani anche di sinistra, a Gerusalemme si va avanti a costruire e si è intensificato lo scontro attorno a leggendari simboli ebraici. Netanyahu ha chiarito come tale decisione "non modifichi in nulla lo status quo dei siti in questione". Ma ha anche spiegato che la libertà di culto si ha soltanto dal 1967 sotto responsabilità israeliana. Prima della guerra dei Sei giorni, infatti, agli ebrei era vietato dai giordani l'ingresso nella città vecchia di Gerusalemme, dove si trova il luogo più importante della tradizione ebraica, il Muro del pianto; a Hebron, dove sono sepolti i patriarchi biblici; alla tomba di Giuseppe a Nablus e della matriarca Rachele a Betlemme. L'Autorità palestinese ha violato sistematicamente gli accordi di Oslo nella protezione dei luoghi santi ebraici in Cisgiordania. Durante la seconda Intifada i palestinesi distrussero la Tomba di Giuseppe e la sinagoga Shalom al Yisrael a Gerico. C'è chi chiede che anche quest'ultima sia inclusa nel piano Netanyahu. Attualmente l'esercito israeliano consente soltanto una visita mensile.
    Per annunciare la sua nuova politica del patrimonio culturale, Netanyahu non ha scelto un posto a caso. E' andato in cima a Tel Hai, dove si svolse una celebre battaglia contro gli arabi. Lì è sepolto Joseph Trumpeldor, un ardente sionista che cercò di difendere il kibbutz dall'aggressione araba. Prima di perire disse al suo medico: "E' un bene morire per il proprio paese". Il piano Netanyahu è semplice: 73 milioni di euro per restaurare siti cari a Israele. Non soltanto lo skyline di Tel Aviv e il suo Bahaus, ma anche i principali siti archeologici di biblica memoria. Netanyahu vuole incrementare il volto ebraico di Gerusalemme, da mesi al centro di battaglie legali sulle costruzioni. A scatenare le ire degli alleati americani è stata l'inclusione fra i tesori culturali anche di tombe che sorgono nei Territori contesi dopo la guerra del 1967.
    Netanyahu ha annunciato di voler rinverdire l'area del Cedron, adiacente alla cittadella di David. Gli arabi affermano che è una zona di loro proprietà, ma non sono stati capaci di dimostrarlo davanti alla magistratura israeliana. Il giardino di re David è citato più volte nella Bibbia, da Isaia a Geremia, con le sue acque leggendarie. Lì sorge anche la tomba di un venerato rabbino di origini italiane, Ovadiah Ben Avraham. Sempre lì si trovano le tombe monumentali del secondo Tempio. E' la valle di Giosafat, sotto il monte degli Ulivi.
    E' qui che secondo la Bibbia si svolgerà il Giorno del Giudizio. Molti ebrei da tutto il mondo comprano ormai rari lotti. Sono quattromila anni che si viene a morire qui volentieri. Fra le grandi tombe quella di Assalonne e di una principessa egizia venuta in sposa a re Salomone. Ieri nella Città vecchia a Gerusalemme il governo Netanyahu ha inaugurato la storica sinagoga Hurva, che come scrive il Jerusalem Post "forse più di ogni altro sito archeologico simboleggia il desiderio del popolo ebraico di tornare alla propria terra". Distrutta dai musulmani nel XVIII secolo, ricostruita attraverso i fondi di magnati ebrei, la sinagoga è stata nuovamente distrutta nel 1948 dai soldati giordani. E' rimasta senza ebrei fino al 1967. Ieri è stata riconsegnata al pubblico dopo anni di desolazione e incuria.
    Tra i luoghi che Netanyahu intende valorizzare, oltre al roccione di Masada teatro del suicidio dei guerrieri ebrei contro i romani e a tre sinagoghe sul Golan, c'è la tomba dei patriarchi di Hebron, dove poche centinaia di ebrei vivono in mezzo a decine di migliaia di palestinesi e che è stato teatro di una fitta scia di dolore in cui sangue chiama sangue. La città è menzionata nella Bibbia ottanta volte e risale a più di tremila anni fa. Lì sono sepolti Abramo, la moglie Sara, il figlio Isacco e sua moglie Rebecca, quindi Giacobbe e sua moglie Lea. Nel 1929, senza che ci fosse stata provocazione verso gli arabi, sessanta ebrei furono massacrati in un pogrom. Quando dopo il 1967 gli ebrei tornarono a vivere nel cuore di Hebron, mancavano da una generazione.
    C'è l'antica sinagoga di Sussiya, a sud di Gerusalemme, centro del Talmud. E la nota Qumran, dove sono stati rinvenuti i rotoli del Mar Morto. La tomba di Rachele dista pochi metri dalla linea tra Gerusalemme e Betlemme. Due stanzette ritenute la tomba di quella che per gli ebrei è una specie di madre universale, la moglie di Giacobbe che morì nel dare alla luce Beniamino. Le donne senza figli cercano lì miracoli di fertilità. Netanyahu ha annunciato di voler proteggere la tomba di Erode, la stessa zona del profeta biblico Amos. Dalla fine dell'800 la tomba divenne uno dei trofei più contesi dell'archeologia biblica. Nel 1982 uno studente americano fu ucciso da palestinesi. Il giorno dopo i coloni fondarono una comunità. Si chiama Nokdim e tra i suoi abitanti c'è il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman.

(Il Foglio, 16 marzo 2010)

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Da un sito pro Hamas

I dirigenti di Fatah mettono in guardia da una terza intifada

NABLUS - I dirigenti di Fatah criticano con forza gli appelli a una 'terza Intifada' come risposta all'inaugurazione della 'sinagoga delle rovine' nei pressi della moschea al-Aqsa e la posa della prima pietra del 'Terzo tempio'. Essi sostengono infatti che una nuova Intifada sarà una sciagura per tutti i palestinesi.
Taysir Nasrallah, leader di Fatah a Nablus, ha affermato che non condivide l'idea di far scoppiare una nuova sollevazione armata contro gli occupanti: "Appoggiare un'intifada adesso non si addice all'attuale situazione dei palestinesi, in particolare perché stiamo ancora valutando i risultati della precedente intifada".
Nasrallah ha aggiunto che "durante l'Intifada di al-Aqsa vennero usate le armi contro l'esercito più forte della regione, con risultati catastrofici per il popolo palestinese".
Il leader di Fatah invita perciò a circoscrivere la rabbia contro i provvedimenti israeliani organizzando proteste popolari pacifiche: "Affronteremo i piani degli occupanti a petto nudo, poiché non è possibile convivere con l'occupazione e il suo governo razzista ed espansionista: i palestinesi affronteranno tutto ciò con modalità pacifiche e popolari".

(Infopal, 16 marzo 2010)

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Gli ebrei infuriati attaccano Obama

Due organizzazioni contro Washington

NEW YORK - Per i suoi attacchi contro Israele, due tra le principali organizzazioni ebraiche americane, la American Israel Public Affairs Committe (Aipac, lobby Usa pro-Israele), e l'Anti Defamation League (Adl), hanno criticato il presidente Usa Barack Obama, difeso soltanto dalla meno influente J Street, l'organizzazione ebraica progressista. La più dura è stata l'Aipac, secondo alcuni osservatori spinta in prima linea dal premier Benjamin Netanyahu, che insieme al segretario di Stato Usa Hillary Clinton sarà ospite d'onore, la prossima settimana, della Conferenza Politica organizzata a Washington dal Public Affairs Committee.
L'Aipac ha in particolare criticato i toni della risposta degli Stati Uniti, insolitamente dura nei confronti di Israele, dopo l'annuncio di nuovi insediamenti a Gerusalemme proprio quando il vicepresidente Usa Joe Biden era in visita ufficiale nello Stato Ebraico, la scorsa settimana. L'organizzazione americana, affermandosi "seriamente preoccupata'', ha chiesto all'Amministrazione Obama di fare i passi necessari per far calare la tensione, chiedendo a Washington di evitare di imporre nuove "scadenze unilaterali'' ad Israele che possano distogliere l'attenzione dai problemi veri, come l'escalation nucleare in Iran. Domenica, il più stretto consigliere di Obama, David Axelrod, aveva rincarato la dose definendo «un affronto» e «un insulto» l'annuncio israeliano, temendo che possa «rendere ancora più difficile un processo (di pace) particolarmente difficile». Ieri, il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Philip Crowley ha ricordato che «Israele è e resterà un alleato strategico degli Stati Uniti, ma attendiamo una sua risposta formale», facendo cioè intendere che la tensione non sia ancora calata del tutto. Come l'Aipac, è stato duro anche Foxman, che sul sito dell'Adl si è detto «scioccato e stupito» dalla «lavata di capo unilaterale» degli Usa ad Israele, aggiungendo di non ricordare «parole così dure nei confronti di un amico ed alleato degli Stati Uniti». In un lungo editoriale pubblicato dal sito The Huffington Post, Foxman riconosce però che l'annuncio israeliano è stato «un disastro» creando imbarazzo a Biden, in Israele proprio per stringere ancora di più le relazioni tra i due Paesi.

(Corriere Canadese, 16 marzo 2010)

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"L'ingresso non è consentito a cani e israeliani"

Scritte antisemite a Petra (Giordania). Islamici mobilitati contro la sinagoga Hurva di Gerusalemme

di Michael Sfaradi

"Spiacenti, ma l'ingresso non è consentito a cani e israeliani". Questo messaggio è su un manifesto appeso all'ingresso di numerosi negozi di Petra, in Giordania. Sui giornali israeliani, che pubblicano la foto del manifesto scritto in lingua inglese, non sono mancate risatine compiaciute da parte di turisti provenienti da ogni angolo di mondo, Europa compresa. Questi cartelli, non ancora rimossi, fanno capire quanto siano fragili i rapporti fra lo Stato ebraico e le nazioni con le quali con le quali esistono dei trattati di pace. Questi manifesti che si ispirano a ciò che accadde in Europa durante il nazismo, la dicono lunga sui sentimenti antiebraici da sempre presenti nella società araba, ma ciò che lascia attoniti è il silenzio intorno a questa vicenda. Nessuna nazione dell'Unione Europea ha a tutt'oggi chiesto spiegazioni ad Amman, mentre i media internazionali hanno ignorato la notizia o la hanno relegata ad un piccolo trafiletto. Noi crediamo invece che si tratti di un atto estremamente grave innanzitutto perché questo è il "Modus Operandi" del più bieco e tracotante antisemitismo e poi perché è accaduto in una nazione come la Giordania che l'Italia considera un ponte fra l'Europa e il mondo islamico. Non osiamo immaginare quali e quante accuse di Apartheid sarebbero state rivolte ad Israele nel caso in cui le parti fossero state invertite, con le conseguenti condanne all'Onu e richieste di boicottaggi di ogni tipo. Un altro motivo di tensione è che ieri, lunedì 15 marzo, è stata inaugurata, nell'antico quartiere ebraico di Gerusalemme, la terza sinagoga "Hurva".
La prima fu distrutta nel 1721, la seconda ricostruita nel 1864 fu fatta saltare in aria nel 1948 dall'esercito giordano. Il nuovo edificio è già il simbolo del rinato quartiere ebraico della Città Vecchia ed è il segno evidente dell'ebraismo rifiorito in Terra di Israele. Dopo 62 anni ci sarà di nuovo una cupola ebraica a Gerusalemme, insieme alle due islamiche sulla spianata del Tempio e quelle cristiane del Santo sepolcro. Secondo informazioni di intelligence il tam-tam islamico si è già messo in moto, ed anche se si tratta di una costruzione all'interno del quartiere ebraico, le autorità islamico-palestinesi della Cisgiordania, di Gaza e i vertici di Hamas a Damasco, hanno esortato la popolazione a non accettare nuovi simboli ebraici all'interno della città. Le autorità israeliane, che già da diversi giorni limitano il passaggio degli uomini sotto i 40 anni di età dalla Cisgiordania verso Gerusalemme, si aspettano disordini e contestazioni, da parte della popolazione araba gerosolimitana, più importanti di quelli che hanno caratterizzato i due ultimi venerdì di preghiera islamica. Al fine di far mantenere l'ordine pubblico sono stati mobilitati oltre 3000 agenti in tenuta antisommossa coadiuvati da reparti della polizia. Una profezia del Gaon di Vilna (Genio di Vilna), Rabbino vissuto a Vilna fra il 1720 e il 1797, affermerebbe che la 3a ricostruzione della sinagoga Hurva sarà il segnale per ricominciare la costruzione del 3o tempio di Gerusalemme, dopo quelli di Salomone ed Erode distrutti dai babilonesi e dai romani. Questa profezia, che negli ultimi giorni passa di bocca in bocca, sta infiammando gli animi nel quartiere ebraico. Si tratta unicamente delle parole di un cabalista, ma nella città sacra dove la religiosità e la mistica si respirano nell'aria, hanno indubbiamente il loro peso. La Cabala potrebbe riservare delle sorprese? Ai posteri l'ardua sentenza.

(l'Opinione, 16 marzo 2010)

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Chi è ebreo? Il movimento Reform contro il parlamento israeliano

di Anna Momigliano

Questa settimana la Knesset, il parlamento unicamerale di Gerusalemme, vota (e probabilmente approverà) una nuova legge che sta alzando un gran polverone tra le comunità ebraiche europee e americane. In breve, si tratta di una legge che crea una distinzione tra gli "ebrei per nascita" (cioè chi è nato da una madre ebrea) e gli "ebrei per scelta" (cioè coloro che si sono convertiti all'ebraismo).
Finora praticamente nessuno si è posto il problema di fare una distinzione tra le due categorie… a parte forse fare la domanda ai convertiti: ma chi ve l'ha fatto fare? Adesso invece questa proposta di legge cambierebbe radicalmente le cose, mettendo in un piano inferiore gli ebrei per scelta.
La questione è in realtà più politica che religiosa: in base alla Legge del Ritorno, ogni ebreo proveniente da qualsiasi parte del mondo ha diritto a ricevere la cittadinanza israeliana.
Ora, la proposta di legge intende porre dei limiti severi ai convertiti che richiedono la cittadinanza israeliana: tra le limitazioni, c'è anche quella di non accettare le conversioni effettuate da rabbini non strettamente ortodossi. Questo, probabilmente, per evitare che molti immigrati (o "lavoratori stranieri", come li chiamano in Israele) ottengano la cittadinanza.
Risultato? La comunità ebraica americana è insorta contro la proposta di legge: negli Usa infatti sono maggioritarie infatti le correnti progressiste dell'ebraismo, come i Conservative o i Reform, che rischierebbero di essere escluse dalla nuova legge.
Chi sono questi Reform? Per farla breve, è una corrente dell'ebraismo un po' più moderna rispetto a quella tradizionale. Li si distingue soprattutto perché permettono a uomini e donne di pregare insieme, mentre nelle sinagoghe ortodosse vige ancora la separazione tra maschi e femmine.
Come già accennato, è un movimento molto diffuso negli Stati Uniti, ma che ha un certo seguito anche in alcune nazioni europee, come la Francia e il Regno Unito.
In Italia gli ebrei Reform sono ancora pochini, ma pure loro sembrano alquanto agguerriti sulla questione. Il rabbino della comunità di Beth Shalom di Milano Robert Gan sta organizzando una raccolta di firme per convincere il Parlamento e il governo israeliani a bloccare il progetto di legge.

(Panorama, 15 marzo 2010)

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La festa di Pesach

di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Domani inizia il mese di Nisan. Tra poco arriva Pesach. Sono stato intervistato l'altro giorno alla radio insieme ad un antropologo e un sacerdote cattolico, per parlare della Pasqua (o delle Pasque). La domanda insistente era: "Pasqua come festa della pace". E' un segno della marmellata ecumenica-mediatica-politically correct che ci viene servita ogni giorno acriticamente. Tutti buoni, tutti fratelli, tutti pacifisti e così via. Ho cercato di spiegare che Pesach non è la festa della pace, ma la festa della libertà, l'intervento divino nella storia per liberare un popolo dall'oppressione di un altro popolo. Messaggio non di poco conto in questi tempi, che viene evitato però accuratamente parlando di "pace". Il brano che abbiamo letto solennemente questo Shabat con la lettura della parashat haChodesh, Esodo 12 non è un messaggio di pace, è un manifesto di liberazione.

(Notiziario Ucei, 15 marzo 2010)

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Il Presidente Lula è in Israele

Poi andrà nei Territori palestinesi e in Giordania

Luiz Inacio Lula da Silva è
GERUSALEMME, 15 mar. - Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è a Gerusalemme, prima tappa di una visita di quattro giorni in Israele, nei Territori palestinesi e in Giordania. Lula, che è accompagnato da una delegazione di 80 imprenditori ha incontrato il presidente israeliano Shimon Peres e la leader dell'opposizione, ex ministro degli Esteri, Tzipi Livni. Domani Lula, primo capo di Stato brasiliano in visita ufficiale nella Regione, si recherà in Cisgiordania per riunioni con i dirigenti palestinesi, successivamente si sposterà in Giordania.
La visita in Medio Oriente di Lula arriva in piena crisi diplomatica tra Israele e Stati Uniti, e mentre lo Stato ebreo è sotto il fuoco delle critiche internazionali, dopo l'annuncio della costruzione di 1.600 alloggi a Gerusalemme-Est. Il Brasile ha condannato la decisione israeliana che ha frenato nuovamente il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi, sospeso dalla guerra di Gaza, nel dicembre 2008.
Venerdì scorso Lula, nel corso di un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz ha sottolineato di aver detto in modo chiaro al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che non può invocare la distruzione di Israele e negare l'Olocausto.
Lo scorso novembre il presidente brasiliano, che terminerà il suo secondo e ultimo mandato tra sette mesi, è stato criticato per aver accolto in Brasile con tutti gli onori il presidente ultraconservatore iraniano, nonostante le repressioni violente delle manifestazioni dell'opposizione iraniana seguite alle contestate elezioni dello scorso giugno. E sempre in novembre il Brasile è stato uno dei cinque paesi che si è astenuto dal condannare l'Iran all'Aiea (l'Agenzia internazionale per l'energia atomica).
Il prossimo maggio Lula si recherà a sua volta in visita in Iran, e per evitare equivoci nel suo tour mediorientale in Israele il presidente ha detto ad Haaretz: "Ho parlato con il presidente dell'Iran e gli ho detto chiaramente che non può dire di volere la distruzione di Israele, così come non può negare l'Olocausto".

(Apcom, 15 marzo 2010)

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Lula non rende omaggio alla tomba di Herzl

GERUSALEMME, 15 mar. - Il mancato omaggio del presidente braziliano Luiz Inacio Lula da Silva alla tomba di Theodor Herzl nel corso della sua prima visita ufficiale in Israele iniziata ieri e' "un insulto agli israeliani e alle comunita' sioniste di tutto il mondo". E' il commento dell'Agenzia ebraica per bocca di Hagai Merom, citato dal 'Jerusalem Post'. "Mi auguro e credo che il presidente cambiera' idea - aggiunge - non deporre una corona sulla tomba di Herzl e' come rifiutarsi di visitare le tombe di Mustafa Kemal Ataturk in Turchia o del Mahatma Gandhi in India".

(Adnkronos, 15 marzo 2010)

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Inaugurata sinagoga nel centro di Gerusalemme. Tensione con i palestinesi

Per il quarto giorno consecutivo la polizia israeliana mantiene il blocco sulla Spianata delle Moschee, nel cuore di Gerusalemme Est. In base alle restrizioni stabilite dallo stato d'allerta, solo gli uomini oltre i 50 anni possono transitarvi.
Il clima di forte tensione coincide con l'inaugurazione, nella Città Vecchia, di una antica sinagoga, ricostruita dopo che nel 1948 era stata rasa al suolo.
La riapertura del luogo di culto, a così breve distanza dalle moschee, ha scatenato la gioia degli ebrei osservanti, che vedono nell'evento la realizzazione di una antica profezia.
Che la inaugurazione di oggi sia anche un esplicito segnale politico lo dice anche il leader dei coloni, che parla di "messaggio per Obama: Gerusalemme è nostra e resterà nostra, lo deve sapere l'amministrazione statunitense. L'intera terra di Israele ci appartiene, e Gerusalemme è nostra per l'eternità".
Negative le reazioni palestinesi, che venerdì a centinaia si sono scontrati con la polizia.
"Questa sinagoga sarà il preludio alla violenza, all'estremismo e al fanatismo religioso", ha commentato un alto dirigente palestinese.

(euronews, 15 marzo 2010)

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Netanyahu: le costruzioni continueranno a Gerusalemme est

GERUSALEMME (15 marzo) -Il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, ha ripetuto oggi durante una riunione di partito che i progetti di costruzione di alloggi a Gerusalemme (inclusa la parte orientale della città, a maggioranza araba) «andranno avanti» anche per il futuro, sottolineando che questa è la politica di tutti i governi del Paese da «42 anni». «Le costruzioni a Gerusalemme, come in ogni altro luogo (di Israele) continueranno, secondo quella che è stata la consuetudine negli ultimi 42 anni», ha tagliato corto Netanyahu rispondendo a un deputato del suo partito (Likud, destra) che, durante una riunione del gruppo parlamentare alla Knesset, lo interrogava su eventuali contraccolpi della crisi in atto con gli Usa e con altri attori della comunità internazionale dopo la contestata autorizzazione da parte del suo governo di un nuovo progetto edilizio a Gerusalemme est. Analoghe puntualizzazioni il premier le aveva fatte negli ultimi giorni, pur scusandosi con l'amministrazione americana per i tempi dell'annuncio sull'ultimo progetto, coinciso con la visita nella regione del vicepresidente Joe Biden e seguito da manifestazioni di aperta irritazione a Washington.

(Il Messaggero, 15 marzo 2010)

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Maimonide, un percorso verso il benessere

di Valentina Nizardo

 La statua di Maimonide
     a Cordova
Un libro a cura di Giuseppe Laras e Michele Tedeschi, presentato lo scorso martedì 9 marzo a Milano presso la Fondazione Culturale San Fedele. E noi, ovviamente, ci siamo stati!

La sala della Transfigurazione in piazza San Fedele ha un che di antico nell'aria già solo nel mettervi piede. Un quadro della Madonna con bambino in fondo alla sala accoglie, quasi ad abbracciarli, i partecipanti alla presentazione di un libro che di antico invece ha davvero il contenuto: due testi di Maimonide (1138-1204 d.C.) tradotti in italiano, il "Trattato sull'Etica dei Comportamenti" ("Hilchoth De'oth",1170-1180) e la "Guida alla Salute" ("Hanhagath Ha-Beriuth", 1198). Maimonide, filosofo e rabbino di Cordoba, è stato inoltre uno dei medici più importanti del suo tempo, il XII sec. d.C.: i suoi scritti sono quindi lontani nel tempo, ma estremamente attuali di fatto. Infatti "nonostante siano stati scritti quasi 1000 anni fa, questi testi tradotti e commentati nel nuovo volume, rappresentano quello che molti di noi vorrebbero fosse oggi il percorso di diagnosi e cura". Questo ciò che pensa uno dei due curatori dell'opera, Michele Tedeschi, medico oncologo e specialista in agopuntura, responsabile delle sperimentazioni cliniche di Humanitas, che ha appunto commentato i testi insieme a Giuseppe Laras, studioso di filosofia ebraica e ex docente all'Università degli studi di Milano.

Alla fondazione San Fedele sono presenti entrambi, assieme all'editore Franco Muzzio, che per primo prende la parola per spiegarci i motivi di una scelta editoriale forse un po' controcorrente: aldilà del prestigio dei nomi dei curatori, alla base della pubblicazione di quest'opera c'è il forte desiderio di "avviare una promozione della medicina umanistica".

Per risolvere i problemi della malattia e del malato occorre porre attenzione non solo al corpo: Maimonide, in modo drammaticamente attuale, proponeva già mille anni fa una concezione globale della malattia e del malato in sé. Il libro diventa pertanto un monito, un cammino, un orientamento verso la salute globale dell'individuo che non si riduce all'assenza di patologie, ma che abbraccia un benessere totale che non è solo fisico, ma anche mentale e sociale. L'opera di Maimonide è infatti un'opera non solo medica, ma anche, e forse soprattutto, filosofica e morale nel suo proporre una nuova visione della relazione medico-paziente che varrebbe la pena di riprendere in considerazione più ampiamente. Riproporre Maimonide, allora, è riproporre un percorso di cura che " parte dalla prevenzione della malattia e che, alla sua comparsa, ne valuta le componenti psicologiche oltre che fisiche, e che nella cura integra al trattamento specifico tutti i bisogni psicologici e di accoglienza di cui ogni malato necessita" (sempre nelle parole di Tedeschi).

A spiegarci più in profondità il pensiero del filosofo spagnolo è il presidente dell'Assemblea rabbinica italiana, il rabbino capo Laras. Maimonide, conosciuto principalmente come l'autore della Guida dei Perplessi, per lo studioso dà invece il meglio di sé nelle sue opere morali e teologiche, dove dominano due idee fisse: la prima riguarda il pensiero (il pensiero è la cosa più importante che l'uomo ha in sé, che lo deve guidare e costruire nel suo farsi individuo), la seconda l'azione (un'azione per essere buona deve essere mediana). In questa teoria dell'equidistanza dagli estremi, si vede l'influsso che Aristotele ebbe sul pensiero di Maimonide. Questa teoria è rintracciabile anche nella tradizione biblica, nel Libro dei proverbi. Secondo questa teoria per arrivare a una perfezione morale che produca azioni mediane, occorre che l'individuo raggiunga non solo la perfezione spirituale, ma anche quella fisica, indispensabile e basilare per arrivare alla prima. In questo è fondamentale il rapporto con gli altri, con la società, con le altre individualità che creano l'insieme: diventare persone equilibrate in funzione e come conseguenza di una società equilibrata. In questo si può leggere l'attualità di un pensiero solo apparentemente così lontano da noi.

In questa comunione di animo, corpo e società, la medicina si innesca come procedura estremamente importante per garantire le basi migliori per un'evoluzione che porti al benessere globale. La vera cura è quella che si muove in anticipo. Bisogna fare in modo che la cura anticipi la malattia. La persona infatti è un tutt'uno, fatto di mente e corpo, e occorre quindi curarli entrambi. Come? Indirizzando alla medietà. Non è un discorso da "bigotto" come sostiene Laras, anzi, Maimonide conosceva molto bene le spinte, i bisogni e i limiti dell'uomo. Proprio per questo sa bene che il modo per correggersi è solo uno: spingersi dalla parte opposta per poi trovare l'equilibrio.

Dal punto di vista medico l'attualità del pensiero maimonideo è messa in luce da Tedeschi, che ci spiega che la conoscenza globale del paziente è il fondamento per creare le basi di una buona cura, perché mente e corpo sono indissolubili anche nella malattia. Questo per instaurare il rapporto umano di base per poter intervenire nel modo più adeguato a ciascuno. Infatti noi non possiamo sapere se stiamo realmente bene anche se non abbiamo patologie evidenti. Potrebbero essere latenti e sprigionarsi quando meno ce lo aspettiamo, per un improvviso momento di crisi o stress. Oppure non manifestarsi mai proprio per il contrario. Come fare allora per prevenire?

Maimonide ci dà una serie di consigli su atteggiamenti da tenere nei confronti di noi stessi, delle modalità sane di alimentarci, lavarci, di vivere quotidianamente che ci garantiscano uno stato di benessere.

In questo quadro il medico deve avvicinarsi al malato "confrontandosi con lui", a partire dai suoi aspetti psicologici. Bisogna in primis accertarsi di quelli, prima di intervenire con una cura specifica. Perciò Maimonide distingue tra sani, malati e convalescenti - che malati non sono ma necessitano lo stesso di cure se non fisiche, attente alla psiche: "tutto sommato del medico c'è bisogno, ma sempre a supporto della natura".

Infatti ogni malato ha un cuore oppresso: ad ogni malato va dato un supporto. Profumi, musica, amici, tutte attenzioni che vanno aldilà della cura specifica e che rendono l'opera di Maimonide davvero vicina a tutti coloro che in un'epoca in cui si è solo attenti al corpo e all'apparire, stanno rivalutando percorsi di vita e di benessere più globali, che comprendano appunto anche aspetti solo apparentemente meno concreti.

L'estrema attualità di Maimonide è certamente riconducibile allora alla prevenzione della malattia come prima meta del medico, alla medicina psico-somatica e al disagio psicologico come possibile causa di malattia, alla descrizione di quadri clinici attuali (diabete, asma, ma anche descrizioni di operazioni chirurgiche e di zone neurologiche periferiche), ma Maimonide è attuale anche, e forse soprattutto, perché spiega la "necessità di una vita più calata in un contesto ecologico appropriato".

Il libro finisce con un'appendice sui medicamenti, le erbe e le ricette farmaceutiche del Cairo del XII sec. (Maimonide visse la maggior parte della sua vita in Egitto) con l'aggiunta di un elenco di fitoterapia, inserita a titolo di cronaca e curiosità scientifica, per ribadire la non anacronisticità di un pensiero così antico, se si pensa che ancora oggi certe piante vengono usate per le stesse funzioni. A concludere l'evento alcune domande dal pubblico su questioni filosofiche e morali. Come sempre la gente comincia a scemare e a far domande ai curatori. Io mi fermo seduta col libro sulle gambe a pensare.

Oggigiorno si trascura davvero quella parte di sé che invece è alla base di ogni nostro comportamento: la psiche e la natura umana sono parte integranti di noi. Ricorrere a rimedi naturali e all'ascolto di noi stessi non è solo una pratica controcorrente, seguita da quei tipi strani che vanno ai corsi di meditazione e che si curano solo con pappette o si affidano a sciamani: è un altro modo di vedere e di vivere che produce effetti enormi.

E se non serve per guarire del tutto, serve per guarire dentro. E con questo si è già a metà dell'opera!

(wellMe.it, 15 marzo 2010)

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Inaugurata una nuova sinagoga a Ginevra

Una nuova sinagoga - la prima costruita in Svizzera da quasi 50 anni - è stata inaugurata oggi a Ginevra. L'edificio è destinato ai fedeli della comunità ebraica liberale, il cui numero è salito in quarant'anni da 30 a 1500 persone, ha indicato il suo presidente Jean-Marc Brunschwig. La costruzione, venuta a costare 12 milioni di franchi, è stata finanziata integralmente da donazioni private.

(ticinonews.ch, 15 marzo 2010)

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Il Presidente Abbas incolpa l'Iran per aver bloccato la riconciliazione dei Palestinesi

TUNISI - Il Presidente Palestinese Mahmoud Abbas lo scorso Venerdi ha attaccato l'Iran, incolpando Tehran di aver avuto un ruolo decisivo nel l'ultimo fallimento della riconciliazione tra il suo movimento secolare Fatah e il rivale Isalamista Hamas.
"L'Iran non vuole che Hamas firmi il documento di riconciliazione del Cairo", ha detto Abbas durante un incontro nella capitale tunisina.
Fatah e Hamas hanno lottato per mesi per giungere ad un accordo unitario sotto la mediazione egiziana, ma gli sforzi sono collassati all'ultimo lo scorso anno quando Hamas ha rifiutato di condividere una proposta che era stata firmata da Fatah.
Abbas ha detto che mentre i capi di Hamas avevano inizialmente manifestato la loro approvazione per il documento, successivamente hanno cominciato ad addurre scuse per non firmarlo.
I capi di Fatah hanno detto che il loro scopo era di "togliere la propria popolazione dalla tutela iraniana".
Hamas ha sconfitto Fatah dalla Striscia di Gaza nel 2007 dopo lotte sanguinarie, un anno dopo la vittoria delle elezioni legislative palestinesi.
Nuove elezioni legislative si sono tenute all'inizio di quest'anno, ma sono state posticipate a tempo indefinito perchè Hamas ha impedito il voto a Gaza senza un accordo unitario con il movimento di Fatah di Abbas.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 15 marzo 2010)

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Il cimitero ebraico di Venezia finalmente bonificato

di Tania Danieli

A Venezia Lido esiste da secoli un cimitero ebraico che purtroppo è stato lasciato per anni all'incuria. Finalmente l'Amministrazione locale, dopo i danni provocati dalla bufera di neve della settimana scorsa, si è decisa a bonificare i 35mila mq di verde in cui sono immerse le antiche e nuove sepolture così da renderlo finalmente più facilmente accessibile ai veneziani e non. A Praga c'è una folla che visita il locale cimitero ebraico e quello di Venezia non è da meno una volta che sarà reso fruibile con un'opera di riassestamento e catalogazione delle tombe oltre a una giusta promozione così come è stato fatto per il Ghetto in cui il museo, la casa dell'Ospitalità, le sinagoghe sono viste oramai da decine di migliaia di persone.
Il cimitero ebraico di Venezia è una parte importante della storia italiana e europea e del rapporto tra ebraismo e le altre culture. la prima lapide del cimitero risale al 1389, poi dal 1516 con l'istituzione del Ghetto, il cimitero fu allargato per accogliere anche ebrei spagnoli e portoghesi, e poi ancora ebrei provenienti dall'Europa e dal bacino del Mediterraneo che introdussero nuovi simboli e elementi decorativi. Ciò che oggi con il lavoro di potatura degli alberi e pulizia del sottobosco emerge sono le file di sepolcri che erano diventati inaccessibili perché coperti da vegetazione. Il cimitero di Venezia è un unicum che non ha uguali in Europa: è il più antico, è il più grande, è collocato in un contesto che non ha uguali, le sue lapidi testimoniano il passaggio di ebrei provenienti da tanti paesi, ed è un cimitero ancora utilizzato. Rappresenta la storia di una comunità e del suo intrecciarsi con la storia della città.

(Venezia.net, 15 marzo 2010)

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Israele risponde a Goldstone, nuovo rapporto sulla guerra di Gaza

"Hamas usò bambini come scudi umani durante l'offensiva"

ROMA, 15 mar. - Durante l'offensiva "Piombo fuso" condotta lo scorso dall'esercito israeliano nella Striscia di Gaza, i miliziani di Hamas utilizzarono bambini palestinesi come scudi umani e istallarono i loro comandi e le postazioni di lancio dei razzi Qassam in oltre cento moschee e ospedali della Striscia. Lo riporta il Jerusalem Post, che cita un nuovo rapporto di 500 pagine preparato dal Terrorism Information Center (Malam), un piccolo centro di ricerca diretto dal colonnello riservista Reuven Erlich, un ex ufficiale dell'intelligence militare, che lavora a stretto braccio con l'esercito.
L'esercito israeliano e lo Shin Bet hanno collaborato con gli autori del rapporto, che sarà diffuso oggi, declassificando centinaia di fotografie, video e verbali di interrogatori di prigionieri. Come scrive il Jerusalem Post, il rapporto Malam è "la prima vera e aggressiva risposta di Israele al rapporto Goldstone", il controverso dossier sulla presunta violazione dei diritti umani durante la Guerra di Gaza da parte di Israele e di Hamas, realizzato dalla commissione guidata dal giudice sudafricano Richard Goldstone.
Nel rapporto ci sono capitoli dedicati all'utilizzo da parte di Hamas di moschee, ospedali, scuole e ambulanze per fini bellici. C'è un capitolo sulla forza di polizia di Gaza, che il rapporto Goldstone definisce come forza civile, e c'è inoltre una sezione che spiega in dettaglio gli eventi che spinsero Israele a lanciare l'operazione "Piombo fuso" alla fine di dicembre del 2008, una questione completamente ignorata dalla commissione Goldstone.

(Apcom, 15 marzo 2010)

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Il Cibo: un ponte tra Casale e Mantova

Comincia sabato 21 marzo alla comunità ebraica di casale Monferrato un corso di cucina dedicato allo stretto legame tra la cucina ebraica monferrina e quella Mantovana..
A tenerli saranno due storici delle tradizioni ebraiche, i primi due a cura Roberto Robotti, il terzo insieme a vittoria Acick, può sembrare un argomento molto specialistico, ma non è così al di là dell'affascinante (e gustoso) viaggio tra ricette antichissime di cui verrà insegnata la preparazione, c'è tutto un mondo di storia da scoprire e ovviamente da assaggiare al termine della lezione.
Il ponte tra le due città è chiaramente il fiume: non a caso le Comunità ebraiche sono fiorite nei secoli lungo le rive del Po: da Torino fino a Ferrara e oltre, arrivando a Venezia, che può essere considerata il "terminal" del corso del fiume. Una curiosità: po in ebraico significa "qui, in questo luogo", quasi a indicare una speciale vocazione all'accoglienza delle sue rive nei confronti di chi l'ebraico l'ha sempre parlato, almeno durante i momenti di preghiera.
Casale Monferrato e Mantova hanno in più un legame storico, economico e politico importante: per diversi secoli sono state rette dalla dinastia dei Gonzaga. E' una storia di donne:
Maria Paleologo, ultima discendente della famiglia che reggeva Casale, originaria di Bisanzio, sposa il figlio di Isabella d'Este Gonzaga, dopo aver rifiutato una Savoia, e il motivo era semplice: la dote di Maria era il Monferrato e Casale. Non fu un matrimonio felice, ma servì a mettere in stretto contatto due comunità ebraiche, quella casalese e quella mantovana.
Sicuramente gli scambi tre i due nuclei furono intensi e fruttuosi, come sempre tra comunità ebraiche che dovevano organizzarsi al meglio per poter affrontare e superare le restrizioni e le proibizioni usuali in quei tempi nei confronti degli ebrei.
Sicuramente il vino fu uno dei prodotti che viaggiarono più frequentemente da ovest a est, da Casale a Mantova. Per contro da Mantova arrivarono e si insediarono a Casale delle verdure e dei frutti di origine orientale, come la zucca barucca (baruch in ebraico significa "sacro, santo"), la melanzana ( in ebraico hatzil, di origine persiana, arrivata in Europa da Istanbul via Venezia e dalla Sicilia araba), sicuramente i cedri e gli agrumi in generale, anch'essi di origine orientale e arrivati da sud-est.
Gli incontri saranno quindi un piacevole e nutriente, seppur breve, viaggio nei cibi e nei vini di queste due antiche e gloriose Comunità, che sono anche patrimonio della cucina ebraica tradizionale italiana.
L'iscrizione è gratuita, si consiglia la prenotazione

Primo incontro 21 marzo 2010 La zucca

Programma:
- Ore 16.30: inizio dell'incontro, benvenuto ai partecipanti.
-Introduzione ai principi-base della Kasherùt: latte, carne e parve.
- Ore 17.00: preparazione di uno sformato (torta salata) di zucca (ingredienti già preparati in precedenza).
- Ore 18.00: fine della dimostrazione e degustazione di un assaggio di sformato (preparato in precedenza) accompagnato da vino.

Secondo incontro 11 aprile 2010 La melanzana e Pesach

Programma:
- Ore 16.30: inizio dell'incontro, approfondimento della Kasherùt con riferimento alla festa di Pesach: il cibo della libertà
- Ore 17.00: preparazione delle "Lasagne di Pesach" (ingredienti già preparati in precedenza) con melanzane e pomodoro.
- Ore 18.00: fine della preparazione e dimostrazione e degustazione di un assaggio delle lasagne (preparate in precedenza) con vino.

Terzo incontro 23 maggio 2010 Il Vino

A cura della D.ssa Vicky Acick
"Il vino: medicina e succo della vita"
Al termine della conferenza ,degustazione di vini con:
Hummus e Tzatziki accompagnate da cruditées e challà (preparati in precedenza).

Roberto Robotti (Alessandria 1956)
Dopo una lunga esperienza nel campo del turismo, della pubblicistica e dell'editoria, da circa quindici anni si dedica allo studio della cultura ebraica, con particolare riferimento ai collegamenti tra gli aspetti etici, spirituali e morali della Kasherùt mondo non solo ebraico.
Ha compiuto studi in Italia (con Daniela Abravanel e Yarona Pinhas tra gli altri) e in Israele (Yeshivà "Macon Meir", Gerusalemme e Nadav Crivelli) con particolare orientamento alla mistica e alla Kabalà.
Tiene "incontri di cucina" dove vengono esaminati gli aspetti qualificanti delle norme che compongomno l'insieme della Kasherùt, considerata una porta d'accesso privilegiata nella cultura e vita ebraiche.

(Il Monferrato, 15 marzo 2010)

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Il Cairo, cancellata l'inaugurazione della sinagoga ebraica

Tempio di Ben Maimon era stato restaurato e riconsacrato

IL CAIRO, 14 mar. - Le autorità egiziane hanno cancellato la cerimonia ufficiale di inaugurazione della sinagoga di Ben Maimon, sita nell'antico quartiere ebraico del Cairo e recentemente restaurata.
Il responsabile del Consiglio Archeologico egiziano, Zahi Hawass, ha giustificato la decisione con le "aggressioni" israeliane nei confronti dei luoghi sacri dell'Islam e le azioni "provocatorie" di alcuni ebrei, che nella cerimonia privata di riconsacrazione del tempio, svoltasi alcuni giorni fa, avrebbero consumato delle bevande alcooliche.

(Apcom, 14 marzo 2010)

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Shlomo Venezia al Capitol di Sermide

Shlomo Venezia
Grande appuntamento lunedì 15 alle ore 17 al Capitol Multisala di Sermide: Shlomo Venezia l'unico testimone al mondo che possa raccontare la sua terribile esperienza. Ebreo di Salonicco, di nazionalità italiana, è uno dei pochi sopravvissuti del Sondekommando di Auschwitz-Birkenau, una squadra speciale selezionata tra i deportati, con l'incarico di far funzionare la spietata macchina di sterminio nazista.
"Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto... Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio." Sono parole di Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, di nazionalità italiana; è uno dei pochi sopravvissuti del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau, una squadra speciale selezionata tra i deportati con l'incarico di far funzionare la spieiata macchina di sterminio nazista. Gli uomini del Sonderkommando accompagnavano i gruppi di prigionieri alle camere a gas, li aiutavano a svestirsi, tagliavano i capelli ai cadaveri, estraevano i denti d'oro, recuperavano oggetti e indumenti negli spogliatoi, ma soprattutto si occupavano di trasportare nei forni i corpi delle vittime. Un lavoro organizzato metodicamente all'interno di un orrore che non conosce eccezioni: il pianto disperato di un bimbo di tre mesi, la cui madre è morta asfissiata dal gas letale, richiama l'attenzione del Sonderkommando, lo scavare frenetico tra i corpi inanimati, il ritrovamento e subito dopo lo sparo isolato della SS di guardia che ammutolisce per sempre quel vagito consegnandolo alla storia. Per decenni l'autore ha preferito mantenere il silenzio, ma il riaffiorare di quei simboli, di quelle parole d'ordine, di quelle idee che avevano generato il mostro dello sterminio nazista ha fatto sì che dal 1992 abbia incominciato a parlare, e quei racconti sono la base della lunga intervista che è all'origine del suo libro. Con la prefazione di W. Veltroni.

(Sermidiana, 14 marzo 2010)

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Lula arriva in Israele per la prima visita di un presidente brasiliano

GERUSALEMME, 14 mar. - Luiz Ina'cio Lula da Silva e' arrivato oggi in Israele dove inizia un giro di quattro giorni in Medio Oriente. Nella prima visita in Israele di un presidente brasiliano Lula intende espriemere al governo di Benjamin Netanyahu il suo sostegno alla ripresa del dialogo con i palestinesi. Ma al centro dell'agenda, hanno spiegato fonti diplomatiche brasiliane, vi sara' anche la questione dell'Iran, considerato che il Brasile di Lula - che e' membro a rotazione del Consiglio di Sicurezza - appare orientato contro l'idea di adottare nuove sanzioni contro Teheran, spingendo per continuare i negoziati per risolvere la questione del nucleare.

(Adnkronos, 14 marzo 2010)

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Un predicatore di Hamas: un giorno Roma sarà conquistata dall'Islam

Sermone di Osama Hammad in una moschea della striscia di Gaza. E' considerato un esponente della corrente massimalista di Hamas e uno dei fondatori del suo braccio armato, Brigate Ezzedin Al Qassam

Come già Costantinopoli nei secoli passati, anche Roma sarà un giorno conquistata dai seguaci dell'Islam: lo ha affermato un predicatore di Hamas in una moschea di Jabalya (striscia di Gaza) all'inizio del mese e in Israele alcuni brani della sua predica sono stati distribuiti via internet da Memri, un centro studi specializzato nel monitoraggio e nella traduzione dei mezzi di comunicazione in lingua araba.
"La profezia della conquista di Roma resta valida, a Dio piacendo. Così come Costantinopoli fu conquistata 500 anni fa, anche Roma lo sarà", ha detto il predicatore nel suo sermone. Il predicatore in questione, Osama Hammad, è considerato un esponente della corrente massimalista di Hamas e uno dei fondatori del suo braccio armato, Brigate Ezzedin Al Qassam. Ma il riferimento al futuro di Roma, viene spiegato a Gaza, ha radici nella dottrina islamica e non ha carattere "operativo", come potrebbe apparire invece dalla citazione circolata in Israele.

(il Giornale, 14 marzo 2010)

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Israele arresta un capo di Hamas

Era ricercato dalla fine degli anni '90

Uno dei capi di Hamas in Cisgiordania è stato arrestato dai servizi di sicurezza israeliani, che lo cercavano da diversi anni. Maher Uda, 47 anni, uno dei fondatori del braccio armato di Hamas, è stato catturato nella regione di Ramallah: "Era ricercato dalla fine degli anni '90 per il suo coinvolgimento in una serie di attentati suicidi compiuti in Israele che hanno provocato 70 morti", ha precisato un portavoce militare israeliano.

(TGCOM.it, 14 marzo 2010)
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Hamas accusa l'Anp di complicità nell'arresto del suo esponente

GERUSALEMME, 14 marzo - Un comunicato emesso dal movimento di resistenza islamico palestinese Hamas ha accusato l'Autorità nazionale palestinese di Ramallah e i suoi servizi di sicurezza di complicità nell'arresto dell'esponente di Hamas, Mahar Uda, fermato nella notte nella zona di Ramallah dalle forze di occupazione israeliane. Il comunicato parla di "tradimento" da parte dei servizi di sicurezza di Abu Mazen.

(Arab Monitor, 14 marzo 2010)

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Benjamin Netanyahu è un Primo Ministro consapevole del sostegno che danno ad Israele molti cristiani evangelici nel mondo. Riportiamo la traduzione, gentilmente offerta da un amico che vuole restare anonimo e che qui ringraziamo, di un recente discorso di Netanyahu rivolto ad un’associazione di cristiani pro Israele. "Il sionismo cristiano ha preceduto il sionismo ebraico moderno", ha dichiarato il Primo Ministro israeliano nel suo discorso. Non molti sono consapevoli di questo fatto storico. A Netanyahu va riconosciuto il merito di averlo dichiarato pubblicamente.

Discorso del Primo Ministro Netanyahu alla Christians United For Israel. Summit di Gerusalemme.

8 marzo 2010

Benvenuti a Gerusalemme, l'indivisa, eterna capitale dello stato ebraico e del popolo ebraico.

La vostra presenza qui oggi rappresenta una profonda trasformazione nella relazione tra i cristiani e gli ebrei. Questa trasformazione affonda le sue radici nel diciannovesimo secolo, quando i primi cristiani sionisti giunsero nella Terra d'Israele, quando essi iniziarono ad esplorare la terra della Bibbia, a prodigarsi per il ristabilimento degli ebrei in questa terra, per il ristabilimento della nostra condizione e della nostra sovranità.

In realtà, il sionismo cristiano ha preceduto il sionismo ebraico moderno, e io credo che l'abbia rafforzato. Ma il sionismo cristiano fece un enorme balzo in avanti alcuni decenni fa, quando un gruppo di ecclesiastici americani iniziarono a dire alle proprie congregazioni e ad ognuno dei loro ascoltatori che era tempo di prendere posizione in favore di Israele; molto probabilmente tra loro figurava il Pastore John Hagee, un dinamico leader ecclesiastico del Texas. Era giunto il tempo di prendere posizione in favore della sola democrazia presente in Medio Oriente. Era tempo di prendere posizione contro le menzogne, la diffamazione e gli insulti. Era tempo di difendere il diritto dello stato ebraico all'autodifesa.

Oggi, migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia, milioni, decine di milioni di cristiani - oggi essi hanno udito questa chiamata, e sono dalla parte di Israele. Io vi saluto, il popolo d'Israele vi saluta, il popolo ebraico vi saluta.

Più volte, nella buona e nella cattiva sorte, siete rimasti fermi spalla contro spalla con il nostro stato, ed io questa sera sono venuto a ringraziarvi per la vostra salda amicizia. Oggi questa amicizia è più importante che mai, perché Israele sta affrontando sfide alla propria sicurezza e legittimità che non hanno precedenti.

In merito alla sicurezza del futuro di tutti, nessuna sfida è più importante di impedire all'Iran di sviluppare armi nucleari. Ho detto in precedenza e dirò ancora che la più grande minaccia che sta affrontando il genere umano è lo spettro di un regime militante islamico che si impossessa di armi nucleari, o lo spettro di armi nucleari che si impossessano di un regime militante islamico. Il primo caso è pericolosamente vicino a realizzarsi in Iran, il secondo può realizzarsi o meno in Pakistan. Io credo che entrambi i casi possono essere evitati con le politiche giuste.

Se l'Iran svilupperà armi nucleari, il mondo non sarà mai più lo stesso. Assisteremmo ad una escalation di terrorismo nel mondo intero, dal momento che i terroristi opererebbero sotto la protezione di un Iran nucleare. Guardate quanta confusione, quanto terrore essi stanno già seminando adesso, quando ancora non c'è una tale protezione, e cercate di immaginare cosa potrebbe accadere se l'Iran, il loro protettore, fautore, fornitore e sostenitore, se proprio quell'Iran avesse armi nucleari. Allo stesso modo, le forniture di petrolio vitali per quella regione potrebbero essere severamente minacciate e gli sforzi di impedire la proliferazione di armi nucleari nel Medio Oriente collasserebbero, dato che un regime dopo l'altro si lancerebbe in una corsa forsennata per acquisire armi nucleari proprie. Nel peggiore dei casi, se le armi nucleari fossero date in mano a terroristi, o a stati terroristi, l'era di pace durata 65 anni dall'ultima guerra nucleare sarebbe estinta per la prima volta.

Vi prego di ricordare che per i tiranni che sono a Teheran, Israele è solo il piccolo Satana. Ai loro occhi, l'America è il grande Satana. L'America è il loro bersaglio finale. Oltretutto, per Israele la minaccia che viene dall'Iran non potrebbe essere più chiara. Le guide dell'Iran chiedono apertamente la distruzione di Israele. Essi negano sfacciatamente l'Olocausto e sperano, ripetendolo ogni giorno, che Israele sia cancellato dalla carta geografica del Medio Oriente.

Non dobbiamo permettere per alcun motivo che un tale regime minacci la pace del mondo, la pace e la sicurezza dell'umanità. Tutti i membri responsabili della comunità internazionale devono fare ogni cosa in loro potere per fermare l'Iran nello sviluppo di armi nucleari.

Mentre noi parliamo gli Stati Uniti stanno guidando un'azione a livello internazionale per imporre sanzioni all'Iran. Noi crediamo che queste sanzioni debbano essere mordenti. E per esserlo, devono penetrare a fondo nel settore energetico iraniano. Una volta imposte, esse dovrebbero impedire all'Iran di importare benzina e di esportare petrolio. Io credo che tali misure possono indurre il regime a scegliere se continuare il programma delle armi o mettere al sicuro il proprio futuro. Ma indubbiamente devono essere sanzioni dure, mordenti.

Come dicevo, noi stiamo affrontando grandi sfide alla nostra sicurezza, ma anche intimazioni senza precedenti alla nostra legittimità. Questo assalto alla nostra legittimità proviene da diverse direzioni - dai cosiddetti organismi dei diritti umani presenti nell'ONU, che negherebbero ad Israele il suo legittimo diritto all'autodifesa; proviene dalla accusa falsamente rivolta alle guide politiche e militari israeliane di aver commesso crimini di guerra immaginari; proviene infine da aziende oltraggiose che dichiarano di boicottare, disinvestire e sanzionare Israele. Voi tutti siete familiari con questo genere di cose.

Ma credo che ci sia un assalto alla nostra legittimità ben più grande. Credo che esso consista nel tentativo di perpetrare una delle più grandi menzogne della storia - negare il legame tra il popolo di Israele e la terra di Israele; relegare il popolo ebraico ad un gruppo di stranieri nella terra dei nostri padri. Badate di non fare errori a riguardo. Il tentativo di negare la nostra storia in questa terra è un tentativo di negare il nostro futuro in questa terra. Per questa ragione, difendere il nostro passato equivale a difendere il nostro futuro.

Chiedo a tutti voi di unirvi a noi in questa battaglia per difendere la verità. Ricordate loro di Abramo e Isacco, di Giosuè e Samuele, di Davide e Salomone. Ricordate al mondo che la terra della Bibbia non è nei cieli, ma è proprio qui sulla terra. E che le persone della Bibbia sono sulla terra della Bibbia.

Lasciate che vi racconti il modo in cui io ricordo ai funzionari stranieri il legame del popolo ebraico con la nostra storia e con questa terra. Sapete, quando vengono a visitarmi nel mio ufficio dico loro: "Prego, venite a vedere questo piccolo anello con sigillo che mi è stato dato in prestito dal Dipartimento delle Antichità". È stato ritrovato vicino al Muro del Secondo Tempio, ma è datato anteriormente al Primo Tempio. È un oggetto che risale a circa 2800 anni fa, al tempo dei Re. È un anello con sigillo di un funzionario ebreo, sul quale è scritto un nome in ebraico antico, che riesco ancora a leggere. Il nome è: Netanyahu, Netanyahu Ben-Yoash [n.d.t. figlio di Yoash]. E questo è il mio cognome. Il mio nome, Benjamin, risale a 1000 anni prima, al tempo di Beniamino figlio di Giacobbe, il quale anche camminò su queste colline. Questo è il nostro legame. E nessuno può negare il legame del popolo ebraico alla terra ebraica.

Israele sta affrontando grandi sfide. Dobbiamo impedire che l'Iran sviluppi armi nucleari. Dobbiamo respingere l'assalto alla nostra legittimità. Dobbiamo trovare una via per raggiungere la pace con i nostri vicini. Dobbiamo tutti noi pregare per la pace di Gerusalemme.

Dopo secoli di esilio, sono venuto qui per assicurarvi che il popolo d'Israele è tornato a casa e nessuna forza sulla terra sarà mai in grado di farci lasciare la nostra casa di nuovo.

Fonte: sito web dell'ufficio del Primo Ministro israeliano

(Notizie su Israele, 13 marzo 2010)

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Gerusalemme, la cupola che divide

La Sinagoga Hurva
In nessuna città i simboli contano quanto a Gerusalemme. Ed è per questo che nella Città Santa siamo alla vigilia di un passaggio significativo: lunedì è infatti in programma la dedicazione della ricostruita sinagoga di Hurva, un luogo la cui storia è in qualche modo una parabola dell'ebraismo in Israele. Quella che verrà inaugurata sarà infatti la terza sinagoga di Hurva, dal momento che le due precedenti sono state distrutte in altrettanti conflitti. Il nuovo edificio si candida a diventare, così, il simbolo del rinato quartiere ebraico della Città Vecchia. Quello che oggi - con il suo lindore e i ragazzini delle scuole rabbiniche che giocano nei cortili - è uno dei segni più evidenti dell'ebraismo rifiorito in Terra di Israele.
    La sinagoga di Hurva è stata a lungo il centro dell'ebraismo ashkenazita a Gerusalemme: non stupisce, dunque, che sia stata ricostruita. Va però tenuto presente anche il contesto in cui tutto questo avviene: la Città Vecchia è da tempo al centro di dispute legate a scavi archeologici tesi a privilegiare esclusivamente il volto ebraico di Gerusalemme. E poi c'è la questione calda delle case dei coloni a Gerusalemme Est, che in realtà si trovano anche a poche centinaia di metri dall'Hurva. Ieri, poi, - dopo gli scontri delle scorse settimane al termine della preghiera del venerdì - le autorità israeliane hanno blindato la Città Santa, impedendo l'accesso alla Spianata delle moschee a tutti i maschi arabi di età inferiore ai cinquant'anni. E proprio per evitare ulteriori tensioni il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che lunedì non sarà presente all'inaugurazione della sinagoga.
    Al di là delle contingenze politiche, è comunque innegabile il valore storico dell'edificio sacro restaurato. Le sue origini risalgono all'anno 1700, quando qualche centinaio di ebrei giunsero nella Città Santa dalla Polonia guidati dal rabbino Yehudah he-Hasid (cioè Yehudah il Pio). Era uno di quei tanti gruppi che dalla diaspora - ben prima del sionismo - presero la strada di Gerusalemme spinti da una motivazione mistica. Ma in Terra di Israele incontrarono subito gravi difficoltà: Yehudah he-Hasid si ammalò e morì nel giro di pochi giorni; la sinagoga venne costruita, ma la comunità dovette indebitarsi pesantemente. Finché nel 1721 i creditori arabi - non vedendo restituiti i soldi prestati - distrussero tutto e la comunità ashkenazita fu dispersa. Per ottant'anni restò un luogo in rovina, fino a quando intorno al 1812 in Terra di Israele non arrivarono i Perushim, un gruppo di ebrei lituani seguaci del Gaon di Vilna, un mistico cabalista. Da Safed, dove si erano stabiliti, cominciarono a progettare il ritorno degli ashkenaziti a Gerusalemme. Ma ci riuscirono solo quando - nel 1831 - Gerusalemme passò sotto il controllo di Muhammad Alì, viceré d'Egitto.
    La vera svolta, però, arrivò una ventina d'anni dopo quando, nel nuovo clima politico favorevole creato dalla Guerra di Crimea, la comunità lanciò il progetto di una nuova grande sinagoga. A disegnarla fu l'architetto del sultano, Assad Effendi, in stile neo-bizantino con una grande cupola alta 24 metri. Prese il nome di Hurva (in ebraico "rovine") proprio perché costruita sopra le macerie del 1721. Inaugurata nel 1864 da allora e per 84 anni fu a Gerusalemme la cupola degli ebrei, accanto a quelle islamiche di Omar e al-Aqsa e a quelle cristiane del Santo Sepolcro. Nella guerra del 1948 fu l'ultimo fazzoletto di terra ebraico che le forze armate del futuro Stato d'Israele difesero nella Città Vecchia. Ma quella resistenza segnò anche la sua sorte: una volta conquistata i giordani la fecero saltare in aria. Quando poi nel 1967 Israele assunse il controllo di tutta Gerusalemme, si pose subito la questione della ricostruzione della sinagoga di Hurva. Ma nel frattempo era subentrato un fatto nuovo: la trasformazione - a poche centinaia di metri di distanza - del Muro Occidentale nel grande luogo di preghiera a cielo aperto che tutti conosciamo. Un architetto di prestigio internazionale come Louis Kahn presentò un progetto per un nuovo edificio in stile moderno. Non trovando però un accordo su che cosa fare nel 1977 si decise di riedificare solo uno degli archi sui quali si reggeva la cupola di Hurva, come monumento commemorativo.
    Col passare del tempo e con la rinascita del quartiere ebraico, però, sono cresciute le pressioni per la ricostruzione. E così nel 2000 il governo israeliano ha dato il via libera, scegliendo la via di una riedificazione il più fedele possibile rispetto all'originale. Dunque ora anche la cupola degli ebrei è tornata a svettare sul cielo di Gerusalemme. E dal cassetto è spuntata fuori anche una profezia del Gaon di Vilna che infiamma gli animi nel quartiere ebraico. Perché il vecchio maestro, in Lituania, avrebbe scritto che quando l'Hurva sarà ricostruita la terza volta, sulla spianata (oggi delle moschee) potranno cominciare i lavori per la costruzione del terzo tempio (quello nuovo, dopo quelli di Salomone ed Erode, entrambi distrutti). Sono solo le parole di un cabalista. Ma nella città dove tutto è simbolo hanno indubbiamente il loro peso.


La ricostruzione storica fatta dal giornale cattolico è davvero chiarificatrice e illuminante per la comprensione dei fatti odierni. Ma la chiesa cattolica, da che parte sta?

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Lo spot che si ispira agli 007 del Mossad

Dopo la campagna pubblicitaria a doppio senso per promuovere il turismo, da Israele arriva un'altro spot che sicuramente farà discutere. Una catena di supermercati discount ha infatti realizzato una clip promozionale che trae diretta ispirazione dalla spy story che ha causato un mezzo incidente diplomatico con Dubai.
Lo slogan della campagna è «Eliminate i prezzi». I protagonisti sono un uomo e una donna che si aggirano con fare sospettoso per il supermercato, infilando di nascosto i prodotti nel carrello. Ma non è tanto cosa fanno ma come sono vestiti che è importante: lui ha un completo da giocatore di tennis, lei ha dei grossi occhiali da sole e un grosso cappello. Esattamente l'identikit fornito dalla polizia di Dubai per le due spie del Mossad ritenute responsabili dell'assassinio in una camera d'albergo, di Mahmoud al- Mabhouh, capo di Hamas.

(Il Sole 24 Ore, 12 marzo 2010)

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Giordania, 'Vietato l'ingresso a cani e israeliani'. Cartello choc sui locali di Petra

A denunciare la presenza di questi cartelli su numerosi negozi dell'antica città giordana sono stati proprio alcuni turisti israeliani che sono rimasti sorpresi nel leggere un simile messaggio.

AMMAN, 12 mar. - "Spiacenti, ma l'ingresso non è consentito a cani e israeliani". E' questo il messaggio che è possibile trovare su un manifesto appeso all'ingresso di numerosi negozi di Petra, città turistica della Giordania.
Secondo quanto riferisce il sito palestinese 'Dunia al-Watan', che pubblica anche una foto del manifestino anti-israeliano, il messaggio è stato scritto in lingua inglese e posto all'ingresso di numerosi esercizi commerciali normalmente frequentati da turisti stranieri, tra cui anche israeliani, che si recano a Petra per visitare il suo sito archeologico rinomato in tutto il mondo.
A denunciare la presenza di questi cartelli sono stati proprio alcuni turisti israeliani che sono rimasti sorpresi nel leggere un simile messaggio. Nel volantino, fotocopiato in bianco e nero, appare anche la foto di una donna palestinese che viene attaccata al braccio da un cane al fianco di un soldato israeliano.
Una seconda foto, invece, mostra un militare dello Stato ebraico che aggredisce una donna palestinese. Manifesti di questo genere sarebbero stati stampati a partire dalla fine dell'operazione militare israeliana 'Piombo fuso' lanciata su Gaza a fine dicembre 2008 e terminata il 18 gennaio 2009.

(Adnkronos, 12 marzo 2010)

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Basket Eurolega, il Maccabi passa a Madrid!

I
l rilancio degli israeliani tocca l'apice con una rimonta di 19 punti contro la squadra di Messina che passa per un solo punto rispetto a Siena ai playoff dei quarti che dal 23 marzo prevedono: Barcellona-Real, Maccabi-Partizan, Olympiacos-Prokom, Cska-Caja Labo
ral.

MILANO, 12 marzo 2010 - I quarti dell'Eurolega senza Siena preferiscono le grandi capitali e le metropoli, la piccola favola di Siena subisce un brusco stop in una stagione nata all'insegna del "grande slam" forse con una sottovalutazione di una generale fase di ricambio che ha avuto ragione finora sulla politica dei "grandi budget" .
Il Maccabi di Pini Gershon, indiscutibilmente "coach of the year" di una corta incollatura su Dule Vojosevic del Partizan, adesso passa dalle squadre di seconda fascia a una delle favorite per le Final Four di Parigi-Bercy ai primi di maggio grazie anche al 1o posto nel girone che gli consente di far valere il fattore campo contro i serbi.
La metamorfosi del Maccabi in un anno di transizione, senza un pivot di gran classe, ma con una difesa tignosa e la sua ragnatela tessuta lentamente rende ancor più amara la stagione italiana, Roma avrebbe potuto essere al suo posto mentre Milano ha dato via libera al Prokom rifiutando ogni discorso motivazionale al di fuori della sua (non sempre splendida…) autarchia.

(Sportevai.it, 12 marzo 2010)

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Cisgiordania, la decisione di Israele. «La frontiera chiusa fino a sabato»

L'ordine dato dal ministro israeliano della Difesa Ehud Barak per «motivi di sicurezza»

MILANO - Chiudere per 48 ore i varchi con la Cisgiordania. Questo l'ordine dato dal governo israeliano: lo hanno reso noto fonti delle forze armate dello Stato ebraico. Il blocco della frontiera, in vigore dalla mezzanotte di giovedì, è stato deciso dal Ministro della Difesa Ehud Barak per «motivi di sicurezza», a causa di un non meglio precisato rischio di attentato. Le forze armate israeliane bloccano sistematicamente la Cisgiordania in concomitanza con le festività religiose del calendario ebraico, ma è la prima volta da due anni a questa parte che il blocco viene adottato senza una tale giustificazione. La decisione israeliana di autorizzare la costruzione di 1.600 alloggi a Gerusalemme Est ha suscitato la forte irritazione dell'Autorità Nazionale palestinese, che si è rifiutata di partecipare ai negoziati indiretti con lo Stato ebraico se il governo israeliano non revocherà il provvedimento.

(Corriere della Sera, 12 marzo 2010)

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Un sito pro Hamas diffonde un'nterpretazione dei fatti basata su notizie di "fonti palestinesi"

Una sinagoga nel cuore dell'area di al-Aqsa?

JERUSALEM - PIC. Fonti palestinesi a Gerusalemme affermano che le autorità occupanti stanno distribuendo inviti per l'apertura di una sinagoga, il 16 marzo, nel cuore dell'area della moschea al-Aqsa.
Le stesse fonti riferiscono che i preparativi per questa inaugurazione sono in atto e che in base ad una profezia di un rabbino del XVIII sec. questa sinagoga dovrebbe essere costruita proprio nella data summenzionata sulle rovine della moschea al-Aqsa.
Israele ha serie intenzioni di demolire la moschea al-Aqsa, ma le condizioni ancora non sembrano essere favorevoli.
Le medesime fonti palestinesi di Gerusalemme affermano che vi è un accordo tra il governo e i partiti israeliani per l'apertura della sinagoga, con l'Anp che collaborerebbe nel favorire la cerimonia d'inaugurazione impedendo ai musulmani di difendere la moschea.
Alla luce delle manovre israeliane per evitare che quel giorno i musulmani difendano la moschea, le autorità di Gerusalemme hanno vietato l'accesso all'area ai fedeli d'età inferiore ai cinquanta anni e, nel frattempo, stanno conducendo vari arresti tra i giovani palestinesi della città.
Dal canto loro, le milizie di Abbas hanno sequestrato martedì scorso, nelle province di Tulkarem, Nablus, Jenin e Qalqiliya quattordici palestinesi da esse ritenuti appartenenti ad Hamas.

(Infopal, 12 marzo 2010)


La seconda intifada è scoppiata perché gli arabi sono stati chiamati a "difendere" la moschea al-Aqsa che consideravano seriamente minacciata dalla passeggiata di Ariel Sharon. Adesso si fa circolare la voce che gli israeliani vogliono minacciare la moschea con l'inaugurazione di una sinagoga nella sua area. In realtà si tratta della ristrutturazione di un'antica sinagoga nel quartiere ebraico di Gerusalemme, ma ancora una volta risuona l'appello a "difendere" la moschea minacciata dai perfidi giudei. Sembra stupido il giochino? Lo è in effetti, ma basta molto meno per aizzare folle ideologicamente eccitate. Il governo israeliano fa bene a fare l'opera di prevenzione che sta facendo. La giustificazione c'è, eccome. M.C.

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"Jewmaicans". Visitare luoghi ebraici... in Giamaica!!!

E' proprio vero che a volte di un posto si conosce solo quello che si vuole conoscere. Prendiamo, ad esempio, la Giamaica. Basta nominarla e subito balzano alla mente immagini di splendide spiagge tropicali e di musicisti rasta alle prese con i ritmi del reggae. E se invece vi dicessi che presto, il turismo giamaicano, potrebbe includere un nuovo percorso interamente dedicato alla riscoperta delle proprie radici ebraiche?
Sembra incredibile. Ed invece è tutto vero. Con una popolazione di soli 200 fedeli, e nemmeno un rabbino ad officiare le celebrazioni, la storia ebraica dell'isola caraibica è sicuramente un segreto ben nascosto, centrato perlopiù attorno alla capitale, Kingston. E' qui, che ancora oggi, è possibile incontrare Giamaicani bianchi e dall'aspetto europeo, ultimi eredi di antenati trasferitisi sull'isola quasi 400 anni fa, in fuga dall'Inquisizione in atto in Spagna e Portogallo. Verso la fine del 1800, erano attive sull'isola ben 6 sinagoghe, frequentate da oltre 2000 persone, perlopiù ricchi mercanti dediti al commercio marittimo. Con il passare dei secoli, la popolazione ebraica si è ridotta sempre più, per via dell'emigrazione, oltre che per la progressiva laicizzazione delle comunità.
Ad ogni modo restano molte le vestigia del passato. Tra di esse la sinagoga Sha'are Shalom di Kingston, una delle poche nel mondo ad avere un pavimento di sabbia, secondo l'usanza sefardita (cioè, degli Ebrei provenienti dalla penisola iberica), atta a ricordare i tempi in cui gli Ebrei coprivano le proprie traccie con la sabbia per attutire il suono delle proprie preghiere durante l'Inquisizione; oppure, il vecchio cimitero vicino ad Hunt's Bay. Tutti resti di una storia che, sebbene abbia ormai superato i propri giorni più fausti, è ancora viva e presente sull'isola.

(Travelblog.it, 12 marzo 2010)

Video

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Raid israeliano nel sud della Striscia di Gaza

Da lì era pertito un razzo verso Israele

Il Sud della Striscia è stato obiettivo, nella notte, di un raid aereo israeliano quale risposta all'asserito lancio di un razzo contro il territorio dello stato ebraico.
Stando a alcuni testimoni, l'attacco ha provocato molti feriti. Fonti militari israeliane, invece, hanno riferito che è stato distrutto un laboratorio metallurgico nella città di Khan Younes mentre nei pressi di Rafah, al confine con l'Egitto, è stato colpito un tunnel che secondo i militari è usato per il contrabbando.
Sempre i militari giustificano il bombardamento adducendo che nella giornata di ieri è stato lanciato un razzo che ha colpito un capannone vuoto in un kibbutz nel sud di Israele senza provocare morti o feriti.

(PeaceReporter, 12 marzo 2010)

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Il falafel negato al soldato Roth

Trattoria araba discrimina i militari

di Dan Rabà

Ovunque nel mondo un buttafuori, all'entrata di una discoteca, fa entrare chi vuole, a suo insindacabile giudizio. Ma se lo fa in un paese ossessionato dalla sicurezza, dove ci sono controlli ovunque - all'entrata dei supermercati, all'ingresso dei parcheggi, nelle banche, al cinema -, ebbene il suo mestiere può essere giudicato in modo diverso da come lo sarebbe in una città europea, e diventare fonte di tensione e scontro.
È quello che accade spesso in Israele, quando le guardie decidono: "Questo sì, avanti. Questo no".
A farne le spese non sono necessariamente gli arabi. Ne sanno qualcosa gli ebrei provenienti dall'Etiopia, i "negri di Israele". Tra sefarditi e askenaziti (ebrei orientali ed ebrei europei), ci sono continue discriminazioni reciproche.
Ma "a fare notizia" è sempre la vicenda legata alla questione palestinese.
Come l'episodio avvenuto qualche giorno fa in un ristorante di Haifa gestito da palestinesi presumibilmente (dal cognome) cristiani.
Haifa è una città israeliana tra le più multireligiose e multiculturali. Una città dov'è difficile
Haifa
individuare l'"identità etnica" di ciascun quartiere perché sono poche le zone dove le comunità non s'intrecciano e non si confondono tra loro. Solo osservando i negozi si possono distinguere le diverse culture, scorgendo le lingue delle insegne, in arabo, in russo, in italiano, in francese, in inglese. L'episodio di cui parliamo è accaduto proprio in uno dei quartieri più popolari e variegati della città, nella zona del mercato ortofrutticolo.
Nella trattoria Azad - che in arabo significa "uomo libero" o semplicemente "libertà" - entra un soldato in divisa, Raviv Roth. Una cameriera, Fida Qiwan, con cortese fermezza lo blocca all'ingresso: «Qui non serviamo soldati in uniforme. Se vuole, torni in abiti civili». Il giovane militare non la prende bene, e scoppia il caso. Al giornale Maariv, Fida racconta che la settimana prima non avevano fatto entrare una giovane in divisa e lei era tornata in borghese. «Perché tanto clamore? Questo è un posto dove vogliamo semplicemente fare soldi e dare alla gente un luogo dove rilassarsi e stare bene. I clienti in divisa fanno stare a disagio gli altri clienti. Noi non accettiamo, da tempo, gente in uniforme, neanche i vigili del fuoco, neppure i boy scout, e i nostri clienti sono sia arabi sia ebrei».
C'è anche da dire che in Israele la maggioranza dei locali (arabi come ebrei) fa sconti ai soldati, e fa a gara a servire i militari, che in fondo sono i giovani che si sacrificano per la sicurezza del paese.
Anche il caso del ristorante di Haifa sarebbe passato inosservato, se il soldato "discriminato" non avesse chiamato i genitori (sì, un uomo che combatte e si addestra per guerre e azioni sconvolgenti corre a chiedere aiuto a mamma e papà). E se questi a loro volta non si fossero rivolti alla polizia. Dopo aver lasciato il locale, il soldato Raviv Roth ha deciso infatti di sporgere una denuncia per discriminazione.
Il sindaco di Haifa, Yona Yahav, ha minacciato di chiudere il locale. In pochi giorni, migliaia di persone si sono iscritte a un gruppo su Facebook che invitava a boicottare il ristorante. L'8 marzo, invece di occuparsi del "giorno internazionale della donna", studenti, lavoratori e soldati della riserva (ai soldati di leva è vietato manifestare) hanno protestato vivacemente di fronte ad Azad cantando l'inno nazionale HaTikvah.
I commensali, di contro, hanno continuato a mangiare e divertirsi, ballando e cantando, fino a quando l'atmosfera non è stata surriscaldata dal gruppo religioso di destra Im Tirzu (la seconda rivoluzione sionista), che ha innalzato bandiere con la stella di Davide sfruttando l'occasione per buttare un po' di sale sulle ferite aperte di tutti quanti e fomentare (quant'è terribilmente facile) un po' di razzismo. O come si preferisce dire in Europa, un po' di xenofobia.
L'impressione è che spesso vicende simili a questa, in fondo minori e marginali, vengano strumentalizzate dai media, i quali non fanno altro che diffondere una notizia ingigantita dalla propaganda.
Perché la normalità di Haifa è invece quella di una città la cui popolazione vive una convivenza "relativamente" civile. Anche tra ebrei e arabi il clima è più disteso che altrove. Certo, molto dipende dall'aria che tira alle frontiere coi vicini arabi. In tempi tranquilli, le attività culturali e sociali comuni, come le iniziative economiche, sono tutto sommato intense.
Mentre tutto si ferma sull'onda di atti terroristici o azioni militari. Più volte è capitato che le tre grandi religioni organizzassero delle manifestazioni unitarie.
Tornando ad Azad, pare che il ristorante dovrà chiudere. Ma non perché abbia violato le leggi antidiscriminazione, che non si occupano di soldati o altri pubblici ufficiali in divisa: il fatto è che, dopo tutto il clamore di questi giorni, il comune si è accorto che i proprietari non hanno la licenza commerciale.

(Europa, 12 marzo 2010)

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Sull'ex ufficiale nazista Adolf Eichmann c'è un segreto di Stato

Il tribunale di Lipsa potrebbe obbligare a renderlo pubblico

BERLINO, 11 mar - Il tribunale amministrativo di Lipsia potrebbe abolire presto il segreto di Stato sui documenti che raccontano gli ultimi 15 anni di vita di Adolf Eichmann, l'ex ufficiale nazista rifugiatosi in Sud America nel 1950 e rapito dagli agenti del Mossad 10 anni dopo per essere processato in Israele, dove fu impiccato nel 1962. Il ricorso era stato mosso da una giornalista tedesca, Gabriele Weber. La Weber, scrive il settimanale Der Spiegel, sostiene che i documenti su Eichmann - uno dei principali architetti della 'soluzione finale' di Adolf Hitler - debbano essere di dominio pubblico. I servizi segreti tedeschi Bnd, invece, non hanno alcuna intenzione di cedere alla richiesta, poiché sostengono che gran parte delle informazioni contenute nel voluminoso dossier sono state fornite da un servizio di intelligence straniero. Se fossero divulgate, secondo la Bnd, verrebbe compromesso il rapporto di fiducia tra gli 007 tedeschi e quelli di altri paesi, che in futuro non sarebbero più così disposti a collaborare con Berlino. Tuttavia, un giornalista argentino, Uki Goni, che per anni ha seguito casi di ex ufficiali nazisti fuggiti in Sud America, è convinto che quei documenti nascondano le prove dell'aiuto dato ad Eichmann dal governo tedesco e da funzionari italiani e del Vaticano.

(Notiziario Ucei, 12 marzo 2010)

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Usa - Rapporto sui diritti umani 2009: Antisemitismo in aumento

Esagerate le critiche contro il sionismo e la politica di Israele

NEW YORK, 11 mar. - L'antisemitismo, anche sotto nuove forme, è aumentato nel mondo nel 2009. E' quanto viene denunciato dal governo americano nel rapporto annuale sui diritti dell'uomo. "Forme tradizionali e nuove di antisemitismo hanno continuato a progredire con un picco registrato durante il conflitto di Gaza nell'inverno 2008-2009" si legge nel documento. "Resiste nella società in Europa, in America Latina e non solo, nonostante gli sforzi pubblici per combattere questo problema". Tra le nuove forme di antisemitismo il Dipartimento di Stato elenca "una critica al sionismo e alla politica israeliana che hanno superato 'la linea gialla' demonizzando tutti gli ebrei". Ad alimentare questi fenomeni sono soprattutto il regime iraniano e una trasmissione egiziana che di recente ha lodato l'Olocausto.

(Apcom, 11 marzo 2010)

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Offensiva a Gaza, Israele processa due soldati

Incriminati per aver usato civili in attività operative

GERUSALEMME, 11 mar. - L'esercito israeliano ha detto che due soldati sono stati incriminati per reati commessi durante l'offensiva nella Striscia di Gaza dello scorso anno, e saranno processati da un Tribunale militare. I due soldati costrinsero un ragazzo palestinese ad aprire diverse borse in cui pensavano ci fossero degli ordigni esplosivi. Le autorità militari hanno spiegato che i soldati non possono usare civili in attività operative.

(Apcom, 11 marzo 2010)

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Il ministro della salute israeliano a Parma

Il sindaco Vignali ha consegnato la medaglia della città a Yaakov Litzman.

PARMA - "La scelta di ospitare a Parma la conferenza su salute e ambiente è stata più che mai azzeccata perché rappresenta una realtà d'eccellenza nel campo delle politiche ambientali. Mi spiace di non potermi fermare per ammirare le bellezze di questa città". E' quanto ha affermato Yaakov Litzman, ministro della salute israeliano, ricevuto ieri pomeriggio in Municipio da Pietro Vignali, a margine della quinta Conferenza ministeriale su salute e ambiente. Litzman aveva infatti espresso la volontà di incontrare il primo cittadino di Parma e durante la chiacchierata ha sottolineato l'importanza di investire su salute e ambiente, invitando il sindaco Vignali a fare una visita in Israele per vedere da vicino il funzionamento delle tecnologie utilizzate contro l'inquinamento delle acque e atmosferico.
Il sindaco Vignali ha illustrato i numerosi servizi e iniziative messe in campo dall'Amministrazione comunale per rendere Parma una città all'avanguardia in campo ambientale, invitando a sua volta il ministro israeliano a partecipare alla prossima edizione di Cibus, in programma a maggio. "Ringrazio il ministro per la visita - ha affermato Vignali - Parma è una città molto attenta all'ambiente e sta portando avanti una serie di iniziative e servizi che vanno nella direzione di aumentare il benessere dei cittadini, trattando la questione in modo interdisciplinare. Riteniamo infatti che la tutela ambientale dei territori e la qualità dei servizi rappresentino un importante motore di sviluppo".
"Come ha affermato di recente il presidente Berlusconi - ha aggiunto, rivolgendosi al ministro israeliano - il nostro legame con Israele è storico. Il vostro Paese godrà sempre della nostra solidarietà e appoggio nel suo percorso di pace".
Il ministro israeliano ha quindi firmato il libro degli ospiti ricevendo una medaglia della città dal sindaco Vignali.

(parmadaily.it, 11 marzo 2010)

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La sorpresa di Gerusalemme

di Stefano Magni

Una brutta sorpresa: il vicepresidente Usa Joe Biden se l'è trovata nella sua visita in Medio Oriente, con l'annuncio della costruzione di 1600 nuovi appartamenti per l'insediamento ebraico di Ramat Shlomo, a Gerusalemme Est. E poche ore prima del suo arrivo, il governo israeliano aveva autorizzato l'edificazione di altre case, per un totale di 112 appartamenti a Beitar Illit, Cisgiordania. Per il governo palestinese, che aveva accettato la ripresa dei negoziati (solo indiretti, per il momento), si tratta di una provocazione bella e buona: i patti erano trattative in cambio del congelamento delle costruzioni negli insediamenti ebraici. Per il governo israeliano, invece, il problema non esiste, perché entrambi i programmi edili sono delle eccezioni. L'ampliamento di Beitar Illit era stato autorizzato dal governo Olmert, dunque molto prima dell'accordo con l'Autorità Palestinese. Il progetto di Ramat Shlomo, invece, riguarda un'area interna a Gerusalemme, che è esclusa dai negoziati e oggetto di una trattativa a parte. Netanyahu, autorizzando l'inizio dei lavori a Ramat Shlomo, non fa altro che ribadire il suo programma: Gerusalemme è ebraica, indivisibile e capitale di Israele. Joe Biden ha condannato la scelta dei tempi e dei modi con cui il piano è stato annunciato dal governo Netanyahu. Dal punto di vista americano, sembra un sabotaggio bello e buono dei negoziati, nonché un segnale di sfiducia nei confronti dell'amministrazione Obama. La tempistica dell'annuncio sulle nuove case a Ramat Shlomo non è sicuramente casuale. Ma più che al "sabotaggio", Netanyahu sta molto probabilmente pensando al salvataggio di Gerusalemme Est. I palestinesi la vogliono come loro capitale, ma la popolazione ebraica teme questa prospettiva come il fuoco. Tutti ricordano a divisione della città sino al 1967, quando agli ebrei era negato l'accesso al Muro del Pianto, quando i cecchini sparavano sui civili, quando le sinagoghe dell'antico quartiere ebraico erano state distrutte dagli occupanti giordani. Netanyahu vuole ricordare questi scenari a un'amministrazione americana che finora si è dimostrata molto smemorata sul Medio Oriente.

(l'Opinione, 11 marzo 2010)


Si potrà discutere sull’opportunità tattica di fare l’annuncio dei nuovi appartamenti proprio in questo momento, ma resta il fatto che in questo modo è venuto semplicemente in primo piano il nodo cruciale della contesa: Gerusalemme. Quand’anche si trovassero accordi su colonie, muro, acqua e altro ancora, alla fine si arriverebbe lì, a Gerusalemme. Ma Gerusalemme è ebraica, indivisibile e capitale di Israele: da questo gli ebrei non possono e non devono recedere. E, come cristiani che vogliono essere evangelici, siamo pienamente d’accordo. M.C.

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L'abbraccio della gente ad Arnoldo Foà

di Adam Smulevich

FIRENZE - Quando Arnoldo Foà prende la parola, la sala eventi della libreria Edison diventa il palcoscenico della sua ultima improvvisazione. Il grande volto del teatro italiano interagisce costantemente con il pubblico, non risparmiando ironie talvolta pungenti. In particolare nei confronti di una signora seduta in prima fila, colpevole di commentare ogni sua frase e di avere malcelati slanci di protagonismo. Anche a 94 anni suonati risulta evidente una cosa: la scena deve essere tutta per lui.
Arnoldo Foà è in città per presentare Autobiografia di un artista burbero, il libro in cui ripercorre la sua lunga ed intensa esistenza. Il folto pubblico che gremisce la sala è l'ennesimo riconoscimento per una vita vissuta in maniera straordinaria. Il suo volto emozionato ripaga il calore della gente.
È commosso per essere a Firenze. In queste strade e in queste piazze - racconta con un sorriso che apre il cuore - diventò un uomo. E ancora oggi, appena ha del tempo libero, si fa una bella passeggiata in via del Sole, dove il padre aveva un negozio di ferramenta. Quel negozio non c'è più ma il ricordo dei genitori e dell'amato fratello Piero non lo abbandona mai.
Orgogliosamente ateo, non rinnega le sue radici. Si dice addirittura felicissimo di essere nato ebreo, perché questo gli ha permesso di "passare quello che un essere umano normale non ha la possibilità di vivere". In particolare l'affetto di quanti gli furono vicini nel consolarlo durante e dopo il nazifascismo. Ma Foà non ha rancori verso nessuno, neanche per coloro che gli fecero del male.
Ecco il suo congedo: "Voglio bene a tutti gli uomini". Parole di un grande innamorato della libertà.

(Notiziario Ucei, 11 marzo 2010)

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Ahmadinejad: Israele è il regime più odiato al mondo

TEHERAN, 11 mar. - Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha lanciato l'ennesimo affondo contro Israele, definendolo "il regime piu' odiato al mondo". Secondo il presidente, che ha tenuto un discorso nella citta' di Bandar Abbas, nel sud del Paese, Israele "non e' piu' utile per i suoi padroni (i Paesi occidentali, ndr.) che ora dubitano sulla possibilita' di continuare a finanziare questo regime". "Ma che lo vogliano o no - ha affermato Ahmadinejad - con la grazia di Dio questo regime sara' annichilito e i palestinesi e le altre Nazioni della regione se ne sbarazzeranno".

(Adnkronos, 11 marzo 2010)


"O Dio, non restare silenzioso! Non rimanere impassibile e inerte, o Dio! Poiché, ecco, i tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa. Tramano insidie contro il tuo popolo e congiurano contro quelli che tu proteggi. Dicono: «Venite, distruggiamoli come nazione e il nome d’Israele non sia più ricordato!»" (Salmo 83:1-4)

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Milano - A colloquio con il ministro della Sanità di Israele

di Rossella Tercatin

Yaakov Litzman
Alla serata che sancisce un passo avanti nei rapporti di collaborazione tra Stato d'Israele e Regione Lombardia che, sempre più intensi, vedono ora anche l'ingresso degli Stati Uniti, ha partecipato il ministro della Sanità israeliano Yaakov Litzman. Nato nel 1948 da genitori polacchi sopravvissuti alla Shoah, dopo aver trascorso l'infanzia negli Stati Uniti, a 17 anni Litzman è emigrato in Israele per proseguire gli studi. Membro della corte chassidica di Ger, è diventato ben presto braccio destro del rebbe Lev Simcha e poi del successore Yaakov Alter. È stato proprio l'attuale rebbe di Ger nel 1999 a chiedere a Yaakov Litzman di rinunciare alla cittadinanza statunitense e di entrare nelle file del partito religioso Agudat Israel.
Membro della Knesset da quell'anno Litzman ha ricoperto diversi ruoli di rilievo, fino a essere nominato ministro della Sanità del governo Netanyahu nel 2009.

- Ministro Litzman, negli ultimi tempi gli operatori israeliani hanno stupito il mondo grazie alla prontezza ed efficacia del loro intervento in soccorso della popolazione haitiana. Israele non è nuovo a questo tipo di missioni. I suoi inviati erano in prima linea per aiutare i paesi colpiti dallo tsunami nel 2004, e in molte altre situazioni di emergenza in tutto il mondo. Qual è il segreto per lavorare in modo così efficiente?
- Il popolo israeliano ha alle spalle una lunga esperienza di sofferenza. Vive sotto la costante minaccia del terrore, e tante volte si è dovuto misurare con le sue distruttive conseguenze. Da questo dolore abbiamo imparato tanto. Prima di tutto, abbiamo imparato che vogliamo evitare, per quanto possibile, che altri debbano soffrire lo stesso dolore. Per questo sfruttiamo le strategie che abbiamo messo punto, e il personale che è addestrato ad affrontare le situazioni più complesse, per dare il nostro supporto. Il nostro segreto, se così si può definire, è la fedeltà alla missione.

- Pensa che possa essere questa la chiave per migliorare l'immagine di Israele nel mondo?
- È fondamentale specificare che non è migliorare la nostra immagine, lo scopo per cui cerchiamo di portare aiuto alle popolazioni colpite da catastrofi naturali o da altri disastri. Tuttavia è sicuramente vero che quello che siamo riusciti a fare per Haiti ha giovato molto alla considerazione che l'opinione pubblica mondiale ha di Israele. E siccome questo aspetto è molto importante per noi, in futuro dovremo impegnarci di più per comunicare meglio gli sforzi che Israele compie.

- Per quanto riguarda il sistema sanitario israeliano, com'è la situazione sul fronte interno? Com'è stato possibile assorbire grandi ondate di nuovi immigrati continuando a garantire l'eccellenza del servizio?
- Israele vanta uno dei sistemi sanitari migliori del mondo. Possiamo contare su personale e programmi di altissimo livello e sulle tecnologie più innovative. Questo ha consentito al servizio sanitario di non soffrire l'arrivo degli olim hadashim. Se mai un problema con cui dobbiamo fare i conti è quello dell'invecchiamento della popolazione.

- Nel quadro brillante della sanità israeliana, un problema è invece quello della carenza di organi per i trapianti, essendo controverso per la Legge ebraica, il concetto di "morte cerebrale", dopo la quale è possibile l'espianto. Di recente è stata approvata una legge che prevede la priorità nelle liste d'attesa per un trapianto per chi ha dichiarato la disponibilità a diventare donatore. Qual è la situazione attuale rispetto a questo problema?
- È molto semplice. Oggi in Israele esiste una legge per cui se un paziente si trova in stato di morte cerebrale e la famiglia accetta, vengono espiantati gli organi. Se invece la famiglia non accetta, perché non riconosce la morte cerebrale, non accade. E per la Legge ebraica questo è perfettamente lecito.

(Notiziario Ucei, 10 marzo 2010)

Per la preghiera della mattina il ministro è stato alla sinagoga Agudat Ashkenazim in Via Balbo dove è stato accolto da Rav Itzchak Hazan, il rabbino del tempio.

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Italiani all'estero, Notizie da Israele e da Gerusalemme

Diverse le attività più recenti del Comites di Tel Aviv

TEL AVIV - Martedi' 9 marzo 2010, si e' svolta nella Casa d'Italia della WIZO a Giaffa l'inaugurazione ufficiale della stanza di computer donata dalla CISCOS -UGL (Centro Internazionale Sindacale per la Cooperazione allo Sviluppo). Presenti alla cerimonia l'Ambasciatore d'Italia in Israele Luigi Mattiolo, e la Presidente della CISCOS -UGL, la dott.ssa Patrizia Conte del Ninno. Hanno preso la parola la sig.ra Serena Temin Liuzzi Presidente degli amici del Beit Wizo Italia ( Casa d'Italia) e il sig. Hannan Azulay Direttore del Centro per la Leadership del Beit Wizo Italia. In rappresentanza del Com.It.Es. Israele presente la sig.ra Claudia Amati, attiva anche nell'ambito del Beit Wizo Italia e nell'Associazione Immigrati dall'Italia.
Durante la giornata di mercoledi' 10 marzo la sig.ra Patrizia Conte del Ninno si e' incontrata a Gerusalemme, nel Centro degli italiani, nella via Hillel, con alcuni rappresentanti la collettivita' italiana e con rappresentanti del Com.It.Es.; tra l'altro, dopo aver visitato il Museo d'Arte ebraica italiana U. Nahon, e la sinagoga italiana, l'ospite ha potuto vedere il Centro del Restauro del legno, che fu creato gia' diversi anni fa, grazie alla collaborazione tra associazioni locali, il Ministero del Lavoro, l'Ambasciata d'Italia in Israele e il Consolato Generale d'Italia a Gerusalemme.
Nel pomeriggio di mercoledi' 10 marzo, al Consolato Generale d'Italia a Gerusalemme, giuramento di nuovi cittadini italiani, alla presenza del Console Generale d'Italia a Gerusalemme dott. Luciano Pezzotti e della signora Donata Robiolio, responsabile della sezione Affari Consolari. Presenti alla cerimonia il Presidente della Dante Alghieri di Gerusalemme dott. David Patsi e il Presidente del Com.It.Es. , l'avv.to Beniamino Lazar. Sia il Presidente della Dante Alighieri e anche il Presidente del Com.It.Es. hanno dato il benvenuto ai nuovi connazionali che si vanno ad unire nella grande famiglia degli italiani, facendo presente quanto sia importante.

(Italia chiama Italia, 10 marzo 2010)

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Arrestata la prima jihadista americana

Colleen LaRose, una donna di 46 anni della Pennsylvania, già nota agli inquirenti con il nomignolo "Jihad Jane" e "Fatima LaRose", è stata arrestata con l'accusa di reclutare terroristi, soprattutto donne, anche su Internet, in grado di organizzare attentati in Europa e in Asia meridionale.
Si tratta del filone americano delle stesse indagini che hanno portato ieri alla cattura in Irlanda di sette musulmani, quattro uomini e tre donne. Il loro obiettivo più clamoroso era uccidere Lars Vilks, il disegnatore satirico svedese che nel 2007 pubblicò una vignetta di Maometto con il corpo di un cane. All'epoca Vilks ricevette minacce di morte e Al Qaida offrì una ricompensa di 100mila dollari a chi lo avesse fatto fuori. Alta, bionda, occhi chiari, Colleen era convinta che suo aspetto decisamente anglosassone le avrebbe permesso di portare a termine di suoi piani senza essere scoperta. La sua affiliazione alla rete terrorista, spiegano gli inquirenti, è abbastanza recente, tutta attraverso la rete. Qualche anno fa cominciò a postare su Youtube e su altri siti web i suoi messaggi in cui esprimeva il "disperato desiderio di aiutare in qualche modo i musulmani". I poliziotti hanno cominciato a tenerla d'occhio seguendo le sue mosse sul web. Più tardi rintracciarono il suo profilo anche Su Myspace. Con il soprannome "Jihad Jane", la donna mostrava foto di violenza e di torture nel Medio Oriente con scritte come "Palestina, siamo con te", o "Simpatizziamo con Gaza".
All'inizio del 2009 le prime mail compromettenti con anonimi interlocutori stranieri, in Europa e nel sud dell'Asia, in cui cominciava a parlare di attacchi suicidi "contro gli infedeli occidentali". Sino a quel periodo sembra che il suo ruolo era soprattutto aiutare logisticamente persone sotto copertura, fornire loro soldi, appoggi sicuri, esplosivo e passaporti regolari in grado di farli viaggiare dagli Usa all'Europa senza problemi.
Questo, sino al maggio 2009, quando uno scambio di mail provò che alcuni terroristi l'avevano scelta per compiere un attentato in Svezia, forse proprio contro il vignettista anti-Maometto. "Sono pronta a morire - rispose allora sempre on-line - pur di raggiungere il mio scopo". Parole che fecero scattare l'allarme degli agenti che l'interrogarono. Lei negò l'evidenza, smentendo di aver mai avuto questo tipo di contatti. Più tardi, secondo il capo d'accusa, Colleen accettò perfino di sposarsi con uno dei suoi complici per ottenere la residenza in un paese europeo. Ma ormai era tardi e le prove della sua pericolosità erano tali da permettere al Fbi di arrestarla.

(l'Occidentale, 10 marzo 2010)

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Ricordare, celebrare, attendere la Pasqua ebraica

Incontro alla biblioteca Ariostea con Amos Luzzatto e Piero Stefani

"Ricordare, celebrare, attendere", questi i concetti da cui prenderanno spunto Amos Luzzatto e Piero Stefani per la loro conversazione in programma questo pomeriggio alle ore 17 nella sala Agnelli della biblioteca Ariostea. L'incontro rientra nel ciclo di tre appuntamenti dedicati alla Pasqua ebraica e organizzati dalla Fondazione Meis - Museo nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah, con il titolo "Pesach - Pasqua: imparare a essere liberi".
L'ultimo appuntamento della rassegna è previsto per giovedì 25 marzo alla sala Estense con uno spettacolo intitolato "La fragranza dei canti: la musica e i cibi di Pesach", che vedrà il cantante-attore Enrico Fink presentare alcuni dei più tipici canti di Pasqua intervallati da ricette legate alla festa, tratte da un libro di Jenny Bassani, sorella di Giorgio
Durante la cena pasquale ebraica, in ebraico Séder (alla lettera "ordine") si legge un testo chiamato Haggadah (narrazione). Esso ricorda l'uscita dall'Egitto, celebra la festa attraverso la convivialità e attende un avvenire posto all'insegna dello shalom (pace) messianico. Il senso autentico del rito è di far rivivere un testo non mediante la sua pura ripetizione, bensì tramite il suo commento compiuto a più voci dai partecipanti. Tenendo conto di ciò, si è scelto di affidarne la presentazione a un dialogo tra Amos Luzzatto, eminente studioso di ebraico e già presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Piero Stefani, Direttore scientifico della Fondazione Meis.

(estense.com, 10 marzo 2010)

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Israele vuole cacciare Teheran dall'Onu

Il presidente israeliano Shimon Peres ha chiesto che l'Iran sia escluso dalle Nazioni Unite e che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sia isolato completamente dalla comunità internazionale. «Una persona come Ahmadinejad, che invoca apertamente la distruzione dello Stato di Israele, non può essere membro delle Nazioni Unite», ha detto Peres, nel corso di un incontro a Gerusalemme con il vicepresidente americano Joe Biden. «Un uomo che invoca atti di terrorismo e che impicca le persone in strada non può girare quasi come un eroe culturale. Ahmadinejad deve essere isolato e non deve essere accolto nelle capitali del mondo», ha aggiunto il leader israeliano....

(il Giornale, 10 marzo 2010)

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Nucleare. Siria e Israele si lanciano in corsa alle centrali-punto

I piani israeliani rischiano di complicare il dossier iraniano

PARIGI - Mentre la comunità sta intensificando le pressioni sull'Iran per avere garanzie concrete sulla natura pacifica del suo programma nucleare, Israele e Siria hanno annunciato oggi da Parigi la loro intenzione di costruire proprie centrali atomiche per produrre energia elettrica in modo pulito. Un annuncio, quello israeliano, che rischia di complicare la difficile partita giocata dagli Usa per inasprire le sanzioni contro Teheran. Durante la conferenza sul nucleare civile svoltasi presso l'Ocse, il ministro delle Infrastrutture israeliano Uzi Landau ha detto che Israele costruirà delle centrali nucleari che saranno sottomesse a controlli di sicurezza molto stretti. Landau ha anche accennato alla possibilità di una cooperazione con ingegneri e scienziati di paesi arabi vicini. "Israele ha bisogno dell'energia nucleare per rimpiazzare parzialmente la sua dipendenza dal carbone", ha detto il ministro. Da tempo Israele sta pensando di investire nel nucleare civile, e nei mesi scorsi Landau aveva incontrato il ministro francese per l'Energia Jean-Louis Borloo per discutere di una eventuale collaborazione tra Israele, Giordania e Francia nella costruzione di una centrale nucleare. Già negli anni '50 la Francia aveva aiutato lo Stato ebraico a costruire il suo reattore nucleare di Dimona, che secondo molti osservatori è servito agli israeliani per costruire il suo arsenale atomico. Israele da parte sua non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) e non ha mai ammesso ufficialmente di possedere la bomba atomica, seguendo una politica cosiddetta di "ambiguità nucleare"; ma se costruirà nuove centrali, potrebbe attirare l'attenzione della comunità internazionale sulle sue attività. Su questo punto Landau ha chiarito subito all'Associated Press che tutte le centrali "saranno senza alcun dubbio ai più stretti controlli di sicurezza", escludendo però la possibilità di un'adesione al Tnp. "Non vediamo i motivi per farlo", ha detto. Parallelamente anche il vice ministro degli Esteri siriano Faysal Mekdad ha annunciato che il suo paese sta studiando il ricorso a "fonti di energia alternative, tra cui l'energia nucleare". "L'utilizzo pacifico dell'energia nucleare non dovrebbe essere monopolizzato dai pochi che possiedono questa tecnologia, ma dovrebbe essere disponibile per tutti", ha dichiarato Mekdad.

(Apcom, 10 marzo 2010)

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Abu Mazen contatta la Lega araba per unirsi contro Israele

RAMALLAH, 9 marzo. Il presidente della Palestina Abu Mazen ha oggi telefonato al leader della Lega araba, Amr Mussa, per sollecitare un incontro. Abu Mazen starebbe meditando una azione contro Israele, e su questo argomento dovrebbe vertere il dialogo richiesto dal Presidente palestinese.
E' quanto reso noto oggi attraverso un comunicato stampa palestinese. La motivazione di Abu Mazen starebbe nel fatto che, a quanto pare, lo stato di Israele ha avviato ufficialmente, come ha oggi provveduto ad annunciare, i lavori di costruzione di 1600 nuove unità abitative che sorgeranno a Gerusalemme est.

(Newsnotizie, 9 marzo 2010)

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Egitto, dopo il restauro la prima cerimonia nella sinagoga Maimonide

E' stata celebrata ieri dai membri della piccola comunità ebraica locale la prima funzione nella sinagoga costruita a Il Cairo, in Egitto, in onore del famoso filosofo-rabbino Maimonide dopo i lavori di restauro. Per recuperare l'antico luogo di culto il governo egiziano ha investito due milioni di dollari e a quanto pare il risultato ha soddisfatto le aspettative.
L'inviata del quotidiano Yediot Aharonot a Il Cairo ha parlato di 'un risultato stupefacente: un restauro di grandissima bellezza, non bastano le parole per descriverlo'. La riapertura ufficiale della sinagoga, nel rione ebraico della Città vecchia del Cairo, avverrà fra una settimana.
Il rabbino-filosofo e medico Maimonide (Moshé Ben Maimon), nato in Spagna nel 1138, è morto al Cairo nel 1204. Maimonide ha acquisito grande fama non solo nel mondo ebraico, ma anche in quello cristiano e in quello islamico del tempo. Per la gente la sua è divenuta n luogo portentoso.

(ANSA, 9 marzo 2010)

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Salute: Fazio incontra allo Spallanzani l'omologo israeliano Litzman

ROMA, 9 mar - Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ha avuto oggi un lungo e cordiale incontro con il ministro della Salute israeliano, Yakov Litzman.
Il colloquio si e' svolto presso l'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, fornendo cosi l'opportunita' anche per una visita all'Unita' di Alto Isolamento, che rappresenta un centro di eccellenza nel trattamento delle patologie infettive derivanti ad esempio da possibili eventi bioterroristici.
Al centro del colloquio tra i ministri Fazio e Litzman le nuove opportunita' di collaborazione sanitaria tra i due Paesi apertesi con il Piano di Azione Bilaterale firmato in occasione del vertice Italo Israeliano del 2 febbraio scorso.
Tra i settori di collaborazione piu' direttamente approfonditi tra i due ministri le emergenze sanitarie sulle malattie trasmissibili, la qualita' della cure ospedaliere, una piu' ampia presenza di medici italiani in Israele, progetti di assistenza sanitaria attraverso servizi di telemedicina e il settore della salute infantile.

(ASCA, 9 marzo 2010)

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Nucleare: Israele vuole un'altra centrale con l'aiuto dei paesi arabi vicini

PARIGI, 9 mar - Israele ha intenzione di lavorare con i vicini Paesi arabi per la costruzione di una nuova centrale nucleare. Lo ha detto il ministro delle Infrastrutture israeliano Uzi Landau.
Israele ha gia' scelto il luogo per il reattore nucleare, il primo ad essere istituito per l'energia civile, nella parte settentrionale del deserto del Negev.
''L'energia nucleare puo' fornire lo spazio per una cooperazione regionale con l'obiettivo di promuovere la pace'', ha detto Landau a Parigi in occasione della Conferenza per l'uso civile del nucleare. Israele ha due reattori nucleari, uno vicino alla citta' sud-orientale di Dimona, sospettata da alcuni di esser utilizzata per produrre armi atomiche, e un secondo reattore di ricerca presso Nahal Soreq, vicino a Tel Aviv.
Alcuni funzionari israeliani hanno detto che il nuovo impianto sarebbe un progetto congiunto tra Israele e Giordania e che la Francia avrebbe il compito di supervisore e di fornire la tecnologia necessaria. ''Naturalmente qualsiasi impianto nucleare che verra' costruito in Israele sara' soggetto a tutte le garanzie internazionali'', ha detto Landau.

(ASCA, 9 marzo 2010)

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Nucleare. La Giordania smentisce un progetto comune con Israele

"Prematuro" prima di soluzione conflitto israelo-palestinese

AMMAN, 9 mar. - La Giordania smentisce di avere un progetto nucleare civile comune con Israele e sottolinea di ritenere prematuro sollevare una tale possibilità prima di una risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Ieri un responsabile del ministero delle Infrastrutture ha detto all'Afp che Israele punta a costruire una centrale nucleare in comune con la vicina Giordania, sotto la supervisione della Francia che potrebbe fornire al tecnologia. "Non esiste un progetto israelo-giordano nel campo dell'energia nucleare" ha detto il capo della Commissione giordana per l'energia nucleare, Khaled Toukan, in una dichiarazione rilasciata a Parigi e riportata dall'agenzia ufficiale giordana Petra. "Questa proposta è stata fatta vari mesi fa dal ministro dell'Energia israeliano al suo omologo francese. Non abbiamo nulla a che vedere con essa ed è prematuro sollevare una collaborazione nucleare israelo-giordana prima della soluzione della questione palestinese" ha detto Toukan a margine della conferenza sull'accesso al nucleare civile in corso nella capitale francese. La Giordania, che ha firmato un trattato di pace con Israele nel 1994 "cerca di collaborare con i paesi firmatari del trattato di non proliferazione nucleare" ha rilevato. Israele non ha firmato il trattato a ha detto che non avrebbe aderito alla proposta di un Medio Oriente denuclearizzato lanciata dal presidente Usa Barack Obama. Lo stato d'Israele non ha mai ammesso il possesso dell'atomica, ma secondo gli esperti stranieri è dotato di 200 ogive nucleari oltre che di missili a lunga gittata. La Giordania, che importa il 95% circa del proprio fabbisogno energetico, ha annunciato una progetto per costruire una centrale nucleare.

(Apcom, 9 marzo 2010)

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Il cane robot che guida i non vedenti

Il prototipo di due diciassettenni israeliani, vede tutto e si ricarica con il sole. Il debutto tra due settimane

di Francesco Battistini

GERUSALEMME - Se c'è un gradino, si blocca da solo. Se il marciapiede è affollato, sa come farsi strada. Se la fermata dell'autobus non è proprio dietro l'angolo, è capace di trovarla senza problemi. E se la cava benissimo anche quando bisogna entrare in un negozio, cercare una toilette, attraversare sulle strisce pedonali, perfino salire sulle scale mobili o sul treno. Non fa bisognini, ma aiuta chi ha più bisogno. Non è molto bello a vedersi, ma nel buio di chi lo usa non è una cosa importante. Non abbaia e non scodinzola, ma è pronto a diventare l'amico sentito e fidato di chi è costretto a muoversi in un mondo sordo e infido.

PRONTO AL DEBUTTO - L' «accompagnatore elettronico per non vedenti», ultimo cucciolo della generazione di cani robot, è nato nell'incasinato ed estroso garage di due brufolosi diciassettenni di Gerusalemme. Yoav Copelan e Yoad Fried ci hanno lavorato un anno e mezzo, finalmente il loro Fido per ciechi è a punto e sarà presentato fra due settimane al Museo della scienza gerosolimitano, in apertura dell'edizione 2010 della Conferenza dei giovani inventori israeliani.

ENERGIA SOLARE - Va ancora sulle ruote: "Per montargli le zampe meccaniche, come quelle del cane robot che l'esercito americano ha fabbricato per andare in Afghanistan, ci serve ancora un po' di tempo". Il cucciolo elettronico nasce dall'assemblaggio di varie tecnologie. Yoav e Yoad sono ricorsi a un sistema gps collegato alla rete dei cellulari, più una serie di sensori molto simili a quelli montati sui Suv per la retromarcia o sulle auto che avvertono della presenza di pedoni. Il guinzaglio è un piccolo pannello di controllo: uno stick elettronico che riceve e legge le indicazioni in braille. E la pappa è praticamente inesauribile: il cane robot s'alimenta a energia solare e si ricarica da solo.

L'INTERESSE DI INTEL - «Crediamo - dicono i due piccoli scienziati - che la nostra invenzione possa aiutare molta gente ad avere una qualità di vita più decente. Non sono i soli a crederlo. Perché il cane robot accompagnatore non ha ancora un nome (il più probabile è Yoa), ma avrebbe già trovato un aspirante un padrone: la multinazionale Intel, che sponsorizza la conferenza degl'inventori e pare sia interessata all'acquisto del brevetto. «Non ne sappiamo nulla», non confermano i due. Il motivo di tanta prudenza forse c'è: Yoav e Yoad sono studenti dell'istituto tecnico Torah Umada (Torah e scienza), all'interno d'una yeshiva, una scuola religiosa ebraica. Da questi centri studi escono molti brillanti ritrovati dell'hi tech israeliana, nello sforzo di conciliare i precetti biblici con le scoperte scientifiche. Proprio la filiale dell'Intel di Gerusalemme, da qualche mese, è finita nel mirino di alcuni gruppi d'ultraortodossi, che contestano alla società di tenere aperti i cancelli di sabato. Per qualche settimana, ogni sabato c'è stata una manifestazione davanti all'azienda. «La nostra speranza - commentano Yoav e Yoad -: è che, a comprare la nostra macchina, sia un imprenditore coi mezzi sufficienti per migliorare il nostro lavoro».

(Corriere della Sera, 9 marzo 2010)

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Da un sito pro Hamas

Nemer Hammad rassicura Israele: 'Non permetteremo una terza Intifada'.

IL CAIRO - Nemer Hammad, consigliere del presidente dell'Autorità nazionale palestiense (il cui mandato è già scaduto) ha affermato che "l'Anp non permetterà che vi sia una terza Intifada", rassicurando perciò gli occupanti sul fatto che le dimostrazioni che si tengono in Cisgiordania contro il Muro non si trasformeranno in una nuova rivolta popolare.
Hammad, nel corso di un convegno tenutosi al Cairo il 9 marzo, ha detto che "l'Anp di Ramallah si occupa solo di due cose: l'economia e la sicurezza. Siamo impegnati nel migliorare il livello di vita e nel garantire la sicurezza".
Hammad ha poi minacciato di arresto tutti coloro che posseggono un'arma o un ordigno esplosivo per usarli in atti di resistenza contro gli occupanti, poiché adesso l'Anp è impegnata nello stabilizzare la situazione in Cisgiordania.
Queste dichiarazioni giungono dopo le minacce israeliane di entrare nelle terre amministrate dall'Anp e di procedere ad arresti se le milizie di Abbas non riusciranno a fermare le proteste dei palestinesi indirizzate contro le colonie e la giudaizzazione operata dai sionisti ai danni dei luoghi santi islamici.
Il quotidiano israeliano "Haaretz" assicura che queste dichiarazioni sono arrivate dopo alcuni incontri tenutisi tra responsabili d'alto rango della sicurezza israeliana e delle milizie di Abbas.

(Infopal, 9 marzo 2010)

COMMENTO - Ai sostenitori di Hamas non va bene che il livello di vita dei palestinesi in Cisgiordania migliori. Ai capi di Hamas e ai loro sostenitori la vita (degli altri) non interessa. Loro vogliono la morte (degli altri), vogliono il sangue, vogliono una terza intifada per muovere le acque e poter accusare Israele. Loro amano l'ideale "Palestina". I palestinesi reali non interessano.

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Gerusalemme - La grande festa di Tsad Kadima

E' stata la voce della cantante Riki Gal a contrassegnare, al Teatro di Gerusalemme, l'annuale serata di gala dell'associazione Tsad Kadima.
Scopo della serata raccogliere fondi per appoggiare i progetti dell'associazione a favore di più di 320 bambini e ragazzi in Israele.
Fra il numeroso pubblico erano presenti gli amici di Tsad Kadima in Italia e naturalmente molti degli italiani che risiedano in Israele.
Alessandro Viterbo, presidente del comitato organizzatore, ha rivolto alcune parole ai presenti e ha raccontato dei grandi progetti in atto quest'anno, come il nuovo centro di Beer-Sheva in costruzione e un ambizioso programma di formazione professionale. Lo stesso ha ricordato anche i rapporti che legano l'Italia in genere e l'Italia ebraica in particolare all'associazione Tsad Kadima e naturalmente ha espresso il più sentito ringraziamento al pubblico, che con la sua partecipazione ha sottolineato il compiacimento per il lavoro di educazione e riabilitazione che questa associazione compie da 23 anni in Israele.
Prima della serata la vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Claudia De Benedetti (nell'immagine), ha incontrato i numerosi ragazzi di Tsad Kadima presenti all'evento esprimendo ai presenti il suo compiacimento per la collaborazione professionale in atto tra l'associazione israeliana e alcuni enti italiani, collaborazione che vede la sua espressione in continui scambi di visite. Al termine del concerto Yoel Viterbo ha ringraziato a nome di tutti la bravissima cantante.

(Notiziario Ucei, 9 marzo 2010)

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Turchia: respinta l'offerta israeliana di aiuto per il sisma


GERUSALEMME, 8 mar. - Dopo il sisma di magnitudo 6 sulla scala Richter che stamani ha colpito la provincia di Elazig, nella Turchia orientale, Ankara ha respinto un'offerta di assistenza arrivata da Israele. E' quanto si legge sul sito Ynet, in cui si precisa che dopo il terremoto il ministro israeliano della Difesa Ehud Barak aveva dato istruzioni all'apparato della Difesa affinche' mettesse a punto un piano di assistenza e aiuti per la Turchia. Dall'ufficio di Barak hanno poi fatto sapere che la Turchia ha risposto di non aver bisogno di assistenza in questa fase. Il sisma, secondo l'ultimo bilancio, ha causato la morte di almeno 57 persone. In passato Israele aveva contribuito alle operazioni di soccorso in Turchia in seguito a calamita' naturali. Il gelo nelle relazioni tra lo Stato ebraico e Ankara e' calato nel dicembre del 2008, dopo che Israele ha lanciato l'operazione Piombo fuso contro la Striscia di Gaza, controllata dal movimento di resistenza islamico Hamas. Dopo l'avvio dell'offensiva si sono bloccati anche i colloqui di pace indiretti tra Israele e Siria con la mediazione della Turchia.

(Adnkronos, 8 marzo 2010)

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Nucleare: Israele vuole una centrale e chiede assistenza alla Francia

GERUSALEMME, 8 mar. - Israele ufficializza domani la richiesta di assistenza alla Francia per la costruzione di una centrale atomica. Il ministro delle Infrastrutture Uzi Landau lo fara' a Parigi durante la Conferenza internazionale sul nucleare civile. L'impianto nasce da un progetto congiunto fra Israele e Giordania cui la Francia farebbe da supervisore e fornitore di tecnologia. "Tre mesi fa - spiega un portavoce del dicastero delle Infrastrutture israeliano - il ministro dell'Ambiente francese Jean-Louis Borloo manifesto' un grande interesse e ci disse che ne avrebbe discusso con il presidente Sarkozy".
Israele ha sempre rifiutato di confermare o di smentire le notizie relative all'eventuale possesso di armi nucleari. In ogni caso l'energia per uso civile e' una scelta comprensibile per la penuria di elettricita' da cui e' afflitto il territorio dello stato mediorientale. L'aridita' impedisce anche l'opzione dell'idro-generazione e il ricorso al petrolio non e' possibile in quanto il paese non ne ha. "Dobbiamo valutare - ha detto il portavoce di Landau - altre scelte che siano sicure e siano il meno dannose possibile per l'ambiente. La tecnologia nucleare presenta diversi impieghi positivi, che hanno la capacita' di servire la causa della pace e la cooperazione". (AGI) -

(AGI, 8 marzo 2010)

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Israele, la campagna del governo per curare l'immagine del Paese all'estero

di Lorenzo Gennari

Il governo israeliano ha creato una campagna ad hoc per difendere l'immagine del paese all'estero. Spot e vademecum su Internet incitano i viaggiatori israeliani a fare la loro parte
«Sei stufo di vedere come veniamo rappresentati all'estero? Adesso anche tu poi dare una mano». È questo uno dei messaggi lanciati dal sito internet creato ad hoc dal ministro per l'informazione Yuli Edelstein per difendere l'immagine di Israele all'estero.
Il target dello spot è quello del viaggiatore che sta per recarsi all'estero (si tratta complessivamente di quattro milioni di persone all'anno). Il sito Masbirim, che fa da fulcro di tutta la campagna, propone al viaggiatore di portare con sè un vademecum che lo aiuterà ad ingaggiare schermaglie polemiche con i denigratori in cui potrebbe imbattersi. Sono inclusi alcuni consigli pratici come «esprimersi in maniera chiara e stringata», «ascoltare con attenzione le tesi altrui» e «non rinunciare mai ad una dose di umorismo».
Gli spot, per lo più ironici, sono anche in televisione e alla radio, nei mezzi di informazione a circuito chiuso dell'aereoporto di Tel Aviv e in opuscoli distribuiti negli spazi correlati.
In uno di questi video, si vede una finta giornalista televisiva francese che informa, con tono concitato e preoccupato, circa «nuovi tuoni di guerra avvertiti in tutto Israele». Alle sue spalle si vedono però gli effetti dei fuochi pirotecnici della Festa di Indipendenza.
In un altro spot si vede procedere una carovana di cammelli nel deserto. Un giornalista anglosassone con corpetto militare spiega che gli israeliani «trasportano merci, acqua e munizioni a dorso di cammello» e che questo animale viene anche utilizzato nella cavalleria.
Altro spot, altra sorpresa: una allegra giornalista spagnola spiega che gli israeliani si cibano essenzialmente di carne alla brace: «Primitivo, ma delizioso», commenta nel finale. Al di là dell'efficacia della campagna, di sicuro c'è che agli israeliani la fantasia non manca.

(PubblicaAmministrazione.net, 8 marzo 2010)

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I fatti non parlano da soli

di Donatella Di Cesare

Da poco è stata lanciata in Israele una nuova campagna del Ministero dell'Informazione che questa volta, per andare subito al punto, ha fatto vedere ai giornalisti della stampa estera alcuni spot: il sunto del modo in cui trasmettono nel mondo l'immagine di Israele. L'ironia non è stata compresa, la satira non è stata colta. Per questo sarebbe infatti necessaria una autocritica - almeno qualche briciola - che i giornalisti presenti sembra non abbiano avuto.
Ma evidentemente il problema è ben più complesso e profondo. Non si tratta solo di cattiva informazione. La realtà, si sa, sta nel racconto che l'articola e la dice. Nessuno può credere che il "fatto" parli da sé. Chi lo pretende è già sospetto: spaccia la sua interpretazione per l'unica obiettiva, cerca di totalizzare la verità. Il "newsmaker" interpreta già selezionando una notizia piuttosto che un'altra. Perfino l'immagine, nella sua apparente certezza, può svolgere funzioni diverse, a seconda del contesto in cui è inserita, e può essere mostrata, con una sapiente regia, per mostrare l'opposto di quello che dovrebbe (il caso gravissimo dell'assassinio in diretta del piccolo Mohammed Al-Durah di cui furono mostrati solo 55 secondi su 26 minuti e fu accusato ingiustamente l'esercito israeliano è paradigmatico).
Quel che colpisce è che da quando, con la mondializzazione, la questione ebraica è diventata una questione planetaria, Israele viene sistematicamente escluso dalla narrazione delle vicende del mondo. D'altra parte, il racconto che l'opinione internazionale sembra aver adottato sul conflitto mediorientale, e soprattutto su Israele, è monocorde. Le stesse voci raccontano dalla loro prospettiva (in buona o in mala fede) la loro storia, e raccontando la consolidano. Il risultato è l'unanimità, il consenso generale, la totale concordanza. E Israele? Del paese, della gente, della vita quotidiana, della scuola, dell'università, del sistema sanitario, viene detto poco o nulla. Come vivono gli israeliani, quali problemi hanno, che cosa pensano - quasi nessuno in Europa lo sa. La prospettiva del giornalista, dell'inviato o del reporter, raramente è interna. Dal confine esterno, tra un po' di soldati e qualche carro armato, si racconta dal di fuori. È stato questo il monito ironico degli spot indirizzati alla stampa estera.
Il racconto monolitico si è imposto al punto che è divenuto perfino inimmaginabile che ci possa essere una visione ebraica che non sia una semplice reazione emotiva. Non è un caso che si lascino parlare quasi esclusivamente alcuni scrittori. Ma la narrazione del popolo ebraico nel suo complesso è messa al bando. Non c'è posto per un dialogo in cui potrebbe articolarsi. Negando questa narrazione si finisce però per negare anche l'esistenza di chi dovrebbe narrare e non può, cioè di Israele.

(Notiziario Ucei, 8 marzo 2010)

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Egitto - Restaurata la sinagoga di Maimonide


TEL AVIV, 8 mar - "Un risultato stupefacente: un restauro di grandissima bellezza, non bastano le parole per descriverlo": in questi termini l'inviata del quotidiano Yediot Aharonot al Cairo descrive la "resurrezione" della sinagoga del filosofo medievale Maimonide, dopo anni di lavoro di ricostruzione finanziati dal governo egiziano. Ieri i membri della minuscola comunità ebraica locale vi hanno celebrato una prima funzione, assieme con religiosi giunti per l'occasione da Israele. La riapertura ufficiale della sinagoga, nel rione ebraico della Città vecchia del Cairo, avrà luogo fra una settimana. Secondo l'inviata del giornale israeliano, il restauro dell'edificio "ha il sapore di un miracolo", visto che per molti anni era in stato di abbandono ed era ormai privo del tetto. Per recuperare l'antico splendore, aggiunge, le autorità egiziane hanno investito oltre due milioni di dollari. Nato in Spagna nel 1138, il rabbino-filosofo e medico Maimonide (Moshé Ben Maimon) morì al Cairo nel 1204, dopo aver acquisito grande fama non solo nel mondo ebraico, ma anche in quello cristiano e in quello islamico del tempo. In seguito la sua sinagoga sarebbe divenuta, nell'immaginario popolare, anche un luogo portentoso: al punto che, scrive Yediot Ahronot, lo stesso re d'Egitto Fuad vi volle trascorrere una nottata per vincere i malori che lo affliggevano.

(ANSA, 8 marzo 2010)

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Juden, raus! La Svezia scopre l'antisemitismo

di Mauro Senzaterra

Non si placa la polemica tra liberali e socialisti alla corte di Carlo Gustavo. Oggetto della discordia Ilmar Reepalu, sindaco progressista di Malmö in preda alla sindrome di Don Abbondio e indeciso a tutto. Tranne che a gettare benzina sul fuoco.

Malmö
La Svezia, nell'immaginario collettivo, è sempre stata la patria della quiete e della tolleranza nonostante il suo milione e mezzo di immigrati che fanno dei "non svedesi" quasi il 17% della popolazione residente. Eppure, a differenza di quanto accade praticamente ovunque, sembra che tra le renne non ci sia alcun problema di convivenza sociale. Un esempio per tutti, insomma. E invece le cose non stanno esattamente in questi termini. Da poco meno di un paio d'anni ci sono due minoranze che hanno smesso di guardarsi in cagnesco e sono passate direttamente ai fatti. Soprattutto una, a dire la verità: la minoranza islamica. Evidentemente, la testa di alcuni tra i figli più scalmanati di Allah resta caldissima nonostante il lungo e gelido inverno scandinavo. Le solite scaramucce, penserà qualche anima bella, e la solita scusa per pigliarsela con i soliti poveri diavoli ai quali si affibbiano tutte le paranoie occidentali. Sarà, ma se anche quei paciocconi dal sesso facile cominciano farsi domande, una ragione ce l'avranno pure.

INTIFADA SCANDINAVA - Il clima tra comunità ebraica (lo yiddish è una delle lingue riconosciute nel Regno delle tre corone) e comunità musulmana si è andato scaldando progressivamente a partire dalla fine del 2008, quando Israele lanciò l'operazione Piombo Fuso su Gaza. In quel periodo più o meno tutta l'Europa visse mesi di tensione consegnandosi in ostaggio e senza resistenza a manifestazioni di piazza organizzate per esprimere sostegno alla Terra Martire per eccellenza. A Rosengard, quartiere non certo di elite di Malmö, andò tutto molto peggio e, da allora, non ha smesso più. Un terzo degli abitanti del quartiere è musulmano, molti di loro sono disoccupati e hanno un grado di scolarizzazione molto basso. Però sono tanti, circa 40 mila, e hanno una caratteristica che non lascia mai indifferente la politica: portano voti. Quindi non c'è da stupirsi se la gente che vive a Malmö vede un film mentre quella che la governa vuol vederne un altro. Resta il fatto che, nel solo 2009, sono state registrate 79 denunce per atti di aggressione contro persone appartenenti alla comunità ebraica che vanno ad aggiungersi agli innumerevoli episodi violenti che squassano il capoluogo della Scania. Certo, votano anche gli ebrei, ma sono soltanto 700.

VA PENSIERO - Intanto, forti di una millenaria esperienza che consente loro di comprendere in largo anticipo quando si annuncia il temporale, gli ebrei cominciano ad andarsene da Malmö. L'aria pesante ha già consigliato una trentina di famiglie a fare le valigie per trasferirsi a Stoccolma. Ma, più ancora dell'atmosfera densa, gli ebrei temono le istituzioni, specie quelle locali, perché pare non abbiano alcuna intenzione di fare qualcosa per arginare la marea. Anzi, sembrano piuttosto disponibili a fornire le risposte che, da sempre, fanno più contenti gli aggressori degli aggrediti. È il caso del sindaco di Malmö, Ilmar Reepalu, social progressista che regna sulla città da 15 anni, le cui confidenze alla stampa locale ed internazionale hanno fatto rizzare i capelli anche ai più fedeli accoliti del politically correct. Reepalu si era già distinto un anno fa quando, nel mezzo del conflitto israelo-palestinese, prese decisamente posizione a favore di questi ultimi appoggiando la tesi della reazione sproporzionata. Opinione legittima, naturalmente, se non fosse che non mosse un dito per punire un bel gruppetto misto di picchiatori (un po' musulmani e un po' provenienti da vari centri sociali della zona) dedicatosi alla caccia all'ebreo durante una manifestazione a sostegno di Israele. Ad uno degli oratori fu sparato un fuoco d'artificio e i manifestanti furono invitati a tornare a casa dalla polizia che li scortò per evitare il peggio. Evidentemente, si trattò di un evento di proporzioni accettabili.

Ilmar Reepalu
Reepalu è uno che, quando c'è da difendere la pace cittadina, non si fa mancare niente. Per rispondere alle pressioni dei media, ad esempio, ha pensato bene di rilasciare una dichiarazione al napalm che ha mandato fuori dalla grazia di Dio anche Mona Sahlin, grande capa dei democratici svedesi. "Noi consideriamo ugualmente inaccettabile l'antisemitismo e il sionismo perché sono entrambe visioni razziste" ha detto il sindaco di Malmö alla stampa. E giù polemiche, stavolta più che giustificate, perché si possono anche coltivare opinioni originali, ma questa è una fesseria talmente evidente che perfino Diliberto avrebbe avuto difficoltà ad argomentare. Meno innocua, invece, un'altra presa d'atto: "Se gli ebrei non stanno bene a Malmö, possono anche andarsene. Non c'è problema". A questo punto, è stato inevitabile il richiamo - molto cauto - dei mammasantissima del partito, anche se ormai la corrente Reepalu è in totale delirio agonistico. Al punto che il nostro, dopo essere stato "obbligato" ad incontrare i rappresentanti della comunità ebraica, se ne è uscito ammettendo di non essere stato adeguatamente informato sulla gravità della situazione. È una fortuna che Malmö conti meno di 300 mila abitanti: fossero stati nel numero degli abitanti di Tokyo, è difficile immaginare un evento di proporzioni adeguate a catturare l'attenzione di Reepalu. Tuttavia ha ammesso di aver espresso qualche volta giudizi infelici, ma ha anche sottolineato di essere stato molto più spesso frainteso. Da chi non specifica e viene il sospetto che sia una questione che vorrà risolvere con se medesimo.

SOLITA SOLFA - Resta il fatto, però, che l'azione decisa dal sindaco per mettere un freno al fenomeno sia una di quelle idee che fanno furore dalle nostre parti. Verrà istituito un forum permanente per il dialogo. Imbarazzante. Non che sia inutile, per carità, ma azzardiamo l'ipotesi che non sarà sufficiente a risolvere il problema. E non sarebbe sufficiente nemmeno dislocare i carri armati sul terreno come avrebbe proposto quasi certamente qualche ipotetico omino verde scandinavo. Il punto è che basterebbe semplicemente imporre il rispetto delle regole elementari di convivenza civile senza necessità di lanciarsi in spericolate avventure ideologiche. Può anche essere conveniente lasciar fare le teste calde per non giocarsi qualche simpatia elettorale, ma sarebbe bene non scordarsi che diventare gli ebrei di qualcuno è un attimo.

(Giornalettismo, 8 marzo 2010)

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L'Anp vieterà ai palestinesi di lavorare nelle colonie ebraiche

L'Autorità nazionale palestinese (Anp) sta preparando una legge non vincolante per impedire ai propri cittadini di lavorare nelle colonie ebraiche costruite illegalmente all'interno dei Territori occupati.
A rivelarlo è il sito web del quotidiano israeliano Jerusalem Post, che cita fonti del governo palestinese.
Autore del progetto di legge, che prevede anche il divieto di vendere in Cisgiordania prodotti realizzati nelle colonie, è il ministro palestinese dell'Economia, Hassan Abou Libdeh.
"Il mio popolo e la mia società - ha spiegato il membro dell'esecutivo - contribuiscono alla sicurezza economica delle colonie, pertanto cerco di porre fine a questo contributo".
Lo stesso ministro ha sottolineato anche che il governo dovrà trovare delle entrate alternative per i palestinesi che perderanno il lavoro dopo l'entrata in vigore della norma.
Attualmente i palestinesi che lavorano all'interno delle colonie sono stimati in 20mila/30mila unità; la cifra comprende sia la manodopera che partecipa all'edificazione di abitazioni e infrastrutture che quelli impiegata all'interno delle industrie presenti negli insediamenti stessi.

(Osservatorio Iraq, 8 marzo 2010)

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Borse della domenica tutte in territorio positivo


di Giusepp DiVittorio

Segno più sulle borse della domenica: Tel Aviv archivia il week end con un +0,64%, mentre Tel Aviv è leggermente più alta +0,75%. A sostenere il listino israeliano ci hanno pensato il settore tecnologico +2,70% e la finanza +0,20%. Quanto ad Abu Dhabi brillanti l'energia +1,74% e i consumi +1,58%.
Passando all'analisi dell'andamento della seduta intraday: negli Emirati Arabi è andata meglio che in Israele. La borsa dell'Emiro ha aperto sui minimi e ha chiuso sui massimi, quella Israeliana ha lateralizzato per tutta la seduta.
Sul medio periodo la Borsa Israeliana è sui massimi di periodo, l'indice Ta-25 ha da poco rotto i il top dell'inizio del mese di gennaio. La piazza finanziaria degli Emirati Arabi dopo il crollo dovuto al settore immobiliare sta leteralizzando a un 10% di distanza dai minimi del'ultimo anno.

(Milano Finanza, 7 marzo 2010)

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Manoscritto della teoria della relatività per la prima volta in mostra


Documento di 46 pagine esposto nella sua integralità

GERUSALEMME, 7 mar. - Da oggi a Gerusalemme il manoscritto originale della teoria della relatività di Albert Einstein sarà esposto per la prima volta nella sua integralità. Questo documento di 46 pagine, redatto a mano, è stato presentato oggi al pubblico presso l'Accademia israeliana delle Scienze e delle Scienze umana, in occasione del suo cinquantenario. La teoria della relatività, alla base della fisica moderna, venne pubblicato nel 1916. Nel 1925 venne donato da Einstein all'Università ebraica di Gerusalemme che, a sua volta, lo ha prestato all'Accademia per il suo anniversario.

(Apcom, 7 marzo 2010)

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Corsi di ebraico per gli universitari egiziani

di Manuel Disegni

Sono otto le università egiziane che nel presente anno accademico hanno attivato un corso di insegnamento di lingua ebraica.
Fa specie che nel paese di Nasser sia tanto comune l'apprendimento della lingua del nemico, Israele. Eppure oltre 2000 studenti, ogni anno, imparano l'ebraico. "È la lingua del futuro, dicono. Non si può ignorarla". Certo non è facile per un giovane, nella società egiziana, giustificare la propria decisione d'imparare l'ebraico. Emblematico il caso di Ahmed, figlio di un generale egiziano nella seconda metà degli anni '60. "Perché vuoi parlare con quelli che cercavano di uccidermi?", gli ha chiesto suo padre. "Che rapporti vuoi avere con i nostri nemici?".
Nemico, Israele è percepito ancora così dalla popolazione egiziana, ovviamente in modo proporzionale all'età. Tra i più vecchi quasi tutti possono vantare un caro ucciso dall'"esercito sionista". La normalizzazione delle relazioni politiche e culturali con lo Stato ebraico è ancora un tabù.
Cosa può rispondere Ahmed a suo padre? "Io sono giovane, non ho mai conosciuto la guerra con Israele. So solo che noi egiziani intratteniamo relazioni economiche reciprocamente fruttuose con Israele, che gli scambi tra i nostri paesi sono anche culturali, che politicamente parlando mi sembra, per l'Egitto, molto più minaccioso l'Iran che Israele". Sono dunque i giovani gli incaricati di superare le reticenze e le diffidenze così diffuse nelle generazioni che li hanno preceduti. Ma questo "vale da entrambi i lati del Sinai", dice Ahmed. Ahmed lavora in un call-center del gigante informatico americano Xceed. Dal suo ufficio del Cairo riceve telefonate da Gerusalemme, Tel Aviv, Ashqelon, Beer Sheva.... Israeliani con problemi tecnici al computer. Il suo ebraico ormai è tanto fluente da ingannare i madrelingua, ma quando capita che venga fuori che è egiziano, dal capo israeliano del filo del telefono o c'è incredulità: "Ma come, hai imparato l'ebraico al Cairo?"; oppure si erge un vero e proprio muro di diffidenza nei confronti di Ahmed. "Non vogliono parlare con un egiziano -spiega- "inoltre devo farmi chiamare Adam: per molti Ahmed è quasi sinonimo di bombarolo".
Allora, forse, è davvero la generazione post muro di Berlino quella incaricata di abbattere vecchie, anacronistiche barriere, di cui neanche comprende più il senso. In Europa come in Medioriente. Quella generazione di egiziani che dice: "l'ebraico è la lingua del futuro". Una generazione che ha avuto la fortuna di non conoscere le guerre dei suoi padri, che, priva di preconcetti, può valutare quanto la conoscenza dell'ebraico (una lingua come un'altra, non quella del diavolo), sia merce preziosa sul mercato del lavoro egiziano. Nel call center di Ahmed, per esempio, è fondamentale. Ma poi nel settore del turismo, ché gli israeliani viaggiano molto. Al Ministero degli Affari esteri, dell'informazione. Nel mondo della radiotelevisione e della stampa. Nella produzione agricola, perfino, poiché la tecniche d'avanguardia sono importate da Israele.
Una buona conoscenza dell'ebraico, al Cairo, vuol dire un buon posto di lavoro assicurato. E in tempi di crisi, i giovani lo sanno, non è il caso di fare gli schizzinosi.

(Notiziario Ucei, 7 marzo 2010)

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Oscar: polemiche su 'Ajami'

TEL AVIV, 7 mar - 'La qualifica di 'film israeliano' e' tecnica, ma io non rappresento Israele', ha detto Copti, coregista del film 'Ajami'.Il film e' uno dei cinque candidati all'Oscar per il miglior film straniero. E'ambientato in un rione di Jaffa e mostra scene di degrado sociale. In Israele ha gia' raccolto un vasto successo. Copti e' un arabo-israeliano. Diverso il parere del secondo co-regista, Yaron Shani. 'E'un film israeliano - ha detto- ed affronta questioni israeliane'.

(ANSA, 7 marzo 2010)

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Malafede dei professori anti-Israele

di Fiamma Nirenstein

Università e atenei internazionali paragonano lo Stato ebraico al Sudafrica dell'apartheid Ma a Gerusalemme le discriminazioni sono proibite per legge e le istituzioni sono multietniche

La apartheid week contro Israele che si sta concludendo in troppi campus in giro per il mondo, comprese, che peccato, le università di Firenze, Pisa, Milano (mentre la Sapienza di Roma con un bel colpo di reni ha siglato un accordo con l'Università di Tel Aviv), è uno degli eventi più intellettualmente ripugnanti mai concepiti. È il sesto anno che professori e allievi estremisti mobilitano gli atenei sul tema «Israele stato di apartheid»: non sono tanti, ma l'impatto delle campagne di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele sono come il suono del campanello per il cane di Pavlov, e la risposta allo stimolo è la criminalizzazione e la delegittimazione dello Stato ebraico.
Così come il mondo distrusse l'indegno regime sudafricano di apartheid, suggerisce la settimana, altrettanto deve fare con Israele. Uno Stato accusato di discriminare per motivo etnico, razziale, religioso i suoi cittadini deve sparire, pensa il mondo attuale. E la «settimana» non ha nel mirino il razzismo nei suoi tanti aspetti e latitudini: è uno Stato nella sua specificità che è preso di mira, e il velenoso paragone con il Sudafrica dell'apartheid, sparito per la pressione internazionale, suggerisce l'indegnità di Israele a esistere.
Questa costruzione è basata su due colonne: su una bufala, ovvero una serqua di bugie; e sulla disinformazione veterocomunista già affondata dalla storia.
La bufala sta nella paragone con Pretoria: «Sotto la sezione 37 della spiaggia di Durban questa zona balneare è riservata ai soli membri del gruppo della razza bianca». Così si legge in inglese e in afrikaner su un cartello del tempo dell'apartheid posto su una spiaggia.
Cartelli analoghi erano ovunque e diffidavano i neri, i «coloured» e anche gli asiatici da sedersi con i bianchi agli eventi sportivi, sugli autobus, sui treni, a usare le stesse toilette e gli stessi ristoranti, per non parlare degli ospedali e delle scuole.
Le Chiese erano multirazziali. Molti altri cartelli con il teschio minacciavano di morte i neri che varcassero determinate barriere. Era impensabile che i bianchi e i neri condividessero le istituzioni. Tutto il contrario in Israele: ogni e qualsiasi istituzione è multietnica e multi religiosa, le teorie e le discriminazioni razziste sono proibite per legge, negli ospedali le donne arabe e le ebree partoriscono letto a letto, curate da personale arabo ed ebreo; da tutto il mondo arabo vengono bambini e pazienti in genere a farsi curare, accolti amorevolmente; all'università gli studenti arabi e ebrei studiano insieme e anche professori arabi, talora molto aggressivi verso il sionismo, insegnano con gli ebrei e agli ebrei mentre sono tradotti libri arabi di ogni tipo; alla Knesset, il Parlamento israeliano, e al governo siedono cittadini arabi che levano (sempre!) il loro dissenso, senza temere, unici arabi in medio oriente, che qualcuno li aspetti sotto casa per punirli.
Il Bagaz, l'Alta Corte, è una sponda totalmente affidabile per tutti: ha appena legiferato che la strada 443, lungo la quale sono avvenuti attacchi contro automobili di ebrei, dopo una chiusura di sicurezza temporanea, venga ora riaperta per motivi di eguaglianza di fronte alla legge, a tutti i veicoli anche se il prezzo può essere la vita di famiglie solo ebree. Qualsiasi arabo, ma anche un ebreo etiope, troverà giustizia di fronte alle discriminazioni razziali se si rivolgerà all'autorità israeliana, perché la legge proibisce la discriminazione. Quelli che proclamano la settimana dell'apartheid sono in totale mala fede.
Quando citano il «Muro», che poi è un recinto, sanno benissimo che quella barriera ha fatto diminuire il terrorismo del 98 per cento; sanno che le difficoltà di movimento non hanno a che fare con pregiudizi razziali, ma con evidenti motivi di sicurezza. Sanno anche che invece cristiani ed ebrei nel mondo arabo, ma non soltanto, anche le donne e gli omosessuali, sono segregati e perseguitati a morte per motivi ideologici.
E adesso un briciolo di storia: l'accusa di apartheid affonda nel totalitarismo comunista. Lo storico Robert Wistrich dimostra nel suo «A lethal obsession» che dopo la guerra dei Sei giorni Mosca decise che assimilare Gerusalemme a Pretoria avrebbe distrutto la fama liberale di Israele presso i Paesi occidentali e anche gli Stati africani che avevano fiducia in Israele. I trotzkisti (fra loro, ohimè, parecchi ebrei) divennero fra i più ferventi propagatori della mitologia sionismo eguale razzismo, che poi si trasformò in una risoluzione delle Nazioni Unite.
In una parola, trasformare il sionismo in un'ideologia disumana conquistando a questo scopo gli intellettuali (il generale Jap lo suggerì personalmente a Yasser Arafat) era la strada per convincere che un Paese nato su tali disgustose premesse non può che essere smantellato. Anche la violenza terrorista, dunque, può, deve essere perdonata. E siamo sicurissimi che i generosi professori e studenti promotori della settimana dell'apartheid la perdonano, e del colpo alla nuca in Cina, dello sterminio in Sudan, degli impiccati in Iran, delle donne segregate in tanti Paesi islamici, se ne impipano. Però, sono contro l'apartheid in Israele. Che non esiste.

(il Giornale, 7 marzo 2010)

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Tre incontri dedicati alla Pasqua ebraica

Ferrara ospiterà la "Festa del libro ebraico in Italia"

Il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah organizza tre incontri dedicato a Pesach, la Pasqua ebraica.
Lo spirito del ciclo è ben riassunto dal suo titolo generale. Nella tradizione ebraica Pesach è definito come la festa della "nostra libertà".
L'essere liberi - anche e forse soprattutto in ambito religioso - non è una dimensione donata e conquistata una volta per tutte: essa va confermata e appresa giorno dopo giorno, o, come in questo caso, anno dopo anno. Di questi temi parlerà Rav Luciano Caro, rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara.
Durante la cena pasquale ebraica, in ebraico Séder (alla lettera "ordine"), si legge un testo chiamato Haggadah ("narrazione"). Esso ricorda l'uscita dall'Egitto, celebra la festa attraverso la convivialità e attende un avvenire posto all'insegna dello shalom ("pace") messianico.
Il senso autentico del rito è di far rivivere un testo non mediante la sua pura ripetizione, bensì tramite il suo commento compiuto a più voci dai partecipanti. Tenendo conto di ciò, si è scelto di affidarne la presentazione a un dialogo tra Amos Luzzatto, eminente studioso di ebraico e già presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Piero Stefani, Direttore scientifico della Fondazione MEIS.
Il terzo appuntamento sarà uno spettacolo in cui il cantante-attore, di origine ferrarese, Enrico Fink presenterà alcuni dei più tipici canti di Pasqua intervallati da ricette legate ai piatti tipici di quella festa tratti da un libro di Jenny Bassani, sorella di Giorgio (cfr. J. Liscia Bassani, La storia passa dalla cucina, ETS, Pisa, 20052 ).

In vista della "Festa del libro ebraico in Italia"
Ferrara 18-21 aprile
Concerto di apertura la sera di sabato 17 alle ore 21,30
Per il programma completo www.festalibroebraico.it

Ciclo di incontri
Pesach - Pasqua: imparare a essere liberi

Ferrara, Sala Agnelli, Biblioteca Ariostea, via Scienze. 17
mercoledì 3, ore 17
Pesach, festa della nostra libertà
Rav Luciano Caro

mercoledì 10, ore 17
Ricordare, celebrare, attendere
dialogo tra Amos Luzzatto e Piero Stefani

Sala Estense, piazza del Municipio
giovedì 25 ore 21

La fragranza dei canti: la musica e i cibi di Pesach, spettacolo di Enrico Fink, voce e flauto traverso
accompagnato da Marcella Carboni, arpa e Stefano Bartoli, sassofoni.

(estense.com, 7 marzo 2010)

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Israele riflette su un attacco all'Iran

In assenza di sanzioni internazionali «paralizzanti» nei confronti dell'Iran, peraltro non imminenti, secondo Israele non c'è alternativa ad una operazione militare per impedire che il regime degli ayatollah si doti di armi atomiche.
Lo ha affermato il viceministro israeliano Ayub Kara (Likud), responsabile dello sviluppo del Neghev e della Galilea. Israele, ha aggiunto Kara, ha già appreso da diversi Paesi arabi (anche «estremisti») che se passasse all'azione essi non potrebbero esprimere soddisfazione pubblicamente, «ma di certo non si opporrebbero». «Quei Paesi - ha proseguito - temono il potenziale nucleare dell'Iran non meno di Israele».
Citando un versetto della Bibbia («quando uno si prepara ad ucciderti, devi eliminarlo precedendolo»), il viceministro ha pubblicamente perorato, in un discorso fatto oggi a Beer Sheva, un'azione preventiva. Considerato uomo di fiducia del premier Benyamin Netanyahu, Kara - che rappresenta la comunità drusa e si esprime perfettamente in arabo - ha fatto in passato da intermediario con Paesi vicini. In che misura la sua sortita sull'Iran rispecchi le reali intenzioni del governo resta tuttavia incerto.
Nel frattempo fa discutere uno studio messo a punto per la università Bar Ilan di Tel Aviv dal professor Moshe Vered sulla prevedibile durata di un conflitto israelo-iraniano se gli scenari illustrati da Kara dovessero concretizzarsi.
Significativamente Vered apre l'analisi con una citazione dell'imperatore giapponese Hiro Hito che, alcuni mesi prima dell'attacco a sorpresa a Pearl Harbour, chiese al suo consigliere Sugiyama quale sarebbe stata la prevedibile durata di un conflitto con gli Stati Uniti. «La guerra nel Pacifico - gli fu risposto - terminerà in tre mesi».
Ai dirigenti israeliani il professor Vered fa sapere che anche se lo Stato ebraico riuscisse a compiere un blitz contro le infrastrutture nucleari dell'Iran, ciò costituirebbe solo l'atto di inizio di una guerra regionale di molti anni. L'Iran non abbandonerebbe l'idea di eliminare Israele «come gesto riparatore, almeno ai suoi occhi, di una ingiustizia storica».
Dopo una prima ritorsione con razzi terra-terra l'Iran, secondo Vered, farebbe pressioni su Israele con l'aiuto di Hezbollah (Libano) e Hamas (Gaza). Potrebbe anche spedire unità militari in Siria, a ridosso del Golan. Le sue unità marine potrebbero minacciare dall'Eritrea le vie israeliane di navigazione. Il tutto sarebbe forse accompagnato da una offensiva terroristica su scala mondiale.
Vered consiglia di meditare a fondo sul fatto che negli otto anni di guerra con l'Iraq di Saddam Hussein l'Iran «ebbe mezzo milione di morti, un milione di feriti e danni materiali quantificabili come la sua produzione di petrolio nell'intero ventesimo secolo», ma non rinunciò ai suoi principi. La sua leadership religiosa, aggiunge, distingue fra gli Stati Uniti, che teoricamente possono «ravvedersi», ed Israele, che resta invece sempre e comunque da estirpare.

(Il Secolo XIX, 6 marzo 2010)

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Ocse: Tremonti, Italia felice di poter supportare l'ingresso di Israele

VENEZIA, 6 mar. - "L'Italia ha la presidenza della Ministeriale Ocse 2010 ed e' ben felice se puo supportare l'ingresso di Israele nell'Ocse". Lo sottolinea il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, a margine dei lavori dell'Aspen Institute che si chiudono oggi a Venezia presso l'Isola di San Giorgio alla Fondazione Cini.

(Adnkronos, 6 marzo 2010)

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Hamas ammette: Stiamo perdendo il controllo di Gaza

Comandante dell'ala militare: la situazione sta scivolando nell'anarchia

ROMA, 6 mar. - Il comandante dell'ala militare di Hamas, Ahmed Jabri, ha recentemente inviato una lettera urgente al leader del gruppo in esilio, Khaled Meshaal, per avvertirlo che la situazione nella Striscia di Gaza si sta "deteriorando", e che Hamas sta perdendo il controllo del territorio. Lo riferiscono i media israeliani, che riprendono una notizia apparsa oggi sul quotidiano arabo pubblicato a Londra Asharq al-Awsat. "Recentemente una serie di esplosioni hanno alimentato la paura a Gaza", ha scritto Jabri nella lettera. Gaza sta scivolando "nell'anarchia", ha affermato ancora il comandante delle Brigate Ezzedine al Qassam, ammettendo che il gruppo ha commesso una serie di errori da quando ha preso il controllo della Striscia con la forza, nel giugno 2007. Hamas ritiene che dietro i recenti attentati, costati la vita a miliziani del gruppo, ci siano movimenti islamisti locali che aspirano a conquistare il potere.

(Apcom, 6 marzo 2010)

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Ma l'università che "boicotta" tradisce la sua missione

Settimana contro Israele. E bene ha fatto La Sapienza a gemellarsi con Tel Aviv

di Federico Brusadelli

L'università italiana non sta benissimo. Non è una novità, e i problemi sono tanti: c'è una riforma delle lauree che si è rivelata poco efficiente (per usare un eufemismo…); c'è una casta docente autoreferenziale e refrattaria al rinnovamento e colpevole di aver creato una drammatica sacca di precariato; c'è una irrefrenabile proliferazione di corsi di laurea, congegnati quasi sempre che esistono solo per produrre qualche cattedra in più da spartirsi tra le insaziabili famiglie di baroni. Ma la cosa più triste è vedere l'incapacità di liberarsi da una maledizione epocale. Quella, cioè, che trasforma le aule universitarie in campi di battaglia. Che si tratti di politica o che si tratti di religione, gli esempi non mancano. Così, vengono alla mente le reazioni isteriche, automatiche e talvolta violente che hanno accompagnato i tentativi di riforma del ministro Gelmini; vengono alla mente episodi opachi come l'acclamatissimo intervento di Oreste Scalzone sulla scalinata della facoltà di Lettere, alla Sapienza; restando sempre a Roma, viene alla mente il papa che, poco più di due anni fa, si vede costretto a rinunciare al suo intervento, alla faccia della libertà di parola.
E poi c'è una nuova trovata (nuova si fa per dire, dato che è alla sesta edizione): il boicottaggio culturale. Nel mirino, facile da immaginare, c'è Israele. Un'idea, va detto, che non è stata partorita in Italia, segno che la malattia corrode anche atenei più blasonati e funzionanti dei nostri. "Settimana contro l'apartheid di Israele", si chiama l'iniziativa che nel mese di marzo coinvolge le università di tanti paesi sparsi in tutto il mondo. Da Glasgow a Berkeley, da Chicago a Pisa, da Bologna a Roma. Convegni, seminari, incontri e proiezioni a senso unico. E sotto all'apprezzabile solidarietà verso i palestinesi si nasconde il solito sentimento "anti". Per questo, ne sono felici gli estremisti di destra e quelli di sinistra, a quanto si apprende sui blog studenteschi. E per questo conviene fermarsi un attimo a riflettere.
Perché al di là delle questioni storiche e politiche, riflettere su un dramma contemporaneo come il conflitto israelo-palestinese in termini di "boicottaggio" è già un passo sbagliato di per sé. Può servire per fare un po' di propaganda, questo sì. Ma è difficile pensare che un'iniziativa del genere possa rivelarsi utile per dare un pur minimo contributo all'avanzamento del processo di pace, o per lenire in qualche modo le sofferenze di due popoli, né per sostenere il progresso della conoscenza. Ecco, allora, l'aspetto peggiore della vicenda: a farsi promotrice e veicolo di questa crociata culturale sia l'università. Che dovrebbe essere per natura il luogo della conoscenza, del confronto, del dubbio, della ricerca, della contaminazione. Se le culture non riescono a incontrarsi nelle aule degli atenei, difficilmente ci riusciranno altrove. Se gli studenti vengono nutriti di battaglie e scontri, di pregiudizi e interpretazioni della storia "a senso unico", per il futuro resta davvero poca speranza.
E allora fa piacere che - come ha ricordato Il Foglio - alla Sapienza, mentre va in scena il boicottaggio contro Israele, qualcuno abbia avuto la buona idea di firmare un gemellaggio con l'Università di Tel Aviv. «Generalmente questi accordi sono piuttosto comuni - ha detto il rettore dell'ateneo israeliano Joseph Klafter - ma sullo sfondo della settimana dell'Apartheid ha tutto un altro impatto». Sì, ha un altro impatto. Dimostra in maniera chiara quale sia il compito vero, nobile e costruttivo dell'università: costruire ponti, dare respiro a un paese. Ne avremmo un disperato bisogno. E la nostra università ha fatto già troppe scelte sbagliate per accodarsi anche a quelle degli altri.

(FF webmagazine, 6 marzo 2010)

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Nucleare. Israele: "Esiste un accordo con Paesi arabi per un attacco contro l'Iran"

Esiste un tacito assenso da parte di alcuni Stati arabi a un attacco israeliano preventivo contro le infrastrutture nucleari iraniane per impedire a Teheran di armarsi con ordigni atomici: lo ha affermato oggi il viceministro israeliano per lo svilUppo del Negev e della Galilea Ayub Kara (Likud) in una conferenza tenuta a Beer Sheba.
"Messaggi del genere sono stati inoltrati al premier Benyamin Netanyahu" ha detto Kara. "Quei Paesi hanno promesso di sostenere tacitamente un attacco israeliano in Iran", ha assicurato, senza precisare di quali Paesi si tratti. Kara, secondo il sito web di Maariv, ha aggiunto che messaggi di questo tenore sono giunti anche da "paesi islamici estremisti".
Secondo Maariv, Kara ha generato nel pubblico l'impressione che, in assenza di sanzioni "paralizzanti" nei confronti dell' Iran, a Israele non resterà altra scelta che passare all'azione. Citando un versetto della Bibbia, ha osservato che "quando uno si appresta ad ucciderti, devi eliminarlo precedendolo".
"Non c'è alternativa ad una operazione militare contro l'Iran" ha proseguito Kara, secondo la radio militare israeliana. "I dirigenti di quei Paesi arabi - ha affermato il viceministro - hanno spiegato che non la sosterrebbero in pubblico, ma non si opporrebbero". "Quei Paesi - ha proseguito- temono il potenziale nucleare dell'Iran non meno di Israele. Comprendono bene che lo scenario mondiale cambierebbe a loro detrimento se l'Iran avesse effettivamente armi atomiche".

(l'Occidentale, 6 marzo 2010)

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Il nuovo antisemitismo: l'orrore in rete

"In 2840 inneggiano alla Shoah su facebook, tra negazionismo, nostalgie ariane e violenza verbale d'ogni tipo"

Su Facebook, è cosa nota, si possono trovare gruppi di ogni tipo. Alcuni simpatici, altri volgari, altri ancora offensivi, intollerabili, disumani. E' di qualche giorno fa il caso del gruppo, prontamente chiuso, che invitava al tiro al bersaglio sui bambini con sindrome di down. Non c'è da stupirsi (ma di che indignarsi c'è, eccome) se nascono gruppi dichiaratamente antisemiti. Date le dimensioni raggiunte dal fenomeno (e il livello di incitamento all'odio e alla violenza) crediamo sia doveroso parlarne. Nel momento in cui vi scriviamo la pagina più rappresentativa del preoccupante fenomeno si chiama "Spaventaebrei" e annovera 2840 fans con tanto di nome, cognome e foto personale. Alcuni, a onor del vero, preferisco usare pseudonimi come Militante Lictoriae II e apprendiamo dal profilo di quest'ultimo che è amico di tal Lady Camicia Nera e di un giovane che si fa chiamare con il nome de plume Benni Musso. La maggior parte dei sostenitori e degli animatori del gruppo preferisce però metterci la faccia e cercando informazioni sui loro profili si scopre che, tra pugnali, svastiche, teste rasate e croci celtiche, la militanza politica è tutta a destra. Estrema destra per lo più, ma qualcuno anche Pdl.
Tra frasi che inneggiano alla Shoah e citazioni di storici negazionisti, saltano fuori anche le battute di (presunto) spirito che si rivelano essere agghiaccianti: "Cosa fa un ebreo con un portacenere in mano? Guarda l'album di famiglia".
Finita qui? Manco per idea. Negli ultimi giorni sono iniziati ad apparire profili facebook finti, pagine personali senza fotografie che aggiungono agli amici solo ragazzi ebrei. In questo modo possono accedere alle loro pagine personali e sapere tutto delle iniziative culturali, delle cerimonie religiose e persino delle feste private. Il trucco è semplice, basta scegliere un cognome ebraico e dichiararsi appartenenti alla comunità di una città diversa rispetto alle persone che si vuole spiare. Il clima è assurdo e ci è sembrato doveroso portare alla luce queste manifestazioni di ignoranza e violenza, fino a questo momento (per quanto ancora?) solo verbale. Ma facebook fa notizia, tanti altri gruppi sono stati chiusi a seguito delle denunce della stampa, come mai un fenomeno dai contorni e dalle dimensioni preoccupanti finora è passato sotto silenzio? La sensazione è che, a fianco all'antisemitismo di ritorno, ci sia un atteggiamento diffuso compiacente e troppo morbido. Chi pensa che siano ragazzate finisce per rendersi, più o meno volontariamente, complice.

(Le Ragioni.it, 6 marzo 2010)

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Se Israele ha ucciso Mahmoud al-Mabhouh, aveva il diritto di farlo?

di Alan M. Dershowitz

Non so se Israele abbia assassinato o meno il leader dell'ala militare di Hamas, Mahmoud al-Mabhouh. Ma ponendo, per il gusto di discutere, che il Mossad sia il vero responsabile, aveva il diritto di compiere un "omicidi extragiudiziale"?
Non tutti gli omicidi extragiudiziali sono illegali. Ogni soldato che uccide un nemico in combattimento commette un omicidio extragiudiziale, così come ogni poliziotto che spara a un criminale in fuga. Sono molte le complesse questioni legali implicate nella valutazione di simili situazioni....

(l'Occidentale, 6 marzo 2010)

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Finalmente un po’ di sapienza!

L'università la Sapienza di Roma si è dimostrata contraria al boicottaggio accademico contro lo stato ebraico che vedrà coinvolti studenti e professori di decine di atenei, nella "settimana contro l' Apartheid d'Israele" L'Università La Sapienza in risposta ha firmato ieri, nell'ambito di una conferenza europea dei dirigenti dell'Università di Tel Aviv, in Campidoglio, un gemellaggio con L'università di Tel Aviv. L'accordo di cooperazione prevede scambi di studenti e docenti, programmi di ricerca congiunti e conferenze. Ma la coincidenza con gli inviti al boicottaggio dà un sapore diverso al gesto da parte della più grande università d'Europa." Si può parlare di apartheid in un'università che ha appena aperto una sala di preghiera per i suoi studenti musulmani?" chiede Klafter. nel campus del più grande ateneo del paese, infatti si incontrano studenti e professori di tutte le origini: dagli ebrei ortodossi alle ragazze arabe col velo. Lo stesso Klafter definisce così la campagna di boicottaggio come una "odiosa delegittimazione del diritto all'esistenza d'Israele".

(Eurolaurea.com, 5 marzo 2010)

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Israele - Etnia di appartenenza. No all'indicazione sulla carta d'identita'

Basta con l'indicazione obbligatoria di appartenenza etnica ('ebreo', 'arabo', 'russo' o altro) sui documenti d'identita': chi lo vuole, deve avere il diritto di presentarsi soltanto come cittadino 'israeliano', senza distinzioni ulteriori. E' questa la richiesta presentata ieri da un gruppo di intellettuali laici alla Corte suprema d'Israele e dichiarata ammissibile in attesa di un giudizio di merito.
L'iniziativa e' promossa dall'associazione 'Io sono Israeliano', in aperta polemica con la destra religiosa e nazionalista del Paese. Secondo i firmatari del ricorso, l'insistenza di quest'ultima sulla natura ebraica dello Stato sionista rischia di comprometterne le credenziali democratiche.
Mentre l'eccessiva sottolineatura delle distinzioni fra un gruppo etnico e un altro minaccia di indebolire l'unita' del Paese e di giustificare la creazione di ghetti. 'E' assurdo che Israele sia quasi l'unico Stato al mondo che non riconosca l'esistenza di un popolo israeliano propriamente detto, rifiutando ai suoi cittadini di qualificarsi semplicemente come tali', ha denunciato fra gli altri l'accademico Uzi Ornan. Nel nostro Paese - gli ha fatto eco Yoela Harshefi, avvocato dell'associazione - ci si puo' dichiarare 'persino di nazionalita' o etnia sconosciuta, ma non israeliano'.
I registri di stato civile, in Israele, prevedono secondo consuetudine l'indicazione tassativa di appartenenza a una comunita' etnico-nazionale. Oltre 5 dei circa 7 milioni di abitanti del Paese risultano cosi' essere 'ebrei', mentre coloro registrati come 'arabi' (musulmani o cristiani) sono 1,2 milioni e circa 300.000 sono quelli che si dichiarano 'russi' tra i familiari non ebrei degli immigrati dall'ex Urss.

(ADUC Immigrazione, 5 marzo 2010)

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Vegan, kosher, la dieta va in viaggio

di Lara Gusatto

Il boom della vacanza su misura per chi è soggetto a restrizioni alimentari, per motivi religiosi, etici o di salute. Tour operator e manuali online interamente dedicati.

Una delle esperienze più coinvolgenti e complesse da affrontare in un viaggio è l'incontro con la cucina locale. Sapori e cibi nuovi possono risultare tanto entusiasmanti quanto indigesti. Non c'è dubbio però che immergersi nella cultura enogastronomica del paese dove si soggiorna sia indispensabile per assimilarne appieno lo spirito. Papille gustative poco adattabili possono dare vita a divertenti episodi, ma intolleranze alimentari o dettami religiosi sono un problema da tenere in seria considerazione prima di prenotare un viaggio. A semplificare la vita dei turisti del nuovo millennio per fortuna ci pensano internet e una galassia di iniziative volte a soddisfare qualsiasi richiesta. Qualche esempio? Un ciclo tour vegetariano in Inghilterra o i viaggi rigorosamente kosher.

- Liberi dal glutine
Negli ultimi anni i ristoranti e le compagnie aeree che offrono piatti senza glutine per celiaci, si sono moltiplicati. Già al momento della prenotazione è possibile (anzi è consigliabile) specificare la richiesta. Per andare sul sicuro, soprattutto quando si viaggia all'estero e i camerieri non parlano italiano, è possibile scorrere le pagine di diversi siti che recensiscono locali in giro per il mondo: dal B&B a Firenze, alle navi da crociera. Nel grande manuale del celiaco basta inserire il nome dello Stato che si vuole visitare per ottenere un elenco di ristoranti e alloggi che offrono questo servizio. E se volete una recensione in stile guida Michelin fatevi un giro su Gluten Free Travel Site, potrete scoprire la critica entusiasta di un newyorkese in viaggio per l'Italia, a suo dire, il paese più "Gluten Free friendly" che abbia mai visitato. Ma come fare a comunicare la vostra intolleranza seduti al tavolo di un bar di uno sperduto paesino del Vietnam? Tranquilli non è necessario imparare la lingua del luogo. E su CeliacTravel è possibile scaricare e stampare un opuscolo che spiega il problema in 48 lingue diverse.

- Kosher e Halal
Non solo per la comunità ebraica o per quella musulmana. Le certificazioni kosher e halal per il cibo possono diventare utili per tutti i consumatori grazie alle rigide regole che devono rispettare. Ad esempio, un intollerante ai latticini andrà sul sicuro mangiando un piatto a base di carne in un ristorante Kosher, per la religione ebraica è vietato, infatti, mescolare i due alimenti. Ormai è possibile trovare ristoranti supervisionati da rabbini e che servono cibi in osservanza dei dettami della Torah dal Perù alla Cina. Per una guida completa c'è Kosher Delight. Perfino in crociera c'è la possibilità di essere seguiti passo passo senza possibilità di incappare in qualche errore da un'agenzia apposita, Kosherica. Se invece state programmando un viaggio negli Stati Uniti, Europa, Giappone, Nuova Zelanda o Thailandia e volete un ristorante Halal che non serva carne di maiale o alcolici allora il posto giusto dove cercare è Zabihah.

(la Repubblica, 5 marzo 2010)

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Ebrei - Il 21 marzo convegno su pluralità nell'ebraismo

E pluralismo nella società

ROMA - "Pluralismo nella società e pluralità nell'ebraismo": un tema controverso, complesso e molto rilevante per l'ebraismo, in Italia, in Europa e nel mondo. Sull'argomento si terrà domenica 21 marzo un convegno d'iniziativa del gruppo Martin Buber-Ebrei per la pace e del Centro Ebraico il Pitigliani. I lavori saranno aperti dalla Lettura del messaggio augurale del presidente emerito, Carlo Azeglio Ciampi, dai saluti del presidente del Centro ebraico italiano il Pitigliani Ugo Limentani e del presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna.

(Apcom, 5 marzo 2010)

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Eurolega Basket - Il Maccabi conquista i playoff

di Adam Smulevich

Era una partita da dentro o fuori. E il Maccabi Electra non l'ha sbagliata. Trascinata dalla super coppia Bluthenthal-Anderson, vecchie conoscenze del nostro campionato mai sufficientemente rimpiante, è riuscito a sopravanzare il Montepaschi Siena e a conquistare, con un turno di anticipo, i playoff dell'Eurolega. Otto squadre in lizza per il più importante trofeo continentale: gli israeliani, dopo la pesantissima debacle della scorsa stagione, saranno nuovamente tra i protagonisti della competizione (nell'immagine in alto Pini Gershon allenatore del Maccabi).
Ma nonostante il punteggio netto (97-82), l'incontro è stato a lungo in bilico, con i senesi che hanno accarezzato il sogno di espugnare la Nokia Arena. A risultare decisivo è stato l'ultimo periodo, nel corso del quale i padroni di casa hanno realizzato la bellezza di 43 punti (nuovo record di Eurolega). Di questi, 15 firmati da Anderson, autentico mattatore degli ultimi dieci minuti di gioco. Per la Montepaschi, senza rivali in patria, resta l'amarezza per una eliminazione che non le consente di fare quel definitivo salto di qualità che i tifosi chiedono anche in campo internazionale.
Esulta invece Pini Gershon, allenatore del Maccabi, che a caldo commenta: "Per la vittoria finale ci siamo anche noi". L'obiettivo dichiarato è quello di arrivare alla Final Four, che quest'anno si svolgerà a Parigi. Sulla loro strada, nei quarti, una squadra tra Barcellona, Partizan Belgrado e Maroussi Atene. Per conoscere il prossimo avversario sarà necessario attendere l'ultima giornata di gare, quando i gialloblu di Tel Aviv e il Real Madrid si contenderanno la leadership del girone. Vincere vorrà dire evitare, con tutta probabilità, il temibile club catalano, forte della sua leadership nel raggruppamento E.
Tornando a ieri sera, il match è stato all'insegna dell'equilibrio sin dall'inizio. Dopo una partita a razzo del Maccabi, gli ospiti replicavano prontamente e chiudevano la prima frazione in vantaggio (19-21). Al ritorno sul parquet, le triple di Bluthenthal ribaltavano il risultato: a metà gara il parziale era di 43-37. Ma grazie ad un eccellente terzo tempo (11-20), i toscani si portavano di nuovo davanti di una manciata di punti, sfiorando anche la possibilità di prendere il largo (49-55).
Si arrivava al gran finale, ricco di spettacolo e canestri. Il Maccabi vinceva grazie alla maggior precisione dei suoi tiratori, la Montepaschi sbagliava più volte la fase difensiva.

(Notiziario Ucei, 5 marzo 2010)

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Israel Apartheid Week, le università italiane s'inchinano ai palestinesi

Ancora un boicottaggio

In questi giorni, decine di università in tutto il mondo ospitano una serie di eventi legati all'Israel Apartheid Week. Giunta alla sesta edizione annuale, la manifestazione nasce con l'obiettivo di "educare riguardo al sistema di apartheid israeliano" e di imbastire una "campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni" contro lo Stato ebraico. Le azioni di boicottaggio sono legate a tre richieste specifiche: fine "dell'occupazione e della colonizzazione israeliana di tutti i territori arabi e smantellamento del muro", riconoscimento "dei diritti fondamentali degli arabo-palestinesi cittadini d'Israele" e rispetto, promozione e protezione "del diritto dei rifugiati palestinesi a far ritorno alle proprie case, in ottemperanza alla risoluzione 194 delle Nazioni Unite"....

(l'Occidentale, 5 marzo 2010)

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Israele: moto esplode accanto a un autobus, un morto e diversi feriti

Una motocicletta è esplosa oggi accanto a un autobus urbano nella cittadina di Kiryat Ata, nel nord di Israele. Nell'esplosione è morto il conducente della motocicletta. Una decina di passeggeri dell' autobus sono stati feriti lievemente o colti da shock, secondo le prime notizie diffuse dalle emittenti locali. Si ignorano per ora le cause dello scoppio e se questo abbia una matrice terroristica.

(L'Unione Sarda, 5 marzo 2010)

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Israele, sono tre le diete che ripuliscono le arterie

di Francesca Mancuso

La dottoressa Iris Shai
Tre diete diverse sono in grado di "pulire" le arterie. Lo rivela uno studio condotto presso l'Università Ben Gurion, diretta dalla dottoressa Iris Shai e pubblicata su Circulation.
La ricerca israeliana ha preso in esame tre diversi regimi alimentari: la dieta mediterranea, con la presenza di molta frutta e molta verdura, carboidrati e olio d'oliva, una dieta povera di grassi e un'altra con pochi carboidrati. Il risultato finale è stato pressochè identico: tutte le diete hanno portato alla riduzione del 5% dell'arteria carotide.
Ma facciamo un passo indietro. Lo studio è stato svolto su 140 volontari, ai quali gli scienziati israeliani hanno proposto di seguire una delle tre diete per due anni. Rispetto al valore iniziale del volume della carotide, alla fine del regime alimentare controllato, i soggetti presentavano tutti una significativa riduzione del 5%, e quindi una diminuzione del rischio di aterosclerosi carotidea.
Come ha spiegato la dottoressa Shai che ha diretto lo studio: "E' molto interessante che tre diete molto diverse diano lo stesso risultato, probabilmente questo è dovuto al fatto che tutte e tre le diete abbassano la pressione sanguigna. Lo studio ha dimostrato comunque che si possono ridurre le placche delle arterie anche senza pillole".
Quindi, secondo la ricercatrice, il merito sta nel fatto che in tutte e tre le diete vi era stata un'abbondanza di frutta e verdura, una riduzione dei grassi e il consumo di olio d'oliva. Tuttavia, l'importanza di tale indagine non si riduce solo alla possibilità di perdere peso, ma alla guarigione di alcune patologie. Come la stessa dottoressa Shai ha riferito "una volta che si aderisce ad una dieta equilibrata, anche se si verifica solo una moderata perdita di peso, se si segue con continuità nel tempo può causare la regressione dell'aterosclerosi".

(WellMe.it, 4 marzo 2010)

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Conferenza sugli ebrei e le leggi razziali in Puglia

MOLFETTA - Nell'ambito del Progetto " La memoria e la cultura ebraica dall'Europa alla Puglia " gli studenti dell'Istituto " Vito Fornari" di Molfetta incontreranno, Sabato 6 Marzo 2010 nell'Aula Magna alle ore 10,00, il prof. Vito Antonio Leuzzi, Dirigente dell'Istituto Pugliese per la storia dell'antifascismo e dell' Italia contemporanea e la Dott.ssa Mariolina Pansini, funzionario dell'Archivio di Stato di Bari, per la conferenza dal titolo: Gli ebrei e le leggi razziali in Puglia.
Il progetto culturale e didattico vuole ricostruire le tappe fondamentali dell' identità del popolo ebraico soprattutto per conoscere la cultura ebraica in Puglia, crogiolo di religioni diverse per via della sua posizione geografica ottimale nel Mar Mediterraneo e che per la sua storia di paese ospitale è divenuta, con il passare del tempo, sempre più importante, dando vita a centri vitali di numerose e importanti comunità e di attività culturali ebraiche.

(Quindici, 4 marzo 2010)

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A Gaza coiffeur per donne vietati a parrucchieri

Nuova stretta nei costumi imposta da Hamas

GAZA, 4 mar. - Nuova stretta nei costumi imposta dal movimento islamico Hamas nella Striscia di Gaza, dove vive oltre un milione e mezzo di palestinesi. L'organizzazione estremista, al governo dal 2007, ha stabilito il divieto per i parrucchieri di lavorare nei coiffuer riservati alle donne. Oggi, il ministero dell'Interno di Gaza ha annunciato il nuovo divieto, forte della tradizione islamica che consente alle donne di mostrare i capelli solo ai mariti e ai parenti consanguigni. Chi violerà la misura, ha sottolineato il dicastero in una nota, subirà conseguenze legali.

(Apcom, 4 marzo 2010)

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Egitto: velo vietato nei locali pubblici

di Matteo Buffolo

Bar e ristoranti non ammettono più le clienti coperte: "È arcaico e simbolo dei ceti bassi. E rovina anche gli affari". E ora c'è chi prevede una norma che istituisca un bando più ampio e diffuso

Ora anche in Egitto c'è chi pensa di dire no al burqa. Nel paese nord-africano, dove il 90% della popolazione è musulmana, molti locali, specialmente al Cairo, hanno deciso di vietare l'ingresso alle donne velate. Il motivo è semplice: principalmente economico. I proprietari di bar e ristoranti della capitale sarebbero preoccupati che un indumento considerato da molti «arcaico» e simbolico «dell'appartenenza ai segmenti sociali più bassi» non crei l'atmosfera necessaria a realizzare un buon incasso e c'è già chi mormora di locali divisi in due, come avviene in Italia per i fumatori: una zona hijiab per le donne velate e una non hijab dove il velo sarebbe vietato. Poi c'è il risvolto sociale. Da quando c'è stata la polemica sul velo all'università, la questione è sempre rimasta all'ordine del giorno. E in Egitto aumenta la fetta di popolazione che vorrebbe un bando più ampio che riguardi anche gli uffici pubblici.
Già nel 2006, Farouk Hosni, il ministro della Cultura e pittore famoso per le sue uscite contro Israele, ha protestato duramente contro il burqa in un'intervista telefonica. «Abbiamo conosciuto un'epoca - ha detto - in cui le nostre madri frequentavano le università e i luoghi di lavoro senza essere velate. È in questo spirito che siamo cresciuti. Perché dunque oggi vi è questo ritorno al passato?». Affermazioni non di poco conto, in un paese dove i Fratelli musulmani sono una delle organizzazioni più importanti. E se Hosni, grazie all'intervento della First lady Suzanne Mubarak non dovette dimettersi, come i Fratelli musulmani avevano richiesto, ha comunque dovuto precisare di «non vietare a nessuno di portarlo».
Le sue parole non sono comunque cadute nel vuoto e hanno trovato sponde, sia governative che istituzionali. «Mi rifiuto di nominare delle consigliere (delle moschee, ndr) che indossino il burqa - ha tuonato appena qualche mese dopo Hamdi Zaqzuq, ministro per i Beni religiosi - perché ciò incoraggerebbe la diffusione della sua cultura: il velo integrale è un costume e non ha niente a che vedere con la religione». Un'altra riprova? Arriva dall'università Al Azhar, uno dei principali centri d'insegnamento religioso dell'islam sunnita: il grande imam, Mohammed Said Tantawi, stava visitando un'aula ed è rimasto colpito dalla presenza di una studentessa al secondo anno di liceo che indossava il niqab (la versione integrale del velo che lascia scoperti solo gli occhi). Una situazione che lo ha fatto adirare, al punto da obbligare la studentessa, alquanto restia, a toglierlo: la giovane, infatti, ha provato a resistere ma la risposta di Tantawi è stata dura e secca. «Il niqab è un'usanza tribale che non ha niente a che vedere con l'islam e io - ha aggiunto rivolto alla studentessa - mi intendo di religione molto più di te e dei tuoi genitori», prima di annunciare una circolare di divieto. A vietare l'uso del niqab nelle scuole sono anche altri Paesi di tradizione musulmana, come la Turchia e la Tunisia, mentre lo scorso anno anche le autorità marocchine avevano annunciato di non ammettere donne completamente velate nei luoghi pubblici prendendo spunto dal dibattito sorto in Francia.
Certo, c'è anche chi, come la deputata afghana Malai Joya, è convinta che sia solo una strategia «per distrarre l'attenzione della gente da cose più importanti». Eppure i numeri parlano chiaro: più della metà degli europei, secondo un sondaggio del Financial Times fatto in Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, è contraria, con punte del 70% a Parigi e del 63% nel nostro Paese.

(il Giornale, 4 marzo 2010)

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Germania, condannati aspiranti terroristi islamici

Tra i quattro condannati, anche due cittadini tedeschi convertitisi all'Islam - Quattro cittadini musulmani, due dei quali tedeschi convertiti all'Islam, sono stati condannati a pene tra i cinque e i dodici anni, per aver pianificato attacchi contro siti statunitensi in Germania. Il giudice della corte d'appello di Düsseldorf ha dichiarato che il loro obiettivo sarebbe stato un "secondo 11 settembre", uccidendo civili e militari americani in attacchi a luoghi come la base aerea di Rammstein e l'aeroporto di Francoforte. I quattro condannati apparterrebbero ad una cellula tedesca dell'Islamic Jihad Union, gruppo legato ad al-Qaeda, responsabile degli attentati alle ambasciate di Usa e Israele in Uzbekistan nel 2004. Nel corso del processo, durato dieci mesi, gli imputati hanno ammesso di appartenere ad una rete terroristica, di aver pianificato attentati e di aver preparato ordigni esplosivi. Conosciuti come il "gruppo di Sauerland", i quattro sono stati addestrati in campi in Pakistan.

(PeaceReporter, 4 marzo 2010)

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Oppurtunità palestinesi per le aziende italiane

Si fanno più stretti i rapporti economici tra italiani e palestinesi, snodo cruciale per il percorso di pace in Medio Oriente ma anche mercato interessante per le imprese e gli investitori italiani. Occasione per lanciare un ponte con l'area, l'"Italian-Palestinian Business Forum" organizzato da Ice, Promos, Regione Lombardia e Camera di commercio di Milano, cui hanno preso parte - tra gli altri - il sottosegretario agli esteri, Stefania Craxi, il ministro dell'Economia palestinese, Hassan Abu Libdeh, il presidente di Promos, Bruno Ermolli e il presidente dell'Ice, Umberto Vattani (nella foto).
Pensato per presentare alle imprese tricolori opportunità di investimento nei Territori palestinesi, il forum è stato teatro della la firma di un memorandum di intesa tra l'Ice e l'omologa palestinese Paltrade, e uno tra Promos-Camera di commercio di Milano e la Camera di commercio e industria di Betlemme. «L'amicizia tra Italia e Palestina - ha osservato il numero uno di Promos, Ermolli - è di lunga data. Tra il 2007 e il 2009 le nostre esportazioni sono cresciute dell'87%. Le imprese palestinesi hanno grande necessità di attingere al know-how italiano: per questo - ha aggiunto - il 2 e 3 di giugno andremo a Betlemme con un nutrito gruppo di imprenditori per renderci conto delle possibilità di investimento». Diversi i settori di interesse a partire dal campo delle pietre e dei marmi, per passare alle manifatture, alla farmaceutica e al comparto alimentare. Senza dimenticare l'information technology, l'agricoltura, il turismo, e le infrastrutture, tutti settori «in cui - osserva Ermolli - l'Italia è indubbiamente competitiva». E nell'ottica di rapporti sempre più stretti, importante, a giudizio del presidente dell'Ice, Vattani sarà «usare anche i palestinesi che sono qui in modo da creare un network tra aziende italiane e uomini d'affari palestinesi», veri e propri «ambasciatori» nel Belpaese. «
Noi - ha argomentato il ministro dell'economia palestinese, Hassan Abu Libdeh - siamo aperti e pronti agli investimenti italiani. Siamo interessati ad imparare dall'esperienza italiana» in modo da sviluppare e rafforzare l'economia del Paese. «Il nostro governo - ha sottolineato - vuole pace, sicurezza e stabilità per la Regione. Nei nostri piani - ha aggiunto - la crescita economica deve esser basata sul libero mercato: lo sviluppo è essenziale anche per i nostri sforzi nelle relazioni con Israele». E sicura di una correlazione tra economia e processo di pace, anche il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi. «Siamo convinti - ha chiosato - che lo sviluppo economico e il sostegno allo sviluppo economico in Palestina siano di aiuto al processo di pace: credo che condizioni più favorevoli possano dare speranze ai giovani e garantire una pace duratura in futuro».

(Shippingonline.it, 4 marzo 2010)

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Basket - Quinto e penultimo turno della Top 16

Si decide la sorte dei toscani che fanno visita al Maccabi. Il sogno? Espugnare la fortezza israeliana.

MILANO, 4 marzo 2010 - Quinto e penultimo turno della Top 16 di Eurolega. La prima metà di partite già in campo ieri, con Olympiakos, Barcellona, Cska Mosca e Prokom già qualificate. Stasera tocca agli altri quattro incontri, con il tentativo di Siena di sbancare Tel Aviv. Nonostante siano solo quattro pronostici, la posta della qualificazione in gioco fa esplodere il totalizzatore. Due i tipi di pronostici nel basket: la vittoria semplice; e l'1X2, dove l'X è un tabellino finale con uno scarto entro i 5 punti - non importa a favore di chi - e dunque la vittoria deve essere con almeno 6 punti di scarto.
Per la Montepaschi la montagna è impervia. Contro il Maccabi in Israele si gioca praticamente il 51% della qualificazione. La situazione del Gruppo F è da infarto: tutte le squadre a 2 vittorie. Siena al momento è computata ultima, perché per ora la differenza canestri è vitale, e i toscani sono perdenti rispetto al Real, mentre con Maccabi e Efes devono ancora giocare il ritorno, ma con i turchi hanno perso all'andata. Dunque poche storie: vincerne solo una vuol dire quasi sicuramente non qualificarsi. All'andata con il Maccabi è stato violato finalmente il tabù, dando quattro punti di scarto. Il +4 può essere fondamentale, perché, in caso di sconfitta, contenere lo svantaggio entro i 3 punti potrebbe comunque qualificare Siena, anche se dovrebbe verificarsi una piccola catena di risultati. Normalmente il pronostico sarebbe tutto a sfavore della Montepaschi, perché il Maccabi in casa è una fortezza, ne sa qualcosa anche il Real. Ma Siena darà tutto in questa partita, dunque sarà gran battaglia: roba da X, a 2,70 Matchpoint.

(La Gazzetta dello Sport.it, 4 marzo 2010)

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Armi dall'Italia verso l'Iran. Arrestati due 007 di Teheran

MILANO - Proiettili, esplosivi e puntatori ottici di precisione. Fanno parte del materiale per uso militare che sarebbe dovuto partire nei prossimi giorni dall'Italia: con destinazione Teheran. Grazie a un'inchiesta milanese, 5 italiani e due agenti segreti iraniani sono stati arrestati con l'accusa di traffico illecito di armi e per non aver rispettato l'embargo verso l'Iran. Altri due 007 della Repubblica Islamica sono ricercati. Erano tutti membri di un'organizzazione che faceva passare gli armamenti anche da Romania, Gran Bretagna, Germania e Svizzera. Per gli inquirenti il capo della banda è Alessandro Bon (43 anni), esperto di armi ed ex dipendente della Beretta. Insieme ad Arnaldo La Scala, un altro degli arrestati, ha fondato a Varese la ditta Antares srl. Da lì avrebbe gestito i movimenti. In manette anche la moglie di Bon, il titolare di una società vicentina di telecomunicazioni e un avvocato di Torino recatosi in Iran per contrattare con l'esercito. Per quanto riguarda gli 007, uno degli arrestati faceva il corrispondente in Italia per la Tv iraniana Irib. L'altro è stato preso a Torino. E i due latitanti? Erano spesso a Dubai per facilitare il traffico di "merci". Anche se non è indagato, la vicenda coinvolge anche un militare inglese, fermato a Londra con 100 puntatori ottici nella valigia. "Senza intercettazioni telefoniche non ce l'avremmo mai fatta", ha detto Armando Spataro, il procuratore aggiunto di Milano.

(City, 4 marzo 2010)

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Università, fondo comune per La Sapienza e Tel Aviv

Centoquattro donatori dell'Università di Tel Aviv atterrano oggi a Roma

Arrivano da tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Sud America passando per l'Europa. Ci sarà anche un'importante delegazione israeliana, ministri inclusi. Il gotha della beneficienza pro-Israele sarà nella Capitale fino a lunedì per una Conferenza Europea che si svolge per la prima volta a Roma, tra incontri istituzionali e culturali. Spiccano due eventi importanti. Il primo è la firma di un accordo di cooperazione tra La Sapienza e l'Università di Tel Aviv. L'intesa prevede uno scambio culturale tra studiosi delle due università, la possibilità di ricevere a Tel Aviv studenti dottorandi a La Sapienza, l'organizzazione di convegni e la realizzazione di programmi di ricerca. Le attività dovranno essere sviluppate in base ai fondi che i due atenei metteranno a disposizione. Il secondo evento è un'invasione di botticelle nel centro della Capitale. Venerdì mattina a piazza Esedra trenta carrozze prenderanno a bordo gli ospiti e taglieranno la Città Eterna passando per via Nazionale, piazza Venezia e via del Teatro Marcello, fino ad arrivare alla sinagoga di Roma, dove ad accoglierli ci sarà il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici e il capo rabbino Riccardo Di Segni. Sarà una vera sfilata di botticelle. Ma il tour dei donatori inizia oggi con una visita dei musei capitolini in stile G8, come fu per le first ladies. Poi stasera cena in Campidoglio assieme al sindaco Gianni Alemanno, l'ambasciatore d'Israele in Italia, Gideon Meir, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, il presidente dell'Università di Tel Aviv, Joseph Klafter e quello de La Sapienza, Luigi Frati. Il giorno dopo, domani, la passeggiata in carrozza fino al tempio. L'organizzazione, curata da Beatrice Rebecchini della Alfa International, li guiderà subito dopo nell'antico ghetto ebraico e alla Ermanno Tedeschi Gallery per un cocktail e uno sguardo alla mostra fotografica su Israele di Roberto Schezen. Visita ai musei ebraici e il «corteo» si sposta a villa Miani per il pranzo. Il tempo di digerire ed è shabbat, il riposo ebraico. Tutti fermi. Si riparte sabato sera con una cena a Villa Aurelia con Nicola Zingaretti, subito dopo il cocktail nella reception di Fendi a largo Goldoni. Domenica, infine, l'ultimo giorno: tour privato agli studi di Cinecittà e al museo Maxxi. I 104, prima di ripartire, lunedì, vogliono vedere la Roma che cresce.

(Il Tempo, 4 marzo 2010)

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Cisgiordania: presi due miliziani Jihad

Cattura dopo scontri a fuoco con esercito Israele in zona Jenin

RAMALLAH, 3 mar - Due uomini del braccio armato della Jihad islamica in Cisgiordania sono stati presi dall'esercito d'Israele in scontri nella zona di Jenin. Entrambi i miliziani -ricercati da diversi anni- sono rimasti feriti e uno di loro versa in condizioni gravi. Secondo fonti locali l'operazione dell'esercito israeliano si e' estesa in vari villaggi della zona di Jenin. Le fonti aggiungono che durante l'operazione militare, nei villaggi della zona e' stato imposto il coprifuoco.

(ANSA, 3 marzo 2010)

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Quella bandiera palestinese sul Colosseo

E' decisamente incoraggiante vedere che i movimenti di lotta per il diritto alla casa che sono arrampicati da sabato sul Colosseo abbiano portato con sè anche una bandiera palestinese ben visibile per decine di migliaia di persone, turisti o meno. E' la conferma che chi lotta per i diritti sociali e la dignità in Italia non può che sentirsi vicino alla lotta del popolo palestinese per la vita, la terra, la libertà.

il Forum Palestina

(IMG Press, 3 marzo 2010)

COMMENTO - Il popolo palestinese lotta per la vita? Un'altra conferma dello stolido connubio tra palestinismo e sinistrismo. Dal libro "I piccoli martiri assasini di Allah" di Carlo Panella:

«La base fondamentale, il movente del terrorismo non è dunque la questione nazionale palestinese, non è l'occupazione dei Territori da parte di Israele dopo il 1967, non è neanche - e sembra un paradosso - la stessa contestata esistenza dello Stato di Israele su territorio dell'Islam, non è la miseria, la povertà dei popoli arabi (tra i più ricchi del mondo, peraltro) e tutte le piccole motivazioni meccaniciste ed economiciste della pubblicistica comune. La base reale del terrorismo islamico, anche nella sua componente palestinese, è un'altra: è una visione del mondo in cui la morte assume un valore finalistico totalizzante e assoluto.
In cui la morte è angelicata. In cui la morte è agognata perche è fonte di conoscenza (gnosi) e quindi di perfezione per la persona umana, e vede moltiplicati nell'Eden i suoi effetti positivi se trascina con sé - precipitandola negli Inferi - la morte dell'empio, dell'apostata, dell'ebreo, dell'americano, del cristiano.
Nell'ideologia del martirio, che dello scisma in atto è l'architrave, è totale e assoluta l'identificazione tra purezza paradisiaca e morte violenta con assassinio di civili innocenti, di vecchi, di minori, di donne inermi. Mai, a memoria d'uomo la centralità della morte e dell'uccisione di esseri umani, è stata cosi forte e con tanti consensi in un'ideologia di massa.»

Notizie su Israele 383

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Golasa - Lotito insiste: "E' un nostro giocatore"

Il giovane israeliano ha lasciato Roma all'inizio di febbraio per far ritorno al Maccabi Haifa, ma la società biancoceleste vorrebbe riportarlo subito in Italia. Possibile un accordo che consenta alla Lazio di ottenere una prelazione assoluta in caso di cessione

di Alberto Abbate

ROMA - Che fine ha fatto Eyal Golasa? La storia d'amore con la Lazio si era interrotta prima di nascere. Il 5 febbraio, il giocatore israeliano, acquistato dal club biancoceleste nel mercato di gennaio (figura ancora nel bilancio, benché a parametro zero), aveva fatto armi e bagagli per ritornare in patria in compagnia del fratello maggiore. Il club di Haifa, in un comunicato ufficiale, il giorno dopo aveva spiegato: "Eyal si è scusato, e le sue scuse sono state accolte. Il contratto fra di noi resta vincolante. Lui ha compreso di essere stato tratto in errore dai suoi consiglieri, che lo hanno indotto a comportarsi come ha fatto", cioè a firmare a Roma un contratto di ingaggio nella Lazio per quattro stagioni e mezzo, operazione resa possibile dal fatto che non avesse ancora firmato un contratto da professionista con gli israeliani. Ma il Maccabi aveva sempre sostenuto di avere in mano un accordo valido col giocatore fino al 2011, al punto da minacciare il ricorso all'arbitrato contro la Lazio.
Di opinione avversa il presidente Lotito che, poco meno di un mese fa, alla luce di quanto accaduto, aveva dichiarato: "La Lazio non scippa i giocatori a nessuno. Go?lasa ha firmato un contratto regolare, il primo da professionista. Abbiamo con?trollato bene prima di farglie?lo siglare. Non abbiamo alcun dubbio, abbiamo esaminato gli aspet?ti legali e giuridici. Abbiamo depositato il suo contratto in Lega. La Lazio è tranquilla e farà valere la propria posizione. Ora ci aspettiamo il rispetto delle regole e se ciò non dovesse avvenire ci saranno degli organi pronti ad intervenire". Da queste parole si evinceva chiaramente che la Lazio era pronta a rivolgersi alla Fifa nell'eventualità in cui Eyal avesse firmato un nuovo contratto con il Maccabi: in quel caso il calciatore avrebbe rischiato una squalifica da 4 a 6 mesi.
Tuttavia, a distanza di 30 giorni, Eyal non ha ancora messo nero su bianco, nonostante la sigla sia molto vicina. "I negoziati stanno procedendo e la firma è solo una formalità, questione di giorni", hanno ammesso alcuni membri dello staff dirigenziale dell'Haifa. Si tratterebbe di un nuovo contratto, a condizioni differenti, rispetto a quello firmato un anno e mezzo fa. L'unico intoppo al momento sembrerebbe rappresentato da una clausola da inserire nel nuovo contratto per una eventuale cessione all'estero.
Eppure la Lazio continua a considerare Golasa un suo giocatore. "Stiamo parlando con il Maccabi per trovare un'intesa sulla questione - fa sapere l'avvocato biancoceleste Gianmichele Gentile - perché Lotito vorrebbe riportare subito il giocatore a Roma (il suo contratto è già stato depositato in Lega, ndr)". Sarà difficile che questo accada. Ad ogni modo, se le parti riuscissero a venirsi incontro, la Lazio potrebbe ottenere una prelazione assoluta sulla futura vendita del giocatore, considerato dal patròn laziale "una potenziale star internazionale". Dietro le quinte, dunque, la telenovela continua.

(la Repubblica, 3 marzo 2010)

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Israele, annullato raid descritto da soldato su Facebook

GERUSALEMME - L'esercito israeliano ha annullato un'incursione in territorio palestinese dopo che un soldato ne aveva riportato i dettagli, incluso la tempistica e il luogo, sulla sua pagina di Facebook. Lo riferisce oggi la radio dell'esercito israeliano.
Il soldato, esonerato dall'obbligo di partecipare ai combattimenti, ha descritto nel suo status come la sua unità operativa avesse deciso un raid per compiere una serie di arresti nella zona della Cisgiordania, dice la stazione radio. I suoi amici di Facebook lo hanno poi denunciato alle autorità militari.
Il portavoce dell'esercito israeliano non ha rilasciato immediatamente dichiarazioni in merito.
Israele dice che le incursioni in Cisgiordania hanno lo scopo di catturare militanti sospettati di preparare attentati contro Israele. I funzionari palestinesi sostengono invece che le incursioni israeliane minano gli sforzi delle autorità della Cisgiordania di far rispettare le leggi, mantenendo l'ordine.

(Reuters, 3 marzo 2010)

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Bologna: al via riqualificazione del cimitero ebraico della Certosa

BOLOGNA, 3 mar. - Dureranno circa 4 mesi i lavori di riqualificazione del cimitero ebraico della Certosa di Bologna che iniziano oggi, grazie ad uno stanziamento di oltre 120 mila euro, di cui 85 mila euro assegnati alla Comunita' ebraica emiliana dal Ministero dei Beni e le Attivita' Culturali (in base alla legge 175 del 2005), cui si aggiungono 30 mila euro dalla Fondazione Del Monte e circa 6.000 euro messi in campo da Hera. I lavori sul secondo lotto sono del progetto complessivo di restauro sono stati presentati oggi a Palazzo D'Accursio dal direttore dell'Istituzione Musei di Bologna Mauro Felicori, dal rabbino Alberto Sermoneta e da Daniele De Paz dello studio Bet Architetti.

(Romagna Oggi, 3 marzo 2010)

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Difendere il Mossad per difendere Israele

di Emanuele Ottolenghi*

La santimonia di quei censori d'Israele che si ergono a proteggerlo da se stesso raramente brilla d'onestà intellettuale. S'agghindano da amico preoccupato e lanciano strali pieni di livore mascherati da buoni consigli. Ma alla fine non riescono a celare il rancore. È il caso di David Gardner (Financial Times e Il Sole 24 Ore di sabato scorso).
Affidandosi a letteratura faziosa e spesso fantasiosa quali gli scritti di Avi Shlaim - lo storico di Oxford malato della stessa propensione alle filippiche contro Israele con l'aggravante di una parallela riluttanza a criticare le tirannie arabe di cui ha passato la vita a fare apologia - Gardner usa la scusa dell'assassinio a Dubai del terrorista di Hamas Mahmoud alMabhou per ricordare al lettore tutti i fallimenti del Mossad e per offrire un messaggio politico neanche troppo velato - i servizi farebbero meglio a far di punto, altrimenti tali avventatezze producono imbarazzi o peggio, veri e propri disastri politici.
In proposito Gardner cita la fantasiosa proposta di tregua trentennale che Hamas avrebbe offerto a Israele via re Hussein nel 1997 e che il fallito assassinio di Khaled Mashal avrebbe fatto naufragare. Ma la proposta non ci fu mai davvero. Solo la sicofantica adulazione di Shlaim nei confronti di un re sanguinario (per salvare trono e regno Hussein sterminò decine di migliaia di palestinesi durante Settembre Nero nel 1970) e la scarsa propensione alla verifica dei fatti da parte di chi cerca scuse per denigrare Israele permette una simile panzana.
Primo, la storia nota di ogni servizio segreto (una professione che si fonda spesso sulla violazione delle leggi di altri paesi) abbonda di fallimenti: i successi sono più spesso tenuti segreti e solo più tardi e solo in parte resi noti. Pensiamo soltanto alla guerra in Iraq o alla rivoluzione in Iran, la prima avvenuta grazie a informazioni sbagliate, la seconda avvenuta perché non anticipata dai servizi. Posto che Gardner abbia ragione, il Mossad è in buona compagnia.
Secondo, anche ammettendo che sia stato Israele a ordinare l'assassinio di alMabhou - e alcuni dettagli della storia sollevano qualche dubbio - cosa ci si aspettava? Immaginiamoci la scena. Immigrazione di Dubai agli assassini israeliani: «Nazionalita?». «Israeliano!». «Professione?». «Agente del Mossad!». «Scopo della visita?». «Assassinio di un terrorista di Hamas!». «Benvenuto a Dubai!».
Terzo, l'operazione è stata un successo. Il terrorista è morto e la squadra inviata per terminarlo è rientrata alla base sana e salva. Secondo la polizia di Dubai due sono fuggiti a bordo di un motoscafo in Iran, noto rifugio del Mossad.
Quarto, le operazioni di cui alMabhou era responsabile hanno subito un colpo: la penetrazione del network che ha portato alla sua morte ora lo condanna all'inerzia fino alla scoperta di chi ha tradito.
Quinto, alMabhou era un assassino e un criminale - che Dubai proteggeva insieme ai suoi contatti e alle sue operazioni finanziarie. Quando si degneranno Gardner e gli altri censori di fare la morale a questo amorale e dispotico principato?
E sesto, a un Israele cui si rinfaccia l'uso eccessivo della forza nel reagire agli attacchi dei suoi nemici - vedi Operazione Piombo Fuso su Gaza - si dovrebbe applaudire, non deprecare di aver preso a cuore tale critica e questa volta di aver eliminato una minaccia senza danno collaterale alcuno.
Il prematuro ricongiungimento di alMabhou con le vergini celesti non dovrebbe dunque causare siffatti rimbrotti salvo che in universo morale ribaltato.


* Emanuele Ottolenghi è senior fellow alla Foundation for Defense of Democracies

(Il Sole 24 Ore, 3 marzo 2010)

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Perché Maimonide è ancora attuale

Un'opera di Giuseppe Laras e Michele Tedeschi ripercorre l'insegnamento del filosofo medievale.

"Un percorso verso il benessere", edito da Gruppo Editoriale Muzzio, è la prima traduzione italiana di due testi di grande significato e prospettive: "Trattato sull'Etica dei Comportamenti" ("Hilchoth De'oth",1170-1180) e "Guida alla Salute" ("Hanhagath Ha-Beriuth", 1198). Questi scritti vengono commentati da Giuseppe Laras, studioso di filosofia ebraica medievale e scrittore conosciuto a livello internazionale, e da Michele Tedeschi, medico oncologo e specialista in agopuntura, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e responsabile delle sperimentazioni cliniche di Humanitas.

Mosè Maimonide, spagnolo, è stato un filosofo e rabbino, oltre che una delle figure mediche più importanti del suo tempo (1138-1204). "Nonostante siano stati scritti quasi 1000 anni fa - spiega Michele Tedeschi - questi testi tradotti e commentati nel nuovo volume rappresentano quello che molti di noi vorrebbero fosse oggi il percorso di diagnosi e cura'. Un percorso che parte dalla prevenzione della malattia e che, alla sua comparsa, ne valuta le componenti psicologiche oltre che fisiche, e che nella cura integra al trattamento specifico tutti i bisogni psicologici e di accoglienza di cui ogni malato necessita".

La scelta di mettere a disposizione del pubblico italiano le traduzioni di questi scritti nasce dall'opportunità di rileggere testi classici alla luce di una visione estremamente moderna dell'autore. Gli scritti di Maimonide, infatti, sono ricchi di spunti e riflessioni - sulla prevenzione della malattia come obiettivo prioritario del medico, sulla medicina psico-somatica e sul disagio psicologico come causa di malattia, sulla descrizione di quadri clinici attuali, sulla necessità di una vita più calata in un contesto ecologico appropriato - che li rendono assai attuali ed in linea con le più moderne tendenze in ambito medico e sanitario.
"L'evoluzione della medicina negli ultimi decenni ed il progredire di scoperte scientifiche e tecniche, oltre al crescere delle problematiche organizzative - prosegue Tedeschi - hanno portato sempre di più il medico a staccarsi da un rapporto interattivo approfondito con il paziente, riducendo spesso la capacità di ascolto e portando il medico a concentrarsi più su aspetti tecnici che clinici. Ma queste problematiche, pur con i limiti del tempo dovevano in qualche modo essere presenti anche ai tempi di Maimonide".

Giuseppe Laras e Michele Tedeschi
“Maimonide, un percorso verso il benessere”
Gruppo Editoriale Muzzio
Prezzo: 18 euro

Il libro sarà presentato martedì 9 marzo alle ore 18 a Milano presso la Fondazione Culturale San Fedele, p.zza San Fedele, 4 - Sala Trasfigurazione.

(Humanitas Salute, 3 marzo 2010)

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Traffico d'armi con l'Iran, nove arresti a Milano

In manette cittadini iraniani e italiani, tra di loro un avvocato torinese. L'operazione ha impedito l'esportazione di materiale bellico

La Guardia di Finanza sta procedendo all'esecuzione di nove arresti nei confronti di cittadini italiani e iraniani per il reato di associazione a delinquere finalizzata all'esportazione illecita di armi e sistemi di armamento verso l'Iran, in violazione dell'embargo internazionale.
Tra le persone colpite dalle misure cautelari, ci sono anche alcuni soggetti appartenenti ai servizi segreti iraniani, in particolare sarebbero quattro gli agenti dei servizi segreti di Teheran, di questi due sono stati arrestati - Nejad Hamid Masoumi che si era accreditato come giornalista presso la sala stampa estera a Roma e Ali Damirchiloo, arrestato a Torino - mentre altri due sono irreperibili - Bakhtiyari Homayoun e Hamir Reza -, un quinto agente è stato solo perquisito.
Gli altri cinque personaggi coinvolti sono italiani, impegnati in società di import-export nel settore delle componenti per armi: Alessandro Bon - ritenuto dagli investigatori il promotore dell'organizzazione tramite la società Antares -, la sua compagna, Danila Maffei, un socio di Bon,
Arnaldo La Scala e un avvocato torinese, Raffaele Rossi Patriarca, che si sarebbe recato in Iran a contattare ufficiali dell'esercito per la compravendita degli armamenti. Infine, un altro arrestato è Guglielmo Savi, titolare di una società di telecomunicazioni.
Durante la conferenza stampa tenuta presso il Nucleo di Polizia Tributaria di Milano - a cui ha partecipato anche il Procuratore Antiterrorismo della Procura della Repubblica di Milano, Armando Spataro - è stato affermato che l'operazione "Sniper" ha permesso di interrompere la fornitura di mille apparecchi ottici di precisione di produzione tedesca e di 120 giubbotti autorespiratori da immersione destinati a armamenti militari, soprattutto grazie alla collaborazione con le autorità inglesi, svizzere e romene.
L'intervento della finanza ha consentito anche di bloccare i preparativi relativi all'esportazione in Iran di un ingente quantitativo di proiettili traccianti, di esplosivi provenienti dall'est-Europa e una miscela di materiale altamente infiammabile usata nel settore militare come munizionamento, innesco esplosivo o per bombe incendiarie.

(La Stampa, 3 marzo 2010)

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Un altro pretesto per inutili, calcolate violenze

Editoriali dalla stampa israeliana

A proposito del clamore e delle violenze suscitate dall'inclusione della Tomba dei Patriarchi (a Hebron) e della Tomba di Rachele (a Betlemme) nella nuova lista dei siti del patrimonio ebraico da restaurare approvata dal governo israeliano, il JERUSALEM POST ricorda che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha già chiarito come tale decisione "non modifichi in nulla lo status quo dei siti in questione". Proprio per questo, riconosce il giornale, "con un po' di acume diplomatico Netanyahu avrebbe potuto evitare la crisi. Ma ciò non giustifica lo scoppio di violenze palestinesi"....

(israele.net, 3 marzo 2010)

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«Il piano nucleare va avanti e nessuno interviene»

L'allarme di Netanyahu alla Comunità internazionale: «Le sanzioni non bastano»

GERUSALEMME - L'Iran sta portando avanti il suo piano nucleare, che si sospetta abbia fini militari, con la rapidità di un treno ad alta velocità mentre la reazione della Comunità internazionale è titubante e «assomiglia a una macchina che perde colpi». Lo ha affermato ieri il premier israeliano Benyamin Netanyahu, in una seduta con la commissione esteri e difesa della Knesset, aggiungendo che non si vedono «sviluppi effettivi» verso un'adozione di efficaci sanzioni economiche internazionali per costringere l'Iran a sospendere la corsa al nucleare. C'è, però, a suo dire, una maggiore consapevolezza internazionale «sul vero carattere del progetto nucleare iraniano».
Dal canto suo, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha esortato gli Usa ad adottare contro Teheran un embargo «sul modello cubano», probabilmente alludendo al blocco navale imposto 50 anni fa all'isola di Fidel Castro. Un analista israeliano, intanto, Shlomo Bar, stima che sanzioni economiche - nell'ipotesi che siano adottate dalla comunità internazionale - saranno deboli e non avranno sull'Iran l'effetto di dissuasione sperato e ha perciò ventilato la possibilità che lo Stato ebraico ricorra all'opzione militare già quest'estate. Bar, autore di libri sul Medioriente, una carriera nei servizi di intelligence, membro dell'Istituto di Politica e Strategia del centro interdisciplinare di Herzliya e ora anche direttore di una start-up che ha sviluppato un software ermeneutico per ricavare analisi e informazioni da documenti in diverse lingue concernenti il terrorismo islamico, pensa che in questo momento gli Stati Uniti siano prima di tutto interessati a "estricarsi" dall'Iraq e che per questo abbiano bisogno della «buona volontà dell'Iran».
Sanzioni concepite poi in modo da colpire solo gli interessi economici delle Guardie Rivoluzionarie, il maggiore centro di potere del regime iraniano, non avranno comunque successo perché queste «non sono economicamente esposte in Occidente». Sbaglia, a suo dire, chi pensa che si possa accettare un'Iran nucleare - che porterebbe alla rapida nuclearizzazione anche di altri Stati della regione - perché si creerebbe un equilibrio come negli anni della Guerra Fredda.
Secondo Bar mancano le condizioni che portarono a quell'equilibrio. Sulla minaccia rappresentata dall'Iran, afferma Bar, convengono i servizi di intelligence israeliani e americani, il problema è che le conclusioni tratte dai responsabili politici divergono. Negli Usa si tende a ridurre l'urgenza e la gravità del pericolo, in Israele a ingigantirli. Ci vorranno ancora alcuni mesi perché in seno ad almeno una parte della comunità internazionale si arrivi a un accordo sull'adozione di sanzioni e altri mesi per constatare che non funzionano.
Inoltre «non c'è un piano B sull'agenda diplomatica mondiale» su cosa fare nel caso di insuccesso. Ma il tempo stringe, l'Iran si sta rapidamente avvicinando a divenire una potenza nucleare, «e a un certo momento questa estate risulterà chiaro che le sanzioni non hanno effetto».

(Corriere Canadese, 3 marzo 2010)


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Capo di Hamas disconosce il figlio: «Ha collaborato con il nemico»

Il primogenito, convertito al cristianesimo, ha lavorato con i servizi segreti israeliani per prevenire stragi

Hassan Yousef
RAMALLAH (2 marzo) - Lo sceicco Hassan Yussef, uno dei dirigenti politici di Hamas in Cisgiordania, ha pubblicato una lettera aperta in cui annuncia di disconoscere il figlio primogenito Musab, dopo che questi ha rivelato al quotidiano Haaretz di aver lavorato per circa dieci anni con lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna di Israele, che ha lo scopo di prevenire attentati.
Nella lettera scritta a mano dal carcere del Negev dove è recluso, lo sceicco Yussef dichiara che il figlio, ormai convertitosi alla Cristianesimo e trasferitosi negli Stati Uniti, si è irreparabilmente staccato dall'Islam e ha «collaborato col nemico». Per tanto né lui, né sua moglie né gli altri figli lo considerano più parte della loro famiglia. Di fronte alle rivelazioni di Haaretz sulle attività segrete di Musab nelle fasi iniziali della intifada palestinese, diversi portavoce di Hamas avevano affermato che si trattava probabilmente di un espediente di «guerra psicologica» concepita da Israele per «demoralizzare» i palestinesi. La lettera pubblica dello sceicco Yussef, pubblicata dalla stampa palestinese, sembra indicare che una inchiesta interna ha poi confermato la attendibilità delle affermazioni del giornale israeliano.

(Il Messaggero, 2 marzo 2010)

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Da un sito pro Hamas

Nuova legge in Israele vieta ai palestinesi di manifestare lutto e dolore il 15 maggio,
giorno della Nabka (l'olocausto palestinese)


Una nuova legge in Israele rende crimine la commemorazione di ciò che i Palestinesi chiamano "Nakba", la catastrofe del loro sradicamento e pulizia etnica dalla Palestina, con la creazione dello Stato sionista nel 1948. La Knesset, il Parlamento israeliano, ha ratificato la "legge Nakba" già alla prima lettura.
Saranno imposte penalità a chiunque mostri il 15 maggio, segni di tristezza e di lutto dentro i confini (indefiniti) di Israele; in quella data i palestinesi ricordano la creazione della crisi dei rifugiati.
La radio ebraica ha riportato questa settimana che la legge va intesa per fermare il lutto delle persone per ciò che per Israele è il Giorno della Indipendenza; atti commemorativi, viene rilevato, sono equivalenti a "negare il carattere ebraico di Israele e insultare i simboli dello Stato".
La radio ha fatto notare che le sanzioni possono ammontare a 3 volte tanto le spese dei programmi commemorativi.
Secondo il commentatore, è ironico che questa legge sia passata in un momento in cui Israele si sta lamentando dei tentativi di "delegittimare" lo Stato sionista. Ecco qui un esempio - ha detto
- di Israele che de-legittima i Palestinesi della loro cultura e terra".

(Infopal, 2 marzo 2010)

COMMENTO - Il 15 maggio 1948, il giorno seguente la dichiarazione di Ben Gurion, il neonato Stato di Israele fu attaccato dagli eserciti di cinque stati arabi: Egitto, Siria, Giordania, Libano e un contingente dall’ Iraq. L’allora segretario della Lega Araba Azzam Pascia' annunciò solennemente che sarebbe stata "una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlerà come dei massacri dei mongoli e delle crociate". Chiamare “olocausto palestinese” quello che fu il fallimento del tentativo di prolungare l’olocausto nazista, è una mostruosa aberrazione. Se è per questo fallimento che gli arabi vogliono fare cordoglio, il governo israeliano fa benissimo a vietarlo sul suo territorio. M.C.

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Esperto Usa: Teheran a un passo dall'atomica

Joseph Cirincione: potrebbe realizzarla in uno o due anni

ROMA, 2 mar. - L'Iran potrebbe "probabilmente realizzare una piccola bomba nucleare in uno o due anni" e servirebbero presumibilmente "alcuni anni in aggiunta per testare l'ordigno e ottimizzarlo per una testata che si adatti a uno dei loro missili Shahab". E' quanto ha detto in un'intervista al quotidiano La Stampa, Joseph Cirincione, uno dei massimi esperti di disarmo nucleare.
"Non c'è dubbio che Teheran stia cercando di dotarsi della tecnologia che gli permetterebbe di realizzare un'arma atomica. Non sappiamo tuttavia se il regime abbia deciso di costruire di fatto un'arma", ha detto Cirincione, sottolineando che "da un punto di vista strategico avrebbe senso fermarsi sull'orlo" perché questo "porterebbe molti dei vantaggi di uno Stato dotato di arsenali nucleari, senza provocare un attacco".

(Apcom, 2 marzo 2010)

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Israele difende i luoghi sacri ebraici

La libertà di culto è minacciata dall'islamizzazione

di Michael Sfaradi

La tomba dei patriarchi a Hebron
Da qualche giorno si registrano a Gerusalemme e a Hebron, scontri fra la polizia israeliana e giovani palestinesi e, come al solito, ci sono lanci di pietre da una parte e lacrimogeni dall'altra. Questi scontri sono partiti in sordina, non è la prima volta che succede, e stanno seguendo lo stesso copione che caratterizzò i primi giorni delle due sanguinose intifade, forse i dirigenti palestinesi pensano che questo sia il momento adatto per farne scoppiare una terza. La "scusa" di queste contestazioni è la decisione da parte del governo israeliano di dichiarare i luoghi santi della religione ebraica, anche fuori dai confini dello Stato di Israele, di interesse nazionale e che dovranno essere protetti al fine di evitare qualsiasi cambiamento dello "status quo". In particolare i siti "sensibili" sono le tombe dei patriarchi di Hebron, la tomba di Rachele a Betlemme e quella di Giuseppe a Nablus; e non è detto che in futuro ne possano essere aggiunti degli altri. Si tratta di luoghi da sempre sacri per l'Ebraismo e lo divennero, in un secondo momento, anche per il Cristianesimo e l'Islam. La decisione, fortemente caldeggiata dalla parte religiosa dell'elettorato israeliano, è dovuta, al timore che quei siti possano subire, come è già accaduto in passato (ricordiamo lo scempio che fu fatto della tomba di Giuseppe all'indomani della firma dei trattati di Oslo) nuovi e più cruenti attacchi. Con questa legge il governo israeliano vuole mandare un messaggio chiaro: non saranno tollerati danneggiamenti, distruzioni o, nel peggiore dei casi, un cambiamento della sacralità del sito a favore della sola fede islamica. Il punto è proprio questo: ci duole dirlo, ma troppe volte nel corso dei secoli, siamo stati testimoni di atteggiamenti violenti e irrispettosi da parte di larghi strati della popolazione islamica mondiale nei confronti delle altre due religioni monoteistiche e troppe volte luoghi sacri per tutti sono stati totalmente islamizzati. Un esempio per tutti, che può dare il senso dello sfregio, fu il ritrovamento, all'indomani della riunificazione di Gerusalemme, delle pietre tombali trafugate dal cimitero ebraico ed usate per lastricare le latrine pubbliche della città vecchia.
La libertà di culto e l'ordinata divisione dei luoghi sacri in maniera da permettere a tutti il corretto svolgimento delle preghiere, secondo i riti dettati dalle varie tradizioni, si ha solo dal 1967 sotto la responsabilità delle autorità israeliane. Prima della guerra dei sei giorni, infatti, agli ebrei era vietato dalle autorità giordane l'ingresso all'interno della città vecchia di Gerusalemme dove si trova il luogo più importante della tradizione religiosa ebraica, cioè Il Muro Occidentale (muro del pianto), ad Hebron, e a tutti gli altri siti di importanza religiosa che solo ora, decisamente in ritardo, vengono presi sotto custodia dalle autorità dello Stato ebraico. Siamo abituati alle voci di protesta che si levano dal mondo occidentale ogni volta che il governo israeliano prende delle decisioni che possono toccare quella fragile equilibrio sul quale si regge la calma armata che caratterizza i rapporti fra l'Occidente e il mondo islamico, ma questa volta il messaggio indirizzato verso chi giorno dopo giorno cerca, con ogni mezzo, di islamizzare il bacino del Mediterraneo, è molto chiaro, e le proteste che ne sono scaturite sono il segno che chi doveva capire ha capito. Lo Stato di Israele, laico e democratico, ha dei doveri anche nei confronti di quella parte religiosa che ne fa parte, che non ha problemi a condividere i siti con le altre religioni, ma che non vuole più vedersi tagliato fuori da essi. Opinione diffusa, e non solo in Israele, è che la convivenza pacifica è nel rispetto reciproco e che non è una strada a senso unico. Bisogna mettere un freno alla cancellazione della cultura occidentale, dei suoi luoghi e dei suoi simboli e che i governi europei anziché criticare dovrebbero far propria la linea israeliana sull'argomento prima che sia troppo tardi.

(l'Opinione, 2 marzo 2010)

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Lo strano mondo della fantascienza israeliana

di Anna Momigliano

"Israele è un Paese molto piccolo. Ma se c'è un posto al mondo dove potrebbe cadere una bomba atomica, è probabile che sia proprio qui," diceva Etgar Keret, lo scrittore e regista autoironico e un po' stralunato che alcuni identificano come alfiere di una nuova generazione di artisti israeliani.
"Immaginare come sarà Israele tra vent'anni è un tabù - proseguiva Keret - al punto che non abbiamo nemmeno una letteratura di fantascienza locale."
Ora, Keret è uno dei miei scrittori preferiti, e anche il suo film Meduse merita. Ma su questo punto vorrei fare una precisazione: non è vero che la fantascienza israeliana non esiste, anche se in effetti è un genere non molto diffuso.
Semmai, il problema è un altro: per vocazione, la fantascienza israeliana tende a essere un tantino tragica. Su questo Keret aveva proprio ragione: il futuro è una sorta di tabù.
Prendiamo uno dei casi più celebri, Hydromania di Assaf Gavron, ambientato nell'anno 2067: Israele è molto più piccola rispetto ai confini odierni, perché ha perso una guerra contro gli arabi. E, soprattutto, la vita quotidiana dei cittadini è completamente governata da una gravissima scarsità di acqua.
Interessante poi notare che esiste un filone di letteratura - in questo caso internazionale, più che israeliana - che si cimenta con uno scenario ancora più inquietante: un mondo dove Israele non esiste più, perché distrutta.
L'esempio più celebre è Il Sindacato dei Poliziotti Yiddish dell'americano Michael Chabon. Si tratta di un'ucronia ambientata in Alaska: l'autore immagina un universo storico parallelo, in cui Israele è stata distrutta dagli arabi nel 1948, a soli tre mesi dalla sua nascita, e una buona fetta del popolo ebraico ha trovato rifugio proprio in Alaska.
I fratelli Coen stanno lavorando a un film tratto da questo libro.

(Panorama, 2 marzo 2010)

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In mostra a Genova l'unico fumetto disegnato da Emanuele Luzzati

Al Museo Luzzati la mostra "L'Israel dei bambini"

Dal 18 marzo al 18 aprile 2010 le sale Cannoniere del Museo Luzzati di Genova ospitano la mostra "L'Israel dei bambini", dedicata all'unico fumetto disegnato e scritto da Emanuele Luzzati "Le avventure di Guz l'asino Haluz".
Le tavole vennero pubblicate ne "L'Israel dei bambini", quindicinale per i bimbi ebrei a cura del Movimento Hechaluz d'Italia uscito dal 1949 al 1952: 22 episodi per un totale di 26 tavole e più di 100 strisce firmate "Lele". Ogni striscia è sottolineata da una strofa di due versi in rima nello stile del "Signor Bonaventura", sua fonte dichiarata di ispirazione. Le vignette raccontano l'odissea di un asinello che vuole raggiungere i suoi padroncini Leo e Lalla (assonanza con i nomi dei fratelli Lele e Gabriella Luzzati?) partiti dalla loro casa per vivere in un kibbuz in Israele.
Gli scenari sono inevitabilmente i più vari: dal porto di Genova (sua città "di tutta la vita") alla redazione di Milano, dalla comunità alla scuola ebraica dove l'ironia dell'autore riecheggia le storielle rabbiniche, dalla foresta esotica all'immancabile teatro dell'Opera, incontrando mercanti rassegnati, improbabili pirati, animali imprevedibili che offrono di volta in volta lo spunto per candide e satiriche allusioni e soluzioni pittoriche che anticipano l'opera grafica "impegnata" che seguirà. In mostra la collezione di riviste con le tavole dei fumetti, le copertine e altri interventi disegnati da Emanuele Luzzati.

(La Stampa, 2 marzo 2010)

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Si apre la settimana universitaria contro Israele. L'Italia svetta in Europa

di Giulio Meotti

ROMA. E' l'Italia il paese europeo con il più alto numero di università che da ieri celebrano la "Settimana contro l'Apartheid d'Israele". Un evento internazionale che coinvolge decine di capitali. Le aule delle università di Roma, Pisa e Bologna ospiteranno a diverso titolo il boicottaggio dello stato ebraico. Proprio a Pisa, cinque anni fa, il diplomatico israeliano Shai Cohen fu cacciato dalla facoltà di Scienze politiche al grido di "Israele non ha diritto di esistere", "il popolo ebraico non esiste: è un'invenzione dell'occidente", e "le vostre cose andatevele a fare in sinagoga". Nella stessa facoltà di Scienze politiche oggi si spiega come portare avanti "Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni su Israele". Prima vittima: la Carmel-Agrexco, "principale esportatore di prodotti agricoli dalle colonie israeliane illegali nei territori occupati".
Il boicottaggio d'Israele è celebrato all'insegna della lotta "contro l'ideologia razzista del sionismo". Una sentenza della Corte europea di giustizia è appena andata a rafforzare il boicottaggio. I prodotti degli insediamenti ebraici nei Territori contesi dal 1967 non potranno essere etichettati come "israeliani". La decisione della Corte europea implica che i beni provenienti dai centoventi insediamenti non potranno godere dell'accesso privilegiato al mercato dell'Unione europea garantito alle merci israeliane. Il verdetto della Corte, cui sono obbligati ad attenersi gli stati membri dell'Unione europea, arriva dopo che le autorità doganali di Berlino hanno negato l'esenzione dai dazi alla Brita, azienda tedesca che importa dalla Soda club, una compagnia israeliana che produce gasatori, bottiglie e accessori nella colonia di Ma'aleh Adumim. Dopo gli Stati Uniti, l'Europa rappresenta per Israele il secondo mercato d'esportazione, fra prodotti ortofrutticoli, cosmetici e alta tecnologia, un terzo dei quali arrivano dagli insediamenti oltre la Linea verde.
A Pisa interverranno celebri accademici come Danilo Zolo dell'Università di Firenze, Giorgio Forti dell'Università di Milano, che è anche promotore della "Rete Ebrei contro l'Occupazione", e il fisico fiorentino Angelo Baracca. Molte le organizzazioni pacifiste che hanno promosso l'evento, come l'Associazione per la Pace, il Centro Gandhi. Ma ci sono anche i Cobas ed Emergency. A chiedere il boicottaggio delle merci ebraiche sono stati anche oltre cento soci della Coop. All'Università La Sapienza di Roma parlerà Naji Owda, del centro culturale Al Feneiq, sorto nel campo profughi di Dheisheh. L'appuntamento è organizzato alla facoltà di Studi orientali del primo ateneo romano. A Bologna interverranno docenti universitari come gli storici Sandro Mezzadra e Diana Carminati dell'Università di Torino.
Quando fu lanciata, nel 2005, la settimana contro Israele vide protagonista soltanto Toronto, poi si aggiunsero Montreal e Oxford, seguì New York, altre diciotto capitali nel 2008 e nel 2009 si arriva a ventisette. Quest'anno sono quaranta le capitali internazionali nelle cui università si cercherà di potenziare il boicottaggio d'Israele. Città dalle facoltà prestigiose come Amsterdam, Boston, Chicago, Londra, Montreal e Oxford. Lezioni academiche, visioni cinematografiche, mostre artistiche, forum politici, manuali per il boicottaggio, è questo il programma della settimana antisraeliana. Non mancheranno però noti intellettuali israeliani: l'economista Shir Hever, il regista Shai Carmeli-Pollak, l'antropologo Jeff Halper. Si lanceranno appelli perché vada deserto l'International Student Film Festival previsto a Tel Aviv questo giugno. Intanto Israele protesta con il governo spagnolo per un'iniziativa del ministero dell'Istruzione madrileno.
Alcuni giorni fa l'ambasciata d'Israele a Madrid ha ricevuto centinaia di lettere di studenti spagnoli di dieci anni, nelle quali i bambini hanno scritto all'ambasciatore israeliano frasi come: "Quanti bambini palestinesi hai ucciso oggi?" o "smettete di uccidere per denaro". A Barcellona in questi giorni si apre la prima sessione del redivivo Russell Tribunal on Palestine (dal nome del noto filosofo), che dopo gli americani in Vietnam oggi vuole trascinare in giudizio gli israeliani. Nell'iniziativa sono coinvolti premi Nobel come l'irlandese Mairead Corrigan Maguire, alti giudici spagnoli, ex deputati americani e il magistrato Juan Guzmàn Tapia, passato alla storia per l'incriminazione di Pinochet. Negli anni Sessanta il tribunale Russell fu presieduto da Jean-Paul Sartre, Lelio Basso e Simone de Beauvoir, oggi nel suo comitato ci sono l'ex segretario dell'Onu Boutros-Ghali, Noam Chomsky e il Nobel José Saramago.

(Il Foglio, 2 marzo 2010 - da Informazione Corretta)

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Israele: gli Usa impongano all'Iran un embargo stile Cuba

di Dan Williams

GERUSALEMME (Reuters) - Gli Stati Uniti dovrebbero imporre sanzioni unilaterali all'Iran nello stesso modo in cui imposero l'embargo a Cuba 50 anni fa. Lo ha detto oggi il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman.
Israele, che giudica una minaccia mortale l'eventuale costruzione di un'arma nucleare da parte iraniana, sta spingendo affinché il Consiglio di Sicurezza dell'Onu imponga sanzioni "paralizzanti" al settore energetico iraniano.
Ma Washington e le altre potenze mondiali si sono fino ad ora tirate indietro sulla richiesta di queste misure, tanto è vero che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto la scorsa settimana che il Consiglio di Sicurezza dovrebbe essere scavalcato se non si mostrasse d'accordo.
"Siamo un po' preoccupati per gli ultimi sviluppi nell'arena internazionale", ha detto Lieberman ai giornalisti.
"Credo che da adesso in poi Israele dovrebbe cambiare leggermente la sua politica sull'Iran, e dovrebbe chiedere agli Usa di adottare il modello cubano. Gli Stati Uniti, da soli, possono fare tutto ciò che serve per fermare il programma iraniano".
La rivoluzione comunista cubana del 1959 portò alla rottura dei rapporti diplomatici con gli Usa. L'anno successivo, l'amministrazione Eisenhower impose l'embargo all'isola guidata da Fidel Castro, permettendo l'arrivo solo di cibo e medicinali.
Nel 1962, poi, l'amministrazione Kennedy pose il veto su tutte le importazioni e le riesportazioni di prodotti americani verso Cuba dagli altri paesi.
"Il modello cubano è molto semplice e ha già dato prova della sua efficacia", ha detto Lieberman.
"Se gli Stati Uniti dovessero applicare all'Iran l'intero modello cubano, senza aspettare il consenso del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, questo sarebbe sufficiente per strangolare e far cadere il regime iraniano".

(Reuters, 2 marzo 2010)

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Nucleare - Israele: progetto di una nuova centrale insieme all'università

Impianto misto solare-atomico, ospiterà diverse decine di studenti

Nuclear Research Center Negev
ROMA, 1 mar. - L'azienda elettrica israeliana Iec sta per firmare un accordo con la Ben Gurion University per far sorgere insieme a una nuova centrale nucleare anche un corso di laurea per ingegneri destinati alla sua gestione. Lo afferma il quotidiano locale Globe, secondo cui il futuro corso di laurea sarà gestito in collaborazione con il Nuclear Research Center Negev. Il nuovo corso di laurea durerà quattro anni e accoglierà "diverse decine" di studenti. La sede sarà vicino alla futura centrale di Shivta, nel deserto del Negev, che sarà costruita proprio dalla Iec, che impieghera' nell'impianto gli studenti che completeranno il corso di laurea. La centrale di Shivta sarà mista nucleare-solare, avrà una capacità di 1200 megawatt e dovrebbe essere completata entro il 2020.

(Apcom, 1 marzo 2010)

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La Memoria non può essere cancellata

di Lucilla Efrati

ROMA - "Una profanazione orribile" così Piero Terracina indignato e in lacrime ha definito la profanazione delle pietre d'inciampo, i sampietrini di ottone lucente creati dall'artista danese Gunter Demnig, che recano il nome, il cognome, data e luogo di nascita e data di assassinio nei campi di concentramento, che esattamente un mese fa, nel Giorno della Memoria erano state messe davanti alla sua casa, a Piazza Rosolino Pilo, come davanti alle case di molti altri perseguitati politici e razziali che da quei campi di concentramento non fecero più ritorno.
Nella notte fra sabato e domenica gli stolpersteine sono stati imbrattati di vernice nera "Io non abito più in quella casa sono stato avvertito da un inquilino del palazzo. E' terribile che ancora ci siano persone che fanno cose così orribili" E' il commento addolorato di Terracina.
Il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, recatosi immediatamente sul luogo dove è stato commesso l'atto vandalico per testimoniare la solidarietà personale e di tutta la Comunità Ebraica di Roma a Terracina, unico sopravvissuto della sua famiglia alla deportazione ad Auschwitz, ha espresso il proprio sdegno con queste parole: "E' un ulteriore atto di debolezza di chi sente braccato e fuori dalla storia " definendo poi questi atti "gesti vigliacchi che provano a cancellare la memoria in modo puerile e che invece non fanno che rafforzare tutti coloro che sono decisi a ricordare".
Parole di condanna dell'inqualificabile gesto sono giunte anche da parte del sindaco di Roma Gianni Alemanno e dal presidente della Provincia Nicola Zingaretti.
""La memoria è il patrimonio più importante che abbiamo e che va salvaguardato." ha commentato Alemanno che ha immediatamente dato disposizioni al Decoro Urbano del Comune di Roma per far cancellare la vernice nera dalle pietre d'inciampo. "Il nostro auspicio - ha proseguito il Primo cittadino della Capitale - è che i vili che hanno compiuto questo gesto siano presto presi e venga loro inflitta una punizione esemplare".
"Ha ragione Piero Terracina: aver imbrattato le 'pietre d'inciampo', simbolo della tragedia della Shoah, è un gesto orribile. A lui e a tutta la Comunità ebraica va la nostra vicinanza e solidarietà". Ha detto il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
Secondo Zingaretti "E' necessario individuare i responsabili di questa lunga serie di episodi di antisemitismo che si sono verificati, negli ultimi mesi, a Roma. Chi lancia questa sfida ai nostri valori troverà una risposta coesa e forte da parte di tutta la comunità, impegnata perché non si ripeta mai più l'orrore di quegli anni che abbiamo conosciuto proprio grazie ai racconti emozionanti e dolorosi e all'impegno di molti
ex deportati verso i quali saremo debitori per sempre".
"Questo episodio - ha aggiunto Zingaretti - conferma quanto siano importanti una battaglia culturale e civile e i comportamenti quotidiani che restringono gli spazi
dell' intolleranza, del razzismo e della discriminazione".
Questa sera a Piazza Rosolino Pilo, alle ore 19 si terrà un presidio indetto dal Municipio del quartiere Monteverde per condannare lo sfregio fatto alle 'pietre d'inciampo' collocate davanti all'abitazione da cui fu deportato il quindicenne Piero Terracina e la sua famiglia.

(Notiziario Ucei, 1 marzo 2010)

Notizie su Israele - 11 gen 2010

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"Pesach - Pasqua: imparare a essere liberi"

FERRARA - Sarà il rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara Luciano Caro il protagonista, mercoledì 3 marzo alle 17, del primo dei due incontri dedicati alla Pasqua ebraica e organizzati nella sala Agnelli della biblioteca Ariostea dalla Fondazione Meis - Museo nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah. L'iniziativa dal titolo "Pesach, festa della nostra libertà", comprende anche un terzo appuntamento musicale alla sala Estense, giovedì 25 marzo.

LA SCHEDA a cura della Fondazione Meis
Lo spirito di questo breve ciclo di incontri è ben riassunto dal suo titolo generale. Nella tradizione ebraica Pesach è definito come la festa della "nostra libertà". L'essere liberi - anche e forse soprattutto in ambito religioso - non è una dimensione donata e conquistata una volta per tutte: essa va confermata e appressa giorno dopo giorno, o, come in questo caso, anno dopo anno. Di questi temi parlerà Rav Luciano Caro, rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara.
Durante la cena pasquale ebraica, in ebraico Séder (alla lettera "ordine") si legge un testo chiamato Haggadah (narrazione). Esso ricorda l'uscita dall'Egitto, celebra la festa attraverso la convivialità e attende un avvenire posto all'insegna dello shalom (pace) messianico. Il senso autentico del rito è di far rivivere un testo non mediante la sua pura ripetizione, bensì tramite il suo commento compiuto a più voci dai partecipanti. Tenendo conto di ciò, si è scelto di affidarne la presentazione a un dialogo tra Amos Luzzatto, eminente studioso di ebraico e già presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Piero Stefani, Direttore scientifico della Fondazione Meis.
Il terzo appuntamento sarà invece uno spettacolo in cui il cantante-attore, di origine ferrarese, Enrico Fink presenterà alcuni dei più tipici canti di Pasqua intervallati da ricette legate ai piatti tipici di quella festa, tratte da un libro di Jenny Bassani, sorella di Giorgio (cfr. J. Liscia Bassani, La storia passa dalla cucina, ETS, Pisa, 2005 ).

Il programma del ciclo di incontri:

- mercoledì 3 marzo, ore 17, sala Agnelli, Biblioteca Ariostea, via Scienze 17
'Pesach, festa della nostra libertà'
Rav Luciano Caro

- mercoledì 10 marzo, ore 17, sala Agnelli, Biblioteca Ariostea, via Scienze. 17
'Ricordare, celebrare, attendere'
dialogo tra Amos Luzzatto e Piero Stefani

- giovedì 25 marzo, ore 21, sala Estense, piazza del Municipio
'La fragranza dei canti: la musica e i cibi di Pesach'
spettacolo di Enrico Fink, voce e flauto traverso, accompagnato da Marcella Carboni, arpa e Stefano Bartoli, sassofoni.

(Cronaca Comune, 1 marzo 2010)

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Israele, nel 2010 nuovi percorsi

di Dorina Land

La maggioranza degli arrivi in Israele è rappresentata dal turismo religioso, che cresce ogni anno del 20/25% ed è oggetto di molte attenzioni da parte del ministero del Turismo israeliano, che ha creato dei nuovi itinerari "sulle orme di Gesù" per scoprire località normalmente non inserite nei tradizionali pellegrinaggi, come Zippori, Kursi e Chorazim, mentre è allo studio un itinerario mariano.
«Il nostro obiettivo - dichiara Oren Drori, deputy director del ministero del Turismo - è comunque quello di sviluppare tutti i segmenti con programmi per giovani, famiglie, benessere, sport, vacanze mare, cultura ed enogastronomia, abbinandoli tra loro e promuovendo in particolare la stagione invernale grazie alla mitezza del clima».
Nel centro di Gerusalemme e di Tel Aviv stanno sorgendo alcuni nuovi boutique hotel a opera di investitori privati, e nelle periferie grandi hotel di catene internazionali «e non con incentivi statali», precisa Drori.
"Attraverso Israele" è un nuovo progetto per visitare e scoprire il Paese in modo diverso con particolari percorsi, a piedi o in bici, sentieri trekking o ciclabili - non adatti alle auto - che lo attraversano da nord a sud per 600 km, in un territorio agricolo, da poco aperto al turismo, «dove si può fare provviste nei negozietti dei villaggi - spiega Tzvi Lotan, direttore dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo in Italia - pernottare in piccole locande, in kibbutz o anche in moshav, simili ai kibbutz ma con produzione privata, partecipando, se si desidera, alla vita degli abitanti e aiutandoli nella raccolta di frutta e ortaggi, nella cura degli animali e così via».

(L'Agenzia di Viaggi, 1 marzo 2010)

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Borse della domenica: in rosso Tel Aviv, invariata Abu Dhabi

di Giuseppe Di Vittorio

Chiusura negativa per la borsa israeliana con l'indice Ta-25 che perde l'1,09%, mentre Abu Dhabi archivia la seduta della domenica praticamente sugli stessi valori della seduta precedente -0,08%. A trascinare verso il basso il listino israeliano sono stati i titoli finanziari e quelli tecnologici. Le banche hanno perso l'1,79%, mentre il settore immobiliare ha lasciato sul campo l'1,88%. Negli Emirati Arabi bene le costruzioni +0,70% e gli energetici +0,67%.
Quanto all'andamento della seduta intraday, il Ta-25 si è mosso in trading range per l'intera seduta, poi è partito con un movimento verso il basso a partire dal primo pomeriggio. Poco mosso invece il General Index. Sul medio periodo sempre rimanendo nella borsa degli Emirati Arabi il movimento è stato laterale. Il Ta-25 Israeliano ha invece disegnato un pericoloso doppio massimo. Il movimento al ribasso della domenica risente quindi anche di alcune prese di beneficio dopo che gli indici si sono portati sui massimi.

(Milano Finanza, 1 marzo 2010)

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Notizie archiviate

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