ROMA, 31 gen - L'arte contemporanea di un Paese è specchio dell'identità nazionale: ne è convita Ofra Farhi, addetta culturale dell'ambasciata israeliana a Roma, che oggi ha presentato con orgoglio la mostra 'Israel Now', al Macro Testaccio fino al 17 marzo. Ventiquattro artisti israeliani, diversi per età, provenienza e linguaggio artistico, mostrano il proprio punto di vista sulla realtà, raccontando il mondo secondo loro. Com'è oggi, ma soprattutto come sarà domani. Il sottotito della mostra è infatti "Reinventing the future", reinventando il futuro. Un'idea che, lo ha spiegato la curatrice della mostra Micol Di Veroli, prende le mosse dalla natura peculiare d'Israele: un Paese giovane (istituito nel 1948), ma con radici millenarie. Del resto, il senso profondo della società israeliana per il futuro si manifesta chiaramente anche nelle tante start up che caratterizzano la nazione - nota appunto come startup nation. Lo ha sottolineato Piergaetano Marchetti, presidente della fondazione 'Italia-Israele per la cultura e le arti', nata di recente su iniziativa dei Ministeri degli Esteri dei due Paesi. Questa fondazione è il 'motore' che c'è dietro 'Israel Now', il primo evento realizzato in Italia. Un inizio in grande stile, come prova anche la medaglia di Rappresentanza attribuita dal Presidente della Repubblica.
A presenziare al lancio di questa panoramica composita sullo scenario dell'arte contemporanea israeliana c'erano anche alcuni degli artisti che espongono. Nahum Tevet è uno di loro. Nato nel 1946 in un kibbutz nel nord del Paese, insegna alla prestigiosa accademia di arte di Gerusalemme 'Betzalel' ed e' noto a livello internazionale. "Il mio lavoro - ha spiegato ad ANSAmed - è quello di porre domande sull'esistenza. Le mie fonti d'ispirazione sono tante. Una è il progetto modernista, un'altra l'arte minimalista. In questo campo, la domanda principale a cui cerco di dare risposta è quale sia la rilevanza del modernismo per la società e l'arte contemporanea. Nelle mie opere - ha aggiunto - c'è anche una ricerca sull'esperienza dello spettatore e sull'interpretazione della realtà". In quanto artista israeliano, Tevet conosce bene il cosiddetto "fronte del boicottaggio", l'appello a sabotare le iniziative culturali internazionali che coinvolgono lo Stato ebraico come forma di protesta contro le politiche del governo.
"Chi incita al boicottaggio è uno sciocco. Spesso artisti e intellettuali israeliani sono critici durissimi del loro governo. Basta guardare i due documentari israeliani attualmente candidati l'Oscar. Quanti si oppongono alla politica israeliana dovrebbero essere i loro primi sostenitori''.
(ANSAmed, 31 gennaio 2013)
Chuck Hagel alla Difesa?
di Daniel Pipes
Permettetemi di proporvi tre riflessioni mentre il Senato americano si prepara a prendere in esame il 31 gennaio prossimo la nomina di Chuck Hagel alla carica di Segretario della Difesa:
È davvero curioso che Barack Obama abbia nominato un politico che non è famoso, che non ha importanti disegni di legge che portano il suo nome, che non ha conseguito risultati amministrativi e senza grandi idee, a occupare la carica molto importante di Segretario della Difesa. È ancor più curioso che Hagel sia conosciuto solamente per due idee in materia di politica estera e difesa: per la sua linea politica morbida verso l'Iran e ostile a Israele. Questo certamente invia un segnale forte allo Stato ebraico.
È stato sconcertante notare che, dopo un'iniziale espressione di scetticismo, le istituzioni ebraiche americane abbiano dato il loro consenso alla nomina di Hagel. Sembrerebbe che per queste istituzioni l'accesso [a tale carica] prevalga sulle altre considerazioni.
Al contrario, i Cristiani Uniti per Israele hanno rilasciato una dichiarazione in cui esprimono la loro opposizione a Hagel a causa della sua "inaccettabile cecità riguardo alla più grande minaccia alla sicurezza del nostro tempo", vale a dire l'Iran e Hezbollah. Inoltre, i Cristiani Uniti per Israele hanno annunciato che almeno 400 leader cristiani si recheranno questa settimana al Campidoglio per esercitare pressioni sui rappresentanti di tutti e 100 i senatori.
Commento: È bizzarro che i Cristiani Uniti per Israele siano là fuori vivaci e fattivi mentre l'American Israel Public Affairs Committee se ne sta in silenzio.
(Archivio italiano di Daniel Pipes, 28 gennaio 2013)
Gerusalemme: un roadshow in tre tappe
Il Jerusalem Development Authority ha organizzato per il prossimo febbraio il primo roadshow italiano, che coinvolgerà tre città italiane. In occasione di questo appuntamento, Ilanit Melchior, tourism director della Jda, incontrerà gli operatori del settore per condurli alla scoperta della destinazione, proponendo loro le ultime novità e le iniziative in programma per il 2013. Scopo del roadshow sarà anche quello di mettere in evidenza alcune peculiarità di Gerusalemme: la musica, la gastronomia e i city break. Il tour partirà l'11 febbraio da Verona, città della musica, per proseguire con gli appuntamenti del 12 a Torino, città della gastronomia e del 13 a Bologna, città dei city break.
(Quotidiano Travel, 31 gennaio 2013)
Inviato dellOnu paragona Hamas ai partigiani
Per la prima volta uno stato membro non va al Consiglio dei diritti umani. Netanyahu: "Su 91 risoluzioni, 39 contro di noi"
Richard Falk
Per la prima volta da quando esiste un organismo all'Onu addetto ai diritti umani, la delegazione di Israele non si è presentata per l'"esame periodico universale". Si tratta del meccanismo che prevede lo scrutinio della situazione umanitaria in tutti i paesi membri delle Nazioni Unite. Dal 2006 è la prima volta che uno stato boicotta l'appuntamento. Amnesty International accusa Israele di mettere a rischio l'intero processo di verifica dell'Onu, mentre il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto che il Consiglio per i diritti umani "ha adottato finora novantuno decisioni: trentanove di esse riguardavano Israele, tre la Siria e una l'Iran. Con grande coerenza, il Consiglio Onu per i diritti umani, in cui siedono vari campioni delle libertà civili come Arabia Saudita, Bangladesh, Cina, Indonesia, Giordania, Kuwait, Angola, Benin, Botswana, Burkina Faso, Camerun, Congo, Gibuti, Mauritania, Nigeria, Senegal, Uganda, Malesia, Qatar e Cuba, non trova mai nulla di cui occuparsi che sia più urgente delle presunte violazioni di Israele". Un Consiglio talmente ossessionato da Israele che di recente ha reso possibile una conferenza del leader di Hamas Ismail al Ashqar nel quadro di un evento organizzato all'interno dell'agenzia Onu a Ginevra.
D'ora in avanti, l'ambasciatore d'Israele all'Onu non comparirà più di fronte al Consiglio, né risponderà alle sue chiamate, né coopererà con esso in alcun modo. Già la scorsa primavera Gerusalemme aveva annunciato la sospensione di ogni rapporto con il Consiglio per i diritti umani, dopo che l'organismo aveva approvato un'inchiesta speciale sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania. La risoluzione sulla missione d'inchiesta nei Territori è stata approvata dai 47 stati membri del Consiglio con trentasei voti a favore, uno contrario e dieci astenuti. Soltanto gli Stati Uniti hanno votato contro, definendola "prevenuta".
- "Anche la resistenza metteva a rischio i civili"
Ieri la tensione è aumentata dopo che l'inviato del Palazzo di vetro in Israele e nei Territori, Richard Falk, ha paragonato Hamas ai partigiani francesi durante la Seconda guerra mondiale.
"Immaginate che i ruoli siano capovolti come durante l'occupazione nazista di Francia e Olanda", ha detto Falk. "Combattenti per la resistenza erano percepiti dall'occidente liberale come eroi e non c'era alcuna attenzione critica sulle loro tattiche che mettevano a rischio la vita dei civili innocenti", ha aggiunto Falk, dicendo che Hamas (come la resistenza antinazista) è legittimata a usare metodi che portano alla morte di civili israeliani, il nuovo oppressore secondo il commissario Onu. "Coloro che hanno perso le loro vite nella resistenza sono stati onorati come martiri", ha continuato, spiegando che "Khaled Meshaal e altri leader di Hamas hanno fatto simili affermazioni nel loro esercizio di resistenza visto il fallimento della diplomazia e della sicurezza che l'Onu non ha garantito sotto la legge internazionale".
Professore emerito all'Università di Princeton, celebre teorico del "nuovo diritto internazionale" e avvocato in cause dibattute davanti alla Corte internazionale di giustizia, Falk era stato appena coinvolto in aspre polemiche a seguito della pubblicazione su Twitter di una vignetta che raffigura un cane con la kippah e la scritta "Usa" che urina sull'immagine della giustizia e un commento circa la responsabilità della "comunità ebraica organizzata" per la politica israeliana nei Territori. Ci mancava soltanto il paragone fra lo sceicco del terrore Ahmed Yassin e il leader della resistenza antinazista in Francia Jean Moulin.
(Il Foglio, 31 gennaio 2013)
Se questo non è antisemitismo, l'antisemitismo che cos'è?
A Gaza si studierà di più la lingua ebraica. Hamas: «Così conosceremo meglio il nemico»
di Leone Grotti
L'obiettivo non è favorire la pace ma «conoscere la lingua del nemico perché così sarà più facile sfuggire al male che ci arrecano».
Nelle scuole della Striscia di Gaza si studierà di più la lingua ebraica. Il motivo lo spiega a Reuters un membro di Hamas del ministero dell'Educazione, Soumaya al-Nakhala: «Aumentare lo studio dell'ebraico è il risultato del nostro piano per soddisfare la crescente richiesta da parte degli studenti di conoscerlo. Loro infatti vogliono imparare la lingua del loro nemico per evitare i suoi tranelli e le sue malvagità».
LINGUA SCONOSCIUTA. L'intento non è dunque quello di facilitare il processo di pace tra Israele e Palestina, anzi. Lo scopo è permettere a tutti di comprendere i discorsi fatti da militari e politici israeliani. Oggi secondo le statistiche solo 50 mila abitanti di Gaza conoscono la lingua ebraica contro un milione e mezzo di palestinesi che sapevano parlarla e capirla 20 anni fa.
CONOSCERE IL NEMICO. «Ho scelto insieme a molti miei compagni di studiare l'ebraico perché ritengo sia una lingua interessante e anche perché conoscendo la lingua del nemico sarà più facile sfuggire al male che ci arrecano» spiega Mohammed Seyam, 14 anni. Oggi nella Striscia sono 750 gli studenti che studiano l'ebraico e l'università islamica pro-Hamas ha da poco lanciato una facoltà pilota di studi ebraici.
DISTRUGGERE GLI EBREI. Hamas è una organizzazione terroristica che non riconosce il diritto all'esistenza di Israele. All'articolo 7 del suo statuto, come anche in altre parti del testo, si legge che "l'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: «O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me - vieni e uccidilo»".
(Tempi, 31 gennaio 2013)
Spoliazione di beni ebraici in Francia tra il 1940 e il 1944
Documenti d'archivio e foto al memoriale dell'Olocausto a Parigi
di Aurora Bergamini
Mémorial de la Shoah
PARIGI, 30 gen - Campagne di boicottaggio delle imprese e espropriazioni selvagge, fino a un vero e proprio dispositivo legislativo ''per eliminare ogni tipo di influenza ebraica dall'economia nazionale'': la spoliazione dei beni degli ebrei in Francia tra il 1940 e il 1944 come una vera e propria ''politica di Stato'' e' il tema dell'esposizione che si e' appena aperta al Mémorial de la Shoah di Parigi. ''Questa politica di esclusione economica contro gli ebrei, imposta dal regime nazista sul suolo tedesco dal 1933, e' adottata a partire dal 1939 dai regimi vicini al Terzo Reich, a cominciare dal suo principale alleato che e' l'Italia e si estende via via un po' in tutta Europa - osserva il commissario Tal Bruttmann -. Ovunque queste misure sono accompagnate da ondate di violenza che hanno come obiettivo anche i beni''. E aggiunge: ''Nel 1941, nella quasi totalita' dell'Europa tedesca, viene praticata la cosiddetta 'arianizzazione'. Inoltre in Francia, dopo la sua introduzione nella zona occupata dai tedeschi, questa politica viene integrata con misure prese autonomamente dal regime di Vichy''. In mostra ci sono, tra l'altro, alcune foto dei manifesti che furono esposti sulle vetrine di negozi e ristoranti, in francese e tedesco, per identificare i commerci ebraici, oltre a documenti d'archivio originali, provenienti dai fondi degli Archives nationales, come il progetto ''confidenziale'' di 'statuto degli ebrei' redatto nel 1940 con annotazioni a matita del maresciallo Phillippe Petain, che definisce chi e' ebreo e gli incarichi da cui, in quanto tale, e' escluso, come quelli nella funzione pubblica.
C'e' anche il Secondo progetto di statuto degli ebrei del 1941 che rende ancora piu' dure le leggi razziali e obbliga gli ebrei a farsi recensire e a dichiarare i propri beni. O ancora elenchi e piani di abitazioni confiscate alle famiglie ebree e piazzate sotto amministrazione controllata e la Guida a servizio delle amministrazioni distribuita dal Commissariato generale agli affari ebraici. ''L'obiettivo e' la spoliazione sistematica di imprese, commerci e beni appartenenti agli ebrei sul territorio francese - spiega il curatore - 'per eliminare ogni influenza ebraica nell'economia nazionale', come indica la legge del 22 luglio 1941''. Dalla mostra emerge come in Francia e in generale in Europa le spoliazioni furono un ingranaggio essenziale del processo di esclusione degli ebrei e riflettono anche una politica di 'decontaminazione' destinata a purificare l'economia.
L'arianizzazione dei beni ebraici grazie alla vendita o alla liquidazione, prosegue Bruttmann, e' un processo amministrativo efficace basato su tutto un arsenale legislativo legale antisemita. Bisognera' attendere il 1945 per la messa in opera di una vera politica di restituzione avviata dal governo francese che permette agli spoliati di riprendere possesso dei propri beni. Ma molti di loro sono famiglie intere scompase, e una parte delle proprieta' restera' nelle mani di proprietari illegittimi. L'esposizione - realizzata sulla base dei lavori della Commissione d'inchiesta delle spoliazioni dei beni ebraici della citta' di Grenoble, con la partecipazione degli Archivi del dipartimento dell'Isere - si propone di delucidare sia le basi di questa politica di Stato sia i meccanismi reinscrivendola nel contesto dell'Europa nazista.
(ANSAmed, 31 gennaio 2013)
«Israele combatte una guerra in mezzo alle altre guerre»
"Israele sta conducendo una campagna difensiva, offensiva e di intelligence, una guerra complessa e potenzialmente esplosiva combattuta fra le altre guerre". Lo ha detto il comandante dell'aviazione israeliana Amir Eshel intervenendo martedì all'ottavo convegno aereo-spaziale internazionale di Herzliya intitolato alla memoria dell'astronauta israeliano Ilan Ramon. Israele, ha spiegato Eshel, sta facendo tutto il possibile "per mantenere i suoi sforzi al di sotto del livello in cui scoppia una guerra. Ma se non vi saranno alternative, potrebbe accadere".
Eshel ha parlato del Medio Oriente come di una regione di sovranità indebolita e di minacce crescenti, ha detto che sono in atto processi di natura "tettonica" e ha sottolineato che proprio a ridosso dei confini di Israele "nessuno ha idea di che cosa accadrà" dopo la caduta del regime di Bashar Assad. Il generale ha detto che il termine "primavera araba" non è adeguato per descrivere lo sconvolgimento che infuria in tutto il Medio Oriente, in Siria in modo particolare. "Non esiste questa stagione, nel calendario della politica mediorientale", ha aggiunto amaramente. La rivolta di quasi due anni contro il regime di Assad è già costata la vita a 60.000 persone, stando a recenti stime delle Nazioni Unite, e il futuro potrebbe riservare un'ulteriore destabilizzazione dello stato al confine nord-orientale d'Israele.
Parlando della Siria, Eshel ha sottolineato il rischio che possano cadere nelle mani di soggetti non-statali armi sia convenzionali di ultima generazione, sia non convenzionali come le armi chimiche. "C'è un enorme arsenale in Siria - ha spiegato - e tutto questo potrebbe arrivare ai nostri confini. Se in passato potevamo considerare queste minacce come circoscritte alle zone di confine, oggi è tutto diverso: oggi i terroristi potrebbero usare armi in grado di colpire in profondità il territorio israeliano, come missili terra-terra, missili da crociera, droni senza pilota, armi non convenzionali".
L'onere di difendere Israele da questo genere di minacce ricade "quasi esclusivamente" sulle spalle delle forze aeree, ha aggiunto. Purtroppo sistemi d'arma sofisticati come radar e missili terra-mare potrebbero essere stati trasferiti nelle scorse settimane negli arsenali dei filo-iraniani Hezbollah. "La spinta a farlo è in aumento e non vi è alcuna garanzia che tali armamenti non siano già passati nelle mani di Hezbollah", ha confermato Assaf Librati, portavoce delle forze aeree israeliane. La prontezza e la flessibilità delle forze aeree, unite alla capacità di collaborare con i servizi di sicurezza esterna ed interna e con l'intelligence militare, fanno sì che "quando salta fuori un problema non c'è quasi nessun altro che possa agire con altrettanta prontezza".
In più occasioni Israele ha dichiarato che il trasferimento di armi chimiche o armamenti d'avanguardia a soggetti non-statali, specialmente a Hezbollah, verrebbe considerato un 'casus belli'. Domenica scorsa il vice primo ministro Silvan Shalom ha detto che un tale trasferimento "costituirebbe il superamento di un limite che comporterebbe un approccio del tutto diverso da parte israeliana".
Il comandante Eshel ha descritto la campagna israeliana volta a proteggere le frontiere di Israele come uno sforzo "24/7/365" (vale a dire 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana, 365 giorni all'anno) e ha sottolineato il ruolo svolto da velivoli, sia con equipaggio che teleguidati, così come quello di "forze di terra" che prendono parte a questo conflitto. Una guerra, ha detto, che deve fare i conti con minacce "sub-convenzionali e non-convenzionali, sia vicine che lontane, dal pugnale fino al nucleare".
(israele.net, 31 gennaio 2013)
Caccia israeliani in azione in Siria
La televisione siriana ha affermato che al tramonto aerei da guerra israeliani hanno bombardato un sito di ricerca militare a Damasco. Nei giorni scorsi diversi allarmi parlavano del pericolo che armi chimiche o di altro genere potessero arrivare nelle mani delle milizie sciite libanesi dell'Hezbollah come conseguenza del conflitto siriano
Israele passa all'azione in Siria. Dopo diversi allarmi lanciati nei giorni scorsi sul pericolo che armi chimiche o di altro genere potessero arrivare nelle mani delle milizie sciite libanesi dell'Hezbollah, caccia dello Stato ebraico hanno attaccato oggi all'alba obiettivi in territorio siriano. Per tutta la giornata diverse fonti diplomatiche e di apparati di sicurezza - rimaste anonime - hanno raccontato di un bombardamento vicino al confine di un convoglio che dalla Siria trasportava armamenti verso il Libano. Mentre in serata l'esercito siriano ha denunciato ufficialmente un raid israeliano - alle prime ore dell'alba - contro un centro di ricerche militari che avrebbe provocato due morti e cinque feriti. Altri testimoni avevano raccontato in precedenza di un attacco - martedì notte - ad un sito per lo sviluppo di ''armi non convenzionali'' ad al-Hameh, 15 km a nord ovest di Damasco. Le informazioni arrivano confuse e lo Stato ebraico tace. Ma quel che appare certo è che l'attacco c'è stato e che tra ieri pomeriggio e la notte scorsa diversi jet israeliani hanno violato gli spazi aerei libanese e siriano. Un'attività consueta, ma stavolta avvenuta su scala ben maggiore rispetto al solito. Almeno 12 caccia, secondo fonti militari di Beirut, hanno solcato i cieli libanesi in tre ondate successive tra le 16.30 di ieri fino alle prime ore di oggi. Una circostanza confermata anche dalle forze Onu dell'Unifil in Libano. Ciò confermerebbe una ricostruzione che i mass media israeliani hanno cercato di fare, sfuggendo parzialmente alle maglie della censura militare. Secondo i siti di Maariv e Haaretz, infatti, l'attacco sarebbe avvenuto vicino alla strada tra Damasco e Beirut. Maariv ritiene probabile che gli aerei da combattimento israeliani abbiano sorvolato le alture del Golan e quindi abbiano puntato verso Nord, lungo la linea di demarcazione siro-libanese. Secondo Haaretz, invece, gli aerei israeliani avrebbero sorvolato il Mar Mediterraneo fino all'altezza di Beirut per poi puntare a est verso la Siria. L'agenzia statale Nna di Beirut esclude comunque che l'attacco sia avvenuto in territorio libanese. Le fonti che sostengono la tesi del raid contro il carico di armamenti escludono comunque che si trattasse delle tanto temute armi chimiche: sarebbe invece una partita di missili anti-aerei di fabbricazione russa, probabilmente gli SA-7. Un'arma che, nelle mani dell'Hezbollah, potrebbe alterare in modo significativo gli equilibri di forza con Israele. Se durante la guerra dell'estate 2006 Hezbollah aveva lanciato più di 4.000 razzi sul nord di Israele, l'aviazione dello Stato ebraico non aveva incontrato ostacoli significativi nelle sue ripetute incursioni fino alla periferia di Beirut. Un'efficace arma anti-aerea nelle mani delle milizie sciite potrebbe invece ridurre considerevolmente la potenza di fuoco israeliana. Diversi segnali che Israele potesse passare all'azione si erano avuti negli ultimi giorni. Domenica il primo ministro Benyamin Netanyahu ha messo in guardia dalle "importanti minacce" che incombono su Israele, citando l'Iran e la Siria. Mentre le forze armate hanno detto di avere riposizionato due batterie di sistemi di intercettazione anti-razzo Iron Dome nel nord del Paese. E proprio in questa regione, ha detto stasera la radio militare, viene mantenuto un elevato stato di allerta, motivato dal timore che armamenti ''sofisticati'', e non necessariamente chimici, passino dalla Siria agli Hezbollah. Il conflitto siriano rischia di infiammare sempre più tutta
la regione.
(Giornale Radio RAI, 30 gennaio 2013)
Emozioni e stupenda musica per la Giornata della Memoria
ASTI - Domenica 27 gennaio per la "Giornata della Memoria" il Teatro Alfieri con la platea gremita ha accolto alle ore 17.30 Claudia Bidoli e la Meshuge Klezmer Band per il concerto "Dona Dona".
Sul palco, per il saluto d'apertura, gli organizzatori dell'evento: per il Circolo Filarmonico Astigiano la direttrice artistica Lia Lizzi Balsamo, per l'Israt di Asti la dott.ssa Nicoletta Fasano e per l'Assessorato alla Cultura del Comune di Asti, che ha concesso il patrocinio, il vicesindaco Davide Arri. Ed è stato proprio quest'ultimo a dire che "ricordare è crescere" e che "la storia è maestra di vita" mentre la dott.ssa Fasano ha voluto dedicare il concerto "ai ragazzi che - ha detto - sono il nostro futuro" proprio come quei 500 che giovedì 24, al mattino, dopo aver ascoltato testimonianze lette e portate in scena da attori e studenti e aver incontrato in sala reduci dalla deportazione dei campi nazisti, hanno inviato 180 messaggi significativi di cui 10 sono stati poi segnalati da una giuria di giornalisti.
Venendo alla Band, il concerto inserito in un programma più ampio "per raccontare la storia e accordare passato e presente", secondo il titolo dato dal Circolo Filarmonico a questo ciclo di spettacoli, propone brani, della più consolidata tradizione klezmer, composti da importanti musicisti ebrei emigrati da piccoli centri dell'Europa centro orientale in America nei primi decenni del '900, soprattutto a New York, come Abe Schwartz, Naftule Brandwein, Dave Tarras e Sam Musiker, ma anche da autori contemporanei. Il primo, strumentale, è una danza di gioia per una festa nuziale però con un fondo di malinconia per un popolo che non c'è più. Segue, con la splendida voce di Claudia Bidoli, "Tum balalaika", un indovinello, una canzone d'amore ebraica e al tempo stesso una musica tradizionale russa.
Ritmico anche il brano che scherzosamente ci ricorda - come spiega Claudia - che le patate sono il cibo di ogni giorno della settimana e al sabato .sformato di patate! "Tanz", strumentale, è d'origine bulgara mentre "Zogt der rebbe", canzone askenazita cioè di ebrei tedeschi emigrati in Europa orientale, ha come protagonista un rabbino che ricorda che "i giusti cammineranno con la schiena diritta mentre gli empi cadranno". Il sesto brano, "Lomir Sich Iberbetn", che coinvolge ancor più il pubblico con l'invito a battere le mani a tempo, invita due innamorati a far pace davanti al samovar in modo che il litigio si converta in un contratto matrimoniale!"
Nei brani di sola musica particolarmente interessante il crescente apporto dei vari strumenti alla sonorità finale, dal banjo di Enrico Terragnoli al violino di Maria Vicentini, dal sax alto e baritono di Roberto Lanciai alla chitarra elettrica di Fabio Basile, dal basso di Stefano Corsi alla fisarmonica di Andrea Ranzato.
A metà concerto è collocato l'unico testo cantato in ebraico, "Ma Omrot eynaich" che presenta un soldato in trincea che si chiede se la sua amata sarà ad aspettarlo al suo ritorno
. L'ebraico, da lingua sacra, del culto, "rivisitata", è divenuta lingua nazionale in Israele. Gli altri brani proposti sono in yiddishogiudeo-tedesco, una lingua germanica del ramo germanico occidentale, usata dagli ebrei originari dell'Europa orientale, sparsi poi in comunità di tutto il mondo.
Interessanti da parte di Claudia e di Andrea tali spiegazioni ed anche quelle riguardanti la mescolanza, prima della Shoah, di lingue e musiche che ebbero nuova vita negli USA quando un liscio per così dire "ebraico" si unì al jazz creando inedite ritmiche. Concerto quindi per la "Giornata della Memoria" ma pure storia, attraverso suoni e canti, delle peregrinazioni di un popolo dall'Europa all'America. "Dona Dona" ad esempio, che ha dato il titolo al concerto, è in origine un canto yiddish. La melodia è dell'ebreo Sholom Secunda.
Le parole sono di un altro ebreo, Aaron Zeitlin; scritte nel 1940 al tempo del nazismo ricordano, con una tragica metafora, quella di un vitello portato al macello, la deportazione nei campi di sterminio.
La canzone è stata tradotta in inglese intorno al 1956 ed è diventata popolare nel 1960 grazie a Joan Baez e a Donovan che la incise nel 1965. E ancora significativo l'ultimo brano "Ale Brider" "Tutti fratelli", vero inno alla fratellanza e alla pace, utilizzato anche dal "Bund" la lega socialista ebraica che faceva capo a Theodor Herzl.
Tanti gli applausi che richiamano gli artisti in scena per due bis, uno con canto, "Lomir", ed uno strumentale, lo stupendo "Freilechs Fun Der Hupe" ovvero "Danza all'uscita dal baldacchino nuziale" che evoca balli sempre più vorticosi intorno agli sposi circondati da parenti e amici. E si rientra a casa con il cuore pieno di una musicalità vivace e malinconica al tempo stesso e soprattutto con tanti contenuti da meditare.
(AT News, 31 gennaio 2013)
Club multato in Israele per striscioni razzisti allo stadio
La federcalcio israeliana ha multato il club del Beitar Gerusalemme per gli striscioni razzisti con cui i tifosi della squadra hanno protestato contro l'ingaggio di calciatori musulmani. Secondo il quotidiano Haaretz, la sanzione pecuniaria ammonta a circa 10.000 euro e si aggiunge alla chiusura della Tribuna Est dello stadio del Beitar per 5 partite. La scritta ''il Beitar sara' per sempre puro'' campeggiava sabato su uno striscione esposto dai tifosi, contrari all'ingaggio di due giocatori musulmani provenienti dalla Cecenia.
(la Repubblica, 30 gennaio 2013)
Olocausto: inaccettabili dichiarazioni dall'Egitto. Reagire senza esitazioni
di Noemi Cabitza
"L'olocausto è una invenzione dei servizi segreti americani. I sei milioni di ebrei che si sostiene siano stati uccisi dai tedeschi sono in realtà stati trasferiti negli USA". A pronunciare queste e altre sconcertanti parole è stato Fathi Shihab-Eddim, una delle persone più vicine al Presidente egiziano Mohammed Morsi.
Fathi Shihab-Eddim non è uno qualsiasi, è l'uomo responsabile delle nomine dei direttori dei giornali e delle testate televisive del regime egiziano, ma soprattutto è un uomo vicinissimo come ideologia a Mohammed Morsi.
Le allucinanti dichiarazioni sono state riportate ieri sera dalla Fox News che, tra l'altro, ne ha raccolte di altre altrettanto allucinate come quella secondo cui "il mito dell'olocausto è stato inventato dagli USA e dai suoi alleati per avere la scusa di attaccare gli Stati membri dell'Asse e poter sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki". Le dichiarazioni di Fathi Shihab-Eddim arrivano a poche settimane dalla scoperta di un video in cui il futuro presidente egiziano, Mohammed Morsi, viene ripreso durante un incontro dei Fratelli Musulmani nel quale definisce gli ebrei "cani e maiali" e auspica la lotta armata contro lo Stato Ebraico di Israele. Gli USA hanno chiesto più volte a Morsi di scusarsi per quel video senza tuttavia ricevere alcuna risposta.
Ora, il mondo ha chiuso gli occhi di fronte alla islamizzazione dell'Egitto, all'introduzione di leggi speciali che nemmeno Mubarak aveva mai avuto il coraggio di introdurre. Sta chiudendo gli occhi di fronte alle recenti sommosse popolari che chiedono vera democrazia e non la Sharia, si è girato dall'altra parte quando Morsi ha aperto all'Iran e si è recato a Teheran, ha accettato che il regime egiziano ospitasse i leader di Hamas diventandone il portavoce ufficiale. Ma adesso si è davvero superato ogni limite e questa continua fomentazione dell'odio razziale da parte dell'Egitto nei confronti dello Stato Ebraico di Israele e degli ebrei di tutto il mondo, non può essere più tollerata.
La comunità internazionale ha il dovere di intervenire senza esitazioni bloccando immediatamente qualsiasi aiuto al regime egiziano, tanto più se si tratta di aiuti militari. Non solo, occorre iniziare a riflettere se sia il caso o meno di lasciare una via di comunicazione importante come il Canale di Suez in mano di estremisti islamici come i Fratelli Musulmani. Non è più il tempo di girarsi dall'altra parte ma, al contrario, è il momento di intervenire con decisione contro questi fanatici islamici prima che sia troppo tardi.
(Rights Reporter, 30 gennaio 2013)
Elezioni - Peres inizia le consultazioni
GERUSALEMME - Ad una settimana dalle elezioni legislative, il capo dello Stato israeliano Shimon Peres inizia oggi le consultazioni con le 12 liste rappresentate alla Knesset (parlamento) per stabilire a chi affidare l'incarico della formazione di un nuovo governo.
Stasera riceverà i delegati delle due liste maggiori (Likud Beitenu e Yesh Atid), e domani quelli delle altre. A quanto risulta, 83 dei 120 deputati ritengono opportuno confermare Benyamin Netanyahu, per la terza volta, alla carica di primo ministro.
(TicinOnline.ch, 30 gennaio 2013)
Drusi: ospitali e coraggiosi
Un popolo arabo, diverso dai musulmani.
di Paola Abbina
La cittadina Majdal al-Shams
Inizia con questo articolo una serie di approfondimenti che nei prossimi mesi racconteranno i diversi gruppi sociali che costituiscono la variegata e dinamica società israeliana. Il primo gruppo che proponiamo sono i drusi che, già nel 1167 il celebre viaggiatore ebreo Beniamino da Tudela - giunto nella città di Sidone, nel sud dell'attuale Libano - così descriveva nel suo diario: "un popolo che dimora nei monti, crede nella reincarnazione delle anime ed ama gli ebrei: un popolo chiamato drusi". Oggi i drusi che risiedono su territorio israeliano sono circa poco meno di 100mila, divisi soprattutto tra i villaggi del Monte Carmel e della Galilea e quelli del Golan, in particolare a Majdal al-Shams, una piccola cittadina arroccata a 1130 metri di altezza al confine tra la Siria e il Libano. Prima della Guerra dei sei giorni i drusi di Majdal al-Shams erano cittadini siriani. Dopo il 1967 e poi con la guerra dello Yom Kippur del 1973 le popolazioni dell'Alta Galilea e del Golan passarono sotto il controllo di Israele. Sebbene la Siria continui a considerare i drusi di Majdal al-Shams come suoi cittadini, Israele tuttavia ha concesso la cittadinanza a tutti i drusi che abitano sulle alture del Golan - gli altri insediamenti sono Buq'ata, Mas'ade e Ein Qiniyye. Ma solo il 10 per cento ha accettato di beneficiare della cittadinanza israeliana. Israele rilascia comunque loro un lasciapassare per viaggiare all'estero, dove vengono definiti genericamente come «abitanti delle alture del Golan». Per questo famosa è la Shouting hill, la collina delle grida dove la gente sale per comunicare oltreconfine a fratelli, cugini e amici se è morto qualcuno, oppure se c'è stato un matrimonio o la nascita di un bimbo. Israele e Siria non si parlano. La prima a farne le spese è appunto questa minoranza etnico-religiosa, spaccata dalle guerre in cui loro sono stati coinvolti senza volerlo. Dato che i drusi di Majdal al-Shams e degli altri villaggi sono cittadini israeliani e risiedono stabilmente sul suolo israeliano hanno anche diritto all'assistenza sanitaria statale, a vivere e muoversi liberamente sul territorio nazionale e lavorare senza problemi all'interno dei confini. Oltre che di agricoltura e allevamento, la maggior parte degli abitanti di Majdal al-Shams si guadagna da vivere grazie al turismo.
Questo villaggio di confine è infatti l'ultimo insediamento umano abitato prima di arrivare al Mount Hermon Ski Resort, l'unico comprensorio sciistico di Israele. Anche se l'azienda che gestisce gli impianti è di proprietà israeliana, la maggior parte delle persone che lavorano nella stazione sciistica è di origine drusa, come quasi tutti i maestri di sci, gli addetti alla sicurezza sulle piste, gli impiantisti, i camerieri dei bar ed altri. Un'altra importante comunità drusa è a Daliat al Carmel.
Qui i residenti sono noti per la loro ospitalità e per la conservazione del proprio patrimonio culturale. Ci sono numerosi siti storici che circondano il paese, come la Muhraka, il Monastero carmelitano che si trova sulla punta della montagna in Daliat el-Carmel. Secondo la tradizione, qui è dove il Profeta Elia ha combattuto con gli emissari di Baal. Si vedono una chiesa, un boschetto, uno splendido giardino e un punto di osservazione straordinario sul tetto del monastero.
C'è poi la Casa Oliphant che prende il nome da Sir Lawrence Oliphant, che vi abitò con la moglie, Lady Alice Oliphant, e il suo segretario, Naphtali Herz Imber, che ha composto l'inno nazionale "Hatikvah". La casa è stata costruita in stile inglese antico su una collina che domina il mare.
Oggi serve come sito di commemorazione per i soldati drusi caduti. Inoltre adiacente alla casa vi è un muro di mattoni coperto di dipinti che documentano la firma dei trattati di pace di Israele con Egitto e Giordania. La comunità drusa è stata fondata nell'XI secolo dal sovrano fatimide Tariqu l-Hakim, che governò l'Egitto. Egli ha fondato una religione monoteista, un ramo del Movimento islamico Ismailia, le cui origini derivano dal Corano e da manoscritti filosofici, arabi, persiani, greci e altri. In origine i drusi sono stati chiamati "al-muwahhidun": coloro che credono nell'unità di Dio. Tuttavia essi sono anche chiamati "Figli della Ma'aruf", o figli di benevolenza, per la loro generosità, il coraggio e l'integrità. La religione drusa è divisa in due gruppi: Al Uqqal che è un gruppo di sacerdoti che sola possiede la conoscenza dei segreti della religione; e Al Juhhal, il gruppo laico che non ha diritto di leggere il libro sacro. Come è noto i drusi servono in tutte le forze armate israeliane dal 1956. Basta ricordare l'ultimo caso, solo in ordine di tempo, del soldato druso - Magiadi Chalabi - scomparso sette anni fa e i cui resti sono stati ritrovati a ottobre 2012.
(Shalom, gennaio 2013)
Lamericano Abedini condannato a otto anni di carcere in Iran per «attività cristiane»
Abedini, sposato con due figli e musulmano convertito al cristianesimo, è stato arrestato a settembre. Le "attività cristiane" per cui è stato condannato sarebbero state compiute nei primi anni 2000.
di Leone Grotti
Saeed Abedini, americano di origini iraniane, è stato condannato a 8 anni di carcere in Iran «per avere minacciato la sicurezza nazionale del paese esercitando la sua leadership nei confronti delle comunità cristiane». Abedini, sposato con due figli e musulmano convertito al cristianesimo, è stato arrestato per la prima volta nel 2009 dopo essere tornato nel suo paese per un viaggio. Costretto a firmare un figlio dove si impegnava a non fare proselitismo, dopo diversi altri viaggi in Iran, durante i quali ha anche fondato un orfanotrofio, a settembre 2012 è stato arrestato ancora con l'accusa di avere violato il documento.
PROCESSO IRREGOLARE. L'uomo è stato condannato da Pir-Abassi, considerato un «giudice spietato», responsabile di numerose impiccagioni, nonostante le promesse di rilasciarlo su cauzione. Le "attività cristiane" per cui è stato condannato Abedini, sarebbero state compiute nei primi anni 2000, quando era presidente Khatami, che lasciava più spazio alla libertà religiosa. Nonostante la legge iraniana richieda un verdetto scritto, nel caso di Abedini non c'è alcun documento ma solo una sentenza orale.
TORTURA PSICOLOGICA. La moglie di Abedini ha dichiarato al Centro americano per la giustizia e la legge (Aclj), in costante contatto con la famiglia: «Avevano promesso di rilasciarlo, hanno mentito. La falsa speranza che il governo iraniano ci ha lasciato è come una tortura psicologica. Ora sono devastato, ma tenterò con ogni sforzo di riportare mio marito in America».
TESTIMONI MINACCIATI. Al processo, durato neanche una settimana, l'avvocato di Abedini non è stato ammesso in aula, i testimoni sono stati minacciati e lo stesso Abedini, che temeva di «essere impiccato», è stato più volte picchiato in prigione. Ora dovrà scontare la pena nella prigione di Evin, una tra le più brutali nella capitale dell'Iran, mentre Aclj continua a chiedere al governo americano di fare pressione sul regime iraniano per ottenere il suo rilascio.
(Tempi, 30 gennaio 2013)
Israele sblocca fondi ai palestinesi
GERUSALEMME, 30 gen. - Israele ha annunciato di aver scongelato circa 92 milioni di euro di fondi destinati all'Autorita' nazionale palestinese (Anp). 'La decisione e' stata presa dal premier Benjamin Netanyahu a causa delle grandi difficilta' finananziarie dell'Anp', ha spiegato un portavoce dell'ufficio del primo ministro. All'inizio di dicembre il governo dello Stato ebraico aveva bloccato le tasse riscosse per l'Anp dopo che l'Assemblea generale dell'Onu aveva riconmosciuto alla Palestina lo status di stato oservatore non membro. .
(la Repubblica, 30 gennaio 2013)
Stanley Fischer lascia a sorpresa la Banca d'Israele
Stanley Fischer
Doccia fredda per la Banca centrale israeliana, che ha ricevuto le dimissioni inattese del Governatore Stanley Fischer, 69 anni, proprio nel bel mezzo del suo secondo mandato. Il numero uno della Banca di Israele ha rassegnato le dimissioni direttamente al Premier Benjamin Netanyau, con due anni di anticipo dispetto alla scadenza del termine. Le dimissioni saranno effettive dal 30 giugno
Fischer, che nella sua vita ha ricoperto cariche importantissime, come quella di vice direttore del FMI e di vice Presidente di Citigroup, non ha dato spiegazioni per il suo ritiro.
L'addio di Fischer, indubbiamente, non è una buona notizia per Israele, perché getta nell'incertezza l'economia, dopo l'importante lavoro svolto dal Governatore dimissionario. Infatti, Fischer, puntando sui parametri della crescita e dell'occupazione oltre che sulla stabilità dei prezzi, ha consentito all'economia israeliana di uscire dalla crisi molto prima di altri Paesi (dal 2009 l'economia ha segnato una forte crescita del 14,7%).
Immediata la reazione dei mercati, che hanno spinto al rialzo i rendimenti dei titoli di stato israeliani, mentre la valuta locale, lo Shenkel, si è subito deprezzata contro il dollaro.
(teleborsa, 30 gennaio 2013)
Allarme rosso in Israele per gli arsenali chimici in Siria
Si teme il passaggio a Hezbollah. Contatti serrati con Usa e Russia
TEL AVIV, 28 gen - Allarme rosso in Israele per la minaccia degli arsenali chimici della Siria, ed in particolare il pericolo che essi possano cadere nelle mani degli Hezbollah libanesi o di gruppi ribelli legati ad al-Qaida. Mercoledì, il giorno dopo le elezioni politiche, il premier Benyamin Netanyahu ha convocato una consultazione urgente. Il ministro della Difesa Ehud Barak ha interrotto la sua partecipazione al vertice economico di Davos (Svizzera) e ha fatto rientro in patria. Subito dopo, nel nord di Israele è stato elevato il livello di allerta e alla periferia di Haifa è stata installata una batteria di difesa aerea 'Iron Dome', Cupola di ferro.
In parallelo è cresciuta l'attività diplomatica volta a circoscrivere la crisi siriana. Netanyahu ha incontrato a due riprese l'ambasciatore degli Stati Uniti Dan Shapiro e ha ricevuto una delegazione di parlamentari statunitensi: la questione siriana ha dominato l'agenda degli incontri. Al tempo stesso il Consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, Yaakov Amidror, è stato inviato in Russia.
Secondo la stampa israeliana, la Siria dispone di arsenali chimici immensi: Maariv parla di mille tonnellate. Altri indicano quantità minori, ma sempre molto consistenti. Per il momento, ha affermato il generale Amos Ghilad (un consigliere di Barak) quelle armi sono ancora sotto il controllo del regime di Bashar Assad. Ma in Siria, avverte, "c'é una eruzione vulcanica" che può alterare la situazione in ogni momento.
Il sito web Ynet ha affermato da parte sua che gli Hezbollah hanno eretto proprie installazioni in prossimità di basi siriane dove sono custodite armi chimiche: uno sviluppo che desta preoccupazione in Israele. Che va inoltre ad aggiungersi al timore che raggiungano gli Hezbollah anche moderne armi siriane: fra cui missili terra-mare capaci di colpire il porto di Haifa, i pozzi di ricerca di gas naturale nel Mediterraneo ed alcune linee di navigazione israeliane. I timori di Israele sono condivisi, a quanto risulta, da altri Paesi della regione: fra questi Turchia e Giordania, che seguono gli sviluppi della guerra civile siriana in sintonia con gli Stati Uniti.
A quanto risulta alla stampa israeliana, esisterebbero piani di emergenza che prevedono l'ingresso immediato in Siria (qualora l'esercito di Assad fosse sopraffatto) di migliaia di militari turchi e giordani incaricati di presidiare gli arsenali chimici per il tempo necessario a consentire l'arrivo di esperti internazionali. Costoro dovrebbero provvedere poi alla loro rimozione e distruzione. Scenari comunque ricchi di mille incognite, che tolgono il sonno ai responsabili israeliani della sicurezza.
(ANSA, 28 gennaio 2013)
Lucillo Merci, il bolzanino che salvò centinaia di ebrei
Una storia poco conosciuta: durante la guerra fornì documenti italiani alla comunità di Salonicco
di Martin Pilotto
Lucillo Merci
BOLZANO - In occasione delle iniziative legate alla Giornata della memoria, la sala Romer di Castel Mareccio ha ospitato una serata dedicata a Lucillo Merci, un "bolzanino coraggioso" che ha salvato centinaia di ebrei dallo sterminio.
Carla Giacomozzi, direttrice dell'Archivio storico del Comune, ha ripercorso la storia di Merci, molto simile a quella, più nota, di Giorgio Perlasca. Dopo aver lavorato in provincia di Bolzano come insegnante, direttore didattico e podestà del comune di Malles, Lucillo Merci è capitano dell'esercito italiano durante la seconda guerra mondiale. Nel 1943, grazie alla sua profonda conoscenza della lingua tedesca, finisce per lavorare come interprete al consolato italiano di Salonicco, nella Grecia occupata dai nazisti, dove trova il coraggio, insieme ai consoli Zamboni e Castruccio, di sfidare le SS, sottraendo allo sterminio più di 300 ebrei greci destinati alla deportazione.
Un'operazione resa possibile dal rilascio di documenti attestanti la cittadinanza italiana, che permette di salvarsi raggiungendo Atene o l'Italia. Dopo l'8 settembre, data dell'armistizio e della fine dell'alleanza tra l'Italia fascista e la Germania nazista, Merci viene arrestato e poi liberato dal console Castruccio.
Tornato in patria alla fine del suo mandato, continua ad aiutare fuggiaschi e perseguitati, riuscendo a salvare alcuni di loro spacciandoli per insegnanti. Dopo la guerra, Merci sceglie di non parlare di ciò che accadde in Grecia, ma gli sforzi, il lavoro estenuante e le violenze di cui la comunità ebraica ed egli stesso furono vittime, vengono narrati in un diario scritto di suo pugno. Un diario che Merci decide di inviare a Gerusalemme, all'istituto Yad Vashem per le vittime dell'Olocausto. E' grazie all'impegno e agli studi di Gianfranco Moscati e agli studiosi dell'Archivio cittadino che siamo a conoscenza della sua storia, misconosciuta fino al 2007, anno in cui il Comune di Bolzano ha reso pubblica questa ricerca, e il sindaco ha consegnato una targa ricordo alla famiglia Merci. Finora è questo, insieme a un riconoscimento della comunità ebraica di Salonicco per aver salvato 113 vite, l'unico ringraziamento ricevuto dal Lucillo Merci per il proprio coraggio, fatica e amore per il prossimo.
(Alto Adige, 28 gennaio 2013)
DLD Ventures investe nel fondo start-up israeliano Lool
MONACO - DLD Ventures, braccio d'investimento di Burda Digital GmbH, ha investito nel fondo venture capital israeliano lool ventures L.P., attestandosi come uno degli investitori chiave del fondo. Tra gli altri investitori lool ci sono importanti investitori istituzionali israeliani e internazionali, ma anche business angel (investitori informali) e imprenditori.
Con base a Tel Aviv, lool ventures è impegnata a investire in start-up israeliane che operano sui mercati internazionali nel settore digitale, alle prime dirompenti fasi d'avvio. Il portfolio include investimenti diretti nelle aziende, incubazione di idee proprie, impostazione di start-up. Tra gli attuali investimenti citiamo: Tonara, un'App per tablet che sta rivoluzionando il settore degli spartiti musicali, il servizio text-to-video (da testo a filmato) di Wibbitz, il servizio Zooz per i pagamenti via cellulare, e il programma MyPermissions, che amministra l'accesso di App e servizi alle informazioni personali.
Markus Scheuermann, Amministratore Delegato di DLD Ventures, ha dichiarato: "Il nostro investimento nel fondo venture capital Lool ci permette di investire in modo indiretto nelle fasi iniziali delle start-up promettenti con modelli aziendali convincenti e innovativi. Abbiamo intenzione di incrementare la nostra attività nel mercato israeliano della crescita tecnologica".
Avichay Nissenbaum e Yaniv Golan, fondatori di Lool, hanno già fondato aziende di successo. Possiedono provata esperienza sia come imprenditori seriali sia come investitori di successo, ben presenti sulla scena delle start-up israeliane con accesso a numerose nuove ed entusiasmanti venture.
Avichay Nissenbaum, General Partner di lool ventures L.P., ha affermato: "La decisione di DLD Ventures di investire in lool ventures è un'ulteriore conferma della nostra strategia e del nostro modello. Siamo entusiasti di questa partnership strategica e ansiosi di sfruttare sia le ineguagliabili competenze di DLD Ventures e di Hubert Burda Media nel settore tecnologico europeo e internazionale, sia il loro ampio portfolio di proprietà media on-line. Si tratta di importanti investitori internazionali, con ottime competenze nei settori della tecnologia e delle tendenze on-line".
Con più di 4.000 aziende start-up, la concentrazione di imprese high-tech in Israele è seconda solo a quella della Silicon Valley californiana. Israele, una nazione veramente digitale, è al terzo posto nella classifica delle società registrate al NASDAQ, dopo USA e Canada.
(informazione.it, 29 gennaio 2013)
"Only in New York", e non sembra nemmeno ebreo...
Direi addirittura che non è il tipo...
Nella stazione metropolitana Times Square (New York) questo musicista nero ha suonato non-stop della musica ebraica. E' stato uno dei grandi momenti di "Only in New York" (succede solo a New York): un sassofinista nero interpreta soltanto musica ebraica. Un puro regalo.
Certo, se volesse fare una cosa simile in Europa dovrebbe avvertire la polizia. Bravo!
(Philosémitisme, 28 gennaio 2013)
Segnali di coscienza per Sharon, in coma dal 2006
Ariel Sharon mostra segnali di attività cerebrale e comunica con i figli.
L'ex primo ministro israeliano, 84 anni, è in coma da 7 anni, quando fu colpito da un ictus. Da allora è sempre rimasto in stato vegetativo.
Giovedì scorso, è stata rilevata una reazione metabolica, quando gli sono state mostrate le foto di casa e quando ha sentito la voce del figlio Ghilad.
"Non possiamo avanzare ipotesi - precisa il rpofessor Alon Friedman, neurologo - Ma ora sappiano che recepisce informazioni dalla sua famiglia e dal personale medico e le elabora anche. Forse in alcuni momenti era cosciente questo è molto importante per la famiglia".
Anche se le risposte di Sharon alle stimolazioni non significano una totale ripresa di coscienza, i medici hanno definito questa circostanza incoraggiante, anche perché l'ex premier israeliano respira autonomamente.
Sharon venne ricoverato il 4 gennaio del 2006. Aveva fondato da poco il partito centrista Kadima che alle successive elezioni, senza il suo carisma, conquistò più deputati del Likud, ma non sufficienti per guidare il governo.
L'esercito israeliano posiziona batterie missilistiche al confine nord del paese
GERUSALEMME, 28 gen - Israele e' sempre piu' preoccupato della possibilita' che l'arsenale siriano, comprendente diverse armi chimiche, possa cadere in mano di stati nemici del popolo israeliano. Per questo l'esercito ha posizionato due batterie del sistema missilistico di difesa Iron Dome al confine nord del paese.
A dichiararlo all'AFP e' una fonte della sicurezza militare israeliana, che ha spiegato come la preoccupazione principale di Gerusalemme sia quella i militanti sciiti di Hezbollah, che secondo gli ambienti militari israeliani appoggiano attivamente i soldati di Bashar al Assad contro l'opposizaione sunnita, possano entrare in possesso delle armi chimiche del dittatore.
Se Assad perdesse il controllo sul suo arsenale, a quel punto ''non ci sarebbe tempo per la diplomazia'' ha aggiunto la fonte, che ha voluto mantenere l'anonimato.
Intanto il quotidiano Maariv ha rivelato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe inviato ''urgentemente'' il suo consigleire per la sicurezza nazionale a Mosca per incontrare il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, al quale avrebbe chiesto rassicurazioni sul futuro delle armi del dittatore siriano.
(ASCA, 28 gennaio 2013)
Israele, un soggetto essenziale della teologia biblica
Rinaldo Diprose, Israele e la Chiesa, ed. IBEI, 2012, p. 159, € 15
E' uscito recentemente, edito dall'Istituto Biblico Evangelico Italiano, il libro "Israele e la Chiesa" di Rinaldo Diprose, che costituisce una sintesi in forma divulgativa di un altro testo, molto più poderoso, uscito con lo stesso titolo nel 1998. Per avere un'idea del contenuto è utile riportare i titoli dei dodici capitoli che costituiscono l'opera:
Israele, un soggetto essenziale della teologia biblica
La natura e gli scopi dell'elezione d'Israele
Ciò che i patti biblici insegnano riguardo ad Israele e alla Chiesa
Israele fra passato e presente
Il futuro d'Israele
Il rapporto fra Israele e la Chiesa
L'origine della Teologia della Sostituzione
Gli effetti della Teologia della Sostituzione sull'Ecclesiologia
Gli effetti della Teologia della Sostituzione sull'Escatologia
Ritorno alle Scritture
La nuova visione maggioritaria e la dottrina della salvezza
Ciò che il nostro studio ci ha insegnato
La pubblicazione è usabile sia come libro da leggere personalmente, sia come testo di studio per gruppi che volessero intraprendere un approfondimento del tema sotto la guida di un istruttore. I capitoli sono dunque presentati come "Lezioni", e a scopo didattico è allegato anche un "Libretto degli esami" con domande per ogni lezione.
Alla fine della prima lezione l'autore elenca quattro ragioni per cui Israele deve essere considerato un soggetto essenziale della Teologia biblica. Le riportiamo qui in forma leggermente abbreviata.
La prima di queste quattro ragioni è strettamente legata al fatto che Israele è il secondo protagonista della storia della salvezza, secondo soltanto a Dio stesso. Essendoci così tanti riferimenti ad Israele in entrambi i Testamenti, è impossibile leggere la Bibbia correttamente senza dare la dovuta importanza a questo popolo. Alcuni anni fa un'insegnante di scuola domenicale di una chiesa evangelica disse alla sua classe che quando trovavano il termine «Israele» nel testo dell' Antico Testamento, avrebbero dovuto sottintendere «Chiesa». Degli studenti della sua classe almeno uno considerò strano questo insegnamento. Aveva ragione. Infatti, il tentativo di leggere l'Antico Testamento in questo modo non funziona.
Un' altra ragione per cui Israele deve essere incluso in qualsiasi tentativo di fare Teologia biblica è che Dio ha scelto di rivelare Sé stesso e i Suoi piani a tutto il mondo attraverso la storia d'Israele e gli scritti dei profeti d'Israele. Al tempo di Gesù, che era della tribù di Giuda e il Profeta per eccellenza, ci fu un risveglio del dono di profezia in Israele con il risultato che noi oggi possediamo un secondo corpo di scritti canonici inerenti al nuovo patto profetizzato da Geremia (31:31-34). Dal momento che la storia della rivelazione speciale s'intreccia con la storia d'Israele, è impossibile comprenderla pienamente prescindendo dallo strumento, Israele, di cui Dio si è servito per realizzarla (Ro 3:1-2). Infatti la storia d'Israele, compresi tutti i resoconti della disubbidienza di questo popolo e dei relativi castighi divini, figura tra i mezzi attraverso i quali Dio ha rivelato la sua volontà all'umanità e dai quali la Chiesa è invitata a imparare delle lezioni importanti (Ro 15:4; 1 Co 10:6-11; cfr. Eb 1:1-2; 2 Ti 3:16- 17).
La ragione principale per cui Israele è una parte essenziale della Teologia biblica è che «la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4:22). Il Figlio incarnato di Dio è venuto come il Messia promesso ad Israele, inviato in primo luogo per salvare il popolo eletto dai suoi peccati (Mt 1:21). Ma, come predetto dai profeti d'Israele, il Messia Servo è stato mandato anche per portare la luce della salvezza a tutte le nazioni (Is 49:5-6; Lu 2:29-32; Ro 9:5). Questo è stato l'adempimento più importante della promessa fatta ad Abraamo: «in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Ge 12:3; Ga 3:8; 4:4). Pertanto, per comprendere il piano divino di salvezza, dobbiamo dare il giusto peso alla dichiarazione che Gesù ha fatto alla samaritana: «la salvezza viene dai Giudei». In altre parole dobbiamo prendere sul serio la scelta di Dio di benedire il mondo per mezzo del popolo giudaico.
Infine, come Israele ha avuto un ruolo di vitale importanza nel primo avvento del Messia, così è destinato ad avere un ruolo determinante nel Suo secondo avvento, nella realizzazione del regno universale di pace e giustizia (Is 2:1-5; 11:1-10; Za capp. 12 -14; cfr. At 3:19-21). Quindi è impossibile comprendere i piani di Dio per il futuro di questo mondo senza considerare il ruolo d'Israele in questi piani.
Quest'ultima ragione per ritenere Israele una parte essenziale della Teologia biblica, ha delle implicazioni sul modo di considerare la storia attuale d'Israele e sulle deliberazioni delle Nazioni Unite che, troppo spesso, vengono prese a favore dei paesi confinanti con Israele che vorrebbero la nazione giudaica cancellata dal mappamondo. Se in futuro Israele dovrà essere restaurato al suo posto alla testa delle nazioni (De 28:12-13), ne consegue che ciò che succede ora in Israele e nel Medio Oriente non può essere sottovalutato. Già la rinascita d'Israele ha visto il ritorno in massa di Ebrei dalla Diaspora nella Terra Promessa (Is 43:5-6; Ez 36:24), il riconoscimento del diritto d'Israele ad esistere come stato sovrano e il contributo straordinario del popolo ebraico nel campo delle ricerche mediche e scientifiche nell'interesse del benessere dell'intera umanità (cfr. Ro 11:12,15).
Ogniqualvolta c'è di mezzo Israele, gli avvenimenti che si verificano non sono privi di significato profetico per cui il rifiuto dei paesi confinanti a riconoscere il diritto d'Israele di esistere va visto per quello che è: l'opposizione al Dio d'Israele. Le nazioni che rifiutano di riconoscere questo suo diritto non scamperanno. Il profeta Zaccaria scrive: «Così parla il SIGNORE degli eserciti: "È per rivendicare la sua gloria che egli mi ha mandato verso le nazioni che hanno fatto di voi [Sion] la loro preda; perché chi tocca voi, tocca la pupilla dell' occhio suo"» (Za 2:8). Ne consegue che Dio leverà la sua mano contro di loro (v. 9; cfr. GI3:1-2).
Siamo grati a Rinaldo Diprose per questa sua ultima fatica. E' un libro che dovrebbe essere letto da ogni conduttore di chiesa evangelica, anche da coloro che hanno molti dubbi su "tutto questo interesse per Israele". Chi ha dubbi e perplessità in proposito dovrebbe chiarirsi le idee e decidersi a dire qualcosa di esplicito pro o contro l'argomento, invece di limitarsi a scrollare il capo rimarcando eccessi e stranezze che pur si trovano tra i "patiti" di Israele. Il libro di Diprose è ben documentato: se dopo averlo letto fino in fondo con attenzione non si è d'accordo, sarebbe utile entrare nell'argomento e proporre ai lettori, possibilmente per iscritto e con lo stesso rigore dell'autore, spiegazioni storico-bibliche più adeguate e convincenti. La reazione più semplice e diffusa è invece questa: evitare l'argomento e continuare a dire e fare come se il tema Israele non esistesse. E anche questo è un segno, insieme a tanti altri, di quella "superbia dei Gentili" di cui si è parlato in altra sede. M.C.
Il libro può essere ordinato direttamente all'IBEI: amministrazione@ibei.it.
(Notizie su Israele, 28 gennaio 2013)
Inaugurato il memoriale della Shoah alla Stazione Centrale di Milano
L'ex deportata Lilliana Segre: «L'indifferenza è il sentimento più colpevole»
MILANO - La cerimonia di inaugurazione del Memoriale della Shoah si è conclusa con il racconto di Liliana Segre, che, proprio dal binario 21 della stazione centrale, dove sorge il museo, fu deportata ad Auschwitz. La Segre, 82 anni, ha raccontato la sua storia e di quelle «605 persone che, il 30 gennaio 1944, per colpa di essere nati, furono spinti, con parolacce, dentro questi locali» caricati su treni bestiame e portati nel campo polacco. «Ho molto insistito che fosse scolpita la parola «indifferenza» sul muro di ingresso» di questo Memoriale, ha raccontato la Segre, aggiungendo che, a suo giudizio, l'indifferenza su questa vicenda è «molto più colpevole» di ogni altro sentimento.
LA CERIMONIA - Ci sono stati applausi per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e per il segretario generale della Cgil Susanna Camusso quando hanno lasciato il museo della Shoah. In precedenza, la gente che stava aspettando di poter accedere al museo, aveva riservato delle contestazioni per l'ex premier Silvio Berlusconi e qualche fischio per l'attuale, Mario Monti. I presenti si sono detti anche arrabbiati per la lunga attesa al freddo, prima di poter visitare il museo dove era in corso la cerimonia di inaugurazione.
(Corriere della Sera, 28 gennaio 2013)
Genocidio nazista: Berna già sapeva
Nel 1942 il Consiglio federale fu informato dell'opera di sterminio di Hitler
BERNA - Il Consiglio federale era a conoscenza del genocidio perpetrato dai nazisti nei campi di concentramento già nel 1942: il telegiornale della televisione svizzerotedesca SRF ha presentato questa sera documenti - finora mai pubblicati - redatti da diplomatici svizzeri durante la seconda guerra mondiale e indirizzati al governo.
Si tratta di centinaia di lettere, telegrammi e rapporti dettagliati, ma anche di fotografie. «Si può dimostrare che dal maggio 1942 informazioni relative all'uccisione di ebrei sono giunte fino a Berna», ha detto alla TV il direttore dei Documenti diplomatici svizzeri Sascha Zala.
Questi documenti erano stati consegnati al consigliere federale Eduard von Steiger che all'epoca era responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia.
Nonostante i rapporti stilati dai diplomatici, il Consiglio federale aveva deciso nell'agosto 1942 di effettuare espulsioni in massa di rifugiati stranieri civili, anche se ciò poteva mettere in pericolo la loro vita.
(Corriere del Ticino, 28 gennaio 2013)
Segni cerebrali per Sharon
L'ex premier è in coma da sette anni
Segnali di speranza per l'ex premier israeliano Ariel Sharon in coma da sette anni: i medici hanno rilevato una attività celebrale "importante". L'esame è avvenuto nei giorni scorsi quando il politico è stato sottoposto ad alcuni accertamenti. L'attività cerebrale è stata registrata dopo aver mostrato delle immagini della famiglia e dopo aver fatto ascoltare la voce del figlio a Sharon.
(TGCOM24, 27 gennaio 2013)
Autorità Palestinese: «L'Europa non ne poteva più dei complotti degli ebrei»
di Itamar Marcus, Nan Jacques Zilberdik
In occasione del 27 gennaio, Giornata internazionale dedicata alla memoria della Shoà, l'istituto Palestinian Media Watch ha ritenuto di ricordare i messaggi antisemiti e di odio e calunnia verso gli ebrei che continuano ad essere diffusi dalla tv dell'Autorità Palestinese.
Un esempio recente è il nuovo filmato sulla storia del movimento Fatah di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), intitolato "Fatah: rivoluzione fino alla vittoria", che è stato trasmesso il primo gennaio scorso in occasione delle celebrazioni per il 48esimo anniversario del primo attacco terroristico di Fatah contro Israele.
Gli autori hanno scelto di aprire il filmato con la riproposizione di una classica demonizzazione antisemita secondo la quale l'Europa "patì una tragedia per aver offerto rifugio agli ebrei". Secondo questa teoria, gli ebrei furono espulsi dall'Europa a causa dei loro "complotti, della loro corruzione e della loro scalata ai posti di potere", che esasperarono gli europei al punto da non poter più "sopportare i tratti caratteriali" degli ebrei.
L'istituto Palestinian Media Watch ha più volte documentato il fatto che da anni le fonti ufficiali dell'Autorità Palestinese spiegano il sionismo come un complotto europeo volto a sbarazzarsi degli ebrei. Si veda (in inglese) il filmato trasmesso all'inizio di questo mese afferma che furono le sofferenze patite dagli europei per colpa degli ebrei la causa che portò, nei secoli passati, all'espulsione degli ebrei dai vari paesi d'Europa dove erano stati "ospitati". Fino ad arrivare alla Dichiarazione Balfour (per la creazione di una "sede nazionale" per il popolo ebraico) che - secondo il filmato palestinese - sarebbe stata appoggiata dall'Europa perché vide in essa "una soluzione ideale per sbarazzarsi di loro".
Questa è la traduzione del brano del filmato della tv dell'Autorità Palestinese:
«Di fronte ai complotti degli ebrei, l'Europa non poteva sopportate i loro tratti caratteriali, le loro prerogative esclusive, la loro corruzione, il loro controllo e la loro scalata alle posizioni di governo. Nel 1290 re Edoardo I emanò un decreto che bandiva gli ebrei [dall'Inghilterra]. Dopo di lui fu la volta di Francia, Germania, Austria, Olanda, Cecoslovacchia, Spagna e Italia. Le nazioni europee ritenevano d'aver patito una tragedia per aver offerto rifugio agli ebrei. Successivamente gli ebrei ottennero la Dichiarazione Balfour, e l'Europa vide in essa una soluzione per sbarazzarsi di loro". (AP TV, 1 gennaio 2013]
(israele.net, 27 gennaio 2013)
Purtroppo si continua con grande tenacia a registrare e diffondere le artefatte menzogne arabo-palestinesi, ma non si usa altrettanta tenacia nel contrapporre a simili menzogne le verità storiche che sono dalla parte di Israele. Questo sito ha cercato più volte di attrarre l'attenzione sulle questioni fondamentali che si trovano tra la prima e la seconda guerra mondiale, ma sembra che i difensori di Israele prediligano altri temi di discussione. Perché, per fare soltanto un esempio, non si dice quasi nulla sulla Conferenza di Sanremo del 1920 e si lasciano dire cose assurde sulla Dichiarazione Balfour? Perché non si citano le parole che il Primo Ministro britannico David Lloyd George ha detto a questo proposito nel 1939? Purtroppo, i propagatori di menzogne hanno più tenacia nella loro ripetitività di quanta ne abbiano coloro che dovrebbero difendere la verità. M.C.
Un quarto dei sopravvissuti all'Olocausto vive in povertà
GERUSALEMME, 27 gen. - Un quarto dei sopravvissuti all'Olocausto residenti in Israele vive in condizioni di poverta' e un terzo in solitudine. Questi i dati riportati dalla Fondazione per il sostegno alle vittime dell'Olocausto, resi noti da Haaretz in occasione della Giornata internazionale della Memoria. Secondo le statistiche, l'87 per cento dei sopravvissuti all'Olocausto che hanno fatto richiesta di aiuti finanziari vive con meno di 5mila sheqel al mese (poco meno di mille euro), mentre il 58 per cento vive con circa 3mila sheqel al mese (poco meno di 600 euro). Inoltre, il 70 per cento dei sopravvissuti che si sono rivolti alla Fondazione non possono permettersi cure odontoiatriche, mentre il 18 per cento ha bisogno di aiuto per acquistare gli occhiali da vista.
(Adnkronos, 27 gennaio 2013)
Netanyahu: «L'Iran vuole la nostra distruzione»
GERUSALEMME - «L'antisemitismo non è scomparso e la volontà di distruggere Israele esiste ancora»: lo ha affermato, in occasione della Giornata delle memoria, il premier israeliano Benyamin Netanyahu aprendo oggi la seduta settimanale del consiglio dei ministri.
Rivolgendosi col pensiero in particolare all'Iran, il premier ha aggiunto: «La negazione della Shoah viene portata avanti con impegno da uno Stato importante, e non più da elementi marginali. La negazione della Shoah viene condotta da un popolo i cui leader si esprimono in quel senso sia alle Nazioni Unite sia altrove, evocando peraltro la fine dello Stato degli ebrei».
«Costoro - ha detto ancora Netanyahu - non cessano la corsa agli armamenti nell'intento di dotarsi di armi atomiche e con lo scopo di utilizzarle». «Noi sventeremo quelle minacce - ha assicurato. - Questo è il nostro primo obiettivo, come governo e come popolo».
«Con la prospettiva di non pochi anni dalla Shoah - ha osservato Netanyahu - la volontà di sterminare il popolo ebraico non è cambiata. Quello che è cambiato - ha notato - è la capacità degli ebrei di difendersi: nessuno difenderà gli ebrei meglio di quanto possano fare essi stessi».
(Il Secolo XIX, 27 gennaio 2013)
"Shoah menzogna", scritte di Militia sul Museo della Liberazione
"Israele non esiste", slogan antisemiti sulle mura di via Tasso alla vigilia del Giorno della Memoria nei locali che erano la sede della Gestapo durante l'occupazione tedesca
La scritta comparsa sul muro di via Tasso
ROMA - Scritte antisemite a firma 'Militia' sono comparse su alcuni muri in centro a Roma, a poche ore dalle celebrazioni del 'Giorno della memoria'. ''27 gennaio: Shoah, solo menzogne e infamità''. Questa una delle scritte con spray nero fatte sulle mura di via Tasso, all'altezza del civico 161, dove si trova il Museo della Liberazione nei locali che erano la sede della Gestapo durante l'occupazione tedesca, cancellate dalle squadre dell'ufficio decoro urbano della Capitale.
E ancora ''Israele boia. 27 gennaio: non ho memoria. Israele non esiste, morte ai sionisti''. Sul posto sono intervenuti gli agenti del commissariato Esquilino.
Il gesto avviene alla vigilia del giorno della memoria per cui sono in programma diverse iniziative in città: luci spente al Colosseo e cubi di ghiaccio secco che, evaporando, riveleranno tracce di vite spezzate. Anche l'arte contemporanea ricorderà, dunque, la tragedia della Shoah con le installazioni di ghiaccio di Massimo Attardi, che accoglieranno i visitatori dei principali musei del Centro, dai Capitolini al Palazzo delle Esposizioni, in un ideale percorso verso il il Ghetto. Moltissimi gli eventi organizzati nel weekend anche in altri spazi culturali della città.
(la Repubblica - Roma, 26 gennaio 2013)
"Israele non esiste": un'altra conferma che l'antisionismo è precisamente la forma che ha assunto oggi l'antisemitismo di ieri.
I numeri della Shoah
5.978.000 le vittime della Shoah: è il bilancio del Congresso Ebraico mondiale fatto nel '46, un anno dopo la fine della guerra. La maggioranza degli ebrei sterminati erano originari della Polonia e dell'URSS,"ossia circa due terzi dell'ebraismo europeo e all'incirca il 40% dell'ebraismo mondiale".
La mappa del genocidio (da "Storia della Shoah" di Georges Bresson)
Dal numero degli ebrei all'inizio e alla fine della guerra si ha il bilancio delle perdite e la grandezza dell'orrore.
Polonia
URSS
Ungheria
Romania
Germania
Cecoslovacchia
Grecia
Paesi Bassi
Francia
Jugoslavia
Austria
Bulgaria
Albania
Lussemburgo
Belgio
Norvegia
Danimarca
Italia
Il piano nazista per "vendere" un milione di ebrei agli alleati
ROMA, 26 gen. - Ebrei in cambio di denaro. Tanti ebrei, un milione, e tanti, tantissimi soldi, che servivano a garantirsi la fuga. Una storia che sembra incredibile ma e' vera ed e' in gran parte inedita: si svolge in Ungheria nel 1944. La raccontano il giornalista Fabio Amodeo e il ricercatore Mario Jose' Cereghino sulla base di un'ampia indagine, realizzata negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, vicino Londra, dove sono conservati centinaia di documenti del Foreign Office, del ministero del Tesoro e del Premier's Office. Carte classificate come "confidential", "secret" e "top secret".
Una vicenda dai toni cupissimi "non facile da accettare, soprattutto per la sua sostanza: la compravendita di tutto, vite umane incluse", spiegano all'Adnkronos Amodeo e Cereghino. I documenti di questo dramma, sullo sfondo del secondo conflitto mondiale, in cui ognuno recita la sua parte -militari e spie, politici e faccendieri, industriali e diplomatici- sono stati raccolti nel volume "La lista di Eichmann", edito in questi giorni da Feltrinelli (pp. 216, € 13,60).
"Per i nazisti - precisa Amodeo - quando la sconfitta apparve inevitabile, obiettivo primario fu quello di accaparrarsi i tesori necessari ad attuare una via di fuga sicura per i gerarchi piu' compromessi: non i leader, ma i livelli immediatamente sottostanti. E' proprio l'ossessione del 'dopo' il fattore centrale del nostro libro".
(Adnkronos, 26 gennaio 2013)
Oltre ottomila decreti di confisca contro aziende e beni di ebrei
di Carlo Andrea Finotto
Aziende confiscate e mai riavute, permessi revocati, beni mobili e immobili letteralmente saccheggiati. Furti legalizzati. E, per chi ha avuto in sorte di ritornare dai campi di concentramento l'amara sorpresa, spesso, di sentirsi richiedere dallo Stato un indennizzo - proprio così, ai perseguitati! - per la gestione dei propri beni.
Il risvolto economico delle leggi razziali in Italia è un ulteriore mattone in quel monumento al Male che è stata la persecuzione antisemita, portata avanti con caparbia meticolosità dal regime fascista e da quello nazista. Il Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) ricorda, anche attraverso i numeri, gli effetti devastanti di quella politica: 6.806 ebrei arrestati e deportati; 5.969 morti (l'88%) e soltanto 837 sopravvissuti. A questo bilancio si devono aggiungere anche i 322 arrestati e morti in Italia, di cui 42 suicidi o uccisi mentre tentavano di sfuggire all'arresto o deceduti in seguito a gravi disagi e privazioni.
A queste cifre si aggiunge o si sovrappone, nel migliore dei casi, quello dei docenti e degli impiegati pubblici che dovettero abbandonare il lavoro, che furono privati della possibilità di esercitare una professione e, di conseguenza, di sostenere la propria famiglia.
- Le cifre della predazione Il Rapporto generale (risalente all'aprile 2001) della "Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati" non lascia scampo a chi ancora oggi dovesse cullarsi nel luogo comune "italiani brava gente". Tanti, forse. Ma non tutti.
La banca dati realizzata presso l'Archivio centrale dello Stato comprende 7.187 decreti di confisca, cui corrispondono 7.920 nominativi di persone e 230 di ditte, per un totale di 8.150 nominativi, depurati dalle ripetizioni dei nomi presenti in più decreti. Gli effetti della politica antisemita messa in pratica sotto il regime fascista nell'ambito dei "Provvedimenti per la difesa della razza italiana" si concretizzano a partire dal 1938 e si inaspriscono, per quanto possibile, con l'avvento della Repubblica sociale italiana.
I decreti di confisca riguardano in particolare la provincia di Milano, dove risultano 2.640. Ma non risparmiano quasi nessun lembo del territorio italiano: 914 in provincia di Genova, 648 in provincia di Venezia, 547 in quella di Torino, 268 sul territorio di Verona, 267 su quello di Mantova.
- L'ampiezza delle spoliazioni Nella sua introduzione al Rapporto della Commissione, Tina Anselmi sottolinea «la vastità e la ampiezza delle spoliazioni». E ricorda: «Non fu risparmiato nessuno: né i ricchi, né i poveri, né i commercianti, né le aziende industriali, né chi aveva pacchetti azionari, né chi disponeva di un modesto conto bancario. Nei decreti di confisca viene elencato di tutto: pezzi di argenteria, immobili, proprietà terriere, opere d'arte e tappeti di valore ma anche poveri oggetti di casa, oggetti personali sbattuti negli odiosi elenchi di confisca con sfacciataggine tale da indurre qualche autorità a disporre che si avesse maggiore sobrietà nella pubblicazione degli elenchi!». L'effetto del clima dell'epoca si fa sentire anche prima dell'emanazione delle leggi razziali, attraverso numerose vendite o, meglio, svendite precauzionali di immobili o aziende. E in conseguenza del fatto che non poche attività "ariane" cessano le commesse ai fornitori ebrei, provocando il dissesto di questi ultimi.
(Il Sole 24 Ore, 26 gennaio 2013)
Presto on line gli archivi archeologici di Israele
Entro la fine del mese saranno a disposizione su internet gli archivi archeologici israeliani: lo ha comunicato l'Autorità israeliana per le antichità (Iaa). Migliaia di documenti relativi alle scoperte archeologiche in Israele negli ultimi cento anni, dunque, potranno essere consultati in rete. La Iaa, riferisce il portale terrasanta.net, ha utilizzato speciali scanner per salvaguardare mappe, lettere, progetti e altri documenti conservati a Gerusalemme e ad Acri e risalenti a periodi precedenti il Mandato britannico (1919-1948). Sul portale sarà possibile consultare, ad esempio, le planimetrie della Basilica del Santo Sepolcro dopo il terremoto del 1927, mappe dello spionaggio britannico risalenti alla Prima Guerra Mondiale e progetti risalenti al 1870 relativi a edifici sul Monte del Tempio (la Spianata delle Moschee). Il patrimonio documentale cui gli utenti potranno accedere è custodito nel Museo Rockefeller di Gerusalemme, che si trova in prossimità della Porta Nuova, appena fuori il perimetro murario della città vecchia. Il museo, un tempo, è stato sede dell'Autorità per i beni archeologici del Mandato Britannico, prima di diventare sede dell'omologo dipartimento israeliano. "L'Autorità per le antichità - ha detto Uzi Dahari, vicedirettore dell'organismo - ha deciso di trasferire gli archivi su piattaforma digitale per diffondere nel mondo le informazioni che essi contengono".
(Radio Vaticana, 26 gennaio 2013)
La Sinagoga di Alessandria apre le porte per la "Giornata della Memoria"
La Sinagoga di Alessandria
Riaprono le porte della Sinagoga di Alessandria in via Milano 7, questa domenica, alle 16.00, in occasione della "Giornata della Memoria".
Il luogo di culto ebraico sarà la cornice di un incontro denso di ricordi e riflessioni sulla tragica storia vissuta dagli ebrei durante il secondo conflitto mondiale.
Il pomeriggio inizierà con il benvenuto della Professoressa Paola Vitale, rappresentante della Comunità Ebraica di Torino sezione Alessandria, proseguirà con la scrittrice Victoria Acik e le parole di Gianni Ivaldi, Assessore all'Innovazione, Aggregazione e Coesione Sociale del Comune di Alessandria.
Nel giorno della memoria, inoltre, le persone che visiteranno la Sinagoga potranno assistere, alle 16.30, a una preghiera ebraica, seguita dalla presentazione di testi letterari alternati a brani musicali, gospel e colonne sonore sul tema dell'Olocausto con Jose Beisso ed Erica Bocchio.
L'iniziativa vuole essere un momento di coesione e partecipazione per non dimenticare.
(radiogold, 26 gennaio 2013)
John Kerry tra Israele e l'islam
di Giorgio Bastiani
Sostituendo Hillary Clinton alla guida della diplomazia statunitense, il senatore democratico John Kerry (candidato alla presidenza nel 2004) si trova di fronte uno scenario difficilissimo da districare. L'Iran e il Medio Oriente sono i dossier più urgenti.
Per ora, nelle audizioni a Camera e Senato, Kerry si è concentrato soprattutto sul Medio Oriente. Il suo primo obiettivo annunciato è il ritorno al negoziato fra Israele e Palestina, interrotto sin dal 2010. Per ora non ha rivelato quali siano le linee-guida della sua strategia. Si può già intuire, però: tentare di far accettare a Israele la legittimità dei governi islamisti. Impresa disperata, considerando che sono proprio gli islamisti (i Fratelli Musulmani e la loro emanazione palestinese: Hamas) che non accettano l'esistenza stessa dello Stato di Israele.
L'Egitto gioca un ruolo chiave nella mediazione ed è governato da un presidente, Mohammed Morsi, esponente di punta dei Fratelli Musulmani. Kerry ha dimostrato, nella pratica, non solo di sostenere l'alleanza con l'Egitto (a cui gli Usa stanno vendendo altri caccia F-16), ma di volere una partnership con il partito di Morsi. Ai tempi delle prime libere elezioni egiziane, Kerry si è recato in Egitto per offrire la sua consulenza al partito islamista. A cosa mira? L'amministrazione Obama ha sempre sperato che in Egitto e altrove nel mondo musulmano, si ripetesse l'esperienza della Turchia, dove è al governo un partito islamista democraticamente eletto che non ha messo in discussione l'alleanza con gli Stati Uniti, né ha trasformato il proprio Paese in una teocrazia. Con l'Egitto, però, non è detto che si ripeta questo "miracolo", più unico che raro nella storia del mondo islamico. Il Cairo, infatti, non ha mai avuto una storia di democrazia e laicismo alle sue spalle. E, quanto alla politica estera, la vittoria di Libertà e Giustizia è l'espressione di una gran volontà di rivincita su Israele. Solo Morsi, dopo tre decenni di pace, è pronto a rimettere in discussione la lunga tregua con lo Stato ebraico. Il sostegno che Kerry darà ai Fratelli Musulmani, insomma, rischia di compromettere l'obiettivo finale, quello della pace in Medio Oriente.
La posizione di Kerry sull'Iran è l'opposto di quella sull'Egitto. Nella sua audizione al Senato, il nuovo segretario di Stato ha precisato che mira a "prevenire" e non a "contenere" l'atomica di Teheran. Dunque: si useranno tutti i metodi possibili per impedire al regime dell'ayatollah Khamenei di diventare una potenza nucleare. Ma è possibile essere falchi con l'Iran e colombe con l'Egitto? I due Paesi, benché ostili l'uno all'altro, soprattutto per motivi religiosi (il primo è sciita, il secondo è sunnita) condividono sempre di più la loro comune ostilità a Israele. Dopo decenni di chiusura, l'Egitto ha iniziato a permettere all'Iran di attraversare con le sue navi il canale di Suez. E Morsi ha dichiarato più volte di volersi riavvicinare al regime di Teheran, sostenuto da gran parte dell'opinione pubblica egiziana che lo ha votato. La politica di Kerry, insomma, rischia di rivelarsi un boomerang, proprio per la sua sottovalutazione dell'ostilità islamica a Israele.
(l'Opinione, 26 gennaio 2013)
Shoah, i disegni dei bambini di Terezin riletti da Fabrica
Le illustrazioni prendono spunto dai poemi dei piccoli detenuti del lager: in mostra a Sarno per il Giorno della Memoria.
TREVISO - I disegni dei bambini del lager rielaborati dai borsisti di Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, per la mostra in programma fino al 3 febbraio, Giorno della Memoria, al Museo Archeologico Nazionale della Valle del Sarno.
Fabrica ha accolto l'invito giunto dall'ente organizzatore, l'Onlus "Nuova Officina". L'idea è di creare una mostra sui bambini che parli sia agli adulti che ai più piccoli, con l'obiettivo di sensibilizzarli sul drammatico tema dell'Olocausto, nella convinzione che la conoscenza della storia e la presa di coscienza degli orrori del passato sono il migliore antidoto affinché questi non si ripetano.
Le sette illustrazioni di Fabrica prendono spunto dai poemi composti dai piccoli detenuti di Terezín, campo di concentramento situato nell'attuale Repubblica Ceca. I giovani borsisti, di nazionalità russa, ucraina, ecuadoregna, italiana e australiana, si sono immedesimati nei versi dei piccoli sfortunati prigionieri e hanno dato forma di immagine al loro messaggio.
Un filo spinato che diventa il gambo di una rosa, cosparso di boccioli; un cavallino a dondolo dietro le sbarre di una gabbia; le strisce nere della divisa da detenuti che si trasformano nei tronchi di un albero su cui nascono delle foglie. Questi sono i temi di alcune delle tavole, che rappresentano la tragedia della Shoah ma contengono al tempo stesso un messaggio di speranza, legato alla bellezza della natura, alla fiducia verso la bontà del genere umano e all'idea della vita che nonostante tutto vince sulla morte.
Fabrica è il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, fondato nel 1994 con l'obiettivo di fondere cultura ed industria. Fabrica invita giovani artisti/designer, offrendo loro una borsa di studio annuale e mettendo a loro disposizione un'occasione di formazione e un patrimonio di risorse e relazioni per sviluppare, sotto la guida di esperti, progetti di comunicazione culturale e sociale nelle aree del design, comunicazione visiva, fotografia, interaction, video, musica, editoria.
(la tribuna di Treviso, 25 gennaio 2013)
Educare alla violenza sin da piccini
Sette anni fa, a Gaza, l'organizzazione terroristica islamica "Hamas" vinceva le elezioni, promettendo migliori condizioni di vita per i palestinesi. Un anno dopo, nel 2007, i rivali di Al Fatah erano brutalmente allontanati dagli organi elettivi e di fatto espulsi dalla Striscia.
Purtroppo, le promesse non sono state mantenute, e chi si arrischi a manifestare dissenso, corre serio pericolo di vita. La recente crisi di novembre lo ha insegnato drammaticamente. Ma al peggio non c'è mai fine...
Il vertice di Hamas ha reso noto l'intenzione di istituire una "accademia militare", dove saranno addestrati alla violenza e al terrorismo bambini di 7-9 anni. L'annuncio è stato dato nell'ambito di una cerimonia a cui hanno partecipato oltre 10 mila bambini. Lo annuncia oggi il Jerusalem Post.
Secondo il "capo del governo" di Gaza l'accademia dovrebbe formare i quadri del movimento che aspira a «liberare la Palestina dalla terra al mare»; sottintendendo, facenda piazza pulita dei quasi otto milioni di israeliani che vivono pacificamente ai confini della Striscia.
(Il Borghesino, 25 gennaio 2013)
Il rabbino principale della Russia ha invitato gli ebrei a rispettare gli altri popoli
Rav Berel Lazar
Il rabbino principale della Russia, Berel Lazar, alla vigilia del Giorno della Memoria ha dichiarato che è necessario essere intolleranti alla predica del nazismo e nello stesso tempo ha invitato gli ebrei rispettare gli altri popoli.
"La ripetizione dell'Olocausto diventerà impossibile se noi stessi diamo un buon esempio rispettando gli altri popoli e culture e lo insegniamo ai nostri figli già da piccoli". Facendo così "noi ci inoculiamo l'immunità al virus dell' antiumanesimo" si dice nel messaggio di Lazar, diffuso del suo servizio stampa. Inoltre il rabbino ha chiesto di ricordare che gli ebrei sono "sempre in debito con i soldati dell'Armata Rossa e con le armate degli alleati che con il proprio sangue hanno salvato milioni di persone dalla schiavitù e dalla morte".
(La Voce della Russia, 25 gennaio 2013)
L'incredibile Gerusalemme di Aleksandr Smirnov
Nella Casa della Russia all'Estero "A.Solženicyn" a Mosca si è aperta la mostra di pittura di Aleksandr Smirnov intitolata "Soggetti russi e italiani. Gerusalemme. Schizzi di carattere biblico". La maggior parte dei quadri è stata realizzata durante i viaggi artistici in Italia e in Israele, e viene esposta in Russia per la prima volta.
Aleksandr Smirnov non si sforza di dare nuove interpretazioni postmoderniste agli eventi evangelici, ma prosegue nel solco della tradizione del realismo russo. Nei suoi quadri si percepisce l'influsso dei classici russi quali Vasilij Polenov, Viktor Vasnecov e Mihail Nesterov.
Una piccola parte dell'esposizione è composta di paesaggi di campagna e di scene di genere, dipinte sul posto dai pittori, nella cittadina di Nižnij Kisljaj nei pressi di Voronež.
Invece il tema principale delle creazioni di Smirnov è rappresentato da soggetti presi dalle Sacre Scritture. L'artista riflette molto sul posto dell'uomo in questo mondo, sulla libertà, sull'arte e in ogni suo quadro si tenta di comprendere cosa sia davvero l'amore. I quadri di Aleksandr Smirnov testimoniano una profonda comprensione degli eventi della storia biblica, una visione personale delle Verità divine e lo sforzo di condividere con la gente ciò che ha scoperto.
Libertà, arte e amore sono presenti in questa vita, che ci è stata donata dal Signore e non inventata dall'umanità smarrita e affannata - ha scritto Aleksandr Smirnov nel saggio "Qualche parole sulla libertà". - Soltanto essi rendono l'uomo un uomo come lo ha concepito Dio. Né la posizione eretta, né il volume del cervello con tutti i suoi meandri, né la capacità di fare con le mani dei movimenti energici, ma solo la libertà, l'arte e l'amore.
Il pittore definisce la sua arte come "Vangelo a colori". Sulle sue tele si animano letteralmente di fronte allo spettatore gli eroi delle storie bibliche, dipinti con vera maestria.
Proprio una settimana prima dell'apertura della mostra il pittore è ritornato da Israele, da dove ha portato qualche decina di studi nuovi. Ancora nel secolo XIX tra i pittori russi era nata la peculiare tradizione di viaggiare in Palestina per eseguire delle creazioni su temi biblici. Così, Vasilij Polenov nel 1881 iniziò il lavoro sul "Cristo e la peccatrice". Per la ricostruzione del veritiero contesto storico in cui si svolsero i fatti e le azioni della vita di Cristo, intraprese viaggi in Egitto, Siria, Palestina, passando anche per la Grecia.
Secondo quanto detto dallo stesso Aleksandr Smirnov, ogni visita in Terra Santa gli dona molte cose inaspettate. E ciò si riflette nella sua arte: i paesaggi di Israele si riempiono di nuovi significati. Aleksandr Smirnov passa anche qualche mese in Italia due volte all'anno. La natura di questo Paese e la sua stessa atmosfera, nella quale hanno prodotto le loro creazioni dei grandi pittori, lo aiutano a riprodurre i bellissimi paesaggi italiani, che sono presentati nella mostra.
(La Voce della Russia, 25 gennaio 2013)
Da Tel Aviv: la cannabis aiuta la disfagia
di Alessandra Del Zotto
Vita dura per i proibizionisti delle droghe leggere. Almeno per i più rigidi. Dopo lo sdoganamento dell'uso terapeutico della cannabis e la sua recente legalizzazione in due stati nord America, a Tel Aviv si studiano ulteriori applicazioni mediche.
Nello specifico gli scienziati israeliani stanno conducendo degli esperimenti per valutare gli effetti benefici della cannabis sulla disfagia, patologia frequente nei pazienti cronici che provoca difficoltà a deglutire. «Abbiamo già visto che la cannabis stimola le regioni del cervello associate al riflesso della deglutizione e crediamo che possa avere un impatto positivo» affermano dall'università di Tel Aviv.
Questo studio segue una serie di incoraggianti esperimenti condotti su un gruppo di diciannove simpatici, e c'è chi direbbe fortunati, vecchietti di una casa di riposo a cui per un determinato periodo di tempo è stata somministrata cannabis tre volte al giorno. I risultati dei test hanno dimostrato che il trattamento aiuta a ridurre spasmi, tremori, dolori e permette ai pazienti di dormire senza essere oggetti a flashback o incubi legati a stress post-traumatico.
Si deve ricordare che i benefici terapeutici legati all'uso della cannabis sono da tempo riconosciuti soprattutto nella cura di malattie come il cancro e la Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), poiché aiutano a diminuire i dolori provocati da queste patologie e a aumentano l'appetito dei pazienti.
(Nuova Società, 25 gennaio 2013)
Ketubbot in mostra all'Archivio di Stato
MILANO - Una raccolta di straordinarie Ketubbot risalenti al XVII, XVIII e XIX secolo in mostra all'Archivio di Stato di Milano. A fornire la spiegazione di ciò che le Ketubbot, contratti matrimoniali di diritto ebraico, rappresentano nella tradizione ebraica, il rabbino capo emerito della città Giuseppe Laras, che si è soffermato sul rito del matrimonio, sui vari passaggi religiosi e giuridici sul suo significato. La studiosa Stefania Roncolato ha poi illustrato al folto pubblico i dettagli delle opere esposte, non soltanto importanti documenti storici, ma anche dall'alta valenza artistica, grazie alle decorazioni che le famiglie benestanti erano solite far miniare sulle pergamene che celebravano l'unione dei propri figli. Città d'origine, elementi identificativi degli sposi e clausole per tutelare la sposa nella vita coniugale, così come in caso di divorzio o morte del marito i contenuti più significativi della Ketubbah, risalente come contratto matrimoniale al I secolo, e ulteriormente codificata in quelli immediatamente successivi. Un documento che, come precisato in seguito alle numerose domande del pubblico, rappresenta ancora il fondamento del matrimonio ebraico di oggi.
(Notiziario Ucei, 25 gennaio 2013)
Il Capodanno degli alberi: il rito ebraico del Tu Bishvat
di Francesca Pastore
LECCE - Una festa tradizionale che accoglie, abbraccia e promuove culture diverse che hanno i colori della storia e i volti della memoria. È così che Lecce, città del Barocco e della buona cucina, incontra la ricorrenza Ebraica del "Tu Bishvat", il Capodanno degli alberi, la festa di "ogni buon inizio" di prosperità e ricchezza. L'evento si svolgerà domani sera nell'accogliente location di Masseria Miele in via Cantù a Lecce ed è stato organizzato da Natura Mediterranea Società Cooperativa. Sarà qui che il rito del Tu Bisvhat prenderà forma, tra usanze e costumi che rendono unica questa festa Ebraica che significa "15 del mese Shevat" ovvero il giorno centrale del mese ebraico Shevat. Tale ricorrenza è legata al concetto di anno fiscale: nell'antica società ebraica infatti il calendario era diviso in cicli di 7 anni e ogni anno si prelevava una decima sui prodotti agricoli, per questo era importante sapere l'anno esatto dei vari prodotti. La prima decima spettava ai Leviti, su ciò che rimaneva dopo il primo prelievo si applicava una seconda decima e così via. Il calendario fiscale degli alberi è fissato in base al clima di Gerusalemme.
Il Capodanno degli alberi o Tu Bishvat, pur essendo legato in qualche modo al pagamento delle tasse, è una giornata da passare in allegria, addirittura sono assolutamente vietate manifestazioni di tristezza come le orazioni funebri. Una festa d'inizio quindi, legata alle tradizioni contadine che hanno trovato il consenso e l'attenzione dei responsabili di Masseria Miele che amano proporre ai propri ospiti sapori e colori nostrani ma anche provenienti da paesi lontani. Ed ecco perché si festeggerà il Tu Bishvat con gli elementi essenziali della tradizione ebraica: la preghiera per gli alberi perché diano buoni frutti, la frutta e i suoi colori, tradizioni legate agli alberi.
Il tutto in un tripudio di sapori, immagini, storie, leggende e letteratura. Altri modi di ricordare questo giorno sono cerimonie di piantagione di alberi, iniziate in Eretz Israel nei primi decenni del secolo scorso, come testimonianza di attaccamento alla terra e all'importanza della ripresa della vita agricola, e della riforestazione in particolare.
(Quotidiano di Puglia, 25 gennaio 2013)
Risonanza magnetica per Sharon
Lex premier in coma da sette anni. Le condizioni restano invariate
TEL AVIV, 25 gen - In coma de 7 anni, l'ex premier Ariel Sharon (85) e' stato portato ieri nell'ospedale Soroka di Beer Sheva dove e' stato sottoposto a risonanza magnetica. Al termine dell'esame Sharon e' stato ricondotto nel Centro medico Sheba di Tel Aviv, dove e' ricoverato dal 2006. ''Le sue condizioni restano invariate'', ha detto in nottata un portavoce del centro medico. Lo scopo dell'esame, secondo la stampa, era di stabilire se esista alcuna residua probabilita' di miglioramento.
(ANSA, 25 gennaio 2013)
Il rabbino capo Ysrael Meir Lau: la nostra vendetta sta nell'essere ancora qui
"I morti non ci danno il diritto al perdono", dice in visita da Tel Aviv a Roma
di Virginia Di Marco
ROMA - "La nostra vendetta è essere sopravvissuti, il popolo ebraico vive". Quando Rav Ysrael Meir Lau, rabbino capo di Tel Aviv e sopravvissuto alla Shoah, ha oggi pronunciato queste parole, nella Sinagoga del vecchio ghetto di Roma, l'altissimo soffitto del tempio si è riempito del suono di applausi appassionati.
Questo rabbino ultra settantenne, indicato in passato come potenziale presidente israeliano, è venuto in visita nella capitale a ridosso della Giornata della Memoria (27 gennaio). Accompagnato dalle massime cariche della comunità ebraica romana, al suo ingresso in sinagoga ha trovato una folla straripante: qualche volto noto della politica italiana, alcuni ex deportati e soprattutto tanti bambini e ragazzi venuti per ascoltare la sua esperienza di reduce da un campo di concentramento. Ma a Rav Lau non piace parlare di morte: e dunque non ha rievocato gli anni terribili in cui è stato internato a Buchenwald o lo sterminio di gran parte della sua famiglia. Il suo racconto inizia con l'apertura dei cancelli del campo.
"Sono stato liberato da Buchenwald il 12 aprile del 1945 dagli americani - ha esordito -, avevo 8 anni e con me c'era mio fratello Naftali. Ci mandarono in un sanatorio per ragazzi in Francia, dove cercavano di riabilitarci sia fisicamente che spiritualmente". Ma mentre le ferite del corpo guariscono, quelle dell'anima restano aperte: Lau e gli altri 220 ragazzini ricoverati con lui, tra cui Eli Wiesel, si sentono come le "ossa secche di cui parla il profeta Ezechiele".
"Un giorno ci chiesero di incontrare le autorità cittadine che finanziavano il sanatorio. Noi eravamo arrabbiati: quelle persone si erano dimenticate di noi e delle nostre famiglie mentre venivamo rinchiusi nei ghetti, deportati, uccisi.
Decidemmo di tenere lo sguardo rivolto a terra per tutta la durata della visita". La protesta funziona solo fino a un certo punto: "L'ultimo a parlare era un uomo ebreo, ex internato, che aveva perso moglie e figli in campo di concentramento. Era così emozionato da non riuscire a pronunciare altro che due parole in yiddish: 'Cari bambini...'. Noi, all'unisono, alzammo gli occhi e lo vedemmo piangere. Scoppiammo tutti in lacrime. Per cinque minuti non ci fu altro che pianto. Infine, uno di noi prese la parola e lo ringraziò a nome di tutti perché ci aveva fatto il regalo più grande: la forza di piangere di nuovo".
"Finalmente - ha proseguito il rabbino - non eravamo più 'ossa secche', incapaci di versare anche solo una lacrima.
Eravamo tornati esseri umani". Il che non significa dimenticare, né tanto meno perdonare: e Rav Lau ci tiene a sottolinearlo con forza. "Chi mi dà il diritto di perdonare? Me lo da' forse la mia famiglia uccisa dai nazisti nel pieno della vita? La nostra vendetta - ha concluso - è che malgrado tutto siamo ancora qui e abbiamo il nostro Stato. Ogni scuola ebraica e ogni sinagoga in giro per il mondo dimostrano che il popolo d'Israele vive".
Le sue parole sono suggellate dal canto dei bambini del coro della scuola ebraica. E dagli occhi lucidi di chi li ascolta.
(ANSAmed, 25 gennaio 2013)
Ventiquattro artisti israeliani per 'Israel Now - Reinventing the Future'
ROMA, 24 gen. - Ventiquattro artisti israeliani, provenienti da esperienze e generazioni diverse, hanno realizzato un progetto comune: 'Israel Now-Reinventing the Future', la mostra che sara' allestita al Macro di Roma dall'1 febbraio al 17 marzo.
Una piattaforma culturale trasversale, multidisciplinare, capace di riflettere il dinamismo di una cultura che affonda le proprie radici in una spiritualita' millenaria. In uno scenario mondiale sempre piu' globalizzato, dove troppo spesso il mezzo rappresenta il messaggio, gli artisti israeliani sono riusciti a mantenere un approccio critico, in perfetto equilibrio tra nuove tecnologie e vecchie metodologie.
Il percorso espositivo si suddivide in grandi insiemi, all'interno dei quali ogni artista illustra la propria visione di futuro reinventato. Nahum Tevet, ad esempio, reinventa il futuro dell'oggetto e della forma mettendo in discussione valenza estetica e consistenza di ogni elemento della sua installazione.
La sposa è la nipote di un importante rabbino di New York e le foto - bellissime - sono state scattate da un premio Pulitzer
Il 23 e il 24 gennaio si è celebrato a Beit Shemesh, a circa trenta chilometri a ovest di Gerusalemme, il matrimonio di Miryam Teitelbaum, la nipote del rabbino Zalman Leib Teitelbaum di Williamsburg, un quartiere di Brooklyn a New York. Teitelbaum è un importante capo religioso del movimento Satmar, una corrente chassidica costituita principalmente da ebrei ungheresi e rumeni sopravvissuti all'Olocausto. Il rabbino ha partecipato al matrimonio arrivando in Israele dagli Stati Uniti insieme con migliaia di fedeli. Il padre della sposa è il capo del movimento Satmar a Gerusalemme.
(il Post, 25 gennaio 2013)
Hamas - Giornalisti dietro le sbarre
In pochi giorni le forze di sicurezza di Gaza arrestano sette giornalisti perchè affiliati o vicini a Fatah. Hamas nega: portano avanti attività sospette.
BETLEMME - Associazioni per i diritti umani e la tutela della libertà di stampa hanno mosso gravi accuse al governo di Hamas, esecutivo de facto della Striscia di Gaza, e alle forze di sicurezza per una campagna di arresti arbitrari contro giornalisti.
Il tutto si sarebbe verificato nei primi due giorni della settimana: il Palestinian Center for Huma Rights (PCHR) ha pubblicato una lista con i nomi dei giornalisti palestinesi arrestati a Gaza da lunedì e rapidamente processati dalle autorità di Hamas.
Tra loro, Ashraf Jamal Abu Khseiwan e Monir Joma al-Monirawi, della tv satellitare al-Katab; Mostafa Mohammed Meqdad del sito Fatah Youth e Joma Adnan Shawarma di al-Hurriya radio.
Martedì è toccato a Omar Mohammed al-Dahoudi e mercoledì a Hussein Abdul Jawwad Karsou del sito web Aswar e a Abdul Karim Fathi Hejji, a cui i servizi di intelligence di Hamas hanno chiesto le loro affiliazioni politiche in lunghi interrogatori.
A preoccupare PCHR e Mada, associazione per la difesa della libertà di stampa, è la natura degli arresti: detenzioni politiche, accompagnate da abusi fisici e psicologici e legate all'appartenenza di partito o alla vicinanza a fazioni rivali di Hamas.
Da parte sua Hamas nega e in un incontro con le organizzazioni palestinesi per i diritti umani, tenutosi mercoledì a Gaza City, il ministro degli Interni, Islam Shahwam, ha detto ai presenti che nessun giornalista è stato arrestato né è attualmente detenuto nelle carceri di Gaza. Aggiungendo però che, coloro che sono stati recentemente fermati, sono stati accusati di crimini specifici. Insomma, non si sarebbe trattato di mere intimidazioni e in ogni caso gli arrestati "non sono giornalisti - si legge in una successiva dichiarazione del Ministero degli Interni - Anche quelli che lavorano come giornalisti usano questo campo per coprire attività sospette".
Un simile clima di sospetti, vessazioni e bocche cucite non aiuta di certo il processo di riconciliazione tra Hamas e Fatah: ieri a Gaza è stata annunciata la ripresa dei lavori della Commissione Elettorale per condurre la Striscia a nuove elezioni insieme alla Cisgiordania. Resta da vedere quanto a lungo le due fazioni rivali saranno in grado di non pestarsi ulteriormente i piedi e portare a termine la creazione di un governo di unità.
(Nena News, 25 gennaio 2013)
Guida al nuovo parlamento israeliano
I risultati definitivi, i numeri dei (tanti) diversi partiti e gli scenari sulle difficili coalizioni in ballo
Oggi il Comitato centrale per le elezioni israeliano ha annunciato i risultati definitivi delle elezioni politiche che si sono tenute martedì 22 gennaio per rinnovare i 120 seggi del parlamento unicamerale del paese, la Knesset. Già ieri, con oltre il 99 per cento dei voti scrutinati, il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu si è dichiarato vincitore e ha detto che gli spetta un terzo mandato, ma la sua coalizione elettorale è andata peggio del previsto: la coalizione del centrodestra dovrebbe ottenere 61 seggi su 120, rendendo difficile la formazione del governo (ieri si credeva in un pareggio 60 a 60, ma il partito HaBayit HaYehudi ha ottenuto un seggio in più). Haaretz ha pubblicato un grafico che riassume i risultati. L'affluenza è stata del 67,7 per cento.
Come si vede, il risultato è molto frammentato: ci sono ben 12 partiti che hanno ottenuto rappresentanza parlamentare. Questo è conseguenza, oltre che della grande diversità sociale degli abitanti di Israele, della legge elettorale israeliana. I parlamentari, infatti, sono eletti con un sistema elettorale strettamente proporzionale in una singola circoscrizione che comprende tutto il paese. Le liste dei candidati sono chiuse e non è possibile esprimere voti di preferenza. La soglia per l'ingresso in parlamento è molto bassa; inizialmente era dell'un per cento, percentuale che è stata alzata all'1,5 per cento nel 1992 e al 2 per cento nel 2006.
Vista la frammentazione, e la tendenza alla formazione di piccoli partiti fortemente personalizzati, tutti i governi dello stato di Israele sono stati governi di coalizione e nessun partito ha mai raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi, con tutto il seguito di instabilità e di cambi di schieramento che ne consegue. Chi è andato più vicino a una maggioranza assoluta è stato il partito di Golda Meir nel 1969, che ottenne il 46 per cento dei voti e 52 seggi.
Un'altra premessa da fare è che, nel dibattito politico israeliano, le etichette "destra", "centro" e "sinistra" non sono definite dai tradizionali temi sociali ed economici che distinguono i due schieramenti nelle democrazie europee. Quello che le distingue, invece, è molto spesso l'atteggiamento e le soluzioni proposte nei confronti della questione israeliano-palestinese.
Che cosa succede adesso
Dopo i risultati delle elezioni e il "quasi pareggio" tra le due coalizioni, due cose sono chiare: che quasi certamente Netanyahu diventerà di nuovo primo ministro e che la nuova Knesset sarà politicamente più spostata al centro. Il vincitore principale di queste elezioni, infatti, è il partito moderato di Yair Lapid, fino a poco tempo fa giornalista televisivo e popolarissimo in Israele. Il suo partito, Yesh Atid, ha ottenuto infatti 19 seggi, il miglior risultato dopo quello del Likud-Beiteinu di Netanyahu. Anche se c'è ancora molta incertezza, l'accordo di governo che per ora sembra più probabile è quello tra la coalizione di destra uscente e Lapid.
In realtà, inizialmente Lapid lo aveva escluso e poi ha dichiarato di voler appoggiare Netanyahu solo nel caso che anche altre forze dell'ex opposizione si uniscano a lui. La cosa che rimane ancora incerta, quindi, è se e quali altri piccoli partiti centristi si uniranno a Lapid nell'appoggio a Netanyahu e come reagiranno i partiti più a destra dello schieramento uscente.
Blocco di centrodestra: 61 seggi
Likud-Israel Beiteinu (31 seggi). Questa alleanza è il principale sconfitto di queste elezioni, dato che alle precedenti elezioni politiche, nel 2009, i due partiti separati avevano ottenuto complessivamente 42 seggi. Il Likud ("consolidamento"), partito di centrodestra e di orientamento liberale in politica economica, è il partito del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu, e ha una tradizione di conservatorismo sociale e particolare durezza riguardo la questione palestinese. Durezza attenuata, nella pratica, da molti leader più pragmatici del loro elettorato: Netanyahu, nel suo partito, è considerato un moderato. Il Likud e i partiti di cui è erede sono stati all'opposizione per quasi trent'anni, dalla fondazione di Israele nel 1949 al 1977, anno in cui il partito ha assunto il nome attuale.
Israel Beiteinu ("Israele, la nostra casa") è il partito dell'ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman (si è dimesso a dicembre), un personaggio molto discusso, accusato dai suoi critici di essere razzista, corrotto e ultranazionalista: il suo partito è principalmente quello della grande minoranza di origini russe ed è di orientamento piuttosto laico sulle questioni religiose, mentre è noto per le sue posizioni molto intransigenti nei confronti del dialogo con i palestinesi.
HaBayit HaYehudi ("la casa ebraica") (12 seggi) è nato nel 2008 ed è il successore di un partito dalla lunga tradizione, il Mafdal. È un partito dalla forte ispirazione religiosa e sostiene fortemente il sionismo (il rimpatrio degli ebrei della diaspora in Israele), visto come uno strumento di Dio. Nel corso degli anni si è spostato sempre più verso destra, tanto che da alcuni è visto oggi come il braccio politico del movimento dei coloni degli insediamenti della Cisgiordania.
Shas (sigla che sta per "guardie sefardite [della Torah]") (11 seggi) è il primo partito di questa lista che rappresenta principalmente i cosiddetti "ebrei ultra-ortodossi", gli haredim (singolare haredi). È stato fondato nel 1984 come rappresentanza soprattutto degli haredim di origini sefardite (cioè della penisola iberica) o mizrahi (dei paesi arabi), tradizionalmente più poveri e abitanti dei piccoli centri. Ha creato una solida base elettorale anche fuori da quei due gruppi, che gli dà un ruolo centrale nella formazione di quasi tutti i governi di coalizione dalla sua nascita ad oggi. Negli ultimi anni si è spostata su posizioni intransigenti nella questione palestinese, mentre in origine si occupava soprattutto di tematiche religiose e faceva pressioni per maggior spazio da dare all'ebraismo nello stato di Israele.
Giudaismo Unito nella Torah (in ebraico Yahadut HaTorah HaMeukhedet) (7 seggi) è l'unione nata nel 1992 tra due piccoli partiti religiosi particolarmente litigiosi tra loro, che rappresentano gli haredim originari dell'Europa orientale. È particolarmente forte a Gerusalemme, dove ha raggiunto quasi il 20 per cento nel 2009. Preferisce non occuparsi del conflitto israeliano-palestinese e si concentra solo sulle tematiche religiose.
Blocco di centrosinistra: 59 seggi
Yesh Atid ("c'è un futuro") (19 seggi): è il grande vincitore di queste elezioni. È un partito moderato e laico, di centro, fondato nel gennaio 2012 da Yair Lapid, popolarissimo giornalista televisivo israeliano. Sulla questione palestinese il suo programma è notoriamente vago, preferendo concentrarsi sulla lotta alla corruzione, i diritti civili e una maggiore laicità dello stato, la riduzione delle dimensioni del governo e del costo della vita.
HaVoda ("partito laburista") (15 seggi): è il tradizionale partito politico del centrosinistra israeliano e il lontano discendente del movimento sionista, di ispirazione fortemente laica e socialista, al governo nei primi decenni della vita di Israele. Nel corso del tempo, il suo nazionalismo è andato diminuendo per una maggior apertura al dialogo con i palestinesi (era il partito di Yitzhak Rabin).
Meretz ("energia") (6 seggi). È il partito ebraico più a sinistra di Israele, fondato nel 1992, noto per le sue posizioni a favore del dialogo con i palestinesi e per la difesa dei diritti civili laici, tra cui quelli delle donne e degli omosessuali. Da anni, come dimostra anche questo risultato, attraversa una perdita di consensi elettorali a causa del noto spostamento verso destra dell'elettorato israeliano e della polarizzazione del conflitto israelo-palestinese.
Hatnuah ("il movimento") (6 seggi), è stato creato meno di due mesi fa da Tzipi Livni, ex leader del partito centrista Kadima, dopo la sua sconfitta nel marzo del 2012 nella lotta per la guida del partito, vinta da Shaul Mofaz.
Kadima ("avanti") (2 seggi). Queste elezioni sono notevoli anche per la quasi scomparsa di Kadima, che nella scorsa Knesset era il primo partito con 28 seggi. Il partito liberale e di centro venne fondato nel 2005 da Ariel Sharon, quando il suo impegno unilaterale per l'abbandono di Gaza causò una crisi nel Likud, ma negli ultimi anni è praticamente scomparso per una serie di abbandoni dei suoi parlamentari verso destra e verso sinistra.
Lista araba unita - Ta'al (4 seggi). È il primo dei cosiddetti partiti "arabi", che rappresentano per la maggior parte (ma non esclusivamente) la minoranza di cittadini israeliani che è di origine araba e di religione musulmana (circa il 20 per cento, anche se alcuni sono di religione cattolica o drusa). Gli arabo-israeliani tendono a identificarsi come palestinesi e si sentono spesso - con più di una ragione - discriminati e messi da parte nello stato di Israele. Un altro partito simile all'alleanza LAU-Ta'al è Balad (sigla per "assemblea nazionale democratica") (3 seggi), che è ancora più deciso della prima nella sua critica allo stato di Israele: è noto ad esempio per sostenere apertamente Hezbollah.
Infine c'è Hadash (sigla per "Fronte democratico per la pace e l'uguaglianza") (4 seggi) che è l'unione di alcuni piccoli movimenti politici dall'elettorato prevalentemente arabo, tra cui il Partito comunista di Israele.
(il Post, 24 gennaio 2013)
Con il rav Lau per la Memoria viva
Ospite d'eccezione, stamane a Roma, il rav Israel Meir Lau, che oggi interviene nella sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri in via Santa Maria in Via 37 alla tavola rotonda "Il coraggio di resistere" promossa dal Comitato di coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah della Presidenza del Consiglio dei ministri, organizzata in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L'incontro sarà introdotto dal ministro per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione Andrea Riccardi e dal presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. Quest'anno ricorre il settantesimo anniversario della rivolta nel ghetto di Varsavia e il convegno sarà incentrato sulla tematica dell'opposizione ai regimi totalitari. Sono in programma gli interventi dello storico del Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme David Silberklang, su "La ribellione nei ghetti", del direttore della Fondazione Museo della Shoah di Roma Marcello Pezzetti su "La rivolta nei campi", e del direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano Michele Sarfatti su "La resistenza ebraica in Italia". Rav Israel Meir Lau, rabbino capo di Tel Aviv-Yafo, già rabbino Capo di Israele, presidente del Consiglio di Yad Vashem e superstite dei campi di sterminio, interverrà su "Il coraggio di tornare alla vita".
(Notiziario Ucei, 24 gennaio 2013)
Fiamma Nirenstein: vinceremo l'antisemitismo e il razzismo
ROMA, 24 gen - Da oggi fino al 27 gennaio, Giorno della Memoria, l'On Fiamma Nirenstein (PdL) e l'On. Sandro Gozi (PD) insieme a parlamentari rilevanti nel panorama politico internazionale s'incontreranno a Budapest per esprimere le loro preoccupazioni per il drammatico aumento dell'antisemitismo in Ungheria.
"Tutti devono capire che l'antisemitismo è morto. Per sempre", dichiara l'On. Nirenstein aggiungendo: "Lotteremo con tutte le nostre forze, con la nostra mente, con i nostri corpi e ci opporremo con la forza della cultura e della democrazia per sconfiggere le tenebre del male e dell'odio. E vinceremo. Solamente poche settimane fa nel Parlamento ungherese il leader del partito di estrema destra Jobbik ha invitato il proprio Governo a stilare una lista degli ebrei ritenuti 'un rischio per la sicurezza nazionale'. La nostra presenza a Budapest vuole essere un gesto per testimoniare profonda solidarietà ai cittadini ebrei che vivono in Ungheria".
Oltre all'On. Nirenstein e all'On. Gozi saranno presenti personalità come Yossi Peled, ex ministro israeliano e sopravvissuto all'Olocausto che ha dichiarato: "Ho visto in prima persona solo alcune delle atrocità perpetrate dai nazisti. L'antisemitismo, ancora una volta in aumento in Europa, questa volta si sta mascherando nella demonizzazione dello Stato d'Israele. Noi parlamentari abbiamo il dovere di mostrarci uniti nella lotta globale contro l'odio, l'intolleranza e l'antisemitismo".
(AgenParl, 24 gennaio 2013)
Libri: oltre seicento autori ed editori alla fiera di Gerusalemme
Appuntamento internazionale. Dal 10 al 15 febbraio
ROMA, 24 gen - Oltre 600 editori e autori provenienti da piu' di 30 paesi, con 100.000 libri scritti in molte lingue. Sono i numeri della Fiera Internazionale del Libro di Gerusalemme, che si svolgera' dal 10 al 15 febbraio prossimi nella Citta' Santa e che rappresenta un appuntamento biennale di grandissima importanza, pilastro della cultura israeliana. Durante la fiera, che avra' luogo presso il Centro Congressi, verra' assegnato un prestigioso ''premio Gerusalemme'' allo scrittore spagnolo Antonio Munoz Molina: il premio viene assegnato a un autore la cui opera meglio esprime e promuove l'idea della ''liberta' dell'individuo nella societa'''.
La presenza di un ''Caffe' Letterario'' offrira' un dialogo aperto e coinvolgente tra scrittori israeliani e internazionali in un ambiente informale concepito come una caffetteria.
La Fiera del Libro ospitiera' inoltre numerosi seminari e simposi internazionali che esploreranno una vasta gamma di argomenti tra cui la critica letteraria e di blogging, la vendita di libri in digitale, traduzioni e altro.
Quest'anno libri d'arte e pergamene storiche e poster d'archivio impreziosiranno l'evento.
(ANSAmed, 24 gennaio 2013)
Tel Aviv, arriva il ponte ecologico costruito con i container
Un ponte fatto di colorati container: la novità di Tel Aviv
ROMA - Un ponte che simboleggia la rinascita, il passaggio dal vecchio al nuovo, la modernità che nasce dall'antico: è la nuovissima costruzione che adornerà presto la città di Tel Aviv, un lungo ponte coperto niente meno che da coloratissimi container dismessi. Un modo per far sì che il riciclo sia davvero produttivo e che tutto possa passare ad una nuova vita.
Il progetto è firmato dallo studio di architetti Yav Messer e certo non si poteva trovare città più adatta per una simile, significativa costruzione.
(ViaggiNews, 23 gennaio 2013)
La Memoria della salvezza e il lavoro del CDEC
di Liliana Picciotto, storica
Il CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) è riuscito a determinare ad oggi la sorte di 8.886 ebrei salvatisi durante il periodo 1943-1945. L'obiettivo che ci si era posti 4 anni fa di trovare i nomi di tanti salvati quanti sono state le vittime della Shoah è stato, proprio in questi giorni, pienamente raggiuntoe superato. Con una ricerca di storia sociale di larghissimo respiro e con appositi finanziamenti di enti, di fondazioni bancarie e difondazioni private, uno staff di ricercatori ha effettuato 650 interviste a ultraottantenni in tutta Italia, ha selezionato 210 libri di memorie, ha sondato migliaia di documenti. Ha raccolto così una vasta documentazione sul fenomeno della salvezza dei circa 33mila ebrei ritrovatisi vivi in Italia nel 1945 dopo la bufera degli arresti e delle deportazioni. Si hanno ora i nomi di quei salvatiche si sono potuti ottenere a distanza di tanti anni, i loro dati anagrafici, il racconto della loro vicenda. Naturalmente, non si tratta di tutti i salvati, gli ottimi risultati raggiunti sono da considerare un campione dell'intero insieme. Ma, cosa molto importante: si hanno anche i nomi dei generosi non ebrei che, per impegno umanitario, sociale, religioso si sono prestati a soccorrerli. Chi ha aperto la propria casa, chi ha ricoverato in strutture ospedaliere, chi in istituti religiosi, chi ha accompagnatoalla frontiera settentrionale con la Svizzera, chi ha guidato al di là delle linee di guerra al Sud, chi ha prestato denaro, chi ha procurato documenti falsi. La ricerca, che può considerarsi la più avanzata su questo argomento in Europa, sarà pubblicata dall'editore Mursia nei prossimi anni. Avremo così, accanto a Il libro della Memoria, anche il libro Memoria della salvezza.
(Notiziario Ucei, 23 gennaio 2013)
Elezioni in Israele: tutto cambia, nulla cambia
di Sarah F.
Le elezioni in Israele sono state una sorpresa, su questo non c'è dubbio, ma da qui a pensare che cambino il quadro della politica israeliana ce ne corre, in special modo per quanto riguarda la questione palestinese e quella iraniana.
Prima di tutto i risultati definitivi. La commissione elettorale li ha appena resi noti e il quadro che si delinea vede un sostanzioso arretramento della destra, una sorprendente (ma non tanto) affermazione dei centristi laici, una chiara bocciatura di Kadima (unico partito a parlare chiaramente della necessità di trattare con i palestinesi) e una complessiva frammentazione. Il Likud resta il partito principale con 31 seggi (ne aveva 42) seguito dal sorprendente Yaesh Atid che ne conquista 19, il partito laburista (Labor) ne conquista 15, Shas 11, Habayit Hayehudi 11, United Torah Judaism 7, Hatnuah 6, Meretz 6, United Arab List-Ta'al 5, Balad 3. Kadima con soli 2 seggi dovrebbe rimanere fuori.
Molti analisti fanno notare che la divisione tra il blocco di destra e quello di sinistra porta a una divisione pressoché perfetta della Knesset con 60 seggi al blocco di destra e 60 a quello di sinistra. Tuttavia credo che gli analisti sbagliano a considerare Yaesh Atid schierato a sinistra. E' certamente un partito laico lontano dagli ultraortodossi, ma su questioni importanti come la vicenda palestinese e quella iraniane ha posizioni molto vicine a quelle della destra. Il suo leader, l'ex commentatore televisivo Yair Lapid, ha detto più volte che con i palestinesi non si tratta, che su Gerusalemme non si tratta e che il pericolo iraniano va affrontato con "estrema decisione". Le differenza tra il Likud e Yaesh Atid stanno al limite nella politica interna e nelle considerazioni sugli ultraortodossi, ma niente che Netanyahu e yair Lapid non possano appianare.
Non per niente Netanyahu ha chiamato immediatamente Lapid per cercare un accordo su una coalizione che possa governare il Paese con una sostanziosa maggioranza e possa affrontare i problemi interni e i pericoli esterni nel miglior modo possibile.
Ancora è presto per avanzare ipotesi sulla futura coalizione che guiderà Israele, ma le esultanze dei sinistri mondiali (Obama in testa) sembrano altrettanto premature. Chi si è affrettato a chiedere subito la riapertura dei colloqui con i cosiddetti palestinesi non ha fatto bene i conti con il pensiero di Yair Lapid che di trattare con loro non ne vuol proprio sapere. E se proprio vogliamo vedere un cambiamento, che a mio modesto parere è molto positivo, lo possiamo inquadrare in una sostanziale perdita di potere degli ultraortodossi a favore dei movimenti laici. Vedremo nelle prossime ore come evolverà la situazione delle alleanze, ma di certo alla fine certe posizioni rimarranno invariate, con buona pace di Obama e dei sinistri.
(Rights Reporter, 23 gennaio 2013)
Inter Campus: in campo per Israele e Palestina
MILANO - La sfida continua e, ancora una volta, la delegazione di Inter Campus si è trasferita a Migdal Haemeq e Yafi'a, due cittadine israeliane abitate da ebrei ed arabi cristiani e mussulmani. Dal 14 al 18 gennaio i nostri tecnici Alberto e Lorenzo hanno tenuto un corso di formazione sportiva sul campo coinvolgendo gli allenatori-educatori ed i bambini locali. La cooperazione tra le due comunità che vivono e lavorano fianco a fianco è sempre problematica, ma il nostro lavoro con i bimbi e lo sport può dare un piccolo contributo alla pace, se non altro abituando alla collaborazione sul campo da calcio. Grazie a Michael Levi, della Nilit Ltd, che ci ha aiutati a realizzare ancora una volta questo piccolo ma significativo lavoro di costruzione di legami di cooperazione, nell'attesa di poter tornare a coinvolgere anche una comunità araba al di là del muro-frontiera che purtroppo rappresenta l'immagine concreta dell'impossibilità di normali rapporti tra le due parti. Speriamo di poterlo abbattere a pallonate un giorno, con le due comunità rappacificate.
(www.inter.it, 23 gennaio 2013)
Memorie di Giulia, farfalla della Shoah
Testimone delle deportazioni e della tragedia delle Fosse Ardeatine, la storia di Giulia Spizzichino è ora un libro, "La farfalla impazzita". Noi l'abbiamo incontrata in occasione della Giornata della Memoria
di Teresa Mancini
Giulia Spizzichino, oggi
Ha quasi tre anni Giulia, quando, con lo sguardo dolce e un po' intimidito, posa in piedi su una sedia per un ritratto. Quell'immagine dal gusto di tempi lontani è datata 5 ottobre 1929, e quella bimba è Giulia Spizzichino, una piccola ebrea romana la cui vita, da lì a non molto, cambierà con una durezza inaudita: segnata prima dalle leggi razziali del 1938, poi dalle deportazioni di diversi suoi familiari ad Auschwitz, e ancora dalla strage che le strapperà altri sette cari, quella delle Fosse Ardeatine nel 1944, uno dei momenti più tragici dell'occupazione nazista a Roma. In una narrazione che diventa preziosa testimonianza storica, Giulia ricostruisce queste vicende nel libro "La farfalla impazzita" (Editore Giuntina, 168 pagg., 12 Euro), scritto con il sostegno di Roberto Riccardi. Dall'infanzia dell'autrice, percorrendo la storia della persecuzione ebraica nella capitale, si giunge fino al caso Erich Priebke, l'ex capitano delle SS stanato nel 1994 in Argentina, estradato in Italia grazie al contributo attivo di Giulia Spizzichino, e sottoposto a processo per l'eccidio delle Fosse Ardeatine.
In una tessitura che segue la cronologia degli eventi, i racconti si appiccicano a chi legge con forza e suggestione, tra immagini di gioventù negata, odiose restrizioni, guerra, timore della delazione, crudeltà, e un dolore lancinante che ha condizionato la vita dei sopravvissuti, per sempre. E pensando ai tantissimi bambini strappati alla vita, «possibile che lassù non sia vietato accettare angeli così piccoli?», scrive accorata Giulia Spizzichino, a cui adulta non sarà risparmiato neanche il dolore della perdita del proprio figlio, di soli 6 anni. Una tragedia sotto il cui peso finisce anche il matrimonio di Giulia, che poi si risposerà e sarà di nuovo madre, poi nonna di due adorati nipotini.
Nel volume c'è anche un contributo iconografico, con immagini di intima felicità familiare, come quelle di parenti a nozze, o il ritratto dell'amato nonno Mosè, «con le sue guanciotte tonde che profumavano sempre di borotalco». Fino agli scatti più recenti di questa donna, il cui vissuto e gli anni non hanno intaccato la bellezza né piegato la tenacia e il coraggio, compagni indispensabili per difendere la propria e la nostra storia.
- Com'è nato il suo libro, qual è stata la spinta? «L'ho scritto perché una serie di accadimenti non cadessero nell'oblio, e per lasciare una testimonianza agli amici. Alle Fosse Ardeatine, la mia famiglia è stata la più colpita dell'intera città di Roma. Sette vittime, tutti i maschi adulti che avevano catturato. Con lo zio Angelo mio nonno Mosè, suo figlio Pacifico e i tre figli maggiori di quest'ultimo: Franco, Marco e Santoro. È una cosa che ha colpito tutto il mondo, tre generazioni scomparse in un giorno solo».
- Il volume si apre con le parole di Gabriel Marcel che sottolinea come ogni nuovo libro sulla Shoah sia utile, perché non si può essere "sazi" su argomenti come questi «È così. Non si tratta di stanca retorica. Ogni lacrima versata è una lacrima a sé, che merita di essere ricordata, raccontata. L'indifferenza è il terreno sul quale cresce il negazionismo, anche se non ho pensato al libro con questo scopo».
Come ha imparato a gestire la perdita di tanti suoi familiari? Come ci si può riconciliare con la vita, dopo l'orrore, ritrovare la propria intonazione? «La vita riserva tanti dolori, ma obbliga a tirar fuori le unghie. Non puoi fermarti. Vai avanti, anche se sai che il peso dei ricordi, tutta quella sofferenza, li porterai con te, sempre. La perdita di mio figlio è stata lacerante. Sarebbe stato forse dolce lasciarsi morire, ma ho voluto lottare, resistere, anche per lui. Con gli anni si sono aggiunte altre prove, e poi la stanchezza dell'età, i problemi di salute che mi hanno reso più vulnerabile. L'imperativo, però, è rimasto lo stesso: continuare, mettercela tutta, risolvere».
(leiweb, 23 gennaio 2013)
Nei giorni scorsi abbiamo riportato un articolo di Davide Frattini, comparso sul Corriere della Sera, nel cui titolo si diceva che "In Israele è finita l'era dei kibbutz". Questo ha provocato la reazione di Angelica Edna Calò Livnè, una ben nota ebrea romana d'origine, ma ora israeliana a tutti gli effetti, che da anni vive con la sua famiglia in un kibbutz dell'Alta Galilea. Non sapendo come far pervenire a Davide Frattini le sue obiezioni, Angelica ci ha inviato gentilmente un suo articolo di risposta che molto volentieri pubblichiamo. In Israele è finita l'era dei kibbutz??????
"Una cooperativa, senza sfruttatori e senza sfruttati. Una comune» L'iscrizione sulla pietra e il patto che suggellava non sono riusciti a celebrare il centenario.
di Angelica Edna Calò Livnè
Angelica a Sasa
In un articolo del 18 gennaio scorso, Davide Frattini descrive con tristezza la fine di un'esperienza esclusivamente israeliana e lo fa con una tale empatia e con una tale sicurezza che decine di amici e conoscenti che hanno visitato Israele e hanno avuto la fortuna di trascorrere persino qualche ora in un kibbuz, mi hanno scritto allarmati e preoccupati.
Sasa, il mio kibbuz in Galilea, e' un po' piu' giovane di Degania: il 14 Gennaio ha compiuto solo 64 anni ma la festa di compleanno la celebreremo fra una settimana e ci saranno, secondo la nostra ben radicata tradizione, canti ebraici e americani (per dare onore ai nostri primi pionieri di Chicago, Milwaukee, New York e dal Canada), brani musicali eseguiti dai ragazzi del Liceo del Kibbuz, dialoghi tratti dall'archivio sulle storie e le avventure dei primi anni e naturalmente una cena sontuosa a base di manicaretti da tutto il mondo cucinati dalle famiglie della comunita' secondo la rispettiva provenienza.
Poi la sera si aprira' il Moadon, punto di incontro dei chaverim - i membri del kibbuz e ci saranno i turni alla sala da pranzo, alla mungitura e ai pascoli e molti di questi turni saranno eseguiti anche da studenti che ora vivono a Tel Aviv, a Gerusalemme o a Beer Sheva, da professori che insegnano in qualche universita' o college in Israele, dal capo della fabbrica e dal segretario del Kibbuz (che e' una sorta di sindaco).
Questo succede a Sasa, a Bar Am e a Iron, a pochi km da qui, fondati anch'essi nel '49 che contano circa 200 membri votanti all'assemblea e altri 250-300 persone tra bambini, studenti e ragazzi di leva ma anche a Mishmar HaEmek, un kibbuz vicino a Haifa, che fu fondato nel 1922 da ragazzi del Movimento Hashomer Hazair della Galizia e conta oggi 1170 persone.
E' vero,
Molti kibbutzim sono stati privatizzati, sono stati sballottati e travolti da crisi idealistiche e problemi economici, ma da qui a dire che il kibbuz e' finito .. sono 80 i kibbutzim che ancora sono completamente comunitari.
Frattini riporta una frase di Yossi Sarid: "Non si sono mai più ripresi, malgrado il loro contributo incomparabile alla fondazione e alla difesa del Paese». Come non si sono mai piu' ripresi? Dieci anni Sasa era arrivato allo stremo delle forze: le 3000 tonnellate di mele che producevamo, coglievamo e iscatolavamo ogni anno, il latte, tra i migliori di Israele, il cotone e gli agrumi non bastavano per mantenere 80 famiglie. Assemblee su assemblee. 170 milioni di dollari di debiti verso le banche. Pensioni dei membri annullate, ma tutti i giorni ci si incontrava alla sala comune per scambiarsi le idee, si continuava a lavorare di lena. Ogni festa e ricorrenza, perlomeno una al mese (noi ebrei siamo stati premiati dal Signore con tante feste da riguardare, forse per compensare tutte le vicissitudini che sconvolgono a volte le nostre vite e per darci la voglia di andare avanti!!!!) venivano celebrate con spettacoli, canti, danze, organizzati dai membri del kibbuz di tutte le eta'. Non ci siamo dati per vinti.
Siamo riusciti a ritirarci su dalle ceneri come l'Araba Fenice!!!! Nel giro di pochi anni le due fabbriche : Plasan di blindatura di veicoli contro il terrorismo e SasaTech di materiali di pulizia ecologici, ci hanno permesso di ricreare il futuro comune: ingrandire la sala da pranzo e attrezzarla contro i terremoti (siamo in zona sismica oltretutto), ristrutturare tutti gli spazi comuni, allargare il cerchio degli studi fino al master e al dottorato, creare un asilo sperimentale musicale, aggiungere nuovi indirizzi al Liceo Anna Frank: che ora offre ai giovani dell'Alta Galilea anche l'opportunita' di una maturita' in musica e teatro oltre all'artistica, tecnologica, classica, fisica e matematica.
I nostri figli vogliono provare, mettersi in gioco e scegliere il loro futuro: noi abbiamo lasciato la citta', la famiglia, un posto sicuro per seguire un ideale . i giovani hanno il diritto di scoprire da soli il valore, il tesoro nel quale sono nati e cresciuti. Tutto il buono e il bello che hanno respirato fin dai primi momenti di vita. Spesso seguono il compagno o la compagna che hanno conosciuto durante il servizio militare o durante gli studi e si sistemano in citta'. Non sempre questo tipo di vita e' adatto a tutti.
Anche per la mia famiglia, tanti anni fa, era incomprensibile che io lasciassi Roma, una casa dove c'era di tutto e molto di piu', per andare a correre su un trattore e cogliere mele e kiwi, a fare teatro con ragazzi ebrei, arabi, disabili, disagiati, anziani e di culture diverse
Non mi preoccupa il fatto che non c'e' nessun politico che viene dalla societa' kibbuzzistica, alle prossime elezioni. I kibbutzim sono l'1% della societa' israeliana. Non abbiamo bisogno a tutti i costi di politici!
Sarei piu preoccupata se non ci fossero piu' educatori, artisti, professori, fisici, agricoltori, terapisti, ingegneri
Tranquilli!
Siamo ancora qua!
Discutiamo a tutte le assemblee, a volte riusciamo a convincere gli altri e a volte no. Ma questa e' la democrazia. E finche' ci saranno interrogativi, dibattiti e votazioni c'e' la speranza che si possa cambiare qualcosa e se non e' in questo giro . basta aspettare!
(Notizie su Israele, 22 gennaio 2013)
Si vota in Israele. Sale l'affluenza, al 38,3%
Questa sera gli exit poll
Affluenza in aumento nelle elezioni in corso in Israele rispetto alle precedenti tornate: alle 14.00 - secondo i dati della Commissione Centrale - la percentuale è stata del 38,3%. Nel 2009 alla stessa ora i votanti si erano invece fermati al 34%.
Alle 10 (seggi aperti dalle 7 di stamattina) il flusso e' arrivato all'11,4%. Lo riportano i media citando dati diffusi dal Comitato Centrale elettorale. Questo - spiegano i media - rappresenta un aumento di un punto percentuale rispetto al dato della stessa ora delle ultime elezioni.
Con l' apertura di 10 mila urne, sono iniziate alle ore 7 locali (le 6 in Italia) in tutto il territorio israeliano le elezioni per il rinnovo della Knesset (parlamento). Il voto si concludera' alle ore 22 locali e allora tre reti televisive nazionali renderanno noti i rispettivi exit-polls. Lo spoglio dei voti dovrebbe essere completato nella nottata, o nelle prime ore di domani. Trentadue liste si contendono i voti di 5 milioni e 650 mila israeliani, ebrei ed arabi.
(ANSA, 22 gennaio 2013)
Netanyahu verso la riconferma a premier?
Israele alle urne. Un voto anticipato che, stando ai sondaggi, potrebbe portare a un Parlamento sempre più dominato dalla destra e dai partiti religiosi pro-colonizzazione.
Data per scontata la conferma a premier, per la terza volta, di Benyamin Netanyahu.
Ma con un margine ridotto per la sua coalizione, il che lo costringerebbe a guardare alla destra radicale.
Netanyahu per ora va a caccia del 15 per cento di indecisi.
"Chiedo a ogni cittadino di andare alle urne. E di decidere se vuole un Israele diviso e debole o per un Israele unito e forte e un grande partito di governo che farà quei cambiamenti tanto auspicati dagli israeliani", ha detto Benjamin Netanyahu, "Non ho alcun dubbio che moltissime persone all'ultimo minuto torneranno alla coalizione Likud-Yisrael Beitenu. Non vi è nessun altro partito di governo".
A sorpresa, l'ascesa del colono imprenditore Naftali Bennett, leader ultra religioso e nazionalista di Bait Yehudi, in raccoglimento al muro del pianto: "Prego Dio di darmi il potere di unire tutto Israele e di far rinascere l'anima ebraica di Israele".
Secondo posto nelle previsioni per i laburisti, guidati da Shelly Yachimovich. Sono alla ricerca della rimonta, dopo la disfatta del 2009, e al telefono invitano gli elettori al voto uno a uno.
All'opposizione di Netanyahu anche "Hatnua", il Movimento, nuova formazione di centro creata da Tzipi Livni e che punta, tra l'altro, alla pace con i palestinesi.
Ad attendere il nuovo governo: l'Iran e il bilancio, con il suo strascico di austerità, questione spinosa che ha portato all'anticipo del voto.
(euronews, 22 gennaio 2013)
Israele o Palestina? Una terra senza tregua
Il sito DireGiovani.it ha una rubrica dal titolo Giornalistinerba - Concorso 2012-2013. Oggi vi abbiamo trovato lelaborato di un concorrente, un alunno di terza media di cui preferiamo non dire il nome, che espone sinteticamente la questione palestinese. Riportiamo larticoletto per mostrare quanto può essere deleteria per i giovani la conoscenza superficiale e fuorviante, ricevuta dalla scuola, di un problema grave e scottante come quello di Israele.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Ebrei poterono finalmente tornare nella loro zona d'origine, la terra di Sion.
Quando tornarono in Palestina però, si accorsero che quella che una volta era stata la loro patria, ora era occupata da popoli arabi detti palestinesi.
Questi ultimi non volevano spartire la loro terra, tanto meno con una popolazione di cultura e religione diversa.
Da allora nacque la cosiddetta "questione palestinese" perché - dopo diversi conflitti - rimase senza una sua patria e senza uno stato il popolo palestinese. Invece gli Ebrei costituirono e ingrandirono la loro nazione: Israele. Questo provoca un eterno conflitto per l'affermazione della supremazia di un popolo rispetto all'altro.
Tutta la questione palestinese si perde nella notte dei tempi e ha origini di carattere religioso. Dopo le numerose "intifada" seguite da ripetuti attacchi terroristici, Israele ha costruito un muro che separa in modo netto le due popolazioni. Attualmente gli scontri non sono cessati, anzi continua il conflitto tra palestinesi e israeliani; tuttavia si è cercato di riportare la pace ma in vano [sic!].
In tutti questi scontri alcuni Stati, si sono schierati con i due protagonisti, per esempio l'America si è schierata con gli israeliani, offrendo il proprio sostegno. Di recente poi, la cronaca hanno portato a conoscenza del riconoscimento della Palestina come Stato da parte delle Nazioni Unite.
Bisognerebbe cercare delle soluzioni definitive per portare la pace in un territorio così sacro per tanti popoli e culture; senza schierarsi con nessuno dei due Stati, ma promuovere una diplomazia che faccia da "cuscinetto" cercando di favorirne i rapporti tra israeliani e palestinesi.
(DireGiovani.it, 22 gennaio 2013)
Autodeterminazione del popolo ebraico
dii Natalie Menaged
La democrazia in Israele è vigorosa, vibrante, imperfetta, sorprendente, rumorosa e soprattutto miracolosa, se si considerano i precedenti duemila anni di storia ebraica. I diritti democratici che esercitiamo oggi in Israele determineranno il nostro futuro come nazione ebraica.
Molti che sostengono Israele all'estero riconoscono questo fatto, ma alcuni di loro sono angosciati che il futuro di Israele non sia quello che loro vorrebbero: a spese del nostro diritto come israeliani di determinare il nostro futuro. Probabilmente coloro che ritengono di biasimare Israele, nei loro rispettivi paesi, proprio quando Israele va al voto, sono convinti di avere molto a cuore i vitali interessi della nostra nazione. In realtà, il modo più sostanziale per garantire che Israele rimanga uno stato ebraico, democratico e sicuro è difendere il diritto del popolo ebraico all'autodeterminazione nella sua antica terra patria. I sostenitori di Israele veramente incisivi rispettano la democrazia israeliana, e non cercano di sostituire il loro giudizio, o il loro pio desiderio, alla libera volontà degli elettori israeliani.
La stagione elettorale in Israele è il momento migliore per informare su uno dei punti più importanti e forti, che a noi qui sembra ovvio ma che è ben poco conosciuto da tanti altri. Israele è una nazione democratica composta da ebrei, musulmani, cristiani e da altre minoranze. Tutti i cittadini israeliani, senza distinzione di sesso, etnia, religione, godono di eguali diritti e della tutela dalla legge. Questi diritti comprendono la libertà di parola, di riunione, di espressione e di stampa; la libertà di religione; l'assistenza sanitaria universale e, naturalmente, il diritto di eleggere ed essere eletti in elezioni eque e libere. Le tutele includono le assunzioni di lavoro non-discriminatorie e con misure di affirmative action (promozione delle minoranza svantaggiate), leggi contro la discriminazione di genere e un sistema giudiziario equo e trasparente.
La democrazia israeliana è perfetta? Naturalmente no. Come non lo è quella americana, quella canadese e quella di qualunque altro paese democratico. Ma i successi di Israele in questo campo, specialmente alla luce degli enormi ostacoli con cui Israele ha dovuto fare i conti, sono notevolissimi.
La maggior parte della gente all'estero sa poco del governo e della società israeliana. D'altra parte, a giudicare da come è messo il "quartiere" in cui ci troviamo, si può anche capirli se presumono che Israele non possa essere una fiorente democrazia. È spiegando che gli israeliani condividono con le nazioni occidentali i valori di libertà e pluralismo che si può illustrare la posizione di Israele come faro di democrazia in una regione, per il resto, straziata da repressione, violenza, fanatismo, intolleranza. E il sostegno occidentale alla democrazia israeliana, a sua volta, contribuisce a mettere noi israeliani in condizione di prendere con maggiore fiducia le decisioni, anche difficili e rischiose, che riteniamo migliori per il nostro futuro.
Gli israeliani sono estremamente grati per il sostegno dell'America e di altri alleati. Ma intendiamoci: il nostro legame con questa terra risale a migliaia di anni e il nostro moderno stato si è realizzato con il sudore, il sangue, le lacrime e le preghiere del nostro popolo. La volontà del popolo ebraico di determinare il proprio corso ci ha sostenuti quando tutte le probabilità ci erano contrarie: è un diritto che ci siamo guadagnati e che va protetto sopra ogni altra cosa.
(YnetNews, 21 gennaio 2013 - da israele.net)
E' quasi fatta per Fideleff al Maccabi Tel Aviv
Ignacio David Fideleff (23 anni) sta per dire addio all'Italia. Il difensore argentino, attualmente al Parma ma di proprietà del Napoli, è infatti in procinto di passare in prestito oneroso con diritto di riscatto al Maccabi Tel Aviv ed esordire nel campionato d'Israele. L'indiscrezione di mercato giunge dalla redazione di Sky Sport.
Ha preparato fin dalla mattinata pani tradizionali israeliani, pani innovativi, dolci della sua terra. Poi, domattina, ripartirà per Tel Aviv, dove ha il suo panificio: in tempo per essere a casa in serata, e votare alle elezioni del suo paese, in programma appunto domani.
E' Eli Abrahams, capitano della squadra nazionale israeliana che si è esibita oggi alla Golden Bread Cup, la "coppa del mondo" dei panificatori organizzata dal Club Arti & Mestieri: che dopo le nazionali di Ungheria e Stati Uniti ha ospitato appunto oggi Israele (davanti alle telecamere Rai, oggi in visita allo stand) in attesa della Germania (che gareggerà domani, martedì 22) e dell'Italia, di scena mercoledì 23 nella giornata conclusiva del Sigep, all'interno di RiminiFiera.
Intanto, grande successo sta ottenendo la "consultazione" della giuria popolare - cioè del pubblico, chiamato a votare i pani sfornati dalle varie squadre nei quattro appuntamento quotidiani (alle 10, alle 12, alle 14 e alle 16) - sia dal vivo che attraverso la pagina facebook del Club Arti & Mestieri, che in questi giorni ha registrato centinaia di visite. Sara infatti il "combinato" fra i voti dei giurati professionali e quello del pubblico a definire quale nazione, fra le 5 partecipanti, si aggiudicherà la Golden Bread Cup 2013.
(Ravennanotizie.it, 21 gennaio 2013)
In Israele nascono quattro coppie di gemelli di religioni diverse
Quattro madri di fedi diverse hanno dato alla luce ciascuna una copia di gemellini. Si è così celebrata una simbolica, pacifica, condivisione di gioia.
Israele al voto: la fatwa della Lega Araba. Ma Israele non è l'Europa
di Miriam Bolaffi
Domani Israele andrà al voto, un voto democratico dove ci saranno anche centinaia di migliaia di arabi ad aver diritto a votare per scegliere i loro rappresentanti alla Knesset. La Lega Araba, con un comportamento che non ha precedenti, è entrata a gamba tesa nella campagna elettorale invitando i cittadini israeliani di etnia araba ad andare a votare e a dare il loro voto ai partiti della sinistra.
Lo ha fatto ieri con una dichiarazione diffusa a mezzo stampa evidenziando come, secondo loro, se dovesse vincere ancora la destra (e quindi Netanyahu) si assisterebbe ad una accelerazione di quella che loro chiamano "la pulizia etnica degli arabi" e a iniziative che non favoriranno la pace. Se invece vincesse la sinistra, sempre secondo la Lega Araba, allora si tornerebbe al tavole delle trattative e finalmente Israele si arrenderebbe alle richieste arabe. Per questo motivo i cittadini israeliani di origine araba non devono astenersi ma recarsi a votare e farlo per la sinistra. Insomma, siamo quasi a una fatwa, a un editto religioso.
Il lato comico, perché in tutto questo c'è un lato comico, è che a fare una richiesta del genere è una istituzione che rappresenta un gruppo di Paesi che non hanno nulla a che vedere con la democrazia, Paesi dove non si vota o se lo si fa avviene in maniera poco limpida. In sostanza la Lega Araba fa autogol e riconosce che Israele è una democrazia dove anche la minoranza araba può dire la sua.
Ma oltre al lato comico c'è anche uno spaccato di chiarezza che evidenzia chiaramente come la pensino gli arabi e a cosa puntino. Tra le righe del comunicato della Lega Araba si legge infatti che se vincesse ancora Netanyahu per gli arabi non ci sarebbe alcuna possibilità che Israele torni al tavolo delle trattative e quindi non ci sarebbe alcuna possibilità per gli arabi di ottenere quello che vogliono. Ma cosa vogliono gli arabi? Non certo la pace, se l'avessero voluta l'avrebbero potuta avere già da molti anni, sino dai tempi degli accordi di Oslo. Non certo due Stati per due popoli, anche in quel caso bastava che applicassero e accettassero quanto generosamente ottenuto sempre con gli accordi di Oslo. Ma una soluzione del genere implica l'esplicito riconoscimento di Israele, cosa impensabile per gli arabi. In realtà loro vogliono conquistare Israele dal suo interno e creare quello Stato binazionale che nel volgere di pochi anni metterebbe la popolazione ebraica in minoranza rispetto a quella araba. E' la teoria, tanto cara agli arabi, dell'espansione dell'islam attraverso l'utero delle donne, quella stessa teoria che viene applicata a piene mani in Europa. E se gli israeliani si oppongono a questo suicidio vengono accusati di praticare la "pulizia etnica", che in realtà altro non è che la difesa della propria identità attraverso il rifiuto dello Stato binazionale. Non c'è nessuna deportazione degli arabi, nessuna discriminazione verso questa minoranza, c'è solo la volontà di sopravvivenza che per concretizzarsi deve vedere una maggioranza ebraica in Israele e uno Stato Ebraico. E' chiaro che tutto questo non possa andare bene agli arabi ed è per questo che cercano di entrare a gamba tesa nelle elezioni in Israele.
Gli arabi si devono mettere bene in testa che Israele non è l'Europa, ormai alla mercé di intere generazioni di arabi e islamici di vario tipo. Israele se vuole sopravvivere deve mantenere la propria identità. Qualcuno la chiama "sindrome da accerchiamento" (un accerchiamento per altro reale, basta guardare una cartina geografica), in realtà si tratta di "istinto di sopravvivenza", quello stesso istinto che domani porterà milioni di israeliani a fare la scelta giusta.
(Rights Reporter, 21 gennaio 2013)
Partiti, leader e slogan delle elezioni in Israele
Israele torna alle urne martedì prossimo per le elezioni politiche. Secondo gli ultimi sondaggi e il parere di analisti israeliani, americani e della riviera occidentale palestinese, Benjamín Netanyahu è il favorito a vincere in coalizione con l'ex ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, e l'alleanza Likud-Beitenu. Ma il successo elettorale sarebbe soltanto un primo step per la formazione del nuovo governo. Chi uscirà vittorioso dall'appuntamento elettorale avrà il difficile compito di comporre la Knesset, il Parlamento israeliano, con un diversissimo numero di coalizioni. In corsa ci sono 34 partiti. Ecco una mappa (in sintesi) dei gruppi, le loro proposte e i loro slogan.
- Likud-Beytenu: Destra nazionalista che riunisce il Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu (27 parlamentari nel 2009) e Yisrael Beytenu (Israele Casa Nostra) del populista Avigdor Lieberman (15 parlamentari). Si definisce come nazionalista e liberale sul piano economico. I due partiti sono favorevoli a un intervento militare contro il programma nucleare iraniano. Il Likud è contro la creazione di uno Stato palestinese, anche se Netanyahu nel 2009 si è detto favorevole a uno stato palestinese in cambio della pace.
Slogan: "Un primo ministro forte per un Israele forte".
- Partito Laburista: Centro-destra guidato dall'ex giornalista Shelly Yachimovich (13 parlamentari nel 2009, ma ne ha persi cinque in seguito all'addio del suo leader Ehud Barak). Si batte per la difesa del ceto medio, più giustizia sociale e una ripresa dei negoziati con i palestinesi.
Slogan: "È possibile migliorare la situazione qui".
- Habayit Hayehudi (La Casa ebraica): Destra nazionalista religiosa di Naftali Bennet, ex capo di gabinetto di Netanyahu (3 parlamentari) è alleato con il partito di estrema destra Unione nazionale e a favore di un'istruzione ebraica e sionista e l'annessione del 60 per cento della Cisgiordania.
Slogan: "Una nuova partenza".
- Hatnouah (Il Movimento): Nuovo partito centrista fondato dall'ex ministro degli Esteri Tzipi Livni, a cui hanno aderito sette deputati di Kadima (il suo ex partito) e due dirigenti del partito laburista. Promuove la ripresa dei negoziati con i palestinesi, la leva obbligatoria per tutti e una riforma del sistema parlamentare.
Slogan: "La speranza sconfiggerà la paura".
- Yesh Atid: Nuovo partito centrista laico diretto dall'ex giornalista televisivo Yair Lapid. È a favore del servizio militare obbligatorio per tutti, una riduzione delle imposte per il ceto medio e la ripresa dei negoziati con i palestinesi.
Slogan: "Cambieremo le cose".
- Shas: Partito ultraortodosso, guidato da Elie Yishai, Arieh Deri e Ariel Attias ma sotto l'autorità spirituale del rabbino novantenne Ovadia Yossef (11 parlamentari). È contrario alla leva militare obbligatoria per gli ultraortodossi e favorevole a un sistema di istruzione religioso, vuole inoltre una maggior giustizia sociale.
Slogan: "Solo uno Shas forte può difendere i deboli".
- Giudaismo Unito nella Torah: Formazione ultraordossa, diretta da un consiglio di rabbini (cinque parlamentari). È contrario al servizio militare obbligatorio per gli ultra-ortodossi e favorevole a un maggior rispetto dei comandamenti della Torah ("libro santo").
Slogan: "Siamo tutti interessati dal mondo della Torah".
- Meretz (Energia): Sinistra socialista e laica (tre parlamentari), guidata da Zahava Gal'On. Sostiene il ritiro di Israele dalla Cisgiordania e la creazione di uno stato palestinese.
Slogan: "L'unico partito di sinistra".
- Kadima (Avanti): Centro-destra, guidato dall'ex ministro della Difesa Shaul Mofaz. È il primo partito alla Knesset nel 2009 (28 deputato), ha perso parte dei suoi deputati che si sono candidati con liste concorrenti. È a favore del servizio militare obbligatorio e dei negoziati con i palestinesi.
Slogan: "In avanti!" (nome del partito in ebraico).
- Am Shalem: Creato da un ex deputato di Shas, il rabbino Haim Amsellem. È a favore dell'integrazione degli ultraortodossi nel mondo del lavoro e il rispetto della tradizione ebraica.
Slogan: "La scelta dei coraggiosi".
- Hadash (Nuovo): Partito giudeo-arabo comunista (quattro parlamentari), diretto da Mohamed Barakeh. Antisionista, si batte per uno stato palestinese e una redistribuzione sociale.
- Lista Unita degli Arabi-Ta'al: Lista che raggruppa tre partiti arabi israeliani (quattro parlamentari), guidata da Ibrahim Sarsour. È per uno Stato palestinese e contro la discriminazione della minoranza araba.
- Balad (Nazione): Partito araba nazionalista e laico (tre parlamentari) di Jamal Zahalka. Antisionista, si batte per uno stato democratico non ebraico a fianco di uno stato palestinese.
(formiche, 20 gennaio 2013)
D'Alema al Cairo: due pesi e due misure, inaccettabile
IL CAIRO, 20 gen - Continuare ad usare «due pesi e due misure» per il conflitto israelo-palestinese «non è più accettabile» così come non si può «fare finta che la relazione fra i palestinesi fragili e divisi e i potenti israeliani sia su una base di parità». Lo ha detto Massimo D'Alema al seminario dei progressisti europei al Cairo, secondo il quale sta all'Ue e alla comunità internazionale riportare le due parti al tavolo del negoziato.
D'Alema ha ribadito che per «i paesi europei la necessità di Israele alla sicurezza e il suo diritto di esistere non sono in discussione e questo per l'Europa è una precondizione inevitabile per il negoziato».
Ma questo non significa che si possa «lasciare la soluzione del conflitto alla sola responsabilità della leadership israeliana» o che non si debba favorire una riconciliazione politica all'interno della fazioni palestinesi. E in questo contesto il non avere avuto relazioni con Hamas da parte degli europei è stato «un errore» perché questo ha reso più difficile il processo di unità politica palestinese.
(ANSA, 20 gennaio 2013)
... la necessità di Israele alla sicurezza e il suo diritto di esistere non sono in discussione e questo per l'Europa è una precondizione inevitabile per il negoziato, dice DAlema, e subito dopo aggiunge che bisogna parlare con Hamas, il quale ha come precondizione imprescindibile la necessità di distruggere Israele. E il modo di ragionare dialettico di una storica corrente culturale del recente passato? Con DAlema Hamas certamente sarebbe disposto a parlare, per scandagliare le promettenti possibilità offerte da uno come lui allavanzamento del progetto di Hamas. M.C.
Sequestrata in Egitto una tonnellata di armi dirette a Gaza
IL CAIRO, 20 gen. - Gli egiziani hanno sequestrato una tonnellata di esplosivo destinato alla penisola dei Sinai, dalla quale avrebbe attraversato il confine e raggiunto la Striscia di Gaza. L'esplosivo, spiega Adel Rifaat, il capo della sicurezza della città di Suez, si trovava in un tir che stava attraversando lo stretto attraverso il tunnel sotto il canale. L'autista è stato arrestato.
(LaPresse, 20 gennaio 2013)
Israele: voto anticipato per i militari
I soldati israeliani sono stati i primi a votare, a due giorni dalle elezioni per il rinnovo del parlamento dello Stato ebraico. Oltre 700 seggi sono stati installati nelle basi dell'esercito in tutto il Paese. I militari non possono votare martedì perché impegnati in diverse operazioni.
Mentre manca poco al voto, i candidati provano a convincere il 15 per cento di elettori indecisi. Favorito il primo ministro Benjamin Netanyahu che ricevendo una delegazione statunitense è tornato a ribadire che il programma nucleare iraniano è la "principale minaccia" per la regione.
Il Likud e gli alleati di Israel Beitenu di Avigdor Lieberman dovrebbero raccogliere una maggioranza risicata di 63 seggi su 120.
A sfidarli c'è l'ex ministro degli Esteri Tzipi Livni che dovrebbe ottenere 7-8 deputati, con il partito di centro Hatnuha. Ma a sottrarre voti a Netanyahu più probabilmente sarà l'estrema destra religiosa guidata da Naftali Bennett, ex capo di gabinetto del primo ministro, che otterrebbe una dozzina di seggi.
(euronews, 20 gennaio 2013)
La svolta a destra che non c'è
di Gil Hoffman
Centinaia di giornalisti da tutto il mondo hanno iniziato ad arrivare in Israele per le elezioni di martedì. Stando a quanto riportato finora, la stampa internazionale paracadutata qui cercherà in tutti i modi di intervistare il leader di Bayit Yehudi (Casa Ebraica), Naftali Bennett, col proposito di descrivere le elezioni israeliane in generale, e il successo di Bennet e del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu in particolare, come una chiara indicazione che Israele si è spostato a destra. Eppure un'analisi più esatta della competizione indica che queste impressioni superficiali non corrispondono alla realtà.
Tanto per cominciare, il successo di Bennett nel far crescere Bayit Yehudi dai 3 ai 13 seggi che gli vengono attribuiti negli ultimi sondaggi (come lo Smith Research/Jerusalem Post di venerdì scorso) nasce dal fatto che egli è riuscito a mobilitare molti voti di elettori di centro propensi all'astensione e di giovani al primo voto.
I nuovi sostenitori di Bayit Yehudi non appoggiano il partito per la sua posizione intransigente sui palestinesi o sul destino dei territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania). Bennett, ben consigliato dal suo stratega, s'è fatto un punto di non parlare dei palestinesi, che non sono mai stato un tema centrale della sua campagna elettorale; né degli insediamenti, che ne sono diventati un tema solo quando Netanyahu ha cercato di usare alcune frasi di Bennett sulla Cisgiordania per tentare di strappargli dei voti. I nuovi sostenitori di Bennett appoggiano Bayit Yehudi perché il leader è carismatico, è un giovane diventato milionario con l'hi-tech, ha prestato servizio nell'unità d'elite Sayeret Matkal, parla lo slang ebraico della strada e sa come rapportarsi con gli israeliani di diverse estrazioni. Se negli Stati Uniti il simbolo nazionale è la torta di mele, l'equivalente oggi in Israele è dato dall'hi-tech e dalle unità speciali Sayeret Matkal.
Benché ci si attenda che Netanyahu vinca con facilità questa tornata elettorale, la sua lista Likud-Bitenu è considerevolmente calata nei sondaggi. Il blocco delle formazioni di destra rimarrebbe complessivamente attorno ai 65 seggi che aveva già ottenuto nelle precedenti elezioni, senza riuscire a strappare voti al frammentato centro-sinistra. Durante la campagna elettorale c'è stata una guerra nella striscia di Gaza, che inevitabilmente ha creato un effetto patriottico del tipo "tutti stretti attorno alla bandiera", che a sua volta avrebbe ben potuto spostare a destra molti israeliani. Prima della guerra c'erano state centinaia di razzi lanciati sui civili israeliani, mentre il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) da quattro anni si rifiuta di sedere al tavolo dei negoziati con Israele. Anche questo comprensibilmente avrebbe potuto rendere gli israeliani più "falchi", ma i sondaggi indicano che non è così. Dunque, il modo in cui la stampa estera dovrebbe sintetizzare l'andamento sinora di queste elezioni è che, a quanto pare, contro ogni previsione, l'elettorato israeliano non si sta spostando massicciamente a destra.
Ma il vero test sulla direzione che prenderà Israele sarà la coalizione che verosimilmente Netanyahu andrà a formare. A differenza della volta scorsa quando aveva formato una coalizione con un partito del centro-sinistra e quattro partiti di destra, dopo queste elezioni si prevede che Netanyahu intenda formare un governo con due partiti del centro-sinistra, molto probabilmente Yesh Atid e Kadima. La coalizione uscente aveva cinque seggi da sinistra, la prossima potrebbe averne 15. Se andrà così, i giornalisti della stampa estera dovranno farsi precipitosamente ri-paracadutare in Israele per spiegare ai loro lettori com'è che Israele alla fine non si è spostato a destra, e come mai i loro precedenti reportage erano così sbagliati.
(Jerusalem Post, 18 gennaio 2013 - da israele.net)
L'ambasciatore Gilon racconta Israele su Facebook
Lo sviluppo in campo agricolo e medico scientifico. Israele nell'Unione Europea. I procedimenti necessari per il riconoscimento delle lauree italiane. Ma anche la cattiva qualità dell'informazione sullo Stato ebraico, le prossime elezioni, le prospettive dei negoziati di pace con i palestinesi. Sono tante le domande che il popolo di Facebook ha posto all'ambasciatore israeliano a Roma Naor Gilon attraverso la postazione dell'ambasciata sul social network creato da Mark Zuckerberg "Israele in Italia". Per oltre un'ora Gilon ha raccolto e cercato di soddisfare le decine di curiosità espresse dagli utenti con le sue risposte. "Israele attribuisce un'enorme importanza alla ricerca e allo sviluppo: investe in R&D il 4.5 per cento del PIL. L'indice più alto nell'Ocse, e tra i più alti al mondo", "Israele vede una vicinanza e identificazione di valori con l'Ue, molti dei cittadini d'Israele hanno origini da paesi europei, e inoltre l'Europa è la principale partner commerciale di Israele, assieme agli Usa", "Auspichiamo sinceramente che il nuovo Egitto continui a favorire e a lavorare per il mantenimento della pace e a mantenere con Israele rapporti improntati al segno dell'amicizia e del reciproco rispetto", alcune delle risposte. Se molti di coloro che hanno seguito e partecipato alla diretta Facebook hanno espresso vicinanza o desiderio di capire meglio la realtà israeliana, non sono mancati anche utenti che hanno postato domande o commenti dal sapore provocatorio, riguardanti in particolare la questione israelo-palestinese. L'ambasciatore non si è comunque sottratto al confronto, e alla fine si è detto soddisfatto dell'esperimento, promettendo di ripeterlo presto "Carissimi amici, grazie della vostra numerosa partecipazione! Mi impegno a rispondere nei prossimi giorni al maggior numero possibile delle domande che mi avete posto. Dato il successo dell'iniziativa, credo proprio che non potrò fare a meno di individuare presto un'altra data in cui ritrovarci di nuovo su Facebook e continuare a parlare di Israele. Todah rabbah" [molte grazie].
(Notiziario Ucei, 20 gennaio 2013)
Giovedì a Roma il rabbino capo di Tel Aviv per il Giorno della Memoria
Rav Ysrael Meir Lau
ROMA, 20 gen. - La Comunita' ebraica romana celebrera' il Giorno della Memoria giovedi' al Tempio Maggiore di Roma con la cerimonia dal titolo 'I Testimoni della Memoria: dopo la Shoah... il ritorno alla vita'. La Cer, con questa iniziativa, vuole "dare un messaggio di speranza alle future generazioni, raccontando come i reduci dai campi di sterminio sono tornati a vivere dopo l'incubo della Shoah". Sara' presente il capo rabbino di Tel Aviv e presidente dello Yad Vashem Council, Rav Ysrael Meir Lau, sopravvissuto al campo di sterminio nazista.
Rav Lau fu deportato con la sua famiglia a Buchenwald quando aveva appena 6 anni. La sua famiglia e' stata sterminata ad eccezione sua e di un suo fratello, Naphtali Lau-Lavie. Nel 1945 parti' per Israele e li' inizio' i suoi studi per diventare rabbino. Arrivo' a ricoprire il ruolo di rabbino capo di Israele e oggi e' a capo della comunita' di Tel Aviv.
All'interno del Tempio Maggiore di Roma, in platea saranno presenti gli studenti delle scuole romane, gli ex deportati italiani dai campi di sterminio, le autorita' religiose, i rappresentanti delle istituzioni ebraiche e italiane. Gli scolari porranno le loro domande a Rav Lau.
(Libero-news.it, 20 gennaio 2013)
Critiche al silenzio di Pio XII
di Dino Messina
Personalmente scrive Sergio I. Minerbi a conclusione del saggio "Pio XII e il 16 ottobre 1943", in uscita sul prossimo numero di "Nuova Storia Contemporanea" io mi salvai rifugiandomi nel collegio mariano di San Leone Magno. A quell'epoca il preside della scuola era don Alessandro Di Pietro, che accolse venti ragazzi ebrei e una dozzina di antifascisti italiani adulti. Gli è stato reso onore il 30 gennaio dei 2002, quando gli hanno conferito il titolo di "Giusto fra i popoli"». L'esperienza personale raccontata con onestà e gratitudine e l'ammissione del fatto che migliaia di perseguitati, dopo la razzia del 16 ottobre, trovarono rifugio nelle chiese e nei conventi (secondo Robert Leiner si trattò di 2.775 ebrei e di 992 persone di altra religione) non attenua agli occhi di Minerbi, storico ed ex diplomatico israeliano, le responsabilità per quel che viene chiamato, dai tempi del dramma di Hochhuth "Il Vicario" (1963), il «silenzio di Pio XII». La domanda aperta ancora oggi che è stato avviato il processo di beatificazione secondo Minerbi è perché il Papa non protestò con i nazisti apertamente né prima né dopo la razzia nel ghetto durante la quale furono catturati e mandati ad Auschwitz 1.022 ebrei. Altri 1069 furono catturati dopo il raid e 75 caddero alle Fosse Ardeatine. Minerbi è convinto che Pio XII sapesse quel che stava per accadere grazie agli avvertimenti dell'ambasciatore presso il Vaticano Ernst Weizsacker, ma decise di tacere per evitare la minacciata occupazione nazista della Santa Sede. Un piano che prevedeva anche il rapimento del Papa e il suo trasferimento in Liechtenstein. Pio XII sperò fino all'ultimo in una soluzione negoziale del conflitto, con il Vaticano nel ruolo di mediatore tra gli Alleati e la Germania, e l'Unione Sovietica isolata. Non è poi vero, argomenta lo storico, che la scelta del Papa consentì di salvare molte più vite umane. Una dichiarazione pubblica e forte, secondo Minerbi, avrebbe probabilmente potuto salvare dalla deportazione gli ebrei che dopo la cattura rimasero per tre giorni all'interno del collegio militare di Roma.
(Corriere della Sera, 20 gennaio 2013)
Antisemitismo stile anni '40 nella capitale dell'Unione Europea
di Giulio Meotti
Bruxelles, la capitale del Belgio, che ospita l'Unione Europea, fornisce un esempio illuminante del nuovo rigurgito di odio verso gli ebrei.
La più antica scuola ebraica della capitale belga, intitolata a Maimonide, presto sarà chiusa per gli attacchi antisemiti e la conseguente mancanza di studenti. Come durante l'occupazione nazista, oggi è pericoloso per una ragazza ebrea andare a scuola a Bruxelles, perchè viene regolarmente insultata con un "Sporca ebrea, vattene al tuo paese!".
Nel Belgio vivono 40.000 ebrei. Nel 2012, l'odio antisemita ha subìto un aumento del 50 %. Il 30% della popolazione di Bruxelles (1 milione) è musulmana e diventerà la maggioranza fra tre generazioni.
Il quotidiano De Morgen ha pubblicato i risultati di un sondaggio tra i giovani musulmani nelle scuole superiori di Bruxelles: "La metà può essere definita anti-semita, un tasso molto alto", ha detto Mark Elchardus, sociologo della Vrije Universiteit Brussel.
Nel frattempo, le autorità belghe hanno dichiarato guerra all'ebraismo.
Un tribunale nella città di Anversa ha appena costretto una scuola femminile ebraico- ortodossa, gestita da un gruppo chassidico, di ammettere le due figlie di un militante haredì anti-sionista, che aveva partecipato alla conferenza sul negazionismo della Shoah a Teheran nel 2006 e che era stato fotografato mentre baciava il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Mentre la società illiberale e reazionaria belga si permette di privare l'ebraismo della sua identità religiosa, alla Scuola Europea, la più prestigiosa di Bruxelles, dove vengono inviati i figli dei rappresentanti della Comunità europea, gli studenti ebrei sono vessati se manifestano sostegno a Israele .
Non è un caso che l'ambasciatore degli Stati Uniti in Belgio abbia incolpato Israele per l'antisemitismo tra i musulmani.
Howard Gutman ha detto che "si dovrebbe distinguere tra l'antisemitismo tradizionale, che dovrebbe essere condannato, e l'odio dei musulmani verso gli ebrei, che deriva dal conflitto in corso tra Israele e i palestinesi".
La maggior parte dei commenti pubblici su Israele da parte dei funzionari belgi sembrano comunicati redatti della Lega Araba.
Karel De Gucht, Commissario europeo per il Commercio ed ex Ministro degli Esteri belga, ha lanciato alla Radio Pubblica fiamminga uno sproloquio contro gli ebrei: "Non sottovalutate la lobby ebraica di Washington: tra la maggior parte degli ebrei vi è una forte convinzione- è difficile descriverla in altro modo- di essere sempre nel giusto, indipendentemente dal fatto che siano religiosi. La pensano così anche gli ebrei laici. Quindi non è facile avere, perfino con gli ebrei moderati, una discussione ragionevole su ciò che sta realmente accadendo in Medio Oriente". Dunque, non era un caso di "critica a Israele" o di "anti-sionismo": l'obiettivo di Mr. De Gucht sono gli ebrei.
Il Belgio, uno dei primi paesi occidentali a permettere l'apertura di un'ambasciata dell'Olp a Bruxelles, è apparso come il paese che maggiormente criminalizza Israele a livello europeo.
Lo sceicco Ahmad Yassin, il giorno dopo il suo assassinio, sul quotidiano fiammingo Nieuwsblad venne paragonato a Cristo.
Contrariamente ad altri Stati dell'Unione Europea, la linea politica del Belgio non è guidata da una realpolitik pro-araba, ma da atteggiamenti antisemiti profondamente radicati.
Gli scambi commerciali con il mondo arabo rappresentano solo una piccola parte della bilancia commerciale del Belgio. L'odio belga verso Israele è diffuso, laico, internazionalista e terzomondista.
Belgio e Austria sono gli unici due paesi europei che hanno votato a favore di un'indagine, sotto l'egida delle Nazioni Unite, che criminalizzava il comportamento di Israele per gli "insediamenti in Cisgiordania".
In un famoso editoriale sul giornale belga Le Soir, un vice-Presidente della Commissione Esteri del Senato aveva scritto: "L'intransigente rifiuto di Israele per una pace giusta, non è una prova lampante del fatto che il progetto sionista è fallito?" per continuare poi a elencare le somiglianze tra gli "ebrei" e il regime di Apartheid degli Afrikaner.
Gli ebrei belgi hanno anche una parte di responsabilità nel sottovalutare l'odio. L'organizzazione che riunisce le istituzioni ebraiche del Belgio ha appena ospitato André Flahaut, Presidente della Camera dei rappresentanti del Belgio, come ospite d'onore a una cena di gala. Flahaut - ex Ministro della Difesa e alto funzionario del Partito Socialista - ha paragonato Israele ai nazisti.
Perché gli ebrei hanno reso onore a un antisemita dichiarato?
Ad Anversa, la famosa "Gerusalemme belga", una scuola cattolica di tutto rispetto e finanziata dal governo cattolico, il Collegio del Sacro Cuore, ha organizzato per gli studenti una "Giornata per la Palestina", piena di attività e riferimenti antisemiti. Nel corso dell'evento c'era uno stand intitolato "Lancia i soldati in mare", dove i ragazzi erano invitati a gettare modellini di ebrei e soldati israeliani in due grandi vasche di acqua.
Durante il dilagare della peste nera (1348-1349), gli ebrei belgi furono massacrati dalla popolazione e dalle autorità locali, con l'accusa di aver avvelenato i pozzi provocando quindi il sorgere della peste. Solo un pugno di famiglie sopravvissero, ma molte furono poi messe al rogo nel 1370, con l'accusa di aver profanato le ostie della comunione.
Nel 1940 gli ebrei belgi sono stati sterminati ad Auschwitz con la partecipazione volontaria delle autorità belghe. Settanta anni dopo, gli studenti stanno imparando a prendere la mira contro la bandiera israeliana, le fotografie di un ebreo ortodosso di Anversa, di una sinagoga, del club sportivo Maccabi, e, per finire, uccidere israeliani.
In questi giorni, mentre le autorità belghe stavano inaugurando il Museo Ebraico in un edificio che fu una sede nazista, i passeggeri di un treno a Bruxelles sono rimasti colpiti dal seguente annuncio, diffuso attraverso un altoparlante: "Benvenuti al treno per Auschwitz. Gli ebrei sono invitati a scendere a Buchenwald".
E una parte significativa del programma nucleare iraniano, è giusto ricordarlo, proviene dal Belgio.
(Informazione Corretta, 20 gennaio 2013)
Il presidente Peres riceve una delegazione americana
La sera del 19 gennaio, presso la sua residenza a Gerusalemme, il presidente israeliano, Shimon Peres, ha incontrato una delegazione del Senato americano, capeggiata dal sentatore John McCain.
Durante l'incontro, Peres ha ringraziato il costante sostegno americano ad Israele, affermando che la visita della delegazione americana è un messaggio agli altri paesi del Medio Oriente, ossia che gli Stati Uniti si dedicano ancora a perseguire la libertà e la pace della zona. Parlando della questione Siria, Peres ha osservato che gli Stati Uniti devono, assieme ai paesi del Medio Oriente, risolvere il problema con un atteggiamento responsabile.
Dal canto suo, John McCain, che poco prima aveva visitato un campo per rifugiati siriani, ha espresso la speranza di vedere più impegno delle autorità americane nell'aiutare la popolazione siriana.
Inoltre, le due parti hanno anche proceduto a discussioni sul rafforzamento della partnership strategica tra Israele e Stati Uniti, sui rapporti di Israele con i paesi vicini e sul problema nucleare iraniano.
(CRI online, 20 gennaio 2013)
Preoccupa l'aumento del consenso per Hamas in Cisgiordania
di Noemi Cabitza
Un rapporto rilasciato ieri dallo Shin Bet mette in guardia il Governo israeliano sul verticale aumento del consenso che sta ottenendo Hamas nei territori governati dalla Autorità Nazionale Palestinese (ANP), consenso che si registra maggiormente tra i giovani e giovanissimi arabi.
Secondo questo allarmante rapporto il movimento terrorista che tiene in ostaggio la Striscia di Gaza sta ottenendo molto consenso dopo che è passata l'idea che Hamas abbia vinto l'ultimo scontro con Israele, una idea chiaramente errata ma che la gente di strada araba, spesso con un livello culturale molto basso, percepisce come reale. A questo si aggiunge l'attivismo pro-Hamas di moltissimi studenti della Bir Zeit University, una delle più importanti università nei territori arabi. In forte aumento anche le iscrizioni ai cosiddetti "campi estivi" che poi altro non sono che veri e propri campi di addestramento dove i bambini vengono indottrinati da elementi di Hamas alla lotta armata e alla Jihad.
Il rapporto redatto dallo Shin Bet mette in guardia anche sul tentativo di Hamas di creare cellule armate in Cisgiordania. Sarebbero già decine le cellule attive nei territori amministrati dalla ANP. L'opera di prevenzione della polizia palestinese unita a quella dell'IDF non è sufficientemente incisiva nonostante i numerosi arresti.
Hamas lavora ai fianchi di Fatah e della ANP. Ufficialmente dice di volere una riconciliazione con il movimento di Fatah, ma alle spalle fa di tutto per abbatterlo. L'apparentamento con la Fratellanza Musulmana li sta aiutando molto in questo. Per molti arabi che abitano la Cisgiordania Hamas è l'unico vero nemico che ha Israele e quindi passano dalla sua parte.
Questi avvenimenti stanno letteralmente oscurando anche l'ininfluente e misera vittoria ottenuta da Abu Mazen alle Nazioni Unite quando ha ottenuto lo status di Paese Osservatore per la Palestina, un riconoscimento applaudito ipocritamente anche da Hamas che all'inizio ha cercato di sfruttarlo per avere una sponda politica ma che, con il passare delle settimane, si è rivelato per quello che è in realtà: un grande bluff e un'arma a doppio taglio proprio per gli arabi.
Vista la sostanziale inutilità della polizia della ANP nel contrasto a questa impressionante espansione di Hamas in Cisgiordania e visto che le cellule terroristiche continuano a crescere come funghi, lo Shin Bet consiglia una più incisiva azione di prevenzione portata avanti direttamente dall'IDF bypassando, se necessario, le autorità arabe della ANP.
(Rights Reporter, 19 gennaio 2013)
La variabile diplomatica di Morsi nei rapporti tra Egitto e Israele
di Antonio Ferrari
Che il presidente egiziano Mohammed Morsi non sia un raffinato diplomatico è noto. E che non sia un campione di coerenza è risaputo persino nei circoli islamici da cui proviene. Ma YouTube, nei giorni scorsi, ha diffuso una sua intervista davvero imbarazzante, che a molti era sfuggita. Nel video, registrato nell'autunno del 2010, l'allora dirigente dei Fratelli musulmani che sarebbe poi diventato capo dello Stato, si scaglia ferocemente contro gli israeliani, definendoli «sanguisughe, guerrafondai e discendenti dalle scimmie e dai maiali». Non solo. Se la prende anche con l'Autorità nazionale palestinese, sostenendo che è stata creata dai «sionisti e dai nemici americani» con l'obiettivo di fare tutto ciò che desidera Israele; dice che la formula dei «Due Stati per due popoli è un'illusione» e che la via da seguire è quella della «resistenza armata».
È evidente che il Morsi del 2010 non aveva il ruolo e le responsabilità che ha oggi, ma colpisce che alla richiesta dell'Amministrazione americana di prendere le distanze da quelle scellerate dichiarazioni, il nuovo Faraone non abbia risposto, incaricando un portavoce di spiegare che le frasi erano state espunte dal contesto. Beh, basta un'occhiata a YouTube per scoprire che le dichiarazioni del futuro presidente appartengono a una robusta, argomentata e violenta filippica. Rivelano insomma tratti interessanti della personalità e del carattere del leader.
Morsi adesso assicura a tutti che intende mantenere il trattato di pace con Israele. Lo ha confermato anche nella lunga intervista a Wolf Blitzer della Cnn. Il presidente ha bisogno non soltanto del sostegno politico degli Usa, che considerano il Cairo un alleato irrinunciabile, ma degli aiuti economici di cui l'Egitto ha un disperato bisogno, e delle garanzie per ottenere altri prestiti. Però quando l'intervistatore ha chiesto a Morsi se e quando pensa di incontrare i leader di Israele, la risposta è stata una non risposta.
(Corriere della Sera, 19 gennaio 2013)
E' vero: le frasi di Morsi che si sentono dal video sono estratte dal contesto; è vero che devono essere inserite nel giusto contesto; ed è vero che se questo si farà, cioè se quelle frasi saranno inserite nel contesto allargato dellideologia del Fratelli Musulmani a cui Morsi appartiene, si capirà che Morsi ha detto soltanto la metà di quello che pensa. Laltra metà, se davvero venisse fuori, si rivelerebbe peggiore della prima. Ma Obama, Merkel, Hollande, Monti e compagnia hanno una gran voglia di credere alla prima spiegazione che venga loro offerta. Morsi lo sa bene e gliene fa arrivare una di seconda mano. Stupida naturalmente, ovviamente incredibile, ma sufficiente per appagare i capi delle nazioni buone, quelle che amano Israele. Netanyahu non sa fare gli interessi di Israele e rischia lisolamento, dice Obama. Lui invece, che li sa fare, si preoccupa del bene di Israele e per questo vuole mantenerlo sotto la tutela sua e di Morsi. Ma Netanyahu, testardo, insiste a dire che al bene dIsraele vuole continuare a pensarci lui, daccordo con gli israeliani. Un vero grattacapo, per il buon Obama, quel discoletto di Israele. M.C.
La nuova faccia di Israele
Naftali Bennett
Nelle elezioni legislative del 22 gennaio il candidato da tenere d'occhio è Naftali Bennett, 40 anni, imprenditore del settore high-tech e leader del partito Habayit Hayehudi (casa ebraica).
Bennett, ex militare delle forze speciali israeliane e poi imprenditore di aziende tecnologiche, è il paladino dei coloni, in particolare di quelli giovani, che sono più conservatori e nazionalisti rispetto alla generazione dei loro genitori. A vincere le elezioni sarà Netanyahu, ma dovrà fare i conti con queste nuove forze, scrive Time.
La sinistra israeliana è sull'orlo di una nuova cocente sconfitta, scrive Noam Sheizaf su Foreign Affairs. I partiti di sinistra e centristi non sono riusciti a mettersi insieme a causa di differenze insignificanti nei loro programmi politici. Ma forse, commenta Sheizaf, è stato anche perché davano per scontata una nuova vittoria di Netanyahu.
(Internazionale, 18 gennaio 2013)
Israele e Africa: una storia ancora tutta da scrivere
Crescono scambi e aumenta la cooperazione ma il radicalismo islamico minaccia il continente nero. Lo spiega Avi Granot, direttore generale del ministero degli Esteri israeliano.
di Daniel Benyossef
La fine del regime di Gheddafi può aprire nuovi orizzonti per Israele in Africa ma Gerusalemme non si fa false illusioni "perché la storia del Nord Africa è ancora tutta da scrivere". Il rapporto con il resto del Continente nero, intanto, diventa sempre più intenso perché gli obiettivi delle nazioni africane e dello Stato ebraico sono gli stessi: crescita, sviluppo, democrazia e lotta al terrorismo. È questo, in estrema sintesi, il senso dell'intervista che Avi Granot, direttore generale per l'Africa del ministero degli Esteri israeliano, ha concesso a SHALOM.
Scopo del colloquio è stato tracciare un bilancio delle relazioni fra Israele e i paesi africani tre anni dopo la visita da parte dell'ex ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman in Etiopia, Kenya, Uganda, Nigeria e Ghana. Il bilancio è positivo per Granot che ricorda come proprio in Ghana sia stata aperta a gennaio 2011 una nuova ambasciata israeliana, "e speriamo con l'anno nuovo di aprirne almeno un'altra in Africa: questo obiettivo è già stato ottenuto dal punto di vista politico anche se è stato posticipato per ragioni di natura economica".
Il processo di penetrazione diplomatica di Israele nel Continente è ovviamente legato alle questioni di attualità politica, spiega l'ambasciatore. "I cambiamenti più drammatici nei rapporti fra noi e l'Africa sono legati alla 'primavera araba' e al collasso dei vecchi regimi nordafricani, specialmente quello libico". Tre anni fa il vicedirettore per l'Africa del ministero degli Esteri aveva ricordato che le relazioni fra Israele e i paesi più poveri e più deboli, "e perciò più direttamente influenzabili dalla Lega araba", erano sotto "l'ascendente nefasto di Gheddafi".
Era stato proprio il colonnello a dichiarare nel corso delle celebrazioni del quarantennale della presa del potere in Libia che "Israele è la causa di tutti i conflitti che insanguinano l'Africa". E sempre Tripoli aveva sostenuto il governo golpista della Mauritania che nel 2009 decise di rompere le relazioni allacciate con Israele dieci anni prima. La fine del rais libico, tuttavia, non modifica la situazione dello stato ebraico in modo automatico. Ieri i regimi di Gheddafi, dell'egiziano Mubarak e del tunisino Ben Ali facevano da argine all'espansione dell'estremismo islamico in tutta l'Africa. Oggi invece, riprende Granot, "registriamo per esempio infiltrazioni radicali islamiche in Mali e in Nigeria", teatro quotidiano di violenze contro le minoranze cristiane. Le recenti bombe esplose contro molte chiese nigeriane "hanno suscitato grande apprensione in numerosi paesi africani che oggi vedono sempre più Israele come un partner visto che subisce quotidianamente la stessa minaccia". Il direttore generale ricorda che "molti leader africani stanno contrastando questo espansione del radicalismo" e si rivolgono sempre più a Gerusalemme.
Ecco spiegata, aggiunge, "la valanga di visite" di presidenti e di ministri africani negli ultimi anni. E il seggio di osservatore presso l'Unione africana per il quale Israele preme. "Quella del seggio (negato per espressa volontà di Gheddafi, ndr) è una questione ancora aperta: i nostri rapporti bilaterali con i Paesi della regione sono sempre più in crescita - osserva Granot - anche se questo dato non ha ancora prodotto effetti sul piano multilaterale poiché resta un veto dei Paesi nordafricani". Certo non è mancato nel passato recente qualche segnale positivo come il sì espresso dalla nuova dirigenza libica a favore di un minuto di silenzio in memoria degli atleti israeliani ai recenti Giochi Olimpici di Londra. Ma Granot sa che una rondine non fa primavera.
D'altro canto i vecchi regimi nordafricani sono stati sostituiti da una dirigenza islamica sostanzialmente ostile a Israele: "È troppo presto - aggiunge l'ambasciatore - per valutare" l'esito della primavera araba nel medio termine e Israele "deve usare molta cautela" prima di trarre giudizi. Alla prospettiva africana va poi affiancata quella israeliana. Se i leader del Continente nero vedono in Israele un partner nella lotta al terrorismo, "un numero sempre maggiore di aziende israeliane ha capito che l'Africa rappresenta un grande potenziale di crescita in una varietà di settori". L'interesse per lo sviluppo di rapporti business-to-business si affianca poi alla tradizionale eccellenza israeliana nell'assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo.
E tra i progetti in corso d'opera Granot ricorda "l'apertura di alcune cliniche in Sud Sudan, un progetto assieme alla cooperazione tedesca per l'acquacoltura sulle sponde del Lago Vittoria e uno per lo sviluppo dell'agricoltura condotto in Senegal assieme alla cooperazione italiana".
(Shalom, gennaio 2013)
A quattro giorni dal voto i sondaggi confermano il vantaggio di Netanyahu
GERUSALEMME, 18 gen. - A quattro giorni dalle elezioni parlamentari in Israele i sondaggi confermano il vantaggio della lista Likud Beitenu del primo ministro Benjamin Netanyahu. Secondo uno studio dell'istituto Dialogue, al blocco di Netanyahu andranno 63 seggi, mentre la coalizione di centro sinistra ne vincerà 57. Dialogue ha intervistato 712 persone e il margine d'errore è pari al 3,9%. Un sondaggio di Dahaf ha confermato i 63 seggi per la lista del premier, mentre secondo uno studio di Smith Research al blocco di Netanyahu andranno 66 seggi. Per il sondaggio di Dahaf sono state intervistate mille persone e il margine d'errore è del 3,2%, mentre per quello di Smith Research sono state sentite 800 persone e il margine d'errore è pari al 3,5%
(LaPresse, 18 gennaio 2013)
La terza intifada sarà combattuta a livello mediatico
di Sharon Levi
"Bab Al Shams"
"La terza intifada è già scoppiata". A dirlo è stato all'inizio dell'anno un colonnello dell'IDF, Yaniv Alaluf, e subito la notizia ha fatto il giro dei giornali arabi e israeliani. Ma è veramente scoppiata la terza intifada e se è così, come verrà combattuta?
A stare a sentire i giornalisti arabi la terza intifada è già in corso, solo che non sarà come fu la seconda, violenta e improvvisa. Questa intifada userà una delle armi più potenti e subdole di cui dispongono gli arabi: la propaganda e i media.
Ne abbiamo avuto un assaggio quando qualche giorno fa decine di arabi hanno eretto una specie di villaggio fatto di tende nella zona denominata "E1" e lo hanno chiamato "Bab Al Shams". Naturalmente non potevano farlo e così è dovuto intervenire l'esercito per sgomberarli. Era esattamente quello che volevano. Quando sono arrivati i militari israeliani ad attenderli non c'erano solo gli arabi ma anche una nutritissima pattuglia di media occidentali e arabi che naturalmente hanno diffuso sapientemente il tutto facendo bene attenzione nello scegliere i fotogrammi da diffondere in modo che apparisse chiaro che "gli israeliani sono cattivi e gli arabi, poverini, sono buoni".
La cosa è piaciuta ai vertici della Autorità Nazionale Palestinese (ANP) tanto che proprio ieri hanno annunciato la costruzione di decine, addirittura centinaia, di questi villaggi abusivi. L'obbiettivo è drammaticamente semplice: provocare la reazione israeliana in modo che i media possano diffondere il messaggio che "gli arabi sono buoni e gli israeliani sono cattivi e violenti".
In realtà anche nel caso del villaggio chiamato dagli arabi "Bab Al Shams" non c'è stata alcuna azione violenta da parte dell'esercito e della polizia israeliana. Nessun ferito. Nessuno arrestato. Ma come è stata descritta quella azione dai media arabi e da moltissimi media occidentali? Come una azione violenta e prepotente. Addirittura, per giustificare il fatto che non c'erano stati arresti, si sono inventati la storiella che gli arabi sarebbero riusciti ad eludere i controlli israeliani con un finto matrimonio. Naturalmente sono tutte menzogne ma ci fanno capire con chiarezza in che modo gli arabi vogliono combattere questa terza intifada. Non solo, lanciano al Governo israeliano un monito importante: non cadere nelle trappole arabe.
A confermare quanto detto sopra ci pensa uno dei più importanti giornalisti arabi, Daoud Kuttab, che su un giornale giordano pochi giorni fa scriveva un editoriale dove invitava l'ANP ad adottare questa tecnica sostenendo che "le immagini dell'esercito israeliano che sgomberava Bab Al Shams hanno fatto il giro del mondo in pochi secondi" e che "dovranno sorgere centinaia di Bab Al Shams così che per centinaia di volte le immagini dell'esercito israeliano che sgombera quei campi faranno il giro del mondo".
Ecco come sarà la terza intifada, verrà combattuta a livello mediatico e Israele non deve farsi trovare impreparato perché i media sono l'arma non convenzionale più potente in mano agli arabi, media naturalmente asseriti alle menzogne arabe. Israele dovrà fornire un servizio di informazione in "real time" che smonti immediatamente le menzogne arabe, una cosa che purtroppo a Gerusalemme non sono mai stati capaci di fare lasciando agli arabi quella formidabile arma che sono i media.
(Rights Reporter, 18 gennaio 2013)
Netanyahu: se rieletto non smantellerò gli insediamenti
GERUSALEMME, 18 gen. - Gli insediamenti dei coloni non saranno smantellati nel caso in cui Benjamin Netanyahu venisse rieletto. E' lo stesso premier israeliano ad affermarlo in un'intervista. 'Puo' promettere che nei prossimi quattro anni nessun insediamento verra' smantellato?', ha chiesto il reporter di Maariv. 'Si'', ha risposto Netanyahu, 'i giorni in cui i bulldozer cacciano via gli Ebrei sono dietro di noi, non davanti'.
(la Repubblica, 18 gennaio 2013)
In Israele è finita l'era dei kibbutz. Nessun rappresentante nel prossimo parlamento
di Davide Frattini
Le tombe di David e Paula Ben Gurion a Sde Boker
David Ben-Gurion, il padre della patria israeliano, a una festa di compleanno al kibbutz Sde Boker. Lasciata la politica Ben-Gurion si ritirò a Sde Boker ed è seppellito lì vicino a
Gerusalemme:
«Il 28 ottobre 1910 noi compagni, dieci uomini e due donne, abbiamo fondato un insediamento indipendente di lavoratori ebrei. Una cooperativa, senza sfruttatori e senza sfruttati. Una comune».
L'iscrizione sulla pietra e il patto che suggellava non sono riusciti a celebrare il centenario. Sei anni fa l'85 per cento dei 320 abitanti del kibbutz Degania, sulle rive del lago di Tiberiade, ha votato per abolire l'organizzazione collettiva: da compagni a soci, stipendi differenziati a seconda dei meriti, case a prezzi (quasi) di mercato.
Degania è stato il primo villaggio agricolo a essere fondato, non è stato l'ultimo a venire privatizzato. La crisi economica dei kibbutz si è trasformata in recessione degli ideali: nel prossimo parlamento potrebbero non esserci rappresentanti del movimento che ha creato lo Stato d'Israele. «Nella prima Knesset sedevano 26 membri di kibbutz ricorda con malinconia Yossi Sarid sul quotidiano Haaretz tre volte la loro quota percentuale nella popolazione del tempo. Cinque erano diventati ministri. Tutto è finito nel 1977, quando Menachem Begin (leader del Likud, ndr) li descrisse come edonisti. Non si sono mai più ripresi, malgrado il loro contributo incomparabile alla fondazione e alla difesa del Paese».
Nelle 34 liste presentate per il voto di martedì prossimo i kibbutznik sono in posizioni troppo difficili, tutti fuori dal numero di seggi previsti dai sondaggi. Perfino i laburisti hanno scelto di dare il posto garantito per il settore agricolo a Danny Atar, che non abita in un kibbutz. La leader Shelly Yachimovich vuole tagliare con il passato socialista, le interessano i voti dei giovani borghesi che vivono a Tel Aviv o scelgono la campagna solo perché è più sana per i figli. L'ex giornalista televisiva è consapevole che dai villaggi collettivi non arriva più il sostegno che una volta garantiva la vittoria del suo partito. Alle elezioni di tre anni fa, il 31,1 per cento dei membri dei kibbutz ha votato per Kadima, il 30,6 per il Labour, il 17,7 per Meretz e il 5,8 addirittura per il Likud.
Scegliere i conservatori non comporta più la scomunica dei «compagni». Evyatar Dotan ha organizzato le visite elettorali nelle cooperative per i candidati di Yisrael Beitenu, alleato con il Likud di Benyamin Netanyahu. C'è andato anche il leader ultranazionalista Avigdor Lieberman, che piace «perché ha sostenuto gli agricoltori nei momenti più difficili».
L'unico kibbutznik ad avere qualche possibilità di entrare in parlamento sta ancora più a destra, con Naftali Bennett: Zvulun Kalfa era tra i coloni evacuati dalla Striscia di Gaza nel 2005 ed è diventato il responsabile della comunità di Shomriya nel deserto del Negev. «Un'era è finita scrive Yossi Beilin, tra gli artefici degli accordi di Oslo, su Israel Hayom . D'ora in avanti se il movimento vorrà contare e influenzare le decisioni politiche dovrà affidarsi alle pressioni dei lobbisti».
(Corriere della Sera - blog, 18 gennaio 2013)
Israele gourmet
di Eleonora Cozzella
Ristoranti e bistrot a Gerusalemme e Tel Aviv stanno tenendo alta la bandiera della gastronomia israeliana. Che vive un momento d'oro grazie a chef impegnati nella ricerca delle proprie radici e di ingredienti locali che fanno da trait d'union tra piatti delle tradizioni e tecniche moderne. Dall'Arcadia di Ezra Kedem all'Eucalyptus di Moshe Basson alla Primavera di Shalom Kadosh, una selezione per i lettori di food&wine di ristoranti da non perdere.
Un importante aggiornamento del servizio Street View di Google Maps è stato appena lanciato online. Si tratta di un update che ha riguardato principalmente i territori di Israele.
Nelle ultime ore, infatti, i vertici del celebre servizio delle mappe di Mountain View hanno annunciato di aver aggiunto le immagini panoramiche e dettagliate di nuove strade e nuove città di Israele.
L'estensione della copertura di Street View va ad aggiungersi quindi a quanto già presentato online nell'aprile del 2012, quando furono inseriti, tra gli altri territori, Gerusalemme e Haifa.
Da questo momento gli utenti di tutto il mondo potranno effettuare "viaggi" virtuali ad esempio nella città di Safed a Nord, o "visitare" la barriera corallina di Eilat a Sud.
Oltre a ciò, sarà possibile visualizzare il punto più basso della terra nei pressi del Mar Morto, o camminare per la città vecchia di Acri.
Aggiornate anche le mappe di località molto importanti in campo religioso, come Tiberiade, una delle quattro città sante dell'ebraismo.
Allo stesso tempo, sarà possibile "visitare" il mare di Galilea, dove, secondo i Vangeli, Gesù camminò sulle acque, o Cafarnao, il villaggio di pescatori che si crede sia stata la casa di San Pietro.
Nella Galleria Fotografica del presente articolo alcune immagini sono tratte dall'ultimo aggiornamento appena descritto lanciato su Street View e relativo a Israele.
(PianetaTech, 17 gennaio 2013)
Israele verso il voto
Gli elettori israeliani sono chiamati a votare il 22 gennaio prossimo per eleggere su base proporzionale i 120 deputati della Knesset, con un mandato quadriennale. In totale sono in lizza 34 liste elettorali che rappresentano 38 partiti: solo una quindicina di formazioni dovrebbe tuttavia riuscire a superare la soglia del 2% prevista dalla legge per poter entrare in Parlamento. Dopo l'abolizione nel 2003 dell'elezione diretta del Primo ministro spetta al presidente della Repubblica, entro una settimana dal voto, affidare l'incarico a un premier designato, il quale avrà 28 giorni di tempo (prorogabili di ulteriori due settimane) per formare un esecutivo; in caso di fallimento, si avrebbe una nuova designazione con identici termini. Di norma il premier designato è il leader del partito di maggioranza relativa, ma nulla vieta che venga prescelto un rappresentante di una formazione ritenuta in grado di formare più facilmente un governo attraverso il gioco dlle alleanze post-elettorali.
(Affaritaliani.it, 17 gennaio 2013)
Obama dice agli ebrei dove possono vivere
di Joseph Farah
Barack Obama sta portando avanti ciò che la sua amministrazione chiama "un approccio più equilibrato alla politica mediorientale".
Lasciatemi spiegare che cosa questo, alla lettera, significhi in termini reali.
Significa che il governo USA sta usando il suo peso con Israele per insistere che agli ebrei, non agli israeliani, badate bene, ma agli ebrei sia negato il permesso di vivere a Gerusalemme est e nelle terre storicamente ebraiche di Giudea e Samaria, usualmente chiamate West Bank.
Provate a immaginare l'indignazione, l'orrore, le proteste, il clamore, lo stridore di denti che esploderebbero se agli arabi o ai musulmani venisse detto che non possono più vivere in certe parti di Israele - per non parlare del loro proprio paese....
(ilblogdibarbara, 17 gennaio 2013)
Israele, un posto dove è bello nascere
di Deborah Fait
Questa volta non scriverò di guerra, di palestinesi, di odio e antisemitsmo ma proverò a raccontare una bella storia, una storia israeliana, una storia di solidarietà umana unita al lavoro e alla collaborazione.
Esiste da anni a Tel Aviv un centro ricreativo e culturale che si chiama Nalaga'at Center e si trova al vecchio porto di Jaffo da anni ormai restaurato e trasformato in un quartiere molto ricercato, particolare, pittoresco dove la sera gli israeliani vanno a cena nei bellissimi ristorantini e poi a teatro, al luna park o semplicemente a sedersi in un caffè.
Il particolare di questo enorme centro è che il personale è non udente e non vedente, spesso le due cose insieme. Una situazione non facile che generalmente emargina le persone disabili, ebbene Israele ha voluto dare loro una possibilità aiutandoli a diventare autonomi e indipendenti nel modo più dignitoso possibile attraverso il lavoro, lo scambio di emozioni, l'arte.
Al Caffè Kapish belle ragazze e ragazzi (israeliani ebrei e arabi) sorridenti, tutti completamente sordi, intrattengono i clienti, ricevono le ordinazioni, usando la loro lingua, la lingua dei segni. E' un'esperienza bellissima e talmentre coinvolgente che in men che non si dica i clienti "normali" incominciano a muovere le mani copiando i segni dei loro ospiti.
Dopo un primo momento di sconcerto per la situazione nuovissima e strana, i clienti del Caffè si trovano a proprio agio e incominciano a imparare, divertendosi, la nuova lingua cercando di farsi capire tra grandi risate silenziose per non turbare l'assoluto silenzio del locale. Il personale li coinvolge, li avvolge in un'atmosfera affettuosa, insegna loro cosa sia la diversità vissuta con allegra positività e loro si lasciano guidare verso un'esperienza unica e esaltante.
Un'esperienza fuori dal mondo.
Nel teatro del Nalaga'at Center recitano attori sordomuti (anch'essi appartenenti a tutti i gruppi esistenti in Israele, ebrei, arabi crstiani e arabi musulmani, drusi, beduini). Vi sono spettacoli per bambini dai 5 anni in su, decine di bambini che vengono portati dalle scuole o dai genitori a imparare che la diversità non significa solo problemi enormi ma anche gioia, anche lavoro, anche solidarietà, anche amore, anche fratellanza e soprattutto "Siamo uguali a voi!".
Give me a sign, dammi un segno... e possiamo comunicare. I bambini imparano e, in silenzio, riescono a partecipare e a divertirsi provando una gioia diversa, un divertimento senza confusione, rumore, senza eccessi, vengono letteralmente travolti da gioia pura mista a un grande interesse per quel mondo sconosciuto fatto di musica, di sorrisi e di mani che si muovono per parlare..
E' un tipo di esperienza profonda e così importante che non dimenticheranno mai.
Durante le recite in sala non si sente volare una mosca, provate a pensare cosa possono combinare decine di bambini tutti insieme, bambini che di solito gridano, ridono, si muovono, fanno confusione insomma. Bene quando sono in quel teatro si ammutoliscono e, sorridendo un pò imbarazzati, pendono letteralmemte dalle mani degli attori, non perdono un segno, applaudono agitando le mani alzate, ridono, si divertono e poi vanno sul palco insieme agli attori e si "parlano" .
I bambini imparano subito e in quell'atmosfera serena e allegra fanno volare le loro mani come farfalle, all'inizio intimiditi da tutto quel silenzio ma poi, travolti dall'atmosfera dell'ambiente, si lasciano andare, come ogni bambino, alle carezze e al nuovo linguaggio dei loro "strani" nuovi amici
Durante lo spettacolo in una parte del palcoscenico che è sempre alla stessa altezza del pubblico, alcuni attori fanno il pane, lo cuociono all'istante e alla fine chiamano i bambini che lo spezzano, lo mangiano, ancora caldo e lo portano al resto del pubblico in sala.
Il messaggio di queste persone e degli organizzatori è "siamo ciechi e sordi ma siamo creativi, sentiamo gioia, siamo autosufficienti, lavoriamo e vogliamo essere accettati come normali cittadini uguali a voi nel rispetto reciproco."
La prima produzione del gruppo "Deaf-blind Acting Ensemble, Light is Heard in Zig Zag", si è esibita in tutta Israele con grande successo e adesso la seconda produzione "Not by Bread Alone" è fissa al Nalaga'at Center . Gli "attori" preparano il pane, non vedono e non sentono niente, tutto quello che fanno è il risultato della loro grande capacità di "sentire" le onde, gli odori, sensazioni spesso dimenticate dai "normali".
Fare il pane è un atto altamente simbolico, il pane è la casa, l'ospitalità, il calore, la tradizione, addirittura le origini del genere umano, il pane è una cosa che si fa con le mani e che, lavorarlo lentamente da' una sensazione meravigliosa di pace .
Gli attori/amici interagiscono col pubblico, lo fanno intervenire, salire sul palcoscenico, lo fanno impastare, odorare, insegnano come metterlo nei forni senza bruciarsi (la scoperta è che i "normali" sono i meno capaci di prestare attenzione e, di fronte ai "disabili"e alla loro grande manualità, sono proprio loro a trovarsi in difficoltà).
Alla fine tutti mangiano il pane appena sfornato guardandosi e sorridendosi, cercando di comunicare le proprie emozioni mentre alcuni sordi vedenti le riferiscono ai ciechi non udenti, battendo con le dita sulle loro mani, per raccontare le sensazioni del pubblico.
Grandi e beati sorrisi illuminano i volti degli attori.
Credo che nessun pane abbia un sapore migliore di quello dei "Deaf-blind Acting Ensemble".
Infine, il pezzo forte del centro, l'esperienza più strana e sconvolgente, è il ristorante per ciechi che si chiama, appunto, Blackout.
Immaginate di entrare in un locale dove il buio è totale, non si vede assolutamente niente. Entrate e venite accolti da un cameriere cieco che vi accompagna, con passo sicuro, al tavolo mentre voi annaspate incerti stringendo la sua mano, vi fa sedere con attenzione perché troviate la sedia giusta senza cadere per terra e poi ha inizio l'avventura della cena.
Vengono consegnati dei tovaglioli da legare al collo, molto grandi, perché non si può vedere ciò che si mangia e lo si deve fare con le mani, rischiando di macchiarsi. Non esistono posate. Quando gli occhi si abituano al buio totale si incomincia a sentire la presenza di altri commensali che mangiano, parlando sottovoce, che magari rovesciano i bhicchieri ma c'e subito un cameriere che interviene, sicuro come se vedesse, per aiutare il povero imbranato "vedente"
Il cibo è ottimo e il menu ricco e vario e, sembra impossibile ma, abituati come siamo nella nostra quotidianità "normale" a non far caso al sapore del cibo ingurgitato in fretta tra un'occupazione e l'altra, istantaneamente, nel buio assoluto, ecco che ci si accorge di avere anche altri sensi, l'odorato, il tatto, l'udito e mangiare diventa un' esperienza gioiosa e piena di incognite anche comiche e esaltanti, indovinare ciò che si mette in bocca senza vederlo, indovinare solo dal sapore e dall'odore il tipo di verdura, di carne o di pesce, scommettere se nel dolce c'e del liquore e che tipo di liquore, scoprire infine che lo si può fare se si presta attenzione e si diventa piu'... umili e più aperti a quello che ci circonda, diventa un'esperienza esaltante..... dicono loro "c'è tanto da vedere quando gli occhi sono chiusi".
Nessuno ha mai parlato di questa eccellenza tra le tante di Israele, siamo così coinvolti dai problemi di sicurezza e di guerra o terrorismo che non si parla d'altro, i giornalisti stranieri sono troppo impegnati a dipingere Israele come un paese di soldati e di religiosi da non porsi nemmeno il problema che questo sia un paese dove, senza fatica, si trova il bello, si sente una gioia di vivere tanto forte che Israele, nonostante la situazione di guerra continua, è uno dei primi 20 paesi al mondo dove i suoi cittadini dicono sia "bello nascere".
Israele e' intelligenza, è vita, è umanità, è anche un gran casino come tutti i paesi mediterranei, è anche un po' cafona e villana, è definita "fico d'India", spinoso ma dolce, molto dolce e , a differenza di altri, è un paese che funziona, che va avanti a testa alta e con orgoglio nonostante le avversità e i pericoli, è un paese che 65 anni di guerre non sono riusciti a piegare, è un paese di giovani pieni di inventiva e di capacità che fanno di Israele una "start up Nation" in tutti i campi , scienza, tecnologia, cultura, business. E' uno dei paesi al mondo dove si legge di più.
Insomma, Israele, nonostante i suoi tanti detrattori e i suoi immensi problemi di sicurezza, è un paese dove è bello nascere, un paese che è in grado di illuminare anche chi vive nell'oscurità e nel silenzio.
- Che cosa è accaduto Fiamma, una scelta da «saturazione»? «Assolutamente no. In Parlamento ho passato cinque anni bellissimi e lo lascio d'intesa con i miei amici e con le persone che più mi sono state vicine, con molta serenità, senza alcuna frizione. Le motivazioni di questa scelta sono altre e sono i due amori della mia vita: il giornalismo e Israele, i migliori incontri che io abbia mai fatto ».
- Il richiamo della nostalgia, quindi...
«Ho avuto la fortuna di girare tutto il mondo e di raccontare emozioni e situazioni anche da fronti non proprio facili. Ecco, ora intendo seguitare a farlo, finché l'energia me lo consentirà. Tanto più che la questione mediorientale è diventata ancora più importante, se non la più importante e io ho una gran voglia di tornare far risuonare la tastiera del mio computer occupandomene».
- Come giudichi la tua esperienza politica?
«Straordinariamente utile. Avere ricoperto un ruolo attinente al mio lavoro di commentatrice di politica internazionale, portare il mio contributo politico al dibattito, alle valutazioni e al voto su problematiche inerenti ai territori che ho girato e che conosco profondamente, sono convinta che possa aver aiutato a capire un po' meglio che cosa è oggi Israele. E ancora a far prendere coscienza e consapevolezza, all'interno del Parlamento, con attenti interlocutori e colleghi bipartisan di problemi come quello dei veri risvolti della cosiddetta primavera araba, di un Iran votato al nucleare e della crescita di un movimento come quello della Fratellanza musulmana».
- Parli di rapporti bipartisan ma c'è una scelta di Monti che non ti è proprio piaciuta «Se da un lato non posso che essere soddisfatta del gran lavoro bipartisan nella commissione sull'antisemitismo, sono rimasta profondamente delusa quando Monti ha dato per la Palestina l'indicazione di votare sì al riconoscimento dello status di Stato non membro all'Onu».
- Perché l'ha fatto secondo te?
«Nella prospettiva di un migliore rapporto con la sinistra. Convinto, come altri, che la moneta filo araba possa pagare e ripagare. Sono preoccupata. Perché se si dovesse vedere di nuovo un D'Alema ministro degli Esteri, l'Italia ripiomberebbe in una posizione arretrata, con una visione distorta delle problematiche del mondo arabo e di Israele».
- Progetti per il futuro prossimo?
«Voglio tornare in Israele e prendermi anche la cittadinanza. E intendo farlo dopo tanti anni, per alcuni buoni motivi. Il 27 gennaio sarà il giorno della memoria e c'è ancora, purtroppo, molto antisemitismo nel mondo e poi perché credo che Israele sia oggi l'unico Paese che offra la prospettiva di un futuro colto e intelligente, un Paese dove la gente ha uno stile di vita più semplice, solidale, che trova forza in un grande amor patrio e in un profondo senso della vita».
- Che voto dai alla politica italiana?
«Ho paura di quel che può accadere, di vedere orde di grillini invadere il Parlamento. Quella non sarebbe democrazia. È importante andare a votare ma le indicazioni che escono dal voto non sono sempre democratiche. Il rischio è che il livello di democrazia, anziché innalzato, venga abbassato da certi esiti».
(il Giornale, 17 gennaio 2013)
La liaison tra Israele e Azerbaigian: armi, petrolio e (forse) Iran
di Barbara Maria Vaccani
Una settimana fa Rafael Harpaz, ambasciatore israeliano in Azerbaigian, ha dichiarato alla stampa che "negli ultimi vent'anni si sono instaurate relazioni speciali fra Israele e Azerbaigian" e che le elezioni parlamentari israeliane del 22 gennaio non muteranno in alcun modo lo stretto legame tra i due paesi. Il diplomatico israeliano specifica le principali aree di cooperazione tra i due Stati: telecomunicazioni, agricoltura, approvvigionamenti idrici, tecnologia medica e settore energetico. Quello a cui l'ambasciatore non fa riferimento è la cooperazione in campo militare che esiste tra Israele e Azerbaigian, paese che confina proprio con l'Iran.
L'Azerbaigian, paese del Caucaso ricco di gas e petrolio, rifornisce Israele per un terzo delle sue importazioni di petrolio (due milioni e mezzo di tonnellate nel 2011). Circa un anno fa la compagnia petrolifera statale azera (Socar) ha siglato proprio con Israele il suo primo contratto per lo sviluppo di un campo petrolifero all'estero, il bacino di Med Ashdod. L'Azerbaigian è anche il principale partner commerciale di Israele dell'area post sovietica, con un volume d'affari che nel 2011 ha raggiunto i quattro miliardi di dollari.
Quello che incuriosisce di più nei rapporti fra Israele e Azerbaigian è la ciclica ricomparsa di analisi e speculazioni circa la reale natura e gli obiettivi taciuti della cooperazione militare tra Tel Aviv e Baku. Ad aumentare l'attenzione su questa parte della collaborazione tra i due paesi ci si mette anche la ritrosia delle autorità israeliane ed azere nel rilasciare commenti o spiegazioni al riguardo. Il punto controverso sarebbe l'ipotesi che Israele stia contrattando con l'Azerbaigian l'utilizzo delle sue strutture militari nell'eventualità di un attacco agli impianti nucleari dell'Iran.
L'Azerbaigian è il candidato ideale per permettere uno scalo di rifornimento agli aerei militari israeliani nel caso di un attacco alle centrali nucleari dell'Iran
Questo perché lo scorso febbraio funzionari della difesa israeliana hanno confermato un accordo per la vendita di droni e sistemi di difesa antiaerei e antimissilistici per il valore di 1,6 miliardi di dollari. Un accordo epocale per l'esercito azero, se si considera che praticamente equivale all'intero budget 2012 per la difesa dichiarato dalle autorità.
La reazione iraniana è stata quasi immediata. A Teheran hanno convocato l'ambasciatore azero per avere spiegazioni a riguardo. Il diplomatico ha confermato la notizia dell'accordo ma ha anche specificato che le nuove dotazioni militari non sarebbero state usate né contro l'Iran né contro altri paesi. Qualche tempo prima però Teheran aveva accusato Baku di aver lavorato con i servizi segreti israeliani per gli assassinii di scienziati nucleari iraniani.
Alla fine di marzo Foreign Policy ha pubblicato un articolo dal titolo "Il terreno di gioco segreto di Israele" sulla presunta acquisizione da parte di Gerusalemme dell'accesso alle basi aeree azere. L'aeroporto in questione sarebbe quello di Sitalcay, vicino a Baku e non troppo lontano dalla frontiera con l'Iran. Gli Stati Uniti ne sarebbero preoccupati perché, se senza le basi azere i siti nucleari iraniani sono troppo distanti da Israele per un attacco senza appoggi in paesi terzi, con uno scalo in Azerbaigian la difficoltà logistica sarebbe risolta e l'ipotesi di uno strike israeliano diventerebbe più concreta. Le autorità israeliane e azere comunque smentiscono lo scenario.
Alla fine di settembre, nel pieno delle divergenze tra Obama e Netanyahu sull'ipotesi di un attacco all'Iran, e con la campagna elettorale statunitense e le elezioni legislative israeliane all'orizzonte, la cooperazione con l'Azerbaigian torna a far parlare di sé in un articolo della Reuters. Secondo indiscrezioni uscite dagli ambienti militari azeri, Baku e Tel Aviv stanno mettendo a punto la strategia migliore in caso di un attacco all'Iran con scalo in Azerbaigian. Le smentite riguarderebbero solo il piano "ufficiale", aggiungono le fonti. L'Iran sarebbe stato poi uno dei temi di discussione della visita a Baku dello scorso aprile da parte del ministro degli esteri israeliano Lieberman.
A dicembre il portavoce del ministero degli esteri azero ha dichiarato che "Baku non permetterà a nessuno di usare il territorio azero per un attacco ai propri vicini". L'Iran però non sembra aver reagito bene a queste periodiche speculazioni e secondo Michael Moran del Global Post l'intelligence iraniana considererebbe ormai l'Azerbaigian dalla parte di Israele.
Sempre a dicembre arriva la notizia che riporta l'arresto in Azerbaigian di spie iraniane in cerca delle basi aeree dove sarebbero ospitati i droni di fattura israeliana. In seguito a questi arresti Baku ha negato l'ingresso all'addetto culturale iraniano che rientrava da Teheran, limitandosi a dire che il suo visto era scaduto.
A meno che Israele opti per un attacco all'Iran, è improbabile che venga a galla la verità sull'utilizzo delle basi azere. Le relazioni tra Baku e Tel Aviv continueranno ad essere come un iceberg: sommerse per il 90%. Un'affermazione che arriva direttamente dal presidente azero Ilham Aliyev e che è stata riportata da Wikileaks. Di certo rimangono l'accordo militare e la condivisione di informazioni riservate sull'Iran. È chiaro cosa guadagnerebbe Israele dall'accesso alle basi militari azere, meno chiari sono i vantaggi di una simile prospettiva per l'Azerbaigian.
Appoggiare un attacco israeliano esporrebbe l'Azerbaigian alle ritorsioni di un vicino molto più grande (l'Azerbaigian ha una popolazione di circa nove milioni, l'Iran ne conta quasi 75) e con un esercito molto più preparato del suo. Le tecnologie israeliane di recente acquisizione non sembrano essere sufficienti a fronteggiare uno scenario del genere.
Un innalzamento della tensione esporrebbe poi ad un sovraccarico le infrastrutture energetiche del paese. Senza quelle l'Azerbaigian avrebbe davvero poco spazio di manovra (piccolo inciso: le infrastrutture di Baku incidono anche sugli equilibri energetici israeliani ed europei).
I rapporti tra l'Iran e l'Azerbaigian hanno subito un raffreddamento e tra i due vicini non c'è solo la questione di Israele. Il problema della delimitazione delle acque del mar Caspio, contesa infinita e finora senza soluzione tra i cinque Stati rivieraschi, è un altro dei motivi di frizione tra Baku e Teheran. Altra variabile è quella dell'importante minoranza azera in territorio iraniano. Tutte questioni che hanno già portato le relazioni tra i due paesi ad un livello di sospetto che Baku non sembrerebbe voler superare.
La priorità dell'Azerbaigian è un'altra: il Nagorno-Karabakh. La regione è contesa e causa di una lunga guerra con l'Armenia, che ne rivendica l'indipendenza (Baku ha "ereditato" la zona dai confini sovietici ma la prevalenza di armeni tra la popolazione ha fatto sì che Yerevan diventasse parte in causa). L'Azerbaigian non ha mai nascosto di essere disposto ad usare la forza pur di recuperare il controllo della regione. C'è quindi un'ipotesi in più sulle ragioni dell'ingente commessa militare con Israele e anche sulla scelta di Tel Aviv come fornitore. Russia e Stati Uniti sono i principali venditori di armi al mondo. Ma Mosca è alleata dell'Armenia e Washington ha ristretto la vendita di armi all'Azerbaigian sotto pressione della lobby armena.
(MRI, 17 gennaio 2013)
Terroristi arabi organizzano un party nelle oppressive prigioni israeliane
E' stato inviato in rete un video clip che mostra terroristi palestinesi in una prigione di Israele mentre festeggiano uno di loro.
La storia è stata interrotta dal sito Hakol Hayehudi il martedì prima che fosse ripresa dai principali media ebraici. A quanto pare il video è stato girato contro il regolamento, con un cellulare nascosto nella prigione.
L'obiettivo principale del video è Samar Abu Kwick, che sta scontando tre ergastoli nella prigione di Eshel per attacchi terroristici contro gli israeliani durante la seconda Intifada.
Nella clip, non datata, si vedono dei detenuti riuniti in una cella intorno a tavoli disposti con bevande e snack per festeggiare Kwick. Con musiche di sottofondo i detenuti salutano Kwick con baci e abbracci, prima di mettersi a sedere per godersi la festa.
Kwick è stato accusato di aver ucciso Sarah Lisha e due soldati israeliani, Valenstein Elad e Amit Zana, nel 2000 in un attacco terroristico al bivio Halamish in Cisgiordania.
Maariv cita fonti dell'Autorità Palestinese che hanno espresso disapprovazione per il video, dicendo che presenta una vita piacevole all'interno delle carceri israeliane, e questo potrebbe portare a un inasprimento delle condizioni.
"Chi guarda il video può avere l'impressione che la vita nelle carceri israeliane sia facile e che i detenuti passino il loro tempo sempre in feste e sagre," dicono le fonti palestinesi citate.
Tra l'altro, quest'ultima affermazione è un'altra dimostrazione del posto che l'onore-vergogna ha nella cultura degli arabi. L'Autorità Palestinese non nega che i terroristi arabi palestinesi in carcere abbiano una vita facile, - ma è turbata dal fatto che la gente adesso possa rendersene conto guardando un video. L'apparenza onore-vergogna è più importante della realtà.
(the elder of ziyon, 16 gennaio 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Netanyahu a Obama: solo Israele decide sui suoi interessi
Il Premier israeliano replica a Obama a una settimana dalle elezioni
GERUSALEMME, 16 gen. - Soltanto il popolo di Israele può decidere chi rappresenta meglio i suoi interessi. Lo ha chiarito il primo ministro Benjamin Netanyahu, in un'esternazione diretta al presidente degli Stati Uniti Barack Obama a una settimana dalle elezioni generali. "Credo che chiunque sappia che i cittadini di Israele sono gli unici che possono decidere chi rappresenti fedelmente i loro interessi nello stato di Israele", ha detto Netanyahu.
(TMNews, 16 gennaio 2013)
Erode il grande, tra politica e mega mostra
La controversa figura storica diventa un tema attualità
di Massimo Lomonaco
I resti di un affresco nel mausoleo di Erode nella
fortezza Herodium, a sud di Betlemme
TEL AVIV, 16 gen - Erode il Grande - una delle piu' influenti, e controverse, figure della antica storia romana ed ebraica - attraversa in questi giorni l'attualita' di Israele. Non solo perche' il Museo di Israele di Gerusalemme ha annunciato, dal 12 febbraio al 5 ottobre di quest'anno, una mega mostra a lui dedicata ma anche per le possibile conseguenze legate all'intenzione annunciata dall'ufficio del premier Benyamin Netanyahu di costruire una replica di 25 metri della Tomba del re nel sito dell'Herodium. Luogo che sorge vicino a Betlemme, nei Territori Palestinesi.
Questo di Erode non e' che uno dei circa 300 progetti di un ambizioso piano, avviato tre anni fa dal primo ministro, di investimenti sul Patrimonio nazionale e che tra l'altro prevede anche la nascita a Gerusalemme di un museo dedicato ad Albert Einstein che avrebbe la forma del cervello del famoso scienziato. Ma anche il restauro della Sala dell'Indipendenza a Tel Aviv e quello degli Archivi di Stato a Gerusalemme. Cosi' come la presenza di tutti i siti del Patrimonio storico sull' app Waze e su Google Map.
La replica della tomba di Erode - ha spiegato il segretario di gabinetto di Netanyahu, Tzvi Hauser, citato dai media - avrebbe un costo di circa 2 milioni di shekel, circa 10 milioni di euro. Riferendosi poi al fatto che alcuni dei siti interessati dal piano sono in Cisgiordania, Hauser ha rivendicato il fatto che essi ''non sono solo patrimonio nazionale, ma anche mondiale. Tutti, non importa a quale religione appartengono o di quale nazionalita' siano, vogliono che siano conservati per le generazioni future. Lasciamo la politica ai politici, questo non ha nulla a che fare con aspetti politici o futuri negoziati''.
In attesa della replica della Tomba, per ora Erode il Grande e' il sicuro protagonista della grande mostra di Gerusalemme: 250 reperti archeologici - recuperati di recente non solo nell'Herodium, ma anche a Gerico o in siti vicini - che gettano una nuova luce sull'impatto politico, architettonico, estetico che il monarca ebbe sulla regione nel suo regno dal 37 al 4 dopo Cristo. Di Erode - che certo non era un santo ma che fu ingiustamente incolpato, dicono alcuni storici, della 'Strage degli Innocenti' a Betlemme, raccontata dal Vangelo secondo Matteo - saranno esposti, dopo un accurato restauro, i tre sarcofaghi della Tomba e gli affreschi dell'Herodium, il suo bagno privato dal palazzo di Cipro.
Pezzo forte sono i mai esibiti elementi delle pietre incise provenienti dalla Spianata delle Moschee, ma anche un imperiale bacile di marmo che si pensa possa essere un dono di Augusto.
L'esposizione permettera' di addentrarsi nei grandiosi progetti architettonici di Erode - costruttore infaticabile, Gerusalemme compresa -, nelle complesse relazioni diplomatiche con gli imperatori romani e la nobilita' e nella processione funebre che porto' la salma del re da Gerico all'Herodium, il mausoleo da lui stesso costruito. I visitatori potranno infine perdersi, per ora nella mostra, nella straordinaria ricostruzione della camera mortuaria contenuta nel Mausoleo.
Israele e le sue spie: fin dove si spingono le 007 donna?
Tra gli agenti del Mossad non ci sono solo gli uomini ma tante donne, spesso superiori ai colleghi maschi, e pronte a ricorrere anche alle loro armi di seduzione contro i nemici di Israele. La loro è una doppia vita tra famiglia e missioni pericolose.
Appare quasi come un film la vita delle donne del Mossad, il servizio segreto dello Stato di Israele. Un film affascinante, pericoloso, nel quale emerge la doppia vita di questi agenti al servizio del Paese e contemporaneamente della loro famiglia. Una doppia vita che spesso le costringe, proprio a causa della loro particolare condizione, anche a delle tensioni in famiglia. Perché le 007 in gonnella, lo hanno raccontato direttamente alcune di loro, svolgono le stesse mansioni dei colleghi uomini e spesso risultano migliori di loro dato che possono ricorrere anche ad altre "armi" prettamente femminili. Ovvio che, in ogni caso, ci sono sempre dei limiti.
La loro femminilità diventa un'arma a disposizione - Per esempio si può flirtare con il nemico se c'è in ballo la sicurezza nazionale perché viene da sé - lo raccontano direttamente loro - che una donna con un bel sorriso riesce ad aprire più porte di un collega uomo. La femminilità, dunque, diventa un mezzo valido come altri. Qual è il limite? Nessuno permetterebbe a queste donne di andare a letto col nemico al fine di una missione: ci sono giochi di seduzione, c'è il ricorso all'attrazione, ci sono i tentativi di eccitare l'altra parte ma, appunto, il limite è l'atto sessuale vero e proprio. Ma la vita delle 007 israeliane non può, appunto, non avere dei risconti sulla loro quotidianità, con i loro figli e mariti. Consapevoli dei pericoli del loro mestiere sono poche quelle che, infatti, non restano single, quelle che riescono effettivamente a combinare le missioni con le faccende domestiche.
La stima del numero uno del Mossad - In ogni caso la stima nei loro confronti è smisurata, il loro lavoro viene apprezzato in prima persona dal numero uno del Mossad, Tamir Pardo. È lui a dire che per molti versi le donne sono superiori agli uomini e che è certo che un giorno sarà una di loro ad assumere il comando. Perché la loro "lettura" del terreno è eccellente così come è eccellente l'analisi delle situazioni e la visione spaziale, tutto in contrasto con gli stereotipi. Se sono brave, infine, è perché disponibili anche a rinunciare al proprio ego pur di raggiungere il loro obiettivo.
(fanpage, 16 gennaio 2013)
"Morsi rinneghi le frasi antisemite"
di Cecilia Zecchinelli
È iniziato come un piccolo regolamento di conti tutto egiziano: il comico irriverente e dissidente contro il presidente islamico. Ora è un caso internazionale: Mohammed Morsi, raìs dell'Egitto da sette mesi, è nel mirino (diplomatico) dell'Amministrazione Obama per i commenti antisemiti «profondamente offensivi» da lui pronunciati quasi tre anni fa. Un video in cui l'allora dirigente dei Fratelli musulmani arringava la folla durante un comizio è stato trasmesso pochi giorni fa in Egitto nel programma televisivo di Bassem Youssef, medico e comico laico che per i suoi recenti attacchi a Morsi è già sotto inchiesta. Non si sa dove abbia scovato quel filmato ma le parole sono chiare: «Allevate i vostri figli e nipoti nell'odio» per ebrei e sionisti, diceva il futuro raìs. Pochi mesi dopo in un'intervista (pure ritrasmessa da Youssef) lo stesso Morsi descriveva gli israeliani come «sanguisughe che attaccano i palestinesi, discendenti di scimmie e maiali»
.
Dall'Egitto, tramite il New York Times, le parole sono rimbalzate a Washington suscitando sdegno e imbarazzo alla Casa Bianca che negli ultimi mesi ha tessuto stretti rapporti con il nuovo leader del Cairo. «Rifiutiamo in toto queste frasi, come ogni affermazione di odio religioso», ha commentato ieri il portavoce della Casa Bianca Jim Carey. Poi si è rivolto a Morsi invitandolo a «esprimere chiaramente il suo rispetto per ogni fede e la sua avversione per questo genere di retorica». Da parte di Morsi, invece, silenzio. Noto in passato per l'esplicita avversione contro Israele (sentimento condiviso da quasi tutti gli egiziani e gli arabi), da giugno il raìs si è più volte impegnato a rispettare il trattato di pace con lo Stato ebraico e i fedeli di ogni credo. E tra alti e bassi ha teso più volte la mano agli Stati Uniti, grande alleato ed erogatore di fondi. Prima o poi dovrà rispondere, ma per ora tace.
(Corriere della Sera, 16 gennaio 2013)
Israele al voto - Inglese, la nuova frontiera
di Rossella Tercatin
Jeremy Gimpel
È dal 1984 che nel Parlamento israeliano non siede un deputato nato negli Stati Uniti; quasi trent'anni dopo, la Knesset potrebbe vedere di nuovo assegnare qualcuno dei suoi seggi a candidati di lingua madre inglese. Si calcola che attualmente siano circa trecentomila gli israeliani che parlano l'inglese come lingua nativa. Sebbene campagne a essi mirate non siano una novità nello Stato ebraico, gli analisti notano che mai come quest'anno lo sforzo di raggiungere questo bacinoelettorale si sia fatto intenso e sofisticato. Il quotidiano online Times of Israel sottolinea come i candidati di origine statunitense proposti nelle liste di vari partiti (come Jeremy Gimpel di Habayit Hayehudì, Alon Tal di Hatnua e il rabbino Dov Lipman di Yesh Atid) organizzano eventi elettorali nei salotti degli americani d'Israele, mentre i loro leader tengono sempre più comizi in inglese.
Nonostante siano portatori di visioni politiche diverse, Gimpel, Tal e Lipman concordano che in generale i cittadini israeliani di origine americana tengono a rafforzare i valori democratici dello Stato, e a risolvere il problema dell'eccessiva frammentazione delle sue istituzioni politiche. E mentre una parte di loro appartiene all'ebraismo modern orthodox e sostiene con entusiasmo il sionismo religioso più radicale e gli insediamenti (caratteristiche che rappresentano lo stereotipo dell'americano in Israele agli occhi di molti sabra), in tanti hanno idee differenti.
Se è vero che l'Aliyah dagli Stati Uniti cresce sempre di più, qualcuno si domanda se arriverà il momento in cui gli americani seguiranno l'esempio degli immigrati dall'ex Unione Sovietica e fonderanno il proprio partito (nel caso russo si trattò di Yisrael Beytenu). Ma molti notano che, pur identificandosi in modo particolare con i candidati che condividono il loro stesso background, a stelle e strisce, questi nuovi cittadini tendono a inserirsi nella società israeliana generale molto più degli olyim russi.
"C'è una certa attitudine degli immigrati americani a sforzarsi di essere più israeliani degli israeliani stessi - ha spiegato al Times of Israel Gil Troy, già professore di storia della McGill University, oggi docente al Jerusalem's Shalom Hartman Institute - Poiché molti di loro provano frustrazione per l'inadeguatezza del proprio ebraico, vogliono cercare di compensare la situazione evitando di porsi come comunità separata".
(Notiziario Ucei, 15 gennaio 2013)
Autorità Palestinese autorizzata a insabbiare i suoi legami col terrorismo
Un giudice statunitense ha stabilito che l'Autorità Palestinese ha il diritto di celare la prova della sua implicazione in un attentato esplosivo suicida avvenuto nel 2002 a Karnei Shomron (Cisgiordania nord-occidentale) che causò la morte di tre adolescenti. Ne ha dato notizia lunedì il New York Post.
Stando a quanto riferisce il quotidiano, un promemoria di due pagine che collega direttamente l'Autorità Palestinese all'attentato terroristico è stato inavvertitamente consegnato agli avvocati che avevano citato in giudizio l'Autorità Palestinese per 300 milioni di dollari a nome dei genitori di due adolescenti americani uccisi nell'attentato. La terza vittima era israeliana.
Secondo il New York Post, il documento rivela una "stretta relazione" fra l'attentatore, Sadeq Hafez, affiliato al gruppo terroristico Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), e Raed Nazal, un ufficiale delle forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese che avrebbe pianificato l'attentato. A quel tempo Nazal era verosimilmente "sia un ufficiale dei servizi di sicurezza stipendiato dall'Autorità Palestinese, sia un capo della cellula FPLP" che ha realizzato l'attentato.
Scrive il New York Post che il promemoria, scritto nell'aprile 2012 dal maggiore Ziad Abu Hamid dei Servizi Generali di Intelligence palestinesi, illustra dettagliatamente "almeno altri sei cruciali elementi di fatto" relativi all'attentato e "stabilisce con chiarezza il ruolo di supporto e la responsabilità materiale" dell'Autorità Palestinese. Ciò nondimeno il giudice federale Richard Leon, di Washington, ha disposto che il documento venisse distrutto o restituito all'Autorità Palestinese parlando di informazioni "confidenziali e tutelate".
Gli avvocati di parte civile, David Schoen e Robert Tolchin, hanno denunciato la delibera, affermando che "non si devono permettere impuniti tentativi di illecito insabbiamento" ad opera dell'Autorità Palestinese. "Altrimenti - sostengono - con ogni probabilità questa prova d'omicidio di cruciale importanza andrà perduta per sempre". E aggiungono che ciò "priverebbe il Congresso degli Stati Uniti del genere di prova di cui deve disporre per valutare se continuare a sovvenzionare l'Autorità Palestinese, solo per vedere quei soldi finire a sostegno e ricompensa di attività terroristiche contro cittadini americani".
Gli avvocati dell'Autorità Palestinese non hanno risposto alla richiesta di commentare la notizia del New York Post. Dalle carte processuali, comunque, risulta che hanno affermato che il promemoria fu erroneamente consegnato con una deposizione del 12 settembre scorso, e che "continua a godere della protezione della confidenzialità, nonostante la sua divulgazione involontaria".
(Jerusalem Post, 14 gennaio 2013 - da israele.net)
Scoperto un tunnel scavato in territorio israeliano vicino al sud della Striscia di Gaza
Soldati israeliani hanno scoperto lunedì lo scavo di un tunnel in territorio israeliano durante un'azione di routine nei pressi del muro di sicurezza nella zona sud della Striscia di Gaza.
L'apertura del tunnel
Il tunnel è stato scoperto a circa 150 metri dalla barriera di sicurezza, a due chilometri dalla comunità di Nir Oz. Forze di ingegneria hanno esaminato l'apertura, e si prevede che forze di IDF continueranno ad operare nella zona nei prossimi giorni.
L'incidente è attualmente sotto esame, e si cerca anche di stabilire quando il tunnel è stato costruito.
L'incidente, che manifesta l'intenzione di eseguire attacchi terroristici contro civili e soldati in territorio israeliano, è considerato grave.
Circa tre mesi fa una forza di IDF aveva scoperto un tunnel carico di esplosivi nel sud della Striscia di Gaza. Mentre si stava lavorando per riparare la barriera di confine il tunnel è esploso. L'esplosione è stata grandissima e ha messo in evidenza una galleria di circa quattro metri di profondità e quattro metri di larghezza. Un veicolo di IDF che si trovava nella zona è stato scagliato in aria dalla forza dell'esplosione.
Successivamente, nel corso dell'operazione Pilastro di Difesa, l'esercito israeliano ha individuato 140 tunnel per il contrabbando e 66 gallerie destinate ad agevolare gli attacchi.
(Fonte: Israel Defence Forces, 15 gennaio 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Se Israele decidesse ad abbattere "il muro della vergogna", non ci sarebbe più bisogno di far faticare così tanto i poveri terroristi.
Obama: "Israele non sa fare i suoi interessi"
La controversa frase sarebbe stata pronunciata più volte in privato dal presidente Usa dopo l'annuncio di Gerusalemme per la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania
Dopo il riconoscimento Onu della Palestina come Stato non membro e il successivo annuncio israeliano della costruzione di nuovi insediamenti, il Presidente americano Barack Obama affermò, in conversazioni private, che "Israele non sa quali siano i suoi migliori interessi". E' quanto ha riferito il corrispondente del quotidiano Usa Atlantic, Jeffrey Goldberg, sul sito di Bloomberg.
"Quando venne informato della decisione israeliana, Obama, che ha un rapporto notoriamente controverso con il premier (Benjamin Netanyahu), non si disturbò neanche di arrabbiarsi - ha scritto Goldberg - disse a diverse persone che questo tipo di comportamento da parte di Netanyahu era quanto si aspettava e suggerì che si era ormai abituato a quello che considera politiche di autodifesa della controparte israeliana".
"Nelle settimane successive al voto Onu - ha aggiunto il giornalista - Obama disse in privato e più volte: 'Israele non conosce quali siano i suoi migliori interessi'". Secondo il Presidente americano, con l'annuncio di nuovi insediamenti il premier Netanyahu si sarebbe incamminato sulla strada per un "quasi completo isolamento del suo Paese".
(Today, 15 gennaio 2013)
Israele non conosce quali siano i suoi migliori interessi'", dice Obama, e chissà, forse è sincero. O forse no, ma in questo caso la cosa sarebbe meno preoccupante. Obama comunque si presenta come il capo di una nazione buona, perché le nazioni cattive vogliono distruggere Israele, mentre le nazioni buone lo vogliono educare . E Obama vuole educare Israele, vuole fare il suo bene, molto di più e molto meglio di quello che saprebbe fare Netanyahu.
Non si pretende di essere profeti, ma si chiede soltanto di continuare a verificare se si accorda con lo svolgersi dei fatti unaffermazione continuamente ripetuta su questo sito: SARÀ NEL NOME DELLA PACE E DEL DESIDERIO DI OTTENERE IL VERO BENE DI ISRAELE CHE IL MONDO SI SCHIERERÀ CONTRO ISRAELE. Chi è convinto di questo sa che dichiarazioni amichevoli come quelle del Presidente degli Stati Uniti e dellattuale Presidente del Consiglio italiano sono più inquietanti di quelle di Ahmadinejad. M.C.
Morsi: «Gli ebrei discendono dai maiali e dalle scimmie»
Diffusa un'intervista di tre anni fa al presidente dell'Egitto Mohamed Morsi: «Non dobbiamo mai dimenticare, fratelli, di nutrire i nostri figli e nipoti con l'odio per i sionisti e gli ebrei».
di Leone Grotti
Circa tre anni fa un membro dei Fratelli Musulmani in un'intervista televisiva ha dichiarato: «Gli ebrei e i sionisti sono sanguisughe che attaccano i palestinesi, sono guerrafondai, discendono dalle scimmie e dai maiali». Tre anni dopo, quella persona è diventata presidente dell'Egitto e ha fatto approvare al paese una Costituzione islamista, nonostante le divisioni e le proteste di piazza.
NESSUNA SMENTITA - Parliamo di Mohamed Morsi, già ritratto da una televisione mentre pregava «per la distruzione degli ebrei». Le dichiarazioni sopra riportate sono state fatte nel 2010, prima che divenisse presidente, ma il fatto che Morsi non abbia fatto niente per smentirle ha fatto infuriare molti egiziani e israeliani.
CRESCERE GLI EGIZIANI NELL'ODIO - L'odio nutrito dai Fratelli Musulmani nei confronti degli ebrei non desta scalpore, lo scorso anno la loro guida suprema Sheikh Mohammed Badie nel suo messaggio settimanale ai fedeli ha detto: «Gerusalemme è islamica e nessuno può accampare pretese sulla città santa. Il jihad per riprendere Gerusalemme è un dovere per tutti i musulmani». In campagna elettorale la Fratellanza aveva anche avanzato l'ipotesi di rivedere il Trattato di Camp David con Israele. Difficile però che arrivi a tanto dal momento che l'Egitto ha bisogno degli Stati Uniti, principali alleati di Israele, soprattutto per sbloccare gli aiuti economici del Fondo monetario internazionale. Un'impresa non facile, soprattutto se Morsi non rinnegherà altre frasi dell'intervista, come questa: «Non dobbiamo mai dimenticare, fratelli, di nutrire i nostri figli e nipoti con l'odio per i sionisti e gli ebrei. I bambini egiziani devono essere cresciuti nell'odio, l'odio deve continuare per Dio, come una forma di preghiera nei Suoi confronti».
L'Unione Europea sblocca 100 milioni di aiuti per i palestinesi
BRUXELLES, 15 gen - L'Unione Europea ha sbloccato il finanziamento di 100 milioni di euro destinati all'Autorita' palestinese e all'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Lo ha reso noto la Commissione Europea in un comunicato, precisando che questa ranche di aiuti prevede 60 milioni destinati a finanziare il deficit del governo palestinese, mentre 40 milioni saranno versati all'UNRWA per i suoi programmi in materia di educazione, sanita' e servizi sociali. L'Unione Europea e' il principale finanziatore dei palestinesi, con circa 300 milioni di euro iscritti nel budget dell'Unione.
Altrettanti fondi sono garantiti dai paesi membri.
(ASCA, 15 gennaio 2013)
LUnione Europea conferma continuamente il suo schieramento pro-palestinese e anti-israeliano. Il presidente Monti ha affermato che le nazioni devono essere convinte a cedere parti sempre maggiori della loro sovranità nazionale allUnione Europea. Il presidente Monti, senza ascoltare il parere di quellespressione della sovranità nazionale italiana che è il Parlamento e con un atto di sua propria volontà, ha modificato la posizione tendenzialmente pro-Israele dei governi precedenti in una posizione pro-palestinese, dichiarando anche lui, come Obama, che questo corrisponde ai veri interessi di Israele. Ciascuno tragga le conclusioni che crede più opportune. M.C.
Il Vaticano nega a Israele il diritto a vivere
di Giulio Meotti
Che cosa vuole il Vaticano? Anche se è difficile crederlo, viene da pensare che sia tornato a imputare agli ebrei tutte colpe.
Otto vescovi cattolici d'Europa e del Nord America, scelti dal Vaticano, si sono impegnati a fare pressioni sui loro governi per agire contro l' "ingiustizia"della "barriera di separazione d'Israele in Cisgiordania".
La speciale delegazione di prelati di alto livello, dopo aver visitato i cristiani nella Striscia di Gaza, Betlemme e Beit Jalla, si è appellata al mondo perchè affrontasse la "tragica situazione"in cui si trovano gli arabi cristiani palestinesi di Beit Jala, non per le minacce islamiste, ma perché sono stati "estromessi" dalla barriera di sicurezza, nonostante il fatto che nel costruirla nessuna terra sia stata annessa da Israele, nessuna casa sia stata demolita, e a nessuno sia stato chiesto di lasciare la propria abitazione.
Infatti, la verità più grande, ignorata dalla stampa occidentale e dalle Chiese, è che quella barriera ha contribuito a riportare la calma e la sicurezza non solo in Israele, ma anche a Betlemme. La Chiesa della Natività, che i terroristi avevano profanato nel 2002 per difendersi dalla cattura da parte dell'esercito israeliano, ora è di nuovo piena di turisti provenienti da tutto il mondo.
I vescovi hanno anche incontrato Daniel Sherman, dell'organizzazione anti-israeliana B'Tselem. Secondo l'agenzia di stampa del Vaticano, i vescovi hanno avuto la prova dell' "abuso in atto in Cisgiordania, dove due milioni e mezzo di palestinesi vivono sotto occupazione militare israeliana".
Giuseppe Lazzarotto, Legato pontificio in Israele, ha anche dichiarato: "Si possono abbattere i muri materiali solo se si abbattono i muri dello spirito. Questa è la cosa essenziale. Finché non si abbatteranno i muri che ognuno di noi si porta dentro, non si possono abbattere altri muri, anche costruendone di nuovi, il che è ancora peggio ".
Per i vescovi cattolici, tra i quali l'arcivescovo del Regno Unito Patrick Kelly e l'arcivescovo francese Michel Dubost, questa è stata la missione più importante in Israele da un anno a questa parte. Hanno visitato Gaza sotto il controllo di Hamas, dove Dubost ha detto agli abitanti di Gaza " prigionieri del più grande carcere in Europa" che avrebbe pregato per loro. La conclusione è chiara: i poveri arabi palestinesi vivono in una grande prigione, sotto il terrore di Israele.
Oggi nel mondo ci sono 50 barriere difensive. Bill Clinton ha fatto costruire il muro che divide gli Usa dal Messico; la Spagna ha costruito recinzioni per impedire l'ingresso ai marocchini; l'India sta erigendo un muro di separazione dal Kashmir; tra la Corea del Sud e la Corea del Nord c'è il confine più fortificato al mondo; i ricchi sceiccati arabi stanno recingendo il confine con il poverissimo Oman; Cipro è divisa da muri; Belfast è una città recintata da barriere in mattoni, ferro e acciaio, e persino l'ultra-liberale Olanda ha costruito un recinto intorno al Hoek van Holland.
Tuttavia solo le barriere di Israele sono state condannate dal Vaticano, solo le barriere di difesa di Israele hanno ricevuto continui attacchi sui media cattolici e sono sbattute in prima pagina sull'Osservatore Romano (il giornale ufficiale del Vaticano) e solo i checkpoint di Israele interessano alle manifestazioni degli attivisti cristiani.
Mentre negli altri paesi le recinzioni impediscono l'ingresso a immigrati clandestini dai paesi limitrofi, solo in Israele le recinzioni e i posti di blocco hanno come giustificazione un motivo veramente umanitario: quello di garantire alla popolazione civile il diritto alla vita. Filo spinato, pattugliamenti stradali, telecamere e sensori elettronici sono utilizzati in Israele per impedire che un ristorante, un centro commerciale o un albergo possano trasformarsi in stragi di corpi umani. Corpi di ebrei.
In nessun altro paese con le stesse misure difensive, vi sono infiltrati con il "sacro" scopo di uccidere esseri umani. Tijuana, il simbolo del muro di separazione tra Stati Uniti e Messico, non è Qalqilya, una città palestinese a 15 chilometri da Tel Aviv, circondata da una barriera di sicurezza, chiamata "Paradise Hotel", perché la città è stata usata dai terroristi suicidi come il luogo di partenza degli attacchi contro Israele. E' da Qalqilya, dalle cui colline si possono vedere le torri Azrieli di Tel Aviv , che si capisce come possano essere bombardate dai terroristi.
Le barriere di sicurezza sono il più importante strumento di difesa di Israele contro il terrorismo. A differenza del Checkpoint Charlie di Berlino, che era un monumento di sfida contro gli oppressi, i checkpoint israeliani sono un simbolo di vita. Secondo l'IDF, circa il 30% degli arresti da parte dell'antiterrorismo israeliano ha avuto luogo presso i posti di blocco.
Israele ne ha migliorato le condizioni di vita, ma i terroristi arabi palestinesi ne hanno deliberatamente approfittato. Nel 2004, una donna palestinese ha ucciso quattro israeliani a un posto di blocco a Gaza, fingendo di essere disabile. A causa del suo stato, i soldati avevano proceduto ai controlli di sicurezza senza prima utilizzare un metal detector. Lei ha quindi potuto far esplodere l' ordigno esplosivo che portava con sè.
Ci sono 63 posti di blocco lungo la barriera, noti come "porte" e "ostacoli", quali blocchi stradali e passaggi sotto controllo. Per questo i terroristi arabi palestinesi hanno trovato difficoltà a procurarsi armi da quando l'esercito controlla ogni città. Quando rimangono bloccati ai posti di blocco, comunicano con i cellulari. In questo modo i servizi segreti israeliani riescono a intercettare la chiamata e individuare la rete. In passato, l'intelligence israeliana veniva a conoscenza di un attacco mentre questo era già in corso. Con i posti di blocco, l'esercito ferma le manovre dei terroristi dell'Anp. Ecco perché il checkpoint di Kalandia, tra Gerusalemme e Ramallah, assomiglia ad un vero e proprio confine.
Il Vaticano "ignora" che ci sono stati numerosi attacchi che hanno coinvolto i terroristi nella regione di Betlemme e che numerosi attentatori suicidi provenivano da quella zona. Questo è il motivo per cui Israele ha bisogno di costruire una barriera. È per questo che l'IDF considera il controllo della collina come un essenziale "punto di osservazione". Come la barriera vicino a Cremisan, che protegge la comunità israeliana del quartiere di Ghilo.
Ghilo è un simbolo speciale della resistenza ebraica durante l'Intifada, quando cecchini arabi sparavano contro gli ebrei da Beit Jalla, popolata soprattutto da arabi cristiani. Ghilo era diventato come una cittadina irlandese. I residenti ebrei cominciavano ad andarsene, regnavano fra gli abitanti paura e rabbia. Sebbene in ritardo, il governo israeliano ha poi fornito barriere e pareti di vetro a prova di proiettile per proteggere i residenti del quartiere. Ghilo è stato il laboratorio dove i terroristi hanno cercato di verificare se potevano costringere gli ebrei ad abbandonare le loro case. Hanno fallito. Ora il Vaticano sta cercando di far rivivere questo obiettivo con altri mezzi, "pacifici", ovviamente.
Senza posti di controllo, barriere di sicurezza e blocchi stradali, Israele non sarebbe in grado di esistere. Se gli arabi si disarmano, ci sarà la "pace"; ma se è Israele a disarmarsi, ci sarà un nuovo genocidio. E' questo che vuole il Vaticano? Un'altra incombente Shoah?
(Informazione Corretta, 15 gennaio 2013)
Gueriglieri di Hamas hanno testato i missili perfezionati a lungo raggio
I mass media palestinesi comunicano che l'ala militare del movimento islamico Hamas ha eseguito il collaudo delle "varianti perfezionate dei missili a lungo raggio". I missili sono stati lanciati nella direzione del Mediterraneo. Hamas ha confermato l'informazione, dopo aver comunicato che è contento del risultato. I missili sono stati prodotti nella Striscia di Gaza con l'uso di tecnologie iraniane e hanno un raggio operativo di alcune decine di chilometri.
La stampa israeliana, commentando i comunicati palestinesi, indica che dalla fine dell'operazione "Colonna di nuvola" non sono passati nemmeno due mesi, ma Hamas si sta preparando alla prossima guerra.
(La Voce della Russia, 15 gennaio 2013)
I deportati della Shoah di Via Arenula
Installate nuove "pietre d'inciampo" nella Capitale. Per non dimenticare il crimine dell'Olocausto e riportare la memoria nella città
Il rumore del picchetto copre quello di settant'anni fa. Di vetri infranti, di mobili gettati a terra, di urla. Rumori che riempivano via Arenula, le case di Roma, nella maxi retata delle SS, con oltre duemila deportati italiani ad Auschwitz. A due passi da Torre Argentina, i marciapiedi capitolini hanno nome e cognome di chi è stato strappato dall'orrore nazista. Sono 36 le pietre d'inciampo installate nelle strade della città in questi ultimi due giorni. Una iniziativa che ha preso piede dal 2010 e che oggi conta ben 156 Stolpersteine a Roma.
STRANO DESTINO - In via Arenula 41 Sara Piperno guarda le pietre prendere il loro posto sul cemento. Si siede a fianco al portone. Quella è la casa di suo nonno Samuele Sonnino, il posto da cui l'hanno strappato via. Racconta la sua storia, quella della sua famiglia, di quella maledetta notte tra il 15 e il 16 ottobre 1943. "La mia bisnonna si chiamava Amelia Piperno, mio bisnonno Marco Mosè Sonnino. Avevano poco più di 70 anni. Lui era malato gravemente di cancro. I figli si alternavano per i turni i venerdì sera per non far loro passare lo shabat da soli. Lello Samuele Sonnino, mio nonno, andò a sostituire una delle sue sorelle, quella sera malata di influenza. Il 15 sera mio nonno si trovava quindi per uno scherzo del destino a casa dei suoi genitori. Era il 16 ottobre quando all'alba le SS fecero irruzione nell'appartamento. Lui, 35enne, si era nascosto dentro l'armadio. I soldati strapparono dal letto il padre moribondo. Quando sentì sua mamma urlare 'Lello Lello portano via papà', uscì dal nascondiglio. Fu preso anche lui e seguì i suoi genitori. Tutti i catturati furono rinchiusi nel collegio militare alla Lungara. Rimasero lì 48 ore. Poi fu preparato il trasporto con convogli blindati alla stazione Tiburtina. Oltre 2mila fermati furono chiusi nei convogli merci, con portelloni sbarrati da fuori e senza alcuna presa d'aria. Iniziarono così un lungo viaggio penoso fino ad Auschwitz, quando il treno arrivò la notte del 22 ottobre. La mattina del 23 ottobre fu sterminato l'80 per cento di quel carico. I miei bisnonni furono uccisi nella camera a gas il giorno dopo, il 23, senza passare neanche dall'ufficio matricole. Senza quindi ricevere quel 'tatuaggio sulla pelle'. Mio nonno invece entrò a fare parte del gruppo di lavoro a Varsavia. Doveva eseguire i lavori di recupero di risulta del ghetto. Lì è morto di stenti e freddo nel febbraio del '44.
PERCHE' - L'idea delle pietre speciali di Demnig risale al 1993 quando l'artista fu invitato a Colonia per una installazione sulla deportazione di cittadini rom e sinti.. Davanti all'obiezione di un'anziana signora secondo la quale a Colonia non avrebbero mai abitato rom, l'artista decide di dedicare tutto il suo lavoro nella ricerca dell'esistenza di cittadini scomparsi a seguito delle persecuzioni naziste. Una caccia su tutti, ebrei, politici, rom, omosessuali. Trasportare la Memoria tutti i giorni, senza risolverla nella solita banale commemorazione annuale. Così, in un marciapiede davanti alla casa in cui hanno vissuto uno o più deportati installò per ogni deportato una "pietra d'inciampo", un sampietrino 10 per 10, in ottone. Sopra l'incisione di nome, cognome, età, data e luogo di deportazione del perseguitato e se conosciuta anche la sua data di morte. Il progetto romano è stato creato per "ricordare abitanti del quartiere uccisi e perseguitati dai fascisti e dai nazisti, deportati, vittime del criminale programma di eutanasia o oggetto di persecuzione perché omosessuali". Un inciampo non fisico ma visivo, che fa fermare i passanti e li fa riflettere su quelle esistenze estirpate. Le prime "Stolpersteine" furono installate a Colonia nel 1995. Da allora oltre 37 mila ricordi sono "sparsi" in varie città d'Europa. Un triste file di Arianna che lega la Capitale in un tour della memoria quotidiano. Per ricordarsi fin dove l'umanità si è spinta. Per non dimenticare.
(Giornalettismo.com, 15 gennaio 2013)
Serate sulla Palestina un migliaio di firme di protesta al sindaco
Udine, l'associazione Italia-Israele: «Secondo sbaglio in un anno». Honsell replica: «Iniziativa giusta, ma pronti a un incontro»
di Federica Barella
UDINE. Da semplice e quasi sommessa rimostranza a un vero e proprio piccolo movimento di protesta. La decisione del Comune di Udine di appoggiare, per il secondo anno di seguito, un'iniziativa dedicata alla Palestina intitolata "Il muro della vergogna", proprio a ridosso del giorno della memoria dedicato al ricordo della Shoah, che si celebra il 27 gennaio, ha sollevato ancora polemiche. Nel giro di poche ore infatti la protesta contro l'amministrazione udinese ha raccolto quasi un migliaio di adesioni, alcune registrate anche su una pagina Facebook, dal titolo "Lettera aperta al Comune di Udine".
«Già l'altr'anno - spiega il giornalista ed estensore della lettera Michael Sfaradi, vicino all'associazione udinese Italia-Israele - l'amministrazione diede il patrocinio a questa manifestazione. Stavolta il patrocinio non c'è, ma c'è l'appoggio con tanto di apertura dei lavori da parte del sindaco Honsell. Non chiediamo che venga cancellato nulla. Chiediamo solo che questi argomenti siano trattati dando la possibilità anche alla controparte di esprimersi.
Solo col confronto si costruisce la pace. Invece un anno fa un assessore comunale di Honsell rispose "che non sempre c'è bisogno di contraddittorio". La nostra lettera al sindaco ha già raccolto un migliaio di adesioni. Visto che si persevera non vorremmo dover arrivare anche a una manifestazione di piazza di fronte alle finestre del sindaco».
Ma la risposta dello stesso primo cittadino non si è fatta attendere. Una risposta basata anche questa sui concetti di "pluralismo". «Come Comune - ha ricordato Honsell - abbiamo numerose relazioni con Israele, Paese dal quale c'è molto da imparare e col quale abbiamo tanti rapporti anche nell'ambito di progetti europei. Ma in una logica di pluralismo è importante offrire anche uno spazio per affrontare un tema che non può non toccare le coscienze di tanti cittadini. Non è possibile infatti rimanere silenziosi di fronte al dramma della Palestina e in particolare dei bambini e di tanti innocenti. Il convegno è stato pensato con spirito costruttivo, invitando oratori del volontariato e dell'università. L'iniziativa non è un processo a Israele, semmai promuovere la solidarietà e la cultura della pace.
Udine poi è sempre stata città dei diritti civili e l'impegno della mia amministrazione in questo senso è stato importante. Da qui l'auspicio che il confronto si possa allargare alle tematiche dei diritti umani e civili anche a includere altri drammi che si stanno consumando nel Mediterraneo. Certamente sarò molto lieto - ha concluso Honsell - di incontrare il presidente Linda e i rappresentanti dell'associazione Italia-Israele per un chiarimento».
(Il Messaggero Veneto, 15 gennaio 2013)
Intitolare una serata sulla cosiddetta Palestina Il muro della vergogna è una vergogna per i promotori di quelliniziativa. E bene che anche questo si dica ad alta voce.
'Strane Voci in Sinagoga', un viaggio nel tempo e nella storia della comunità ebraica di Pesaro
"Strane Voci in Sinagoga" è una serie di tre incontri tenuti all'interno della bellissima Sinagoga di Pesaro (PU) per promuovere e diffondere la cultura e le tradizioni legate in specifico alla comunità ebraica pesarese che fino agli anni 30 del secolo XX ha animato questo bellissimo quanto suggestivo luogo ora adibito a museo.
L'iniziativa riscuote subito un grandissimo successo; tanto è vero che, al primo appuntamento, gli attori e le guide che gestiscono l'evento sono "costretti a fare il bis": l'afflusso in massa dei molti curiosi arrivati sul luogo non era stato calcolato e, con prontezza, gli operatori si organizzano per non deludere nessuno e fare una seconda "visita guidata".
L'interesse suscitato da "Strane Voci in Sinagoga" si comprende facilmente: non è solo un semplice tour per gli ambienti della Sinagoga poiché all'excursus storico-culturale fatto dalla guida si affiancano momenti di coinvolgente performance interpretati dalle bravissime attrici dell'Associazione Culturale "Gli Elefanti Equilibristi".
Le interpreti traducono con abilità le parole della guida e, attraverso una recitazione intima e a tratti struggente, esprimono a pieno il senso e la sofferenza di un popolo che ha subito persecuzioni e discriminazioni. Questa storia viene raccontata tramite le storie private di persone realmente vissute all'interno della comunità ebraica pesarese. Alla base di tutto, una ricerca approfondita negli archivi da cui sono stati rinvenuti episodi di vita quotidiana e privata tradotta nei testi scritti ad hoc da Sara Benvenuti dell'Associazione Culturale "Gli Elefanti Equilibristi".
"Strane Voci in Sinagoga" è organizzato dal Comune di Pesaro (Assessorato alla Cultura), Sistema Museo, dall'Associazione Culturale "Gli Elefanti Equilibristi" e partecipa a Gran Tour Cultura, il progetto voluto dalla Regione Marche per incentivare la creatività nel territorio.
(Vivere Pesaro, 15 gennaio 2013)
I tesori della storia di Puglia in vetrina a Gerusalemme
A Gerusalemme con il cuore. L'assessore al Mediterraneo e Attività Culturali della Regione Puglia, Silvia Godelli plaude così all'iniziativa che si terrà il 15 gennaio nella Hevrat Yehudè Italia (Istituto della Comunità Ebraica Italiana presso il Museo di arte ebraica italiana) che ospiterà la conferenza organizzata dalla Società Dante Alighieri di Gerusalemme, dedicata alla Puglia antica. Egnazia, Lucera, Canosa, Bitonto (località Lama Balice), Gioia del Colle. Sono solo alcuni dei siti archeologici che verranno presentati davanti ad una folta platea estera, come esempi dei più grandi tesori artistici scoperti in Puglia. A farlo sarà il giovane archeologo barese Giuseppe Schiavariello, da un anno in Israele con un progetto del servizio civile nazionale, per occuparsi dello studio preliminare dei reperti conservati nel Museo Archeologico della Custodia di Terra Santa. Lo studioso 28enne, specializzato in archeologia classica, illustrerà i recenti scavi condotti nella regione dal team dell'archeologa barese Raffaella Cassano. Attenzione puntata sui luoghi di culto di Egnazia, sula recente area musealizzata di San Pietro a Bari, sul ricco patrimonio epigrafico di Lucera e Canosa, sino all'importanza commerciale di Taranto, unica colonia fondata dalla città di sparta nel 706/705 a.C. "Si registra una grande attenzione in Israele sulla storia della Puglia, come una delle realtà più interessanti dell'antichità dell'ebraismo nel Mediterraneo - ha dichiarato - questo appuntamento ha un grande significato culturale ma anche una forte potenzialità di tipo turistico, oltre a rappresentare un importante ponte tra la Puglia e Israele".
(la Repubblica - Bari, 15 gennaio 2013)
Tre nuove centrali fotovoltaiche nel deserto del Negev
75mila pannelli solari tra i comuni di Gvulot, Nathal Oz e Lahav
ROMA, 14 GEN - Tre nuove centrali fotovoltaiche verranno costruite nel deserto del Negev in Israele per una potenza complessiva di 18 megawatt. A realizzarli sara' l'EDF Energies Nouvelles Isral, societa' controllata dal gigante dell'energia EDF, leader mondiale dell'energia rinnovabile.
Ben 75.000 pannelli solari verranno posizionati, entro sei mesi, tra i comuni di Gvulot, Nathal Oz e Lahav per un investimento di 55 milioni di euro.
''Abbiamo preso questa decisione strategica a lungo termine - ha dichiarato Alain Vaniche, direttore di EDF Energies Nuovo Israele - per le enormi possibilita' che ha Israele nel campo dell'energia''.
(ANSA, 14 gennaio 2013)
Israele al voto - Quando la religiosità è trasversale
di Rossella Tercatin
Spesso affrontando la realtà della politica e della società israeliana, si tende a dipingere lo Stato ebraico come un paese semplicemente spaccato in due fra religiosi e laici. Alcune tendenze sono oggettive, come la crescita demografica della popolazione haredì, o il peso politico che tradizionalmente hanno assunto i partiti di dichiarata ispirazione religiosa nel Parlamento israeliano, complice anche il sistema elettorale proporzionale puro (sbarramento solo al 2 per cento). Ma a caratterizzare quella che, se verranno confermate le previsioni del quotidiano israeliano Haaretz, sarà "la Knesset più religiosa di tutti i tempi", sarà un altro fattore: la trasversalità. Come riportato da Haaretz infatti, la prospettiva di "circa un quarto dei deputati che si richiamano all'ortodossia nelle sue varie anime" non è soltanto una conseguenza della crescita consenso verso i partiti religiosi (e qui non si può non citare Habayit Hayehudì, la Casa ebraica di Neftali Bennet, che gli ultimi sondaggi proiettano come terzo partito dopo il blocco Likud-Beytenu e il Labor, seguito a ruota dallo Shas), ma a una scelta di proporre candidati che abbracciano i valori della tradizione ebraica nella propria vita quotidiana che attraversa le compagini più diverse nell'arco politico (per esempio Hatnua di Tzipi Livni propone al quarto posto il generale modern orthodox Elazar Stern, mentre Yair Lapid colloca al secondo posto in lista il rabbino Shai Piron).
Il risultato però non è stato quello di proiettare nell'agenda elettorale la questioni legate al ruolo della religione nella società in un ruolo di primo piano. Anzi, lo sforzo dei partiti è quello dimettere in campo un approccio inclusivo e non settario, di proporre un'offerta politica per parlare al maggior numero possibile di cittadini (ha fatto per esempio notizia la scelta di Habayit Hayehudì di proporre nelle proprie liste la prima candidata laica, Ayelet Shaked). Allo stesso modo sono pochi i politici che propongono l'osservanza religiosa come punto qualificante del proprio impegno. Tanto più che sulle questioni legate al rapporto tra Stato e religione esistono visioni profondamente diverse nello stesso mondo ortodosso, come si è dimostrato a proposito della questione dell'arruolamento dei haredim, dove nell'ambito del mondo rabbinico si va dalla completa opposizione a chi ritiene che invece prestare servizio nell'esercito di difesa israeliano rappresenti un dovere imprescindibile.
(Notiziario Ucei, 14 gennaio 2013)
Il cantante israeliano Asaf Avidan ospite al Festival di Sanremo
Il cantante israeliano, diventato famoso per il successo "One Day / Reckoning Song" è stato scelto da Fabio Fazio, per partecipare come ospite ad una delle serate della kermesse che si terrà dal 12 al 16 febbraio 2013
Asaf Avidan sarà tra gli ospite della 63a edizione del festival di Sanremo. Il cantante israeliano (111.332 Mi piace sulla sua pagina Facebook), diventato famoso per il successo "One Day / Reckoning Song" (Wankelmut Rmx) è stato scelto da Fabio Fazio, conduttore della prossima edizione del festival, per partecipare come ospite ad una delle serate della kermesse che si terrà dal 12 al 16 febbraio 2013.
Sul palcoscenico dell'Ariston il rocker israeliano, 32 anni, magrissimo e tatuato, star di Gerusalemme, porterà molto probabilmente anche il successo che l'ha reso famoso in pochi mesi, a livello mondiale. Un brano che aveva inciso quattro anni addietro con il gruppo dei Mojos. Il 15 gennaio pubblica "Different Pulses", primo album da solista in cui dà sfogo alla sua voce particolarissima.
(VareseNews, 14 gennaio 2013)
Eolico: Israele ha progetti per 2 GW di potenza
In Israele si sta facendo avanti l'energia eolica. Ha diffondere la notizia l'Associazione Mondiale dell'Energia Eolica (WWEA) che si è dichiarata a favore di un ambizioso piano di crescita del settore del paese, dove attualmente sono in attesa di approvazione progetti per un totale di 2 GW di potenza.
La WWEA ha inoltre confermato che il paese ha un ottimo potenziale eolico, sostenuto da un governo che recentemente ha fatto molto per lo sviluppo e la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili. Per questo, ha rivelato l'Agenzia, la Commissione Interministeriale di Israele ha aperto un bando di gara per nuove fattorie del vento che, insieme alle evoluzioni nel settore della ricerca e alla disponibilità di attivare un sistema di incentivazione a vantaggio della produzione di enenrgia da fonte eolica stanno gettando le basi per un futuro green solido.
A tal proposito il presidente dell'Agenzia, He Dexin, ha dichiarato che la WWEA "si compiace delle importanti decisioni prese dal Governo di Israele ed è disposta, naturalmente, a dare il proprio sostegno al paese".
(Rinnovabili.it, 14 gennaio 2013)
«Pizza for Israel»
di Michael Sfaradi
Una pizza fra amici per parlare di Israele e informazione davanti a qualche cosa di buono da mangiare, a prima vista poteva anche sembrare una scusa un po' banale per passare qualche ora insieme, ma la risonanza che l'idea ha avuto nei vari gruppi pro Israele che esistono in Facebook ha fatto sì che una semplice idea di Massimo La Verde e Flaminia Sabatello diventasse un evento che ora ha un nome: "Pizza for Israel".
Sull'onda degli inviti fatti sulle pagine di Facebook anche in altre città si è pensato di replicare in contemporanea e anche altre persone hanno riorganizzato, con la stessa denominazione, eventi identici e in contemporanea anche a Milano, a Napoli e in Sardegna, con un'affluenza tale che la signora Luciana Stella, organizzatrice dell'evento meneghino, si è trovata nella spiacevole situazione di dover rifiutare le richieste di partecipazione per mancanza di spazio disponibile nel locale.
Nelle ultime ore si è aggiunta anche Udine la capitale del Nord Est che su iniziativa della dottoressa Rosj Domini, del Prof Elio Cabib, di Donata Pedrosa e degli amici dell'associazione amicizia Italia -Israele di Codroipo stanno organizzando, visto che il Friuli è terra di vini, una "Bicchierata for Israel".
La voglia di sentirsi uniti contro il sempre più dilagante antisemitismo mascherato da antisionismo o da criticità nei confronti della politica dello stato di Israele, il desiderio di confronto e di denuncia sulla disinformazione che da anni mistifica le notizie che arrivano dal Medio Oriente e da Israele in particolare, si sta facendo sempre più importante al punto che anche una serata fra amici può diventare un momento di riflessione, comunione e, perché no, protesta.
Protesta contro quelle testate che a senso unico, e per motivi che sono ancora tutti da decifrare, demonizzano l'unica democrazia mediorientale, l'ultimo bastione di difesa della democrazia e del progresso civile contro l'avanzata sempre più tracotante di quell'Islam estremista che in alcun modo non può essere sdoganato nelle nazioni occidentali.
Ma Israele è una democrazia vera, compiuta e completa, una nazione fiera delle sue libertà e che è disposta a tutto pur non arrendersi sia davanti a chi la democrazia vorrebbe cancellarla per sempre da ogni nazione ancora civile sia davanti a coloro che sono ancora vittime del germe dell'antisemitismo.
A questo punto anche una pizza mangiata in allegria accompagnata da una Birra fresca o da una Cocacola, fra scherzi e risate, può diventare un momento importante, un momento in cui si sente il bisogno, ebrei e cristiani insieme, religiosi e laici, di destra o di sinistra, di riaffermare il principio di libertà e eguaglianza, principio che oggi più che mai non solo viene messo in discussione, ma è, inutile girarci intorno, fortemente minacciato.
Il pensiero dopo la buona riuscita di questo primo tentativo, le premesse ci sono tutte, e che eventi di questo tipo prendano sempre più piede e che coinvolgano parti sempre più importanti della società civile, una società che se vuole rimanere tale non può più permettersi il lusso di guardare dall'altra parte mentre una nazione leader fra le nazioni viene ingiustamente delegittimata e infamata.
(Imola Oggi, gennaio 2013)
*
«Pizza for Israel» serata al ristorante kasher per offrire una cena ai soldati al fronte
MILANO - Si sono incontrati giovedì sera davanti a una buona pizza al «Carmel», l'affollato ristorante kasher di via San Gimignano. Cinquantesette milanesi, cristiani, di fede ebraica ma anche molti laici, di destra e di sinistra. Tutti allegri e spensierati. Ma uniti da un obiettivo forte: stare insieme per qualche ora per parlare di Israele. Bandite del tutto discussioni politiche o religiose i partecipanti, in un clima di leggerezza, avevano un unico desiderio: sostenere i soldati israeliani che in quel Paese dilaniato da conflitti interminabili mettono a repentaglio la propria vita ogni giorno e da troppo tempo. E che attualmente - visti i problemi con Egitto, Siria e Turchia che si aggiungono a un antisemitismo sempre vivo - sono in servizio di leva permanente.
Non erano soli gli ospiti del Carmel. In contemporanea, con loro, sempre seduti al tavolo di un ristorante kasher e davanti a una bella pizza, c'erano altrettante persone (talvolta anche di più) a Roma, a Napoli, a Oristano, a Udine e, naturalmente, a Gerusalemme.
L'evento, non poteva chiamarsi che «Pizza for Israel». Tra canti e balli, bandiere, insalate e salse israeliane, solo a Milano sono stati raccolti oltre 300 euro. Che serviranno, insieme al denaro donato nelle altre città (oltre un migliaio di euro in tutto) a offrire, questa settimana, una pizza ai militari di stanza a Gerico.
Una pizza kasher costa circa 3 euro. E quindi con quel denaro potranno sedersi a tavola in allegria - e collegati in videoconferenza con l'Italia - almeno 400 militari. Visto il successo dell'iniziativa a breve è previsto un bis.
(il Giornale, 14 gennaio 2013)
Banda di arabi si accanisce contro due ebrei ortodossi a Gerusalemme
Un video inquietante ha cominciato a circolare sabato sera su Facebook. Il video mostra un gruppo di una ventina di arabi che si accanisce contro due inermi ebrei haredi colpendoli con palle di neve in faccia e umiliandoli. A un certo punto uno degli ebrei cade a terra, a quanto pare scivolando sul ghiaccio. L'attacco probabilmente è avvenuto vicino alla porta di Sichem, all'ingresso della Città Vecchia. Gli ebrei molto probabilmente stavano tornando dalla preghiera al Muro del Pianto. La polizia, che di solito è di stanza nella zona, non si vede da nessuna parte. E' un fatto che ricorda scene del 1930 in Germania, almeno per quanto riguarda la cattiveria gratuita e la sensazione di invulnerabilità mostrate dagli arabi.
(Arutz Sheva 7, 13 gennaio 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Israele al voto - Ancora un quarto gli indecisi
di Rossella Tercatin
Un quarto degli israeliani non ha ancora deciso per chi voterà il prossimo 22 gennaio. A rivelarlo è un sondaggio condotto dal quotidiano Maariv (506 gli interpellati dalla società di ricerca Ma'agar Mohot, con un margine di errore del 4,5 per cento), che illustra anche come la maggior parte di loro faccia riferimento all'area politica di centro, in cui si affollano ben tre partiti: il partito laburista guidato da Shelly Yachimovich, Hatnua (Il Movimento) dell'ex leader di Kadima Tzipi Livni e la formazione del popolare giornalista televisivo Yair Lapid, che come fece il padre Tommy prima di lui, ha lasciato il mondo dell'informazione per la politica, fondando Yesh Atid (C'è futuro). Tuttavia, guardando alla sequenza dei sondaggi pubblicati quasi quotidianamente dai grandi giornali dello Stato ebraico, il numero degli indecisi pur alto, è in diminuzione. Uno studio condotto nell'intervallo fra il 25 dicembre e il 2 gennaio da TRI-Strategic Research per il quotidiano online in lingua inglese The Times of Israel indicava come indeciso il 31 per cento dell'elettorato.
Il sondaggio pubblicato su Maariv, che si riferisce a dati raccolti tra l'8 e il 9 gennaio, attribuisce ai partiti di destra e religiosi complessivamente 71 seggi sui 120 della Knesset (di cui 38 Likud-Beytenu, 13 Casa ebraica, 12 Shas, 6 United Torah Judaism, 2 a partiti minori), al centro sinistra e partiti arabi 49 (16 Labor, 8 Yesh Atid, 7 Hatnua, 5 Meretz, 3 Kadima, 10 alle varie formazioni arabe).
(Notiziario Ucei, 13 gennaio 2013)
Le sfide impossibili che Israele vincerà
Le incertezze e le incognite del 2013 non spaventano il popolo israeliano
di Fiamma Nirenstein
Vorreste forse un bel pezzo positivo per il 2013?
Bene, io un'idea positiva ce l'ho, me la da la forza di Israele nel mantenere la barra diritta nonostante tutto. Forse un altro Stato, meno motivato, meno convinto della propria universale ragione di esistere (basta ricordare come simbolo di perdita di significato l'atteggiamento di collaborazionismo rinunciatario di Chamberlain di fronte alla Germania nazista che intendeva conquistare il mondo) si sarebbe stufato. Avrebbe abbassato le difese, si sarebbe indebolito e impaurito, di fronte alla minaccia iraniana, all'aggressivo mistero del futuro dominio della Fratellanza Musulmana nel mondo arabo, al rifiuto infinito dei palestinesi.
Ma Israele ha una misteriosa forza per cui non si stanca. "L'idea di Israele", scriveva Dante Lattes, "ha permeato di sé le più alte manifestazioni dello spirito e conquistato scuole e altari. La sua apologia è stata compiuta dalla storia". Israele non può stancarsi e questo è il più bell'augurio per quest'anno civile: non stancarsi mai. Qualche giorno fa sono andata, in mezzo a una foresta poco lontana da Gerusalemme, a visitare il memoriale per i piloti israeliani caduti. Per ogni guerra, dal 1948 in poi, c'è una colonna fra le querce, e tanti nomi di giovani, i migliori, i più dotati e generosi, i più belli, falciati mentre dispiegavano le loro ali in cielo per difendere quel fazzoletto di terra così piccolo che uno neanche capisce come far decollare con un F16, alzarsi nell'aria e non essere già oltre i confini patri.
Pensavo: come ha fatto Israele a sopportare che tutti questi fiori siano stati recisi?
Come hanno fatto le loro mamme, come i primi ministri, come i capi di stato maggiore a seguitare a credere che fosse buono e giusto continuare a vivere e a combattere? Come hanno fatto a sopportare il dolore e insieme anche l'ingiustizia del giudizio mondiale e perfino locale ed ebraico?
Come hanno potuto sopportare che la stampa internazionale si riempisse di biasimo per le "spropositate" reazioni di Israele in guerra, invece che di lodi per l'eroismo di quei ragazzi? Ditemelo voi, come ha fatto Israele durante la seconda Intifada non solo a sopportare che tutto saltasse per aria, che gli autobus, i caffè, i supermarket e persino le sale di attesa della mutua esplodessero per la crudeltà di chi "ama la morte più della vita", che Israele fosse cosparsa di morti civili, ma che poi le tv e i sapientoni di tutto il mondo seguitassero a dare la colpa dell'attacco jihadista palestinese alla passeggiata di Sharon sulla Spianata del Tempio (ora si sa bene, parola di Suha Arafat, che l'Intifada era programmata da tempo) e che il mondo non alzasse un sopracciglio per quei ragazzi e quelle donne massacrati?
Come fa oggi, dopo quello che è successo sgomberando Gaza nella fiducia che quello fosse un gesto di pace compiuto secondo il parametro basilare che il mondo cerca di imporre "sgomberate territorio e avrete pace", dopo che Hamas si è impossessata di Gaza con i suoi missili e i suoi matrimoni di massa di anziani individui con le bambine locali, a sentire ancora omaggiare la popolazione di Gaza come se fosse la vittima di Israele e non quella dei suoi governanti terroristi?
Come si fa a seguitare a sentire ripetere ogni giorno che Abu Mazen è un partner per la pace, quando la radio, la tv, i libri di scuola palestinesi ufficiali, i suoi più intimi assistenti e anche lui appena può, proclamano la sparizione dello Stato d'Israele come l'unica prospettiva possibile, eludendo ogni possibile iniziativa che metta le due parti di fronte alla necessità di discutere una soluzione? Invece occorre sedersi insieme per stabilire i parametri di due Stati per due popoli secondo la risoluzione 242, che prevede che in cambio "di territori" e non "dei territori" Israele debba ricevere assicurazioni per la sicurezza dei suoi cittadini che appartengano a una realtà credibile e non al mondo della fantasia. Come si fa a dimenticare ogni giorno, ogni secondo, che sgomberare territori al buio è reso impossibile dalla inaffidabilità totale di qualcuno che se per caso prende il posto degli attuali abitanti ebrei (pardon, coloni!) comincia a sparare e a organizzare nidi di missili su Gerusalemme, sull'aeroporto, sull'autostrada principale? Vi sembrano esagerazioni?
Allora rileggete la storia di Israele, perché ciò che crea una visione generosa e irenica è spesso ignoranza, noncuranza, perbenismo, politically correct, opportunismo. Per esempio quelli che ripetono che gli insediamenti violano la legge internazionale secondo la quarta convenzione di Ginevra dicono una stupidaggine pazzesca, sia rispetto alla stessa convenzione del 1949 per la protezione di civili (le circostanze in cui fu creata disegnavano uno scenario che non c'entra niente con quello di cui si parla e cercavano di evitare la politica di deportazione delle popolazioni civili, ciò che non esiste nella politica israeliana), che rispetto agli accordi stabiliti nel corso degli anni fra palestinesi e israeliani che disegnano fra il 93 e il 99 per cento un quadro, insediamenti inclusi, che esclude ogni riferimento a costruzioni, pianificazione territoriale, divisione in zone e rimanda ogni decisione a colloqui che non si sono mai fatti per il rifiuto palestinese.
Quello che ancora non si capisce, dato che Israele dà fiducia anche elettorale a queste persone, come si consideri affidabile chi spara slogan spesso incomprensibili, perché ditemi voi cosa dicono Tzipi Livni o Ehud Olmert quando propagandano la loro azione di pace, tutta fallita nel nulla (a Annapolis, per esempio, nonostante le grandiose offerte) e di conseguenza sparano slogan (elettorali) contro il proprio governo. Ed essi diventano subito la citazione preferita all'estero: "l'ha detto Tzipi Livni, lo scrive l'Ha'aretz, lo ripete Olmert, lo sostiene Amira Hass, lo dice Gideon Levy. La tv israeliana ha fatto un'inchiesta, alla radio israeliana persino Gale'i Tzahal, la radio dell'esercito...".
Si, viene da Israele la delegittimazione preferita dello Stato Ebraico. Israele è tutt'altro che perfetta, ci sono incidenti di insofferenza, intolleranza, persino di razzismo, ma come può Israele sopportare che si parli della sua incredibile democrazia, contro ogni possibile evidenza sotto il naso di tutti, come di uno "Stato di apartheid" e mi vergogno qui persino a spiegare quella follia, e stavolta non lo farò.
O come si può riportare come atto di intolleranza il fatto che una deputata israeliana araba, che era sulla Mavi Marmara diretta in missione di solidarietà ad Hamas a Gaza, venga messa in discussione in quanto membro eletto di un parlamento che vuole distruggere (e in cui certamente tornerà a sedersi)? Insomma, come fa Israele a sopportare contemporaneamente la minaccia iraniana, lo stringersi della morsa delle primavere arabe (il primo consigliere di Mursi, presidente egiziano, ha detto che Israele è destinata a sparire nei prossimi dieci anni), la diffamazione e la delegittimazione giorno dopo giorno, la baronessa Ashley che non si occupa dei 45mila uccisi in Siria, ma ce la mette tutta a "preoccuparsi" per gli insediamenti?
Come fa Israele a camminare avanti, orgogliosa dei suoi ragazzi, del suo esercito, della sua high tech, della sua economia, della enorme solidarietà che caratterizza la sua società così variegata? Non lo so come fa, alle volte io non ce la faccio nemmeno a pensarla da lontano, ma quello che so è che invece Israele ce l'ha sempre fatta, ce la fa, ce la farà. E quindi sarà un bel 2013. Cito di nuovo Dante Lattes: "Dovette avere una grande bellezza questa idea ebraica se, affidata nelle mani di un piccolo popolo del Mediterraneo, cinto e insidiato dai grandi imperi che confluivano nel suo breve territorio, riuscì a valicare le età antiche nonostante i pericoli e i traviamenti che ne minacciano la vita senza tregua.
Se al popolo che l'aveva espressa nei tempi eroici e nei tempi drammatici dette così singolar forza di resistenza...".
(Shalom, gennaio 2013)
Israele, le università dell'eccellenza
I suoi atenei godono ormai di un prestigio indiscusso. Ma non mancano le ombre
L'eccellenza delle università è una delle chiavi di volta della sua competività. Il prestigio degli atenei israeliani è ormai indiscusso. L'Università ebraica, quella di Tel Aviv e il Technion si piazzano da anni ai primi dieci posti nelle classifiche internazionali delle istituzioni scientifiche. Nell'ultimo decennio ben cinque israeliani hanno spuntato il Nobel mentre Elon Lindenstrauss nel 2010 si è portato a casa la Medaglia Fields che in campo matematico equivale al Nobel. E la percentuale di pubblicazioni scientifiche è almeno dieci volte superiore a quella di altri paesi.
Lo scenario, soprattutto visto dall'Italia, è quello di un sistema di educazione superiore proiettato verso il futuro e capace di reggere le sfide del contemporaneo. Quelle economiche innanzi tutto, se si considera che, secondo alcune stime, il 41 per cento del Prodotto interno lordo del Paese è legato ai progressi sul fronte della ricerca e dello sviluppo e il 29 per cento a una maggiore istruzione superiore della popolazione.
Basta scorrere i dati statistici per apprezzare questo aumento. Dal 1995 a oggi gli studenti che negli atenei israeliani conseguono la prima laurea sono passati da 92 mila 500 a più di 183 mila. Un raddoppio secco che si accompagna a quello segnato dalle lauree specialistiche, che da 25 mila 720 salgono a 50 mila 700, e dai dottorati che da 5 mila 470 diventano ben 10 mila 590. Insomma, gli israeliani sono sempre più formati e al tempo stesso appaiono pronti ad assecondare, con sano realismo, l'evoluzione dei tempi. Puntando, nella scelta delle facoltà, sulle discipline che promettono di garantire le migliori possibilità occupazionali per il futuro.
Non è un caso che negli ultimi dieci anni il numero degli studenti che conseguono la prima laurea in materie umanistiche abbia registrato un calo nettissimo, passando dal 36,7 per cento del 1995 al 23,3 per cento dell'anno accademico 2010-2011 mentre rimangono sostanzialmente stabili i tassi delle seconde lauree e dei dottorati. In parallelo si segnala un aumento degli iscritti a scienze sociali, materia relativamente nuova, che totalizza per le prime lauree un incremento dal 29,7 per cento al 34 per cento.
Cresce anche la facoltà di Legge, da sempre tra le più ambite dagli studenti israeliani, che passa dal 5,5 per cento all'8,8 mentre le seconde lauree salgono dall'1,9 per cento al 5,3. Si sviluppa anche Ingegneria e architettura che dall'11 per cento d'iscrizioni passa al 18,3. Sostanzialmente stabili Medicina (5 per cento di prime lauree) e Agricoltura (0,5 per cento) mentre si nota un lieve calo per Matematica e Scienze naturali.
Eppure in questo panorama non mancano le ombre, come dimostrano le manifestazioni di protesta che hanno contrassegnato a fine ottobre l'apertura dell'anno accademico israeliano. In tempi di crisi quali quelli attuali i nodi stanno venendo al pettine tutti insieme, sostengono gli esperti che non esitano a parlare di un "decennio sprecato" sul fronte dell'istruzione superiore. Le sette grandi università israeliane vivono infatti, dal 2000, un periodo di forte contrazione che minaccia di mettere davvero a rischio la tenuta del sistema a lungo termine. Una serie di tagli ha ridotto di circa il 25 per cento i finanziamenti statali ai budget di ricerca degli atenei. Dal canto loro le pressioni dell'opinione pubblica hanno prodotto una riduzione quasi equivalente delle tasse universitarie. Tutto questo mentre le università stavano facendo i conti con i pensionamenti dei tanti dipendenti assunti tra gli anni Sessanta e Settanta, la stagione del boom dell'istruzione superiore in Israele.
Il risultato? Gli atenei si sono ritrovati a non poter rimpiazzare i docenti e ricercatori in uscita (non a caso l'età media dei docenti è passata dai 46 anni del 1980 ai 53 e mezzo del 2009) e a penalizzare dunque la qualità della ricerca e dell'insegnamento. Una trappola in piena regola, se si considera che solo l'Università di Tel Aviv si è trovata nell'impossibilità di sostituire oltre 400 posizioni nelle sue facoltà. E questo mentre il numero degli studenti aumentava a vista d'occhio. Per affrontare la situazione nel 2010 ha dunque preso il via un piano, formulato dal Council for Higher Education, l'autorità israeliana che supervisiona e accredita le università e i college. Nell'arco di sei anni si intende giungere a un finanziamento degli atenei sulla base di standard d'eccellenza, di potenziare di circa 2 mila unità i membri delle facoltà e di raddoppiare i fondi a disposizione dell'Israel Science Foundation da 270 milioni di shekel a 520 milioni. Sono inoltre in cantiere trenta nuovi centri d'eccellenza, ciascuno dedicato a una disciplina specifica, che dovrebbero contribuire a richiamare in Israele i cervelli in fuga.
Il ministro delle Finanze Yuval Steinitz ha promesso di sostenere il piano con due bilioni di shekel in sei anni. Una scelta che fa ben sperare per il futuro, anche se non affronta uno dei nodi che gli addetti ai lavori considerano cruciale. In questi anni gli israeliani hanno potuto contare su un doppio circuito, quello delle università e quello dei college. Oggi sono oltre una quarantina quelli che rilasciano lauree di primo livello, molti hanno già avuto l'autorizzazione a conferire anche il secondo titolo e molti sono in attesa di una risposta. Il piano del Council of Higher Education non disegna però particolari prospettive su questo fronte. Quali saranno i percorsi del futuro? La domanda d'istruzione superiore in Israele è sempre più forte, anche perché i vantaggi in termini economici di studi più approfonditi sono ben chiari a tutti. Ma su quali vie si amplieranno le possibilità d'accesso? Sono interrogativi ineludibili: per dare ulteriore impulso all'economia e alla costruzione di una società democratica.
(Pagine ebraiche, gennaio 2013)
Lo Shabbat e l'arte del ping-pong
di Ada Treves
Negli Stati Uniti d'America, in tempi recenti, è capitato più volte che la programmazione di eventi sportivi sia stata complicata dalla necessità di permettere a tutti gli atleti, anche giovanissimi, di competere rispettando i propri valori, ebraici e non solo. La composizione demografica americana, ancor più che quella europea, sta spingendo diverse associazioni a ragionare su chi sono i loro iscritti, e la necessità di fare chiarezza è sempre più pressante. Nel febbraio dello scorso anno era stata la squadra di basket della Beren Academy, una scuola ebraica ortodossa di Houston, Texas, a salire alla ribalta. Non tanto per essere arrivati alla semifinale del torneo quanto per la miopia di una associazione, la TAPPS (Texas Association of Private and Parochial Schools), che non solo aveva programmato la partita di shabbat ma che di fronte alla richiesta di spostare l'orario dell'incontro aveva dichiarato che non era possibile accomodare tutti e che la scuola, all'atto dell'iscrizione al torneo, era stata avvertita di una simile possibilità. Oltre all'opinione pubblica (migliaia di persone avevano firmato una petizione online per chiedere lo spostamento della partita) si erano mossi il sindaco di Houston, alcuni senatori, l'Anti-Defamation League, e anche l'ex coach dei Rockets.
Le cose, per Estee Ackerman, giovanissima promessa del tennis tavolo, sono andate diversamente: al National Table Tennis Championships di Las Vegas erano iscritti talmente tanti ragazzi che Estee era sicura che sarebbe stata eliminata prima di shabbat. Invece ha continuato a vincere, fino a rendersi conto che i sedicesimi di finale li avrebbe dovuti giocare la sera di venerdì, qualche ora dopo l'inizio del sabato. Al contrario del caso di Houston la disponibilità dell'organizzazione di fare un cambiamento per permettere a Estee di giocare era totale, ma semplicemente questo non è stato possibile. La decisione di non giocare ha avuto - come nel caso della Beren Academy - grande risonanza mediatica, arrivando addirittura a una copertura della notizia da parte della CNN.
La piccola giocatrice (è ora quarta nel ranking nazionale del la categoria 8-11 anni) si è ovviamente dichiarata dispiaciuta, ma non ha avuto dubbi: avrebbe potuto andare a piedi fino al luogo dell'incontro, e giocare, ma decidere di farlo sarebbe stato in contraddizione con lo spirito di shabbat, se non con le sue regole. La sua scelta è stata sostenuta e condivisa da tutta la famiglia, in cui anche il fratello Akiva, che ha 14 anni, è un campioncino (e gioca con la kippà in testa) e il padre passa ore ad allenare i due ragazzi, sei giorni alla settimana.
Estee gioca a tennis tavolo - non chiamatelo ping-pong - da quando era molto piccola con successo sempre crescente, ed è stata scoperta qualche mese fa da Biba Golic, campionessa dello sport e testimonial del Killerspin Crew, di cui adesso anche Estee fa parte. Già ora è nota per la sua abilità tattica e strategica e per la sua capacità di giocare alla pari, senza farsi intimorire, anche contro gli adulti e il suo sogno è di entrare nella squadra americana di tennis tavolo per partecipare alle Olimpiadi nel 2016, a Rio de Janeiro. Non sembra impossibile, sia per la sua bravura che per la sua tenacia, mostrata anche nella scelta di non giocare di shabbat, che, come ha dichiarato rav Yaakov Sadigh "mostra una capacità di autodisciplina abbastanza impressionante in una ragazzina della sua età". E il prossimo torneo a cui parteciperà, per fortuna, si gioca di domenica.
(Notiziario Ucei, 13 gennaio 2013)
Shoah, Roma si arricchisce di 36 nuove «pietre»
Lunedì e martedì gli «Stolpersteine» verranno posati a Trastevere e al Ghetto davanti alle case degli ebrei deportati
di Paolo Brogi
La «Pietre d'inciampo»
ROMA - Via Garibaldi, civico 38. La prima delle nuove trentasei «pietre d'inciampo» che ricordano le vittime della deportazione nazifascista sarà posta lunedì mattina alle 9 nella via trasteverina che sale verso il Gianicolo. A posizionarla l'artista Gunter Denmig, il deportato da ricordare è Augusto Sperati. Seguiranno alle 10 in via Arenula 41 le «pietre» di altre vittime, Laura Romanelli, Margherita Sonnino e Angelo Romanelli, Mosè Marco Sonnino, Samuele Sonnino, Amelia Piperno. E poco dopo davanti al civico 83 saranno ricordati Alfredo Donato Di Nola e Livia della Seta. E poi sempre restando nel primo Municipio la deposizione continuerà a Santa Maria del Pianto, piazza Mattei, via del Portico d'Ottavia, via Catalana, Campo de Fiori, via Mormorata e via Giotto.
QUARTO ANNO - Quarta edizione delle «pietre d'inciampo» a Roma. Dopo le deposizioni del 2010, 2011 e 2012, che hanno collocato in città 156 Stolpersteine, eccoci a un nuovo momento di restituzione della memoria per chi non c'è più, spazzato via dalla barbarie totalitaria. Cinque i municipi coinvolti: dopo il I e il IX che registreranno le pose delle pietre nella giornata di lunedì 14, il giorno successivo l'iniziativa prosegue nei municipi II, XVII e XVIII. Tra le figure commemorate anche il professor Gioacchino Gesmundo, insegnante del liceo Cavour e fervente antifascista, uno dei 335 martiri delle Fosse Ardeatine. Come sempre, il giorno e l'ora della collocazione delle pietre sono annunciati agli inquilini da una lettera del Municipio in cui si spiega che il progetto vuole «ricordare abitanti del quartiere uccisi e perseguitati dai fascisti e dai nazisti, deportati, vittime del criminale programma di eutanasia o oggetto di persecuzione perché omosessuali».
LE PRIME A COLONIA - L'inciampo non è fisico ma visivo e mentale, costringe chi passa a interrogarsi su quella diversità e agli attuali abitanti della casa a ricordare quanto accaduto in quel luogo e a quella data, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l'attualità. Le prime Stolpersteine sono state installate a Colonia nel 1995; da allora a oggi ne sono state distribuite oltre 37.000 in diverse città tedesche ed europee. Invitato per la prima volta in Italia nel 2010, Memorie d'inciampo a Roma è curato da Adachiara Zevi ed è promosso da Aned(Associazione Nazionale ex Deportati), Anei (Associazione Nazionale ex Internati), Cdecd(Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), Federazione delle Amicizie Ebraico Cristiane Italiane, Museo Storico della Liberazione. Gli Stolpersteine sono finanziati da sottoscrizioni private; il costo di ognuno, compresa l'installazione, è di 120 euro. Presso la biblioteca della Casa della memoria e della storia è attivo uno «sportello» curato da Daniela Mantarro, con la collaborazione di Elisa Guida. (casadellamenoria@bibliotechediroma.it, tel. 06/45460501 e sportello@arteinmemoria.it). A loro possono rivolgersi quanti intendono ricordare familiari o amici deportati attraverso la collocazione di una Stolpersteine davanti alla loro abitazione.
(Corriere della Sera, 13 gennaio 2013)
Ricoverato per malore il rabbino Ovadia Yosef
GERUSALEMME, 12 gen. - Il leader spirituale del partito ultraortodosso israeliano Shas, il rabbino Ovadia Yosef, è stato ricoverato in seguito a un malore. Etti Dvir, portavoce dell'ospedale Hadassah di Gerusalemme, ha spiegato che il ricovero è avvenuto questa mattina. Non è chiaro che tipo di problema abbia avuto il rabbino, 92 anni, ma la portavoce fa sapere che è cosciente e in condizioni stabili. Verrà tenuto in osservazione nei prossimi giorni.
(LaPresse, 12 gennaio 2013)
Israele teme le armi chimiche della Siria
Lo Stato ebraico è preoccupato di sapere chi adesso controlla i mezzi militari micidiali di Damasco
Nell'incertezza della guerra civile, Tel Aviv paventa che il Paese vicino diventi terra di nessuno
Rifugiati siriani in un campo profughi nella valle di Bekaa
TEL AVIV - Di fronte alla cruenta guerra civile che da due anni sconvolge la Siria, Israele preferisce tenersi in disparte ma si vede egualmente costretto a seguirne da vicino sviluppi che spesso, peraltro, colgono di sorpresa persino i suoi servizi d'intelligence. «Il nostro principale mal di testa», dice all'agenzia Ansa un'alta fonte militare israeliana, «riguarda le tonnellate di armi chimiche: chi se ne prende cura? Chi le controlla? La Siria inoltre detiene i più avanzati missili russi anti-aerei e sofisticati missili terra-mare». In quel conflitto Israele non sta con nessuno. Da un lato c'è quello che la fonte chiama «l'Asse del Male»: l'alleanza, in prevalenza sciita, fra Iran, Hezbollah e il regime di Bashar al-Assad. Di fronte c'è un groviglio di forze ribelli che - nota la fonte - includono «ottimi siriani, patrioti che lottano per il loro Paese», ma anche «jihadisti» affluiti dai quattro angoli della terra. Fra loro vi sono elementi di Al-Qaeda, che le vedette israeliane - aggiunge - già scorgono ad occhio nudo dalle alture del Golan occupate dal 1967. Dal suo ufficio, nell'imponente ministero della difesa di Tel Aviv, l'alto ufficiale non è in grado di stabilire chi, in realtà, stia oggi vincendo in Siria («la situazione muta di giorno in giorno»). Né può azzardare previsioni sull'esito del conflitto: «Sappiamo che Assad è determinato a combattere e ha ancora abbastanza fondi per pagare gli stipendi». Il suo punto debole? I reparti sunniti dell'esercito, che dopo tante stragi di sunniti potrebbero rivolgersi contro di lui. «La guerra», dice, «può trascinarsi anche anni, a meno che i ribelli non trovino il modo di uccidere Assad». Sulla base di altri scenari (Afghanistan, Pakistan, Sudan, Yemen, Sinai egiziano) la sensazione d'Israele è che oltre le alture del Golan - contese, ma improntate a quiete assoluta da ormai 30 anni - si stia creando una 'terra di nessunò dove potrebbe prosperare il terrorismo.
(Bresciaoggi.it, 12 gennaio 2013)
In Medio Oriente il disprezzo per gli ebrei è una psicosi collettiva
Israele è colpevole ontologicamente. Non per quello che fa, ma per il fatto di esistere.
di David Meghnagi
Non è qui in gioco il diritto a discutere le scelte israeliane. La critica è il sale della democrazia.
È un diritto dovere di cui in Israele tra l'altro si fa ampio uso, forse come in nessun altro paese democratico. Sono qui in discussione la forma che assume la critica, i pregiudizi di cui si alimenta, i doppi standard che si utilizzano per giudicare le scelte e i comportamenti, la delegittimazione che fa da sfondo. Per non parlare della demonizzazione e della falsificazione aperta dei fatti. Il solo fatto di dovere ogni volta iniziare con questa premessa, per potere adeguatamente sviluppare un'argomentazione più fondata su quanto accade nel Vicino Oriente e nel teatro delle sue rappresentazioni collettive, dovrebbe far riflettere.
Sarebbe sufficiente una breve disamina delle vignette apparse negli anni sui principali quotidiani europei, a commento della crisi mediorientale, per comprendere che non siamo di fronte a degli "errori" di valutazione, che si potrebbero facilmente correggere con informazioni più fondate e veritiere. Siamo di fronte a una deriva culturale che offende l'intelligenza, a luoghi comuni che appaiono "impermeabili" e resistenti alla dimostrazione della loro infondatezza. Siamo di fronte a una deriva che si è formata per sedimentazioni successive nell'arco di cinque decenni, saldando l'antica ostilità contro gli ebrei al rifiuto di Israele e alla sua delegittimazione. È un intreccio complesso dove sono all'opera molti elementi.
Solo per citarne alcuni: i residui dell'alleanza fra i regimi totalitari (l'URSS e i suoi satelliti) con i regimi dittatoriali emersi dalle lotte di liberazione dei loro popoli (Movimento del Terzo Mondo); il bisogno sempre più attuale delle metropoli ex coloniali di riscattarsi dalle loro colpe passate senza dover pagare per intero il prezzo morale e politico; la volontà dei regimi oppressivi arabi e islamici di dirottare all'esterno le responsabilità storiche dei loro fallimenti. In questo perverso gioco di rispecchiamenti perversi, Israele è lo Stato ideale contro il quale dirigere il fallimento dei rapporti fra le ex metropoli coloniali europee - alle prese con un grave declino economico e una crisi identitaria e valoriale per i profondi cambiamenti culturali indotti dai processi migratori degli ultimi decenni - e l'odio antisemita che dilaga nel mondo arabo e islamico.
Se non fosse per la realtà tragica del Vicino Oriente, verrebbe da ridere amaramente di fronte alle innumerevoli varianti di un tema che sulla falsariga dell'insegnamento preconciliare del disprezzo contro gli ebrei, ha purtroppo assunto i tratti di una psicosi collettiva. Come nell'insegnamento preconciliare dell'odio contro gli ebrei, Israele è colpevole ontologicamente. Non per quello che fa, ma per il fatto di essere. In questa perversa deriva lo Stato degli Ebrei diventa per molti l'Ebreo fra gli Stati, di cui si può dire tutto il male in uno stato di "innocenza" ritrovata, in cui l'antisemitismo mascherato di antisionismo può falsamente declinarsi come lotta al razzismo.
(Shalom, gennaio 2013)
Mancano due milioni per finire i lavori del memoriale della Shoah a Milano
MILANO, 11 gen. - Ci vorranno ancora dai 6 ai 10 mesi per completare il Memoriale della Shoah. Ma soprattutto si dovranno trovare quei "2 milioni di euro che mancano per poter terminare l'opera". Il vice presidente della Fondazione Memoriale della Shoah Roberto Jarach spera nell'intervento dei privati: "adesso che l'opera sta prendendo forma spero sia piu' facile approcciare qualcuno che sia sensibile al completamento" ha detto al termine della visita fatta questo pomeriggio al cantiere, insieme al ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi .
(AGI, 12 gennaio 2013)
Tel Aviv - È stato arrestato l'uomo sospettato dell'esplosione
La polizia israeliana è riuscita, seguendo sulle tracce ancor fresche, ad arrestare il motociclista sospettato dell'esecuzione dell'esplosione presso il Ministero della Difesa a Tel Aviv, comunica il giornale Haaretz. La polizia considera l'esplosione come attentato contro Nissim Alperon, capo di uno dei gruppi criminali locali.
Secondo i dati preliminari, il motociclista ha raggiunto l'auto dove c'era Alperon, ha agganciato il dispositivo esplosivo e l'ha attivato. A causa dell'incidente l'auto è bruciata ed è stato colpito un pullman che passava vicino. L'autista del pullman, un passeggero e Alperon hanno ricevuto le ferite leggere. Si comunica che è il 10o attentato alla vita di Alperon.
(La Voce della Russia, 11 gennaio 2013)
A Gaza il primo ristorante al mondo con personale non udente
La lingua ufficiale usata per comunicare è quella "dei segni"
Gaza (TMNews) - Non c'è nessun errore tecnico, questo è esattamente quello che percepisce, o meglio che NON percepisce un non udente, costretto a vivere in un mondo ovattato e privo di suoni. Ma a Gaza esiste un ristorante, "Aftaluna" in cui la maggior parte degli impiegati è costituita da sordi e dove la lingua ufficiale è la "lingua dei segni"."Questo è un ottimo esempio del fatto che anche le persone sorde possono essere utili e avere successo - spiega, attraverso il suo interprete, il cameriere Ahmed - sono perfettamente in grado di comunicare e non sono per niente in difficoltà quando si tratta di accogliere i clienti e interagire con loro".Circa l'1,5% degli abitanti di Gaza soffre di sordità. Una situazione particolarmente difficile in un territorio già martoriato da anni di guerra civile e dove è molto difficile trovare lavoro, con un tasso di disoccupazione del 30%. Per questo è nata l'associazione "Aftaluna" che ha lo scopo di favorire l'integrazione dei non udenti"."Cerchiamo di aiutarli a trovare un impiego - dice Dalia, volontaria dell'associazione - tuttavia non è affatto semplice, perché i posti a disposizione per loro sono davvero pochi. Questo ristorante, però, permette di valorizzare le loro competenze e le loro esperienze".I dipendenti dell'Aftaluna ricevono un addestramento di circa 8 mesi, al termine dei quali sono perfettamente in grado di gestire la sala e la cucina facendo sentire i clienti come a casa loro, con l'unica accortezza di indicare sui menù la propria scelta anziché riferirla a voce.
ROMA - Torna l'appuntamento con le stolpersteine, le pietre d'inciampo che ricordano le vittime della persecuzione nazifascista nei luoghi dove vissero e dove - in molti casi - ebbe inizio la loro deportazione. Trentasei nuovi sampietrini saranno installati nei prossimi giorni a Roma dal loro ideatore, l'artista tedesco Gunter Demnig. Prima cerimonia in ordine cronologico l'apposizione di una pietra, lunedì alle 9 in via Garibaldi 38, di fronte all'abitazione che fu di Augusto Sperati.
Questa mattina, alla Casa della Memoria e della Storia, la conferenza stampa di presentazione del progetto, giunto alla quarta edizione, posto sotto l'alto patronato della presidenza della Repubblica e coordinato dall'architetto Adachiara Zevi per l'associazione culturale Arteinmemoria. A definire i dettagli dell'iniziativa, a soffermarsi sulle sfide della Memoria e della testimonianza raccontate attraverso l'arte, due ospiti: lo storico Lutz Klinkhammer e l'artista Alfredo Pirri. In apertura i saluti di Annabella Gioia dell'Istituto storico di resistenza. Ricordato, dagli intervenuti, l'ampio spettro di città, luoghi, situazioni coperte in questi anni dalle stolpersteine. Ideate nel 1993 a Colonia per ricordare la deportazione dei cittadini rom e sinti, danno oggi - con quasi 40mila installazioni in Germania e tutta Europa - la profondità di una sfida accolta con crescente interesse e attenzione dall'opinione pubblica. Una delle risposte più efficaci, è stato inoltre sottolineato nel corso dell'incontro, ai fautori dell'odio e dei deliri negazionisti che perseverano a diffondere i loro veleni. "Quanto è scritto su quelle pietre - ha affermato Zevi - ha la portata della prova storica". A patrocinare l'impegno Unione delle Comunità Ebrache Italiane, Comunità ebraica di Roma e ambasciata tedesca.
Nella mattinata presentata anche la settima edizione di Arte in Memoria, mostra internazionale di arte contemporanea - curata anch'essa dalla Zevi - che si aprirà domenica 20 gennaio nell'area archeologica e presso la sinagoga di Ostia antica. Quattro gli artisti invitati ad intervenire: Alice Cattaneo, Sigalit Landau, Hidetoshi Nagasawa e Michael Rakowitz. Presupposto teorico e critico di Arte in Memoria è che la nostra cultura sia ossessionata dalla memoria e catturata dalla dinamica "distruttiva" dell'oblio. Perché la memoria delle tragedie trascorse, recenti e in atto non si risolva nelle commemorazioni e nei discorsi rituali di un giorno la mostra invita pertanto la comunità degli artisti a trasformare un luogo di culto "in luogo di cultura" ripopolandolo con visioni ispirate alla storia ma allo stesso tempo "radicate nell'attualità".
(Notiziario Ucei, 11 gennaio 2013)
Reggio Calabria: conferenza del Rabbino Piperno
in preparazione alla Giornata della Memoria con i giovani dell'ITC G. Ferraris - A. da Empoli
Allo scopo di "oltre la memoria e conoscere la Shoah nella sua complessità, per diventare testimoni della verità storica e della dignità umana", agli alunni del'ITC G. Ferraris - A. da Empoli di Reggio viene offerta l'occasione privilegiata del confronto, Mercoledì 16 Gennaio (15 Shevat anno 5773 del calendario ebraico), alle ore 11.00 nell'Aula Magna dell'ITC G. Ferraris - Da Empoli, con una conversazione di approfondimento dell'identità ebraica, dei drammi della storia e un'opportunità di dialogo a cura del Rabbino Gadi Piperno di Roma, Responsabile per l'Unione Comunità Ebraiche Italiane (UCEI, Dipartimento Educazione e Cultura) su: Chi sono gli Ebrei: identità storica e valori (Decalogo). Dall'antisemitismo alla Shoah.
Seguirà a fine mese una settimana di approfondimenti didattici, documentazione e visione di film significativi, intitolata: La forza civile della memoria: conoscere la Shoah per diventare testimoni della verità storica e della dignità umana di tutti.
Si concluderà con un momento di grande effetto simbolico Sabato 26 Gennaio (nella ricorrenza della liberazione di Auschwitz), quando al suono della campanella, alle ore 11,54 guidati dai Docenti, gli alunni saranno chiamati a meditare il brano di P. Levi "Se questo è un uomo" e discutere sulle "leggi razziali" antisemite, passando per i valori e le speranze della Costituzione Italiana (65o anniversario) e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, senza dimenticare nessun genocidio, per imparare ad affrontare criticamente e consapevolmente le difficili sfide attuali, del mondo e della Calabria.
L'inverno più instabile dell'ultimo decennio per Israele. Pioggia, temporali, continui disagi alla circolazione. Nelle ultime ore una lieta novità, attesa da giorni: l'arrivo della neve. In molte zone del paese il risveglio, questa mattina, è stato infatti allietato da una fitta coltre bianca. Le immagini più suggestive arrivano da Gerusalemme dove sono state numerose le manifestazioni di gioia collettiva. Un clima di festa che ha contagiato persino il Capo di Stato, Shimon Peres.
È la più intensa precipitazione verificatasi sulla Capitale dal 1992 (si parla di circa 10-15 centimetri di spessore a terra). Più forte persino di quella dello scorso anno, già immortalata da cartoline che hanno fatto il giro del mondo. Per precauzione le autorità municipali hanno previsto la chiusura di tutte le strutture scolastiche. Non accessibile, fino al primo pomeriggio, l'autostrada che collega la città a Tel Aviv. Elisha Peleg, tra i responsabili del dipartimento preposto alle emergenze atmosferiche, si è così rivolto agli abitanti di Gerusalemme: "Fate di questa giornata una giornata di festa per tutta la famiglia".
La neve ha rivestito Israele quasi interamente. Densissima è caduta in alta quota, in particolare in Galilea e nella zona montuosa del Golan. Ma non ha mancato di far sentire il suo morbido abbraccio in luoghi assolutamente inimmaginabili come Dimona, in pieno deserto del Negev.
(Notiziario Ucei, 10 gennaio 2013)
Un brivido è corso tra gli israeliani
Si parla di sette feriti. La notizia dell'autobomba ha fatto correre un brivido tra gli israeliani, ma sembra ormai definitivamente accertato che si sia trattato di un regolamento di conti nella criminalità organizzata molto presente a Tel Aviv.
Da domenica 13 gennaio visite narrate nella sinagoga di Pesaro
PESARO - Un luogo della città carico di storia e memoria si apre al pubblico attraverso racconti, letture sceniche, momenti di canto e danza della tradizione ebraica. Una proposta per tutti, grandi e bambini, da soli, in famiglia o con gli amici
Per chi non ha ancora avuto modo di entrare nella sinagoga e ammirarne la bellezza architettonica ma anche la suggestione dell'atmosfera, l'inizio del nuovo anno propone tre occasioni da non perdere. Parte, infatti, domenica 13 gennaio (ore 16.30) il primo di un ciclo di itinerari pomeridiani alla scoperta degli aspetti inediti e particolari di questo affascinante luogo del nostro centro storico.
Un gruppo di operatori specializzati - guide, attori e animatori - guiderà il pubblico con racconti e letture sceniche di leggende, documenti e aneddoti legati non solo alla sinagoga ma alla cultura ebraica più in generale. Le visite prevedono momenti di partecipazione attiva con il coinvolgimento in canti e danze della tradizione ebraica per restituire l'atmosfera sospesa di uno spazio capace di infondere passione per la bellezza e ricerca dell'armonia.
La visita dura 50 minuti circa ed è destinata a partecipanti singoli ma anche a famiglie con bambini a partire dai 5/6 anni; è previsto un biglietto di 3 euro a persona, si consiglia la prenotazione (0721 387541, pesaro@sistemamuseo.it).
L'iniziativa è promossa dall'assessorato alla Cultura del Comune di Pesaro e Sistema Museo in collaborazione con l'associazione culturale "Gli Elefanti Equilibristi".
Dopo domenica 13 gennaio, l'itinerario verrà riproposto domenica 3 febbraio e 3 marzo, sempre alle 16.30. info 0721 387541, www.pesarocultura.it
(Vivere Pesaro, 10 gennaio 2013)
Oggi aperti 51 seggi in Italia e nel mondo per le elezioni in Israele
ROMA, 10 gen. - Seggi aperti in Italia e in molti altri Paesi per i 4.260 israeliani in missione all'estero, chiamati a pronunciarsi in anticipo sulle elezioni politiche in programma il 22 gennaio nello Stato ebraico. I seggi sono stati allestiti in 95 ambasciate e consolati per la durata di 31 ore. Ultimo a chiudere quello di Los Angeles. In Italia sono 150 gli israeliani in missione, tra cui l'ambasciatore, Naor Gilon, che e' stato tra i primi a votare nel seggio della rappresentanza diplomatica, nel quartiere Parioli. Le elezioni devono rinnovare i 120 seggi del Parlamento, la Knesset, e vi concorrono 34 partiti. Favorito per la vittoria e' il premier uscente Benjamin Netanyahu, il cui blocco conservatore, il Likud, si e' alleato con la lista della destra nazionalista Israel Beitenu del ministro degli Esteri dimissionario Avigdor Lieberman.
(AGI, 10 gennaio 2013)
I segreti della difesa che ha protetto Tel Aviv
A poche settimane dalla fine della crisi tra Israele e la Striscia di Gaza su un punto sembrano tutti d'accordo: il vero eroe del conflitto si è rivelato il sistema israeliano antimissilistico Kipat Barzel, o Iron Dome in inglese (letteralmente "cupola di ferro", un nome che, come ha fatto notare l'editorialista del Forward Philologos, riecheggia il "Muro di ferro" a protezione del popolo ebraico in Israele di cui parlò Ze'ev Jabotinsky in un suo famoso scritto).
Durante l'operazione Pilastro di difesa Iron Dome ha intercettato l'86,3 per cento dei 421 razzi sparati contro aree popolate del territorio israeliano (il sistema è programmato per non intervenire nel caso di razzi verso zone disabitate). Il vicepresidente della società fornitrice Rafael, Oron Oriol, ha spiegato al quotidiano Times of Israel che il sistema non sarebbe mai stato pronto in tempo se non fosse stato per un modo di lavorare della compagnia alquanto A poche settimane dalla fine della crisi tra Israele e la Striscia di Gaza su un punto sembrano tutti d'accordo: il vero eroe del conflitto si è rivelato il sistema israeliano antimissilistico Kipat Barzel, o Iron Dome in inglese (letteralmente "cupola di ferro", un nome che, come ha fatto notare l'editorialista del Forward Philologos, riecheggia il "Muro di ferro" a protezione del popolo ebraico in Israele di cui parlò Ze'ev Jabotinsky in un suo famoso scritto).
Durante l'operazione Pilastro di difesa Iron Dome ha intercettato l'86,3 per cento dei 421 razzi sparati contro aree popolate del territorio israeliano (il sistema è programmato per non intervenire nel caso di razzi verso zone disabitate). Il vicepresidente della società fornitrice Rafael, Oron Oriol, ha spiegato al quotidiano Times of Israel che il sistema non sarebbe mai stato pronto in tempo se non fosse stato per un modo di lavorare della compagnia alquanto Iron Dome, che è stata ultimata e consegnata "concentrando in due giorni il lavoro di due mesi".
Ma per capire l'origine del sistema capace di limitare le vittime civili israeliane bisogna fare un passo indietro. Perché, come ricorda il magazine ebraico americano Tablet, l'uomo dietro Iron Dome, è un ex ministro della Difesa che tutti considerano il principale responsabile dei fallimenti che Israele incontrò con la guerra del Libano nel 2006: Amir Peretz.
Nel 2006 l'esercito israeliano stava tentando di sviluppare un sistema di armi difensive. Tuttavia, dati gli alti costi e le tante difficoltà, il progetto aveva ricevuto una priorità molto bassa. Fu Peretz a insistere perché le cose cambiassero.
Nato in Marocco 60 anni fa, Peretz è cresciuto in una famiglia di lavoratori a Sderot, la città del Negev divenuta simbolo della resistenza contro i razzi. Dopo aver diretto il potente sindacato israeliano, la Histadrut, dal 1999 si è dedicato alla politica. Per il suo legame diretto con la questione dei razzi, molti hanno tentato di sostenere che non considerava il tema con il giusto distacco. Oggi si prende la sua rivincita. "Come ministro della Difesa partecipavo a riunioni con gli ufficiali più alti in grado, eppure era una buona cosa che ci fossi io, un civile, a stimolare un modo diverso di pensare. La difesa è una strategia valida ed efficace.
(Pagine ebraiche, gennaio 2013)
Hamas - Fatah: incontro al Cairo con la mediazione di Mohammed Morsi
di Sarah F.
Il capo di Hamas, Khaled Mashaal, e il capo di Fatah, Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen), si incontreranno oggi al Cairo sotto la supervisione del Presidente egiziano, Mohammed Morsi, per discutere della riconciliazione tra i due gruppi arabi.
L'incontro, reso noto ieri da fonti ufficiali del Governo egiziano, è stato preceduto da una fitta serie di incontri tra i funzionari dei due gruppi arabi che controllano la Striscia di Gaza (Hamas) e la Cisgiordania (Fatah) e punta, oltre che alla riconciliazione, alla formazione di un Governo di Unità Nazionale.
Il colloquio a tre sarà poi seguito da incontri bilaterali tra Morsi e Abbas e tra Morsi e Mashaal. L'obbiettivo dichiarato dal Governo egiziano è indire delle elezioni presidenziali sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza.
Si discuterà anche del consolidamento del cessate il fuoco tra Israele e Hamas. A farlo saranno, sempre secondo fonti egiziane, alcuni elementi dei servizi segreti egiziani e i comandanti militari del gruppo terrorista che controlla la Striscia di Gaza. Su questo punto ci sono moltissime riserve da parte israeliana, sia per le recenti rivelazioni sul Presidente egiziano, Mohammed Morsi (di cui vi abbiamo parlato in questo articolo), che sulla effettiva volontà di Hamas di consolidare la tregua con una chiara rinuncia al riarmo.
L'Egitto, che sta aspettando un consistente pacchetto di aiuti americani e del Fondo Monetario Internazionale, sta cercando di proporsi come un mediatore moderato tra Israele e Hamas. Tuttavia i dubbi che lo stia facendo proprio per sbloccare gli aiuti internazionali per poi tornare dalla parte estremista sono molto forti, almeno tra chi ha un minimo di intelletto e non è marcatamente anti-israeliano. Tra di loro non c'è di sicuro la rappresentante europea della politica estera, Catherine Ashton, che invece plaude alla iniziativa egiziana e già parla di "possibilità storica".
(Rights Reporter, 9 gennaio 2013)
Israele costruirà un nuovo 'muro' al confine con la Siria
Israele costruirà un muro di separazione al confine con la Siria: lo ha annunciato il primo ministro Benjamin Netanyahu secondo cui l'intervento servirà a proteggere il paese da "incursioni e attacchi terroristici".
MISNA - Nel pieno della campagna elettorale per il voto previsto il prossimo 22 gennaio, Netanyahu è intervenuto al Consiglio dei ministri per esporre i dettagli del progetto: "Si tratta di un piano per far fronte al progressivo ripiegamento dell'esercito siriano, a cui si stanno sostituendo agenti del jihad mondiale" ha detto il capo del'esecutivo. La barriera dovrebbe essere identica a quella che le autorità di Tel Aviv hanno provveduto a far erigere lungo la frontiera con l'Egitto, con qualche modifica resa necessaria dalle differenti condizioni del terreno soprattutto lungo le alture del Golan.
Una decina di chilometri del nuovo muro, ha reso noto un comunicato della presidenza del Consiglio, sono già stati costruiti, mentre per ultimare il progetto ne mancano una sessantina. Le autorità prevedono di ultimare i lavori entro l'anno.
Secondo la stampa israeliana, fonti dell'intelligence hanno levato l'allarme su un possibile collasso del governo di Damasco e sui rischi di un massiccio afflusso di profughi di guerra alle fontiere israeliane. La costruzione della barriera, di ferro e filo spinato, servirebbe in realtà a dissuadere i civili siriani dal cercare riparo verso il Golan.
La creazione di una nuova muraglia, che si aggiunge a quelle della Cisgiordania e al confine con il Sinai è destinata a sollevare polemiche e aspre critiche: Israele ha occupato le alture del Golan nella guerra dei sei giorni del 1967 e le ha unilateralmente annesse nel 1981, una decisione mai riconosciuta dalla comunità internazionale.
(La Perfetta Letizia, 9 gennaio 2013)
Israele in ginocchio per il maltempo, ed è arrivata anche al neve: morti, danni e disagi.
I corpi di due giovani donne palestinesi sono stati trovati stamattina dopo che la loro autovettura e' stata trascinata via ieri dalla piena delle piogge a nord di Tulkarem nei Territori. Lo riporta il sito Ynet. Da giorni in Cisgiordania in Israele si e' abbattuta un'ondata di maltempo con piogge alluvionali, vento fortissimo e brusco calo delle temperature che hanno causato seri problemi. Il peggiore inverno - come e' stato definito dagli esperti - da dieci anni in qua. Ieri a Tel Aviv per nove ore e' stato chiuso un tratto urbano dell'autostrada Ayalon - che unisce il sud al nord - per l'ingrossamento dell'omonimo fiume con gravi ripercussioni al traffico. Solo in serata il tratto e' stato riaperto. Chiuse anche alcune stazioni ferroviarie della citta' minacciate dalle acque del fiume.
Forti disagi anche nel resto del paese dove al nord, sul Golan, le precipitazioni nevose hanno costretto alla chiusura delle strade. Il fiume Giordano e' vicino alla piena e il livello del Lago di Tiberiade si e' notevolmente innalzato. Il maltempo ha provocato anche l'interruzione dell'elettricta' in alcune zone. Oggi la neve e' attesa - secondo le previsioni - anche a Gerusalemme. Pessima anche la situazione dei Territori con alluvioni a Nablus, Ramallah e Tulkarem dove appunto si contano le due vittime. Si ignora per ora - dice Ynet - la sorte di una terza persona che era a bordo della stesso veicolo delle due giovani morte.
(MeteoWeb, 9 gennaio 2013)
I caccia-bombardieri israeliani testano lo scenario siriano
Secondo l'annuncio del secondo grande canale televisivo israeliano, in Israele si stanno svolgendo le esercitazioni delle Forze Aerei dei vari paesi. Vi partecipano circa 100 caccia-bombardieri.
I piloti e i loro velivoli sono arrivati in Israele qualche giorno fa. Loro studieranno tutti gli scenari possibili dello sviluppo della situazione siriana, l'utilizzo delle arme chimiche incluso.
Israele non informe sulla provenienza dei piloti. La settimana scorsa, la TV israeliana ha informato che dovrebbero essere esercitati le tecniche di bombardamento e di combattimento nell'aria.
(La Voce della Russia, 8 gennaio 2013)
"Il mondo non è minacciato dagli insediamenti israeliani, ma da Siria e Iran"
Le dichiarazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu all'inaugurazione dell'università di Ariel
Non sono gli insediamenti ebraici in Cisgiordania a minacciare il mondo, bensì il programma nucleare iraniano e le armi chimiche siriane: è quanto ha dichiarato il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, nel corso di una trasferta nell'insediamento ebraico di Ariel, in Cisgiordania, dove ha inaugurato una nuova università.
"Il pericolo per il mondo non proviene dalla creazione di una università ad Ariel o dalla costruzione di Israele di nuove unità abitative nella sua capitale Gerusalemme", ha affermato Netanyahu, secondo un comunicato ufficiale. "I pericoli per il mondo sono l'Iran con il suo programma nucleare e gli stock di armi chimiche della Siria", ha aggiunto.
"La Storia giudicherà severamente coloro che assimilano Israele, paese democratico che crea una università, ai regimi dittatoriali che massacrano i loro popoli e possiedono armi di distruzione di massa", ha proseguito Netanyahu.
(Today, 8 gennaio 2013)
La Francia conquista Israele a tavola: nei menù fois gras e anatra
Piatti made in France nel rispetto della religione ebraica
TEL AVIV - Terrine di foie gras, petto d'anatra brasata o zuppa di pesce. La Francia prova a colonizzare Israele, a tavola s'intende. I ristoranti ormai hanno nei menù piatti d'Oltralpe. Ma gli chef sono convinti che a chiedere questo cambiamento sono prima di tutto i clienti.
Yossi Bendayan è uno chef e insegnante di cucina: "Sono i clienti la vera sfida per gli chef e non il contrario. Lo chef introduce piatti nuovi, ma qui i clienti sono molto aperti, una cosa che non si vede in altri Paesi".
E chi dice alta cucina, dice anche servizio di gran lusso. Il gruppo francese Vatel, leader mondiale nell'insegnamento nel settore alberghiero e turistico, ha aperto ad ottobre la sua prima scuola a Tel Aviv. L'obiettivo è arrivare a 400 allievi entro il 2015 portando un "know-how" che finora qui non esisteva.
"C'è grande clientela internazionale, che viene dall'estero, dagli Stati Uniti o dal mondo francofono e che si aspetta di trovare gli stessi standard dell'Europa o negli Stati Uniti, ed oggi qui non ci siamo", dice Lionel Bobot, direttore della scuola Vatel in Israele.
Un servizio alla francese, al servizio di una gastronomia alla francese, ma sempre nel rispetto delle regole alimentari della religione ebraica. Cucinare i sapori made in France alla maniera kosher è la sfida che devono raccogliere sempre più spesso gli chef israeliani.
(TMNews, 8 gennaio 2013)
Striscia di Gaza: 1,8 milioni di abitanti alla fine del 2012
GAZA - Dati palestinesi aggiornati alla fine del 2012 rivelano che la popolazione della Striscia di Gaza ammonta ad un milione e 800 mila, con un tasso di crescita del tre per cento.
Osama al-Qasim, sottosegretario per la tecnologia informatica presso il ministero degli Interni di Gaza, ha affermato che "secondo i dati del registro civile del ministero degli Interni, la popolazione della Striscia di Gaza, con le sue cinque province, ha raggiunto un milione e 793 mila residenti, 50,7% maschi e 49,3% femmine".
Egli ha aggiunto che nel 2012, sono nati 56 mila bambini, 28.785 maschi e 27.355 femmine, il 51,4% e il 48,6 % rispettivamente, con un tasso di crescita pari al 3,2 per cento.
Al-Qasim ha spiegato che in base ai dati del registro civile, la popolazione della città di Gaza ammonta a 680 mila, tra cui 345 mila maschi e 334 mila femmine, mentre il numero degli abitanti della provincia di Khan Younis è di circa 348 mila, 176.000 maschi e 171.000 femmine. Nella provincia del Nord invece, il numero degli abitanti ammonta a 291 mila, 148 mila maschi e 143 mila femmine. Mentre il numero dei residenti nella provincia centrale ha superato i 251 mila, 126.000 maschi e 125.000 femmine. Sempre nel 2012, la popolazione della provincia di Rafah ha raggiunto i 223 mila, di cui 112 mila maschi e 111 mila femmine.
((InfoPal, 8 gennaio 2013)
Nella striscia di Gaza ci sono un milione e ottocentomila abitanti. E tra di loro neanche un ebreo! Non uno solo! Non è meraviglioso? penseranno di sicuro i fedelissimi devoti allislam. Questo è normale, coerente con lo spirito della loro religione. Ma i laici dellOccidente progressista, i difensori dei diritti civili universali degli uomini e dei cittadini, non hanno niente da dire? Sembra di no. Sembra invece che molti di loro siano turbati dallinsopportabile apartheid a cui sono costretti i poveri arabi in Israele. Cosa che a Gaza non si verifica assolutamente: gli ebrei lì non sono messi da parte, lì non ci sono proprio. Per evitare l'apartheid gli hamassiti di Gaza hanno trovato lunica, vera soluzione compatibile con la loro ideologia: la soluzione finale. E il mondo osserva, silenzioso e interessato. M.C.
Abu Mazen fa retromarcia: stop al simbolo "Stato di Palestina"
Di fronte alle proteste di Israele e alle pressioni degli Stati Uniti il presidente palestinese frena sulla diffusione di documenti con l'emblema "Stato di Palestina"
RAMALLAH, 8 gennaio 2013, - Con il riconoscimento delle Nazioni Unite in tasca il presidente palestinese Abu Mazen teneva particolarmente a far distribuire passaporti e altri documenti ufficiali con l'emblema dello Stato di Palestina. Almeno questo raccontano a Nena News fonti dell'Autorità Palestinese. Ma ora, aggiungono le stesse fonti, soggetto alle pressioni statunitensi e colpito dalle proteste e dalle ritorsioni (soprattutto finanziarie) di Israele, il presidente ha ingranato la retromarcia e ordinato di frenare sulla emissioni di documenti con il nuovo logo.
"Certo non vogliamo causare danni alla nostra popolazione", ha spiegato da parte sua Nour Odeh, un portavoce del presidente, riferendosi ai problemi che i civili palestinesi potrebbero incontrare esibendo i nuovi documenti ai posti di blocco delle forze di occupazione o negli uffici israeliani.
Un bel passo indietro dopo che Abu Mazen aveva ordinato alle rappresentanze diplomatiche palestinesi nel mondo e ai ministeri di usare il nuovo emblema "Stato di Palestina". Il presidente non molti giorni fa aveva convocato i giornalisti locali per esortarli a parlare non più di Autorità nazionale palestinese ma di "Stato di Palestina"
La retromarcia si aggiunge alla notizia diffusa nei giorni scorsi che, per apparente mancanza di fondi, lo Stato di Palestina non aderirà, per il momento, alle istituzioni giudiziarie internazionali,
(Fonte: Nena News, 8 gennaio 2013)
Preoccupazioni in Israele per la nomina di Chuck Hagel a capo del Pentagono
TEL AVIV, ISRAELE - Israele vede con preoccupazione la scelta di Chuck Hagel come nuovo Segretario alla Difesa degli Stati Uniti: lo ha affermato il presidente della Knesset (parlamento) Reuven Rivlin, un esponente del Likud. Ma la cooperazione strategica fra i due Paesi e' salda, ha precisato, e non potra' essere influenzata da un singolo dirigente.
Le preoccupazioni emergono però anche nei commenti dei giornali. Secondo il filo-governativo Israel ha-Yom la nomina di Hagel - che in passato ha sostenuto il dialogo con Iran e Hamas - "sarebbe adatta ad un mondo utopico": ma la realta' del Medio Oriente, rileva un analista, e' ben diversa.
Maariv suggerisce l'ipotesi che il presidente Barack Obama abbia scelto Hagel per affidargli l'incarico gravoso di ridurre il peso delle spese militari per Israele, e che le sue posizioni critiche verso Israele abbiano avuto semmai un peso marginale.
Yediot Ahronot ne conviene, ma prevede che comunque sono prevedibili ricadute negative per Israele. "Sara' l'incubo n. 1 per il governo israeliano di destra che, secondo i sondaggi, dovrebbe emergere dalle elezioni" del 22 gennaio, prevede un editorialista.
Hagel non dovrebbe ridurre l'entita' degli aiuti militari statunitensi ad Israele, concordano diversi analisti; ma con lui i margini di manovra dello Stato ebraico verso le infrastrutture nucleari dell'Iran rischiano di essere ulteriormente ridotti.
Hagel ha subito reagito affermando che "Non ci sono prove che io sia anti-israeliano, ne' di miei voti in Senato che avrebbero potuto essere visti come un torto a Israele". Ma Hagel è stato attaccato per posizioni anti-israeliane prese in passato anche durante un'intervista al quotidiano Nebraska Lincoln Journal Star.
Hagel sostiene nell'intervista che una valutazione accurata dei suoi trascorsi dimostrera' un "inequivocabile, totale appoggio a Israele" e il suo sostegno a piu' dure sanzioni economiche contro l'Iran. I critici hanno "completamente distorto" la realta', aggiunge Hagel, intravedendo nella nomina a capo del Pentagono la possibilita' di correggere gli errori che gli vengono addebitati. "Non c'e' alcuna prova che sia anti-israeliano o che abbia votato in Senato contro interessi israeliani", ribadisce.
Aggiunge: "Non ho firmato alcune risoluzioni e lettere perche' le ritenevo controproducenti e non in grado di risolvere il problema", spiegando di non aver appoggiato sanzioni unilaterali contro l'Iran perche' non avrebbero funzionato e avrebbero isolato gli Stati Uniti. "Le sanzioni delle Nazioni Unite stanno funzionando".
"Il segretario alla difesa ha la responsabilita' di dare al presidente i migliori consigli sulla sicurezza nazionale. Io lo faro', offriro' i piu' onesti consigli", afferma Hagel. La nomina del capo del Pentagono deve essere confermata dal Senato.
(Blitz quotidiano, 8 gennaio 2013)
Salvarono la famiglia di Tullio Levi. Israele li nomina Giusti tra le Nazioni
Il riconoscimento agli eredi della famiglia Antoniono di Torre Canavese. Domani la cerimonia al centro sociale della Comunità Ebraica
di Maria Teresa Martinengo
La famiglia di Marco Levi a Torre Canavese
È l'onorificenza più importante dello Stato di Israele, e certo tra le più importanti al mondo per chi crede sopra ogni altra cosa nei valori della fratellanza e della solidarietà, quella che domani Alberto Antoniono e la sorella Marina, di Torre Canavese, riceveranno nella sala del Centro sociale della Comunità Ebraica: lo Yad Vashem, l'Istituto che a Gerusalemme conserva la memoria dell'Olocausto e promuove l'educazione delle giovani generazioni, ha conferito il titolo di «Chasidei umot ha ' olam - Giusti tra le Nazioni» a Pietro e Maria, loro nonni, e a Carlo, loro padre, «per la continua assistenza da essi prestata, a rischio delle loro stesse vite, alla famiglia di Marco Levi durante le persecuzioni». Ad insignire i due fratelli «in memoria» dei loro cari nel corso di una solenne cerimonia sarà Sara Gilad, incaricata dell'Ambasciata d'Israele in Italia.
Domani, dunque, verrà sancita davanti al mondo - nei reciproci sentimenti lo è da sempre - l'amicizia tra due famiglie, quella di Tullio Levi, già presidente della Comunità Ebraica torinese, e quella degli Antoniono. Levi aveva pochi mesi quando nel 1940 il padre Marco - perso il lavoro a causa delle leggi razziali - decide di trasferire moglie, figli, genitori e suocera anziani a Torre Canavese e di tentare una «via contadina» per superare le difficoltà. «Fin dai primi tempi - ricorda Levi - stabilimmo un rapporto molto stretto con "Peru", contadino e muratore, Maria e i due figli, Carlo, di 14 anni, e Gina, di 12. I rapporti erano cordiali con tutti gli abitanti del paese, ma per vari motivi, non ultimo l'indole straordinariamente generosa ed affabile di Maria, quelli con la famiglia Antoniono si trasformarono presto in vera amicizia».
Fino al '43 la vita scorre in modo relativamente tranquillo, ma dall'8 settembre le cose cambiano: la delazione è un pericolo costante e per i Levi è un continuo nascondersi, separarsi, riunirsi, cambiare rifugio. Sempre aiutati da Pietro, Maria e Carlo che procurano luoghi sicuri, cibo, libri, dolci per i bambini. «Da parte della famiglia Antoniono fu un'opera di disinteressata assistenza - racconta Tullio Levi - che si protrasse ininterrottamente per tutti i quindici mesi di guerra e che ci permise di superare indenni le difficoltà che la nostra condizione di braccati comportava». Tantissimi e toccanti i ricordi.
«Senza alcuna esitazione - prosegue Levi - ed incuranti dei rischi cui andavano incontro, si offrirono di ospitare presso di loro la mia nonna e, affinché la separazione dalla sua famiglia non risultasse troppo traumatica, suggerirono che io, il nipote più piccolo, restassi con lei. E così fu. La famiglia Antoniono trovò un nascondiglio provvisorio per mio padre, mia madre e mio fratello, nella canonica dei "Tre Ciuchè", una chiesa isolata non lontana da Agliè. Nonostante l'encomiabile disponibilità del parroco, la loro permanenza fu breve in quanto vennero avvisati di una delazione e dovettero fuggire, trovando, ancora con l'aiuto della famiglia Antoniono, un'altra precaria sistemazione in un cascinale. La nostra permanenza presso gli Antoniono si protrasse fino agli inizi di gennaio del '44, quando mia nonna morì. Malgrado il calore che erano stati capaci di assicurarle, le era soprattutto pesato il non avere più notizie dei suoi sette figli e delle loro famiglie, sparpagliate per l'Italia e per la cui sorte era in viva apprensione. Sentendo prossima la fine, mia nonna aveva espresso il desiderio di riabbracciare la più grande delle figlie, sfollata a Lauriano Po. Carlo non ci pensò due volte e con un viaggio estremamente pericoloso ed avventuroso, sfuggendo ai numerosi posti di blocco, riuscì a raggiungere Lauriano Po, a rintracciare la zia ed a portarsela a Torre dove giunse poco prima che la nonna esalasse l'ultimo respiro».
«L'amicizia con la famiglia Levi - dice Alberto Antoniono - e il racconto dei momenti duri di quegli anni ha accompagnato la nostra vita. È una vicenda che è motivo di orgoglio per noi e per tutta la comunità di Torre. Nei prossimi mesi a Gerusalemme ci sarà la posa della lapide allo Yad Vashem e la piantumazione dell'albero prevista per ogni Giusto, ricordo eterno di una persona cara. Mio padre Carlo è mancato in giugno, mi pare ancora di sentirlo raccontare. Sono certo che domani sarà con noi».
(La Stampa, 08 gennaio 2013)
Una matematica israeliana risolve un problema rimasto aperto per 41 anni
Maria Chudnovsky, una matematica israeliana, nell'ambito del suo lavoro di tesi svolto presso l'Università di Princeton sotto la direzione di Neil Robertson, in collaborazione con Paul Seymour e Robin Thomas, ha dimostrato un problema di teoria dei grafi che era rimasto aperto per 41 anni.
Maria Chudnovsky, nata in Russia nel 1977, è emigrata in Israele con la sua famiglia all'età di 13 anni. Ha iniziato i suoi studi presso il Technion Israel Institute of Technology di Haifa, dove si è laureata in matematica con lode nel 1996 e il Master nel 1999. Poi è andata negli Stati Uniti, dove ha conseguito il dottorato presso la prestigiosa Università di Princeton. Ha ricoperto diversi incarichi negli Stati Uniti, in particolare a Princeton e al Clay Mathematics Institute. Attualmente è docente presso la Columbia University di New York.
Piogge torrenziali e venti a 120 km orari: almeno sei feriti
E' di almeno sei feriti il bilancio dei forti venti e delle piogge torrenziali che si sono abbattute su Israele e i Territori palestinesi. La polizia israeliana ha riferito che su Gerusalemme hanno soffiato venti fino a 120 chilometri orari che hanno sradicato diversi alberi sul Monte del Tempio o Spianata delle Moschee. Le strade della Citta' santa si sono riempite di rami troncati dal vento. In tutto Israele sono state segnalate interruzioni dell'elettricita', a causa della caduta di pali della luce. Il servizio meteorologico israeliano ha fatto sapere che questo sara' l'inverno piu' piovoso dell'ultimo decennio e nei prossimi giorni e' attesa anche la neve in gran parte del Paese. L'allerta maltempo e' arrivata proprio mentre i cristiani ortodossi della Terra Santa celebravano il loro Natale. Danni per il maltempo anche nella Striscia di Gaza dove il vento ha divelto le insegne di molti negozi e causato l'interruzione di strade per la caduta di alberi
(Meteo Web, 7 gennaio 2013)
"Figlio di Hamas", un libro-verità
di Alessandro Litta Modigliani
"Un libro più esplosivo di qualsiasi ordigno" dice la striscia di copertina. A me sembra, meno enfaticamente, che "Figlio di Hamas. Dall'Intifada ai servizi segreti israeliani" (Gremese, 270 pagine, 16 euro) sia un libro-verità, non perché le cose che vi si trovano scritte siano necessariamente tutte vere, ma perché contribuisce - narrando la vicenda politica e umana davvero eccezionale, unica, dell'autore - a fornire elementi di valutazione fondamentali per la conoscenza dello scontro mediorientale, in particolare sulla vita quotidiana in Cisgiordania, quella parte della Palestina abitata in larga maggioranza dalla popolazione araba e occupata da Israele dopo la guerra dei Sei Giorni nel 1967.
Protagonista di questa storia è Mosab Hassan Yousef, figlio dello sceicco Hassan Yousef una delle sette personalità che fondarono Hamas, nel 1986 a Hebron. Le prime 80 pagine sembrano scritte da un fazioso estremista palestinese, e in effetti lo sono. Vi si narra del fervore religioso che il padre infonde nel figlio; del carattere pio e mite del genitore e della rabbia nel vederlo maltrattato e arrestato arbitrariamente, senza alcuna accusa specifica; delle difficoltà di vivere per la famiglia rimasta senza sostentamento; delle tante umiliazioni e sofferenze patite. E poi ancora di morti sempre più frequenti, di funerali dei giovani "martiri", della voglia di ribellarsi e di lottare, anche di uccidere se necessario, fino al primo arresto dello stesso Mosab, caricato su una camionetta e picchiato brutalmente durante il tragitto alla prigione, a 19 anni nel 1996. In un centro speciale Mosab subisce violenze, angherie, torture e interrogatori estenuanti, ma non ha commesso reati gravi e non ha nulla da confessare. Gli viene offerto di collaborare allo Shin Bet (il servizio segreto interno israeliano) e lui - pieno d'odio - si finge disponibile, con il pensiero recondito di potersi armare e vendicare uccidendo molti nemici.
La vera metamorfosi di Mosab avviene per gradi, soprattutto dopo un secondo arresto e la detenzione in un campo di prigionia. Già fuori, aveva notato l'abbandono e la scarsa assistenza alla sua famiglia da parte di Hamas e degli altri gruppi palestinesi, assai più preoccupati di condurre una guerra senza prospettive e senza fine, che di alleviare le sofferenze della popolazione e dei parenti delle vittime. Dentro il carcere egli assiste sgomento all'operato spietato del "servizio d'ordine" di Hamas: rigido controllo poliziesco, pestaggi di chi devia anche solo un minimo dalle ferree regole imposte, torture tremende inflitte sulla base di semplici sospetti, confessioni astruse e abominevoli strappate infilando degli aghi sotto le unghie dei malcapitati, un oscurantismo bigotto che arriva a coprire il televisore se nei cartoni animati appare una "donna" disegnata a capo scoperto. Mosab è al sicuro solo perché il prestigio di suo padre lo mette al riparo da tutto. Però comincia a capire. Vede compagni di prigionia morire per le violenze subite, vede un uomo correre in preda al panico, arrampicarsi sulla recinzione di filo spinato e scavalcarla, lacerato e sanguinante. La guardia dalla torretta punta il mitra. "Non sparare! Non voglio scappare! Sto scappando da loro!" grida disperato, indicando gli inseguitori di Hamas ansimanti e rabbiosi che lo guardano dall'interno del campo.
"Hamas torturava la sua gente! Per quanto mi sforzassi, non potevo trovare una giustificazione a tale orrore. (...) Quello era Hamas? Quello era l'Islam?". Così Mosab comincia a collaborare con lo Shin Bet. Diventa una super-spia, nome in codice "Principe Verde". Aiuta Israele a smantellare la struttura terroristica, a catturare i ricercati, a sventare numerosi attentati (siamo alla seconda Intifada, quella dei kamikaze) a eliminare gli assassini più violenti ed efferati. La seconda parte del libro racconta una serie incredibile di episodi sempre più avventurosi, tutti realmente accaduti, accompagnati da tormenti interiori sul padre che ama, sulla religione islamica dalla quale poco alla volta si allontana, su una guerra assurda alimentata da un odio cieco. Storia e cronaca si intrecciano di continuo: suo padre viene nuovamente arrestato, ma stavolta dall'ANP; Yasser Arafat telefona nelle circostanze più drammatiche e si comporta nella maniera più ambigua; un lungo stillicidio di attentati ed eliminazioni, fino a che la sua coscienza (ora frequenta gruppi cristiani a Gerusalemme) non gli impone di smettere. Chiede e ottiene con una scusa la possibilità di emigrare negli Stati Uniti, dove - dopo alterne vicende - si sistema definitivamente, convertendosi al cristianesimo
Affermazione falsa. Mosab si è convertito a Cristo in Israele, e non negli Stati Uniti. Ved. articolo seguente
. Le ultime pagine sono dolenti, dedicate all'amato padre che lo ha ripudiato e ad altre considerazioni di carattere più religioso e personale. "La libertà, un irrefrenabile bisogno di libertà, questo è il vero sentimento alla base della mia storia".
Anche facendo la tara di alcune presumibili omissioni e forzature propagandistiche, "Figlio di Hamas" è un libro interessante e istruttivo. Non solo offre uno spaccato vivido e realistico della condizione dei palestinesi in Cisgiordania, ma soprattutto aiuta a capire le ragioni vere di una guerra infinita, tanto inutile quanto irriducibile.
(Notizie Radicali, 7 gennaio 2013)
Un libro-verità su cui si tacciono alcune verità
di Marcello Cicchese
Mosab con il padre e altri notabili di Hamas
La storia di Mosab Hassan Yousef, anche se raccontata e ripetuta in diverse sedi, non ha ottenuto quell'attenzione che per la sua eccezionalità avrebbe meritato. Forse la ragione si trova proprio in un elemento che l'autore del precedente articolo ha ostinatamente taciuto e presentato in maniera scorretta: la sua "conversione al cristianesimo", come dice l'autore, ma Mosab probabilmente direbbe la sua "conversione a Cristo". La differenza esiste, e non è piccola. Secondo il recensore del libro, Mosab dopo le sue incredibili peripezie si sarebbe stabilito negli Stati uniti "convertendosi al cristianesimo". Tutto abbastanza normale dunque: in America c'è il cristianesimo e Mosab si sarebbe adeguato ed inserito nella religione maggioritaria. Le cose non stanno così, e l'autore della recensione non può non essersene accorto. Ma non ne ha parlato. Perché?
Mosab è un arabo islamico che non si è "convertito al cristianesimo" nella cristiana America, ma si è "convertito a Cristo" nell'ebreo Israele, e proprio nel mezzo del suo tremendo tunnel di infiltrato, E proprio da questa sua conversione ha tratto sostegno e guida per le gravi e pericolose decisioni che via via ha dovuto prendere.
Ad un certo punto della sua vita ha cominciato a prendere atto di verità che prima non conosceva, e di menzogne che invece conosceva ma che fino a quel momento non aveva riconosciuto come tali. Ha capito che l'islam, in cui era cresciuto e in cui aveva creduto, è un'ideologia di menzogna e crudeltà; ha capito che gli israeliani, pur non essendo dei campioni di santità, non sono quei mostri che gli venivano dipinti, ha visto anzi che i mostri più orrendi si trovavano piuttosto tra le fila dei suoi correligionari; e infine ha trovato a Gerusalemme delle persone che gli hanno parlato di Gesù e gli hanno messo in mano un Nuovo Testamento. In un capitolo che ha come titolo "Sulla via di Damasco", e che quindi non poteva essere sfuggito al recensore, Mosab racconta come a Gerusalemme è venuto in contatto con cristiani, e come il cristianesimo che aveva visto in loro non era simile a quello che aveva visto a Ramallah: "Questi ci credono davvero", ha pensato. E' stato attratto dunque, ancora una volta, da un aspetto della verità. Si è deciso allora a leggere il libro che gli avevano messo tra le mani e ha trovato infine la verità definitiva: Colui che di Sé stesso ha detto: "Io sono la via, la verità, la vita".
Certo, si possono dare anche altre interpretazioni di quello che è accaduto a Mosab, ma tutte le cose che gli sono accadute e le parole con cui le ha raccontate sono fatti. Perché si tacciono? Si ha forse paura di confrontarsi con fatti che non rientrano dentro i collaudati schemi religiosi, politici, filosofici?
Il libro contiene una postfazione di cui il recensore non ha neppure avvertito la necessità di segnalare l'esistenza. Eppure è parte integrante del libro, perché presenta un tratto fondamentale della personalità del personaggio principale e la motivazione profonda per cui il libro è stato scritto.
Nelle prime pagine dell'edizione pubblicata si trovano i soliti, minacciosi avvertimenti a non riprodurre nessuna parte del libro senza il consenso dell'editore, perché, come si sa, nella nostra società fondata sul mercato i diritti legati ai soldi vanno molto prima del diritto a conoscere la verità e all'obbligo di diffonderla, ma nella candida fiducia che l'autorizzazione ci sarebbe stata comunque concessa ci permettiamo di riportare le prime righe della postfazione.
«La mia più grande speranza è che, raccontando la mia storia, io abbia potuto dimostrare al mio popolo, palestinesi seguaci dell'Islam, abituati da secoli a regimi corrotti, che solo la verità può renderli liberi.
Ho raccontato la mia storia anche per far sapere al popolo israeliano che c'è speranza. Se io, figlio di un' organizzazione terrorista votata alla distruzione di Israele, sono arrivato al punto di amare gli israeliani e di rischiare la mia vita per loro, significa che c'è un barlume di speranza.
La mia storia vuole essere, inoltre, un messaggio per i cristiani.
Dobbiamo imparare qualcosa dalle sofferenze del mio popolo, che sta portando sulle spalle un pesantissimo fardello nella speranza di ottenere il favore del suo Dio. Dobbiamo guardare oltre le nostre regole religiose e offrire il nostro amore a chiunque, in ogni angolo del mondo, incondizionatamente. Se vogliamo presentare Gesù al mondo, dobbiamo vivere secondo il suo messaggio d'amore. Se vogliamo seguire Gesù, dobbiamo anche aspettarci di essere perseguitati. Dovremmo essere felici di venire perseguitati per amor suo.
Mi rivolgo anche ai conoscitori del Medio Oriente, a coloro che reggono le sorti dei governi, ai ricercatori e ai responsabili delle agenzie di intelligence, nella speranza che unarsemplice storia possa contribuire a una migliore comprensione dei problemi e delle possibili soluzioni in una delle aree più tormentate del mondo.
Offro la mia storia consapevole del fatto che molte persone, compresi coloro che più amo al mondo, non capiranno le mie convinzioni e il mio modo di sentire.»
Il maltempo in Israele ha portato al completo blocco dei collegamenti ferroviari al centro del paese. Alcune stazioni sono rimaste allagate, nel porto di Haifa sono stati chiusi alcuni punti di attracco.
La situazione è difficile per tutti i tipi di trasporto. Migliaia di persone non possono giungere a destinazione e gli autobus sono sovraffollati.
Il maltempo dura da ormai due giorni e in alcune zone del paese il volume delle precipitazioni ammonta già a 90 mm. Le piogge aumenteranno a tarda sera e a Gerusalemme sono attese nevicate.
(La Voce della Russia, 7 gennaio 2013)
Presentato il progetto del Museo della Shoah
Per non dimenticare mai. Ecco perché verrà realizzato, nella Capitale, il Museo della Shoah in una zona adiacente a Villa Torlonia. Nel 2013 partiranno i lavori, su progetto degli architetti Luca Zevi e Giorgio Maria Tamburini, che dovrebbero durare due anni.
"Era un impegno che avevamo preso nei confronti dei sopravvissuti, un'importante nuova opera. Un impegno per sbloccare questi iter burocratici, il più grande, era dato dal Patto di Stabilità. Tre milioni arriveranno nel 2013, i restanti nel 2014. L' ultimo passaggio sarà in assemblea capitolina: confido che nella prima riunione di gennaio sarà votata all'unanimità l'approvazione definitiva del progetto senza ostruzionismo. Il bando di gara è pronto, sarà internazionale, per la durata di circa due mesi. Se l'approviamo entro gennaio, allora tra febbraio e marzo sarà aggiudicato il bando e avremo risolto sia l'aspetto burocratico che quello economico."
Queste le parole soddisfatte del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, durante la presentazione dell'avvio oramai imminente dei lavori. Assieme al sindaco erano presenti, tra gli altri, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma e Marcello Pezzetti, direttore scientifico del Museo della Shoah.
Ovviamente soddisfatto Pacifici, che ha ricordato come si tratterà di "un'occasione di crescita per sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni su quanto avvenuto nel passato".
In questo museo troveranno posto molte documentazioni curate dai maggiori storici contemporanei, che permetteranno ai visitatori di conoscere le dinamiche che hanno portato all'orrore della Shoah e ciò che è accaduto in quel drammatico periodo della storia.
(EZrome, 7 gennaio 2013)
Israele si sente accerchiato e alza un altro muro
Dopo quella con l'Egitto, una barriera per proteggersi dai siriani
di Rolla Scolari
Israele completerà tra pochi mesi la costruzione della barriera lungo il confine meridionale con l'Egitto e l'instabile Sinai, ma già nei prossimi giorni i costruttori che in questi ultimi anni hanno operato nel Sud si sposteranno a Nord.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha rivelato infatti ieri che sono già partiti i lavori per la costruzione di una seconda barriera, questa volta lungo il confine siriano, identica a quella nel Sud e con un identico obiettivo: impedire che l'instabilità della regione di frontiera possa sconfinare in Israele.
Nella riunione settimanale del suo gabinetto, Netanyahu, che affronta fra due settimane nuove elezioni, ha spiegato il suo progetto. Da mesi, Israele teme che la Guerra intestina siriana possa destabilizzare le alture del Golan, regione che controlla dal 1967, e il governo non nasconde la sua preoccupazione per le sorti dell'arsenale chimico del regime di Bashar El Assad. Teme che quelle armi possano finire nelle mani di gruppi estremisti. Per la prima volta, ieri Netanyahu ha rivelato che secondo fonti dell'intelligence israeliano l'esercito regolare siriano si sarebbe ritirato dalla regione frontaliera, ora occupata da gruppi legati al «jihad globale», ha spiegato ai ministri. Per questo, il suo governo avrebbe dato il via ai lavori per sostituire i reticolati che segnano una frontiera calma da decenni.
Negli ultimi mesi, il conflitto siriano ha sfiorato appena Israele. In diverse occasioni colpi di mortaio sono arrivati sul suo territorio, senza causare vittime o danni. Ora, Israele teme che la guerra siriana possa oltrepassare il confine, come a gennaio 2011 temeva che l'instabilità egiziana potesse contagiare il suo territorio. Mercoledì, il primo ministro è stato al Sud, per vedere di persona la barriera quasi completata. Il confine e lungo 240 chilometri e ormai mancano soltanto 12 chilometri di barriera vicino alla cittadina costiera di Eilat. La costruzione, che secondo i dati forniti al Giornale dal ministero della Difesa israeliano e costata 260 milioni di euro, e iniziata nel 2010 in realtà per impedire il flusso di immigrati in arrivo dall'Africa. Negli ultimi mesi però, i lavori sono andati avanti con maggiore intensità non a causa dell'immigrazione, ma del timore di attentati. In seguito alla caduta di Hosni Mubarak in Egitto e a causa dell'instabilità nel Paese arabo, la sicurezza in Sinai è deteriorata e da mesi Israele è preoccupato per l'attività di gruppi radicali che hanno portato a termine attacchi lungo la frontiera, il più violento ad agosto quando uomini armati hanno assalito un posto di polizia egiziano per poi attraversare il confine imbottiti di esplosivo.
Al Nord, il confine con la Siria è stato calmo per decenni. A differenza del Sud desertico, nella zona frontaliera con la Siria ci sono molti villaggi israeliani. Secondo i mass media locali, la costruzione della barriera - i primi dieci chilometri - e già cominciata nella zona del villaggio druso di Majdal Shams, dove vivono famiglie con legami e parentele dall'altra parte del confine. Durante l'estate, Dolan Abu Saleh, sindaco della cittadina, aveva già rivelato al Giornale i timori della popolazione, spaventata dalla possibilità che le violenze siriane possano attraversare il vicino confine.
(il Giornale, 7 gennaio 2013)
Salta il fronte anti-Likud
TEL AVIV, 7 gen - Si e' concluso senza alcun risultato operativo il vertice fra tre liste di centro-sinistra convocato la scorsa notte per formare un blocco anti-Likud a due settimane dalle elezioni politiche israeliane. La leader del partito laburista Shelly Yehimovic e gli esponenti centristi Tzipi Livni ('Tnua' ') e Yair Lapid ('Yesh Atid') hanno constatato di avere ancora approcci diversi di fronte alla prevedibile vittoria elettorale della lista di Likud-Beitenu di Netanyahu e Lieberman.
(ANSA, 7 gennaio 2013)
Israele - vivisezione - duro colpo per l'allevamento di scimmie Mazor Farm
Stop, tra due anni, al commercio - soddisfazione "parziale" degli animalisti.
In Israele non sarà più possibile importare scimmie per l'allevamento Mazor Farm. L'Ufficio legale del Governo ha infatti fornito il parere favorevole alla proposta caldeggiata dal Ministro delle Politiche Ambientali Gilad Erdan. Il politico israeliano, noto esponente del Likud, esulta ed in effetti a lui va dato il merito della decisione che ora sarebbe diventata esecutiva. Gli animalisti ringraziano ma sono "parzialmente" felici. In particolare "Let the Animals Live", che ha seguito passo passo l'intera vicenda, rileva come l'embargo entrerà in vigore tra due anni. Nel frattempo le scimmie potranno continuare, ad esempio, ad essere esportate verso paesi esteri.
Giova ricordare come il tutto sia nato dalla polemica relativa alle 90 scimmie individuate in fase di partenza verso gli Stati Uniti. Secondo il Ministro, che ha definito una "sfortuna" tale slittamento, la responsabilità sarebbe del Procuratore Generale che però avrebbe limitato le esportazioni ai soli viaggi per esperimenti "salva vita". In Israele, comunque, si potrà continuare a fornire di scimmie allevate i laboratori locali. Secondo Gilad Erdan, sarebbero però molto pochi.
"La nostra lotta continuerà - hanno riferito gli animalisti di Let the Animals LIve - finchè le scimmie non saranno completamente al sicuro".
Ad ogni modo è chiaro come il provvedimento rappresenti un duro colpo per l'industria dedita all'allevamento delle scimmie. Si trattava, infatti, di animali in buona parte importati dai paesi di origine. Giusto il commento del Ministro secondo il quale tale decisione è in linea con la politica di Israele. Proprio lo scorso primo gennaio, infatti, è entrato in vigore il bando israeliano sulla vendita di prodotti cosmetici testati sugli animali. Bando, però, che sarà veramente totale quando anche la UE provvederà al divieto (vedi articolo GeaPress).
Per la decisione che coinvolge l'allevamento Mazor Farm, bisognerà ora aspettare la pubblicazione del provvedimento da parte del Ministero della Salute. Per questo tipo di decisioni, infatti, non è necessario il passaggio dal Knesset, ovvero il Parlamento israeliano.
(GeaPress, 6 gennaio 2013)
Il gran rabbino di Francia ai cattolici: "Abbiamo perso la comprensione del senso morale"
di Adam Smulevich
Il Gran Rabbino di Francia
È uno dei rabbini più autorevoli e ascoltati nel dibattito internazionale sui temi religiosi tanto da guadagnarsi, nel discorso prenatalizio alla Curia romana di papa Benedetto XVI, la citazione entusiastica del suo scritto "Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione: ciò che si dimentica di dire" pubblicato a seguito della recente approvazione della legge per il matrimonio omosessuale varata dal governo Hollande. Rav Gilles Bernheim, gran rabbino di Francia, torna a far sentire la sua voce in un'intervista rilasciata al quotidiano cattolico francese La Croix oggi parzialmente ripresa dall'Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede. Al cuore del suo intervento un appello a tutti gli uomini di fede per costruire le basi di una società più solida nei suoi pilastri etici e religiosi. La riflessione si dipana a partire dal dibattito apertosi intorno ai labili confini tra rispetto della dignità umana, sempre doveroso, e legittimità della pratica del matrimonio omosessuale. Il problema è innanzitutto morale, denuncia il rabbino capo. "Abbiamo ampiamente perso la comprensione, insieme teorica e pratica, di quello che è il senso morale. Perché? Perché - afferma - l'effetto corrosivo del dominio del mercato non agisce solo sullo scenario sociale. Viene eroso anche il nostro vocabolario morale, che è indubbiamente la risorsa più importante di cui disponiamo per pensare il nostro futuro. Sempre più, in questa immensa società di mercato che è diventato il nostro pianeta, siamo giunti a pensare solo in termini di efficacia (come ottenere ciò che vogliamo?) e di terapia (come non sentirsi frustrati rispetto a ciò che vogliamo?). Efficacia e terapia, a volte addirittura infiltrate dentro le religioni monoteistiche, sono più imparentate con la mentalità del marketing, la stimolazione e l'appagamento del desiderio, che con la moralità, ossia con ciò che noi dovremmo desiderare". "Nell'ambito pubblico - prosegue il rav - i due termini che dominano il discorso contemporaneo sono l'autonomia e i diritti, che si conformano con lo spirito del mercato, privilegiando la scelta e scartando l'ipotesi secondo la quale esisterebbero dei fondamenti oggettivi che consentono di effettuare una scelta piuttosto che un'altra. E diventato così molto difficile riflettere collettivamente su quelli che dovrebbero essere i nostri orientamenti, peraltro i più decisivi che si siano mai presentati all'umanità, che riguardino sia l'ambiente, la politica, l'economia, sia l'idea stessa di famiglia o di matrimonio, la vita e la morte". La posta in gioco, nel caso specifico, non sé quindi l'omosessualità ma "il rischio irreversibile di una confusione delle genealogie" con la sostituzione della parentalità alla paternità e maternità e una confusione aggiuntiva dello status del bambino che passa da quello di soggetto a oggetto "al quale ognuno avrebbe diritto". Rav Bernheim cita il caso dei nuovi manuali scolastici che esortano il bambino non solo a rispettare gli omosessuali come persone ma anche a riconoscere la fondatezza del loro comportamento. L'esigenza di legittimazione, osserva, "sembra tradurre a maggior ragione una permessività generale, quindi la rimozione di qualsiasi giudizio".
"Da questo momento in poi - sottolinea - la presunta legittimazione non è più tale nel quadro dell'irrilevanza delle scelte. È piuttosto tutta l'antica legittimità del matrimonio, quale istituzione riconosciuta dalla società come buona per il suo equilibrio e la sua perennità, a venire cancellata". Oggi, la sua amara conclusione, "la società oscilla stranamente tra ciò che è violentemente escluso, come i riferimenti alla nozione di sforzo su se stessi, all'esistenza di gerarchie morali, alle tradizioni e alle convenienze, e una permissività molto forte che deriva dalla mancanza di coraggio, dall'incertezza o dall'indifferenza". Nel testo pubblicato su La Croix (che è un giornale cattolico ad altissima professionalità e il cui assetto proprietario non risponde direttamente alle gerarchie ecclesiastiche) anche un botta e risposta molto significativo sui rapporti tra ebraismo e cristianesimo che la redazione del quotidiano vaticano, sempre molto attenta ai dettagli, ha preferito sfumare forse per non turbare troppo gli animi di casa propria. Ribaltando la prospettiva della domanda di Martine De Sauto, autrice dell'intervista, rav Bernheim si sofferma sulla non accettazione della figura del Cristo nella religione ebraica. "L'antigiudaismo cristiano - sostiene il rav nell'auspicare un confronto franco e sincero - sarà superato soltanto quando tutti i cristiani saranno in grado di percepire in modo positivo il 'no' ebraico a Cristo".
Già Ernesto Galli Della Loggia, tra gli altri, in un editoriale apparso sul Corriere della sera il 30 dicembre, aveva elogiato la densità e l'autorevolezza del pensiero di rav Bernheim mettendo il punto sui profondi legami teologici e dottrinari tra ebraismo e cristianesimo e non mancando di rimarcare, con toni netti, l'assenza in Italia di una voce ebraica forte e presente su questi temi. "Quando da noi si parla di temi che in qualche modo coinvolgono la fede religiosa - scriveva Della Loggia - l'ebraismo tenda a non avervi e/o prendervi alcuna parte. E quindi a non essere mai menzionato. Basta porre mente a tutta la discussione sulla liceità dell'ingegneria genetica, dell'eutanasia o del matrimonio tra omosessuali. Dibattendosi di queste cose è come se l'ebraismo fosse disceso nelle catacombe tanto la sua voce è tenue o assente". Dal gran rabbino di Francia, secondo il noto giornalista e storico romano, anche un'altra lezione. "E cioè - proseguiva - quanto è importante che la discussione pubblica sia condotta con coraggio, sfidando il conformismo che spesso anima l'intellettualità convenzionale e il mondo dei media. Quanto è importante che personalità autorevoli non abbiano paura di far sentire la loro opinione anche quando questa non è conforme a quello che appare il mainstream delle idee dominanti. È una lezione particolarmente essenziale per l'Italia. Dove è sempre così raro ascoltare voci fuori dal coro e provenienti da bocche insospettate, dove è sempre così forte la tentazione di aver ragione appiccicando etichette a chi dissente invece di discuterne gli argomenti, dove sono sempre pronti a scattare spietatamente i riflessi condizionati delle appartenenze".
(Notiziario Ucei, 6 gennaio 2013)
L'Aeronautica Militare d'Israele aumenta l'ordine dei droni "Hermes 900"
L'Aeronautica Militare israeliana ha ordinato presso la società Elbit Systems un ulteriore lotto di droni "Hermes 900. Il costo dell'operazione è pari a 90 milioni di dollari. La quantità di droni ordinati non è stata resa nota. La fornitura dei velivoli avverrà nel corso dei prossimi tre anni. Il primo contratto per la fornitura degli "Hermes 900? alle forze aeree israeliane venne stipulato nel maggio del 2010. Il valore della commessa inizialmente ammontava a 50 milioni di dollari, ma in seguito il contratto era stato rivisto e l'ordine raggiunse i 200 milioni di dollari. L'ordine di consegna dei droni in base a questo contratto è stato evaso nel 2012.
(MondoRaro, 6 gennaio 2013)
Alberto Mura fra i Giusti di Gerusalemme
Per ricordare il suo impegno la comunità ebraica di Roma ha piantumato dieci alberi in Terra Santa
di Emanuele Fancellu
PORTO TORRES - «Pianterò nel deserto il cedro, l'acacia, il mirto e l'albero da olio», scrive nella Bibbia il Profeta Isaia nei versi 41.19. Una frase che ha trovato la sua applicazione pratica nel ricordo di Alberto Mura, cittadino illustre di Porto Torres, per la cui memoria sono stati piantati dieci alberi in Terra Santa su proposta della comunità ebraica di Roma. «Un giusto che ha dedicato la sua vita alla sicurezza dei suoi concittadini», la motivazione ufficiale.
Un privilegio, questo, riservato di solito a capi di stato - ebrei e cristiani, insieme, lo scorso ottobre hanno voluto piantare una foresta in memoria del cardinale Carlo Maria Martini -, alte personalità, uomini che hanno lasciato un segno tangibile nel loro passaggio sulla terra.
Un onore spettato anche ad Alberto Mura, comandante del distaccamento di polizia di frontiera di Porto Torres e organizzatore dei più grandi eventi sportivi che la città ricordi, fortemente voluto dalla comunità ebraica romana e realizzato attraverso il Keren Kayemeth LeIsrael, la più antica organizzazione ecologica del mondo - è infatti nata nel 1901 - che da allora ha piantato e curato oltre 240 milioni di alberi in Israele.
Alberto Mura, uomo dotato di straordinaria intelligenza e sensibilità, caratterizzate dalla genialità delle proprie idee, dalla lungimiranza, da uno sconfinato amore per Porto Torres, la sua famiglia e la boxe, e da una volontà fuori dal comune, lo scorso ottobre, a soli 54 anni, si è arreso ad una malattia incurabile, non senza avere strenuamente lottato in quello che, simbolicamente, è stato il suo ultimo e più difficile round.
L'idea di ricordarlo attraverso la piantumazione di dieci alberi nasce dal fatto che Renato, fratello maggiore di Alberto, contribuisce a curare la sicurezza della sinagoga di Roma, una delle più grandi d'Europa, all'interno della quale hanno avuto l'opportunità di apprezzare le doti umane di Alberto, riconosciuto come poliziotto che "stava a contatto con la gente".
«Ci hanno fatto una sorpresa, ci hanno regalato qualcosa che si riserva di solito a pochissime persone - commenta con gli occhi lucidi Renato Mura che prosegue-: la piantumazione è stata voluta dalla comunità ebraica di Roma che ha informato i referenti in Israele, i quali a Gerusalemme hanno piantato ben dieci alberi in ricordo di Alberto».
«Ogni volta Alberto ci sorprende, più si va avanti più si scopre la vastità delle relazioni, dei rapporti umani costruiti da mio fratello - afferma commosso ma con orgoglio l'ex sindaco Luciano Mura -. Ciò che ci ha sorpreso ed emozionato è che a proporre il riconoscimento sia stata la comunità ebraica, qualcosa che davvero non ci aspettavamo».
Il significato di questa piantumazione è altamente simbolico: attraverso gli alberi, infatti, Alberto continua a vivere. Gli alberi sono visibili in una apposita sezione del boschetto, a Gerusalemme, dove è apposta una dicitura che ricorda l'evento.
(La Nuova Sassari, 6 gennaio 2013)
Raduno chassidico in onore dei duecento anni dalla dipartita del fondatore della Chassidut
MILANO - Rabbini accanto a commercianti si sono ritrovati gli uni accanto agli altri seduti al Bet Hatalmud ad ascoltare storie, aneddoti e insegnamenti di rav Shneur Zalman di Liadi, che è mancato esattamente duecento anni fa di Motzaei Shabbat.
Rav Yosef Hadad, Rav Moshe Lazar, Rav Alfonso Arbib, Rav Sendi Wilshansky e Rav Tzemach Mizrachi si sono susseguiti nei loro interventi, per dare poi spazio anche al figlio di Rav Mizrachi che ha concluso un trattato di Talmud, e a Shmuel Loloi che ha descritto l'incredibile effetto che lo studio della Chassidut ha avuto su di lui grazie al Kolel di un'ora ogni sera di un'ora al Bet Hatalmud, e ha spinto altri ad aggregarsi e portare amici.
(Chabad.Italia, 6 gennaio 2013)
Netanyahu conferma la nuova barriera nel Golan
Gerusalemme si appresta a costruire ai margini delle alture del Golan una nuova barriera, identica a quella appena completata lungo il confine con l'Egitto. Lo ha annunciato oggi il premier israeliano, confermando anticipazioni comparse sulla stampa la settimana scorsa.
GERUSALEMME - Israele si appresta a costruire ai margini delle alture del Golan una nuova barriera, identica a quella appena completata lungo il confine con l'Egitto. Lo ha annunciato oggi il premier Benyamin Netanyahu, confermando anticipazioni comparse sulla stampa la settimana scorsa.
"Ci apprestiamo a costruire lungo le alture del Golan una barriera identica (a quella eretta nel Neghev, al confine con l'Egitto, ndr), con alcune modificazioni legate alla natura del terreno", ha detto Netanyahu.
"Noi sappiamo - ha proseguito - che dall'altra parte del confine con la Siria oggi l'esercito siriano si è allontanato, e al suo posto sono entrate forze della jihad mondiale".
"Pertanto - ha detto ai ministri, durante la seduta settimanale del governo - abbiamo l'obbligo di difendere questo confine sia da infiltrati sia da elementi terroristici, così come abbiamo fatto con successo sul confine con il Sinai".
(RaiGr, 6 gennaio 2013)
Santhià - Giornata della Memoria con Anne Frank e le donne della Shoah
VERCELLI - Il testimone della Shoah Thomas Gazit, vicepresidente dell'Associazione Italia-Israele di Vercelli, lavora da tanti anni perché l'immane tragedia rappresentata dall'Olocausto non venga dimenticata o mistificata.
La sua vita è un esempio di testimonianza ed educazione, che si rivolge soprattutto alle nuove generazioni. "Quando Thomas racconta gli episodi legati alla Shoah in Ungheria che fu costretto a vivere da ragazzo," dice il giovane fotografo Steed Gamero, autore di scatti memorabili che ritraggono sopravvissuti allo sterminio degli ebrei perpetrato dai nazisti, "sembra di tornare indietro nel tempo e assistere a scene che si legano al periodo più buio della storia umana. I suoi ricordi sono lucidi e particolareggiati e trasmettono a chi è giovane l'orrore di una persecuzione razziale disumana e la grande forza d'animo che ebbe il popolo ebraico durante quegli anni terribili". In occasione delle celebrazioni della Giornata della Memoria 2013 Thomas Gazit e l'Associazione Italia-Israele di Vercelli hanno organizzato alcuni eventi a Santhia (VC), città decorata al valor militare per la guerra di liberazione. Martedì 22 gennaio alle 21, presso la Biblioteca Civica, proiezione e presentazione del documentario sulle ultime settimane di vita di Anne Frank realizzato da Roberto Malini e Dario Picciau. Martedì 29 gennaio alle ore 21, sempre presso la Biblioteca Civica, "La Tregua", recita in un atto adattata dal celebre testo di Primo Levi, di Renzo Bellardone e Umberto Bolzon. Durante il mese di gennaio, nelle scuole di Santhià, sarà proiettato ancora il documentario "In viaggio con Anne Frank" ed eseguito lo spettacolo basato su "La Tregua" di Primo Levi. Dal 14 gennaio al 2 febbraio presso la Biblioteca Civica, due mostre fotografiche: "Capelli d'oro e di cenere - Donne nella Shoah" di Roberto Malini e Steed Gamero; "Gli occhi della persecuzione", immagini rare scattate dai militari tedeschi nei ghetti ebrei, tratte dalla collezione di Giulio Pansino Pastoretti. La Giornata della Memoria 2013 a Santhià è sotto il patrocinio del Comune di Santhià ed è stata realizzata dall'Associazione Italia-Israele di Vercelli in collaborazione con il Gruppo EveryOne.
(DazebaNews.it, 6 gennaio 2013)
La birra palestinese ora sbarca negli Usa
Si chiama Taybeh (Delizia) ed è l'unica prodotta nei Territori. Dopo Europa e Giappone, l'azienda fondata vent'anni fa dalla famiglia Khoury si prepara ad entrare anche sul mercato statunitense. E in Israele, intanto, non sfonda la Red Bull
di Francesco Mimmo
GERUSALEMME - C'è bionda, ambrata, scura. E quella analcolica per i musulmani. Si chiama Taybeh, è l'unica birra prodotta nei Territori, e sta diventando anche uno dei marchi più noti della Palestina. Perché in poco meno di vent'anni il piccolo birrificio nato nella comunità cristiana a 30 chilometri a Nordest da Gerusalemme, ha sfondato davvero: produce in Germania, esporta in Europa e in Giappone e ora ha messo nel mirino gli Stati Uniti.
Taybeh in arabo vuol dire delizia. È il nome del paese della Cisgiordania abitato quasi interamente da cristiani (due comunità, una cattolica e una ortodossa). Qui la famiglia Khoury, a metà degli anni novanta ha fondato la sua impresa, nel clima di fiducia e ottimismo che gli accordi di Oslo avevano infuso in tutta la regione. La pace non ha retto, ma l'impresa dei Khoury si. Anzi, è cresciuta fino a sfondare i confini del Medio Oriente. La Taybeh Brewing Company produce quattromila bottiglie all'ora, giocando un ruolo importante nell'economia locale e regalando anche un po' di celebrità alla località da cui ha preso il nome.
Il birrificio organizza anche una "Octoberfest", molto seguita dagli appassionati della bionda di Palestina. Le bottiglie sono "firmate" da Nadim Khoury, uno dei fondatori, ma soprattutto mastro birraio. È ingegnere, i macchinari per produrre li deve importare ma per la sua birra seleziona ingredienti locali e il gusto particolare lo rivela.
Negli anni, però, la Taybeh ha imparato a guardare lontano. In Germania, dove il marchio piace, produce sotto licenza. Più facile da lì raggiungere i consumatori europei e aggirare le restrizioni commerciali dei Territori. E ora ha messo gli occhi sul mercato americano dove sta cercando un distributore. "Voglio fare qualcosa per il mio Paese - ha spiegato Nadim Khoury al giornale israeliano Yedioth Ahronoth - per la Palestina. Sono un imprenditore e mi prendo i miei rischi. La gente nel mondo non sapeva che anche noi palestinesi non solo beviamo birra ma la produciamo anche, e di alta qualità. Ora la nostra birra è conosciuta e venduta nel mondo. E se conosci la birra conosci anche la città".
Una storia di successo di un'impresa locale a cui fa eco, invece, il fallimento di una multinazionale: la Red Bull. La società austriaca che produce il celebre energy drink ha azzerato la sua filiale israeliana. Lascerà solo un presidio accettando commesse solo per chi ordina almeno un container di lattine. Impressionano i numeri: fino all'anno scorso la Red Bull aveva oltre l'80% del mercato locale del settore. Poi sono arrivati due marchi locali a prezzi più bassi e con un gusto che ha incontrato meglio quello dei consumatori locali e in pochi mesi è scesa al 6%. Tanto da rendere improduttivi gli investimenti in marketing e distribuzione.
(la Repubblica, 5 gennaio 2013)
Il nome della Palestina
Ieri il presidente Mahmoud Abbas ha cambiato il nome ufficiale dell'Autorità Nazionale Palestinese in "Stato della Palestina", mentre ci sono segnali di riavvicinamento con Hamas.
Ieri il presidente Mahmoud Abbas ha firmato un decreto che ha cambiato il nome ufficiale dell'Autorità Nazionale Palestinese in "Stato della Palestina". Da questo momento i documenti ufficiali, le intestazioni e i francobolli della Cisgiordania riporteranno il nuovo nome: la Cisgiordania è solo parte dei territori palestinesi, ma la Striscia di Gaza è di fatto autogovernata. L'atto di Abbas è stata la prima conseguenza concreta dopo il voto alle Nazioni Unite che ha resto la Palestina uno stato osservatore non membro dell'ONU.
Ieri, migliaia di seguaci di Fatah, il movimento di Abbas al potere in Cisgiordania, hanno festeggiato l'anniversario della fondazione del partito per le strade di Gaza. La Striscia di Gaza è controllata da Hamas, il gruppo rivale di Fatah nella leadership della Palestina. È la prima volta dal 2007, quando i due gruppi si scontrarono e Fatah venne espulsa dalla Striscia, che viene concesso il permesso per condurre una simile manifestazione.
Alla manifestazione hanno partecipato molti leader di Fatah. Abbas, rimasto in Cisgiordania, ha parlato alla folla da un megaschermo, dicendo tra l'altro che per i palestinesi «non c'è un sostituto all'unità nazionale». A dicembre scorso Fatah aveva concesso ad Hamas la possibilità di organizzare alcuni comizi in Cisgiordania, dopo la conclusione degli scontri con Israele di novembre. Ieri Hamas ha restituito il favore. Questo scambio dimostra l'intenzione dei leader palestinesi di mostrare un fronte unito.
Finora i tentativi di riconciliazione tra i due movimenti erano falliti, principalmente a causa della diversità di vedute che i due movimenti hanno in particolare nel trattare con Israele. Hamas è tendenzialmente meno incline alla trattativa, mentre Fatah ha praticamente rinunciato al confronto armato.
Le posizioni dei due movimenti si sono avvicinate negli ultimi tempi. La vittoria all'ONU di Fatah, che è riuscita a far riconoscere lo status di osservatore non membro alla Palestina, ha seguito di pochi giorni la conclusione dello scontro tra Israele e Hamas: una vittoria politica per Hamas, secondo molti commentatori.
.
(Fonte: il Post, 5 gennaio 2013)
Venezia - Studente americano ebreo picchiato in strada la notte di Capodanno
"Era un gruppo di quindici arabi". Indaga la Digos
di Marco Pasqua
C'è uno spettro che aleggia, da alcuni giorni, sulla piccola comunità ebraica veneziana. Uno spettro dai contorni ancora poco definiti, ma al quale in molti hanno già dato un nome: antisemitismo. E' dalla notte di Capodanno, che nei negozi, per le vie del Ghetto, nel sestiere di Cannaregio, non si parla d'altro. Voci alimentate comprensibilmente dalla paura.
Un ragazzo ebreo, poco meno di 20 anni, americano, David (il nome è di fantasia, ma chi scrive è a conoscenza delle sue generalità) ha denunciato di essere stato brutalmente picchiato, mentre rientrava dai festeggiamenti di piazza San Marco. "Sono stati almeno dieci, forse quindici ragazzi, tutti arabi", ha detto alla Digos, che si occupa di seguire le indagini.
Indagini particolarmente complesse, anche perché il ragazzo, che studia in Italia, fa parte del movimento Chabad-Lubavitch, uno dei più grandi del giudaismo chassidico. Ebrei ortodossi, sotto molti punti di vista anche chiusi rispetto a chi non è parte del loro gruppo, con un loro rabbino e con dei rapporti con la comunità ebraica che, alcune volte, sono stati conflittuali. Anche se sempre basati sul reciproco rispetto. Le loro bocche sono cucite, il rabbino accetta di parlare con l'Huffington Post, ma la sua prima preoccupazione è la tutela del "suo" ragazzo, soprattutto da eventuali future ritorsioni. I Lubavitch sono al massimo una cinquantina, e si riconoscono più facilmente perché indossano sempre la kippah anche quando escono dal ghetto, e gli tzitzit, le frange che si vedono agli angoli degli indumenti e che ricordano i comandamenti. Proprio quelle che aveva David, la notte dell'aggressione. Da qui una certezza, almeno tra tutti i Lubavitch: "Lo hanno picchiato perché ebreo".
Il primo a dare la notizia dell'aggressione, nei giorni scorsi, è un sito israeliano, che viene ripreso dal Gazzettino e da Venezia Today . Ma i fatti riportati sono ancora molto confusi, anche perché David non avrebbe sporto immediatamente denuncia. In verità, dicono i suoi amici del Ghetto, avrebbe voluto farlo, in ospedale, ma gli sarebbe stato suggerito di rivolgersi ad un commissariato. Fatto sta che dopo la pubblicazione della notizia viene convocato dalla Digos della città lagunare, che raccoglie a verbale la sua testimonianza. A tratti confusa.
La notte di Capodanno, ha raccontato, stava tornando dalla grande festa di piazza San Marco. In Strada Nuova, non distante dal Ghetto, viene affrontato da un gruppo di arabi. Riferisce di scambiare alcune parole con loro. "Ma è vago sull'argomento del confronto verbale", fanno sapere gli investigatori. In pochi attimi, la discussione degenera e David viene buttato in un punto buio di una calle e picchiato. Alla scena assistono alcuni testimoni, uno dei quali è stato già sentito dalla polizia. Il ragazzo va in ospedale - intorno alle 4 di mattina - dove viene medicato: la prognosi, per lui, è di 7 giorni per una ferita lacero contusa. Elemento questo che corrobora il racconto del pestaggio.
Fin qui i dati raccolti dalla polizia. Poi ci sono i racconti delle persone che fanno parte della comunità di David e che, in queste ore, hanno potuto parlargli. "Lo hanno picchiato perché era ebreo - spiega un commerciante, da due anni nel Ghetto - Indossava la kippah e anche gli tzitzit. Insomma, era facilmente riconoscibile. Ora è a casa, ha delle ferite sulla testa e sul mento". "Venezia è una città accogliente, e questo caso ci ha scossi tutti, proprio perché cose di questo tipo non capitano", dice una donna che lavora per la comunità. "Quegli arabi, di cui ovviamente ha riconosciuto la lingua, non erano di Venezia, erano qui per il Capodanno - dice un altro negoziante - David ha cercato di ignorarli, come si fa sempre quando qualcuno, per strada, inizia a puntare il dito verso di noi. Ma loro avevano anche bevuto".
Anche il rabbino, Ramy Banin, che da oltre 20 anni vive a Venezia (dove ha fondato una scuola rabbinica e dove gestisce un ristorante), è scosso da un fatto che ha colpito la sua comunità al cuore. Eppure non vuole soffermarsi a parlare di quello che definisce "il buio", soprattutto per proteggere David. "Siamo venuti qui per fare del bene - dice, parlando prima dell'inizio dello Shabbat - Vogliamo essere portatori di buone azioni. L'ebraismo vuole aiutare le persone". E quando ci si scontra con gli episodi di violenza, come quello avvenuto la notte di Capodanno? "Si deve superare la cattiveria, e continuare a insegnare il bene. Noi vogliamo accendere luci e non occuparci del buio".
Di questo buio, adesso, si devono occupare gli agenti della Digos veneziana, che hanno già ascoltato il rabbino Banin. Nei prossimi giorni saranno acquisite le registrazioni delle telecamere di sorveglianza, nella zona, che potrebbero aver ripreso la fase dell'aggressione. Molti aspetti sono ancora da chiarire, e la parziale reticenza di David non li aiuta nel fare luce sul pestaggio di cui è stato vittima, e di cui porta visibili i segni sulla testa.
L'antisemitismo nel 2012. Gli ultimi dati disponibili, relativamente agli episodi di antisemitismo, sono stati resi noti, lo scorso mese, da Stefano Gatti, ricercatore dell'Osservatorio sul pregiudizio antiebraico del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, considerato uno dei massimi esperti italiani in materia di antisemitismo: "Finora i casi da noi osservati quest'anno sono una settantina, in gran parte graffiti o attacchi via web: vale a dire, oltre il 40% in più rispetto allo scorso anno". Un'impennata particolarmente preoccupante in "una realtà come quella italiana - ha spiegato Gatti - dove essenzialmente non esiste un antisemitismo violento, bensì ideologico". Questi dati mostrano che "la situazione sta cambiando, si sta evolvendo in maniera negativa".
(L'Huffington Post, 5 gennaio 2013)
La Biblioteca di Gerusalemme acquista antichi testi ebraici trovati in grotte dellAfghanistan
Studiosi emozionati, uno dei testi attribuito a un rabbino babilonese
GERUSALEMME, 4 gen - Mille anni dopo essere stati vergati da eruditi ebrei stabilitisi per ragioni commerciali in una zona remota ai bordi della storica Via della Seta, alcuni testi ebraici - in parte di carattere privato, in parte di tono religioso - sono stati presentati ieri alla stampa da emozionati responsabili della Biblioteca nazionale di Gerusalemme. Appena possibile, hanno anticipato, saranno fotografati con tecniche avanzate e mostrati al pubblico sul web.
Un velo di mistero e' ancora mantenuto sulle esatte circostanze che hanno consentito all'Istituto israeliano di venire in possesso di documenti rinvenuti alcuni anni fa in grotte dell'Afghanistan nord-orientale, in un'area dove e' forte la presenza dei Talebani. A quanto e' dato sapere, si tratta di una regione dal clima particolarmente secco: una circostanza che ha favorito la conservazione dei testi che erano stati scritti su fogli di carta, possibilmente di origine cinese.
La stampa accredita una versione secondo cui sarebbero state alcune volpi ad aprire un varco nell'anfratto dove da secoli si trovavano centinaia di documenti ebraici, che sono presto passati nelle mani di commercianti specializzati. La Biblioteca nazionale di Israele ne ha acquistati per ora 29, ed e' in trattative per altre acquisizioni.
Un esperto dell'Istituto, il professor Haggai Ben Shammai, ha precisato che parte dei documenti sono scritti in 'arabo ebraico' (parole arabe riportate con lettere ebraiche) e in 'persiano ebraico' (parole farsi in caratteri ebraici). Altri ancora sono scritti in una forma insolita di ebraico che all'epoca era in uso a Baghdad, per poi scomparire. ''Se si trattasse di un falso - ha aggiunto - allora il falsario dovrebbe essere un erudito geniale''. Dai testi si comprende che gli autori provenivano da comunita' disparate fra cui Aleppo (Siria) ed Egitto. Diversi documenti sono datati, secondo il calendario islamico: il piu' antico risale al febbraio 1005.
Gli studiosi che si sono cimentati con la decifrazione sono venuti cosi' per la prima volta a contatto diretto con una comunita' ebraica di cui ignoravano totalmente la esistenza e che evidentemente si esprimeva in arabo e in farsi: fra i fogli e' comunque spuntata anche una grammatica ebraica. Lo scritto piu' importante e' attribuito al rabbino di origine egiziana Saadia Gaon, passato alla storia per aver tradotto in arabo i principali testi ebraici e per aver diretto una importante scuola rabbinica di Babilonia, quella di Sura.
(ANSAmed, 5 gennaio 2013)
In Italia dopo quattro anni, con Israele dentro
Lettera a Beppe Severgnini
Caro Beppe, dopo 4 anni e mezzo passati all'estero, lo scorso giugno torno finalmente a casa. La trepidazione è tanta, e anche la contentezza. Potrò finalmente rivedere la mia famiglia e addentare una pizza vera: con vera passata di pomodoro e vera mozzarella, di quelle che filano! Potrò riassaporare la vista della mia città natale ogni giorno, con le Alpi che la circondano e potrò rivedere vecchi amici prendendomi tutto il tempo che desidero. Potrò parlare di nuovo la mia lingua e, andando al supermercato o in tram o al ristorante, potrò capire cosa si dicono le persone accanto a me che sensazione strana!! Mi sembra di essere persino inopportuna ad avere riacquistato questa capacità. Insomma, sono tornata a "casa"! Ed ecco che le vie tanto sognate della mia città e la vista delle Alpi non mi rincuorano come avrei sperato. Eppure quando ero là, mi mancavano, le immaginavo. Invece mi tornano prepotenti alla mente le immagini della città vecchia, con le sue mura e le colline con dietro il deserto. E poi gli amici - ehi sono tornata - ma il cellulare suona poco. Li vedo e non li riconosco, hanno nuove vite, nuovi compagni, nuovi lavori, di cui non so niente. E sembra che io, per quattro anni, abbia vissuto su un altro pianeta. Mi sento una reduce di un'esperienza bellissima e fortissima. Lasciare l'Italia, la mia famiglia, i miei amici è stato difficile. E Israele non è certo un paese facile da vivere. La cultura, la religione, l'alfabeto, la lingua, tutto è così diverso da ciò che avevo lasciato. I primi mesi chiamavo in lacrime la mia amica perché non ce la facevo, ma poi, poco alla volta, è avvenuto il miracolo. Israele ora fa parte di me, le colline verdi della Galilea, la cupola dorata della Città Vecchia, le acque azzurre del Mar Morto che come un miraggio emergono dal fondo del deserto della Giudea sono parti integranti della mia anima, così come i volti di tutte le persone provenienti da diverse parti del mondo che ho avuto il piacere di incontrare. Non ho più una casa, ora ne ho due!
Barbara Costa
(Corriere della Sera, 5 gennaio 2013)
IL 54% degli israeliani favorevole alla creazione di uno stato palestinese
Il 54% degli israeliani e' favorevole alla creazione di uno stato palestinese. E' quanto emerge da un sondaggio del quotidiano Israel Hayom. Il 38% degli interpellati si e' detto contrario e il resto non ha voluto rispondere. Prevale, comunque il pessimismo, sulle possibilita' di un accordo di pace con l'Anp: il 54% esclude che ci si possa arrivare e il 55% non considera il presidente Abu Mazen 'un partner per la pace'. Il 43,5% e' favorevole a un congelamento delle costruzioni negli insediamenti ebraici, con un 43,4% che e' invece contrario. Tre partiti di estrema destra israeliani, tra cui due che potrebbero entrare a far parte del prossimo governo che uscira' dalle elezioni del 22 gennaio, hanno ipotizzato un'annessione totale o parziale della Cisgiordania .
(la Repubblica, 4 gennaio 2013)
Calcio - L'israeliano Gershon vicino al Celtic
Il Celtic, futuro avversario della Juventus in Champions League, stra discutendo l'ingaggio di Rami Gershon. Il difensore israeliano attualmente è tesserato con lo Standard Liegi in Belgio, ma, dopo aver perso spazio tra i titolari a causa di un infortunio, nell'ultima stagione è stato mandato in prestito al Kortrijk.
L'agente del calciatore ha affermato: "Quando una squadra come il Celtic chiede di te, tu devi prendere il primo aereo e andare a Glasgow". L'arrivo di Gershon potrebbe tornare utile per coprire il posto lasciato vacante in difesa da Efe Ambrose, impegnato in Coppa d'Africa con la Nigeria.
(MondoPallone, 4 gennaio 2013)
Emanuel Sheffer 1924-2012
di Adam Smulevich
Emanuel Sheffer
"Il genio della sua generazione". Le parole con cui Haaretz ha salutato Emanuel Sheffer, 88 anni, scomparso nelle ultime ore del 2012, testimoniano l'immenso debito di gratitudine di Israele verso uno dei suoi 'padri' sportivi. Il vecchio leone delle battaglie calcistiche ruggenti, l'unico in grado di traghettare la compagine nazionale verso la coppa più ambita. Messico 1970, il mondiale di Italia-Germania 4 a 3 e del volo irrispettoso della legge di gravità di Pelè nella finalissima, ma anche il mondiale del controverso caso Carosio - il telecronista della Rai rispedito in patria a seguito del polverone apertosi con l'imputazione di alcune offese razziste che avrebbe rivolto, ma c'è chi sostiene l'infondatezza della questione, al guardalinee etiope. Sheffer sedeva in panchina quel giorno. La partita incriminata era Italia-Israele, ultimo match del girone eliminatorio dopo gli impegni che avevano visto protagonisti gli Azzurri contro Svezia e Uruguay.
In quella circostanza gli uomini allenati da Sheffer furono in grado di bloccare sullo zero a zero i futuri vicecampioni, secondi solo allo strapotere dell'orchestra carioca. Quelle ore di celebrità hanno più volte fatto capolino sui media israeliani. Sono stati in molti, tra gli artefici dell'impresa e anche tra coloro che - sempre guidati da Sheffer - raggiunsero i quarti di finale del Torneo Olimpico del 1968, a voler omaggiare il loro antico maestro. "Il più grande allenatore di Israele, la sua influenza sul gioco e lo sviluppo del calcio nel nostro paese è stata decisiva", ha affermato il presidente della Federcalcio Avi Luzon.
La biografia di Sheffer, prima della ribalta, racconta di una passione e di una tenacia fuori dal comune. Polacco d'origine, sopravvissuto alla Shoah, aveva iniziato con pochi spiccioli in tasca. Il suo primo lavoro, una volta fatta l'aliyah, era stato quello di 'maschera' al cinema. L'ingresso nel mondo del calcio risale a metà degli anni Cinquanta. Prima come allenatore di club - Hapoel Haifa e Hapoel Kfar Saba - quindi come coach della squadra giovanile con i colori della Stella di Davide. Nel 1968 la chiamata in nazionale maggiore, che guiderà in due differenti periodi: dal 1968 al 1970 e nel biennio 1978-1979. Lavoro, lavoro, lavoro - il suo motto. Lo ha ricordato, tra le lacrime, Itzhak Shum, ex calciatore e già allenatore di Beitar Gerusalemme, Hapoel Tel Aviv e Maccabi Haifa. "Sheffer - ha affermato - è stato un autentico innovatore e un mostro di professionalità. Tre sessioni di allenamento al giorno, un carico notevole che molti giocatori moderni non sarebbero in grado di sopportare. Ci mancherà moltissimo".
(Notiziario Ucei, 4 gennaio 2013)
Hamas potrebbe prendere il controllo dei territori palestinesi
È la preoccupazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu espressa durante un incontro con gli ambasciatori del paese. Più di una volta in precedenza si era dichiatato pronto ad iniziare con i palestinesi trattative di pace, anche in materia di occupazione dei territori.
Allo stesso tempo Netanyahu insiste sul fatto che qualsiasi accordo debba contenere il riconoscimento di Israele come terra del popolo ebraico e anche dichiarare l'assoluta risoluzione del conflitto.
(La Voce della Russia, 4 gennaio 2013)
Riccardo Di Segni Incontra gli studenti italiani della Yeshivat haKotel
Incontro speciale a Gerusalemme con il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, che si è lungamente intrattenuto con gli studenti italiani, a larga maggioranza romani, che studiano alla Yeshivat haKotel. Il rav ha tenuto una lezione di halakhah e medicina.
(Notiziario Ucei, 4 gennaio 2013)
Da Israele la prima legge al mondo contro l'anoressia nella moda
Modelle troppo magre non potranno più sfilare nel Paese. La norma è in vigore dal primo gennaio
di Barbara Massaro
E' strano pensare che una simile legge arrivi da un Paese che non è certo all'avanguardia per quanto riguarda i diritti delle donne, ma quella che giunge da Israele è una buona notizia e in quanto tale va data.
Il Paese è il primo al mondo ad avere in vigore una legge che vieta l'utlizzo di modelle anoressiche per sfilate e campagne pubblicitarie. La norma, attiva dal primo gennaio di quest'anno, indica come limite di magrezza un indice di massa corporea (rapporto tra peso e altezza) di 18,5 che è quello indicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come livello sotto al quale si può parlare di malnutrizione.
Da oggi in poi qualunque editore, stilista o agente utilizzi ragazze troppo magre è passibile di denuncia e le famiglie possono trascinare in tribunale chiunque possa essere ritenuto responsabile di diffondere immagini che istighino all'eccessiva magrezza.
Del resto tra le regole di una perfetta anoressica c'è anche quella di appendersi in camera foto di modelle magrissime come incentivo e fonte di ispirazione al dimagrimento. In Israele il 2% delle ragazze tra i 14 e 18 anni soffre di gravi patologie alimentari e la legge, fortemente voluta da Adi Barkan, agente di top model israeliano, è un grande successo sul fronte della battaglia contro il cattivo rapporto col peso.
Senza mai dimenticare che l'anoressia è una malattia mentale che ha talmente tante cause e origini diverse che sarebbe riduttivo puntare il dito solo sul mondo della moda (magari fosse così semplice sconfiggerla!), imporre dei limiti alle sfilate di modelle scheletriche comunque aiuta.
A Milano durante la settimana della moda c'è una sorta di auto-regolamentazione da parte degli stilisti e anche lì le modelle con indice inferiore al 18,5 non potrebbero sfilare. In America il limite è 18, ma i controlli sono pochi e non ci sono penali per chi sgarra. Quella di Israele è, invece, la prima legge al mondo che affronta da un punto di vista istituzionale quello che è uno dei drammi di questo secolo: l'anoressia nervosa.
C'è da dire, come speranza per il futuro delle teen agers, che lentamente - a partire dallo showbiz - si sta diffondendo un modello di donna più morbida e sensuale che rappresenta un faro per chi nell'anoressia rischia di cadere e che magari davanti ad esempi sbagliati prende una brutta strada.
Se dieci anni fa, infatti, il modello di bellezza era quello scheletrico e inarrivabile di Kate Moss o Sienna Miller oggi persino Lady Gaga e Christina Aguilera hanno scelto la linea più soft e sfoggiano senza imbarazzo la propria conturbante femminilità. Un messaggio sano proposto da donne di talento e successo che dovrebbe essere di maggiore ispirazione rispetto a quello scheletrico di mannequin tristi e pallide.
(Panorama, 4 gennaio 2013)
Conteggio delle vittime e ossessione anti-israeliana
di David M. Weinberg
Il numero di 60.000 persone uccise in Siria negli ultimi 22 mesi è il doppio del numero stimato di vittime del conflitto israelo-palestinese degli ultimi 45 anni.
Lakhdar Brahimi, il cosiddetto inviato di pace in Siria per conto dell'Onu e della Lega Araba, ha dichiarato nello scorso fine-settimana che i siriani uccisi in 22 mesi di guerra civile sono 50.000. Mercoledì l'Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha affermato che un "esauriente" studio, condotto per conto delle Nazioni Unite nell'arco di più di cinque mesi incrociando dati provenienti da sette fonti diverse, dimostra che le persone uccise sono almeno 60.000. Altre decine di migliaia di siriani sono stati feriti in una feroce guerra civile colma di crimini di guerra, mentre a milioni sono stati costretti a sfollare dalle proprie case. Almeno mezzo milione di profughi hanno abbandonato il paese. Brahimi ha dichiarato che "se la guerra dura un altro anno, non avremo altri 25.000, ma altri 100.000 morti". Questo perché dallo scorso febbraio, in un tragico crescendo, il presidente siriano Bashar al-Assad ha scatenato contro i suoi avversari una potenza di fuoco sempre maggiore impegnando nella battaglia carri armati, artiglieria pesante, elicotteri d'attacco, aerei da combattimento e persino missili Scud. Il prossimo passo potrebbero essere le armi chimiche. I gruppi dell'opposizione che tengono il contro delle vittime affermano che nella sola giornata di sabato scorso sono state uccise ben 400 persone, più del doppio di quella che essi definiscono "la media di morti quotidiana". Circa la metà sono civili trucidati in quella che, a quanto è dato sapere, è stata una strage perpetrata dalle truppe governative in una università petrolchimica nella parte centrale della Siria.
Tutto questo ovviamente è triste, spaventoso, strategicamente pericoloso e scioccante. Ma la cifra di 60.000 è anche un indicatore storico. Giacché 60.000 è il doppio del numero di vittime stimato del conflitto israelo-palestinese nel corso degli ultimi 45 anni. Ripeto: il doppio. Ripeto: degli ultimi 45 anni. Si sommino le vittime in tutti gli anni dall'inizio dell'"occupazione" (1967): combattenti, civili e vittime indirette del conflitto da entrambe le parti della spaccatura israelo-palestinese. Si aggiungano tutti i palestinesi uccisi nelle violenze intra-palestinesi o "giustiziati" da Hamas e Fatah come "collaborazionisti". Si aggiungano le vittime israeliane del terrorismo palestinese. Si sommi il tutto, e ancora il conteggio totale delle vittime del conflitto israelo-palestinese non arriva alla metà del numero di siriani massacrati da altri siriani in meno di due anni.
Naturalmente, va da sé che il mondo è infinitamente più sconvolto per i palestinesi in guerra che non per i siriani in guerra. E c'è un solo e unico motivo: che, nel primo caso, sono coinvolti degli ebrei. Il mondo si leva indignato quando su YouTube si vede un soldato israeliano che dà un colpo a un dimostrante palestinese con il calcio del fucile, ma non è altrettanto infuriato per i soldati siriani che violentano, torturano e massacrano decine di migliaia dei loro. Il mondo ha imparato che costruire case per ebrei rappresenta una minaccia alla pace mondiale che richiede l'attenzione immediata del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ma non prova alcun analogo senso di urgenza quando la carneficina in Siria rischia di straripare in Turchia, in Giordania e in Israele, o di sprofondare l'intera regione in un conflitto non convenzionale.
Così, tanto per dire.
(Israel HaYom, 3 gennaio 2013 - da israele.net)
"Gut hort: il giardino dell'eternità": un film sul cimitero ebraico di via della Pace a Trieste
Mercoledì 9 gennaio, alle ore 17.30, nell'auditorium del museo Revoltella di via Diaz 27, sarà proiettato il video "Gut hort: il giardino dell'eternità" di Marco Tessarolo, da un'idea di Marco Peteani e con la partecipazione di Livio Vasieri e con il patrocinio della Comunità ebraica di Trieste. Nel corso dell'incontro, il giornalista Pierluigi Sabatti intervisterà gli autori, presenti rappresentanti della Comunità ebraica e il rabbino capo Yitzhak David Margalit.
Il filmato accompagna lo spettatore in punta di piedi in un luogo suggestivo della città: il cimitero ebraico di via della Pace ove la memoria si dilata in un universo segnato soltanto dal primato della lussureggiante natura che tutto assimila e impetuosamente abbraccia. La videocamera segue nel silenzio il lavoro certosino di Livio Vasieri che quotidianamente, e volontariamente, offre il suo tempo per restaurare con pazienza e affetto le lapidi del cimitero ebraico.
Il Cimitero ebraico di via della Pace vede la luce a metà Ottocento quando, per l'espansione del centro abitato e per lo scarso spazio disponibile, il vecchio cimitero di via del Monte diviene inadeguato alle necessità degli ebrei triestini. La Comunità accetta allora l'offerta del Comune di provvedere alle spese per l'impianto del Nuovo Cimitero Ebraico che sorge, con una convenzione del 1842, nella zona che accoglie il cimitero cattolico di Sant'Anna.
Con questa presentazione il Museo Revoltella intende valorizzare, assieme al significato dell'opera dal punto di vista dei contenuti, anche il pregio artistico del video, realizzato da un giovane regista indipendente, quale è Marco Tessarolo (è nato nel 1978) ma già noto e apprezzato a livello internazionale. Con i suoi video realizzati per conto di grandi multinazionali ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti, tra cui il primo premio al London Film Festival del 2009 e il secondo all'edizione 2010. Vincitore del TP 2010, premio nazionale dei Pubblicitari Professionisti Italiani, si è aggiudicato il secondo posto al Cannes Lions nel 2011 nonché finalista al NewYork Tribeca FIlm Festival, al Shanghai Film Festival, al New Horizons Film Festival e al Barcelona World Congress.
(Bora.La, 3 gennaio 2013)
Hamas: non ci sono piu' motivi per divisioni con Fatah
ANKARA, 3 gen. - "Non ci sono piu' motivi" per cui le varie fazioni palestinesi debbano essere divise. Lo ha detto il portavoce di Hamas, Mushir al-Masri, all'agenzia turca Anadolu. "Si e' creata un'atmosfera positiva tra Hamas e Fatah dopo la storica vittoria della resistenza palestinese contro l'attacco israeliano a Gaza lo scorso novembre", ha detto al-Masri, ricordando come Hamas abbia dimostrato la sua "buona volonta'" liberando con un'amnistia tutti i prigionieri legati al movimento rivale.
(Adnkronos, 3 gennaio 2013)
Il voto positivo allaccettazione della Palestina come membro osservatore dellOnu avrebbe dovuto servire, secondo Monti e Bersani, a favorire il moderato Abu Mazen contro lestremista Hamas. Quindi Hamas avrebbe dovuto arrabbiarsi nel constatare che la moderazione abumaziana vince sul suo estremismo. E accaduto invece il contrario: Hamas ha potuto constatare soddisfatto che il suo estremismo ha funzionato a tal punto che anche Fatah ne è rimasto contagiato e si è adeguato allo stile Hamas. Adesso non ci sono più motivi per divisioni tra palestinesi. E la morale è questa: lanciare missili sui civili israeliani, anche se si ricevono indietro risposte devastanti, significa vittoria. LOnu ne prende atto e premia chi con coerenza è costanza dimostra, coi fatti e le parole, che vuole la distruzione di Israele. Ma, assicura il nostro Presidente del Consiglio dimissionario, lamicizia dellItalia con Israele non si discute e vivrà in eterno. Anche quando non vivrà più Israele. Ma questo è secondario. M.C.
Israele termina il muro sul confine con l'Egitto
Israele ha ultimato la costruzione del muro di sicurezza al confine con l'Egitto. Alla cerimonia dedicata alla conclusione dei lavori hanno partecipato il premier Benjamin Netanyahu e altre personalità politiche. Il premier ha dichiarato che negli utlimi sette mesi nelle città israeliane non è arrivato nemmeno un immigrato clandestino.
L'ufficio stampa di Netanyahu ha comunicato che la costruzione è durata solo due anni a fronte dei quattro previsti. La lunghezza del muro è di 230 km. I lavori di innalzamento sono costati circa 430 milioni di dollari.
(La Voce della Russia, 3 gennaio 2013)
Antisemitismo a Venezia? Israele: "Ebreo picchiato da banda di arabi"
La vicenda è stata riportata da un quotidiano online israeliano. Un giovane americano in visita nella città lagunare con la famiglia sarebbe stato bastonato la sera del primo gennaio.
di Gabriele Vattolo
Una vicenda partita da Venezia, rimbalzata in Israele e poi tornata in un baleno nella città lagunare. Ma ancora sembrerebbe non esserci nulla di sicuro.
Tranne l'indignazione dei media israeliani per una presunta aggressione antisemita ai danni di un giovane studente americano di religione ebraica in visita a Venezia con la famiglia. Secondo un articolo pubblicato dal sito "Israel National News" il malcapitato la sera del 1 gennaio sarebbe stato aggredito da "una banda di arabi" (come letteralmente si legge nell'articolo in lingua inglese) trascinato in un angolo buio della calle e picchiato a sangue. Calci e pugni. Finché il giovane non ha perso conoscenza.
La scena sarebbe stata vista da un passante che immediatamente ha chiamato le forze dell'ordine. Accortisi di essere stati scoperti, i quindici malintenzionati se ne sono andati lasciando a terra lo studente ebreo, secondo il sito israeliano "componente di una yeshiva" (un istituto che studia soprattutto i testi sacri, ndr). A un certo punto dell'aggressione sarebbero spuntati anche dei coltelli.
Ancora non è chiaro però se sia stata o meno depositata denuncia in questura o ai carabinieri. E se la vicenda si sia effettivamente svolta nei modi descritti dai media israeliani. Di certo, se la ricostruzione risulterà veritiera, si tratterebbe di un grave caso di antisemitismo.
(VeneziaToday, 3 gennaio 2013)
L'Iran termina le manovre militari
Le forze aeree e della marina iraniane hanno raggiunto tutti gli obiettivi fissati nell'ambito delle manovre Velayat 91 (Supremazia 91), lo ha dichiarato il contrammiraglio Amir Rastegari.
Le forze armate hanno effettuato con successo lanci di missili e hanno elaborato una tecnica di respingimento di attacchi cibernetici sulle proprie reti di comunicazione. Sono stati lanciati missili e siluri: i missili hanno colpito modelli di aerei nemici a pilotaggio remoto.
Le esercitazioni sono avvenute nel Golfo dell'Oman e nello stretto di Hormuz, al nord dell'Oceano Indiano e del Golfo di Aden.
(La Voce della Russia, 3 gennaio 2013)
Scritte e simboli nazisti sui muri. Vandali alla Malga Lunga
BERGAMO - Il rifugio simbolo della resistenza e della lotta partigiana è stato oggetto di atti vandalici. Con scritte e simboli nazisti e fascisti, ignoti hanno imbrattato le pareti della Malga Lunga, a Sovere. Gli atti vandalici risalirebbero alla notte tra la notte tra il 30 e il 31 dicembre, ma sono stati scoperti solo mercoledì mattina 2 gennaio.
Alla Malga Lunga si trova il museo dedicato alla resistenza bergamasca e al ricordo della 53o brigata Garibaldi, inaugurato solo lo scorso novembre, e gli atti vandalici sono quindi ancora più pesanti proprio perchè vìolano un luogo simbolo per i partigiani bergamaschi e per la storia della nostra terra.
Sui muri numerose le scritte, in primis la parola «Dux», le svastiche naziste e le croci fasciste con cui i vandali hanno imbrattato gli esterni del museo, uno tra i più importanti della resistenza bergamasca e gestito dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia. Ad essere preso di mira un pergolato esterno al museo coperto da del plexiglass. Non toccate fortunatamente le lapidi e le parti del museo. In risposta a quanto accaduto, qualcuno ha lasciato una frase, scritta su un pezzo di polistirolo: «Due sono le cose infinite - si legge, citazione di Einstein -: l'universo e la stupidità dell'uomo».
Sulla vicenda è intervenuto il deputato PD Antonio Misiani che ha dichiarato: «Condanniamo senza dubbi di sorta l'imbrattamento della Malga Lunga. I teppisti non si illudano: fatti del genere non cancellano la memoria e non indeboliscono gli anticorpi nei confronti di ogni forma di fascismo».
«Le svastiche e le scritte fasciste apparse nei giorni scorsi alla Malgalunga - gli ha fatto eco Elena Carnevali, capogruppo Pd al Comune di Bergamo - sono l'ultimo di una serie di episodi che hanno visto per oggetto i simboli della Resistenza e della Memoria in provincia di Bergamo. L'imbrattamento di muri e lapidi con slogan che richiamano a un passato ormai chiuso è in questo caso una provocazione, che dobbiamo respingere e condannare perché questo gesto ignobile che offende la memoria di chi ha combattuto per la libertà e di tutti i cittadini democratici».
Ferma condanna è stata espressa anche da tutto il Partito Socialista e dalla Federazione dei Giovani Socialisti di Bergamo. «Gesto incivile frutto della becera ignoranza in un luogo che è patrimonio di tutti» scrivono Sara Pasquot coordinatrice FGS Lombardia e Francesco De Lucia segretario provinciale PSI Bergamo.
Le scritte nazi-fasciste comparse alla Malga Lunga sono un atto osceno che ha voluto colpire al cuore la memoria dei comunisti e di tutti gli antifascisti bergamaschi. Questo gesto vigliacco è avvenuto solo a poche settimane dall'inaugurazione del nuovo Rifugio - Museo della Resistenza, realizzato grazie ad anni di fatica e passione delle associazioni Anpi locali e Provinciale, che hanno voluto in questo modo degnamente ricordare il sacrificio dei partigiani della 53o Brigata Garibaldi e la Resistenza bergamasca.
Per Francesco Macario (segretario della Federazione Prc di Bergamo) «L'inqualificabile atto vandalico contro la Malga Lunga e ciò che questo luogo rappresenta non è un fatto isolato, ma giunge in seguito ad altri episodi di vandalismo che si sono registrati nello scorso anno contro monumenti e simboli partigiani, in particolare nella zona dell'Alto Sebino, dove nel 1943-45 più forte fu la resistenza comunista. Sarebbe un grave errore sottovalutare questi episodi, per di più in presenza di un contesto europeo attanagliato dalla crisi economica e dalle politiche recessive, che stanno dando spazio in vari Paesi a rigurgiti neofascisti e neonazisti di particolare virulenza e aggressività. A tutti gli antifascisti, a tutte le forze democratiche proponiamo di dare vita ad una decisa e partecipata mobilitazione democratica contro l'infame provocazione avvenuta alla Malga Lunga».
Sinistra Ecologia Libertà di Bergamo esprime a sua volta «ferma condanna per questo ignobile gesto e contestualmente esprime massima riconoscenza nei confronti delle decine di migliaia di partigiani italiani, tra cui il Tenente Giorgio Paglia, medaglia d'oro al valor militare che proprio alla Malga Lunga fu catturato da soverchianti forze fasciste, che sacrificarono il bene supremo, la vita stessa, per un'Italia libera, democratica ed indipendente. Sinistra Ecologia Libertà di Bergamo manifesta la propria vicinanza morale all'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia e al Suo Presidente, Ing. Salvo Parigi, ed invita tutte le cittadine e i cittadini democratici ed antifascisti a vigilare affinché certi atti non abbiano a ripetersi».
I Giovani Democratici della provincia di Bergamo condannano «questo atto deplorevole e meschino ed esprimiamo la nostra solidarietà all'ANPI. Questi atti segnalano un rigurgito di ideologie mai veramente sopite ed evidenziano la necessità di tenere alta l'attenzione, ricordando tutti i partigiani che, anche sacrificando la propria vita, hanno reso possibile la democrazia in cui viviamo. Per questo nelle prossime settimane intendiamo realizzare dei progetti, condividendoli con le istituzioni, volti ad un rilancio civico e antifascista che coinvolga l'intera cittadinanza a partire dalle nuove generazioni».
(L'Eco di Bergamo, 2 gennaio 2013)
Il nuovo affare di Aermacchi in Israele
La società di Finmeccanica porta a casa un contratto dal valore di 140 milioni di dollari. I dettagli e i tempi sulla consegna.
Nuovo successo per Alenia Aermacchi, una società Finmeccanica, che ha firmato con la israeliana Elbit Systems un contratto di supporto logistico per i 30 addestratori avanzati M-346 ordinati dal Ministero della Difesa israeliano a luglio 2012. Il contratto ha un valore, per la quota di Alenia Aermacchi, di circa 140 milioni di dollari.
Le attività di supporto logistico, che prevedono la fornitura, riparazione e revisione di parti di ricambio per i 30 M-346 israeliani, saranno erogate in collaborazione con la societa' Elbit Systems. I 30 velivoli M-346 ordinati dal Ministero della Difesa israeliano andranno a sostituire gli A-4 Skyhawk, oggi in servizio presso la forza aerea del Paese. La consegna del primo M-346 è prevista per la metà del 2014.
(formiche, 2 gennaio 2013)
Israele vieta i cosmetici testati sugli animali
Il primo gennaio è entrata in vigore la legge approvata nel 2010 dalla Knesset, il Parlamento di Israele, che vieta l'importazione, la produzione e la vendita di articoli da toilette, cosmetici e detergenti che siano stati testati su animali per arrivare alla loro produzione.
Però il nuovo regolamento israeliano, anche se ricalca la normativa dell'Unione europea del 2004, autorizza alcuni ingredienti che non rientrano nella categoria dei medicinali ma che vengono utilizzati in prodotti medici.
Il laburista Eitan Cabel, che è il leader di una lobby di parlamentari difensori degli animali alla Knesset, ha spiegato che «I test sugli animali effettuati dall'industria cosmetica infliggono terribili sofferenze a questi animali. Ogni prodotto necessita tra i 2.000 e i 3.000 test e gli animali muoiono soffrendo atrocemente. Le nuove direttive costituiscono una vera rivoluzione per quel che riguarda il benessere animale in Israele. Spero che la legge innescherà un cambiamento di percezione che porterà a cessare completamente tutti i test sugli animali».
(greenreport.it, 2 gennaio 2013)
La sinagoga di Trani per altri quattro anni alla comunità ebraica.
Operazione a costo zero per il Comune
La giunta comunale, all'unanimità, ha approvato il rinnovo per altri quattro anni della concessione della sinagoga Scolanova alla comunità ebraica, purché resti destinata esclusivamente a luogo di preghiera e centro di culto ebraico. Il provvedimento perfeziona un atto d'indirizzo che, approvato a sua volta dall'esecutivo uscente, nel mese di novembre 2011, disponeva una proroga di cinque anni della concessione in corso.
Le motivazioni del rinnovo della concessione, oltre che risiedere nel dialogo da tempo riaperto con gli ebrei del nostro territorio e nell'evidente ritorno culturale e turistico di tale destinazione, sono anche, secondo quanto si legge nel provvedimento, proposto dall'assessore al patrimonio, Michele d'Amore, di ordine pratico.
Infatti, in primo luogo, la sinagoga diventa «una risorsa, e non un costo», perché ogni spesa di manutenzione e le volture delle utenze saranno a carica della comunità religiosa. Inoltre, attraverso il regolare affidamento in concessione, si prevengono sia l'occupazione abusiva dell'immobile, sia eventuali atti vandalici.
Per la verità, se è indiscutibile l'effetto positivo della prima prevenzione, non si può dire altrettanto per il secondo, giacché più volte la scalinata della sinagoga è stata preda di teppisti e grafomani, la cui incessante azione di deturpamento ha messo non poco in difficoltà sia il Comune, sia la stessa comunità ebraica, per la rimozione di scritte e segni non consoni al luogo.
(il Giornale di Trani, 2 gennaio 2013)
I gerarchi (vaticani) di Hitler
Un saggio di Guenter Lewy indaga i rapporti tra Pio XII, i suoi vescovi e i nazionalsocialisti tedeschi negli anni del genocidio nazista
di Fedeerico Tulli
«All'illustre Herr Adolf Hitler, Führer e Cancelliere del Reich tedesco. All'inizio del nostro pontificato desideriamo assicurarle che continueremo a impegnarci per il benessere spirituale del popolo tedesco, che confida nella sua guida... Ora che le responsabilità della Nostra funzione pastorale hanno accresciuto le Nostre opportunità, preghiamo più ardentemente per il raggiungimento di questo obiettivo. Che la prosperità del popolo tedesco e il suo progresso in tutti i campi, con l'aiuto di Dio, possano compiersi!». Questa lettera del 1939, che manifesta esplicitamente la considerazione di Pio XII per il regime nazista, fu pubblicata per la prima volta da John Cornwell in Hitler's Pope. The secret history of Pius XII (Penguin Books, 1999). La controversa figura di papa Pacelli che non mancò mai di spedire i personali auguri al Führer per il suo genetliaco e che, per festeggiare i cinquant'anni di Hitler, organizzò un ricevimento in Vaticano, come ricorda il politologo Eric Frattini, è tornata alla ribalta anche di recente quando nel 2009 Benedetto XVI ha firmato il decreto per la sua beatificazione - assieme a quello per Giovanni Paolo II - esaltandone le «virtù eroiche».
Forse può bastare questo per dire che nella storia della seconda guerra mondiale c'è un capitolo non ancora concluso. Vale a dire, le responsabilità della Chiesa cattolica e apostolica romana di fronte ai crimini commessi dal regime nazista, primo fra tutti il genocidio degli ebrei, degli zingari, delle persone omosessuali, di quelle handicappate e dei politici scomodi. Il ruolo di papa Pio XII e dei vescovi tedeschi è al centro, ancora oggi, di un dibattito molto acceso. Attingendo ai rapporti della Gestapo, ai documenti del partito nazionalsocialista e delle diocesi tedesche, Guenter Lewy aggiunge importanti tasselli al percorso di conoscenza facendo luce su di una vicenda ancora non del tutto indagata. Ne I nazisti e la chiesa. Gerarchie cattoliche e nazionalsocialisti tra silenzi e complicità, firmato per Il Saggiatore, Lewy mette in evidenza, oltre ai cedimenti, i silenzi e le complicità delle gerarchie cattoliche, anche le episodiche opposizioni. Contribuendo in maniera determinante a evidenziare le conseguenze dell'atteggiamento mantenuto da chi, pur erigendosi a faro dell'etica e della morale universale, è rimasto quanto meno indifferente di fronte all'orrendo annientamento di milioni di persone pianificato lucidamente dai gerarchi di Hitler.
(BabylonPost, 2 gennaio 2013)
Lesercito israeliano pubblica i suoi progetti per il 2013
Prepararsi meglio per disastri naturali, utile anche in guerra
ROMA, 2 gen - Nessuno sfugge alla tradizione dei buoni propositi di inizio anno: nemmeno l'esercito dello Stato ebraico. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno pubblicato sul proprio profilo Twitter, sempre attivissimo, una lista delle 'cose da fare nel 2013', che conta in tutto cinque proponimenti.
Se alcuni sono classici e prevedibili, come "garantire sicurezza al popolo israeliano" e "rafforzare la cooperazione con i nostri alleati", altri sono invece più particolari: ad esempio, l'intenzione di "sviluppare tecnologie innovative". Spicca, poi, la volontà di esercitarsi per "missioni di soccorso in Paesi stranieri colpiti da catastrofi naturali".
Intento che appare coerente con un tentativo di modificare agli occhi della comunità internazionale l'immagine delle Idf, di frequente considerate esclusivamente un "esercito di occupazione". I soldati israeliani, del resto, sono spesso in prima linea in caso di disastri naturali. Dati forniti dall'esercito, aggiornati al gennaio 2012, parlano di 15 missioni di salvataggio dispiegate negli ultimi trent'anni. E' avvenuto, per esempio, in occasione del terribile terremoto che nel 2010 ha sconvolto Haiti. Al tempo, partirono per l'isola di Hispaniola alcune centinaia di militari (un terzo dei quali riservisti richiamanti espressamente per la missione), tra cui una quarantina di medici e circa cinquanta tra paramedici e infermieri. Ma avere truppe preparate in caso di catastrofe naturale ha anche un effetto collaterale prezioso. Consente infatti di essere "più efficienti" dal punto di vista bellico. E' quanto ha spiegato il capo di Stato Maggiore, Benny Gantz, lo scorso ottobre. Il 21 di quel mese in Israele si è tenuta una vasta esercitazione militare in cui lo scenario simulato era quello di un terremoto. "Avere unità d'emergenza ben preparate - ha dichiarato il generale - consentirà alle Idf non solo di fronteggiare efficientemente i disastri, ma anche di lavorare meglio in guerra".
(ANSAmed, 2 gennaio 2013)
Gerusalemme: bolletta da due milioni per il Santo Sepolcro
La Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme è uno dei posti più sacri della cristianità, costruita nel luogo dove la tradizione vuole sia stato crocifisso, sepolto e risuscitato Cristo. Tradizionalmente era esente anche dal pagamento delle tasse locali e dei servizi pubblici, inclusa l'acqua. Almeno fino a quando l'azienda del servizio idrico non ha chiesto il pagamento di 15 anni di fornitura arretrata: una tegola da 2,3 milioni di dollari.
Netanyahu: "Hamas potrebbe prendere il controllo della Cisgiordania"
Per il premier israeliano il movimento islamista palestinese può prendere il controllo dell'Autorità Palestinese
Il gruppo estremista palestinese Hamas potrebbe cacciare il presidente Abu Mazen dalla Cisgiordania, come già ha fatto nella Striscia di Gaza nel 2007.
E' quanto ha detto ieri sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, spiegando così la sua reticenza a negoziare.
"Tutti sanno che Hamas può prendere il controllo dell'Autorità Palestinese", ha dichiarato Netanyahu, secondo un comunicato del suo ufficio, a tre settimane dalle elezioni legislative. Il primo ministro spera di accrescere il suo consenso tra i coloni ebraici e i loro sostenitori.
Netanyahu ha spiegato che questo è il motivo per cui, "malgrado le voci che si sono recentemente levate per esortarmi ad andare avanti, a fare concessioni, ritengo che il processo diplomatico debba essere gestito con grande responsabilità e sagacia, e non in modo precipitato", ha aggiunto.
(today, 2 gennaio 2013)
Un funerale ultra-ortodosso in Israele
La morte del rabbino Avrohom Yaakov Friedman, leader di una dinastia chassidica, a Bnei Brak.
Il primo gennaio è morto nella sua casa a Bnei Brak, a est di Tel Aviv, in Israele, il rabbino Avrohom Yaakov Friedman. Friedman aveva 84 anni ed era il capo della dinastia chassidica di Sadigura: fondata circa 170 anni fa, non è tra le più numerose - ha centinaia di appartenenti in Israele e in Europa - ma ha sempre avuto un ruolo importante tra gli ebrei ultra-ortodossi. Il chassidismo è una corrente dell'ebraismo fondata nel XVIII secolo dal rabbino Baal Shem Tov ed è caratterizzato da misticismo, dalla convinzione della presenza divina in tutte le cose, dall'importanza della gentilezza e della bontà verso il prossimo e da uno spiritualismo gioioso che si esprime nel canto, nella danza e nella preghiera. Il chassidismo non presenta una dottrina unitaria ma è costituito da numerosi gruppi con i propri precetti, usi e tradizioni: i più numerosi e influenti sono una trentina, affiancati da circa un centinaio di gruppi minori. Tutti però condividono preghiere, convinzioni, abbigliamento e canti simili.
La città di Bnei Brak è abitata quasi esclusivamente da haredim, ebrei ultra-ortodossi. Fino agli anni Settanta tra i suoi abitanti c'erano persone appartenenti a diverse correnti dell'ebraismo ma negli ultimi quarant'anni è stata governata esclusivamente da sindaci haredim, che hanno favorito la crescita della popolazione ultra-ortodossa e provocato l'allontanamento degli altri cittadini. Sul Post avevamo già pubblicato un reportage da Bnei Brak su un matrimonio ultra-ortodosso e un altro sui festeggiamenti della festa del Purim.
(Il Post, 2 gennaio 2013)
Il caso Zoabi: fin dove può arrivare una nazione "masochista"?
di Michael Sfaradi
TEL AVIV - In Israele sono in molti a chiedersi qual è la differenza fra democrazia e anarchia, o meglio ancora, sono in molti a chiedersi quale è la linea di confine fra le due cose. Questo gravissimo interrogativo sorge all'indomani della sentenza della Corte Suprema che ha deciso all'unanimità che Hanin Zoabi, membro del partito Balad (formazione politica arabo-israeliana) può candidarsi alle elezioni e continuare a essere un membro della Knesset, il Parlamento israeliano.
La sentenza della Corte Suprema è però solo l'ultimo atto di una querelle che va avanti da circa tre anni e ribalta completamente la decisione della commissione etica del Parlamento che aveva decretato l'inammissibilità della parlamentare alle prossime elezioni politiche. Per capire come si è arrivati a questa situazione bisogna fare un passo indietro e tornare ai fatti della Mavi Marmara. La Mavi Marmara, nave turca affittata dal gruppo Ihh da molti considerato un'organizzazione terroristica, era una delle navi della famosa flottiglia che avrebbe dovuto rompere il blocco navale applicato dalla marina israeliana alla striscia di Gaza. Mentre le altre cinque navi del gruppo si fermarono dopo aver portato a termine la pacifica protesta, la Mavi Marmara continuò nella sua rotta costringendo i militari israeliani ad eseguire un abbordaggio.
I membri dell'Ihh reagirono violentemente con spranghe di ferro, mazze e coltelli e, alla fine degli scontri, si contarono una decina di morti e diversi feriti. Oltre ai membri delle varie organizzazioni politiche, i militari israeliani trovarono a bordo della nave anche Hanin Zoabi, parlamentare israeliana che, in quel momento, agiva contro gli interessi della stessa nazione che le aveva dato un seggio in Parlamento e la possibilità di votare leggi e decreti.
Ad aggravare la già delicata situazione c'era anche il gravissimo precedente di Azmi Bishara, anche lui membro del partito Balad, accusato di aver passato informazioni delicate ad Hezbollah e di aver aiutato l'organizzazione terroristica filo iraniana durante la guerra del 2006. Azmi Bishara, anziché affrontare le accuse, è scappato in Libano dove ora gode della protezione proprio di Hezbollah; questo particolare, non da poco, conferma che le accuse erano decisamente fondate.
Che all'interno della formazione politica Balad ci siano troppi elementi che usano la loro posizione per creare danno allo Stato è ormai una cosa certa e il ritrovamento della Zoabi a bordo della Mavi Marmara ha fatto crescere malcontento e tensioni al punto che, come detto in precedenza, la commissione etica aveva preso una decisione a porte chiuse.
Decisione probabilmente maturata dopo un patteggiamento che prevedeva l'uscita dalla scena politica della parlamentare in cambio dell'archiviazione della sua posizione che la vedeva, in quel momento, passibile di un'accusa formale di alto tradimento. I termini per l'accusa sono ormai caduti in prescrizione e la Zoabi si è ora appellata alla legge di una nazione democratica come Israele per far valere diritti che non sarebbero stati riconosciuti in nessuna delle nazioni arabe del mondo.
I giudici hanno sicuramente applicato la legge, la magistratura israeliana è talmente indipendente dalla politica che diversi ministri, riconosciuti colpevoli di reati penali, sono stati arrestati e condannati a pene detentive e Israele è l'unico Stato democratico al mondo ad aver arrestato e condannato a pena detentiva un ex Presidente della Repubblica.
Anche se la legge è stata applicata alla lettera, resta il malcontento per una decisione che sembra uscita da una smania masochista di una nazione che cerca tutti i modi per farsi del male. Nel caso della conferma dell'esclusione della Hanin Zoabi dalla vita politica le critiche, come al solito quando si tratta di Israele, non sarebbero certo mancate, ma continuare a far rimanere alla Knesset formazioni politiche che non riconoscono lo Stato e che addirittura annoverano fra i loro membri personaggi che tengono stretti contatti con pericolosissimi nemici, oltre ad essere estremamente pericoloso è anche indubbiamente fuori da ogni logica.
Gli esponenti delle maggiori forze politiche hanno già annunciato che subito dopo le elezioni una nuova normativa per questi casi avrà priorità nell'agenda parlamentare proprio per evitare nuove situazioni come quella che si è appena consumata. A questo punto i quesiti sono di una semplicità disarmante: può una nazione dare ad una persona che ha palesemente manifestato il suo tradimento la possibilità di ricandidarsi? Può una democrazia compiuta come quella israeliana permettersi un rischio di questo tipo, soprattutto tenendo in considerazione la realtà mediorientale e tutte le insidie che si nascondono dietro ogni angolo? E poi, per finire, veramente le democrazie sono così forti da non temere le insidie dall'interno? Sinceramente vedendo quello che sta accadendo nel mondo, i dubbi sono molti e anche inquietanti.
(ilsussidiario.net, 2 gennaio 2013)
Una legge contro le modelle troppo magre
di Mena Grimaldi
GERUSALEMME. Tempi duri per le aziende "promotrici" dell'eccessiva magrezza e per le modelle israeliane troppo magre.
Una nuova legge, infatti, ha bandito dalla pubblicità le donne (e gli uomini) con un indice di massa corporea inferiore a 18,5 (il tasso usato per identificare la malnutrizione dall'Organizzazione mondiale della sanità).
Israele, dove il 2% circa delle ragazze tra i 14 e i 18 anni soffrono di gravi disturbi alimentari è il primo Stato a stabilire per legge che l'indice di massa corporea (il rapporto tra peso e altezza) di chi posa per la pubblicità non debba essere inferiore a 18,5.
Se per esempio una modella è alta 1 metro e 72 non potrà pesare meno di 54 chili. Chi pubblica le immagini pubblicitarie dovrà inoltre rivelare se sono state alterate per fare sembrare più magri i soggetti. Le compagnie pubblicitarie che violano le norme possono essere denunciate (dagli stessi cittadini) e multate.
La legge israeliana è il risultato della battaglia di Adi Barkan, noto agente israeliano delle top model che dice di averne viste tante, troppe, ammalarsi e morire.
(Pupia, 2 gennaio 2013)
L'ultimo saluto degli ebrei torinesi a Rita Levi Montalcini
"Ti ringraziamo per aver migliorato questo mondo"
di Adam Smulevich
Una piccola folla raccolta, commozione e cordoglio, i cancelli che si aprono - fatto straordinario per il giorno di Capodanno - per accogliere il feretro di uno dei più grandi ingegni italiani di sempre. Rita Levi Montalcini è tornata a Torino e, prima ancora dell'omaggio di autorità e cittadinanza ai funerali civili in programma questo pomeriggio, è stata la Comunità ebraica a salutarla con una cerimonia privata svoltasi ieri pomeriggio al cimitero monumentale di corso Novara. Assieme alla nipote Piera Levi Montalcini e ai familiari più stretti, tra gli altri, il presidente Beppe Segre, il vicepresidente Emanuel Segre Amar e il vicerabbino capo Avraham De Wolff. L'ingresso è vietato alla stampa, assiepata al portone principale già da ora di pranzo. Attorno alla salma ci si ritroverà così in un numero ristretto di persone con la consapevolezza di condividere un'occasione unica di preghiera e raccoglimento. "Nei momenti di cordoglio - afferma rav De Wolff - noi lodiamo il giudice della verità, l'unico Dio, che dona lo spirito della vita al genere umano e che in seguito lo trae per porlo altrove. Negli anni in cui questo spirito di vita è qui, in noi, ringraziamo Dio e godiamo della possibilità di impiegare i suoi doni per migliorare questo mondo. Tramite la bontà, per mezzo della scienza e della produzione. Per le migliorie che apportiamo i nostri simili ci sono grati. Questa gratitudine, e la soave memoria che ne consegue, sono una santificazione del nome del vero Dio. Ringraziamo la famiglia di Rita per essere qui con noi, a Torino, a concedere alla Comunità ebraica della sua città natale di porle commiato recitando i Salmi di Re Davide. Ringraziamo Rita per aver santificato il nome di Dio nei suoi anni trascorsi con noi. Possa il suo nome essere annoverato tra coloro che appartengono alla Vita". Questo pomeriggio alle 15.30, con la partecipazione di migliaia di persone e alla presenza delle massime autorità cittadine, i funerali civili aperti a tutta la città. "Il funerale - spiega Piera Levi Montalcini - è un momento di saluto e noi abbiamo voluto permettere a chiunque lo desideri di salutare la zia. In tanti le hanno voluto bene. È importante che venga ricordata e che vengano ricordati i suoi insegnamenti. Ma sarebbe bene anche cercare di applicarli. Noi, in futuro, ci impegneremo per favorire tutto questo".
(Notiziario Ucei, 2 gennaio 2013)
Peres: «Hamas? Dialogo se fermerà il terrorismo»
«Rispettino le condizioni del Quartetto per parlare con Israele».
Nel tradizionale incontro di fine anno con i capi delle Chiese cristiane in Israele il capo dello Stato Shimon Peres ha detto che «Israele deve essere disponibile a un dialogo con Hamas se accetterà le condizioni imposte dal Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia), con il riconoscimento di Israele, il ripudio della violenza e il rispetto degli impegni internazionali dei palestinesi. Non c'è niente di male in sé a parlare con Hamas», ha sottolineato, «ma bisogna ottenere da essi risposte precise. Hamas vuole la pace o vuole la guerra?», si è domandato Peres, secondo quanto riferito dalla radio militare.
IN LINEA CON I CENTRISTI DI KADIMA - Posizioni analoghe sono state espresse il 31 dicembre anche dal leader del partito centrista, Kadima, Shaul Mofaz (ex ministro della difesa) durante un comizio elettorale in vista delle legislative del gennaio 2013.
«Se vogliono costruire», ha continuato Perese, «Israele sarà felice dei loro successi. Non proviamo piacere nel vedere persone, giovani o vecchie, soffrire a Gaza».
Nel timore di suscitare ulteriori polemiche con l'ufficio del premier Benyamin Netanyahu - dopo che il 30 dicembre il Likud aveva protestato per una sortita di Peres a favore del presidente palestinese Abu Mazen - il capo dello Stato ha poi precisato che egli si oppone a trattative con Hamas fino a quanndo non dovessero essere accettate le condizioni, tra cui, in primis, «la cessazione del terrorismo».