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Notizie su Israele 237 - 29 aprile 2004

1. «L'Autorità Palestinese deve smettere di istigare»
2. Una lucida analisi delle diverse posizioni palestinesi
3. Giorno in memoria dei soldati di Tsahal
4. Per il 56° anniversario dell'Indipendenza
5. Non violenza e processo di pace sui media palestinesi
6. Dimostrazione di massa contro il piano di Sharon
7. Giustizia alla palestinese
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 31:1. Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso, hanno fiducia nei cavalli, confidano nei carri, perché sono numerosi, e nei cavalieri, perché sono molto potenti, ma non guardano al Santo d’Israele e non cercano il Signore!
1. «L'AUTORITA' PALESTINESE DEVE SMETTERE DI ISTIGARE»




Elias Khoury
GERUSALEMME - Il padre di una vittima araba del terrorismo ha chiesto sabato scorso [24 aprile] alle Autorità dell'Au- tonomia Palestinese e alle guide religiose islamiche di porre fine alla loro campagna di odio contro Israele. Il suo figlio ventenne, George Khoury, è stato ucciso in un'imboscata alla metà di marzo (Notizie su Israele 230, 232).
    "Che fosse stata una cellula palestinese, lo sapevamo fin dall'inizio", ha detto Elias Khoury dopo che le forze di sicurezza israeliane avevano arrestato tre giovani palestinesi in relazione con l'attentato. Questi avevano confessato l'assassinio.
    "Non avevamo alcun dubbio che il motivo di fondo fosse il conflitto israelo-palestinese", ha detto Khoury, che proviene dalla Galilea e da trent'anni vive a Gerusalemme. "Per me questa è la chiara ma dolorosa prova che c'è uno stato di totale anarchia e disordine. A questo si aggiunge la perdita dei valori. Ci sono persone che prendono la legge nelle loro mani dicendo di voler servire la causa palestinese o i cosiddetti interessi di Allah".
    L'avvocato ha invitato i palestinesi a porre fine all'anarchia e a cominciare a educare i loro figli alla pace: "Non devono permettere che questa situazione continui e finisca fuori controllo".
    Gli accusati giustificano le loro azioni dicendo che hanno voluto placare Allah, riferisce il quotidiano "Jerusalem Post". Per questo Khoury ha chiesto ai leader religiosi di fare attenzione soprattutto e prima di ogni altra cosa "a come questi giovani vengono influenzati e spinti a prendere temi religiosi e a deformarli nel modo peggiore. Questo è contrario al volere di Allah, al Corano e all'Islam, perché i giovani prendono queste faccende nelle loro proprie mani".
    La mancanza di rispetto per la vita umana preoccupa Khoury. Gli omicidi distruggono gli interessi palestinesi, ha detto. "I valori umani sono completamente persi". Il suo messaggio, rivolto in primo luogo ai leader religiosi, alla direzione palestinese, alla società palestinese e a tutte le persone di buon senso che danno ancora valore alla vita umana, è che tutti si alzino, prendano tutti insieme coraggio e dicano: "Quello che è troppo, è troppo".
    L'arabo Khoury ha invitato l'Autorità Palestinese a smetterla con l'istigazione. "Dobbiamo cominciare a indicare ai nostri figli e a questi giovani la giusta via, che rispetta la vita umana. Dobbiamo insegnare loro come deve esistere una cultura politica e come si deve osservare e mantenere legge e ordine."
    Gli attentatori "commettono crimini e danneggiano gli interessi palestinesi e la religione che dicono di voler rappresentare e servire", ha detto Khoury. Abbiamo bisogno di guide islamiche che si alzino e dicano questo chiaro e tondo. Se tacciono, danneggiano soltanto l'Islam e la società palestinese".
    Subito dopo l'attentato del 19 marzo scorso le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, un sottogruppo di Fatah, il partito del capo dell'OLP Yasser Arafat, avevano rivendicato il fatto. Secondo le loro dichiarazioni, pensavano che lo studente arabo dell'Università ebraica fosse un ebreo.
    
(Israelnetz Nachrichten, 26.04.2004)





2. UNA LUCIDA ANALISI DELLE DIVERSE POSIZIONI PALESTINESI




Ritiro da Gaza, governo d'emergenza. I palestinesi si dividono sulle strategie
    
di Davide Frattini

    Gli uomini armati in giubbotto nero che circondano Ghassan Shaqa non devono proteggerlo dalle incursioni di Tsahal.
    Ma da altri palestinesi. Il sindaco di Nablus ha presentato le dimissioni due mesi fa a Yasser Arafat per protestare contro il caos che sta spadroneggiando in città: « Il mio è un grido d’allarme. L’assedio israeliano ha distrutto la società, ma l’Autorità di Ramallah non fa nulla per fermare la violenza — ha detto al Figaro — . Non ci sono indagini, giustizia, migliaia di casi sono fermi in tribunale. La gente obbedisce ad Arafat, ma poi gli mente. Se la situazione non cambia, lascerò la carica il primo maggio » .
    Nablus con i suoi 200 mila abitanti è il più grande centro della Cisgiordania e ne è sempre stato il cuore economico. Adesso è il concentrato dei suoi problemi. Nei sospetti: gli estremisti delle Brigate Al Aqsa accusano il sindaco di corruzione ( « se non avesse rubato i soldi della municipalità, potrebbe andare al mercato a comprare i pomodori senza temere per la sua vita » , commentano). E nelle fratture politiche: la lotta nella città è anche interna al Fatah, la fazione che fa capo al settantatreenne Arafat, spaccata tra vecchia e nuova generazione. « Il Comitato centrale — ha denunciato Kadura Faris, 41 anni, ministro senza portafoglio — non vuole il cambiamento e le riforme che noi chiediamo perché preserva gli interessi dei suoi membri » .
    A Nablus, la gente — come il 54% dei palestinesi, secondo un recente sondaggio — è ormai convinta che l’Autorità di fatto non esista più, paralizzata dall’occupazione israeliana, incapace di elaborare una risposta politica alle mosse unilaterali del premier Ariel Sharon: il 30% sostiene che l’organismo presieduto da Arafat dovrebbe sciogliersi « nel nome dell’interesse nazionale » per costringere lo Stato ebraico a farsi carico di tutti i problemi nei territori, dalla sanità all’educazione. Riportare i 3 milioni e mezzo di palestinesi sotto il controllo economico e legale di Israele ( come è stato dal 1967 al 1994) è una delle strategie di risposta che alcuni analisti stanno proponendo: si formerebbe uno Stato con due nazionalità, dove la maggioranza araba chiederebbe prima o poi il diritto di voto. « Sfasciare l’Autorità — spiega Ali Al Gerbawi, docente di Scienze Politiche all’università Bir Zeit — invierebbe agli israeliani il messaggio che noi siamo qui, con tutta la pressione demografica del nostro indice di natalità più alto. Così o ci incorporano o ci concedono un vero e proprio Stato » .
    Imad Shakur, uno dei numerosi consiglieri di Arafat, propone un’altra ricetta: il governo di Abu Ala dovrebbe dimettersi per far nascere una coalizione d’emergenza, che ponga fine all’intifada cominciata nel settembre 2000 smantellando le organizzazioni armate. In un articolo di febbraio su A- Sharq Al Awsat, quotidiano in arabo pubblicato a Londra, Shakur ha dato voce a quella parte di politici e intellettuali palestinesi ( soprattutto membri del Fatah come Sari Nusseibeh) che vogliono arrivare alla creazione di uno Stato arabo democratico e pluralistico: ricordano gli esempi del Giappone e della Germania costrette a smembrare i loro eserciti e poi diventate potenze economiche, parlano di Israele in termini di cooperazione invece che di ostilità.
    Il primo terreno di confronto tra le varie posizioni dovrebbe diventare la Striscia di Gaza, quando gli israeliani si ritireranno nel 2005. I « pragmatici » credono che rappresenti un’occasione ( « un’opportunità » , come l’ha definita il segretario di Stato americano Colin Powell) per dimostrare che i palestinesi sono in grado di gestire e amministrare quei territori dove non c’è più l’occupazione. PalTel, la compagnia di comunicazioni, starebbe già lavorando a un progetto per far arrivare la rete cellulare nell’area agricola di Mussawi, vicino agli insediamenti ebraici, ora sotto il controllo israeliano. Altri piani prevedono lo sviluppo della società elettrica, che avverrebbe con finanziamenti francesi.
    Hamas, anche dopo l’eliminazione dello sceicco Ahmed Yassin e di Abdel Aziz Rantisi, vuole un ruolo politico nella Striscia e sta trattando con Arafat e il Fatah per partecipare alla gestione. Ma alcuni analisti temono che dopo il ritiro israeliano Gaza precipiti nel caos, con scontri tra fazioni per il controllo del potere. Chi si sta preparando al passaggio è Mohammed Dahlan, 42 anni, ex ministro degli Interni nel governo Abu Mazen. Accusato di essere vicino agli americani e agli israeliani, è l’uomo che potrebbe contrastare la forza dei fondamentalisti islamici. Un paio di mesi fa si sarebbe riconciliato con Arafat in una sulha molto pubblicizzata: il leader palestinese si è convinto che per controllare Gaza ha bisogno di lui, di quello che ha chiamato, abbracciandolo, « il figliol prodigo » .

(Corriere della Sera, 25 aprile 2004)





3. GIORNO IN MEMORIA DEI SOLDATI DI TSAHAL




Yom Hazikaron

di Paule-Hélène Szmulewicz

In Israele ci sono molti movimenti giovanili: Bneï Akiva, Ezra, Tsofim, ecc. Quello che voglio raccontare è un episodio che riguarda gli Tsofim (esploratori). Un semplice aneddoto tra le centinaia che riguardano la giornata in memoria dei soldati dell'esercito di difesa d'Israele (Tsahal).

E' stato l'anno scorso.
Quando scese dalla macchina con la sua borraccia, il suo pezzo di carta in mano, tre candele e i fiammiferi nel suo sacco di tela marrone portato a tracolla, avevo il cuore serrato.
Avevamo preso l'autostrada Gerusalemme-Tel Aviv, e all'inizio della discesa eravamo usciti a sinistra, in direzione di Har HaMenuhot (il monte del riposo) di Givat Shaul a Gerusalemme.

Il cimitero di HaMenuhot

Era cominciato tutto il giorno prima, quando m'aveva informato che ogni esploratore (d'età fra i 14 e i 15 anni) aveva per "missione" di recarsi sulla tomba di un soldato che aveva fatto parte del gruppo Massuot degli esploratori.
Dovevano andarci in gruppi di due portando come indicazione, scritta su un pezzo di carta strappato in fretta, il nome del soldato e il posto dov'era sotterrato. Lì avrebbe trovato la famiglia di un soldato che lei non conosceva e avrebbe acceso una candela sulla sua tomba a nome degli esploratori (gli "Tsofim").
L'amica che doveva andare con lei aveva rinunciato. Era troppo duro.
Lei non aveva voluto insistere, e così alle dieci di sera aveva cominciato a fare telefonate per trovare un'altra amica che l'accompagnasse, nonostante sapesse che i gruppi erano già formati.
In effetti, la maggior parte si recava al monte Herzl, dove in generale sono sepolti i soldati. A quel che sembrava, avrebbe dovuto andare da sola sulla tomba del soldato.
Me l'ero presa con i suoi monitori per aver organizzato così male questa importante giornata. Così decisi di telefonare alla sua monitrice per dirle quello che pensavo. Alla fine della conversazione la monitrice sapeva così bene quello che pensavo che esonerò mia figlia dal suo impegno.
Ecco fatto! L'affare è risolto.!...
Non avevo capito niente.
Un israeliano che ha degli impegni non chiede di esserne esonerato.
«Mamma, se io non ci vado non ci sarà nessun esploratore sulle tombe di quei soldati. L'autobus 29 arriva fino lì, lo si prende in città. Andrò in autobus.»
Non avevo più niente da dire.
Il giorno dopo, prima di uscire per andare in ufficio, prendo la decisione:
«Se nessuno può venire con te, ti accompagnerò fino al cimitero, non voglio che tu ci vada da sola».
Così la depongo sulla spianata torridamente assolata di quell'immenso cimitero, una lunga collina color della sabbia, striata da larghe strisce a spalliera dove le persone con le tombe al sole si riposano.
A quattordici anni, sola col suo pezzo di carta in mano, assolutamente decisa a rendere omaggio, si sposta da una fila all'altra fra le tombe.
Buon sangue! E' così che crescono qui i ragazzi.
Cerca per più di mezz'ora: Divisione Beth, fila Nun Guimel, viale Vav. Fa molto caldo, la luminosità è resa intensa dalla pietra chiara di Gerusalemme. Il tempo passa. Alle undici precise la sirena suonerà. Dovrà mettersi sull'attenti e non ha ancora trovato le famiglie dei tre soldati. Adesso si trova vicino a un muretto.
Ore undici.
La sirena:


Quando la sirena finisce riprende il suo cammino, supera il muretto e.... una famiglia è lì. Una sola famiglia è venuta quest'anno.
Tira fuori dal suo sacco le tre candele.
I tre soldati che riposano sono soldati caduti diciotto anni fa. Le indicazioni sul foglio di carta, la divisione, il viale, è tutto sbagliato, ma una famiglia sta proprio lì e accoglie mia figlia come se la conoscessero da sempre.
La madre della soldatessa si aspetta ogni anno di veder arrivare un adolescente in uniforme da esploratore. Rassicurata dal vedere che la tradizione del gruppo Massuot degli esploratori di Gerusalemme continua, rassicurata dal vedere che i giovani rendono omaggio a famiglie e a soldati che nemmeno conoscono, dice con calore:
«Grazie... grazie di essere venuta... Ti aspettavamo.»

(Guysen Israël News - trad. www.ilvangelo-israele.it)





4. PER IL 56° ANNIVERSARIO DELL'INDIPENDENZA




Un testo del 1948 di David Ben Gurion
 
Il 14 maggio 1948, David Ben Gurion proclamò la fondazione dello Stato d'Israele. Il giorno seguente, gli Stati Arabi confinanti dichiararono guerra al neonato stato ebraico. In una drammatica trasmissione radiofonica, David Ben Gurion si rivolse alla Nazione. Oggi, in occasione del 56° Anniversario dell'Indipendenza d'Israele, Keren Hayesod presenta la versione completa di tale discorso, che alle volte suona ancora così attuale.
 

Messaggio trasmesso alla Nazione dal Primo Ministro
David Ben Gurion, Sabato, 15 maggio 1948
 
L'invasione araba è cominciata e Israele ha già presentato una protesta al Consiglio di Sicurezza.
 
Qualcosa di unico è accaduto ieri in Israele e solo le generazioni future saranno in grado di valutare il significato storico di tale evento. Dipende ora da tutti noi, che agiamo per un senso di fratellanza ebraica, dedicare ogni grammo della nostra forza alla costruzione ed alla difesa dello Stato d'Israele, che ha ancora davanti a sé una lotta politica e militare di proporzioni titaniche.
    Non è questo il momento di vantarsi. Qualsiasi cosa abbiamo raggiunto è il risultato degli sforzi della generazioni che ci hanno preceduto, non meno che dei nostri. E' anche il risultato di un'invincibile fedeltà al nostro prezioso retaggio, il retaggio di una piccola nazione che ha molto sofferto, ma che, contemporaneamente, ha conquistato per se stessa un posto nella storia dell'umanità, grazie al suo spirito, alla sua fede ed alla sua visione del futuro.
    In questo momento, rammentiamo con stima e affetto le tre generazioni di pionieri e difensori, che hanno spianato la strada alle conquiste successive, gli uomini che hanno creato Mikvé Israel, Petah Tikvà, Rishon Le-Zion, Zikhron Ya'akov e Rosh Pinnà, come quelli che più di recente hanno fondato gli insediamenti nel deserto del Negev e sulle colline della Galilea; i fondatori dell'Hashomer e della Legione Ebraica e gli uomini che sono impegnati in questo momento in una fiera battaglia da Dan a Beer Sheva. Molti di coloro di cui ho parlato non sono più fra noi, ma la loro memoria rimarrà per sempre nei nostri cuori e nel cuore del Popolo Ebraico.
    Ricorderò solo un grande personaggio, fra coloro che sono ancora con noi: che occupi o meno una posizione ufficiale, che accettiamo o meno le sue idee, egli rimane la nostra figura-guida; non vi è un'altra persona singola che abbia contribuito così tanto alle conquiste ottenute dal Movimento Sionista nell'ambito politico e dell'insediamento. Mi riferisco, ovviamente, al Dott. Chaim Weizmann.
    Lo Stato d'Israele è stato fondato ieri ed il suo governo provvisorio si è già rivolto alle nazioni del mondo, grandi e piccole, ad est e ad ovest, annunciando la sua esistenza ed il suo desiderio di collaborare con le Nazioni Unite, nell'interesse della pace e del progresso internazionale. Abbiamo ricevuto rapporti ufficiosi che diversi paesi hanno riconosciuto lo Stato d'Israele. Il primo riconoscimento ufficiale è venuto dal governo degli Stati Uniti d'America. Ci auguriamo che altre nazioni, ad est e ad ovest, presto ne seguiranno l'esempio. A questo proposito, siamo in contatto con tutti i membri della Nazioni Unite e con le Nazioni Unite stesse.
    Non dobbiamo tuttavia illuderci, pensando che un riconoscimento diplomatico formale risolva tutti i nostri problemi. Abbiamo un cammino lungo e spinoso davanti a noi. Il giorno dopo la fondazione dello Stato d'Israele, Tel Aviv è stata bombardata dagli aerei egiziani. I nostri cannonieri hanno abbattuto uno degli aerei. Il pilota è stato fatto prigioniero e l'aeroplano aggiunto alla nostra novella Aviazione. Abbiamo inoltre ricevuto rapporti che il nostro paese è stato invaso dal nord, dall'est e dal sud dagli eserciti regolari degli Stati Arabi confinanti. Ci troviamo di fronte a tempi difficili e gravidi di pericoli. Il Governo Provvisorio ha già protestato presso il Consiglio di Sicurezza per l'aggressione commessa da membri delle Nazioni Unite e dall'Alleata della Gran Bretagna, la Trans-Giordania. E' inconcepibile che il Consiglio di Sicurezza ignori queste azioni gratuite, che violano la pace, la legge internazionale e le risoluzioni dell'ONU. Non dobbiamo però dimenticare che la nostra sicurezza dipende, in fin dei conti, dalla nostra propria potenza.
    E' responsabilità di ciascuno di noi e di ogni organismo municipale, di prendere le misure difensive appropriate, quali la costruzione di rifugi anti-aerei, lo scavo di trincee, ecc. Dobbiamo soprattutto concentrarci sulla costituzione di una forza militare d'assalto, in grado di respingere e distruggere le forze nemiche, ovunque esse si trovino.
    Infine, dobbiamo prepararci a ricevere i nostri fratelli dai più lontani angoli della Diaspora: dai campi di Cipro, della Germania e dell'Austria, come da altri paesi, a cui è arrivato il messaggio di liberazione. Li riceveremo a braccia aperte e li aiuteremo a mettere radici qui, nel suolo della Madrepatria. Lo Stato d'Israele chiama ognuno a compiere fedelmente il proprio dovere nella difesa, nella costruzione e nell'integrazione degli immigranti. Solo in questo modo potremo dimostrarci degni di questa ora.
 
Fonte: "Israel Foreign Relations, Selected Documents, 1947-1974, Ministero degli Affari Esteri, volume 1, Gerusalemme 1976, pagg. 138-139)

(Keren Hayesod, 26 aprile 2004)





5. NON VIOLENZA E PROCESSO DI PACE SUI MEDIA PALESTINESI




Nelle ultime tre settimane hanno trovato riscontro sulla stampa palestinese due questioni che sono state al centro della politica palestinese. La prima era un comunicato fatto da personaggi palestinesi, fra cui il preside dell’Università Al Quds, Sari Nusseibeh, l’ex-ministro palestinese Hanan Ashrawi e Yasser Abed Rabbo e membri di Al Fatah, che invitavano a un’Intifada non violenta, e un contro-comunicato, emesso dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa di Fatah, che condannava il precedente annuncio indicandolo come un’ulteriore iniziativa di capitolazione al servizio dell’ occupante.

La seconda questione era un discorso tenuto dal Primo Ministro dell’Autorità Palestinese (AP) Ahmad Qurei’ (Abu Alaa) in occasione della presentazione del rapporto trimestrale sulla sua attività di governo al Consiglio Legislativo Palestinese. Nel suo discorso Abu Alaa ha affrontato questioni centrali quali il rifiuto di attacchi a civili israeliani, la dichiarazione di adesione al processo di pace, un’autorevole benedizione al possibile disimpegno israeliano a Gaza, e le condizioni di pace con Israele, ivi compresa una soluzione del problema dei profughi secondo la Risoluzione 194 dell’assemblea generale delle Nazioni

prosegue ->
Unite, nonché l’affermazione dell’assoluto rifiuto dell’anarchia che domina nei territori dell’Autorità Palestinese. Seguono brani del comunicato e di quello di risposta, e passi del discorso di Ahmad Qurei’:


Appello per un’Intifada non violenta

Il 27 marzo 2004 più di 100 palestinesi, fra cui personaggi pubblici e membri di Al Fatah, hanno pubblicato sul quotidiano dell’AP Al Ayyam un annuncio che richiamava i palestinesi a far rinascere un’Intifada popolare e non violenta, anche se veniva condannato l’assassinio del leader di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, avvenuto cinque giorni prima.

Questo annuncio fu dapprima pubblicato sullo stesso giornale il 25 marzo, con 70 firme, mentre la seconda volta le firme erano diventate 155: (1)

“Noi sottoscritti, figli del popolo palestinese, di varia origine politica, ideologica e sociale, che sono uniti nella loro battaglia e determinazione, condannano la manifesta aggressione israeliana contro il nostro popolo che si è resa evidente qualche giorno fa col criminale e infame gesto compiuto da Sharon e dalla sua destra estrema che ha portato al martirio del leader sceicco Ahmed Yassin e dei suoi compagni che si battono per la libertà.”

“Anche se insistiamo sui diritti del nostro popolo, che son stati ribaditi in tutti i trattati internazionali, e sul nostro diritto a servirci di tutti i mezzi per difendere il nostro popolo, anche se scoppiamo di dolore per la terribile tragedia, noi facciamo appello ai figli del nostro popolo su tutto il territorio perché facciano quello che suggerisce l’interesse nazionale: Togliere l’iniziativa dalle mani della banda criminale degli occupanti, contenere la rabbia, e dar vita di nuovo a un’Intifada popolare non violenta, di ampia portata, con chiari fini e un sano messaggio, che sia promossa e condotta dal nostro popolo combattente per la libertà.”

“Con questa Intifada Sharon perderà l’occasione di completare l’aggressione contro il nostro popolo e i luoghi santi con gli ultimi ritocchi del suo piano di sicurezza”.

“Mentre facciamo appello per fare di questa Intifada di unità un passo verso il risveglio a un’attività popolare, risoluta e disciplinata, con un chiaro programma e risultato politico atteso, noi ribadiamo il nostro impegno per le nostre richieste giuste e legittime e per i nostri diritti. Facciamo appello all’unificazione dei ranghi basata sull’unità nazionale e su una leadership unita che faccia resistenza all’occupazione.”

“Diciamo basta alle criminali operazioni di morte. Basta con lo spargimento di sangue. Basta all’occupazione.”

Fra gli altri firmatari dell’appello:
Il preside dell’Università Al Quds Sari Nesseibeh
L’ex ministro dell’AP Yasser Abed Rabbo
Il ministro per gli affari femminili dell’AP Zuheira Kamal
Abbas Zak, membro del comitato esecutivo di Al Fatah
Il ministro delle comunicazioni e tecnologia dell’AP ‘Azzam Al Ahmad.


Assolutamente contrari’ all’Intifada non violenta

In risposta all’annuncio del 25 marzo 2004 che invitava a un’Intifada popolare, non violenta, le Brigate dei Martiri di Al Aqsa di Al Fatah pubblicarono il loro opposto comunicato sul quotidiano dell’Autorità Palestinese Al Hayat Al Jadida, il 28 marzo 2004: (2)

“L’invito a fermare l’Intifada e la lotta armata, sotto il debole slogan di ‘Intifada non violenta’, nel quadro dell’iniziativa di resa pubblicato da un gruppo che ha aperto un negozio di iniziative, proposte e inviti alla pace e alla capitolazione, cominciava con una concessione sul diritto al ritorno e terminava con un richiamo a cessare la resistenza.”

“Le Brigate dei Martiri di Al Aqsa si oppongono nel modo più assoluto all’invito di Sari Nusseibeh e alla Campagna del popolo per la pace e la democrazia, perché esso riflette una scelta che indebolisce la posizione palestinese e serve all’occupazione.”

“Le Brigate esortano il pubblico palestinese a unirsi all’Intifada popolare e alle sue attività, e la vedono [l’Intifada] come una questione vitale che integra le altre forme di resistenza e di lotta. Proprio come le marce e le dimostrazioni nella battaglia contro il muro razzista sono state vitali, così la lotta armata ha fatto perdere al nemico la sua sicurezza e stabilità e lo ha danneggiato sul piano morale ed economico… Una vera Intifada è una combinazione creativa di entrambe le scelte.”

“Le Brigate dei Martiri di Al Aqsa condannano l’inclusione di nomi di combattenti [noti] per il loro glorioso passato in carcere e fuori dal carcere fra i firmatari del comunicato [pro Intifada non violenta]. Similmente condannano la pubblicazione di questo problema sui media, invece di aver aperto un dialogo con tutte le organizzazioni e le fazioni, con lo scopo di convincere i loro, il che ha prodotto invece - con la diffusione a mezzo stampa - confusione in campo nazionale.”


Abu Alaa: Accogliamo con favore il ritiro da Gaza, ma pretendiamo anche la Cisgiordania, Gerusalemme e il diritto al ritorno dei rifugiati

Il 31 Marzo 2004, il primo ministro dell’Autorità palestinese Ahmad Qurei' (Abu Alaa) ha presentato la relazione trimestrale sull’attività del suo governo al Consiglio legislativo palestinese. Qui di seguito i punti salienti della relazione: (3)


Condannare gli attacchi suicidi, cercare di riesumare i colloqui di pace

"Noi crediamo che il sangue del [leader di Hamas], lo sceicco Yassin, non sia stato versato invano… La lotta contro i crimini dell’occupazione è stata danneggiata dalle operazioni contro civili israeliani. Queste [operazioni] sono servite come pretesto per la continuazione dell’aggressione [israeliana]. Le abbiamo condannate, e dobbiamo opporci moralmente ad esse. Sottolineiamo ancora una volta la nostra opposizione a queste [operazioni] da questa piattaforma, poiché esse danneggiano l’immagine della lotta nazionale [palestinese], e creano confusione e malintesi nella comunità internazionale. Queste operazioni ci danneggiano economicamente, e sono un pretesto per il governo israeliano per continuare gli insediamenti e la costruzione della barriera.”

"L’opposizione alle operazioni [contro civili israeliani] dipende non solo dal fatto che esse sono contrarie all’opzione della Road Map, ma anche perché contribuiscono ad accrescere l’odio, l’inimicizia, e la mancanza di fiducia…e indeboliscono il campo della pace.”

"Nonostante il grave danno causatoci a partire dal 28 Settembre 2000, che continua fino a questo momento, la nostra ferma convinzione e la nostra determinazione rispetto alla necessità di tornare ai negoziati non si è indebolita. La nostra mano è ancora tesa verso una pace giusta basata sulle risoluzioni dell’ONU … Crediamo ancora che i negoziati siano il modo migliore per raggiungere i nostri obiettivi e per fermare lo spargimento di sangue."


La barriera

"Il Governo palestinese ha posto la lotta contro la barriera di annessione come sua massima priorità, sapendo che il proseguimento della sua costruzione avrà conseguenze estremamente gravi per tutto ciò che attiene alla causa palestinese… Si tratta del più grande furto di terre palestinesi. Il completamento della costruzione della barriera potrebbe impedire la creazione di uno stato palestinese e far precipitare le probabilità di raggiungere una soluzione permanente …”

"Nella sua lotta contro la barriera e gli insediamenti, il governo palestinese ha attribuito speciale importanza alla lotta contro i piani israeliani per isolare e giudaizzare Gerusalemme…Uno speciale comitato ministeriale è stato preposto a monitorare le questioni riguardanti Gerusalemme."


'In linea di principio, accogliamo con favore il ritiro di Israele da ogni granello di suolo della terra palestinese’

"'In linea di principio, accogliamo con favore il ritiro di Israele da ogni granello di suolo della terra palestinese, e questa è la nostra posizione riguardo al ritiro da Gaza. Ma affinché [il ritiro] abbia un valore reale, occorre ridare vita al processo di pace, e perché ciò avvenga occorre che sia completato il ritiro israeliano dalla Cisgiordania … Analogamente, i coloni che vivono a Gaza devono essere trasferiti in Israele.”

"Inoltre, Israele deve ritirarsi dai punti di valico e dai confini internazionali, in particolare dal confine con l’Egitto, e deve rimuovere il blocco marittimo dalla costa di Gaza. Il controllo deve essere trasferito all’Autorità Palestinese in modo ordinato, e in presenza di osservatori internazionali … Questo passo non deve sostituire la Road Map o la visione di Bush riguardo a uno Stato palestinese..”

"Israele non riceverà nulla in cambio di questo passo unilaterale, come ad esempio il trasferimento di coloni da Gaza agli insediamenti della Cisgiordania, legittimazione degli insediamenti della Cisgiordania, l’indulgenza riguardo alla barriera di separazione razzista o riguardo a qualunque minaccia [israeliana] ai diritti palestinesi internazionalmente riconosciuti, riguardo alle questioni di Gerusalemme e dei rifugiati…”

"Avvertiamo il governo israeliano e gli organismi internazionali che qualsiasi piano, proposta o soluzione che non sia coordinata con la parte palestinese non sarà vincolante per i palestinesi.”

"Sappiamo che nessuna delle circostanze intorno a noi fa pensare che il governo israeliano sia serio o voglia veramente porre fine alle ostilità o al ciclo di violenza. Inoltre, riteniamo che sarebbe un miracolo se il piano ambiguo del governo israeliano ci portasse sulla strada dei negoziati e di un processo di pace.”

"Ciononostante, al fine di prevenire lo spargimento di sangue e di fermare la distruzione, non chiuderemo la porta ad alcuna scintilla di speranza che possa aiutarci a questi fini. La proposta di ritiro da Gaza è un’opportunità, e dobbiamo cooperare tutti al fine di utilizzarla con saggezza e coraggio … Allora si tratterà di un passo sulla strada della realizzazione dei legittimi diritti nazionali palestinesi, già riconosciuti nell’arena internazionale. Ma questo passo rischia anche di essere una trappola; dobbiamo dunque fare tutti attenzione e cooperare al fine di non cadervi. …”

"Abbiamo istituito uno speciale comitato ministeriale che controllerà giornalmente i piani israeliani per Gaza, e agiremo al fine di indire un comitato nazionale accanto ad esso …."


Le condizioni palestinesi per la pace

"Non siamo contrari a contatti e riunioni con il Primo Ministro d’Israele o altre squadre di negoziatori, ma abbiamo voluto una buona preparazione per questa volta mediante riunioni preliminari per garantire che i contatti rimangano nel contesto delle risoluzioni dell’ONU, gli accordi firmati e la Road Map nel percorso per porre termine all’occupazione, e tutti sono fonte di autorità per il processo di pace …”

"Non ci arrenderemo all’uso della forza, ai dictat ed allo stato di fatto sul campo determinato [da Israele]. La pace non verrà instaurata se non con il ritiro israeliano da tutte le aree occupate nel 1967 inclusa Gerusalemme; la costituzione di uno stato palestinese la cui capitale sia Gerusalemme a fianco dello Stato di Israele; ed una soluzione del problema dei rifugiati sulla base della Risoluzione 194.”

"Il governo palestinese non ha interrotto i suoi contatti con elementi e partiti in Israele, e ha permesso un certo numero di incontri a diversi livelli e in diversi luoghi per rafforzare l’opzione di pace e per costruire migliori relazioni con elementi israeliani che credono nella pace. Il governo palestinese darà il benvenuto ad ogni sforzo, attività o dialogo di figure non ufficiali o istituzioni civili di ambo le parti, particolarmente rappresentanti dello schieramento pacifista, purché siano impegnati nel programma dell’ OLP e nelle risoluzioni ONU …"


Anarchia nell’Autorità Palestinese

"Il governo palestinese continuerà a dialogare [con le fazioni palestinesi] per stabilizzare il contesto nazionale e per mettere in atto ogni sforzo per affrontare la situazione [attuale] di anarchia, assenza di sicurezza e debolezza di applicazione della legge e dell’ordine pubblico. Questa situazione è diventata un grave pericolo che minaccia la nostra costituzione nazionale dalle fondamenta. L’esitazione ad affrontare l’anarchia è più grave del danno causato dell’anarchia stessa e può verosimilmente portare al collasso dell’ Autorità Nazionale [Palestinese]. Danneggia la credibilità delle fonti nazionali dell’autorità e apre la strada alla sconfitta nell’arena nazionale.”

"Non dobbiamo mischiare la lotta contro l’occupazione con l’anarchia nella sicurezza [nazionale]. Non dobbiamo accettare che affrontare quest’anarchia e la perdita del controllo della sicurezza porti alla guerra civile. E’ venuto il momento di operare con tutta la nostra forza per allontanare la nostra gente da una situazione di sottomissione alla peggior [situazione]: [quella di] confondere la resistenza legittima all’occupazione con l’anarchico uso delle armi.”

"Noi, come guida nazionale, abbiamo la responsabilità di porre termine a questo fenomeno… Abbiamo messo in atto una serie di misure per riorganizzare gli apparati di sicurezza… ma i risultati sono molto limitati e questo si deve a ragioni oggettive e soggettive connesse alla perdita di controllo e ai conflitti tra gli apparati ed i loro leader… Il governo [palestinese] è determinato a realizzare sicurezza, rispetto della legge, ordine pubblico e salvaguardia dei diritti dei residenti [palestinesi].”

"Quindi, il completamento delle riforme della sicurezza e lo sviluppo degli apparati di sicurezza palestinesi sono le questioni più importanti, e devono essere trattate immediatamente e con decisione, per permettere a questi apparati di compiere la loro funzione; di ottenere la sicurezza e l’ordine pubblico; di rafforzare l’Autorità Giudiziaria; di assicurare il rispetto della legge e di fermare l’anarchia… E’ necessario dare chiare istruzioni agli apparati di sicurezza e definire la loro fonte di autorità con tutta trasparenza e responsabilità."

Note:
(1) Al-Ayyam (PA), 25 marzo 2004.
(2) Al-Hayat Al-Jadida (PA), 28 marzo 2004.
(3) Al-Ayyam (PA), 1 aprile 2004.

(The Middle East Media Research Institute, 27.04.2004)





6. DIMOSTRAZIONE DI MASSA CONTRO IL PIANO DI SHARON




Nel Giorno dell'Indipendenza più di 70.000 israeliani sono andati negli insediamenti di Gush Katif, nella striscia di Gaza, per esprimere la loro solidarietà ai coloni ebrei. Migliaia di altri israeliani sono rimasti in coda davanti alla striscia di Gaza e hanno fatto picnic sul posto. Solo in Gush Katif vivono 8.000 ebrei. Sul luogo si è tenuta una manifestazione in cui ha parlato, tra gli altri, Nathan Sharanski (ministro senza portafoglio del Likud), il quale ha detto che ogni persona che voterà per il piano di evacuazione deve sapere che si rende responsabile della sicurezza dei soldati che dovrebbero compiere l'evacuazione. Inoltre Sharanski ha detto che si deve far di

Israeliani in marcia di solidarietà con i coloni di Gush Katif

tutto affinché alla fine i membri del Likud votino contro il piano di Sharon. Zwi Hendel, deputato del Partito nazionale religioso e abitante di Gush Katif, ha fatto notare che le migliaia di visitatori sono un chiaro messaggio per Sharon. Effi Eitam, Ministro dell'Edilizia, li ha definiti "un ponte di uomini". Nel frattempo la cosa diventa sempre più difficile per il referendum di Sharon, perché sempre più membri del Likud manifestano l'intenzione di votare contro il piano di evacuazione di 20 insediamenti ebraici nella striscia di Gaza ((Notizie su Israele 224, 227).

(NAI-Stimme aus Jerusalem, 28.04.2004)





7. GIUSTIZIA ALLA PALESTINESE




Nei Territori è caccia ai «collaborazionisti»

di Graziano Motta

La festa dell’indipendenza ieri in Israele, oltre a essere stata segnata da numerosi episodi di violenza nei Territori palestinesi, non poteva non caricarsi di motivazioni politiche essendo vicino il referendum dei 200mila iscritti al Likud, fissato per il 2 maggio, sul piano di ritiro unilaterale di soldati e coloni da Gaza, proposto dal leader e primo ministro Ariel Sharon.
     A testimoniare le laceranti divisioni interne, da una parte si è sentito Sharon accreditare il suo progetto a Gerusalemme dinanzi al capo dello Stato (che riceveva i più alti ufficiali delle forze armate) definendolo una «eccezionale occasione» di procedere verso la pace e impegnandosi a «veri sforzi per instaurarla». E, d’altra parte si sono visti affluire nella Striscia di Gaza, per testimoniare solidarietà ai coloni del Gush Qativ, migliaia di oppositori al progetto guidati da parecchi ministri e deputati: oratore principale il ministro Nathan Sharansky.
     A Gaza ha fatto invece sensazione quanto accaduto l’altra sera vicino al confine: un kamikaze di Hamas si è fatto saltare uccidendo altri due palestinesi che cercavano di dissuaderlo a passare in Israele per compiervi un attentato. Un comunicato del movimento estremista ha subito definito i due che si sono opposti come «collaborazionisti», mentre l’attentatore, che si chiamava Aghmed al Bata e aveva 23 anni è stato dichiarato «eroe». Domenica un altro «collaborazionista» era stato ucciso in maniera selvaggia a Ramallah da esponenti delle Brigate di al-Aqsa, il gruppo fedele ad Arafat: rapito e trascinato in una moschea era stato costretto ad autoaccusarsi dinanzi agli altoparlanti collegati con l’esterno; poi trasferito in un campo era stato crivellato di proiettili.
     Sempre domenica a Jenin e sabato a Tulkarem ancora esponenti di al-Aqsa avevano proceduto all’esecuzione di due altri palestinesi «collaborazionisti». Il tutto si inserirebbe nel contesto di una campagna di vendette promossa per reagire alle informazioni date da gran numero di palestinesi ai servizi segreti israeliani per eliminare i capi della rivolta. C’è chi sostiene che sarebbero duemila, stipendiati ogni mese, soltanto nella Striscia di Gaza ove appunto sono stati uccisi i leader di Hamas Yassin e Rantisi.
     Sempre a Gaza ieri soldati israeliani hanno ucciso in conflitto due guerriglieri palestinesi e ne hanno ferito tre che si apprestavano a lanciare missili contro il territorio nazionale. A Tulkarem altri soldati, appoggiati da carri armati, hanno ucciso due esponenti di Hamas, Amzet Datem 25 annui, e Amzet Amara di 21.
     Un loro compagno rimasto ferito è stato catturato nel locale ospedale e trasferito in Israele, Nell’ospedale di Ramallah è morto invece un ragazzo di 14 anni ferito dieci giorni fa in un’operazione israeliana in un vicino villaggio.

(Avvenire, 28.04.2004 - da Informazione Corretta)





8. MUSICA E IMMAGINI




Sigalyot




9. INDIRIZZI INTERNET




One Family Fund

JTA - Global Jewish News




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