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Notizie agosto 2013


Il governo egiziano accusa Hamas di aver arrestato connazionali a Gaza

IL CAIRO, 31 ago. - Tensione di nuovo altissima tra il governo dell'Egitto e Hamas: il ministero degli Esteri del Cairo ha accusato infatti il gruppo radicale palestinese, che controlla la Striscia di Gaza, di aver ordinato alle proprie forze di sicurezza di fare irruzione in un centro culturale egiziano operante nel capoluogo dell'enclave, operazione conclusasi con l'arresto di numerosi connazionali. "Condanniamo e denunciamo con forza questo atto irresponsabile", recita una nota emessa dal dicastero, "e reclamiamo il rilascio dei cittadini egiziani arrestati". Nel comunicato si ribadisce pieno appoggio alla causa palestinese, ma si avverte che l'abuso commesso ad Hamas non sara' "perdonato". Dopo il colpo di stato militare che il 3 luglio scorso porto' alla destituzione dell'allora presidente, l'islamista Mohamed Morsi, si sono drasticamente deteriorati i rapporti tra le nuove autorita' egiziane appoggiate dalle Forze Armate e il Movimento di Resistenza Islamico, che appoggerebbe i Fratelli Musulmani e i loro alleati contro l'attuale regime.

(AGI, 31 agosto 2013)


Mondiali di judo: trionfo dell'israeliana Yerden Gerbi


(euronews, 31 agosto 2013)


«Lech Lechà» all'epilogo. Oggi, a Trani, ritorna la «Notte dell'ebraismo»

Il rinnovato successo di Lech Lechà, quest'anno alla sua seconda edizione, conferma l'interesse diffuso da parte del pubblico nei confronti della cultura ebraica riscoperta come una parte importante della nostra identità. Nel corso della settimana, ormai giunta a conclusione, il desiderio di conoscere e di approfondire ha animato l'iniziativa di quanti sono intervenuti alle decine di conferenze, presentazioni di libri, visite guidate, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche, corsi di lingua ebraica e di studio dei testi sacri dell'ebraismo, momenti conviviali, che hanno arricchito il fitto cartellone 2013.
  Grande interesse hanno suscitato soprattutto gli appuntamenti dedicati al dialogo fra Ebraismo ed Islam, con l'incontro fra il rabbino capo di Napoli Scialom Bahbout e l'imam Yahia Pallavicini, oppure quelli incentrati intorno al tema delicato della Giustizia e dei suoi rapporti con la misericordia verso il prossimo o con il coraggioso esercizio della disobbedienza civile, che hanno avuto protagonisti prestigiosi come il giudice Ferdinando Imposimato e il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni.
  La settimana di Arte, Cultura e Letteratura Ebraica si conclude con la giornata di oggi (31 agosto), fra i momenti spirituali e conviviali dello Shabbath, un'ultima lezione sulla tradizione sapienziale della Cabalà tenuta da Daniel Eldar e la Notte dell'Ebraismo Tranese che porterà a riscoprire il fascino della Giudecca di Trani, l'antico quartiere ebraico della cittadina adriatica che storicamente ha svolto un ruolo di primo piano per gli ebrei del Meridione e non solo: la Promenade su Via La Giudea sarà seguita da una serata di canti e danze ebraiche a cui tutti potranno liberamente partecipare, magari concludendo in allegria con la grigliata di carne kasher servita presso il ristorante Il Marchese del Brillo.
  Lech Lechà è promossa dall'Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, dalla Comunità Ebraica di Napoli e dal Comune di Trani, nonché patrocinata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dai Comuni di Barletta, Brindisi, Manfredonia, San Nicandro Garganico e Sogliano Cavour. Direttore artistico: Francesco Lotoro.

(il Giornale di Trani, 31 agosto 2013)


Torino - "Boicottate l'israeliano". Presidio contro la star

La Comunità Ebraica: a Torino cresce l'antisemitismo

di Massimo Numa

Tutti i manifesti del cantante Asaf Avidan sono stati sfregiati
con scritte anti-Israele o strappati
Mancano due giorni al concerto di Asaf Avidan alle Gru, uno dei più attesi della stagione estiva, e salgono le polemiche di chi, ogni volta che sale sul palco un artista che viene da Israele, cerca di impedire lo spettacolo. Così fioccano le minacce via web e i manifesti in giro per la città vengono riempiti di scritte.

- «Chiesta protezione»
  I responsabili delle Gru si sono messi in contatto con polizia e carabinieri, dopo avere ricevuto telefonate e mail in cui alcuni appartenenti ad aree antagoniste antisemite e antisioniste chiedono perentoriamente l'annullamento del concerto. «Abbiamo semplicemente chiesto alle forze dell'ordine un loro parere sulla situazione che si stava delineando, ci sarà una maggiore presenza, più mirata, così ci hanno assicurato ma le non c'è nessuna intenzione di cedere a questo tipo di pressione», spiega Alessandra Conte, per conto della direzione delle Gru.

- Accuse al cantante
  Slogan: «Boycott Israel, boycott Asaf Avidan». Segue un lungo documento diffuso maniacalmente su tutti i siti dell'area antagonista: «Da anni è in atto una campagna internazionale di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni nei confronti dello Stato di Israele, con l'obiettivo di porre termine a un'oppressione del popolo palestinese che dura ormai da troppi decenni». Poi un velenoso attacco al cantante di origine araba-isreaeliana: «Dopo aver vissuto a Gerusalemme, che definisce "malinconica, dove i tumulti sono all'ordine del giorno", forse a causa, pensiamo, dell'occupazione e degli espropri illegali ai danni dei cittadini palestinesi, si è trasferito a Tel Aviv, città "dinamica, con un'effervescente vita giovanile", dove è più facile praticare lo sport nazionale israeliano: voltar la testa da un'altra parte di fronte ai soprusi e coltivare la propria "visione interiore"».
Ancora: « Noi ci auguriamo che ci sia un ripensamento da parte sua, che si schieri a favore del boicottaggio di Israele seguendo l'insegnamento dell'arcivescovo sudafricano anti-apartheid Desmond Tutu: "Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia ti sei schierato dalla parte dell'oppressore"».

- Presidio di protesta
  Gli attivisti di Boycott Israel si rivolgono direttamente ai responsabili de Le Gru: «Non possiamo che rivolgere l'invito a "non schierarsi dalla parte dell'oppressore" anche agli organizzatori del GruVillage Festival, ai quali chiediamo di esprimersi e di agire affinchè il concerto di Asaf Avidan venga annullato». Firma il Collettivo Boycott Israel - per uno stato unico.
Nel tono e nei concetti emerge un confuso ma chiaro connotato antisemita. Decine i manifesti del cantante sfregiati con scritte anti-Israele e o strappati, da San Salvario a Porta Palazzo. «A Torino se ne parla poco - dice il vice presidente della Comunità Ebraica Emanuel Segre Amar - ma i fenomeni di antisemitismo sono sempre più frequenti».

(La Stampa, 31 agosto 2013)


"Spesso si sentono insulti vicino alla Sinagoga"

Il vicepresidente della Comunità ebraica: «Il problema va risolto nelle scuole»

di Letizia Tortello

Domande a Emanuel Segre Amar, vicepresidente della Comunità ebraica.

- Torino non ha l'aria di essere città antisemita. Queste scritte sono fenomeni isolati?
  «Torino non sembra esserlo, ma è apparenza. Se ne parla poco, ma fenomeni non troppo pubblicizzati in cui amici della comunità sono stati apostrofati in quanto ebrei attorno alla sinagoga accadono di frequente. Non solo in San Salvario. Non ultimo, il rabbino Somek, è stato insultato mentre si recava a una conferenza a Ivrea. Le statistiche dicono che il clima antisemita si sta diffondendo in tutta Europa. E' un problema che cova sotto traccia in molte città d'Italia, e Torino non si distingue di certo in meglio».

- Da chi arrivano questi attacchi?
  «Oggi, accanto all'antisemitismo storico dell'estrema destra, c'è una forma che si presenta come antisionismo dall'ultrasinistra. E' altrettanto forte e i gruppi sono numerosi. Siamo a rischio, è inutile nasconderlo. E' significativo il fatto che lo Stato italiano debba spendere per avere tre uomini fissi vicino alla Sinagoga. Facciamo i salti mortali per proteggere l'uscita da scuola dei bambini in via Sant'Anselmo».

- Stupisce che l'obiettivo, stavolta, sia un artista famosissimo, che viene a Torino per un concerto, un'occasione di festa. Come si contrastano questi fenomeni?
  «È un problema di formazione culturale, un discorso che non si gestisce a dovere nelle scuole. Non sono stupito. E' notizia di ieri, sul sito Israelnetz, che un cantante celebre, Salif Keita, ha dovuto rinunciare alla data in Israele, perché gli hanno fatto capire che la sua carriera sarebbe stata bruciata. L'odio di chi vuole boicottare e insultare non guarda in faccia nessuno».

(La Stampa, 31 agosto 2013)


In merito a questo articolo di Letizia Tortello, pubblicato oggi su "La Stampa", Emanuel Segre Amar ci ha fatto gentilmente sapere di essere stato interrogato dalla giornalista su generiche "scritte antisemite apparse sui manifesti di un concerto che si terrà a Torino", senza ulteriori precisazioni. In senso generale Segre ha espresso allora considerazioni su fatti e atteggiamenti antisemiti emersi più volte in città, ma senza riferirsi in modo esplicito al concerto di Asaf Avidan. Segre precisa quindi di non aver parlato col giornalista Massimo Numa, autore del precedente articolo sul concerto, e quindi di lasciare a lui la responsabilità delle sue valutazioni. Per inciso fa anche notare che il cantante non è arabo-israeliano, ma è un israeliano ebreo, il cui padre è stato anche ambasciatore di Israele in America Latina. Uno dei tanti esempi di scarsa e superficiale conoscenza di troppi giornalisti, soprattutto quando parlano di Israele. M.C.


Israele: l'esercito è più forte che mai

Discorso del premier Netanyahu ai membri dello Stato maggiore

TEL AVIV, 30 ago - "Tsahal (acronimo delle forze armate israeliane) e' piu' forte che mai": lo ha affermato il premier israeliano Benyamin Netanyahu incontrando, sullo sfondo della crisi siriana, i membri dello Stato maggiore dell'esercito nel brindisi tradizionale per il Capodanno ebraico che si celebra da mercoledì. "Conto su di voi" ha aggiunto Netanyahu, che aveva al suo fianco il ministro della difesa Moshe Yaalon e il capo di stato maggiore, gen. Benny Gantz.

(ANSA, 30 agosto 2013)


Le tre preoccupazioni di Israele sulla Siria. Parla Ottolenghi

di Rossana Miranda

Tel Aviv non c'entra con la vicenda siriana, ma non può considerarsi immune da un conflitto che si combatte a propri chilometri da casa. L'analisi di Emanuele Ottolenghi, senior fellow della Foundation for Defense of Democracies, in una conversazione con Formiche.net.
"Sbagliano quelli che cercano di accostare la vicenda siriana al tormentato processo di pace tra Israele e Palestina. Sebbene la vicinanza geografica potrebbe essere un esplosivo filo conduttore, Israele non gioca nessun ruolo nella risoluzione, sia politica o armata, della guerra in Siria".
In un'intervista con Formiche.net, Emanuele Ottolenghi, senior fellow della Foundation for Defense of Democracies, sostiene che Israele non c'entra con la vicenda siriana. "Israele ha solo tre preoccupazioni riguardo al conflitto: primo, che la Siria non trasferisca armi (sia convenzionali che non) a Hezbollah; che le parti nel conflitto siriano non cerchino di trascinare Israele lanciando attacchi sul Golan o dal sud del Libano; e che non si crei un vuoto che poi venga sfruttato da forze radicali come al-Qaeda, come sta accadendo nel Sinai", ritiene l'esperto.
Ma questa mancanza di partecipazione non significa che Israele sia immune agli effetti di avere una guerra a pochi chilometri. Per l'analista, gli scontri tra i ribelli al regime di Assad e l'esercito siriano "stanno trascinando l'intero Levante in un'orgia di violenza settaria con gravi rischi di allargamento regionale a cagione di un mancato intervento occidentale che potesse impedire l'escalation già avvenuta".
C'è speranza di arrivare ad una soluzione politica? "Troppo tardi. Tra Srebrenica e Dayton ci sono i bombardamenti Nato. Lo stesso vale per la Siria", crede Ottolenghi.

(formiche.net, 30 agosto 2013)


L'israeliana Yerden Gerbi conquista l'oro nei mondiali di judo

Yarden Gerbi celebra la sua vittoria su Abe Kana, Giappone, nella semifinale dei Campionati del Mondo di Judo a Rio de Janeiro, in Brasile
 
Yarden Gerbi mostra la medaglia d'oro conquistata
Nella quarta giornata dei Mondiali di judo di Rio de Janeiro non sono state molte le nazioni a poter esultare: sicuramente la miglior prestazione è stata quella della Francia, capace di conquistare quattro medaglie, ma il bilancio è stato positivo anche per Israele, che nella competizione della categoria -63 kg donne ha visto il trionfo storico di Yerden Gerbi, prima donna israeliana ad ottenere l'oro mondiale nel judo. La 24enne ha sconfitto in finale la francese Clarisse Agbegnenou, campionessa europea 2013 ed imbattuta fino a ieri nell'anno in corso, grazie ad un sorprendente ippon dopo soli 43 secondi.

(Fonte: OlimpiAzzurra, 30 agosto 2013)


Israele sposta antimissile Iron Dome a Tel Aviv

GERUSALEMME, 30 ago. - Il sistema di difesa antimissilistico Iran Dome e' stato schierato a Tel Aviv e diretto verso nord, in direzione della Siria, da dove si teme possa arrivare la rappresaglia a un eventuale attacco contro il Paese mediorientale. Era stato il premier, Benjamin Netanyahu, ad affermare che il sistema era stato trasferito li' dove necessita' di sicurezza richiedono la sua operativita' e poi erano stati i media locali a localizzare i movimenti di due batterie di Iron Dome e una di Patriot nel nord del Paese.

(la Repubblica, 30 agosto 2013)


Sagi Rei e Peppino di Capri chiudono l'Estate Messinese

di Carlo Larini

Saranno l'artista israeliano Sagi Rei e Peppino Di Capri a chiudere l'Estate Messinese. Il primo si esibirà il 30 agosto sul palco dell'ex Irrera a Mare con inizio alle ore 21,30. Sabato 31 agosto all'Arena in Fiera appuntamento con la musica senza tempo di Peppino Di Capri.

   
MESSINA - Venerdì 30 agosto, alle 21,30 sul palco della terrazza dell'ex Irrera a Mare si terrà il concerto dell'artista israeliano Sagi Rei.
Rei è cresciuto immerso nella musica grazie alla sua terra d'origine, Israele e alla madre musicista che lo sensibilizza e coinvolge portandolo ad usare la sua voce e la chitarra verso la scoperta della musica black e soul. Gli anni novanta sono fondamentali per la crescita della sua carriera, Proprio in questi anni decide di trasferirsi in Italia, dove, seguendo un coro gospel inizia a girare per le città esibendosi e facendosi conoscere dal grande pubblico interpretando brani famosi. Il suo stile inizia pian piano a diventare sempre più caratteristico trasformandosi in "stile sagi" e attribuendogli celebrità come solista. Viene così contattato da produttori come Piccinelli e Fragetta e da discografici come Marcolin e Abaribi. Con la collaborazione di quest'ultimo nasce l'idea di dar vita ad una compilation intitolata emotional songs. Nel 2010 si concretizza un progetto a lui molto caro. Un omaggio ad un grande artista:Sagi Sings Michael Jackson. Il 2013 è l'anno dell'uscita di una nuova cover dance. Il brano Baby Baby del 1995 cantato in quegli anni da Corona.
Sabato 31 agosto chiusura in bellezza: alle 21.30 all'Arena in Fiera arriverà Peppino Di Capri. Rappresenta il cantante che forse più di altri, ha accompagnato con le sue canzoni tutta la nostra vita. Forse ricorda anche i fasti di un tempo quando, in fiera, all'ex Irrera a Mare, arrivavano grandi attori e produttori per la rassegna cinematografica. Nel 2008 Di Capri ha festeggiato i cinquant'anni di carriera musicale a riprova della longevità artistica del cantante. Detiene insieme a Milva e Toto Cutugno il record di partecipazioni al Festival di Sanremo, ben 15.

(Messina Sportiva, 30 agosto 2013)


Quando Israele bombardò il reattore nucleare siriano

di Michele Pierri

Il racconto del piano segreto con cui, nel 2007, Olmert decise di neutralizzare contro il parere degli Usa la minaccia proveniente da Damasco
Una della valutazioni che finora ha frenato un intervento militare americano in Siria è la paura che il conflitto possa estendersi a Paesi limitrofi. Ciò metterebbe a repentaglio Israele e con esso le speranze di concludere positivamente i negoziati di pace con la Palestina, un obiettivo fondamentale per pacificare la regione.
Nel mutevole e delicato equilibrio mediorientale, la manovrabilità del regime di Bashar al-Assad rappresenta da tempo un elemento destabilizzante per raggiungere questi propositi.
Una minaccia che Israele decise di eradicare già nel 2007 con un piano segreto volto a bombardare il reattore nucleare che il dittatore di Damasco stava costruendo in Siria. Un progetto a cui l'allora presidente americano George W. Bush si oppose.
A rivelarlo è il sito di intelligence Israel Spy, che riporta un estratto esclusivo dal libro Spies Against Armageddon: Inside Israel's Secret Wars, a firma di Dan Raviv e Yossi Melman.

LA TELEFONATA A DAGAN
Nell'estate del 2007 Meir Dagan, all'epoca direttore del Mossad, l'Istituto per l'intelligence e servizi speciali israeliani, si apprestava a incontrare il premier Ehud Olmert per un briefing. A metà strada ricevette la telefonata del suo capo analista che gli annunciava con cautela notizie importanti su un progetto al quale stavano lavorando. Intuendo qualcosa di importante, Dagan diede appuntamento all'uomo nell'ufficio di Olmert.

IL REATTORE NUCLEARE
I funzionari del Mossad illustrarono al primo ministro che cosa i satelliti spia israeliani - e ora gli agenti sul campo - erano stati in grado di verificare in una parte oscura della Siria orientale , a circa 300 km a nord est di Damasco. I siriani erano vicini a completare la costruzione di un reattore nucleare.
I ricercatori di "armi non convenzionali" del Mossad valutarono che il reattore era strettamente modellato su un progetto della Corea del Nord , costruito con l'aiuto di consulenti provenienti da quel Paese, e che l'obiettivo era quello di produrre plutonio come materiale fissile per le bombe . Il sito fu chiamato Al- Kibar.

BOMBARDARE IL SITO
La riunione si concluse con la decisione di intervenire prima che fosse troppo tardi. Il reattore sarebbe entrato in funzione in pochi mesi e un'azione militare sembrava ormai inevitabile.
L'onere delle decisioni si stava ormai lentamente spostando dai reparti d'intelligence all'esercito israeliano e , soprattutto, verso un processo politico guidato da Olmert e il suo gabinetto

L'OPPOSIZIONE DEGLI USA
Come da tradizione il premier, nella fase iniziale, decise di consultare gli Usa per ascoltare la loro opinione. Inoltre l'amministrazione Bush era considerata la più vicina agli interessi israeliani dai tempi di quella di Ronald Reagan. Dagan andò quindi a Washington per sottoporre il dossier alla Cia e al Pentagono, che sostennero di essere all'oscuro dei piani siriani, condotti in assoluta segretezza e autonomia, persino dall'alleato iraniano.
Nel giugno del 2007 Olmert volò negli Stati Uniti per incontrare faccia a faccia il presidente americano al quale chiese senza mezzi termini di partecipare a un intervento militare contro Damasco.
Ma George W. Bush, temendo gravi contraccolpi nella regione, espresse la sua contrarietà, spiegando che a suo avviso la strategia migliore sarebbe stata quella di mostrare al mondo le prove fotografiche di questo reattore in possesso di Israele, costringendo la Siria a smantellarlo.

LA STRATEGIA ISRAELIANA
La risposta non soddisfò Olmert, che si disse preoccupato dell'opinione di Bush e sembrava sempre più deciso a condurre l'intervento in modo solitario, intenzionato a far rispettare la dottrina Begin, secondo cui a nessun nemico si Israele sarebbe stato consentito disporre di armi nucleari, tanto meno in Medio Oriente.
Iniziò dunque una lunga serie di consultazioni interne per valutare le caratteristiche, i pro, ma soprattutto i contro di un attacco. Meglio sabotare il sito con pochi uomini scelti o bombardare con i caccia? E se il reattore fosse stato operativo entro l'autunno, come prevedibile, quali i tempi per disinnescarlo senza causare contaminazioni e quindi un disastro sanitario ed ambientale? E quale rischio di ritorsioni correvano i cittadini israeliani?

LA NOTTE DELL'ATTACCO
L'attacco venne tuttavia messo ai voti e approvato da tredici membri del Gabinetto allargato eccetto uno, Avi Dichter, dall'ex direttore Shin Bet, l'agenzia di intelligence per gli affari interni.
La notte dell'attacco, il 6 settembre del 2007, Olmert era in una stanza dell'Israel Force Defence, affiancato da alcuni assistenti e generali militari . Otto F-16 decollarono da una base nel nord di Israele , volando verso ovest , verso nord e quindi verso est in Siria.
Nell'occasione Israele usò armi "intelligenti". Venne prima neutralizzato elettronicamente il sistema di difesa aerea siriano, impendendo di fatto che i radar localizzassero le forze israeliane. E poco dopo la mezzanotte i piloti lanciarono missili di precisione a distanza di sicurezza . Nel giro di due minuti, l'attacco era terminato.

IL VINCOLO DI SEGRETEZZA
Nonostante tutte le delibere, gli incontri e i circa 2.500 israeliani coinvolti nella pianificazione, il piano segreto non è mai trapelato e nemmeno accennato.
A tutti coloro che ne erano a conoscenza, anche ai piani più alti eccetto il primo ministro, venne imposto di firmare un impegno alla riservatezza.
Nessuno poteva escludere il rischio di ritorsioni, ma si pensò che se l'attacco non fosse stato reso noto e Assad non si fosse sentito umiliato pubblicamente, forse, non ci sarebbero state conseguenze, come poi è avvenuto. Mentre Israele non ha mai pubblicamente confermato di aver colpito la Siria, quella notte.

(formiche.net, 29 agosto 2013)


I telefoni cellulari e il cancro: il metodo israeliano

BARI - Per dimostrare il legame tra telefoni cellulari e lo sviluppo del cancro, i ricercatori dell'Università di Tel Aviv hanno studiato la saliva di 20 persone che utilizzano i loro telefoni da 30 a 40 ore al mese. Hanno poi confrontato con quello di persone sorde che non dispongono di un computer portatile o che lo utilizzano solo per mandare SMS.
Secondo le spiegazioni del dottor Hamzani, direttore dell'equipe di ricercatori, una eccessiva esposizione alle onde elettromagnetiche da cellulare causa dello stress ossidativo sui tessuti delle ghiandole salivari situate nei pressi del luogo in cui l'apparato è posto, che è per l'appunto vicino all'orecchio. Tuttavia, se ci si riferisce alla sua definizione, lo "stress ossidativo" non ha nulla a che fare con lo stress psicologico. Si tratta di un attacco chimico sui costituenti del nostro corpo a causa di un eccesso di radicali liberi. Queste molecole particolarmente dannose, che provengono da l'ossigeno che respiriamo, causano l'ossidazione che distorce la nostra membrana cellulare e il DNA. La conseguenza sarebbero mutazioni genetiche che si sviluppano in tumori.
Portando spesso il cellulare vicino all'orecchio, questo stress ossidativo colpisce le ghiandole salivari. La saliva poi favorirebbe la comparsa di tumori.
Vi è da specificare che le conclusioni dell'indagine sono tutt'affatto definitive come ha spiegato lo stesso Dott. Hamzani che ha specificato che lo studio da essi effettuato non stabilisce un chiaro nesso causale tra l'uso dei telefoni cellulari e il cancro. Ma, in ogni caso, aiuta a mettere in evidenza che questo uso può avere effetti negativi sulla salute. Per affinare la ricerca, il team ha annunciato che continuerà il suo lavoro su scala più ampia e analizzerà, per esempio, la saliva di una persona prima e dopo l'uso con l'orecchio del suo telefono.
Questa non è la prima ricerca del genere effettuata nel mondo che mostra il rischio dei telefonini.
Sempre in Israele uno studio del Weizmann Institute ha dimostrato che il 50% dei dispositivi telefonici portatili aumenta il rischio di tumori delle ghiandole salivari. Un rischio ancora maggiore se l'apparecchio è sempre posto nello stesso orecchio. Ha inoltre evidenziato: una chiamata per più di dieci minuti può causare cambiamenti chimici nelle cellule cerebrali.
Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", ricorda che due anni fa, l' Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso la sua Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), aveva alzato il livello di allerta sull'utilizzo dei cellulari. Mentre l'anno scorso ha emesso un documento con il quale ha dichiarato che "non è stato possibile dimostrare un aumento del rischio di cancro al cervello", tuttavia nel 2011, ha inserito nell'elenco dei fattori più cancerogeni i campi elettromagnetici di frequenza definendoli "come possibilmente cancerogeni". Ossia ha messo più o meno sullo stesso livello il telefono cellulare con i vapori di benzina. Cioè il "livello 2B", uno dei cinque livelli di classificazione dell'OMS per le sostanze cancerogene.
Nel processo, il direttore della IARC, Christopher Selvaggio, pur sottolineando la necessità di ulteriori ricerche, ha dato alcuni consigli per ridurre il rischio. Si raccomanda in particolare di evitare il cellulare all'orecchio, preferibilmente utilizzando un kit vivavoce e l'invio di "sms".Due metodi che riducono dieci volte l'esposizione alle onde elettromagnetiche. Lo rende noto in un comunicato lo 'Sportello dei Diritti'.

(Giornale di Puglia, 30 agosto 2013)


Israele pronta a reagire alle ritorsioni

Pronti a colpire. Gran Bretagna e Stati Uniti, ai quali potrebbe aggiungersi la Francia hanno messo in moto la loro macchina bellica.

di Maurizio Piccirilli

Pronti a colpire. Gran Bretagna e Stati Uniti, ai quali potrebbe aggiungersi la Francia hanno messo in moto la loro macchina bellica. Un attacco lampo per punire le brigate di Assad che hanno utilizzato il gas nervino per uccidere ribelli e civili assediati nei sobborghi di Damasco. Washington si è affrettata a specificare, per non irritare ulteriormente Mosca, che i suoi missili colpiranno i colpevoli del crimine e non sono diretti a eliminare Bashar Assad. Ma anche questo piano potrebbe fallire. Le brigate di Homs, Latakia, Aleppo sono state allontanate dalle loro caserme e posizionate in bunker segreti. Stessa sorte per i velivoli siriani trasferiti in hangar sottorranei. Alcuni mezzi e soldati sono stati dislocati a Tartus dove ha sede una base navale russa e in questo momento ci sono due navi da guerra di Mosca. Bombardare questa città è quindi altamente rischioso. L'eventualità di colpire mezzi e militari russi è troppo alta.
   Evacuate quindi le basi aeree di Al Safira ad Aleppo, e quelle dell'esercito di Monte Kalmun e di Dummar, da dove sarebbero partite le armi chimiche, l'attacco rischia di essere solo il cerino che può accendere la miccia di un'esplosione devastante per tutto il Medio oriente.
   Gli Stati Uniti e Obama stanno calcolando tutte le eventualità. Compreso il rischio di agevolare, con la distruzione di parte dello strumento militare di Assad, le milizie salafite che sventolano la bandiera nera di Al Qaeda. Il "go" dovrebbe scattare nella notte tra domani e sabato. Missili Tomahawak dai sommergebili inglesi e dalle navi americane.Ma le prime esplosioni in Siria potrebbe innescare un conflitto a catena. Così gli Usa hanno inviato bombardieri B-1b e F22 Raptor nelle basi di Al Udeidi in Qatar e rafforzato le basi dell'isola di Masirah in Oman. Lo scopo è dare protezione agli alleati della regione in caso di azioni ritorsive di Siria e Iran. La Giordania non ha concesso basi, ma da tempo la Cia utilizza il confine giordano per le sue incursioni in Siria. La Turchia ha messo in allerta il suo esercito e può contare sul sostegno Nato. Stato di allerta ai massimi livelli in Israele: attivato il sistema anti missile Iron Dome e le postazioni Arrow e Patriot. Distribuite maschere anti gas alla popolazione e richiamati i riservisti. Israele sarebbe pronta a sferrare un attacco ai siti nucleari di Teheran qualora questa decidesse di scendere in campo dopo un attacco Usa-Gb a Damasco.
Situazione tesa anche a Beirut. Le milizie Hezbollah hanno blindato i loro quartieri a sud della capitale. Il leader Nasrallah si trova in un rifugio a prova di bomba. Allerta anche al contingente Unifil del quale fanno parte i militari italiani e che controlla il confine tra Libano e Israele dove maggiore è la presenza del Partito di Dio sciita.
   L'incertezza sul tipo di attacco e sui risultati resta alta. L'Europa è divisa, Italia in testa. Mosca, alleata di Assad, ha usato accenni durissimi, da guerra fredda, nei confronti dei Paesi interventisti. Qualora i missili americani colpiranno la Siria il prossimo G20 di Mosca diventerà un vertice ad alta tensione e i temi economici spariranno dall'agenda.

(Il Tempo, 29 agosto 2013)


Basket - Israele rimonta la Georgia e vince la seconda amichevole

Israele 77 - 75 Georgia

Israele vince la seconda e ultima amichevole contro la Georgia per 77 a 75, protagonista di questo match è Yogev Ohayon per lui 20 punti che hanno permesso a Israele di riscattarsi dalla sconfitta di due giorni fa sempre contro i georgiani. Subito dal primo quarto la formazione israeliana ha controllato la partita portandosi sul +6 (25-19). La Georgia, protagonista di un ottimo secondo quarto, prende in controllo la partita raggiungendo anche il massimo vantaggio con il +18, all'intervallo Israele va negli spogliatoi sotto di 15 (32-47). Il secondo tempo è una rimonta strepitosa per Israele che strappa la vittoria a una Georgia decisamente competitiva. Per la Georgia bene Tsintsadze con i suoi 19 punti.

(Basket Inside, 29 agosto 2013)


Ballano a un matrimonio palestinese. Puniti due soldati israeliani

Ballano sulle note della celebre "Gamgam style", agitano le mani e sembrano anche divertirsi parecchio. Ma la presenza di due soldati israeliani in tenuta da combattimento (di cui almeno uno sembra impugnare un fucile mitragliatore) a un matrimonio palestinese a Hebron, in Cisgiordania, ha suscitato parecchie polemiche. Sia sul fronte israeliano che su quello palestinese.
Si tratta di un video amatoriale, girato il 27 agosto, e che è stato successivamente trasmesso dall'emittente palestinese al Fajr e dal secondo canale della televisione israeliana. Immagini che hanno indignato i palestinesi perché, appena il giorno prima a Qalandiya, vicino a Gerusalemme, soldati israeliani avevano ucciso tre palestinesi durante un raid in un campo profughi.
Dura anche la reazione da parte dei vertici militari israeliani: i due soldati sono stati puniti per essere entrati nel locale mentre stavano svolgendo un pattugliamento a piedi in città. Un portavoce militare ha riferito in un comunicato che l'esercito «vede questo episodio come un grave incidente» e che «i soldati si sono esposti a pericoli inutili». I due soldati sono stati sospesi dal servizio in attesa di un'indagine. Le regole di Tsahal infatti vietano ai soldati di abbassare la guardia o di socializzare con i civili nemici durante il conflitto. Tanto più in una città come Hebron dove la tensione tra ebrei e palestinesi è alle stelle.
Video

(Avvenire.it, 29 agosto 2013)


Attacco alla Siria: come Israele si prepara alla guerra

«Se la Siria verrà attaccata i primi a farne le spese saranno gli israeliani». E' questa la bellicosa dichiarazione del Capo di Stato Maggiore dell'esercito siriano all'agenzia iraniana Fars News. E c'è da credere che sarà proprio così. Per questo motivo in Israele sono in corso riunioni a catena tra i vertici dell'esercito, dell'intelligence e dell'aviazione.
Da ieri mattina è stato un susseguirsi di riunioni ad alto livello. Il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha convocato il Gabinetto per la Sicurezza nazionale. Nella riunione sono state prese alcune decisione operative che rendono l'idea di come si stia vivendo questo momento in Israele. E' stato deciso un innalzamento del livello di allerta relativo al sistema di intercettazione aerea portandolo al massimo livello....

(Right Reporters, 29 agosto 2013)


Damasco: armi chimiche? Usate solo dai ribelli terroristi che attaccheranno l'Europa


La accuse a Damasco sono un pretesto, le sole prove certe sull'utilizzo di armi chimiche riguardano quelle impiegate dai ribelli terroristi. Il Vice ministro degli Esteri siriano Faysal Al Miqdad così parla a nome del regime di Bashar Al Assad. E formula una strisciante ma non troppo velata minaccia contro l'Occidente:
"Quel che è più pericoloso è che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia fomentano, adottano il linguaggio di questi terroristi" ha detto riferendosi ai ribelli. "E la cosa più preoccupante è che questi stessi terroristi potrebbero presto finire per usare quelle armi chimiche contro le popolazioni europee".
La stampa siriana intanto amplifica le parole del Ministro degli Esteri - "ci difenderemo con ogni mezzo" ha detto - e quelle del Primo Ministro Wael Al-Halqi: "la Siria sarà un cimitero per gli aggressori".
"Non credo che ci attaccheranno" dice un residente della capitale "ma allo stesso tempo spero che lo facciano perchè in ogni caso siamo già in guerra. E se ci attaccano gli faremo vedere quello di cui siamo capaci".
Che il regime siriano si prepari ai bombardamenti della coalizione occidentale sembra confermato dai movimenti di truppe che si starebbero registrando nelle ultime ore, risposizionando i militari e abbandonando i possibili bersagli.

(euronews, 29 agosto 2013)


Israele schiera i Patriot

Isreale ha schierato i complessi missilistici "Patriot" nel nord del paese, nell'aere di Haifa, in base a quanto riferito dai media la decisione è stata presa a seguito dell'aggravarsi della situazione siriana.
Ieri il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva dichiarato a Tel Aviv che il suo paese sarà pronto ad affrontare "qualunque situazione" si dovesse sviluppare in Siria. Questi ha inoltre sottolineato che "Se noteremo qualunque tentativo di attaccarci reagiremo con tutte le nostre forze".
L'amministrazione delle Forze Armate israeliane ha riferito che negli ultimi giorni la domanda di maschere antigas è triplicata.

(La Voce della Russia, 28 agosto 2013)


Équipe israeliana salva ragazza palestinese

Maria era rimasta paralizzata dopo che un missile israeliano aveva colpito la sua casa

Maria Amman
Un chirurgo ebreo di un ospedale statunitense ha messo a disposizione le sue capacità, una società americana ha donato la propria tecnologia, un ospedale israeliano la sala operatoria. Insieme hanno salvato una ragazza palestinese. Sono infatti, riusciti a ripristinare i segnali nervosi che dal cervello della paziente controllavano la sua respirazione.
Bloccata dal collo in giù per colpa di una paralisi e quindi incapace anche di respirare senza l'aiuto di una macchina, una 13enne palestinese dalla Striscia di Gaza ha recuperato l'uso dei polmoni grazie all'intervento chirurgico ricevuto.
Il dottor Mark Ginsburg, un chirurgo ebreo ma trapiantato negli States, è stato assistito da medici israeliani presso il Centro Medico Hadassah a Gerusalemme per impiantare un pacemaker del nervo frenico di Maria Amman, questo il nome della paziente.
Il dramma della piccola palestinese è cominciato nel 2006 quando lei avevano soltanto sei anni: un missile israeliano colpì la sua casa uccidendo la madre e due fratelli e lesionandole in modo gravissimo il midollo spinale. Rimasta bloccata su una carrozzina e con la famiglia decimata, Maria ha, però, mantenuto inalterato il suo sorriso: l'unico strumento che le è rimasto per comunicare con il mondo esterno dopo l'incidente.
L'intervento è stato possibile grazie all'aiuto economico del governo di Gerusalemme e al contributo dell'azienda produttrice del pacemaker impiantato su Maria. Tutto dopo che suo padre, palestinese, ha presentato una denuncia contro Israele per ottenere il rimborso sanitario per la figlia. La Corte Suprema ha accordato la copertura a vita delle spese mediche per Maria insieme alla cittadinanza.

(TGCOM24, 29 agosto 2013)


L'Iran amplia l'arricchimento di uranio nell'impianto di Natanz

L'Iran ha ampliato in modo significativo la capacità di arricchimento dell'uranio
nell'impianto di Natanz, installando 1.008 centrifughe di tipo Ir-2m. Si tratta di centrofughe più moderne e veloci di prima nel processo di arricchimento dell'uranio, più moderne e più veloci nel processo di prima. Lo rivela un rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), secondo la quale a maggio le centrifughe iraniane erano poco meno di 700.
Nel rapporto trimestrale dell'agenzia - la prima da quando è salito al potere il presidente relativamente moderato Hassan Rouhani - ha inoltre riferito che Teheran ha dato il via alla produzione di materiale per i reattori che l'occidente teme possa servire alla costruzione di ordigni nucleari. Circostanza negata dalle autorità irachene.
Le autorità iraniane fanno sapere che il suo programma di energia nucleare ha obiettivi unicamente energetici e medici, respingendo le accuse dell'occidente in merito a un possibile utilizzo militare della strumentazione nucleare a disposizione.

(Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2013)


Hamas e Fatah contro l'intervento in Siria: aiuta Israele

Le due principali fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, hanno espresso la loro opposizione a un possibile intervento militare in Siria a seguito dell'attacco con armi chimiche a est di Damasco. Le due fazioni hanno concordato sul fatto che un'azione militare contro i siti militari e le forze del presidente Bashar al-Assad, farebbe solo "l'interesse di Israele".
"Malgrado le atrocita' commesse contro il popolo siriano (dalle truppe di Assad, ndr), Hamas rinnova il suo rifiuto per ogni ingerenza esterna negli affari del mondo arabo", ha commentato all'agenzia d'informazione 'Xinhua', Mushier Al-Massri, un dirigente del movimento islamico al governo nella Striscia di Gaza. "E' Israele - ha aggiunto - a beneficiare dell'ingiustificabile guerra che l'Occidente conduce in Medioriente".
Anche Fatah, il partito del presidente dell'Autorita' nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, ha espresso i propri dubbi sull'intervento, facendo appello alla Lega Araba a "non fornire copertura politica" a un'eventuale azione militare. Un attacco alla Siria, ha precisato Jamal Muhissen, un dirigente di Fatah, "distruggerebbe la sua forza militare, rendendo Damasco incapace di riprendere il controllo sul Golan". Muhissen ha quindi ribadito che Fatah non interviene negli affari interni dei Paesi arabi e rifiuta "ogni atto che possa mettere a rischio la sicurezza nazionale araba".

(Aki, 28 agosto 2013)


Israele, commercio a gonfie vele a scapito di Siria ed Egitto

di Elisa Maiucci

Il porto di Haifa
- Siria, Libano, Egitto.
  Il dossier mediorientale è tornato in questi giorni la prima preoccupazione delle cancellerie occidentali. E ad essere in ansia per un eventuale attacco armato americano a Damasco è anche Israele, che teme per ritorsioni all'interno dei suoi confini. Ma la potenziale uscita di scena della Siria sconvolta dalla guerra civile garantisce a Tel Aviv una strategicità rinnovata. Con un Pil in crescita del 5%, può contare, e usare come arma di ricatto, su una nuova via della seta che passa in territorio israeliano, alternativa a quelle siriane ed egiziane bloccate dalle rivoluzioni.

- Un nuovo corridoio
  Come risultato della guerra in Siria, che è sempre stata il corridoio tra Turchia e Medio Oriente, il binario commerciale che passa attraverso Israele verso e dalla Giordania e i Paesi arabi del Golfo ha guadagnato un'importanza strategica notevole. La sua crescita, spiega il Financial Times, dimostra la forza dei legami economici tra Israele e Turchia, nonostante le insurrezioni politiche nella regione e il rancore strisciante nelle relazioni bilaterali che ha causato il blocco del processo di riconciliazione di cui si è fatto mediatore il presidente americano Barack Obama a marzo.

- La tratta dei commerci
  Secondo Israele da quando è stata aperta questa strada nello scorso novembre, circa 2000 camion turchi sono arrivati via mare ad Haifa. Da qui, i camionisti di Ankara proseguono verso la parte nord di Israele fino al confine con la Giordania da cui poi proseguono il loro viaggio. E oltre ai camion, il confine giordano è diventato un mercato fiorente per grano, mais e animali.

- Israele e la via dei commerci che passa per Haifa
  Se finora il governo israeliano è rimasto in silenzio su questo corridoio commerciale si sta oggi riconoscendo la sua importanza, che rende il Paese un porto per i beni in transito nel Medio Oriente infiammato dai conflitti. "Il passaggio israeliano è la strada più economica, veloce, breve e sicura nella regione", ha spiegato Yael Ravia-Zadok, a capo del Bureau of Middle Eastern Economic Affairs del ministero degli Esteri israeliano. "E' un buon esempio del fatto che quando c'è bisogno, gli attori della regione riescono a cooperare con Israele per trovare delle soluzioni".

- Il boom dell'economia israeliana
  L'economia di Tel Aviv è cresciuta del 5% nel secondo trimestre, nonostante la guerra in Siria e l'acuirsi della crisi in Egitto e Libano, anche se le prospettive di un intervento americano a Damasco hanno fatto sgonfiare la Borsa israeliana in questi giorni. E nonostante il gelo nelle relazioni internazionali, l'export israeliano in Turchia è cresciuto del 60% a 1,5 miliardi di dollari dal 2009 e l'import da Ankara è salito del 40% a circa 2 miliardi di dollari.

- Una nuova arteria commerciale
  I numeri sono incoraggianti, e Il governo israeliano spera che la strada che da Haifa arriva in Giordania possa diventare un'arteria fondamentale per i commerci regionali. La seconda via, ancora in uso ma a rischio, passa dall'Egitto, con i cargo che arrivano a Port Said, nella tratta che porta al Sinai. "La necessità è la madre di tutte le invenzioni", ha sottolineato un funzionario del governo israeliano. "Il governo turco non è esattamente il nostro più grande fan, ma quando si tratta di soldi, la cooperazione è anche nell'interesse di Israele".

(formiche.net, 28 agosto 2013)


ll Sindaco di Ancona incontra una delegazione della Comunità ebraica delle Marche

La Comunità ebraica dorica, insieme a Roma, è la più antica d'Europa. Un progetto porterà alla realizzazione di un centro regionale di documentazione ebraica che possa avere ad Ancona un nucleo centrale.

  
 Valeria Mancinelli
ANCONA, 28 ago. - Il sindaco Valeria Mancinelli ha incontrato questa mattina una delegazione della Comunità ebraica delle Marche composta dal presidente Bruno Coen, dai vicepresidenti Daniele Tagliacozzo e Remo Morpurgo, oltre al ministro di culto Nahmiel Ahronee in rappresentanza del rabbino capo della comunità ebraica di Ancona, Rav Giuseppe Laras.
Nel corso dell'incontro il sindaco ha ribadito l'importanza del ruolo che la Comunità ebraica anconetana riveste da tempo proprio perché elemento rilevante della storia locale e costituente della identità dorica.
La Comunità ebraica di Ancona (22 in tutto quelle presenti in Italia) insieme a Roma è la più antica d'Europa e costituisce un baluardo della tradizione dell'ebraismo italiano ed è da sempre ben inserita nella vita della città.
Proprio per questo la Comunità ebraica sta sostenendo un progetto per la realizzazione di un centro regionale di documentazione ebraica che possa avere in Ancona un nucleo centrale cosicchè sia possibile accedere a fonti e documentazione a livello nazionale e regionale.
La Comunità ebraica ha chiesto al Comune di sostenere questa iniziativa, richiesta che il sindaco ha accolto favorevolmente sottolineando che questo sostegno trova anche fondamento nella unicità e specificità della presenza ebraica in Ancona, rilevabile anche nell'esistenza del "campo degli ebrei" , il cimitero ebraico con tombe impiantate più antico d'Europa (risalenti al '500) e di due sinagoghe del 1400 di rito levantino.
Quest'attenzione dell'amministrazione alla Comunità ebraica è storica e ben radicata poiché già dal 2004 è stato creato il percorso ebraico chiamato "Chaym" (vita) progetto diffuso che ha trovato grande interesse non solo sotto il profilo culturale e di conoscenza della tradizione ebraica ma anche per la valenza turistica e di attrazione internazionale rivelatasi nel corso degli anni.

(AnconaToday, 28 agosto 2013)


In Egitto vera democrazia. Fallito il progetto islamista dei Fratelli Musulmani

di Samir Khalil Samir

Il popolo egiziano, musulmani e cristiani, assieme all'esercito, hanno rifiutato la Fratellanza perché non ha migliorato l'economia e perché si è solo interessata al suo dominio e al progetto del Califfato islamico. Fratelli Musulmani disprezzati da tutti, ma ammirati dall'occidente. Incomprensibili le posizioni di Barack Obama e dell'Unione europea. Lavorare per le elezioni presidenziali, da tenere presto.

BEIRUT - Sono un po' irritato contro la stampa occidentale, americana ed europea, che definisce Morsi "il primo presidente egiziano eletto in modo democratico". Alcuni lo hanno perfino definito "il nuovo Nelson Mandela". Ma è una farsa.

- Morsi, primo presidente egiziano eletto "democraticamente"!
  Se si parla in modo formale, bisogna dire che tutti i presidente egiziani sono stati eletti "democraticamente": Nasser, Sadat, Mubarak, con percentuali dell'80 - 90%. Ma se analizziamo ciò che è successo, possiamo comprendere di più i motivi che hanno portato alla caduta di Morsi, anche se "eletto democraticamente".
Dobbiamo dire anzitutto che chi ha fatto la rivoluzione sono i giovani. Dopo alcuni mesi - prima erano contrari alla Primavera araba - sono subentrati i Fratelli musulmani. E poiché essi sono il gruppo più organizzato nel Paese - un gruppo molto autoritario e capillare, copiato sul sistema sovietico - quando si sono tenute le elezioni, hanno vinto.
Ma hanno vinto anche perché non vi erano altri concorrenti: i giovani erano troppo inesperti; i politici navigati erano stati esclusi perché parte dell'antico regime di Mubarak. A ciò va aggiunto che la popolazione egiziana, al 40% analfabeta, ha votato in modo generico chi diceva di voler sostenere l'islam e la religione.
Sappiamo inoltre che in quel periodo sono fluiti in Egitto centinaia di milioni di dollari da parte del Qatar, per pagare gli imam delle moschee che lasciassero i Fratelli musulmani predicare al loro posto, facendo campagna elettorale. Il loro discorso era molto vago: parlavano di un Egitto nuovo, senza corruzione, religioso. Ha perciò trovato un facile appoggio nella gente per nulla abituata alla democrazia. E pur coi mezzi di questa campagna efficientissima, i Fratelli musulmani sono stati eletti, ma hanno preso solo il 51% dei voti.
Ma la democrazia significa "il potere del popolo". Quando i giovani hanno lanciato la campagna per raccogliere firme contro Morsi, hanno superato i 22 milioni di firme documentabili. E al 30 giugno, chiedendo le dimissioni di Morsi, erano 30 milioni. E questo non è potere del popolo? Non è democrazia?

- L'esercito
  Vediamo poi l'esercito. Fino al 30 giugno l'esercito non è mai intervenuto. È questo è già stupefacente: se guardiamo l'Egitto, occorre dire che l'esercito è stato sempre presente nella società egiziana, influenzando elezioni, economia, ecc..
Vorrei far notare due cose importanti . Primo, durante la rivoluzione di piazza Tahrir, l'esercito ha sempre difeso la popolazione e si vedono ancora oggi tante foto dove i giovani di piazza Tahrir vanno a braccetto coi soldati.
Secondo, da questo ultimo intervento nella cacciata di Morsi l'esercito non ha guadagnato niente. Non è stato come ai tempi di Nasser, Sadat o Mubarak - che provenivano tutti dall'esercito - in cui i militari hanno preso il potere. Questa volta essi hanno messo in atto un governo di laici e si sono fatti garanti dell'ordine. Come è ovvio, il generale Al-Sissi è stato nominato ministro della difesa, ma il presidente è un noto magistrato egiziano, il prof. Adlī Manṣūr, che si è laureato in Egitto, Spagna e Francia. Per le sue qualità, il 19 maggio scorso Mohamed Morsi lo aveva nominato Presidente della Suprema Corte Costituzionale dell'Egitto!
Quale profitto ne ha tratto l'esercito? Negli ultimi giorni ha avuto un centinaio di morti. Nessuno militare ha preso più potere. Hanno voluto sempre garantire che nel nuovo governo tutti fossero rappresentati, e hanno chiesto a tutti i partiti di presentare qualche candidato. Ma i pro-Morsi hanno rifiutato. Anche i salafiti - che sono più estremisti dei Fratelli Musulmani - hanno accettato e sono presenti nel governo. Ma i Fratelli hanno rifiutato qualunque dialogo, obbligando così l'esercito a garantire la sicurezza.
L'Unione Europea (con il presidente Manuel Barroso) e gli Stati Uniti (con il presidente Barack Obama) continuano a dire che l'esercito deve entrare in dialogo con i Fratelli musulmani, che non si deve escluderli, ma sono proprio i Fratelli musulmani ad aver bloccato il dialogo e a rifiutare la collaborazione, pretendendo sempre e soltanto il ritorno di Morsi.
L'esercito avrà forse abusato della sua forza, ma è anche vero che i Fratelli musulmani, molti di loro armati fino ai denti, hanno attaccato soldati, banche, sedi del governo, individui, senza parlare di decine di chiese e di istituzioni cristiane.

- Il fallimento del progetto sociale dei Fratelli Musulmani
  L'esercito è entrato nella mischia per sostenere il popolo che chiedeva l'allontanamento di Morsi e il motivo era chiaro: i Fratelli musulmani non hanno fatto granché per la popolazione. Quello che la gente chiedeva era che loro operassero sull'economia, che migliorassero i prezzi dei beni alimentari, che si creasse lavoro. Invece la nuova leadership della Fratellanza non ha fatto nulla di tutto questo.
In aprile mi trovavo al Cairo e ho visto chilometri di auto in coda per acquistare la benzina. I camion arrivavano al distributore la sera prima nella speranza che la mattina seguente avrebbero potuto fare rifornimento e andare a lavorare. E questa carenza a cosa era dovuta? Al fatto che una gran parte del carburante - qualcuno dice fino al 30% - viene offerta ai palestinesi di Hamas a Gaza.
Il traffico, già caotico, lo è diventato molto di più. Le manifestazioni ripetute rendono il traffico ancora più difficile. La popolazione è stanca!
Sotto la Fratellanza, il turismo, un'entrata base dell'economia egiziana, è morto o langue, grazie a tutte le regole morali imposte dai Fratelli musulmani (velo per le donne, separazione donne/uomini, insicurezza, violenze, ecc.). In quasi un anno non è stato creato nemmeno un nuovo posto di lavoro.

- Per i Fratelli, la priorità va alla loro ideologia religiosa di restauro del Califfato
  La preoccupazione dei Fratelli musulmani è stata soprattutto ideologica e non sociale. Ad esempio, il loro ministro della cultura, appena entrato in carica, si è subito preoccupato di una cosa: che alla televisione pubblica le donne si coprano il capo. Egli ha tolto la Direttrice dell'Opera del Cairo (forse perché era donna) malgrado la protesta di tutti i membri dell'Opera, e ha criticato il fatto che le ballerine mostravano le gambe nelle danze classiche!
Il ministro dell'Educazione ha fatto cambiare i libri scolastici in uso (in Egitto, c'è per ogni classe ed ogni materia un manuale di obbligo), inserendovi un'enfasi molto religiosa.
Inoltre, nel breve periodo di un mese, i Fratelli musulmani hanno stilato una nuova costituzione che rafforzava gli elementi della sharia, la legge islamica, chiedendo poi di votarla la settimana dopo. Ho cercato di leggere questo documento su internet, ma era quasi impossibile, per chi non era giurista, capirne le sottigliezze ... Come il popolo egiziano poteva votare la costituzione? Anche questa era una farsa!
Un altro segno che i Fratelli musulmani hanno dato priorità a loro stessi e al loro potere, è che hanno nominato nove governatori di province, tutti provenienti dalle loro file.
Hanno poi fatto degli accordi diplomatici - presi in giro da tutto il Paese - con Gaza, per lasciare una parte del Sinai in mano a contrabbandieri, militanti islamisti, terroristi. Questo ha portato all'uccisione di soldati, poliziotti, e cristiani. Prima il Sinai era un luogo molto tranquillo. Si dice che hanno fatto accordi col Sudan per dare ad esso una parte del sud-Egitto, della Nubia. Si parla anche di accordi segreti con la Libia. ... E il popolo si è stancato.
In tutto questo c'è un progetto che i Fratelli proseguono da decenni, quello del "Restauro del Califfato" che dovrebbe ridare all'Islam la sua forza e bellezza di una volta!
Secondo osservatori occidentali, il popolo non doveva cacciare Morsi, ma aspettare le prossime elezioni e scalzarlo in modo "legale". Questa sarebbe la "vera democrazia"! Ma in questo modo si rischiava davvero la paralisi economica e sociale del Paese, e fino alle prossime elezioni il "popolo" sarebbe morto di fame!

- Il progetto islamista
  Anche l'attacco a così tante chiese e case cristiane è molto significativo, segno di un progetto ideologico islamico e non nazionale, a servizio della popolazione.
I Fratelli musulmani hanno un progetto islamista e per questo colpiscono i cristiani. In Egitto, ogni anno attaccano alcune chiese, con vari pretesti. Ciò rientra nel progetto d'islamizzazione del Paese, perché si arrivi a un califfato di cui devono far parte tutte le terre che sono state islamiche. A questo progetto appartiene anche, per alcuni di loro, la "riconquista" della Spagna o almeno dell'Andalusia! L'Egitto resiste perché non è islamista e i cristiani sono molto legati alla loro terra. Non dobbiamo dimenticare che la parola "copto" viene da "egypti": i copti sono la popolazione locale originale, i veri egiziani.
L'islamizzazione cerca di colonizzare il Paese attraverso leggi sempre favorevoli ai musulmani, ma i cristiani egiziani resistono. In realtà, non solo i cristiani resistono, ma la maggioranza dei musulmani resiste con loro. Abbiamo visto in questi giorni i musulmani darsi la mano e creare una catena per difendere la cattedrale copta ortodossa del Cairo contro qualunque assalto dei Fratelli. Allo stesso modo, durante la Primavera dei primi mesi del 2011, avevamo visto musulmani e cristiani portare il Vangelo e il Corano in segno di unione indissolubile.

- L'occidente stravede per i Fratelli musulmani
  È incomprensibile tutta la stima che oggi l'occidente ha verso i Fratelli musulmani. In Medio Oriente essi sono ovunque criticati. Sono stati banditi per così tanto tempo dalla politica in Egitto, dai vari regimi. Sono ritenuti responsabili dell'assassinio di Anwar Sadat il 6 ottobre 1981, che pur essendo un simpatizzante della Fratellanza, ha avuto il coraggio di fare un discorso storico alla Knesset il 20 novembre 1977 e firmare gli accordi di pace con Israele a Camp David il 17 settembre 1978. E lo hanno ucciso per questo.
Perfino Al Azhar, che rappresenta la voce ufficiale dell'islam sunnita mondiale, si è messa contro i Fratelli Musulmani e si è pronunciata contro lo stesso Morsi. Rappresentanti di Al Azhar hanno accettato di entrare nel nuovo governo di transizione, proprio come alcuni cristiani. Da qui si vede che musulmani e cristiani sono ormai contro i Fratelli musulmani.
Questi riescono al massimo a raccogliere nelle manifestazione un milione di persone, compresi mogli e bambini, bloccando il traffico. Cristiani e musulmani raccolgono decine di milioni di persone, tutte in manifestazioni pacifiche. E il popolo egiziano che è sceso in piazza il 30 giugno scorso, non era composto da fanatici.
Per questo non si capisce la posizione del presidente Usa, Barack Obama, che nei giorni scorsi ha detto parole contro l'esercito, ma non ha mai detto nulla contro i Fratelli musulmani. Ho l'impressione che Obama non sappia cosa fare. Per chi conosce la situazione locale, la sua posizione non ha davvero senso.
Per me l'esercito egiziano si sta comportando in genere in modo corretto, anche se ci sono stati degli eccessi, provocati dall'ostinazione dei Fratelli. L'esercito è sempre stato aperto alla partecipazione dei Fratelli musulmani, mettendo come condizione l'uso di mezzi pacifici. Ma i Fratelli musulmani continuano a chiedere solo il ritorno di Morsi. Se oggi si dicesse agli egiziani di votare pro o contro Morsi, il verdetto sarebbe molto probabilmente contro Morsi. Il progetto attuale dei Fratelli musulmani è solo per creare il caos e rovinare il Paese
Ora bisogna sperare in elezioni presidenziali a presto, aperte a tutti i partiti e tendenze della società egiziana. Si deve dare il tempo di preparare queste elezioni. Sarebbe molto desiderabile che si sviluppassero in presenza di rappresentanti delle Nazioni Unite, e con tutte le garanzie internazionali.

- Il volto ambiguo dei Fratelli musulmani
  Il discorso dei Fratelli musulmani è stato sempre moderato in apparenza, ed essi riescono ad ingannare chi non conosce bene la loro storia. Ai tempi di Mubarak, almeno 80 Fratelli musulmani facevano parte del parlamento, tutti entrati non in nome del partito - che era fuorilegge - ma per la loro aria di perbenismo religioso, come rappresentanti dei medici o degli avvocati con una chiara fede islamica.
Anche in occidente prevale la stima verso di loro perché - si dice - sono musulmani moderati. Ma l'islam non è solo un atteggiamento spirituale, vi è anche la politica. E dietro i Fratelli musulmani vi è l'anti-occidentalismo, l'anti-Israele, ecc..
A parole i Fratelli musulmani fanno gesti di aiuto per il popolo: distribuiscono cibo e medicinali ai poveri durante il Ramadan, offrono visite mediche gratis, ecc., ma non sono riusciti a creare posti di lavoro.
A me colpisce il fatto che essi siano alleati di Hamas e di al Qaeda. Ayman Al-Zawahiri, il capo attuale di al-Qaeda, nato a Kafr ad-Dawwar il 19 giugno 1951, e cresciuto a Maadi (quartiere borghese del Cairo), proviene da una famiglia famosa (il suo zio materno, Abd al-Rahmān Azzām Pascià, era il primo Segretario generale della Lega Araba). A 14 anni è entrato nelle file dei Fratelli Musulmani, e diviene seguace di Sayyid Qutb, il più famoso teorico dei Fratelli Musulmano, condannato a morte sotto Nasser, assieme ad altri sei membri dei Fratelli, e giustiziato il 29 agosto 1966 tramite impiccagione.
E' certo che i Fratelli non sono da identificare con i terroristi. Tuttavia, c'è tra di loro una tendenza ad usare tutti i mezzi, compresi quelli della violenza, per realizzare il loro ideale. L'abbiamo visto la settimana scorsa al Cairo dove una parte è scesa in strada contro l'esercito con armi da fuoco, mentre altri sono rimasti a casa o nella moschea.
E occorre qui ricordare che nei giorni scorsi, essi hanno avuto ancora un doppio linguaggio: ai media in inglese essi parlavano come vittime della democrazia, sottolineavano i diritti umani, le violenze dell'esercito, il "colpo di Stato", ecc... Ai media in arabo essi parlavano della lotta contro l'occidente, delle posizioni da tenere, del jihad da potenziare e del califfato da ricostruire.

- Cercare una via verso la pace e la democrazia
  Per concludere, vorrei ricordare un punto. La democrazia è una parola composta da due parole greche: demos e kratos, che significano "popolo" e "potere". Ora, chiedo a tutti: le manifestazioni del popolo egiziano, che hanno raggiunto decine di millioni di cittadini adulti, non rappresentano l'opinione del popolo? Se questo non è la voce della "democrazia", mi domando dov'è: nelle elezioni sistematicamente arrangiate? Il popolo egiziano ha espresso la sua volontà in modo chiarissimo, scendendo pacificamente per le strade. L'esercito ha sostenuto questa volontà, talvolta in modo imperfetto, nell'intenzione di proteggere il popolo.
Il nostro desiderio e la nostra speranza (parlo in nome dei cittadini egiziani) è che l'Occidente aiuti il popolo egiziano, in questo momento difficile, a costituire, pacificamente e legalmente, un governo rappresentativo della maggioranza, senza escludere le voci minoritarie. Sarebbe un passo positivo verso la vera democrazia tanta desiderata!

(AsiaNews, 22 agosto 2013)


La presenza ebraica a Siponto e Manfredonia

La comunità sipontina fu nel Medioevo uno dei centri più importanti del sapere ebraico in Italia. Dall'Assessorato alla Cultura ci spiegano meglio i forti vincoli tra l'antica Siponto, Manfredonia e la comunità ebraica.

MANFREDONIA - La settimana della cultura ebraica vuole ricordare una presenza antica e forte, importante e contrastata. La presenza di ebrei a Siponto è molto antica, potrebbe risalire ai primi secoli dell'era cristiana. La comunità sipontina fu nel Medioevo uno dei centri più importanti del sapere ebraico in Italia.
"Sul finire del secolo X un gruppo di giovani della comunità ebraica di Siponto si recò a Pumpedita, sulle rive del fiume Tigri per studiare nell'accademia talmudica e al loro ritorno in patria essi diffusero le conoscenze del diritto talmudico babilonese. Alcuni di quei giovani - spiega l'Assessore Paolo Cascavilla - divennero maestri noti e rinomati e alla loro scuola si formarono i rabbini sipontini Anan bar Marinus e Isaq ben Melchisedeq. Il primo, cultore del diritto talmudico e di liturgia, ci ha lasciato un responso sulle modulazioni del suono dello Shofar per la festa del capodanno ebraico ed anche un inno da recitarsi al termine del sabato, che celebra Elia, ritenuto il precursore del Messia, e nel ritornello si invoca con insistenza la sua venuta. Contemporaneamente a Siponto usciva dalla penna di Isaq ben Melchisedeq (ca 1090 - 1160) un commento autorevole sulla Mishnah, la grande raccolta della sapienza rabbinica e della tradizione ebraica. La sua esegesi si segnalava per chiarezza e originalità. Era chiamato il rabbino greco e il viaggiatore giudeo-spagnolo Beniamino da Tudela menziona Isaq Melchisedeq come il grande maestro della città di Siponto".
Fin dall'epoca longobarda e bizantina, e in particolare durante il periodo normanno, gli ebrei si inserirono stabilmente nelle attività commerciali delle città costiere. Federico II e Manfredi, oltre a dare credito e fiducia a studiosi ebrei come traduttori ed esperti di medicina, affidavano ad essi la gestione del commercio della seta, ne promuovevano la partecipazione alla vita economica con l'incremento delle fiere, dichiaravano che il prestito del denaro non era illecito per gli ebrei, ma il tasso di interesse non doveva superare il 10%.
"Gli ebrei di Manfredonia hanno subito come altrove pressioni perché si convertissero. Di ebrei convertiti - documentano dall'Assessorato alla Cultura - abbiamo notizie certe nel 1294. In tutto il Regno ci furono circa 1.300 conversioni, in Capitanata furono 150, dei quali la metà a Manfredonia, dove ben 75 cristiani novelli o neofiti furono esentati dal pagamento delle tasse e dei tributi. Un censimento della seconda metà del XV secolo riporta 55 nuclei familiari ebrei e una importante comunità giudaica".
Nel 1533 il nuovo viceré Pietro di Toledo emanava un editto con il quale ingiungeva agli ebrei di convertirsi oppure abbandonare il Regno entro sei mesi. Nel 1534 le famiglie più potenti approfittarono del decreto di espulsione degli ebrei per accusare alcuni esponenti del ceto dirigente locale di praticare riti giudaici e farli allontanare dalla città.
"Si accusavano alcuni di usura, altri ancora perché festeggiavano il Sabato e altri che macellavano secondo il costume degli ebrei. Alcuni erano messi sotto accusa per avere parenti in Grecia o di leggere libri in lingua ebraica. Nello spazio di qualche decennio - aggiunge, infine, l'Assessore alla Cultura del Comune di Manfredonia, Paolo Cascavilla - scomparve definitivamente da Manfredonia un gruppo e una cultura, presenti fin dai primi secoli dell'era cristiana; molti andarono via e raggiunsero la Grecia e fu Salonicco ad accogliere migliaia di ebrei provenienti dall'Italia meridionale, dove, in base alla denuncia, molti ebrei di Manfredonia avevano parenti e amici. E dove pare che vi fosse anche una comunità chiamata Nova Sipontum".
La settimana della cultura ebraica che si celebra a Trani, Barletta, Brindisi, Manfredonia, Roma, San Nicandro Garganico, dal 25 agosto al 2 settembre vuole ricordare il passato ma anche porre le basi per un presente di dialogo, di ricerca dell'interiorità e di proposta etica e culturale.

Puglialive, 28 agosto 2013)


Stampa Usa: "Prove definitive di uso di gas"

Secondo il "Wall Street Journal" alla Cia la conferma sarebbe venuta dai servizi israeliani". Susan Rice, consigliere alla sicurezza del presidente Obama, avrebbe inviato all'Onu un messaggio definendo la missione degli esperti "priva di significato".

Secondo la stampa statunitense conversazioni intercettate dai servizi segreti americani, lunedì scorso, dimostrerebbero il ruolo del regime siriano nell'attacco con armi chimiche a est di Damasco. Secondo il "Wall Street Journal", Susan Rice, consigliere alla sicurezza del presidente Obama, avrebbe inviato all'Onu un messaggio definendo la missione degli esperti "priva di significato" perché le prove sulle armi chimiche sono già definitive.
A differenza di quanto riportato da altre testate, secondo il "Wsj", sarebbero stati i servizi di spionaggio israeliani a fornire alla Cia informazioni decisive giunte da una èlite speciale della divisione siriana che ha la supervisione delle armi chimiche di Assad.
Le informazioni, verificate dalla Cia, mostrerebbero che alcuni tipi di armi chimiche sarebbero state mosse in anticipo nel sobborgo di Damasco dove sarebbe avvenuto il presunto attacco del 21 agosto.
Sarebbero state proprio queste informazioni, confermate dalla Cia, a far cambiare la posizione americana e l'amministrazione, sabato notte, sarebbe giunta alla conclusione che se gli Stati Uniti avessero deciso di attaccare lo avrebbero fatto con gli alleati e senza l'Onu, per superare l'atteso veto russo.

(TGCOM24, 28 agosto 2013)


Il cimitero cosmopolita di Noranco

Il cimitero ebraico di Noranco (Lugano) testimonia la vivacità della comunità israelitica di un tempo. Elio Bollag, portavoce della comunità, racconta.

  
Il cimitero ebraico di Noranco
Gli ebrei in Ticino erano circa 800 nel dopoguerra. Attualmente il loro numero è sceso a 300. Gli ortodossi di Lugano sono quasi scomparsi, e i servizi della sinagoga sono frequentati solamente da una decina di fedeli. Da quasi 100 anni, però, esiste e cresce lentamente il cimitero ebraico di Noranco, testimone del cosmopolitismo della comunità israelitica.
Un tempo c'erano i prati che salivano su per la montagna, e c'era un ruscello che scorreva giù verso il piano. Lontano dalle case, dalle vie, dai rumori della città. Un pezzo di terra per dare la pace ai morti e il conforto ai vivi. Era l'inizio del secolo scorso e si stava costituendo a Lugano la prima comunità ebraica. Un ebreo di passaggio - nessuno ne conosce il nome - persa la moglie alla quale volle dare degna sepoltura, acquistò un appezzamento di terra a Noranco e così venne posata la prima pietra del cimitero.
Oggi le tombe sono quasi 300. La più antica data 1919. Sepolti, uomini e donne venuti da ogni dove.
Joseph Warschauer è nato a Berlino nel 1878. Isaak Polischuk a Kiev nel 1883. Roland Waigs al Cairo nel 1901. Klara Vero-Krausz è invece di Budapest, ed ha vissuto a Londra e Locarno. Alfredo Corinaldi viene da Modena. Gabriele Besso è vissuto ad Arta, in Grecia. Kalmi Musafia è nato a Sarajevo ed è morto a Mendrisio. Da Galai in Romania è arrivato invece Ernst Veroner, poi andato a Milano e invecchiato a Coldrerio. L'ingegnere costruttore Hans Birmann è nato a Graz in Austria, è vissuto in Brasile ed è morto ad Ascona nel 1981. Jacques Rosenthal viene da Alessandria d'Egitto. Joseph Solowiejczyk, medico, è di Varsavia, e Naim Benzonana di Istanbul.
L'Africa, l'Oriente, l'Europa, le Americhe... Mille patrie, mille esperienze, mille gioie e mille dolori. Mille vite, oggi adagiate una accanto all'altra nello stesso luogo.
Un tempo qui era aperta campagna. Oggi il canto degli uccelli si confonde con quello delle automobili che sfrecciano sull'autostrada a pochi metri dalle tombe. Poco distante enormi centri commerciali occupano i prati di un tempo, di fianco al cimitero c'è una casa di piacere. La comunità israelitica di Lugano ha esaurito il ricambio generazionale e si sta estinguendo.
Ma sulle tombe qualcuno posa ancora dei sassolini.

(RSI.ch, 28 agosto 2013)


Inutile attaccare la Siria senza colpire anche l'Iran

[...] A me non sembra che né gli Stati Uniti né tantomeno o loro alleati abbiano ben chiari quali siano gli obbiettivi finali dell'attacco. A parte l'ipocrisia di attaccare dopo 100.000 morti e dire che "Assad ha superato i limiti con l'uso delle armi chimiche" (della serie, se li ammazzi con i proiettili, le bombe o i macete mi può stare bene, ma se li ammazzi con il Sarin ti punisco), cosa si vuole fare con questo attacco? Punire Assad? Destituirlo? Dare fiato ai ribelli dopo una serie di sconfitte? Oppure si vuole dimostrare che la comunità internazionale non si lascia prendere in giro e si vuole mandare un segnale chiaro all'Iran che, come tutti sanno, è l'ombra oscura del regime siriano? E se fosse valida questa ultima ipotesi, non è forse vero che la comunità internazione sono anni che si lascia prendere per il naso dagli Ayatollah? Ha senso quindi attaccare la Siria senza colpire simultaneamente il suo maggiore sostenitore? Non è come colpire il braccio senza colpire la mente? ...

(Right Reporters, 28 agosto 2013)


Apple sfida il Tesoro USA e vende iPhone agli iraniani

di Stefano Maria Meconi

NEW YORK - Apple vuole fornire nuovi strumenti all'opposizione iraniana e combattere i blocchi governativi all'accesso ad internet, e così, dopo una politica commerciale spesso criticata - e sostenuta nei fatti dall'embargo posto dal governo statunitense - tornerà a vendere iPhone e consimili ai cittadini iraniani.
La notizia ha destato un certo stupore, a causa delle tensioni diplomatiche tra il governo di Washington e quello di Teheran, sebbene la recente elezione di Hassan Rouhani alla carica di presidente abbia gettato le basi per una riapertura dei canali di dialogo tra la repubblica islamica e l'Occidente.
Il dipartimento del Tesoro Usa, infatti, ha recentemente vietato a tutte le aziende che operano e sono registrate ufficialmente sul suolo statunitense di vendere prodotti informatici - software o hardware che essi siano - al governo dell'Iran e ai suoi affiliati, mentre non ha fatto accenni alla possibilità di compravendita per i singoli cittadini che, acquistandoli negli Usa, vogliano poi introdurli personalmente o spedirli nell'Iran stesso.
L'embargo sulle strumentazioni tecnologiche, che resta in vigore per Cuba, Corea del Nord, Siria e Sudan - paesi questi con una lunga storia di dittature, e che, come la Corea, hanno intrapreso una produzione propria di strumenti tecnologici per compensare l'impossibilità di accedere a prodotti stranieri - è una misura che la stessa Apple adotta, a causa della possibilità che cittadini di questi stati, o alleati di vario genere, acquistino in massa prodotti della casa di Cupertino, per poi rivenderli nei paesi sottoposti a embargo.
La decisione dell'azienda di Tim Cook, in sostanza, scavalca solo parzialmente il veto del Tesoro, perché non riguarda la vendita diretta alle istituzioni iraniane, ma solo ai cittadini in visita nel paese, mentre per gli altri paesi colpiti da embargo viene applicata in toto. Se si tratti di una mossa più commerciale e pubblicitaria che effettiva, non è dato saperlo.
Tuttavia, l'apertura all'Iran da parte delle grandi case di tecnologia inizia a farsi più evidente. La stessa Google, alcuni giorni fa, ha aperto le porte del Play Store (il mercato di applicazioni per dispositivi Android) all'Iran, così che i cittadini del paese asiatico potranno, se in possesso di uno smartphone o di un tablet, acquistare liberamente applicazioni senza dover ricorrere a trucchi e scappatoie di alcun tipo.

(WaleUpNews, 28 agosto 2013)


Un appartamento arredato con legno e colori

Questo appartamento, situato al centro di Tel Aviv, attualmente in vendita a 1,9 milioni di dollari, fornisce un ambiente di vita eccellente, giocoso e armonico.
Si tratta di un "luogo favoloso per uno stile di vita unico, affascinante e vivace, dove ci si stacca dalla città precipitandosi in un'atmosfera che introduce in un universo di pensieri positivi".
Tutto questo è stato possibile attraverso lo studio del design, dei colori e degli elementi di decoro, che definiscono la casa.
Nonostante l'appartamento non sia ampio, avendo gli interni molto puliti ed ordinati, sembra essere dotato di grandi spazi.
In casa non esistono spigoli vivi, ma solamente superfici arrotondate. Questo contribuisce a rendere il posto molto accogliente e caldo.
Tutti gli interni sono avvolti dal legno.
Non ci sono porte, solo una divisione che aggiunge un senso di privacy per la zona notte.
Le decorazioni stravaganti impreziosiscono lo spazio: dai giocattoli divertenti, ai vasi colorati, tutti pronti a stimolare ed addirittura aumentare la creatività di chi vi ci abita.
Un ambiente di vita perfetta per una persona giovane, in cerca di una casa d'ispirazione fresh.

(Desainer, 28 agosto 2013)


Secondo ricercatori israeliani, una colazione abbondante allontana diabete e obesità

Un gruppo di ricercatori dell'University of Tel Aviv sostiene che la prima colazione è una valida alleata non soltanto per il mantenimento del fisico, ma anche per prevenire condizioni come obesità, diabete, ipertensione e problemi cardiovascolari.

Una colazione ricca ed abbondante fa bene, alla dieta, ai cm di girovita, all'umore e alla salute in generale: numerosissimi studi ne hanno sottolineato l'importanza ma ciò nonostante, dati alla mano, una buona percentuale di italiani è solita saltare questo pasto fondamentale.
Una recente ricerca, condotta da un gruppo di ricercatori dell'Università di Tel Aviv, in Israele, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Obesity, ha dimostrato come le donne che hanno seguito una "super-colazione", comprensiva anche di dolce, avevano nel corso della giornata livelli significativamente più bassi di insulina, glucosio e trigliceridi, e quindi un minor rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete e ipertensione rispetto a quelle che mangiano meno al mattino e consumano il pasto più abbondante a cena.
Un dato importante ma non il solo: le signore che avevano consumato in media 700 calorie a colazione alla fine delle 12 settimane di studio avevano perso circa 8 chili e 7,5 centimetri di girovita, contro i 3 chili e i 3,5 centimetri di girovita dell'altro gruppo di donne che assumevano soltanto 200 calorie al mattino.
Daniela Jakubowicz, coordinatrice dello studio, spiega che il meccanismo potrebbe ruotare intorno all'ormone grelina, noto per regolare la sensazione di fame. Le donne del gruppo della colazione abbondante, infatti, nel corso della giornata presentavano livelli più bassi dell'ormone, e quindi sentendosi più sazie facevano un ridotto utilizzo di snack e spuntini extra.

(UrbanPost, 28 agosto 2013)


Tel Aviv, l'altra Silicon Valley

di Ugo Tramballi

TEL AVIV - «In Israele ci sono troppe buone idee: il problema è capire quali sono utili», quelle cioè che servono alla gente e al mercato e fanno guadagnare. A dispetto dei suoi 28 anni, Yoav Oz di Star-Tau, fisico da Navy Seals israeliani con i quali ha effettivamente prestato servizio di leva, insegna a chi ha quelle idee a farne un business. A trasformare un'intuizione in un'impresa.
   Delle 20 domande di ammissione che ogni giorno riceve da quando ha aperto i battenti cinque mesi fa, Star-Tau ha selezionato 32 idee meritevoli di diventare una start up. Questo stesso centro di educazione all'impresa creato da un gruppo di studenti all'ombra della Tau, l'Università di Tel Aviv, è una nuova impresa. La Tau aveva dato loro 1.500 dollari e oggi muovono un capitale da un milione.
   Quando trova il suo terreno naturale, una start up è un cromosoma culturale ed economico in continua mutazione. Secondo lo start up Ecosystem Report 2012 nessun luogo al mondo dopo la Silicon Valley gli è più congeniale di Tel Aviv. Seguono Los Angeles, Seattle, New York, Boston e Londra. Per essere precisi, più di Tel Aviv, il quartiere Nord orientale di Ramat Hahayal. L'universo israeliano dell'hi-tech e dei media digitali lo ha sviluppato in questo quindicennio semplicemente perché nel folle mercato immobiliare della città, i prezzi erano i più bassi. E per la vicinanza all'Università: della fenomenale impresa israeliana delle start up, i 57 college e le otto università del Paese sono un approdo fondamentale.
   È più complesso spiegare perché in Israele è accaduto tutto questo. Perché in un Paese di 7,8 milioni di abitanti, con qualche serio problema geopolitico alle porte, operino 5mila start up: alcune muoiono, molte diventano imprese consolidate, altre sono acquistate da stranieri. «Dopo 24 mesi una start up deve incominciare a prendere i soldi dal mercato», dice Ziv Min-Dieli di The Time, uno dei 25 incubatori privati del Paese: in questo crescono 40 start up e 400 sperano di entrare. Ma ogni anno ne nascono di nuove: 546 nel 2011, 575 l'anno scorso. Un programma statale iniziato un ventennio fa con 100mila dollari ha creato un'industria da quattro miliardi. «Un master plan non è mai esistito», spiega Benny Zeevi, co-presidente di Israel Advanced Technology Industries, una piattaforma delle start up. «In un certo senso eravamo come Cristoforo Colombo: era partito con una mappa sbagliata eppure ha scoperto l'America».
   Ma se negli Usa e in Europa le start-up sono genio e iniziativa privati con il corollario di amministrazioni locali lungimiranti, in Israele è molto di più. È l'impresa collettiva che definisce una nazione. Come i kibbutz 65 anni fa. Le start up sono il kibbutz tecnologico del XXI secolo. Per spiegarne il senso, il miliardario Yossi Vardi usa la parabola della "madre ebrea": «La tecnologia è ovunque. Ma in Israele tutti i figli sanno che la mamma dirà loro: con tutto quello che ho fatto per te, è troppo chiederti almeno un Nobel?». Negli ultimi dieci anni Israele ne ha prodotti sei: le mamme dovrebbero essere soddisfatte.

(Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2013)


L'allerta di Israele

Tel Aviv
Anche per il Foglio la capitale d'Israele è Tel Aviv?
teme ritorsioni in caso di attacco americano in Siria, ma crede nel fattore deterrenza

di di Rolla Scolari

   
TEL AVIV
Anche per il Foglio la capitale d'Israele è Tel Aviv?
- Le chiamate al 171, centralino del servizio postale israeliano che distribuisce alla popolazione le maschere anti-gas, sono triplicate nelle scorse ore, assieme al numero di cittadini che si è presentato ai centri di distribuzione in tutto il paese. Si intensificano infatti in questi giorni gli indizi di una possibile operazione militare americana contro la Siria, dopo i presunti attacchi chimici che mercoledì avrebbero ucciso nei sobborghi di Damasco centinaia di persone. Per molti israeliani, il timore è quello che un attacco militare degli Stati Uniti e dei loro alleati possa rendere Israele, vicino della Siria e del Libano con i quali è formalmente in guerra, il più ovvio obiettivo di una rappresaglia armata. Le parole di alcuni funzionari siriani sarebbero una non troppo velata minaccia alla sicurezza nazionale, scrive il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, riportando una frase del ministro dell'Informazione di Damasco: "Un attacco americano infiammerebbe tutto il medio oriente". Minacce esplicite sono venute da Khalaf Muftah, ex aiutante del ministro, oggi funzionario del partito Baath. In caso di attacco "Israele finirà nel mirino", ha detto ieri in un'intervista radio. "Abbiamo armi strategiche e siamo capaci di rispondere".
   I vertici dell'esercito israeliano, attraverso rivelazioni anonime alla stampa locale, cercano invece di tranquillizzare la popolazione. Secondo fonti militari, riprese dall'emittente nazionale Channel 2, il regime di Bashar el Assad non risponderà a un'azione internazionale colpendo Israele. Se osservatori e analisti militari pensano che un'operazione americana avrà contorni limitati - un attacco con missili cruise a obiettivi specifici - un'eventuale reazione israeliana a un contrattacco siriano potrebbe essere invece molto più robusta e rischiosa per un esercito siriano impegnato in un conflitto logorante contro le forze ribelli da oltre due anni. Israele conta dunque sulla sua "deterrenza", scrive il Jerusalem Post, secondo il quale il governo non ripeterà quanto accaduto nel 1991, ai tempi della guerra del Golfo, quando l'esercito non rispose al lancio di missili Scud iracheni. La reazione israeliana al lancio, avvenuto giovedì, di alcuni razzi katyusha dal Libano su Israele è sembrata essere un messaggio di determinazione. L'aviazione ha infatti bombardato in territorio libanese, pochi chilometri a sud di Beirut, presunte postazioni di lancio di missili usati da gruppi armati estremisti vicini alla Siria. Israele non portava a termine un raid aereo in Libano dalla guerra contro le milizie sciite di Hezbollah del 2006 e in passato, in risposta a simili attacchi, ha sempre reagito soltanto con l'artiglieria.
   Un'operazione militare contro la Siria coinvolgerebbe gli alleati del regime degli Assad, Iran e Hezbollah, la cui roccaforte è il Libano meridionale, così vicino a Israele. E proprio per evitare il rischio di attacchi da oltre il confine, secondo i mass media israeliani, nelle scorse settimane sarebbe stata rafforzata la presenza di truppe lungo le due frontiere settentrionali, siriana e libanese, e da mesi l'intelligence lavorerebbe senza sosta nell'area.
   Finora, i vertici militari e politici israeliani sono stati molto chiari sull'entità di possibili reazioni: "Sapremo sempre difendere i nostri cittadini", ha detto domenica il premier Benjamin Netanyahu. Se fino a oggi Israele ha evitato di prendere una posizione sugli eventi della guerra civile siriana, le recenti notizie su presunti attacchi chimici così vicini alla porta di casa hanno fatto cambiare i toni alle autorità: "I più pericolosi regimi del mondo non possono avere le armi più pericolose del mondo", ha detto Netanyahu, che non ha né approvato né criticato una possibile operazione militare internazionale. Per la prima volta durante il weekend, accanto al francese Laurent Fabius, in visita nella regione, il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon ha confermato l'utilizzo di armi chimiche in Siria: "Non è la prima volta che il regime, sostenuto da Iran e Hezbollah, usa armi non convenzionali", ha detto. "E' chiaro che la Siria abbia usato armi chimiche", ha ribadito ieri il responsabile per gli Affari strategici Yuval Steinitz.

(Il Foglio, 27 agosto 2013)


Il deputato antisemita inglese: le armi chimiche ad Al Qaeda? Le vende Israele

George Galloway, deputato inglese appartenente (ne è stato uno dei fondatori nel 2004, dopo una lunga militanza nel Partito laburista da cui venne espluso) del Respect Party, una formazione di ispirazione socialista, è un nome noto in Inghilterra, anche se non proprio per la sua attività politica quanto per le sue esternazioni. Il motivo della sua notorietà è dato
dai suoi discorsi pubblici in cui assume posizioni a dir poco controverse e di taglio fortemente antisemita. Nel 1994 infatti si recò in Iraq per incontrare personalmente Saddam Hussein (di cui era stato oppositore fino all'intervento militare nella guerra del Golfo nel 1991). Diffuse un discorso che si concludeva con le parole: "Io le riconosco onore per il suo coraggio, la sua forza, il suo impegno". Parole che furono ovviamente criticate: lui si difese dicendo che si riferiva al popolo iracheno e non a Saddam. La sua posizione politica attuale per quanto concerne il Medio Oriente è un aperto sostegno alla causa dei palestinesi e contro Israele. In passato ha definito il sionismo "una blasfemia contro il giudaismo e contro Dio". Qualche anno fa, invitato a un dibattito pubblico, se ne andò quando seppe che l'altro oratore, uno studente, era di nazionalità inglese ma anche israeliana. Le sue parole furono: "Non riconosco Israele e non discuto con gli israeliani". Proprio in questo senso stanno facendo scalpore le sue parole, rilasciate durante un intervento registrato per un canale televisivo, in cui Galloway accusa Israele di fornire armi chimiche ad Al Qaeda. Il riferimento era al terribile attacco con armi chimiche che ha fatto centinaia di vittime a Damasco, in Siria, pochi giorni fa. Nonostante il suo estremismo politico, Galloway è molto apprezzato in Inghilterra: definito un antisemita estremo, forse proprio per questo ottiene tale successo.

(ilsussidiario.net, 27 agosto 2013)


Germania - Concluse le indagini per quaranta guardiani di Auschwitz

In Germania sono terminate le pre-indagini su circa 40 presunti ex guardiani dei campi di concentramento di Auschwitz e Auschwitz-Birkenau recentemente individuati dall'Autorita' tedesca che indaga sui crimini nazisti.
E' quanto ha confermato al quotidiano Tageszeitung (Taz) il procuratore generale Kurt Schrimm, direttore della stessa autorita' di Ludwigsburg, che il prossimo mese consegnera' i documenti alle procure competenti. Eventuali processi potrebbero dunque aprirsi gia' prima della fine dell'anno. ''La maggior parte dei sospettati sono nati tra il 1920 e il 1925'', ha spiegato Schrimm alla Taz, e vivono in diverse citta' tedesche, compresi i Laender dell'ex Repubblica democratica (Ddr). Ad
aprile la stampa locale aveva dato notizia delle indagini su 50 persone, ma nei mesi scorsi alcuni dei sospettati sono morti. ''Mi aspetto che i processi abbiano successo - aveva detto allora il procuratore generale - ma questo dipendera' dall'eta' degli imputati e dal loro stato di salute''. L'accusa che potra' essere loro contestata e' quella di concorso in omicidio: ''La sola presenza (nei campi di concentramento) e' sufficiente'', ha chiosato ancora Schrimm ricordando il caso di John Demjanjuk, condannato nel 2011 a cinque anni di carcere per concorso in omicidio di 20mila persone.

(CampaniaNotizie.com, 27 agosto 2013)


A Gerusalemme in mostra i trenini del mondo

É visitabile fino al 30 settembre presso la Vecchia Stazione

Immagini
Fino al 30 settembre la Vecchia Stazione di Gerusalemme ospita 'Train World 2013', mostra dedicata al mondo del treno che espone modellini di treni di ogni epoca, provenienti da tutto il mondo, e che raccontano l'evoluzione storica e tecnologica di questo mezzo. In mostra i modelli realizzati prima della I guerra mondiale fino ai più sofisticati modelli moderni, oltre che a decine di modelli di treni rari e unici in prestito per l'occasione da famosi collezionisti.
I modelli dei treni sono inseriti all'interno di un paesaggio che rispecchia la vita reale dell'Europa di un tempo, fatta di parchi, stazioni di servizio, ristoranti, strutture pubbliche ed edifici, strade, autostrade, gallerie, laghi, fiumi e altro ancora, tra cui incidenti di auto, riparazioni stradali e passaggi di ciclisti.
L'area della Prima Stazione, recentemente aperta al pubblico, sta divenendo una delle principali attrazioni turistiche di Gerusalemme, molto popolare per il tempo libero. Aperto al pubblico 7 giorni alla settimana, il complesso comprende l'edificio della stazione restaurata, nello stile architettonico templare ottocentesco con anche una vasta piattaforma di legno per passeggiare e di intrattenimento, con ristoranti, caffè e negozi, mostre temporanee e manufatti storici come i vagoni originali e la locomotiva.
Il costo del biglietto singolo è di 75 NIS (15 euro), mentre per famiglia, 4 persone, 1 adulto e 3 bambini o 2 adulti e due bambini, 220 NIS (55 euro).

(travelnostop, 27 agosto 2013)


Siria: il mondo scopre come vive Israele da 60 anni

Volete sapere come si vive sotto la costante minaccia di sterminio? Vi basta andare qualche giorno in Israele dove ai bambini delle scuole una delle prime cose che insegnano è come reagire a diversi tipi di attacco, da quello convenzionale e quello chimico.
I bambini siriani massacrati dal gas non sapevano queste cose, a loro non viene insegnato quello che si deve fare in queste circostanze, fino a due anni fa non ne avevano bisogno perché nessuno li minacciava di sterminio o di lanciare gas nervini sulle loro case e scuole. Non sapremo mai se qualche cognizione in più su come reagire a un attacco chimico, a partire dal riconoscerlo, ne avrebbe salvati un po', di certo non gli avrebbe nuociuto....

(Right Reporters, 27 agosto 2013)


Rosh Hashanà a Gerusalemme con EDIPI

La decisione di festeggiare il Capodanno Ebraico (Rosh Hashanà) in Israele da parte dell'Associazione Evangelici D'Italia per Israele è motivata anche dall'opportunità di visitare il Moshav (una cooperativa agricola) Ama-Agri di Tifrah nel deserto del Neghev.
Questo Moshav gestito da ebrei messianici è il posto in cui EDIPI ha contribuito con 37500 piantine di carciofi a far ... rifiorire il deserto e la terra arida, come la rosa, parafrasando la profezia di Isaia 35:1.
Infatti il carciofo è un fiore e la scelta della tipologia ibrida adatta per il clima del deserto è quella denominata "Opera" che in bocciolo viola assomiglia alla rosa.
La delegazione di EDIPI oltre alla visita nel Moshav di Tifrah, incontrerà le congregazioni messianiche con cui è gemellata: Beit Immanuel del pastore David Lazarus a Jaffa e Beit Natanel dell'evangelista Rachel Natanel a Ein Kerem.
Il capo della delegazione EDIPI, il pastore Ivan Basana, avrà un incontro speciale con il famoso archeologo biblico Dan Bahat per la programmazione di un prossimo tour di archeologia biblica da effettuare nella primavera 2014.
Sullo sfondo di tutti questi incontri la delegazione di EDIPI sarà presente dal 3 al 15 settembre alla manifestazione di Tom Hess "All Nations Convocation", nel kibbutz Ramat Rachel di Gerusalemme.
Sarà un occasione importante per incontrare molti dei relatori ebrei messianici che negli ultimi 12 anni hanno partecipato ai vari Raduni Nazionali EDIPI oltre il sindaco di Gerusalemme, presente ogni anni a questa manifestazione di Tom Hess che richiama per l'occasione migliaia di evangelici in Israele.
Per ulteriori informazioni consultare il sito di EDIPI.

(EDIPI, 27 agosto 2013)


Curb Your Enthusiasm

   
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Come altre fantastiche parole ormai entrate nello slang newyorkese - putz, schlep, schmuck, bupkes, chutzpah, kvetch - anche schlemiel è una parola di origine yiddish. Il dizionario la definisce come «una persona imbranata e sfortunata per la quale le cose non vanno mai per il verso giusto». Sebbene lo schlemiel sia parte della tradizione folkloristica yiddish, e quindi europea, Larry David, protagonista di Curb (che, lo dico subito, è una delle migliori serie comiche dell'ultimo ventennio) è la perfetta personificazione tv dello schlemiel americanizzato, un personaggio adattato al successo, un produttore miliardario a Los Angeles che è, allo stesso tempo, profondamente disadattato. Non c'è niente di più ebraico di questo: un personaggio ricco, sposato, apparentemente felice e "inserito" in società, che è comunque, inevitabilmente "altro", diverso, odiato. La serie intera straripa di ebraicità: ci sono puntate chiamate The Bar Mitzvah o The Seder, gli amici di Larry sono quasi tutti ebrei che interpretano diverse "versioni" dell'esperienza ebraica americana, e Larry stesso si trova in diverse puntate a dover "fare i conti" col suo non essere "abbastanza ebreo". Caso principe di questa dinamica è la puntata in cui Larry cerca di aiutare l'amico Richard Lewis e si trova a dover far finta di essere un «fondamentalista ebraico» (cit.) per ottenere un favore da un conoscente, iniziando a indossare la kippah, estremizzando il suo accento e usando parole yiddish inventate che suonano come schiarimenti di gola. Quando, più avanti nella puntata, si inventa di esser stato parte di una band jewish-folk - meravigliosamente chiamata Larry David and The Hipsters - i titoli delle canzoni che Larry improvvisa sono Gefilte Fish Blues e My Freakin' Back is Killin' Me and It's Making It Hard to Kvell, e gli altri attori faticano a non mettersi a ridere.
   Seinfeld è stata, prima di Curb Your Enthusiasm, forse la prima vera serie americana i cui protagonisti erano apertamente ebrei e che portava sul piccolo schermo, a milioni di non-ebrei, una versione modernizzata dell'umorismo ebraico. Certo, Ross e Monica erano ebrei in Friends, e anche Rachel lo era, teoricamente, ma la cosa non è mai stata sviluppata più di tanto, se non nel fantastico casting del grande attore ebraico Elliott Gould come padre dei fratelli Geller. E pure in Seinfeld - la serie più di successo degli anni '90 e la serie più "ebrea" del panorama pop americano - i produttori della NBC avevano talmente paura che la serie potesse essere percepita come "troppo ebrea" che decisero di dare un nome italo-americano al personaggio di George Costanza, che era, ironicamente, basato integralmente su Larry David stesso, che di Seinfeld era produttore esecutivo e co-creatore.
   Il problema non si è più presentato quando Larry David ha sviluppato Curb Your Enthusiasm per HBO: in questa nuova serie (nata da un mockumentary di un'ora e mezza in cui Larry interpretava se stesso che, dopo il successo planetario di Seinfeld, provava, fallendo miseramente, a tornare allo stand-up) il personaggio di Larry non sarebbe stato "adattato" in un italiano George. Larry sarebbe semplicemente stato se stesso, a 360 gradi: e quindi il personaggio-Larry si discosta dal Larry-vero solo per la sua ineluttabile onestà e la sua volontà di dire sempre quello che pensa, cosa che lo porta sempre e comunque a trovarsi incompreso, ostracizzato, umiliato e deriso. È da questa dinamica che nasce l'umorismo di Curb, un umorismo figlio di una tremenda osservazione dei microscopici dettagli della vita quotidiana: dal parcheggiare male al rubare dei gamberi a una festa all'entrare a metà fila al buffet facendo finta di riconoscere qualcuno che è già in fila da prima di te (il chat and cut), dallo scambiare un norvegese per uno svedese ai diversi tipi di conversazione telefonica organizzati per situazione (per esempio la chiamata per strada vale meno della chiamata da casa). Il tipo di umorismo che scaturisce da queste piccole osservazioni, con Larry che si erige a moralizzatore su quali di questi comportamenti siano "giusti" e quali "sbagliati", è la base di Curb. Anche qui pesa l'eredità di Seinfeld, serie famosa per aver inventato termini come double-dip (quando una persona puccia un grissino in una salsa dopo averlo già pucciato e morso) o lo shrinkage (quello che succede alle parti private degli uomini se fanno il bagno nell'acqua fredda).
   «Larry David in tv è diverso dal Larry David vero perché io non oserei mai comportarmi così», ha dichiarato David in un'intervista a Rolling Stone. «È la mia versione di Superman. Se potessi fare sempre quello che voglio, sarei così sempre, ma non si può. (...) Quella è una versione "idealizzata" di me. Pazzo com'è, potrei indossare i suoi panni anche ora, ma sarei arrestato o preso a pugni o cose del genere». Parlando con IFC, David ha rincarato: «Il Larry di Curb non è un rompipalle. È solo incredibilmente onesto, e io non lo sono. È per questo che affronta tutti. Ma dato che viviamo in un mondo delicato e con un equilibrio sociale particolare, non possiamo esprimerci così». Chi non vorrebbe poter essere più onesto? Chi non vorrebbe che tutti stessero alle proprie piccole e ferree regole? E chi, poi, alla fine, non si accontenterebbe di guardare un programma tv in cui un personaggio si comporta così? Se io fossi come Larry, vi direi tranquillamente che se non amate questo programma non avete capito niente della vita. Ma non lo farò. Perché, citando un rassegnato George Costanza, viviamo in una società.

(Il Sole 24 Ore, 27 agosto 2013)


Minacciato di boicottaggio un cantante che vuol fare un concerto in Israele

Salif Keita
WASHINGTON / GERUSALEMME - Salif Keita ha cancellato un concerto in Israele, non perché il cantante africano lo volesse, ma perché i suoi agenti hanno ricevuto minacce da un movimento di boicottaggio contro Israele. La gestione del musicista allora ha messo la cosa in pubblico
Minacce, tentata estorsione, intimidazioni, insulti su piattaforme di social media e calunnia: questi sono i metodi del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni). Con questi metodi gli attivisti hanno persuaso Keita ad annullare un concerto in Israele. E nello stesso modo si comportanto regolarmente con i musicisti che vogliono esibirsi in Israele.
Non è stato Keita a disdire il concerto al "Festival di Musica Sacra" di Gerusalemme del 22-23 Agosto, ma i suoi agenti. Questi avrebbero ricevuto innumerevoli minacce dal BDS, ha detto il manager del musicista. Una delle minacce riguarda una campagna anti-Salif Keita. Il BDS ha annunciato l'intenzione di promuovere altre campagne di diffamazione nelle reti sociali e quindi di danneggiare la reputazione del 64enne musicista.
Viste le minacce, la direzioine non ha avuto scelta: "Noi amiamo Israele e il fantastico spirito di unità del "Festival di Musica Sacra ‘, ma non siamo d'accordo con i metodi di intimidazione e minaccia che utilizza il BDS. La direzione quindi ha deciso di procedere con cautela, trovandosi di fronte a un gruppo estremista, e il BDS è estremista ".
La direzioine del cantante ha anche invitato il BDS a scegliere mezzi legali per far valere le sue ragioni. Le minacce e gli attaccchi alla libertà di espressione degli artisti non sono cose adatte. In definitiva, la causa dei palestinesi per sui il BDS dice di agire, non è avvantaggiata da tutto questo.
Nella sua ultima apparizione Keita aveva progettato di visitare l'ospedale Hadassah e un centro per persone affette da albinismo. Anche il musicista soffre di albinismo. nonostante la cancellazione del concerto, una donazione per l'ospedale, tra cui indumenti di protezione solare, è già arrivata a Gerusalemme. "Speriamo che la donazione vi sia arrivata con l'amore con cui voleva arrivare. E speriamo che in futuro possa venire a cantare in Israele", ha detto Keita.

(israelnetz.com, 26 agosto 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Lech Lechà: gli appuntamenti di Martedì 27

A Brindisi, martedì 27 agosto, a partire dalle 17.30, presso Palazzo Nervegna, ci sara' la presentazione del libro "Gli ebrei del Salento" (ediz. Congedo) con l'autore, Fabrizio Lelli (Università del Salento) e l'avvocato Cosimo Yehudà Pagliara (Comunità Brindisi).
A seguire, con inizio alle 18.30, conferenza e dibattito sul tema: il Dybbuk nella tradizione mistica ebraica. Relatori: Tullio Levi (Centro Internazionale di Studi Ebraici "Primo Levi") e Fabrizio Lelli (Università del Salento).
Introduce e modera il dibattito Cosimo Yehudà Pagliara (Comunità Brindisi). A seguire, con inizio alle 20:30, proiezione del film "Der Dybbuk". Regia di Michal Waszynski (1937).
Edizione restaurata in lingua yiddish con sottotitoli in italiano per gentile concessione dell'Istituto Polacco di Roma. Per la prima volta proiettato in Puglia. Presentazione di Ilana Bahbout, del DEC dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane.
Va chiarito che la parola ebreo non indica una nazionalità o cittadinanza né designa un seguace della religione ebraica. Ebreo è chi nasce da genitori o almeno da madre ebrea o chi si converte alla religione ebraica. Ci sono ebrei bianchi, etiopi di ceppo camitico detti felascia, neri indiani dell'Andra Pradesh, tunisini di Djerba, gialli di Kaifeng, mongolidi del Birobidjan, ecc.
Nel Meridione d'Italia, dopo la cacciata del 1541, è venuto a mancare l'ebreo come interlocutore nel dialogo tra fedi e culture; il ritorno e la diffusione dell'ebraismo, dei suoi valori e del suo messaggio etico verso il Mezzogiorno è uno degli obiettivi principali di Lech Lecha' 2013, la settimana di eventi che ha dedicato due giorni a Brindisi e che si concludera' a Roma il 2 settembre con uno spettacolo nella Sala della Protomoteca del Campidoglio.

(Brundusium.net, 27 agosto 2013)


Sionismo, una definizione realistica

di Abraham B. Yehoshua

  
Abraham B. Yehoshua
Il concetto di sionismo è fondamentalmente semplice, chiaro, facile da definire e da comprendere. Ma negli ultimi 20 o 30 anni tale concetto si è fatto confuso, complesso, e talmente inflazionato da aver compromesso completamente la possibilità di concordare sul suo significato. La destra lo utilizza come una specie di crema per migliorare il sapore di pietanze dal gusto discutibile mentre la sinistra lo maneggia con ansia, come una mina che possa esploderle tra le mani e che va neutralizzata con ogni sorta di aggettivi quali sionismo «assennato» o «umano».
Nella controversia tra «fazione nazionalista» e «fazione per la pace» il sionismo è un'arma al servizio di una parte o dell'altra.
All'estero, in ambienti avversi a Israele, il termine «sionismo» equivale a una sorta di pozione velenosa con la quale esacerbare le critiche e c'è chi ritiene che una soluzione ai problemi della regione potrebbe essere l'abolizione dell'identità sionista di Israele.
Per i nemici giurati di Israele «sionista» è un termine dall'accezione demoniaca, utilizzato in senso dispregiativo come sostituto di «israeliano» o di «ebraico». Hamas parla del soldato «sionista» prigioniero e Hezbollah e l'Iran «dell'entità criminale sionista», anziché di Israele.
È arrivato quindi il momento di tentare di dare una definizione realistica del concetto di «sionismo».
In primo luogo occorre ricordare che questo termine è nato storicamente alla fine del XIX secolo. Non avrebbe quindi senso definire Yehuda Halevi «sionista», per esempio, o qualunque altro ebreo emigrato in Israele nei secoli scorsi, così come non sarebbe possibile definire «socialista» Robespierre, vissuto alla fine del XVIII secolo.
Tali termini hanno un significato all'interno di un particolare quadro storico e sarebbe semplicemente anacronistico proiettarli su un altre epoche.
Cos'è dunque un sionista? Ecco la definizione: Sionista è chi ha voluto o sostenuto la creazione di uno Stato ebraico in terra di Israele.
La parola chiave di questa frase è «Stato», ovviamente connessa a «terra di Israele» per via del legame storico fra questa e il popolo ebraico.
Il nonno di mio nonno, per esempio, che arrivò in terra di Israele da Salonicco a metà del XIX secolo, non può essere definito «sionista». Non venne a stabilirsi qui per fondare uno stato. Lo stesso vale per gli antenati dei «Neturei Karta» o di altri gruppi religiosi giunti in questa regione nel XVII e nel XVIII secolo che non solo non volevano creare uno Stato ebraico ma ancora oggi considerano Israele un abominio e un'eresia.
«Sionista» è un ebreo che sostiene la creazione di uno Stato ebraico in terra di Israele e non necessariamente chi vi risiede. Herzl e molti leader sionisti non si stabilirono qui, ma sarebbe impossibile non definirli sionisti. E anche i membri di federazioni sioniste sparse per il mondo si considerano «sionisti» (e tali li riteniamo pure noi) sebbene vivano altrove. Chi definisce «sionista» solamente chi è emigrato nello Stato ebraico sostiene di fatto che non vi sono sionisti al di fuori di Israele, quando le cose non stanno così. E chi è nato in Israele è sionista per nascita?
Sionista è chi ha voluto o sostenuto la creazione di uno Stato ebraico in Israele. Ma che tipo di Stato? Ogni sionista aveva una sua visione e un suo programma. Il sionismo non è un'ideologia. Se la definizione di ideologia secondo l'enciclopedia ebraica è «Un insieme sistematico e organico di idee, principi e direttive in cui trova espressione il particolare punto di vista di una setta, di un partito o di un ceto sociale» allora il sionismo non può essere considerato tale. È piuttosto un'ampia piattaforma sulla quale trovano spazio ideologie diverse e persino contraddittorie.
Dopo la creazione di Israele nel 1948 la definizione di «sionista» subì un cambiamento in quanto non era più necessario fondare uno Stato. Quindi ora è sionista chi accetta il principio che Israele non appartiene unicamente ai suoi cittadini, ma a tutto il popolo ebraico, e la Legge del Ritorno è l'espressione concreta e vincolante di tale principio.
Gli affari dello Stato sono gestiti solo ed esclusivamente dai suoi cittadini, possessori di carta di identità israeliana (l'ottanta per cento dei quali è formato da ebrei e il venti per cento da arabi israeliani e da altre minoranze). Ma solo chi sostiene e approva la Legge del Ritorno è sionista mentre chi la nega non lo è, nonostante anche quegli ebrei israeliani (di destra o di sinistra) che rifiutano la Legge del Ritorno e si autodefiniscono «postsionisti» rimangano leali cittadini dello Stato e mantengano tutti i loro diritti civili.
Ne consegue che tutti i grandi problemi ideologici, politici, sociali che dibattiamo ogni giorno non hanno niente a che fare con il sionismo. Sono gli stessi problemi che affliggono tutti gli altri popoli, passati e presenti. Di più. «Sionismo» non è un sinonimo o un sostituto di «patriottismo», di «pionierismo», di «umanità» o di «amor di patria». L'ebraico è una lingua sufficientemente ricca per trovare una definizione appropriata a qualunque presa di posizione, sentimento o azione. Un ufficiale dell'esercito che continua a prestare servizio per molti anni dopo la leva obbligatoria non è più sionista di un negoziante che fa del suo meglio per arrivare a fine mese, anche se forse verrà considerato un migliore patriota. E un membro di un'organizzazione di volontariato non è più sionista di un agente di cambio, benché probabilmente possieda una maggiore umanità.
Essere sionisti non è un merito, una medaglia da portare al petto. Le medaglie vengono assegnate per atti valorosi, non per aver sostenuto la Legge del Ritorno.
Non c'è neppure alcun nesso tra l'estensione territoriale di Israele e il sionismo. Se gli arabi avessero accettato il piano di spartizione del 1947 lo Stato ebraico sarebbe comunque sionista mentre se avesse occupato e annesso la Transgiordania e abrogato la Legge del Ritorno non lo sarebbe più, malgrado la maggiore ampiezza del suo territorio. Israele era sionista quando controllava la Striscia di Gaza e lo è rimasto anche dopo il suo ritiro. Molti Paesi hanno ampliato o ridotto il loro territorio, ma la loro identità è rimasta la stessa.
E per chi considera la Legge del Ritorno discriminatoria nei confronti dei cittadini arabi di Israele la corretta risposta sarebbe questa: la Legge del Ritorno è il presupposto morale sul quale le Nazioni Unite hanno basato la loro approvazione alla creazione di Israele. L'Onu decise la partizione della Palestina-Eretz Israel nel 1947 in due Stati, ebraico e palestinese, a condizione che lo Stato ebraico non fosse patria solo dei seicentomila israeliani che vi vivevano ma potesse risolvere la difficile situazione degli ebrei di tutto il mondo permettendo loro di trovarvi una casa. Sarebbe dunque morale che le centinaia di migliaia di ebrei immigrati in Israele in base alla Legge del Ritorno si chiudessero alle spalle la porta attraverso la quale sono entrati?
Molto probabilmente una Legge del Ritorno sarà promulgata anche nello Stato palestinese, che spero sorgerà al più presto. Una legge moralmente giusta che concederà a qualsiasi palestinese in esilio il diritto di tornare in patria e di trovarvi asilo e cittadinanza.
Ma la Legge del Ritorno in Israele o nel futuro Stato palestinese non contraddice le norme che regolano particolari casi di immigrazione, quali sono in vigore in molti Paesi del mondo.
Sfrondare il termine «sionismo» da propaggini superflue non solo renderà più facile il dibattito ideologico e politico all'interno dello Stato ebraico (impedendo una mitizzazione delle controversie), ma costringerà anche i detrattori di Israele a chiarire meglio le loro posizioni.

(La Stampa, 26 agosto 2013)


Questo articolo, che pure può servire a contrastare certi usi spregiativi del termine "sionista", contiene due gravi, fondamentali errori storici che sono alla base di molte posizioni anti-israeliane di tipo occidentale.
Primo errore - "La Legge del Ritorno è il presupposto morale sul quale le Nazioni Unite hanno basato la loro approvazione alla creazione di Israele".
Secondo errore - "Una legge moralmente giusta concederà a qualsiasi palestinese in esilio il diritto di tornare in patria e di trovarvi asilo e cittadinanza."
Una presa di posizione nettamente contraria a queste affermazioni è contenuta nei punti 3 e 5 dei "Sette punti" presenti a lato di questa pagina, e le argomentazioni relative si possono trovare in diversi articoli della rubrica "Approfondimenti".
Errori teorici di questo tipo, specialmente se espressi da un israeliano o da chi si presenta come amico di Israele, sono tra i più funesti, perché basati su falsità di fondo che in superficie alimentano gli umori anti-israeliani dei benpensanti moraleggianti (soprattutto quelli di sinistra). M.C.


Israele - Maschere anti-gas alla popolazione

Dopo le denunce sull'utilizzo di armi chimiche nella confinante Siria, Tel Aviv teme un attacco entro i suoi confini; e, tra polemiche e approvazioni, distribuisce alla popolazione maschere anti-gas.
Video

(la Repubblica, 26 agosto 2013)


Oltremare - Tempo di Festival
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band ”
“Shabbat & The City ”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Quando si vive in Israele ma si è vissuta più di metà della vita altrove, è facile che capiti di non cogliere subito le novità del paese natale. Occupati come siamo a decrittare le notizie del telegiornale locale, succede di perdersi delle tendenze, delle novità, avvenimenti che nel paese d'origine sono sulla bocca di tutti. Se qualcuno mi chiede che cosa ne penso spesso mi ci vuole google per aggiornarmi.
Esempio, tutti questi meravigliosi festival ebraici: di cultura ebraica, musica ebraica, letteratura ebraica, vita ebraica, suppongo anche cucina ebraica (sennò per favore si provveda!), che pullulano da una quindicina di anni in Italia e in Europa in generale. Non che a noi israeliani facciano un baffo, noi che viviamo immersi in un festival ebraico collettivo e quotidiano: ma a guardare da qui, oltremare, sono difficili da valutare.
Soprattutto mi chiedo se siano più un modo per arricchire il mondo ebraico italiano (diasporico in generale), che si ritrova a quei festival come ai miei tempi ci si ritrovava ai raduni e convegni della FGEI - tanta voglia di stare insieme, e se poi si impara anche qualcosa, en passant, ben venga. O se siano pensati per portare al mondo intorno la crème della crème della cultura, letteratura, ecc. ebraica, e mostrarsi al meglio nell'interazione con il pubblico non ebraico, anche a costo di rischiare l'effetto ebrei da vetrina.
Ecco, questa è una delle situazioni nelle quali il mio giudizio di ebrea ex-diasporica tentenna. Qui in Israele si tende (forse troppo) al machismo culturale, cosa che nell'ebraismo diasporico nemmeno si pone. E' una delle libertà tangibili del vivere qui invece che lì: non aver più nessuno da interessare, per necessità o per convenienza, alla nostra millenaria cultura, letteratura, cucina, musica eccetera. Le viviamo e basta, e chi vuole è benvenuto a viverle con noi.

(Notiziario Ucei, 26 agosto 2013)


Eventi ebraici Lech Lechà a Brindisi

Il programma degli eventi Lech Lechà a Brindisi il 26 e 27 agosto 2013

Brindisi è tappa importante di Lech Lechà, uno dei maggiori eventi dell'ebraismo italiano che, al contempo, rappresenta luogo ideale per la promozione dei valori dell'interculturalità.
Il Comune di Brindisi è tra i patrocinatori di Lech Lechà 2013: una settimana di arte, cultura e letteratura ebraica, da domenica 25 agosto al 2 settembre che vede nel ruolo di organizzatore il Comune di Trani, considerata il capoluogo dell'ebraismo meridionale, e la collaborazione di altri Comuni come Barletta, Manfredonia, Sannicandro Garganico, Sogliano Cavour e anche Roma.
  Sono 111 gli eventi in cartellone in Puglia: dalla filosofia alla musica, dal teatro al cinema, dall'attualità al dialogo Ebraismo-Islam sino alla cucina kasher, dallo studio della lingua ebraica alla Cabalà, allo studio della Torà tutto il giorno sino a notte fonda e alle visite guidate per scoprire i tesori di Puglia.
  A Brindisi sono due i giorni dedicati a Lech Lechà. lunedì 26 agosto, a partire dalle 19:00, presso Palazzo Nervegna, dopo i saluti del Sindaco di Brindisi Mimmo Consales, ci sarà una conferenza-dibattito sul tema: 13 milioni. Riflessioni numeriche e antropologiche sull'ebraismo contemporaneo. Relatori: Piero Di Nepi (autore del libro "13 milioni. Riflessioni numeriche e antropologiche sull'ebraismo contemporaneo") e l'avvocato Cosimo Yehudà Pagliara (Comunità Ebraica di Brindisi). Introduce e modera il dibattito: Mimmo Spina, giornalista RAI.
  A seguire, con inizio alle 20:00, proiezione del film: The Believer (regia di Henry Bean -2001-, con Rayan Gosling, Billy Zane e Theresa Russell. Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival del 2001 e Gran Premio al Moscow International Film Festival dello stesso anno. Film ispirato alla vita di Daniel Burros, membro attivo dell'American Nazi Party, antisemita di origine ebraica. Presentazione di Ilana Bahbout, del Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane.
  Sempre a Brindisi, martedì 27 agosto, a partire dalle 17:30, presso Palazzo Nervegna, è prevista la presentazione del libro "Gli ebrei del Salento" (ediz. Congedo) con l'autore, Fabrizio Lelli (Università del Salento) e l'avvocato Cosimo Yehudà Pagliara (Comunità Brindisi).
  A seguire, con inizio alle 18:30, conferenza e dibattito sul tema: il Dybbuk nella tradizione mistica ebraica. Relatori: Tullio Levi (Centro Internazionale di Studi Ebraici "Primo Levi") e Fabrizio Lelli (Università del Salento). Introduce e modera il dibattito Cosimo Yehudà Pagliara (Comunità Brindisi). A seguire, con inizio alle 20:30, proiezione del film "Der Dybbuk". Regia di Michal Waszynski (1937). Edizione restaurata in lingua yiddish con sottotitoli in italiano per gentile concessione dell'Istituto Polacco di Roma. Per la prima volta proiettato in Puglia. Presentazione di Ilana Bahbout, del DEC dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane.

(News Puglia, 26 agosto 2013)


Concept store: Israele punta sull'olio d'oliva

Piantumati 81000 ettari in pochi anni. Il motto dell'olivicoltura israeliana è: ci vogliono 1000 olive per fare un litro d'olio.

di Ernesto Vania

  
Immagini
Aperto a Tel Aviv un negozio interamente dedicato all'olio d'oliva e a ciò che vi ruota intorno.
Presenti oli delle principali varietà coltivate sul suolo israeliano: Leccino, Coratina, Koroneiki, Souri.
Israele sta scommettendo sempre più sull'olivicoltura tanto che in pochi anni la superficie investita a oliveto è cresciuta di 81000 ettari, anche se la produzione, per il momento è molto limitata (15-16mila tonnellate) di cui solo 1000 destinate all'export.
Con la crecita produttiva prevista nei prossimi anni, tuttavia, i commercianti israeliani non vogliono farsi trovare impreparati e, per il New York Fancy Food di quest'anno hanno già investito molto.
Con il motto ci vogliono 1000 olive per fare un litro d'olio hanno cercato di fornire un'immagine molto familiare e artigianale dell'olivicoltura israeliana, al contrario di quelle dipinte come industriali di Spagna, Italia, Grecia, Tunia e Marocco.
In realtà occorre molta tecnica e tecnologia per fare olivicoltura in Israele poichè è l'acqua salmastra a dover essere utilizzata per l'irrigazione, con numerosi problemi di ordine agronomico.
Non è la contrapposizione industria-artigiano l'unico elemento di differenziazione. Come viene illustrato a chi visita il concept store Olia a Tel Aviv viene infatti spiegato che l'extra vergine israeliano è più pungente e amaro di quelli dolci e piatti italiani, greci e tunisini.
Viene infine ribadito il profondo legame che gli abitanti di Israele hanno verso gli olivi, un legame storico e culturale con basi millenarie.
Israele ha insomma definito una precisa strategia di marketing per la promozione e la commercializzazione del proprio prodotto nel mondo, con la differenziazione come concept.

(Teatro Naturale, 26 agosto 2013)


La compagnia spagnola Abengoa costruirà un impianto solare in Israele

Sarà la maggiore del Paese, nel deserto del Neghev

MADRID, 26 ago - La compagnia spagnola Abengoa costruirà il maggiore impianto di energia termosolare in Israele, nel deserto del Neghev, con una capacità di generazione di 110 megawatt. Lo si apprende da fonti dell'azienda citate dai media. Abengoa si è aggiudicata il contratto per l'impianto di energia solare in consorzio con l'impresa israeliana Shikun & Binui, specializzata in infrastrutture. Secondo fonti del settore, il finanziamento dell'impianto di energia solare è stimato in 800 milioni di euro. E' previsto che i lavori cominceranno nella zona di Ashalim nel 2014 e che l'impianto sia operativo a partire dal 2017. Il governo israeliano prevede che, per il 2020, il 10% del suo fabbisogno energetico sia coperto da fonti di energia rinnovabile.

(ANSAmed, 26 agosto 2013)


Libri: Sadat, l'uomo che cambiò volto all'Egitto secondo Solé

Esce una biografia che fa capire molto del Paese di oggi

di Cristiana Missori

PARIGI - Dall'alleanza con l'Unione sovietica a quella con gli Stati Uniti; dalla guerra contro Israele alla pace con Gerusalemme; dal socialismo statalista al liberalismo crescente, fino all'apertura a favore degli islamisti. Sono soltanto alcuni dei cambiamenti che in poco più di un decennio il presidente egiziano, Anwar al-Sadat, introdusse nel Paese, rimodellando il volto dell'Egitto.
Ed è a lui che Robert Solé, giornalista e scrittore di origini egiziane, dedica il suo ultimo libro, Sadate (Editions Perrin), appena giunto sugli scaffali delle librerie francesi. ''Nazionalista convinto, terrorista, galeotto, evasore, clandestino, componente della giunta dei colonnelli liberi che nel 1952 rovesciarono la monarchia, per diciotto anni all'ombra di Gamal Abdel Nasser, Sadat è l'uomo chiave per comprendere l'Egitto di oggi'', spiega in un'intervista ad ANSAmed l'autore.
''Comunque lo si voglia vedere - afferma - la sua presidenza fu incredibile''.
Nel 1973, ricorda il giornalista che per anni ha curato le pagine culturali de Le Monde, ''Sadat scatena la guerra del Kippur contro Israele, provoca il primo choc petrolifero, e quattro anni dopo mette i piedi a Gerusalemme - un evento che mediaticamente poteva essere paragonato allo sbarco sulla luna - e muore in stile JFK, assassinato durante una parata militare''.
Dopo di lui, commenta lo scrittore nato al Cairo nel 1946 e approdato a Parigi nel 1964, l'Egitto non è più lo stesso.
''Hosni Mubarak, infatti, non fece che gestire il ''sadatismo'', accentuandone alcuni aspetti, come in campo economico''. Sono gli anni in cui, persa la guerra dei sei giorni (1967), tramonta la grande idea panaraba per lasciare spazio al sogno saudita della grande Umma islamica. ''Sono gli anni in cui molti egiziani vanno a cercare fortuna in Arabia saudita e tornano con idee retrive e mogli velate'', sottolinea Solé.
''E' anche il decennio in cui il Paese si apre al turismo, compreso quello israeliano - dopo gli accordi di Camp David - e in cui entra prepotentemente sulla scena la prima first lady del mondo arabo, Gihane Sadat. In quello stesso periodo, il marito ''riesce a essere a un tempo capo di Stato ''e contadino superstar'' (viene fotografato in galabeya, il vestito tradizionale), presidente con la zibiba in fronte (il callo che si forma sulla fronte di molti musulmani per il reiterato sfregamento sul tappeto), e ''uomo dell'anno'', secondo Time Magazine.
Sono però anche gli anni in cui iniziano a bruciare le prime chiese e in cui l'islam si insinua nella società, occupando spazi lasciati vuoti dallo Stato. ''Inizia cosi' l'avanzare degli islamisti che sotto Mubarak prospereranno'', prosegue Solé. ''Da qui si capiscono molte cose'', dice.
Difficile, però, almeno in Occidente, comprendere il massiccio uso della forza da parte dei militari nei confronti dei pro-Morsi e il sostegno cieco e incondizionato accordato loro da una parte del Paese. E' vero, replica Solé, ''sono molti gli elementi e i passaggi - dalla cacciata di Morsi all'intervento dei militari, alle violenze contro i cristiani - poco chiari e almeno per ora inspiegabili''.
Come non è facilmente digeribile da parte di alcuni ''la richiesta avanzata dalla figlia di Nasser al capo delle forze armate e ministro della Difesa Al Sissi di candidarsi alle presidenziali''.
A chi sostiene che la primavera araba in Egitto sia stata una mera illusione, il giornalista replica. ''Falso. La voglia di dire la sua, di manifestare è ormai un 'acquis'''. Dopo il 25 gennaio 2011, conclude Solé, ''nessuno ha più paura di scendere in piazza. Nemmeno contro l'esercito''.

(ANSAmed, 26 agosto 2013)


Nominato il nuovo presidente del Consiglio nazionale di sicurezza in Israele

E' stata approvata all'unanimità la nomina del nuovo presidente del Consiglio nazionale di sicurezza in Israele. Il governo avrebbe votato per Yossi Cohen, un nome che già nei giorni scorsi sarebbe stato dato come favorito.
Il 52enne Cohen che avrebbe ricoperto per oltre trent'anni alcune delle più alte cariche nell'Intelligence israeliana, il Mossad, sostituirà Yaacov Amidror salutato dal premier Benyamin Netanyahu che avrebbe poi sottolineato come Cohen sia una persona con "uno speciale retroterra e specializzazioni che lo rendono idoneo a questa importante posizione".
Cohen che andrà a dirigere il Consiglio per la sicurezza nazionale avrà anche l'incarico della supervisione di tutte le autorità di antiterrorismo.

(Fonte: Diretta News.it, 25 agosto 2013)


Appello urgente per rompere l'assedio al campo profughi di Yarmouk

Sin dall'inizio dell'anno, gli abitanti del campo per profughi palestinesi di Yarmouk, sud di Damasco, hanno sofferto a causa di un soffocante assedio, che ha imposto restrizioni sulla loro capacità di uscire dal campo per ottenere provviste per le famiglie.
A luglio 2013, l'assedio si è intensificato impedendo agli abitanti di uscire ed entrare, o persino di avvicinarsi al checkpoint d'entrata. Nel frattempo, i residenti di Yarmouk sono rimasti privi di elettricità per gli ultimi cinque mesi e i bombardamenti si sono intensificati su diverse zone del campo. Il risultato di tutto cio è una catastrofe umanitaria, che ha diffuso la disidratazione tra gli abitanti, causando la morte di alcuni bambini, come Janna Hassan, alla cui madre è stato impedito di far ritorno al campo, morta perché rifiutava di essere allattata da altre donne....

(ninofezzacinereporter.blogspot.it, 25 agosto 2013)


Video
Pulizia annuale al Muro del Pianto

In vista del capodanno ebraico, come ogni anno, il Muro del Pianto a Gerusalemme viene ripulito. Decine di operai rimuovono gli innumerevoli bigliettini lasciati durante l'anno dai fedeli, nella convinzione di far arrivare le loro richieste direttamente a Dio. Secondo la tradizione i biglietti verranno seppelliti in una località che non verrà resa nota.

(euronews, 25 agosto 2013)


L'ombra dell'Occidente sulle armi chimiche in Siria

L'uso di armi chimiche, qualsiasi sia il contesto bellico, viene considerato un crimine contro l'umanità da parte delle leggi internazionali. Il coro di condanne da parte della comunità internazionale per quanto è accaduto in Siria mercoledì 21 agosto non è tardato ad arrivare e molti invocano l'intervento delle Nazioni Unite affinché si faccia chiarezza.
Tuttavia la vicenda, per ora, appare ancora molto nebulosa. Se da un lato sono tutti d'accordo nel respingere l'uso di armi chimiche, ci sono delle divaricazioni su chi sia effettivamente in possesso di questi strumenti di morte e ancora una volta si è creata una spaccatura tra l'asse occidentale (in particolare Stati Uniti, Inghilterra e Francia) e i 'paesi ostili' (Iran e Russia in prima fila).
Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che sabato 24 agosto si è sentito a telefono con la nostra Emma Bonino proprio per discutere della crisi siriana, lascia velatamente intendere che gli attacchi di mercoledì 21 agosto a Damasco sono stati effettuati da ribelli appoggiati da parte straniera. Inizialmente, invece, sono stati proprio i ribelli a denunciare Bashar al-Assad per aver usato armi chimiche contro i militanti dell'opposizione, accuse che il governo siriano ha rispedito al mittente. Zarif afferma di essere costantemente in contatto con il governo siriano e assicura che Assad è disposto a offrire piena collaborazione con gli inviati delle Nazioni Unite.
Sabato 24 agosto, una tv siriana ha reso noto che i militari del regime avrebbero trovato agenti chimici in un tunnel scavato a nordest dei sobborghi di Damasco. Secondo i reports siriani, l'Occidente e i suoi alleati nella regione - in particolar modo Qatar, Turchia e Arabia Saudita - starebbero supportando i ribelli.
Mosca è della stessa opinione, mentre a Londra non hanno dubbi : il ministro degli Esteri britannico, William Hague, dice chiaramente che Assad è in possesso di armi chimiche e che le stia usando contro i civili. A Washington si mantiene un clima di cautela (forse apparente, dato che l'amministrazione Obama pare stia studiando un modo per giustificare l'intervento senza passare per le Nazioni Unite).
Indipendentemente da chi stia effettivamente dicendo la verità rimangono le responsabilità e i fallimenti delle strategie statunitensi, prima con Bush ora con Obama, che hanno comportato il sacrificio di migliaia di vite umane - non solo arabe, ma anche occidentali - e hanno finito per trasformare il medio oriente in una polveriera pronta a esplodere da un momento all'altro.

(International Business Times, 25 agosto 2013)


Borgo San Dalmazzo: le storie dei 334 ebrei deportati

Domenica 1 settembre alle ore 17.30, presso l'Auditorium Bertello di via Vittorio Veneto 19

CUNEO - L'Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo è impegnato da tre anni in una ricerca, denominata "Oltre il nome", volta a raccogliere quante più informazioni possibili su ognuno dei 334 ebrei stranieri che, fuggiti dalla zona di occupazione italiana in Francia dopo l'8 settembre 1943, cercarono salvezza in Italia traversando le Alpi attraverso i sentieri che passano ai colli Finestre e Ciriegia, ma furono invece internati nel campo di Borgo San Dalmazzo e di lì poi deportati ad Auschwitz.
L'unica traccia del passaggio della stragrande maggioranza di questi 334 stranieri erano solamente i loro dati anagrafici, per giunta molto spesso alterati, imprecisi se non addirittura errati; nulla più era rimasto delle loro vite e delle loro storie.
Ma chi erano queste persone? Da dove venivano? Quali erano stati i percorsi che li avevano condotti nella nostra provincia? Quali mestieri svolgevano? Quali legami li accomunavano? Erano giunti in Italia da soli o con i loro familiari? Quali tracce avevano lasciato dietro di sé nei luoghi in cui avevano vissuto per un certo tempo? Quali erano state le loro strategie di fuga e di sopravvivenza? E che volto avevano?
Adriana Muncinelli ed Elena Fallo, impegnate nella ricerca Oltre il nome, hanno provato a dare risposta a queste domande e hanno ricostruito l'identità e la storia di gran parte dei deportati. Ricostruire nei dettagli le loro storie di vita fino al momento in cui sono giunte da noi significa dare concretezza alla persecuzione che hanno subito, toccare e far toccare con mano come essa abbia intaccato la loro vita quotidiana, demolito, passo dopo passo, piccoli o grandi progetti, progressi, successi, speranze, o infierito su esistenze già difficili e provate.
Uno dei risultati maggiormente significativi è stata la scoperta del numero, pressoché definitivo, dei sopravvissuti, diverso da quanto si pensava inizialmente.
Per fare il punto della ricerca ed accennare ai risultati sinora raggiunti, l'Istituto storico è lieto di invitarvi a partecipare alla presentazione di queste vicende, che si terrà domenica 1 settembre alle ore 17.30 a Borgo San Dalmazzo, presso l'Auditorium Bertello (Via Vittorio Veneto 19- 12011 Borgo San Dalmazzo).
La data non è casuale ed è stata scelta per consentire la partecipazione anche ai "camminatori" della tradizionale marcia "Attraverso la Memoria"; l'Istituto storico di Cuneo, in collaborazione con il comune di Borgo San Dalmazzo e grazie all'interessamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, offrirà, prima della presentazione, un rinfresco.

(targatocn, 25 agosto 2013)


Netanyahu: «No ad armi chimiche»

Il premier è intervenuto sulla guerra in Siria. «Israele sa difendersi».

Il mondo non deve tollerare l'uso delle armi chimiche in Siria e «Israele è pronto e sa come difendersi». A parlare è il premier Benyamin Netanyahu in apertura della riunione di governo del 25 agosto. «Ciò che succede in Siria è una tragedia e un crimine orribile» ha spiegato aggiungendo che questo «non può continuare». E poi: «Ai regimi più pericolosi vanno proibite le armi più pericolose. Ci aspettiamo questo stop. Noi siamo pronti. Sapremo sempre come difendere noi stessi».
E il presidente Shimon Peres durante l'incontro con il ministro degli esteri francese Laurent Fabius ha rincarato la dose dicendo che è arrivato il momento di «rimuovere tutte le armi chimiche dalla Siria attraverso uno sforzo internazionale». Armi che - ha aggiunto Peres dopo aver definito la voce della Francia la più chiara rispetto alla Siria - non vanno lasciate nelle mani di Assad ne' di altri.

(Lettera43, 25 agosto 2013)


Spadolini e Israele

Il rapporto fra le forze politiche italiane e la causa di Israele non è mai stato semplice, specie negli anni successivi alla vittoriosa guerra dei Sei Giorni (1967). Antichi pregiudizi e più pragmatici calcoli d'interesse hanno reso questa relazione estremamente difficoltosa, a maggior ragione quando la questione palestinese si è palesata come una fondamentale pedina del gioco di scacchi fra superpotenze. Nella diffidenza verso Israele e nella simpatia acritica verso il panarabismo, prima, e il movimento palestinese di Arafat, poi, confluirono sentimenti e stati d'animo dalle differenti radici: tutti più o meno riconducibili a un certo anti-americanismo terzomondista che vedeva proprio nel nodo irrisolto del Medio Oriente un terreno di confronto a portata di mano. E solo in parte questa rotta è stata corretta con l'ascesa del fondamentalismo. In tale quadro la posizione coerentemente filo-ebraica è stata prerogativa per decenni di un esiguo segmento politico e culturale nel nostro Paese. I partiti laici, in primo luogo, e fra questi il partito repubblicano di Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini, i radicali di Pannella, i liberali. Pochi democristiani, per la verità, e poi alcuni settori, anch'essi gravemente minoritari, della sinistra: Pietro Nenni, storicamente, e fra i comunisti Terracini, in tempi recenti Piero Fassino e non molti altri. Per gli amici di Israele si trattava di affermare una visione politica, certo, ma soprattutto culturale: nel senso di rintracciare nel sionismo una grande causa di libertà e di emancipazione. Nel solco della nostra vicenda risorgimentale che fu - a partire dalle Interdizioni Israelitiche di Cattaneo - il modello di riferimento per il riscatto nazionale dell'ebraismo. È stato proprio Spadolini, uno dei maggiori interpreti della linea di amicizia verso Israele, a sottolineare nei suoi studi la particolare ispirazione che Teodoro Herzl trasse dagli insegnamenti di Mazzini. Oggi questo aspetto è messo bene in luce dal saggio che Valentino Baldacci dedica allo statista e storico fiorentino nel suo lungo nesso con la questione ebraica e lo Stato d'Israele. Il percorso spadoliniano coincide, come si è detto, con una scelta culturale prima che politica, ma diventa presto un cammino a ostacoli tutto politico nel rifiuto di ogni opportunismo. Lo si vedrà nel caso dell'Achille Lauro e non solo. Senza Spadolini, con la sua ferma condanna delle suggestioni terroristiche assai prima dell'11 settembre, la voce dell'Italia nel Mediterraneo sarebbe stata più flebile e conformista. Il lavoro di Baldacci si vale della prefazione di Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche; di una premessa di Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia; e di un ricordo di Amedeo Mortara, cui il libro è dedicato, scritto dalla figlia Raffaella.

Valentino Baldacci, Giovanni Spadolini: la questione ebraica e lo Stato d'Israele, Ed. Polistampa, Firenze, pagg. 236, € 18,00


Budapest all'insegna del Festival ebraico

di Daniel Reichel

La Grande Sinagoga di Budapest
Saranno oltre centomila, secondo gli organizzatori, le persone che in questi giorni si riverseranno tra le vie dell'antico quartiere ebraico di Budapest. Ad attrarre turisti e curiosi il Festival ebraico d'estate della città, che si inaugura oggi e proseguirà fino al 2 settembre. L'appuntamento, organizzato dal Centro culturale e per il turismo della comunità ebraica della capitale ungherese, riscuote dal 1998 - anno della prima edizione - un interesse sempre maggiore: sono previste proiezioni cinematografiche, mostre d'arte di artisti locali e internazionali, fiere librarie, concerti di musica classica e musica Klezmer con l'esibizione della Budapest Klezmer Band e del Vujicsics Ensemble, oltre alla ormai tradizionale presenza delle sonorità gitane.
Da notare, la curiosa coincidenza di tempistiche perché a qualche migliaia di chilometri di distanza, nella suggestiva Trani, si apre quasi in contemporanea il sipario su Lech Lechà, la settimana di arte, cultura e letteratura con baricentro la Puglia ebraica che si concluderà sempre il prossimo 2 settembre.
Tornando alla rassegna ungherese, epicentro degli eventi sarà la splendida Grande sinagoga di via Dohàny, dove tremila persone assisteranno al concerto inaugurale. Da qui si snoderanno, lungo le vie dell'antico quartiere ebraico della città, eventi e manifestazioni di livello internazionale con ospiti da tutto il mondo e un corposa rappresentanza da Israele, tra cui la pop star Ivri Lider, la compagnia teatrale Beer-Sheva e il cantautore David D'or. Grande interesse poi per il concerto che farà rivivere tra le mura della sinagoga di via Dohàny il Mosé di Rossini, nella sua prima versione del 1818.
A chiudere il Festival un gala di beneficienza in favore dei bambini con gravi patologie. I fondi raccolti saranno devoluti all'Heim Pàl Children's Hospital, all'ospedale pediatrico di Tüzoltó Street attraverso la fondazione Together with Children with Leukaemia e al King Matthias Movement. Una parte dei ricavi del gala di beneficienza andranno anche all'Israel Sela Home, un'associazione gestita dalla comunità ebraica di Budapest che ha lo scopo di migliorare la vita di giovani e adulti con disabilità mentali e necessità particolari. Sono previsti anche eventi gastronomici per degustare specialità della tradizione culinaria ebraica.
In una recente intervista, la direttrice del Festival Vera Vadas ha sottolineato come l'evento abbia anche un risvolto importante dal punto di vista del dialogo interreligioso. Tra gli esempi di questo intreccio, la mostra di arte contemporanea curata da József Schweitzer, rabbino capo emerito d'Ungheria in collaborazione tra gli altri con il vescovo luterano Tamas Fabiny e l'abate Asztrik Varszegi. "Gli artisti - ha affermato a Radio Vaticana Vera Vadas - vogliono dire che il pensiero ebraico-cristiano può rappresentare una base morale per un futuro migliore che riscriva le discriminazioni del passato, e sono convinti che valori fondamentali universali, come il rispetto per la vita, siano al di sopra di interessi individuali, sociali e politici". Nell'esperienza decennale del festival, il cuore è ovviamente la cultura ebraica ma ampio spazio è stato dato ad altre realtà locali, dalla comunità gitana a quella musulmana, per una rassegna che vuole essere un'esperienza di condivisione tra culture e identità diverse.

(Notiziario Ucei, 25 agosto 2013)


Eppur si muove: dissenso nonviolento a Gaza

di Elena Lattes

Di questi tempi ormai nessuno può permettersi di dormire sonni tranquilli, specie se si fa parte di una feroce dittatura araba o, peggio ancora, del fondamentalismo islamico. Lo hanno ben sperimentato, soprattutto recentemente, i vari Assad, Mubarak, Morsie in passato tanti altri.
Ora anche nella Gaza "dove non si muove foglia che Hamas (movimento terroristico riconosciuto tale perfino dall'Unione Europea) non voglia", dove dal 2007 vige un regime sempre più oppressivo e violento e dove si è già verificata un'intrafada (lotta interna durante la quale i membri di Hamas hanno massacrato e cacciato via i rivali di Fatah), pare si stia diffondendo il dissenso pubblico nonviolento. Per il momento.
Tamarod, il cui significato è ribellione, è il Movimento che in Egitto ha giocato un ruolo fondamentale nella destituzione del governo Morsi. Il successo avuto nel Paese vicino sembra stia contagiando adesso anche i giovani gazawi che hanno annunciato, in un video lanciato lunedì scorso, una grande manifestazione per l'11 novembre con l'obiettivo di cacciare il governo di Hamas, accusato di essere corrotto moralmente e finanziariamente.
Nella registrazione compaiono quattro ragazzi incappucciati che incitano la popolazione della Striscia a scendere in strada. Uno solo legge un testo e afferma che intende affrontare Hamas a "torso nudo", senza brandire armi, definendo Hamas "una banda di gangsters medievali dediti alla tortura, al sabotaggio, al contrabbando, che hanno imposto la legge islamica su molti aspetti della vita di Gaza, opprimendo la popolazione in nome della religione, e che hanno dato il via allo spargimento di sangue". "A differenza vostra, noi non usiamo armi contro i nostri fratelli. A differenza vostra, non uccidiamo bambini, anziani, donne e giovani. A differenza vostra non distruggiamo moschee."
E ancora: "Repressione e tirannia hanno raggiunto il loro apice e noi non possiamo rimanere in silenzio. È arrivata l'ora di rifiutare la morte sotto l'Hamas security club". Nonostante l'intensità e la forza di queste (seppur veritiere) accuse non c'è tuttavia da illudersi che sia un movimento laico che auspichi una convivenza pacifica con i propri vicini. Il comunicato, infatti prosegue:
"Non vi chiederemo di andare via perché voi siete parte di noi. Ma non governerete dopo l'11 Novembre (anniversario della morte di Yasser Arafat), anche se voi ci sterminerete. Tutte le nostre opzioni sono aperte, ad eccezione dell'uso delle armi. Noi siamo differenti da voi". Conclude affermando che il Hamas di oggi non è lo stesso concepito dal suo fondatore Sheikh Ahmed Yassin. e che lo scopo dei membri di Tamarod è quello di riportare Hamas sulla retta via.
Nonostante il nuovo gruppo affermi di aver incluso nelle sue file persone di tutti "i colori e affiliazioni", i leader di Hamas hanno accusato i loro rivali di Fatah di istigare una campagna contro di loro.
Fonti di Gaza affermano che forze della sicurezza di Hamas hanno arrestato due palestinesi residenti nel sud della Striscia sospettati di voler abbattere il governo. L'organizzazione al potere ha anche preventivamente imposto il divieto di spostamento ai leader di Fatah e rifiutato l'offerta, da parte di quest'ultima, di tenere elezioni per il rinnovo delle cariche in tutti i territori governati dai due movimenti.

(Agenzia Radicale, 25 agosto 2013)


Riaperto il valico di frontiera di Rafah


È stato riaperto l'unico sbocco vitale per i palestinesi di Gaza.
L'Egitto, dopo quasi una settimana di chiusura, ha nuovamente permesso l'accesso per quattro ore del valico di Rafah. In questi giorni centinaia di palestinesi erano rimasti bloccati da due lati della frontiera.
Questo passaggio rappresenta il solo punto di accesso al mondo per i palestinesi della Striscia.
Israele infatti permette di entrare nel proprio territorio a un numero ristretto di cittadini di Gaza.
In questi giorni centinaia di palestinesi erano rimasti bloccati da due lati della frontiera.
"Se non riesco a passare ora perderó il semestre all'Università - dice Abdallah al-Haw, studente - e dovró rimandare al prossimo. É un enorme problema questo per noi che studiamo in Egitto, gli studi rischiano di costarci ancora di piò".
"Andró in Arabia Saudita - aggiunge Musa Islibi, cittadino palestinese - Son venuto qui due volte nelle ultime settimane e non ne posso piò".
Una situazione che non investe solo i palestinesi.
"É da lunedí che aspetto di passare il valico per andare in Egitto - Andrew Karney, spiega un cittadino britannico - C'è moltissima gente qui ad attendere già da molto tempo".
É dal colpo di stato in Egitto contro Mohamed Morsi, che il Cairo apre il valico con il contagocce. Una ritorsione contro Hamas, al potere a Gaza, accusato di appoggiare il presidente islamico deposto. D'ora in poi il valico sarà aperto solo per qualche ora al giorno.

(euronews, 25 agosto 2013)


La cultura ebraica tra libri e profumi conquista la Puglia

di Maria Pia Scaltrito

Piazza Scolanova a Trani
Per secoli la Puglia è stata una grande eleuthèra agorà. Una libera piazza dove si parlavano molte lingue, dove si incrociavano diverse tradizioni. Un'isola cosmopolita dove si scambiavano merci libri cibo musiche. E dove le genti ebraiche erano di casa visto che i primi gruppi di famiglie ebraiche sono giunti in Puglia ben prima che vi giungessero i cristiani. Né quelli furono solo le migliaia dei prigionieri deportati dalle legioni romane di Tito. Infatti, anche le famiglie di stirpe principesca e sacerdotale di Gerusalemme furono costrette poi a migrare per far fiorire in Puglia e Lucania le loro discendenze (tanto che discendere da tali famiglie pugliesi è stato per secoli un vanto per i giudei italiani!).
  E da domani 25 agosto per sette giorni dall'ampia Capitanata al Salento si ritorna ad ospitare, da tutta Italia a da Gerusalemme, chi per sedici secoli era già a casa, prima di esserne scacciato dalla Prammatica definitiva di espulsione del 1541. Preceduta dalle due del 1510, dalle propagande reiterate e ossessive di certi frati predicatori, dalle ragioni di uno Stato, il Vicereame spagnolo Napoli- Madrid, in odore di fumi da Inquisizione. Per sette giorni in Puglia, da Trani città-faro fino a Sogliano Cavour che riscopre il suo quartiere giudecca, si potranno incontrare scrittori storici artisti studiosi ebrei che «dialogano», come a Trani ben si sa fare da anni, con i loro pari non ebrei, con ragazzi studenti curiosi, nelle pubbliche piazze nei palazzi nei castelli o nella novella Yeshivah (accademia) tranese. E finalmente la Puglia si riprenderà un po' di quella cultura versata per secoli sull'Italia e l'E uropa.
  Si potranno dunque ascoltare le lezioni di alcuni tra i più autorevoli rabbini italiani viventi, per l'occasione giunti tutti a bottega a Trani: Rav Scialom Bahbout, Rav Riccardo Di Segni, Rav Roberto Della Rocca, Rav Ishai Hochman, Maskil Gadi Piperno, Rav Pierpaolo Punturello, Maskil Vittorio Bendaud ed anche Rav Giuseppe Laras, amico del cardinal Martini, che porteranno lo sposo (il popolo) ad incontrare la sposa (la Torah ), prendendo sottobraccio Mosè Maimonide, detto Rambam, le pagine del Talmud di Babilonia che proprio in Puglia è sbarcato per la prima volta alla fine del secolo VIII e l'agire pratico, con un corso interessantissimo di sorveglianti per la kasherut .
  Si potranno scoprire le vicende degli ebrei europei del Novecento attraverso le pagine dell'ultimo libro di Anna Foa (Diaspora , Laterza 2011). O quelle degli ebrei del Salento dei secoli IX-XVI nell'ultima fatica curata da Fabrizio Lelli (Gli ebrei nel Salento, Congedo 2013), una storia che ci appartiene tutta con quelle tracce lasciate negli inni nei manoscritti negli affreschi distesi sulle pareti delle fascinose chiesette salentine. Magari osservati con moderne lanterne a olio per vederli nei loro colori originari! Oppure scoprire a cosa servono gli ultimi Diciotto passi (Rusconi editore 2012) di Inge scritti da Paola Fargion ed anche attraversare le rabbie di Glauco, con addosso una famiglia e una sentenza di sfratto, e i suoi luoghi oscuri raccontati da Marco Di Porto (Nessuna notte è infinita, Lantana 2012), che mostra i buchi neri di una rete sociale oggi scoppiata.
  E poi affacciarsi nella poesia di Suzana Glavas (Sono donna che non c'è, Aracne 2013) e sollevarsi come la Madre Terra davanti a parole che non sanno più esprimere un pudore verginale. Percorrere i sentieri storici intorno a Federico II, la sua politica verso le attività creditizie degli ebrei nei saggi di Benedetto Ligorio (Federico II. Ebrei, castelli e ordini monastici in Puglia nella prima metà del XII secolo, Artebaria 2011). Ascoltare le lezioni di Stéphane Mosès, tenute a Parigi dalla cattedra già appartenuta ad Étienne Gilson, tradotte e curate da Ottavio di Grazia (Luciano Editore 2012) o le lettere della storica della chimica Hélène Metzger (Barbieri Selvaggi 2009) tradotte e introdotte da Mario Castellana: una vertigine del pensiero e della letteratura della ragione. Solo studio libri film e concerti? Macché! Forse non tutti sanno che l'ebraismo è un mondo sensuale, ammatassato di odori di suoni di tatto.
  
  E così i giorni scorreranno, con aperitivi letterari e viaggi tra le pietre antiche di Puglia, fin verso il tramonto del venerdì sera, l'apice della festa: e chiunque si preparerà per far entrare Shabbat. Una sottile invisibile corrente attraverserà la pelle anche di chi non è ebreo. Nella Piazzetta di Scolanova si chiuderà il confine con un cordone, delle sedie: occorre farlo se si sta in un luogo aperto ma basta anche una cordicella per segnare lo spazio. Dentro il confine ci sarà Lui: Shabbat. Una donna, come in ogni casa ebraica, accenderà due luci 18 minuti prima che Egli entri. L'uomo si preparerà con la lettura speciale del salmo 92. Saranno stati già invitati gli amici e scelti gli abiti più belli. Il cibo della cena sarà ricco, ben preparato nei piatti della festa. Si verserà vino kasher e salirà l'aroma di carne grigliata kasher, lì per l'occasione nel ristorante prescelto. E il corpo pure si sazierà delle carezze dell'amato: l'intimità fisica emotiva e spirituale è desiderata ancor più durante la festa. Scorreranno le ore tra queste delizie riservate e le preghiere rituali. Poi, verso il tramonto del sabato, quando ad occhio nudo si conteranno tre stelle nel cielo color indaco, Shabbat si chiuderà. Tutte le luci della Sinagoga e della piazzetta si spegneranno, salvo quella di una candela che segnerà la piccola luce che Shabbat ha portato per un giorno. Ciascuno potrà guardare quel colore di perla che avvolge le proprie unghie al lume della candela di havdalah: la prima luce che apre lo spazio dei sei giorni che non sono sacri come Shabbat . Poi anch'essa verrà tuffata nel vino e spenta.
  Si prenderanno rami di rosmarino e saranno strofinati sulla pelle delle mani sul viso: occorre sentire nelle narici sul corpo il profumo di Shabbat che si allontana, lasciando dietro di sé quell'odore intenso del rosmarino che penetra nella testa e l'anima lo insegue e lo desidera come un boccone proustiano che mai si scorderà. Egli tornerà al nuovo tramonto del venerdì, ma anche ogni volta che durante gli altri giorni faremo le stesse cose: i fiori nel giardino dell'anima, l'intimità con l'amato, l'ospite amico, il cibo sacralizzato, il mistero di una fiamma di candela. E dopo la festa potrà continuare. Il confine della Piazzetta di Scolanova si riaprirà. Le luci delle quattro sinagoghe di Trani risplenderanno e le danze ebraiche potranno esplodere nella notte costellata: e allora «presto presto, su la coppa, cogliamo quell'attimo almeno che passa in felicità». E nel mistero dell'indicibile anche quel profumo di rosmarino.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 24 agosto 2013)


Il regime di Assad accusa i ribelli di aver usato armi chimiche

Diversi casi di asfissia fra militari a Jobar, quartiere Damasco

DAMASCO 24 ago. - Il regime siriano ha accusato le milizie ribelli di aver utilizzato delle armi chimiche nel corso dei combattimenti a Jobar, un quartiere di Damasco, affermando che vi sono stati diversi casi di "asfissia" fra i militari che sono penetrati nella zona.

(TMNews, 24 agosto 2013)

*

Il presidente dell’Iran conferma e condanna l’uso di armi chimiche

TEHERAN, 24 ago. - Per la prima volta il presidente iraniano Hassan Rohani ha ammesso che in Siria sono state usate armi chimiche che hanno ucciso "persone innocenti" e ha chiesto alla comunita' internazionale di "usare tutti i suoi poteri" per fermare questa pratica. Senza puntare il dito contro i ribelli o contro il regime di Damasco - del quale l'Iran e' uno stretto alleato - il neo-presidente, citato dall'agenzia Isna, ha affermato che "molte persone innocenti in Siria sono state ferite o uccise da agenti chimici e questo e' inaccettabile".

(Adnkronos, 24 agosto 2013)


Trani - Il centro studi ebraico a palazzo Vischi

La comunità ebraica avanzerà una manifestazione d'interesse per il sito che doveva essere della Fondazione. Presentata a Trani la Lech Lechà (inizia domenica) ma già si guarda oltre.

Palazzo Vischi - Dopo essere stato messo all'asta per tre volte, palazzo Vischi (valore stimato 1,254 milioni di euro) con delibera di Consiglio comunale del 2008 divenne sede della Fondazione "Ida Grecca del Carretto", istituita nel dicembre del 2005 con l'approvazione dello statuto da parte del Consiglio Comunale per scopi culturali, turistici e fieristici. Palazzo Vischi rappresentava il capitale sociale del Comune per acquisire il 51% delle quote della Fondazione. Il restante 49% doveva essere conferito da soci privati intenzionati a recitare un ruolo attivo all'interno della Ida Grecca. Al progetto però non si è più dato seguito.
  La conferenza stampa
Il centro studi ebraico che s'intende realizzare a Trani potrebbe essere ospitato all'interno dell'ala comunale di palazzo Vischi, immobile che ospitò la biblioteca e che nel 2008 fu indicato, da atto di Consiglio comunale, a sede della Fondazione Ida Grecca del Carretto (mai costituita).
Della possibile ubicazione del centro studi se n'è parlato nel corso della conferenza stampa di presentazione della seconda edizione della Lech Lechà, la settimana di arte, letteratura e cultura ebraica, in programma dal 25 agosto al 2 settembre in diverse città della Puglia e soprattutto a Trani.
La candidatura di palazzo Vischi come sede della Yeshivà (la scuola in cui maestri ebraici tengono delle lezioni su vari aspetti dell'ebraismo, attraverso lo studio dei testi classici) dovrebbe essere formalizzata dalla comunità ebraica di Napoli (cui fa capo quella locale) al Comune di Trani mediante una manifestazione d'interesse. La sede ideale, per la comunità ebraica, sarebbe stata il palazzetto adiacente la Sinagoga di Scolanova, ma è di proprietà privata ed il proprietario difficilmente se ne priverà. L'ipotesi di candidare per l'accademia stabile di studio la casa natale di Giovanni Bovio convince poco anche per una questione di spazi, ecco perché la comunità ebraica potrebbe richiedere ufficialmente la disponibilità di palazzo Vischi, potendo contare all'occorrenza sul supporto economico di una Fondazione svizzera fortemente interessata all'iniziativa culturale.
L'assessore alla cultura Salvatore Nardò non si sbilancia: «Di certo non vogliamo farci sfuggire questa occasione di crescita, ma fino a quando la comunità ebraica non ufficializzerà una proposta al Comune non se ne può parlare concretamente. Qualora dovesse giungere una manifestazione d'interesse per palazzo Vischi avvieremo tutte le discussioni amministrative e politiche del caso».

(TraniViva.it, 24 agosto 2013)


"Se Hamas è terrorista, anche la Fratellanza Musulmana è terrorista"

'Il popolo egiziano non vuole una teocrazia fascista, chi ha incitato alle violenze pagherà''

"La comunita' internazionale chiama terrorista Hamas e non i Fratelli musulmani, ma Hamas e' la Fratellanza musulmana, e' il braccio armato della Fratellanza con sede in Palestina. Quindi perche' il mondo vuole fare dei Fratelli musulmani una vittima?". Lo ha detto Ehab Badawi, portavoce del capo delle Forze armate egiziane, Abdel Fattha el-Sisi, in un'intervista alla tv israeliana I24News. "Il popolo egiziano - ha proseguito Badawi - non vuole un'identita' estremista, non vuole una teocrazia fascista ne' una dittatura religiosa".
Secondo il portavoce, gli islamici "si sono impossessati delle proteste per la democrazia durante la rivoluzione del 2011 e quella del 30 giugno e' stata una correzione". Un riferimento alla grande manifestazione di due mesi fa che ha portato alla destituzione del presidente islamico Mohamed Morsi da parte dei militari.
Sul futuro dei Fratelli musulmani, Badawi ha precisato che bisogna fare alcune distinzioni. "C'e' una differenza - ha detto - tra violenza e terrorismo da un lato e ideologia religiosa dall'altro. Chi ha incitato alla violenza e ha commesso atti di terrorismo sara' considerato responsabile dai giudici. Per chi ha protestato pacificamente, non ci saranno arresti". La guida della Fratellanza, Mohamed Badie, arrestato due giorni fa, "per 45 giorni ha diffuso messaggi che incitavano alla violenza e agli atti di terrorismo - ha affermato Badawi - E' stato arrestato per questo e ora i giudici devono fare il loro lavoro".

(Adnkronos, 23 agosto 2013)


Gruppo legato a al-Qaeda rivendica il lancio di razzi contro Israele

BEIRUT, 23 ago. - Le brigate Abdullah Azzam, gruppo militante sunnita legato ad al-Qaeda, ha rivendicato il lancio di razzi dal Libano meridionale contro Israele, avvenuto ieri. Uno dei leader della fazione estremista, Sirajeddin Zurayqat, ha infatti scritto sul suo account Twitter: "Le brigate Abdullah Azzam sono state responsabili del lancio di quattro razzi dal Libano verso Israele".

(Adnkronos, 23 agosto 2013)


Gli Usa pagano l'agenzia ONU che insegna ai palestinesi a odiare Israele

Un documentario svela le attività del "Camp Jihad", la scuola per bambini palestinesi gestita dalla UNRWA. Nel 2012 dagli Stati Uniti 232 milioni di dollari di sostegno.

di Glauco Maggi

Video
Con i soldi dei contribuenti americani viene finanziata una Agenzia Onu, la UN Relief and Works (UNRWA), che opera a Gaza e gestisce un campo estivo dove si insegna ai bambini da 5 anni in su a odiare gli ebrei, a elogiare il martirio e a sostenere la jihad . La denuncia è in un documentario girato dal Center for Near East Policy Research, dal titolo "Camp Jihad: dall'interno del Campo Estivo 2013 della agenzia UNRWA". Oltre al resto, si vede una bimbetta di 8 anni, Tamya, che dice a proposito degli ebrei: "Sono tutti una banda di Infedeli e di Cristiani. A loro non piace Allah e non lo adorano. Ci odiano". E un'altra ragazza aggiunge: "Quando noi muoriamo come martiri, andiamo in Paradiso".
L'indottrinamento è intenso fin dalla più tenera età, e non era un segreto che Hamas e le autorità palestinesi producevano testi di insegnamento per le scuole dove si predica la violenza contro gli ebrei e si cancella Israele dalla mappa. Ma ciò su cui si concentra il programma di questo campo estivo è il "diritto al ritorno" nelle terre diventate parte di Israele per gli effetti degli accordi internazionali e della Guerra dei Sei Giorni. La tesi è che Israele appartiene ai palestinesi per "diritto di nascita", e per rendere più concreto il concetto nei testi non si rivendica soltanto Gerusalemme, ma anche tutti i villaggi del territorio. I bambini sono incoraggiati a chiamarli con i vecchi nomi palestinesi per rafforzare il senso di appartenenza. "I piccoli imparano i nomi e sono così motivati a ritornare nei loro villaggi", spiega nel film Amina Hinawi, presentata come uno dei direttori del campo. "La UNRWA finanza questo campo estivo e io sono molto grata alla UNRWA perché i figli della Palestina e di Gaza hanno bisogno di questo". Israele non ha preso bene il documentario, proprio per il ruolo che gioca l'ONU.
Secondo lo stesso website della UNRWA, gli Stati Uniti sono il finanziatore più generoso delle operazioni dell'agenzia, e nel 2012 ha dato più di 232 milioni, davanti alla Commissione Europea (204 milioni) e alla Gran Bretagna (68 milioni). Mischiati in un programma che comprende giochi innocenti come le corse nei sacchi, e ore di produzione di disegni e artefatti, ci sono scene di istruttori che impartiscono il messaggio centrale: Israele appartiene alla Palestina, e i palestinesi devono riconquistarlo con la forza. In un'altra sequenza del documentario di 19 minuti una istruttrice e' ripresa mentre dice: "Con l'aiuto di Dio e la nostra forza noi faremo la guerra. E con la formazione e la Jihad, noi ritorneremo".
David Bedein, capo dell'Ufficio del Center for Near East Policy Research, ha raccontato che la sua troupe è entrata nel campo e ha scoperto che l'agenzia sta apertamente promuovendo l'idea che i palestinesi si armino e combattano contro Israele. "I bambini sono addestrati a essere parte della campagna per il Diritto al Ritorno, sinonimo di distruzione di Israele. Ma una agenzia dell'Onu non dovrebbe sostenere una campagna che vuole cancellare uno stato membro dell'Onu".
La difesa della UNRWA è stata patetica, negando che l'odio sia parte del curriculum. "Insegniamo diritti umani e la risoluzione dei conflitti e lo facciamo dal 2003", ha detto a FOX News il portavoce Christopher Gunness. "Prepariamo i bambini agli esami nella West Bank e a Gaza usando materiale della Autorità Palestinese, e abbiamo procedure interne per rivedere tutti i testi". Sarà, ma ciò che conta è ciò che dicono i maestri. "Siamo andati nei campi e nelle scuole UNRWA", ha confermato Bedein. "Nel film la gente si presenta molto chiaramente come maestri, consiglieri, amministratori e operatori sociali, e tutti dicono noi lavoriamo per l'UNRWA".

(Libero, 23 agosto 2013)


L'UNRWA, i profughi, i soldi, il grande imbroglio

di Deborah Fait

Il governo israeliano ha legiferato che il 17 febbraio di ogni anno verrà ufficialmente commemorata la data in cui la Lega Araba (nel 1948) ordinò a tutti paesi arabi di espellere i loro cittadini ebrei, appropriandosi dei loro beni.
Se controllate su Google digitando"profughi del 1948" usciranno molte migliaia di risultati , quasi tutti sugli unici profughi che il mondo ama, mantiene e riconosce: i profughi palestinesi.
Qualche decina si degna di ricordare anche i profughi ebrei cacciati dal mondo arabo.
Il mondo arabo/islamico espulse un milione di ebrei, profughi dimenticati, che furono accolti da Israele diventando cittadini di questo paese.
Questo non significa che non abbiano sofferto come il resto della popolazione ebraica, Israele era poverissimo, uscito da una lunga guerra, migliaia di morti, buona parte del popolo era formato da sopravvissuti, eppure quegli ebrei, arrivati in estrema povertà, furono accolti, sfamati, furono allestiti enormi accampamenti per dar loro un rifugio provvisorio.
Non hanno mai avuto un riconoscimento né un soldo dalle Nazioni Unite e dal resto del mondo e, in breve tempo, in pochi anni, nonostante la situazione spesso drammatica di Israele, sempre minacciata di distruzione e terrorismo , si sono inseriti nella vita del paese....

(Informazione Corretta, 23 agosto 2013)


Arcobaleno d'estate alla Sinagoga di Siena

La Sinagoga di Siena
La Comunità Ebraica di Firenze - Sezione di Siena partecipa all'evento con un'apertura straordinaria della Sinagoga di Siena, sabato 24 agosto a partire dalle ore 21.15 fino alle 23.30. Alle 21,15 avrà luogo il "brindisi Arcobaleno", con Chianti Classico Kosher, in collaborazione con Terra di Seta (Az. Agr. Le Macie - Castelnuovo Berardenga). A seguire, visite guidate gratuite in italiano ed inglese. A disposizione del pubblico negli spazi dell'antico matroneo la videoperformance di David Casali A Jewish Opera, allestita a Siena fino al 31 agosto. La Sinagoga di Siena si trova a pochi passi da piazza del Campo. Progettata dall'architetto fiorentino Giuseppe del Rosso come ampliamento di un più antico luogo di preghiera, fu inaugurata nel 1786 e rappresenta ancora oggi uno dei pochi esempi di architettura tra Rococò e Neoclassicismo della zona. La semplice facciata esterna e, in contrapposizione, l'elegante ambiente interno riccamente decorato sono esemplificativi delle sinagoghe costruite in Italia nell'età dei ghetti, prima dell'Emancipazione. Al suo interno la sinagoga, ancora oggi utilizzata dalla locale comunità ebraica, ospita argenti e paramenti rituali di grande valore esposti nella sala adiacente l'aula di preghiera. Particolarmente significativa la sedia di Elia o sedia per la circoncisione, finemente intarsiata con versetti in ebraico e realizzata intorno al 1860 da artisti legati alla scuola del Purismo senese. La visita è integrata da una piccola mostra didattica in italiano e in inglese allestita negli spazi suggestivi del matroneo non più utilizzato: un percorso di testi, immagini e documenti, che attraversa eventi e aspetti significativi della presenza ebraica a Siena, antica di 700 anni.

(OK Siena, 23 agosto 2013)


Quel lavoro ancora da completare...

Con un po' di perizia, pazienza e fortuna, gli italiani hanno appreso ieri dell'attacco lanciato da formazioni paramilitari palestinesi (si tratta del FPLP) dal sud del Libano, dal campo profughi palestinese di Tyre verso le comunità abitanti nel nord di Israele. Un razzo è stato intercettato dall'Iron Dome, gli altri tre sono caduti senza provocare fortunatamente vittime (ma i danni, chi li paga?)
Immediata l'opera di generosa disinformazione delle redazioni online dei giornali italiani, che hanno anteposto l'inevitabile reazione dell'aviazione israeliana all'aggressione, addirittura collocandola prioritariamente rispetto al genocidio in Siria e alla sofferta presa di posizione delle Nazioni Unite. Come se difendere la popolazione dagli attacchi terroristici sia più deprecabile di 100 mila morti, di cui diverse centinaia - a quanto pare - vittime soltanto l'altro ieri di gas nervino. E ieri, leggiamo, 27 palestinesi residenti in un campo profughi siriano sono rimasti vittima di un nuovo attacco aereo dell'esercito di Assad; ancora una volta, clamorosamente senza che ciò sia stato riportato (Assad a quanto pare non è ebreo: è appurato e accertato. Dunque, non interessa ad alcuno che abbia ucciso inermi palestinesi).
Grazie alla volenterosa collaborazione dei media occidentali, Damasco tira comunque un sospiro di sollievo: l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale, che incominciava a provare un moto di indignazione per lo sterminio del popolo siriano - a quanto pare 100 morti per gas fanno più presa sulle coscienze di 100 mila morti con altre modalità - è stata immediatamente sviata, e la repressione ha potuto proseguire indisturbata.
Gli antisemiti avranno comunque di che recriminare: l'attacco sferrato dai miliziani palestinesi contro il nord di Israele ha mancato di pochissimo alcune residenze che ospitano diverse diecine di anziani sopravissuti all'Olocausto. Il razzo Katyusha è stato preavvisato dal suono delle sirene, ma gli anziani non sono stati in grado di raggiungere i rifugi, restando esposti all'impatto dell'ordigno. Per fortuna ad avere la peggio sono state 4-5 abitazioni, e alcune auto parcheggiato nei pressi del luogo dove è precipitato il razzo. Il personale dell'UNIFIL è sopraggiunto sul posto, confermando l'origine dell'aggressione.

(Il Borghesino, 23 agosto 2013)


L’Annunciazione di Botticelli arriva in Israele

GERUSALEMME, 23 ago - Una delle opere piu' belle di Sandro Botticelli, ''L'Annunciazione di San Martino alla Scala'', conservata agli Uffizi di Firenze, arrivera' in Israele dove sara' esposta per alcuni mesi al Museo di Israele a Gerusalemme.
A portarla, per la prima volta, nello Stato ebraico e' lo stesso Museo in collaborazione con la Fondazione Italia-Israele per la cultura e le arti. Alla presentazione dell'opera, martedi' 17 settembre a Gerusalemme, sono previsti - ha spiegato il direttore generale della Fondazione, Simonetta Della Seta - il ministro italiano dei beni culturali Massimo Bray e il suo omologo israeliano, signora Limor Livnat. L'opera - un grande dipinto murale che misura 243 centimetri per 555 - e' databile al 1481 e originariamente si trovava nell'ospedale di San Martino alla Scala a Firenze, in una delle logge. Fu in seguito trasferito all'Uffizi, dopo essere stato restaurato. Durante la presentazione del dipinto il 17 settembre, la ''lettura'' sara' affidata al sovrintendente dei musei fiorentini Cristina Acidini.

(ANSAmed, 23 agosto 2013)


Raid di Israele sul Libano

Colpita una postazione palestinese

BEIRUT, 23 ago. - E' scattata nella notte la rappresaglia d'Israele per i razzi lanciati ieri dal Libano meridionale contro la Galilea, uno dei quali intercettato dal sistema difensivo anti-missilistico 'Iron Dome' mentre due si sono abbattuti al suolo in zone abitate, seppure senza causare feriti: secondo l'agenzia di stampa ufficiale libanese 'Ann', l'Aviazione dello Stato ebraico ha infatti "bombardato" e "colpito in pieno" una "postazione terroristica" situata tra Beirut e Sidone, nei pressi del villaggio libanese di Naameh. L'attacco di ieri era stato rivendicato dalle Brigate Abdullah Azzam, una fazione jihadista legata a al-Qaeda che se ne era gia' attribuiti altri nel 2009 e nel 2001. La ritorsione ha pero' preso di mira una base del Pflp-Gc, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale, gruppo ultra-radicale agli ordini di Ahmed Jibril, noto per il suo storico sostegno al regime di Bashar al-Assad in Siria.
Fonti delle forze di sicurezza libanesi hanno confermato il raid, che aveva come obiettivo una rete di gallerie sotterranee tra le colline prospicienti la costa mediterranea, utilizzate dai miliziani palestinesi per i loro spostamenti: a terra e' rimasto un cratere profondo circa 5 metri, ma non vi sarebbero state vittime. "Israele non tollerera' aggressioni da parte di terroristi che abbiano origine dal territorio libanese", ha avvertito un portavoce dell'Esercito con la Stella di David, tenente colonnello Peter Lerner.

(AGI, 23 agosto 2013)


Scuse di Israele a Tokyo per gli insulti alle vittime di Hiroshima

GERUSALEMME - Israele si e' scusato formalmente con il Giappone dopo gli insulti su Facebook alle vittime di Hiroshima. Gli insulti erano stati scagliati dal responsabile governativo per i social network, Daniel Seaman. "Sono stanco dei giapponesi, di quei gruppi per i "Diritti umani" e per la "Pace nel Mondo", che ogni anno commemorano le vittime di Hiroshima e Nagasaki", aveva scritto Seaman sul proprio account Facebook. "Hiroshima e Nagasaki sono le conseguenze dell'aggressione giapponese.

(AGI, 23 agosto 2013)


Quattro razzi lanciati dal Libano su Israele

Uno dei missili abbattuto. Le forze armate dello Stato ebraico stanno indagando sull'accaduto. L'esercito ha chiuso lo spazio aereo su Haifa.

Video
GERUSALEMME, 22 ago - Quattro razzi sparati dal Libano sono caduti nel nord d'Israele. Lo ha fatto sapere la polizia israeliana. Una portavoce della polizia, Luba Samri, ha precisato che due razzi sono caduti in campi aperti senza provocare danni, mentre il terzo sarebbe stato abbattuto. Alcune fonti parlano anche di un quarto razzo. Nessuno è rimasto ferito, ha aggiunto. Testimoni hanno raccontato di aver sentito esplosioni e sirene vicino alla città costiera israeliana di Nahariya.
Keinan Engel, un residente locale, ha detto a Israel Radio di aver sentito le sirene subito dopo uno scoppio. Le forze armate dello Stato ebraico stanno indagando sull'accaduto. Intanto l'agenzia di stampa ufficiale libanese Nna ha riferito che i razzi sono stati sparati dalla zona del villaggio di Housh. Per il momento non ci sono state rivendicazioni di responsabilità.
I lanci sono stati effettuati da due diverse postazioni, situate in una zona compresa tra la periferia orientale di Tiro e il campo profughi palestinese di Rashidiyeh, 5 chilometri più a sud.
Lo spazio aereo su Haifa, nel nord di Israele, è stato dichiarato "no fly zone fino a nuovo ordine" dopo il lancio di razzi. Lo ha detto il portavoce dell'esercito Yoav (Poly) Mordechai - citato da Ynet - secondo cui "la decisione è stata presa sulla scia di rapporti su possibili altri razzi". "Vediamo l'attacco - ha tuttavia aggiunto - come un incidente limitato".
NETANYAHU - "Chiunque ci faccia male o provi a farlo, si farà male", ha detto in merito all'episodio il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. "Abbiamo numerosi strumenti, sia di difesa sia di prevenzione e noi agiamo con responsabilità - ha poi il premier -. La nostra politica è chiara: proteggere e prevenire".

(Quotidiano.Net, 22 agosto 2013)


Bar Refaeli contro il cantante dei Pink Floyd che boicotta Israele

"Non usate la mia immagine ai vostri concerti"

Bar Refaeli ce l'ha con i Pink Floyd. La super modella israeliana non ha nessuna intenzione di prestare la propria immagine - una delle più pagate, anche se quest'anno non finisce nella top 10 - ai concerti dello storico gruppo britannico. Lo storico cantante della band, Roger Waters, ha infatti proiettato un'immagine della modella durante uno degli ultimi concerti del tour The Wall.
A quanto pare, a Refaeli, il cantante non piace per le sue recenti campagne e boicottaggi contro lo stato ebraico. Roger Waters, infatti, sostiene la campagna Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele (BDS) e ai propri concerti fa volare, alto sulla folla, un maiale gonfiabile gigante che poi viene distrutto dalla folla. Stavolta, sulla superficie, era disegnata anche una stella di David.

(L'Huffington Post, 23 agosto 2013)


Roger Waters o Bar Refaeli?


Interrotto in Svizzera un sondaggio sugli ebrei

Delle persone sono state scioccate dalle domande poste dall'istituto DemoSCOPE

BERNA - L'istituto DemoSCOPE ha interrotto lunedì la parte svizzera di un sondaggio telefonico internazionale sugli ebrei. Alcune persone sono infatti rimaste scioccate dalle domande, che rifletterebbero certi stereotipi antisemiti.
DemoSCOPE conduceva l'indagine da una settimana per conto di un istituto tedesco, esso stesso incaricato da un istituto canadese di cui non si conosce il cliente, ha spiegato oggi all'ats il titolare Roland Huber, confermando un'informazione dei quotidiani "24 Heures" e "Tribune de Genève".
Non è raro che il nome del finanziatore non si conosca, precisa Huber, ciò per non influenzare i risultati del sondaggio. Le domande vertono in particolare sulla presenza di ebrei nella finanza e nella politica, o ancora sulla solidarietà che si instaura fra di loro.
In seguito a molti reclami, il sondaggio è stato fermato. Huber giudica effettivamente le domande un po' "orientate".

(Corriere del Ticino, 22 agosto 2013)


New York: sempre più pressioni da parte degli ebrei ultra-ortodossi sulle autorità cittadine

La comunità chiede il rispetto delle proprie tradizioni ma spesso si scontra con le leggi. Rappresentano il 30% del milione di ebrei che vivono nella metropoli.

di Angelo Paura

Non è insolito, camminando per le vie di New York, incontrare decine di uomini vestiti in nero, con camicie bianche e un largo cappello sulla testa dal quale escono due boccoli che cadono lungo il viso. E ancora donne con calze coprenti (anche in estate), gonna sotto il ginocchio e maglietta chiusa sul collo. Superando il ponte di Williamsburg, Brooklyn, in un attimo si passa dalla super modernità di Manhattan al passato, entrando in una delle enclavi di ebrei ortodossi più grande al mondo.
Per anni chiusa e lontana dalla politica, adesso fa sentire la propria voce, con pressioni verso le autorità cittadine che non si vedevano da decenni. La continua crescita del gruppo - che si sta espandendo oltre la storica enclave di Williamsburg - e l'aumento della sua influenza pone i politici di New York davanti a un bivio: evitare di apparire a favore di una minoranza religiosa e nello stesso tempo accomodare le loro richieste.
Gli esempi sono molteplici come scrive il New York Times: le donne della comunità che vanno a nuotare nella piscina pubblica di Williamsburg vogliono bagnini dello stesso sesso. E ancora l'obbligo per i panifici ortodossi di usare solo acqua di fonte, cosa che da tempo preoccupa gli ufficiali sanitari della metropoli. Infine i trasporti: l'autobus che collega Williamsburg a Borough Park, Brooklyn, prevede che gli uomini siano seduti nella parte anteriore e le donne in quella posteriore, costume condannato più volte dal sindaco uscente Michael Bloomberg.
Il potere crescente della comunità - che da sola può indirizzare migliaia di voti - si è visto di recente durante un forum alla sinagona di Brooklyn nel quale ogni candidato alla poltrona di sindaco ha espresso i suoi pareri sulle tradizioni del gruppo e su come la città dovrà rispettarle. Dall'altra parte - nota il New York Times - gli ultra-ortodossi stanno cercando di uscire dal loro isolamento per entrare nel discorso politico: a New York sono 330.000, il 30% del milione di ebrei che vivono nella metropoli.
"Il tipo di acqua che usiamo nelle nostre panetterie è uno dei punti fondamentali della nostra religione e non cambierà, ma se c'è la possibilità di lavorare con le autorità che governano la città, lo faremo", ha detto al quotidiano di New York il rabbino David Niederman, direttore della United Jewish Organizations di Williamsburg.
Dall'altra parte le richieste della minoranza religiosa sono viste da molti funzionari di New York come un attacco alla libertà e alle leggi. "Non possiamo fornire bagnini di sesso femminile perché andremmo contro la legge che prevede di non erogare servizi in base al proprio credo religioso", ha detto al Nyt Liam Kavanagh, commissario per i parchi e il tempo libero a New York.
Nel frattempo sembra che i conflitti e le richieste si stiano moltiplicando. La commissione per i Diritti umani della metropoli lo scorso anno ha condannato il fatto che in diversi negozi di Lee Avenue, Williamsburg, non ammettano clienti con pantaloncini corti, a petto nudo a piedi nudi o con scollature. Hanno scritto che l'obbligo discrimina le donne e gli uomini non ortodossi in un luogo pubblico.
La risposta? Gli avvocati dei negozianti hanno sottolineato che la stessa cosa potrebbe essere detta per alcuni ristoranti e locali di Manhattan che ammettono solo persone con un abbigliamento prestabilito. La disputa - che sta continuando in un tribunale amministrativo di New York - sembra solo l'inizio di una lunga battaglia.

(America 24, 22 agosto 2013)


Israele: a parole il mondo condanna, ma contro Assad fa niente

GERUSALEMME - Israele ha ribadito di essere in possesso di 'valutazioni' dei propri servizi segreti che confermerebbero il presunto attacco del regime siriano con gas nervino alla periferia est di Damasco. Il ministro per gli Affari Strategici, Yuval Steinitz, ha confermato le analoghe dichiarazioni di 24 ore prima da parte del collega della Difesa, Moshe' Yaalon, secondo cui emerge come 'non sia la prima volta' in cui armi chimiche sono impiegate nel conflitto in Siria. 'Il mondo condanna, il mondo indaga, il mondo a parole prende posizione', ha denunciato Steinitz, intervistato dalla radio pubblica, 'ma negli ultimi due anni nulla di tangibile o di significativo e' stato fatto per fermare il massacro. L'esponente del Likud ha quindi tirato di nuovo in ballo l'Iran, colpevole di appoggiare il regime siriano, e dunque a suo dire meritevole di ulteriori sanzioni internazionali, oltre a quelle gia' in vigore riguardanti il suo controverso programma nucleare. 'Se Assad si serve delle armi chimiche e massacra il suo popolo, e' l'Iran che ne e' responsabile perche' ormai Assad e' una propaggine dell'Iran', ha sottolineato ancora Steinitz. 'Senza il sostegno iraniano, non sarebbe in grado di resistere'. Un altro ministro israeliano, Yisrael Katz, titolare dei Trasporti, a propria volta ha accusato il regime di Damasco di accumulare gas tossici, e ha espresso il timore che queste possano finire alle milizie sciite libanesi di Hezbollah, sue alleate ma nemiche giurate dello Stato ebraico. 'Oggi Assad uccide il suo popolo, domani minaccera' noi, e forse fara' anche di peggio', ha avvertito Katz. .

(la Repubblica, 22 agosto 2013)


L'America che non c'è

di Cesare De Carlo

Ieri la Siria. L'altro ieri l'Egitto. E prima l'Iraq, il Libano, Gaza, lo Yemen, la Libia. Le stragi ormai quotidiane inchiodano l'Occidente davanti alla sua impotenza. E quando si dice Occidente, si dice Stati Uniti d'America che ne sono la guida. Ma ora questa guida è assente. Peggio. È contestata, sfidata, persino derisa come dimostra il tracotante comportamento di Putin.
Ebbene proprio Putin è il sostenitore di quell'Assad che ieri avrebbe usato di nuovo i gas velenosi. Vero? Non vero? Diciamo che è probabile. E dato che in passato Obama ha detto e ripetuto che l'uso di armi chimiche sulla popolazione civile avrebbe costituito una «linea rossa», il mondo s'interroga: quali saranno le «serie conseguenze»?
La risposta ce la dà il Washington Post: nessuna. Il capo del Pentagono gli fa sapere che qualsiasi iniziativa, dall'impiego dei missili cruise allo stabilimento di una no-fly zone, alle armi pesanti (che rischierebbero di finire ad Al Qaeda), è improponibile. Ci trascinerebbe in un altro conflitto senza vantaggi strategici, ha detto ieri il generale Martin Dempsey.
Ovvio. I militari ragionano da militari e non da funzionari dell'Onu. Ma i riflessi geopolitici sono devastanti. Ogni volta che un presidente americano minaccia a vuoto, è la credibilità della nazione a soffrirne. Obama aveva proclamato: Assad must go. E invece sta vincendo. Aveva detto la stessa cosa di Mubarak. I generali egiziani lo stanno liberando. Aveva ammonito gli ayatollah iraniani: mai la bomba nucleare. È quasi pronta. Aveva proposto colloqui con i talebani a Dubai. Karzai lo ha sconfessato. E quanto a Putin i suoi manrovesci — Snowden e il no ai tagli nucleari — bruciano ancora sulle sue guance. Questa sommaria sintesi ripropone la questione prioritaria: la mancanza di leadership. E quando non c'è leadership, quando l'America non viene rispettata e temuta, sono guai.
Basta pensare a Carter: la sua inconsistenza portò Komeini a Teheran e incoraggiò Breznev a invadere l'Afghanistan. Ma ora il pericolo è il terrorismo islamico, con il rischio che metta le mani sulle armi chimiche siriane. E allora la drammatica, cinica alternativa è: chi serve meglio la nostra sicurezza? Il laico Assad e i laici generali egiziani o l'evanescente retorica umanitaria di Obama?

(Quotidiano.Net, 22 agosto 2013)


Nixon: quando il Presidente americano parlava male di ebrei e neri

Le registrazioni delle sue telefonate

Quarant'anni dopo la sua fine politica, Richard Nixon fa parlare ancora male di sé. Una serie di registrazioni telefoniche (non centra il Watergate; semplicemente ogni telefonata del Presidente degli Stati Uniti viene registrata e archiviata) facenti parte della Nixon Presidential Library è stata resa nota proprio ieri e le polemiche in America si stanno già alzando. Si tratta di telefonate con membri importanti del suo governo, ad esempio l'allora ministro Henry Kissinger, in cui Nixon non usa certamente un linguaggio, come si direbbe oggi, politicamente corretto. Ad esempio si scaglia contro gli ebrei (Kissinger, che era ebreo anche lui, si dice d'accordo) annunciando che se un vertice russo-americano che si doveva tenere fosse andato male, a pagarne le conseguenze sarebbero stati gli ebrei americani: l'intenzione era di scaricare la colpa su di loro. "Hanno messo l'interesse degli ebrei sopra a quello americano, è l'ora che un ebreo in America si renda conto di essere prima americano e dopo ebreo" dice. E' vero che si tratta di registrazioni di telefonate fatte tra il 9 aprile e il 12 luglio del 1973, il periodo peggiore per l'allora presidente americano già coinvolto nello scandalo Watergate e sicuramente i suoi nervi erano molto arroventati. Durante un incontro del 14 giugno con il suo consigliere personale, Anne Armstrong, Nixon dice che i neri non dovranno mai governare la Giamaica: "I neri non sono in grado e non lo saranno per almeno altri cento anni. Conosci forse un paese guidato da un leader di colore che se la passa bene?" dice. Chissà se al giovane Obama fischiavano le orecchie... Per Nixon, meglio di un nero sarebbe un italiano, un messicano o un europeo dell'est. A proposito di un ricevimento da organizzare, Nixon rifiuta la partecipazione dell'attore Danny Kaye perché ebreo di origine.

(ilsussidiario.net, 22 agosto 2013)


Trani - Presentazione di Lech Lechà

Il 23 agosto a Trani conferenza stampa di presentazione della 2a edizione di Lech Lechà (Settimana di arte, cultura e letteratura ebraica). Si inaugura il 25 con due incontri su ebraismo e Mezzogiorno d'Italia, l'avvio del corso Yeshivà e il cabaret ebraico 'Karussell'.

Dalla filosofia alla musica, dal teatro al cinema, dall'attualità al dialogo Ebraismo-Islam sino alla cucina kasher, dallo studio della lingua ebraica alla Cabalà, allo studio della Torà tutto il giorno sino a notte fonda e alle visite guidate per scoprire i tesori di Puglia, per un totale di 111 eventi in cartellone. Tutto questo è Lech Lechà 2013 (25 agosto - 2 settembre) che sarà presentato in conferenza stampa venerdì 23 agosto alle ore 10,30 presso la Sala 'Maffuccini' della Biblioteca 'Giovanni Bovio' di Trani (Piazzetta S. Francesco, 1). Interverranno l'Assessore al Mediterraneo della Regione Puglia Silvia Godelli, il sindaco di Trani Luigi Riserbato, l'Assessore alla Cultura del Comune di Trani Salvatore Nardò, il presidente della Comunità ebraica di Napoli Pier Luigi Campagnano, il Rabbino capo di Napoli Scialom Bahbout, l'assessore alla Cultura del Comune di Barletta Giusy Caroppo, il direttore artistico Francesco Lotoro e i sindaci delle città partecipanti.

Anticipazioni sull'inaugurazione della manifestazione (25 agosto):
Lech Lechà 2013 verrà inaugurato a Trani domenica mattina 25 agosto alle 10,30 presso la Sinagoga Scolanova con un convegno sul Mezzogiorno nel nuovo panorama dell'ebraismo italiano, convegno al quale interverranno autorità ed esponenti dell'istituzione ebraica e della rabbanut italiana; nel pomeriggio alle 17,00 presso la Sinagoga Scolanova partirà il corso Yeshivà mentre alle 18,00 si terrà una conferenza di Mariapia Scaltrito (moderatore Fabrizio Lelli) sulla storia della Puglia ebraica. La sera di domenica alle 21,30 presso il Cineteatro Impero di Trani si terrà un concerto dell'Orchestra Musica Concentrationaria diretta da Paolo Candido con cantanti e orchestra che eseguono le più belle musiche del varietà prodotto nei Lager di Westerbork, Riga e Terezìn con i cantanti Libera Granatiero, Lucia Diaferio, Nico Sette e Angelo De Leonardis che eseguiranno le più belle canzoni scritte dai compositori ebrei Willy Rosen, Adolf Strauss, Otto Skutecky, Ljowa Berniker, Walter Lindenbaum e Karel Svenk.

Il ritorno e la diffusione dell'ebraismo e dei suoi valori nel Sud grazie alla rinascita della storica comunità ebraica di Trani è uno degli obiettivi principali della Settimana di arte, cultura e letteratura ebraica Lech Lechà 2013 che quest'anno giunge alla seconda edizione e si svolgerà a partire da domenica 25 agosto per l'intera settimana a Trani (capoluogo dell'ebraismo meridionale), con convegni ed eventi musicali e teatrali e con appuntamenti anche a Barletta, Brindisi, Manfredonia, San Nicandro Garganico e Sogliano Cavour per poi concludersi lunedì 2 settembre presso la Protomoteca del Campidoglio di Roma con un concerto sinfonico di musica da cabaret scritta nei Lager durante la Seconda Guerra Mondiale. Promosso e sostenuto dall'Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, dalla Comunità ebraica di Napoli e dal Comune di Trani (che ha inserito Lech Lechà nelle iniziative del 950mo anniversario della promulgazione degli Statuti Marittimi), patrocinato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Lech Lechà 2013, dai Comuni di Barletta, Brindisi, Manfredonia, San Nicandro Garganico, Sogliano Cavour, è uno dei più importanti eventi dell'ebraismo italiano e momento ideale per la promozione dei valori dell'interculturalità.

(Puglialive, 22 agosto 2013)


L'ultima grande aliyah etiope

   
Una giovane Falash Mura
"Gli ebrei sono vissuti a Gondar per 2500 anni, e tuttavia il loro desiderio di ritorno a casa non si è mai sopito. Oggi scriviamo la parola fine su un viaggio che abbraccia migliaia di anni". Grande emozione nelle parole del presidente dell'Agenzia ebraica Natan Sharansky, nel salutare gli ultimi atti della grande aliyah etiope, che a partire dagli anni '80, e in particolare con le spettacolari operazioni Moses e Salomon, ha portato in Israele decine di migliaia di persone (oggi la comunità ne conta circa 120mila, comprese le seconde generazioni). Nel corso della cerimonia, Sharansky ha riconsegnato al sindaco della città le chiavi della scuola ebraica e di tutte le strutture costruite per assistere la popolazione in attesa dell'aliyah. Oltre 2000 i ragazzi che hanno studiato in quella scuola preparandosi alla partenza.
L'operazione Ali di Colomba, ideata con l'obiettivo di portare in Israele i settemila Falashah Mura rimasti in Etiopia (comunità che si convertite al cristianesimo nel corso dei secoli a causa delle persecuzioni subite, ma che hanno voluto tornare all'ebraismo) ha avuto origine nel 2010. Da allora sono partite da Gondar una media di 200 persone a settimana; l'ultimo volo è previsto per la fine di agosto. In futuro coloro che desidereranno emigrare in Israele dall'Etiopia saranno soggetti alle medesime regole degli aspiranti olim dal resto del mondo, che prevedono l'esame di ogni singolo caso.

(Notiziario Ucei, 22 agosto 2013)


Siria: ancora bombe sui sobborghi di Damasco

L'Onu chiede chiarezza sull'uso di armi chimiche.

Ancora bombe, ancora sangue in Siria. Le Forze Armate del presidente Bashar al-Assad hanno bombardato stamattina i dintorni di Damasco. Soltanto ieri razzi e artiglieria pesante hanno colpito i sobborghi orientali di Jobar e Zamalka. Secondo l'opposizione le vittime sarebbero tra le 500 e le 1.300 persone e l'esercito avrebbe addirittura usato armi chimiche.
Ora l'Onu vuole fare chiarezza su unpresunto uso di gas contro i civili da parte di entrambi gli schieramenti. Al momento il Consiglio di Sicurezza non ha esplicitamente chiesto un'inchiesta ma ha assicurato che verrà condotta un'indagine imparziale su quanto accaduto. "Tutti i membri del Consiglio, sottolinea il Presidente di turno, l'argentina Maria Cristina Perceval, concordano che l'uso di armi chimiche è da considerarsi sempre e comunque, una violazione del diritto internazionale".
Gli ispettori Onu, arrivati domenica in Siria per indagare su altri simili episodi, sono già al lavoro nei luoghi dove sarebbero avvenuti i massacri. Sarà un'indagine imparziale assicura il Segretario Generale Ban Ki moon mentre cresce la preoccupazione tra i Quindici. Intanto gli Stati Uniti sembrano non avere quasi piu' dubbi: Assad e i suoi fedelissimi avrebbero utilizzato davvero il gas sui civili.
Video

(euronews, 22 agosto 2013)


Calciatori israeliani mostrano umanità

Mercoledì scorso, la squadra di calcio israeliana ha destato interesse in Ucraina, non per il buon gioco (hanno perso 2 a 0), ma perché hanno mostrato il loro lato umano.
I giocatori di entrambe le squadre erano schierati come al solito prima della partita per ascoltare gli inni nazionali. Davanti a loro avevano messo dei bambini ucraini. Improvvisamente ha cominciato a nevicare forte e a piovere. Quando uno dei giocatori israeliani ha notato che uno dei bambini aveva cominciato a tremare dal freddo, si è tolto la maglia e l'ha messa sulle spalle del bambino che gli stava davanti. Gli altri giocatori della squadra israeliana hanno immediatamente seguito il suo esempio. La squadra ucraina invece non ha avuto alcuna reazione e ha lasciato che i bambini continuassero a tremare dal freddo. Il fatto è stato ripreso da giornali ucraini e russi e ha provocato critiche alla squadra ucraina. "E' un riflesso umano fare quello che la squadra israeliana ha fatto", ha scritto un giornale.

(israel heute, 21 agosto 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Arrestato per aver creato il "Profumo di Morsi"

I servizi di sicurezza palestinesi hanno arrestato un cittadino di Tule Karem, sospettato di aver prodotto e venduto il "Profumo di Morsi", chiamato così in onore del deposto presidente egiziano.
Il negozio nel quale era presente il prodotto è specializzato nella vendita di profumi e acque di colonia di produzione locale, sia per uomini che per donne.
L'amministrazione palestinese aveva appoggiato pienamenente il rovesciamento del regime di Morsi e le operazioni repressive ai danni dei Fratelli Musulmani e loro sestenitori da parte dell'Esercito egiziano.

(La Voce della Russia, 21 agosto 2013)


Lieberman: Erdogan come Goebbels per le sue critiche a Israele

GERUSALEMME, 21 ago. - "Erdogan segue le orme di Goebbels". Cosi' l'ex ministro israeliano degli Esteri Avigdor Lieberman ha attaccato oggi il primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan, che ieri aveva accusato Israele di essere responsabile del golpe in Egitto.
"Chiunque abbia ascoltato questo incitamento all'odio ha capito oltre ogni dubbio che Erdogan sta seguendo le orme di Goebbels", ha detto Lieberman, riferendosi al ministro della propaganda nel regime nazista di Adolf Hitler. "Le gesta di Erdogan sono lungo la scia dell'affare Dreyfuss e del Protocollo dei Savi di Sion", ha aggiunto il leader del partito nazionalista Yisrael Beitenou, citando due simboli dell'antisemitismo. Lieberman e il suo partito sono stati molto critici dei termini del l recente riavvicinamento diplomatico fra Israele e Turchia, propiziato dal presidente americano Barack Obama.
Anche agli Stati Uniti non sono piaciute le parole di Erdogan, che ha detto di aver le prove del coinvolgimento israeliano in Egitto. "Condanniamo fortemente le dichiarazioni del primo ministro Erdogan. Suggerire che Israele sia in qualche modo responsabile dei recenti eventi in Egitto e' offensivo, sbagliato e privo di fondamento", ha affermato il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.

(Adnkronos, 21 agosto 2013)


Ricordi di vita in kibbutz messa in parole e musica

Continuano gli appuntamenti alla Sinagoga di Firenze. Sarà possibile gustare l'apericena ebraica con sapori tipici della tradizione e cocktail a base di melograna e nana.

  
Prosegue dopo la pausa ferragostana il Balagan Cafè, l'iniziativa culturale promossa dalla Comunità ebraica di Firenze che ha attirato nello splendido giardino della Sinagoga centinaia di persone ogni giovedi sera.
Domani sera giovedì 22 agosto alle 19 presso il giardino della Sinagoga di Via Farini, 6, la serata prende avvio con testimonianze e ricordi dedicati alla vita in kibbutz coordinati da Raffaele Palumbo.
Dalle ore 20 sarà possibile gustare l'apericena ebraica con sapori della tradizione e cocktail che sono stati molto apprezzati durante l'estate fiorentina a base di melograna e dall'inconfondibile sapore della nana, tipica e rinfrescante erbetta israeliana.
Alle 21 "Materiali sonori" presenta "Senza Padrone: sogni e storie dell'impresa a proprietà collettiva", la storia in musica dal kibbutz alle cooperative italiane di Giampiero Bigazzi e Canti Erranti (Arlo Bigazzi, basso; Mino Cavallo, chitarre; Marzio del Testa, batteria; Vittorio Catalano, ance; Ruben Chaviano, violino; Enrico Fink, flauto voce e live electronics; Anna Granata, voce; Sabina Manetti, voce; Giampiero Bigazzi, voce e narrazione).
Durante la serata sarà possibile visitare ad un prezzo speciale l'interno della Sinagoga accompagnati da una visita guidata in italiano ed inglese a cura di CoopCulture. Come sempre ci sarà Yael Frare a intrattenere i più piccoli con giochi, pitture e divertimento.

(gonews.it, 21 agosto 2013)


Egitto - Usa indeboliti, Israele e Paesi del Golfo sostengono i militari

I Sauditi sfidano l’Occidente: "Siamo ricchi, sosterremo noi il Cairo"

NEW YORK - Le pressioni dell'Occidente sulle autorità egiziane per porre fine alla repressione dei Fratelli Musulmani rischiano di rivelarsi irrilevanti, a causa del petrolio saudita. Mentre l'Europa e gli Stati Uniti chiedono la pace per le strade del Cairo, l'Arabia Saudita sostiene il generale Abdel Fattah el-Sissi, che ha deposto il presidente Mohamed Morsi. E non è sola: anche Israele ed Emirati Arabi Uniti (Uae) incoraggiano i militari egiziani ad affrontare i Fratelli Musulmani, invece di cercare la riconciliazione.
La posizione di Arabia Saudita, Kuwait e Emirati Arabi Uniti - accompagnata dai 12 miliardi di dollari che garantiscono al Cairo - ha fortemente indebolito il ruolo e l'influenza statunitense nell'area, costringendo Israele ad allinearsi, come mai prima d'ora, alle posizioni dei Paesi del Golfo, nel timore di restare isolata. Un funzionario israeliano citato dal Wall Street Journal ha definito le nazioni contrarie ai Fratelli Musulmani "l'asse della ragione". Una ragione che ha motivi politici comuni - contrastare Iran, Hezbollah e Fratelli Musulmani, indebolire l'influenza della Turchia nella regione - nonostante Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti non riconoscano ufficialmente Israele, con cui non esistono relazioni diplomatiche ufficiali.

(TMNews, 21 agosto 2013)


Google festeggia i 40 anni di Sergey Brin

di Giovanna Labati

Sergey Brin
Sono giorni di festa in casa Google: oggi compie 40 Sergey Brin, l'uomo che insieme a Larry Page fondò nel 1998 una delle più grandi potenze del mondo.
Brin è nato il 21 agosto 1973 a Mosca da Michael ed Eugenia Brin, due ebrei russi laureati alla Moskow State University. Per sfuggire alla politica imposta dal Partito comunista russo che impediva agli ebrei di accedere alle università, la famiglia si trasferì negli Stati Uniti quando Sergey aveva sei anni. E' qui che il bambino iniziò le scuole e dove iniziò ad avvicinarsi alla scienza e all'informatica, complice anche la passione del padre. Nel 1990 iniziò a frequentare la University of Maryland dove studiò matematica e informatica, e dove nel 1993 si laureò.
Grazie ad una borsa di studio della National Science Foundation si trasferì a Stanford dove incontrò Larry Page, con il quale divenne immediatamente amico intimo. I due si definirono più avanti "anime gemelle". Li, insieme, si appassionarono all'idea che il valore di un articolo si misurasse tramite il numero di citazioni ricevute in altri articoli, idea tipica delle pubblicazioni scientifiche, e la trasferirono sul web. In quest'idea risiede l'embrione del Page Rank, cioè l'algoritmo che sta alla base dell'intero funzionamento di Google e da cui è nata quella che al momento è l'azienda tecnologica più ricca e potente di tutto il mondo. Un'azienda che festeggia i 40 di uno dei suoi creatori con l'apertura di un nuovo cammino verso il futuro.

(kioskea.net, 21 agosto 2013)


Stop alle crociere nel Mar Rosso

La Costa Crociere depenna tutti i viaggi verso i resort egiziani considerato il clima di instabilità politica nel Paese arabo. Destinazioni alternative saranno Dubai. Soste lunghe in Israele.

Troppo pericoloso portare i turisti nei resort sul Mar Rosso. Eppure, nel drammatico caos in cui è prepitato il Paese arabo, il Mar Rosso era ancora un'oasi di tranquillità, placidamente affollato di turisti.
Ciò non toglie, sostiene Costa Crociere, che il clima di instabilità politica sia tale da "cancellare tutti gli scali in programma in Egitto e le crociere nel Mar Rosso per l'autunno/inverno 2013-2014".
Propone Dubai al posto dell'Egitto la compagnia genovese oppure soste più lunghe rispettivamente negli scali israeliani di Ashdod e Haifa.
La crisi innescata dalla destituzione di Mohammed Morsi ha inferto un duro colpo al turismo egiziano: le presenze italiane sono crollate dell'80% rispetto allo scorso anno, secondo gli operatori del settore. E l'allerta è alta, anzi sale. Da settimane il Ministero degli Esteri italiano invita i connazionali al Cairo a "tenersi a distanza" dalle piazze della rivolta, e "raccomanda fortemente di evitare escursioni fuori dalle installazioni turistiche", di fatto l'unica destinazione ancora possibile.
Sono circa 20mila gli arrivi degli italiani previsti settimanalmente nel Paese in questo periodo e quasi nessuno, secondo i tour operator, ha rinunciato al Mar Rosso nonostante l'aggravarsi della sicurezza interna.
Finora era sconsigliato "fortemente" di uscire fuori dai resort ed erano state cancellate le crociere sul Nilo e le gite ad Assuan e, naturalmente, al Cairo.

(la Repubblica, 21 agosto 2013)


L'esercito israeliano dispiega Iron Dome nel centro del Paese

Il sistema antimissile usato nel conflitto con Gaza

TEL AVIV, 21 ago - L'esercito israeliano ha dispiegato una batteria del sistema antimissili Iron Dome nella regione di Sharon, nella parte centrale del Paese.
Il sistema, in grado di intercettare razzi lanciati sul territorio, e' stato largamente usato nel conflitto con Gaza del novembre scorso e recentemente ha neutralizzato un missile diretto verso la citta' di Eilat, nel sud. L'esercito ha motivato la mossa - spiegano i media - come parte di una piu' larga attuazione del nuovo sistema di protezione in via di diventare operativo.

(ANSAmed, 21 agosto 2013)


Google lancia in Israele l'incubatore di startup per neo-mamme

di Ottavia Spaggiari

Nasce Tel Aviv Campus for Moms, il primo incubatore d'impresa dedicato alle neo-mamme, che trasforma la maternità in un momento di crescita professionale decisivo.

Video
L'arredamento è informale, simile a quello di altri incubatori di startup, anche se qui ci sono molti più cuscini colorati stesi per terra e molti più fasciatoi. Creato all'interno del Campus Tel Aviv, l'incubatore high-tech di Google inaugurato lo scorso dicembre nella nuova startup nation israeliana, il Campus for Moms potrebbe essere la realizzazione del sogno di qualsiasi imprenditrice neo-madre: uno spazio baby-friendly, in cui i neonati non sono visti con sospetto, ma come ospiti naturali del luogo in cui fare impresa, tessere relazioni e progettare nuove strategie di crescita. Lo sa bene Tal Sarig-Avraham, Product Marketing Manager di Google Israele che, appena rientrata dalla maternità, ha ideato il programma insieme a Hilla Brenner, fondatrice del network di imprenditrici israeliane Yazamiyot e mamma startupper d'eccezione (ha concluso il primo round di finanziamenti da 5 milioni di dollari mentre era al nono mese di gravidanza). "Moltissimi imprenditori parlano della propria impresa come se fosse un figlio" afferma Tal Sarig-Avraham, "ed è facile capire perché: lanciare una startup è emozionante, ma le giornate sono frenetiche e le notti spesso insonni. Ciò che trovo davvero molto stimolante, e anche un po' folle, è il fatto che alcune persone si trovano a lavorare ad una nuova impresa, nel momento in cui diventano genitori, proprio come ha fatto Hilla".
   L'idea del campus è nata proprio da una chiacchierata con la Brenner sul periodo di maternità, interpretato non più solo come un'occasione da dedicare alla genitorialità, ma come uno dei rari momenti per fermarsi e ripensare alla propria carriera. "Ci siamo chieste cosa avremmo potuto fare per aiutare le donne con bambini piccoli a sfruttare questo momento per crescere da un punto di vista professionale". La risposta si è concretizzata nel programma di incubazione organizzato in nove sessioni dedicate a diversi aspetti del business management, dalla pianificazione finanziaria alla consulenza legale. "Abbiamo ri-organizzato lo spazio, con materassi e cuscini, così da permettere alle partecipanti di prendere parte ai workshop e alle lezioni, potendo prendere con sé i neonati". Spiega Tal Sarig-Avraham: "Durante il percorso di incubazione sono nati quattro bambini e una delle neo-mamme è tornata a lezione meno di una settimana dopo aver partorito!" Il percorso si è appena concluso, con una presentazione dei progetti d'impresa a una platea di venture capitalist. "E' stata un'occasione professionale davvero preziosa" racconta Anna Relman, fondatrice di Diet.Ly, una social app dedicata al cibo, incubata nel programma di Campus for Moms: "soprattutto per me che non avevo intenzione di restare a casa per due mesi interi".
   L'esperienza imprenditoriale però non si ferma qui. "Le partecipanti continueranno a lavorare con noi. Due delle startup prenderanno parte al programma intensivo di Campus Tel Aviv e un'altra andrà in visita a Campus London per incontrare altri imprenditori britannici" spiega Sarig-Avraham, "Il primo percorso di incubazione di Campus for Moms è finito, ma attiveremo un secondo programma a ottobre. Speriamo poi di condividere gli strumenti che abbiamo sviluppato all'interno di questo percorso di accompagnamento manageriale con altre organizzazioni, dopotutto sia che si tratti di mamme o meno, tutti gli imprenditori hanno bisogno di un aiuto con la propria creatura".

(Giannella Channel, 20 agosto 2013)


Israele - Un luglio da record per il turismo

di Rossella Tercatin

Non si arresta il trend positivo dell'industria del turismo israeliana. Sono stati 246mila i visitatori entrati nello Stato ebraico durante il mese di luglio, il 2 per cento in più rispetto allo stesso periodo nel 2012 e il 4 per cento in più rispetto al 2011. Un dato che si inserisce in una crescita costante da alcuni anni a questa parte. Il 2012 infatti ha registrato la presenza di 2,9 milioni di turisti, escludendo coloro che sono transitati da Israele per meno di 24 ore, con un incremento del 2 per cento rispetto all'anno precedente. E tuttavia molto rimane da fare per soddisfare l'obiettivo posto dal precedente ministro del Turismo Stas Misezhnikov di raggiungere i cinque milioni annui di viaggiatori entro il 2015 o addirittura triplicare i numeri attuali entro il prossimo decennio, come auspicato nelle scorse settimane dal premier Benjamin Netanyahu in occasione di una conferenza dedicata al tema.
A offrire un'analisi dei fattori di debolezza del sistema attuale interpellato dal quotidiano Haaretz, è stato Yossi Fattal, a capo della Israel Tourist and Travel Association. Innanzitutto, Fattal segnala come la stragrande maggioranza di visitatori partecipi a viaggi di gruppo. "Il viaggio individuale è più vario rispetto alle mete prescelte, si distribuisce lungo tutto il corso dell'anno, ed è più stabile rispetto al turismo di gruppo, che è molto influenzato dagli eventi politici e da ciò che riportano i media" spiega, sottolineando inoltre come il turismo individuale rappresenti anche un sostegno ai siti fuori dai circuiti principali, che non vengono mai toccati dai gruppi.
Un altro elemento fondamentale messo in luce da Fattal è rappresentato dagli eccessivi costi di viaggio. "Per aumentare il numero di turisti in Israele è necessario innanzitutto aumentare il numero di posti letto a disposizione e dunque costruire alberghi, ma soprattutto offrire stanze a prezzi accessibili". Mentre, almeno sul fronte dei voli, la firma negli scorsi mesi dell'Accordo Cieli aperti con l'Unione europea, che apre il mercato aereo israeliano a una maggiore concorrenza, già promette di cambiare qualcosa: volare low cost a Gerusalemme dall'autunno non sarà più un sogno.

(Notiziario Ucei, 21 agosto 2013)


Egitto: la retorica di Erdogan contro Israele

Secondo il Premier turco, Recep Tayyip Erdogan, dietro ai fatti che stanno avvenendo in Egitto ci sarebbe la mano di Israele. Per dimostralo Erdogan rispolvera una vecchia intervista di due anni fa fatta dal giornalista e scrittore francese, Bernard Henry Levy, a Tzipi Livni nella quale la Livni si augurava che se i Fratelli Musulmani avessero vinto le elezioni in Egitto l'esercito gli avrebbe impedito di prendere il potere.
Nella intervista la Livni diceva semplicemente che dubitava molto che la presa del potere da parte della Fratellanza Musulmana in Egitto avrebbe portato la democrazia e prendeva come esempio le elezioni vinte da Hamas, costola della Fratellanza Musulmana, a Gaza. Secondo Erdogan quella sarebbe la prova inconfutabile che Israele avrebbe convinto i militari egiziani a deporre Mohamed Morsi....

(Right Reporters, 21 agosto 2013)


Manfredonia - Settimana di arte, cultura e letteratura ebraica

Dall'alto:
Guido Regina e Ugo Volli
MANFREDONIA - Martedì' 27 agosto una giornata sulla cultura ebraica. Alle ore 18 Palazzo Celestini. Dibattito sul libro di Benedetto Ligorio, Federico II. Ebrei, castelli e ordini monastici in Puglia nella prima metà del XIII secolo.
Alle ore 19,30 Palazzo Celestini dibattito su una delle più importanti figure dell'Ebraismo: Eliezer ben Yehuda e il sogno sionista della lingua ebraica. Eliezer ben Yehuda (Lituania 1858 - Palestina 1922), conosciuto come il padre della lingua ebraica; è stato per sua iniziativa che l'ebraico è stato rilanciato come un moderno linguaggio parlato e lingua ufficiale dello Stato di Israele. Relatori saranno Guido Regina e Ugo Volli.
Ore 21 piazza Duomo Il canto di Abramo: Raiz e Radicanto in concerto. Raiz (Napoli 1967) ha seguito un percorso da solista e con i gruppi di maggiore innovazione della musica italiana. Voce degli Almamegrette, il gruppo con il quale è tornato a cantare negli ultimi tempi.
Quali sono le finalità delle giornate della cultura ebraica? La parola ebreo non indica una nazionalità o cittadinanza né designa un seguace della religione ebraica. Ebreo è chi nasce da genitori o almeno da madre ebrea o chi si converte alla religione ebraica.
Gli ebrei sono dispersi e hanno attraversato molti fiumi. Non c'è epoca che non abbia visto gli ebrei cacciati dalla loro terra. Nel meridione d'Italia dopo la cacciata del 1541 è venuto a mancare l'ebreo come interlocutore nel dialogo tra fedi e culture. Il ritorno e la diffusione dell'ebraismo, dei suoi valori e del suo messaggio etico è uno degli obiettivi delle giornate della cultura ebraica. E questo messaggio viene trasmesso attraverso i libri, la musica… C'è qualcosa che lega il popolo ebraico ai libri. Gli ebrei possiedono il Libro per eccellenza: la Torà, un autentico thesaurus che ha reso quello ebraico un popolo all'avanguardia delle idee, nella scoperta di metodi di ricerca e di costruzione di nuovi significati.

Relatori: Ugo Volli ordinario di semeiotica Università di Torino. Coordinatore centro interdipartimentale di ricerca sulla comunicazione. Oltre 200 pubblicazioni e 15 libri. Collaboratore di giornali, radio e televisioni. Docente in numerose università italiane e straniere. Ugo Regina primario del reparto di chirurgia vascolare di Bari e membro della comunità ebraica di Trani.

(Stato Quotidiano, 21 agosto 2013)


Complotto ebraico: l'antico ritornello, sempre attuale

di Federico Steinhaus

Rieccolo, il leggendario complotto ebraico. E, guarda caso, sono sempre i settori dell'Islam più integralista ed estremo a denunciarlo e ad esserne le vittime designate. Sono notizie di questi giorni la denuncia di Erdogan che dietro il colpo di stato militare in Egitto c'è Israele, l'onnipotente ed avido stato degli ebrei; ed il commentatore politico di Al Jazeera Gamal Nassar, già esponente di spicco dei Fratelli Musulmani, citando il giornale algerino Al-Watan, annuncia al mondo che Al-Sisi è ebreo e sta attuando quanto prescritto dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, il famoso falso zarista del primo Novecento. Anzi, lo zio di Al-Sisi era addirittura, secondo questa fonte, un membro dell'esercito clandestino ebraico Haganah che costituì uno dei pilastri del futuro stato d'Israele.
Non c'è dunque da stupirsi se la Palestine Broadcasting Corporation, la radio dell'Autorità Palestinese, ha affermato che "un giorno la Palestina sarà di nuovo Palestina!". La Voce della Palestina, lo scorso 8 agosto, ha difatti salutato così i suoi ascoltatori: "Saluti a tutti i nostri ascoltatori e buone feste a voi, il nostro popolo nella Palestina occupata, la Palestina del 1948...Saluti al nostro popolo di Akko, Nazareth, Tiberiade, Haifa e Giaffa...Che la vostra identità palestinese sia radicata nei vostri cuori e nelle vostre menti. Se Allah vorrà, un giorno la Palestina sarà di nuovo Palestina!".
E' una dimostrazione in più, se pure ve ne fosse bisogno, che conferma la constatazione ricorrente che per il mondo arabo ed islamico Israele è l'incarnazione dell'ebreo con tutti i suoi vizi e difetti, con la sua vocazione connaturata al crimine e con la sua amoralità.
Senza fare del vittimismo, noi continuiamo a denunciare questo pregiudizio, perché la sua connessione con la politica è talmente evidente da ritenere superfluo il fornirne spiegazioni. Israele, per il mondo islamico, è un cancro da estirpare con la violenza, come ha sempre detto con molta efficacia Ahmadinejad. Israele, un piccolo puntino nel cuore del grande corpo del mondo islamico, è un paese in cui la democrazia occidentale è dominante, in cui i diritti umani ed in particolare quelli delle donne sono fortemente tutelati, in cui il benessere ed il progresso sia culturale che tecnologico sono all'avanguardia del mondo. Ma l'ostilità del mondo islamico non è dettata dall'invidia, anzi: è la pericolosità di un contagio che fa tremare. L'avversione è ancor più che ideologica, è viscerale quanto può esserlo il connubio di religione e sete di potere. Le primavere arabe hanno sostituito dittature con altre dittature, e la violenza fratricida che divora i più potenti stati arabi lascia intravedere uno scenario apocalittico.
Ora o mai più potrebbe essere la parola d'ordine per chi in Palestina vuole la pace. L'implosione sanguinosa dei protettori dell'estremismo arabo è un dato di fatto, e non trarre da questa tragedia il massimo beneficio per costruire una vera alternativa stabilizzando la regione segnerebbe con il marchio della viltà i dirigenti palestinesi.

(Informazione Corretta, 21 agosto 2013)


Basket - Torneo di Anversa. Israele batte Italia 78-74

Il ct Pianigiani non dispera: «Ce la siamo giocata alla pari» Fermo l'acciaccato Diener. Oggi l'ultima gara con la Polonia

ANVERSA - Secondo ko consecutivo per l'Italia del basket al torneo di Anversa. Dopo la brutta sconfitta di sabato contro i padroni di casa del Belgio la formazione di Pianigiani si è arresa ad Israele, vincitore per 78-74. Oggi la sfida alla Polonia.
«Potevamo vincere o perdere, ce la siamo giocata alla pari e siamo tornati ai livelli del Torneo di Trento», conferma il ct Simone Pianigiani. Anche senza Travis Diener, fermo per un trauma contusivo alla coscia destra, l'Italia è stata sempre un problema per Israele e gli ultimi cento secondi di gara ne hanno confermato la pericolosità. «Il primo tempo abbiamo giocato meglio noi - precisa Pianigiani - Sicuramente c'è stata la reazione che abbiamo chiesto per quanto riguarda l'approccio alla partita e per la forza mentale che abbiamo prodotto. È anche vero che le percentuali al tiro ci hanno penalizzato. Non abbiamo grandi alternative nel gioco interno o nella capacità di penetrazione. Per cui produciamo tiri aperti da tre che dobbiamo avere la fiducia di metter dentro. Mi auguro che ciò accada da qui a quindici giorni, quando saremo più freschi e avremo smaltito i carichi di lavoro, altrimenti tutto ciò che produciamo rischia di essere vanificato. In ogni caso è stato un allenamento positivo - conclude Pianigiani- è stata una partita dove abbiamo vinto a rimbalzo (38 contro 31, ndr), avremmo dovuto però perdere qualche pallone in meno e avere qualche ingenuità in meno nei momenti chiave del secondo tempo. Israele è una squadra che passerà il primo turno all'EuroBasket. Per quello che ci riguarda dobbiamo continuare ad essere competitivi come oggi e poi provarci, perché sappiamo che siamo questi».

(Il Piccolo, 21 agosto 2013)


Gaza - Per la fine del Ramadan quaranta condanne a morte

di Elleci

Da diversi giorni ormai i tribunali penali di Hamas hanno emesso oltre quaranta condanne a morte in occasione della fine del mese sacro islamico. In maggioranza si tratta di palestinesi accusati di collaborazionismo con Israele, negli altri casi dovrebbero essere autori di reati comuni.
Il governo di Gaza ha dichiarato che le condanne costituiscono un monito per i futuri criminali che infrangeranno la legge di Hamas. Per questo le esecuzioni dovrebbero avvenire in pubbliche piazze ma ragioni di opportunità mediatica, specialmente per i riflessi negativi all'estero (anche se media e pacifisti occidentali sono interessati solo se ci sono di mezzo gli israeliani) consiglierebbero di evitare che i condannati vengano giustiziati in pubblico.
Solitamente molte confessioni di collaborazionismo con il nemico avvengono sotto tortura e senza l'assistenza di un avvocato difensore che ha modo di conoscere il suo assistito solo in occasione della lettura del verdetto finale. Secondo Amnesty International la tortura e la falsificazione delle prove costituiscono la base del sistema penale giudiziario palestinese, sia a Gaza sia in Cisgiordania.

(Giustizia Giusta, 20 agosto 2013)


Iran - Dieci anni di prigione a un cristiano per aver diffuso copie del Vangelo

  
Mohammad-Hadi Bordbar
TEHERAN - Un uomo iraniano, convertito dall'islam al cristianesimo, è stato condannato a dieci anni di carcere per "crimine contro la sicurezza dello stato": la colpa imputata è quella di aver distribuito copie del Vangelo nel paese. Mohammad-Hadi Bordbar, noto come Mostafa, originario della città di Rasht, è stato accusato di cospirazione e condannato. Come riferito all'Agenzia Fides, dagli atti giudiziari risulta che l'uomo avrebbe confessato di "aver lasciato l'islam per seguire il cristianesimo" e, "considerando l'evangelizzazione un suo dovere, ha distribuito 12.000 vangeli tascabili".
Dopo aver ricevuto il battesimo, Mostafa, aveva avviato una "house church", una assemblea di culto domestica, con incontri di preghiera in casa, che sono considerati "illegali". Mostafa è stato arrestato a Teheran il 27 dicembre 2012, dopo un blitz della polizia in casa sua. Gli agenti di sicurezza hanno arrestato e interrogato per ore tutti i presenti alla riunione, circa 50 iraniani cristiani. Nella sua abitazione la polizia ha rinvenuto materiale e pubblicazioni cristiane, come film, libri, CD e oltre 6.000 copie del Vangelo. Mostafa era già stato arrestato nel 2009, per la conversione al cristianesimo, giudicato colpevole di apostasia, poi liberato su cauzione.
In un altro recente caso, segnalato a Fides dall'agenzia iraniana cristiana "Mohabat News", un tribunale della città di Robat-Karim, a Sud di Teheran, ha condannato a un anno di carcere e a due anni di esilio al giovane Ebrahim Firouzi, un altro cristiano iraniano, per "attività di evangelizzazione e distribuzione di Bibbie", considerate "in opposizione al regime della Repubblica islamica dell'Iran". Nella sentenza, il giudice descrive Ebrahim Firouzi come "colpevole di atti criminali per aver tenuto incontri di preghiera in casa e diffuso i fra i giovani la dissolutezza e dubbi sui principi islamici". Il giovane era stato arrestato nel marzo 2013.
Come ricordano le Ong "Barnabas team" e "Christian Solidarity Worldwide", impegnate per la difesa dei cristiani nel mondo, negli ultimi anni l'interesse dei giovani iraniani verso il cristianesimo ha reso la conversione al cristianesimo un problema preoccupante per le autorità iraniane. Molte chiese di lingua Farsi sono state chiuse a Teheran e in altre città, mentre la pressione sui cristiani convertiti dall'islam è in aumento. Il nuovo presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha parlato di una possibile "riforma dei diritti civili", chiedendo di recente al clero religioso islamico di "fermare l'ingerenza dello stato nella vita privata delle persone".

(Agenzia Fides, 20 agosto 2013)


Basket - Belgio batte Israele 77-59

Nell'ultima giornata del Torneo di Anversa, il Belgio ha battuto senza grandi difficoltà un arrendevole Israele con il risultato di 77-59.
La squadra allenata da Eddy Casteels si è piazzata così seconda (2 vittorie- contro Italia e Israele- e una sconfitta- contro la Polonia), dando così una buonissima impressione alla vigilia degli Europei (meno di 2 settimane al via).
Gli israeliani, invece, hanno raggiunto un comodo terzo posto, frutto di 1 vittoria (contro l'Italia) e due sconfitte (contro Belgio e Polonia).
L'Israele iniziava molto bene nel primo periodo, grazie ad una difesa molto intensa. Tenuto il Belgio a soli 13 punti, gli israeliani riuscivano a mettere in difficoltà gli avversari, imbastendo un vantaggio di 5 punti (18-13 al 10'). È a quel punto, però, che il Belgio inizia a giocare veramente: con un parziale di 13-0 nei primissimi minuti del secondo periodo la squadra belga fissava il risultato sul 41 a 34 all'intervallo. Da quel momento era tutto in discesa per i ragazzi di Casteels, che chiudevano la partita in vantaggio di ben 18 punti, 77-59.

(Basket Inside, 20 agosto 2013)


Di nuovo chiuso il valico di Rafah

ROMA - L'Egitto ha richiuso il varco di Rafah, lungo la linea di demarcazione con la Striscia di Gaza controllata da Hamas, in seguito all'imboscata avvenuta nel Sinai in cui sono stati trucidati almeno 25 poliziotti egiziani. Lo riferisce l'agenzia palestinese Maan, precisando che gli accessi da Gaza sono da stamattina bloccati. L'attacco è avvenuto a poca distanza da Rafah: in una zona, infestata da gruppi jihadisti vari e cosche tribali, teatro di attentati e agguati analoghi negli ultimi mesi.

(ANSA, 19 agosto 2013)


Giordania-Israele, canale da 1,2 miliardi di dollari per l'acqua

Crisi idrica per Amman. Progetto dal Mar Morto al Mar Rosso.

Il primo ministro giordano, Abdullah Nsour, ha annunciato l'avvio di un progetto da 1,2 miliardi di dollari da realizzare in collaborazione con Israele per collegare il Mar Morto al Mar Rosso per risolvere i problemi di approvvigionamento idrico del Paese.
Il progetto, ha detto Nsour in una conferenza stampa, «ci fornirà 100 milioni di metri cubi d'acqua, che divideremo con Israele». Gruppi ambientalisti hanno espresso preoccupazione per il possibile impatto ambientale dell'opera, ma le autorità hanno assicurato di avere condotto tutti gli studi di fattibilità necessari.
La Giordania è considerata uno dei Paesi più poveri d'acqua al mondo, con una popolazione di 7,5 milioni di abitanti che dipende per i rifornimenti idrici da una scarsa quantità di acqua piovana raccolta in dighe antiquate.

(Lettera43, 19 agosto 2013)


Oltremare - Shabbat & The City
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band ”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Narrano leggende urbane che a Tel Aviv ci siano oltre 200 templi. Piccoli o grandi, stracolmi o che a malapena riescono a fare minian, cioè a raggiungere quel minimo di 10 uomini adulti per chiamarsi "comunità". Io ci credo, anche perchè Tel Aviv era un centro per nulla periferico di studio e di vita ebraica quando ancora il concetto di ebreo laico non aveva preso piede come oggi, e un po' tutti si ritrovavano al tempio quotidianamente o quasi (più o meno come oggi ci si ritrova al caffè all'aperto su Sderot Ben Gurion).
Eppure, quando come in estate gli abitanti della santissima e dorata Gerusalemme scendono al mare, ed entrano in contatto con la Tel Aviv bianca e molto poco santa (specie in zona spiagge), il lamento sabato al tempio è continuo. Ecco, qui proprio Shabbat non si sente, e ci sono le macchine per le strade, e guarda tutti questi bar e ristoranti aperti, ma come fate voi a stare a Tel Aviv, di settimana si fa perfino fatica a trovare un ristorante kasher, è come stare fuori Israele. Vero. Spiaggia piena di persone seminude, bar pieni da pranzo in poi, tanti turisti ma anche tanti israeliani, musica e megafoni dei bagnini che riempiono le orecchie. Non proprio un'atmosfera sabbatica.
Ma non si potrebbe provare a viverla come una ricchezza, la compresenza di queste due anime di Israele, quella religiosa e quella laica, e di tutte quelle intermedie, di complessa collocazione e imprecisa definizione? In fondo, non sono tanto diverse da quelle diasporiche, con la differenza che qui siamo fra noi. E la libertà di muoversi in ogni direzione sul filo che va dall'osservanza stretta al laicismo militante ce la siamo guadagnati con l'alyiah e con il vivere qui. "Nessuno mi può giudicare..." cantava la Caselli, secoli fa, dall'altro lato del mare.

(Notiziario Ucei, 19 agosto 2013)


La sfida d'Egitto è sconfiggere gli ultrà della sharia

Quante speranze aveva suscitato la primavera araba! Invece abbiamo una guerra civile in Siria, instabilità politica in Libia e in Tunisia e l'incubo di una guerra civile in Egitto.

di Francesco Alberoni

Quante speranze aveva suscitato la primavera araba! Invece abbiamo una guerra civile in Siria, instabilità politica in Libia e in Tunisia e l'incubo di una guerra civile in Egitto.
Non basta rovesciare un tiranno e fare le elezioni per avere la democrazia. L'essenza della democrazia è la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che proibisce di discriminare fra persone di idee e fedi diverse e rispettare i diritti politici delle minoranze. Questo principio non c'è tradizionalmente nei Paesi islamici in cui il potere politico coincide con quello religioso. E i nostalgici del passato, gli islamisti, anche oggi, raggiunto il potere, impongono la legge religiosa, la sharia, a tutti.
Fino a pochi decenni fa in numerosi Paesi islamici erano al potere élite occidentalizzate. In Turchia il partito di Ataturk, in Iran lo Scià, in Algeria il Fln, in Egitto e Siria il partito Baath. Poi sono sorti e andati al potere i movimenti islamisti. In Iran hanno creato una teocrazia, in Sudan dittatura, in Algeria dopo aver vinto le elezioni, hanno fatto massacri. E anche in Egitto i Fratelli musulmani, dopo aver vinto le elezioni, stavano imponendo una costituzione islamista basata sulla sharia.
Ma questo Paese era culturalmente più moderno e milioni di persone si sono ribellate riempiendo di nuovo piazza Tahir dopo di che l'esercito, tradizionalmente laico, ha preso il potere. I Fratelli musulmani hanno invaso le piazze e i militari hanno reagito con violenza. Ma i Fratelli musulmani sono un movimento rivoluzionario perfettamente organizzato e continuano la mobilitazione anche armata. Esiste perciò un reale pericolo di guerra civile.
L'unica speranza è che la componente moderata dei laici, dei militari e dei Fratelli musulmani, prevalga sui fanatici e riesca ad avviare negoziati che portino alla pacificazione e a nuove elezioni. Ma questa volta i Fratelli musulmani dovrebbero accettare di andare al voto con un programma che esclude tassativamente uno Stato fondato sulla sharia. Solo così avremmo anche in Egitto una vera democrazia e sarebbe una svolta epocale destinata ad influenzare anche tutti gli altri Paesi islamici.

(il Giornale, 19 agosto 2013)


La grande cultura ebraica protagonista al Festival Letteratura di Mantova

Il Teatro Bibiena a Mantova
Una presenza fissa, quella della cultura ebraica, al Festival Letteratura di Mantova che si svolgerà quest'anno dal 4 all'8 settembre. Una presenza che si ripete ancora una volta e che vede un suggestivo mix di narrativa, musica e cucina.
   Si parte con uno degli autori più autorevoli della narrativa d'Israele, che può vantare un popolo di fans inesauribile: parliamo del grande David Grossman, che al Festival mantovano, ritornando dopo sei anni di assenza, sarà protagonista di almeno tre appuntamenti che certamente registreranno il sold out. A fare da apripista ci penseranno, mercoledì 4 settembre al Teatro Bibiena, alle ore 21.30, Luciano Minerva e Silvano Piccardi con lo spettacolo "Percorsi nel festival: su David Grossman. Retrospettiva". Lo spettacolo è un nuovo esempio di teatro-documentario, forma sperimentata con successo a Festivaletteratura 2012: una selezione di filmati, foto e audio degli archivi del Festival si combinerà, in un originale intreccio e montaggio, con letture e musiche dal vivo. Silvano Piccardi e Lucia Vasini leggeranno brani dagli scritti di Grossman. Le musiche originali di Leonardo Spinedi saranno eseguite al violino dallo stesso autore e da Eleonora Minerva.
   Ma è attesissimo l'incontro in cartellone giovedì 5 settembre alle ore 22.30, in Piazza virgiliana (ingresso libero) con lo stesso Grossman in "Blurandevù: volontari, all'intervista!". Attraverso le domande di giovanissimi intervistatori, sarà possibile conoscere (o riconoscere) un autore che ha studiato filosofia e teatro ed è stato a lungo conduttore di un popolarissimo programma radiofonico per ragazzi, prima di affermarsi universalmente come narratore. Nei suoi romanzi, si possono trovare scintillanti avventure di ragazzini, incursioni negli universi adolescenziali, indagini sull'intima natura dell'amore (parole, corpi, gelosie), e insieme l'infinita sofferenza della sua terra, il dolore grave per la perdita del figlio. Venerdì 6 settembre, alle 18.30, in Piazza Castello, David Grossman si confronterà Giulio Busi. Il grande scrittore israeliano ripercorre insieme allo scrittore Giulio Busi l'intera sua carriera letteraria, da Vedi alla voce: amore, all'ultimo Caduto fuori dal tempo, canto a più voci dal confine tra la terra dei vivi e quella dei morti.
   Sempre venerdì 6 settembre, presso Casa Slow, alle ore 20, Miriam Camerini proporrà "Lo Shabbat di tutti". È venerdì sera. La calma plana sul mondo: è entrato lo Shabbat, giorno di festa in cui gli ebrei ricordano che Dio cessò l'opera della creazione, nel settimo giorno della settimana. Per accogliere degnamente il Sabato, chiamato nelle fonti "regina" e "sposa", abbiamo imbandito una tavola con cibo delizioso, tipico dello Shabbat, fiori e candele. Tutti invitati a cena: letture sceniche, cibo, musica e libere conversazioni con alcuni fra gli ospiti del Festival più legati all'ebraismo. Shabbat è anche un momento per stare assieme alla persona che abbiamo di fianco, a telefoni spenti. Illustrare le regole sottili del Sabato, lasciar trapelare la luce che si sprigiona dall'intreccio delle norme e delle tradizioni, è un'impresa nella quale si avventura con gioia Miriam Camerini, autrice e attrice teatrale. Il menu della cena è curato e preparato dalla Condotta Slow Food di Mantova.
   Il giorno dopo sabato 7 settembre, alle 22.30, in Piazza Mantegna ad ingresso libero Enrico Fink si soffermerà sull'interrogativo: "Esiste una musica ebraica?" nella serie "Lavagne", una chiacchierata dal canto sinagogale degli ebrei italiani fino al klezmer est europeo, dalle ballate in giudeospagnolo alle danze israeliane del '900, dall'avanguardia jazzistica newyorkese al Mosè e Aronne di Schoenberg, c'è forse una caratteristica che permetta di apporre a un singolo componimento l'etichetta "musica ebraica"? E che cosa rappresenta la musica nel mondo ebraico? Lungi dal voler dare risposte conclusive, Enrico Fink si propone di compiere insieme al pubblico alcuni passi di un viaggio musicale lungo millenni e che ha attraversato il mondo intero.
Infine domenica 8 settembre, alle ore 14, alla Tenda dei libri ad ingreso libero, con Ronaldo Wrobel si parlerà di Letteratuera ebraica brasiliana: Rolando Wrobel dedica la sua attenzione a Clarice Lispector, "forse la maggiore scrittrice portoghese di questo secolo" secondo Antonio Tabucchi, e a Moacyr Scliar, autore di La donna che scrisse la Bibbia e Guida per naufraghi con giaguaro.

(VareseReport, 19 agosto 2013)


Trani, centro di studi ebraici per una settimana

In occasione dei giorni del Lech Lechà 2013

E' il sogno degli ebrei di Puglia che affolleranno la città adriatica durante il giorni del Lech Lechà 2013. I più rinomati rabbini italiani per 7 giorni a Trani per il progetto di un'accademia stabile di studi ebraici. Lo studio dei testi sacri è sempre stato al centro della vita ebraica, tanto che i Maestri hanno detto che "Lo studio della Torà vale quanto tutte le norme della legge", affermazione che va intesa nel senso che l'osservanza dei comandamenti non è veramente completa se non si conosce e si studia costantemente la Torà. Il pericolo infatti è quello di trasformare l'osservanza in qualcosa di tecnico, di abitudinario e privo dell'approfondimento e dell'entusiasmo necessario. Non è un caso che l'analfabetismo sia un fenomeno inesistente nel mondo ebraico, dove la persona più rispettata è lo studioso che è chiamato Talmìd chachàm, cioè lo studente saggio oppure lo studente del saggio: la saggezza non è mai qualcosa di acquisito una volta per tutte, ma è necessario rinnovarla e ampliarla continuamente.
  La città di Trani è stata sede nel passato di importanti accademie rabbiniche, punto di riferimento per le comunità ebraiche in Italia e in Europa. Nell'intento di restituire ai suoi fasti l'antica comunità, la settimana "Lech Lechà, và verso te stesso" proporrà ai partecipanti anche un percorso di studi Yeshivà. La Yeshivà è una scuola in cui Maestri illustri tengono delle lezioni su vari aspetti dell'ebraismo, attraverso lo studio dei testi classici: la Bibbia con i suoi commenti, la Mishnà, Il Talmùd, il Midràsh, i codici delle leggi come il Shulchàn Arùkh, i Responsa scritti dai rabbini più autorevoli sui temi più attuali, i testi delle principali preghiere d'Israele e della Filosofia medievale e moderna.
  Creare una Yeshivà - anche per una sola settimana - può sembrare privo di senso. Secondo la tradizione, un agglomerato urbano può essere definito città ('ir) e non villaggio (kefàr) se conta al suo interno almeno dieci persone che studino costantemente la Torà. Se si vuole trasformare un luogo in "città" è necessario crearvi una Yeshivà: un messaggio questo che va al di là della breve esperienza che si svolgerà a Trani dal 25 al 31 agosto. Lech Lechà sarà l'occasione per avere un "assaggio" di cosa è una Yeshivà e di cosa possa rappresentare la presenza di una istituzione del genere all'interno di una Comunità: insomma, senza un luogo destinato allo studio continuo della Torà una comunità rischia l'estinzione.
  A tenere lezioni alla Yeshivà di Trani sono stati chiamati vari rabbini e studiosi residenti in Italia e in Israele. Le lezioni saranno tenute da Rav Giuseppe Laras (già rabbino capo di Milano e presidente del Tribunale Rabbinico delle Comunità del Centro e Nord Italia), Rav Riccardo Di Segni (Rabbino Capo di Roma e direttore del Collegio Rabbinico Italiano), Rav Roberto Della Rocca (già rabbino capo di Venezia e direttore del DEC, Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane) Rav Ishai Shmuel Hochman di Gerusalemme (esperto della Orthodox Union nel campo della Kasherut), Rav Pierpaolo Punturello (inviato in Italia da Shavè Israel, l'organizzazione che si occupa del ritorno degli ebrei, costretti ad abbandonare l'ebraismo a causa delle persecuzioni); porteranno il loro contributo di lezioni anche Maskil Gad Piperno (responsabile per l'Ucei del progetto Meridione) e Maskil Vittorio Bendaud (segretario del Tribunale rabbinico del Centro e Nord Italia).
  Infine, Rav Scialom Bahbout, rabbino Capo di Napoli e del Meridione, tra i fondatori della nuova Comunità di Trani e Puglia, coordinerà gli studi della Yeshivà e vi terrà lezioni. Gli studi si svolgeranno nel corso di tutta la giornata: inizieranno con lo studio e l'analisi delle preghiere, per poi passare allo studio del testi. Sarà consentita la partecipazione anche soltanto a singole lezioni.

IL PROGRAMMA

(il Giornale di Trani, 19 agosto 2013)


Gabriele Coen presenta "Yiddish melodies in jazz" a Roccella Jonica

   
 
Martedi 20 agosto appuntamento a Roccella Jonica: al Porto delle Grazie, ore 21.30, Gabriele Coen Jewish Experience, presenterà in concerto il suo nuovo cd, "Yiddish melodies in jazz", realizzato per per la "Tzadik" di John Zorn. Sul palco: Gabriele Coen, sax soprano, clarinetto, sax tenore, Pietro Lussu, pianoforte, Lutte Berg, chitarra elettrica, Marco Loddo, contrabbasso, Luca Caponi, batteria.
A due anni dal suo ingresso nella prestigiosa etichetta newyorkese di John Zorn, Gabriele Coen presenta il suo nuovo lavoro discografico per la "Tzadik" nella collana "Radical Jewish Culture" che John Zorn ha voluto dedicare alle migliori espressioni della nuova musica ebraica a livello internazionale.
In "Yiddish melodies in jazz", Coen (sax soprano, tenore e clarinetto) conduce il suo ensemble (Pietro Lussu, pianoforte - Lutte Berg, chitarra elettrica - Marco Loddo, contrabbasso - Luca Caponi, batteria) al cuore del rapporto tra la musica ebraica e il jazz americano, esplorando l'influenza dell'eredità ebraica sul jazz attraverso una personale interpretazione di brani che sono diventati dei veri e propri classici della tradizione jazzistica.
Il debito della musica ebraica nei confronti del jazz da cui, negli Stati Uniti, ha saputo trarre nuova linfa vitale, è cosa nota e ampiamente indagata e si è tradotta, negli anni, in un nuovo tipo di musica che coniuga il sound ebraico con le nuove frontiere sonore offerte dal jazz e da altre culture musicali.
Gabriele Coen ci conduce ora alla scoperta della penetrazione delle sonorità ebraiche nel mainstream americano, presentando per la prima volta in chiave contemporanea una manciata di brani tratti dal repertorio della musica klezmer e della canzone yiddish che sono poi entrati a pieno diritto nella tradizione jazzistica nelle loro memorabili esecuzioni di Original Dixieland Jazz Band, Benny Goodman, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Cab Calloway, Shelly Manne, Terry Gibbs, Herbie Mann.
Con l'eclettismo espressivo che è il segno distintivo del suo percorso artistico e di ricerca, Gabriele Coen presenta questi brani, affiancati da due composizioni originali, creando un'appassionante, inconsueta, lirica, esperienza musicale attraverso un tessuto sonoro che attinge al jazz, al rock, alla world music, senza mai dimenticare le radici ebraiche della sua ispirazione.
Ingresso libero
email:acjroma@tin.it

(Fonte: MNews.it, 19 agosto 2013)


Egitto: 25 poliziotti uccisi a sangue freddo nel Sinai

Un'esecuzione in piena regola. I poliziotti sono stati fatti scendere dagli autobus dove viaggiavano e poi uccisi. La strage nel nord del Sinai, al confine con la Striscia di Gaza, in una zona dove sono frequenti gli attacchi dei fondamentalisti islamici contro le truppe del Cairo.

Nonostante la "tregua armata" tra l'esercito e la Fratellanza, che riguarda comunque solo alcune manifestazioni al Cairo, si ha notizia di nuove stragi. 25 poliziotti sono rimasti uccisi - e due sono in gravissime condizioni - nel nord del Sinai, vicino ad Abu Taqila, al confine con la Striscia di Gaza, riferiscono fonti dell'Esercito.
Secondo la ricostruizone fatta dalle fonti di sicurezza egiziane, i poliziotti, che provenivano dal varco di Rafah, viaggiavano su due blindati, sono stati fatti scendere, mettere in riga e poi giustiziati a sangue freddo. Gli autobus su cui viaggiavano sono stati poi fatti esplodere con delle granate.
Il Sinai è una delle zone a più alta tensione in Egitto, teatro negli ultimi mesi di frequenti attacchi contro le forze di sicurezza egiziane. Un anno fa 16 soldati sono stati uccisi in un altro grave attacco e ieri un altro poliziotto è morto e cinque feriti da un attacco di uomini armati ad un check point dell'esercito nei pressi di al Arish, nel nord del Sinai.

(TG la7, 19 agosto 2013)


La lista di chiese, scuole, istituzioni, negozi cristiani incendiati dai Fratelli Musulmani

La lista di 58 edifici (compresi conventi e scuole) saccheggiati e bruciati negli ultimi tre giorni è stata verificata da rappresentanti delle Chiese cristiane.

Quello che resta della Chiesa Evangelica di Malawi, sud di Minya
IL CAIRO - Almeno 58 chiese, scuole, istituzioni, case e negozi di cristiani sono stati attaccati, saccheggiati e bruciati negli ultimi tre giorni dai Fratelli Musulmani e dai sostenitori di Mohamed Morsi, l'ex presidente egiziano deposto lo scorso 3 luglio. Il 14 agosto scorso l'esercito ha cercato di sgomberare i sit-in degli islamisti a Nahda Square e Rabaa el-Adaweya. In un'ondata di devastante violenza, oltre 600 persone sono state uccise e migliaia ferite. Negli stessi giorni vi è stato il violento attacco a chiese cattoliche, ortodosse, evangeliche e a case e negozi di cristiani, che documentiamo.
I rappresentanti delle Chiese cristiane hanno stilato un lista che pubblichiamo di seguito. La lista è stata consegnata ad AsiaNews dall'Ufficio stampa della Chiesa cattolica in Egitto.

Chiese cattoliche e conventi
• 1. Chiesa francescana e scuola (strada 23) - Bruciata (Suez)
• 2. Monastero del Santo Pastore e ospedale - Bruciati (Suez)
• 3. Chiesa del Buon pastore; monastero del Buon Pastore - Molotov e attacco (Asuit)
• 4. Chiesa copta cattolica di san Giorgio - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 5. Chiesa dei gesuiti - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 6. Basilica di Fatima - Attacco - Heliopolis
• 7. Chiesa copto-cattolica di san Marco - Bruciata (Minya - Alto Egitto)
• 8. Convento francescano (suore del Cuore immacolato di Maria) - Bruciato (Beni Suef, Alto Egitto)
• 9. Chiesa di santa Teresa - Bruciata (Asuit, Alto Egitto)
• 10. Chiesa francescana e scuola - Bruciati (Asuit, Alto Egitto)
• 11. Convento di san Giuseppe e scuola - Bruciati (Minya, Alto Egitto)
• 12. Chiesa del Sacro Cuore dei copti cattolici - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 13. Convento delle suore di santa Maria - Attacco (Il Cairo)
• 14. Scuola del Santo Pastore - Attacco (Minya, Alto Egitto)

Chiese ortodosse ed evangeliche
• 1. Chiesa anglicana di san Salvatore - Bruciata (Suez)
• 2. Chiesa evangelica di St Michael - Circondata e saccheggiata (Asuit, Alto Egitto)
• 3. Chiesa copto-ortodossa di san Giorgio - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 4. Chiesa di Al-Esla - Bruciata (Asuit, Alto Egitto)
• 5. Chiesa avventista - Bruciata; il pastore e sua moglie rapiti (Asuit, Alto Egitto)
• 6. Chiesa degli Apostoli - Bruciata (Asuit, Alto Egitto)
• 7. Chiesa del Santo rinnovamento - Bruciata (Asuit, Alto Egitto)
• 8. Centro diocesano copto ortodosso di Qusiya - Bruciato (Asuit, Alto Egitto)
• 9. Chiesa di san Giorgio - Bruciata (Arish, Nord Egitto)
• 10. Chiesa di san Giorgio ad al-Wasta - Bruciata (Beni Suef, Alto Egitto)
• 11. Chiesa della Vergine Maria - Attacco (Maadi, Il Cairo)
• 12. Chiesa della Vergine Maria - Attacco (Mostorod, Il Cairo)
• 13. Chiesa copto-ortodossa di san Giorgio - Attacco (Helwan, Il Cairo)
• 14. Chiea di santa Maria di El Naziah - Bruciata (Fayoum, Alto Egitto)
• 15. Chiesa di santa Damiana - Saccheggiata e bruciata (Fayoum, Alto Egitto)
• 16. Chiesa di san Teodoro - Bruciata (Fayoum, Alto Egitto)
• 17. Chiesa evangelica di al-Zorby - Saccheggiata e distrutta (Fayoum, Alto Egitto)
• 18. Chiesa di san Giuseppe - Bruciata (Fayoum, Alto Egitto)
• 19. Scuola francescana - Bruciata (Fayoum, Alto Egitto)
• 20. Centro diocesano copto-ortodosso di san Paolo - Bruciato (Gharbiya, Delta)
• 21. Chiesa copto-ortodossa di sant'Antonio - Bruciata (Giza)
• 22. Chiesa copta di san Giorgio - Bruciata (Atfeeh, Giza)
• 23. Chiesa della Vergine Maria e del padre Abramo - Bruciata (Delga, Deir Mawas, Minya, Alto Egitto)
• 24. Chiesa di san Mina di Abu Hilal Kebly - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 25. Chiesa battista di Beni Mazar - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 26. Chiesa di Amir Tawadros - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 27. Chiesa evangelica - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 28. Chiesa di Anba Moussa al-Aswad- Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 29. Chiesa degli Apostoli - Bruciata (Minya, Alto Egitto)
• 30. Chiesa di santa Maria - Tentativo di incendio (Qena, Alto Egitto)
• 31. Chiesa copta di san Giorgio - Bruciata (Sohag, Alto Egitto)
• 32. Chiesa di santa Damiana - Attaccata e bruciata (Sohag, Alto Egitto)
• 33. Chiesa della Vergine Maria - Bruciata (Sohag, Alto Egitto)
• 34. Chiesa di san Marco e centro comunitario - Bruciati (Sohag, Alto Egitto)
• 35. Chiesa di Anba Abram - Distrutta e bruciata (Sohag, Alto Egitto)

Istituzioni cristiane
• 1. Casa del p. Angelos (pastore della chiesa della Vergine Maria e del padre Abramo) - Bruciata
      (Minya, Alto Egitto)
• 2. Proprietà e negozi di cristiani - Bruciati (Arish, Nord Egitto)
• 3. 17 case cristiane attaccate e saccheggiate (Minya, Alto Egitto)
• 4. Case cristiane - Attaccate (Asuit, Alto Egitto)
• 5. Uffici della Fondazione evangelica - Bruciati (Minya, Alto Egitto)
• 6. Negozi, farmacie, hotel di proprietà di cristiani - Attaccati e saccheggiati (Luxor, Alto Egitto)
• 7. Libreria della Bible Society - Bruciata (Il Cairo)
• 8. Bible Society - Bruciata (Fayoum, Alto Egitto)
• 9. Bible Society -Bruciata (Asuit, Nord Egitto).

(Asia News, 17 agosto 2013)

Egypt: Islamists hit Christian churches


Mettiamo fuorilegge in Italia i Fratelli Musulmani

Hanno vinto le elezioni? Anche Hitler. E anche loro sono violenti e totalitari

di Magdi Cristiano Allam

Chiedo che in Italia, in Europa e nel mondo libero vengano dichiarati fuorilegge i Fratelli Musulmani. Chiedo che si blocchi ovunque la costruzione di nuove moschee e si accerti che le esistenti non siano di fatto covi di sovversione e terrorismo. Chiedo che si condanni universalmente la sharia, la legge coranica, come crimine contro l'umanità.
   Lo chiedo sulla base di ciò che sta accadendo in Egitto, ma anche in Siria, in Libano, in Iraq, in Libia e in Tunisia. Che dimostra senza ombra di dubbio che i Fratelli Musulmani non sono un partito democratico bensì un movimento totalitario, paragonabile al nazismo e al comunismo, che all'occorrenza pratica il terrorismo attraverso il suo braccio armato alla stregua di Al Qaeda e dei jihadisti. Che evidenzia senza ombra di dubbio che le moschee sono state trasformate in roccaforti e arsenali, il fronte di prima linea da cui scatenare la guerra santa, in cui trincerarsi e resistere fino al martirio, le stanze segrete dove torturare, mutilare e giustiziare i nemici dell'islam, l'ospedale da campo dove soccorrere i propri miliziani, il laboratorio dove praticare impunemente il lavaggio di cervello per sradicare il sano amor proprio e ridurre le persone in servi sottomessi a un Allah violento, la sede dove barattare l'adesione incondizionata all'emiro in cambio di aiuti materiali e sostegno sociale. Che conferma senza ombra di dubbio che la sharia, perseguita nell'anno di potere di Morsi, è non solo totalmente contraria alla democrazia ma è fisiologicamente incompatibile con i diritti inalienabili alla vita, alla dignità e alla libertà di tutti noi.
   E se non vi fidate di me perché taluni mi considerano un fanatico che vorrebbe scatenare la guerra di religione, un invasato che prima ha rinnegato l'islam e ora osa criticare il Papa, vi invito a vedere un video postato il 17 agosto su Youtube da Abdo Hassan dove si tocca con mano la realtà terroristica dei Fratelli Musulmani ed eversiva delle moschee e distruttiva della sharia.
   E se anche le immagini obbiettive lasciassero in voi delle perplessità, ascoltate le parole del portavoce della Chiesa cattolica in Egitto, padre Rafic Greiche, intervistato oggi dal Giornale: «I Fratelli Musulmani sono terroristi, legati come sono a gruppi di Al Qaeda e Salafiti. La storia dei Fratelli Musulmani, fin dalla fondazione, è fatta di 85 anni di sangue». In 3 giorni sono state assaltate e bruciate 49 chiese e decine di ospedali, scuole, negozi e case di cristiani .
   Eppure anche ieri all'Angelus il Papa non solo non ha condannato il rogo delle chiese e le atrocità che i cristiani stanno subendo per mano dei Fratelli Musulmani, ma ha esortato i cristiani a non ricorrere alla violenza rinnovando la preghiera per la pace, il dialogo e la riconciliazione. L'Occidente prenda atto che ha commesso un errore storico stipulando un accordo nel 2005 con i Fratelli Musulmani, chiedendo la collaborazione nella lotta contro Al Qaeda in cambio della legittimazione. Prendiamo tutti atto che la cosiddetta Primavera araba è la più colossale menzogna mediatica del Terzo millenio, frutto di una scellerata strategia che facendo leva sulla rivolta di popolazioni che patiscono la povertà, ha consentito ai Fratelli Musulmani di strumentalizzare le elezioni.
   Temo purtroppo che ancor più dei terroristi islamici il nostro peggior nemico siamo noi stessi. Come interpretare il silenzio assordante del Papa? Come non prendere atto della presa di posizione degli Stati Uniti e dell'Unione Europea che solo ora criticano l'Esercito mentre approvarono nel 2011 il suo intervento per scalzare dal potere Mubarak? Come non rabbrividire in mezzo al coro mediatico che in Occidente è schierato dalla parte dei Fratelli Musulmani identificandoli con la democrazia e dimenticando che anche Hitler, Mussolini e Khomeini arrivarono al potere tramite libere elezioni? Non sono io che voglio la guerra di religione, la guerra per l'avvento del nuovo Califfato islamico è già stata scatenata dai terroristi islamici contro i cristiani e i musulmani che non si sottomettono al totalitarismo dei Fratelli Musulmani, allo strapotere delle moschee e alla violenza della sharia.

(il Giornale, 19 agosto 2013)


Un fiume di denaro dal Golfo: ecco chi finanzia i Fratelli Musulmani

di Lorenzo Bianchi

IL CAIRO, 19 ago - In Egitto si combatte anche una guerra parallela a suon di quattrini. Le monarchie del Golfo Persico, favorevoli ai militari del ministro della difesa Abdel Fattah al-Sissi, stanno cercando di soppiantare il Qatar e la Turchia, generosi di finanziamenti durante l'anno di governo dei Fratelli Musulmani. I numeri dei nuovi flussi di risorse ridicolizzano l'aiuto degli Stati Uniti e dell'Unione Europea. Sei giorni dopo il colpo di Stato del 3 luglio l'Arabia Saudita ha stanziato 5 miliardi di dollari per il Cairo, fra denari sonanti e forniture di petrolio e di gas. A ruota gli Emirati Arabi Uniti ne hanno aggiunti altri 3, uno di finanziamento a titolo di dono e due di prestiti agevolati. Il Kuwait, stando ad articoli apparsi sulla stampa, è in procinto di sbloccarne 4,2 di prestiti, uno di sovvenzioni e uno di prodotti petroliferi.
   Durante l'anno nel quale il defenestrato presidente Mohamed Morsi è stato al vertice del Paese, il Qatar aveva deciso aiuti per 8 miliardi di dollari. Ora il ministro degli Esteri dell'emirato più ricco del mondo Khalid bin Mohamed al-Attiyah tenta di prendere le distanze dai Fratelli Musulmani, spiegando che i soldi non sono «mai andati a un gruppo o a un partito politico, ma all'Egitto». Tre giorni fa il re saudita Abdullah ha affidato all'agenzia di stampa ufficiale, la Spa, un appello «a egiziani, arabi e musulmani perché si oppongano a tutti quelli che tentano di destabilizzare l'Egitto». Il 5 luglio aveva chiamato personalmente il generale Abdel Fattah Al Sisi per assicurargli il suo appoggio. Il quotidiano indipendente al-Masry al Youm pubblica cifre impietose. Il professor Fakhry al-Fiqqi, docente all'Università del Cairo, calcola che gli aiuti finanziari degli Stati Uniti e della Ue non superano «i due miliardi e mezzo di dollari», mentre il Cairo ha ricevuto quasi 26 miliardi di dollari dagli Stati del Golfo a partire dal 25 gennaio 2011. Dodici sono arrivati dopo le manifestazioni oceaniche contro Morsi del 30 giugno.
   Nel conto non sono compresi i due miliardi di dollari versati dalla Turchia nell'anno di governo della Fratellanza. Nelle cifre in ballo si dovrebbe includere anche il tesoro misterioso dei Fratelli. Le stime più aggiornate sono quelle fornite da Sameh al-Barqy, uscito dal gruppo dopo 18 anni. Secondo l'ex militante gli aderenti sono un milione e versano all'organizzazione circa 107 milioni di euro all'anno. I canali del finanziamento dall'estero sono sempre stati coperti da un segreto occhiuto e ostinato per non incorrere nel rigore delle leggi. Nel gennaio del 2011 la «Corte di emergenza per la sicurezza dello stato» ha condannato il predicatore Wagdi Abdel Hamid Ghoneim a cinque anni di lavori forzati per riciclaggio e finanziamento di un'organizzazione fuori legge, i Fratelli. Dallo Yemen il religioso si è difeso sostenendo di aver semplicemente «raccolto doni». Il prestito di 4,8 miliardi di dollari del Fondo Monetario Internazionale è ancora nel limbo. L'Egitto è sull'orlo di una crisi alimentare. Secondo l'agenzia ufficiale Mena, quattro giorni prima del colpo di stato, le riserve di grano coprivano le necessità fino al 15 dicembre e lo stock di riso si sarebbe esaurito il 15 agosto.

(Quotidiano.Net, 19 agosto 2013)


Teheran possiede diciottomila centrifughe nucleari

L'Iran possiede circa diciottomila centrifughe nucleari per l'arricchimento dell'uranio, di cui oltre diecimila già in funzionamento: lo ha reso noto Fereydun Abbassi Davani, responsabile dell'Organizzazione Iraniana per l'Energia Atomica, confermando i dati diffusi nel maggio scorso dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea). Davani, che lascerà il posto ad Ali Akbar Salehi, nominato dal
nuovo presidente Hassan Rohani, ha precisato che settemila centrifughe, di cui un migliaio di nuova generazione, sono prossime ad entrare in servizio.

(Milano Finanza, 19 agosto 2013)


Basket - Italia battuta da Israele 78-74

Seconda sconfitta consecutiva per gli azzurri all'European Basketball Tour

Seconda uscita all'European Basketball Tour per l'Italia di Pianigiani e seconda sconfitta. Gli azzurri, dopo il tracollo coi padroni di casa del Belgio, hanno ceduto 78-74 anche a Israele, mostrando un certo nervosismo e regalando due falli tecnici. Dopo un inizio favorevole all'Italia, la squadra si è disunita regalando spazio e punti agli avversari, capaci di riscattare la sconfitta dell'esordio contro la Polonia.
"Potevamo vincere o perdere, ce la siamo giocata alla pari e siamo tornati ai livelli del Torneo di Trento - ha detto il ct Simone Pianigiani - . Il primo tempo abbiamo giocato meglio noi. Sicuramente c'è stata la reazione che abbiamo chiesto per quanto riguarda l'approccio alla partita e per la forza mentale che abbiamo prodotto. E' anche vero che le percentuali al tiro ci hanno penalizzato. Non abbiamo grandi alternative nel gioco interno o nella capacita' di penetrazione. Per cui produciamo tiri aperti da tre che dobbiamo avere la fiducia di metter dentro. Mi auguro che ciò accada da qui a quindici giorni, quando saremo più freschi e avremo smaltito i carichi di lavoro, altrimenti tutto ciò che produciamo rischia di essere vanificato e diventa frustrante". Ora l'Italia gioca la terza ed ultima gara con la Polonia.

(TGCOM24, 19 agosto 2013)


Comunità di cristiani arabi

dal Jerusalem Post, 13 agosto 2013

Il nuovo partito cristiano arabo di Israele, noto anche come Bnei HaBrit [alleati del Patto], diretto da Bishara Shlayan, ha denunciato il boicottaggio europeo di imprese israeliane in Cisgiordania. Dice Shlayan: "Il boicottaggio è un grosso errore: mette a rischio il sostentamento di molti, soprattutto degli arabi in Cisgiordania. ... L'assenza di imprese israeliane creerà più violenza, perché aumenteranno gli arabi che rimarranno senza la possibilità di mettere cibo sulle loro tavole". Shlayan ha detto al Jerusalem Post che spera di costruire il suo insediamento cristiano in Cisgiordania, un insediamento che sarà aperto a tutti. Secondo il giornale, "l'insediamento avrà fabbriche e cercherà finanziamenti da parte dell'Unione Europea, perché il progetto vuole promuovere la pace."
Shlayan dice che il suo partito - che non è ancora completamente formato - ha ricevuto moltii feedback positivi da tutto il mondo, e che ci sono molte organizzazioni, sia internazionali che israeliane, che vogliono aiutarlo nei suoi sforzi.

(Caspari Center, 18 agosto 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Libano: Rinvenuta un’auto carica di tritolo, pronta per un attentato

A Nameh, un sobborgo di Beirut, la Polizia libanese ha fermato un'auto imbottita con cinque contenitori di tritolo e nitroglicerina ed ha arrestato i quattro occupanti, probabilmente diretti al compimento di un attentato.
Solo pochi giorni fa un'autobomba alla periferia sud della capitale ha colpito il quartiere generale degli Hezbollah, impegnati in Siria a fianco di Bashar al-Assad, ed ha provocato la morte di 27 persone ed il ferimento di altre 200. L'attentato era stato rivendicato da un gruppo siriano che si definisce "La brigata della madre dei credenti di Aisha".

(Notizie Geopolitiche, 18 agosto 2013)


Egitto: vescovo di Giza, bruciate decine di chiese e scuole cristiane

Sono almeno 30 le chiese (copte, cattoliche, ortodosse e protestanti) date alle fiamme in questi giorni in Egitto. E poi sono stati presi di mira anche case, scuole, monasteri e negozi gestiti dai cristiani, da Suez a Minya, da Sohag ad Assiut. Della situazione in Egitto, delle preoccupazioni della popolazione e dei cristiani, parla il vescovo di Giza, monsignor Antonious Aziz Mina che sottolinea come tutto il popolo sia compatto "tranne i Fratelli Musulmani che hanno governato per un anno facendo vedere il peggio di quello che hanno da esprimere". "Le statistiche - continua monsignor Mina a Radio Vaticana - dicono che gli appartenenti al gruppo non sono piu' di 700 mila. Adesso emerge che sono legati ad Al Qaeda, un'organizzazione terroristica, e anche ad Hamas. Non hanno alcun interesse, ne' per il Paese, ne' per gli egiziani, per nessuno. Hanno un unico interesse: quello dei Fratelli Musulmani. In questi ultimi giorni sono state bruciate decine di chiese tra cattoliche, ortodosse e protestanti.
Pensano che, in questo modo, i cristiani entreranno in conflitto con il governo e con l'esercito e pensano dunque di seminare il disordine in tutto il Paese. Invece, i cristiani sono consapevoli che c'e' un prezzo da pagare per isolare queste fazioni che non hanno alcuna forza ed esperienza politica. La forza che hanno e' solamente terroristica".
Monsignor Mina poi conclude: "Non c'e' una guerra civile! Si parla di guerra civile quando ci sono due fazioni ben distinte.
Se queste fazioni manifestassero pacificamente nessuno direbbe nulla! Invece, vediamo bruciare, torturare, uccidere, distruggere? Non c'e' una guerra civile!".

(AGI, 18 agosto 2013)


Egitto: islamisti bruciano chiese e attaccano cristiani ma i media non ne parlano

Gli islamisti della Fratellanza Musulmana da quando hanno iniziato la loro "contro-rivoluzione" in Egitto, quattro giorni fa, hanno bruciato oltre 70 chiese cristiane, incendiato oltre 100 abitazioni di cristiani, 20 scuole cristiane e sono persino arrivati a dissacrare tre suore, portate in piazza come trofeo dopo aver bruciato la scuola francescana dove insegnavano. Solo l'intervento di una donna musulmana a loro difesa ha evitato il peggio.
Questo è l'Egitto di cui i media italiani e internazionali non parlano se non per poche lodevoli eccezioni, un Egitto ostaggio della violenza islamista della Fratellanza Musulmana che paradossalmente viene difesa da una moltitudine di media sinistri che per giustificarla ricorrono a parole come "Diritti Umani" oppure "democrazia" intendendo l'elezione di Mohamed Morsi come un fatto democratico quando sappiamo (e sanno) che non è stato affatto....

(Right Reporters, 18 agosto 2013)


Vaccinazione antipolio in Israele

TEL AVIV - Il Ministero della Sanita' israeliano ha lanciato - dopo averla gia' avviata nel sud - la vaccinazione di massa antipolio in tutto il Paese. La campagna interessera' circa un milione di bambini dai quattro mesi ai 9 anni e mezzo di eta'. Il Ministero ha deciso di partire con la profilassi dopo il ritrovamento di ceppi della malattia nelle acque reflue di alcuni villaggi beduini del Neghev. Dal sud del Paese, l'intervento e' stato poi allargato a tutta Israele.

(ANSA, 18 agosto 2013)


Ceramica di 2700 anni fa scoperta a Gerusalemme

L'antico frammento trovato vicino a Gerusalemme

Un frammento di ceramica di 2700 anni fa con un'antica iscrizione ebraica che dovrebbe contenere il nome di una figura biblica. È quanto scoperto dagli archeologi delle Antichità israeliane al lavoro su uno scavo proprio fuori Gerusalemme sul sito della Città di Davide e che ora è nel villaggio arabo di Silwan.
Il frammento - secondo gli studiosi - fa parte di una grande ciotola di ceramica che risalirebbe ad un epoca tra l'ottavo e il settimo secolo prima dell'era corrente. L'iscrizione non completa dice - trascritta in caratteri latini - "ryhu bn bnh", che potrebbe essere "Zaccaria figlio di Benaiah"
Il frammento, trovato insieme ad altri piccoli manufatti dello stesso periodo, è stato scoperto dagli archeologi Joe Uziel e Nahshon Zanton durante lo scavo dei resti associati alla distruzione del Primo Tempio a Gerusalemme, avvenuta nel 578 corrente evo ad opera del re babilonese Nabucodonosor.
Uziel e Zanton hanno spiegato che l'iscrizione sul frammento di ciotola è presumibile risalga ad un periodo "tra il regno di Ezechia e la distruzione della città sotto re Zedechia". La Cittadella di Davide, oggi situata fuori le mura sud della Città Vecchia, è ritenuta dagli archeologi il luogo dell'antica città di Gerusalemme menzionata nella Bibbia.

(swisscom, 18 agosto 2013)


Antisemitismo in Europa: gli ebrei hanno voglia di emigrare

di Daniel Mosseri

"Non possiamo accettare che fra il 40 e il 50 per cento degli ebrei che abbiamo intervistato in tre Stati membri dell'Unione europea stia pensando di emigrare". Lo ha detto Morten Kjaerum, il direttore dell'Agenzia dell'Ue per i diritti fondamentali (Fra) anticipando i risultati di una indagine sulla percezione dell'antisemitismo condotta attraverso nove Paesi europei dove la presenza ebraica è significativa. Gli intervistati sono un campione rappresentativo di chi si considera ebreo (per religione, educazione, etnicità o parentela) in Belgio, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Lettonia, Romania, Svezia e Regno Unito. Le loro risposte sono poi combinate con le statistiche ufficiali di polizia sugli atti di antisemitismo e di discriminazione razziale registrati in ogni Stato. L'obiettivo dell'indagine voluta dalla Commissione europea è da un lato prendere il polso alle comunità ebraiche non solo contando gli atti di violenza subiti ma cercando di registrare anche sentimenti come la paura, l'ansia e l'insicurezza derivanti dall'antisemitismo. Dall'altro è consentire ai governi di valutare l'efficacia delle proprie politiche contro le discriminazioni. Waltraud Heller, portavoce della Fra, ha illustrato a Shalom i risultati preliminari della ricerca, le cui conclusioni definitive saranno rese note a novembre. "Per la prima volta abbiamo condotto un'analisi dal punto di vista dell'intervistato, chiedendo a ciascuno di raccontare le proprie opinioni e le proprie esperienze. Il risultato è univoco: la maggioranza degli ebrei in questi nove Paesi ritiene che l'antisemitismo sia in crescita, specialmente quello online".
   Ed è vero che la crisi economica non ha fatto che amplificare tutte quelle teorie complottiste che, dapprima relegate in pochi siti apertamente antisemiti o antigiudaici, hanno progressivamente invaso la Rete attribuendo a qualche congiura pluto-masso-giudaica la crisi in cui versa oggi l'Occidente. Un dato che va combinato con quello sulle statistiche ufficiali che non registrano invece una crescita significativa degli atti di antisemitismo nell'insieme dei nove Paesi. Sempre tenendo in mente però, ricorda ancora il direttore della Fra, che "tre quarti degli intervistati che si sono detti vittime di aggressioni antisemite non ha denunciato l'accaduto né alla polizia né ad altre organizzazioni".
   E' quindi da segnalare come un'azione precisa di contrasto all'antisemitismo, la mozione (votata lo scorso 13 giugno) del Parlamento tedesco che, votata a larghissima maggioranza, impegna la Repubblica federale tedesca nella lotta contro l'antisemitismo, a sostenere la vita ebraica e ad approfondire il legame speciale fra Germania e Israele. La mozione è stata votata da tutti i gruppi parlamentari, a eccezione del partito Die Linke (erede dell'ex partito comunista Sed al potere nell'ex Ddr) che ha protestato per le modalità con cui si è arrivati alla risoluzione. Da segnalare che il sostegno alla vita ebraica sembra un gesto dovuto dopo il rischio l'anno scorso della messa al bando della circoncisione rituale. La mozione è un risultato di grande importanza, ha spiegato a Shalom la presidente dell'American Jewish Committee di Berlino, Deidre Berger. Dopo aver lavorato per almeno sei mesi a fianco dei gruppi parlamentari, l'Ajc ha salutato il riconoscimento pubblico dell'impegno a combattere l'antisemitismo e l'antisionismo. L'impegno dell'Ajc in questo senso, ricorda Berger, è scattato dopo l'aggressione antisemita subita dal rabbino Daniel Alter e dalla figlia nell'agosto del 2011 a Berlino. Nel centralissimo e tollerante quartiere di Schöneberg, sede di molti locali gay, un gruppo di stranieri avvicinò il rabbino e gli chiese se era ebreo. Alla risposta affermativa, Alter fu picchiato e sua figlia minacciata di violenza sessuale. "Era dal 2008 che il Bundestag non si occupava di antisemitismo", ricorda Berger nel sottolineare come il risultato arrivi prima delle elezioni legislative di settembre. "L'odio esagerato per Israele è spesso una nuova forma di antisemitismo" ed è un bene che il Bundestag lo abbia riconosciuto, continua.
   E mentre il Parlamento ha chiesto al governo un nuovo impegno anche per diffondere la conoscenza della cultura ebraica in Germania, l'Ajc ha promesso di vigilare affinché la maggioranza che uscirà dalle elezioni dia applicazione alle richieste del Bundestag.

(Shalom, luglio 2013)


Golan: Israele risponde a colpi mortaio

L'esercito israeliano ha colpito per rappresaglia un obiettivo in territorio siriano dopo che da qui erano stati sparati tre colpi di mortaio verso la zona dell'altopiano del Golan governata dallo Stato ebraico. Lo ha riferito un portavoce dell'esercito israeliano, mentre la radio militare ha detto che è stata distrutta una base siriana. Sull'altopiano del Golan la situazione e' tesa da quando in Siria è cominciata la rivolta più di due anni fa ma gli incidenti sono stati finora di scarso rilievo. Dal 2011 decine di siriani feriti dalle violenze nel loro Paese sono stati curati in ospedeli nel nord di Israele.

(Fonte: ANSA, 17 agosto 2013)


Egitto: terrorismo islamico contro democrazia reale. Il ricatto turco all'Europa

In Egitto non si combatte una battaglia tra chi è contrario alla Fratellanza Musulmana e chi è a favore, in Egitto si combatte una guerra tra estremismo islamico terrorista e democrazia reale, quel tipo di democrazia che era alla base della primavera araba prima che i Fratelli Musulmani con l'aiuto di Barack Obama se ne appropriassero e la trasformassero in un buio inverno islamista.
Quello che sta accadendo in Egitto potrebbe essere l'inizio della fine della Fratellanza Musulmana non solo nel Paese dei faraoni ma anche in tutto il resto del Medio Oriente. Per questo ieri la grande macchina organizzativa dei Fratelli Musulmani si è messa in moto organizzando manifestazioni a favore di Mohamed Morsi in tutto il mondo, dalla Giordania al Pakistan e fino all'Indonesia passando per l'Africa....

(Right Reporters, 17 agosto 2013)


In cantina con il rabbino, il vino kosher italiano

"Ci portarono cibo e una bottiglia con un po' di vino per la vigilia dello Sabbath, venne accesa una candela sul pavimento e ci lasciarono nel buio traslucido con quela luce tremolante". Nell'atmosfera onirica della Valle del Giordano, Abraham Yehoshua ("Il poeta continua a tacere", La Giuntina) racconta una cena con vino kosher. A più di duemila chilometri di distanza, nel Sud dell'Italia, quella spiritualità del vino legata ai riti religiosi, trova spazio in Irpinia, a Feudi San Gregorio.
E, ancora più a Nord, a Milano, Mosè Silvera di Supergal, cultore di cibi e bevande "adatte" (questo è il significato della parola kosher) alla religione ebraica, sta diffondendo in tutto il Paese questo metodo di produzione, coinvolgendo sempre più piccole cantine e grandi industrie.
Un fenomeno che ha mosso anche l'Associazione italiana sommelier, organizzatrice qualche mese fa di una degustazione kosher di vini italiani a Roma.
Tra le grandi aziende che hanno creato una linea kosher c'è quella di Antonio Capaldo, figlio di Pellegrino, banchiere ed ex numero uno della Banca di Roma, economista, ora presidente della Fondazione Nuovo Millennio e azionista di riferimento di Feudi San Gregorio, colosso vinicolo del Sud con più di 20 milioni di fatturato e 3 milioni di bottiglie. Alla guida di Feudi c'è Antonio, già in Lazard e poi in McKinsey:
    "Il progetto del vino kosher è iniziato quattro anni fa - racconta Capaldo junior - ed è stata all'inizio una scelta di cuore (mia moglie è di origini ebraiche). Ma si è rivelato molto interessante dal punto di vista culturale e, in fondo, anche enologico. Abbiamo appena ottenuto la certificazione Ou, Othodox Union, la più severa, che ci permette di entrare con più forza nel mercato americano: solo 10 rabbini al mondo possono rilasciare questo certificato".
Il primo kosher di Feudi è un Fiano, si chiama Maryam, le uve vengono portate in cantina per ultime, "anche per rispettare gli importanti interventi di lavaggio richiesti dal rabbino". Il secondo è il Rosh, con uve da vigneti di Taurasi. Sedicimila bottiglie in tutto.
Alle operazioni in cantina sovrintendente il rabbino-enologo. In su assenza non si interviene mai. "Tutto ciò che entra in contatto con il vino (lieviti, solforosa, strati filtranti) deve essere kosher - spiega Capaldo -. Ciò implica e con poco ossigeno che si traduce in un prodotto una maggior staticità e quindi evoluzioni più lente".
    "Come nel Vecchio Testamento - ha scritto Monica Coluccia sulla rivista Bibenda nel resoconto della degustazione dei vini kosher italiani - in ogni piccolo gesto della produzione vinicola c'è una tensione verso l'infinito. Queste antiche regole assecondano la natura e la semplicità, creando una sorta di produzione ecocompatibile ante litteram".
   
Degustazione di vini kosher
Il primo a credere nei nuovi vini kosher, 140 anni fa, è stato Edmond de Rothschild, il barone dello Chateaux Lafite di Bordeaux, che in Israele fondò la cantina Carmel nel 1882, un secolo dopo la spinta decisiva è stata data la Golan Heights Winery, ora esistono una cinquantina di aziende medio-grandi e duecento piccole.
La presenza del rabbino in cantina elimina l'obbligo di pastorizzazione del vino, una tecnica che impoverisce bianchi e rossi e aveva fatto guardare con diffidenza ai vini kosher del passato ("Il non pastorizzato va servito a tavola solo da personale ebreo", puntualizza Capaldo). Sono ammesse sostanze che nel caso dei vini naturali vengono evitate, ma è comunque passato il messaggio che i produttori di kosher siano vini più attenti di altri alla salute dei consumatori.
Batasiolo, Giordano, Falesco sono altre grandi aziende che hanno proposto etichette kosher, assieme alla laziale Gotto d'oro con il Frascati Superiore e il Castelli Romani Rosso 2011. Questi due vini sono comparsi alla degustazione kosher di Roma. C'erano anche il Rosso Poggialto 2011 di Fattoria dei Barbi di Stefano Cinelli Colombini, una delle famiglie storiche del Brunello di Montalcino; il Chianti Classico Terra di Seta 2009 e la Riserva di Le Macie, l'azienda kosher di Daniele Della Seta; il Valpolicella Classico Maso de' Vrei 2011 di Carlo Boscaini (che dal 2016 metterà sul mercatoil primo Amarone della Valpolicella Kosher nel 2016) e la Barbera d'Alba Florenza 2010 di Paolo Manzone. Erano una decina le aziende con vini kosher in Italia pochi anni fa. Ora il numero è in aumento. Sia per conquistare il mercato delle comunità ebraiche italiane (circa 35 mila persone), sia per l'export. Perché in fondo, come spiegò Mordecai Richler nella "Versione di Barney" (Adelphi), se nel ristorante più caro di tutta Gerusalemme si bevono fiumi di champagne, si fanno solo "affari non molto kosher".

(Corriere della Sera, 17 agosto 2013)


Bologna - Salon de Musiques al Battiferro

Prosegue con successo "Klezmer e dintorni", la rassegna che il Battifero ospita il sabato e che stasera vedrà sul palco il Salon de Musiques (ore 21, gratuito) con Marco Ferrari clarinetto, David Sarnelli fisarmonica e Massimo De Stephanis contrabbasso. Il trio si distingue per il percorso espressivo su repertori che uniscono la scrittura alla tradizione orale, tipica del klezmer che essendo musica migrante, proviene da culture ed aree differenti, in particolare le comunità chassidiche dei Balcani oltre a Polonia e Russia, ma che con l'emigrazione degli ebrei negli Stati Uniti ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo del jazz. Fonde melodie e ritmiche diverse, sorta di fusion sonora, utilizzata nella vita quotidiana, dai matrimoni ai funerali, alle occasioni di socializzazione.

(la Repubblica - Bologna, 17 agosto 2013)


Il portavoce della sinagoga denunciato per «odio razziale»

di Alberto Giannoni

   
Davide Romano
MILANO - «Avreste mai immaginato che difendendo i diritti dell'infanzia si potesse finire denunciati?». È la domanda che pone alla città Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo. A lui potrebbe succedere: «Me lo ha promesso via stampa - dice - il portavoce del Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano, Davide Piccardo». «La mia colpa? - aggiunge - Avendo saputo che l'imam Al-Bustanji avrebbe partecipato all'evento di fine Ramadan, mi sono informato su chi fosse. Ho trovato un'intervista in cui racconta, tra le altre cose, di avere incontrato un bambino di meno di 10 anni che voleva farsi martire a Gerusalemme». «Mi aspettavo - confessa - un racconto dell'imam in cui spiegava come ha fatto a far recedere il bambino da un proposito così folle. Qualunque adulto ragionevole l'avrebbe fermato. Invece no: di fronte a un bambino con propositi suicidi, l'imam inizia a esaltarlo».
La Comunità ebraica ha preso una posizione molto netta sulla vicenda (arrivando a sospendere i rapporti con il Caim) e lo stesso hanno fatto molti consiglieri comunali - e non solo. Romano, da parte sua, sul caso ha intrapreso un'iniziativa molto serrata. Ha condannato la posizione dell'imam e ha chiesto a Piccardo di fare lo stesso: «Più che un mio diritto - dice - mi era sembrato un preciso dovere morale. E sottolineo che non ho proferito parola sulla questione israelo-palestinese, che Piccardo continua a tirare in ballo». «La mia presa di posizione - spiega - era solo e unicamente legata al comportamento di un leader religioso di fronte a un bimbo con propositi di quel genere. I diritti dell'infanzia vengono prima di tutto». Ma il Caim ha annunciato denunce per diffamazione e istigazione all'odio razziale e religioso. «Mai ho messo piede in un aula di tribunale - risponde l'esponente della comunità ebraica - e mai avrei pensato di doverlo fare per un accusa così assurda. Mi resta la consapevolezza di essere nel giusto, cosa che mi farà affrontare il processo a testa alta». Si aggiunge però «una punta di amarezza a livello personale». «In tutta questa vicenda - dice - Pisapia non ha preso posizione. Dal sindaco di Milano, un avvocato e un politico noto per il suo garantismo e la difesa dei diritti dei più deboli, mi sarei aspettato qualcosa di più». «Quando mi capita di andare a parlare nelle scuole - riflette - parlo spesso di come la qualità delle istituzioni dipenda anche dall'impegno dei cittadini a partecipare alla vita pubblica. Di come sia importante non delegare tutto alla politica. E' quello che ho fatto. Mai mi sarei aspettato di essere lasciato solo. Mai avrei pensato che il mio sindaco non prendesse posizione tra chi difende i diritti dell'infanzia e chi li viola. Mai avrei pensato che proprio lui si voltasse dall'altra parte di fronte a una denuncia così infamante. Ora però, inizio a farlo».

(il Giornale, 17 agosto 2013)


Cinquanta chili d'oro

di Vittorio Pavoncello

Sucessivamente all'8 settembre, data dell'armistizio del Maresciallo Badoglio con le truppe anglo americane, la forza di occupazione nazista, lasciò in parte tranquilla la popolazione ebraica in Italia.
L'allora Presidente della Comunità Israelitica di Roma,Ugo Foà, si era convinto che, forse per la vicinanza con il Vaticano, i nazisti non avrebbero deportato gli ebrei romani, verso i campi di sterminio, come stavano facendo in tutte le altre nazioni conquistate.
La mattina del 26 settembre 1943, invece, lo stesso Foà, insieme al Presidente delle Comunità Israelitiche italiane, Dante Almansi, furono convocati a Villa Wolkonsky, sede del comando nazista, per comunicazioni dal Comandante della Polizia tedesca a Roma, Herbert Kappler.
Saltando i convenevoli, Kappler, brutalmente, disse ai due esponenti della Comunità ebraica che i peggiori nemici contro i quali il popolo tedesco stava combattendo erano gli ebrei, che non avevano bisogno delle loro vite, ne' di quelle dei loro figli. Avevano bisogno di oro: 50 chili d'oro altrimenti 200 ebrei romani, sarebbero stati deportati in Germania.
Diede loro 36 ore per trovare l'oro, che poteva essere sostituito da sterline o dollari, ma non da lire, perché avrebbero potuto stamparne quante ne volevano. Foà ed Almansi provarono a far abbassare le pretese naziste, inutilmente.
Convocarono una riunione con gli iscritti più influenti e, seppur convinti che mai avrebbero raggiunto il peso richiesto, cominciarono a raccogliere oro. La Comunità allora non era certamente ricca, era stata colpita da una guerra devastante e dalle Leggi razziali. Da qui il pessimismo.
Gli oggetti raccolti avevano, certamente, un valore affettivo superiore a quello commerciale, trattandosi, nella maggioranza, di cari ricordi di famiglia. La stessa Santa Sede, venuta a conoscenza del ricatto nazista, fece sapere, ufficiosamente, che se la Comunità non fosse riuscita a raggiungere, entro il termine stabilito, l'oro richiesto, avrebbe provveduto, mettendo a disposizione la differenza che sarebbe stata poi, rimborsata, quando la Comunità ebraica fosse stata in grado di farlo.
Nonostante il pessimismo, la Comunità riuscì a raccogliere oltre i 50 chili d'oro. Per evitare contestazioni, da parte della polizia tedesca, alle operazioni di peso, in Via Tasso, i dirigenti comunitari portarono 300 grammi in più.
Non fu Kappler a presenziare alle operazioni di peso, bensì il Capitano Schutz che, in sostituzione del comandante, con fare arrogante e sprezzante, diede inizio alla pesatura.
Una sola bilancia per massimo 5 chili. Dieci pesate, cinquanta chili. Ma non per il capitano Schutz. Per lui le pesate erano nove, per 45 chili d'oro e non avrebbe consentito la ripetizione dell'operazione, decretando il fallimento della raccolta.
Soltanto la grande insistenza dei due presidenti, insieme alla presenza di alcuni ufficiali italiani, tra cui il Commissario Cappa, chiamati dalla comunità ebraica a testimoniare, convinsero Schutz ad effettuare una nuova pesatura, che confermò il traguardo dei 50 chili d'oro, nei tempi stabiliti.
Chiesero, i rappresentanti ebrei, il rilascio di una ricevuta per l'avvenuta consegna, ma l'ufficiale nazista, sdegnosamente, si rifiutò. L'oro prese immediatamente la via di Berlino, verso il capo dell'ufficio centrale per la sicurezza, Generale Kaltenbrunner.
Come tutti sanno, la raccolta dell'oro fu soltanto un rinvio della deportazione degli ebrei romani verso la Germania e Polonia, verso i Campi di sterminio. Il 14 ottobre successivo, Kappler fece saccheggiare le due biblioteche della Comunità ebraica, con volumi dall'altissimo valore culturale e storico, sequestrarono gli elenchi completi degli iscritti alla comunità, nomi, indirizzi.
Tutto il necessario per catturare gli ebrei in città, avvalendosi della collaborazione dei fascisti, fedeli all'alleato nazista. All'alba di sabato 16 ottobre 1943, centinaia di soldati nazisti, circondarono il Ghetto di Roma, rastrellarono e deportarono 1.259 ebrei romani.
Si raccomandò, Kappler, in un telegramma inviato a Hoess, comandante del campo di sterminio di Auschwitz, dove gli annunciava l'arrivo, da Roma, di oltre 1.000 ebrei di fargli avere un trattamento "speciale", dove per speciale si intendeva l'eliminazione fisica.
Alla raccolta dell'oro parteciparono anche molti non ebrei, gente comune soprattutto, uno slancio di generosità, nei confronti di quei fratelli, concittadini, oggetto di tale vessazione da parte dei nazisti. Oltre alla gente comune, solidale con i fratelli ebrei romani, un personaggio, molto famoso a Roma: Romolo Balzani.
Romolo Balzani era il più famoso cantante romano dell'epoca. Di umili origini nacque presso Campo de Fiori, padre cavallaro e poi vetturino, mamma trasteverina, dopo qualche tempo si trasferirono in Trastevere.
Una passione innata per il canto e per il fiume Tevere. Canzoni immortali come Barcarolo romano o L'eco der core, Pè lungotevere. Quando partì la raccolta e venutone a conoscenza, volle regalare ai suoi amici ebrei, l'unica cosa di valore che il padre gli avesse lasciato e che custodiva gelosamente: un anello d'oro.
Famosa la scena, impressa nella memoria di decine di ebrei romani presenti, dove Romolo Balzani, uscendo dagli uffici della comunità ebraica di Roma, intona la canzone, poi diventata un inno: "chi crede che c'ha l'oro sia un signore, l'oro per me non conta, conta er core".
Sarebbe giusto e bello ricordare questo episodio, a future memorie e generazioni, per ricordare la generosità dei romani, la solidarietà verso gli ebrei da parte di amici veri.
Per questo motivo, propongo al Sindaco di Roma, Ignazio Marino e al Presidente della Cer, Riccardo Pacifici, di apporre una targa in memoria e in onore di Romolo Balzani, negli uffici della Cer. Perché il suo gesto non vada dimenticato, per non dimenticare, mai.
Una bella storia, romana, di solidarietà.

(L'Huffington Post, 17 agosto 2013)


Le relazioni tra l'Egitto e l'America in naufragio

di Enzo Nahum

Con la sua incompetenza e mancanza di una visione strategica in politica estera, Obama e' riuscito a perdere l'Egitto, l'Arabia Saudita e gli Stati del Golfo.
Il principe Bandar, Direttore del Dipartimento di Intelligence dell' Arabia Saudita, grande amico dei presidenti americani Bush padre e figlio e di Clinton, ed Ambasciatore Saudita presso gli USA per molti anni, e' stato mandato dal re Abdullah a coordinare con il generale El-Sisi la strategia politica egiziana includendovi, per sostegno, anche il dialogo con un molto interessato Putin.
Secondo l'agenzia Debkafile, generalmente molto bene informata dati i suoi contatti con ambienti militari ed il Mossad, il 31 Luglio scorso Bandar ha fatto una visita a Mosca ed e' stato immediatamente ricevuto dal presidente Vladimir Putin con il quale ha avuto una conversazione che e' durata quattro ore. Probabilmente geloso di questo fatto e desideroso di sapere quello che si erano detti lui e Putin, Obama ha fatto subito inviare a Bandar un invito a venire a Washington appena gli fosse possibile, per incontrarsi con lui. Bandar non ha ancora mandato nessuna risposta all'invito.
Barack Obama ha puntato tutto sulla Fratellanza Mussulmana e i suoi alleati Salafisti, tutti acerrimi nemici dell' Occidente ed in particolare dell'America e di Israele, ed interlocutori ben disposti verso l'Iran. Malgrado questi presupposti, ha deciso di costruire la sua folle politica estera su due capisaldi del jihadismo islamico: l'Egitto di Mohammed Morsi dominato dalla Fratellanza Mussulmana e sulla Turchia dell'islamista e grande protettore di Hamas Recep Erdogan il cui partito rappresenta la versione turca della Fratellanza. Questa strategia fu rivelata dallo stesso Obama ad un esterrefatto Netanyahu durante la sua visita ad Israele la scorsa primavera e questo e' il motivo per il quale Obama forzo' Bibi a telefonare ad Erdogan per scusarsi per le morti dei 9 turchi (in realta' uccisi dai militari Israeliani per legittima difesa) sulla M/V Mavi Marmara mentre questa tentava di forzare il blocco Israeliano di Gaza nel Maggio 2010.
Questa "fantastica" strategia di Obama arrivo' naturalmente alle orecchie del re saudita Abdullah, degli sceicchi degli Stati del Golfo e del capo della rivolta anti-Morsi generale El-Sisi, tutti acerrimi nemici della Fratellanza Mussulmana.
Cosi', mentre Obama cancellava immediatamente la spedizione dei 14 o 15 caccia F-16 promessi al suo beniamino Mohammed Morsi e minacciava El-Sisi di cancellare il sussidio annuale americano, l'Arabia Saudita, il Kwait e gli Emirati del Golfo spedivano immediatamente 8 Miliardi di dollari al governo egiziano e Putin si offriva di rimpiazzare i caccia-bombardieri F-16 negati da Obama con simili aerei russi.
Così ora il peggior presidente della storia americana puo' includere la sua strategia medio-orientale sulla lista dei suo fiaschi. In realta', pero', questa e' un vero disastro per l'America, perche' a causa della stupidita' e mancanza di visione del loro presidente, gli Americani sono costretti ad assistere al capovolgimento ed alla distruzione di tutta la strategia medio-orientale americana costruita dal tempo della crisi del Canale di Suez del 1956 ed alla facilitazione e all'apertura della porta araba al ritorno dell'Orso Russo che dal tempo di Sadat era stato sbattuto fuori dallo scacchiere importantissimo del Medio Oriente.
Tutti questi sviluppi sono di grande importanza ed interesse per Israele perche' in questo modo ha potuto stabilire un coordinamento tattico con l'Egitto di El-Sisi riguardo al Sinai infestato dai terroristi di Al-Qaida e dei Salafisti e da elementi della Fratellanza Mussulmana. Tutti questi terroristi hanno lanciato attacchi micidiali contro i militari egiziani di stanza nel Sinai e diversi missili Grad contro la citta' di Eilat ma fortunatamente senza colpire mai persone o case. Ad ogni modo molto del Sud Israele e' minacciato da razzi e missili non piu' solo da Gaza ma ora anche dal Sinai. E' per questo che Israele, in deroga alle clausole del Trattato di Pace con l'Egitto del 1979 che permette solo un limitato contingente militare armato di armi leggere, ha deciso di permettere all'Egitto di El-Sisi, Ministro della Difesa, di aumentare le sue truppe e i suoi armamenti oltre i limiti stabiliti dal Trattato di Pace.
Subito i militari egiziani sono entrati in guerra con i jihadisti e ne hanno fatti fuori circa 100. Ora gli Egiziani, grazie ad Israele, possono sorvolare il territorio del Sinai con elicotteri da bombardamento.
Con l'Arabia Saudita Israele ha una tacita alleanza vis-a-vis la minaccia nucleare dell'Iran che ora, grazie ad Obama risulta rafforzata. Secondo la mia opinione tutto quello che sta succedendo ultimamente e' per Israele una situazione "win-win" (vittoria sotto tutti i punti).

(Informazione Corretta, 17 agosto 2013)


Beirut: gruppo sunnita rivendica l'attentato. Hezbollah nel mirino


Un gruppo sunnita ha rivendicato con un video in internet l'attentato di giovedì sera a Beirut, dove un'autobomba ha fatto morti e feriti.
C'è discordanza sul numero di vittime, che sarebbero tra 14 e 20, e sul numero di feriti, tra i 120 e i 200. Il governo ha dichiarato per oggi una giornata di lutto nazionale.
La strage è avvenuta nel quartiere generale di Hezbollah, a sud della capitale libanese, per colpire i militanti sciiti, che sono sostenuti dall'Iran e sono impegnati in Siria al fianco del presidente Bashar al-Assad. Il gruppo sunnita, che nel video ha rivendicato l'attentato, si è presentato con il nome di "Brigate di Aisha" e ha mandato un messaggio al popolo libanese invitandolo a tenersi lontano dalle aree di Hezbollah, definite "colonie iraniane" in Libano, perché ci saranno altri attentati.
Il 9 luglio scorso un'altra autobomba era esplosa a Beirut facendo una cinquantina di morti. Anche in quel caso era stata colpita un'area controllata da Hezbollah e l'attentato era stato rivendicato da un gruppo che si diceva legato ai ribelli siriani.

(euronews, 16 agosto 2013)


Peres: Israele non è coinvolto nell’attentato in Libano

Il Presidente sorpreso dalle dichiarazioni di Suleiman. Respinge le accuse

GERUSALEMME, 16 ago - Il presidente israeliano Shimon Peres si e' detto "sorpreso" dalle accuse del suo omologo libanese Michel Suleiman secondo cui Israele sarebbe dietro il sanguinoso attentato avvenuto ieri a Beirut in una roccaforte degli Hezbollah.
"I massacri in Medio Oriente devono finire. Israele - ha detto Peres incontrando il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon in visita nella regione - non e' coinvolto".
Anche l'ex capo del Mossad Danny Yatom ha rigettato i sospetti: "Siamo abituati a questo tipo di accuse - ha spiegato alla Radio militare -, vanno ignorate".

(ANSAmed, 16 agosto 2013)


Rav Joseph Levi: "In cammino verso la libertà"

Discorso tenuto dal rabbino capo di Firenze nella manifestazione in occasione del 69o anniversario della Liberazione della città.

Caro Sindaco Renzi, distinte autorità, cari cittadini di Firenze, cari amici,
Come tutti gli anni siamo nuovamente qui per celebrare insieme la fine della guerra, la vittoria sul male, la fine dell'agonia, la dichiarazione di Firenze come città libera. Libera dall'oppressione militare politica e culturale, libera di proclamare i principi di umanità, eguaglianza, giustizia e solidarietà come base della vita sociale e politica di una città, una "polis". Libera di tracciare il proprio profilo politico culturale, il suo regime democratico presente e futuro …
Voglio innanzitutto ringraziare il Sindaco, il Consiglio ed il Comune di Firenze per avermi invitato a prendere la parola in questa importante manifestazione per la città, ma in realtà, essendo Firenze stessa decorata di Medaglia d'oro, per l'Italia intera. Aver invitato ad intervenire non solo un esponente della comunità ebraica di Firenze ma il Rabbino stesso è espressione di profonda fiducia sia nei confronti dei cittadini ebrei di questa città alla quale sono sempre stati devoti che nei confronti della loro millenaria cultura ebraica. È un segno di fiducia e riconoscenza verso la nostra collettività per il quale voglio subito ringraziare, non solo a nome mio, ma innanzitutto a nome del nostro Presidente, del nostro Consiglio e della nostra collettività intera, che si commuove per questo gesto di affetto verso cittadini presenti e attivi sul territorio fiorentino fin dai tempi dei Medici, di Ficino e di Pico della Mirandola. Voglio però leggere questo invito anche come un segno di riconoscimento del ruolo che la società ed il mondo ebraico hanno avuto, ed hanno tuttora nella costruzione della vita sociale politica e culturale dell'Italia moderna, dal Risorgimento ad oggi.
I cittadini ebrei di Firenze e del resto d'Italia hanno preso attivamente parte alla costruzione dell'Italia moderna. La loro partecipazione convinta e fattiva, i loro contributi scientifici, letterari e morali e la loro identificazione con il Risorgimento ed i suoi valori sono noti. Lo ricordo qui, oggi, per poter capire ancora meglio la sofferenza dei cittadini italiani di religione ebraica a causa delle leggi razziali, promulgate dal regime fascista e firmate a Pisa dallo stesso Re di Casa Savoia, il cui padre e il cui nonno invece, durante le visite ufficiali a Firenze, visitarono la bella sinagoga della comunità ebraica di Firenze, simbolo e manifestazione degli stessi valori civili promulgati da Casa Savoia e dal Risorgimento. Ma a Pisa, e mi scuserete se faccio il nome di Pisa a Firenze, fu ospite anche un'altra figura nazionale del Risorgimento italiano, Giuseppe Mazzini, ospite fino alla morte della famiglia Rosselli, presso i nonni dei fratelli Carlo e Nello Rosselli.
I cerchi dei significati hanno una loro logica ed un loro senso.
Ma la patria, i Savoia inclusi, non ha saputo riconoscere quei figli che tanto hanno voluto e saputo contribuire alla sua nascita e alla sua costruzione. Questa è, ancora oggi, la vergogna e la ferita che fa soffrire i cittadini italiani di religione ebraica. Questa fu l'enorme sofferenza dei cittadini ebrei negli Anni Trenta, ancor prima delle persecuzioni fisiche e della deportazione del regime nazifascista. Ed è questo spirito alto della cultura umana, della giustizia, del rispetto dell'uomo e dei suoi diritti politici e civili, della sua dignità, dei valori alti della nascente cultura umanistica laica e moderna dell'Italia moderna d'inizio Novecento, messi a rischio dopo il dramma politico ed economico della prima guerra mondiale dai nascenti progetti fascisti, questo spirito spinse i fratelli Rosselli ad essere attivi in nome dei valori del Risorgimento italiano, a mettersi al servizio della nazione, della società, dei diritti dell'uomo, fino ad essere immolati dal regime fascista sull'altare dei valori autoritari e totalitari, barbari, anti-umani e anti-italiani di un regime fondato sul culto del potere, della forza e della personalità. I Rosselli furono fra i primi ebrei, ma non gli unici, a sacrificare la vita per difendere i valori risorgimentali dell'Italia moderna.
Notevole ed importante fu il contributo di cittadini fiorentini ebrei alla Resistenza e al Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Una delle particolarità degli eventi della guerra e della deportazione a Firenze, ci ha insegnato Collotti con i suoi collaboratori Supino e Bayardi, fu proprio la stretta collaborazione ed il contributo a ogni livello dei cittadini ebrei alla lotta dei partigiani e allo sforzo del Comitato di Liberazione, impegnato nei drammatici mesi che vanno dal novembre del '43 all'agosto del '44 a difendere la popolazione e ad abbattere lo spietato nemico.
Permettetemi di ricordare i partigiani elencati sulla lapide commemorativa nel giardino della nostra sinagoga:
Il partigiano Eugenio Calò, nato a Pisa nel 1906, Medaglia d'oro al valor militare, vice-comandante della 23a Brigata Garibaldi sui monti del Casentino, e poi comandante nelle montagne vicino ad Arezzo. Egli, pur dimostrando umanità nei confronti dei prigionieri tedeschi catturati dai partigiani e salvandoli dalla morte, fu poi ucciso dai soldati dell'esercito tedesco dopo la sua cattura il 14 luglio del '44.
La moglie Carolina Lombroso, incinta del quarto figlio, rifiutò di nascondersi pensando di essere risparmiata per il suo stato; ma fu incarcerata con i tre figli alle Murate e, deportata nel maggio del '44, partorì nel treno per Auschwitz.
Alessandro Sinigaglia, Medaglia d'argento al valor militare. Nome di battaglia "Vittorio", nacque a Fiesole il 2.1.1902 e morì a Firenze il 13.2.1944.
Soldato meccanico della marina durante la prima guerra mondiale, di ritorno dal servizio militare aderì nel 1924 al Partito Comunista clandestino, e successivamente partecipò alla guerra di Spagna. Arrestato dopo la sconfitta delle forze repubblicane, fu consegnato alle autorità italiane che lo confinarono a Ventotene. Liberato dopo la caduta di Mussolini, tornò a Firenze e organizzò e guidò una delle prime formazioni Gap. Pochi mesi dopo cadde in una imboscata dei repubblichini della banda Carità e venne ucciso in via Pandolfini.
Dante Valobra, nato a Firenze nel 1925, caduto a Castel S. Niccolò, Arezzo, il 29.6.44. Stella garibaldina alla memoria, aderì al Partito d'Azione e ai primi gruppi della Resistenza. Catturato dai fascisti, fu miracolosamente liberato da Villa Triste con l'aiuto del Cardinale della Costa. Entrò nella brigata partigiana Lanciotto. Cadde a Cettica durante un pesante rastrellamento. Raccolse informazioni sugli spostamenti dei treni tedeschi e le trasmise alle forze della Resistenza.
Giuliano Treves, nato a Firenze nel 1916, ucciso a Firenze il 7 agosto 1944. Sfuggito alla cattura degli ebrei e rifugiatosi nel convento del Carmine, diventò ufficiale di collegamento e traduttore con le formazioni partigiane. Fu colpito da un ordigno in Piazza S. Spirito il 7 agosto, mentre si trovava in piazza con Barducci e altri partigiani della divisione Garibaldi.
Gianfranco Sarfatti, nato a Firenze nel 1922, caduto in Valle d'Aosta il 21 febbraio 1945, Medaglia d'argento al valor militare, creatore del fronte della gioventù fiorentina. Fuggito in Svizzera nella primavera del '44, tornò in Italia per combattere e inviato tra i partigiani della brigata Garibaldi Emilio Lexert della Valle d'Aosta, divenne commissario politico della sua brigata. Cadde durante un rastrellamento.
E poi ancora Luciano Tedeschi, e altri ancora che non ho nominato.
Permettetemi di fare anche il nome, fra tanti altri, dell'ancora vivente ultracentenario Ugo Jona, presidente emerito dell'Anfim.
Se i movimenti antifascisti e la Resistenza hanno visto l'adesione ed il contributo di esponenti ebraici fin dalla fine della prima guerra mondiale sino all'armistizio e alla fine della seconda guerra mondiale, la comunità ebraica fiorentina ed il mondo ebraico tutto devono alla Resistenza ed ai partigiani la conservazione e la salvezza della nostra sinagoga monumentale di Firenze che, minata assieme ai ponti ed altri edifici dai tedeschi nel momento della ritirata, fu salvata dai partigiani che disinnescarono gli esplosivi, risparmiando il bellissimo edificio moresco per le future generazioni.
A Firenze fu attivo anche Eugenio Artom. Croce di guerra e medaglia di bronzo al valore della prima guerra mondiale e croce di guerra per la partecipazione alla resistenza nella seconda guerra mondiael.Ebreo torinese sposo la giuliana Treves e venne a Firenze come delegato aggiunto dell'assicurazione la Fondiaria. promotore del comando militare posto alle dipendenze del comitato toscano di liberazione nazionale. Esponente liberale anti fascista sorrveglato dal regime collaborò con il comitato nazionale di liberazione nazionale e curò gli aiuti alla popolazione ebraica.
E per quanto riguarda il rapporto fra mondo ebraico e Resistenza nel resto d'Italia, a titolo d'esempio vorrei ricordare il nome di Emanuele Artom, torinese, fratello del Rabbino capo di Firenze prima della guerra, Elia Artom. Allievo di Augusto Monti al liceo Massimo d'Azeglio di Torino, aderì ufficialmente nel 1943 al Partito d'Azione. Commissario politico delle formazioni di Giustizia e Libertà, incoraggiò i partigiani del Piemonte a una lotta non solo di liberazione, ma anche di rinnovamento democratico. Catturato il 25 marzo '44, torturato e trasferito in carcere, morì a seguito delle torture il 7 aprile 1944. Secondo il giudizio del filosofo torinese Norberto Bobbio, il suo diario è uno dei migliori testi sia della memorialistica partigiana che della narrazione della durezza delle persecuzioni antiebraiche.
I valori del Risorgimento e della Resistenza ci uniscono ancora oggi e ci danno il senso di questa festa di commemorazione nel tentativo di costruire il futuro ed analizzare i problemi del presente alla luce degli ideali del passato e la profonda consapevolezza dei problemi che possono emergere e su come affrontarli. Risorgimento e totalitarismo sono le due facce del nostro passato che ci devono aiutare a costruire il nostro futuro democratico ed umanistico, a Firenze e in Europa. Un futuro libero da minacce e da condizionamenti di vario tipo. Una libertà che richiede consapevolezza, coraggio e vigilanza, accompagnati da un grande spirito d'amore per l'umanità intera, per l'uomo e per tutto quello che sa creare e produrre.
L'11 agosto significa per la città di Firenze la fine dell'agonia e la riconquista della libertà civile e politica, la fine degli eccidi e della morte insensata inflitta agli innocenti passanti dai franchi tiratori, la fine della deportazione, che per gli ebrei aveva un significato ancor più forte.
Certo è però che la stretta collaborazione fra fascisti e nazisti a Firenze ha assunto livelli ancora più istituzionali rispetto al resto dell'Italia. Infatti una seconda caratteristica del caso fiorentino, secondo gli autori soprannominati, furono le deportazioni ed i rastrellamenti degli ebrei di Firenze e Prato, a partire dall'ottobre del '43, per mano della stessa polizia italiana grazie all'istituzione di un Ufficio per gli affari ebraici, unico in Italia, ordinato dal prefetto della città. A capo dell'ufficio, ubicato al 26 di via Cavour, nella casa confiscata a Bettino Errera, non lontano dagli uffici della Prefettura di Palazzo Medici Riccardi, fu nominato dal prefetto un dichiarato antisemita, Giovanni Francesco Martelloni, il quale non solo seguì personalmente i rastrellamenti di casa in casa, ma ordinò anche la requisizione dei beni degli ebrei (mobili, biancheria, preziosi e opere d'arte), per poi appropriarsene e farne commercio anche dopo la guerra. Parte delle cose rubate furono vendute a buon prezzo nei mercati, e non mancarono i clienti. Martelloni orchestrò una forte campagna antisemita sui giornali, senza ovviamente mai dare la notizia sulle deportazioni. Scappò da Firenze assieme agli altri sgherri ai primi di luglio portando con sé gli arredi della sinagoga di Firenze, poi miracolosamente ritrovati. Ci fu un tentativo di processarlo dopo la guerra, ma fu assolto, pensate!, perché obbedì agli ordini. E continuò a fare il critico d'arte e a fare commercio, indisturbato, delle opere d'arte rubate. Giudicò personalmente gli ebrei che riusciva a riconoscere dalla lista dei nomi e delle foto che portava con sé, come per esempio Gastone Saadun.
Questi ricordi del passato e della malvagità umana non ci devono scoraggiare o deprimere, ma anzi rinsaldare ancora di più nella nostra determinazione di creare e vigilare su una società che aspira alla costruzione di valori diversi: valori di amicizia, fratellanza, solidarietà e calore umano che non permettano ai malvagi e ai criminali di risorgere. La libertà e la democrazia hanno l'obbligo di difendersi, ci insegnano le vicende della seconda guerra mondiale, e i guardiani della libertà e della democrazia dobbiamo essere noi, semplici ma consapevoli cittadini.
È utile ed importante ricordare che la guerra e la repressione sotto i nazisti ed i fascisti toccava non solo gli ebrei, in percentuale un gruppo esiguo della popolazione, ma toccò invece tutta la popolazione. Accanto ai deportati ebrei tirati fuori dalle loro abitazioni e dai nascondigli grazie alle liste preparate dai dipendenti dell'Ufficio per gli affari ebraici del regime fascista, i crimini dei nazifascisti toccavano in quei mesi l'intera popolazione fiorentina.
Ecco una breve lista di eventi accaduti fra il marzo e l'agosto del '44:
Il 19 marzo centinaia di lavoratori vengono concentrati nel convento in piazza S. Maria Novella e deportati ai campi di sterminio in vagoni piombati .
Il 22 marzo un tribunale speciale decide di fucilare cinque giovani rastrellati a Vicchio, quale esempio per le reclute, costrette ad assistere alla fucilazione. Così Antonio Raddi, Adriano Santoni, Guido Targetti, Ottorino Quiti e Leonardo Corona vengono fucilati alla presenza della autorità fasciste nello stadio di Firenze.
Vanno ricordati assieme ad essi gli ebrei Ada Bemporad, Elda Galetti Servi e Valentina Servi Galetti, Alberto Guetta e Pierluigi Guetta, e Piero Viterbo, fucilati dagli stessi fascisti solo perché ebrei.
Il 7 giugno i tedeschi arrestarono i rappresentanti della commissione Radio Cora del Partito d'Azione.
Il servizio di Radio Cora fu guidato dall'Avv. Enrico Guido Bocci, nome di battaglia "Placido", Firenze 1896-1944, partigiano antifascista, Medaglia d'oro al valor militare per l'impegno nella Resistenza, Arruolato volontario nella prima guerra mondiale, frequenta a Firenze dopo la guerra il primo nucleo culturale antifascista in contrasto con lo squadrismo fascista dilagante. Tra i fondatori dell'Italia libera assieme a Carlo e Nello Rosselli, proprio nel suo studio a Firenze si tenne la prima riunione del partito. Procura documenti al movimento clandestino ed ai perseguitati delle leggi razziali e partecipa alla fondazione del quotidiano clandestino "Non Mollare".
Bocci organizza il servizio Radio Cora, che fornisce informazioni sulla linea tedesca di difesa sull'Appennino. Il 7 giugno, in piazza d'Azeglio 12, Luigi Morandi, Gilda la Rocca, Carlo Campolmi, Guido Focacci, Gianfranco Gilardini, Italo Piccagli e Enrico Bocci vengono catturati e portati in arresto a villa Triste; torturati duramente non rivelano i segreti e le informazione di cui disponevano. ] Dalla parta inglese furano aiutati dal giovane ragazzo esperto di trasmissioni radio Renato Levi.
Il 17 luglio un camion carico i fascisti arriva in piazza Torquato Tasso. I fascisti, senza nessuno scrupolo, aprono il fuoco, si contano cinque morti, un bambino di 4 anni e 4 adulti, inermi cittadini, e tanti feriti fra la popolazione.
L'avanzata degli Alleati in quei mesi drammatici non riuscì a fermare la deportazione nei campi di civili inermi. I fucili dei franchi tiratori non distinguevano fra i cittadini e la repressione seguiva la sua barbara logica senza distinguere fra provenienze e religione.
Ecco perché il ricordo degli eventi che portarono alla liberazione ed alla dichiarazione di Firenze Città libera con le sue istituzioni ed il suo sindaco, preparata da tremila e più cittadini, senza distinzione di etnia, sesso ed età è importante ancora oggi. Lo spirito libero di questa parte minoritaria ma consistente della cittadinanza ha portato libertà e dignità a tutti.
Noi ebrei della comunità ebraica di Firenze siamo fieri di aver contribuito e di aver preso parte alla lotta per una Firenze libera al servizio di tutti i suoi cittadini, giovani e anziani, senza distinzione di etnia, religione o sesso.
La memoria degli eventi politici che portarono nel '44 alla repressione totale, alle uccisioni e alla deportazione sistematica di vari settori della popolazione come logica di un sistema repressivo, non si fermava ovviamente alla popolazione ebraica, la prima ad essere "eletta" per la deportazione, ma toccava, com'è nella logica della repressione, ampi settori. Ricordiamoci che la politica disumana della deportazione ha prodotto in Toscana circa 2000 vittime, per metà deportati politici e per metà ebrei, dei quali solo pochissimi hanno fatto ritorno. Questa memoria ci deve far riflettere quando oggi vogliamo con certa leggerezza considerare di cambiare alcuni principi della nostra costituzione, che rappresenta nei suoi contenuti e nei suoi equilibri tutto ciò che le forze politiche di allora hanno imparato dalla lotta e hanno voluto formulare per iscritto come principi base inviolabili d'una Italia libera e democratica.
[Certo l'agonia delle famiglie ebraiche era forse più grande. Per alcune famiglie la liberazione dell'11 agosto è arrivata troppo tardi. Molti non ce la facevano più a sopportare l'umiliazione e l'angoscia di dover sempre fuggire e nascondersi e, proprio alla vigilia della liberazione, tanti sono morti. ]
Proprio questo anno, a novembre, commemoreremo i 70 anni della deportazione della popolazione ebraica da Firenze: 350 anime di ebrei fiorentini e altri 300 stranieri, e ancora 100 senza nome che a Firenze speravano di trovare rifugio e aiuto. Anche la loro storia è storia della nostra città, e mi dispiace di non poter nominarli uno per uno.
Poi, nel marzo 2014, commemoreremo i 70anni della deportazione di centinaia di cittadini inermi chiamati "politici", periti per la stessa logica autoritaria di annientamento di coloro che temono la libertà di pensiero e seguono la logica dell'intolleranza e del terrorismo. Il ricordo della guerra e della dura vittoria, avvenuta qui da noi l'11 agosto, ci deve indurre a promuovere di continuo la cultura della tolleranza e dell'interesse per le idee e le vita altrui, la curiosità e l'amore per altre e diverse forme di cultura umana apprezzando la varietà dei fenomeni della vita e della cultura umana, invece di volerla chiudere in una forma autoritaria e totalitaria, rispondendo all'odio con l'amore profondo per l'uomo e le sue culture.
I nomi dei deportati da Firenze e dalla Toscana, oltre ad essere nominati sulla lapide nel nostro giardino della sinagoga, sono riportati sulla lapide che la Provincia ha voluto giustamente apporre in via Cavour. Una lapide che ricorda e riporta i nomi di tutti i deportati della guerra senza distinzione. Operai, prigionieri politici, ebrei e gente comune, arrestati causalmente dal barbaro ed abietto nemico.
La festa di liberazione di oggi ci deve servire quindi anche come ammonimento perenne. La democrazia e la libertà vanno vigilate senza sosta. È dovere nostro e delle istituzioni di non permettere neanche ai pur minimi fenomeni di razzismo, di violenza contro gli stranieri o contro le donne, di essere in qualche modo legittimizzati. Siamo noi cittadini, con l'aiuto degli organi che ci rappresentano, a dover difendere il diritto di ogni essere umano, straniero o italiano, donna o uomo, giovane o vecchio, a una vita piena di rispetto e dignità, tutelata dalla collettività intera, per essere certi che la vergogna della deportazione non si ripeterà mai più.
Permettetemi a questo punto di dare lettura di brani dal manifesto del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, pubblicato l'11 agosto, che spiega meglio di tutto, a mio avviso, lo spirito fiorentino che si è manifestato in quel giorno d'agosto del '44 e che ci deve e ci può ispirare ancora oggi:
"Fiorentini, su designazione del Comitato di liberazione nazionale assumiamo l'amministrazione della città di Firenze. Firenze è vostra, vi ha detto l'alta voce del Comandante dell'esercito di liberazione. Firenze ritorna da oggi vostra, ripetiamo noi. Un regime che tutto concentrava per poter tutto dominare ed opprimere ha distrutto qualsiasi residuo di quelle libertà comunali … che per secoli fecero gloriosa Firenze. Oggi anche la libertà comunale si avvia a risorgere…
Firenze non è rimasta intatta nella duplice impareggiabile bellezza della natura e dell'arte, ma la barbarie del nemico … ha quasi distrutto ogni possibilità di vita civile.. Tutto deve essere ricostruito…. ". Gaetano Pieraccini, Sindaco.
Con questo arrivo alla terza ed ultima caratteristica del caso fiorentino e della storia della nostra città, di cui possiamo essere fieri. Nell'ambito del Comitato di Liberazione Nazionale in Toscana e a Firenze fu creato anche un Comitato ebraico- cristiano di salvezza per gli ebrei residenti, e per i tanti stranieri che dopo l'armistizio vennero a Firenze per cercare salvezza e rifugio. Del Comitato fecero parte il Rabbino della comunità ebraica, Nathan Cassuto, la signora Matilde Cassin, le sorelle Lascar e Saul Campagnano per la parte ebraica. Per la parte civile e cristiana presero parte Adone e Giancarlo Zoli, Don Facibeni, sostenuti dal Cardinale della Costa e don Casini. La Cassin, sostenuta da un prete, visitava i conventi della città cercando ospitalità e rifugio per tante famiglie ebraiche in pericolo, che furono accolte dalle suore e dal clero con rispetto, carità e coraggio nel tentativo di proteggerle dalle irruzioni e dalle visite indesiderate. Non ci furono tentativi di sfruttare la tragica situazione con indegne forzature alla conversione.
Tale non fu purtroppo la sorte delle donne e dei bambini ospitati nel monastero del Carmine dove una notte i fascisti, accompagnati dai nazisti, fecero irruzione, maltrattarono e picchiarono donne e bambini e infine li avviarono alla deportazione.
Purtroppo anche il Comitato ebraico-cristiano non si rese conto di quanto fosse pericoloso tenere i propri incontri in un luogo conosciuto, nella sede Acli di via de' Pucci. A seguito di una spiata fu scoperto ed i suoi membri ebrei arrestati e deportati insieme al Rabbino Cassuto e a sua moglie.
Va quindi ricordato ed evidenziato che a Firenze la Curia, ed in primo luogo il Cardinale Della Costa, offrì rifugio e aiuto alla popolazione ebraica. Un fatto che ebbe una notevole influenza sulla nascita dell'Associazione di Amicizia ebraico- cristiana, prima in Italia nella Firenze del dopoguerra. Una importante spinta dette anche un altro esponente importante della Resistenza, membro del Comitato Nazionale di Liberazione e futuro collaboratore di La Pira, il senatore Eugenio Artom. Subito dopo la guerra egli spinse le parti a cercare la riconciliazione lavorando insieme per il futuro della Repubblica che, secondo le sue parole, va ricostruita in base ai valori del passato risorgimentale, delineando in qualche modo le linee della politica postbellica delle diverse amministrazioni di Firenze.
Firenze, città di Libertà, è un comune autogestito, città del dialogo locale ed internazionale fra culture popoli e religioni, città della riconciliazione, città della bellezza e della pace.
Se a Firenze ed in Toscana un terzo o quarto della popolazione ebraica fu deportata grazie alle liste della polizia fascista e ai delatori, in Toscana e a Firenze, e anche questo mi sento di dover ricordare qui oggi, due terzi della popolazione ebraica, circa 1500 persone, poterono salvarsi grazie all'aiuto dalla popolazione. Spesso semplici persone che sapevano offrire aiuto all'oppresso di qualunque religione fosse, anche a rischio della propria vita.
Anche in questo caso, come con l'aiuto dato ai partigiani, il rapporto umano era trasversale coinvolgendo ceti alti e bassi. Purtroppo erano in minoranza i coraggiosi, ma alla fine sono stati loro a vincere, ed è anche questo che noi vogliamo ricordare e festeggiare oggi: la vittoria del bene sul male tra mille ostacoli e difficoltà.
Non possiamo non ricordare oggi il ruolo del Cardinale Della Costa, di don Letto Casini ed altri esponenti della Curia fiorentina, nell'organizzare e dare ordini di aiutare la sofferente popolazione ebraica proteggendola e salvandola. E a nome di tutti voglio ringraziare oggi tutti coloro che ebbero il coraggio e seppero salvare l'onore dell'umanità e della civiltà e di Firenze. I semplici ma coraggiosi paesani in posti remoti, i meno semplici artigiani della città, le suore dei conventi, che con attenzione e coraggio seppero alleviare le sofferenze dei bambini e delle donne proteggendoli dal male e dal nemico. Sono contento di poter ricordare oggi che lo Yad Vashem d'Israele ha già deciso di onorare il Cardinale Della Costa e probabilmente anche il famoso ciclista Gino Bartali col titolo di Giusto fra le nazioni. Titolo che onora la sensibilità umana di pochi che brillarono nel buio della notte inumana che era scesa sul mondo.
Riconoscere il contributo della popolazione d'origine ebraica alla lotta per la salvezza di Firenze e la sua partecipazione alla liberazione invitando un esponente ufficiale della comunità ebraica a prendere la parola e a dare un saluto in questa manifestazione che ricorda la lotta di Firenze, ma assieme a Firenze di tutto il genere umano per la libertà, è un gesto del Sindaco Renzi e dell'amministrazione comunale di Firenze che riconferma la profonda collaborazione civile e culturale che esiste da più di 69 anni fra la città di Firenze e i sui cittadini di religione ebraica. La cultura del dialogo fra ebrei e cristiani che parte da Firenze subito dopo la guerra e culmina nella formulazione dei principi e nelle dichiarazioni sul dialogo interreligioso del Vaticano II ne è una prova. La buona e positiva collaborazione e amicizia fra tutte le amministrazioni comunali ed i sindaci di Firenze e la comunità ebraica di Firenze ne è un'altra. Sono particolarmente contento che la linea di apertura, di collaborazione, di una rinnovata fiducia e riconciliazione raccomandata da Eugenio Artom e da La Pira, da me e dai vari consigli che si sono succeduti, è stata ultimamente riconfermata con l'apertura del giardino della sinagoga alla cittadinanza, con ricchi programmi di cultura e musica ebraica che hanno già visto questa estate la presenza di migliaia di visitatori.
A nome mio personale, a nome della nostra Presidente Sara Cividalli, nipote di Giorgio Cividalli, a nome di tutto il Consiglio e di tutti gli iscritti della Comunità e dei cittadini di religione ebraica di Firenze, voglio ringraziare per questo invito nella speranza di poter contribuire alla crescita culturale di Firenze, non solo in tempi di lotta e di guerra, ma anche in tempi di vigilanza e di azione culturale e politica per coltivare e mantenere la pace.
Che il D. d'Israele vi benedica.
Rav Joseph Levi, rabbino capo di Firenze

(Notiziario Ucei, 16 agosto 2013)


Esplosione a Beirut nella roccaforte di Hezbollah

Un palazzo in fiamme dopo l'esplosione
Un'autobomba fa nuovamente strage a Beirut e per la seconda volta in poco più di un mese nel mirino degli attentatori c'è il potente movimento sciita Hezbollah, fedele alleato del presidente siriano Bashar al Assad. I bilanci variano a seconda delle fonti tra i 14 e i 20 morti e i 120-200 feriti.
Le immagini trasmesse dalla televisione di Hezbollah, al Manar, raccontano una scena di devastazione con edifici e auto in fiamme ed una folla in preda all'ira. A rivendicare l'attentato un gruppo sconosciuto, le Brigate di Aisha che si richiama ai ribelli siriani e che in un video afferma di aver voluto colpire Hezbollah minacciando nuovi azioni. Il presidente libanese Michel Suleiman ha condannato "l'attentato terrorista e criminale" che secondo porterebbe "le impronte di Israele".
"È la seconda volta che decidiamo il luogo della battaglia e il momento. E ne vedrete ancora, se Dio vuole", ha detto un uomo mascherato con a fianco due uomini armati di fucili in un video indirizzato al leader di Hezbollah Sayyed Nasrallah, definito un agente dell'Iran e di Israele.
Secondo la ricostruzione dell'esercito libanese, un'autobomba è esplosa alle 18:20 a Roueiss, un quartiere densamente popolato nella periferia sciita della capitale libanese, e vicino al complesso Sayyed al-Shuhadaa dove spesso Nasrallah si rivolge ai suoi sostenitori. Secondo un testimone poco prima dell'attentato un minibus è passato e ripassato nella strada diverse volte come se cercasse un posto per parcheggiare prima di esplodere.
Un altro testimone ha raccontato che l'esplosione ha avuto l'effetto di "un terremoto". In serata i vigili del fuoco erano ancora impegnati nei soccorsi alle persone rimaste intrappolate dalle fiamme negli edifici circostanti.
Al Manar ha mostrato anche le immagini dei feriti negli ospedali, tra cui diversi bambini. Il 9 luglio un'altra autobomba carica di 40 chili di esplosivo aveva colpito il quartiere meridionale di Bir el Abed, roccaforte di Hezbollah, con un bilancio di 53 feriti. Anche in quel caso l'attacco era stata attribuito a gruppi decisi a colpire l'impegno di Hezbollah contro i ribelli siriani.

(swisscom, 15 agosto 2013)


Otto anni fa, Gush Katif

Otto anni fa andava in scena la deportazione di ottomila ebrei da Gush Katif (fra loro, la famiglia Fogel). Chiunque conoscesse le vicende di quell'area era certo che fosse una follia, oltre che un crimine: cinque anni prima Israele si era unilateralmente ritirata dal Libano, senza che Hezbollah ottemperasse alla parte di sua competenza della risoluzione Onu (cessazione degli attacchi terroristici contro Israele), e il risultato era stato un aumento esponenziale di lancio di missili dal Libano sulla Galilea, infiltrazioni, rapimenti, con contorno di trionfale esultanza di Hezbollah, che aveva interpretato il ritiro non come atto di buona volontà bensì come segno di debolezza (come è proprio della cultura arabo-islamica, e come chiunque si occupi di queste tematiche dovrebbe sapere) e quindi dimostrazione che il terrorismo funziona....

(ilblogdibarbara, 15 agosto 2013)


La Svizzera vuole mandare all'ONU l'avvocato degli Hezbollah

di Dimitri Buffa

Jean Ziegler
In quel mondo alla rovescia che vive nel Palazzo di Vetro all'Onu dove spesso comanda la somma algebrica dei cosiddetti stati canaglia e dove può capitare che nel Comitato per i diritti umani siedano l'Iran, il Sudan e la Corea del Nord, l'ultimo scandalo conosciuto promana dalla civilissima Svizzera. Il Paese elvetico ha tutta l'intenzione di fare nominare Jean Ziegler, un passato da avvocato bastian contrario, difensore dei diritti di Hezbollah a non essere considerata una formazione terroristica proprio quando l'Unione europea formalmente ha dichiarato tale la sua ala militare, e da found raiser per il Premio Muammar Gheddafi per i diritti umani (ebbene sì, anche questo è esistito per quanto la cosa possa fare sghignazzare, ndr), ad advisor all'Onu per conto del governo di Berna.
Consigliere ovviamente della su citata Commissione o Comitato che dir si voglia per i diritti umani con sede a Ginevra.
Ziegler in passato è stato noto alle cronache perchè, da membro del partito socialdemocratico europeo, chiese anche l'espulsione del premio Nobel per la pace Shimon Peres dall'internazionale socialista. Correva l'anno 1982, Peres era a capo del Labour party in Israele e il pretesto fu la guerra in Libano, provocata proprio dagli hezbollah sciiti su input dell'Iran di Khomeini.
Non basta, Ziegler nella sua controversa carriera da avvocato delle cause perse, prese anche le difese di un negazionista storico della Shoà, Roger Garaudy nel 1996. Questo quando venne pubblicato il libro "I miti fondanti della moderna Israele". E lo difese pubblicamente da chi lo voleva porre sotto processo in Francia con una lettera di cui l'ong "UNWatch" di Hillel Neuer ha pubblicato ieri alcuni passi: "Mi sento oltraggiato da tutta questo caso legale che loro ti stanno facendo contro. La tua fama di filosofo indipendente testimonia che le tue intenzioni sono serie". Peccato che nel libro le "intenzioni serie" di Garaudy fossero quelle di negare l'Olocausto definendolo appunto un "mito fondante" necessario per l'esistenza del moderno stato di Israele.
D'altronde l'avvocato Ziegler, che ora la Svizzera vorrebbe all'Onu in quota elvetica come consigliere per la già stramba Commissione per i diritti umani, con gli attestati di solidarietà a favore di anti semiti e di odiatori di professione di Israele è stato sempre generoso.
Come quando nel 2006 rilasciò all'organo degli Hezbollah, "Al Akhbar", la seguente dichiarazione: " Mi rifiuto di considerare gli hezbollah come un movimento terroristico. Per me è solo un movimento nazionale di resistenza".
Peccato che proprio nel 2013, dopo anni di pressioni congiunte israelo americane, l'Europa si sia decisa a luglio a fare iscrivere almeno l'ala dichiaratamente militare del movimento di Nasrallah nella lista nera delle organizzazioni terroristiche di cui è vietato ogni rapporto politico e soprattutto economico e bancario nella Ue.
La Svizzera che dell'Europa a 27 notoriamente non fa parte, adesso mette questo personaggio all'Onu a perorare la causa anche dei seguaci di Nasrallah, pagati dall'Iran per creare tensioni nell'area medio orientale e recentemente resisi anche protagonisti di numerose stragi di guerriglieri e di civili sunniti anti Assad in Siria.

(Think News, 15 agosto 2013)


Anche in economia vale la regola 'mordi e fuggi'?

Si apre in Israele il dibattito sull' hi-tech: vi sono troppe start-up che appena nate
vengono vendute al mercato estero

di Ariel David

   
Ci si potrebbe aspettare che l'acquisto da parte di Google dell'applicazione israeliana Waze al prezzo di 1,15 miliardi di dollari sia visto come una buona notizia per il dinamico settore dell'hi-tech locale e per tutto lo Stato ebraico. Per l'ennesima volta, in quella che grazie a un noto libro è ormai definita la "Start-up Nation", un manipolo di giovani ingegneri, smanettoni e finanzieri ha creato dal nulla un prodotto amato da decine di milioni di persone in tutto il mondo, fino ad attirare l'interesse, e i soldi, di uno dei grandi colossi di Internet. Nel caso di Waze, nata solo nel 2008, si tratta di un software gratuito di navigazione che, al contrario dei suoi concorrenti, utilizza le potenzialità dei "social network" e del "crowdsourcing" per aiutare circa 50 milioni di utenti ad arrivare a destinazione ed evitare il traffico grazie alle segnaIazioni degli altri membri e ai dati che l'applicazione raccoglie durante il tragitto. il desiderio di Google di integrare questa tecnologia nel proprio software di navigazione ha fatto il resto, spianando la strada per un favoloso "exit", come si definisce la cessione di una start-up da parte dei soci fondatori. La vendita di Waze potrebbe essere dunque il nuovo simbolo del successo di quello spirito d'innovazione e iniziativa che ha fatto d'Israele il terzo paese per numero di società quotate sull'indice NASDAQ dopo Stati Uniti e Cina e la nazione che attira più investimenti pro capite sull'alta tecnologia.
Al di là di un plauso di circostanza, la vendita di Waze ha invece riaperto in Israele un dibattito sulla struttura del settore hi-tech e in particolare sulla relativa rapidità con cui gli imprenditori locali vendono le loro creazioni. I critici si chiedono se l'economia israeliana non sia danneggiata da questa smania di "exit", visto che una volta conclusa la vendita la maggior parte dei posti di lavoro, dei redditi e del gettito fiscale si trasferiscono quasi sempre dalla "Silicon Wadi" alla più nota "Silicon Valley" californiana.
La questione è sicuramente di rilievo poiché solo nel 2012 sono state vendute società per 5,5 miliardi di dollari, con una media di 111 milioni per ciascuna. Il quotidiano economico The Marker parla di "sindrome nazionale da deficit dell'attenzione", descrivendo gli imprenditori israeliani come volubili, ansiosi di fare il colpaccio e svendere tutto invece di far crescere le proprie aziende fino a trasformarle in multinazionali capaci di competere a livello globale. La quasi totale assenza di cosiddetti "campioni nazionali" simili a Google, Apple o Microsoft lascerebbe dunque a Israele solo le briciole del mercato dell'alta tecnologia. Secondo i critici della "exit mania" il paese beneficia solo dei bassi introiti e delle poche decine d'impieghi, assai precari, che può offrire una giovane azienda. Poi, se il progetto ha successo e la start-up si sviluppa, ecco arrivare qualche mega-gruppo straniero che si porta via tutto, lasciando al massimo, come nel caso di Waze, che il dipartimento di ricerca e sviluppo rimanga in Israele.
"Waze continuerà a dare lavoro a un paio di centinaia di persone aTeI Aviv, ma questa è la fine della storia: niente più crescita, niente vero business", lamenta The Marker.
Ma veramente storie di successo come quella di Waze nascondono il punto debole della "Start-up Nation'?
Lo abbiamo chiesto a Eyal Reshef, veterano del mondo hi-tech israeliano e fondatore dell'Israel Mobile & Media Association, che raccoglie decine di start-up nel campo della telefonia mobile e dei media.
Se si escludono poche eccezioni come il colosso farmaceutico Teva, i maghi della sicurezza elettronica di Check Point e il provider di software per aziende Amdocs, Israele ha effettivamente pochi campioni nazionali, spiega Reshef in un'intervista a Shalom, ma le ragioni sono molto più complesse della presunta incostanza degli imprenditori locali. Anzitutto, le aziende israeliane non possono facilmente sfruttare gli enormi mercati domestici che hanno a disposizione i loro concorrenti americani, cinesi ed europei. "Inoltre, spesso una società arriva a un punto in cui non può più crescere se non ha dietro di sé i capitali e le risorse di un gigante che le permettono di conquistare nuove fette di mercato, e se non viene ceduta si espone al rischio di diventare obsoleta in breve tempo".
D'altronde, Rehshef fa notare che la maggior parte degli imprenditori israeliani non si ritira su un'isola sperduta per godersi i proventi di una vendita ma tende a reinvestirli in nuove avventure, mettendo al servizio di altre start-up la propria esperienza. Si crea così quel circolo virtuoso che ha fatto delle piccole e medie imprese tecnologiche uno dei pilastri dell'economia israeliana.
"Non è detto che avere delle grandi aziende sia meglio per l'economia - sostiene Reshef - meglio tante piccole imprese che impiegano poche persone, perché se un gigante si trova in difficoltà il paese può essere costretto a un salvataggio costoso per non veder andare in fumo migliaia di posti di lavoro".
L'ideale sarebbe avere un miscuglio di entrambi i modelli, ma per creare un campione nazionale entrano in gioco molti fattori: ci vuole un prodotto avanzato e ineguagliabile, almeno per qualche anno, dalla concorrenza; imprenditori pazienti e pronti a correre rischi di lungo periodo; e infine ci vuole tempo.
"Simili circostanze si presentano assieme di rado e in fondo il boom hi-tech israeliano è cominciato da poco più di un decennio - dice Reshef - quindi ci vuole pazienza: ci arriveremo".

(Shalom, luglio 2013)


Caso imam, la comunità ebraica di Milano sospende i rapporti con il Caim

di Paola D'Amico

È rottura insanabile tra Comunità ebraica e Caim (Coordinamento Associazione Islamiche milanesi). Lo scontro sulla presenza dell'Imam Al-Bustanji s'è consumato per giorni in uno scambio di note inviate dall'una e dall'altra parte alle agenzie. Non è servito l'invito del sindaco Giuliano Pisapia a smorzare i toni. Ieri, la Comunità ebraica ha deciso di sospendere i rapporti con il Caim. «Definire lo Stato di Israele come "uno stato che viola costantemente la legalità internazionale ed i più elementari diritti umani portando avanti un'occupazione militare brutale, razzista e criminale" è una dichiarazione inaccettabile non solo per la Comunità ebraica di Milano, ma anche per tutta la cittadinanza milanese. Oltre che per il buonsenso», si legge in un comunicato. Rompere con il Caim non equivale a chiudere ogni porta al dialogo con le associazioni islamiche. La Comunità ebraica, infatti, aggiunge: «I rapporti tra la nostra Comunità e tutte le altre associazioni islamiche presenti in città continueranno con la usuale serenità. In particolare con la Coreis, con cui ci lega un rapporto di amicizia e fratellanza». E uno dei portavoce, Daniele Nahum, precisa: «La nostra Comunità è sempre stata vicina, e sempre lo sarà, alle legittime richieste dei residenti milanesi di fede islamica relative alla costruzione di luoghi di culto a Milano. L'allargamento del perimetro delle libertà religiose è fondamentale per il rafforzamento della democrazia del Paese». Il coordinatore del Caim, Davide Piccardo, ribatte dicendosi «stupito e dispiaciuto. Ma chi ha firmato la nota se ne assume tutta la responsabilità. Noi siamo sempre aperti al dialogo e convinti che una posizione così estrema non sia condivisa dalla maggioranza della Comunità ebraica. È una posizione di rottura, un gesto grave, incomprensibile. Parleranno con il Coreis? Ha pochi iscritti in tutta Italia. Siamo noi a rappresentare oltre 30 associazioni e rappresentiamo 100 mila islamici milanesi, non ci possono mettere sullo stesso piano». La Comunità ebraica non replica ma diffonde il link di youtube che rilancia l'intervista dell'Imam incriminata, dove inciterebbe i bambini al martirio: o . «Tacere di fronte alla manipolazione di bambini innocenti al fine di renderli martiri sarebbe infatti per noi (e vogliamo sperare non solo per noi) eticamente inaccettabile».

(Corriere della Sera, 15 agosto 2013)


Sopravvissuta all'Olocausto fa dono della Torah in onore della sua famiglia

Alla memoria è affidato il messaggio di fede nella vita e nella libertà, tra gli orrori e il sangue di una tragedia che non può essere dimenticata.

Marge Fettman ha perso i genitori durante l'Olocausto. Pochi giorni fa ha deciso di onorare i suoi cari facendo dono di un rotolo della Torah alla Chabad Lubavitch di Skokie, Illinois.
Ha dedicato la pergamena artigianale ai suoi genitori, ai suoi suoceri e a suo marito scomparso nel 2004: "Nel mio cuore, ho sentito che la mitzvah più grande che potessi fare era donare la Torah, così che le generazioni future possano leggerlo. La Torah è la nostra guida". Più di 1000 ore per crearlo, 200 metri di carta realizzata con pelli di animali kasher, il suo valore può aggirarsi tra i $25,000 and $50,000. Il rotolo della signora Fettman è stato scritto principalmente in Israele.
Sebbene l'inchiostro del tatuaggio di Marge Fettman sia ormai sbiadito, l'inchiostro della sua Torah rimarrà fresco a ricordare l'Olocausto alle generazioni future.

(Chabad.Italia, 15 agosto 2013)


Lanciato il progetto per un nuovo centro educativo a Berlino

BERLINO - Mercoledì, a Berlino, Rav Yehuda Teichtel ha lanciato un importante progetto: quello di costruire un nuovo centro educativo Chabad di 5000 metri quadrati.
La scuola Chabad si trova ora in un palazzo nella zona di Spandau, nella parte ovest di Berlino. Questo spazio, però, è ormai troppo stretto; da qui l'idea di realizzare una nuova scuola nella zona Wilmersdorf.
Il nuovo centro, un palazzo curvo con mattoni blu di terracotta, sarà costruito seguendo il progetto dell'architetto Sergei Tchoban, che ha già ideato l'attuale centro Chabad di Berlino. Il costo si aggira sui dieci milioni di euro, che saranno pagati grazie a donazioni.

(Chabad.Italia, 15 agosto 2013)


La pace secondo lo UNRWA: terrorismo finanziato con i soldi occidentali

Dalla fine di luglio è presente su YouTube un filmato intitolato "Camp Jihad" che non lascia adito a dubbi su quello che viene insegnato ai bambini arabi nei campi estivi gestiti dal UNRWA (The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), l'agenzia della Nazioni Unite unicamente dedicata ai cosiddetti "profughi palestinesi" e che da sola può beneficiare di contributi internazionali pari a quasi il doppio di quanto ne possa beneficiare l'UNHCR che però deve gestire i profughi di tutto il globo....

(Right Reporters, 14 agosto 2013)


Un'estate diversa dalle altre. Studiare per affrontare l'Alyà

di Yael Di Consiglio

Una delle decisioni più critiche che i ragazzi devono prendere dopo l'esame di maturità riguarda la pianificazione del proprio futuro. Sempre più ragazzi ebrei, una volta conseguito il diploma, decidono di trasferirsi in Israele attratti dalla molteplicità di scelte e di esperienze proposte che sembrano fatte su misura. Molti decidono di prendersi il cosiddetto "anno sabbatico" optando per i progetti proposti da Bnei Akiva e Hasomer Hatzair, vale a dire l'Hachsharà e lo Shnat Hachsharà: entrambi i progetti danno la possibilità ai giovani di conoscere in maniera attiva le diverse sfaccettature della società israeliana attraverso la partecipazione ai diversi organi che ne fanno parte: dal Maghen David Adom ai kibutzim, dalle yeshivot al volontariato in esercito.
   I più motivati preferiscono rimboccarsi le maniche con un programma di preparazione per accedere alle varie università israeliane: la "Mechinà". La possibilità di compiere quest'anno di formazione è offerta da tutte le università pubbliche ed è rivolta specialmente, ma non solo, agli studenti stranieri intenzionati a frequentare un corso di laurea in Israele. Prima di procedere con il piano di studi gli alunni sono tenuti a frequentare un corso estivo di lingua ebraica (Ulpan Kaitz) tenuto dalle stesse università. I programmi di mechinà proposti e i relativi costi variano a seconda dell'ateneo scelto.
   Oggi Israele può vantare la presenza di università tra le più prestigiose su scala mondiale, all'interno delle quali si svolgono attività a livello di ricerca specializzata in determinate discipline. Tra le più frequentate ci sono la Tel-Aviv University, la più grande del Paese, e la rinomata Hebrew University di Gerusalemme, seguite dal Bar llan (università religiosa di Ramat Gan) e dal Technion di Haifa. Al di là dell'esperienza formativa in sé i ragazzi hanno la possibilità di potersi confrontare con gli studenti di altre nazionalità e di inserirsi all'interno della società israeliana. Una delle peculiarità che differenzia queste università da quelle italiane è il metodo di studio e in particolare la possibilità di poter interagire durante le lezioni e di avere rapporti diretti con i professori che si pongono sullo stesso piano degli alunni scambiando con loro, per fare un esempio, numeri telefonici personali per essere contattati quando necessario. Questo sistema sembra stimolare e invogliare i partecipanti per dare il massimo e riuscire nella loro impresa.
   L'organizzazione che per eccellenza si occupa delle iniziative giovanili è il Masa che mette in contatto i ragazzi di tutto il mondo interessati ad un esperienza in Israele con le università, i movimenti giovanili e quelli volontari. Recentemente anche questa agenzia ha partecipato a un Open Day, tenuto presso le scuole Ebraica di Roma e di Milano e atto a promuovere le università israeliane, durante il quale i rappresentanti delle diverse accademie hanno fornito informazioni ai numerosissimi ragazzi incuriositi.
   Per ulteriori delucidazioni sul mondo universitario israeliano è stato creato su iniziativa dell'UCEI in collaborazione con la Sochnut Italia (Agenzia Ebraica), l'UGEI e con il patrocinio dell'Ambasciata di Israele in Italia, un sito internet rivolto esclusivamente a ragazzi italiani che dopo il liceo progettano di studiare in Israele dove è possibile contattare in prima persona i ragazzi italiani che stanno frequentando i corsi di laurea nelle relative università.
   C'è chi invece preferisce, con l'intenzione di trasferirsi definitivamente in Israele, frequentare dei corsi di preparazione al test psicometrico per l'accesso universitario accompagnandoli con corsi di ulpan e un lavoretto che li renda autonomi. Per i giovani olim chadashim, lo Stato si presta ad agevolare gli studi pagando per loro l'intero corso di laurea presso l'università pubblica o, per chi scegliesse la privata, di pagarne la spesa equivalente. Infine, per chi è interessato per obbligo o per scelta a far parte dell'esercito c'è l'opportunità di potersi arruolare dopo aver ottenuto la laurea. Questa opzione giova sia al paese che allo studente: è possibile essere inserito in specifici reparti della IDF (Israel Defense Force) pertinenti al percorso accademico intrapreso.

(Shalom, luglio 2013)


Ritz-Carlton apre il suo primo hotel di lusso in Israele

di Rosario Scelsi

Le grandi compagnie alberghiere non dormono sugli allori e cercano di cogliere le diverse opportunità offerte dal mercato. In quest'ottica va letto l'impegno di Ritz-Carlton, che aprirà entro la fine dell'anno il suo primo hotel di lusso in Israele.

  
Galleria
Il nuovo impianto sta prendendo forma a Herzliya, una cittadina a nord di Tel Aviv, dove gli ospiti potranno giovarsi di una struttura di qualità, in grado di soddisfare al meglio i loro bisogni.
Lo splendido hotel, affacciato sul Mediterraneo, si svilupperà su dodici piani ed offrirà all'interno 197 camere, con moltissime suite, che raccontano l'interesse atteso da parte della clientela di fascia più alta.
Il lavoro stilistico, condotto con adeguata maestria, reca negli spazi coperti la firma di Rani Ziss Architects Ltd., ma la hall e i ristoranti sono il frutto dell'estro creativo dello Studio Gaia di New York, che ne ha curato la progettazione.
Tutte la camere, comprese le più esclusive, sposano una tavolozza cromatica di ispirazione mediterranea, in una tela di classe degna di una realtà alberghiera di profilo internazionale, che punta a soddisfare il bisogno d'eccellenza degli utenti provenienti da ogni angolo del mondo.
Non mancheranno, ovviamente, il centro fitness, la spa e la piscina, in un quadro ambientale di grande presa, che si può gustare felicemente da queste pertinenze.

(Deluxeblog, agosto 2013)


Israele si collega alla rete elettrica europea

Israele ha sottoscritto il contratto con il governo di Grecia e Cipro per il collegamento alla loro rete elettrica. L'accordo permetterà ad Israele d'importare l'elettricità dall'Europa e nel caso di necessità di contare sulle forniture dell'energia europea nel Paese.
I sistemi elettrici dei tre Paesi saranno collegati tramite un cavo subacqueo.
Il ministro dell'energia d'Israele Silvan Shalom ha dichiarato che l'accordo è la dimostrazione dei rapporti amichevoli che si migliorano continuamente, tra i Paesi partecipanti all'accordo.

(La Voce della Russia, 12 agosto 2013)


'A jew in the box', cronista in vetrina risponde a domande su ebrei

Immagini
ROMA, 14 ago. - E' la prima volta che un cronista si mette in vetrina per raccontare, dall'altra parte del vetro, l'identita' ebraica. Una 'provocazione' per stanare pregiudizi, rispondendo direttamente alle domande dei visitatori. Le piu' diverse, dagli aspetti piu' semplici alla sapienza chassidica. Giornalista professionista, dopo il praticantato con il mensile Ucei 'Pagine Ebraiche', 24 anni, Manuel Disegni ha risposto alle domande dei visitatori del Museo ebraico di Berlino sedendo, per due ore, all'interno della controversa vetrina 'A jew in the box ', dove ogni settimana (fino a ottobre) gli ospiti del Museo possono rivolgere al loro interlocutore (unici requisiti: essere ebreo e parlare tedesco) le domande piu' disparate sull'identita' ebraica.
Lo slogan dell'esposizione e' infatti 'Vi racconto tutta la verita'', e anche questo e' uno strumento per chiarire e raccontare la saggezza di un popolo in cammino. Un'installazione provocatoria che continua a suscitare ampio dibattito sulle pagine culturali dei giornali di mezzo mondo e che Manuel ha voluto raccontare, nell'inedita veste di protagonista, nel numero di agosto di 'Pagine Ebraiche'. "Non sono pochi - spiega - quelli che, un po' divertiti dall'insolita circostanza, ovvero rivolgere la parola a un ebreo che siede in vetrina proprio in quanto tale, vengono a interpellarmi''.
''Cio' che noto in molti di coloro che vincono la timidezza - scrive Manuel - e' una certa sufficienza: hanno gia' capito che si tratta di una provocazione, comprendono e approvano l'idea di far conoscere un ebreo a quelli - gli altri, ovvio - che di ebraismo non sanno nulla. E' come se volessero stringermi l'occhio e dirmi: 'ehi, ho capito il giochino, ma con me non attacca, io ne so gia' parecchio... come dire, ho tanti amici ebrei, non mi stupisco mica piu', io'''.

(Adnkronos, 14 agosto 2013)\


Lech Lecha

di Francesco Lucrezi

Opportunamente, tra le manifestazioni promosse nell'ambito della settimana di cultura ebraica Lech Lechà (la cui seconda edizione, com'è noto, inizierà la prossima domenica 25 agosto, con ben 111 eventi programmati in diverse località pugliesi), è stata inserita, lunedì 26, alle ore 17, presso la sala Rossa del Castello di Barletta, la presentazione di un libro di grande importanza, già solido punto di riferimento per la storiografia contemporanea: Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, di Anna Foa (Ed. Laterza). Come accade, inevitabilmente, per ogni studio sulla storia ebraica - e come abbiamo recentemente avuto modo di notare, in una nota sulla Storia degli ebrei in Italia, di Riccardo Calimani (apparsa sul mensile Pagine Ebraiche di agosto) - anche il contenuto di questa storia degli ebrei va, inevitabilmente, al di là di quanto enunciato nel titolo, giacché va ad abbracciare anche la storia degli altri, dei 'goyìm', al cui interno si sono sviluppate le vicende del popolo disperso. La storia degli ebrei come "storia del mondo", e la "storia del mondo", filtrata attraverso la particolare lente d'ingrandimento della storia degli ebrei, trovano, nelle pagine della Foa, una ricostruzione attenta e precisa, dalla quale la drammaticità degli eventi narrati emerge con forza, da un racconto avvincente, ricco di spessore e profondità.
In quanto storia del Novecento (anche se la narrazione, in realtà, va dal 1880 alla fine degli anni Settanta del XX secolo), ossia di un secolo ancora così vicino a noi, lo studio della Foa è soprattutto un'interrogazione su di noi, sul nostro presente, su tutte le coordinate culturali, ideologiche, politiche e psicologiche entro cui siamo abituati a muoverci, ad agire e a pensare. "Chi sono gli ebrei del Novecento? - chiede l'autrice - Non si può… negare che essi siano una realtà estremamente molteplice, come complessa e variegata è l'immagine che hanno lasciato di sé. Un'immagine prevalentemente simbolica, caricata di tutta la forza del simbolo". Ma, alla fine dell'Ottocento, questa forza simbolica cambia, in quanto diventa "un'espressione autonoma del popolo ebraico, una forma di autorappresentazione in positivo, mente nei secoli precedenti si trattava di una valenza attribuita agli ebrei dall'esterno, in quanto popolo testimone, in quanto increduli e deicidi, e soprattutto in quanto simbolo dell'alterità". Ma, continua la Foa, "qual è il rapporto tra simbolo e realtà? Si tratta di un'immagine, questa dell'ebreo del Novecento, creata dalla memoria, dalla rappresentazione, o se vogliamo autorappresentazione, che si alimenta di se stessa e non è, in fondo, che una creazione mitica? Oppure dentro quel mito c'è uno spessore di realtà che lo nutre e lo sostanzia, e che ne rappresenta l'ineliminabile vitalità?".
Domande, naturalmente, a cui appare arduo dare risposta, così come appare difficile tracciare il discrimine tra "autorappresentazione in positivo" e "rappresentazione imposta dall'esterno". Sarà mai possibile immaginare una storia degli ebrei, per così dire, "desimbolizzata"? Scevra di ogni rappresentazione, o autorappresentazione simbolica? Si tratterebbe di immaginare qualcosa che non esiste, che non è mai esistito. Viene da pensare al dibattito tra Eduard Meyer e Moses Finley (recentemente studiato da Federico d'Ippolito), col primo dei due che rivendicava all'immaginazione il compito di scoprire la verità, e il secondo che rigettava tale assunto. Al momento attuale, l'immaginazione di una storia "desimbolizzata" pare ancora impedita dal peso di millenni di "rappresentazioni simboliche", di ogni tipo.

(Notiziario Ucei, 14 agosto 2013)


Il ricatto americano

di Deborah Fait

   
In questi giorni mi è venuto in mente Bill Clinton, le sue visite in Israele, il suo doppio gioco, il suo mento (e vi spiegherò perché penso al suo mento), la sua promessa di spostare l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.
Clinton venne in Israele per la quarta volta nel 1998 accolto dalla popolazione in festa. Gli israeliani amavano quel presidente che credevano sincero amico di Israele, che aveva promesso colle lacrime agli occhi (rivelatisi in seguito essere lacrime di coccodrillo) di trasferire l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, di fatto riconoscendola come Capitale di Israele. Tutta Israele incollata alla TV, me compresa, seguì la sua visita e il suo mento tremolante di emozione durante i tanti commoventi discorsi ci conquistò.
Poi seguimmo anche la sua visita a Ramallah accolto da Arafat, Suha Arafat e i notabili di Fatah, sentimmo il terrorista urlare di aver cancellato il comma della Carta dell'OLP che chiedeva la distruzione di Israele e vedemmo lo stesso mento tremolante sul volto del presidente USA.
Allora ci chiedemmo "ma perché gli trema il mento se sa che è una bugia?". Naturalmente quel comma sulla distruzione di Israele esiste ancora, bene in vista, sulla Carta dell'OLP.
Il continuo tremolio del mento di Clinton, chiunque avesse davanti, ci insospettì ma la ciliegina sulla torta l'abbiamo avuta da Hillary che, mentre suo marito piagnucolava di emozione con Arafat, lei ascoltava Suha Arafat, l'allora first Lady palestinese, oggi vedova miliardaria del terrorista defunto. Suha, isterica e enfatica, disse, davanti a Hillary:"Israele avvelena l'aria e l'acqua nei territori palestinesi".
La Clinton, imbarazzatissima, non disse una sola parola, per fortuna protestò il dipartimento di Stato americano per salvare la faccia, ma forse in quel preciso momento, col suo silenzio, Hillary si giocò i voti degli ebrei americani per una futura presidenza degli Stati Uniti .
In seguito Bill Clinton non mantenne le promesse e bloccò i voti del Congresso per trasferire l'ambasciata a Gerusalemme, trasferimento che doveva avvenire entro il 31 maggio 1999.
Il resto lo sappiamo: l'ambasciata americana si trova ancora a Tel Aviv, dopo 14 anni.
Bill Clinton, l'ipocrita dal mento tremolante e le lacrime facili, oggi tiene conferenze a decine di migliaia dollari .
Oggi abbiamo un altro presidente democratico, un altro presidente che offese Israele rifiutandosi di visitarlo durante il primo mandato, occupatissimo nel corteggiare le dittature islamiche e la Fratellanza Musulmana.
Un presidente evidentemente incapace e ipocrita che però, col suo innegabile charme, conquistò Israele visitandolo all'inizio del suo secondo mandato.
Come accadde con Clinton, anche Obama distribuì sorrisi e pacche sulle spalle a destra e a manca, fece crollare il nostro cinismo annegandoci in un mare di chiacchiere.
A lui non tremava il mento ma è stato talmente bravo nell'ammaliarci con false dichiarazioni d'amore, da farlo tremare a noi.
Conquistò la nostra fiducia e infine ecco la coltellata nella schiena: Convincere o obbligare (non lo sapremo mai) Netanyahu a chiedere scusa al turco Erdogan per i fatti della Mavi Marmara.
Perché ho parlato di questi due presidenti? Perché, ognuno col suo stile ma entrambi pieni di falsità, hanno buggerato Israele alla grande.
Adesso Obama pretende che liberiamo dei terroristi, per niente, solo per incominciare dei colloqui di pace che finiranno miseramente come i precedenti.
La domanda che tutti si fanno è "Perché nessuno chiede niente ai palestinesi?"
Perché e' sempre solo Israele che deve fare gesti di buona volontà per poi rimetterci la faccia e la vita?
Perché gli israeliani devono essere costretti a vedere i festeggiamenti, la pioggia di caramelle, gli abbracci per gli "eroi" palestinesi assassini e terroristi?
Netanyahu ha fatto un bellissimo discorso alla nazione per farci digerire questa immensa ingiustizia ma, se la rabbia è così forte per chi non ha avuto morti, cosa possono provare oggi i parenti delle vittime ammazzate da quelli che, per primi, stasera verranno rilasciati? E per i prossimi 80 che saranno liberi nei mesi che seguiranno?
Perché Israele deve essere costretto a scelte così terribili?
Perché il nostro amore per la vita, il nostro essere un popolo civile devono essere ripagati in modo così crudele?
Mille terroristi liberati per riavere indietro Gilad Shalit.
Quattocento terroristi liberati per avere indietro due cadaveri ammazzati da Hezbollah.
Samir Kuntar che aveva ammazzato una bambina spaccandole la testa contro una roccia, era tra quei 400 e oggi continua a fare il terrorista con Hezbollah.
Il conto non finisce più, la nostra frustrazione aumenta di giorno in giorno, un colpo dopo l'altro, un' ingiustizia dopo l'altra, da anni, anni di prepotenze arabe, anni di umiliazioni, anni di tentativi per fare la pace con quelle belve immonde. Anni di "Israele deve fare la pace".
Israele deve sempre fare qualcosa.
I palestinesi NO!
Cosa avrebbe detto il mondo se Bibi si fosse rifiutato di liberare i terroristi?
Lo sappiamo tutti: "L'intransigenza di Israele allontana la pace... Israele è un pericolo per il mondo intero.... Israele stato di apartheid".
Bugie bugie bugie, ripetute cento, mille volte e infine credute da tutti.
Mai nessuna richiesta ai palestinesi che non si spostano di un millimetro dalle loro assurde pretese. Mai nessuna critica.
Abu Mazen ha ripetuto varie volte che nessun ebreo potrà vivere nello stato palestinese, Abu Mazen continua a sponsorizzare programmi tv in cui si parla di ammazzare gli ebrei, bambinetti palestinesi che recitano poesie spaventose piene di odio.
Perché nessuno accusa i palestinesi di razzismo e di crudeltà, di falsità e di apologia di nazismo?
Da giorni i parenti delle vittime del terrorismo e le organizzazioni che se ne occupano manifestano civilmente nella Capitale Gerusalemme e a Tel Aviv, sono manifestazioni accorate, piene di dolore.
"Non dateci questo ultimo colpo, non fate morire i nostri cari per la seconda volta".
L'Alta Corte di Gerusalemme ha rigettato le loro petizioni.
"Shame on You, Obama" riportavano alcuni cartelli.
Si, vergogna per chi ha il potere di ricattarci, senza scrupoli, in nome di interessi più importanti di Israele, in nome della paura che fa l'islam.
A che serve che polizia e esercito arrestino assassini di donne, vecchi, bambini ebrei se poi arriva il diktat americano di lasciarli liberi, fedele alla spaventosa antica convinzione che tanto "uccidere gli ebrei non è reato".

(Informazione Corretta, 14 agosto 2013)


Futuro: un mondo senza Israele


Scarcerazioni e nuove case, è la pre-tattica di Israele per i negoziati

Viaggio nelle case della Cisgiordania che attendono gli eroi. Rabbia dei familiari israeliani: "La pace non comincia così"

Ateya Abu Moussa, uno dei ventisei scarcerati, saluta i suoi amici aprendo le dita in segno di vittoria. Ecco come i "militanti" palestinesi intendono gli "atti di buona volontà” che Obama impone a Israele. Per i palestinesi non sono gesti di disponibilità dell'interlocutore che annunciano lo stabilimento della pace, ma atti di debolezza del nemico che preludono alla vittoria nella guerra. La guerra continua - sembra dire ai suoi Abu Moussa - ci sono ottime speranze di vittoria.
Ateya Abu Moussa
DEIR JREER - Le fotografie del prigioniero sono appese alle porte delle botteghe del villaggio di Deir Jreer, in Cisgiordania, a venti minuti d'automobile da Ramallah. Il viso sbiadito di un giovane è sull'enorme cartellone che ricopre la facciata della casa bianca e bassa che l'uomo ha lasciato nel 1993, a 16 anni, quando è stato incarcerato per complicità nel sequestro e omicidio di un cittadino israeliano, un abitante del vicino insediamento di Beit El. Le bandiere rosse del Fronte democratico per la Liberazione della Palestina, movimento marxista-leninista, sventolano sulla via principale e raccontano come la liberazione dei detenuti palestinesi avvenuta la notte scorsa vada indietro nel passato, fino agli anni Novanta, quando il gruppo era ancora una componente attiva della vita politica e militare palestinese.
   Al momento in cui questo giornale è andato in stampa, Israele aveva annunciato il rilascio, dopo la mezzanotte, di 26 prigionieri palestinesi incarcerati prima degli accordi di Oslo del 1993. E' un gesto d'apertura, quello del governo di Benjamin Netanyahu, che arriva alla ripresa dei colloqui diretti tra israeliani e palestinesi oggi a Gerusalemme. Nella società palestinese la questione delle migliaia di detenuti nelle carceri israeliane è molto sentita. Le liberazioni puntellano la leadership debole del rais Abu Mazen. Tra i 26, ci sono uomini che hanno ucciso civili e militari israeliani e palestinesi ritenuti collaboratori d'Israele. Se Israele li considera terroristi, nei Territori i prigionieri riceveranno un'accoglienza da patrioti.
   Nel cortile della casa di Deir Jreer, la famiglia di Osmat Mansour ha allestito un tendone come quelli usati qui per i matrimoni, con file di sedie in plastica e tessuti colorati alle pareti. "Congratulazioni per la liberazione di Osmat dalle carceri dell'occupazione", è scritto sui cartelloni appesi in cortile. La madre Ni'mih indossa il vestito e i gioielli della festa: una lunga tunica nera con i tradizionali ricami rossi. Domenica notte, quando è stata pubblicata da Israele la lista dei prigionieri da scarcerare "abbiamo cantato e ballato fino all'alba", racconta. E canta ancora: "Grazie Dio per aver liberato Osmat per me. Possa Dio liberare ora tutti gli altri prigionieri". Il rilascio, spiega Takieddine Mansour, zio dell'ormai ex detenuto, cambia la percezione della popolazione, "ci segnala che qualcosa sta accadendo". "Tutti realizzano che è ora necessario sedersi e negoziare, abbiamo tutti sofferto e perso troppo, da una parte e dall'altra", dice.
   "Per salvare Shalit avrei accettato. Così no"
   Nei villaggi della Cisgiordania e di Gaza si festeggia. A pochi chilometri di distanza, però, la rabbia delle famiglie degli israeliani uccisi dagli uomini liberati è cresciuta ieri al rifiuto della Corte suprema d'accettare una petizione per bloccare le scarcerazioni. "Sono giorni difficili", dice singhiozzando Gila Molcho, sorella dell'avvocato israeliano Ian Feinberg, ucciso nel 1993 a 30 anni mentre lavorava per un ufficio dell'Unione europea a Gaza. I parenti delle vittime hanno manifestato lunedì davanti al quartier generale dell'esercito a Tel Aviv, le mani sporche di vernice rossa, mostrando i ritratti dei familiari uccisi. Nell'ottobre 2011, Israele ha rilasciato oltre mille prigionieri in cambio della liberazione del soldato Gilad Shalit, rapito da Hamas. "In quel caso, per salvare una vita, avrei accettato il gesto. Ora - dice Molcho - rendono famosi degli assassini. Prego per la pace, ma questo non può essere il primo passo".
   Se i colloqui dovessero andare avanti, altri prigionieri saranno liberati, per un totale di 104. Le trattative che iniziano oggi, però, sono fragili. L'Autorità nazionale palestinese ha avvertito: "Rischiano il collasso" dopo che tra domenica e ieri Israele ha annunciato la costruzione di oltre duemila unità abitative a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Nel 2010, colloqui diretti sono falliti anche a causa delle costruzioni nei Territori. "Non reagite in maniera avversa", ha chiesto ai palestinesi ieri il segretario di stato americano John Kerry, artefice dell'attuale riavvicinamento.
   Per il governo israeliano, spiega al Foglio Meir Javedanfar, analista specializzato in questioni di sicurezza nazionale, è più semplice fare concessioni su prigionieri ferendo le emozioni più profonde della società israeliana, piuttosto che congelare gli insediamenti: "Annunciare il blocco delle costruzioni metterebbe a rischio la tenuta della coalizione del premier", le cui frange più a destra si oppongono a qualsiasi tipo di concessione territoriale.

(Il Foglio, 14 agosto 2013)


Quei negoziati di pace in cui nessuno crede più

di Fiamma Nirenstein

Il tempo del giubilo è lontano. Le trattative sono vecchie di vent'anni e, in parallelo, lo è stata la guerra. Peccato, qui sono andate sempre a braccetto, e ormai nessuno è più in grado di dimenticarlo, tantomeno oggi, all'apertura dei colloqui che gli americani coccolano come un neonato.

Nemmeno si sa dove si svolgono, tanto poca è la sicurezza dell'evento. Nessuno può obliterare il ricordo di tante occasioni pleonastiche. Come a Madrid (1991) dove la squadra palestinese ogni notte prendeva l'aereo per Tunisi per rendere omaggio al suo insonne capo, Arafat, che gli insegnava a dire no. Poi Oslo (1993), poi Wye Plantation (1998) Camp David (2000). Questi colloqui sono soprattutto americani e chissà se almeno Kerry ci crede. Abu Mazen ne ha bisogno come scudo contro Hamas e gli altri estremisti infuocati dell'area, Israele perchè pensa all'Iran e alle promesse di Obama.
   Ma ci sono stati tempi diversi. Ai tempi di Rabin, improvvisamente i supermarket si riempirono di merci, i vestiti, il cibo, le canzoni, tutti cambiò, Mac Donald apri il suo primo branch dove si affollavano i giovani affamati di normalità; con Barak, ormai troppi attentati avevano bruciato la freschezza della speranza, ma quando sulla porta del cottage di Camp David Bill Clinton, Arafat e Barak davanti a una porta stretta cedevano ridendo il passo l'uno all'altro, ancora si sperava che dietro quella porta si compisse il miracolo. L'Intifada penetrò nei sogni degli israeliani e li cambiò per sempre, viziò di sangue i palestinesi. Sharon li vinse, ma poi fallì la grande mossa dello sgombero di Gaza (2005), che invece di pace portò missili. Ad Annapolis (2007), in un emiciclo di cemento Ehud Olmert giuocò la sua corrida offrendo ai palestinesi praticamente tutto, compresa Gerusalemme. Non andò.
   Il debutto odierno del nuovo processo di pace deve accontentarsi di un misero 18 per cento degli israeliani che credono nella sua riuscita mentre l'80 la credono improbabile o molto improbabile. I palestinesi in massa protestano perchè Abu Mazen ha accettato i colloqui, ma stanotte 26 prigionieri palestinesi di cui molti si sono macchiati di delitti repellenti (per esempio l'omicidio a Gaza dell'avvocato filopalestinese Sean Feinberg cui vennero mozzate le orecchie, o la mattanza a colpi di scure di un sopravvissuto della Shoah, Isaac Rotemberg) sono stati trasportati a Ramallah, dove verrano trasportati al check point di Betunya per essere trasportati a Ramallah: li aspettano le famiglie e gli uomini di Fatah, il centro del potere palestinese.
   Per Israele si tratta di una corona di spine per cui i genitori, le mogli e i figli degli uccisi non si stancano di protestare, la protesta è accorata e ragionevole. Non c'è nessuna garanzia che questo strazio porti alla pace. Per i palestinesi si preparano giorni di glorificazione di eroi che però sono, ai loro occhi, pochi e scelti fra i meno importanti per esercitare una pressione utilizzando gli altri gruppi da rilasciare. Tuttavia la festa sarà grande: su 26, 14 vanno a Gaza e il resto con Abu Mazen, che si prenderà il merito della liberazione di tutti. Hamas ha probito di festeggiare, Abu Mazen ne sarebbe troppo soddisfatto. La seconda causa di inquietudine è l'annuncio del governo israeliano che costruirà 1200 unità di abitazione oltre la Linea Verde, cosa che ha creato grande scompiglio internazionale e fra i palestinesi. La mossa è stata resa nota adesso per lo scontento che Netanyahu avverte nella coalizione, a causa della liberazione di prigionieri.
   Lo sfondo strategico di questo debutto, in cui domina lo scetticismo, è più a sud, nel Sinai, da dove ieri sono stati sparati tre missili sulla cittadina di vacanze di Eilat. Si consolida il nuovo fronte di guerra che Al Qaeda con i suoi alleati di Hamas e vari gruppi salafiti ha aperto contro Israele e l'Egitto post Fratelli Musulmani. È vero che questi due Paesi hanno già firmato da tempo un accordo di pace, ma forse in questi giorni il loro interesse commune antislamista è l'unico scenario di concordia che è dato scorgere all'orizzonte.

(il Giornale, 14 agosto 2013)


Israele - Book Law, la nuova legge che favorisce libri e autori

di Ada Treves

   
Tre anni di trattative e negoziazioni per arrivare alla prima approvazione di una legge non sono pochi, ma il risultato ha avuto grande eco, e dopo il primo voto positivo alla Knesset - all'unanimità - della "Book Law" il ministro della Cultura Limor Livnat ha dichiarato che "questo è un giorno importante per la cultura israeliana, ed è un giorno importante per tutto il pubblico israeliano, che potrà così godere della grande varietà della nostra letteratura". Sono diversi i principi stabiliti da questa nuova legge, che dovrebbe dare sollievo al mercato editoriale israeliano, proteggendo gli autori, infrangendo l'attuale duopolio attuale che pone qualche freno alla libera concorrenza e regolando gli sconti sul prezzo di listino. Per arrivare a questo risultato è notevole che tutti i partiti abbiano dato il loro apporto, cosa che spiega i tempi lunghi per arrivare alla presentazione e anche il voto unanime. I risultati sono stati tali da far affermare al ministro che "ci sono momenti in cui non c'è scelta: il governo deve intervenire per salvare la cultura di Israele." Il ministero ha inoltre ottenuto l'istituzione di numerosi nuovi premi per autori esordienti, per giovani poeti e anche per gli editori, che dovranno fare - letteralmente - i conti con la nuova legge. Dovrà essere raggiunto un accordo fra editori e rivenditori sulla politica di promozioni e sconti sui prezzi, che comunque non potranno essere applicati nei primi 18 mesi di vita di un libro, periodo in cui il prezzo sarà quello di listino tranne che, comprensibilmente, durante la Hebrew Book Week. E saranno regolamentati anche i diritti d'autore: sia nei primi 18 mesi di vita di un libro, durante i quali gli autori israeliani riceveranno almeno l'8 per cento del prezzo di listino (IVA esclusa, e per le prime 6mila copie, che diventa il 10 per cento dalla copia successiva) che per il periodo successivo. La legge, chiamata Book Law o anche French Law per l'evidente influenza della legislazione francese approvata da poco, avrà effetto fra circa sei mesi, e dovrà essere confermata dalla Knesset fra tre anni; nel frattempo l'EconomicsCommittee della Knesset si occuperà di monitorarne l'implementazione. E poiché "Un libro non è solo un altro prodotto di consumo, bensì un tesoro culturale" (sono ancora parole di Limor Livnat, ministro alla Cultura) un'altra novità riguarderà il comportamento nei confronti degli acquirenti: vietare ai rivenditori di favorire una casa editrice rispetto a un'altra anche nella disposizione sugli scaffali, o di promuovere specificamente alcuni libri e vietare alle librerie di assegnare dei bonus ai dipendenti che raccomandano specifici titoli ha un senso preciso. Il conflitto di interessi e la scarsa indipendenza dovuta all'assetto societario che lega la catena di librerie Tzomet Sfarim e la casa editrice Kinneret Zmora-Bitan Dvir e il rapporto strettissimo fra le librerie Steimatzky e la casa editrice Yedioth Sfarim non è passato inosservato, e con la nuova legislazione la competizione non potrà che essere più equa, a vantaggio di tutti.

(Notiziario Ucei, 14 agosto 2013)


"Costruiremo migliaia di case per i pionieri in Giudea-Samaria"

GERUSALEMME, 14 ago. - Israele intende costruire "migliaia" di nuove unita' abitative per i pionieri degli insediamenti nei Territori contesi: è l'avvertimento lanciato dal ministro per l'Edilizia israeliano Uri Ariel del partito Habayit Hayehudi, cioe' Casa Ebraica, a poche ore dall'inizio a Gerico della seconda tornata di colloqui diretti tra lo Stato ebraico e l'Autorita' Palestinese, dopo gli incontri preliminari di fine luglio a Washington. "Nei prossimi anni costruiremo migliaia di case in Giudea e Samaria", ha dichiarato alla radio pubblica Ariel, citando i nomi biblici delle aree corrispondenti. "Nessuno", ha puntualizzato, "detta dove possiamo edificare". Fra domenica e ieri sono gia' state approvate circa duemila abitazioni per i pionieri israeliani.

(Fonte: AGI, 14 agosto 2013)


Israele più forte con il suo gas

La Turchia potrà ridurre gli approvvigionamenti da Mosca

di Massimo Galli

Israele sta per diventare una potenza del gas. Grazie alla scoperta di ricchi giacimenti, il paese mediorientale sarà in grado di diventare autosufficiente sul versante energetico e di esportare ad altre nazioni. Non solo: l'intero contesto geopolitico, con ogni probabilità, dovrà essere ridisegnato a causa degli accordi che Tel Aviv potrebbe presto sottoscrivere con nuovi clienti come la Giordania.
I nomi strategici per Israele sono due: Tamar e Leviathan.
Sono i due giacimenti di gas, situati al largo di Haifa, nella parte orientale del Mediterraneo in cui altri paesi (Libano, Egitto, Cipro) dispongono di risorse proprie. La prima conseguenza del tesoro scoperto dagli israeliani è che essi saranno finalmente in grado di interrompere la dipendenza energetica con l'Egitto, che fino a tre anni fa forniva il 50% del gas.
D'ora in avanti, una volta avviato lo sfruttamento delle risorse interne, la musica è destinata a cambiare. Soltanto con Tamar, che contiene 282 miliardi di metri cubi di gas, Israele riuscirebbe a coprire il suo fabbisogno per un quarto di secolo. Poi c'è Leviathan, con altri 540 miliardi di metri cubi. Il governo ha deciso che 540 miliardi di metri cubi, pari al 60% del totale, serviranno a uso interno, mentre il resto andrà all'export.
Proprio quest'ultimo aspetto avrà notevoli ripercussioni sui rapporti con altri Stati e, indirettamente, su paesi che finora facevano il bello e cattivo tempo in quanto ricchi di materie prime: la Russia, per esempio. Infatti la Turchia, storico partner commerciale di Tel Aviv nonostante l'incidente diplomatico avvenuto nel 2010 con l'attacco della marina israeliana a un'imbarcazione turca diretta a Gaza, dipende per il 70% da Mosca. Ma Ankara è strategica anche per un altro motivo: l'80% del petrolio importato da Israele, proveniente da Russia e Azerbaigian, transita proprio sul territorio turco.
L'altro potenziale cliente di Israele nel gas è la vicina Giordania, rifornita quasi interamente dall'Egitto fino all'interruzione dei flussi provocati dagli attentati al gasdotto del Sinai. La strada sembra tracciata, anche se occorrerà muoversi con prudenza. Il re Abdullah II non vuole fornire alibi alle fazioni islamiche, pronte ad accusarlo di collaborare con il regime sionista. La questione potrebbe essere risolta evitando di mettere la firma israeliana sul progetto, che si concretizzerebbe in un export indiretto attraverso una compagnia terza.
Un altro tassello in questo complesso mosaico è rappresentato da Cipro, che, pur non avendo bisogno della materia prima israeliana, potrebbe fare da testa di ponte per le esportazioni di Tel Aviv verso il continente europeo. Per quanto riguarda invece l'Egitto, le sue vicissitudini legate all'ordine pubblico potrebbero costringerlo a rifornirsi anch'esso da Israele. Secondo un funzionario del ministero degli esteri israeliano, ciò porterebbe a un ulteriore passo verso la costruzione di un edificio bilaterale.
Infine, non va sottovalutato il ruolo della Palestina: le riserve marine di Gaza sono stimate in circa 38 miliardi di metri cubi. Ma i palestinesi dovranno tener conto delle esigenze di Israele: che Hamas non se ne approfitti e che lo stesso stato ebraico sia il principale cliente a prezzi di favore. Al momento, però, gli esperti non vedono le condizioni politiche e sociali affinché si sviluppi questo ricco affare.

(ItaliaOggi, 14 agosto 2013)


Jihadisti del Sinai: per Israele né sicurezza né turismo

Dopo il lancio di un razzo sull'aeroporto della città resort di Eilat

IL CAIRO - "Eilat e altre citta' israeliane non avranno sicurezza ne' turismo o crescita economica": e' la minaccia del gruppo jihadista che oggi ha rivendicato il lancio di un razzo sull'aeroporto della citta' resort di Eilat, sul Mar Rosso.
Il razzo e' stato intercettato e distrutto da Israele prima di raggiungere il bersaglio, secondo quanto riporta Al Jazeera citando la radio pubblica israeliana. Una portavoce dell'esercito israeliano ha confermato il tentato attacco e l'intercettazione del razzo per mezzo del sistema di difesa ''Iron Dome'' vicino alla cittadina di Eilat. Un gruppo affiliato ad Al Qaeda, il Mujahideen Shura Council, in un comunicato online ha rivendicato l'attacco avvenuto alle ore 01:00 locali, secondo Al Jazeera.

(ANSAmed, 14 agosto 2013)


«Israele nelle Alpi»: un libro e una mostra a Crissolo

   
Presentazione con Silvana Ghigonetto

di Andrea Garassino

CRISSOLO - «Israele nelle Alpi: i Levi alle sorgenti del Po» è il volume scritto dalla ricercatrice Silvana Ghigonetto. Sarà presentato stasera a Crissolo. Dà anche il titolo ad una mostra fotografica che sarà visitabile fino al 7 settembre nei locali della ex banca, di fianco al municipio. La presentazione dello studio sulla presenza ebraica nella vallata sotto il Monviso è al centro del libro. La storia sarà esposta anche attraverso le immagini di Renata Busettini, Aureliano Casale, Carlo Ferrari, Max Ferrero, Elisabetta Lucido, Pierlorenzo Marletto e Andrea Morello. L'appuntamento è dalle 21. Sarà presente l'autrice. Presentazione e mostra sono organizzate dalla Pro loco, dal Comune, dalla Comunità montana e da Chambra d'Oc.

(La Stampa, 14 agosto 2013)


Kerry invita i palestinesi a proseguire negoziati

Il Segretario di Stato americano John Kerry ha chiesto ai palestinesi di non "reagire negativamente" all'annuncio israeliano della costruzione di nuovi alloggi nelle colonie ebraiche in Cisgiordania e Gerusalemme Est, insistendo sull'importanza di "tornare al più presto" al tavolo dei negoziati.
Kerry ha sottolineato come l'annuncio fosse "in certo qual modo atteso" e che non dovrebbe divenire "un ostacolo" al processo di pace appena riavviato: "Una volta risolto il problema della sicurezza e delle frontiere si risolve anche quello degli insediamenti" ha spiegato, ricordando come gli Stati Uniti "considerino illegittimi tutti gli insediamenti in territorio palestinese", posizione ripetuta ieri "molto chiaramente" anche al premier israeliano Benjamin Netanyahu nel corso di una conversazione telefonica. I negoziati israelo-palestinesi - ripresi a fine luglio a Washington dopo un blocco di quasi tre anni - dovrebbero proseguire domani a Gerusalemme e poi a Gerico.

(Milano Finanza, 13 agosto 2013)


Tutto il mondo, anche l’alleato più importante di Israele, gli Stati Uniti, vuole che Gerusalemme sia divisa. Più precisamente, Kerry ha detto che gli Stati Uniti “considerano illegittimi tutti gli insediamenti in territorio palestinese", il che significa, come più volte ripetuto in questa sede, che il nocciolo del contendere non è politico, ma giuridico: le nazioni contendono allo Stato ebraico il diritto di considerare Gerusalemme, tutta Gerusalemme, una sua città, anzi come LA SUA città, la sua eterna, indivisibile capitale. Questo conferma il carattere biblico della contesa, e conferma che di carattere biblico sarà anche il suo esito. Quanto agli Stati Uniti, l’aiuto che Israele potrà ricevere da loro sarà anch’esso di carattere biblico, come quello ricevuto a suo tempo dall’Egitto: “un sostegno di canna rotta, che penetra nella mano di colui che vi si appoggia e gliela fora” (Isaia 36:6). M.C.


Un nuovo Sefer Torah per gli italiani di Tel Aviv

di Daniela Fubini, Tel Aviv

In una sera di mezza estate, come sempre affollata e piena di attività a Tel Aviv, il centro della città è stato chiuso al traffico per oltre due ore, fra Kikar Dizengoff e il Tempio dei giovani Italkim al numero 86 di Rehov Ben Yehuda. Centinaia di macchine fotografiche e cellulari hanno ripreso la fiumana di italiani, telavivesi e turisti che accompagnavano il nuovo Sefer Torah fino al Tempio, davvero come una sposa. Una bella festa lungo tutto il percorso: piena di musica, balli e facce abbronzate.
È già il terzo Sefer Torah ad entrare nel tempio del Minian Italkim di Tel Aviv. Da esattamente cinque anni il minian di giovani Olim dall'Italia si riunisce ogni sabato mattina al piano terra del palazzone di cemento, non bello forse ma molto centrale e - almeno durante l'anno - grande abbastanza per contenere una comunità che cresce ogni mese, e alla quale comincia ad aggiungersi a ritmo serrato la nuova generazione dei bambini nati in Israele. Il minian di Ben Yehuda, di rito tripolino o italiano a seconda dei chazanim, non è ancora entrato del tutto nella geografia degli italiani in Israele fuori da Tel Aviv; ma dopo questa Achnasat Sefer Torah festiva (e ampiamente riportata sulle pagine Facebook di organizzatori e partecipanti), anche chi non vive in centro saprà dove trovare gli italkim non lontano dalla tayelet.
Questo terzo Sefer, con il tik (la custodia) d'argento secondo l'uso sefardita, è stato donato da Salvino Glam, che vive fra l'Italia e Israele, e che lo ha voluto dedicare ai soldati caduti per difendere lo Stato d'Israele. Salvino ha fatto l'aliyah nel 1980 per poter fare i tre anni di servizio militare, ed era quindi un giovane soldato nel 1982 durante la guerra in Libano. Ha visto amici combattere e non tornare a casa, e con questo gesto ha voluto dare alle loro madri soprattutto e alle famiglie un segnale: non saranno dimenticati.
La festa è continuata dalla strada fin dentro al Tempio con la funzione, molto simile a quella di Simchat Torà, pochi discorsi e molti canti. Al rinfresco conclusivo la sala pareva non volersi svuotare. Buon segno, per un Minian che a soli cinque anni di età è un punto di riferimento per gli italkim dell'area di Tel Aviv.

(Notiziario Ucei, 13 agosto 2013)


Razzo dal Sinai verso Israele distrutto in volo

Un razzo lanciato dal Sinai, in Egitto, verso Israele, è stato individuato dagli intercettorri israeliani e distrutto in volo sulla città di Eilat.
La notizia del'intercettazione arriva dall'esercito israeliano, mentre la provenienza del razzo si desume dall' annuncio, nella notte, di un gruppo jihadista che rivendica il lancio dal Sinai come rappresaglia per un recente raid aereo nel Sinai egiziano.
Al Qaeda lo attribuisce a Israele, smentita sia da Gerusalemme che dal Cairo.

(Affari sul Web, 13 agosto 2013)

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Sventata una strage ad Eilat

Secondo alcuni esperti del IDF poteva essere una strage. Questa notte il sistema Iron Dome ha intercettato e distrutto un missile diretto sulla città israeliana di Eilat. In base alle pochissime dichiarazioni disponibili, il sistema antimissile israeliano sarebbe entrato in funzione una volta appurato che la traiettoria del missile nemico lo avrebbe portato a schiantarsi sul centro abitato di Eilat....

(Right Reporters, 13 agosto 2013)


L'Unione Europea finanzia sette nuovi palazzi di giustizia dell'Autorità Palestinese

Saranno costruiti a Qalqilia, Tubas, Salfeet, Dura e Halhoul

BRUXELLES, 13 ago - L'Unione Europea ha deciso di finanziare la costruzione di sette palazzi di giustizia e del quartier generale dell'associazione degli avvocati palestinesi, con un investimento di 21 milioni di euro. ''Attuare lo Stato di diritto é fondamentale per qualunque Stato moderno e democratico e deve anche essere alla base del futuro Stato della Palestina'' ha commentato il rappresentante Ue nella regione, John Gatt-Rutter.
L'alto Consiglio di giustizia in genere affitta edifici inadeguati e in cattive condizioni da adattare a sedi dei palazzi di giustizia. Nello sforzo di migliorare il servizio per il popolo palestinese e di fornire un ambiente adatto al lavoro di giudici e avvocati, l'Unione Europea contribuirà quindi alla costruzione di nuove strutture a Qalqilia, Tubas, Salfeet, Dura e Halhoul. I fondi europei serviranno anche a realizzare il quartier generale dell'associazione degli avvocati palestinesi.
L'avvio dei lavori è previsto ad aprile 2014. Negli ultimi tre anni l'Unione Europea ha già investito un totale di 35 milioni nel settore della giustizia nei Territori palestinesi. Oltre alle infrastrutture, fra le altre cose Bruxelles ha sostenuto i programmi dell'autorità palestinese nel campo degli aiuti legali e della giustizia minorile, lavorando anche con l'alto Consiglio di giustizia e con l'associazione degli avvocati, per migliorare i loro servizi.

(ANSAmed, 13 agosto 2013)


Come si può vedere, il “futuro Stato della Palestina” sta molto a cuore all’Europa.


La protesta degli israeliani: "Non liberate i terroristi"

Centinaia in piazza a Tel Aviv con le mani colorate di rosso. Sono i parenti delle vittime di attentati contro militari e civili

di Rolla Scolari

Le bandiere d'Israele, i cartelloni e le mani dei manifestanti sono imbrattate di vernice rossa. Si sono dati appuntamento in un parchetto a pochi metri dal quartier generale dell'esercito, a Tel Aviv.
I manifestanti non sono molti, neppure duecento, ma la loro richiesta in questi giorni è sulle prime pagine dei giornali israeliani. Sono contrari al rilascio di 26 prigionieri palestinesi che avviene oggi. È la prima di una serie di liberazioni (104 detenuti in tutto) e ha luogo a poche ore dalla ripresa, mercoledì, di colloqui diretti tra israeliani e palestinesi. Sulla prima lista di prigionieri che oggi fanno ritorno in Cisgiordania e a Gaza ci sono nomi di persone che hanno ucciso israeliani - soldati e civili - e palestinesi considerati collaboratori. Sono stati incarcerati prima degli Accordi di Oslo del 1994.
La loro liberazione è un evento che innesca forti emozioni, contrapposte, nella società israeliana e in quella palestinese, dove il rilascio di migliaia di detenuti è una delle condizioni richieste dall'Autorità nazionale per il ritorno alle trattative. «Siamo pazzi? Non lasciate andare gli assassini», è scritto su uno dei cartelloni alla protesta di Tel Aviv, dove sono molti i parenti delle vittime. Se in Israele i detenuti che saranno liberati oggi sono considerati «terroristi», nei Territori palestinesi saranno accolti da eroi della causa nazionale. «Per noi, questo è un prezzo troppo alto da pagare», spiega al Giornale Ayelet Tamam. Ha in mano il ritratto in bianco e nero di Moshe, suo cognato, «sequestrato e assassinato quando era soldato. Gli hanno sparato in testa, da dietro. Il suo corpo è stato ritrovato soltanto dopo quattro giorni». Era il 1984. La famiglia Tamam, come molti altri parenti delle vittime, ha firmato una petizione contro le scarcerazioni presentata alla Corte suprema, come già avvenuto nell'autunno del 2011 quando, per il rilascio del soldato Gilad Shalit, sequestrato a Gaza, Israele aprì le porte delle carceri a oltre mille detenuti palestinesi.
Le liberazioni di oggi - che trovano resistenza anche all'interno della stessa coalizione del premier Benjamin Netanyahu - sono una concessione israeliana alla vigilia della ripresa dei colloqui. Anche se favorevoli alla pace, molti parenti delle vittime non riescono ad accettarla, dice Ayelet: «Se fossimo sicuri che le scarcerazioni arrivano prima di un vero accordo, non sarei contraria, ma avvengono prima di semplici colloqui dall'esito incerto».
Se tra le famiglie c'è chi teme che i detenuti una volta liberi possano commettere nuovi atti di violenza, c'è anche chi pensa che il rilascio sia necessario. Il figlio di Robi Damelin è stato ucciso nel 2002 da un cecchino palestinese mentre era di guardia a un check point nei pressi di un insediamento. Oggi, sua madre è attiva in un'associazione di palestinesi e israeliani che hanno perso familiari a causa del conflitto. Non era alla protesta di Tel Aviv perché non si oppone alle liberazioni di oggi, le appoggia, come spiega al Giornale: «È così difficile per me dire questo, ma Israele deve capire che se vogliamo la pace, il rilascio di prigionieri è importante quanto la terra e il ritorno dei rifugiati per i palestinesi. Penso ai miei nipotini: non ci deve essere vendetta».
La conferma della scarcerazione dei primi 26 prigionieri è arrivata domenica. Lo stesso giorno, Israele ha annunciato la costruzione di circa mille nuove unità abitative a Gerusalemme est e in Cisgiordania. La leadership palestinese ha criticato subito la mossa israeliana, parlando di «sabotaggio» degli sforzi americani per tornare al negoziato. E anche l'Unione Europea ha usato toni duri dichiarando che «gli insediamenti minacciano la soluzione a due Stati».

(il Giornale, 13 agosto 2013)


Coppa Davis: Israele multato perché non vuole giocare durante lo Yom Kippur

di Alessandro Mastroluca

La federazione israeliana è stata multata di 10 mila dollari per aver chiesto di modificare le date dello spareggio per il World Group contro il Belgio ad Anversa, in modo da non giocare durante lo Yom Kippur. Il Giorno dell'Espiazione è infatti la festività più sacra e importante del calendario ebraico, che segna la fine dei "Dieci giorni dell'Espiazione", e concede agli ebrei l'ultima opportunità di ottenere il perdono e l'assoluzione dai propri peccati per l'anno appena giunto al termine. E' un giorno di digiuno e preghiera, celebrato il 10 di Tishrei, 10 giorni dopo Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico. Quest'anno la festa cade sabato 14 settembre, nel giorno in cui si sarebbe dovuto disputare il doppio tra Belgio e Israele.
La federazione belga aveva inizialmente rifiutato di modificare le date del playoff, ma l'intervento dell'ITF ha consentito una piccola deroga: primi singolari giovedì 12, doppio venerdì 13 e ultimi singolari domenica 15. La federazione israeliana, però, deve pagare i costi aggiuntivi per il quarto giorno di gare.
"La federazione israeliana è un'organizzazione senza scopo di lucro" ha scritto in un comunicato il presidente Asi Touchmair, "che usa tutti i suoi fondi per aiutare i giocatori e promuovere il tennis in Israele. Questa multa è un colpo pesante per il bilancio del programma destinato ai tennisti e al tennis professionistico israeliano. Siamo un'istituzione che rappresenta lo Stato di Israele e i suoi valori e ne siamo fieri, di fronte a tutti coloro che rifiutano di riconoscere l'importanza della tradizione ebraica".
Un'episodio analogo si era già verificato nel 2010, quando Israele perse al quinto e decisivo singolare contro l'Austria.

(Quotidiano.net, 12 agosto 2013)


Hamas definisce "futili" i negoziati di pace

Abu Mazen e il suo entourage non hanno alcuna legittimità

GAZA, 12 ago. - Hamas, al potere nella Striscia di Gaza, ha giudicato "futile" la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi, che dovrebbe partire mercoledì.
"Ribadiamo il nostro rifiuto di questi negoziati futili e li consideriamo come un mezzo per l'occupante (Israele) di far bella figura sulla scena internazionale", ha affermato Mahmoud al Zahar, uno dei dirigenti di Hamas, durante una conferenza stampa.
Il presidente palestinese Abu Mazen e il suo staff di negoziatori non hanno "alcuna legittimità" per rappresentare il popolo palestinese nei negoziati, ha sottolineato Zahar, lanciando un appello "al popolo palestinese a unirsi contro questi negoziati criminali".
Hamas ha respinto l'annuncio del 19 luglio del segretario di stato americano John Kerry su un accordo di principio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e di Abu Mazen per riprendere i negoziati di pace.

(TMNews, 12 agosto 2013)


La striscia di Gaza fa parte della futura Palestina, o no? Abu Mazen rappresenta anche Gaza, o no? Ma con chi dovrebbe trattare il Primo Ministro dello Stato d’Israele?


I "fratelli" islamici di Papa Francesco uccidono i cristiani

di Magdi Cristiano Allam
   
   
Dopo Giovanni Paolo II che abbatté il muro di un millenario pregiudizio definendo gli ebrei «nostri fratelli maggiori» nel corso della sua storica visita alla Sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, ieri Papa Francesco ha definito i musulmani «nostri fratelli» nell'Angelus a Piazza San Pietro rivolgendo loro un messaggio in occasione della festa della fine del Ramadan, il mese del digiuno islamico. Ebbene, se è indubbio il legame teologico tra ebraismo e cristianesimo dato che Gesù era ebreo e il cristianesimo fa proprio l'Antico Testamento, all'opposto l'islam- affermatosi 7 secoli dopo - si fonda sulla negazione della verità divina dell'ebraismo e del cristianesimo concependosi come la religione che rettificherebbe le loro devianze, completando la rivelazione e suggellando la profezia.
   Se «nostri fratelli» fosse usato in senso lato riferito alla nostra comune umanità le parole del Papa sarebbero ineccepibili. Ma se «nostri fratelli» è calato in un contesto teologico allora si scade nel relativismo religioso che annacqua l'assolutezza della verità cristiana mettendola sullo stesso piano dell' ideologia islamica che è fisiologicamente violenta al punto da non concepire Allah come «padre» e i fedeli come «figli», bensì come un'entità talmente trascendente da non poter neppure essere rappresentata e nei cui confronti dobbiamo esclusivamente totale sottomissione. Solo nell'ebraismo e soprattutto nel cristianesimo, la religione del Dio che si è fatto uomo e dell'uomo concepito a immagine e somiglianza di Dio, Dio è padre, noi tutti siamo suoi figli e tra noi siamo fratelli.
   Papa Francesco all'Angelus dopo aver sostenuto che il cristiano «è uno che porta dentro di sé un desiderio grande, profondo: quello di incontrarsi con il suo Signore insieme ai fratelli, ai compagni di strada», ha rivolto «un saluto ai musulmani del mondo intero, nostri fratelli, che da poco hanno celebrato la conclusione del mese di Ramadan, dedicato in modo particolare al digiuno, alla preghiera e all'elemosina». Se i musulmani sono «nostri fratelli» e se la missione del cristiano è «incontrarsi con il suo Signore insieme ai fratelli», ci troviamo di fronte a un quadro teologico che mette sullo stesso piano cristianesimo e islam, considerandoli come due percorsi diversi ma che conducono entrambi allo stesso Dio.
   Nel suo messaggio ai «musulmani del mondo intero» del 10 luglio, il Papa ha scritto: «Venendo ora al mutuo rispetto nei rapporti interreligiosi, specialmente tra cristiani e musulmani, siamo chiamati a rispettare la religione dell'altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori», specificando «senza fare riferimento al contenuto delle loro convinzioni religiose». Francesco aggiunge: «Uno speciale rispetto è dovuto ai capi religiosi e ai luoghi di culto. Quanto dolore arrecano gli attacchi all'uno o all'altro di questi!». Ebbene se si mette sullo stesso piano cristianesimo e islam concependole come religioni di pari valenza e dignità senza però entrare nel merito dei loro contenuti, così come se si denuncia la violenza che si abbatte contro i capi religiosi e i luoghi di culto senza specificare che si tratta della violenza islamica ai danni dei cristiani, il risultato è che il Papa da un lato legittima l'islam che si concepisce come l'unica vera religione e, dall'altro, mostra arrendevolezza nei confronti del terrorismo e dell'invasione islamica che dopo aver sottomesso all'islam le sponde meridionale e orientale del Mediterraneo stanno ora aggredendo la nostra sponda settentrionale.
   Il relativismo religioso è evidente anche nel messaggio rivolto dal cardinale Angelo Scola ai musulmani lo scorso 8 agosto in cui si legge: «La fedeltà ai precetti delle nostre rispettive tradizioni religiose, quali la preghiera e specialmente il digiuno da voi osservato nel mese di Ramadan, ci infonda fiducia e coraggio nel promuovere il dialogo e la collaborazione intesi come frutto necessario dell'amore di Dio e del prossimo, i due pilastri biblici e coranici di ogni autentica spiritualità». Concepire una continuità e un raccordo teologico tra ebraismo, cristianesimo e islam fondato sull'amore di Dio e del prossimo, è solo un auspicio contraddetto giorno dopo giorno dai fatti.
   Il caso di padre Paolo Dall'Oglio, gesuita come il Papa, acceso relativista che ha a tal punto sostenuto la causa dell'islamizzazione della Siria da essere stato cacciato dal governo di Assad ma che ciononostante è stato sequestrato dai terroristi islamici siriani, ci conferma che gli islamici non rinunceranno mai a sottomettere i cristiani, gli ebrei, gli infedeli all' islam così come impongono loro Allah nel Corano e Maometto. Proprio ieri, mentre il Papa a Roma definiva i musulmani «nostri fratelli», i musulmani in Egitto hanno bruciato una chiesa e 17 case di cristiani. Mentre la fine del Ramadan in Irak è stata festeggiata dai terroristi islamici sunniti con 10 autobombe causando la morte di 70 persone.
   Certamente il cristianesimo e la nostra comune umanità ci portano ad amare il prossimo a prescindere dalla sua fede, ideologia, cultura o etnia, ma l'adozione del relativismo religioso si traduce nel suicidio del cristianesimo e della nostra civiltà che ha generato i diritti fondamentali della persona e la democrazia.

(il Giornale, 12 agosto 2013)


Fa tenerezza vedere con quale calore Magdi Allam sembra sorprendersi con indignazione del "relativismo" del papa. Una squadra di teologi cattolici sarebbe certamente pronta a scendere in campo per “dimostrare” all’impudente accusatore che lui non capisce niente, perché le parole di un papa raggiungono una tale altezza morale da renderle irraggiungibili dalle banali, terrestri, politiche obiezioni di chi non sa né può abbracciare con un unico sguardo panoramico, dall’alto della posizione divina che occupa, l’intero paesaggio universale dell’umanità, nel tempo e nello spazio. Ma poi, si capisce davvero qualcosa di quello che è veramente la Chiesa Cattolica facendo l’analisi logico-semantica delle parole di un papa? Il papa certamente è pronto a respingere l’accusa di relativismo: un assoluto nella dottrina cattolica esiste, e può essere sintetizzato così: “La Cattedra di San Pietro sta al centro del mondo”. Questo è l’assoluto che deve rimanere incontrastato, quali che siano le vicende politiche mondiali che si susseguono nella storia. Rimandiamo a un articolo con questo titolo scritto qualche anno fa in occasione della visita ad Auschwitz dell’allora papa Ratzinger: Notizie su Israele 349. M.C.


Oltremare - Kaveret, significa alveare ma è una band
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Traffico micidiale, tutta Tel Aviv nord è un immenso pkak (ingorgo: bell'onomatopea, trovo). Ai bordi del Park HaYarkon i pedoni vanno parecchio più veloci delle macchine, e se la prendono anche calma. Entrata ai cancelli alle 18:30, un'afa da sfiancare anche i quindicenni, quasi due ore e mezza di attesa in mezzo a 50.000 spettatori, in piedi naturlamente. Il volume del sudore prodotto potrebbe tenere vivo il verde del parco per una settimana.
Tutti qui a vedere una band rock, oppure pop, oppure no, non è chiaro, attiva fra il 1973 e il 1977. Sul serio. Il più giovane sul palco ha 62 anni, il più vecchio credo 64. E certo, si sono conosciuti tutti e sette durante il servizio militare, logico che abbiano la stessa età. Questa è probabilmente la loro ultima riunione, tutti attempati e più che di successo, ciascuno con la sua carriera di solista dopo il '77.
Il giorno stesso del concerto si libera un biglietto (erano stati venduti tutti e 50.000 in meno di un'ora, un mese fa), decido che vado, e parto all'avventura con amici già muniti di biglietti. Perchè non è una band qualunque - non è neanche Arik Einstein (che se ritornasse a cantare ne riempirebbe ancora oggi dieci, di Park HaYarkon), ma l'attesa premia, si sa.
E' la mitologica (in senso letterale) Kaveret, la band che fa cantare tutto il santo popolo d'Israele all'unisono, parola per parola, tutte le canzoni del repertorio. Intorno a me c'è un mare tranquillo e sorridente di israeliani con kippà e senza, dagli zero agli ottant'anni, famiglie di tre generazioni compatte, e cantano tutti dall'inizio alla fine del concerto. C'è da domandarsi se siano venuti ad ascoltare o a farlo loro, il concerto. I più preparati sono gruppetti di teen-ager che non smettono di saltellare, mai. La cosa buffa è che canto anch'io. Grazie a radio Galgalaatz, la radio più nazionalpopolare che ci sia, le canzoni della Kaveret le ho imparate anche io, senza saperlo.
Quando si dice l'osmosi.

(Notiziario Ucei, 12 agosto 2013)


Musica Nuova Festival: Concerto d'estate klezmer a Senigallia

   
SENIGALLIA - L'Associazione Musica Antica e Contemporanea continuerà con il quarto appuntamento della rassegna di musica contemporanea Musica Nuova Festival XXII edizione 2013 con la direzione artistica del Mo Roberta Silvestrini, presentando, martedì 13 agosto il tradizionale "concerto d'estate…klezmer contemporaneo" presso la storica Torre Albani di Montignano alle ore 21.30.
Il concerto, in collaborazione con il Comune di Senigallia, l'Assessorato alla Cultura, il Centro Sociale Adriatico di Marzocca, la Biblioteca Luca Orciari e l'associazione Fidapa di Senigallia, ospiterà il duo Klezmer composto dai maestri: Cristian Riganelli - Fisarmonica - e Massimo Mazzoni - Sassofono.
Un concerto da non perdere con un organico e repertorio accattivanti in una cornice storica e panoramica fuori città, il direttore artistico ringrazia i proprietari della Torre Albani.
In caso di cattivo tempo il concerto sarà presso la chiesa San Giovanni Battista di Montignano.

(VivereSenigallia, 12 agosto 2013)


Morto il criminale nazista Csatari

Aveva 98 anni. Centro Wiesenthal: era un aguzzino

ROMA, 12 ago. - Il decesso è avvenuto per polmonite. Csatari, con la morte, riesce paradossalmente a sfuggire ancora una volta alla giustizia, come ha fatto per tutta la sua vita dopo la fine della seconda guerra mondiale.
"E' morto sabato mattina in ospedale, dov'era stato ricoverato per dei mali intestinali e alla fine aveva contratto una polmonite", ha precisato il suo legale.
Csatari era stato arrestato a Budapest a luglio 2012. All'epoca figurava in testa alla lista dei criminali di guera nazisti più ricercati al mondo dal Centro Simon Wiesenthal.
"Picchiava regolarmente gli ebrei a mani nude o con una frusta senza alcuna ragione e senza alcun riguardo per l'età, il sesso o lo stato di salute dei detenuti", spiegava nell'accusa la procura ungherese.
Csatari, dal canto suo, s'è sempre protestato innocente. A un anno dal suo arresto, diversi ostacoli giuridici hanno impedito che comparisse4 sul banco degli accusato in una colrte slovacca.
Condannato a morte in contumacia nel 1948 a Kosice, nell'allora Cecoslovacchia, Csatari s'era rifugiato in Canada dove aveva fatto il mercante d'arte. Nel 1995 le autorità canadesi avevano scoperto la sua identità e lui, allora, era scappato in Ungheria, dove ha vissuto liberamente fino al suo arresto.
Il tribunale di Kosice ha commutato ad aprile 2013 la sua pena di morte in ergastolo, dal momento che la pena capitale è stata abolita in quel paese. Questo aveva aperto una possibilità che Bratislava potesse ottenere l'estradizione da Budapest.

(TMNews, 12 agosto 2013)


Bet Chabad
Rinnovato il Bet Chabad nel centro di Roma

ROMA - Un anno fa apriva le porte il centro Chabad nell'ex-Ghetto di Roma, chiamato semplicemente "Piazza". L'iniziativa è partita da Rav Itzchak Hazan, direttore di Chabad Roma, poiché ormai da diversi anni si sentiva la mancanza di un Bet Chabad (Casa Chabad) nel centro di Roma. Qualche mese fa, Rav Hazan ha lasciato la responsabilità del centro ai nuovi emissari Rav Aaron e Zelda Leotardi, che l'hanno intitolato "Chabad Piazza".
Il centro è un punto di studio e di informazione per gli ebrei e i non-ebrei di Roma, ma anche dei tantissimi visitatori che vi passano davanti quotidianamente.
In questi giorni è stata completata la ristrutturazione del centro, con nuove insegne sulla porta, che descrivono le dieci Mitzvot che il Rebbe ha incoraggiato a diffondere, opuscoli informativi in varie lingue, una postazione per fare la mitzvà dei tefillin, tzedakà e coppie di candele per Shabbat per chiunque ne abbia bisogno.
Indirizzo: Via S. Maria del Pianto, 5 - Roma.
Telefono: 328 3889057.

(Chabad.Italia, 12 agosto 2013)


Il rabbino Levi: "Gino Bartali 'Giusto tra le Nazioni’? Spero presto"

Il grande campione di ciclismo dovrebbe essere inserito nell'elenco che rende onore ai non ebrei che hanno agito in modo eroico per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista. Una richiesta ribadita dal sindaco Matteo Renzi.

FIRENZE, 11 ago. - Sembra vicino per Gino Bartali il traguardo del riconoscimento tra i "Giusti delle nazioni".
Il grande campione di ciclismo, infatti, è noto non solo per le sue grandi vittorie ma anche per la sua attività per salvare la vita agli ebrei negli anni tragici dell'Olocausto.
Nel suo intervento in occasione dell'anniversario della liberazione di Firenze dall'occupazione nazifascista, il sindaco Matteo Renzi aveva ricordato l'impegno della città affinché Bartali venga riconosciuto come "Giusto fra le nazioni" ed è il rabbino di Firenze, Joseph Levi a confermare che "Probabilmente ben presto Gino Bartali sara' riconosciuto fra i 'Giusti delle nazioni'''.
Negli anni 1943-44, durante gli allenamenti tra Toscana, Umbria e Emilia Romagna, Bartali nascondeva nella bici documenti falsi, per salvare la vita agli ebrei. ''Ci vuole ancora un po' di tempo - ha spiegato Levi - ma non molto. A breve, l'apposita commissione dovrebbe comunicare l'esito delle sue indagini e ho modo di sperare che sara' positivo''.

(Il Giorno, 11 agosto 2013)


Netanyahu operato di ernia ombelicale: sarà dimesso oggi

GERUSALEMME, 11 ago. - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è stato sottoposto stanotte con successo a un intervento per un'ernia ombelicale. Lo fa sapere il suo ufficio, spiegando che si trova ora in un ospedale di Gerusalemme e dovrebbe essere dimesso oggi stesso. Si è trattato di un intervento non previsto. Al primo ministro è stata infatti diagnosticata l'ernia dal suo team medico ieri, dopo che aveva avvertito dolore. Netanyahu è stato sottoposto a un'anestesia generale e, per le poche ore in cui era in stato di incoscienza, il ministro della Difesa Moshe Yaalon è stato nominato premier facente funzioni.
La riunione settimanale del Consiglio dei ministri di domenica è stata rimandata. Sarà invece Yaalon a presiedere al posto di Netanyahu un meeting ministeriale sulla questione dei prigionieri palestinesi: i ministri dovrebbero approvare il rilascio di 26 prigionieri palestinesi nell'ambito dei colloqui di pace fra israeliani e palestinesi mediati dagli Stati Uniti, che cominciano questa settimana. Il nuovo round comincerà il 14 agosto a Gerusalemme e sarà seguito da un ulteriore incontro a Gerico, in Cisgiordania. Ai colloqui sarà presente l'inviato speciale Usa per il Medioriente, Martin Indyk.

(LaPresse, 11 agosto 2013)


Tsad Kadima - Un nuovo passo avanti

  Servizio Rai2 del 2010
Nuova edizione di successo, la prima settimana di agosto, per il campeggio estivo di Tsad Kadima, associazione che educa e riabilita giovani cerebrolesi in Israele, al quale hanno partecipato 35 ragazzi nel Kibbuz Hanaton in Galilea.        Il campeggio brillantemente diretto da Orit, conduttrice diplomata, e Dana, esperta in rieducazione attiva, coadiuvate da una folta schiera di collaboratori e volontari, ha rappresentato un'oppurtunità per i ragazzi di incontrare i conduttori dei diversi programmi, definire prospettive personali, controllare i progressi di ognuno, correggere difetti e lacune e sviluppare nuove capacità. Ogni giorno si sono svolte varie attività, programmi di idroterapia avanzata e worshop ricreativi come teatro, cucina, attività manuali e musicali. Al centro delle attività giornaliere la fatidica marcia mattutina e l'attività motoria in palestra ma anche lunghe conversazioni sulle possibilità di integrazione parziale o totale nella vita pubblica. "Il campeggio e' un luogo di duro lavoro" ha detto Yoel Viterbo nel commentare lo sforzo fisico necessario per seguire le varie attività educative che vi si sono svolte.
Anche quest'anno il campeggio è stato parzialmente finanziato da amici e associazioni italiane che hanno risposto all'appello lanciato al fine di aiutare un progetto che non ha altre fonti di sostegno finanziario.

(Notiziario Ucei, 11 agosto 2013)


Egitto: famiglie costrette dalla Fratellanza Musulmana a stare in piazza

E' un sistema mafioso quello usato in Egitto dalla Fratellanza Musulmana per costringere intere famiglie, bambini compresi, a rimanere in piazza in attesa dello sgombero forzato dei siti dove i sostenitori della Fratellanza Musulmana, o presunti tali, si sono radunati.
Secondo quanto ci viene riferito da volontari sul posto, moltissime persone che attualmente sono in piazza Rabaa e Nahda provengono dai villaggi del delta del Nilo e del sud dell'Egitto e non quindi dal Cairo. Per lo più sono contadini che dietro alla promessa di un pagamento sono stati portati con dei pulman dalla Fratellanza Musulmana nelle piazze oggetto delle manifestazioni a favore di Mohamed Morsi. A seguito dei diversi ultimatum lanciati dal nuovo governo per lo sgombero pacifico delle piazze, moltissime di queste persone volevano lasciare i siti delle manifestazioni e tornare a casa con i loro figli. Ma il servizio di sicurezza dei Fratelli Musulmani ha impedito loro di allontanarsi, a volte con la bugia che i militari non li avrebbero fatti passare, altre volte con la violenza e le minacce....

(Right Reporters, 11 agosto 2013)


Belgio: il partito Islam promette di instaurare la sharia

E parte la protesta dei residenti

di Salvatore Antonaci

Una delle grandi novità nel panorama politico continentale è senza dubbio rappresentato dalla nascita di partiti di ispirazione islamista che puntano a raccogliere il consenso degli elettori di fede maomettana. Oltre alla Spagna, anche i paesi scandinavi Norvegia, Svezia e Finlandia si sono incamminati su questa via concedendo ai neomovimenti il nullaosta per concorrere alle elezioni legislative pur in presenza di piattaforme programmatiche piuttosto ambigue per non dire inquietanti. Il riferimento, ovviamente, è alla sharia, l'applicazione integrale della legge islamica che rimane l'obiettivo ultimo, anche se minimizzato dai promotori, oltre alla presenza come da corollario di norme censorie piuttosto severe a riguardo delle libertà personali.
Il Belgio, stato ormai a vocazione multiculturalista, non fa eccezione a questo canovaccio con , però, una significativa differenza. Mentre , infatti, nei paesi citati, i riscontri in termini di voti si sono rivelati estremamente esigui ( non più di qualche centinaio di preferenze e percentuali risibili da prefisso telefonico internazionale), a Bruxelles, o meglio nella regione limitrofa alla capitale, "Islam", questa la scarna denominazione della formazione, è riuscito ad eleggere i primi consiglieri municipali nel corso della recente tornata di consultazioni amministrative. I due municipi nei quali è avvenuto l'exploir, Anderlecht e Molembeek, sono finiti spesso e malvolentieri negli articoli di cronaca per via delle crescenti tensioni tra gli abitanti ed i frequenti episodi di cronaca nera.
Ufficialmente i media ed i partiti istituzionali, con l'eccezione della destra populista del Vlaams Belang, hanno preferito glissare sull'evento giudicandolo alla stregua di analoghi fenomeni riguardanti l'evoluzione della democrazia rappresentativa moderna. Evidentemente non la pensano allo stesso modo i residenti autoctoni delle due cittadine che hanno da subito attivato una petizione popolare online che ha raccolto più di novemila firme in meno di due giorni. L'obiettivo della mobilitazione è quello di mettere fuori legge "Islam" poichè (si legge in calce ala richiesta) "uno degli eletti ha espresso il proprio auspicio acchè il Belgio divenga uno stato islamico ed introduca la sharia, in totale opposizione alle leggi democratiche belghe ed europee".
Isteria dettata da pregiudizi xenofobi? Parrebbe di no dalle affermazioni rilasciate dal neoconsigliere in questione ad un giornale nazionale. Costui dopo aver ricordato che il suo è un partito democratico, tollerante e quant'altro, ammette, tuttavia, che: "Vogliamo spiegare la Legge islamica e, se il popolo lo vorrà, instaureremo la sharia per via referendaria entro 10, 15 o 20 anni. Oggi, senza dubbio è troppo presto. la società non è pronta: dovremmo tagliare troppe mani". Altre perle dall intervista riguardano il favore alla pena capitale per "i reati particolarmente odiosi", il divieto di ambienti di lavoro e socializzazione misti per uomini e donne e l'opzione del matrimonio per gli adolescenti onde "scoraggiare l'utilizzo di contraccettivi già a partire da 12 anni".
Chiamatelo, se volete, Kulturkampf.

(l'Indipendenza, 11 agosto 2013)


Conto alla rovescia per lo sgombero delle piazze in Egitto

Blindati dell'esercito hanno bloccato al Cairo le strade intorno alle piazze simbolo della rivolta contro la destituzione di Mohamed Morsi, in quello che appare l'inizio dell'operazione per sgomberare i sit-in organizzati dai sostenitori dell'ex presidente egiziano. Giallo sul raid nella zona del Sinai.

IL CAIRO - Le aree di piazza Rabaa e Nahda, gremite di decine di migliaia di pro-Morsi, sono state monitorate nel corso della giornata dagli elicotteri militari, mentre numerosi testimoni riferivano di un massiccio dispiegamento di agenti. Il generale Sarwat Gouda, ex comandante dei servizi segreti egiziani, ha assicurato al quotidiano al Masry Alyom che lo sgombero "inizierà entro le prossime 24 ore", probabilmente alle prime luci dell'alba. Per il blitz sarebbero state mobilitate 120 brigate dei servizi di sicurezza centrali oltre a migliaia tra poliziotti e reclute. Nei dintorni delle piazze dei pro-Morsi sono stati osservati poi pullman che presumibilmente serviranno "a trasferire i manifestanti".
Piazza Tahrir, simbolo della Primavera araba e del movimento anti-Morsi, si è improvvisamente affollata di attivisti, dopo giorni in cui era apparsa sostanzialmente deserta. Le immagini delle tv satellitari panarabe, che da giorni seguono in diretta quanto accade a Rabaa e Nahda, mostrano decine di migliaia di pro-Morsi assiepati sotto ai palchi da cui gli oratori invitano a resistere e da cui gridano le parole d'ordine di queste settiamne: "Morsi torni al potere, i militari vadano via".
I leader rimasti a piede libero dei Fratelli musulmani e del loro braccio politico, il partito Giustizia e libertà (Fjp), hanno ribadito nelle ultime ore che "dovranno ucciderci tutti", e che "il nostro martirio sarà l'inizio di una nuova rivoluzione". Infuocano le platee evocando Gandhi, e una resistenza pacifica, ma gia' da ieri il clima gioioso nelle piazze è cambiato, i manifestanti hanno rafforzato barricate e controlli. Il 'servizio d'ordine', costituito da centinaia di volontari, è divenuto più visibile e minaccioso. Anche gli anti-Morsi non stanno con le mani in mano: già oggi sono scesi in piazza, a Beni Suef un centinaio di chilometri a sud del Cairo, per esprimere il proprio sostegno a militari e polizia.
Per domani è prevista una grande mobilitazione ad Alessandria "per cacciare dagli incarichi pubblici tutti i Fratelli musulmani". Incerto come si comporteranno nella capitale, dove festeggiano le notizie sul possibile inizio dell'operazione di sgombero con i fuochi d'artificio e le loro canzoni-inno, che inondano di decibel tutta l'area attorno a Tahrir. Resta sullo sfondo il raid compiuto contro i miliziani jihadisti in Sinai: dopo una serie di smentite, fonti delle forze di sicurezza citate dall'agenzia ufficiale Mena e rilanciate dalla tv di Stato, hanno rivelato che è stato un elicottero Apache egiziano a colpire un gruppo di combattenti che si preparava a lanciare missili contro "centri vitali del Sinai".
In un primo momento si era parlato di un drone israeliano entrato in azione all'indomani dell'allarme che aveva costretto le autorità dello Stato ebraico a chiudere lo scalo di Eilat - nei pressi del confine - ai voli in arrivo, dopo una potenziale minaccia terroristica che secondo l'agenzia palestinese Maan era stata comunicata agli 007 israeliani dai colleghi egiziani. Ma l'ipotesi che un velivolo israeliano avesse violato lo spazio aereo aveva scatenato la ridda di accuse al governo provvisorio, indicato come connivente con Israele, alimentando gli strali dei Fratelli musulmani e del vasto fronte anti-israeliano in Egitto. Al Cairo scende la notte, il rischio che la crisi sfoci in un bagno di sangue sembra sempre più concreto.

(RaiNews24, 10 agosto 2013)


La storia di Rawabi

Cioè la prima città palestinese costruita da zero, vicino a Ramallah

Rawabi
La parola rawabi nella lingua araba significa colline. Rawabi è anche il nome della prima città palestinese progettata per essere costruita da zero in Cisgiordania. Il nome è stato pensato da due studenti e scelto in un concorso: vennero scartati nomi come Arafat City o Jihad City.
Rawabi sarà vicina alle città di Birzeit e Ramallah: il progetto prevede la costruzione di circa diecimila abitazioni, suddivise in 6 quartieri. La superficie complessiva sarà di circa 6,3 chilometri quadrati, e la città potrà ospitare una popolazione di circa 40 mila persone. I lavori sono iniziati nel 2010: i cantieri si trovano tra due colline, a 700 metri di altezza dal livello del mare. L'autorità palestinese non ha dovuto ottenere l'approvazione di Israele per la costruzione di Rawabi, perché l'area ricade interamente nella zona 'A' della Cisgiordania, che è sotto il controllo palestinese in base agli accordi di Oslo del 1994.
   La costruzione di Rawabi rappresenta il più grande progetto d'investimento privato in Palestina: è guidato dall'uomo d'affari Bashar Masri ed è finanziato dalla Diar Real Estate, il fondo d'investimento immobiliare di proprietà del governo del Qatar. Il costo totale è stimato intorno agli 850 milioni di dollari. Oltre alle case, il progetto prevede anche la costruzione di aziende tecnologiche, farmaceutiche e sanitarie, in grado di offrire tra i tremila e i cinquemila posti di lavoro.
   Inoltre, la zona residenziale sarà circondata da banche, negozi, benzinai, uffici, otto scuole, parchi giochi, due moschee, una chiesa, un ospedale, hotel e cinema. I responsabili delle vendite degli edifici hanno detto di aver già venduto 600 appartamenti, soprattutto tra palestinesi della classe medio-alta, che si insedieranno all'inizio dell'anno prossimo: i prezzi degli appartamenti vanno dai 60 mila ai 200 mila dollari, tra il 15 e il 20 per cento in meno dei prezzi delle case di Ramallah.
   Il New York Times racconta però che, nonostante l'inizio dei lavori e un progetto ambizioso sostenuto da investitori importanti, la costruzione di Rawabi è molto complicata, a causa di un ambiente politico precario e della complicata cooperazione con Israele. Bashar Masri ha detto che, a causa della posizione della città, nella zona manca spesso l'acqua e ottenere alcuni permessi è molto difficile. Inoltre, i fondi promessi dall'autorità nazionale della Palestina, 150 milioni di euro, non sono mai arrivati.
   La zona di Rawabi è parecchio isolata e nell'intero territorio controllato esclusivamente dalle autorità palestinesi non ci sono porti o aeroporti: Amir Dajani, vicedirettore generale della Bayti Real Estate Investment Company, ha spiegato che la società sta spendendo circa 90 milioni di dollari all'anno per acquistare in Israele materiali essenziali come il cemento, e il fatto che non ci siano collegamenti diretti per arrivare in Palestina fa sì che tutte le importazioni passino attraverso le zone della Cisgiordania che sono controllate da Israele. L'accesso è garantito da un accordo con lo Stato di Israele, che va rinnovato ogni anno.
   Anche i progetti per la fornitura dell'acqua sono ancora bloccati: le infrastrutture passano attraverso il territorio israeliano e il Palestinian Boycott Divestment and Sanctions National Committee, un comitato palestinese che si oppone a ogni forma di collaborazione con Israele, ha più volte interrotto le trattative, accusando tra l'altro Masri di pensare soltanto ai propri interessi privati a scapito dei diritti dei palestinesi.
   Alcuni funzionari del progetto hanno detto che la completa realizzazione di Rawabi potrebbe rappresentare una possibile attrazione per gli investimenti internazionali nei territori palestinesi. Al momento, nonostante i tanti soldi donati da diversi paesi per la costruzione di Rawabi, hanno iniziato a collaborare al progetto poche aziende straniere.

(il Post, 11 agosto 2013)


Lo Zimbabwe ha firmato un accordo per fornire uranio a Teheran

Il governo dello Zimbabwe ha firmato un accordo con l'Iran per la vendita dei materiali - in particolare uranio - necessari all'assemblaggio di un'arma nucleare, in aperta violazione con le sanzioni internazionali. Lo ha rivelato un importante esponente di governo al Times. L'intesa sottoscritta da Harare e Tehran è destinata a provocare il risentimento della Comunità internazionale, per il tentativo di aggirare le dure sanzioni occidentali imposte ai due regimi. Gift Chimanikire, vice ministro dello Zimbabwe per le risorse minerarie, ha sottolineato che è stato firmato un memorandum di intesa per esportare uranio a Teheran, malgrado il monito dell'Occidente sulle gravi "implicazioni" se un accordo del genere fosse stato portato avanti. Secondo il ministro, l'intesa è stata trovata lo scorso anno. Alcuni analisti hanno però osservato che le riserve di uranio dello Zimbabwe non sono allo stato attuale ancora pronte per l'esportazione. Robert Mugabe, proclamato la scorsa settimana vincitore delle elezioni presidenziali dello Zimbabwe, ha in passato appoggiato le ambizioni nucleari di Teheran. Chimanikire dovrebbe dimettersi la settimana prossima quando Mugabe formerà il nuovo governo.

(Notizie Geopolitiche, 10 agosto 2013)


"Cristiani in Israele"

da Yisrael Hayom, 9 agosto 2013

Gush Halav
In un articolo di cinque pagine avente questo titolo, Emily Amrosi fa un rapporto dettagliato sui cristiani maroniti che vivono nel nord di Israele e cercano di preservare la loro cultura e il loro patrimonio arameo, nonostante il fatto che lo Stato di Israele non li riconosca come gruppo etnico ufficiale. Ci sono circa 10.000 maroniti che vivono oggi in Israele, la maggior parte di loro nel villaggio settentrionale di Gush Halav. Anche se gli aramei hanno la loro propria storia e cultura che risale a 3000 anni fa, il Ministero dell'Interno non li riconosce come gruppo etnico distinto e li elenca semplicemente come "arabi." La comunità ha cercato di ottenere un riconoscimento ufficiale da parte dello Stato fin dal 1948, ma finora tutte le sue richieste sono state respinte.
   Secondo Amrosi, un arameo dice a un ebreo: "I vostri antenati e i nostri erano aramei. Noi proveniamo dalle stesse radici. ... Rachele e Lea, le madri del popolo ebraico, erano figlie di Labano, l'arameo. ... Abramo veniva da una tribù aramea in Aram, Mesopotamia ... e più tardi, quella stessa tribù accettò il cristianesimo che fu portato a loro dai discepoli di Gesù '. ... Gesù stesso parlava aramaico."
   Anche se gli aramei non hanno mai avuto un loro proprio impero, hanno però avuto una grande influenza su diversi imperi e gruppi di persone dell'antico Medio Oriente. L'alfabeto ebraico, per esempio, proviene dall'aramaico, e parti della Bibbia ebraica, così come il Talmud, sono stati scritti in aramaico. Aramaico era in realtà la lingua franca fino alla conquista degli arabi nel 7o secolo, quando fu sostituito dall'arabo. Oggi ci sono ancora circa mezzo milione di persone in tutto il Medio Oriente che parlano aramaico, e questo include la comunità maronita in Israele.
   I maroniti in Israele vogliono distinguersi dalle comunità arabe israeliane e palestinesi che vivono qui, ma temono anche di essere troppo strettamente associati con lo Stato. La recente crisi della comunità araba cristiana per quanto riguarda l'arruolamento nell'esercito israeliano ha avuto un impatto anche sui maroniti. In Gush Halav, dove il 40% della popolazione è musulmana, è in corso una causa per la casa incendiata di un cristiano maronita in servizio nell'esercito.
   Nonostante questo, anche se i maroniti sono stati sempre sostenitori dello Stato, anche se hanno aiutato le fazioni di sionisti ebrei nella loro lotta per l'indipendenza nel periodo precedente al 1948, Israele si rifiuta di riconoscere la loro specifica appartenenza etnica. "Noi non abbiamo combattuto contro l'IDF nel 1948," - dice un maronita, secondo Amrosi -, "ma abbiamo aiutato gli ebrei. Sono nostri fratelli e non nostri nemici. Non ci collegate alla lotta palestinese. Noi siamo amici di Israele, come lo sono i drusi. "Questo è il motivo per cui la comunità degli aramei che vivono in Israele non capisce perché lo Stato si rifiuta costantemente di riconoscere la loro etnia." "Mi fa arrabiare vedere che sono catalogato come arabo", dice un altro, "perché non sono arabo." E aggiunge: "Ci identifichiamo con lo Stato e la maggior parte di noi serve volontariamente nell'esercito o in qualche servizio nazionale. Questo perché siamo leali cittadini che amano Israele e vogliono esserne parte, perché non abbiamo un altro paese che ci protegge e ci permette di vivere liberamente e con dignità all'interno dei suoi confini."

(Caspari Center, 9 agosto 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


L’Iran potrebbe produrre plutonio per bombe atomiche per la prossima estate

CNRI - Il regime iraniano potrebbe produrre plutonio per armi nucleari e produrre bombe atomiche per la prossima estate, hanno detto funzionari in Europa e Stati Uniti secondo un articolo del Wall Street Journal.
Il regime progetta di usare barre di uranio arricchito per generare 40 megawatts di potenza nel nuovo reattore ad acqua pesante vicino la città nord-occidentale di Arak. Il sottoprodotto combustibile esaurito dell'impianto conterrà plutonio sufficiente a creare due testate nucleari all'anno, teme l'occidente.
Un reattore ad acqua pesante è anche un facile obbiettivo da attaccare per i paesi esteri rispetto ai siti sotterranei che ospitano le strutture iraniane per l'arricchimento dell'uranio, secondo i funzionari americani e delle Nazioni Unite.
Il regime iraniano ha iniziato a costruire il sito di Arak nel 2004 secondo progetti forniti dalla Russia, due anni dopo il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha passato una risoluzione chiedendo a Tehran di cessare la costruzione a causa dei timori dell'IAEA che potesse essere una copertura per il programma sulle armi atomiche.
Poi Tehran è stata colpita da quattro serie di sanzioni quando si è rifiutata di rispettare la risoluzione, cosa che ha contribuito alle attuali disastrose condizioni economiche del regime.
Gli arroganti mullah al potere hanno poi detto all'IAEA a Marzo che, per Agosto, avrebbero prodotto 55 fasci di barre di uranio combustibile, fatti di "pellets" naturali di uranio, per alimentare Arak.
Poi a Giugno, Tehran ha annunciato di aver installato la vasca del reattore, che ospita il carico di combustibile nucleare dell'impianto.
Il regime ha anche drasticamente limitato la possibilità dell'IAEA ad ispezionare il reattore, secondo i funzionari dell'ONU.
Un funzionario del quartier generale dell'IAEA di Vienna ha detto che l'importanza di Arak è andata aumentando da quando il regime ha annunciato la sua nuova time-line aggiungendo: "Incombe davvero su di noi."

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 10 agosto 2013)


Borriello stregato da Madalina spiega il numero della sua maglia

Madalina Ghenea
Ancora alla ribalta sui quotidiani di stamane (in particolare il Messaggero, la Gazzetta della Sport e il Romanista) le motivazioni esclusivamente sentimentali nella scelta del numero di maglia 88 per Marco Borriello, centravanti della Roma calcio. A sgombrare il campo da equivoci, a respingere al mittente le infamanti dietrologie di chi, in questa decisione, aveva immaginato fantomatiche simpatie neonaziste del calciatore (88 inteso come HH, "Heil Hitler") arrivano un perentorio messaggio su Twitter e alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa sportiva. "È il numero di una persona a me cara", ha spiegato il calciatore. L'identikit è quello dell'attrice rumena Madalina Ghenea (nella foto), cui è stato attribuito un flirt proprio con Borriello e che è nata l'otto agosto del 1988. Quindi 8/8/88.
Una polemica futile rilanciata da molti siti di informazione (sportiva e non) dopo la pubblicazione di un articolo del Messaggero dove, ad essere riportate, erano alcune valutazioni allarmate apparse sul web e attribuite anche a iscritti della Comunità ebraica romana. Fraintendimenti e considerazioni pretestuose, da cui la stessa Comunità ha preso le distanze con una chiara nota dell'assessore alle relazioni istituzionali Ruben Della Rocca. Nell'ambito delle informazioni pubblicate ieri riguardo alle polemiche che sono seguite al caso, avevamo fra l'altro segnalato come il Portavoce della comunità romana avesse comunicato che "un confronto avrà luogo con l'informatore una volta che le sue generalità saranno note". Tale informazione è stata riportata per errore e questa iniziativa non può in effetti essere attribuita al Portavoce comunitario. Ce ne scusiamo con i lettori e con gli eventuali interessati.

(Notiziario Ucei, 9 agosto 2013)


Islam - La sinagoga di Milano chiede le dimissioni del coordinatore del Caim

MILANO, 9 ago. - Il portavoce della sinagoga di Milano chiede le dimissioni di Davide Piccardo da coordinatore del Caim, Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano. A causare la richiesta l'invito, per il ramadan di Milano, di un imam che ad una televisione araba ha parlato in termini entusiastici del martirio dei bambini a Gaza.
In particolare, dopo aver lodato un bambino per aver espresso l'intenzione di suicidarsi per la causa palestinese, ha dichiarato che avrebbe mandato anche sua figlia di 10 anni a fare lo stesso. Se le dimissioni non dovessero arrivare si chiede al sindaco Giuliano Pisapia "di interrompere ogni contatto con questa associazione".
"Le dichiarazioni di Davide Piccardo - sostiene Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di corso Lodi - sono inquietanti. Di fronte alle dichiarazioni televisive dell'imam da lui invitato a Milano - spiega - non c'e' stata un presa di posizione netta di condanna. Piccardo si e' invece prodotto in uno slalom verbale degno del migliore Alberto Tomba. Purtroppo pero', nel farlo ha saltato qualche paletto di troppo".

(Adnkronos, 9 agosto 2013)


Drone israeliano distrugge un posto di lancio di razzi sul Sinai

Un drone israeliano ha lanciato un missile nel nord del Sinai egiziano uccidendo cinque "sospetti militanti islamici e distruggendo un posto di lancio di razzi". Lo scrive il sito di Haaretz citando ufficiali della sicurezza egiziana come fonti
E' stato un drone israeliano, secondo le prime informazioni, a lanciare oggi un missile nel nord del Sinai egiziano uccidendo cinque "sospetti militanti islamici e distruggendo un posto di lancio di razzi". Lo scrive il sito di Haaretz citando ufficiali della sicurezza egiziana come fonti.
Le stesse fonti hanno riferito - prosegue Haaretz - che l'attacco sarebbe avvenuto in accordo con le autorità egiziane: i due ufficiali hanno parlato peraltro "in condizioni di anonimato poiché non erano stati autorizzati a riferire alla stampa".
Le autorità militari israeliane - continua il sito - da parte loro "stanno controllando il rapporto". Secondo il racconto di testimoni, i residenti della zona hanno avvertito una "forte esplosione" in un'area vicina al confine con Israele.

(RaiNews24, 9 agosto 2013)


La Comunità ebraica fiorentina all'anniversario della Liberazione di Firenze

Appuntamento alle celebrazioni dell'11 agosto. La presidente Cividalli: "Riaffermare i valori di democrazie e libertà".

La Sinagoga di Firenze
"La battaglia per la liberazione di Firenze è un momento fondante della nostra storia - dichiara Sara Cividalli, presidente della Comunità ebraica di Firenze in occasione del 69o anniversario della liberazione di Firenze dall'occupazione tedesca dell'11 agosto del 1944 -. L'agognata liberazione è stata l'inizio di una nuova vita fatta di commozione e smarrimento misti a un grande sgomento e vuoto quando gli ebrei cominciarono a contarsi e prendevano lentamente forma le sconvolgenti dimensioni di quello che era stato l'orrore nazifascista.
Tutti gli anni questa data rappresenta per noi un momento di profonda riflessione e la partecipazione della Comunità ebraica di Firenze alle celebrazioni dell'11 agosto è un'opportunità per riaffermare i valori di democrazia e di libertà su cui si deve fondare la nostra società.
Valori per i quali gli ebrei hanno sempre combattuto".
"Il ricordo di chi ha anteposto il bene altrui al proprio combattendo per l'ideale alto della libertà - ha concluso Sara Cividalli - deve accompagnarci sempre".

(gonews.it, 9 agosto 2013)


Accordo storico tra Cipro, Grecia e Israele

L'8 agosto Cipro, Grecia e Israele hanno firmato a Nicosia un protocollo di accordo sull'energia che dovrebbe garantire gli approvvigionamenti nell'est del Mediterraneo.
L'accordo, definito "storico", dovrebbe prevedere la connessione entro tre anni delle reti elettriche dei tre paesi per permettere di esportare in Europa l'energia prodotta in Medio Oriente, spiega Globes. Secondo il sito israeliano l'accordo prevede che i paesi collaborino nella protezione delle più importanti infrastrutture regionali in prossimità dei giacimenti di gas" scoperti a sudest di Cipro.
L'accordo segna "la fine dell'isolamento energetico di Cipro" e permetterà di ridurre i prezzi dell'energia nell'isola, ha dichiarato il ministro dell'energia cipriota. Secondo Politis
la cooperazione tra Cipro e Israele modifica la carta geopolitica e strategica del Mediterraneo orientale.
Il quotidiano greco Kathimerini suggerisce di collegare Cipro alla Turchia con un gasdotto sottomarino. Un'idea che non sarà però realizzabile finché la questione cipriota non sarà risolta.

(presseurop, 9 agosto 2013)


Paura alla sinagoga di Roma, albero cade e sfonda la cancellata

Paura alla sinagoga di Roma, su lungotevere de' Cenci. Nella serata di giovedì un albero del giardino del Tempio Maggiore è caduto sfondando parte della cancellata che circonda l'edificio. Immediato l'intervento dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine che hanno presidiato le operazioni di messa in sicurezza dell'area, considerata un obiettivo sensibile. Le conseguenze della caduta dell'albero, alto svariati metri, avrebbero potuto essere ben più gravi.
Immagini

(Il Messaggero, 9 agosto 2013)


A Milano l'imam dei martiri. Gli ebrei: "Pisapia si dissoci"

I centri islamici invitano il predicatore del jihad all'Arena. Omaggio dell'assessore. L'opposizione: "Follia".

di Alberto Giannoni

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Sembra proprio che l'Islam milanese non riesca a tenersi fuori dalle polemiche. Il caso che accende di nuovo i riflettori sulle «moschee» cittadine - alla fine di un mese di Ramadan filato via liscio come l'olio - è la partecipazione, ieri, alla festa di rottura del digiuno all'Arena civica, di un personaggio dal profilo ideologico quantomeno discutibile.
L'imam invitato dal Coordinamento dei centri islamici milanesi a condurre la preghiera è lo Sheykh Riyad Al Bustanji. Il giordano, presentato come un sapiente noto per avere concluso a 24 anni l'apprendimento mnemonico di tutto il Corano era stato protagonista presso una tv satellitare mediorientale - l'ha raccontato Andrea Morigi su «Libero» - di un'intervista (tuttora in rete) in cui parla del «martirio» religioso e confessa di aver portato sua figlia a Gaza per imparare dalle donne palestinesi come si allevano i figli al «jihad» e al martirio. Ovviamente la circostanza che un tale personaggio abbia avuto il posto di «ospite d'onore» alla principale celebrazione del Ramadan di Milano, con 10mila persone e l'assessore comunale all'Educazione Francesco Cappelli, ha suscitato reazioni indignate. L'assessore ha preferito non commentare. «Non so quale sia la notizia più clamorosa - ha detto Riccardo De Corato, vicepresidente del Consiglio comunale per Fratelli d'Italia - se quella del predicatore pro-jihad accolto a braccia aperte o di un assessore che presenzia senza battere ciglio al suo sermone. Siamo davvero alla follia». De Corato fra l'altro ha chiesto le dimissioni del coordinatore del Caim Davide Piccardo, sottolineando come sia stato candidato in passato in Sel, il partito del sindaco.
Da parte sua Piccardo si compiace del messaggio della Curia e della presenza dell'assessore, che a sua volta ha portato una lettera del sindaco, Giuliano Pisapia. Quanto all'imam, dice: «È molto bravo e molto noto per la sua scienza del Corano.
Ha dedicato il suo discorso soprattutto a indicazioni etiche, ricordando che il musulmano deve essere un testimone di fede e mai elemento di disturbo». «Ha la sua posizione sulla Palestina, per la libertà e contro l'occupazione, ma ha sempre rispettato la legalità e non ha mai preso posizioni che contraddicano la nostra visione delle cose, che esclude il ricorso alla violenza come strumento di proselitismo o affermazione dei principi religiosi».
La Comunità ebraica di Milano, tuttavia, è allarmata. Il presidente, Walker Meghnagi si dice «stupito che un personaggio del genere possa essere ricevuto dall'assessore». «É un autogol del Comune - aggiunge - mi auguro che il sindaco, che è un nostro amico e una persona di valore, voglia prendere le distanze». Anche il portavoce della sinagoga del centro, Davide Romano, è molto netto: «Da anni difendiamo i diritti dei musulmani ad avere una moschea, ma se hanno in mente di aprirla a chi istiga al suicidio dei bambini proprio non ci siamo». Le domande rivolte a Piccardo: «Sapeva di queste posizioni dell'imam? Le condanna?». «E l'assessore, che è delegato all'Educazione - conclude - era informato su chi aveva davanti? Conosceva le sue idee? Spero non abbia problemi a condannarle».

(il Giornale, 9 agosto 2013)


Israele all'Unione Europea: no ad accordi che escludano insediamenti

GERUSALEMME - Israele chiarirà alla UE che non firmerà alcun futuro accordo che, in base alle nuove linee guida della stessa UE, restringa assistenza, donazioni e fondi a "entità israeliane" con "diretta o indiretta connessione" con Giudea-Samaria, Gerusalemme Est, Alture del Golan. Né Israele firmerà accordi con l'UE con clausole territoriali riguardanti l'obbligo di riconoscere che la sua sovranità non si estenda oltre i confini del '67. Lo ha deciso - riportano i media - una riunione di governo presieduta da Benjamin Netanyahu.
Le nuove linee guida della UE sono state pubblicate lo scorso 18 luglio ed hanno effetto dal prossimo primo gennaio: in base ai termini previsti sarà bandito - hanno ricordato i media - qualsiasi investimento di fondi o finanziario a gruppi israeliani connessi "direttamente o indirettamente" con gli insediamenti. La stessa direttiva prevede anche - hanno aggiunto - che in qualsivoglia accordo tra Israele e l'UE deve essere riportata la clausola che gli insediamenti in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e sulle Alture del Golan "non sono parte dello stato di Israele".
Il governo israeliano, che aveva fin da subito respinto le linee, chiederà ora all'Unione "ulteriori chiarimenti" per meglio "comprendere il significato" della direttiva sugli insediamenti che secondo i ministri, presenti alla riunione assieme a Netanyahu, rischia - hanno riportato i media citando un'alta fonte ufficiale - di "nuocere in maniera significativa" al processo di pace con i palestinesi che dovrebbe riprendere a metà di questo mese.
La riunione di governo ha affrontato la direttiva in vista di un incontro il prossimo 14 agosto con l'UE per discutere l'accordo ci cooperazione scientifica 'Horizon 2020' che tra l'altro prevede un investimento nei prossimi anni di circa 600 mila euro da parte europea in compagnie israeliane di high-tech.

(Fonte: tio.ch, 9 agosto 2013)


Israele - La nuova letteratura nasce dal calcio

Il Tel Aviv Football Club è una squadra molto particolare, composta tutta da giovani scrittori: la nuova generazione della letteratura israeliana che rompe con la tradizione del passato.


(la Repubblica, 9 agosto 2013)


Il Sinai è la nuova polveriera del Medio Oriente

È escalation di violenze nel Sinai, soprattutto nel nord, lungo il confine con la Striscia di Gaza, dominata dagli islamici palestinesi di Hamas e di quello con Israele, stretto nella morsa delle crisi in Egitto, Siria, Libano nordorientale.
Dal giorno in cui il presidente Mohamed Morsi è stato deposto dai militari, il 3 luglio scorso, la conta ufficiale delle vittime tra morti e feriti e' arrivato a quota 177: 47 persone sono stati uccise in ben 85 attentati, in particolare contro le forze di polizia e l'Esercito. I militari dal canto loro hanno annunciato ieri di aver ucciso in 30 giorni "60 terroristi"' e che "altri 103 sono stati arrestati".
Il Sinai è da anni nel mirino di al-Qaida, che per bocca del suo leader Ayman Zawahri, capo incontrastato della fazione egiziana che ha scalato l'organizzazione terroristica dopo la morte di Bin Laden, ha accusato gli Usa di aver avuto un ruolo nella destituzione di Morsi. Solo 48 ore fa, le autorità hanno annunciato di aver sgominato due 'cellule' di al Qaida che conservavano in un laptop "istruzioni dettagliate su sabotaggi e attentati in Sinai, firmati da Zawahri", recita la nota ufficiale.
Destano poi particolare allarme gli attacchi al gasdotto che trasporta gas verso la Giordania: sono ripresi per la prima volta dopo un anno proprio all'indomani del golpe anti-Morsi. A fotografare la situazione critica nella regione, il ritiro dai villaggi della polizia e dell'Esercito, che presidia l'autostrada che collega il valico di Rafah, porta d'ingresso nella Striscia di Gaza, con El-Qantara. Giorni fa, la visita del comandante della II Armata, Ahmed Wasfi, alla sede del governatorato e' stata annullata dopo un attacco contro una sede dei militari.
A Rafah si concentrano intanto in queste ore quasi 20.000 palestinesi, dopo la chiusura del valico deciso dalle autorità del Cairo. Blocco che durerà almeno fino a domenica. Hamas, al potere nella Striscia, aveva fatto appello a evitare blocchi, a causa della penuria di carburante che "ha quasi paralizzato Gaza", affermano fonti.
E proprio Hamas, che è stata accusata di aver inviato un team addestrato per liberare Morsi nel 2011 durante la rivolta anti-Mubarak, con il presidente egiziano divenuto poi grande mediatore del cessate il fuoco nell'ultimo breve conflitto tra Israele e Hamas, potrebbe divenire ora un altro protagonista della partita egiziana.

(Resto al Sud, 9 agosto 2013)


Israele ripensa il sistema scolastico

di Ada Treves

Non era possibile escludere che i cambiamenti tanto sbandierati fossero solo campagna elettorale e invece lavorando con calma, un passo per volta, il ministero dell'Educazione israeliano sta portando avanti una piccola rivoluzione. Negli ultimi anni il numero di scuole religiose del network Ma'ayan Hahinuch Hatorani, collegata allo Shas, è aumentato rapidamente, includendo scuole non autorizzate e addirittura due istituti che avevano ricevuto un'ingiunzione a chiudere. Un rapporto del ministero dell'Economia ha evidenziato una situazione preoccupante: il network riceve gli stessi finanziamenti delle scuole statali ma risulta abbia compiuto diversi abusi, tra cui la falsificazione dei rapporti sul curriculum di studi adottato. Anche il sistema scolastico gestito da Yahadut HaTorah riceve gli stessi finanziamenti delle scuole statali (la condizione per accedervi è adeguarsi alle direttive sulle materie secolari), e anche in questo caso data la mancanza di controlli non è possibile sapere se il curriculum minimo è stato seguito solo in parte, come probabile nel caso di Ma'ayan, oppure per nulla, come ritiene il ministero.
   Il ministero dell'Educazione ha scelto almeno per il momento di non intervenire sulle scuole superiori ma sui livelli precedenti la pressione è fortissima: sono stati modificati in maniera radicale i requisiti per accedere ai finanziamenti statali e lo scorso mese c'è stato il primo successo, immediatamente seguito da altri. Dopo la prima scuola elementare haredì che ha scelto di entrare nel nuovo sistema scolastico Stato-Haredì, accettando di sottoporsi alle condizioni richieste - supervisione totale e completa, seguire completamente il curriculum di studi concepito specificamente per le scuole religiose e partecipare ai test standardizzati del ministero - si prevede che molte altre seguiranno. Anche Ma'ayan e United Torah si sono impegnate a rientrare nel nuovo sistema, insegnando il curriculum delle materie secolari e accettando i controlli, mentre la maggior parte delle scuole religiose femminili (non ufficiali ma riconosciute) insegneranno il 75 per cento delle materie in cambio del 75 per cento del budget che ricevono le scuole statali, e le scuole maschili arriveranno al 55 per cento, in cambio di un finanziamento corrispondente.
   Si tratta della fine di un sistema di menzogne note a tutti che è andato avanti per decenni, e ha permesso di deviare soldi statali per finanziare uno stile di vita fortemente ideologizzato e separatista. È un cambiamento storico per il sistema scolastico religioso, che sarà sottoposto a controlli non solo tramite la prevista supervisione e con visite regolari di ispettori, ma anche tramite i risultati degli esami standardizzati nelle materie secolari a cui gli studenti, come in tutto il resto del mondo, dovranno ora sottoporsi. E in futuro i due network principali di scuole religiose potrebbero essere completamente sostituiti dal nuovo sistema scolastico Stato-Haredì, totalmente sotto supervisione e che seguirà il curriculum completo (in cambio di finanziamento completo), oppure decidere di entrare a far parte del sistema, accettandone le condizioni.
   Non sarà un processo di cambiamento semplice, sia per il potere politico dei partiti collegati ai network scolastici haredì che per diversi problemi molto pratici che vanno risolti prima di poter procedere: mancano testi adeguati (che per esempio devono essere privi di immagini femminili per le scuole maschili, e viceversa), e mancano insegnanti haredì che abbiano la formazione necessaria ad insegnare le materie secolari. In realtà il ministero deve costruire il nuovo sistema partendo praticamente da zero, e lottando anche contro la prevedibile contrarietà dei sistemi esistenti.
Ma i primi passi sono stati fatti, e mostrano chiaramente che la situazione attuale non sarà più accettata.

((Notiziario Ucei, 9 agosto 2013)


Laurea e master non servono: Hamas assume per attestati di fedeltà

Per lavorare all'interno di strutture statali a Gaza o in qualsiasi altra organizzazione legata ad Hamas, la formazione e l'esperienza non contano. I potenziali dipendenti sono tenuti a dimostrare la lealtà ad Hamas tramite un documento ufficiale rilasciato dalla moschea di appartenenza, prerequisito essenziale per essere assunto.
Questa è la storia di Mohammed Ibrahim, studente universitario presso la Al-Azhar di Gaza. Alla ricerca di un lavoro, è andato per un colloquio presso un ente di beneficenza. Tutto stava andando bene fino a quando il datore di lavoro gli ha fatto una semplice domanda: " Qual è la moschea più vicina a casa tua? Abbiamo bisogno di un certificato di buona condotta".
Mohammed non ha ottenuto il lavoro, perché non frequenta la moschea.
L'influenza delle moschee nei circoli di Gaza è in crescita. Essi forniscono e rilasciano precise relazioni sulle persone. Hamas quindi, utilizza le Moschee non come luoghi spirituali dove la gente va a pregare, ma come centri per la raccolta di informazioni.
Quello che si verifica a Gaza - aggiunge Khalil Abu Shamala, direttore di Al-Dameer, Associazione per i Diritti Umani - dimostra che questi partiti non vogliono offrire posti di lavoro a quanti non sono membri di Hamas. Il direttore ha anche sottolineato che circa il 95 % dei dipendenti del governo di Gaza è affiliato ad Hamas.
Il Mossad, il servizio segreto israeliano, monitora costantemente Hamas.

(telesciacca.it, 8 agosto 2013)


Netanyahu: "Rohani, un lupo travestito da pecora"

ROMA - L'elezione del riformista Hassan Rohani alla presidenza iraniana "non ha fermato" il processo di arricchimento dell'uranio di Teheran, al contrario, "il programma continua a fare progressi" e Rohani e' un "lupo travestito da pecora", che sarebbe capace di "costruire una bomba atomica sorridendo". Cosi', il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in una dichiarazione rilasciata alla radio pubblica dello Stato ebraico.
"L'Iran non ha fermato il suo programma nucleare. Al momento, sta usando 7.000 nuove centrifughe. Il presidente (Rohani, ndr) sta cercando di presentare una nuova immagine del Paese - ha affermato Netanyahu, stando a quanto scrive l'agenzia palestinese Maan - ma il loro programma atomico continua a fare progressi"

(ASCA, 8 agosto 2013)


Beduini del Negev, nessun genocidio in atto

di Deborah Fait

Midreshet Ben Gurion
Mi reco spesso nel Negev perché mio figlio Aaron vive e lavora in un centro di ricerca scientifica, chiamato Midreshet Ben Gurion (vicinissimo al kibbutz Sde Boker), branca dell'Università Ben Gurion; più esattamente della Ben-Gurion University of the Negev, Jacob Blaustein Insts. for Desert Research,Inst. of Dryland Biotechnology and Agriculture.
Si tratta di un villaggio in pieno deserto di Giuda, piccola oasi nel verde, dove gli scienziati vivono con le loro famiglie in villette o case di, al massimo, un piano.
Nel villaggio c'è tutto quello che si possa desiderare, un piccolo centro commerciale, la posta, gli ambulatori medici, le scuole, dalla materna fino al liceo, palestre e tanti bambini, tra cui i miei nipoti, che vivono liberi e senza pericoli, un po'selvaggi ma felici, correndo in bicicletta per le stradine del villaggio dove le macchine, pochissime, vanno più lentamente che a passo d'uomo, non solo per la sicurezza dei bambini ma anche degli stambecchi che girano impettiti per il villaggio, indisturbati, rispettati anche dai cani che si guardano bene dall'abbaiare al loro passaggio.
Il villaggio è cresciuto intorno all'obiettivo per cui è stato creato: un grande e importante centro di ricerca scientifica, studi sull'agricoltura, sullo sviluppo ambientale, un centro di ricerca sull'acqua.
A due passi dalla casa di mio figlio Aaron e Silvia, sua moglie, si possono vedere le tombe di David e Paula Ben Gurion che riposano sotto due grandi alberi nel mezzo di uno spiazzo bianco che si affaccia sul deserto . Appoggiandosi al parapetto che delimita lo spiazzo e guardando il bianco accecante del deserto si ha l'impressione di vedervi camminare i Patriarchi e le Matriarche di Israele.
Non sono allucinazioni, là, in quel luogo così particolare, si respira la grandezza della natura incontaminata e si capisce il motivo per cui David Ben Gurion abbia voluto passarvi gli ultimi anni della sua vita, in una modesta casetta biancoazzurra, e infine morirvi, in mezzo a quella pace.
Attraversando il deserto per arrivare a Sde' Boker , si capisce che ci si sta avvicinando alle zone abitate dai beduini perché le dune sono praticamente ricoperte da sacchetti di nylon multicolori che svolazzano sulla sabbia e infine ecco apparire quelli che i media definiscono "villaggi beduini".
Si tratta di agglomerati fatti di baracche di cartone incatramato e tendoni coperti da teli neri dentro le quali vivono, ricoperte da burka neri, le donne e, fuori dalle tende, si vede qualche uomo e tanti bambini , quasi sempre figli dello stesso uomo ma non della stessa donna. Nei tendoni i beduini dormono su materassi gettati sulla sabbia, l'uomo- capo-padrone, le sue donne, bambini e galline.
Tutto intorno cammelli, cavalli magri da far paura e decine di pecore.
Al di là di questo modo di vivere di una parte della popolazione beduina ( non tutti vivono così, molti hanno scelto una vita decente e normale e, visto che non esistono più il nomadismo e le carovane, si sono trasferiti nella capitale beduina del Negev , Rahat o in veri villaggi fatti di vere case), i beduini sono molto ben considerati in Israele, sono cittadini fedeli della "Medinà" ( lo stato), vanno all'esercito e, quelli che vivono in agglomerati moderni come città e villaggi veri e propri, studiano e lavorano, spesso anche le loro donne.
Il capo della sicurezza della Midreshet Ben Gurion di cui vi ho parlato all'inizio , è un beduino che si chiama Mohamed. Capo della sicurezza, badate bene, è una carica di altissima responsabilità che dimostra la fiducia e il rispetto che Israele da a questa popolazione.

Le tombe di David e Paula Ben Gurion
Perché vi sto parlando dei beduini?
Ma, come, non ve lo immaginate? Adesso i beduini sono il nuovo argomento degli israeliani, arabi e di estrema sinistra, da usare per fomentare la gente a manifestare contro il governo.
Il governo di Israele ha studiato un piano regolatore per lo sviluppo del Negev che prevede la costruzione di villaggi e città, fabbriche e industrie, parchi e centri commerciali dove gli israeliani, beduini e ebrei possano andare a vivere. Naturalmente questo piano di urbanizzazione prevede la rimozione di tutti gli agglomerati sparsi per il deserto e abusivi.
I cittadini beduini proprietari di terreni saranno risarciti e gli sarà offerto un corrispondente a ridosso dei nuovi villaggi dove potranno usufruire di tutte le "comodità", dei servizi igienici e dell'assistenza medica e scolastica.
Questo piano regolatore, chiamato Prawer dal suo ideatore, è violentemente contestato dai deputati arabi della Knesset e da ONG antisioniste di arabi e ebrei di estrema sinistra e antisionisti europei e americani che accusano il governo di voler chiudere i cittadini beduini in riserve e di voler distruggere le loro tradizioni millenarie.
I politici arabi israeliani, che non si sono mai occupati dei beduini, e le associazioni antisioniste come Adalah , hanno organizzato manifestazioni a Beer Sheva ma sono rimasti a bocca asciutta perché i manifestanti c'erano ma, tra loro, pochissimi i veri interessati, cioè i beduini del Negev.
I manifestanti erano tutti del nord della Galilea.
I politicanti arabi, dei partiti di estrema sinistra e le ONG cercano di fomentare i cittadini beduini contro il governo e contro lo stato di Israele, paragonandoli ai palestinesi, parlando ancora di genocidi, o di gente chiusa in riserve indiane.
Personalmente credo che questi attivisti così in malafede non conoscano bene il significato delle parole.
Vediamo un po': genocidio non significa lo sterminio di un popolo?
I palestinesi sono aumentati esponenzialmente dal 1948, erano 600.000, oggi sono 6 milioni e più.
Sarebbe genocidio?
La popolazione beduina si raddoppia ogni decennio.
Sarebbe genocidio?

Un altro termine che gli piace usare è "riserve indiane".
Chi di voi definirebbe riserva un bel villaggio, con tante case con giardini, i viali alberati, fontane, parchi giochi per i bambini, medici e scuole?
Decisamente questi paladini dei "diritti civili" non sanno di cosa parlano, o straparlano.
Fortunatamente hanno fatto male i conti perché, a differenza dei palestinesi, i beduini sono gente pacifica e intelligente che sa che in nessun paese arabo potrebbe vivere bene come sotto il governo israeliano.
Anni fa i beduini egiziani del Sinai avevano tentato di entrare in Israele per chiedere asilo politico a causa delle vessazioni che dovevano sopportare in Egitto.
Rahat, la più grande città beduina in Israele
Abituare i beduini a vivere insieme agli altri e non isolati sotto i loro tendoni, con l'unica compagnia di pecore e cammelli, aprirebbe la loro mentalità, imparerebbero che le donne non sono proprietà dei maschi, che un uomo non può ammazzare una donna per "onore" o lasciarla partorire, e spesso morire di parto, sotto una tenda sporca perché gli preme di più riparare il motore della sua automobile.
Vivere insieme ad altri farebbe uscire le donne di casa per lavorare, per studiare. Imparerebbero le norme igieniche per loro e per i loro bambini, si rifiuterebbero di fare le seconde o le terze mogli e non vorrebbero più essere le schiave dell'uomo e proprietà del marito, soggette a stupri, incesti e violenze.
Evolversi non significa dimenticare le tradizioni e gli abusi cui ho accennato non sono tradizioni, sono modi di vivere arcaici e crudeli.
Anni fa ero ricoverata all'ospedale di Ashdod dove ho conosciuto una giovane beduina di nome Arifa. Era una persona meravigliosa, viveva e vive ancora a Rahat, insegnava ebraico nella scuola beduina della città, vestiva alla beduina, tubino nero ma ricamato con colori vivaci, naturalmente rifiutando il velo, era orgogliosa delle sue origini ma le viveva in modo moderno e soprattutto apprezzava molto Israele e la sanità israeliana che le aveva permesso, con una serie di operazioni, di risolvere un grave difetto al bacino. Era e si sentiva israeliana a tutti gli effetti, amore per il proprio paese e consapevolezza di poter vivere libera, come donna, in una democrazia.
Arifa è l'esempio che vorrei diventasse realtà per tutte le donne beduine di Israele: bella, sana, pulita, fiera, sorridente perché LIBERA e LIBERATA.

Tutto questo viene apostrofato dai sedicenti "liberatori del popolo beduino dagli abusi dei sionisti" come "ignobile".
Non sapevo fosse ignobile insegnare alle persone ad essere libere, pulite, acculturate , non credevo fosse ignobile creare per loro lavoro, insegnare loro il rispetto per le donne e i bambini e anche per gli animali.
Non sapevo fosse ignobile insegnare loro ad andare dal medico, a partorire in ospedale, dare loro la possibilità di avere acqua, sempre, calda e fredda, acqua corrente, acqua potabile senza limiti.
Non sapevo fosse un ignobile abuso sionista cercare di migliorare la vita di una parte della popolazione che ha tra l'altro, moltissime potenzialità.
Mi piacerebbe vedere quei bellissimi bambini beduini, dagli immensi occhi neri, giocare puliti , pettinati e soprattutto vaccinati, insieme ad altri bambini israeliani nei parchi giochi, come li ho visti nel villaggio di mio figlio, giocare vicino ai miei nipoti e con loro anziché stare fuori dalle loro tende, sporchi e vestiti di stracci in mezzo alle galline e agli escrementi di pecore e cammelli .
Se voler migliorare la loro vita, significa compiere "un ignobile abuso sionista", ben vengano gli abusi di questo genere, sionisti o non sionisti!
Ignobile è voler demonizzare tutto questo come fanno non solo gli arabi e i sinistri di Israele ma anche alcuni forum italiani anti israeliani.
Ignobile è voler sempre fomentare odio, colla scusa dei "diritti civili " che altro non sono che diritti alla miseria e all'arretratezza e alla violenza sulle donne, qualsiasi cosa Israele faccia.

(Informazione Corretta, 8 agosto 2013)


Siria - Abusi e matrimoni forzati per i bambini rifugiati

ZAATARI - La gente continua ad essere disperata e sempre più povera. I bambini fuggiti dalla guerra in Siria con le rispettive famiglie continuano ad essere sfruttati, abusati e costretti a matrimoni precoci, del tutto inusuali nel Paese. Circa due milioni di rifugiati siriani sono divisi prevalentemente tra Turchia, Libano, Giordania e Irak. L'Alto Commissariato per le Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha lanciato l'allarme per cercare misure di sicurezza più efficaci per evitare che i piccoli lavorino per portare avanti le rispettive famiglie, abbandonino la scuola o ritornino in Siria come bambini soldato. Dalle ultime stime dell'UNHCR nel campo di Zaatari, in Giordania, vivono 130 mila rifugiati siriani contro i quali si stanno costruendo vere reti di crimine organizzato, c'è anarchia totale e le loro scarse risorse vengono costantemente saccheggiate e distrutte. In Giordania, i rifugiati riescono a vivere solo fuori dai campi e controllati dalle autorità nazionali. Molti addirittura a causa delle difficili condizioni in cui si trovano a vivere a Zaatari, e agli alti livelli di criminalità che si registrano all'interno, preferiscono fuggire.

(Agenzia Fides, 8 agosto 2013)


E qualcuno ha chiamato "crimine contro l'umanità" la decisione del governo israeliano di costruire nuovi alloggi a Gerusalemme Est.


Per i settler israeliani "l'accordo di pace è uno spreco di carta"

di Susan Dabbous

  
Arieh Eldad
GERUSALEMME - Premesso che i territori palestinesi non sono altro che "un'invenzione della comunità internazionale", Arieh Eldad, nato a Tel Aviv 63 anni fa, ex deputato della Knesset nell'Unione nazionale, non si fa nessun problema a chiamare gli insediamenti "settlement", così come vengono definiti in inglese nella loro accezione "illegale". A meno di dieci giorni dalla ripresa dei negoziati di pace, l'ex parlamentare, oggi a capo di un nuovo partito laico di destra, Otzma LeYisrael (Forza di Israele), spiega al Foglio perché anche questo processo appena partito è destinato a fallire. Ci accoglie nella sua grande villa in quello che si potrebbe definire un settlement di lusso, Kfar Adumim, a una decina di chilometri a est di Gerusalemme. Eldad abita di fronte a un altro noto colono, l'attuale ministro dell'Edilizia Uri Ariel. "Abu Mazen e Netanyahu possono anche firmare un pezzo di carta con una sottospecie di accordo - dice - ma è un peccato per lo spreco della carta, il costo dell'abbattimento degli alberi". Il suo sarcasmo poggia su una realtà poco discutibile: il fallimento di tutti i negoziati precedenti da Oslo a Camp David, passando per il più recente tentativo di Annapolis. E allora perché questo nuovo sprint? "Gli Stati Uniti vengono da un decennio di fallimenti nel mondo arabo-musulmano, ora vogliono rifarsi l'immagine, ma non andranno da nessuna parte. Prendiamo l'esempio degli insediamenti - prosegue - ci sono quasi mezzo milione di persone che vivono nei cosiddetti territori palestinesi, tra questi almeno 60 mila sono lì per ragioni ideologiche e non certo perché le case costano meno, seppure il governo li obbligasse ad andarsene sono pronti a iniziare una guerra civile". Il riferimento è agli ultraortodossi, e in particolare al mancato rinnovo, domenica scorsa, del regime di agevolazione fiscale che aveva goduto finora la nutrita comunità di haredi nel settlement di Betar Illit. Escluse dalla lista dei destinatari di aiuti statali anche Efrat (vicino all'insediamento di Gush Etzion), e Kedar nei pressi del grande settlement di Maale Adumim. Nel piano di sovvenzioni del governo Netanyahu rientrano invece molti insediamenti finora ritenuti illegali (i cosiddetti outpost) tra questi figurano Rehalim e Bruchin in Samaria, e Sansana e Negohot nelle colline di Hebron nonché Hebron stessa, Nofim, Geva Binyamin, Maale Micmas, e Eshkolot.
Difficile non leggere l'assegnazione delle agevolazioni fiscali in chiave politica, da quando gli ultraortodossi non fanno più parte della maggioranza sono tante le sconfitte subite, compresa l'estensione della leva obbligatoria ai giovani studenti della Torah. Ma al di là delle sfumature fiscali, la politica abitativa degli israeliani vede più di 300 mila cittadini vivere in Cisgiordania per tre motivi: economici (le case costano meno), politici (rivendicazioni nazionaliste) e religiosi (santità di alcuni luoghi tra cui Hebron). Ad andare nella direzione opposta a quella indicata da Washington, c'è poi l'approvazione di un nuovo quartiere israeliano nella parte meridionale di Gerusalemme est a Jabal Mukaber. Niente di gigantesco, solo 63 unità abitative, ma dall'alto valore strategico "visto l'avvicinarsi delle elezioni municipali, che si terranno tra due mesi", ricorda Eldad. L'ex parlamentare ha cinque figli e quando non fa politica svolge la professione medica. Nel paese è noto per la sua versione rivisitata del "due popoli due stati": Israele e Giordania, perché la Palestina formalmente (come entità statale) non esiste. Il fiume Giordano ne sarebbe il confine naturale, "spero che la monarchia ascemita venga rovesciata come è successo in altri paesi arabi, e che venga costituito un nuovo stato che dia cittadinanza a tutti i palestinesi".

(Il Foglio, 8 agosto 2013)


Nessuna polemica su Borriello

"In riferimento all'articolo pubblicato sul portale web de Il Messaggero, in merito alla scelta del tesserato della A.S. ROMA Marco Borriello di vestire la maglia numero 88, si precisa che la Comunità Ebraica di Roma non ha mai sospettato che la scelta del calciatore fosse di natura politica, tantomento in riferimento a Hitler. Conosciamo la storia di Borriello e nulla ci fa pensare che possa mischiare il calcio con simboli e idee di stampo nazista. La sua precisazione, via Twitter, ne è testimonianza. Ci auguriamo che il prossimo anno calcistico sia all'insegna della sportività e che episodi di razzismo e antisemitismo che si sono susseguiti nelle ultime stagioni, sugli spalti e nei campi di calcio, vengano debellati".
Lo dichiara in una nota l'Assessore alle Relazioni Istituzionali della Comunità Ebraica di Roma, Ruben Della Rocca.

(Comunità Ebraica di Roma, 8 agosto 2013)


La dimenticata esecuzione di massa di prigionieri del 1988 in Iran

di Struan Stevenson - Fonte: The Diplomat

Il massacro dei prigionieri politici per mano del regime iraniano, avvenuto nell'estate del 1988, non è stato mai riconosciuto da Tehran e rimane una delle pagine più oscure della storia recente, sebbene sia relativamente sconosciuta in Occidente. Le esecuzioni iniziarono alla fine di Luglio e continuarono per diversi mesi. Oltre 30.000 prigionieri politici, la stragrande maggioranza dei quali attivisti dell'Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI), furono massacrati.
Il leader supremo dell'Iran, l'ayatollah Khomeini, emise un decreto nel Luglio 1988: "Chiunque, a qualunque livello, continui ad appartenere al PMOI dovrà essere giustiziato. Annientate i nemici dell'Islam immediatamente." E continuava aggiungendo: "... Quelli che sono nelle prigioni di tutto il paese e rimangono fermi nel loro appoggio al PMOI stanno dichiarando guerra a Dio e sono condannati all'esecuzione.. E' ingenuo mostrare pietà verso quelli che dichiarano guerra a Dio."
Ben presto iniziarono le esecuzioni e ogni giorno centinaia di prigionieri politici furono impiccati e i loro cadaveri frettolosamente seppelliti in fosse comuni senza nome in tutte le maggiori città dell'Iran, in particolare nel cimitero di Khavaran nella zona sud di Tehran.
L'ayatollah Hossein-Ali Montazeri, un religioso che per dieci anni era stato designato successore del leader supremo ayatollah Khomeini, protestò energicamente contro queste esecuzioni di massa e chiese una moratoria, ma Khomeini insistette che non doveva essere mostrata alcuna pietà e ordinò che tutti i prigionieri, inclusi persino i ragazzi e le donne incinte,venissero messi a morte immediatamente.
A causa della sua opposizione alle uccisioni, l'ayatollah Montazeri perse velocemente il favore di Khomeini e alla fine fu destituito nel Marzo 1989. Nel Dicembre 2000 Montazeri pubblicò le sue memorie rivelando dettagli scioccanti su questo massacro e la brutalità di Khomeini.
Nel 2008, nel 20o anniversario di questo massacro, Amnesty International ha rinnovato il suo appello perché i responsabili del "massacro delle prigioni" venissero imputati, affermando: "... non dovrebbe esserci impunità per tali enormi violazioni dei diritti umani, a prescindere da quando siano state commesse."
Il regime iraniano continua a negare l'eliminazione dei prigionieri politici del 1988. Nessuno dei colpevoli è stato ancora assicurato alla giustizia e nessuno fra le alte autorità del regime, compreso il leader supremo Ali Khamenei, è stato chiamato a risponderne.
Il cosiddetto nuovo presidente "moderato" dell'Iran, Hassan Rouhani, era vice-comandante in capo delle forze armate del regime all'epoca dei massacri e, dal 1982, membro del Consiglio Supremo di Difesa del regime, perciò fu totalmente consapevole di questo crimine e ad esso pienamente conforme.
In un altro rapporto del 2009, Amnesty International si è rivolta alle "autorità iraniane perché fermino la distruzione di centinaia di tombe e fosse comuni senza nome a Khavaran, a sud di Tehran, per assicurare che il sito venga preservato e per iniziare una indagine forense sul sito stesso come parte di una tardiva, approfondita, indipendente ed imparziale indagine sulle esecuzioni di massa iniziate nel 1988, alle quali spesso si fa riferimento in Iran come ai "massacri delle prigioni". Questa organizzazione teme che questi atti delle autorità iraniane abbiano lo scopo di distruggere le prove di violazioni dei diritti umani, privando le famiglie delle vittime delle uccisioni del 1988 del loro diritto alla verità, alla giustizia e al risarcimento.
Nel 25o anniversario di uno dei più mostruosi crimini contro l'umanità dalla Seconda Guerra Mondiale, è giunto il momento di domandare che i responsabili siano chiamati a risponderne.
Struan Stevenson è il Presidente dell'Interguppo "Friends of a Free Iran" al Parlamento Europeo. Il FoFI si è formato nel 2003 e gode del supporto attivo di oltre 300 MPE.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 8 agosto 2013)


"Non ci fidiamo di Rohani, l'Unione Europea continui con le sanzioni"

di Naor Gilon
Ambasciatore d’Israele in Italia

Naor Gilon con la moglie Orly
In questi giorni il nuovo presidente dell'Iran, Hassan Rohani, ha prestato giuramento. A dispetto della novità, però, va ricordato che Rohani non rappresenta un nuovo attore sulla scena politica iraniana: prima di diventare presidente, infatti, egli ha ricoperto la carica di segretario del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale e di capo negoziatore sul nucleare. Nel periodo in cui ricopriva quest'ultima posizione, tra l'altro, Rohani ha pubblicamente ammesso di aver ingannato l'occidente, sostenendo i negoziati al solo scopo di guadagnare tempo prezioso per completare la costruzione dell'impianto di conversione dell'uranio di Isfahan. In seguito alle elezioni e alla "rivoluzione verde" del 2009 - brutalmente repressa dal regime - il popolo iraniano ha dimostrato di non essere soddisfatto dei suoi leader.
   Le sanzioni internazionali - economiche e politiche - hanno direttamente contribuito alla scelta del popolo di eleggere Hassan Rohani. Non bisogna dimenticare, però, che centinaia di candidati presidenziali sono stati scartati nell'ultima tornata elettorale e che a solo otto candidati è stato permesso dal regime di competere alle elezioni, tra loro anche Hassan Rohani. Sarà Rohani l'uomo che riuscirà a cambiare veramente l'Iran? Devo confessare che il dubbio in me è grande. Le recenti dichiarazioni del neo presidente iraniano di sostegno al dittatore siriano Bashar el Assad e all'organizzazione terrorista Hezbollah, danno il senso che, in fondo, nulla è veramente cambiato. L'intervento della Guida suprema Ali Khamenei - il vero sovrano del paese - sulla nomina dei ministri chiave del governo, solleva inoltre importanti interrogativi circa la capacità reale di Rohani di fare la differenza o di riuscire a far valere una posizione diversa.
   Per quanto ci riguarda, il popolo iraniano è una vittima di una leadership estremista e Rohani - nonostante la sua capacità di parlare all'occidente in maniera più sofisticata rispetto ad Ahmadinejad - resta una parte integrante di questo regime. Fintantoché non si dimostrerà il contrario, Hassan Rohani s'inserisce - nel migliore dei casi - sulla linea dell'ex presidente Khatami, rappresentante del volto sorridente dell'Iran davanti al mondo, ma incapace di apportare cambiamenti significativi a beneficio del popolo iraniano.
   L'elezione di Rohani ha fatto crescere le speranze in diversi esponenti mondiali, in merito alla possibilità di un cambiamento in Iran. E' necessario, però, che la comunità internazionale non faccia passi indietro, almeno sino a quando Teheran non smetterà di arricchire l'uranio, di sostenere il regime assassino di Assad in Siria, di finanziare i terroristi, di destabilizzare i paesi sunniti della regione e non concederà finalmente al popolo iraniano le aperture e le libertà che merita. In particolare, in merito al programma nucleare, va ricordato che ci sono voluti più di dieci anni per costruire l'attuale regime sanzionatorio contro l'Iran. Non possiamo permettere ora al regime iraniano di proseguire con la sua strategia del "divide et impera", portata avanti anche da Hassan Rohani nel suo precedente incarico di negoziatore sul nucleare. Una strategia volta unicamente a far guadagnare tempo al regime per l'avanzamento del suo programma nucleare. Auspico, quindi, che tutti gli attori riflettano attentamente prima di sfaldare questo fronte, senza prima aver ottenuto dagli iraniani dei cambiamenti concreti. Solamente se il regime compirà dei passi significativi - e non prima - si potrà prendere in considerazione l'ipotesi di mitigare le posizioni internazionali. Parlando dell'Iran è obbligatorio spendere una parola anche su Hezbollah, ormai totalmente coinvolto nella guerra siriana al fianco di Bashar el Assad.
   Il braccio armato di Hezbollah, recentemente, è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dell'Unione europea. A dispetto dell'artificiale separazione compiuta tra l'ala militare e l'ala politica di Hezbollah, la decisione dell'Ue è un importante passo avanti per porre alcune linee rosse contro le organizzazioni terroristiche che operano sul territorio europeo contro gli inermi cittadini. Ora, spero che la stessa determinazione (e anche di più) posta dall'Ue nei riguardi di Hezbollah, venga applicata anche al regime iraniano e che, soprattutto, non vengano ammorbidite le sanzioni politiche ed economiche prima che Teheran abbia davvero messo in atto cambiamenti concreti.

(Il Foglio, 7 agosto 2013)


Trentino Basket Cup 2013: Israele batte Polonia nella prima gara del Torneo

Israele-Polonia 81-65

TRENTO - Polonia e Israele sono le prime due squadre a scendere sul parquet della Trentino Basket Cup 2013. La Polonia parte forte piazzando un parziale di 7-0 in apertura guidato da Karnowski, classe '93 centro all'Università di Gonzaga. Israele esce dagli spogliatoi con cinque minuti da giocare nella prima frazione. Omri Casspi, primo NBA del torneo (Houston ndr) a scendere sul parquet del PalaTrento, prende per la mano la sua squadra e con un parziale di cinque punti personali riporta a contatto i suoi. La Polonia non molla e, complice un paio di falli di troppo di un Tyus troppo distratto per Israele, resta a contatto. Israele mette la quarta in finale di frazione e chiude il parziale con il punteggio di 21-13. Omri Casspi con 7 punti è l'MVP del primo quarto del torneo....

(DailyBasket, 7 agosto 2013)


Museo Nahon - L'arte ebraica italiana va in mostra a Gerusalemme

Il Museo Umberto Nahon a Gerusalemme
La grande arte ebraica italiana in mostra al Museo Umberto Nahon. Nell'edificio di Rehov Hillel 27, punto di riferimento della comunità degli italkim (oltre al museo è ospitato l'amatissimo Tempio italiano) sarà visitabile fino al 10 settembre 2013 l'esibizione "Città di seta e d'argento - Motivi architettonici nell'arte ebraica italiana". "La rappresentazione dell'antico Tempio di Gerusalemme riuscì a mantenere un alone sacrale ben oltre la distruzione dell'edificio da parte dei soldati dell'imperatore Tito - si legge nella presentazione - A tal proposito possiamo vedere come motivi architettonici collegati alla sua immagine appaiono in una molteplicità di oggetti del periodo che va dal Rinascimento al Rococò, in uso presso gli Ebrei italiani: puntali (rimmonim) della Torah, amuleti (Shaddai), lampade di Hanukkah, rotoli di Ester (megillot) e contratti di matrimonio (ketubbot)".
In mostra anche le stoffe ispirate alle città italiane realizzate dall'artista Danièle Sulewic, nata a Parigi in una famiglia di origine polacca e in Italia dal 1973.

(Notiziario Ucei, 7 agosto 2013)


Abruzzo - Chiodi: «Israele nostro modello di riferimento per 'start up'»

L'AQUILA, 7 ago - L'Abruzzo guarda ad Israele come punto di riferimento per rafforzare la rete di imprese dello 'start up'. E' il senso dell'iniziativa che e' stata presentata oggi dalla Fira che, con la Regione Abruzzo, aderira' all'iniziativa del concorso internazionale Start up Tel Aviv Boot Camp, voluto proprio da Israele. ''Si guarda ad Israele per far crescere le nostre start up - ha detto il presidente della Regione, Gianni Chiodi - perche' questo Paese e' punto di riferimento internazionale in questo campo.
A Tel Aviv si vive un clima particolare che aiuta i giovani a creare nuove imprese ed a scommettere sul mercato internazionale, se e' vero che nel 2012 in Europa le start up partite sono state 500 a fronte delle 2.000 in Israele''. La collaborazione sulle start up rappresenta ''una risorsa essenziale per quei giovani che hanno voglia di investire su stessi''. Per Chiodi ''dobbiamo spiegare alle nuove generazioni che la Regione Abruzzo mette a disposizione loro una chance di investire e lo fa' guardando ai migliori; la stessa cosa lo abbiamo fatto con la sanita'''. ''L'Ocse - ha riconosciuto il Governatore - ha indicato il sistema sanitario di Israele il migliore al mondo; noi con quello Stato abbiamo avviato una collaborazione sulla rete di emergenza-urgenza''.
Start up Boot Camp e' un concorso internazionale, ha spiegato la consigliera per gli Affari pubblici dell'Ambasciata d'Israele in Italia, Livia Link , aperto alle start-up di 14 Paesi del mondo selezionati da Israele che si contenderanno la partecipazione al Boot camp di Tel Aviv. Le 14 start-up selezionate, una per ogni Paese partecipante, avranno la possibilita' di intervenire, durante il Boot Camp dal 12 al 17 ottobre, ad un programma di conferenze, incontri con imprenditori e investitori. La possibilita' da parte delle start-up abruzzesi di partecipare al concorso internazionale e' solo il primo passo di un percorso che vuole portare l'Abruzzo ad essere una start-up region, al pari di Israele che e' considerata la start up nation.
L'obiettivo, in sostanza, e' replicare in Abruzzo il modello israeliano che e' un punto di riferimento a livello internazionale. ''E' un investimento che la Regione fa' per le generazioni future - ha rimarcato il presidente Chiodi - perche' vuole guidare quel processo di cambiamento di un modo di pensare e agire che faccia uscire il territorio da una visione 'cantonale' del mondo''. In questo senso, Chiodi ha annunciato che la Regione Abruzzo partecipera' ufficialmente all'incontro sulla cooperazione bilaterale Italia-Israele in programma il prossimo 2 dicembre.

(ASCA, 7 agosto 2013)


Netanyahu: Teheran ha attivato 7000 nuove centrifughe

GERUSALEMME, 7 ago. L'Iran ha attivato 7.000 nuove centrifughe per il suo programma nucleare, di cui un migliaio di tipo nuovo. Lo ha detto oggi il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
"L'Iran non ha posto fine al suo programma nucleare, neanche dopo le elzioni presidenziali. Attualmente fanno funzionare 7.000 nuove centrifughe di cui un migliaio di un tipo più moderno", ha affermato Netanyahu le cui dichiarazioni sono state diffuse dalla radio pubblica. "Il presidente iraniano tenta di dare di lui una nuova immagine all'occidente ma il programma nucleare non si è fermato", ha aggiunto Netanyahu nel corso di una visita nel sud di Israele.
"Il presidente Rohani ci dice che nessuna minaccia lo farà smuovere, è falso, le sole cose che durante gli ultimi 20 anni hanno costretto gli iraniani a fermare il loro programma nucleare sono stste le pressioni e le minacce esplicite di operazioni militari", ha esclamato il Primo ministro.

(TMNews, 7 agosto 2013)


Noa in concerto a Lamezia Terme

Dedicato alle donne vittime di violenza

Achinoam Nini
 
Sarà Achinoam Nini, la grande cantante israeliana nata nel 1969 da una famiglia di ebrei yemeniti a Tel Aviv, conosciuta come Noa, a chiudere la parata di stelle della kermesse estiva di "Fatti di Musica Radio Juke Box 2013?, la ventisettesima edizione della rassegna del miglior live d'autore ideata e organizzata da Ruggero Pegna. Noa, definita autentica messaggera di pace nel mondo, tra gli artisti più impegnati sul fronte sociale, civile e culturale, terrà il suo concerto (dedicato alle donne vittime della violenza), uno dei soli tre in Italia del suo nuovo tour mondiale, domenica 25 agosto alle 21.30 nella cornice paesaggistica dell'Anfiteatro Mitoio di Lamezia Terme. Sarà accompagnata dal suo grande chitarrista Gil Dor e dai Solis String Quartet.
Noa, nominata nel 2007 dal Presidente Napolitano "Cavaliere della Repubblica Italiana", presenterà tutti i suoi grandi successi, dal tema della "Vita è bella" di Benigni, il brano su musiche di Nicola Piovani da lei portato al successo mondiale nel '97, ad alcune delle più belle pagine della musica napoletana incluse nel suo recente album "Noapolis". Ovviamente, non mancheranno i brani in lingua madre, la sua struggente Ave Maria di Gounod e, in anteprima, anche alcuni brani da lei scritti per il Musical su Papa Giovanni Paolo II che si appresta a toccare i teatri di tutto il mondo. "Ancora una volta - dice Pegna, ufficializzando questa parte di programma della sua rassegna-festival - 'Fatti di Musica' si presenta come uno dei più grandi eventi italiani di musica dal vivo, certamente il principale in Calabria, con le migliori, originali, attese e attuali produzioni di musica dal vivo di ogni stagione. Ora aspettiamo - ha concluso Pegna - la risposta del pubblico che, come accade da quasi trent'anni, è il principale sostenitore di questo ambizioso progetto!". Anche quest'anno, non mancano gli abbinamenti umanitari. Oltre all'abituale campagna per la Lotta a Leucemie e Linfomi dell'Amena di Catanzaro, il promoter lametino (colpito nel 2002 da una leucemia acuta) ha accolto l'invito dell'Assessore alla Cultura del Comune di Lamezia Terme che patrocina l'evento, Giusy Crimi, di dedicare il concerto di Noa a tutte le donne e in particolare a quelle vittime di violenza. "Anche la nostra città" - afferma la Crimi - ha purtroppo registrato episodi di violenza sulle donne, tema al quale ho deciso di dedicare varie iniziative soprattutto per giovani e studenti. La possibilità di un concerto dell'Artista della Pace, come è stata universalmente definita Noa, è certamente un'imperdibile opportunità per riproporre alcuni importanti messaggi anche attraverso la musica di qualità e personaggi come lei, di grande capacita' comunicativa e impegno civile". In fase di definizione, come ogni anno, una serata dedicata ai talenti calabresi, con i concerti del Parto delle Nuvole Pesanti e Micaela. "Fatti di Musica", la rassegna-festival che, negli anni, ha presentato in Calabria i più grandi eventi musicali di sempre, tra cui gli storici concerti di star come Santana, Sting, Tina Turner, Elton John, James Taylor, Al Jarreau, Paolo Conte e centinaia di altri artisti di prima grandezza, è realizzata in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura della Regione Calabria, i Comuni ospitanti, la Pro Loco di Cittanova e Armonie d'Arte Festival. A eccezione del concerto di Vinicio Capossela e la Banda della Posta ad ingresso libero (13a Festa Nazionale dello Stocco), per gli altri eventi i biglietti sono in vendita nelle prevendite abituali e Ticketone.

(Online News, 7 agosto 2013)


Esplosione lungo il confine Israele-Libano: feriti quattro soldati israeliani

BEIRUT, 7 ago. - Quattro soldati israeliani sono rimasti feriti in un'esplosione che si è verificata lungo il confine con il Libano. Lo riferisce un portavoce dell'esercito secondo il quale i militari erano impegnati "in un'attività vicino al confine". I quattro sono stati portati in ospedale. Fonti della sicurezza libanese fanno sapere che si sono sentite sette esplosioni provenienti dal lato israeliano del confine. Tuttavia una tv vicina a Hezbollah, al-Mayadeen, afferma che i soldati sono stati feriti all'interno del villaggio libanese di Labbouneh, vicino alla frontiera. Nel 2006 Israele ed Hezbollah hanno combattuto per un mese e talvolta si verificano scontri a fuoco tra le parti.

(LaPresse, 7 agosto 2013)


Barcellona - "Basta ipocrisia, il vostro è un viaggio d'affari"

Attacco a sorpresa del Jerusalem Post

"Non una missione di pace, ma un viaggio d'affari. Oltretutto neanche tanto ben riuscito". È il duro attacco sferrato - a sorpresa - dal Jerusalem Post all'indomani della due giorni del Barcellona calcio in Israele. Un lungo editoriale firmato dal giornalista di punta della redazione sportiva, Allon Sinai, che si smarca dalle reazioni entusiastiche della stampa nazionale e internazionale per denunciare l'ipocrisia di un'iniziativa che non avrebbe altro obiettivo che l'incremento del fatturato da merchandising in Medio Oriente. Niente di illegittimo, sostiene Sinai, "ma è importante sgombrare il campo da equivoci".
Nel mirino del giornalista una campagna mediatica volta a far passare il messaggio di un Barcellona impegnato ad avvicinare israeliani e palestinesi attraverso lo sport. Un impegno, niente più di uno slogan, "smentito dai fatti concreti". Solo pochi incontri sporadici, per un pubblico elitario, a fronte di una scarsa sensibilità dimostrata verso il grande pubblico degli appassionati - sia israeliani che palestinesi. Un clamoroso autogol, incalza Sinai, anche sul versante più strettamente commerciale. "Quando il Barcellona è protagonista di tournee in altri paesi asiatici - scrive il giornalista - disputa almeno una partita amichevole con un club locale per dare il senso di una cosa 'vera'. Le decine di migliaia di tifosi che hanno gremito gli spalti del Bloomfield Stadium di Tel Aviv e del Dura Stadium di Hebron per assistere all'allenamento blaugrana sono stati fatti affluire negli impianti con largo anticipo e hanno aspettato per ore sotto un sole infernale. Ironia della sorte, non è stato possibile raggiungere un accordo con la federazione palestinese che prevedesse la partecipazione della stessa a un incontro amichevole in Israele. Viaggio per la pace? Chiamiamolo col suo nome, un vero fiasco". Anche la visita di Leo Messi e compagni in una clinica pediatrica di Tel Aviv, tra i vari impegni pubblici seguiti dai media, non avrebbe sortito gli effetti auspicati risultando noiosa e poco coinvolgente. "Questa missione - scrive Sinai - verrà ricordata soltanto dalle poche persone che hanno potuto incontrare i calciatori di persona e dai politici che hanno avallato una campagna promozionale del brand Barcellona assolutamente sproporzionata".

(Notiziario Ucei, 7 agosto 2013)


Tribunale israeliano riconosce un rabbino colpevole di abusi verso un minore

TEL AVIV
Si osservi ancora una volta: la capitale di Israele è Gerusalemme, il tribunale si trova in Gerusalemme, ma la nota scrive "TEL AVIV".
- Un tribunale di Gerusalemme ha riconosciuto l'importante rabbino e leader religioso sionista Motti Elon colpevole di "atti indecenti" nei confronti di un minore. Elon - 53 anni e che si è sempre proclamato innocente - è stato accusato a fine 2011 per fatti risalenti ad anni precedenti: secondo l'imputazione il rabbino ha abusato della sua posizione come educatore per molestare un ragazzo, allora di 17 anni. Il tribunale ha anche ordinato che il rabbino, prima della sentenza, sia sottoposto a valutazione per determinare "se costituisca un pericolo per la società ".

(tio.ch, 7 agosto 2013)


Il cestista Amar'e Stoudemire avrà presto la cittadinanza israeliana

Amar'e Stoudemire
L'accelerata è delle ultime ore: l'ala dei New York Knicks, sarà a giorni un cittadino israeliano. Un'idea che ronza in testa da tempo al campione di Lake Wales, tra i principali protagonisti della Nba, di cui si conoscono i contorni ebraici per via materna esattamente dal 2010, da quando cioè raccontò alla stampa di questa sua insospettabile derivazione culturale e religiosa per via materna. A dare conferma della notizia, in un'intervista rilasciata al New York Magazine, è il suo manager Happy Walters. "Ha fatto richiesta ufficiale di cittadinanza, a breve ci aspettiamo una felice conclusione dell'iter burocratico", ha affermato Walters. Una notizia che ha letteralmente mandato in subbuglio gli sportivi di Gerusalemme e dintorni contribuendo a rendere questi ultimi giorni, già segnati dalla missione tra marketing e sociale del Barcellona calcio, indimenticabili sotto vari punti di vista. La svolta decisiva nell'affaire Stoudemire, a lungo caldeggiato dal presidente Peres in persona- il cui obiettivo, esternato una nuova volta a luglio, è quello di farne il perno della nazionale biancoceleste - sarebbe avvenuta nel corso delle recenti Maccabiadi israeliane cui Amar'e ha partecipato nelle vesti di assistente coach della squadra canadese. Un indizio in questo senso arriva dai social network: nei giorni di gara, infatti, l'atleta aveva più volte postato foto e commenti entusiastici dalla panchina raccontando di come quell'esperienza così particolare lo stesse emozionando in un modo diverso dalla normale prova agonistica.
Tra i tanti segnali l'ingrese a luglio nella cordata che ha rilevato l'Hapoel Gerusalemme, squadra outsider del campionato che, in virtù di questa inattesa operazione di mercato che molto ha fatto discutere, può iniziare a pensare in grande.
Su Twitter, in occasione del primo viaggio in Israele, Stoudemire scriveva: "Un'avventura alla scoperta di una parte fondamentale della mia identità, un progetto che coltivavo da una vita e che finalmente si realizza". Adesso il mosaico si arricchisce di un nuovo tassello. E i tifosi israeliani iniziano a sognare.

(Notiziario Ucei, 6 agosto 2013)


Il Maccabi si sveglia tardi, Basilea avanti

L'FC Basel 1893 resiste alla rimonta del Maccabi Tel-Aviv FC e grazie al 3-3 conquistato in Israele si qualifica per gli spareggi di UEFA Champions League dopo la vittoria per 1-0 dell'andata tra le mura amiche.
Gli svizzeri passano subito in vantaggio quando Sheran Yeini commette fallo in area su Valentin Stocker e Fabian Schär trasforma dal dischetto. La squadra elvetica si porta addirittura sul 3-0 al 33' grazie alla rete di rapina di Mohamed Salah e al tiro dalla lunga distanza di Marcelo Díaz.
La squadra di casa si rifà sotto dopo appena due minuti grazie all'autogol di Schär dopo che Yann Sommer si era opposto al tiro di Barak Itzhaki. Passano altri quattro minuti ed Eran Zahavi segna un bel gol per il 2-3.
Intorno all'ora di gioco arriva anche il 3-3 con Maharan Radi che capitalizza un pallone vagante. La rimonta della squadra israeliana si ferma però qui e sarà il Basilea a giocarsi gli spareggi per accedere alla fase a gironi.

(UEFA.com, 6 agosto 2013)


Messi, l'uomo da 580 milioni al Muro del Pianto

Lionel Messi al Muro del Pianto di Gerusalemme. Il giocatore più forte del Mondo è impegnato, assieme al suo Barcellona, nel 'Tour della Pace', viaggio promozionale tra Israele e Palestina organizzato per portare un messaggio di fratellanza alle popolazioni in continuo conflitto. Dopo essere stato blindato dal presidente blaugrana Sandro Rosell che lo valuta 580 milioni di dollari, Messi ha prima indossato il Kippà, copricato religioso ebraico, e poi ha infilato un biglietto di devozione tra le pietre sacre del muro del pianto.
Tutta la squadra blaugrana ha poi incontrato i leader palestinesi e israeliani: "La vostra visita in Terra santa - ha detto il presidente dello stato ebraico, Shimon Peres - è un sogno a occhi aperti per i bambini israeliani e palestinesi. E' un importante contributo alla Pace tra i nostri popoli, per la quale tutti noi preghiamo". "C'è qualcosa - ha aggiunto il premier israeliano Benjamin Netanyahu - nello spirito sportivo e nell'universalità dell'amore per il calcio che crea legami comuni. Credo che questo sia il vero messaggio: l'amicizia tra i popoli".
Video

(Datasport, agosto 2013)


Grande ospedale crociato scoperto a Gerusalemme

  
Una parte dell'antico ospedale scoperto
GERUSALEMME - Parte di un'enorme struttura risalente al periodo delle Crociate (1099-1291 d.C), all'epoca adibita a ospedale, e' stata scoperta a Gerusalemme in uno scavo condotto dalle Antichita' Israeliane in collaborazione con la compagnia 'Grand Bazaar'. Il luogo in cui e' stato rinvenuto l'antico ospedale - in apparenza molto simile alla "Sala dei Cavalieri" di San Giovanni d'Acri (Akko) e che ha un'altezza di sei metri - e' di proprieta' del Waqf (Fondazione per la protezione dei beni islamici). Situato nel cuore del quartiere cristiano della Citta' Vecchia in un'area conosciuta come 'Muristan' (corruzione del termine persiano per "ospedale"), si trova vicino a David Street, strada principale della Cittadella. Fino ad alcuni decenni fa la struttura serviva da mercato, poi e' caduta in disuso. La compagnia 'Gran Bazaar' di Gerusalemme Est ha deciso la bonifica del posto per aprire un grande ristorante e durante i lavori di scavo e' stato rinvenuto il vecchio ospedale crociato.
La parte trovata non e' che una frazione - hanno spiegato i responsabili dello scavo, citati dai media - di quanto e' ancora sotterrato: l'area intera assommerebbe a circa 15 dunam, ovvero circa 15 mila metri quadri. All'interno, colonne, volte e un'infinita' di stanze. Gli archeologi hanno spiegato che l'ospedale - condotto dall'Ordine cristiano degli "Ospitalieri" che dava assistenza ai pellegrini ma anche a tutti gli abitanti della citta' - era strutturato come un moderno nosocomio: differenti ali e dipartimenti a seconda della natura della malattia e delle condizioni dei pazienti ed era in grado di accettare, in condizioni di emergenza, sino a 2000 degenti.
Senza distinzione di censo e di religione: a questo proposito - hanno detto gli archeologi citando fonti dell'epoca - venivano anche preparati pasti kasher per i malati ebrei. Ovviamente, le conoscenze sanitarie - hanno aggiunto in base alle stesse fonti - erano molto arretrate, ma ad alzare la situazione provvidero i medici musulmani, la cui scienza nel campo era all'avanguardia. Saladino - che conquisto' Gerusalemme - rinnovo' la struttura e permise ai monaci di continuare a prestare assistenza ai pellegrini.
L'ospedale fu semidistrutto dal terremoto del 1457 e quello che restava fu interrato nel tempo: solo una parte fu usata successivamente prima come ricovero di cammelli e cavali e poi come mercato. Ora il 'Gran Bazaar' - hanno spiegato i media - e' intenzionato a rivitalizzare l'intera struttura "dall'inconfondibile atmosfera medievale" anche con un mega ristorante.

(ANSAmed, 6 agosto 2013)


Israele: previsioni di una crescita economica del 2.5% nel 2013

Secondo le stime pubblicate nella rivista economica The Economist, la crescita economica di Israele nel 2013, sara' del 2.5% e sara' superiore a quella dei paesi sviluppati, inclusi gli Stati Uniti, il Giappone e paesi dell'UE. Tuttavia, secondo le previsioni della rivista, la crisi economica continuera' anche se la crescita raggiungera' il 2.5% nel 2013 e il 3.1% l'anno successivo.

(Tribuna Economica, 6 agosto 2013)


"Au revoir, Paris". Così gli ebrei francesi riparano in Israele

Il perché del boom di arrivi nello stato ebraico. Nathan Sharanski: "Nulla di simile dai tempi dell'Unione Sovietica".

di Giulio Meotti

Nathan Sharanski
A coordinare le partenze da Parigi c'era lui, Nathan Sharanski, che nel Gulag sovietico ha patito la persecuzione per far aprire la cortina di ferro agli ebrei che volevano andare a vivere in Israele. A Parigi Sharanski c'è andato in qualità di direttore dell'Agenzia Ebraica. "Non ricordo un numero così alto di persone interessate alla alyah dai tempi in cui ci si metteva in fila fuori dall'ambasciata israeliana a Mosca", ha detto Sharanski dalla capitale francese, dove ha appena pattuito con le autorità l'esodo estivo di ottocento ebrei verso Israele.
   Un picco di emigrazione che non si vedeva dal 2004, quando durante la Seconda Intifada anche gli ebrei del Vecchio Continente subirono un'ondata di antisemitismo e a migliaia gli ebrei francesi marciarono per le strade della capitale alzando cartelli con scritto "Synagogues brulées, République en ranger", sinagoghe bruciate repubblica in pericolo, e dopo che il premier Ariel Sharon aveva invitato gli ebrei a rifugiarsi subito in Israele il presidente Jacques Chirac disse che il premier israeliano "non è il benvenuto a Parigi". "Siamo sotto attacco", hanno detto molti esuli francesi all'arrivo all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv la scorsa settimana. Così quest'anno l'emigrazione ebraica dalla Francia vedrà un aumento del quaranta per cento. Israele si sta rivolgendo agli ebrei francesi con un messaggio martellante: "Tornate a casa". Così è trasmessa anche in francese, oltre all'inglese e all'arabo, "i24news", una sorta di al Jazeera israeliana che trasmette da Haifa (per ora sul web, domani anche sul satellite). Domina la paura nel paese che ospita le più grandi comunità islamiche ed ebraiche d'Europa.
   Dopo la strage alla scuola ebraica di Tolosa, in cui rimasero uccisi un rabbino e tre bambini ebrei, Richard Prasquier, presidente del Conseil représentatif des institutions juives de France, aveva dichiarato che in Francia ha preso piede un "islam di guerra", una "ideologia mostruosa" che ha paragonato addirittura al nazismo. Gli ebrei fuggono dai luoghi simbolo del multiculturalismo francese, i grandi agglomerati urbani come Sarcelles, Creteil, Sartrouville e Saint Denis, dove la sinagoga e la moschea si abbracciano e da anni ormai la tensione è altissima.
   E' a rischio il rapporto di fiducia fra gli ebrei e la Francia, un paese che dal 1791 si vanta del motto "poiché gli ebrei non avevano una patria, il popolo francese ha deciso di offrirgli la propria". Non a caso il programma semi-ufficiale dell'Agenzia ebraica per incoraggiare i francesi alla alyah è stato chiamato "Sarcelles d'abord", innanzitutto Sarcelles, un tempo nota come la "Gerusalemme francese" e già feudo elettorale di Dominique Strauss-Kahn.
   "I ghetti si stanno svuotando", ha denunciato Sammy Ghozlan, presidente del consiglio di Seine-Saint-Denis, uno dei maggiori conglomerati urbani simbolo della comunità ebraica francesi. Secondo i dati del Ministero dell'Interno, diffusi dal Service de Protection de la Communauté Juive, l'organismo che gestisce la sicurezza della comunità ebraica d'Oltralpe, c'è stato un boom di attacchi antisemiti nel paese dopo la strage alla scuola ebraica.
   Tre mesi fa il governo israeliano ha diffuso i dati dell'immigrazione nello stato ebraico. La Francia primeggia nella lista dopo Russia, Etiopia e Ucraina. Lo scorso maggio, cinquemila persone hanno visitato la fiera della alyah organizzata a Parigi dall'agenzia di Sharanski. La chiamano "Aliyah Tapis Rouge", l'emigrazione sul tappeto rosso. E' una emigrazione di qualità, sionista e spesso benestante.

LA FUGA AUMENTA NEI MOMENTI DI CRISI
Una fuga, quella degli ebrei francesi, che aumenta storicamente nei momenti di crisi. Dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, quando il generale Charles de Gaulle definì gli ebrei "quel popolo di elite, sicuro di se stesso e dominatore", in cinquemila lasciarono il paese. Adesso un quarto degli ebrei francesi starebbe seriamente pensando di lasciare la Francia. Lo ha rivelato un sondaggio apparso su Israel Magazine, primo mensile israeliano in lingua francese.
   A Parigi si consiglia agli ebrei di "camminare in gruppo", mai soli. Meglio se sopra la kippah si indossa un cappello sportivo. Metà delle famiglie ebraiche di Villepinte, sobborgo proletario a nord della capitale, hanno lasciato il quartiere e la sinagoga locale, già incendiata nel 2011, così che non ha più fedeli neppure per il minyan di preghiera. Come reazione alla paura, oggi sempre più ebrei, anche se non religiosi, iscrivono i figli alle scuole ebraiche anziché far loro frequentare quelle pubbliche francesi.
   Joel Mergui, leader storico degli ebrei di Parigi, ha lanciato l'allarme: "L'emigrazione di massa rischia di svuotare la comunità della capitale". L'analisi di Mergui è spietata: "Dei 600 mila ebrei in Francia, solo un terzo è in contatto con la comunità ed educa i propri figli nelle scuole ebraiche. Un terzo sta per essere assimilato e un terzo è sulla barricata". Questo terzo è sulla strada per Israele. 50 mila ebrei hanno lasciato la Francia dal 1990 a oggi. Ma accanto all'emigrazione vera e propria c'è un fenomeno nuovo e difficile da conteggiare. Quello dei 30 mila ebrei francesi che trascorrono gran parte dell'anno in Israele, ma che non hanno ancora preso la cittadinanza. Delle 800 coppie che ogni anno si registrano nel municipio di Parigi, metà celebra il matrimonio in Israele.
   L'antisemitismo corre anche sul web. Dopo mesi di resistenza, in nome del Primo emendamento, Twitter ha ceduto e per ordine della giustizia francese fornirà i dati per identificare gli autori di una serie di messaggi antisemiti che spopolano ormai nella rete francese. La decisione mette fine a un lungo contenzioso tra l'azienda e l'Unione degli studenti ebrei di Francia, i primi a denunciare l'ondata di tweet con gli hashtag #unbonjuif (un buon ebreo) e #unjuifmort (un ebreo morto), che dal 2012 avevano invaso le pagine del social network.
   Secondo molti osservatori è davvero la fine della gloriosa relazione fra gli ebrei e la Francia, simbolizzata dal gioiello dell'aeronautica militare francese creato dall'ebreo Marcel Dassault; dalla Quinta Repubblica fondata da Charles de Gaulle e che ebbe come suo primo premier e padre della Costituzione l'ebreo Michel Debré; dall'ebrea Simone Veil, primo presidente del Parlamento europeo eletto a suffragio; da Pierre Mendès-France, leader radicale, ministro dell'Economia del governo de Gaulle del 1944-45, presidente del Consiglio nel 1954-55, ispiratore del '68; dal socialista Leon Blum, presidente del Consiglio del Fronte popolare.
   Stavolta è diverso. Perché come dice Shmuel Trigano, autore di un libro sul futuro degli ebrei d'Oltralpe, "è un fenomeno generale, non una crisi passeggera". Una fuga simbolizzata da personaggi ordinari ed eroici, come Frank Levy Louie. Già capo dei pompieri di Parigi, nel 2006 lasciò la Francia per prestare soccorso ad Haifa, allora sotto i missili di Hezbollah. Louie non è più tornato e oggi presta servizio a Eilat, la città del sud del paese. Poi ci sono le emigrazioni eclatanti, come il barone Edouard de Rothschild, erede della celebre dinastia ebraica e che ha fatto alyah da Parigi tre anni fa.

(Il Foglio, 6 agosto 2013)


L'emozione degli italiani in Israele nel giorno di Rosh Chodesh Elul

La Comunità ebraica italiana in Israele si è riunita questa mattina al Kotel in occasione di Rosh Chodesh Elul. Decine di persone si sono raccolte per fare teffillah nel cuore di Yerushalaim, in una cerimonia emozionante culminata con il suono dello Shofar alla presenza del Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Al suono dello Shofar di Pino Arbib, il corno di montone utilizzato secondo la tradizione in alcune occasioni solenni, molti correligionari anche non italiani si sono emozionati.
Il mese di Elul è l'ultimo mese del calendario ebraico, il mese che precede il grande giorno di Rosh ha Shanà. Per questo motivo è conosciuto dalla tradizione rabbinica come chodesh ha selichot ve ha rachamim, ossia il mese delle suppliche e della misericordia. A breve il video della cerimonia sul canale YouTube della Comunità.

(Comunità Ebraica di Roma, 6 agosto 2013)


'Arab Idol' palestinese potra' lasciare Gaza. Israele acconsente.

Potra' lasciare la Striscia di Gaza Mohammed Assaf, il cantante palestinese di 23 anni che sfidando restrizioni e fatwa il 21 giugno ha vinto l'ultima edizione del talent show 'Arab Idol'. La concessione di recarsi in Cisgiordania insieme alla sua famiglia gli è stata data da Israele, che ha così acconsentito al tour in Medioriente programmato da Assaf. La richiesta era stata formulata per lui dall'esponente dell'Anp Hussein al-Sheikh, membro di Fatah, al coordinatore di Israele per le attivita' del governo nei Territori palestinesi Eitan Dangot. Residente nel campo profughi di Khan Younis nel sud della Striscia di Gaza, Assaf ritiene di non poter continuare la sua carriera di cantante restando nell'enclave controllata da Hamas.
Definito da Abu Mazen come motivo di ''orgoglio per la nazione araba e palestinede'', il presidente dell'Anp ha concesso al giovane cantante un passaporto diplomatico. La nuova star di 'Arab Idol', programma tv costruito al Cairo sul format di 'American Idol', spopola tra i giovani di tutto il mondo arabo, dal Marocco all'Iraq. Si presenta in tv con abiti alla moda e una kefiah, il foulard simbolo della resistenza palestinese. Canta canzoni d'amore, ma nelle interviste parla contro la "occupazione israeliana". Incarna, insomma, il "sogno palestinese", come dicono i suoi fan.

(Aki, 6 agosto 2013)


L’idolo arabo va in giro per il mondo a cantare canzoni d’amore e a far conoscere a tutti qual è il “sogno palestinese”, che poi sarebbe quello di distruggere Israele. Chiede a Israele il permesso di poterlo fare e Israele glielo consente. La cosa è strana, ma nessuno se n’accorge. Come succede quasi sempre con tutto quello che riguarda Israele. M.C.


Negoziati: il 79% degli ebrei in Israele è pessimista

GERUSALEMME - Il 79% degli ebrei israeliani non si aspetta granché dai negoziati diplomatici con i palestinesi cominciati la settimana scorsa a Washington, sotto la spinta dell'iniziativa del segretario di stato Usa, John Kerry. Lo dice un sondaggio dell'Universita' di Tel Aviv pubblicato dal Jerusalem Post. Solo il 18% crede che la speranza si alta. Fra gli arabi d'Israele gli "ottimisti" sono il 47%, i "pessimisti" il 41%.

(ANSA, 6 agosto 2013)


UE contro Israele, la "verità" europea

di Cristofaro Sola

Gli Stati dell'Unione Europea    
"Orientamenti sull'ammissibilità delle entità israeliane e relative attività nei territori occupati da Israele da giugno 1967 alle sovvenzioni, ai premi e agli strumenti finanziari dell'UE a partire dal 2014". È così che si chiama il documento 2013/C 205/05 della Commissione Europea, pubblicato il 19 luglio scorso, che fa strame di cinquant'anni di tentativi di conciliazione tra paesi arabi e Stato d'Israele. Oggetto della decisione europea è la riforma del meccanismo di assegnazione degli aiuti finanziari al Paese mediorientale. Un documento asciutto, in perfetto linguaggio "burocratichese", interviene a stabilire una "verità" che nessuno in questi lunghi anni, segnati da durissime guerre e da rare giornate senza sangue, è stato in grado di determinare in via definitiva. E quale sarebbe questa "verità"? I contributi vengono destinati a coloro, persone o enti che operano esclusivamente nell'ambito dei confini dello Stato d'Israele.
   Ma, occupando Israele dal 1967, secondo le autorità comunitarie europee in modo illegittimo, territori appartenenti ad altri Stati, la UE non ne riconosce la sovranità. E per dimostrare che si fa sul serio la Commissione decide di vietare l'accesso ai contributi stanziati dai fondi comunitari di sostegno alle entità israeliane e relative attività insediate nei territori occupati da Israele da giugno 1967. A partire dall'annualità di progettazione 2014. Il documento enumera quelli che intende come territori occupati. Si tratta delle Alture del Golan, della Cisgiordania compresa Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza. Territori un tempo appartenuti non all'entità palestinese ma, rispettivamente alla Siria, alla Giordania e all'Egitto. Sarebbero, dunque, questi i paesi a cui, in teoria, dovrebbero essere restituiti. Bruxelles, invece, va oltre. Si applica sua sponte a ridisegnare i confini e a riscrivere la storia.
   Il documento fa espresso riferimento ai palestinesi quali cittadini di un'entità autonoma e sovrana insediata all'interno dei cosiddetti territori occupati. Per costoro non è previsto alcun divieto. Sono, inoltre, esclusi dalla restrizione gli accordi conclusi con l'autorità palestinese e con l'OLP (l'Organizzazione per la liberazione della Palestina). Tutto chiaro, allora. La UE dà seguito a una presa di posizione, politica, che è quella di non accettare gli esiti scaturiti dalla "Guerra dei sei giorni" e intima, la burocrazia di Bruxelles, a Israele di rientrare nei confini fissati dall'armistizio del 1949. La simbolica linea verde di demarcazione. In questo modo la Commissione Europea ha ignorato deliberatamente che quelli non erano autentici confini ma una linea armistiziale subìta in seguito alla guerra panaraba il cui obiettivo era l' eliminazione di Israele dalla carta geografica della regione. La linea verde, venne ribattezzata sarcasticamente da Abba Eban gli "Auschwitz borders" a indicare che, nelle intenzioni degli arabi, quel territorio a ovest del fiume Giordano sarebbe stato un nuovo universo concentrazionario in cui tenere dentro gli ebrei.
   Quindi, chiaro un bel niente! Si tratta di una spudorata manovra di doppiopesismo politico, concepita per svantaggiare l'uno e favorire gli altri, che segna una svolta significativa nella politica europea circa la tenuta delle relazioni internazionali nell'area strategica del medioriente. Con un gesto, apparentemente neutro (del resto cosa ci può essere di più "neutro" di un atto amministrativo?), la UE risolve in punto di diritto la questione cardine dell'intera vicenda dei rapporti arabo- israeliani, giudicando in via definitiva la presenza israeliana nei territori occupati non un fatto legittimato da ragioni di sicurezza ma una chiara espressione di una presunta volontà imperialista dello Stato d'Israele di sottomissione di popoli e territori sottratti ai loro "legittimi" governi. Se la politica estera europea contasse davvero qualcosa, questa decisione avrebbe un effetto pari all'esplosione di un ordigno nucleare sugli equilibri di quella regione. Per fortuna degli israeliani la volontà europea conta come il due di briscola, per cui la decisione non è destinata a fare gran danno, se non per la parte finanziaria che andrà inevitabilmente in sofferenza, venendo sottratta risorsa soprattutto alle iniziative di ricerca e di innovazione che gli Israeliani producono, avvalendosi dei fondi comunitari, con rimarchevoli risultati.
   Della cosa però dovrebbero essere soddisfatti i palestinesi. Mica tanto. Dietro i commenti trionfalistici di circostanza trapela una notevole preoccupazione per le ricadute che la decisione UE è destinata a produrre, a sua volta, sulle relazioni economiche esistenti tra Israele e Autorità Palestinese. Già, perché quei geni assoluti della Unione Europea hanno forse dimenticato quanto la politica estera sia condizionata dagli effetti delle reazioni a catena: se togli da una parte, per compensazione, si determinerà una perdita da un'altra parte. Elementare. Resta però il fatto, tutto negativo, di una forzatura dei già precari equilibri che con la decisione UE trova concretezza. Ancor più grave se si considera che la Commissione Euopea abbia volutamente tenuto fuori la parte palestinese che non ha meno responsabilità di Israele nel fallimento di tutti i piani di pace finora concepiti, e subito abortiti. Sarebbe stato opportuno ad esempio, per alzare di qualche tono l'autorevolezza della voce europea, condizionare l'erogazione dei finanziamenti, ai cittadini e agli enti palestinesi, a una presa di posizione formale di tutte le componenti politiche dell'autorità di Palestina in ordine all'esplicita adesione al diritto sovrano d'Israele alla sua stessa esistenza e alla sicurezza dei suoi confini. Invece neanche una parola.
   Vergogna, assoluta vergogna! Sappiano i miei frastornati (dal caldo africano) concittadini che con i soldi italiani (già, checché se ne dica, l'Italia è un contributore netto al bilancio dell'Unione) si avrà la possibilità di finanziare progetti, ad esempio, nella striscia di Gaza presentati da entità gestite dai terroristi di Hamas, però ci sentiremo tutti sollevati perché non ci sara più il pericolo di contribuire a sostenere il lavoro di scenziati e menti di prim'ordine che operano sotto la stella di Davide. E poi andiamo blaterando che l'antisemitismo in Europa lo praticano solo quattro imbecilli con le teste rasate. D'altro canto, che alcune cancellerie europee non fossero state mai troppo benevole con Israele è cosa nota. Non dimentichiamo che per le grandi realtà produttive del vecchio continente il mondo arabo rappresenta un partner necessario e ineliminabile e, in molti casi, un socio ampiamente capitalizzato. E come si sa, i soci vanno assecondati nei loro "desiderata". E se i ricchi padroni arabi ci comandano di strisciare, noi strisciamo. In queste vicende sarebbe di grande conforto ascoltare la voce dei nostri governanti. In particolare della ministra Bonino che un tempo, era il 2007 forse l'ha dimenticato, dalle colonne dell'autorevole rivista "Aspenia", sotto le mentite spoglie di una fine provocazione vagheggiava del perché Israele dovesse entrare nell'Unione Europea.
   Si ricorda, ministra Bonino, la sua tesi prioritaria? Bisogna fare di Israele il partner privilegiato della UE in quell'area, quale passo intermedio verso la piena adesione dello stato ebraico all'Unione Europea. Una partnership costruita sul modello dello "Spazio Economico Europeo" con caratteristiche aggiuntive: una sorta di SEE plus. Le caratteristiche aggiuntive avrebbero dovuto riguardare gli aspetti inerenti la sicurezza interna ed internazionale di Israele, quindi una dimensione più squisitamente politica, e non limitatamente economica. Sono parole sue, signora Ministra. Sebbene lei apparisse minuta nel fisico, in quell'occasione il suo respiro assumeva grandezza gigantesca nel delineare per l'Europa uno sviluppo portato fino sulle rive del Giordano. Mi creda, quella era davvero una bella idea per cui combattere. Oggi, si fa difficoltà a udire la sua voce. Possibile che anche noi abbiamo accettato passivamente la meschina manovra di Bruxelles per pugnalare alle spalle Israele? Non abbiamo proprio nulla da obiettare in proposito o forse tra le condizioni di resa dell'Italia, attestate dalla lettera della BCE dell'agosto 2011, vi era anche un'esplicita, sebbene non dichiarata, rinuncia ad avere una propria voce in questioni di politica estera? Vi è stato un tempo nel quale l'Italia era convitamente sostenitrice dei legittimi diritti dello Stato sovrano d'Israele, al governo c'era il mai abbastanza" vituperato" Berlusconi.
   E bisogna riconoscere che quella linea di politica estera appariva chiara e senza ambiguità. Noi tutti sapevamo da che parte fosse schierata l'Italia. Cosa che non è accaduta con il governo del "commissario" Monti. Lo abbiamo dimenticato? Il 29 novembre dello scorso anno, allorquando in sede ONU la rappresentanza italiana, ribaltando radicalmente i precedenti orientamenti, ha votato a favore dell'ammissione dell'Autorità Palestinese come Stato osservatore, non membro, alle Nazioni Unite. Allora mi sorge un sospetto: non è che la sentenza di annientamento giudiziario del Cavaliere, servisse, tra gli altri scopi, anche a rassicurare i capi di Bruxelles, e quelli dell'asse Berlino-Parigi, della materiale impossibilità del ritorno suo e della sua politica, disturbatrice degli affari dei manovratori europei? Se qualcuno conosce la risposta, cortesemente la fornisca. Sarà utile.

(L'Opinione, 6 agosto 2013)


Shoah, preservare la Memoria anche con il digitale

Una vecchia libreria, accanto a una finestra. Un pulsante invita a cliccare. Lo scaffale ruota, appare un corridoio. Sembra di esserci. È l'ingresso dell'alloggio segreto di Anna Frank, così come ricostruito, in 3D, sul sito http://www.annefrank.org/. Disponibili anche le spiegazioni audio. E i passi del Diario della giovane ebrea che visse nascosta dal 1942 al '44 e poi morì, quindicenne, a Bergen-Belsen, diventando un simbolo della Shoah.
Si diffondono, in Italia e nel mondo, le iniziative in cui le nuove tecnologie e il digitale diventano preziosi alleati della Memoria. Dagli archivi online per conservare i documenti (i più vasti, allo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme) ai corsi di elearning sulla Shoah del Museo di Auschwitz. Fino all'uso di Facebook, Twitter e YouTube per trasmettere la testimonianza e ricordare «che questo è stato» (possiede i tre account, ad esempio, l'Holocaust Memorial Museum di Washington)....

(Corriere della Sera - blog, 5 agosto 2013)


Al Qaeda contro il Tottenham: "Ebrei avidi, sarete puniti per il trasferimento di Bale"

Il leader della cellula yemenita Ahmed Al Dossari ha lanciato invettive antisemite contro il club del quartiere ebraico di Londra.

Gareth Bale
Anche Al Qaeda si è sentita in dovere di dire la sua sul trasferimento dell'estate. Il leader della cellula yemenita Ahmed Al Dossari ha postato su un blog un commento poco edificante in merito all'affare, ormai in via di definizione, tra Tottenham e Real Madrid per Gareth Bale: "Mercanti senza scrupoli - l'invettiva contro la squadra inglese - Ebrei che saranno puniti per la loro avidità".
Chiaro che la cifra record di 120 milioni di euro destinata a essere versata nelle casse degli Spurs scateni le reazioni del mondo intero. Al Qaeda ha colto la palla al balzo per offendere la comunità ebraica. Il Tottenham infatti è il club del quartiere ebraico londinese e da sempre va fiero delle proprie origini.

(Today, 5 agosto 2013)


Riportiamo per esteso questo articolo come esempio istruttivo di antisionismo di sinistra. E' una conferma del fatto che la questione ebraica coincide oggi con la questione israeliana e che l'antisionismo è l'ultima espressione storica dell'antisemitismo.

Il mito fondativo della terra promessa

di Nino Lisi

Toni Jop ha iniziato il suo articolo sull'Unità del 30 luglio scorso ponendosi questo interrogativo: «se il sionismo è una piaga, Israele cos'è, un tumore da estirpare?» Per dedurne che criticando il sionismo si voglia negare il diritto ad esistere di Israele. La questione è evidentemente mal posta: è come se, poniamo negli anni quaranta dello scorso secolo, qualcuno avesse scritto o detto «se nazismo, fascismo, franchismo, salazarismo sono delle piaghe, Germania, Italia, Spagna, Portogallo sono tumori da estirpare?» Ed avesse sostenuto che chi lottava contro i loro regimi aberranti volesse negare il diritto di quei paesi ad esistere. Voglio stare però al suo gioco e rispondergli: no, Israele non è un tumore, ma uno stato gravemente malato, bisognoso di cure radicali perché guarisca operando una totale trasformazione di sé. Ha un male che ha radici antiche, più antiche della sua stessa nascita, che ne è rimasta segnata, e che ha fatto di Israele un caso anomalo. Non mi riferisco alle modalità con cui è sorto. Tutti gli stati sono sorti con un atto di imperio e con grandi violenze, spesso consistite in lunghe e sanguinosissime guerre. Israele in questo non ha fatto eccezione. Mi riferisco al suo mito fondativo, quello della terra promessa, quello di un destino divino che la stirpe ebraica dovrebbe realizzare per l'appunto in Palestina. E' il mito sionista. Questo sì che è un tumore da estirpare.
   Germania, Italia, Spagna e Portogallo sono guarite e sono oggi paesi democratici. I primi due a prezzo di un conflitto con milioni di morti e l'Italia, secondo una accreditata versione storiografica, anche a prezzo di una guerra civile; gli altri due senza guerre, ma per implosione dei propri regimi. Perché non potrebbe guarire Israele allo stesso modo?
   Non voglio affrontare qui il tema dell'esito di un processo di trasformazione di Israele, se uno o due stati e con quali confini, perché credo che competa in primo luogo ai diretti interessati discuterlo e deciderlo. Mi preme sottolineare invece che condizione essenziale per uscire dagli infingimenti ed avviare seriamente un processo di pace è la radicale trasformazione di Israele da stato confessionale a stato di diritto, da stato che ha l'assoluto primato delle violazioni del diritto internazionale a stato che entri finalmente nella legalità internazionale, da stato coloniale a stato che rispetti il diritto degli altri popoli. E divenga così un paese effettivamente democratico, dal momento che la democrazia non è riducibile al periodico ripetersi dei riti elettorali.
   Questo, a mio avviso, è l'orizzonte che dovremmo porci quanti abbiamo a cuore la causa palestinese ed anche chiunque creda che la pace oltre ad essere un bene irrinunciabile è nello scacchiere mediorientale una necessità assoluta.
   Detto in altri termini, bisognerebbe che a tutti i livelli, culturale, politico, della militanza attiva, ci si ponesse con urgenza il problema del superamento dell'«anomalia» israeliana, che, tollerata, quando non apertamente sostenuta, dal consesso internazionale, vuoi per interessata complicità, vuoi per ignavia, è durata davvero troppo per non essere diventata un rischio incombente per la pace, oltre che essere stata ed essere tuttora un'intollerabile oppressione per il popolo palestinese.
   Vorrei concludere con una considerazione. Sopportare troppo a lungo le anomalie è pericoloso, come dimostra l'odierna crisi in Italia dell'anomalia berlusconiana. Anche le anomalie prima o poi hanno un termine; ma più a lungo sono durate più la loro fine è foriera di danni gravi che vanno ad aggiungersi a quelli prodotti in precedenza. Forse la politica a livello internazionale dovrebbe tenerne conto e capire che l'anomalia israeliana non è oltre sopportabile. Il momento di dire basta è arrivato. Alla anomalia.

(Articolo21, 5 agosto 2013)


"Israele non è un tumore", secondo l'autore, ma "ha un tumore", che è il "mito sionista". Israele dunque è "gravemente malato" e questo fa di lui una "anomalia" che costituisce un "rischio incombente per la pace". Quindi "l'anomalia israeliana non è oltre sopportabile. Il momento di dire basta è arrivato". Un brivido percorrerà forse la schiena di qualche ebreo. M.C.


Anche Israele apre alla cannabis medica: i risultati delle ultime ricerche

Anche in Israele sono state aperte le porte alla Cannabis a scopi terapeutici: oltre ad alleviare la sofferenza, la Cannabis infatti risulta essere efficce per rilassare i muscoli e per migliorare i sintomi da cui i pazienti sono afflitti.

Che la cannabis terapeutica sia utilizzata in diversi paesi nel mondo è ormai un dato di fatto. Coloro che fanno uso di marijuana per scopi terapeutici sono in continuo aumento e quando è possibile preferiscono acquistare direttamente i semi dai negozi online, coltivandoli direttamente e facendo crescere le piantine. I semi che sembrano andare a ruba al momento sono in particolare i semi autofiorenti , che appunto saltando la lunga fase di fioritura, iniziano a fiorire 5-6 settimane dopo la germinazione.
Negli ultimi mesi lo stato di Israele sembra muoversi attivamente nelle ricerche scientifiche sulla cannabis terapeutica, tanto che ne ha permesso l'utilizzo alle autorità religiose ebraiche, sempre per le sole finalità terapeutiche. Per una volta scienza e religione sembrano trovare un interessante punto d'incontro, e la notizia assume grande valore tenendo conto del ruolo preponderante che le autorità religiose ebraiche ricoprono nel paese israeliano.
Poche settimane fa un gruppo di ricercatori israeliani ha pubblicato uno studio riguardante gli effetti della marijuana sui disturbi a cui sono affetti solitamente gli anziani. Si sono sottoposti al test una ventina di anziani residenti in una casa di risposo del paese, ai quali è stata somministrata cannabis per tre volte al giorno e per un periodo prestabilito. I risultati sono stati davvero interessanti: tutti i soggetti coinvolti nella terapia hanno riscontrato un miglioramento dei sintomi da cui erano afflitti, come riduzione di tremori e dolori, minori problemi duranti il sonno (più profondo e duraturo) ed un maggiore rilassamento sia fisico che psichico. Tuttavia il risultato più eclatante riguarda gli effetti curativi osservati dopo la somministrazione sulla deglutizione dei soggetti, e quindi sulla disfagia. Si tratta di un disturbo che affligge numerose persone anziane e si manifesta nella difficoltà nel deglutire in autonomia e nella nascita di malattie neurologiche come Parkinson ed Alzheimer. Un rimedio a tale disturbo permetterebbe a molti anziani di alleviare le loro sofferenze e di evitare il ricorso ai farmaci tradizionali.
Nel frattempo, in alcune regioni italiane come Puglia e Toscana, la cannabis terapeutica fa parte del programma sanitario regionale ed i sostenitori della marijuana per scopi medici sembrano stiano aumentando anche in nel nostro Paese, dopo aver constatato la crescita esponenziale dei negozi online specializzati nella vendita di semi autofiorenti a scopo terapeutico.

(Net1News, 5 agosto 2013)


Oltremare - Il centro del mondo
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Quando si vive in Israele, si ha la serena consapevolezza di vivere nel centro del mondo in due occasioni.
La prima è la guerra, o interventi militari di varia natura. Diventiamo per escalation oppure da un giorno all'altro il centro dell'interesse del mondo intero, e pare che non ci sia luogo più importante sul globo. La nostra rilevanza sul piano internazionale è un pallone gonfiato dal giornalismo spesso parziale e male informato, a essere gentili. Poi la guerra finisce, il palloncino scoppia, e ritorniamo alla normale indifferenza del pubblico.
L'altra occasione nella quale noi israeliani siamo il centro del mondo è il mese di agosto. L'invasione che raggiunge in particolare Gerusalemme e Tel Aviv non porta uniformi né armi, che si sappia, e parla francese e inglese - spesso con accento americano. Prende possesso temporaneo ma effettivo del territorio, pretende che noi indigeni modifichiamo la lingua ufficiale parlata e quella dei menù nei ristoranti. Noi, ci si difende come si può, i più baldi difensori d'Israele arrivano a compilare due diversi menù, prezzi nettamente più alti in quelli tradotti. Lo sfruttamento a man bassa del pacifico invasore (ops, turista) è sicuramente concesso dalla convenzione di Ginevra.
Chi, nonostante il mese di agosto, deve arrivare al lavoro e continuare la vita più o meno normalmente, si deve confrontare con il rallentamento a quasi zero chilometri l'ora su qualsiasi pista ciclabile di Tel Aviv, dove gruppetti di turisti camminano lentamente e in ordine sparso, e non comprendono in nessuna lingua il concetto di guardare per terra, e notare il cubitale simbolo di una bicicletta. O forse lo vedono ma non lo collegano con i campanelli che suonano incessanti intorno a loro. Spiagge, musei, luoghi di divertimento e parchi archeologici sono dei tappeti umani vocianti e accaldati. Benvenuti in Israele, il centro del mondo per almeno 31 giorni l'anno. Per vostra informazione, noi esistiamo anche in stagioni più piacevoli e meno affollate.

(Notiziario Ucei, 5 agosto 2013)


Terza Guerra Mondiale?

di Fay Voshell

Bill Kristol, redattore del The Weekly Standard e commentatore regolare di Fox News, ha detto che la chiusura delle ambasciate statunitensi in 21 paesi è un segno di debolezza da parte degli Stati Uniti che ad al-Qaeda può apparire come una capitolazione.
  In parte può avere ragione, ma è probabile che la chiusura delle ambasciate presupponga qualcosa di molto più inquietante. Le chiusure possono essere il segno di un aumento di conflitto in Medio Oriente e Nord Africa. Si può perfino intravedere l'inizio della Terza Guerra Mondiale.
  Da qualche tempo le lotte di potere delle nazioni dette sopra si sono presentate come guerre civili tra varie fazioni musulmane, tra cui i Fratelli Musulmani. Ma queste guerre civili sono rimaste all'interno dei confini nazionali. Una volta che le linee di confine sono state superate da una parte e dall'altra, come avviene attualmente con la Siria, le guerre diventano una lotta generalizzata, con le varie fazioni che si uniscono a quelle dello stesso tipo delle nazioni circostanti. Come le guerre mondiali I e II hanno dimostrato, quando la guerra sfugge ai confini nazionali, e enti aggressivi invadono altri confini nazionali, le nazioni che hanno interesse a mantenere o estendere le loro basi di potere iniziano a collaborare tra di loro secondo empatie ideologiche. E i combattimenti si diffondono sempre più a mano a mano che le nazioni vengono risucchiate nel buco nero del conflitto.
  Poiché l'Occidente ha progressivamente abbandonato il suo antico ruolo nell'area, le linee nazionali che le potenze alleate hanno fissato nel Trattato di Versailles, che sostanzialmente hanno significato la spartizione dell'antico impero ottomano, sono state messe sotto continua pressione. La pressione è aumentata in modo esponenziale dal 1979, quando gli islamisti estremisti hanno attaccato l'ambasciata americana a Teheran, catturando 60 ostaggi americani e tenendoli prigionieri per 444 giorni.
  Il movimento islamista si è diffuso da nazione a nazione, mettendo la zona in un costante caos. Quelle nazioni sono state ritagliate in zone che si presumeva fossero gestibili in forma europea, nella speranza che ogni nazione avrebbe gradualmente assunto una forma democratica, con la Società delle Nazioni in funzione di mentore calmo e giudizioso. Ma i firmatari del Trattato di Versailles erano ignari della natura radicalmente autoritaria dell'islamismo, perché in quel periodo i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente si trovavano in una posizione relativamente sottomessa.
  Ora però i confini nazionali stabiliti nel 1919 stanno diventando sempre più privi di senso, perché il movimento islamista è più teso alla costruzione di un impero che non di una nazione. L'Occidente, con la sua lunga tradizione democratica, non ha mai compreso pienamente la preferenza islamista per l'autoritarismo e l'impero, e così ha creduto che le suddivisioni nazionali avrebbero favorito la crescita della democrazia. Ma il significato che ha oggi l'impulso islamista per l'impero porta a concludere che guerra tra il Medio Oriente e le nazioni nord-africane è inevitabile, in quanto i confini nazionali non significano niente per chi è determinato a ristabilire l'equivalente di un califfato.
  Da quanto detto fino a questo punto si vuol concludere che la probabile ragione della chiusura delle ambasciate statunitensi è che le ostilità nella zona hanno raggiunto proporzioni tali che le guerre civili che affliggono l'area non sono più contenibili in nessun modo ragionevole. Inoltre, al-Qaeda e i suoi accoliti non molto tempo fa hanno descritto l'attuale amministrazione statunitense come del tutto sconfitta, a tal punto che adesso si sentono sicuri di poter attaccare il Grande Satana nei suoi avamposti più vulnerabili - avamposti che sono stati a lungo isole di diplomazia, cosa che adesso non è più possibile.
  La chiusura dei centri diplomatici occidentali in Medio Oriente e Nord Africa può significare che l'Occidente è stato avvertito - forse da Israele? - e che alla fine riconosce che non è più possibile alcuna soluzione diplomatica, indipendentemente dall'attuale situazione dei cosiddetti "colloqui di pace" tra palestinesi e Israele. Probabilmente i "colloqui di pace" devono essere considerati come tutta una farsa, mandati avanti fino alla loro amara fine, mentre l'intera area sta per andare in fiamme e l'America si prepara ad uscire dal palcoscenico.
  Nel frattempo due attori principali, Iran e Russia, stanno giocando una partita a scacchi mortale per realizzare il progetto di assicurarsi l'egemonia nella zona - un'egemonia che quasi certamente si realizzerà se l'Iran riuscirà ad avere la bomba nucleare.
  Un altro giocatore importante potrebbe aver già segnalato agli Stati Uniti che è in procinto di fare un attacco preventivo. Mentre il mondo si concentra sui perfettamente inutili "colloqui di pace" mediorientali, il primo ministro Benjamin Netanyahu, sapendo in anticipo che i colloqui saranno assolutamente inutili, potrebbe aver già preso la decisione di colpire gli impianti nucleari iraniani. Può darsi che lo abbia già mandato a dire al presidente Obama, il quale, mentre i fuochi di Bengasi bruciano ancora nelle menti dei media conservatori e nei cuori di alcuni membri del Congresso, adesso ha deciso di ritirarsi e si prepara a farlo. L'amministrazione non vuole che una dozzina di incidenti tipo-Bengasi si verifichino prima delle elezioni del 2014 e 2016. Sarebbe politicamente molto più opportuno chiudere le ambasciate e mettere in guardia gli americani invitandoli a non mettersi in viaggio, piuttosto che correre il rischio di dover proteggere gli avamposti diplomatici o i cittadini americani.
  Quando delle ambasciate vengono chiuse, di solito è perché la guerra è imminente. Le linee del Trattato di Versailles si dissolvono a mano a mano che le nazioni si disintegrano e nuove entità prendono forma. Quali saranno le nuove linee di confine è quello che ognuno può chiedersi, ma potrebbe essere che l'Iran, alleato con la Russia, diventi il più grande potere-mediatore in Medio Oriente, ma non senza una terribile guerra.
  Per Israele la questione è se dovrà permettere all'Iran di ottenere la capacità di annientarlo, come i leader iraniani hanno espressamente detto di voler fare. Israele accetterà passivamente di subire un altro olocausto?
  Non è probabile.
  La mentalità di sopravvivenza che finora è servita così bene a Israele probabilmente scatterà. Israele ha detto più volte: "Mai più." Per lui è davvero ora o mai più. Può essere che il caos e la confusione che adesso attanagliano il Medio Oriente gli offrirà il momento opportuno per colpire le nazioni che la circondano mentre stanno combattendo l'una contro l'altra.
  Per quanto riguarda gli Stati Uniti, è tutto da vedere il ruolo che questa amministrazione vuole assegnare alla nostra nazione nei confronti di Israele. E' ben possibile che il nostro presidente decida di ritirarsi da ogni significativa alleanza con Israele, lasciandola sola ad affrontare le conseguenze di un attacco, riempiendosi la bocca di vuote parole di sostegno.
  Il tempo lo dirà, naturalmente.
  Ma nel frattempo qualche lettura delle foglie di tè è lecita, come la chiusura senza precedenti delle nostre ambasciate, che costituisce un indizio di fatti inquietanti che stanno accadendo dietro le quinte e che potrebbero presto venire allo scoperto con conseguenze che facciamo fatica a immaginare.

(American Thinkers, 4 agosto 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Quando Nardò accoglieva gli ebrei in fuga

di Stefano Martella

"Vorrei esprimere la mia gratitudine al gran popolo italiano. Io ed altri 1.500 ebrei jugoslavi perseguiti dai nazi durante la seconda guerra mondiale siamo stati salvati dal governo italiano. Prima della fine della guerra ci hanno trasportati a Bari e dopo a Nardò, a Santa Maria al Bagno. I ricordi di quei posti hanno lasciato un' impressione indimenticabile nella vita. La gentilezza degli abitanti, le bellezze naturali, vigne, spiagge, non dimenticherò mai (…)".

La lunga migrazione dei profughi in Salento e il sogno di una patria
Nel Salento ci sono pezzi di storia poco conosciuti o dimenticati dai più. Il profugo ebreo Jakob Ehrlich, con queste parole, ce ne da una conferma e allo stesso tempo riporta alla luce una bella pagina di storia di questo territorio. Una storia di accoglienza, vera.
  Dal 1944 al 1947 a Santa Maria al Bagno fu organizzato un grande campo profughi, conosciuto come no 34 o con la denominazione di Santa Croce. La preparazione del campo fu inizialmente opera degli inglesi, in seguito coadiuvati dall'UNRRA (United Nations Relief Rehabilitation Administration). Le istituzioni organizzarono l'accoglienza requisendo anche le case e le ville adoperate dai neritini per le vacanze, nelle quali furono ospitati i rifugiati. L'obiettivo era quello di far confluire, in un posto sicuro, la massa di profughi ebrei che fuggivano dalla persecuzione nazista.
  In quegli anni Santa Maria al Bagno si trovò letteralmente invasa da questa moltitudine di fuggiaschi (il campo arrivò a contenere sino a 3.000 rifugiati) di varie nazionalità: turchi, russi, greci, lituani, ungheresi. Uomini, donne e bambini che furono internati nei campi di concentramento e che vissero sulla propria pelle la follia nazista. Per loro Santa Maria al Bagno doveva essere solo un punto di passaggio prima di approdare nella "terra promessa": la Palestina. Ma la permanenza si rivelò più lunga delle attese, sopratutto perché allora gli inglesi non erano favorevoli alla formazione di uno Stato di Israele.
  Presto però Santa Maria al Bagno si dimostrò di essere più di un "ghetto dorato", con il mare che pareva una lastra di vetro al rispecchiare dei raggi solari, con le ville, la natura. Un paesaggio armonico che si conciliava perfettamente con la gentilezza degli abitanti del posto. Quest'ultimi non venivano da un periodo facile, era appena terminata la guerra, la maggior parte della popolazione viveva in uno stato di povertà. Ma alla fine del '44 e per tutto il periodo di cui parliamo, la vita cominciava faticosamente a farsi strada verso una nuova normalità: le persone si riappropriavano di una vita sociale, ricominciavano le feste, i riti religiosi, il lavoro.
  L'emergenza profughi che colpì in pieno il territorio e gli abitanti di Santa Maria al Bagno fu, in un certo senso, l'ultimo conto presentato dalla Guerra a Nardò. Inizialmente la diffidenza fu tanta. Volti scavati, duri, bocche chiuse, atteggiamenti schivi. Facce che parevano aver vissuto l'inferno, dal quale non ci sarebbe più stato ritorno. Questo fu il primo contatto tra due popoli coinvolti in una stessa guerra, certamente vissuta in maniera diversa , ma che adesso si trovavano insieme sotto lo stesso tetto, nella stessa piazza. La diffidenza però fu superata in fretta, lasciando il posto alla solidarietà. Presto si crearono comitive di amici formate da autoctoni e profughi, si andò insieme al mare, al cinema, a cena. Sbocciaronoi primi amori, sia nel del campo ( furono 400 i matrimoni tra profughi celebrati a Santa Maria al Bagno) sia tra rifugiati e neritini. Alcuni di questi rapporti sentimentali durano tutt'ora.
Passaporto
  Anche l'organizzazione dell'accoglienza da parte di chi governava fu impeccabile, sul piano materiale non mancò niente ai profughi. Inoltre, man mano che i rapporti tra le due popolazioni diventavano sempre più amichevoli, il campo veniva dotato di maggiori servizi e strutture. Insomma più che un campo sembrava un piccolo centro abitato: vi erano tre mense, due sinagoghe, un ospedale, un ambulatorio medico e uno studio dentistico. In una località ( attuale villa de Benedittis) si celebravano matrimoni, si svolgevano concerti, spettacoli teatrali e feste da ballo.
  Non è un caso se a distanza di decenni quegli stessi profughi si ricordino ancora di Santa Maria al Bagno come di un posto dove sono rinati. Dopo aver visto i propri simili essere introdotti nei forni crematori, subito umiliazioni, assistito a fucilazioni di massa, a Nardò, a Santa Maria al Bagno, quegli stessi profughi hanno riscoperto di essere persone. Delle persone che adesso sono eternamente grate agli abitanti e alle istituzioni di Nardò.
  Da questa gratitudine, espressa principalmente in numerose lettere di riconoscenza, la memoria di quell'esperienza è rimasta viva anche dopo la chiusura del campo. Per quell'accoglienza nel 2005 il Presidente Ciampi conferì alla città di Nardò la Medaglia d'oro al Merito Civile. Non solo. Tutte le sensazioni sopra descritte è ancora possibile viverle nel Museo della Memoria e dell'Accoglienza di Santa Maria al Bagno, gestito dall'Associazione Tic Tac. Una struttura inaugurata nel 2009 e interamente dedicata a quell'esperienza.
  Lo scorso martedi, come spesso accade, il museo è stato visitato da un gruppo di ebrei. Un uomo, nato anch'egli in un campo profughi, ha pianto alla vista di alcune foto affisse sulle pareti. Girando tra le mura del museo l'emozione è palpabile, un nodo ti si stringe in gola alla vista di una carta d'identità marchiata dal Reich con una grande J rossa che stava ad indicare "Juden", Giudeo. Tre grandi murales, ritrovati in una vecchia casa dell'epoca, raffigurano tre diversi momenti dell'odissea dei profughi: il bisogno di una patria, la lunga migrazione verso il Salento e il rifiuto di un soldato inglese di consentire l'accesso a Gerusalemme.
  Appagati ci lasciamo alle spalle il museo e ci dirigiamo sulla strada del ritorno, verso Lecce. Passiamo da Nardò, in mezzo alle sue campagne. La vista di alcuni braccianti africani, di questi fantasmi in fila indiana che camminano apparentemente senza meta sul ciglio della strada, sotto il sole cocente, è un pugno nello stomaco che questa volta fa più male del solito. Con tutte le dovute differenze del caso, la riflessione viene spontanea: dopo tutte le testimonianze di accoglienza che abbiamo visto, dopo esserci emozionati per la solidarietà che Nardò offrì ai profughi ebrei, la vista di questi migranti abbandonati a se stessi è un'immagine stridente. Come può una città insignita della Medaglia d'oro al Merito Civile non dare risposte tempestive ad un emergenza, quella dei braccianti agricoli, che puntualmente si ripete ogni anno? Seppur con l'aiuto degli alleati, nel 1944 venne allestito in poco tempo un efficiente campo profughi che poteva contenere 3.000 individui. Possibile che nel 2013 Nardò abbia difficoltà a garantire un'accoglienza efficiente per poche centinaia di migranti africani?
  Paradossalmente ciò che ha imbarbarito la questione dei lavoratori stagionali a Nardò è stata proprio la nascita di un dibattito. Lo scontro tra due posizioni pro e contro la necessità di accogliere questi stranieri. Come se il principio dell'accoglienza potesse essere, in una città come questa, oggetto di dibattito. All'epoca, nei bui anni '40, nessuno pensò di discutere sull'emergenza profughi. Questi avevano fame e gli hanno dato da mangiare, avevano bisogno di un posto dove dormire e gli hanno dato un tetto.
  Ma è evidente che in questo quadro un ruolo cruciale dovrebbero svolgerlo i datori di lavoro. Ma non lo fanno. E in queste condizioni l'azione delle istituzioni è fondamentale. A Nardò il Comune è sempre molto attento, come è giusto che sia, alle attività del Museo delle Memoria e dell'Accoglienza e al numero crescente di visitatori che ogni stagione si recano a visitarlo. Ma questa bella parola, "accoglienza", è strano che a Santa Maria al Bagno venga usata come leva del marketing territoriale, mentre nell'entroterra finisce per rappresentare poco più di una rogna stagionale.

(20centesimi, 5 agosto 2013)


Concorso internazionale Startup Tel Aviv Boot Camp

  
Dopo l'ufficializzazione della partnership socio-sanitaria avvenuta pochi giorni fa tra l'Abruzzo e Israele, ora si sta cercando di potenziare il sodalizio costruendo un ponte tra la nostra regione, che tende a diventare una startup region, e lo stato israeliano considerato la startup nation. L'evento sarà l'occasione per presentare Startup Tel Aviv Boot Camp, il concorso internazionale promosso dall'Ambasciata d'Israele in Italia rivolto alle start up attive nei settori web, mobile e security. La Finanziaria Regionale Abruzzese, che gestisce il bando StartUp StartHope, sostiene l'iniziativa facendosi promotrice in Abruzzo del concorso, per consentire a coloro che stanno presentando le proprie idee per il bando StartHope di misurare il proprio progetto non solo in un contesto regionale ma internazionale. Saranno inoltre illustrati i progetti che la FIRA, in collaborazione con la Regione Abruzzo, sta mettendo in campo per costruire un territorio favorevole per l'impresa e per l'innovazione, fertile per i giovani talenti e per le buone idee. Mercoledì 7 agosto alle ore 12:00 presso la Sala Conferenze della Stazione Ferroviaria di Pescara (I piano - Binario 1).

(Regione Abruzzo, 5 agosto 2013)


Iran, la mano tesa di Rohani: "Dialogo''

Il nuovo presidente iraniano ha giurato davanti al Parlamento, poi ha rivolto un messaggio all'Occidente: "Lo dico candidamente, se cercate una risposta adeguata rivolgetevi all'Iran con il linguaggio del rispetto, non con quello delle sanzioni". E ancora: "La trasparenza è la chiave per aprire la porta della fiducia".
Video

(la Repubblica, 5 agosto 2013)


L'esercito israeliano si prepara ad una guerra breve e sanguinosa in Libano

La terza guerra libanese sarà breve, aggressiva e sanguinosa. Questo giudizio esprimono gli alti militari israeliani, basandosi sulla possibilità di opposizione armata con Hezbollah l'estate prossima.
Secondo il parere dei militari, Israele attende la caduta di centinaia dei missili, perché i mezzi della Difesa Contraerea non possono proteggere il Paese dai massici raid missilistici.
Dalla parte dell'armata israeliana si prevedono avio raid di massa contro il territorio del Libano e una manovra d'attacco breve, ma aggressiva. La manovra sarà breve per via della pressione internazionale e per questo si fa accento sull'efficacia della prima tappa del colpo terrestre.

(La Voce della Russia, 5 agosto 2013)


Il Barcellona a Gerusalemme. Visita di gruppo al Muro del Pianto

GERUSALEMME - Il Barcellona al Muro del Pianto. Il club catalano prosegue il 'Tour della Pacè in Medio Oriente con una visita particolare a Gerusalemme. Nel luogo sacro, i calciatori azulgrana hanno indossato la kippah e hanno rispettato la consuetudine di lasciare un messaggio, contenuto in biglietto lasciato tra le pietre del Muro.
Secondo il programma del viaggio, il Barcellona incontrerà il presidente israeliano Shimon Peres e il primo ministro Benjamin Netanyahu. In serata, allo stadio Bloomfield di Tel Aviv, la squadra terrà un clinic a cui sono attesi addirittura 14.000 bambini. Ieri il Barcellona, sbarcato all'aeroporto di Tel Aviv, ha visitato la Basilica della Natività a Betlemme, in Cisgiordania. Nel corso della giornata, la squadra ha incontrato il presidente palestinese Mahmud Abbas e poi è scesa in campo con i bambini palestinesi giunti allo stadio Dura, nei pressi di Hebron.

(Il Messaggero, 4 agosto 2013)


Il calciatore egiziano Salah non si tira indietro: sarà in Israele

Anche l'altro egiziano del Basilea, Elneny, effettuerà la trasferta di Champions League in Israele

L'egiziano del Basilea Mohamed Salah ha affermato sabato al termine della partita di Super League di San Gallo che effettuerà la trasferta a Tel Aviv per il ritorno del terzo turno preliminare di Champions League contro il Maccabi, così come il compatriota Mohamed Elneny.
"Giocherò perché è la mia professione. Voglio disputare la Cjampions League e in fin dei conti si tratta di calcio e non di politica", ha detto il centrocampista, messo sotto pressione dai media del suo paese.
Nella gara di andata Salah era andato a bordo campo a cambiare le scarpette proprio mentre i compagni stringevano le mani agli avversari prima dell'inizio dell'incontro.

(RSI.ch, 4 agosto 2013)


Meis - Dal governo quattro milioni per la realizzazione

La cifra è nel decreto "Valore Cultura" del ministro Bray Calimani: «E' un segnale importante di attenzione»

di Marcello Pradarelli

Riccardo Calimani
«Sono più che contento, questi quattro milioni sono un segnale importante». Riccardo Calimani, presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Meis, saluta con queste parole la decisione del governo di stanziare 4 milioni di euro per la realizzazione del Museo nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah, che ha trovato casa a Ferrara nelle ristrutturate ex carceri di via Piangipane. La cifra è contenuta nel decreto "Valore Cultura" presentato dal ministro per i Beni culturali Massimo Bray che ieri mattina è stato approvato la dal consiglio dei ministri. Alla voce musei oltre al Meis di Ferrara compare la Galleria degli Uffizi di Firenze, destinataria di 8 milioni.
Il professor Calimani la bella notizia l'ha avuta in Corsica nell'ultimo giorno di vacanza e contribuirà a rendere più sopportabile il rientro.
I 4 milioni non bastano per completare la realizzazione del Museo, ma sono una manna dal cielo. Calimani ci sperava, ma non osava quasi chiederli. «Con i problemi generali legati alla crisi economica e poi con quelli del terremoto che si era creata una situazione difficile». C'era il rischio che la cultura ne facesse le spese e invece il decreto Valore Cultura ha riacceso la speranza che il progetto Meis arrivi a compimento. In questi ultimi anni a tenere accessa la luce - come dice Calimani - ha contribuito tra l'altro la Mostra del Libro Ebraico, «una scommessa vinta a giudicare dal successo dell'iniziativa, cui qualcuno non credeva». A proposito di libri, è di recente pubblicazione il primo volume della "Storia degli ebrei italiani. Dalle origini al XV secolo», di cui è autore Calimani; il secondo volume sarà in libreria fra sei mesi. E' uno studio quello sulla storia degli ebrei italiani che dovrebbe servire anche a inquadrare l'impianto del Meis di Ferrara, la cui ambizione è quella di presentare duemila anni di presenza e cultura ebraica nella Penisola.
Come spendere i 4 milioni non è deciso. Calimani riunirà quanto prima il cda. «Intanto - essendo il Meis un work in progress - il presidente invita le Comunità ebraiche (e non solo) a dotare il nascente Museo di oggetti. «A Lugo di Romagna -dice Calimani a titolo di esempio - c'è un importante fondo di libri raccolto da un cardinale, che da solo ci permetterebbe di realizzare una mostra».

(la Nuova Ferrara, 4 agosto 2013)


Netanyahu: il regime iraniano non è cambiato

Il Premier di Israele torna a commentare le parole di Rohani

GERUSALEMME, 4 ago - ''Il presidente puo' essere cambiato, ma il regime non e' stato rimpiazzato''. Lo ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu che - durante la consueta riunione domenicale del governo - e' tornato a commentare le parole attribuite al nuovo presidente iraniano Hassan Rohani. ''L'intenzione dell'Iran - ha aggiunto - e' quella di sviluppare armi nucleari per distruggere Israele. E' un rischio per l'intero mondo e noi siamo intenzionati a prevenirlo''.

(ANSA, 4 agosto 2013)


Strage di Bologna, pista "teutonico-palestinese": ecco dove cercare (e trovare) i veri depistaggi

Un'ennesima pagina nerissima del giornalismo italiano e - purtroppo - anche di una certa politica che troppo spesso cerca di mettere le mani sui fatti della storia con l'anacronistico intento di creare consenso ideologico sfruttando le tragedie nazionali. Non interessa la verità così come emerge dai documenti e dai riscontri, ma una verità politica (o di partito) alla quale fatti e circostanze devono impietosamente piegarsi.
Mentre osserviamo calare il polverone che ogni anno viene alzato in occasione dell'anniversario della strage di Bologna, attraverso dichiarazioni sempre più violente e allo stesso vuote di ogni serio significato da parte di alcuni "detentori della verità", restano in piedi - fra le macerie di questa raccapricciante vicenda che trasforma i morti in strumenti di propaganda politica - parole e prese di posizione al limite dell'insulto per grossolana sciatteria, dolosa manipolazione e reiterata menzogna...

(LiberoReporter, 4 agosto 2013)


Gaza: la caduta di Morsi peggiora le condizioni nei Territori


Gaza sta accusando un duro colpo dopo la caduta del presidente Morsi. Il governo palestinese guidato da Hamas puntava nell'aiuto del leader egiziano per rompere l'isolamento a cui i Territori sono costretti.
Ora, uscito di scena il principale alleato della regione, per la popolazione palestinese la vita diventa ancora piò difficile.
"Nessun pescatore palestinese può raggiungere il lato egiziano - spiega Mohammad El-Hissi, del sindacato dei pescatori - a causa dell'accerchiamento a nord, sud e ovest.
È come se pescassimo in una piscina. Siamo in questa condizione per colpa dell'occupazione. Ora anche gli egiziani intervengono con le barche per cacciarci".
Le misure introdotte dall'Egitto che limitano l'accesso al mare stanno direttamente mettendo sul lastrico 1.200 lavoratori.
"Sono solo sei miglia di mare aperto e non abbiamo abbastanza carburante - racconta Mahmoud Abu Hassira, negoziante - Come facciamo ad andare a pescare? Il prezzo del pesce è altoi perché non abbiamo molta merce e la gente non si puó permettere di acquistarlo".
Il Cairo ha inoltre parzialmente chiuso il valico di Rafah con i Territori. Migliaia di lavoratori e studenti palestinesi che passavano ogni giorno la frontiera sono ora bloccati.
Carburante e materie prime scarseggiano e sono aumentati ulteriormente i prezzi dopo che il tunnel per il contrabbando è stato chiuso.

(euronews, 3 agosto 2013)


Gerusalemme e Tel Aviv al secondo e terzo posto come migliori città del Medio Oriente

Prescelte dai lettori del celeberrimo magazine Americano "Travel and Leisure Magazine" Gerusalemme e Tel Aviv al secondo e terzo posto come migliori città del Medio Oriente e dell'Africa mediterranea

Questa volta la scelta è avvenuta attraverso un sondaggio indirizzato ai lettori della prestigiosa rivista americana con base a New York "Travel and Leisure Magazine" che hanno votato Gerusalemme e Tel Aviv rispettivamente come la seconda e la terza miglior città del Medio Oriente e dell'Africa.
Il primato è stato mantenuto da Città del Capo. Le categorie per la scelta sulle quali è stato richiesto ai lettori un parere sono state: paesaggi, cultura, arte, ristoranti e cibo, gente, shopping.
Gerusalemme attira oltre due milioni di turisti l'anno con una percentuale di turisti che visitano la città santa dell'80%. E' la città più visitata in Israele. Molti tra i siti più belli ed interessanti di Israele si trovano a Gerusalemme. Basta ricordare Il Muro del Pianto o Muro della Preghiera, la Chiesa del Santo Sepolcro, la Via Dolorosa interna alla Città Vecchia, Yad Vashem - il memoriale dell'Olocausto, il Monte degli Ulivi.
Tel Aviv è la seconda città più visitata in Israele, con circa il 60% di tutti coloro che si recano in Israele e che si fermano a Tel Aviv alla scoperta soprattutto della "Città Bianca" ovvero la parte della Città così chiamata per la sua collezione unica di edifici Bauhaus che l'hanno resa sito Uneso e patrimonio dell'Umanità a partire dal 2003.
Tel Aviv è sinonimo di cosmopolitismo e divertimento conosciuta in tutto l'area come la "città che non dorme mai".

(Blogtaormina, 3 agosto 2013)


Egitto - Al Qaeda con i Fratelli Musulmani. Minacce ai cristiani

Il video postato ieri dal leader di Al Qaeda, Al-Zawahiri, non lascia adito ad alcun dubbio. Il più grande e potente gruppo terroristico del mondo sta con la Fratellanza Musulmana a dimostrazione che quando gli egiziani hanno destituito Mohamed Morsi hanno in effetti abbattuto un regime terrorista....

(Right Reporters, 3 agosto 2013)


Al Quds Day. Rohani in prima fila al corteo anti Israele

L'Iran festaggia lo Al Quds Day, la festa di Gerusalemme, e quello che doveva essere il nuovo corso iraniano del "moderato" Rohani si trasforma nella solita scampagnata antisemita a Teheran, contro Israele e pro palestinesi. Rohani, in marcia con i dimostranti, onora la festa di Gerusalemme araba volta nel '79 dall'ayatollah Khomeini, cerimonia che ricorda l'annessione di Gerusalemme Est da parte dello Stato israeliano nel 1967 (ma non ricorda il perché di quella reazione). Durante la manifestazione, insulti e slogan anche contro il processo di pace ripreso per i capelli dall'amministrazione Obama e condotto dal segretario di stato Kerry.

(l'Occidentale, 3 agosto 2013)


La virata di Kerry verso i generali egiziani scuote la strategia americana

ROMA - A sorpresa John Kerry ha legittimato ieri, addirittura con enfasi, "il ritorno della democrazia in Egitto" e la defenestrazione manu militari del presidente eletto Mohammed Morsi. Il segretario di stato ha superato d'impeto le prudenze lessicali dell'Amministrazione Obama. Il suo reiterato rifiuto di pronunciare la parola golpe aveva infatti una ragione complessa. Se il 3 luglio al Cairo si fosse verificato un golpe, una legge avrebbe infatti imposto all'America di cessare di versare i 2 miliardi di dollari annui all'Egitto, annullando così un fondamentale legame con i corrottissimi vertici militari. "Milioni e milioni di egiziani hanno chiesto nelle piazze ai generali di intervenire per impedire che il paese finisse nel baratro - ha detto Kerry - e d'altronde non ci risulta che il potere sia stato preso dai generali". In realtà il potere al Cairo è oggi saldamente nelle mani del solo generale Fattah al Sisi che ha nominato motu proprio il presidente della Repubblica Adly al Mansour e il nuovo governo, e che ormai si rivolge direttamente alla piazza per chiedere un mandato personale per "stroncare l'estremismo e il terrorismo", cioè la protesta dei Fratelli musulmani. I quali, naturalmente, hanno condannato le dichiarazioni di Kerry. Per tentare di ricucire il tessuto politico, Kerry ha inviato al Cairo il sottosegretario William Burns. Il sito israeliano Debka, che pubblica informazioni ufficiose del Mossad, sostiene che Sisi intende indire elezioni presidenziali entro l'anno per candidarsi in prima persona, con ovvie possibilità di successo. Un percorso a ostacoli, perché è evidente che la capacità di mobilitazione dei Fratelli musulmani è enorme. La "svolta" di Kerry è l'ultimo atto di un processo che rende identica la situazione dell'Egitto a quella dell'Algeria del 1991, dopo che furono annullate le prime elezioni vinte dai Fratelli. L'appoggio della Francia di Mitterrand a quella decisione non impedì il passaggio dalle manifestazioni nelle piazze alla formazione, dalle costole della Fratellanza, di un movimento terroristico - il Gia - che provocò una terribile guerra civile.

(Il Foglio, 3 agosto 2013)


Una proposta per lo Stato d'Israele

Come commento ad un articolo del Sole 24 Ore, abbiamo trovato su internet una proposta che per certi aspetti sembra interessante:
    Vorrei fare questa proposta: lo stato di Israele dovrebbe essere dichiarato come stato internazionale multireligioso multietnico e territorio e suolo santo per eccellenza, protetto come patrimonio dell'umanità, amministrato da una sola democrazia internazionale multietnica e multireligiosa, amministrata da sole persone pacifiche di ogni nazione. Tutti coloro che risiedono in Israele e non vogliono la pace e non accettano la convivenza multietnica e multireligiosa pacifica non sono adatti a vivere in quella terra e andrebbero espulsi a meno che realmente non cambino. Se così si farà quella terra diventerà sicuramente un catalizzatore per la pace fra tutte le nazioni e nessuno farà più la guerra, perché la guerra è nemica dell'umanità ma l'umanità è più forte della guerra grazie a ciò che viene da questa terra e che continua a parlare ogni giorno ad intere generazioni fin dal principio.
Per rispetto verso i lettori abbiamo corretto i numerosi errori di ortografia (es. "viene dà questa terra") che probabilmente in certi settori della letteratura elettronica non vengono più considerati tali. La proposta è interessante perché esprime quella che potrebbe essere l'ideologia internazionale con cui si giustificherà l'attacco della nazioni contro Israele: la PACE. La pace, ecco l'ultimo, "nobile" motivo che spingerà il mondo contro il popolo ebraico. Ma no - obietterà qualcuno - non confondiamo gli ebrei con Israele. E' un'illusione: la questione ebraica oggi coincide con la questione israeliana; fa comodo agli antisemiti di tutto il mondo che molti non se ne siano accorti.
Quanto alla pace mondiale, ne hanno già parlato secoli fa gli scritti del popolo ebraico:
    Avverrà, negli ultimi giorni,
    che il monte della casa dell'Eterno
    si ergerà sulla vetta dei monti,
    e sarà elevato al disopra dei colli;
    e tutte le nazioni affluiranno ad esso.
    Molti popoli v'accorreranno, e diranno:
    "Venite, saliamo al monte dell'Eterno,
    alla casa del Dio di Giacobbe;
    egli ci ammaestrerà intorno alle sue vie,
    e noi cammineremo per i suoi sentieri".
    Poiché da Sion uscirà la legge,
    e da Gerusalemme la parola dell'Eterno.
    Egli giudicherà tra nazione e nazione
    e sarà l'arbitro fra molti popoli;
    ed essi delle loro spade fabbricheranno vomeri d'aratro,
    e delle loro lance, roncole;
    una nazione non leverà più la spada contro un'altra,
    e non impareranno più la guerra.
                                                                  Isaia 2:2-4
(Notizie su Israele, 3 agosto 2013)


Hamas e i campi estivi per i bambini: "L'odio s'impara a scuola"

Odiare i civili israeliani è un compito che sta molto a cuore ad Hamas. L'indottrinamento inizia presto: un bambino di Gaza impara a disprezzare Israele al suo primo giorno di scuola.
Il 'sistema di istruzione di Hamas' insegna agli studenti che gli ebrei non hanno un collegamento con la terra d'Israele e che provengono dall'Europa. I loro libri di testo non fanno alcuna menzione di ebrei dai paesi arabi. Non vi è alcun riconoscimento del popolo ebraico come nazione. Gli ebrei sono descritti come criminali e ladri. Hamas diffonde questa propaganda nelle scuole con opuscoli e programmi televisivi.
Proprio i canali di propaganda di Hamas sono continuamente monitorati dai servizi segreti israeliani e da quelli americani. Sono un classico esempio di indottrinamento, che non ha nulla da invidiare alla Hitler-Jugend nazista. Anzi, per certi versi, l'istruzione di Hamas è ben più spietata.
Dallo scorso anno, Hamas insegna ai bambini l'ebraico, che essi definiscono come "la lingua del nemico". Secondo il capo del Ministero della Pubblica Istruzione di Gaza, Mahmoud Matar, Israele è il nemico e l'insegnamento della lingua del nemico è fondamentale per la comprenderlo (e sconfiggerlo).
Per mantenere i giovani di Gaza indottrinati durante le vacanze, Hamas organizza anche dei campi estivi (nella foto). Hamas, in collaborazione con altre organizzazioni terroristiche nella Striscia di Gaza, utilizza le vacanze estive come un modo per promuovere la Jihad, la "liberazione della Palestina" e la "Morte in onore di Allah."
Alcuni anni fa, il braccio armato dei Comitati di Resistenza Popolare, la brigata Al-Nasser Sahal al-Din, ha aperto una propria accademia terrorista. Quasi un anno fa, il primo "studente" diplomato. Il curriculum comprende la formazione fisica, corsi di difesa, strategia militare e l'uso di missili anti-carro.

(teleradiosciacca.it, 2 agosto 2013)


Stupore fra gli ortodossi: Yitzhak 'spia' per l'Iran

GERUSALEMME - Stupore ed incredulità si avvertono nei rioni ultraortodossi di Gerusalemme dopo che le autorità israeliane hanno reso noto di aver arrestato un ebreo timorato, membro di una setta accesamente antisionista, con l'accusa di essersi offerto di spiare a favore dell'Iran.
A quanto risulta, avrebbe preso un primo contatto con le autorità iraniane nel 2001, quando visitó la loro ambasciata in Germania. E' sospettato fra l'altro di essersi offerto di "uccidere un sionista". Ma, secondo la stampa, le autorità di Teheran non lo avrebbero preso troppo sul serio e la vicenda si sarebbe presto arenata. Anche se in Israele la sua identità non puó essere per ora pubblicata, sui muri del rione ortodosso di Mea Shearim, a Gerusalemme, sono stati esposti vistosi cartelli che invitano a pregare per la pronta liberazione di Yitzhak, figlio di Sara B. (il cognome compare per esteso).

(La Voce, 2 agosto 2013)


Nella partita energetica, Israele gioca la carta del Levante

di Giuseppe Dentice

La scoperta di giacimenti offshore di gas consentirà allo Stato ebraico di non dipendere più dalle forniture altrui e di diventare un esportatore netto di energia. Con conseguenze negative su Russia, Egitto e Turchia.

Dopo quattro anni di esplorazioni sottomarine e a pochi mesi dalla piena operatività del sito gasifero offshore Tamar, lo scorso 23 giugno il governo israeliano ha stabilito che sino al 2040 Israele utilizzerà il 40% della propria produzione di gas per le esportazioni, conservando il restante 60% per coprire il fabbisogno nazionale.
  Il premier Benjamin Netanyahu e il ministro delle Finanze Yair Lapid hanno spiegato l'importanza della scelta come un passo concreto verso "l'indipendenza energetica nazionale". Decisione questa a suo modo storica per un paese da sempre insufficiente energeticamente e che potrebbe diventare nel breve periodo un esportatore netto di gas grazie alle straordinarie scoperte nei fondali del Mar del Levante.
  Le prime ispezioni israeliane sono iniziate nel 2009, quando la compagnia statunitense Noble Energy, in joint venture con le partner locali Delek-Drilling LP, Avner Oil & Gas Exploration e Ratio Oil Exploration, ha scoperto a 130 km dalla costa di Haifa immensi giacimenti sottomarini di idrocarburi dalle grandi potenzialità strategiche.
  Secondo le stime dell'Us Geological Survey, l'intero bacino del Levante - il quinto al mondo per capacità - vanterebbe riserve pari a 3,4 miliardi di m3 di gas naturale e 1,7 miliardi di barili di petrolio, di cui circa 900 miliardi di m? di gas e 250 miliardi di petrolio apparterrebbero ai siti offshore israeliani Tamar, Leviathan e Dalit.
  Sino allo scorso anno, l'Egitto riforniva Israele con il gas del Sinai coprendo così il 40% dei consumi domestici israeliani (1,7 miliardi di m3). Ma i continui sabotaggi e attentati all'Arab Gas Pipeline e la scelta (ad aprile 2012) del governo egiziano di annullare l'accordo di fornitura hanno costretto Netanyahu a sondare nuove strade e a potenziare le capacità produttive dei siti levantini.
  Oggi grazie alle formidabili disponibilità sottomarine, sono in tanti a credere in una nuova era per lo Stato ebraico. Grazie ai profitti delle esportazioni e delle royalties pagate dagli operatori nei siti in questione per i prossimi 20 anni (entrate vicine ai 200 miliardi di dollari), il governo potrebbe coprire consumi interni annui pari a 7-10 miliardi di m?, creare nuovi posti di lavoro e favorire investimenti nel settore dell'istruzione, della sanità e del welfare.
  La Banca d'Israele stima che Tamar contribuirà alla crescita economica nazionale per almeno un punto percentuale entro la fine del 2013. Inoltre, l'approvvigionamento energetico autarchico porterà a un risparmio pari a 3,6 miliardi di dollari annui sulla bolletta nazionale; ciò tuttavia accadrà solo dal 2015 a causa degli ingenti costi di copertura per l'esplorazione dei siti offshore e per la costruzione del gasdotto sottomarino: investimenti pari a 3,5 miliardi di dollari.
  Oltre allo sviluppo di una politica di autosufficienza, Israele studia la possibilità di divenire nel breve periodo (non prima del 2017, secondo il governo) un esportatore netto di energia e un vettore terrestre strategicamente rilevante a livello internazionale grazie alla costruzione di pipelines e terminals di gas naturale liquido (gnl) che trasporteranno quantità annue superiori ai 60 miliardi di m? verso Europa, Giordania, Turchia - con la quale è stato firmato un pre-accordo da 2 miliardi di dollari per lo sviluppo di un gasdotto sottomarino - e Asia, in primis Cina e India.
  Considerato l'alto potenziale strategico dei siti levantini, il governo, inoltre, è riuscito sia ad attrarre ricchi investimenti delle compagnie di settore, come l'australiana Woodside o le russe Gazprom, Rosneft, Lukoil e Novatek, sia a portare avanti un fitto programma di infrastrutture volto a favorire l'esportazione di gas nell'intera regione.
  Tra queste, le più rilevanti sono gli impianti di liquefazione di gas naturale costruiti ad Ashdod e Ashkelon e la ferrovia "Red-Med": infrastrutture, queste, che dovrebbero trasportare gas dai porti sul Mediterraneo verso i terminal di Eilat e Aqaba (Giordania) sul Mar Rosso, per poi raggiungere i mercati asiatici come gnl.
  Per Israele l'autosufficienza energetica può rappresentare anche un'opportunità per modificare a suo vantaggio i rapporti di forza vigenti nella regione. Infatti, da un lato l'export di gas israeliano aiuterebbe l'Europa a contare su una fonte supplementare di approvvigionamento rispetto alle forniture russe, che rappresentano il 40% del fabbisogno complessivo dell'Ue. Dall'altro, le stesse infrastrutture costruite tra Israele, Grecia e Cipro potrebbero mettere in discussione il ruolo della Turchia come crocevia verso i mercati europei, caucasici e dell'Asia centrale.
  L'ascesa di Israele come potenza e hub energetico potrebbe comportare un ridimensionamento del ruolo strategico di Mosca e Ankara nell'area del Levante.
  Discorso analogo a quello fatto per Russia e Turchia potrebbe valere anche per l'Egitto post rivoluzionario. Infatti, nonostante esso sia il 2o produttore africano di gas, con abbondanti riserve nel Sinai e soprattutto nel delta del Nilo (1,4 miliardi di m3), la grave situazione politica ed economica vissuta oggi dal Cairo non dovrebbe permettergli, almeno nel breve-medio periodo, di poter competere con lo Stato ebraico come fornitore energetico nell'area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale.
  Sebbene le insidie e le incertezze legate a questi processi siano ancora numerose, la scoperta dei siti levantini può accrescere il peso economico e geopolitico dello Stato ebraico.

(limes, 2 agosto 2013)


L'elefantino indiano nato nello zoo di Tel Aviv

TEL AVIV - L'elefantino indiano di queste immagini, gioca con la sua mamma 'La Belle' e con la nonna 'La petite'. Il piccolo è nato nel Ramat Gan Safari Park vicino a Tel Aviv in Israele. Racconta un portavoce dello zoo che l'elefantino non ha ancora nome. Anche il suo sesso non è chiaro: probabilmente, a quanto pare, si dovrebbe trattare di una femmina.


(blitz quotidiano, 2 agosto 2013)


Israele - Virus poliomielite: vigilanza, ma nessun allarme

di Ada Treves

All'inizio era solo una voce, che parlava di poliomielite in Israele, ed era preoccupante come tutte le voci che circolano senza fonti certe, senza dare dati precisi e senza essere passate al vaglio di un esperto. Poi ci sono stati i primi comunicati ufficiali e la presa di posizione dei due ministeri della salute, israeliano e italiano e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha aggiornato il livello di rischio, aumentandolo, da basso, a moderato, a alto.
   Sì, in Israele è presente il poliovirus di tipo 1 (WPV1), ma il ministro della Salute israeliano, Yael German, ha sottolineato con fermezza che non c'è alcun motivo di lasciarsi andare al panico, e ha ribadito che sino ad ora non c'è stato nessun caso clinico di poliomelite. E in effetti Israele è uno dei pochissimi stati (cinque in tutto il mondo) che fanno un controllo regolare sulle acque nere così già a febbraio il virus, vivo, è stato trovato durante un controllo di routine negli scarichi fognari di Rahat. Era dal 2002 (anno in cui anche l'intera area europea è stata dichiarata polio-free dall'OMS) che non c'erano tracce del virus della poliomielite nel paese e ora, fin dalla prima segnalazione della sua comparsa, sono in corso delle approfonditissime ricerche sia epidemiologiche che sulla salute pubblica, che agiscono sia cercando attivamente casi anche solo potenziali di poliomielite che persone che non siano immunizzate.
   Dopo un primo allarmismo, insomma, e anche grazie alla comunicazione ufficiale del ministero della Salute israeliano datata primo agosto, la situazione che pure è attestata dall'OMS e dal ministero come corrispondente a un rischio fra moderato e alto si può dire che sembra essere sotto controllo. Il livello di immunizzazione della popolazione israeliana è altissimo: il 98,5 per cento degli adulti è dotato degli anticorpi antipolio e la popolazione infantile è vaccinata; ci sono alcune aree specifiche in cui si concentranogruppi di popolazione a tasso di immunizzazione minore, e fra di loro è in atto una campagna che - per esempio - si giova anche dell'appello di molti rabbini della comunità haredì, dove il tasso di immunizzazione parrebbe essere minore, a spingere tutti a verificare che i bambini siano vaccinati, o a farli vaccinare.
   Israele ha ordinato circa un milione di dosi del vaccino (la forma viva, attenuata) per somministrazione orale, mentre il ministero continua il monitoraggio e la presenza del virus è stata confermata anche nelle acque nere di Lev Hasharon, Modi'in, Ramle, Be'er Sheva, Ashdod e anche Tel Aviv.
   Ma è importante sottolineare che - come riporta anche il comunicato del ministero della Salute israeliano - l'Organizzazione Mondiale della Sanità non ha lanciato nessun allarme rivolto a chi viaggia in Israele, e non consiglia specificamente ai turisti di farsi sottoporre a una vaccinazione antipolio.
   Il ministero italiano ha una visione più allarmistica, che rientra in una prassi abbastanza consolidata nel nostro paese e che ha provocato in passato critiche anche forti per alcune posizioni non condivise dalla comunità scientifica internazionale, e raccomanda "la somministrazione di una ulteriore dose booster prima della partenza", indicando anche quale tipo di vaccino va usato ("Il vaccino di scelta per la dose booster è il vaccino antipoliomielitico inattivo tipo Salk o IPV"). Per chi non è vaccinato o lo è in maniera incompleta o ignora il proprio stato vaccinale si raccomanda come opportuna "l'effettuazione di un ciclo vaccinale completo a 3 dosi di IPV".
   Il dottor Massimo Coen, infettivologo all'ospedale Sacco di Milano, pur definendo la posizione del ministero italiano "prudenziale" - spiega che il rischio effettivo di contrarre la poliomielite andando in Israele è davvero bassissimo - consiglia comunque di seguire le raccomandazioni: "il 94 per cento della popolazione italiana è vaccinata, ma le indicazioni dell'OMS sono ambigue, non è chiaro se fanno riferimento alla profilassi da seguire per viaggi in aree dove è presente la malattia o includono Israele, e non ha senso rischiare quando una dose di vaccino antipoliomielitico inattivo non ha nessuna conseguenza negativa".
   Il consiglio è di partire sereni, senza fare sciocchezze ma ricordando anche che se in Italia venissero fatti gli stessi controlli sulle acque nere che sono portati avanti come prassi normale in Israele non è possibile escludere si arriverebbe anche qui al ritrovamento del poliovirus. E, comunque, l'obiettivo di debellare definitivamente la poliomielite entro il 2000, un vecchio progetto dell'OMS, pare proprio essere fallito.

(Notiziario Ucei, 3 agosto 2013)


Iran - Rohani: "Sradicare Israele. Il regime sionista è una ferita da ripulire"

Il politico "moderato", la cui elezione il mondo aveva accolto con favore, in campagna elettorale aveva però parlato di ridurre le tensioni con l'Occidente. "Il vero volto di Hassan Rohani è stato svelato prima ancora di quanto si prevedesse" afferma il premier israeliano Benjamin Netanyahu

"Israele è un corpo estraneo che deve essere sradicato". A dirlo non è il presidente uscente dell'Iran, Mahmoud Ahmadinejad, ma il nuovo Hassan Rohani. La cui dichiarazione sorprende tutti tranne Israele. Il politico "moderato", la cui elezione il mondo aveva accolto con favore, in campagna elettorale aveva ha parlato di ridurre le tensioni con l'Occidente, diminuire l'intromissione del governo nella vita privata dei cittadini, accorciare il divario legale tra uomini e donne, rimettere mano all'economia del paese. E alla prima conferenza stampa aveva promesso che il nuovo governo sarebbe stato "tollerante con gli altri paesi". Eppure oggi, a un giorno dal suo insediamento, appare durissimo come il suo predecessore: "Il regime sionista è una ferita imposta per anni al mondo musulmano, che deve essere ripulita",
   Una dichiarazione quella del presidente forse condizionata dalle manifestazioni contro Israele nella giornata mondiale di al-Quds (Gerusalemme) in solidarietà con il popolo palestinese e che coincide con l'ultimo venerdì del mese sacro di Ramadan. Una giornata di al-Quds è stata creata in Iran nel 1979 e da allora viene osservata ogni anno. I cortei seguono un appello rivolto alla popolazione dal ministero degli Esteri di Teheran, Mohammad Javad Zarif, ,che ha chiesto a tutti gli iraniani e ai musulmani degli altri Paesi di esprimere pubblicamente la propria contrarietà a Israele. "Il messaggio chiaro della resistenza palestinese e del risveglio islamico in Medioriente è che queste sono le uniche strade per salvare la nazione palestinese contro il regime occupante", ovvero Israele. Nell'appello del ministro si sottolineava poi che l'attuale crisi in Medio Oriente è un seguito delle brutalità commesse dagli israeliani e dell'occupazione dei Territori palestinesi. Durante i cortei in corso in Iran vengono anche intonati slogan contro gli Stati Uniti, oltre che contro Israele.
   Zarif, già viceministro degli Esteri ai tempi delle presidenze Rafsanjani e Khatami e quindi ambasciatore all'Onu, era noto anche per essere stato in prima linea nei tentativi di dialogo con gli Usa e fra gli animatori, nel 2007, di una conferenza dell'American Iranian Council, insieme con interlocutori statunitensi fra i quali l'attuale capo del Pentagono, Chuck Hagel. Il governo è composto 28 e 10 ministri di questa lista appartengono al fronte conservatore, mentre almeno 12 provengono dall'ambito moderato e altri sei rappresentano il fronte riformista.
   Immediato il commento di Israele. "Il vero volto di Hassan Rohani è stato svelato prima ancora di quanto si prevedesse" afferma il premier israeliano Benjamin Netanyahu commentando le dichiarazioni del presidente iraniano. "In Iran il presidente è cambiato, ma non cambiano gli obiettivi del regime: ossia ottenere armi nucleari per minacciare Israele, il Medio Oriente e il mondo intero".

(il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2013)


Arezzo - "Icastica teatro e danza": il gran finale domenica all'insegna di Israele

Domenica 4 agosto alle 21,30 in Piazza San Domenico gran finale di "Icastica teatro e danza" con il doppio spettacolo targato Israele che vedrà in successione due tra le migliori compagnie di danza del mondo. È anche per questo che Icastica e l'estate aretina hanno potuto fregiarsi del sostegno dell'ambasciata d'Israele in Italia.
  E l'assessore alla cultura Pasquale Macrì precisa: "Dopo Emma Dante che ha proposto il suo 'Verso Medea' ad Arezzo in data unica in Italia prima di partire per la Finlandia, Icastica propone una bellissima giornata di danza contemporanea. Siamo riusciti ad avere due coreografi e compagnie di livello unico grazie alla collaborazione dell'ambasciata di Israele che su Icastica ha investito anche economicamente. Perché Israele? Perché la danza è una forma d'arte che ancora ha le capitali. Pensiamo all'arte: nel passato le capitali sono state Firenze, Venezia, Brugge, Parigi, New York poi però questa cosa si è un po' persa perché l'arte si è 'glocalizzata'. La danza invece conserva questa caratteristica: e oggi la capitale mondiale è Tel Aviv, succeduta a Bruxelles, New York e Tokio".
  Partiamo con "We do not torture people", coreografie Noa Shadur, danzatori Einat Betsalel, Or Hakim, Almog Loven. Musica originale Shahar Amarilio. Il titolo dell'opera proviene da una dichiarazione recitata nell'esercito degli Stati Uniti. Il lavoro esplora la condizione umana in un'epoca di "terrorismo comune", radicato e indipendente, razionale e irrazionale e si sviluppa intorno a dei corpi fragili che si confrontano con una realtà tecnologica che interroga non solo la fisicità, ma anche la fantasia. I tre danzatori sono allo stesso tempo bambini innocenti e pericolosi militanti. I loro movimenti minimalisti alludono a un profondo desiderio di ordine di fronte al caos. Mentre i loro corpi si incontrano nello spazio, le loro intenzioni iniziano a soffocare. Come il caso di ogni macchina, il minimo errore può deviare un delicato equilibrio e il gruppo si rivolta al proprio leader, lasciandolo solo nelle difficoltà.
  Seguirà "The hill", coreografia, colonna sonora e costumi Roy Assaf. Danzatori Igal Furman, Shlomi Biton, Roy Assaf. Musica originale ed editing Shlomi Biton. Musiche: "The Israeli Army March" eseguita dalla banda dell'esercito israeliano guidata da Yitzhak Graziani, "Giv'at HaTahmoshet" di Yoram Taharlev, "I started a joke" di Bee Gees.
  The Hill è basato sulla canzone ebraica Givat Hatachmoshet
Givat Hatachmoshet (גבעת התחמושת)
e parla della "Ammunition Hill" - letteralmente "Collina delle Munizioni" - di Gerusalemme, sede di battaglie sanguinose durante la Guerra dei sei giorni. Un uomo si arrampica su una collina terrosa e mentre sta sulla vetta qualcosa lo spinge a pensare che si trovi su un terreno sacro. Gli uomini sanciscono l'importanza di questa collina con le loro azioni, perpetuando rabbia, maledizioni e una fede cieca. Canzoni e danze affermano la loro fede e li rassicurano che vivranno lì per sempre. I loro movimenti rappresentano l'essenza dell'occupazione: sembrano soldati con petti gonfi per la convinzione. Durante le celebrazioni della battaglia sono meccanici, come fossero sotto l'influsso di una maledizione: la loro è una specie di danza degli spiriti, un circolo festoso di cameratismo eseguito con una coordinazione perfetta e inquietante.

(Valtiberina, 2 agosto 2013)


Ueli, Davide e Golia. Allocuzione del presidente della Confederazione Elvetica

Riportiamo, ripreso da "Ticino live", il testo integrale del discorso tenuto da Ueli Mauer, attuale Presidente della Confederazione Elvetica, in occasione del 1o agosto, giorno del "compleanno" svizzero. Quello che rende interessante l'allocuzione è il riferimento biblico a Davide e Golia, con il quale in un certo senso la Svizzera si propone come concorrente spirituale di Israele. Sarebbe dunque la Svizzera, non Israele, ad aver imparato la grande lezione contenuta nel racconto biblico di Davide e Golia? La domanda è interessante. Come a scuola, questo sito propone allora un tema: "Tracciate un parallelo tra due piccole-grandi nazioni: Svizzera e Israele". Si assicura che i migliori temi saranno pubblicati.

Ueli Mauer
Care concittadine, cari concittadini, care Svizzere, cari Svizzeri,
oggi festeggiamo il compleanno del nostro Paese. È un giorno di festa. Viviamo in un bel Paese. Viviamo nel benessere. Viviamo liberi.
Le cose vanno bene per noi - e non intendo dire solo oggi, qui, davanti a bratwurst e birra! In generale: per la Svizzera le cose vanno bene. E questo in un'epoca in cui purtroppo per molti altri Paesi - alcuni anche piuttosto vicini a noi - le cose invece vanno sempre peggio.
Non si tratta di vantarsene, ma di essere orgogliosi di quello che il nostro piccolo Paese ha saputo raggiungere.
Tuttavia, anche da noi ci sono nuvole che si addensano all'orizzonte: la Svizzera negli ultimi tempi è stata ripetutamente criticata e ricattata. Paesi più grandi e organizzazioni internazionali vogliono sempre più spesso dirci quello che dobbiamo fare. Per molti in Svizzera la risposta a queste richieste è una sola: cedere e adeguarsi.
Io invece ogni volta ricordo la storia di Davide e Golia. Questa vecchia storia ci insegna infatti che c'è una seconda possibilità.
Gli ebrei e i filistei sono in guerra. Davide è un giovane pastore e i suoi fratelli sono soldati.
Un giorno Davide deve portare delle provviste ai fratelli. Al suo arrivo all'accampamento, le truppe nemiche sono schierate per la battaglia. All'improvviso viene avanti il filisteo Golia che vuole sfidare a duello il più forte guerriero ebreo. Nessuno ha il coraggio di presentarsi perché Golia è un gigante, è molto forte ed è dotato delle migliori armi e della migliore corazza.
Il piccolo Davide non sopporta l'umiliazione del suo popolo. Volontariamente accetta dunque la sfida. I soldati all'inizio vogliono fargli cambiare idea, perché Davide non ha mai indossato le armi. Ha solo una fionda che usa per proteggere le sue pecore dagli animali selvatici. Davide però è deciso a battersi per il suo popolo. I soldati gli portano allora una corazza e una spada. Ma sono troppo pesanti per lui. Così alla fine Davide va incontro a Golia solo con la sua piccola fionda. Golia ride, ma Davide lo colpisce da lontano con una pietra e vince.
Se interpretiamo questa storia in modo simbolico possiamo trarne alcune lezioni fondamentali sulla vita, la politica e la società. Questa storia non parla solo di una guerra e di un duello, ma delle possibilità di sopravvivenza di tutti quelli che non sono grandi e forti. Tre insegnamenti sono ancora attuali. Primo: la grandezza intimorisce. Secondo: anche i piccoli hanno valore. Terzo: i piccoli devono essere diversi se vogliono sopravvivere.

1. LA GRANDEZZA INTIMORISCE
La grandezza intimorisce. È sempre stato così. Ed è molto interessante vedere quali punti mette in evidenza la Bibbia. Sul duello troviamo solo poche parole: non è in primo piano. Nel racconto si parla soprattutto della paura di fronte al gigante. Il pomposo ingresso di Golia viene raccontato dettagliatamente.
Golia esce dal campo dei filistei accompagnato dal suo scudiero. È un gigante alto sei cubiti e un palmo, dice la Bibbia. Più o meno tre metri. Poi vengono descritti l'elmo, la corazza e lo scudo. La sua lancia doveva essere lunga come un albero!
Golia vuole il duello. Si presenta davanti all'accampamento degli ebrei e li schernisce. Tutti tremano davanti a lui. Saul, il re degli ebrei, promette al volontario grandi ricchezze e sua figlia in moglie - ma non si presenta nessuno (anche se la tradizione non dice affatto che la figlia fosse brutta!).
La storia di Davide è sempre attuale perché racconta in effetti la storia di ognuno di noi. E racconta la nostra storia come Popolo. Anche per noi è così. Davanti alla forza e alla grandezza noi Svizzeri inizialmente ci sentiamo come gli ebrei davanti a Golia: che si tratti di spade e scudi o di potere economico e liste nere, pensiamo di dover cedere.
Ma la storia di Davide non finisce con una capitolazione. Finisce con un insegnamento: chi non ha paura davanti alla forza e alla grandezza può farcela.
La nostra situazione odierna conferma questa antica saggezza. Possiamo riconoscere Davide in molte piccole e medie imprese svizzere capaci di imporsi sul mercato globale contro concorrenti molto più grandi.
E ritroviamo Davide anche nella storia del nostro Paese: la Svizzera è un piccolo Stato. Siamo sempre stati messi sotto pressione da chi era più grande di noi. Eppure abbiamo ottenuto grandi successi. E in quanto Paese piccolo ma libero, abbiamo un futuro purché non ci lasciamo intimidire dalla forza e dalla grandezza.

2. IL VALORE DEI PICCOLI
Il secondo insegnamento della storia di Davide e Golia è che anche i piccoli hanno un valore - anche se non è sempre facile percepirlo. Perché i piccoli danno meno nell'occhio dei grandi.
Quando Davide arriva all'accampamento dell'esercito con le provviste per i fratelli non viene preso sul serio. I soldati ebrei vedono in lui solo il giovane pastore, uno che dà fastidio. Il fratello maggiore di Davide, Eliab, è perfino arrabbiato. Lo considera inutile e pensa che dovrebbe tornare a occuparsi delle sue pecore.
Noi Svizzeri siamo abituati a simili rimproveri. Si dice che siamo egoisti e vogliamo prenderci sempre il meglio di tutto.
Ma non dobbiamo dimenticare che tanti approfittano della Svizzera.
Secondo i dati forniti dalla Banca nazionale, l'economia svizzera ha ad esempio investito all'estero oltre 1000 miliardi di franchi, di cui più del 40 per cento nell'Unione europea. Le imprese svizzere creano così in tutto il mondo circa tre milioni di posti di lavoro. Inoltre, i frontalieri che si guadagnano da vivere nel nostro Paese sono più di 270 000.
Secondo una statistica della Banca mondiale, i frontalieri e gli immigrati che lavorano in Svizzera trasferiscono ogni anno più di 30 miliardi di dollari nei loro Paesi d'origine.
Più di 1,1 milioni di cittadini dell'UE vivono in Svizzera. E il loro numero cresce molto rapidamente. Ogni anno decine di migliaia di persone approfittano della libera circolazione, il che mette a dura prova le capacità ricettive del nostro piccolo Paese.
Poi ci sono le grosse spese sostenute dai poteri pubblici per le relazioni internazionali: la Confederazione da sola ha messo a bilancio quest'anno quasi 3,3 miliardi di franchi. Una cifra che non comprende le ulteriori spese dei Cantoni e dei Comuni.
La Svizzera partecipa con somme enormi al Fondo monetario internazionale. Il livello massimo di rischio per la Svizzera, legato alle garanzie a favore dell'FMI, ammonta attualmente a circa 24 miliardi di franchi, più di un terzo del bilancio federale.
Con la NFTA la Svizzera investe più di 20 miliardi di franchi per la costruzione dei nuovi assi nord-sud del trasporto ferroviario europeo.
La Svizzera investe perfino nelle reti di trasporto estere. Ad esempio si assume il finanziamento - per un ammontare di 230 milioni di franchi - degli adeguamenti del profilo sulla linea di Luino e sulla tratta Chiasso-Milano.
La Svizzera ha versato finora più di 1,2 miliardi di franchi agli Stati dell'Europa orientale membri dell'UE a titolo di contributi alla coesione.
La Svizzera dà anche un grande contributo alla ricerca e allo sviluppo: secondo un rapporto della Commissione Europea è il Paese più innovativo d'Europa.
La Svizzera si impegna in tutto il mondo per la pace offrendo la sua mediazione. Il nostro Paese neutrale è la sede ideale per organizzazioni e conferenze internazionali.
Come Paese neutrale non siamo mai parte in causa, ma sempre mediatori. Quest'anno festeggiamo i 150 anni del Comitato internazionale della Croce rossa. Il CICR è stato fondato a Ginevra nel 1863. Da allora gli operatori svizzeri aiutano ad alleviare le sofferenze di molte persone in tutto il mondo.
La Svizzera è Stato depositario della Convenzione di Ginevra del 1949 e dei protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005. Tutto ciò mostra che l'impegno umanitario è parte integrante della nostra storia.
E l'elenco potrebbe continuare. Ma possiamo fare tutto ciò solo perché siamo liberi. Se anche la Svizzera fosse uno Stato sull'orlo del fallimento non potremmo permettercelo.
Per tornare dunque ai rimproveri che vengono mossi al nostro Paese: penso che le nostre relazioni internazionali non mostrino alcun egoismo e che non meritiamo le pillole amare e i rospi che abbiamo dovuto ingoiare negli ultimi tempi.
O per dirlo ancora più chiaramente: noi non vogliamo prenderci sempre il meglio. Ma altri vogliono privarci della nostra sovranità!

3. ESSERE DIVERSI COME UNICA POSSIBILITÀ DI SOPRAVVIVENZA
Il terzo insegnamento della storia di Davide e Golia è forse il più importante: gli ebrei vogliono dare a Davide una corazza per il combattimento. Ma Davide non riesce più a muoversi, è troppo pesante per lui. Con quella corazza addosso il piccolo Davide avrebbe perso. Decide allora di tenere i suoi soliti abiti da pastore.
Anche questo fatto deve essere inteso in modo simbolico: Davide ha il coraggio di essere diverso. Fa leva sui suoi punti di forza. E per questo ha successo. Insomma: i piccoli non possono imitare i grandi. La loro unica possibilità di sopravvivere è andare in modo consapevole per la propria strada.
In questo c'è molta saggezza. Possiamo quindi trarne insegnamenti politici: il nostro Paese è un «Sonderfall», un caso particolare. È nato e si è sviluppato in modo diverso da altri Paesi. È stato creato dai suoi cittadini per i suoi cittadini. Gli impulsi più importanti sono venuti e vengono dal Popolo. Grazie al federalismo, conserviamo le nostre particolarità regionali. Grazie alla democrazia diretta, la politica non può ignorare le richieste del Popolo. Grazie al principio di milizia, il nostro Stato può avvalersi a tutti i livelli dell'esperienza delle sue cittadine e dei suoi cittadini. E grazie all'ordinamento liberale la nostra economia è florida.
Questo ordinamento liberale ha fatto della Svizzera uno dei Paesi più ricchi del mondo. E proprio questo ordinamento viene messo sempre più spesso in discussione da Stati più grandi o da organizzazioni internazionali.
Dobbiamo esserne consapevoli: non veniamo criticati perché facciamo qualcosa di sbagliato, ma perché facciamo molte cose così bene. Perché siamo ricchi. Perché c'è chi vuole approfittare del nostro successo.
Ci vogliono costringere ad assumere sempre più obblighi internazionali. Ma in questo modo ci diventa sempre più difficile dare al nostro Paese l'impronta che vogliamo.
Per ritornare alla storia di Davide: stretto in una corazza a lui estranea Davide avrebbe perso. Soggetta a un diritto estraneo e straniero e a giudici stranieri la Svizzera perderebbe.

CONCLUSIONE
Arrivo alla conclusione. Come piccolo Stato dobbiamo tener presente tre cose.
Primo: non dobbiamo lasciarci impressionare da chi è più grande di noi. Molti grandi Stati sono sorti e tramontati nel corso della storia, ma la piccola Svizzera è ancora qui. Questo deve renderci ottimisti.
Secondo: ricordiamoci sempre che la piccola Svizzera dà un grande contributo a livello internazionale. Sia sul piano economico sia su quello umanitario. Chi vuole farci sentire in colpa ha obiettivi politici.
Terzo: non lasciamoci rinchiudere nelle stesse pesanti corazze degli altri Stati. Ci sono regole internazionali che non sono adatte al nostro piccolo Stato liberale. Se le accettassimo perderemmo la nostra particolarità.
Ricordatevi di questi tre insegnamenti della storia di Davide e Golia. Perché per fortuna viviamo in una democrazia diretta. Come cittadini avete l'ultima parola. Difendete quindi la nostra libertà, il nostro benessere, la nostra patria!

(Ticino live, 1 agosto 2013)


Roma - Viaggio tra gli scaffali della libreria ebraica

Ester Di Segni, Dalia Nahum e Sara Sermoneta sono l'anima della libreria ebraica Kiryat Sefer. Sono nella libreria dal 2010, anno della sua apertura e collaborano insieme per gestire spazi, attività e per incentivare la vendita. La libreria rappresenta per la Comunità Ebraica una entrata economica, non sono necessari fondi per il suo sviluppo perché è del tutto autonoma.

di Sara Moresco

L'anima della libreria ebraica Kiryat Sefer
- Qual è il valore culturale della libreria?
  "Kiryat Sefer letteralmente significa "la città del libro", in Italia è unica nel suo genere. Raccoglie libri di argomento ebraico e di autori ebrei sugli argomenti più vari: tradizione culturale, libri di cucina ebraica, testi di lingua ebraica, romanzi e saggi di argomento storico, filosofico ecc. Il patrimonio della libreria ammonta a circa 5.000 titoli. Ci vengono richiesti libri da privati sia in Italia che all'estero, via e-mail o telefonicamente e noi ci occupiamo della spedizione. Questo servizio mostra appunto quanto siano ricercati i libri che possediamo. Abbiamo, inoltre, testi di argomento ebraico religioso che contribuiscono a rendere ancor più particolare e specifica la nostra linea culturale. Questi testi, che prima non erano pubblicati in quanto, per il loro argomento strettamente religioso non avrebbero trovato spazio nelle librerie tradizionali o sarebbero stati pubblicati in edizioni ridotte, sono per noi invece fondamentali. Parliamo ad esempio dello Shulchan Aruch (testo religioso di regole ebraiche). Gli editori di questi libri sono incentivati alla pubblicazione perché noi garantiamo l'acquisto di un certo numero di copie, in cambio, ci viene garantita l'esclusività."

- Quali sono i servizi offerti?
  "Offriamo servizi ad un pubblico ebraico e non. Collaboriamo con il Centro di Cultura e con le altre istituzioni ebraiche organizzando presentazioni, fornendo libri e sviluppando altre iniziative culturali. Inoltre, forniamo libri al Museo della Shoah che nel suo progetto prevede l'allestimento di una grande biblioteca e abbiamo richieste di Università private che vogliono arricchire i loro archivi.
Nell'ambito ebraico è fondamentale il rapporto con la scuola ebraica elementare e media alla quale forniamo un servizio esclusivo e conveniente: i testi scolastici vengono venduti al prezzo di costo. Per quanto riguarda i libri di lettura adottati dalle insegnanti lo sconto è del 20%. Il pubblico fuori dalla Comunità interessato al nostro materiale è vasto: studenti universitari, istituzioni cristiane e semplici interessati. La libreria apre alle 8.30, quindi da spazio a quei genitori che, dopo aver accompagnato i figli a scuola, vogliono acquistare dei libri. Siamo meta anche di coloro che uscendo dal Tempio, dopo la Tefillà mattutina, trovano il tempo di fermarsi e scoprire le nuove novità in vendita. Anche le guide vengono spesso con gruppi di turisti che trovano una vasta gamma di libri tradotti in lingua inglese.
Partecipiamo ogni anno al Festival della Letteratura e della Cultura Ebraica, allestendo un banco adibito alla vendita di libri."

- I vostri spazi sono adeguati?
  "La nostra sede è nel cuore dell'antico Ghetto, luogo migliore per la nostra particolarità. L'entrata della libreria è sulla strada, quasi ad invitare i passanti curiosi e per accogliere i membri della Comunità Ebraica. Condividere il locale con il Centro di Cultura determina anche la divisione delle spese da cui traiamo molto vantaggio. La collaborazione che si è instaurata è molto produttiva, ma lo spazio è limitato. Riusciamo spesso a sfruttarlo al meglio per le presentazioni dei libri, ma per i grandi eventi siamo costretti a spostarci in spazi adeguati."

(Comunità Ebraica di Roma, 1 agosto 2013)


Ebreo ultra-ortodosso accusato di spionaggio per l'Iran

GERUSALEMME, 1 ago. - Un ebreo ultra-ortodosso e' stato formalmente accusato dalle autorita' israeliane di spionaggio a favore dell'arci-nemico Iran: lo hanno riferito fonti dello Shin Bet, i servizi segreti interni dello Stato ebraico, cui l'uomo ha confessato "sotto interrogatorio" di aver "agito per odio nei confronti d'Israele", oltre che per ottenere un "guadagno economico". La presunta spia, le cui generalita' non sono per il momento state divulgate, appartiene a 'Neturei Karta', in lingua aramaica i Guardiani della Citta': si tratta di un movimento oltranzista che rifiuta di riconoscere la sovranita' e l'esistenza stessa dello Stato d'Israele come entita' nazionale, in nome di un'interpretazione rigida e letterale della Torah e del Talmud, i testi sacri fondamentali dell'ebraismo. L'accusato nel 2011 si reco' in Germania, e la' avrebbe contattato l'ambasciata iraniana a Berlino, offrendole i propri servigi in termini di raccolta d'informazioni segrete. Tornato in patria, avrebbe continuato a mantenere contatti clandestini con esponenti diplomatici della Repubblica Islamica, finche' non e' stato scoperto.

(AGI, 1 agosto 2013)


Movimento 5 Stelle, dottor Jekyll e mr. Hyde

Ieri sera il deputato grillino Manlio Di Stefano ha pubblicato sulla sua pagina Facebook una lettera indirizzata a quelli che lui definisce "amici della comunità ebraica" nella quale cerca di spiegare il suo punto di vista sulla questione medio-orientale, le ragioni del suo recente viaggio nei territori contesi, promette una visita in Israele (ma perché, dov'era stato?) e soprattutto dice che né lui né il Movimento 5 Stelle sono antisionisti.
Bene, bravo, bis, applausi a scena aperta. Peccato che la mossa assomigli tanto a un tardivo ripensamento in merito a quanto detto ancora pochi giorni fa (Gerusalemme in Palestina, critiche feroci al muro difensivo e ai checkpoint, accuse a Israele di violare i Diritti Umani ecc. ecc.) e che quanto scritto in quella nota faccia a cazzotti con la linea più volte evidenziata dal Movimento 5 Stelle, a partire dal vertice, Grillo, fino all'ultimo sconosciuto deputato....

(Right Reporters, 1 agosto 2013)


MoVimento in retromarcia

"Il MoVimento 5 Stelle non è antisionista e tantomeno antisemita, siamo ben lontani dall'esserlo e ciò che trapela da saltuarie interviste o dichiarazioni estemporanee è da considerare a titolo strettamente personale". Ad affermarlo il parlamentare Manlio Di Stefano in una lettera aperta pubblicata sul proprio profilo Facebook. L'intervento arriva in risposta alla forte preoccupazione espressa in questi giorni sulla stampa nazionale dal presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna (Avvenire) e dall'ambasciatore d'Israele a Roma Naor Gilon. Una nota era pervenuta, ieri in serata, anche dal Consigliere UCEI Raffaele Sassun.

Ecco la nota integrale del deputato M5S:
"Amici della Comunità ebraica,
mandiamo questa lettera aperta nell'intento di chiarire la nostra posizione relativamente alle recenti manifestazioni di dissenso per il nostro viaggio in Israele e Palestina.
Abbiamo intrapreso questo viaggio per conoscere da vicino la situazione dei territori contesi e pertanto abbiamo deciso di incontrare gruppi della società civile, per lo più palestinese, nonché i rappresentanti delle Nazioni Unite, del consolato italiano e della cooperazione italiana a Gerusalemme.
È, ovviamente, nostro interesse ascoltare il popolo israeliano, ed è, infatti, in programma un viaggio per conoscere i territori israeliani e per raccogliere, anche lì, la voce di chi soffre a causa diretta o indiretta del conflitto.
Avevamo poco tempo a disposizione per cui abbiamo scelto di ascoltare le due "campane" in due distinti viaggi, così da non apprendere poche e confuse nozioni ma per immergerci totalmente nelle due diverse realtà.
Accogliamo quindi con soddisfazione la richiesta d'incontro dell'Ambasciatore d'Israele in Italia, Naor Gilon, e rilanciamo proponendo di organizzare una visita in Israele dove saremo ben lieti di andare.
Il MoVimento 5 Stelle non ha e non pretende di avere una linea filo palestinese o filo israeliana: ci interessa semplicemente porre l'accento sulle violazioni dei diritti umani e sulle possibili misure che l'Unione Europea potrebbe adottare per migliorare la vita di profughi e civili in quella terra come in tutte le altre afflitte dagli stessi mali.
Purtroppo di "muri" e attentatori ce ne sono fin troppi in giro per il pianeta, ne siamo ben consci. Siamo nuovi interlocutori politici e, come tali, dobbiamo vedere e capire per agire, con competenza e cognizione.
Ripetiamo, ancora una volta, che siamo più che disponibili ad ascoltare chiunque avesse voglia di dialogare con noi, avendo sempre come priorità il benessere di tutti i popoli, affinché possano vivere in pace e sicurezza.
Il MoVimento 5 Stelle non è antisionista e tantomeno antisemita, siamo ben lontani dall'esserlo e ciò che trapela da saltuarie interviste o dichiarazioni estemporanee è da considerare a titolo strettamente personale.
Il M5S ha a cuore esclusivamente il rispetto del diritto internazionale e la tutela dei diritti dell'uomo.
Siamo per il rispetto degli accordi di Oslo, che affermano il diritto palestinese all'autogoverno attraverso la creazione dell'ANP e delle Lettere di mutuo riconoscimento tra Israele e OLP, dove il governo israeliano riconosce l'OLP come legittimo rappresentante del popolo palestinese e viceversa l'OLP riconosce il diritto a esistere dello Stato di Israele, rinunciando al terrorismo e alla violenza.
Il MoVimento 5 Stelle crede fermamente che una soluzione seria non possa allontanarsi dall'unico obbiettivo comune: la PACE".

(Notiziario Ucei, 1 agosto 2013)


I soldati, il bambino palestinese e il responso del legale israeliano

I soldati che all'inizio del mese scorso hanno fermato un bambino palestinese di cinque che lanciava pietre contro le auto a Hebron (Cisgiordania) si sono comportanti in modo giustificato e corretto. Questo il parere del consulente legale delle Forze di Difesa israeliane in Cisgiordania, Doron Ben-Barak, a proposito di un episodio denunciato come una grave violazione dei diritti umani dalla ONG israeliana B'Tselem, con un filmato postato su YouTube che ha fatto il giro del mondo.
"Non si può restare a guardare se dei minorenni lanciano pietre che mettono in pericolo i passanti e loro stessi", si legge nel responso di Ben-Barak, inviato a B'Tselem il 22 luglio ma che B'Tselem ha diffuso solo mercoledì scorso.
I minori di età inferiore ai 12 anni, spiega il documento, non hanno responsabilità penale e non possono essere arrestati né sottoposti a processo, e nei loro confronti non è possibile far rispettare la legge con gli strumenti penali cui normalmente si fa ricorso nel caso di persone più grandi. E certamente i soldati israeliani, là dove sono di servizio, sono chiamati ad agire in conformità alla legge e a rispettare i diritti di tutti coloro che vivono nell'area; compresi i minori verso i quali, aggiunge Ben-Barak, è inteso che deve essere esercitata una particolare sensibilità in considerazione della loro giovane età e della tutela del loro bene.
Allo stesso tempo, continua il consulente legale, si registra il crescente fenomeno di bambini al di sotto di 12 anni, lasciati privi di sorveglianza da parte degli adulti che ne avrebbero la responsabilità, che lanciando pietre contro auto, civili e militari, in transito sulle strade di Cisgiordania, e che addirittura prendono parte a disordini. Si tratta di comportamenti che, con tutta evidenza, mettono seriamente in pericolo l'incolumità, quando non anche la vita, sia delle persone a bordo dei veicoli, sia dei pedoni nella zona, sia degli stessi bambini all'origine dell'incidente. Dunque, sebbene tali bambini non sia penalmente responsabili, il personale delle Forze di Difesa israeliane in servizio ha la facoltà e il dovere di intervenire nel caso si verifichino incidenti di questo genere, che mettono in pericolo la sicurezza delle persone.
Tra le misure che i soldati possono adottare per porre fine alla situazione di pericolo vi è senz'altro quella di allontanare il minore d'autorità dalla zona, con le dovute maniere, e consegnarlo ai suoi genitori o comunque agli adulti che ne dovrebbero avere la responsabilità. Che è esattamente ciò che hanno fatto i soldati filmati da B'Tselem.
"Sarebbe del tutto irresponsabile da parte dei soldati ignorare la situazione e abbandonare il bambino a se stesso, lasciando che possa continuare con le sue pericolose azioni", scrive Ben-Barak.
Nel caso in questione, il bambino aveva appunto gettato pietre a veicoli in transito, mettendo in pericolo se stesso e altri. I soldati, senza mai sfiorarlo nemmeno con un dito (come testimonia lo stesso filmato), hanno dapprima portato il bambino, accompagnato da persone di sua conoscenza, a casa dei genitori, e successivamente hanno portato padre e bambino alle forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese.
Una considerazione a parte andrebbe poi fatta sulla decisione di B'Tselem di diffondere in tutto il mondo il filmato senza schermare il volto di un bambino di 5 anni, e senza nemmeno interpellare le Forze di Difesa israeliane per ascoltare la loro valutazione.

(Jerusalem Post, israele.net, 31 luglio 2013)


Red Sea Jazz Festival ad Eilat

Ad Eilat, in Israele, dal 18 al 21 Agosto 2013 si terrà la 27esima edizione del Red Sea Jazz Festival, che si tiene sul Mar Rosso israeliano e che attira ogni anno decine di migliaia di appassionati di jazz provenienti da tutto il mondo.
Vengono tutti a godersi la musica, le jam session e i corsi di perfezionamento in un'atmosfera rilassata e ricca come solo una località turistica come Eilat ha da offrire. Quest'anno la kermesse israeliana vedrà esibizioni di band israeliane e internazionali, con la partecipazione di jazzisti di fama mondiale che convivranno con i giovani artisti locali.

(Full Travel, 1 agosto 2013)


La comunita' ebraica romana: Di Stefano conosce poco la realtà israeliana

ROMA, 31 lug. - "Gli ebrei italiani della Comunita' di Roma sono fieri di essere cittadini della Repubblica italiana; al contempo sono orgogliosi per cio' che rappresenta lo Stato di Israele, il quale rimane l'unica vera democrazia in Medio Oriente, nonostante le continue minacce circostanti. Le parole del deputato Di Stefano denotano scarsa conoscenza della realta' israeliana e del rapporto particolare che lega gli ebrei italiani e del mondo a quello Stato". Lo dichiara in una nota il consigliere della Comunita' Ebraica di Roma, Raffaele Sassun.
"Sappiamo -aggiunge- che non tutti all'interno del Movimento 5 Stelle la pensano allo stesso modo sull'argomento, per questo chiediamo ai portavoce del M5S maggiore attenzione nell'esternare giudizi che toccano corde sensibili e che provano a inserirsi in dibattiti di grande rilevanza internazionale".
"Sappiamo bene -prosegue- quale la vera realta' di vita, di tolleranza, di sopportazione, di rispetto di tutti gli esseri umani in Israele. Pertanto, qualsiasi tentativo di sminuire o indebolire questo speciale rapporto storico fra lo Stato d'Israele e le comunita' ebraiche risulta essere goffo e destinato a fallire".

(Adnkronos, 1 agosto 2013)


Notizie archiviate



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