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Notizie ottobre 2013
Al Arabiya: aerei israeliani bombardano basi in Siria
BEIRUT - Un nuovo raid israeliano avrebbe colpito in profondita' il suolo siriano. Secondo quanto riferisce la rete al Arabiya, riportata dai media israeliani, i jet israeliani hanno bombardato due basi aeree, una a Latakia (sulla costa) ed una vicina a Damasco. Nei raid sono state distrutte due distinte forniture di missili anti-aerei a corto raggio di fabbricazione russa Sa-8. Missili che erano diretti elle milizie sciite libanesi di Hezbollah. Stamane era stata data la notizia di un'esplosione nella prima base colpita, quella di Snubar Jableh, nella provincia occidentale siriana di Latakia. Lo aveva riferito l'Osservatorio siriano dei diritti umani senza attribuirne la responsabilita'.
Quello di oggi non e' il primo raid aereo israeliano in Siria. Il 30 gennaio vennero effettuati due bombardamenti: il primo contro un convogli di armi siriane (batterie missilistiche anti-aeree di fabbricazione russa SA-17 'Grizzly') dirette sempre ad Hezbollah in Libano; il secondo contro il piu' importante centro di ricerche militari, situato a nord di Damasco. Si trattava del 'Syrian Scientific Studies and Raserarch Center', "obiettivo di sanzioni Usa ed occidentali da oltre dieci anni A Maggio venne distrutto un altro convoglio siriano carico di sofisticati missili balistici iraniani 'Fateh - 110' diretti sempre in Libano.
(AGI, 31 ottobre 2013)
Europei Techno 293: israeliani profeti in patria
La seconda giornata, mercoledì 30 ottobre, dei Campionati Europei Techno 293, in corso di svolgimento sino a sabato a Eilat in Israele, è stata caratterizzata da un clima decisamente estivo, con temperature di 30/32 gradi. Iniziata con il solito vento da nord sui 6/8 nodi molto rafficato, ha consentito la disputa in mattinata di due prove per i maschi under 17 e una sola prova, per mancanza di vento, per le femmine under 17 e per tutti gli under 15. Femmine under 17 e under 15 sono tornati in acqua alle due del pomeriggio con vento da sud 6/8 nodi. Costante durante tutte le prove l'uso della bandiera nera. I grandi alberghi di Eilat rendono il vento instabile, rafficato e con molti buchi di vento. Per questo i coach propongono di spostare il campo di regata più lontano dalla baia. A fine giornata il miglior piazzamento degli italiani è di Nicolò Renna con un settimo nella prima prova e un quinto nella seconda prova.
Nella classifica generale under 15 maschile al comando i due israeliani Itai Kafri e Guy Sitin seguiti dall'americano Geronimo Nores, con Nicolò Renna risalito in 21a posizione e Riccardo Renna 31o. Tra le ragazze under 15 prima posizione per la polacca Lidia Sulikowska davanti alle israeliane Yarden Isaak e Katy Spychakov. Nella categoria under 17 primeggia l'israeliano Daniel Harari sul connazionale Ofek Elimelech e l'ucraino Aleksabdr Guncharenko. Jacopo Renna è 38o. Tutto per i padroni di casa il podio under 17 femminile con Shoval Ravitzki su Niy Drihan e Paz Mali.
(Italia Vela, 31 ottobre 2013)
Hezbollah sicuro: presto finirà l'assedio di Damasco
dallinviato Alberto Zanconato
DAMASCO - "La situazione è totalmente cambiata in favore delle forze governative negli ultimi tre mesi, e se le cose andranno come previsto, entro breve potrà essere spezzato l'assedio di Damasco". E' quanto afferma in un'intervista all'ANSA Wael Abbas, capo dell'ufficio siriano della televisione Al Manar, del movimento sciita libanese Hezbollah, che si batte al fianco delle forze del regime nel conflitto civile.
La grande battaglia che potrebbe permettere al presidente Bashar al Assad di riconquistare diversi sobborghi in mano ai ribelli intorno alla capitale sarà, secondo Abbas, quella per la regione di Al Qalamun. Si tratta di una fascia di decine di chilometri lungo la frontiera con il Libano, il cui controllo permetterebbe alle truppe governative di bloccare i rifornimenti ai ribelli a nord della capitale e di eliminare ogni minaccia per la strada che porta verso Homs e, da lì, verso la regione costiera di Latakia, feudo di Assad.
Negli scontri sono impegnati anche gli uomini di Hezbollah, che la scorsa estate avevano dato un contributo decisivo nella riconquista della cittadina di Qusayr, interrompendo il flusso di armi attraverso la regione sunnita libanese di Arsal. E' stata quella una prima vittoria strategica di grande portata per il regime, che ha fermato l'avanzata dei ribelli verso la capitale. Mentre nel nord le regioni di Idlib, Aleppo e Raqqah rimangono sotto il controllo degli insorti, tra i quali un ruolo sempre più importante è quello svolto dai gruppi jihadisti e dei qaedisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis). Hezbollah non ha mai fatto sapere quanti dei suoi miliziani combattano in Siria. Anche Abbas, a capo di un ufficio di corrispondenza che a Damasco dispone di 40 dipendenti, tra i quali 14 giornalisti, si mostra reticente in proposito. Ma ammette che la metà dei circa 30.000 sciiti libanesi che vivono in Siria sono stati armati e inquadrati nelle file del Partito di Dio, mentre assicura che non più di un migliaio sono i combattenti delle truppe speciali di Hezbollah provenienti dal Libano.
Secondo l'ultimo bilancio delle vittime del conflitto civile reso noto oggi dall'ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), i morti sono 120 mila (fra cui 42.945 civili e 6.365 bambini), ed i caduti tra i miliziani Hezbollah sono stati 187.
Il movimento sciita giustifica l'intervento affermando che si è trattato di una reazione alla minaccia di sterminio delle popolazioni di numerosi villaggi sciiti da parte di ribelli sunniti, molti dei quali jihadisti provenienti da altri Paesi.
Ma diverse fonti sottolineano che i libanesi non sono i soli sciiti presenti in armi in Siria. Milizie di autodifesa provenienti anche dall'Iraq, dall'Iran e dallo Yemen sarebbero infatti schierati a protezione del mausoleo di Zeynab, sorella dell'ottavo Imam sciita Reza, a sud di Damasco, che prima dello scoppio della guerra civile era meta di milioni di pellegrini sciiti.
(ANSAmed, 31 ottobre 2013)
Roma, Gusto Kosher 2013
di Federico Ligotti
ROMA, 31 ott - Torna anche quest'anno a Roma, domenica 17 novembre 2013, al Palazzo della Cultura in Via del Portico d'Ottavia, Gusto Kosher: l'evento di Lebonton Catering in collaborazione con il Creativity Lab ICPO dedicato ai saperi ed ai sapori della tradizione enogastronomica ebraica, dall'antico al contemporaneo. Il tema del 2013 è Roma/Tel Aviv. Sacro e Profano.
Nato tredici anni fa come degustazione di etichette kosher d'eccellenza, dal 2010 Gusto Kosher è cresciuto di anno in anno come vero e proprio evento enogastronomico e culturale.
Nel 2012 quasi 2000 persone hanno preso parte alle degustazioni, con oltre 500 bottiglie di vino stappate, 25 chilogrammi di couscous e 15 di pasta impiegati per preparare gli sfizi di Gusto Kosher, circa 2500 pizzarelle con il miele cucinate a vista e 90 filoni di pane affettati. Se lo scorso anno Gusto Kosher ha affrontato il tema della sostenibilità kosher, aprendosi ad un pubblico non più prettamente ebraico, per il 2013 il tema Roma/Tel Aviv. Sacro e Profano ha l'obiettivo di mettere in contatto e a confronto due mondi culinari che hanno radici comuni ma espressioni distanti, che si muovono tra i confini della religione, della tradizione, del gusto e della contemporaneità.
Domenica 17 novembre il faccia a faccia tra Roma e Tel Aviv si concretizzerà soprattutto nel piatto e nel bicchiere grazie alle degustazioni ma anche a parole grazie alle tavole rotonde con chef, produttori, giornalisti, blogger, istituzioni ed esperti.
Altri appuntamenti collaterali completeranno l'offerta culturale perché mangiare e bere, ne sono convinti i patron di Lebonton Catering, sono atti anche e soprattutto culturali. "La tradizione ebraica - spiega Giovanni Terracina di Lebonton Catering - attribuisce un gran valore all'alimentazione. Una normativa complessa regolamenta il consumo dei singoli alimenti, delle preparazioni, i terreni di coltura e molto altro. Mangiare è il principio alla base della sopravvivenza ed è per questo un atto sicuramente religioso, quasi filosofico e certamente culturale. Siamo quello che mangiamo.
Per scoprire questo universo di saperi e sapori nasce Gusto Kosher e di anno in anno cresce nei temi e nelle collaborazioni".
Gusto Kosher 2013 è un evento organizzato da Lebonton Catering in collaborazione con il Creativity Lab ICPO, con il patrocinio dell'Ambasciata di Israele in Italia, della Regione Lazio, della Provincia di Roma, di Roma Capitale, della Comunità Ebraica di Roma e del Benè Berith.
(Prima Pagina News, 31 ottobre 2013)
Il terrorismo a bassa intensità di cui nessuno parla
Compiere un atto di terrorismo non significa necessariamente schiantarsi con un aereo contro un grattacielo, farsi esplodere in un autobus o fare esplodere una autobomba nel centro di una città. C'è un altro tipo di terrorismo meno eclatante e quindi meno soggetto a prevenzione,ma altrettanto redditizio, il terrorismo a bassa intensità.
E' il tipo di terrorismo che stanno adottando i palestinesi contro i civili israeliani, un terrorismo fatto di attacchi isolati, di lancio di sassi in autostrada, di agguati e di atti di violenza casuali. Questo tipo di terrorismo di cui nessuno parla proprio perché non eclatante nei mesi scorsi ha portato molte sofferenze alla popolazione israeliana. Per rendercene conto dobbiamo però ricorrere ai dati forniti dal Central Bureau of Statistic dello Stato di Israele e dal Ministero dell'Interno, dati aggiornati a ottobre 2013 e che riguardano solo gli atti di violenza palestinese contro civili israeliani, incidenti stradali frutto del lancio di pietre e attacchi isolati riconducibili all'odio anti-israeliano....
(Right Reporters, 31 ottobre 2013)
Moda - Sbarca a Mosca la Tel Aviv Fashion Week
di Rachel Silvera
Yankele e Moyshele non ci potrebbero mai credere. Anzi penserebbero sicuramente all'inizio di una barzelletta. Invece è proprio vero: la Fashion Week Russia ha ospitato la Tel Aviv Fashion Week per due giorni (28 e 29 ottobre) e ha fatto sfilare modelli made in Israel. Ironia del destino di rete, ma la terra degli zar e degli shtetl non ha dubbi: la moda israeliana piace assai. Ed ecco che senza accorgercene siamo diventati creativi e non più venditori di aringhe. Guest star a Mosca ma non solo, Tel Aviv assicura che tornerà più brillantinosa che mai nel 2014. Dopo aver avuto come padrino d'eccezione Roberto Cavalli ed essere tornata lo scorso anno con a fianco Moschino, Israele si veste a festa. Mentre Mosca sembra essere sempre più jew-friendly con il maestoso Museo della Tolleranza nuovo di zecca. E se proprio volete pane per i vostri denti, ieri a sulla passerella russa è salita una modella d'eccezione: la meravigliosa ultra-novantenne Ruth Dayan, moglie di Moshe e fondatrice di Maskit, istituzione che a suo tempo offrì posti di lavoro in campo di moda e creatività. "Oy, oy, oy Yankele se ti racconto questa, penserai sia meshuggah!"
(Notiziario Ucei, 31 ottobre 2013)
Magna Charta o sharia?
Il nostro non è più un paese cristiano, quindi le corti devono servire una comunità multiculturale". Questo il messaggio alla Family Law Annual Conference di uno dei più alti in grado fra i giudici britannici, Sir James Munby. Già Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, e poi il presidente della Corte suprema inglese, Lord Phillips, avevano auspicato l'inserimento nel diritto anglosassone di alcuni elementi della sharia. Adesso è la volta di Sir Munby. Simili proposte non vengono da fondamentalisti islamici o sciatti relativisti, ma da illustri magistrati che custodiscono la Common law nelle proprie mani, dai principi del chiostro anglicano e dai riformatori veri (è a Phillips, ad esempio, che si deve l'abolizione delle parrucche nei tribunali inglesi). Gente dunque animata da uno spirito pragmatico, progressista persino. La legge secondo queste tre personalità pubbliche inglesi deve registrare la sensibilità morale dei cittadini, non prescriverla, secondo un vecchio principio liberaldemocratico. Sembrano, a prima vista, osservazioni sensate, persino ispirate alla tradizione imperiale britannica. Ma sono di più. Sono il superamento, autentico e tragico, della civiltà europea con le sue radici giudeo-cristiane, che ha sempre posto al centro della sua concezione giuridica, politica e sociale il principio dell'inviolabilità della persona. Nella sharia, a cui ammicca Munby nel suo discorso strategico, la persona non ha diritti ma mere "sottomissioni" successive, da quella di tutti ad Allah, fino a quella della donna al marito e del non musulmano al musulmano. I diritti dell'uomo che si sono affermati come contrassegni della civiltà occidentale sono in totale contrasto con la legge islamica, in conflitto con essa. Phillips, Williams e Munby tuttavia hanno registrato quanto già accade ogni giorno in Inghilterra. E cioè che cento corti della sharia operano nel Regno Unito a porte chiuse, senza accesso a osservatori indipendenti. Contemplano, tra l'altro, poligamia e mutilazione genitale, ripudio della moglie (noto come "talaq") e prevenzione dei matrimoni misti, il tutto nel pieno rispetto dei cavilli legali multiculturalisti. Addio Magna Charta.
(Il Foglio, 31 ottobre 2013)
Sono il superamento, autentico e tragico, della civiltà europea con le sue radici giudeo-cristiane.... Fino a non molto tempo fa unessenziale caratteristica sociale del vero cristiano doveva essere una netta differenza dal giudeo. Ci si può dunque seriamente chiedere in che cosa consistano le radici giudeo-cristiane della civiltà occidentale. Tra queste non si trova certamente il diritto allinviolabilità fisica della persona, che invece è di natura illuministica. Forche e patiboli, anche nel santissimo Stato del Vaticano, erano considerati ovvii e non erano oggetto di discussioni di principio. Comunque, anche se queste radici ci fossero state, è chiaro che da un pezzo sono state dimenticate. Le coppie di fatto, la svalutazione del matrimonio, la fierezza omosessuale, il diritto allaborto, principi strenuamente sbandierati e ferocemente difesi dai paladini della nostra progredita società, non hanno niente a che vedere né con il giudaismo né con il cristianesimo. Più che giudeo-cristiana, la nostra è una società libertino-pagana, e come tale avrà molta difficoltà a resistere alloffensiva barbarica della società islamica. Lislam non arriverà a dominare il mondo, ma non sarà la nostra società libertino-pagana ad impedirlo. M.C.
(Il Foglio, 31 ottobre 2013)
Denaro buttato per la Palestina
di Cristofaro Sola
Quando c'è crisi e si fanno sacrifici inenarrabili per tirare avanti, anche i remoti echi di sprechi lontani rimbombano nei nostri timpani come note stonate. E fanno male quelle note, molto male a quanti, come molti italiani, sono alla canna del gas. La notizia ci giunge dalla stampa estera giacché i nostri media sono troppo concentrati sulle risse del cortile di casa nostra per preoccuparsi di segnalare ciò che avviene altrove. Si tratta dei contributi che l'Unione Europea elargisce, a titolo di solidarietà, all'Autorità Palestinese.
I fondi dovrebbero di regola essere destinati a progetti di sviluppo per i territori "occupati" da Israele e rivendicati dai Palestinesi. Di questi contributi se n'è già parlato a proposito del fatto che l'Ue abbia deciso di negare alle persone e agli enti di nazionalità israeliana residenti nelle zone collocate al di fuori della linea verde, il diritto a concorrere ai bandi di gara per l'assegnazione dei finanziamenti, a partire dall'annualità 2014, perché considerati alla stregua di occupanti illegali dei territori-bersaglio dell'intervento Ue. Nel contempo, però, con spudorato doppiopesismo si consente ai soggetti privati afferenti all'Olp o all'Autorità Palestinese l'opportunità di accedervi senza che siano richieste formali dichiarazioni in ordine al riconoscimento del diritto all'esistenza pacifica dello Stato d'Israele e alla sicurezza dei suoi confini.
Ora il settimanale britannico "Sunday Times" ci informa dell'esistenza di un rapporto della Corte dei Conti Europea nel quale si asserisce che nel periodo di esercizio 2008/2012, l'Autorità Palestinese "abbia sprecato, sperperato o perso nella corruzione almeno 1,95 milardi di euro" concessi dall'Ue in aiuti allo sviluppo. In pratica, gli ispettori europei svolgendo un audit sui progetti finanziati si sarebbero accorti che i denari erogati siano finiti dappertutto tranne che nelle iniziative per le quali erano stati concessi fondi in misura, oserei dire, generosa.
Sembrerebbe, il condizionale è d'obbligo visto che il rapporto non è ancora stato depositato e quelle raccolte dal Sunday Times pare siano indiscrezioni ufficiose, che i controlli abbiano evidenziato un alto livello corruttivo presente nella burocrazia palestinese a cui è stato affidato il compito della gestione dei fondi. Un'indagine di "Trasparency International", una Ong con sede a Berlino, a cui si deve la creazione di uno specifico indicatore che è l'Indice di corruzione percepita (Cpi), rileva che tra i dirigenti palestinesi il fenomeno del nepotismo sia divenuto un costume abituale nella gestione della cosa pubblica.
Riguardo agli accadimenti registrati nella striscia di Gaza, la fonte giornalistica sostiene che i soldi siano stati impiegati per finanziare altri tipi di iniziative. Dal momento che ad amministrare Gaza ci sono le forze di Hamas, branca dei Fratelli Musulmani in Palestina, non bisogna essere un genio per intuire quale destinazione abbiano avuto i nostri denari. Già, i nostri denari, perché presi come siamo da questo autodafé quotidiano sulle nostre incapacità rispetto alle virtuosità degli altri partner europei, facilmente dimentichiamo che lo Stato italiano sia un contributore netto dell'Ue.
Anzi, nel 2011, siamo stati il primo contributore netto dell'Unione. Tradotto: diamo più soldi all'Europa di quanti ne riceviamo in aiuti. Ne consegue che quel denaro, stanziato per progetti mai realizzati in terra di Palestina, era anche nostro. Ci apparteneva. Avrebbe potuto aiutare le nostre tante imprese in difficoltà oppure alleviare un po' del disagio che le famiglie italiane provano per l'eccessivo carico fiscale che devono sopportare. E noi, invece, l'abbiamo dato all'Ue perché lo elargisse a quei galantuomini dei politici palestinesi cosicché potessero migliorare lo stato, già pingue, delle loro finanze personali o potessero dilettarsi a comprare armi per fare terrorismo.
Forse il nostro denaro è servito alla costruzione del più efficiente tunnel, scoperto qualche giorno fa dagli uomini dell'Idf, che da Gaza penetra per 2,5 chilometri di profondità in territorio israeliano. Secondo gli esperti la galleria, attrezzata con binari per vagoni e illuminazione, è stata costruita per colpire obiettivi civili e militari dentro Israele.
È a questo tipo di sviluppo che abbiamo contribuito? Nella Carta di Hamas, lo statuto del Movimento di Resistenza Islamico, all'articolo 8 c'è scritto: "Allah è il suo fine, il Profeta il suo capo, il Corano la sua costituzione, il Jihad il suo sentiero e la morte per la gloria di Allah il suo desiderio più caro". Non mi pare che queste belle intenzioni siano presenti negli atti istitutivi dell'Unione Europea. Se si accettano soldi da qualcuno un po' di decenza vorrebbe che almeno gli elementari princìpi di diritto naturale venissero condivisi con chi ti tende una mano per aiutarti.
Proprio per niente! La logica resta quella della violenza assassina per combattere i "nemici sionisti" e i loro alleati. E se questa banda di delinquenti sanguinari non ha fatto maggior danno lo si deve solo all'azione di contrasto svolta con successo in questi anni da Israele. Azione che noi europei intendiamo indebolire, regalando a pioggia finanziamenti ai terroristi perché realizzino atti criminali, magari più efficaci grazie al supporto di nuova tecnologia, aquistata con denaro fresco proveniente direttamente dalle casse dell'Unione Europea.
Nella carta costitutiva dell'organizzazione terroristica si legge: "L'ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me - vieni e uccidilo; ma l'albero di Gharqad non lo dirà, perché è l'albero degli ebrei".
Ecco chi abbiamo finanziato! Mi chiedo, allora, dove siano i custodi professionisti del moralismo italiano, pronti a puntare l'indice accusatore verso i propri nemici nostrani che sono sempre, guarda caso, corrotti e corruttori, frodatori dello Stato e dell'Ue, truffatori di ogni risma. Insomma, "mariuoli". E di quelli invece che portano la kefiah, e gridano "morte a Israele, e morte ai suoi sodali occidentali", nel mentre contano le banconote di cui i "crociati" hanno voluto graziosamente omaggiarli, che cosa pensano? Cosa dicono i valenti Savonarola del giorno dopo di questo latrocinio perpretato ai nostri danni? Una convincente risposta nel merito sarebbe gradita.
(L'Opinione, 31 ottobre 2013)
Il capo della Gestapo sepolto nel cimitero ebraico di Berlino
Lo rivela il quotidiano tedesco Bild. La salma del famigerato capo della polizia segreta nazista venne tumulata nel 1945 in una fossa comune nel cimitero ebraico Berlin-Mitte. Ignote le motivazioni.
ROMA, 31 ott 2013 - Dopo il danno la beffa. Il quotidiano tedesco Bild rivela che il famigerato capo della Gestapo, Heinrich Mueller, giace sepolto nel cimitero ebraico di Berlino. La sorprendente conferma arriva da Johannes Tuchel, direttore dei memorial della Resistenza tedeschi, secondo cui "la salma di Mueller venne tumulata nel 1945 in una fossa comune nel cimitero ebraico di Berlin-Mitte", il centralissimo quartiere della capitale tedesca, rimasto fino alla riunificazione tedesca nel territorio della Ddr. Il presidente della comunità ebraica tedesca, Dieter Graumann, definisce "una mostruosità spaventosa che uno dei nazisti più sadici sia sepolto in un cimitero ebraico, calpestando così in maniera infame la memoria delle vittime".
- I servizi segreti occidentali si sbagliarono
Le ricerche d'archivio condotte da Tuchel hanno dimostrato che sulla sorte del capo della polizia segreta nazista tutti i servizi segreti occidentali avevano seguito una pista sbagliata, poiché, a loro avviso, Mueller era riuscito a sopravvivere al crollo del regime nazista. "I servizi segreti presero un abbaglio totale", spiega Tuchel, poiché "nell'agosto 1945 la salma di Mueller venne trovata da una squadra addetta alle sepolture in una tomba provvisoria situata nei pressi del ministero dell'Aeronautica del Reich".
- Ignoti i motivi per cui la salma è stata sepolta al cimitero ebraico
Tuchel precisa che "il cadavere di Mueller aveva indosso una divisa da generale e nella tasca interna sinistra sul petto c'era il suo tesserino di servizio con la foto". Al momento non è stato possibile scoprire per quali motivi la salma dello spietato persecutore degli ebrei sia andata a finire proprio nel cimitero ebraico berlinese.
(RaiNews24, 31 ottobre 2013)
Perché i giovani italiani sono tristi?
di Leonard Berberi
«La verità è che i giovani italiani sono tristi. Peggio: depressi. Lo so perché lo ero anche io. Poi sono venuta qui, a Tel Aviv. Ho un lavoro, mi faccio un mazzo tanto, ma sono felice. Mi diverto». Michela ha 26 anni. È nata e cresciuta a Milano. Ha passato alcuni anni a Roma. Poi, nel 2010 ha deciso di «svoltare» ed è andata a vivere in Israele. Dice di essere felice, Michela. Non una felicità qualsiasi, «ma quella che deriva dalla consapevolezza di vivere in una società dinamica, per nulla angosciata, ottimista. A Milano, e dico Milano mica un paesino sperduto, i giovani non si divertono. Magari ridono, scherzano, passano il tempo. Ma non è divertimento vero, è finto, quasi obbligato dal fatto che il venerdì e il sabato si esce, bisogna uscire altrimenti l'alternativa è la casa».
(Corriere della Sera - blog, 31 ottobre 2013)
"Verdi a Gerusalemme"
E' tuttora in corso al Museo I.Nahon di Gerusalemme la mostra personale di pittura di Daniel Schinasi:
"Schinasi brinda ai 200 anni della nascita di Giuseppe Verdi".
Oggi, 31 ottobre, alle ore 19, si terrà "A Concert of Verdi's operas" eseguito da cantanti della Israeli Opera.
Locandina
(Notizie su Israele, 31 ottobre 2013)
Spagna - La maggioranza degli ebrei discende dai sefarditi?
Dal governo spagnolo promessa la cittadinza per chi lo dimostri
MADRID, 30 ott - Nel novembre 2012 il governo spagnolo annunciò che tutti gli ebrei sefarditi - discendenti da coloro che furono espulsi in Spagna nel 1492 dai Re Cattolici - potranno acquisire la nazionalità spagnola in maniera automatica, solo dimostrando - per cognome, lingua o discendenza - il proprio vincolo con la cultura e i costumi iberici.
Il ministro della giustizia stimava in 250.000 le persone che avrebbero potuto ottenere la nazionalità, di lingua sefardita. Ma ora uno studio pubblicato su ArXiv assicura che, sebbene solo il 20% degli ebrei si identifichi come sefardita, la maggioranza della comunità ebraica mondiale ha antenati espulsi all'epoca dei Re Cattolici. E che, pertanto, la nazionalità dovrebbe essere concessa alla stragrande maggioranza di loro. E' la conclusione alla quale è giunto Joshua Weitz, ricercatore dell'Istituto Tecnologico di Georgia, autore di uno studio che ha applicato al caso in questione un modello di dinamica genealogica che conferma come, anche con le stime più prudenti, quasi tutti gli ebrei attuali portino almeno una goccia di sangue degli antenati espulsi nel 1492. Il modello mostra che - nonostante la preferenza a sposarsi con persone del proprio gruppo e nonostante il fatto che gli ebrei di origine iberica costituiscano una minoranza - basta risalire a 15 generazioni precedenti perché tutti gli individui abbiamo almeno un vincolo diretto con un sefardita della generazione iniziale. Alla federazione delle Comunità Ebree in Spagna (Fcje) spiegano che, nonostante la proposta avanzata dal governo spagnolo, "la realtà allo stato è che il processo è in fase di studio da parte del ministero della Giustizia" e al momento "nessuno può scegliere la nazionalità spagnola per questa via rapida, perché non si è individuato il metodo".
A fronte del modello di Weits, la Fcje segnala che attualmente ci sono 5.000 richieste di ebrei che attendono una risposta dal governo per ottenere la nazionalità spagnola.
(ANSAmed, 30 ottobre 2013)
Da Venezia a Tel Aviv: "Save the Institute of Aviation" conquista El Al con i numeri
Sono 27mila i passeggeri annuali che dall'aeroporto Marco Polo volano nella capitale economica di Israele. Camillo Bozzolo: "Andiamo a cercare le destinazioni con un alto potenziale di crescita". Così lo scalo supera la crisi di traffico italiana
Con il volo diretto su Tel Aviv l'aeroporto di Venezia corona un lavoro decennale, fatto di analisi e "pressing" sulla compagnia aerea israeliana El Al che ha finalmente deciso di avviare le operazioni dal 5 novembre, una volta alla settimana per cominciare, poi da aprile 2014 i servizi diventeranno tre.
"Osservavamo questo mercato da anni, interessante sia per il traffico business e naturalmente per quello leisure - argomenta il direttore sviluppo aviation di Save, Camillo Bozzolo -. Guardiamo alle destinazioni con un alto potenziale di crescita, come Tel Aviv si dimostra con gli oltre 27mila passeggeri all'anno che partono da Venezia per raggiungere la capitale economica di Israele e fino a oggi volavano via altri aeroporti europei". Già presente a Malpensa e Fiumicino, El Al aggiunge così il terzo scalo nel Belpaese e conferma l'interesse vivo tutto l'anno da parte degli israeliani nei confronti dell'Italia. "Le due destinazioni si assomigliano, per cultura e motivazioni religiose l'appeal turistico rimane vivo in misura costante e questa è una condizione ottimale per un vettore aereo", commenta la direttrice Oranit Beit Halahmy. Lo scalo lagunare sta reagendo in netta controtendenza rispetto all'andamento nazionale, che vede un decremento dei passeggeri del 4,6% secondo le statistiche gennaio-settembre di Assaeroporti. Con 6,6 milioni di pax, dei quali 5,2 internazionali, la società di gestione guidata da Enrico Marchi chiude i nove mesi con una crescita del 4,3%. Anche sul dato dei passeggeri nazionali mostra una reazione migliore: se l'industria soffre di una decrescita del 7,5%, Venezia argina il segno meno al 3,7%. Rimane per il Marco Polo un po' di fiato sospeso su Alitalia, che dalla Summer 2014 ha annunciato il collegamento diretto su Tokyo, anche in questo caso sulla base di un dato ben conosciuto nelle analisi di Save e cioè i 57mila pax che in un anno da Venezia raggiungono la metropoli del Sol Levante.
(Guida Viaggi, 30 ottobre 2013)
Egitto - Arrestato il leader dei Fratelli musulmani
CAIRO - Le autorità egiziane hanno arrestato Essam El-Erian, leader dei Fratelli Musulmani, ultimo atto del giro di vite che il governo sta conducendo contro il movimento islamista, secondo quanto riferito da una fonte del ministero dell'Interno.
Erian, numero due del partito Libertà e giustizia dei Fratelli, è stato prelevato da un residence a New Cairo nel quale si nascondeva.
Il gruppo dei Fratelli Musulmani è stato bandito e molti dei suo leader arrestati e accusati di istigazione alla violenza da quando l'esercito, pressato da proteste di massa, ha deposto il presidente islamista Mohamed Mursi il 3 luglio scorso.
(Reuters, 30 ottobre 2013)
Deportazione degli ebrei fiorentini, "non dimenticare"
A 70 anni dal 6 novembre 1943 marcia silenziosa da Piazza Duomo alla Sinagoga mercoledì 6 novembre 2013, su iniziativa della Comunità di Sant'Egidio. Appuntamento alle ore 18.
A 70 anni dalla deportazione degli Ebrei di Firenze, la Comunità di Sant'Egidio ricorderà questa tragedia con un "pellegrinaggio della memoria" che percorrerà le vie del centro storico fino alla sinagoga, nel giorno di mercoledì 6 novembre 2013, alle ore 18,con appuntamento in Piazza Duomo, angolo con via dell'Oriuolo.
Il 6 novembre 1943 il comando nazista avviò a Firenze la cattura e la deportazione degli Ebrei fiorentini. Vennero arrestate oltre 300 persone. Il 9 novembre furono caricate sui treni diretti verso Auschwitz, dove arrivarono il 14 novembre. Solo 107 superarono la selezione per l'immissione nel campo: gli altri vennero immediatamante eliminati. Dal lager sarebbero tornati solo in quindici.
Nell'elenco dei deportati figuravano anche otto bambini nati dopo il 1930 e 30 anziani, nati prima del 1884.
La razzia venne salutata con entusiasmo dalla stampa fascista che inneggiava alla caccia all'ebreo.
I tedeschi avevano completato l'occupazione di Firenze nel settembre 1943. Qui i nazisti poterono contare per la razzia sul sostegno attivo dei fascisti, in particolare su quello della banda Carità.
Degli Ebrei deportati nei lager dal 6 novembre del '43 in poi, solo 15 tornarono indietro: otto donne e sette uomini.
(Met, 30 ottobre 2013)
Buon riscontro per il volo easyJet tra Roma e Tel Aviv
Registrati load factor elevati, che superano l'89%, "con un grande apprezzamento sia da parte dei passeggeri italiani che di quelli israeliani', afferma Frances Ouseley, direttore del vettore per l'Italia.
Bilancio positivo per easyJet per il volo da Fiumicino a Tel Aviv, lanciato poco più di un mese fa. Frances Ouseley, direttore del vettore per l'Italia, ha dichiarato ad Ansa Med la sua soddisfazione. "Grazie alle nostre tariffe, stiamo registrando load factor elevati, che superano l'89%, con un grande apprezzamento sia da parte dei passeggeri italiani che di quelli israeliani''.
Un contributo all'incremento dei flussi dal Belpaese, che ha visto, stando agli ultimi dati dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo in Italia, tra gennaio e settembre 2013 120mila 172 arrivi, facendo così della Penisola il quarto mercato di riferimento in Europa dopo Francia (229.860), Germania (183.590) e Regno Unito (160.034).
(Guida Viaggi, 30 ottobre 2013)
Mostre - La luce e la gioia di Marina Falco Foa
Si intitola "Hora ve-Simcha. Luce e gioia - Opere su carta e pergamena 1986-2013" e rappresenta "la conclusione di un lungo percorso iniziato da bambina, osservando mio papà disegnare, poi cimentandomi io in prima persona, appassionandomi e studiando arte, e arrivando, con la decorazionela ketubbah per il matrimonio di mia figlia all'inizio degli anni '90, a riscoprire il mondo ebraico, gli oggetti, e i luoghi dell'Italia ebraica". Così l'illustratrice Marina Falco Foa racconta l'esposizione che si inaugura al Museo ebraico di Bologna in occasione della cerimonia del Premio letterario Adei-Wizo Adelina Della Pergola. Opere realizzate con tecniche diverse, dal collage allo stencil, passando per il calligramma, caratterizzate da colori brillanti, caldi in una prima fase, poi freddi. Tra gli artisti la cui opera ha influenzato il suo lavoro, Marina, che tra l'altro collabora con Pagine Ebraiche, cita il genovese Emanuele Luzzati, suo concittadino e amante dei soggetti vicini alla tradizione ebraica. "Nei miei disegni, tengo a sottolineare i richiami all'ebraismo, alla gioia di vivere e di rapportarsi con gli altri, alla gioia dovuta alla libertà infinita che offre un foglio di carta bianco - spiega ancora - Questa positiva sensazione, che va ben oltre la storia sofferta del popolo ebraico, è sintetizzata proprio nel titolo dell'esposizione". A partecipare all'inaugurazione della mostra, saranno il presidente della Fondazione Museo ebraico di Bologna Emilio Campos, il direttore dell'istituto Franco Bonilauri e il presidente dell'Associazione donne ebree d'Italia Ester Silvana Israel. Fra le opere esposte anche varie ketubot (contratti matrimoniali) finemente decorate dall'artista, e poi splendidi scorci dall'Italia ebraica, dal suggestivo Ghetto di Venezia, fino alla stessa Bologna. La mostra rimarrà aperta dal 30 ottobre al 20 novembre.
(Notiziario Ucei, 30 ottobre 2013)
Folla di palestinesi al valico di Erez accoglie gli scarcerati
Circa 300 palestinesi si sono raccolti ieri sera al valico di Erez, nella Striscia di Gaza al confine con Israele, per accogliere i detenuti che sono stati rilasciati dalle carceri dello Stato ebraico. Molti alzavano bandiere e cartelli con scritte come 'Non dimenticheremo mai i nostri eroi', mentre veniva diffusa musica festosa. Cinque prigionieri sono stati rilasciati nella Striscia, mentre altri 21 in Cisgiordania, dove sono stati accolti dal presidente palestinese Mahmoud Abbas. La scarcerazione è la prima di quattro previste per dare spinta ai negoziati di pace, in cui in tutto Israele libererà 104 palestinesi che scontano lunghe pene. "Oggi è il giorno della gioia per la famiglia e per la tutta la Palestina", ha dichiarato Tayser Shubair, il cui fratello Hazem era in carcere in Israele dal 1994 per la morte di un israeliano. Il destino dei carcerati è una questione profondamente sentita nella società palestinese, in cui dopo decenni di conflitto con Israele molte famiglie hanno almeno un parente in cella .
(LaPresse, 30 ottobre 2013)
La storia infinita dell'odio di generazione in generazione
di Deborah Fait
Siamo sempre là, passano i secoli ma la storia non cambia, gli ebrei e i soldi. I soldi e gli ebrei. Gli ebrei padroni del mondo grazie ai loro soldi. Lo dicevano secoli fa, lo hanno urlato ai quattro venti per quasi due millenni, hanno scritto libri, commedie, tragedie in cui non mancava mai l'ebreo sordido e untuoso che contava i suoi soldi, accumulava patrimoni ai danni del popolo . La letteratura è strapiena di stereotipi antisemiti, ebrei descritti come figure dall'aspetto satanico, dal naso adunco, dalle mani rattrappite a forza di contar denaro. Nella letteratura popolare l'ebreo non è più soltanto l'assassino di Gesù e, in quanto tale, perseguitato dalla Chiesa per secoli, diventa il Male assoluto, diventa Satana, viene trasformato in un insetto che sporca e avvelena la società umana. Vignette raffiguranti ebrei come ratti o orrendi personaggi che poco hanno di umano, hanno invaso per secoli il mondo intero, sotto forma di cartoline, stampe, giornali, entrando a far parte del comune sentire dell'umanità, l'ebreo da odiare, l'ebreo da schiacciare prima che lui si impadronisca del mondo.
Nel secolo scorso la storia infinita dell'antisemitismo è stata il sale dei movimenti fascisti che hanno attraversato l'Europa, nel 1905 venne stampato un testo che diventerà il manifesto dell'odio antisemita moderno : "I protocolli dei Savi anziani di Sion". Questo libello attraverserà tutta l'Europa, verrà tradotto in tutte le lingue, le sue teorie verranno usate per giustificare i delitti più efferati contro gli ebrei, dai pogrom, ai genocidi, alla Shoà.
I Protocolli, insieme alla menzogna dell'assassinio di Gesù di Nazaret, sono la più dannosa bugia della storia, quella che ha permesso ai governi europei di consegnare gli ebrei alla morte, alla tortura, ai forni crematori e alle masse di assistere indifferenti alla più lunga e sanguinosa persecuzione nella storia dell'umanità e di prenderne parte attiva quando venivano organizzati i pogrom, sinagoghe bruciate , donne stuprate, bambini infilzati.
"Dominare il mondo, sovvertire l'ordine mondiale." Le menzogne dei Protocolli sono servite per giustificare l'odio e i crimini contro il Popolo ebraico e oggi, tradotte in tutte le lingue del mondo e vendute come best seller nei paesi arabi, servono per delegittimare Israele.
Jack Straw, ex ministro degli esteri della Gran Bretagna, fedele alle calunnie antisemite ha detto che "Il denaro ebraico è l'ostacolo principale per la pace in Medio Oriente". E bravo Straw, per niente originale, noiosissimo e banale, stupido e antisemita. Il terrorismo no, vero? L'intansigenza araba, no vero? Le pretese palestinesi? In Israele abbiamo ogni giorno uno stillicidio di attentati, diciamo, minori, una bambina colpita da una fucilata qua, un vecchio ammazzato là, un soldato ucciso da un'altra parte, accoltellamenti, i missili che quotidianamente piovono da Gaza su Israele, tanto per gradire, Abu Mazen che gira il mondo per chiedere ai capi di stato di boicottare Israele, di constringere Israele a regalargli territori che sono il cuore dell'ebraismo, i continui incitamenti all'odio contro gli ebrei nelle scuole arabe di ogni ordine e grado . Questi non sono ostacoli alla pace, signor Straw?
I soldi arabi, le enormi fortune arabe, il potere delle lobby islamiche antisemite che foraggiano tutti i movimenti antisraeliani, antisionisti, antiebraici del mondo non sono ostacoli alla pace?
Questa notte dovrebbero essere rilasciati altri 26 terroristi dalle carceri israeliane, le famiglie delle vittime hanno fatto appello alla Corte Suprema perché impedisca il rilascio deciso dal governo israeliano per arrivare "alla pace". I terroristi liberati sono attesi alla Mukata dove saranno ricevuti dal presidente di uno stato che non c'è e e di un popolo inventato, Abu Mazen.
Una follia pretesa dall'America, quell'America che, secondo Straw, si fa comandare dalle lobby ebraiche, un' America che non tratta con i terroristi ma che pretende che Israele lasci in libertà assassini di donne e bambini, criminali che hanno colpito a morte il Popolo ebraico.
Allora dove sono le lobby ebraiche stramiliardarie di Jack Straw? Come mai la politica americana vuole il male di Israele, chiede sacrifici mortali a Israele? Come mai Obama flirta con l'Islam, persino con l'Iran? Come mai Obama continua a dirsi amico di Erdogan, bigotto, fanatico islamista, antisemita? Proprio Erdogan si è riferito ai "protocolli dei Savi di Sion" quando ha accusato gli ebrei e il loro "potere mondiale" di aver organizzato le proteste al Gezy Park di Istanbul.
Gira gira, è sempre là che si torna, all'ebreo malefico e potente che tiene in scacco il mondo intero anche se nessun antisemita sa spiegare come mai tanto potere non sia servito a salvare il popolo ebraico dalle grinfie assassine dell'Europa, dall'Inquisizione alla Shoàà.
Shylock diceva " Non ha forse occhi, mani, passioni un ebreo?" Mentre Shakespeare scriveva queste parole i potenti britannici scacciavano dall'Isola gli ebrei inglesi.
La storia infinita dell'odio di generazione in generazione.
(Informazione Corretta, 30 ottobre 2013)
La sentenza: i nazisti restituiscano le opere d'arte rubate agli ebrei
AMSTERDAM - Meglio tardi che mai. Nei Paesi Bassi, alla luce di una recente sentenza relativa a un'inchiesta sulle rappresaglie nei confronti degli ebrei, i giudici hanno disposto che le opere d'arte rubate agli ebrei dopo la notte dei cristalli del 1938 e nei successivi anni Quaranta, finite esposte nelle collezioni dei musei olandesi, siano restituite ai legittimi proprietari. Si tratta di pregiatissimi capolavori di arte moderna e contemporanea, tra cui quadri di Matisse, Kandinsky e Klee. Per vantarne la paternità e reclamarne la restituzione, i legittimi proprietari possono adesso completare la procedura tramite il sito online Museum Acquisitions since 1933.
(Inside Art, 30 ottobre 2013)
Calcio: a Gerusalemme torneo bambini di Roma e Inter
Organizzato dal Roma Club Gerusalemme con il patrocinio dellambasciata
GERUSALEMME, 30 ott - Lo sport unisce e, attraverso la passione per il "gioco più bello del mondo", il calcio, rompe le barriere e le differenze. Questo il messaggio di fondo alla base dell'evento sportivo organizzato dalla scuola calcio del "Roma Club di Gerusalemme" - nel centro sportivo di Beit Hanoar Haivri - e che ha visto affrontarsi i bambini dell'"Inter Campus di Israele" e i giovani del club giallorosso della Città Santa. Il torneo, patrocinato dall'ambasciata italiana in Israele, è stato organizzato per rendere omaggio a Carmela Callea, direttrice dell'Istituto italiano, e Lorenzo Ortona, Consigliere economico e commerciale dell'ambasciata, che a breve termineranno il loro mandato in Israele.
Fondato nel 1998, il "Roma Club Gerusalemme" organizza da ormai più di cinque anni tornei di calcio per adulti e bambini e grazie all'aiuto del Consolato italiano di Gerusalemme, mette insieme italiani, israeliani, palestinesi, ebrei, musulmani, drusi e cristiani, accomunati dalla passione per il calcio.
Yasha Maknouz, responsabile del progetto "Inter Campus in Israele", ha detto di condividere in toto la missione del Roma Club e ha sottolineato che lo sport in generale, e il calcio in particolare, sono strumenti di condivisione e di comprensione.
"La nostra organizzazione, supportata dall'Inter, ci ha permesso - ha spiegato - di organizzare scuole calcio con bambini di tutte le etnie con l'obiettivo di rompere i tabù delle differenze etniche e religiose". L'Inter Campus già dal 2000 offre la possibilità ad israeliani (arabi ed ebrei) e ai palestinesi dei Territori di partecipare a tornei e condividere la passione per il pallone ed annovera tra i propri iscritti più' di 500 persone tra bambini e adulti.
Presente all'evento, che ha visto i romanisti avere la meglio sui rappresentanti del club meneghino, l'ambasciatore italiano in Israele Francesco Maria Talo': "E' importantissimo per l'Italia essere un punto di riferimento per questi ragazzi che fanno sport e condividono la stessa passione. Quando si parla di sport l'Italia c'e'".
(ANSAmed, 30 ottobre 2013)
È sempre il solito Israele che disturba i vicini
In Siria è ripreso il massacro degli oppositori, con la lista di vittime della repressione di Assad che torni ad allungarsi; in Libia è il caos. In Libano Hezbollah condiziona sempre più sensibilmente il governo, con le forze democratiche capitolate di fronte all'intransigenza degli estremisti sciiti di Hezbollah, partner privilegiato di Damasco. In Egitto la defenestrazione di Morsi avvenuta a luglio non ha placato i Fratelli Musulmani, e scontri fra islamici e militari, e fra simpatizzanti degli uni e degli altri, si susseguono a ritmo quotidiano. L'Iran adotta un politica del doppio binario: da un lato accarezza il pelo dell'Occidente, dall'altro lavora alacremente all'obiettivo della sua bella bomba atomica islamica, e secondo un ex esponente dell'AIEA mancherebbero addirittura soltanto un paio di settimane prima che l'ordigno nucleare sia terminato. A Gaza Hamas è sempre più in crisi, travolta da un lato dal crollo delle entrate (230 milioni di dollari al mese) conseguente alla distruzione dei tunnel illegali che la collegavano all'Egitto, fatti saltare in aria o allagati con liquami fognari dall'esercito del Cairo; dall'altro messa in ombra dal successo apparente di Abu Mazen, che in queste ore sta stringendo le mani sporche di sangue di vittime innocenti dei 26 terroristi palestinesi rilasciati da Gerusalemme, come seconda lacerante "prova di buona volontà" dopo quella di agosto....
(Il Borghesino, 30 ottobre 2013)
Sarzana ospita la fumettista israeliana Rutu Modan
SARZANA (SP) - Nell'ambito del progetto "La Città che Sarà" , la Libreria del Fumetto "Comic House" presenta al pubblico sarzanese Rutu Modan, autrice israeliana di graphic novel. Rutu Modan sarà a Sarzana mercoledì 30 ottobre e durante la mattina incontrerà gli studenti dei
bienni, nell'Auditorium del Liceo Parentucelli di Sarzana, nel pomeriggio, alle 17.30 presso la sala consiliare del Comune di Sarzana presenterà il volume "La Proprietà" (Rizzoli/ Lizard, 2013).
Rutu Modan è una donna piena di energia, esperienze e fantasia, che ha vissuto e vive sulla propria pelle uno dei conflitti più lunghi e travagliati del nostro mondo. Lei ne parla con forza e sensibilità, facendo in modo che un argomento tanto dibattuto sia leggibile con le sue illustrazioni. La graphic novel più recente di Rutu, "The Property" è stata pubblicata in Italia da Rizzoli Lizard con il titolo "La Proprietà". Protagonista è Regina Segal, anziana signora israeliana che porta la nipote Mica con sé a Varsavia per reclamare una proprietà di famiglia, perduta durante la Seconda Guerra Mondiale. Una volta arrivate, la nonna si trova a rivivere episodi del passato, mentre la nipote inizia a credere che le ragioni del viaggio possano
essere differenti da quelle che Regina le ha fatto credere.
Del libro, Rutu ha detto: "Per rendere le mie illustrazioni più reali, più credibili ho deciso di fare ricorso ad attori che, fotogramma dopo fotogramma, hanno recitato tutto il libro. Li ho selezionati, vestiti, diretti e fotografati personalmente. E visto che nei fumetti un po' di esagerazione funziona, ho chiesto loro di recitare come si faceva nei film muti".
Sarà un bell'incontro quello con Rutu Modan, sicuramente singolare. E sarà una bella esperienza anche l'incontro con i giovani delle scuole, per regalare loro un pizzico di internazionalità e uno spunto su cui riflettere.
BIOGRAFIA
Rutu Modan è nata in Israele ed ha trascorso parte dell'infanzia nelle residenze per medici dello Sheba Medical Center. Suo padre era il prof. Baruch Modan, oncologo e ricercatore di fama mondiale, che negli anni Ottanta fu anche direttore generale del Ministero della Sanità israeliano. All'età di 10 anni, la sua famiglia si è spostata a Tel Aviv.
Dopo essersi laureata con lode alla Bezalel Academy of Art and Design, a Gerusalemme, lavora
come giornalista e illustratrice per Maariv e Yedioth Aharonot, i più importanti quotidiani israeliani. Assieme con Yirmi Pinkus pubblica l'edizione ebraica del Mad Magazine. Nel 1995 i due fondano il gruppo di fumettisti israeliani Actus Tragicus, che verrà riconosciuto come uno dei gruppi di design più innovativi degli ultimi anni. Nel 1999 Modan ed altri artisti di Actus sono giunti finalisti nella categoria "Migliore antologia a fumetti dell'anno" al Premio Eisner, il più prestigioso riconoscimento del mondo del fumetto americano.
Rutu Modan ha ricevuto nel 1997 il premio come Miglior giovane artista dell'anno, e nel 1998 il premio per il Miglior albo illustrato per bambini, dal Dipartimento per la Giventù dell'Israeli Museum.
Nel 2005 è stata scelta come artista di rilievo dalla Israel Cultural Excellence Foundation. Attualmente, vive a Tel Aviv con il marito e due figli. Il suo primo libro, "Exit Wounds" (pubblicato in Italia con il titolo "Unknown/Sconosciuto" dall'etichetta Coconino Press), tratta il tema degli attentati suicidi, drammatica attualità della vita israeliana. Attraverso la storia del tassista Koby e della soldatessa Numi, alla ricerca del padre di lui (e amante di lei), che forse è rimasto vittima di un kamikaze, Rutu Modan tratteggia il ritratto intimo di un paese fragile, diviso tra due realtà che si affrontano e che si oppongono, ma dove alla fine l'ultimo valore positivo rimane sempre quello della speranza.
Nel 2007 Lev Grossman, firma del Time Mafazine, lo inserisce all'ottavo posto nella Top Ten delle Graphic Novels del 2007. Nel 2008, il libro riceve il prestigioso Eisner Award come miglior graphic novel alla Comic-Con di San Diego.
Nel 2007, sul sito web del New York Times, appaiono diverse storie brevi di Rutu, in una sorta di "visual blog". Queste sei storie sono tutte autobiografiche, e in alcune di esse compare la nonna paterna, cresciuta a Varsavia e trasferitasi in Israele dopo l'occupazione tedesca della Polonia. Queste ed altre storie brevi sono raccolte nel volume "Jamilti and Other Stories", che in Italia viene pubblicato con il titolo "Il Passato è Passato", sempre per Coconino Press.
Il Progetto "La città che sarà, incontri e confronti sul presente per progettare un futuro migliore", è un percorso creativo e partecipativo su cosa potrà diventare la citta di Sarzana.
Associazioni, scuole, cittadini e commericanti del territorio sono tutti chiamati a contribuire, secondo la propria sensibilità e le proprie aspirazioni, per affrontare e sviluppare temi di importanza strategica.
Argomento di questo mese è l'integrazione, il tema del mese di novembre sarà economia.
(Città della Spezia, 29 ottobre 2013)
Turismo: Israele, si punta ai voli low cost per attrarre i giovani
Con lapertura della tratta Easyjet Roma-Tel Aviv ci sono nuove possibilità
di Cristiana Missori
ROMA, 29 ott - Tel Aviv e Gerusalemme destinazioni low cost per chi viene dall'Italia? Organizzandosi per tempo e muovendosi in maniera intelligente possono diventarlo, in particolare per i giovani e per quanti intendano visitare Israele muovendosi da soli. Iniziando dal costo del trasporto aereo, che grazie alla tratta aperta poco più di un mese fa da Easyjet che collega due volte alla settimana - il martedì e il sabato - l'aeroporto di Roma Fiumicino a Tel Aviv, diventa più ragionevole. Un volo che sta facendo buoni numeri, commenta ad ANSAmed Frances Ouseley, direttore di EasyJet per l'Italia. ''A distanza di un mese dal primo volo, possiamo affermare di essere soddisfatti delle performance registrate dal collegamento. Grazie alle nostre tariffe - che partono da 43,80 euro a tratta - stiamo registrando load factor elevati (coefficiente di utilizzazione posti, ndr), che superano l'89%, con un grande apprezzamento sia da parte dei passeggeri italiani che di quelli israeliani''.
Un passo importante, dunque, per incrementare il flusso di visitatori dal Belpaese, che stando agli ultimi dati dell'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo in Italia, tra gennaio e settembre 2013 ha registrato 120.172 arrivi, facendo così della Penisola il quarto mercato di riferimento in Europa dopo Francia (229.860), Germania (183.590) e Regno Unito (160.034). La destinazione tiene bene come dimostrano le statistiche, fa notare il direttore, Tzvi Lotan, e ''la nostra speranza è di far crescere non soltanto l'afflusso di giovani, ma anche di catturare un pubblico curioso, colto, interessato a scoprire la destinazione per conto proprio''. E così le proposte per girare ''a meno'' Tel Aviv, città cosmopolita, dove in molti vorrebbero vivere e che ogni giorno cambia, si moltiplicano.
Ogni sabato alle 11.00, per esempio, dal n. 46 di Rotschild boulevard partono visite guidate gratuite, che permettono di scoprire gli edifici in stile Bauhaus, che con le sue forme geometriche e asimmetriche si diffuse negli anni'30 e che nel 2003 ha portato l'Unesco a inserire la ''città bianca'' (appellativo che fa appunto riferimento alla presenza di queste strutture) nella lista dei beni Patrimonio dell'Umanità. Ogni martedì alle 20.00, invece, è possibile seguire il tour a ''costo zero'' di Tel Aviv by night. Un modo per scoprire alcuni dei locali più divertenti della capitale, disseminati soprattutto tra le vie di Neve Tzedek, quartiere molto trendy in cui vivono diversi artisti e dove è possibile trovare boutique alla moda. Quanto a divertimenti notturni anche Jaffa non è da meno, con locali che spuntano come funghi sia nel cuore della città vecchia che in riva al mare, dove gli hangar del vecchio porto si sono trasformati in ristoranti e bar. Ogni mercoledì mattina, alle 9.30, dalla torre dell'Orologio, costruita in epoca ottomana, una visita permette di carpire l'essenza della città vecchia, con le sue mura, le viuzze, il mercato delle pulci e i rigattieri. Infine, se si vuole spendere un po' meno anche per i pernottamenti pare che una buona soluzione possa essere quella di prendere in affitto una casa a Jaffa, anziché dormire in hotel.
(ANSAmed, 29 ottobre 2013)
"Il denaro ebraico è l'ostacolo principale per la pace nel Medio Oriente"
L'ex ministro degli Esteri della Gran Bretagna Jack Straw ha definito il denaro ebraico come l'ostacolo principale sulla strada del processo pacifico del Medio Oriente, scrive il giornale ebraico Haaretz.
Straw che al momento è deputato del Parlamento britannico, ha dichiarato che le risorse finanziarie illimitate che si trovano a disposizione le lobby ebraiche negli USA, vengono usate per controllare la politica americana nel Medio Oriente.
Secondo i dati dell'edizione, questi pensieri Straw li ha espressi durante i dibattiti parlamentari. L'ex deputato della Knesset Einat Wilf ha messo in evidenza il fatto che Straw ha trascurato la possibilità di ricordare il controllo ebraico sui mass media.
(La Voce della Russia, 29 ottobre 2013)
Gli ebrei controllano il mondo con i soldi e il dominio dei mezzi di comunicazionie, si diceva ieri, ed era antisemitismo; oggi si dicono le stesse cose, ma non è antisemitismo. Gli ebrei fomentano la guerra, si diceva ieri, ed era antisemitismo; gli ebrei impediscono la pace, si dice oggi, ma non è antisemitismo. M.C.
Famiglie delle vittime dicono no al rilascio di detenuti palestinesi
Oltre duemila persone hanno protestato davanti ai cancelli del carcere israeliano di Ofer per protestare contro il rilascio da parte di Israele di altri 26 detenuti palestinesi nell'ambito dellaripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi.
La dimostrazione, organizzata dall'Associazione israeliana delle vittime del terrorismo Amagor e dalle comunità dei coloni nei territori palestinesi - affiancati da alcuni deputati del partito nazionalista 'Focolare Ebraico' - ha visto la partecipazione di moltissimi studenti delle scuole religiose ebraiche e di gruppi israeliani di destra come l'associazione studentesca 'Im Tirtzù.
La liberazione dei palestinesi è prevista per domani sera presso il carcere di Ofer: in seguito i detenuti saranno trasportati al palazzo presidenziale della Muqata per una cerimonia ufficiale presieduta dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen.
(euronews, 29 ottobre 2013)
Una follia il rilascio dei terroristi palestinesi
Non si capisce perché John Kerry che rappresenta l'America, che con i terroristi non tratta e tantomeno li rilascia, pretenda da Israele il rilascio di decine e decine di terroristi colpevoli di efferati omicidi e di azioni terroristiche eclatanti contro lo Stato di Israele.
Si dirà che è un segno di pace verso i palestinesi. Ma quale segno di pace? Di quale pace stiamo parlando? I palestinesi non la vogliono la pace con Israele, lo hanno dimostrato decine di volte. Perché allora fargli anche il favore di rilasciare i loro terroristi? Allora si dirà che serve ad Abu Mazen per ottenere un vantaggio politico nei confronti di Hamas. Ma quale vantaggio se proprio Abu Mazen sta lavorando per la "riconciliazione" con Hamas? ...
(Right Reporters, 29 ottobre 2013)
Vertice bilaterale Italia-Israele: delineati i settori prioritari
In attesa del vertice bilaterale tra Italia e Israele previsto a Torino il 2 Dicembre 2013, al MAE di Roma si e' svolto un incontro preparatorio tra i rappresentanti dei due paesi, al fine di identificare i punti di forza della collaborazione internazionale italo-israeliana.
L'ICE Tel Aviv, al fine di agevolare le imprese italiane che vogliono investire in Israele, ha quindi ritenuto opportuno divulgare un risoconto dell'incontro, sottolineando i settori maggiormente remunerativi per il business made in Italy.
ENERGIE RINNOVABILI. GAS - Il settore energetico e' considerato come prioritario negli interscambi economici tra Italia e Israele sopratutto tenendo conto delle recenti scoperte di nuovi immensi giacimenti di gas nelle acque territoriali israeliane. A breve, infatti, Israele potrebbe produrre il doppio dell'energia che consuma, e si trova ad affrontare il
problema di trasformare ed esportare il proprio gas in eccesso. Oggetto principale della collaborazione tra i due paesi potrebbero quindi essere la costruzione di pipeline, porti, impianti per la liquefazione e la rigassificazione. Tra gli accordi in divenire anche la possibilita' di utilizzare la Trans Adriatic Pipeline(TAP), anche se al momento ci sono particolari difficolta' logistiche. Sempre nell'ambito energetico, un altro settore di interesse per gli israeliani e' la cd. metanizzazione del parco veicoli del governo israeliano.
AEROSPAZIO - Nel comparto aerospaziale tra i due paesi c'e' un accordo di cooperazione scientifica ed industriale che corre lungo un doppio binario: uno accademico e l'altro industriale. L'accordo, firmato nel 2011, ha permesso all'Italia di diventare il principale partner di Israele nel settore aerospaziale dopo la NASA. La sfida e' quella di lanciare iniziative congiunte per poi trovare sbocco comune sul mercato USA. Degno di nota e' il recente contratto vinto dalla Aermacchi per la fornitura di 30 aeromobili da addestramento agli israeliani.
CYBER-SECURITY - In questo settore gli israeliani sono tra i leader mondiali. Tra le aziende italiane merita una menzione particolare la Selex, che si e' recentemente aggiudicata un contratto con la NATO (il più' grande sulla cybersecurity al di fuori degli USA) ed e' interessata a sviluppare soluzioni tecnologiche congiunte in questo settore.
INFRASTRUTTURE - Sotto questo profilo un buon posizionamento delle ditte italiane e' rappresentato dalla Pizzarotti, attiva in Israele da soli 4 anni ma con ottimi progetti in portafoglio. Con altre aziende del made in Italy l'unico spunto per una possibile collaborazione e' quello dato dalla sicurezza aerea, stradale e ferroviaria. L'Enac nel 2012 ha sottoscritto un accordo in tal senso.
SANITA'/BIOMEDICALE - Oltre al settore delle life science, di cui Israele e' tra i leader a livello mondiale, un comparto in fortissima espansione e' quello della Telemedicina dove ci sono moltissime possibilita' di collaborazione tra i due paesi. Questo ambito ha avuto negli ultimi anni un enorme impulso dovuto sopratutto al crescente numero di insediamenti in Cisgiordania.
EXPO 2015 - A livello trasversale si ricorda come l'Expo rappresenti un eccellente occasione per stringere alleanze con societa' israeliane attive nel settore dell'agricoltura innovativa, visto che il tema dominante dell'Expo di Milano sara' incentrato su questo settore.
(Tribuna Economica, 29 ottobre 2013)
«Verso lo Stato d'Israele»
L'Associazione Romana Amici d'Israele invita alla presentazione del Volume di Edda Fogarollo "Verso lo Stato d'Israele. Itinerari storici", con la partecipazione di Magdi Cristiano Allam.
Mercoledì 30 Ottobre - ore 17.00
Centro Ebraico Italiano Pitigliani,
Via Arco de' Tolomei, 1 - Roma
Ingresso Libero e Gratuito
Locandina
(Associazione Romana Amici d'Israele, 29 ottobre 2013)
Musica per la solidarietà
di Paola Pini
TRIESTE - Visitare le persone ammalate è un'importante mitzvah [precetto], com'è pure doveroso dare kavod [onore] agli anziani. Tamar Stock, direttrice della Pia Casa Gentilomo, prima di ricevere questo incarico, ha prestato da anni la sua opera al suo interno, attività che prosegue ancora oggi, organizzando con grande passione l'animazione, la presenza delle numerose persone, volontarie come lei, e i pomeriggi di musica live.
Nell'ambito di questi incontri periodici, ha deciso di invitare il Kol Ha-Tikvà ad esibirsi davanti agli ospiti della casa di riposo che la comunità ebraica cittadina gestisce ed il coro ha risposto con entusiasmo.
Sorto a Trieste nel 2009, grazie alla volontà del Mo Marco Podda, suo direttore artistico e di Antonio Tirri, primo presidente, ha come intento primario la valorizzazione della ricca tradizione musicale dell'ebraismo triestino, attraverso l'esecuzione di un repertorio variegato, trattandosi di brani liturgici, profani e popolari.
Gli anziani, i figli e i nipoti hanno potuto così ascoltare i brani eseguiti, tutti popolari israeliani e la lettura dei testi che Tania Troyan ha tradotto in italiano dall'ebraico con pazienza e attenzione, in modo da rispettare al meglio il senso di quei versi poetici.
Il concerto è stato talmente apprezzato dagli ospiti e da quanti, fra i familiari, hanno voluto essere presenti, che già il giorno dopo il coro ha ricevuto la proposta di ripetere l'iniziativa nel prossimo futuro.
In esperienze come questa non si può mai capire chi, tra spettatori ed esecutori, sia a dare e chi a ricevere di più. Sapere che, cantando, si è in grado di trasmettere delle emozioni e vedere gli sguardi attenti e partecipi di famiglie in ascolto dà un'ulteriore dimostrazione di quanto la musica possa unire, al di là del tempo e dello spazio: nonni, nipoti, i coristi fra loro, assieme al Maestro e al pianista accompagnatore. Si esce da esperienze simili più ricchi, pronti ad affrontare le difficoltà della vita con animo più sereno e con lo sguardo più fiducioso verso il futuro.
(Notiziario Ucei, 28 ottobre 2013)
Israele, la terra promessa dell'Hi tech. Le start-up nascono nella Silicon Wadi
Oltre cinquemila aziende dell'innovazione, in cui lavorano 237mila addetti in una nazione di meno di otto milioni di abitanti: la tecnologia produce il 60% dell'export e ora è partito un nuovo boom grazie ad un ulteriore afflusso di capitali.
di Filippo Santelli
TEL AVIV - «Perché mai avremmo bisogno di dialogare con la Silicon Valley?» Omer Shai fa un passo di lato e indica il panorama. La terrazza di Wix, società di cui è responsabile marketing, domina Tel Aviv. I ristoranti del porto subito sotto, i grattacieli in costruzione, la lunga spiaggia affollata anche a ottobre. Quell'atteggiamento tipico, tra audacia e arroganza, qui lo chiamano chutzpah. E Wix, piattaforma che permette a chiunque di creare con facilità il proprio sito web, lo sta traducendo in numeri. A quattro anni dal lancio gli utenti sono 39 milioni, il fatturato, arrivato 60 milioni di dollari, è in crescita del 50% sull'anno scorso. Pochi mesi fa ha rifiutato un'offerta d'acquisto da 200 milioni. Oggi, mentre prepara la quotazione in borsa, vale più del doppio. Ecco uno dei nuovi campioni della Silicon Wadi. L'altra valle del silicio, quella che si estende da Haifa, al confine con il Libano, giù fino a Tel Aviv. «Israele ha trasformato le difficoltà in risorse. Sotto attacco, piccolo, isolato, senza ricchezze naturali, ha dovuto essere creativo, fare molto con poco, pensare globale ». Si innova per sopravvivenza, sintetizzano Dan Senor e Saul Singer nel loro libro manifesto, «Startup nation». Doppio senso per spiegare come una «nazione start-up», nata in fondo da non molto, sia diventata «nazione delle start-up»: oltre 5mila aziende hi-tech che impiegano 237mila persone e generano il 60% dell'export.
Un'industria esplosa negli anni '90, quando un fiume di capitali venne a dare prospettiva di mercato alle ricerche dei laboratori universitari e dell'intelligence militare. Perché in Israele i tre anni di leva obbligatoria sono un'altra scuola, di responsabilità e di tecnologia. «La mia idea nasce durante il servizio in Marina», racconta Ami Daniel, 29 anni, fondatore di Windward. Elaborando i dati dei satelliti commerciali il software traccia la rotta di migliaia di navi, permettendo alle autorità di scovare contrabbando o pesca illegale. «Lo vendiamo ai governi - continua - da quest'anno, il terzo, saremo in attivo». Negli uffici, affacciati sulla vecchia sinagoga di Tel Aviv, i dodici dipendenti raddoppieranno presto. Vengono da tutto il Paese per lavorare in Sderot Rothschild, il viale alberato simbolo del Bauhaus, con edifici in cemento dalla razionalità a tratti brutale. Ma soprattutto strada delle start-up, nella città delle start-up. In tutta Italia sono 1300 quelle registrate: a Tel Aviv, un milione e 300mila abitanti (in tutto Israele gli abitanti sono meno di otto milioni), ce ne sono mille. In Israele un terzo dei cittadini ha tra i 18 e i 35 anni e molti dei ragazzi seduti ai tavolini dei bar, aperti tutta la notte, sognano di essere imprenditori. Il rischio di fallire è accettato come parte del gioco. Un ecosistema secondo solo alla Silicon Valley, certificano gli analisti di Startup Genome. Non sorprende, dopo aver sentito il presidente Shimon Peres, 90 anni, parlare con fervore di start-up: «Imparo cose nuove», scherza dal palco del Brain Tech. È lui l'ispiratore di questo convegno, che vuole accreditare il Paese come un centro d'avanguardia per le tecnologie applicate al cervello: «La politica può creare le condizioni, ma sono scienziati e industriali a guidare», dice. I confini tra pubblico e privato in questo stato-comunità, sono sottili, la sintonia più naturale: «Gerusalemme è molto vicina a Tel Aviv», spiega con un'immagine il chief scientist Avi Hasson. Il suo ufficio gestisce la spesa pubblica in ricerca. «Un modello senza colore politico: interveniamo dove il mercato non funziona ». Per esempio all'inizio del ciclo di vita di una start-up, quando il rischio fallimento è alto. Alle giovani imprese selezionate dagli incubatori privati viene garantito fino all'85% dei finanziamenti. Ma solo nei primi due anni di vita e senza entrare nel capitale: «Solo se poi fanno profitti ripagano il prestito». Israele dedica alla ricerca il 4,4% del Pil, il massimo tra i Paesi Ocse. Eccellenze come il Technion, il politecnico di Haifa, hanno uffici incaricati di accompagnare i brevetti verso uno sbocco industriale. Oltre l'80% degli investimenti viene però da privati. Molti colossi, non solo americani, hanno aperto centri di sviluppo in riva al Mediterraneo, da Intel a Ibm a Microsoft. Pochi giorni fa Facebook ha acquistato per 120 milioni di dollari Onavo, startup di analisi dei dati per dispositivi mobili: sarà il suo primo avamposto nel Paese. Ma è sulla disponibilità di capitali che la relazione speciale tra Israele e Stati Uniti ha l'impatto maggiore. Nel terzo trimestre del 2013 le aziende hi-tech locali hanno raccolto 660 milioni di dollari, il massimo da un decennio. Tre quarti arrivano dall'estero, soprattutto dai fondi venture capital a stelle e strisce, come Sequoia e Index. Eppure, avvertono gli esperti di Startup Genome, l'espansione minaccia di rallentare: «Tel Aviv produce start-up ad alta tecnologia che vengono vendute giovani, ma di rado riescono a crescere e generare utili». Qui si pianta il seme, coltivatori esperti lo fanno fruttare su mercati più grandi, all'estero: alla lunga il modello rischia di risucchiare via talenti e profitti. Per questo l'acquisizione del navigatore Waze da parte di Google è stata salutata come una svolta: il miliardo di dollari pagato è cifra da grande azienda. E così i valori di Wix o di Conduit, società che sviluppa barre di ricerca, stimata oltre il miliardo e mezzo. Aiutare le start-up israeliane a creare modelli di business più solidi è anche la missione di Google Campus, uno spazio aperto alle giovani imprese che la società californiana ha inaugurato nel centro di ricerca di Tel Aviv. «In otto mesi ne abbiamo formate 85», dice il direttore Yossi Matias, capo del team che ha inventato il completamento automatico della ricerca. «L'obiettivo per noi non è acquisirle ma far crescere l'ecosistema, restituire qualcosa alla comunità ». Per un cambio di passo però neppure i migliori informatici bastano. Se qualcosa manca, tra gli startupper di Tel Aviv, è la varietà: poche donne, nessun cittadino arabo, quasi tutti ingegneri. Avere un visto lavorativo è difficile e l'impennata degli affitti non aiuta. Al Dld, conferenza digitale organizzata dal guru degli investitori Yossi Vardi, la priorità è chiara: «Attrarre talenti». Sono state invitate 13 startup straniere, tra cui l'italiana Atooma, per incontrare gli investitori locali e assaggiare la vita in città. Mentre il municipio, con il progetto Tel Aviv Global, cerca di renderla ancora più magnetica: wi-fi libero, enfasi su bar e locali notturni, la vecchia biblioteca trasformata in spazio di coworking, con vista sulla città vecchia di Jaffa. Si discute anche di un nuovo più flessibile regime di visti, riservato a giovani imprenditori. «Cosa dobbiamo imparare? Il senso di una missione collettiva », commenta il fondatore di Tiscali, Renato Soru, tra i relatori del Dld. Seduto a un bar con Yossi Vardi disegna su un tovagliolo il profilo dell'Italia, mostrandogli con un pallino la posizione di Cagliari. Oggi Tel Aviv è una capitale dell'innovazione. La sfida è rimanerlo. Le start-up ospitate nella Library, una vecchia biblioteca che il comune di Tel Aviv ha trasformato in spazio di "coworking" per giovani imprenditori.
(la Repubblica, 28 ottobre 2013)
Lo sport europeo sotto il nazismo. In mostra al Museo diffuso della Resistenza di Torino
"Lo Sport europeo sotto il nazismo. Dai Giochi olimpici di Berlino ai Giochi olimpici di Londra (1936-1948)" è il titolo della mostra che s'inaugura mercoledì 6 novembre alle 11 al Museo diffuso della Resistenza di corso Valdocco 4/A, a Torino.
La mostra - realizzata dal Mémorial de la Shoah di Parigi e promossa dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte e dagli Assessorati regionali alla Cultura e all'Istruzione con la collaborazione del Museo Regionale di Scienze Naturali e del Museo diffuso della Resistenza, il patrocinio della Comunità Ebraica di Torino e il coordinamento organizzativo dell'Associazione culturale RectoVerso - racconta, attraverso filmati, fotografie, oggetti e documenti d'archivio in parte inediti diversi aspetti della storia dello sport nell'Europa degli anni Trenta e Quaranta. Ne ricostruisce il contesto storico-politico, ripercorre la biografia di una ventina di personaggi legati allo sport la cui carriera fu sconvolta dall'ascesa del nazifascismo, tra cui gli allenatori dell'Alessandria e del Novara Árpàd Weisz e del Torino Ernest Erbstein e mette in evidenza i rari esempi di coraggio, disobbedienza civile e resistenza di chi, come il campione di ciclismo Gino Bartali e l'alpinista Gino Soldà, si prodigarono per salvare centinaia di perseguitati a costo della propria vita.
Ideata sotto la direzione scientifica dello storico e ricercatore Patrick Clastres del Centre d'historie di Sciences-Po di Parigi e coordinata da Caroline François e Hubert Stouk per il Memoriale della Shoah, la mostra allestita a Torino integra il percorso espositivo originale con nuovi documenti e una ricca sezione tematica dedicata allo sport sotto il regime fascista, curata da Laura Fontana, responsabile per l'Italia del Mémorial de la Shoah, e Paul Dietschy, docente di storia contemporanea dell'Università di Franche-Comté, in collaborazione con gli storici e studiosi dello sport sotto l'Italia fascista Daniele Marchesini, Gianluca Gabrielli, Patrizia Ferrara e Mauro Valeri.
Sempre mercoledì 6 novembre, il Museo diffuso della Resistenza ospita alle 14 il seminario "Lo sport sotto il fascismo e il nazismo. Aggiornamenti e spunti didattici", organizzato dall'Ufficio scolastico regionale e dal Mémorial de la Shoah e rivolto ai docenti che intendono portare i propri allievi a visitare la mostra.
Giovedì 7 novembre, alle 18.30, nella sala proiezioni del Museo, il professor Dietschy tiene una conferenza su "Il calcio a Torino sotto il fascismo" (ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili).
La mostra è visitabile fino all'8 dicembre dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 e il giovedì dalle 14 alle 22. Ingresso 5 euro (ridotto 3).
Per le visite programmate di insegnanti e studenti l'ingresso è gratuito.
Info: tel. 011/4420780.
Invito 1
Invito 2
(Museo Diffuso della Resistenza di Torino, ottobre 2013)
Australia - Giovani musulmani attaccano una famiglia ebrea
SIDNEY - Sabato sera una famiglia ebrea composta di cinque persone, quattro uomini ed una donna è stata attaccata mentre tornava a casa dopo la tradizionale cena dello Shabbat. Ad attaccarli un gruppo di giovani musulmani urlavano slogan antisemiti.
Le vittime sono state gravemente ferite, hanno riportato numerose fratture, commozioni cerebrali e ferite da arma da taglio. Sono stati tutti ricoverati in ospedale, la polizia ha arrestato tre dei responsabili dell'attacco, un quarto è riuscito a fuggire.
Un membro del personale ospedaliero nel quale sono ricoverate le vittime ha dichiarato: "Siamo rimasti shoccati. Non vi aspettereste che qualcosa di simile possa accadere a Sidney. Forse nella Germania degli anni '30, ma non qui".
(La Voce della Russia, 28 ottobre 2013)
Collaborazione Italia-Israele nello studio di sinergie fra imprenditoria e creatività
Nella foto a destra, la premiazione da parte del presidente israeliano Shimon Peres, con un assegno da un milione di dollari, di John Donoghue (al centro) professore di Neuroscienze, e Arto Murmikko, professore di Ingegneria alla Brown University di Providence: sono i vincitori del concorso-esposizione "Brain Tech" con il loro progetto BrainGate, un trasmettitore cerebrale che permette a persone paralizzate di comandare oggetti. Un esempio della sensibilità dimostrata da Israele nei confronti dell'alta tecnologia, che ora anche gli italiani cercano di valorizzare. «Siamo complementari», dice Lorenzo Ortona, consigliere economico dell'Ambasciata di Tel Aviv. «Israele ha innovazione che cerca di collocare sul mercato, l'Italia imprese importanti con una presenza globale che faticano a investire in ricerca». Un recente accordo di cooperazione industriale e scientifica mobilita circa 3 milioni di euro ogni anno, finanziando programmi di ricerca congiunti tra atenei come quello sull'aerospazio del Politecnico di Torino e del Technion di Haifa, oppure accordi fra aziende di tutti i settori, dall'agricoltura all'industria, che coinvolgano società dei due Paesi. Nel 2014 sarà creato un comitato tecnico bilaterale per le startup. L'idea è portare a Tel Aviv i giovani imprenditori italiani per formarli in un ecosistema avanzato, e lanciare in Italia le start-up israeliane perché propongano le loro tecnologie alle nostre industrie. Dice Maurizio Rossi dell'incubatore
(la Repubblica, 28 ottobre 2013)
Erdogan 'regala' dieci spie israeliane all'Iran
di Fiamma Nirenstein
I servizi turchi probabilmente hanno approfittato della antica, consolidata collaborazione con il Mossad per tendergli una trappola, e consegnare una rete intera di spie israeliane all'Iran. È questa la triste verità della spy story più sporca dell'anno, una vendita impensabile solo qualche anno fa. La storia dice chiaro due cose: la prima è che Erdogan è incontrollabile, alla ricerca di nuove alleanze, mosse egemoniche, primati islamisti; la seconda, che Obama non sa valutare chi sono i suoi alleati e comunque ha perso la presa. Ne deriva un terzo problema: la Turchia è nella Nato, ovvero è un nostro alleato militare, e invece conduce una sua guerra privata e sceglie i suoi amici fra i peggiori.
La storia l'ha rivelata qualche giorno fa sul Washington Post David Ignatius: proprio lui a Davos, nel 2009, presiedeva il dibattito fra Tayyp Erdogan e Shimon Peres quando Erdogan inaugurò la campagna di odio contro Israele dando di assassino al vecchio Premio Nobel per la Pace. Il dibattito fu rovinato, ma ora Ignatius ha restituito pan per focaccia. Ha scoperto che il capo dei servizi turco Hakan Fidan, amico dell'Iran sciita (la Turchia è sunnita) e, dalla parte sunnita, sostenitore delle forze più estreme (fino ad Al Qaida) anti Assad, ha consegnato agli iraniani un gruppo di dieci uomini del Mossad che agivano su territorio della Repubblica islamica. Una volta catturate, le spie probabilmente hanno subito la condanna a morte: nei mesi scorsi le esecuzioni si sono moltiplicate. Perché la vicenda è stata rivelata adesso? E perché è stato rotto il codice non scritto per cui la politica non vale e fra servizi segreti non ci si tradisce l'un l'altro? Qui poi, i rapporti erano sigillati da decenni di collaborazione: fu David Ben Gurion che firmò con il presidente Adnan Menderes nel 1958 un trattato di amicizia fra intelligence, un pilastro della stabilità mediorentale.
Forse le fonti di Ignatius, se americane, hanno ritenuto di mandare a dire a Israele che stia un po' attento,e anche comprenda che l'Iran non è isolato, specie in questa fase in cui Obama parla con il nuovo presidente Rouhani. Per consolazione gli Usa hanno cancellato la vendita di 10 droni alla Turchia. Messaggio a Erdogan: hai esagerato.
Ma il perché Erdogan abbia compiuto un gesto così estremo risiede dentro la sua politica, ormai poco credibile da una parte alla ricerca del consenso europeo, ma dall'altra della leadership panislamica. L'Iran è certo compiaciuto, ma ora nessuno si fiderà mai più dell'intelligence turca, che era rinomata. Inoltre l'odio antisraeliano di Erdogan, la sua bandiera durante le rivoluzioni arabe in cui sosteneva la sua Fratellanza Musulmana, è giunto al ridicolo: ha sostenuto che Morsi è stato rovesciato da una congiura israeliana, ha bloccato il riavvicinamento promosso da Obama fra lui e Netanyahu, le perfidie su Israele si sono accompagnate a parole di disprezzo verso tutto l'Occidente, all'invito a Hamas, a minacce a Cipro, a incursioni nella vicenda dell'uranio arricchito dell'Iran.. Il ruolo regionale si è appannato, mentre col caso Ergenekon generali, avvocati, giornalisti sono stati incarcerati e si affermavano leggi che proibiscono di «offendere l'islam» e bere alcool. Erdogan ha represso decine di migliaia di dimostranti. Era sicuro di convincere Obama a una spedizione punitiva contro Assad: non è accaduto e i suoi confini si riempiono di profughi siriani. Così, cerca di recuperare con un favore al regime iraniano, il patron di Assad che invece combatte in Siria. Un'ideona.
(il Giornale, 28 ottobre 2013)
Oltremare - La terra trema
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
Ottavo: Tzàbar si diventa
Nono: tutti in prima linea
Decimo: un castello sulla sabbia
Sei quel che mangi
Avventure templari
Il tempo a Tel Aviv
Il centro del mondo
Kaveret, significa alveare ma è una band
Shabbat & The City
Tempo di Festival
Rosh haShanah e i venti di guerra
Tashlich
Yom Kippur su due o più ruote
Benedetto autunno
Politiche del guardaroba
Suoni italiani
Autunno
Niente applausi per Bethlehem
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di Daniela Fubini, Tel Aviv
Sui muri del mio appartamento telavivese c'è una sottile crepa, come un'onda che percorre tutto l'appartamento da sud a nord. Al momento di prendere in affitto la casa, chiesi ai vicini se è cosa di cui preoccuparsi, e la risposta fu che di quelle crepe ce ne sono ad ogni piano di ogni palazzo di Tel Aviv costruito negli anni Cinquanta e Sessanta, e sono ancora tutti in piedi. I vicini non avevano interessi particolari che io affittassi o meno. E se va bene a loro che son qui da trent'anni, andrà bene anche a me, e speruma bìn, come si dice a Torino.
Negli anni poi, la crepa non si è mossa di un millimetro. Ultimamente però, la guardo con maggiore attenzione. Lei non è migrata e non si è allargata, ma a Tiberiade (135 km da Tel Aviv) c'è un terremoto - leggero ma sensibile - un giorno sì e uno no, nelle ultime settimane. Al telegiornale hanno fatto il paragone con lo sciame sismico dell'Emilia del 2012 e si può solo sperare che esagerino un po'. Però per non essere a posteriori nel torto, Netanyahu ha fatto partire le esercitazioni in caso di terremoti più pericolosi: al tiggì si vedono bimbi che al via della maestra si buttano sotto i banchi, e le pubblicità progresso spiegano amichevolmente che se siamo in ufficio o a casa e sentiamo che tutto si muove sotto e intorno a noi, è probabile che sia un terremoto (!), e dobbiamo andare in fretta nella stanza "mamad" antimissile oppure uscire all'aperto. Nessuno che dica di mettersi sotto gli architrave, forse perché qui le case paiono fatte di lego bianco, e anche gli architrave non sono 'sta gran sicurezza.
Buffo poi, come, abituati a tutt'altro genere di emergenze nazionali, l'ipotesi terremoto venga vissuta con un fatalismo disarmante. Eh, siamo sulla faglia siro-africana da un tremila anni, che ci vuoi fare..
(Notiziario Ucei, 28 ottobre 2013)
Due razzi lanciati da Gaza. Israele risponde con un raid
Né danni né feriti. Un razzo intercettato da 'Iron Dome'.
TEL AVIV, 28 ott - L'aviazione israeliana ha attaccato obiettivi a Gaza, dopo il lancio di due razzi stamattina dalla Striscia verso la citta' di Ashkelon. Lo riferiscono fonti locali.
Un portavoce militare a Tel Aviv ha precisato che l'aviazione israeliana ha "colpito con precisione" due postazioni per il lancio di razzi da dove era partito l'attacco contro Ashkelon.
Fonti palestinesi precisano che la postazione colpita si trova nelle vicinanze del rione di Sheikh Radwan (Gaza City). Secondo le fonti, due persone che si trovavano nelle immediate vicinanze sono rimaste ferite.
Secondo i media locali uno dei due razzi lanciati stamattina dalla Striscia sarebbe stato intercettato dal sistema antimissili "Iron dome". Non si segnalano né danni né feriti.
(ANSAmed, 28 ottobre 2013)
Missili su Israele: ad Hamas serve un palcoscenico internazionale
A un mese dall'ultimo attacco terroristico contro Israele tornano a cadere missili nel sud dello Stato Ebraico e in particolare nella zona di Ashkelon. Due i missili lanciati dalla Striscia di Gaza presumibilmente da Hamas, uno intercettato dal sistema Iron Dome, l'altra caduto in una zona disabitata....
(Right Reporters, 28 ottobre 2013)
Il roadshow Eden Made Israele fa tappa a Milano
Eden Viaggi ha incontrato a Milano gli agenti di viaggio, in occasione del roadshow Eden Made dedicato a Israele. L'evento ha visto la partecipazione del direttore marketing dell'ufficio nazionale israeliano del turismo in Italia, Pietro de Arena. «Con Eden vogliamo proporre un nuovo Israele, un Israele inaspettato, al di là degli stereotipi classici. Un Israele di cui ci si innamora per sempre». De Arena ha sottolineato quanto Israele sia una terra di contrasti, in cui però le differenze si fondono armonicamente, regalando al visitatore un'esperienza unica. «I target sono tanti: gli amanti del sole e del mare, gli appassionati di cultura, i viaggiatori che vogliono immergersi nella spiritualità e quelli che invece vogliono godersi una vacanza leisure all'insegna del divertimento. E perché no, i viaggiatori che cercano tutte queste esperienze in un unico luogo».
(Travel Quotidiano, 28 ottobre 2013)
Quella losca amicizia tra Mosca e Teheran
L' Iran dona Uav, la Russia accetta
di Franco Iacch
Le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno presentato in Russia un aereo spia senza pilota che - secondo Teheran - deriva da un processo di reingegnerizzazione di un drone statunitense catturato lo scorso anno.
Il drone, costruito dalla Irgc - ha detto il generale di brigata aerea Farzad Esmayeeli - è un simbolo delle capacità tecniche iraniane. Abbiamo deciso di donarlo all'esercito russo.
Secondo la stampa iraniana, lo scorso mese di dicembre Teheran avrebbe catturato almeno tre velivoli Usa senza pilota, ScanEagle.
Il processo di reingegnerizzazione sarebbe avvenuto proprio dagli Uav catturati.
Ma qual è la verità?
L'esercito americano ha sempre negato di aver perso Uav sull'Iran. Tuttavia, i media canadesi hanno riferito lo scorso mese agosto, citando documenti ufficiali, che la Marina ha perso proprio uno ScanEagle nel Mar Arabico nel 2012. Sempre dalla Marina canadese però, hanno smentito categoricamente che il drone perso fosse stato recuperato dall'Iran.
Lo ScanEagle è un Uav a basso costo, prodotto da una società controllata dalla Boeing. Pesa venti chilogrammi, ha un'apertura alare di 3,1 metri e può restare in volo per 22 ore ed otto minuti.
Sempre l'Iran sostiene di aver catturato nel 2011 il ben più grande e sofisticato Rq - 170 Sentinel (nella foto), Uav utilizzato dalla Central Intelligence Agency.
Lo scorso mese di settembre, Teheran ha infine affermato di aver completato il processo di reingegnerizzazione dallo Rq -170, non comunicando la vendita a terzi della tecnologia acquisita.
Quanto ci sia di vero nelle esternazioni iraniane, forse non lo sapremo mai, ma gli Stati Uniti non sono esenti da colpe. Proprio l'Iran infatti, ha una notevole esperienza nel campo della reingegnerizzazione, gran parte della quale fornita proprio dagli Usa nel periodo in cui i rapporti tra Teheran e Washington erano ottimi.
Da allora, l'Iran è stato in grado di acquistare pezzi di ricambio per gran parte del suo hardware americano e ha dovuto ricorrere alla reingegnerizzazione per tenerlo in funzione.
(teleradiosciacca.it, 27 ottobre 2013)
Il Manchester United si scusa per la newsletter con richiami nazisti
Il club calcistico del "Manchester United" si è scusato per il fatto che nella mail ufficiale inviata ai tifosi il simbolo della squadra fosse stilizzato in modo tale da ricordare la svastica. I tifosi hanno ricevuto nella propria posta una mail intitolata "New Order" (Nuovo Ordine) sopra le foto di cinque giovani giocatori della squadra. L'espressione "Nuovo Ordine" viene associata con la Germania nazista di Hitler.
Dopo le proteste dei tifosi nei social network il direttore del servizio stampa del Manchester United David Sternberg si è scusato pubblicamente ed ha dichiarato che il club ha dato inizio alle indagini sull'incidente.
(La Voce della Russia, 27 ottobre 2013)
Netanyahu: "L'Iran puo' arricchire uranio in poche settimane"
GERUSALEMME - Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha avvertito che l'Iran e' in grado "nel giro di poche settimane" di arricchire l'uranio al 90%, il livello necessario per una bomba atomica. "L'Iran e' pronto a rinunciare all'arricchimento dell'uranio al 20% e quindi il dibattito su questo tema e' irrilevante", ha osservato Netanyahu nel corso della riunione settimanale del suo governo, "cio' che conta sono i progressi tecnologici che permettono all'Iran di passare dal 3,5% al 90% nel giro di poche settimane". Per questo, ha aggiunto il premier, "va accresciuta la pressione sull'Iran che continua nell'arricchimento mentre negozia" sul suo programma nucleare.
Il programma iraniano di arricchimento dell'uranio, che ufficialmente non supera un livello del 20% dell'isotopo 235, e' al cuore delle preoccupazioni occidentali e dell'Aiea e sara' affrontato nella nuova tornata negoziale in programma a Ginevra il 7 e l'8 novembre.
(AGI, 27 ottobre 2013)
Tensione a Nazaret: la Corte esamina l'elezione del sindaco
GERUSALEMME, 27 ott - C'e' tensione a Nazaret, principale citta' araba di Israele, in seguito alle elezioni municipali del 22 ottobre conclusesi sul filo di lana con il sindaco uscente, Ramez Jeraisy, sconfitto per soli 21 voti dal suo rivale principale Ali Salem. Salem ha rivestito a lungo la carica di vice-sindaco e solo di recente ha costituito una lista indipendente. Jeraisy ha chiesto ora un nuovo spoglio di alcune urne, nella convinzione che durante lo scrutinio siano state compiute irregolarita'.
(ANSA, 27 ottobre 2013)
"La cultura e l'istruzione antidoto ai veleni dell'odio"
di Renzo Gattegna,
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Si fa più intenso ed entra nel vivo, come è bene che sia, il dibattito su quali siano gli strumenti più efficaci e compatibili con un sistema libero e democratico come il nostro, per combattere il razzismo, il negazionismo, la discriminazione e le azioni di propaganda di chi si richiama alle ideologie dell'odio e del genocidio.
Ne discutono gli storici e i giuristi italiani, ne discute il mondo politico, ne discute il Parlamento, chiamato ad adeguare il nostro sistema legislativo alle direttive europee che hanno trovato applicazione già in altri stati.
Gli ebrei italiani devono vedere con favore ogni contributo di pensiero proveniente da studiosi di valore e devono respingere con decisione le tesi e le azioni di chi vorrebbe approfittare del dibattito per banalizzare e svalutare la Memoria.
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha più volte ribadito che la Memoria si tutela al meglio, ma soprattutto si difende nel modo migliore privilegiando le armi della cultura e dell'istruzione, impegni perenni e prioritari che nessuno potrà mai porre in secondo piano anche perché le leggi stesse devono sempre trovare una solida base nella coscienza collettiva.
E' un impegno che deve coinvolgere tutti i cittadini, perché si tratta di difendere un patrimonio che appartiene non solo agli ebrei, ma all'intera società.
Per questo intendo coinvolgere le strutture dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel rivolgere un pressante appello e invitare a un confronto e a una collaborazione diverse categorie che in un modo o nell'altro si trovano in prima linea nella diffusione di cultura e di informazione nella nostra società. Certo gli educatori e i docenti italiani, certo gli intellettuali, certo i giornalisti. Ma anche coloro, come i bibliotecari e gli addetti alla vendita di libri e di giornali, che a contatto con la popolazione svolgono attività di diffusione e che inconsapevolmente si trovano spesso a essere strumento di chi pubblica appelli all'odio e all'ignoranza. Sono sicuro di trovare comprensione nelle loro associazioni di categoria, fra i loro amministratori, fra chi porta la responsabilità di piccole e grandi aziende che diffondono cultura e informazione.
Ogni cittadino che ha cara la libertà e la dignità della società in cui vive deve fare la propria parte. Deve domandarsi che cosa vogliono davvero i negazionisti. Come possono realisticamente sperare di offuscare le coscienze della gente, di mistificare la storia fino al punto di insinuare dubbi su realtà storiche inconfutabili. Certo la loro attività potrebbe anche apparire un vano e oscuro esercizio di follia, ma sbaglierebbe chi pensasse che nel loro mondo si muovano soltanto menti esaltate, dedite a spandere i loro deliri. Operano in mezzo a loro anche individui bene accorti, che sperano di ridurre l'ebraismo a una realtà perennemente sulla difensiva, un mondo disperatamente impegnato solo sul passato, mentre al contrario il nostro impegno è, e deve essere, vivere la vita, e nella vita i valori ebraici, essere padroni del nostro tempo e delle nostre energie, non lasciarci condizionare l'agenda da chi ha la vocazione a seminare odio.
Questo è forse il bene più importante da difendere contro chi vorrebbe offendere la Memoria. Perché la Memoria, nella dimensione ebraica, è da sempre la sorgente della vita.
(Notiziario Ucei, 27 ottobre 2013)
"Negare la Shoah è da infami. Ma non è reato", aveva scritto qualche giorno fa Fiamma Nirenstein, e il nostro commento era stato: Si spera che questa posizione sia largamente condivisa all'interno della comunità ebraica, perché su argomenti come questo con le leggi punitive non si ottiene niente. O forse meno che niente. La posizione espressa da Renzo Gattegna fa capire che la comunità ebraica nel suo insieme ha assunto questa posizione, ed è un bene. Come è un bene che la proposta di legge sul negazionsimo sia caduta. M.C.
L'ecosistema israeliano delle startup
di Gabriele Barbati
Il garage, simbolo per eccellenza delle intuizioni hi-tech, si è allargato ormai all'intera città. Per far sbocciare i talenti, da un lato, e attirare aziende, dall'altro, serve ormai un po' di tutto: da università a infrastrutture di avanguardia, eventi, mostre, sport e turisti. Insomma, una formula di innovazione di cui creativi, investitori, manager hanno discusso per tre giorni al Cities Summit e al Dld Festival di Tel Aviv.
«Prenda questo posto, qualche anno fa era abbandonato e ora è un piattaforma di eventi, negozi, ristoranti», spiega nella vecchia stazione di Tel Aviv-Giaffa, sede del festival, Hila Oren, amministratore delegato di Tel Aviv Global and Tourism, la società che si occupa del restyling della città per conto del Comune.
«Siamo partiti nel 2009 e abbiamo introdotto nuove regole, wi-fi pubblico e spazi di lavoro e di networking praticamente gratis, come la biblioteca municipale. Il prossimo passo sarà attrarre almeno 10mila studenti internazionali e costruire una moderna rete di trasporti».
Tel Aviv, al pari di Amsterdam, Berlino, Londra, New York e di diverse città asiatiche, punta a offrire un ecosistema urbano che dia e riceva stimoli. Un ecosistema costruito però intorno al proprio Dna, ossia all'elemento di fondo che rende ogni luogo unico. Per la costa mediterranea di Israele si tratta dello spirito pionieristico della popolazione, costituita in gran parte da immigrati, unito alla consapevolezza che i circa otto milioni di abitanti del Paese non bastano a fare un mercato.
I risultati di Tel Aviv, per quanto priva del glamour di una vera metropoli, sono evidenti: 700 startup, centinaia di aziende di alta tecnologia, centri di ricerca e sviluppo di giganti come eBay, Google, Ibm, Intel, Microsoft. Tanto che Tel Aviv figura al secondo posto nella classifica dei migliori ecosistemi dell'innovazione, pubblicata lo scorso anno nel rapporto Startup Genome, dietro solo alla mecca digitale della Silicon Valley.
«La formula per una città vincente è un mix di talento, di grandi aziende che facciano da traino e di politiche istituzionali, come agevolazioni e detassazione per le imprese» sostiene Bjoern Lasse Herrmann, fondatore di Compass.co, la società che produce il rapporto. «In generale, va tenuto presente il fatto che questi ecosistemi sono legati da un flusso continuo di giovani talentuosi e di manager di successo che si muovono da un luogo all'altro».
A parte le differenze locali, nell'equazione dell'innovazione il fattore pubblico sembra determinante. Accade ad esempio in Cile o in Corea del Sud o, appunto, in Israele. «Quello dell'alta tecnologia è un settore strategico, qui costituisce il 15% delle esportazioni. Per questo abbiamo una trentina di programmi di supporto in quasi tutti i settori con un budget annuale di 450 milioni di dollari a cui si aggiungono capitali privati» spiega Avi Hasson, direttore del dipartimento innovazione e ricerca del ministero dell'Economia israeliano.
«Parte di questi investimenti va a incubatori di startup di cui finanziamo nella fase iniziale l'85% delle spese. Come ritorno, oltre all'effetto complessivo di spill over, ci riserviamo un 3% di royalty, ma solo in caso di successo della tecnologia finanziata e comunque non oltre il ripiegamento del prestito».
E in Italia? A parte alcune buone iniziative a livello di regioni, università, o privato, solo pacche sulle spalle. «Due anni fa mi venne l'idea di un'app per imparare le lingue che recuperasse da internet contenuti adeguati al livello di conoscenza dello studente. Mi servivano 20mila euro per iniziare, ma in Italia non li trovavo» racconta Claudio Santori, marchigiano, 35 anni. «Ho vinto un concorso in Lituania, dove mi ero trasferito, poi un altro e infine è arrivato il primo investitore con 100mila euro. Intanto il Governo lituano ci ha pagato un corso di formazione, un ufficio e i viaggi per tutte queste conferenze». BliuBliu conta ora 30mila utenti nel mondo, funziona in 94 lingue e ha attratto nuovi capitali.
(Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2013)
La sinagoga di Copertino
di Maria Pia Scaltrito
Capita di cominciare uno studio una ricerca e di non sapere cosa succederà e soprattutto quando sarà terminata. È quanto è avvenuto con il volume che questa sera sarà presentato a Copertino. Il progetto editoriale voluto tenacemente dai committenti cinque anni fa si conclude con sessantasei contributi e oltre cinquecento pagine raccolte in Copertino: storia e cultura. Dalle origini al Settecento, a cura di Maria Greco, per le Edizioni Grifo di Lecce. Uno sforzo appassionato e forse visionario dell'Archeoclub d'Italia Sede di Copertino che ha impegnato ricercatori accademici studiosi cultori. I più giovani affiancati ai maestri di lunga esperienza degli atenei pugliesi. Insieme per ricostruire un affresco storico artistico archeologico archivistico del Salento e della Puglia.
Di un regione che da millenni è luogo di approdo odissiaco per le genti che dalle sponde di uno stesso mare sbarcano carichi di merci speranze e nuovi destini.
E di una cittadina che era seconda solo a Lecce in quanto a signorìa e potere.
Una città che si mostra ora nelle infinite sfumature luminose o adombrate, dai primi insediamenti bizantini fino al termine dell'Età moderna di fine Settecento. Con le tante lingue che ha incontrato, o meglio con una lingua che le contiene tutte . Nel mezzo castelli poderosi regine armate e cavalieri francesi, abati vescovi e banchieri genovesi, finanzieri e avventurieri slavi, nobilotti e grandi dinastie, artisti di scuola romana e napoletana che la cesellano e colorano di affreschi, aprendo cantieri laici e religiosi. Per adornare una Terra d'Otranto e di Lecce che ha mostrato guizzi di geniale umanesimo e di storia universale. Soprattutto tra le comunità ebraiche qui di casa dall'alba dell'era volgare.
La committenza ci aveva chiesto di indagare sulla presenza ebraica nella città e gli intrecci con la regione e il Regno di Napoli. Quando avevamo cominciato con Cesare Colafemmina ad occuparcene, pochissime erano le tracce nei lavori precedenti. Gli studi locali davano le ultime presenze di famiglie ebraiche in una via extra moenia, ossia Borgo Scialò, censito nel Catasto Onciario del 1747: una viuzza stretta e corta non particolarmente significativa.
Di contro i primi documenti ispezionati da chi scrive raccontavano una realtà ben diversa. Incrociando le fonti letterarie con quelle fiscali si veniva disegnando una comunità ebraica numerosa oltre le attese, dinamica nei commerci, vitale negli scambi, tale da vantare il più antico carteggio scritto in volgare salentino (1390), intercorso tra un ebreo copertinese e un mercante veneziano suo socio. Nel 1468, quando Lecce e Copertino si distaccano fiscalmente dalla Basilicata, le giudecche lucane insorgono perché paventano la propria distruzione: impossibile sostenere il peso fiscale senza più queste comunità. Segno inequivocabile che queste due cittadine dovevano avere fuochi- famiglie in gran numero e oltremodo facoltose.
Il quadro storico viene dunque ricomposto e connesso con gli eventi della storia ordinaria del Regno, a sottolineare che la storia delle comunità ebraiche è sempre Storia Italiana, è la Nostra Storia. Ma ecco che tra gli ultimi documenti indagati e sottoposti a Colafemmina ve n'è uno diverso. Neanche tanto segreto, ma custodito (molto!) gelosamente a Roma, dai Frati della Curia Generalizia degli Agostiniani: e il documento originale solo dinanzi agli occhi di Colafemmina si svela e parla. Non prima, a chi pure lo aveva avuto tra le mani!
E basta un solo rigo un solo attimo a chi ha dissepolto la Puglia ebraica per scoprire il sito esatto della sinagoga di Copertino: un frammento di tempo che racchiude una delle ultime felicità mentali di Colafemmina. E pure di chi scrive.
Leggiamo il documento: «(
)sopra il resto vi fu edificato un monastero di donne monache de l'ordine di S. Chiara innestito alla scola che antiquamente era d'hebrei, ove si congregavano, e hoggi è tempio di dette monache dedicato alla Annuntiatione della Beata Vergine (
)».
La fonte è certa e di grande dignità: nulla di meno del Sagrista Pontificio Padre Angelo Rocca, che nel 1584 registra nella Descrittione che riguarda Copertino ogni più piccolo dettaglio. Chi sia Padre Rocca è notorio. Basta citare la sua creatura, la Biblioteca Angelica di Roma per comprendere quale statura gigantesca di storico letterato bibliofilo colto e rigoroso si ha dinanzi, tale da meritargli la cattedra di Vescovo di Tagaste riservata per tradizione secolare ad un agostiniano.
E dove si trova dunque la Scola Sinagoga di Copertino che «antiquamente era d'hebrei ove si congregavano»? Non extra moenia come il catasto settecentesco poteva far intendere. Non a ridosso delle porte della cinta muraria, peraltro perfettamente conservata nel suo circuito quattrocentesco ampliato nel Cinquecento.
Non relegata in quartieri marginali. Ma, come spesso nel meridione italiano e in Europa, a cinquanta passi dalla Cattedrale. A dieci passi dalla piazza più antica della cittadina, oggi Piazza del Popolo, e fino al secolo scorso Piazza del Foggiaro. Seduta su una delle fosse granarie ipogeiche (le fogge!) che costellano a centinaia l'antica piazza, a testimonianza dell'importanza sociale e mercantile del luogo.
Fosse granarie, 118 censite, ora visibili come un polo museale di archeologia open air. Circondata dalle botteghe artigiane e dalle case palazziate trecentesche e quattrocentesche. Qui era posta la Sinagoga nel documento scoperto e confermato dalle successive verifiche archivistiche della scrivente nell'Archivio di Lecce, fra rogiti notarili e visite pastorali dell'Archivio Diocesano di Nardò.
E con la stessa dedicazione che già la sinagoga di Lecce aveva avuto fin dal 12 marzo 1495. Quando popolo e plebe, con Carlo VIII a Napoli da poche settimane, aveva gettato nel tempio ebraico immagini di santi e della Beata Vergine. Stessa dedicazione che nel corso del Trecento aveva ricevuto anche Scola Nova di Trani: Beata Maria Vergine dell'Annunciazione. Come se la comune figura della Miriam ebraica potesse in qualche modo "acquietare le coscienze", scrive Colafemmina.
Dunque intorno a questa antica Piazza del Foggiaro, nell'area dell'attuale Monastero delle Clarisse si espandeva la Giudecca delle famiglie ebraiche di Copertino e ne conosciamo parecchi nomi, tra cui spiccano i cognomi "Sacerdoti" riservato ai discendenti della tribù di Levi.
Ma non è tutto. Il sito presenta una ulteriore particolarità: sorge su una vasta depressione del terreno dove "gli antichi" avevano sapientemente fatto confluire le acque piovane che scendevano dalle colline circostanti mescolate ai corsi d'acqua sotterranei del terreno carsico. Il luogo perfetto per costruivi anche il mikveh.
Dove si troverà con esattezza il bagno rituale della Giudecca di Copertino? Dove saranno le sue antiche vasche di purificazione, sapendo che ad oggi nessun mikveh di Puglia è venuto allo scoperto? Le indagini archeologiche sono già iniziate e dei primi rilievi si dà conto nello stesso volume, pur consapevoli che qui di altra archeologia si tratti. Ossia di archeologia ebraica che ha altri canoni prescritti nel VI ordine della Mishnah.
Resta da chiedersi a cosa e a chi possono servire tali scoperte. Certo a dare lustro ad una Terra, la Puglia, che si conferma isola di ricerche e scoperte epocali per la storia dell'ebraismo italiano ed europeo. Ad onorare un gigante sulla cui spalla possiamo solo salire per guardare meglio e lontano: era il 1994 quando Colafemmina localizzava le ultime sinagoghe medievali di Bari e di Lecce. E un popolo che onora la verità della sua storia e dei suoi attori non sarà servo né cieco. Ma soprattutto non ricadrà nella barbarie di ripulse xenofobe. Quelle bestie trionfanti culturali e religiose sepolte in caverne nemmeno tanto buie.
(Notiziario Ucei, 27 ottobre 2013)
Formaggi, salumi, peperoncini, dolci o panini: nel cuore di Roma
Il meglio della cucina kosher
di Giacomo A. Dente
Il Ghetto di Roma e i suoi dintorni sono un centro di grande attrazione gourmet. Basti pensare a tutte le delizie dell' Antico Forno del Ghetto, celebre per i suoi «ossi», dei panini tondi e croccanti di rara bontà.
Pochi passi e ci si trova davanti alla vetrina della Dolceroma, una pasticceria sofisticata specializzata in dolci che guardano a Vienna e New York, dalla superba Sacher e la Dobos, al cheese cake e l'apple pie. Sballo caseario puro, invece, da Beppe e i suoi formaggi, con uno dei banconi più invitanti immaginabili di ogni delizia trasformata dal latte, ma anche con preziosità nel campo dei salumi e dei dolci davvero uniche. Per gli amanti del piccante, proprio all'angolo con la Piazza delle Tartarughe si spalanca la colorata selezione di Peperita, l'azienda toscana di Rita Salvatori, dove si possono trovare i peperoncini più rari e "tosti".
Tra i ristoranti di grande seduzione, la Vecchia Roma, la Sora Lella, Evangelista, tutti luoghi di sicuro felice approdo. Per mangiare kosher, secondo la prescrizione religiosa ebraica, Ba' Ghetto non delude, anzi raddoppia con Milky in modo da avere differenziate carni e pesci, latticini. Ma il Ghetto è anche un crocevia di baretti e piccoli luoghi di golosità come il Kosher bistrot, dove gustare falafel, hummus, panini, tutti di piacevole mano, ma anche di trattorie deliziose e fragranti di una cucina schietta come la bravissima Sora Margherita.
(Il Messaggero, 27 ottobre 2013)
Iran: due mesi per avere la bomba. Smascherate le bugie di Rohani
Il nuovo rapporto del Institute for Science and International Security (ISIS) sul programma nucleare iraniano parla chiaro e non lascia adito a dubbi: in Iran potrebbero essere pronti a costruire la loro prima bomba entro due mesi.
Secondo l'ISIS in Iran si sta seguendo alla lettera il programma scritto da Abdul Qadeer Khan per il Pakistan, un programma in quattro fasi che prevede l'arricchimento dell'uranio al 3,5% nella prima fase, al 20% nella seconda fase, al 60% nella terza e infine, nella quarta fase, portare l'arricchimento dell'uranio a livello WGU (weapon-grade uranium) . Secondo l'ISIS in Iran hanno bisogno di 25 Kg di uranio arricchito a livello WGU per costruire la bomba e le le scorte di uranio arricchito al 20% già presenti in Iran sarebbero sufficienti e permetterebbero agli iraniani di ottenere il tutto in meno di due mesi....
(Right Reporters, 27 ottobre 2013)
Duo di ortodossi alla TV israeliana
di Aldo Baquis
TEL AVIV - Due menestrelli ortodossi, i fratelli Arie e Gil Gat, hanno fatto fremere di emozione questo mese gli israeliani di un certa età quando in uno show televisivo per star esordienti hanno proposto una commovente interpretazione di
il celebre brano del 1964 di Paul Simon e Art Garfunkel, poi usato nella leggendaria colonna sonora del film Il laureato.
Fin dai primi accordi gli spettatori in sala sono andati in visibilio. I quattro giudici sono rimasti sbalorditi, poi si sono abbandonati a scene di delirio. Quando il pubblico in casa è stato infine interpellato, i due bardi - che ostentano barbe imponenti e lunghi riccioli alle tempie - sono stati sommersi di voti. Presto la loro apparizione televisiva ha varcato l'Oceano e dei due fratelli si sono interessati importanti mezzi di comunicazione statunitensi. Anche perchè, con identica perizia, i due fratelli eseguono brani degli Eagles e dei Pink Floyd.
Ancora questa estate i fratelli Gat si esibivano modestamente a Gerusalemme per i passanti della centrale via Ben Yehuda. Su YouTube erano noti come i Breslev Brothers, dal nome di una setta mistica ortodossa. C'era un tempo in cui erano laici: cresciuti nella gaudente Eilat (la città turistica sul mar Rosso) erano passati a New York dove avevano raffinato la loro arte frequentando locali jazz d'avanguardia. Poi, 16 anni fa, l'inizio di una crisi mistica che gradualmente li avrebbe fatti approdare in un mondo agli antipodi di quello frequentato nella Grande mela.
Arie (48 anni) e Gil (38), nelle loro attuali abitazioni in rioni ortodossi di Gerusalemme e di Beit Shemesh, non possiedono una televisione: un apparecchio che i loro rabbini disdegnano, perchè distrae dagli studi religiosi. Ai figli, per non creare incertezze nella loro fede, non hanno detto che avrebbero partecipato ad uno show televisivo. A loro è stato anche chiesto se la presenza in studio di donne non rappresentasse una forma di immodestia. Ma i loro rabbini, hanno replicato, hanno sancito che lo spettacolo era lecito. Per prudenza, si sono comunque esibiti ad occhi bassi.
Ma chi li ha ascoltati non ha potuto non tornare col pensiero al Laureato: un film in cui si avvertiva l'atmosfera libertaria che si respirava nei campus degli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta. Nè si poteva dimenticare la scena in cui il giovane Dustin Hoffman chiede ad una intrigante Anne Bancroft: "Signora Robinson, lei sta tentando di sedurmi?".
La sovrapposizione di quella particolare canzone con l'aspetto esteriore timorato dei due chitarristi virtuosi ha creato un contrasto che ha immediatamente incuriosito la stampa. Ma, in un'intervista, Gil Gat si è stupito a sua volta dello stupore dei media. "La musica - ha detto - abbatte le barriere fra laici e religiosi. Questo è il suo genere di amore".
(Corriere Adriatico, 27 ottobre 2013)
La Shoah raccontata ai bambini in un bel libro
di Luisa Mattia
La Shoah è dimostrazione esemplare e dolorosa di come gli esseri umani siano capaci di brutalità e tragiche inerzie. Raccontare ai bambini la storia drammatica della persecuzione razziale e dello sterminio è compito doveroso ma anche difficile.
Anna Sarfatti propone alla lettura dei bambini "L'albero della memoria. La Shoah raccontata ai bambini" (Mondadori, 64 pagine, 9 euro), realizzando una narrazione lieve, poetica, elegante eppure intensa, sincera e carica di verità storica.
Samuele, il ragazzino protagonista, attraversa gli anni difficili che vanno dalle leggi razziali alla persecuzione e, poi, alla fine della guerra.
L'olivo del giardino di casa è la linea guida della sua rinascita.
Scritto con maestria, illustrato da Giulia Orecchia, completato da approfondimenti storici di Michele Sarfatti, questo è un bel libro davvero. Dai 6 anni.
(ilsalvagente.it, 26 ottobre 2013)
Unione Europea - Israele, insieme per battere la crisi
Missione del vicepresidente della Commissione Tajani con 65 aziende Siglati tre accordi: turismo, industria e sistemi di navigazione satellitare.
di Sarina Biraghi
TEL AVIV - «Meglio investire in un bambino che nelle banche». Più che una battuta la strategia politico-economica d'Israele, Paese con 8 milioni di abitanti, primo partner dell'Europa nelle esportazioni con un totale di 17 miliardi di euro di valore. Il concetto è stato espresso con grande convinzione e nessuna formalità dal presidente israeliano Shimon Peres durante l'incontro con il vice presidente della Commissione europea Antonio Tajani in visita a Tel Aviv e Gerusalemme accompagnato da una delegazione di 65 rappresentanti di imprese e associazioni d'imprese interessati alle opportunità di business nel mercato israeliano, con particolare riguardo ai settori delle tecnologie abilitanti fondamentali, green tech, macchine per la produzione, comunicazioni e spazio. Tra le italiane Elital, Redcat, Fiat, Ferrero, HIT09, Enco, Franchetti, Selex, Lauro, Edison, Ramos, Finmeccanica, Studio Valla Consulting, Zanetti. Durante i tre giorni di «missione per la crescita» numerosi gli incontri chiave previsti proprio per rafforzare la cooperazione economica e industriale, ma di grande importanza è stato anche il messaggio politico lanciato da Tajani che ha sostanzialmente illustrato la strategia Ue per uscire dalla crisi e tornare a crescere e a creare occupazione, anche attraverso la reindustrializzazione del continente.
Tra i vertici con i massimi esponenti del governo israeliano, quelli con i ministri dell'economia, Naftali Bennett, con cui è stato firmato un accordo per il rafforzamento della cooperazione industriale, con i responsabili della scienza, tecnologia e spazio, Yaakov Perry e Silvan Shalom, con i quali è stato siglato l'impegno per migliorare la cooperazione nel settore dei sistemi di navigazione satellitare. Infine, con il ministro del turismo, Uzi Landau, è stato preso l'impegno di un più forte scambio turistico, a cominciare da quello religioso, che sarà meglio definito all'inizio del prossimo anno quando una delegazione di tour operator si recherà a Tel Aviv.
Le nuove linee guida europee, che vietano la assegnazione di fondi e finanziamenti europei ad entità israeliane attive anche nei Territori, sono stato l'unico elemento di preoccupazione per i dirigenti israeliani e in proposito, rispetto al progetto Horizon 2020, Tajani è stato chiaro: «L'Ue è l'ombrello per le aziende che vogliono avere rapporti con aziende israeliane. La stabilità politica è molto importante non soltanto per Israele ma per l'intera area del Mediterraneo e di conseguenza per l'Europa. I problemi sono noti, ma io sono ottimista. Lavoriamo alla realizzazione del progetto. L'importante è adoperarsi per buone soluzioni. Noi puntiamo a mantenere buone relazioni con Israele e ad una più stretta cooperazione, anche nei progetti Copernicus e Cosme».
Tajani ha poi partecipato all'apertura di Watec 2013, una esposizione delle maggiori iniziative dedicate all'industria e alla tecnologia dell'acqua, considerato che la penuria di risorse idriche è un problema assillante non solo per Israele ma anche per Regioni al sud dell'Europa. «Occorre stimolare - ha detto - investimenti nelle nuove tecnologie e rafforzare la cooperazione fra Unione europea ed Israele anche in questo settore». L'industria israeliana dell'acqua - hanno detto gli organizzatori dell'evento - è ritenuta all'avanguardia mondiale. Il volume delle esportazioni industriali israeliane legate all'acqua è stato stimato l'anno scorso in 2 miliardi di dollari. Fra le novità in esposizione i modelli matematici sviluppati da una società per segnalare in tempo reale esplosioni o perdite nelle tubature di acqua; e anche «vassoi» messi a punto da un'altra società per raccogliere alla base di ogni pianta la rugiada notturna. «Vassoi» che costano pochi dollari e che riparano le piante dagli sbalzi di temperatura sul terreno. A Tel Aviv erano presenti delegazioni dall'Europa, dagli Stati Uniti, dalla Cina e da altri Paesi per esaminare da vicino la esperienza maturata in Israele, soprattutto nei kibbutz, nella desalinizzazione, nella purificazione, nel riciclaggio dellacqua, e nella irrigazione agricola a goccia.
L'obiettivo della missione in Israele, dopo quelle in Russia e in Cina, è stato quindi triplice: aumentare la cooperazione nei settori di industria, turismo, spazio e innovazione, ma anche aiutare le imprese europee a operare in Israele e promuovere i contatti imprenditoriali e sviluppare opportunità di business, in particolare nell'ambito di tecnologie abilitanti fondamentali, green tech, macchine per la produzione, comunicazioni e spazio.
Come ha detto il presidente Peres durante il suo discorso, a un popolo non basta soltanto la politica, serve anche il sogno. Parlare di cooperazione e sviluppo può sembrare un sogno ma in realtà è progettare un futuro migliore.
(Il Tempo, 26 ottobre 2013)
Agliè - Imbrattato il castello con scritte naziste
Secondo raid dei vandali dopo la chiesa di San Gaudenzio
AGLIÈ (TO) - Dopo la chiesa di San Gaudenzio, imbrattata con scritte naziste la scorsa settimana, anche il muro delle scuderie del castello di Agliè. Non si fermano gli atti vandalici ai danni dei monumenti alladiesi. Ieri notte ignoti hanno disegnato svastiche e motti inneggianti a Hitler sui muri che si affacciano su piazza Molino. La tecnica sembra essere la stessa delle scritte della chiesa che ospita le spoglie del poeta Guido Gozzano. Solo che, in questo caso, i vandali hanno alzato il tiro e nel timore di poter essere fraintesi hanno scritto a caratteri cubitali «Heil Hitler».
Sulle scritte, segnalate poco fa da un gruppo di cittadini, sono in corso le indagini dei carabinieri di Agliè, che stanno cercando di capire quale sia il legame tra i due episodi. «Al momento - spiega il vicesindaco Alberto Rostagno - non sappiamo più se si tratti di una bravata, un dispetto o dell'azione di un gruppo. E nemmeno ne conosciamo le motivazioni. Purtroppo la zona non è coperta dalle telecamere ed anche nel caso ci fossero è sempre molto difficile risalire all'identità delle persone riprese».
Il Comune ha inviato i cantonieri a coprire le scritte anche se in questo caso sarà difficile eliminare quello che è stato impresso sulle mura della dimora sabauda. «Ovviamente come amministrazione condanniamo il gesto - aggiunge Rostagno - e siamo pronti a dare il nostro supporto alle forze dell'ordine affinchè riescano a mettere fine a questi episodi di pessimo gusto».
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COMUNICATO DEL COMUNE DI AGLIÈ
Ieri pomeriggio, al termine del consiglio comunale dei ragazzi, alcuni cittadini hanno segnalato in Municipio la presenza di disegni con svastiche sui muri di Agliè.
A distanza di pochi giorni dal ritrovamento delle svastiche disegnate sui muri del parco giochi adiacente al cimitero, questo nuovo episodio diventa allarmante. Sono infatti state disegnate (in nero) due svastiche in Piazza Molini, sui muri della parte nord (quella secondaria e meno in vista) del Castello Ducale di Agliè.
Se al primo episodio (di alcuni giorni fa) non avevamo dato eccessiva importanza, etichettandolo come un gesto goliardico, una "ragazzata" o il gesto di un squilibrato, questo nuovo episodio impone ferma condanna.
A nome dell'amministrazione comunale alladiese esprimo condanna e sdegno per i fatti avvenuti con l'imbrattamento con l'emblema nazista, prima del muro adiacente al cimitero e poi del muro del Castello Ducale, simboli della memoria del nostro paese. Abbiamo segnalato il fatto all'autorità di polizia e abbiamo dato indicazione ai tecnici manutentori comunali di ripulire i muri imbrattati.
L'amministrazione comunale di Agliè s'impegna ad adottare tutte le opportune iniziative utili ad identificare e a perseguire gli autori di tale irresponsabile gesto, offesa e oltraggio a tutti i cittadini alladiesi e canavesani che vivono seguendo l'insegnamento dei "Giusti".
Alberto Rostagno, vicesindaco di Agliè
(Quotidiano del Canavese, 26 ottobre 2013)
Circoncisione. Il Congresso ebraico mondiale contro il Consiglio d'Europa
Insieme al Congresso ebraico europeo e al Crif ha comprato una pagina del Le Monde per lanciare un appello a tutti: «È un elemento essenziale della nostra religione».
Per protestare contro la decisione presa dal Consiglio d'Europa (Apce) sulla circoncisione, oggi il Congresso ebraico mondiale, il Congresso ebraico europeo e il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche della Francia hanno comprato una pagina sul quotidiano Le Monde per diffondere un appello. L'Apce, definendo la circoncisione «una chiara violazione dei diritti umani dei bambini», ha invitato gli Stati europei a sottoporre a procedimento legale gli adulti che «forzano» bambini e ragazzi sotto i 14 anni a subire una circoncisione.
Di seguito la nostra traduzione in italiano dell'appello.
«Il Congresso ebraico mondiale, ma anche il Congresso ebraico europeo, ma anche il Crif, Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche della Francia, sono profondamente scioccati dalla risoluzione del Consiglio d'Europa che condanna la pratica della circoncisione sui bambini. Questa risoluzione urta la nostra sensibilità di ebrei perché la circoncisione è una pratica millenaria che costituisce un elemento essenziale della nostra religione e delle nostre tradizioni. Attaccarla significa voler cancellare tutti i particolarismi e imporre un modo di vivere, di pensare e di praticare la religione unico. Questo ci riporta a un passato che noi pensavamo ormai concluso.
Porre sullo stesso piano la circoncisione e la mutilazione genitale femminile significa essere demagogici e in cattiva fede. Quella femminile è una mutilazione barbara, contrariamente alla circoncisione. Queste non possono essere accomunate!
Inoltre, le ragioni scientifiche invocate dai parlamentari sono smentite da numerosissimi studi che negano ogni impatto negativo di carattere psicologico o fisico sui bambini. Diversi medici e scienziati riconoscono invece i benefici medici della circoncisione che protegge da infezioni urinarie e da quelle sessualmente trasmissibili. Si crede anche che possa proteggere dalla trasmissione eterosessuale dell'Hiv.
Questa risoluzione ferisce anche coloro che praticano la circoncisione in numerosi paesi e specialmente in quelli cristiani e negli Stati Uniti. Pretendere inoltre che la scelta della propria religione debba essere fatta a maggioranza significa negare il ruolo insostituibile dei genitori nell'educazione dei bambini.
In un momento in cui il mondo deve affrontare tante minacce, tante guerre civili, dove i morti si contano a centinaia di migliaia, la battaglia iniziata dal Consiglio d'Europa appare come ridicola. Il rispetto della libertà religiosa di tutti impone che questa risoluzione non sia messa in atto e che ognuno si mobiliti per difendere la libertà di coscienza che questa risoluzione mette pericolosamente a rischio.»
(Tempi, 25 ottobre 2013)
Negazionismo e identità
Il mensile dell'Ucei, pagine ebraiche, ha messo a disposizione dei lettori un dossier di articoli pro e contra la proposta di legge sul negazionismo. In uno di questi, e precisamente nell'articolo di Benedetto Ippolito, pubblicato su "il Riformista" del 21 ottobre con il titolo "Il negazionista dice falsità. Per questo va sanzionato", l'autore, che si dichiara favorevole alla legge, a un certo punto scrive:
«Persone che, più o meno ironicamente, negano fatti storici dolorosi in nome di idee lesive della dignità culturale e spirituale altrui, magari perché credenti in confessioni che si disprezzano con foga, sono atti all'ordine del giorno con cui dover convivere, purtroppo. La causa è sempre la stessa: ideologia, mancanza di professionalità, fanatismo. Senza una buona cultura, capiterà di nuovo a cattolici, a musulmani e, più dolorosamente ancora, ad ebrei.
Il nodo della diatriba sta proprio qui. E le parole di Pacifici lo testimoniano come si deve. Nel caso specifico, infatti, non è stata violata solo una memoria, la Shoah, che è l'identità stessa del popolo ebraico, ma è stata rimossa una responsabilità comune, quella di tutta l'umanità che ha reso possibile uno sterminio del genere.
Perché allora non fare una legge che vieti il negazionismo?»
Qualcuno forse avrà già notato la frase che stona: ... la Shoah, che è lidentità stessa del popolo ebraico! E la Shoah lidentità stessa del popolo ebraico? Senza Shoah il popolo ebraico non esiste? Se è così, si spiega il motivo dellappoggio alla legge contro il negazionismo: negare la Shoah significherebbe far sparire il popolo ebraico nella sua identità. Saranno compiaciuti gli ebrei di tanto zelo? Forse qualcuno più adatto di chi scrive potrebbe mettere qualche puntino sulle i a questo discorso. Certe frasi en passant sugli ebrei, soprattutto quando sono espresse in paterna forma benevola, possono essere segnali indicativi di qualcosa che non va. M.C.
(Notizie su Israele, 25 ottobre 2013)
Israele - Staminali per fabbricare insulina
[...] "Grazie alle nuove tecnologie e agli avanzamenti della ricerca - afferma Shimon Efrat, del Dipartimento di genetica Umana dell'Universita' di Tel Aviv e uno dei massimi esperti mondiali in terapia con cellule staminali applicata al diabete - oggi siamo in grado di espandere in maniera importante le cellule beta pancreatiche prelevate da un donatore, al punto che dalle cellule estratte da un solo pancreas siamo in grado di produrne una quantita' sufficiente per migliaia di potenziali riceventi. Ma le cose non sono cosi' facili come potrebbe sembrare: un conto e' infatti riuscire ad avere un grande numero di cellule, un altro e' quello di mantenerne intatta la loro capacita' di produrre insulina, che e' quanto serve per trattare la persona con diabete"....
(salute.aduc.it, 25 ottobre 2013)
Le certezze e le incertezze di un mondo ostile ad Israele
Mai come in questo momento storico è fondamentale essere solidali e sostenere lo Stato ebraico.
di Ugo Volli
Mentre scrivo queste righe, nessuno degli sconquassi previsti in Medio Oriente si è verificato. Non vi è stato e probabilmente non vi sarà l'intervento americano in Siria. Non vi è stata la rottura fra Usa e Egitto per il fatto che l'esercito ha impedito alla Fratellanza musulmana di consolidare il proprio potere. Non vi sono stati gli sviluppi della trattativa fra Israele e Anp di cui molto si vocifera. E non vi sono stati cambiamenti né in un senso né nell'altro nel lungo braccio di ferro che oppone la comunità internazionale all'Iran per il tentativo di questo paese di dotarsi di un armamento nucleare. I grandi titoli sui giornali e il gran parlare che si è fatto di nuovo sulla crisi regionale durante il mese di settembre non sembrano corrispondere a nulla di nuovo. In Egitto governano i generali, che cercano di riprendere il controllo sul Sinai e per ottenerlo si trovano a scontrarsi con l'alleanza islamista di Hamas e tribù beduine locali. In Siria continuano a morire soprattutto i civili, ogni tanto i governativi vincono una battaglia, ogni tanto lo fanno i ribelli, ogni tanto essi si scontrano fra loro, per esempio sunniti contro curdi. Israele riesce a bloccare il terrorismo e a ottenere significativi risultati in campo civile, le trattative con l'Anp proseguono non si sa con che costrutto. E vi sono battaglie più o meno aperte anche in Iraq e in Tunisia, in Yemen in Libano e in Afghanistan.
Non è dunque accaduto niente? Non sarebbe corretto insegnarlo. Le due grandi crisi dell'estate appena finita, quella dell'intervento militare in Egitto e quella dell'uso dei gas velenosi come arma in Siria, senza dubbio hanno mostrato delle novità o confermato tendenze importanti. Vediamo di elencarle un po' alla rinfusa, per trarne anche degli indizi sul seguito.
IN PRIMO LUOGO, si conferma che non c'è nessun rapporto fra il conflitto che oppone Israele e Anp e le convulsioni dell'area. Israele può avere le sue preferenze ma non ha aiutato né Assad né i ribelli, né Morsi né al Sissi, per non parlare di quel che accade lontano dai suoi confini. Si è limitato a difendersi quando è stato attaccato direttamente. Gruppi che si definiscono palestinesi o che li appoggiano si sono schierati dalle due parti: Hamas con Morsi, l'Anp con Sissi, Hezbollah con Assad, Hamas con i ribelli. Insomma non c'è nessun rapporto di schieramento in questa crisi. Non vale necessariamente in Medio Oriente il motto "i nemici dei miei nemici sono miei amici": le alleanze si decidono caso per caso. E non vi è quella che Mao chiamava "contraddizione principale" rispetto alle altre secondarie che ne dipenderebbero. In particolare niente autorizza a pensare che se Israele e l'Anp facessero domani un accordo di pace, cesserebbe la guerra civile in Siria, o islamisti e laici si metterebbero d'accordo in Egitto e Tunisia, o cadrebbe la rivalità fra sciiti e sunniti.
SECONDA CONSTATAZIONE: alla stampa sostanzialmente dei morti arabi e anche palestinesi non importa nulla. Quando sono stati attaccati i campi profughi palestinesi in Siria e sono stati ammazzati centinaia dei loro abitanti, non ne ha parlato nessuno. Quando l'Egitto ha chiuso i valichi con Gaza, ha fatto saltare diverse centinaia di tunnel oltre il confine, ha combattuto vere e proprie battaglie con gruppi armati di Hamas nel Sinai, non se ne è avuta notizia. Se non c'è Israele da criticare, o se la notizia non è clamorosa come nel caso dei gas, i giornali non ne parlano. L'hanno fatto quando hanno potuto inventare notizie che non c'erano, ma che potevano mettere in cattiva luce Israele, per esempio dire che avrebbe voluto mantenere al potere Assad contro la gloriosa rivoluzione democratica che vedevano un anno fa, o nelle scorse settimane, che premesse per il bombardamento americano.
TERZO FATTO. L'opinione pubblica "militante" e "pacifista", quella che scende in piazza a manifestare o scrive su giornali di partiti e organizzazioni, ha fatto sempre più o meno la stessa cosa. Ha ignorato per due anni e continua a ignorare le stragi in Siria (110 mila morti, più di quel che conflitti e guerre sono costate in un secolo in Eretz Israel), non bada affatto alla repressione durissima dei cristiani del mondo arabo. Si è mobilitata solo quando gli Stati Uniti non sono intervenuti a bloccare la presa del potere dei militari in Egitto e quando hanno minacciato di farlo per reazione all'impiego di gas da parte del governo siriano. In entrambi i casi è scattato un riflesso doppiamente antiamericano. Nella scelta di campo generale, perché questi "pacifisti" hanno difeso sempre la parte che sembrava loro almeno un po' "rivoluzionaria", cioè nemica dell'Occidente e nella politica concreta, perché i vecchi schemi di contrapposizione sopravvivono immutati nella mente a quasi 25 anni dalla caduta del "socialismo reale": l'America è il "grande Satana", anche se governato da Obama, Israele il "piccolo Satana" che deve essere spazzato via dalla carta geografica, la Russia e i suoi alleati sono i buoni di ogni situazione. Che siano oligarchici, oppressivi, medievali di mentalità e nemici delle personale, perfino dei comunisti non importa: sono contro l'America e Israele e quindi vanno bene.
QUARTO FATTO. La credibilità americana nella regione è completamente crollata. Non si tratta di rapporti di forza, perché gli Usa sono ancora largamente i più forti, né di crisi economica, perché la Russia sta molto peggio di loro adesso e in prospettiva, né di industria, perché tutta l'innovazione dell'elettronica e del software anche degli ultimi dieci anni è fatte da imprese americane (e spesso da ricerca israeliana). La questione è puramente politica, deriva dalla confusione di fondo, dall'irrealismo sistematico, dall'indecisione e dalle contraddizioni dell'amministrazione Obama. Quindi potrebbe essere rimediabile con un altro governo che però purtroppo la costituzione americana non permette per altri tre anni. Nel frattempo la parola degli Usa ha pochissimo valore nella crisi mediorientale, per il semplice fatto che non si sa se verrà mantenuta. Il che comporta che ognuno degli attori locali - innanzitutto Israele - badi soprattutto al proprio interesse e cerchi il modo di difenderlo da solo. Il fallimento dell'amministrazione Obama ha anche travolto l'idea che la politica estera possa essere organizzata secondo finalità di carattere generale ed etico, come la difesa dei diritti umani. Di fatto quel che ha prevalso di nuovo è la concezione tradizionale della politica come difesa da parte degli stati dei propri interessi vitali. Bisogna tener conto di questo fatto giudicando le posizioni dei vari soggetti in gioco.
QUINTO FATTO. E l'Europa? Non pervenuta. Bloccata da scoordinamento generale, da contraddizioni interne (Gran Bretagna), da ambizione di grandeur senza fondamento (Francia), dalla ricerca di occupare il centro (Germania), da buonismo senza lucidità (Italia), tutta ormai ricattabile dalla Russia. Non si sa se l'Europa sia ancora, dopo la crisi, un gigante economico. Ma certamente è un nano politico, che ogni tanto esprime pulsioni ideologiche inconsulte, che per quanto riguardano il Medio Oriente sono purtroppo nettamente antisioniste e filoarabe.
Questo è il quadro molto difficile con cui si trova a dover agire il governo israeliano e l'opinione pubblica dovrebbe considerarlo. La minaccia dell'Iran, il problema delle trattative imposte dall'America, le convulsioni di forze terroriste ai confini (Hamas, Hezbollah), la vicinissima crisi siriana, le pressioni europee sono i suoi termini principali: una situazione delicatissima che richiede tutta l'abilità dei governanti e tutta la solidarietà degli ebrei e degli amici di Israele nel mondo.
(Shalom, ottobre 2013)
Esperti Usa: l'Iran potrebbe avere la bomba atomica tra un mese
TEHERAN - L'Iran potrebbe produrre la sua prima bomba atomica nell'arco di un mese: lo stima l'ultimo rapporto dell'organizzazione Usa Institute for Science and International Security (Isis), fondata dall'ex ispettore dell'Aiea David Albright. La stima di un mese, si legge, è ricavata dal potenziale produttivo iraniano, e dall'assunto che la Repubblica islamica stia conducendo operazioni in strutture segrete, difficili, se non impossibili, da monitorare.
(TicinOnline.ch, 25 ottobre 2013)
Sanzioni all'Iran: possibile scontro tra Obama e democratici
Secondo il quotidiano politico The Hill
New York, 25 ott. - I rapporti con l'Iran rischiano di creare tensioni tra il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e alcuni influenti senatori democratici. La Casa Bianca - secondo quanto riportato dal quotidiano politico The Hill - avrebbe infatti chiesto il rinvio di un nuovo round di sanzioni contro Teheran, dopo le aperture del nuovo presidente Hassan Rouhani sul programma nucleare. La commissione bancaria del Senato dovrebbe pronunciarsi sulle nuove sanzioni nel corso della prossima settimana, ma la votazione sarebbe ora in dubbio, secondo una fonte di The Hill, dopo la richiesta dei funzionari dell'amministrazione Obama rivolta ai membri della commissione citata e di quella per le relazioni estere. La Casa Bianca ha smentito che l'incontro avesse come obiettivo quello di chiedere il rinvio delle sanzioni
(Il Mondo, 25 ottobre 2013)
Vivere allegramente all'ombra della bomba
Lo Stato ebraico ha imparato, per necessità, a convivere con un pericolo esistenziale quasi costante fin dalla propria nascita.
di Ariel David
Silvia è una ragazza italiana che si è trasferita in Israele per un post-dottorato presso l'Università di Tel Aviv. Ha avuto la sfortuna di arrivare in Israele a fine 2012, proprio all'inizio dell'ultimo conflitto di Gaza, quando per la prima volta i missili di Hamas hanno raggiunto il cuore dello Stato ebraico. Poco dopo il primo ululato delle sirene a Tei Aviv, la giovane ricercatrice in fisica era già su un volo di ritorno per l'Italia. In un momento in cui si profilano nuove minacce e pericoli per Israele, ho riparlato di quei giorni con Silvia, che nel frattempo è ritornata aTel Aviv e ha avuto modo di conoscere meglio e apprezzare il paese.
Quello che stupisce entrambi non è certamente la normale reazione di chi come lei, non avendo nessun legame con Israele, si sia trovata, appena arrivata, sotto un bombardamento. Ad alimentare la conversazione è invece la generale freddezza con cui gli israeliani, oggi come ieri, affrontano lo spettro della guerra. Vivere in Israele significa "vivere all'ombra della bomba", come si usa dire qui, e di questi tempi le ombre non mancano, tra il pericolo che un intervento americano in Siria scateni una rappresaglia missilistica di Damasco (con o senza armi chimiche), l'instabilità in Egitto e la sempre più incombente minaccia nucleare iraniana. Eppure, nel caos mediorientale, Israele sembra un'oasi di relativa tranquillità: le discoteche, le spiagge e i caffè di Tel Aviv sono pieni, l'industria del turismo registra un record di presenze e, se si eccettua qualche fila negli uffici dove abitualmente si distribuiscono le maschere antigas, la vita quotidiana degli israeliani non sembra subire scossoni.
In buona parte, questo sangue freddo si spiega con la fiducia che gli israeliani hanno nelle capacità di Tsahal e dell'apparato d'intelligence di difendere il paese da ogni minaccia. Lo Stato ebraico ha imparato, per necessità, a convivere con un pericolo esistenziale quasi costante fin dalla propria nascita: dalla minaccia portata dagli eserciti arabi agli attentati suicidi palestinesi, dai razzi di Hamas ed Hezbollah all'atomica degli Ayatollah. Non si può negare che la capacità di sconfiggere la paura sia uno dei punti di forza del popolo israeliano, che ha permesso di vivere una situazione di perenne emergenza con relativa normalità, di creare una società piena di energia e un'economia prospera e, soprattutto, di mantenere salde le uniche istituzioni democratiche della regione.
Ma quest'apparente imperturbabilità, o incoscienza, di fronte al pericolo rappresenta solo un vantaggio per Israele, o costituisce anche un rischio per lo Stato ebraico?
Proprio in queste settimane corre il quarantesimo anniversario della guerra del Kippur, il conflitto del 1973 in cui gli eserciti di Siria ed Egitto riuscirono a sorprendere Israele nel giorno più sacro del calendario ebraico.
Solo a costo di molte perdite e grazie agli aiuti americani, Tsahal riuscì a respingere gli invasori e salvare Israele dalla distruzione, ma quel conflitto rimane una ferita aperta per il paese. Come ogni anno, i giornali si sono riempiti di rievocazioni, testimonianze, rivelazioni uscite dagli archivi top secret sui fallimenti dell'intelligence, dell'esercito e dei politicì di allora che permisero agli arabi di cogliere Israele completamente impreparato.
Raramente però le analisi tattiche e strategiche si soffermano sull'atmosfera che aveva preceduto il conflitto, sull'euforia per la vittoria lampo nella guerra dei Sei Giorni e la totale fiducia nell'invincibilità di Tsahal, e sul rifiuto delle prime, timide aperture di pace da parte del presidente egiziano Sadat.
Le minacce per Israele cambiano, e l'esercito ha oggi adattato le proprie tattiche per affrontarle al meglio ed evitare gli errori della guerra del Kippur, ma lo spirito d'Israele non sembra mutare. Il paese continua a trarre forza e fiducia dalla propria capacità militare e dall'accettazione dell'inevitabilità della violenza. Non a caso, dopo ogni guerra o operazione militare importante, i quotidiani si riempiono di analisi su come prepararsi alla "prossima guerra", un' eventualità considerata concreta e prestabilita. Israele si è rassegnato a compiere la profezia del suo grande generale Moshe Dayan, che nel 1956 parlò di una generazione costretta "a vivere con la spada in mano", che non doveva farsi "assordare" dal desiderio di pace. È difficile giudicare se quella di Dayan sia una profezia auto avverante o se veramente Israele sia e sarà sempre condannato a convivere con la guerra. La risposta a questa domanda dipende da convinzioni politiche e ideologiche individuali. Certamente però non si può negare che la sicurezza di sé d'Israele si basi sulla rischiosa illusione, dimostrata tale dalla Storia, di poter sempre prevedere, affrontare e vincere sul campo qualsiasi minaccia. Da questa grande illusione deriva la forza d'Israele, ma anche la sua debolezza.
(Shalom, ottobre 2013)
Ex capo Mossad: gli Usa spiano anche Israele
TEL AVIV - "So per certo che gli Stati Uniti ascoltano in segreto anche i loro amici, Israele incluso": lo afferma oggi al Maariv Dany Yatom, ex capo del Mossad, commentando le notizie relative al Datagate. Capo del Mossad alla fine degli Anni '90, sui tempi più recenti Yatom ha preferito la cautela. "E' possibile - ha detto - che intercettazioni telefoniche accadano anche da noi. Gli Usa non guardano in faccia nessuno. Ogni volta che pensano di aver bisogno di ascoltare segretamente qualcuno, lo fanno".
(ANSA, 25 ottobre 2013)
Non potevano esserci dubbi: se gli americani hanno speso tempo e fatica per spiare gli amici europei, figuriamoci se potevano tralasciare gli amicissimi israeliani.
Attentato di Hamas sventato dai servizi Anp
Aereo senza pilota doveva esplodere in Israele
TEL AVIV, 25 ott - I servizi di sicurezza dell' Autorita' palestinese hanno sventato di recente un attentato terroristico che era ormai in fase avanzata di realizzazione. Lo riferisce oggi il sito israeliano di informazione Walla.
Secondo il sito una cellula di Hamas attiva a Hebron progettava di lanciare un aereo senza pilota carico esplosivo e di farlo schiantare in territorio israeliano.
Alcuni arresti condotti nel campus universitario di Hebron hanno consentito all'Anp di scongiurare il pericolo.
Nei Territori peraltro la tensione resta alta. Stamane a Yabed una bomba rudimentale e' stata lanciata contro un torpedone dove viaggiavano gli alunni di insediamenti ebraici vicini. L'ordigno, ha riferito un portavoce militare, non e' esploso. Un esponente locale del movimento dei pionieri ha commentato che in quel tratto di strada gli attacchi palestinesi si sono di recente moltiplicati. ''Ormai - ha detto - gli israeliani che vi si avventurano rischiano la vita''.
(ANSAmed, 25 ottobre 2013)
Eintracht Frankfurt - Maccabi Tel-Aviv 2-0
La squadra tedesca domina e si avvicina ulteriormente ai sedicesimi di UEFA Europa League mantenendo l'imbattibilità nel Gruppo F.
di Steffen Potter
FRANCOFORTE - L'Eintracht Frankfurt compie un passo importante verso i sedicesimi di UEFA Europa League mantenendo l'imbattibilità nel Gruppo F grazie a un 2-0 sul Maccabi Tel-Aviv FC.
Dopo il primo gol di Vàclav Kadlec al 13', gli ospiti vengono messi alle corde dall'espulsione di Tal Ben Haim al 34'. Alexander Meier soffoca le esili speranze del Maccabi nei primi minuti della ripresa, per la gioia di 40.000 tifosi di Francoforte.
I padroni di casa partono aggressivi e impegnano Juan Pablo con un colpo di testa di Meier, ma il portiere non ha scampo quando lo stesso giocatore incorna sul palo e apre la strada al gol in ribattuta di Kadlec. Quindi, il Francoforte controlla la gara senza problemi, mentre il Maccabi si vede espellere Ben Haim per due cartellini gialli in 4'.
Tranquillo Barnetta, che aveva avviato l'azione sul primo gol, ispira anche il raddoppio di Meier, che su calcio d'angolo svetta di potenza sul primo palo e firma il 2-0. Kadlec spreca tre buone occasioni per consolidare il vantaggio, ma l'Eintracht non si dispera. Promossa in Bundesliga solo nel 2012, la squadra tedesca è a un passo dal rimanere in Europa anche nel 2014.
(UEFA.com, 25 ottobre 2013)
Italia-Israele: "Dialogo strategico"
Le strette relazioni tra Italia e Israele, le iniziative comuni per intensificare la cooperazione economica e tecnologica tra i due Paesi e i temi dell'attualità mediorientale sono stati i principali argomenti trattati alla riunione di "dialogo strategico" svoltasi a Gerusalemme con la partecipazione del Segretario Generale della Farnesina, Michele Valensise, e del Vice Ministro degli Esteri israeliano Zeev Elkin. L'incontro si è svolto anche in preparazione del prossimo vertice Italia-Israele, che si svolgerà a Torino tra alcune settimane.
Valensise, comune interesse per iniziative a favore crescita. Il Segretario Generale Valensise ha infatti guidato la delegazione italiana alla riunione di "dialogo strategico" con Israele. Nell'ambito della riunione l'Ambasciatore Valensise ha avuto anche un colloquio con il Vice Ministro Elkin, con il quale ha avuto un ampio scambio di vedute sui negoziati israelo-palestinesi e sull'importanza delle relazioni tra Italia e Israele, che potranno avere un ulteriore sviluppo in occasione del prossimo vertice bilaterale. Nel dialogo strategico, cui da parte israeliana hanno partecipato tra gli altri il Segretario Generale
Rafael Barak e il suo vice Ran Curiel, sono state in particolare delineate le iniziative comuni a favore della crescita delle economie dei due paesi. "Abbiamo approfondito le possibilità di collaborazione nei settori più innovativi e promettenti, quali energia, start-up e sicurezza cibernetica: c'è un forte interesse comune - ha dichiarato l'Ambasciatore Valensise - e abbiamo affrontato i temi di maggiore attualità della politica mediorientale, tra i quali in particolare la crisi siriana".
- Valensise alla conferenza "Watec", su nuove tecnologie per risorse idriche.
Il Segretario Generale ha anche partecipato a Tel Aviv alla conferenza 'Watec' sulle nuove tecnologie per le risorse idriche, alla quale è intervenuta una qualificata delegazione di imprenditori italiani. L'Ambasciatore Valensise ha esaminato nuove iniziative industriali e progetti di collaborazione scientifica e tecnologica. Ha inoltre illustrato l'impegno italiano nella preparazione di Expo Milano 2015 nel quale Israele avrà un ruolo di protagonista.
(Tribuna Economica, 25 ottobre 2013)
Nuoto - Ammoniti Qatar e Emirati Arabi per la discriminazione degli atleti israeliani
ROMA, 24 ott. - La Federazione internazionale del nuoto (Fina) ha ammonito Qatar ed Emirati Arabi per episodi discriminatori nei confronti degli atleti israeliani nel corso delle prove di Coppa del Mondo di nuoto in vasca corta disputate la scorsa settimana a Doha e Dubai.
Secondo testimoni oculari, infatti, non si è tenuta una premiazione per evitare di nominare Israele e per lo stesso motivo il nome del Paese non è stato mostrato nella sovraimpressione televisiva, inoltre nelle eliminatorie non è stata effettuata la consueta presentazione dei nuotatori con la bandiera del loro paese di origine.
Il Qatar e gli Emirati Arabi sono tra i paesi che non hanno relazioni diplomatiche con Israele. La Fina ha spiegato di essere intervenuta con gli organizzatori dopo questi incidenti, tutti accaduti nella prima giornata di gare, e che poi non si sono più verificate azioni discriminatorie contro gli atleti israeliani.
(Adnkronos, 24 ottobre 2013)
Iran - Cristiani condannati a 80 frustate per aver bevuto vino eucaristico
TEHERAN, 24 ott- Un tribunale nella città iraniana di Rasht ha condannato quattro membri della "Chiesa dell'Iran", denominazione cristiana protestante, a 80 frustate ciascuno per aver bevuto vino della comunione durante una liturgia cristiana. Secondo l'agenzia Fides il verdetto è stato emesso il 20 ottobre e i quattro cristiani, tutti cittadini iraniani, hanno 10 giorni per fare ricorso. Come riferisce l'Ong "Christian Solidarity Worldwide" (Csw), la sentenza è motivata dal "consumo di alcol" e dal "possesso di una antenna satellitare". Secondo fonti di Fides, il provvedimento fa parte del giro di vite sulle cosiddette "chiese domestiche" che non sono autorizzate né tollerate, e contro le comunità che celebrano il culto in lingua persiana. In una dichiarazione inviata a Fides, Mervyn Thomas, direttore esecutivo di Csw, afferma: "Le pene inflitte a questi membri della Chiesa dell'Iran criminalizzano il sacramento cristiano della Comunione e costituiscono una violazione inaccettabile del diritto di praticare la fede liberamente e pacificamente. Sollecitiamo le autorità iraniane ad assicurare che le procedure legali della nazione non contraddicano il suo obbligo internazionale a garantire il pieno godimento della libertà di religione o di credo".
(AgenParl, 24 ottobre 2013)
Kerry non ha convinto Netanyahu
Il segretario di Stato Usa, John Kerry, non e' riuscito a convincere Israele che Washington sapra' mantenere gli occhi aperti e non si lascera' ingannare nel negoziato sul nucleare iraniano: lo scrive il New York Times, all'indomani del lungo faccia a faccia a Villa Taverna, a Roma, tra Kerry e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Secondo il quotidiano della 'Grande Mela', Kerry non e' riuscito a convincere il premier israeliano a rinunciare alla sua ferma richiesta che si arrivi a un completo smantellamento del nucleare iraniano per lasciare spazio al compromesso che gli Usa e le altre potenze mondiali vogliono esplorare pertrovare un accordo con il nuovo presidente iraniano, Hassan Rohani.
(affaritaliani.it, 24 ottobre 2013)
Batsheva Ensemble porta la Deca Dance a Brescia
BRESCIA - Il 30 ottobre alle 21.00 l'israeliano Ensemble Batsheva porterà al Teatro Grande lo spettacolo Deca Dance, una suite di nove singoli pezzi straordinari interpretati da quattordici danzatori e firmati dal celebre coreografo Ohad Naharin che dal 1990 ne è direttore artistico. L'Ensemble Batsheva, parte della storica compagnia Batsheva, è uno dei giovani gruppi israeliani più conosciuti e apprezzati in tutto il mondo: grazie a un quotidiano allenamento basato sulle tecniche del Gaga, i danzatori di Batsheva portano avanti una particolare ricerca sulle infinite possibilità del movimento e sullo sviluppo della propria sensibilità.
In uno spazio scenico interamente vuoto, Ohad Naharin (ri)compone con Deca Dance uno dei suoi innumerevoli patchwork: una sorta di rimontaggio di singoli estratti da alcuni dei suoi lavori, riassemblati qui secondo un nuovo ordine (soggetto a variazioni e integrazioni di sera in sera) capace di testimoniare la ricchezza di un creatore e il repertorio di una compagnia fantastica che hanno ormai attraversato con pieno riconoscimento il globo. In Deca Dance è la capacita di focalizzare e riorientare che eccita l'occhio: l'attenzione dello spettatore salta dalle grandi scene d'insieme che si muovono all'unisono fino allo spasmo di un dito. Questa è la danza che non rievoca una narrazione esterna, non racconta una particolare storia, ma parla con energica esuberanza della meraviglia e della gioia della danza stessa.
Ohad Naharin si è formato alla Bat-Dor School of Dance in Israele, e alle newyorkesi Juilliard e School of American Ballet; è stato danzatore anche per Martha Graham e dal 1990 diventa direttore della Batsheva Dance Company che ha recentemente ricevuto al Teatro Grande il prestigioso Premio Danza&Danza 2012. Naharin è senz'altro uno dei più interessanti e richiesti coreografi a livello internazionale: molte sue creazioni sono nel repertorio delle più importanti compagnie contemporanee di danza e balletto.
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BATSHEVA ENSEMBLE è la compagnia giovanile della celebre Bathseva Dance Company, diretta da Ohad Naharin, che ha recentemente ricevuto al Teatro Grande il prestigioso Premio Danza&Danza 2012. Batsheva Ensemble è stato fondato per volontà dello stesso Naharin nel 1990, anno della nomina a direttore artistico. I danzatori, di età compresa tra i 18 ed i 24 anni, vengono selezionati ogni anno con la supervisione di Naharin stesso, partendo da una rosa di 300 ragazzi, alcuni dei quali già diplomati e provenienti dalle più importanti scuole di danza di tutto il mondo. Tra i diplomati "illustri" dell'Ensemble spiccano i nomi di Hofesh Schechter e Itzik Galili, oggi tra i migliori coreografi internazionali. Oltre ad esibirsi in Israele, l'Ensemble tiene regolarmente prove aperte, classi di Gaga e workshop di repertorio per le scuole di danza. La compagnia è coinvolta attivamente anche nel sociale e si esibisce regolarmente per le popolazioni disagiate d'Israele. Tra le attività recenti ricordiamo nel 2012 l'applaudita partecipazione al Festival d'Edimburgo ed una lunga tournée in Gran Bretagna che ha toccato anche Londra con alcune recite al Sadler's Wells.
(BSNews.it, 24 ottobre 2013)
Europa League - Eintracht Francoforte contro Maccabi Tel Aviv
Eintracht Francoforte-Maccabi Tel Aviv- Questa sera, alle ore 21:05, ha inizio la sfida di vertice del girone F. La squadra di casa è prima a quota 6 punti, gli ospiti inseguono a 4. Sarà un match ricco di emozioni e giocato ad altissimi ritmi.
EINTRACHT FRANCOFORTE: punteggio pieno. La squadra di casa si ritrova al primo posto del raggruppamento F. Cammino perfetto, nessuna compagine sino a qui, è riuscita ad impensierirla. In caso di vittoria, i tedeschi ipotecherebbero il passaggio del turno con ben tre giornate da disputare. Nell'ultima giornata di Bundesliga, l'Eintracht ha pareggiato in casa contro il Norimberga. Questa sera Armin Veh, tecnico dell'Eintracht, vuole fare bottino pieno.
MACCABI TEL AVIV: buona posizione. La squadra di casa è reduce da una vittoria in campionato in cui ha sconfitto l'IR Hasharon per 1-0. Gli israeliani sperano in un risultato positivo che possa mantenere la distanza sulle inseguitrici. Questa sera sarà impresa ardua: sulla carta, infatti, i tedeschi appaiono nettamente favoriti.
(Te La Do Io L'America, 24 ottobre 2013)
Pronto il piano di ampliamento dell'International Convention Center di Gerusalemme
Avrà un hotel da 800 camere
È il più grande centro congressi di Israele, e ospita annualmente circa 500 eventi nazionali e internazionali per un totale di 400mila partecipanti. Ora, come parte di un progetto di valorizzazione del business district della città, e per rispondere alla crescente domanda congressuale, l'ICC Jerusalem sarà sottoposto a un intervento di ampliamento che vedrà la costruzione di un albergo, un centro uffici e una via commerciale con negozi, caffè e ristoranti.
Attualmente l'International Convention Center ha una superficie di 31mila metri quadrati e dispone di 27 spazi meeting ed espositivi di diverse dimensioni: il nuovo progetto prevede l'aggiunta di 56mila metri quadrati, dove troverà posto anche un hotel congressuale con 800 camere, 6mila metri quadrati di aree espositive, auditorium, ballroom e centro comunicazione.
"Il progetto nasce dalla volontà di rivedere il centro congressi con uno sguardo al futuro, alle esigenze della domanda per gli anni a venire e alla tecnologia" commenta Mira Altman, CEO dell'ICC Jerusalem. "Per definirlo abbiamo condotto ricerche di mercato, incontri con alcune delle figure di riferimento del settore meeting e di quello del turismo per farci un'idea chiara di quali sono le richieste del mercato attuali e future".
Il complesso del centro congressi sorge all'ingresso della città, a breve distanza dalla stazione ferroviaria e dal metrò leggero di superficie ed è quindi facilemnte raggiungibile: "Gerusalemme ha il grande vantaggio di essere una destinazione turistica di rilevanza internazionale: l'ampliamento del complesso dell'ICC porterà alla città benefici in termini economici, occupazionali e promozionali", conclude Mira Altman.
(eventreport, 23 ottobre 2013)
Siria - Raid di Israele contro armi destinate a Hezbollah
KUWAIT CITY, 23 ott. - Caccia israeliani hanno bombardato un convoglio di mezzi che trasportava armi destinate a Hezbollah lungo il confine tra Siria e Libano. E' quanto ha rivelato il quotidiano kuwaitiano 'Al-Jarida', che cita fonti del ministero della Difesa israeliano.
Le fonti hanno spiegato che il raid israeliano e' scattato lunedi', sulla base di informazioni d'intelligence, secondo le quali il movimento sciita libanese era sul punto di ricevere un carico di missili a lungo raggio dalla Siria. Non e' chiaro, tuttavia, se l'attacco sia avvenuto in territorio libanese o siriano. I missili erano destinati ai depositi di armi di Hezbollah nella Valle della Bekaa.
(Adnkronos, 23 ottobre 2013)
Il Ministero dell'Agricoltura Israeliano in Sicilia
Si sta svolgendo in Sicilia dal 20 al 24 ottobre c.m. una study visit da parte di alcuni membri del Ministero dell'Agricoltura Israeliano.
Le aree di interesse della visita andranno dalla diversificazione alle infrastrutture rurali, ai servizi essenziali, al rinnovamento di villaggi, alla valorizzazione delle tradizioni locali, incentivazione di attività
turistiche, gestione e valorizzazione di aree protette e/o naturali, energie rinnovabili, itinerari tematici, centri espositivi in ambito rurale, vendita diretta e trasformazione dei prodotti in ambito aziendale.
Il programma ha avuto inizio il 21 ottobre con la visita della Fattoria Solidale di Tagliavia, esempio di collaborazione tra l'Assessorato delle Risorse Agricole e Alimentari e alcune aziende leader che spontaneamente, con le loro conoscenze maturate in campo, hanno dato un contributo fattivo per la realizzazione oltre che delle produzioni agricole anche dell'inclusione sociale e di nuove forme di welfare. Nella stessa giornata si è proceduto con la visita del Bosco di Ficuzza (Riserva Naturale Orientata) e del Centro Regionale per il recupero della Fauna Selvatica di Ficuzza.
Il Tour della Sicilia proseguirà nelle giornate di mercoledì e giovedì, con la visita di aziende produttrici di formaggi, di olio extra vergine di oliva, ed aziende vitivinicole, attraverso il viaggio nelle sue campagne, alla scoperta delle tradizioni enogastronomiche, delle bellezze storiche e paesaggistiche dell'Isola, all'interno anche di percorsi enoturistici.
Molteplici le attività offerte in queste giornate: dalla visita alle coltivazioni, agli allevamenti ed alle attrezzature delle aziende, dall'osservazione partecipata dello svolgersi in concreto di attività agricole alla visita a luoghi di interesse naturalistico per l'osservazione florofaunistica e geologica, alla proiezione di dibattiti sui temi della natura e dell'agricoltura in generale.
"Ci sentiamo orgogliosi e soddisfatti per la scelta del Governo Israeliano di visitare la Sicilia quale laboratorio di idee e soluzioni per la realizzazione di un agricoltura che guardi alla biodiversità ed al legame col territorio, principi sui quali stiamo focalizzando la nostra attenzione al fine di generare un sistema agricolo locale di qualità ma soprattutto fortemente ricoscibile in tutta Europa" ha dichiarato l'assessore Dario Cartabellotta.
(Il Moderatore, 23 ottobre 2013)
Novara: targa per l'allenatore ebreo Weisz
In seguito alle polemiche per il saluto romano di Katidis
ROMA, 23 ott - Lunedì, in occasione del posticipo con il Cesena, allo stadio del Novara sarà apposta una targa in memoria di Arpad Weisz, l'allenatore ebreo (di Novara, Inter e Bologna) morto nel campo di concentramento di Auschwitz. La decisione venne presa dopo le polemiche per l'arrivo a Novara del greco Katidis, famoso per aver esultato con il saluto romano dopo un gol. Il Novara aveva assicurato che, per dimostrare di non aver nulla a che fare con tendenze nazifasciste, avrebbe ricordato Weisz.
(ANSA, 24 ottobre 2013)
Germania - Lo smartphone rivela le abitazioni delle vittime dellOlocausto
ROMA, 23 ott - In Germania e' stata lanciata una nuova applicazione per telefoni cellulari che rivela i nomi e le foto delle vittime dell'Olocausto alle persone che passano vicino alle loro ex abitazioni. ''Cio' che immaginiamo e' un museo virutale alla memoria dell'Olocausto'', ha commentato la portavoce dell'azienda Kfw che ha sviluppato l'applicazione, Martina Bachmann. ''Vogliamo divulgare e far conoscere il destino delle vittime dei nazisti, dare loro un nome e una biografia'', ha aggiunto la portavoce. In numerose citta' tedesche, tra cui Colonia, esistono gia' le 'Stolpersteine' (pietre di inciampo), un'iniziativa dell'artista tedesco Gunter Demnig per ricordare gli ebrei deportati dai nazisti nei campi di sterminio. L'applicazione 'Stolpersteine Muenchen' e' un ''monumento digitale contro l'oblio'', ha aggiunto la portavoce Bachmann. Quando un utente si avvicina con il suo smarthphone a un edificio dove vive una vittima dell'Olocausto, ''sullo schermo del cellulare appaiono la foto, la data di nascita e di morte e altri dettagli biografici della vittima'' ha detto la Bachmann, spiegando il funzionamento dell'applicazione.
(ASCA, 23 ottobre 2013)
Anche in Italia qualcuno si è accorto del boicottaggio anti-israeliano nel Qatar.
Ci sarà qualche grande giornale che riporterà la notizia?
Qatar: rimossa la bandiera di Israele da gare internazionali di nuoto
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Il display che manca è del nuotatore israeliano Gal Nevo |
DOHA, 23 ott - Il Qatar ha rimosso la bandiera di Israele esposta al Centro Acquatico Hamad di Doha durante i campionati di nuoto FINA Swimming World Cup 2013 a cui partecipano anche nuotatori israeliani.
La notizia riportata da Doha News è stata accolta con entusiasmo dalla popolazione qatarina contraria alla partecipazione di Israele a un evento sportivo in Qatar, ma la cosa ha suscitato critiche da parte di molti addetti ai lavori, convinti che questa sia una discriminazione inammissibile soprattutto in ambito sportivo. L'organizzazione Qatar Youth Opposed to Normalization (QAYON) aveva chiesto in una lettera indirizzata al presidente della Qatar Swimming Association di boicottare Israele. L'ostilità dell'emirato verso Israele non è una novità. Nel 2011 durante la conferenza delle sedi regionali per il boicottaggio di Israele, Abdul Latif Khalid Al Rumaihi, un ufficiale del servizio doganale del Qatar, dichiarò che il Qatar era stato fra i primi Paesi a richiedere di imporre un blocco totale dei prodotti israeliani nel mercato locale. Molti residenti in Qatar si chiedono se il Paese intenda applicare queste discriminazioni a tutti gli eventi sportivi internazionali che si terranno a Doha, in particolare ai Mondiali di Calcio del 2022.
"Cosa farà la gente quando ci saranno i Mondiali? Si chiamano Mondiali. Non si può vietare a un Paese di partecipare" scrive un commentatore qatarino sul web.
A novembre verrà discussa l'introduzione di una legge che impone test all'immigrazione per individuare omosessuali e trans e vietare loro di entrare nel Paese. Molti si chiedono se queste norme discriminatorie siano compatibili con l'organizzazione di un evento sportivo internazionale aperto a tutti e richiedono l'intervento delle associazioni sportive di tutto il mondo per garantire il rispetto di diritti fondamentali e di standard internazionali.
(ANSA, 23 ottobre 2013)
Sistemi di trasporto intelligenti: Tts Italia firma MoU con Its Israele
In occasione del 20o Congresso Mondiale sugli ITS svoltosi a Tokyo dal 14 al 18 Ottobre, Tts Italia ha firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con ITS Israele il 17 ottobre 2013.
Il MoU è stato firmato rispettivamente dalla Presidente di TTS Italia, Rossella Panero, e dal Chairman di ITS Israele, Ur Omry, con lo scopo di favorire le partnership tra le aziende italiane e israeliane per quanto riguarda gli aspetti di formazione, ricerca, cooperazione commerciale, scambio di informazioni ed organizzazione di workshop e seminari bilaterali nel settore degli Intelligent Transport Systems (ITS).
L'accordo tra le due Associazioni nasce per iniziativa del progetto europeo MEDUSA (MEDiterranean follow Up for EGNOS Adoption) di cui Telespazio, socio ordinario di Tts Italia, è coordinatore. Il progetto svolge il ruolo di catalizzatore per l'introduzione e lo sviluppo dei servizi di navigazione satellitare europea (EGNOS e Galileo) nei paesi dell'area Euromed, che comprende gli stati del Nord Africa (Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia) e Medio Oriente (Giordania, Israele, Libano, Palestina e Siria).Il MoU tra TTS Italia e ITS Israele rappresenta un ulteriore mezzo di sviluppo e diffusione degli ITS e in particolare dei servizi di navigazione satellitare EGNOS in previsione di Galileo.
(Trasporti-Italia.com, 23 ottobre 2013)
Shoah: i fratelli Zingaretti ricordano la bisnonna deportata
Evento al ghetto di Roma in ricordo della retata del 16 ottobre 1943
di Virginia Di Marco
ROMA - "Stamattina ho preso un valium". La signora Zingaretti, madre di Nicola e Luca (rispettivamente, presidente della Regione Lazio e noto attore) e di Angela appariva visibilmente emozionata, ieri sera, nel vecchio ghetto ebraico di Roma. La serata organizzata dai tre fratelli Zingaretti nel quadro delle iniziative per ricordare il 16 ottobre 1943, la razzia contro gli ebrei romani, per lei è stata una sorpresa. "Qualche giorno fa mi hanno detto: Mamma, compra Repubblica".
Sul quotidiano di Ezio Mauro figurava un articolo scritto a sei mani dai suoi figli, i quali annunciavano che, in memoria della loro bisnonna Ester, ebrea deportata ad Auschwitz dopo essere stata catturata dai nazisti in quel giorno fatidico, si sarebbe tenuta una rappresentazione, basata sullo scritto di Giacomo Debenedetti "16 ottobre 1943".
La storia della famiglia Zingaretti ha assonanze con quelle di tante famiglie di ebrei romani. L'arrivo improvviso dei tedeschi, qualche voce girata poco prima, una fuga all'ultimo minuto per cercare di mettersi in salvo. La loro nonna ce la fece: sfuggì alla razzia e nascose in convento la figlia, che al tempo aveva 7 anni. La bisnonna invece fu catturata: morì appena messo piede ad Auschwitz. "Siamo vivi per caso", ha dichiarato Nicola Zingaretti, che ha presentato la serata insieme alla sorella Angela. "Una nazione senza memoria è una nazione fragile: rischia di commettere sempre gli stessi errori. Per questo noi abbiamo deciso di impegnarci in prima persona per preservare il ricordo". Sul palco poi è salito Luca, insieme a quattro colleghi: una occasione più unica che rara di vedere i due famosi fratelli uno a fianco all'altro in un'iniziativa pubblica. La rappresentazione ha attirato una folla molto cospicua: strapiena la platea, in largo 16 Ottobre, e anche le strade circostanti.
Lo spettacolo è durato una cinquantina di minuti circa; poi un applauso scrosciante lungo almeno un paio di minuti. Tanti, tra chi applaudiva, hanno ritrovato nelle parole recitate i racconti di nonni e genitori. Tra di loro, anche Arnaldo, 71 anni, scampato anche lui alla razzia. "C'era giunta voce che stavano prendendo tutti, siamo scappati. Io in braccio a mia madre, avevo 16 mesi. Uscendo dal portone di casa, vedemmo avanzare verso di noi un drappello di tedeschi. Li precedeva il commissario di zona, che conosceva bene i miei genitori. Li guardò in faccia e disse sottovoce: 'Voi siete degli inquilini che stanno uscendo dal palazzo' e tirò dritto, portandosi dietro i tedeschi". Anche Arnaldo, come gli Zingaretti, e tanti altri ebrei romani, è vivo per caso.
(ANSAmed, 23 ottobre 2013)
Terremoti in Israele: pronto un nuovo piano di esercitazioni
Dopo le scosse dei giorni scorsi il governo si è riunito d'urgenza, decretando nuove misure di prevenzione. Israele è una zona ad alto rischio sismico, sulla faglia sirio-africana.
Quattro piccoli terremoti hanno provocato l'allerta delle strutture istituzionali di Israele, con il premier, Benjamin Netanyahu, che ha annunciato una serie di misure per preparare la popolazione in caso di sisma. Sono state organizzate delle esercitazioni supplementari nelle scuole, e un nuovo piano informativo sui comportamenti da adottare per la popolazione. Il governo israeliano, dopo le scosse, si è riunito per fare il punto della situazione, in una lunga riunione presidiata da Netanayhu alla quale hanno partecipato vari ministri e alti gradi dell'esercito responsabili della difesa passiva , geologi ed esperti.
Le quattro scosse registrate in questi ultimi giorni nel nord d'Israele non hanno provocato né vittime e né danni. Ma Israele si trova lungo una faglia, quella siro-africana, una zona ad elevato rischio sismico. A rischio soprattutto la parte orientale, lungo la Valle del Giordano, dove un terremoto di forte intensità potrebbe avere effetti distruttivi, con pesanti conseguenze per la popolazione.
(Il Giornale della Protezione Civile, 23 ottobre 2013)
Israele - Elezioni amministrative, vincono i sindaci uscenti (e l'astensione)
di Rossella Tercatin
È la vittoria dei sindaci uscenti, ma anche del partito dell'astensione. Questo il quadro che emerge all'indomani delle elezioni comunali che hanno coinvolto quasi 200 città israeliane.
Elezioni che hanno visto ridursi ulteriormente l'affluenza a livello nazionale, molto al di sotto del al 51 per cento del 2008 (già allora considerato basso), e soprattutto nelle grandi città (a Gerusalemme ha votato il 36 per cento degli aventi diritto contro il 43,2 del 2008, a Tel Aviv il 31 contro il 35,5). Nel quadro della partecipazione scarsa comunque, l'affermazione politica va senz'altro ai sindaci uscenti, che si vedono in gran parte riconfermata la fiducia dei propri concittadini.
Impossibile non partire dalla sfida per Gerusalemme, la più seguita per le commistioni con gli equilibri nazionali emerse nel corso della campagna elettorale. A spuntarla alla fine è stato Nir Barkat (nell'immagine), con il 51,1 per cento delle preferenze contro il 45,3 dello sfidante Moshe Lion, cui non è dunque bastato l'endorsement di diversi leader di primo piano della scena politica per portare dalla sua parte un'opinione pubblica che guardava con generale favore l'operato di Barkat nel suo primo mandato. Sconfitto insieme a lui innanzitutto Avigdor Lieberman e il suo Yisrael Beytenu (formazione di destra punto di riferimento degli israeliani recentemente immigrati dall'area dell'Ex Unione sovietica) che aveva imposto Lion come candidato del blocco Likud-Beytenu, ma anche il partito sefardita religioso Shas, che lo aveva appoggiato sperando di usare le elezioni di Gerusalemme come grimaldello per scardinare l'alleanza tra il premier Benjamin Netanyahu e lo stesso Lieberman, e dunque mettere in crisi il governo: un fallimento che rappresenta potenzialmente un brutto colpo per Aryeh Deri, attuale leader di Shas impegnato a rafforzare la sua posizione dopo la scomparsa della guida spirituale del partito rav Ovadia Yosef. Certo a pesare sul risultato sono stati diversi fattori, il gelo di Netanyahu per esempio, che aveva sponsorizzato Barkat nel 2008, e che non ha mai speso neanche una parola per Lion, a differenza di quanto fatto per gli altri candidati sindaci del Likud nel resto del Paese. Non secondario poi il fatto che Lion si fosse trasferito a Gerusalemme solo poco prima delle elezioni, dal sobborgo di Tel Aviv Giv'ataim. Dove ora, ha annunciato la scorsa notte, ammettendo la sconfitta, tornerà a vivere a dispetto delle promesse pre-elettorali in senso contrario.
Non ha invece vissuto momenti di particolare preoccupazione il sindaco di Tel Aviv-Yaffo Ron Huldai sostenuto principalmente dal Labor, che ha ottenuto la vittoria sullo sfidante dell'ultrasinistra di Meretz Nitzan Horowitz con il 53 per cento dei voti a fronte del 38. Huldai si appresta a servire per il quarto mandato consecutivo. A Haifa vittoria di misura del sindaco Yona Yahav, già parlamentare del Labor; riconfermato anche Ruvik Danilovich a Beersheva, Meir Yitzhak Halevi a Eilat, Yehiel Lasri ad Ashdod. Nella cittadina di Bet Shemesh, teatro di profonde tensioni tra la popolazione haredi e il resto della cittadinanza, in prevalenza sionista religiosa, confermato il sindaco dello Shas Moshe Abutbul che ha sconfitto lo sfidante sostenuto dai partiti non haredim Eli Cohen.
Tra i cambi della guardia più significativi, quello del sindaco di Ashkelon (vittoria per Itamar Shimoni su Benny Vaknin) e della cittadina di Sderot nel sud di Israele spesso bersaglio dei razzi di Hamas sparati da Gaza: sostenuto da Likud-Beytenu, la destra nazional religiosa di Habayit Hayehudi e il Labor, Alon Davidi ha sconfitto l'uscente David Buskila.
Necessario il ballottaggio per Herzliya, dove nessuno dei tre candidati Zvika Hadar, Moshe Padlon e l'uscente Yonatan Yasou ha raggiunto la soglia minima per essere eletto al primo turno (il 40 per cento).
Se gli analisti hanno fatto notare già negli scorsi giorni come i palestinesi di Gerusalemme Est che rappresentano oltre un terzo della popolazione della città, abbiano ancora una volta deciso di boicottare le elezioni, nelle città arabe l'affluenza alle urne è stata generalmente molto alta con picchi dell'80/90 per cento degli aventi diritto.
L'incognita più pressante rimane ora quale conseguenze potrà avere la sconfitta di Lion a Gerusalemme per Shas, ma soprattutto per Yisrael Beytenu e il suo leader Lieberman, che negli scorsi mesi ha più volte dato segni di un certo mal di pancia politico nei confronti dell'alleato Likud. Anche se per capire qualcosa di più sul futuro del patto tra le due formazioni, sarà probabilmente necessario attendere il 6 novembre, quando arriverà la sentenza del processo che vede il magnate moldavo imputato per corruzione e abuso di potere. Un autentico giorno del giudizio, in più di una prospettiva.
(Notiziario Ucei, 23 ottobre 2013)
Lo spettro dell'antisemitismo visita l'Europa
di Luca Di Trani
Da Mosca "La Voce della Russia"!
L'intolleranza continua a germogliare.
Nonostante gli insegnamenti della storia l'antisemitismo e le violenze contro le minoranze continuano a sporcare l'Europa. A corroborare le difficoltà si inseriscono le problematiche migratorie che, assieme alla crisi finanziaria, favoriscono il rilancio di formazioni politiche di ala estrema.
Preoccupati dalle allarmanti rivelazioni dell'Agenzia per i diritti Fondamentali dell'UE, che rivelano l'acuirsi delle tendenze antisemite in Europa, abbiamo rivolto alcune domande ad Adam Smulevich addetto stampa e redattore UCEI (Unione Comunità Ebraiche Italiane).
Adam, ricordandoci le sue radici familiari che lo legano alla Russia, ci ha offerto la sua testimonianza dall'Italia.
L'intervista
- CORRISPONDENTE: Secondo il rapporto dell'agenzia per i diritti fondamentali dell'UE di quest'anno, l'Europa sembrerebbe scossa da una nuova ondata antisemita: il 26% degli ebrei residenti in Europa ha subito molestie antisemite almeno una volta durante l'ultimo anno ed il 34% ne ha subite nel corso degli ultimi cinque anni. La comunità ebraica in Italia si sente minacciata?
SMULEVICH: La comunità ebraica italiana guarda con preoccupazione all'evolversi di questo fenomeno europeo. Notizie particolarmente gravi arrivano dall'Europa dell'est, dall'Ungheria e dall'Ucraina oltre che da Paesi limitrofi. Possiamo, infatti, citare il caso francese dove si assiste ad un tasso di violenza verbale veramente significativo.
La situazione italiana non è comparabile al momento, ma è comunque ben monitorata, ci sono iniziative ben precise attuate in accordo con le istituzioni e le forze dell'ordine. La soglia di vigilanza è molto alta e siamo consapevoli di non essere soli; è una battaglia comune ed il coinvolgimento è dell'intera comunità italiana, non solo istituzionale.
- CORRISPONDENTE: Crede che l'aumento di episodi di antisemitismo in Europa possano essere legati con l'aumento della popolazione musulmana e con il maggior successo dei partiti di estrema destra e sinistra?
SMULEVICH: E' un fenomeno molto difficile da valutare globalmente, purtroppo la storia stessa ci insegna che ci sono diversi tipi di antisemitismo; esiste, infatti, l'antisemitismo dato dal fanatismo religioso o un antisemitismo economico - finanziario. Chiaramente ci sono tantissimi fattori che possono incidere ed ogni Paese ha le sue particolarità. Il rafforzarsi di alcuni integralismi, non esclusivamente nelle comunità islamiche, non favorisce la situazione non solo nei confronti degli ebrei, ma anche verso altre identità che sono in questo momento molto esposte, poste sott'attacco o utilizzate come capro espiatorio. E' un fenomeno d'intolleranza che cresce e non riguarda solo noi, è un fenomeno globale!
- CORRISPONDENTE: La vostra comunità guarda con preoccupazione il successo di partiti appartenenti all'ala estrema o non gli prestate molta importanza?
SMULEVICH: No, stiamo monitorando la situazione. Abbiamo, infatti, partecipato con una delegazione piuttosto nutrita guidata dal Presidente delle Comunità Ebraiche Renzo Gattegna ai lavori che il World Jewish Congress ha organizzato nel marzo scorso a Budapest. Questa città è un po' la capitale dove questi fermenti di odio e di violenza verbale e fisica stanno prendendo piede in una maniera veramente inquietante. Siamo già intervenuti giudicando insufficienti le valutazioni del Primo Ministro ungherese Orban. Abbiamo una commissione all'interno dell'UCEI che è l'organo ombrello di tutte le comunità ebraiche italiane, abbiamo commissioni espressamente dedicate a questo tema che lavorano in stretto rapporto con le comunità ebraiche europee e mondiali. E' un fenomeno che monitoriamo e sul quale interveniamo, facendo proposte molto concrete.
- CORRISPONDENTE: Crede che il grande risalto mediatico sulla morte di Erich Priebke possa aver dato, seppur involontariamente, maggior voce ai gruppi di estrema destra in Italia?
SMULEVICH: Purtroppo sulla questione Priebke sono confluiti molti esibizionismi tra cui alcuni provocatori di professione, come l'avvocato Giachini che ha cavalcato l'onda.
Noi, come Comunione delle comunità ebraiche italiane, non abbiamo ritenuto necessario intervenire sulla morte in sé, ritenendola una notizia insignificante. Quello che avevamo da dire su Priebke l'abbiamo detto negli anni scorsi e la storia l'ha già condannato; diverso è invece il discorso sulla sepoltura perché c'era il rischio di farne un simbolo. E' evidente che questa storia dia voce e forza a questi gruppi, ma questo è un po' il rischio del nostro lavoro di comunicazione.
L'ebraismo italiano, dobbiamo ricordarlo, è una delle identità più antiche di questo Paese, forse la più antica; siamo i depositari di alcuni valori che sono irrinunciabili e che vorremmo trasmettere, mentre invece siamo costretti ad occuparci di questi sconfitti della storia, di questi negazionisti dando così la convinzione a questi gruppi di poter avere un ruolo nel dibattito pubblico e politico. E' evidente che se su questa vicenda ci fosse stato minor clamore mediatico forse sarebbe stato meglio
- CORRISPONDENTE: Crede che lo stato italiano abbia gestito bene questa vicenda o no?
SMULEVICH: E' stata sicuramente una vicenda molto complicata da gestire, indubbiamente il fatto che stiamo ancora qui a parlarne dopo dieci giorni, con la salma in un hangar di un aeroporto non è proprio la situazione ideale. Forse poteva essere gestita diversamente, non che altri Paesi che avevano un ruolo nella vicenda abbiano offerto qualche tipo d'aiuto all'Italia
Non è certamente facile trovare una soluzione ottimale, per noi dell'UCEI il punto ineludibile era quello di negare qualsiasi forma di sepoltura all'interno della città di Roma o nella sua provincia come segno di rispetto nei confronti delle vittime di Priebke, sia alle Fosse Ardeatine, sia nella famigerata via Tasso. Questo è stato il punto accolto, nonostante le vane provocazioni di chi come l'avvocato Giachini dicevano che non si sarebbero fatti mettere i piedi in testa dagli ebrei italiani. Speriamo che su questa storia cada un velo.
Ci tenevamo molto a dire, come UCEI, così come il presidente Gattegna ha affermato chiaramente in un'intervista su "Repubblica", che il nostro grande problema è di essere chiamati in causa spesso per doverci occupare di persone sconfitte dalla storia, di negazionisti e di non riuscire a trasmettere quelli che sono i valori e la storia degli ebrei italiani. Parliamo di valori irrinunciabili che hanno 2200 anni di storia, elementi cardine dell'identità italiana democratica, plurale ricca e sfaccettata. Le comunità ebraiche dovrebbero svolgere il ruolo della trasmissione e della condivisione di questi valori, ma purtroppo a causa di certe dinamiche strane dei media, siamo chiamati a dibattere con persone totalmente squalificate e questo è un grande peccato!
(La Voce della Russia, 22 ottobre 2013)
I Kibbutz israeliani: villaggi collettivi verdi e solidali
di Arturo Carlino
Esistono decine di comunità "verdi", in Israele, molto diverse tra loro ma che hanno in comune la volontà di allontanarsi dalla società dei consumi, la ricerca di nuove forme di economia sostenibile, l'avvicinamento alla natura.
Sono i Kibbutz, gruppi più o meno organizzati di persone che hanno deciso di vivere la propria vita dedicandosi ad attività alternative, rispettose dell'animo umano e dell'ambiente.
È un fenomeno in controtendenza: da anni infatti, soprattutto nel settore agricolo, in questo Paese si punta sull'alta tecnologia e sugli OGM per piegare l'agricoltura verso forme di produzione altrimenti irrealizzabili. Ma a questa visione tecnologica, ampiamente dominante, si stanno rapidamente contrapponendo comunità naturalistiche basate sul biologico.
Non sono hippie nostalgici degli anni '60, ma piuttosto persone che hanno deciso di lavorare diversamente, sottraendosi alla corsa e allo stress che caratterizzano il mondo occidentale, ricercando un nuovo equilibrio fra individualismo e collettività.
Una delle tradizionali "Fair" più affollate si svolge a Hukok, sulle rive del lago di Tiberiade, in uno dei più antichi villaggi collettivi del Paese. In questa comunità vivono una quarantina di famiglie, con una scuola che educa 70 bambini seguendo i principi dell'ecologia ambientale, sociale e culturale. Hanno orti che coltivano in maniera collettiva e organizzano periodicamente un mercato in cui vendono i loro prodotti. Il pranzo è in comune e rigorosamente vegetariano, mentre la sera, a cena, ognuno mangia ciò che vuole.
Sono oltre 50 le comunità come quella di Hukok e continuano a nascerne di nuove. In un Paese in cui da anni si punta su tecnologia e OGM, questo movimento in forte espansione è davvero da prendere come esempio.
(greenMe, 22 ottobre 2013)
Il neonazista che si scoprì ebreo
L'incredibile e vera storia dell'eurodeputato ungherese Csanàd Szegedi, dall'estrema destra alla sinagoga.
In giro sulla rete si trovano ancora le sue foto da nipotino di Hitler, panciotto nero, braccio levato e sotto il podio, su bandiera tricolore, la scritta "Magyarorszag a magyaroke!", ovvero l'Ungheria agli ungheresi. Ma Csanàd Szegedi non è più lui, ha lasciato il partito, si è pentito, è diventato ebreo quasi osservante.
Giovane eurodeputato, cofondatore della "Guardia ungherese", promessa del partito di estrema destra Jobbik, secondo solo al leader Gàbor Vona e ancora più popolare di lui, Szegedi era fino a un anno fa, nel suo campo, una promessa: autore infuocato di severi diktat contro ebrei e rom e profeta del "complotto ebraico". In un paese già molto a destra, si collocava oltre il primo ministro Orban, in zona Alba Dorata, per capirci.
In questi giorni però, il tedesco Die Welt, e molti siti ebraici dedicano molto spazio all'incredibile ma vera storia della sua conversione. Una conversione dettata, in un certo senso, da motivi di forza maggiore perché Szegedi ha scoperto di appartenere al popolo che più odiava.
La vicenda covava da tempo, pare: in rete giravano voci sulla sua "scandalosa " origine tanto che i suoi stessi colleghi di partito a un certo punto avevano iniziato a fare ricerche. Senza dover neppure andare troppo in là nel tempo: la nonna di parte materna, Magdolna Klein, era scampata ad Auschwitz, nascita, il nonno, Imre Molnar, già Meisels, era sopravvissuto ai campi di lavoro. Altri parenti erano stati meno fortunati.
Szegedi, allevato nella religione luterana e nell'antisemitismo ha allora chiesto conferma all'interessata, 94enne ma ancora lucida. "Non voleva ma alla fine mi ha raccontato tutto, di Auschwitz, di come la sua famiglia fosse stata sterminata. Uno shock, ho capito che l'Olocausto era accaduto davvero", ha raccontato l'eurodeputato alla CBN.
Da lì è iniziato, racconta, un percorso che l'ha avvicinato a un rabbino, Shlomo Köves, del movimento Lubavitch - contattato cautamente via SMS. Sono l'eurodeputato Csanàd Szegedi. Desidero essere richiamato - e che per un certo periodo gli ha fatto vivere una vita schizofrenica, trattato come un "lebbroso" dai quasi ex compagni di partito, incerto sulla propria identità umana e culturale.
Ora Szegedi siede ancora all'Europarlamento, ma come indipedente, è uscito dal partito che lo ha a sua volta rinnegato, prende lezioni di ebraico, frequenta la sinagoga e tenta di mangiare kosher dopo aver in altri tempi rivendicato il maiale e la panna acida come element indispensabili della vera cucina ungherese.
Sospetto ai suoi nuovi correligionari dato il recente passato, disprezzato dagli ex commilitoni che hanno scoperto di essersi allevati una serpe in seno, ammette di aver vissuto per trent'anni secondo "valori sbagliati" e cerca di capire come sia potuto accadere.
Ma, già, com'è potuto accadere? Die Welt racconta nei dettagli la lunga e complessa storia che è alla fine, la storia di una grande paura. Fu il nonno scampato allo sterminio - mentre la prima moglie e i suoi figli erano stati sterminati - a imporre alla seconda moglie, Magdolna, anche lei ebrea, sposata con tanto di rito ortodosso, e alla loro figlia, la madre di Csanàd Szegedi, di non rivelare mai a nessuno il segreto di famiglia, nella convinzione che la persecuzione si sarebbe potuta ripetere.
Ma il padre di Csanàd lo venne a sapere e ne trasse ulteriori motivi per il suo odio antisemita in cui allevò il figlio. Un odio che ha resistito al pentimento del figlio, che nella sua nuova vita ha cercato invano di proporgli un incontro pacificatore con il "suo" rabbino.
Adesso Szegedi ammonisce contro l'odio razzista e ricorda di aver avuto qualchesegnale della verità, che al momento aveva trascurato. La madre, a un certo punto, quando lui a 17 anni aveva iniziato a frequentare i gruppi neonazisti, aveva cercato di metterlo in guardia, "Immagina come ti sentiresti se l'ebreo fossi tu". "Mi ero arrabbiato a morte con lei", confessa. Ora lo sa.
(La Stampa, 22 ottobre 2013)
Krav Maga: Per la prima volta in Italia Gabriel Shai, dell'Agenzia di Sicurezza Israeliana
Non capita spesso l'opportunità di avere come insegnante l'ex direttore del Dipartimento di Krav Maga dell'I.D.F. (Israel Defense Forces).
"Gabriel Gabi Shai, sarà per la prima volta in Italia, per una tre giorni formativa dal 25 al 27 ottobre", ha dichiarato orgogliosamente Bruno Garbi, responsabile tecnico nazionale AEKM, Accademia Europea Krav Maga, l'associazione sportiva organizzatrice della manifestazione e che, in Italia, rappresenta il KRAV MAGA OPERAZIONALE ( OKM ).
"Un'occasione unica! Shai vanta 25 anni di esperienza nei servizi di sicurezza israeliani. Gli ultimi 15 del suo servizio attivo li ha trascorsi come formatore all'interno dell'I.D.F.. Una volta congedato si è dedicato a diffondere l'O.K.M., in ambito civile, militare e presso enti governativi, dal Bope brasiliano, ai servizi argentini, francesi, greci e inglesi. Ci aspettiamo una grande adesione, soprattutto per l'ultima giornata aperta a tutti".
Krav Maga, che letteralmente significa "combattimento di contatto", è una tecnica codificata proprio per l'esercito israeliano. Nata per scopi difensivi, annovera un mix di tecniche che comprendono pugni, leve articolari, calci e proiezioni. Il krav maga punta infatti alla neutralizzazione del "nemico" prima che questi possa diventare una reale minaccia.
"Il Krav Maga non è propriamente uno sport," ha spiegato Garbi, "a livello civile è una tecnica di autodifesa, in ambito militare si configura come un sistema di combattimento vero e proprio, dove è prevista anche una parte di attacco. E' la disciplina che nel minore tempo offre un maggior bagaglio tecnico, anche perché a differenza di quasi tutti gli altri sistemi, lavora su pochi movimenti istintivi, che possono essere applicati in un numero molto ampio di situazioni. Non ci sono mosse legate a posizioni, esiste solo una "linea di difesa" da seguire. Ci sono quindi delle tecniche di risposta abbastanza universali e versatili, in modo che anche con poco allenamento e addestramento la vittima possa reagire nel modo migliore. Per questo è perfetta per le necessità di un civile, che non ha da dedicare troppo tempo ad allenarsi e ad addestrarsi come è richiesto dalle arti marziali tradizionali per ottenere risultati. Confrontando il Krav Maga con il jujitsu, ad esempio, ho notato che il tasso di progressione media tra allievi nelle due discipline è lontanissimo. I miglioramenti che nel jujitsu si hanno in due anni, nel Krav Maga si ottengono in qualche mese.
"E' importante per noi che questo appuntamento abbia sede proprio a Torino, dove è nata la nostra Accademia. Significa che siamo cresciuti! Solo nel capoluogo piemontese abbiamo una decina di scuole, dove gravitano un centinaio di allievi suddivisi in corsi più o meno avanzati civili e militari e altri solo per donne. Operiamo in Piemonte, Liguria, Lombardia, Sardegna, oltre che Svizzera e Germania." Lo stesso Garbi ha un curriculum invidiabile, ex ufficiale dell'esercito ed insegnante di arti marziali tradizionali da oltre 20 anni, si è formato in Israele, dove continua a recarsi dal 2000 per corsi di aggiornamento. Due anni fa ha addestrato i militari della Caserma Montegrappa per la preparazione alla missione di Afghanistan.
(sport2.0 news, 23 ottobre 2013)
Tajani: firmati accordi in Israele, messaggio anche politico
Tra i partner economici più importanti dell'Unione europea
TEL AVIV* - Giunto a Tel Aviv* alla guida di una nuova 'missione per la crescita' Ue (assieme con 65 rappresentanti di imprese europee), il vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani ha incontrato diversi ministri israeliani e ha firmato tre accordi di cooperazione. In giornata è anche in programma un colloquio con il capo dello Stato Shimon Peres. ''Il nostro messaggio - ha detto - è lavorare con Israele, oggi e domani. Israele è uno dei partner più importanti per la nostra economia. E questo - ha sottolineato - è anche un messaggio politico''.
Con i ministri Silvan Shalom (energia), Yaakov Peri (ricerca scientifica), Uzi Landau (turismo) e Naftali Bennett Tajani ha esaminato una vasta gamma di settori nei quali - è la sua netta sensazione - l'Unione europea ed Israele potrebbero molto beneficiare delle rispettive esperienze. Già fra alcuni mesi, ha preannunciato, una nuova delegazione di 'Missione per la crescita' tornera' in Israele per esaminare lo sviluppo di progetti turistici, fra cui il ''turismo religioso'' (incluso il turismo ebraico in Europa). ''Per quanto riguarda l'energia, abbiamo buone notizie per Israele'' ha aggiunto, riferendosi al progetto di collegare la rete elettrica israeliana a quelle di Cipro e Grecia.
Le nuove linee guida europee, che vietano la assegnazione di fondi e finanziamenti europei ad entità israeliane attive anche nei Territori, restano un elemento di preoccupazione per i dirigenti israeliani. In risposta ad una domanda di un giornalista sul futuro, in questo contesto, del progetto Horizon 2020, Tajani ha risposto: ''I problemi sono noti, ma io sono ottimista. Lavoriamo alla sua realizzazione. Non è facile, ma ci stiamo lavorando. L'importante è adoperarsi per buone soluzioni''. Ha aggiunto che a Peres confermerà l'interesse europeo a mantenere buone relazioni con Israele: ''Noi proponiamo una più stretta cooperazione, anche nei progetti Copernicus e Cosme''.
Tajani ha poi partecipato all'apertura di Watec 2013, una esposizione delle maggiori iniziative dedicate all'industria e alla tecnologia dell'acqua. Tajani ha rilevato che la penuria di risorse idriche è un problema assillante non solo per Israele ma anche per Regioni che si trovano nel Sud dell'Europa. Occorre stimolare, ha detto, investimenti nelle nuove tecnologie e rafforzare la cooperazione fra Unione europea ed Israele anche in questo settore. L'industria israeliana dell'acqua - affermano gli organizzatori di Watec - è ritenuta all'avanguardia mondiale. Il volume delle esportazioni industriali israeliane legate all'acqua è stato stimato l'anno scorso in 2 miliardi di dollari. Fra le novita' esposte in questa edizione di Watec figurano i modelli matematici sviluppati da una società per segnalare in tempo reale esplosioni o perdite nelle tubature di acqua; e anche 'vassoi' messi a punto da un'altra società per raccogliere alla base di ogni pianta la rugiada notturna. 'Vassoi' che costano pochi dollari e che riparano le piante dagli sbalzi di temperatura sul terreno.
Circa due miliardi di persone nel mondo - stimano gli organizzatori di Watec - non hanno accesso a dosi sufficienti di acqua, e questa penuria rischia di aggravarsi in futuro. A Tel Aviv* sono giunte in questi giorni delegazioni dall'Europa, dagli Stati Uniti, dalla Cina e da altri Paesi ancora per esaminare da vicino la esperienza maturata in Israele nella desalinizzazione, nella purificazione e nel riciclaggio dell'acqua, e nella irrigazione agricola a goccia.
(ANSA, 22 ottobre 2013)
* LANSA continua continua sempre, con tenacia, ad evitare il nome Gerusalemme e a sostituirlo con Tel Aviv, anche quando dice che Tajani ha incontrato ministri e perfino il capo dello Stato, i quali, a quanto si sa, svolgono le loro funzioni a Gerusalemme e non a Tel Aviv.
Mondiali di nuoto: rimossa la bandiera israeliana
DOHA - Manca una bandiera nei Mondiali di nuoto a Doha: al posto della bandiera israeliana sul display della corsia è apparso uno spazio bianco. Gli organizzatori hanno anche tolto la bandiera dello Stato ebraico dagli edifici.
Alle finali dei 100 metri, nella trasmissione in diretta prima della partenza della gara sono comparsi i nomi dei nuotatori insieme con le bandiere dei loro paesi d'origine. Ma per il nuotatore israeliano Amit Ivry gli organizzatori hanno fatto un'eccezione e hanno lasciato l'apposita casella in bianco.
Anche fuori delle piscine della capitale del Qatar la bandiera israeliana è stata rimossa, ha riferito il sito internet del Qatar "Doha News." Il motivo sarebbe stato un messaggio su Twitter. In quel contesto domenica pomeriggio l'utente "@SaraAlDisi" si è lamentato per la partecipazione di Israele all'evento sportivo in un paese musulmano. Lunedì pomeriggio la bandiera israeliana è stata tolta perché molte persone continuavano a fotografarla.
Fin da sabato il nuotatore israeliano Gal Nevo aveva fatto presente il rifiuto di Israele e dei suoi atleti. Sulla sua pagina di Facebook ha scritto che ai redattori dell'emittente televisiva era stato ordinato di far sparire la bandiera israeliana. E al posto del nome "Israele" è stato scritto soltanto "ISR" . Anche i risultati di gare che coinvolgevano Israele non sono stati visualizzati, così che gli atleti coinvolti non sapevano nemmeno se erano stati qualificati. " Eravamo lì - conclude Nevo -, ma non eravamo lì".
(israelnetz.com, 22 ottobre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Ucciso un pericoloso terrorista islamico in Giudea-Samaria
Fortunata operazione dell'esercito israeliano in Giudea-Samaria. E stato eliminato un pericoloso terrorista islamico che da alcune settimane perturbava la Giudea-Samaria. L'uomo, di cui non sono ancora state rese note le generalità, è stato ucciso al termine di un lungo scontro a fuoco. Dopo aver sparato contro i militari, il terrorista si è rifugiato in una grotta, continuando a sparare contro i soldati e rifiutando di arrendersi. Vista l'impossibilità di catturare vivo l'attivista della Jihad senza subire grosse perdite, gli israeliani hanno lanciato un razzo contro la grotta, uccidendo il terrorista che si era rifugiato nella grotta.
(Fonte: befan.it, 22 ottobre 2013)
Israele - Al voto per scegliere il sindaco
di Rossella Tercatin
Votano oggi i residenti in Israele (cittadini o meno) per rinnovare le proprie amministrazioni comunali in quasi 200 città. Seggi aperti dalle 7 del mattino alle 10 di sera ora locale; all'ultima tornata, l'affluenza si attestò attorno al 51 per cento (alle elezioni per la Knesset del gennaio 2013 ha invece votato il 60 per cento degli aventi diritto). Nell'ipotesi in cui nessuno dei candidati sindaco raggiunga il 40 per cento delle preferenze, è previsto il ballottaggio per la giornata del 5 dicembre.
Sebbene le elezioni locali siano generalmente guardate in Israele con un certo distacco rispetto alla politica nazionale in virtù di rapporti di forza e alleanze molto differenti (per esempio a Tel Aviv va in scena la sfida tra il favorito sindaco uscente Ron Huldai, di sinistra, e uno sfidante Nitzan Horowitz, deputato di Meretz, ancora più di sinistra), in questa tornata c'è almeno un'eccezione: la corsa per Gerusalemme. Corsa che negli ultimi mesi si è inaspettatamente trasformata dalla cavalcata trionfale del sindaco uscente Nir Barkat, in una lotta agguerrita. Protagonista, forse più ancora dello sfidante, Moshe Lion, il leader di Yisrael Beytenu Avigdor Lieberman, il quale ha imposto Lion come candidato del pacchetto Likud Beytenu (quattro anni fa sostenitore di Barkat, che oggi viene fatto passare come "candidato di sinistra", in virtù del riconfermato endorsement del Labor, che lo ha in questi anni sostenuto, così come Likud, Beytenu e i partiti religiosi per altro). Durante tutta la campagna elettorale, il premier Benjamin Netanyahu ha taciuto, e nella lettera di auguri inviata a oltre 40 candidati sindaci Likud, l'indirizzo di Lion è stato non casualmente omesso. Le sponsorizzazioni non gli sono tuttavia mancate, da diversi esponenti della formazione di Bibi, ma soprattutto da chi nel panorama politico gerosolimitano conta parecchio, i leader di diversi gruppi haredim ashkenaziti, ma soprattutto di quello del partito religioso sefardita Shas Aryeh Deri, che ha esplicitamente parlato di un'alleanza con Lieberman per far cadere il governo Netanyahu. Di cui il magnate di origine moldava, al momento ufficialmente fuori dai giochi politici a causa di processi pendenti a suo carico, dovrebbe essere il primo alleato.
Così Barkat ha smesso di dormire sonni tranquilli. E forse anche Netanyahu.
(Notiziario Ucei, 22 ottobre 2013)
«Io, ebreo all'Arici in fuga dai fascisti»
In un libro le memorie di Duccio Jachia
di Costanzo Gatta
BRESCIA - «Un collegio è stato il mio rifugio e il suo rettore mi ha fatto da secondo padre» racconta l'avvocato Duccio Jachia di Milano, ripensando a quando era convittore all'Arici di via Trieste, retto dai gesuiti e con padre Cesare Battisti come direttore e protettore. Altri ricordi sono fra le pagine di un diario iniziato 75 anni fa e pubblicato solo quest'anno. «I miei figli mi hanno fatto trovare le bozze sotto il tovagliolo, la sera in cui festeggiavo 55 anni di matrimonio» - racconta l'avvocato. Poi, prevenendo il «perché così tardi?», aggiunge: «Non mi sembrava il caso... Poi la sorpresa m'è piaciuta. Ed eccolo».
Il diario s'intitola "Evasione in bicicletta" , riferendosi agli sforzi, nel 1945, per evitare che Dino Jachia, padre di Duccio, venisse deportato in Germania. In realtà l'odissea inizia il 5 settembre 1938, con la vergognosa legge 1390, in difesa della razza. Il padre di Duccio, il civilista Dino Jachia, viene radiato dall'Ordine, perché ebreo. Per di più è nel mirino di Farinacci, avendo difeso in tribunale diversi antifascisti. Ai tre figli, è vietato il liceo classico Manzoni, come ad altri 70 alunni che hanno il torto di essere ebrei. La famiglia lascia il palazzo milanese di piazza Borromeo 10 e si ritira in una casa colonica di campagna. Breve pace. Gli Jachia sanno dal parroco che il segretario politico del posto vuol spedire in riformatorio i ragazzi. Urge un rimedio. La figlia Franca, nata nel 1922, lascia gli studi. Duccio, classe 1925, e il fratello Ugo , del '27, vengono accolti come convittori all'Arici di Brescia, a patto che frettolosamente ricevano il Battesimo. I ragazzi non vogliono, ma mamma è lapidaria: «È ne-ces-sa-rio». All'educazione religiosa d'urgenza provvede padre Domenico Bianchini, gesuita a capo della provincia veneto-milanese, il quale ragguaglia il rettore dell'Arici delle traversie che stanno passando gli Jachia. Duccio viene così accolto in quarta ginnasio ed Ugo in prima. «L'unica possibilità di studiare ce l'hanno offerta i Gesuiti che mi hanno sempre incoraggiato» scrive Jachia, con riconoscenza.
Ben presto i compagni vengono a sapere chi siano i fratelli. «Non eravamo gli unici. L'Arici accolse parecchi ebrei: Levi, Modena... e altri» confida oggi Duccio Jachia. Gli ricordo cosa ha scritto: «I compagni più grandi e più forti ci insultano "Giudei" e ci picchiano». Annuisce e invita a proseguire nella lettura, dove padre Cesare Battisti è visto come un angelo custode: «Ci insegna a difenderci da soli, senza interventi superiori: "Colpiscili alle spalle e scappa, ma non farti vedere da noi, se no ti puniamo: la legge è uguale anche per i più piccoli"». Racconta: «Un pomeriggio quelli del Guf, in prima fila del teatrino, presero a disturbare una recita. Un certo Piardi, robusto come una quercia diede ai maleducati una lezione e il rettore lasciò correre». L'episodio è commentato nel libro: «Che bella predica sulla fortezza cristiana ha fatto quando Piardi ha rotto il naso a uno del Guf che era venuto a provocarci».
Fortunatamente all'Arici Duccio, trova amici leali. Flaviano, in particolare, rincuora il povero Duccio e lo incita a reagire. Promette di fargli copiare un compito, a patto che dica ad alta voce, in classe, «Porco Duce». E Duccio, che l'avrebbe urlato, confessa: «Lo dicevo sottovoce, per paura di Paride, che mi minacciava. E Flaviano: "Dillo più forte, se no non ti passo niente". E allora dicevo forte "porco" e "duce" lo dicevo piano». Flaviano altri non è che l'ingegner Capretti di Brescia. Ha letto il libro del vecchio compagno, ricorda quei giorni difficili, e tace elegantemente il cognome di quel tal Paride e degli studenti dell'altra sponda. Ricorda invece Davide Lombardi, un altro caro amico di Duccio Jachia, citato nel libro.
Stupendi i ricordi dei professori. In primis Padre Battisti: «Lui è antifascista e quando riceve il Federale, lo sfotte elegantemente». Aggiunge Jachia: «Ricordo don Piero Rigosa che dava 10 a chi mandava a memoria un canto di Dante. Ne ho studiati 17 per acquistare meriti. Anche lui li recitava, in piedi sulla cattedra e a luce spenta. Quanti stupendi ricordi: Trebeschi, Marcazzan, Peruffo, Mantovan, Palazzi. Anche i docenti fascisti lasciavano correre». Le paure finiscono nel 1942. Duccio Jachia, ormai in seconda liceo, tenta l'esame di maturità da privatista. Padre Battisti approva. Tutto andrà a finire bene. Jachia può scrivere: «Sono un goliardo a 18 anni». Un solo cruccio: «All'Arici i miei compagni più fascisti, mi hanno veramente tormentato in questi quattro anni»
(Corriere della Sera - Brescia, 22 ottobre 2013)
Economia di Israele in espansione
L'economia di Israele continua a crescere del 3,4% per il secondo anno consecutivo, lo ha annunciato il Central Bureau of Statistic nei giorni scorsi. Secondo l'istituzione governativa le esportazioni, che rappresentano circa il 40 % dell'attività economica di Israele,
saranno invece stabili dopo il lieve aumento nel 2012. La stima del Fondo Monetario Internazionale e' addirittura superiore a quella della CBS, con una stima del 3,6 % di crescita per quest'anno. Nel 2014, il FMI si aspetta che l'economia israeliana cresca del 3,3% , mentre la banca centrale prevede il 3,4 % di incremento totale.
La spesa privata, un altro driver importante per la crescita economica è invece del 4% nel 2013, dopo un aumento del 3,2% dello scorso anno, mentre gli investimenti negli immobili hanno subito una contrazione dello 0,6 % dopo un aumento del 3,5% dello scorso anno.
(Tribuna Economica, 21 ottobre 2013)
Il villaggio preistorico sommerso
Atlit-Yam è uno straordinario sito, davanti alla costa di Israele: gli archeologi hanno trovato monoliti, pozzi, tombe, oggetti. E hanno ricostruito come vivevano i suoi abitanti, 9.000 anni fa. Ora un documentario canadese ci porta sott'acqua, alla scoperta di questo antico insediamento inghiottito dall'innalzamento dei mari.
di Giovanna Camardo
Visitare Atlit-Yam non è facile. Si trova tra 200 e 400 metri dalla costa davanti alla città di Atlit, in Israele, e a una profondità di 8-12 metri. «È un villaggio fondato circa 9.200 anni fa e abbandonato circa 8.400 anni fa» ci racconta Ehud Galili, l'archeologo israeliano che lo ha scoperto nel 1984. «Durante un'esplorazione subacquea ci siamo imbattuti in fondamenta di muri fatti di pietre. Il resto del sito era coperto dalla sabbia. Alcune settimane dopo, sempre a seguito di tempeste, un'altra parte è venuta alla luce e abbiamo recuperato uno scheletro». Da allora gli archeologi hanno scoperto tombe, pozzi, e anche un semicerchio di megaliti forse legato a un antico culto dell'acqua. Ricostruendo la vita di questo villaggio di pescatori del Mediterraneo, poi inghiottito - dice Galili - dall'innalzamento dei mari.
Ora un documentario ci porta sott'acqua, seguendo i ricercatori in una delle loro esplorazioni subacquee. È Le mystère Atlit Yam - 10.000 ans sous les mers, del canadese Jean Bergeron. Il film è stato presentato in Italia all'inizio di ottobre alla XXIV Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto. Mostra i megaliti e gli antichi pozzi ora sul fondo del mare. E fa parlare anche gli studiosi che hanno esaminato gli scheletri trovati ad Atlit-Yam. Come quelli di una donna col suo bambino, analizzati nel 2008, che hanno rivelato i più antichi casi noti di tubercolosi.
(Focus.it, 21 ottobre 2013)
Terremoti, paura in Israele
Scosse nella zona del lago di Tiberiade, autorità preoccupate,
In Galilea la terra trema. Fra giovedi' e ieri sono state rilevate quattro scosse: tutte comprese fra magnitudo 3,5 e 3,6 e tutte centrate nella zona del lago di Tiberiade. Non si sono avute vittime ne' danni. Ma il rapido susseguirsi di questi eventi fa temere alle autorita' israeliane che essi preannuncino un terremoto molto piu' forte. Il premier Benyamin Netanyahu ha ordinato di verificare una volta di piu' l'efficienza della macchina dei soccorsi nelle zone interessate. Secondo i geologi, le strutture delle citta' israeliane non consentono di misurarsi con eventi sismici di grande rilevanza. In casi estremi, avvertono, si potrebbero avere migliaia di morti. Gli esperti rilevano che i terremoti importanti hanno interessato la faglia siro-africana (lungo la quale si trovano il lago di Tiberiade, il Giordano e il Mar Morto) a distanza di circa 100 anni. Nel 1837 migliaia di persone persero la vita in un forte terremoto che devasto' in Galilea le citta' di Safed e Tiberiade. Altri 500 morti si ebbero nel terremoto del 1927, che scosse la relativamente disabitata valle del Giordano.
(MeteoWeb, 21 ottobre 2013)
Bloomberg insignito del premio Nobel ebraico
L'ex sindaco di New York Michael Bloomberg è stato insignito del 'Premio Genesis': una onoreficenza, assegnata per la prima volta, che la stampa israeliana presenta oggi come equivalente a un 'Premio Nobel ebraico'. Il premio, di un milione di dollari, sarà consegnato dal primo ministro Benyamin Netanyahu in una cerimonia che si svolgerà a Gerusalemme nel maggio 2014.
Bloomberg è stato scelto da due commissioni - guidate dal presidente della Knesset (parlamento) Yuli Edelstein e dal presidente dell'Agenzia Ebraica Nathan Sharansky - fra una rosa di 200 candidati, originari di tutti i continenti.
I giudici rilevano che Bloomberg si è mostrato degno del Premio Genesis ('Bereshit', in ebraico) per il suo "straordinario impegno a favore del pubblico e per le sue attività filantropiche in tutto il mondo". "In quanto imprenditore e uomo dotato di una visione, Bloomberg - secondo Edelstein - ha cambiato il modo in cui si fanno affari e ha creato un mondo più aperto e più cosciente".
A Bloomberg i dirigenti israeliani rivolgono inoltre parole di ringraziamento per il suo continuo impegno a favore dello Stato ebraico. Oggi Netanyahu gli ha telefonato per invitarlo di persona alla cerimonia di consegna del premio.
(swisscom, 21 ottobre 2013)
Israele presenta i nuovi sottomarini "Dolphin II"
I sottomarini forniscono un vantaggio fondamentale nelle operazioni top-secret per infiltrare ed esfiltrare elementi dei reparti speciali. Il sommergibile è un ottimo strumento di spionaggio, ma se scoppiasse una guerra, diverrebbe la principale piattaforma d'attacco contro il nemico che non conoscerebbe mai la sua posizione.
E' quanto ha dichiarato un alto ufficiale dell'esercito israeliano, presentando il nuovo sottomarino classe "Dolphin II", che entrerà in servizio il prossimo anno.
Dopo l'arrivo del "Tanin" (coccodrillo), sottomarino d'attacco a propulsione diesel elettrica classe "Dolphin I", la Marina prevede di aggiungere alla sua flotta nel 2014, un altro sommergibile avanzato: il "Rahav" (Demone).
Il nuovo sottomarino classe Dolphin II sarà identico ai precedenti, ma sarà molto più moderno e decisamente più grande.
E' opinione comune che Israele, con la nuova classe "Dolphin II" dotata di pila a combustibile, si stia dotando dei migliori sommergibili convenzionali al mondo.
E' risaputo ormai, che tutti i "Dolphin" hanno la capacità di imbarcare testate nucleari. Almeno due di loro sono sempre in pattugliamento a scopo deterrente. La classe "Dolphin" infatti, ha conferito ad Israele capacità di "First strike" (attacco nucleare preventivo) e "Second strike" (capacità di risposta nucleare ad un attacco preventivo del nemico).
Ovunque ed in ogni momento - concludono da Israele - ci potrebbe essere un nostro sottomarino pronto a far fuoco.
(teleradiosciacca.it, 21 ottobre 2013)
Arabo premiato per aver salvato un'ebrea, il figlio rifiuta l'onorificenza
Aveva salvato una donna dai nazisti, il figlio: "Non posso accettare un riconoscimento attribuito da Israele, ma rispetto la religione ebraica".
La famiglia è stata premiata perché il padre aveva salvato una donna ebrea durante la seconda guerra mondiale, ma il figlio ha rifiutato il premio. Il dottore egiziano Mohamad Helmy è stato onorato post- mortem tra i "giusti tra le nazioni" per aver salvato una donna a Berlino, durante la seconda guerra mondiale.
Secondo il DailyMail è la prima volta che un arabo viene nominato per questo premio, ma ciò non è bastato a convincere il figlio. "Avrei accettato questo premio da qualsiasi nazione, ma non da Israele" ha spiegato "anche se rispetto la religione ebraica, riconosciuta tra le fedi celesti dal Corano"
Il padre aveva vissuto a Berlino per un lungo periodo e si era preso cura di molti ebrei durante la seconda guerra mondiale. Tra loro c'era Anna Boros, che all'epoca del confilitto aveva 21 anni. Per questa ragione il museo dell'Olocausto di Gerusalemme ha voluto riconoscere il suo eroismo, come aveva già fatto con molte altre persone che avevano salvato la vita agli ebrei durante la dittatura nazista.
(TGCOM24, 21 ottobre 2013)
Gerusalemme, porte aperte al patrimonio
Dal 7 al 9 novembre a Gerusalemme si tiene l'evento Openhouse. Al pari delle nostre Giornate del Patrimonio, in questa occasione si potranno visitare più di 120 edifici pubblici e privati normalmente chiusi al pubblico.
Si terrà il secondo weekend di novembre la sesta edizione di Openhouse a Gerusalemme. Il principio è lo stesso delle Giornate del Patrimonio Europeo, infatti dal 7 al 9 novembre privati e operatori del turismo apriranno le porte di luoghi abitualmente chiusi al pubblico.
In questi tre giorni circa 120 tra case di privati, edifici pubblici, imprese, e luoghi che possono avere un interesse storico, religioso o architettonico, saranno visitabili gratuitamente da turisti in vacanza e autoctoni. Per l'occasione verranno inoltre organizzati una dozzina di tour tematici della città, e delle attività dedicate ai più piccoli.
Per la visita della maggior parte degli edifici è necessaria la prenotazione, l'elenco completo dei luoghi di cultura eccezionalmente aperti è consultabile qui.
(Easy Viaggio, 21 ottobre 2013)
La Corte dei Conti UE boccia la gestione dei fondi dell'ANP
Due miliardi di euro sprecati
di Dimitri Buffa
Negli ultimi quattro anni, 2008 - 2012, i vertici del governo provvisorio palestinese avrebbero dilapidato quasi due miliardi di euro.
La notizia è stata anticipata dal "Sunday times" e il report non è ancora disponibile on line, ma sarà questione di poco tempo. In Italia ovviamente non c'è stato, o quasi, un giornale che abbia dato rilievo alla cosa e la veicolazione della notizia si deve in pratica solo al "progetto Dreyfus".
Stavolta il "j'accuse", che sa di tardiva resipiscenza, viene dall'interno degli organismi della euroburocrazia, la Corte dei conti, fondata nel 1977 in Lussemburgo. Non da Israele.
Il rapporto della Corte dei conti europea racconta come gli ispettori europei abbiano visitato Gerusalemme est, Gaza e la Cisgiordania e abbiano individuato "carenze significative" nella gestione e assegnazione dei fondi da parte dell'Autorità Palestinese, e serie "difficoltà" nel fronteggiare "rischi di alto livello come la corruzione e l'utilizzo dei fondi per scopi diversi da quelli previsti".
Il "Sunday times" ha anche sentito sulla cosa il parere della "Transparency International", ennesimo osservatorio europeo, con sede a Berlino, specializzato nel monitoraggio della corruzione in politica e nelle aziende.
L'organismo in questione ha affermato che l'empasse politica che caratterizza la situazione del parlamento palestinese sin dal 2007 ha di fatto "accordato all'amministrazione di Ramallah una gestione illimitata dei fondi pubblici". E ha sottolineato pure come il nepotismo sia "estremamente diffuso nel settore pubblico e in quello privato dei palestinesi."
Scoperte dell'acqua calda? Può darsi.
Per la cronaca, comunque, i palestinesi sono il maggior beneficiario di finanziamenti internazionali per cooperazione e sviluppo (UE, ECHO, WB, ONU, UNRWA ecc.). Ad esempio, l'anno scorso ogni singolo palestinese ha ricevuto dalla comunità internazionale 3.100 dollari contro i 174 dollari a testa dei congolesi e i 74 dollari dei pakistani. Il problema è che neanche uno di quei dollari è finito al posto giusto e nelle tasche della "testa" calcolata per statistica.
La Corte dei Conti Europea sottolinea inoltre una cosa che si sapeva da tempo: Bruxelles ha esercitato ben poco controllo sui fondi per aiuti trasferiti tra il 2008 e il 2012 in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza controllata da Hamas. E soprattutto sulla loro utilizzazione.
Il lato davvero paradossale di tutta questa orrenda storia è che, recentemente, Abu Mazen, citando le conclusioni di un rapporto della Banca Mondiale, ha accusato Israele per la crisi economica nei territori palestinesi.
"La situazione economica è molto difficile e il motivo centrale di questo è l'occupazione israeliana - ha detto Abu Mazen in un'intervista alla televisione governativa palestinese - Israele sfrutta le nostre risorse, il che genera direttamente un aumento del deficit con cui dobbiamo fare i conti".
Abu Mazen, fra l'altro, ha di nuovo bussato a quattrini. Affermando d'essere stato informato dal suo ministro delle finanze, Shukri Bishara, che "l'Autorità Palestinese non sarà in grado di pagare gli stipendi governativi se non riceverà altri aiuti internazionali".
Il governo palestinese stipendia direttamente circa 150.000 dei quasi due milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania. Una vera e propria area di lottizzazione che serve solo per continuare a tenere il potere socio politico su tutta la popolazione.
(ThinkNews, 21 ottobre 2013)
Missione di Tajani in Israele: obiettivo accordi di cooperazione
Incontri con Peres e membri governo, aiutare crescita
BRUXELLES - Al via la nuova 'missione per la crescita' Ue del vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, che da oggi a mercoledì sarà in Israele, accompagnato da una delegazione di 65 imprese d'Europa, con l'obiettivo di firmare una serie di accordi per rafforzare la cooperazione tra le due regioni. Numerosi gli incontri chiave previsti, in particolare quello con il presidente israeliano Shimon Peres, dove al centro ci saranno i rapporti Ue-Israele e il rafforzamento della cooperazione economica e industriale, ma anche la strategia Ue per uscire dalla crisi attraverso la reindustrializzazione del continente.
Tra gli incontri con i massimi esponenti del governo israeliano, quelli con i ministri dell'economia, Naftali Bennett, con cui verrà firmata una lettera d'intenti per il rafforzamento della cooperazione industriale, e con il responsabile della scienza, tecnologia e spazio, Yaakov Perry, con verrà siglato un accordo per migliorare la cooperazione nel settore dei sistemi di navigazione satellitare. Con il ministro del turismo, Uzi Landau, invece, verrà promossa una più forte cooperazione, nel quadro dell'attuazione della dichiarazione congiunta Ue-Israele sul turismo del 2011. Tajani vedrà anche il ministro dell'energia e risorse idriche, Silvan Shalom, con cui interverrà alla Conferenza sulle Tecnologie per l'Acqua e sulla Tutela dell'Ambiente. Le tecnologie europee in questo settore hanno infatti grandi potenziali in Israele, considerata la scarsità dell'acqua e i crescenti bisogni legati all'agricoltura.
L'obiettivo della missione per la crescita a Tel Aviv, che fa seguito alle ultime due avvenute tra giugno e luglio rispettivamente in Russia e in Cina, è quindi triplice: aumentare la cooperazione nei settori di industria, turismo, spazio e innovazione, ma anche aiutare le imprese europee a operare in Israele e promuovere i contatti imprenditoriali e sviluppare opportunità di business, in particolare nell'ambito di tecnologie abilitanti fondamentali, green tech, macchine per la produzione, comunicazioni e spazio. L'Ue è del resto il primo esportatore in Israele, con 17 miliardi di euro di valore e, con 12,6 miliardi, è il secondo importatore dopo gli Usa.
(ANSA, 21 ottobre 2013)
Oltremare - Niente applausi per Bethlehem
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
Ottavo: Tzàbar si diventa
Nono: tutti in prima linea
Decimo: un castello sulla sabbia
Sei quel che mangi
Avventure templari
Il tempo a Tel Aviv
Il centro del mondo
Kaveret, significa alveare ma è una band
Shabbat & The City
Tempo di Festival
Rosh haShanah e i venti di guerra
Tashlich
Yom Kippur su due o più ruote
Benedetto autunno
Politiche del guardaroba
Suoni italiani
Autunno
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di Daniela Fubini, Tel Aviv
Alla fine dei film si applaude ancora, nelle sale israeliane. Come se ci fosse qualcuno dietro lo schermo o in cabina di proiezione che possa raccogliere quell'applauso come un successo, o il silenzio come poco apprezzamento del film. E' un buon esempio della tendenza israeliana ad esprimere opinioni e sentimenti, cosa che entra in corto circuito con gli abbottonatissimi inglesi, per esempio, o con gli americani che esprimono sempre e solo il political correct senza alcuna forma di partecipazione personale in ciò che dicono. Per noi italiani - olei Italia - è invece naturale entrare nello stream di espressione continuativa e ad alta voce delle proprie opinioni. Come in Italia, sia calcio o politica. E al cinema, dopo le proiezioni è facile che parta un applauso, anche se di rappresentanza. Ma ieri sera niente. Silenzio, pochi commenti, e tutti via, a casa.
Il finale di "Bethlehem" in effetti è difficile, e sarei rimasta volentieri immobile a razionalizzarlo o almeno a lasciarlo decantare mentre scorrevano i titoli di coda, ma qui usa alzarsi nell'istante in cui finisce la pellicola filmata, e non ho potuto.
"Bethlehem" è il film israeliano scelto per gli Oscar di quest'anno, con 12 premi Ophir, i "Donatello" israeliani; ha fatto passaggi benauguranti a Venezia e a Toronto, ed è - davvero sorprendentemente - opera prima, sia del regista Yuval Adler che dell'attore protagonista Zachi Halevi. Racconta il rapporto in bilico fra paterno, fraterno, e amico/nemico fra un agente dei Servizi israeliani (Halevi) e uno dei suoi informatori, un adolescente di Betlemme. Intorno, la Gerusalemme negli anni degli attentati ad autobus e ristoranti quasi non si vede. Un film dall'etica sfaccettata, forte di uno sguardo senza troppi miti e con invece grande capacità di descrivere la realtà, sia israeliana sia palestinese, nelle sue laceranti imperfezioni.
Il pubblico non ha applaudito in sala, occupato invece a pensare, io credo.
(Notiziario Ucei, 21 ottobre 2013)
Venezia-Tel Aviv per El Al Israel Airlines
Dal 5 novembre la compagnia El Al opererà un volo diretto settimanale ogni martedì, successivamente, a partire dal mese di aprile i voli diventeranno tre alla settimana.
El Al Israel Airlines ltd comunica il suo nuovo operativo da Venezia, Aeroporto Marco Polo con destinazione Tel Aviv, Aeroporto Ben Gurion. A partire dal 5 novembre El Al opererà un volo diretto settimanale da Venezia a Tel Aviv ogni martedì, successivamente, a partire dal mese di aprile 2014, i voli diventeranno tre alla settimana.
Il collegamento sarà effettuato con aeromobili Boeing 737-800. El Al ha così incrementato le sue operazioni dall'Italia per Israele offrendo in questo modo una più ampia scelta per raggiungere la destinazione dagli aeroporti di Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia Marco Polo.
(Guida Viaggi, 21 ottobre 2013)
Visita del Rabbino Capo di Bologna al Comando Militare Esercito Emilia Romagna
Nella mattinata di oggi - 21 ottobre - nel suggestivo chiostro della Caserma "Enrico Cialdini", sede del Comando Militare Esercito "Emilia Romagna", su invito del Comandante Regionale, Gen. D. Antonio De Vita, il Rabbino Capo della Comunità ebraica di Bologna, Rav Dott. Alberto Sermoneta ha presenziato alla solenne cerimonia dell'Alzabandiera ed alla commemorazione del settantesimo anniversario del rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma.
Invitato a prendere la parola durante il suo breve intervento il Dott. Sermoneta, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Bologna dal 1997 ed autore di numerosi scritti sull' ebraismo in generale e su quello italiano in particolare, ha ripercorso le tappe dell'immane tragedia, da una prospettiva non solo storica ma soprattutto umana ed antropologica, accennando a singole vicende individuali, che ben hanno reso ai presenti l'immane nefandezza del crimine compiuto.
Al termine, il Gen. De Vita, sottolineando le comuni origini cristiano giudaiche che costituiscono la base della nostra civiltà europea, ha ringraziato l'illustre ospite per aver accettato l'invito al CME, e per aver condiviso con il personale del Comando il ricordo di quella tragedia, "che è tragedia non solo di una singola comunità, ma dell'intero popolo italiano.
(Bologna2000, 21 ottobre 2013)
La razzia al ghetto di Roma: tante le testimonianze epistolari
La mostra ospitata al Vittoriano fino al 30 novembre. Fra i reperti, alcuni dei messaggi lasciati dalle vittime dopo l'arresto
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Comunicazione
Comunicazione d'emergenza lasciata da una persona arrestata: Silvia Sermoneta, durante la permanenza al Collegio militare, scrive:
"Prego chi avrà in mano questo biglietto di recapitarlo subito che (è) un caso pietoso per un malato grave". Il riferimento è al marito Laudadio Di Nepi che morirà durante il tragitto sul treno. Segue una lista di oggetti necessari per affrontare la deportazione: "Dobbiamo fare un lungo viaggio e abbiamo bisogno urgente. Se Lei non mi aiuta si muore in viaggio" (archivio Manoela Pavoncello).
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Nella galleria marcofila che ricorda i fatti bellici del 1943 settant'anni dopo manca un importante quanto tragico episodio, registrato il 16 ottobre: il rastrellamento del ghetto della capitale, il più grande fra quelli perpetrati nello Stivale. Nessuno ha richiesto un annullo per rammentare le persone arrestate, 1.022 delle quali poi deportate ad Auschwitz-Birkenau (ne tornarono 17).
Una forte testimonianza postale, tuttavia, è presente alla mostra "16 Ottobre 1943. La razzia degli ebrei di Roma", ospitata sino al 30 novembre al Vittoriano. Ad ingresso libero, la rassegna è aperta tutti i giorni nella fascia 9.30-18.30 (venerdì, sabato e domenica 9.30-19.30; l'accesso è consentito fino a 45 minuti prima della chiusura).
Accanto al messaggio consegnato dai tedeschi che avvertivano i malcapitati di lasciare la propria casa entro venti minuti, nelle teche compaiono numerose corrispondenze riguardanti le avvisaglie. C'è chi chiede il brevetto per aver partecipato alla "Marcia su Roma" così da dimostrare la propria fedeltà al regime, chi - straniero - chiede il permesso di restare in Italia, chi cita quanto sta accadendo in altri Paesi. Ancora, ecco le denunce perpetrate subito dopo il saccheggio ma rimaste lettera morta, i fonogrammi amministrativi che si limitano a registrare i fatti, le segnalazioni ai danni di quanti si nascondono
E poi, i telegrammi spediti dai nazisti (e in qualche caso intercettati dagli avversari) in cui si accenna al destino delle persone piuttosto che dell'oro loro sequestrato. Le testimonianze più drammatiche, però, sono altre: non solo quelle poche uscite dai campi di concentramento, ma soprattutto i bigliettini scritti dopo l'arresto e magari lanciati dai vagoni piombati che portavano le persone verso la morte, sperando che qualcuno li raccogliesse e li facesse avere alla famiglia.
Rimasero rinchiusi nel Collegio militare di via della Lungara per due giorni, nel corso dei quali vennero rilasciate 252 persone, dopo una selezione effettuata per escludere i non ebrei, gli stranieri protetti, i cosiddetti "misti" ed i coniugi di matrimonio misto. Il 18 ottobre, gli altri
furono deportati: il convoglio, partito dalla stazione Tiburtina, giunse il 23.
Curata dal direttore della Fondazione Museo della Shoah Marcello Pezzetti, "è la prima mostra che descrive in modo esauriente i drammatici eventi di quei giorni, fondamentali per la coscienza e la conoscenza della storia recente di Roma". Tra gli altri reperti, le fotografie di coloro che compirono l'operazione, quelle di 300 fra le vittime, le testimonianze audiovisive di chi fu coinvolto, i disegni originali di Aldo Gay (il pittore ebreo che, mentre fuggiva, disegnò in condizioni impossibili e in modo estemporaneo tutto quello che stava vivendo e vedendo), i tentativi degli scampati di mettersi in salvo aiutati dalla popolazione non ebraica, da istituti religiosi o da organizzazioni. Senza trascurare gli arresti successivi, realizzati con modalità diverse e anche dalla Polizia italiana, il difficile ritorno dei sopravvissuti ai campi, la ricerca dei dispersi.
Per non dimenticare.
(VaccariNews, 21 ottobre 2013)
Priebke e gli ebrei
Ecco alcuni titoli di giornali o di comunicati dagenzia comparsi sulla stampa tra ieri e oggi:
- Priebke: legale "Abbiamo vinto sulle prevaricazioni degli ebrei"
- L'avvocato di Priebke: "Gli ebrei non ci hanno messo i piedi in testa"
- Il legale di Priebke: "Non ci siamo fatti mettere i piedi in testa dagli ebrei"
- Priebke, il legale: non ci siamo fatti mettere i piedi in testa né dalle autorità né dagli ebrei
- Sepoltura Priebke, l'avvocato: "Vinto sulle prevaricazioni della comunità ebraica"
- Priebke in un luogo segreto, l'avvocato : "Vinto sulle prevaricazioni degli ebrei"
- Priebke, sepoltura in un luogo segreto. L'avvocato attacca: «Vinto sulle prevaricazioni degli ebrei»
Domanda: è stato utile alla comunità ebraica che la voce di Priebke arrivasse sulle pagine dei giornali anche dopo morto? Che cosa si voleva ottenere e che cosa si è ottenuto con questa sovraesposizione mediatica?
(Notizie su Israele, 21 ottobre 2013)
Anche il cibo diventa "religioso": da Ploaghe i salumi kosher e halal
C'è anche "La Genuina" di Ploaghe (SS) tra le aziende in vetrina a Cernobbio al Forum della Coldiretti. Specialità: salumi kosher e halal.
Da chi produce salumi per le comunità musulmana ed ebraica a base di carni di pecora e capra, a chi ha sperimentato la prima coltivazione di arachidi made in Italy e di avocado. Sono alcune novità presentate a Cernobbio al Forum della Coldiretti per far conoscere la realtà di tanti giovani imprenditori agricoli che, con esperienze curiose e innovative, hanno trasformato le paure degli italiani per l'immigrazione, i cambiamenti climatici in idee destinate a cambiare il mercato del made in Italy. In Sardegna, per conquistare e non temere gli immigrati, "La Genuina" di Ploaghe, guidata da Antonello Salis, decide di produrre salumi kosher e halal utilizzando carni di pecora e di capra e tutti i suoi prodotti vengono controllati e certificati dall'Imam. In Sicilia, invece, se il clima ormai torrido preoccupa tutti, Andrea Passanisi lo trasforma in opportunità coltivando i primi avocado made in Italy, frutto tipicamente tropicale che nella terra del sole trova un clima adatto per raggiungere l'eccellenza. E ancora in Toscana Marco Razzolini produce con successo arachidi italiane, risultate migliori rispetto a quelle in commercio e di importazione. Invece Daniele Gioia in Basilicata ha sperimentato la prima coltivazione di funghi recuperando fondi di caffè, facendo così di uno scarto da discarica un vero e proprio tesoro. Elena Comollo, infine, nella sua fattoria sociale in Piemonte, ha ideato nuovi percorsi che hanno permesso l'assunzione di ragazzi in situazione di grave svantaggio sociale, mettendo a disposizione i campi, i frutteti e tutti i processi agricoli dalla produzione alla trasformazione per facilitare l'ingresso al lavoro di ragazzi a bassa contrattualità, favorendone la riabilitazione sociale.
(L'Unione Sarda, 20 ottobre 2013)
16 ottobre 1943: gli ebrei nella Roma "Città aperta"
Tra le delazioni dei fascisti e l'indecifrabile figura di Pacelli
di Donatella Di Cesare
Gli ebrei romani erano preoccupati. Ma non erano preparati al peggio. Nell'Italia fascista la nazione aveva fagocitato lo Stato che era diventato un'impresa di potere aggressiva e incline all'espansionismo. Anziché garantire la legge e i diritti dei cittadini, lo Stato decideva, sulla base della nazionalità, chi era cittadino e chi non lo era.
Anche dopo le leggi razziste del '38, che li avevano ridotti a cittadini di serie B, gli ebrei romani continuavano a sentirsi italiani. Avevano la cittadinanza, il passaporto. La presenza del Vaticano - tra la Sinagoga e San Pietro ci sono poche centinaia di metri - era percepita come elemento di protezione. E poi Roma era stata dichiarata «città aperta»: il che voleva dire una condizione di neutralità militare.
Fu però proprio in quel settembre del 1943 che gli ebrei a Roma furono privati da un giorno all'altro della cittadinanza. Improvvisamente non erano più cittadini italiani e non avevano dunque il diritto ai diritti, la possibilità, cioè, di appellarsi a un'autorità legittima. Chi non è cittadino, finisce per non avere luogo, per essere una non-persona, fuori dall'umanità. Dunque non erano più cittadini; erano non-persone. Era il primo passo verso la liquidazione. A metà settembre Kappler aveva ricevuto un dispaccio di Himmler, seguito il 24 settembre da un telegramma: tutti gli ebrei avrebbero dovuto essere «liquidati». Anche i vecchi, anche i bambini.
Prima però furono vittime dell'estorsione di 50 chili d'oro. il progetto di Kappler era infame: perché faceva credere che non si volesse altro che quell'oro - un po' di grammi, una taglia per ogni vita - e lasciava nella tragica illusione della salvezza. Così furono raccolti e consegnati oggetti che ricordavano la storia privata e la storia della comunità.
Quel che oggi colpisce, oltre all'enormità dell' estorsione, è il carattere anacronistico della rapina che rievoca le pagine più buie della storia. Era il metodo di chi depredava, saccheggiava, razziava. In questo caso però si depredava con ostentata correttezza burocratica. Ecco l'infamia.
D'altronde che cosa avrebbero dovuto possedere le non-persone? Nulla. In quell'estorsione era già inscritta la deportazione e l'annientamento. Ma gli ebrei romani non potevano immaginarlo.
Il potere che i nazisti, coadiuvati dai fascisti, esercitarono in quei giorni con violenza inusitata non prevedeva spazi indenni. Le testimonianze agghiaccianti che abbiamo, i racconti di una retata studiata al millimetro, in cui i "nemici" del Reich dovevano essere prelevati casa per casa, appartamento per appartamento, non deve stupire.
La città era stata ridisegnata da Dannecker, un esperto inviato appositamente da Eichmann, in 26 «recinti operativi» in cui abitavano gli ebrei di Roma. I più poveri, i più esposti, gli ebrei del ghetto, furono le prime vittime. Nei quartieri più borghesi le possibilità di fuga furono più elevate.
Ma ovunque alla violenza non ci fu limite. Il portone di casa non poteva essere una barriera. La sfera privata non era più una protezione. Dal momento in cui si era stabilito, contro qualsiasi procedura legale, che c'erano persone che, pur non avendo commesso crimini, erano illegali, perché illegale era il loro esistere, anche i bambini, anche i neonati, potevano essere presi nelle loro culle arrestati, deportati e qualche giorno dopo gassati.
Chi avrebbe potuto aiutarli? Chi avrebbe potuto impedire o almeno ostacolare la grande razzia? Intorno a questa domanda non cessano le polemiche. Eppure la questione sembra chiara.
Nell'ottobre del 1943 la resistenza a Roma non aveva ancora avuto il tempo e il modo di organizzarsi e non era dunque pronta a quello che stava per avvenire. Il CLN, il Comitato di liberazione nazionale, si era costituito solo da pochi giorni e aveva tenuto la sua prima riunione proprio il 16 ottobre, ignaro di quel che stava accadendo. Gli apparati clandestini della resistenza erano appena agli inizi e non furono perciò in grado di organizzare azioni di sabotaggio.
Ben diversa è la responsabilità di Pio XII. Certo sappiamo che non pochi ebrei trovarono scampo in istituzioni religiose. Né va dimenticata la solidarietà di molti romani, anche di chi aveva incarichi istituzionali. Valga per tutti l'esempio di Angelo De Fiore che dirigeva allora l'Ufficio Stranieri. Nulla fece invece papa Pacelli che restò prudentemente rinserrato in Vaticano. Perché non andò a Regina Coeli o al Collegio militare? Avrebbe avuto tempo. E le cose sarebbero andate diversamente. Erano già passati due giorni, sabato e domenica. Perché non andò lunedì mattina alla Stazione Tiburtina? Se fosse andato, avrebbe probabilmente fermato il treno e impedito che oltre mille suoi concittadini venissero spediti nelle camere a gas. Si è responsabili non solo per quello che si fa, ma anche per quello che non si fa. Questa macchia resta indelebile e getta un'ombra inquietante sulla sua controversa e cupa figura.
(Shalom, ottobre 2013)
Israele sceglie Karnit Flug. Un'altra donna alla guida di una banca centrale
Dopo Janet Yellen alla guida della Federal Reserve americana ed Elvira Nabiullina alla Banca di Russia, un'altra banca centrale si tinge di rosa. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il ministro della Finanze Yair Lapid, dopo quattro mesi di incertezze, hanno nominato oggi ai vertici della Banca d'Israele la 58enne Karnit Flug. Così come negli Stati Uniti, è la prima volta nella storia di Israele che l'incarico viene affidato a una donna.
Dal 2011 la Flug era il braccio destro del governatore Stanley Fisher, un economista di fama mondiale. E proprio Fisher, lasciando la Banca d'Israele nel giugno scorso, aveva perorato la sua candidatura. In questi mesi, mentre la Flug manteneva ad interim la guida della Banca, Netanyahu e Lapid hanno valutato altre candidature. Su tutte quella di Yaakov Frenkel, ex governatore della Banca, costretto a rinunciare per i risvolti imbarazzanti di un incidente avvenuto anni fa nell'aeroporto di Hong Kong, quando fu accusato di furto in un duty free e portato davanti a un giudice. Ma sono stati presi in considerazione anche l'economista di origine argentina Leo Leiderman, lo statunitense Larry Summers ed altri ancora.
Da tempo Netanyahu e Lapid erano divenuti il bersaglio di frecce avvelenate della stampa economica che denunciava «la farsa alla Banca d'Israele». Negli ultimi giorni Fisher, dagli Stati Uniti, è tornato a premere su Netanyahu e oggi la nomina della sua candidata è stata finalmente ufficializzata. La Flug ha studiato all'Università ebraica di Gerusalemme e alla Columbia University. Ha lavorato al Fondo monetario internazionale e ha guidato il Dipartimento di ricerca della Banca di Israele. Ha anche partecipato a numerosi comitati governativi: fra questi quello diretto dall'economista Manuel Trajtenberg, incaricato - sulla scia di manifestazioni di 'indignati' - di elaborare una nuova politica contro le diseguaglianze sociali.
Secondo alcuni analisti, le passate reticenze di Netanyahu nei confronti della Flug erano dovute appunto a una diversa visione del ruolo dell'economia nella società del Paese. Ma oggi il premier ha comunque reso omaggio alle sue capacità e si è detto persuaso che essa saprà tenere l'economia israeliana al riparo dagli "scossoni mondiali" e rilanciarla.
Il quotidiano economico The Marker prevede fin d'ora che la Flug non avrà vita facile. Dovrà misurarsi fra l'altro: con la questione delle «enormi riserve monetarie» messe da parte da Fisher nell'intento di regolare i tassi di cambio; con il «rovente mercato edilizio» dove - a giudizio del giornale - si sta creando «una bolla che rischia di esplodere»; e con la politica fiscale del governo che «necessita disciplina». La prima governatrice di Israele dovrà infine «mostrare polso» di fronte ad agguerriti gruppi di pressione che agiscono nel mercato israeliano.
(Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2013)
A Tel Aviv la guerra della tazzina
La guerra della tazzina . La chiamano così a Tel Aviv quella innescata da 'Cofix' un bar, aperto di recente, che vende tutto a 5 shekel (circa un euro): un prezzo attraente in una città dove di norma il prezzo di un caffè va da 12 a 15 shekel (2/3 euro). E così, fin dal primo momento, è stata subito ressa davanti il locale nella centralissima Via Ibn Ben Gevirol: tanto che la stampa israeliana non fa passare quasi giorno senza pubblicare un articolo al riguardo. 'Cofix' sembra essere diventato un fenomeno mediatico setacciato dal punto di vista economico, sociale e anche politico. Ad esempio, il quotidiano liberal Haaretz ha messo in evidenza come lo scossone dato da 'Cofix' agli alti prezzi della prima colazione in città (che conta 700 locali di questo tipo), abbia messo nei primi giorni addirittura in secondo piano il forcing del premier Benyamin Netanyahu nei confronti del programma nucleare dell'Iran. «Forse - ha detto uno dei primi clienti di Cofix, citato dal quotidiano - se ci fossero posti che vendono tutto a 5 shekel a Teheran, Ramallah come a Tel Aviv, potrebbe essere una formula per la pace». Sicurezza a parte - che resta per gli israeliani e i loro leader il primo obiettivo da raggiungere e preservare - la guerra della tazzina ha però evidenziato un dato economico relativo al costo della vita. Questione centrale non solo nelle passate elezioni politiche - segnate dalle proteste degli 'Indignatì e dalla vittoria di Yair Lapid, simbolo della difesa del ceto medio - ma anche in quelle municipali in programma a Tel Aviv (oltre che Gerusalemme e altre importanti città israeliane) la prossima settimana. Nella sfida tra gli attuali sindaci e i loro concorrenti la politica dei prezzi (dalle case, alle tariffe, al cibo) è il tema centrale. L'offerta di 'Cofix' di tutto a 5 shekel (anche il cornetto o il panino) sembra così aver centrato in pieno il favore popolare di un cambio di marcia. E se in molti hanno pensato che dietro il prezzo così accessibile ci potesse essere una riduzione della qualità, si sono dovuti ricredere. Per ora, le compagnie che detengono le grandi catene della tazzina in Israele - le maggiori sono 'Aromà o 'Cafè Cafe« (giro d'affari di circa 30 milioni di shekel l'anno, pari a 6 milioni di euro) - non sembrano preoccupate, ma questo non vuol dire che non tengano d'occhio la situazione. Il successo di 'Cofix' ha spinto analisti economici e esperti di mercato - hanno riportato i media - a porsi il problema del costo al consumo, specialmente a fronte della contrazione - secondo dati dell'International Exchange, citati da Haaretz - del 40% del prezzo dell'arabica dal 2011 in poi. Anche perchè, forte del successo, il patron di 'Cofix', Avi Katz (proprietario anche di una catena che si chiama 'Tutto ad un dollarò) ha annunciato alla stampa i suoi prossimi passi: 100 punti vendita nell'immediato futuro seguiti da una seconda fase di espansione fino a 300. E non solo in Israele, ma in tutto il mondo: da New York a Parigi. La guerra della tazzina è scoppiata ed entra ora nel vivo.
(Online News, 20 ottobre 2013)
Cannabis terapeutica: disegno di legge al voto in Israele
di Luca Lampugnani
Marijuana a scopi terapeutici in Israele? Dopo l'ammissione settimana scorsa di alcuni membri del Knesset (parlamento monocamerale israeliano diviso in commissioni) di aver fatto uso di cannabis, domenica la commissione legislativa dovrà esprimersi sul disegno di legge presentato da Moshe Feiglin, membro del partito al governo Likud. Nonostante quest'ultimo abbia dichiarato più volte che la sua proposta mira ad utilizzare la marijuana solo in alcuni casi specifici come terapia contro il dolore, molte critiche sono state mosse dal ministro della Salute Yael German.
La maggior preoccupazione del ministro è che se il testo diventasse legge i medici potrebbero rimanere 'vittime' delle pressioni che alcuni pazienti, benché abbiano magari solamente un leggero mal di testa o di denti, sfruttino l'opportunità a loro vantaggio per farsi prescrivere la marijuana, mentre a supporto della sua tesi ha anche affermato che non essendoci nel ddl parametri che 'istruiscano' i dottori sui sintomi e sui dosaggi da prescrivere, la vera intenzione di Feiglin è quella di 'sfruttare' l'utilizzo della cannabis terapeutica per legalizzare in toto le droghe leggere: "Se vogliono la legalizzazione delle droghe dovrebbero dirlo apertamente - ha scritto il ministro -, e dovrebbero presentare un disegno di legge ad hoc piuttosto che cercare di sfruttarne uno che coinvolge il ministero della Salute, i pazienti e i medici". Dubbi che la German ha sollevato più volte nelle ultime settimane sul suo profilo Facebook, dove è stata però bersagliata da commenti molto critici nei suoi confronti.
Insomma il ministro della Salute non si scaglia apertamente contro la marijuana a scopi terapeutici, bensì contro una manovra che ritiene 'di facciata' per una legge che avrebbe tutto un altro scopo, calpestando perciò quello che potrebbe essere l'utilizzo medico della cannabis. Il dibattito è ovviamente molto acceso anche tra l'opinione pubblica israeliana, divisa tra chi guarda a Paesi occidentali che già hanno avviato discussioni attorno a questo tema ed è quindi favorevole al disegno di legge (la maggioranza) e chi, invece, è assolutamente contrario.
A sottolineare la tendenza è uno studio effettuato da un istituto israeliano: secondo i risultati il 75% degli intervistati ha affermato di essere d'accordo con l'uso della cannabis per scopi limitatamente terapeutici, mentre per quanto riguarda la legalizzazione 'fine a se stessa' la maggior parte degli israeliani (64%) è contraria.
(Internatioinal Business Times, 20 ottobre 2013)
Aharon Appelfeld: "La letteratura spiega il mondo ma non lo cambia"
di Alain Elkann
Incontro Aharon Appelfeld, come faccio sempre quando mi trovo a Gerusalemme, alla Ticho House, il caffè dove va due volte la settimana per scrivere a lungo e a mano su un foglio di carta bianco con la sua biro.
- Che cosa sta scrivendo in questo momento?
«Ho pubblicato qualche mese fa un libro per bambini che ha avuto un certo successo. E' la storia di due bambini che vivono nei boschi durante la guerra. Adesso sto riscrivendo in ebraico un libro che ho pubblicato molti anni fa in America. E' la storia di un uomo che torna a casa dopo la liberazione dal campo di concentramento e cerca di capire che cosa è successo. Sua madre andava pazza per la musica di Bach e amava le chiese. Suo padre era un uomo tranquillo, che viveva in una piccola città e lottava contro il provincialismo. Ma, sulla via di casa incontra una donna che amava suo padre prima che sposasse sua madre ...».
- Quanti libri ha scritto?
«Quarantadue e in qualche modo è come se fossero un solo libro. E' sempre uno sguardo allargato sui miei genitori, la mia origine, la mia esperienza..»
- I suoi libri per molti anni sono stati considerati strani in Israele.
«Per dirla in maniera gentile, erano considerati anti israeliani perché non parlavo di loro. Ma ora stanno comprendendo che le loro vere radici sono in Europa e gli ebrei sefarditi hanno le loro radici in Oriente. Quindi stanno arrivando ai miei libri. Ricevo molte lettere in cui si dice: "I nostri genitori erano sopravvissuti all'Olocausto, non ne hanno mai parlato, non abbiamo mai chiesto nulla, non hanno mai detto nulla. Ora capiamo cosa abbiamo perso e i suoi libri sono diventati la nostra famiglia».
- Crede che la letteratura abbia ancora importanza?
«Sì perché la letteratura è umanità. Per il suo tramite tocchiamo la realtà. L'essenza fisica, reale dell'essere umano».
- Che cos'è la fiction?
«La vita interiore degli esseri umani, non l'elenco cronologico degli eventi».
- Che cosa pensa dell'importanza della narrazione nella fiction?
«E' il dialogo profondo con se stessi e con l'ambiente circostante».
- C'è musica nella letteratura?
«Sì, è molto importante. Non posso immaginare un buon brano di narrativa senza musicalità».
- L'ebraico è un linguaggio adatto alla musicalità?
«Sì se si utilizza la lingua in modo corretto: scelta delle parole, punteggiatura, ritmo».
- Lei scrive lentamente?
«Controllo e ricontrollo più volte ogni pagina. Ad esempio, scrivo una pagina il mattino, a notte rileggo la stessa pagina e la mattina seguente di nuovo».
- In questo modo non si perde lo slancio della trama?
«No perché se si corre dietro alla trama, il testo rimarrà povero. In altre parole la frase e il paragrafo dovrebbero sempre rimanere autonomi. Ogni frase dovrebbe essere importante, così come ogni paragrafo. La trama è importante ma non ha valore senza un testo ricco».
- Quale scrittore citerebbe ad esempio per spiegare questo?
«Kafka è un buon esempio. Amo molti grandi scrittori come Thomas Mann, Dostoevskij, Tolstoj, ma non sono nella stessa scala di Kafka».
- Perché?
«Innanzitutto per la serietà. Ci sono scrittori che sono totalmente dediti al loro lavoro e Kafka è uno di questi. Dostoevskij amava due cose: la scrittura e il gioco d'azzardo, Tolstoj nei suoi ultimi anni voleva diventare un predicatore religioso e questo ha rovinato la sua scrittura. Mann aveva una mente scettica e non poteva raggiungere con la sua razionalità l'origine del mistero».
- Oggi abbiamo ancora scrittori completamente dediti al loro lavoro come Kafka?
«Sono vicino a Philip Roth, Malamud, Saul Bellow. Sono stati tutti scrittori impegnati, ma su scala diversa».
- Che cosa rende grande uno scrittore?
«La capacità di comprendere gli esseri umani e di essere loro vicino. Naturalmente c'è anche il talento. Non amo e non ho mai capito gli scrittori patologici, che odiano gli ebrei o tutti gli esseri umani».
- Come Céline?
«Sì. È molto interessante, più che interessante. Ma sono anche stupito nel vedere che scrittori come Dostoevskij, che erano capaci di comprendere l'anima di un semplice contadino quanto quella di un aristocratico degenerato, quando si tratta di ebrei pensano che abbiano tutti il naso lungo e le tasche piene di denaro».
- Perché considera Hemingway un grande scrittore?
«Era devoto alla propria debolezza. Lo ammiro per il suo stile fattuale e secco e perché non s'impone mai al lettore. E' capace di capirsi».
- E tra gli scrittori ebrei chi ammira?
«Kafka perché è molto interessante. Prevede che cosa sarebbe accaduto a lui, a noi. Ha scritto un racconto, "La colonia penale", dove aveva previsto quello che sarebbe successo vent'anni dopo, l'Olocausto».
- Qual è la missione di uno scrittore?
«Uno scrittore non dovrebbe pensare a una missione, dovrebbe essere occupato con le frasi o la trama della storia che sta scrivendo: questa è la sua missione. Dovrebbe sapere che non sarà lui a cambiare il mondo e dovrebbe essere modesto».
- Ma la fiction è arte?
«Certo, in buone mani lo è».
(La Stampa, 20 ottobre 2013 - trad. Carla Reschia)
A Gerusalemme scoperta un'iscrizione in ebraico antico di 2700 anni fa
Scavi archeologici condotti dalla Israel Antiquities Authority nell'area della sorgente Gihon, nella Città di David, all'interno del Parco Nazionale delle Mura che circonda la vecchia Gerusalemme, hanno portato alla luce uno strato di preziosi reperti che comprendono migliaia di frammenti di vasellame, lampade d'argilla e figurine. La cosa più interessante, informa un articolo pubblicato su Israele.net, è la scoperta di una ciotola in creta con un'iscrizione in ebraico antico parzialmente conservata. Benchè incompleta, l'iscrizione riporta il nome di un personaggio del VII secolo a.C. simile ad altri nomi a noi noti dalle testimonianze bibliche ed archeologiche, offrendoci un raro collegamento con la popolazione che viveva a Gerusalemme alla fine del periodo del Primo Tempio.
Il nome più simile a quello dell'iscrizione è Zechariah (Zaccaria), figlio di Benaiah, padre del profeta Jahaziel. Il nome Zechariah figlio di Benaiah appare nel libro biblico delle 2 Cronache 20:14 dove si dice che Jahaziel, figlio di Zechariah, figlio di Benaiah, un levita dei figli di Asaf, profetizzava davanti al re biblico Giosafat prima che la nazione entrasse in guerra con gli antichi regni di Ammon e Moab.
Gli archeologi della Israel Antiquity Authority, Joe Uziel e Nahshon Zanton, che hanno trovato la ciotola mentre scavavano tra le rovine collegate al periodo della distruzione del Primo Tempio, spiegano che le lettere inscritte sul frammento risalgono probabilmente ai secoli VIII-VII a.C., il che situerebbe la produzione della ciotola in un periodo tra il regno di Hezekiah (Ezechia) e la distruzione di Gerusalemme sotto il re Zedekiah (Zedechia).
Gli archeologi spiegano inoltre che l'iscrizione era stata incisa sulla ciotola prima della cottura, il che indica che l'iscrizione adornava il bordo della ciotola per intero, e che non è stata scritta su un frammento dopo la rottura della ciotola. Benchè lo scopo dell'iscrizione sulla ciotola non sia chiaro, gli archeologi hanno ipotizzato che la ciotola possa aver contenuto un'offerta probabilmente fatta dall'individuo il cui nome è inciso, oppure a lui donata.
La prima lettera dell'iscrizione parzialmente conservata sulla ciotola in antica scrittura ebraica è rotta e quindi difficile da leggere, ma sembra essere la lettera «r». Le successive lettere «yahu» costituiscono il suffisso teoforico (la componente in cui appare il nome della divinità come parte del nome proprio, come Yirme-yahu e Eli-yahu ecc.). Queste lettere sono seguite da «ben- figlio di» dopo di che compare il patronimico composto da tre lettere.
Secondo gli archeologi Uziel e Zanton, «se consideriamo la possibilità che si tratti di una grafia non vocalizzata o difettiva del nome Benaiah, allora quello che abbiamo di fronte è il nome Ryhu ben Benaiah». Molti dei nomi propri menzionati nella Bibbia contengono la componente teoforica, come nel caso di questa iscrizione trovata nella Città di David. Oltre ai riferimenti biblici, altri esempi sono stati trovati negli scavi archeologici, scritti su una varietà di oggetti come sigilli, bullae, vasellame di terracotta e persino incisi nella roccia.
La notizia era già comparsa sulla stampa qualche mese fa . In questo articolo vengono fornite altre informazioni.
(Il Messaggero, 20 ottobre 2013)
Hamas ordina una campagna del terrore contro Israele
Il capo di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, ha chiesto ai terroristi palestinesi di dare il via a una vera campagna del terrore contro Israele e i suoi cittadini. La soluzione del "problema Hamas" non è più rinviabile.
In occasione del secondo anniversario della liberazione di Gilad Shalit ottenuta in cambio della scarcerazione di oltre mille prigionieri palestinesi, il capo dei terroristi di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, ha lodato i recenti attacchi terroristici in Israele e ha invitato a proseguire su questa strada dando il via a una nuova intifada.
Nel definire "una vittoria strategica per Hamas" la liberazione di oltre mille prigionieri palestinesi in cambio di Gilad Shalit, ha detto che "sarà questa la tecnica del futuro per arrivare alla liberazione di tutti i detenuti palestinesi". In sostanza ha invitato i terroristi a rapire soldati e civili israeliani da usare come merce di scambio....
(Right Reporters, 20 ottobre 2013)
La (drammatica) storia dello psichiatra dei criminali nazisti
di Stefania Giudice
A raccontarla, nel suo nuovo libro, il giornalista Jack El-Hai. Il medico doveva certificare le capacità mentali di leader nazisti, come Hermann Göring e Joachim von Ribbentrop.
Un pezzo di storia che forse pochi conoscono e che, adesso, è stata svelata dal giornalista statunitense Jack El-Hai. Nel libro "The Nazi and the Psychiatrist: Hermann Göring, Dr. Douglas M. Kelley, and a Fatal Meeting of Minds at the End of WWII", Jack El-Hai ha raccontato l'incontro tra il dottor Douglas M. Kelley, psichiatra degli Stati Uniti d'America, e Hermann Göring, considerato il "numero due" del Terzo Reich.
Un incontro che ha sconvolto la vita dello psichiatra e che Jack El-Hai ha deciso di raccontare dopo aver ricevuto dal figlio del dottor Kelley delle scatole contenenti abbondante materiale redatto dallo stesso medico. Materiale non di poco conto, dal momento che il dottor Kelley è stato l'esperto che ha esaminato i prigionieri nazisti prima dei processi di Norimberga, che si tennero tra il 20 novembre del 1945 e il primo gennaio del 1946.
La storia del dottor Kelley e del suo incontro "fatale" con i criminali nazisti è davvero emblematica. Come raccontato da Jack El-Hai, lo psichiatra venne incaricato di incontrare in un hotel di Lussemburgo, momentaneamente adibito a prigione, alcuni importanti leader nazisti, come Hermann Göring, Joachim von Ribbentrop, Julius Streicher, Ernst Kaltenbrunner e Karl Dönitz. Il compito del dottor Kelley, appena 33enne, era quello di certificare le capacità mentali degli imputati per i processi che si sarebbero aperti di lì a poco.
Ma lo psichiatra decise di spingersi oltre e il suo obiettivo divenne quello di scoprire l'essenza della "personalità nazista". In poche parole, Kelley voleva capire quali fossero i disordini mentali e i tratti psicologici comuni ai leader nazisti in modo tale da poter poi identificare, tra la gente comune, chi avrebbe potuto commettere crimini simili.
Lo psichiatra, così, cominciò a sottoporre i prigionieri ad alcuni test e a colloquiare con loro per ore e ore, cercando di ricostruire il loro passato, di capire le loro motivazioni e la loro psiche. Tra i ventidue imputati che si trovò ad esaminare venne particolarmente colpito da uno: Hermann Göring. Il suo charm, la sua intelligenza e la sua cultura sorpresero lo psichiatra, che finì per domandarsi come mai un uomo con quelle qualità potesse essere talmente privo di coscienza. Tra i due nacque un rapporto particolare, forte, fatto di rispetto reciproco e collaborazione.
In concomitanza con l'inizio del processo di Norimberga, il dottor Kelley arrivò alle sue conclusioni, dopo le quali decise di intraprendere la carriera di criminologo. A suo giudizio, la "personalità nazista" non esisteva. I nazisti erano soggetti psicologicamente normali e le loro caratteristiche potevano facilmente essere rintracciate anche nei politici e negli uomini d'affari americani. A tal proposito, lo psichiatra affermò: "Sono abbastanza sicuro che ci sono persone, anche in America, che passerebbero senza problemi sopra il cadavere di metà della popolazione se così potessero ottenere il controllo dell'altra metà".
L'incontro con Göring e ciò che ne emerse sconvolsero Kelley, tanto da farlo precipitare nell'alcolismo e nella depressione. E a Capodanno del 1958 decise di togliersi la vita, davanti alla sua famiglia, ingoiando del cianuro. Proprio come fece, nell'ottobre del 1946 nella sua cella, il "numero due" del Terzo Reich, Hermann Göring.
(Il Journal, 19 ottobre 2013)
"Sono abbastanza sicuro che ci sono persone, anche in America, che passerebbero senza problemi sopra il cadavere di metà della popolazione se così potessero ottenere il controllo dell'altra metà". E' una frase esagerata? No, chi ha dimestichezza con la Bibbia e crede ad essa come messaggio di grazia di Dio, da una parte non è sorpreso da frasi come questa e dall'altra non cade in depressione perché le ritiene vere. Lo psichiatra non è rimasto colpito dall'orrore a cui il gerarca nazista aveva così attivamente contribuito, ma dal fatto che questo orrore sia stato assorbito e metabolizzato da un uomo che per altri aspetti si presenta del tutto normale, anzi piacevolmente attraente, come Hermann Göring. Le potenzialità di male presenti e latenti in ciascuno di noi, nessuno escluso, sono insondabili. Per questo è necessario mettere degli argini nella vita sociale, affinché il male non si trasformi troppo facilmente da potenziale ad attuale. Ma questo non è tutto, non può essere tutto. La speranza di salvezza dal male esiste, oggi personale, domani anche sociale: Gesù Cristo, "il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione" (Romani 4:25). Non è stato edificante osservare l'accanimento che si è messo contro il defunto Erich Priebke, presentandolo come un mostro fuori della norma. Il fatto grave in questo personaggio non è la sua anormale mostruosità, ma proprio la sua "normalità". Non c'è niente di eccezionale in quello che Priebke ha fatto, perché il male, anche quel tipo di male, non è affatto una rarità. Milioni di altre persone in circostanze simili sarebbero arrivate a comportarsi come lui, anche tra quelli che contro di lui oggi si sono scagliati. La riflessione non avrebbe dovuto accentrarsi sulla singola persona, ma sull'insieme di opinioni, valutazioni, giudizi che hanno portato un Priebke, e tanti altri come lui, a pensare e ad agire in quel modo, consapevoli che tra quelle persone avremmo potuto esserci anche noi. Inoltre, la morte di una persona dovrebbe ricordare agli altri che adesso il defunto si trova al cospetto del suo Creatore, ed è quindi con Lui che deve fare i conti, non con noi. E dovrebbe anche ricordare a tutti che un giorno ciascuno di noi si troverà a fare i conti con Lui, e solo con Lui. Da solo. E in quel momento le questioni di appartenenza etnica o schieramento politico non avranno importanza. M.C.
Da Riad uno «schiaffo» all'Onu
di Alberto Negri
Il gran rifiuto saudita (anche se non è escluso che Riad possa cambiare idea) solleva clamore perché proviene del maggiore alleato americano in Medio Oriente, insieme a Israele, la potenza dominante della penisola arabica e la monarchia custode dei luoghi santi dell'Islam. La rinuncia dell'Arabia al seggio a rotazione di membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite può apparire sorprendente e anche sconcertante, ma forse non è così inattesa: all'ultima assemblea dell'Onu il ministro degli Esteri saudita aveva annullato il suo discorso, palesemente irritato per il disgelo tra Usa e Iran, la repubblica islamica sciita rivale nel Golfo.
Superpotenza petrolifera, finanziaria e religiosa, l'Arabia ha spiegato lo schiaffo all'Onu con un comunicato in cui afferma che è inutile entrare nel Consiglio «finché non verrà riformato o non gli verranno forniti gli strumenti per preservare la pace e la sicurezza nel mondo». Sagge parole, ma non una novità: i sauditi, eletti per la prima volta, forse avrebbero potuto ritirarsi lasciando il posto a qualcun altro. Ma è l'affondo di Riad che rivela tutta la frustazione della politica estera saudita: «Che si permetta al regime siriano di uccidere con armi chimiche i propri cittadini di fronte al mondo senza imporre sanzioni è una chiara prova dell'impotenza del Consiglio», conclude il documento, che denuncia anche «i due pesi e due misure» adottati sulla questione palestinese.
In realtà l'Arabia Saudita è furibonda perché l'accordo sulle ispezioni delle armi chimiche in Siria, oltre ad aver allontanato la prospettiva di un intervento americano, rilegittima il regime di Bashar Assad contro cui Riad si è mobilitata finanziando le fazioni in campo e puntando su un crollo del potere alauita che non appare così vicino.
Le reazioni di Francia e Turchia, che hanno prontamente solidarizzato con l'Arabia, indicano che il passo era stato annunciato alle cancellerie "amiche" e anche il momento è stato scelto accuratamente: alla vigilia della riunione martedì a Londra degli Amici della Siria, il cartello dei Paesi che appoggiano l'opposizione, dove si dovrebbe tentare di capire chi andrà a rappresentare il frammentato e diviso fronte dei ribelli alla conferenza di Ginevra 2 prevista il 23 novembre.
Purtroppo per Riad non tutto si può comprare con i petrodollari. La primavera araba aveva colto di sorpresa i sauditi protettori dei senescenti raìs, il tunisino Ben Alì e l'egiziano Mubarak. Poi, temendo le istanze democratiche e libertarie, avevano schierato i loro soldati a difesa del regime del vicino Bahrein assediato dalla rivolta della maggioranza sciita. Scavalcati dal Qatar nel mondo arabo e in Libia, hanno quindi ripreso l'iniziativa e sono stati i primi ad abbracciare, con dollari fruscianti, i generali che al Cairo hanno spodestato Morsi e i Fratelli Musulmani.
In Siria hanno puntato subito sulla caduta di Assad, sostenuto dall'Iran, alimentando oltre che le fazioni più radicali un'aspra retorica contro i musulmani non sunniti, sciiti e alauiti. Una politica interventista che suscita i soliti sospetti arabi e una certa diffidenza americana. Tutto si fa pur di tenere lontano dal Regno wahabita il contagio rivoluzionario: è una vecchia e conosciuta tecnica saudita che consiste nell'esportare le proprie crisi invece di varare riforme interne. Ma non sempre i conti tornano anche per i ricchi monarchi del petrolio.
(Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2013)
Roma - Le acrobazie del Circus Klezmer al Teatro Vascello
Il Teatro Vascello di Roma ospita sul suo palco - dal 3 al 5 novembre - il fantastico "Circus Klezmer" della compagnia spagnola Aire Aire di Barcellona: la musica klezmer, eseguita magistralmente dal vivo, e l'umorismo della cultura yiddish, si sposano con le abilità del circo e la comicità del teatro in uno spettacolo poetico ed esilarante.
In scena, provenienti da tutto il mondo, musicisti e attori che sono anche acrobati, giocolieri, clown e Adriàn Schvarzstein (nell'immagine) eclettico, comico, dirompente artista di origine argentina ideatore, regista e interprete dello spettacolo.
(Gaia Roma, 19 ottobre 2013)
«Per essere molto brevi e sintetici»
Si dice come battuta che in Italia ci sono quaranta milioni di direttori tecnici della nazionale di calcio, e nello stesso senso si potrebbe dire che nel mondo ci sono miliardi di persone che sul conflitto arabo-israeliano sanno tutto, hanno capito tutto, hanno idee chiarissime su tutto quello che si dovrebbe fare e non fare per risolvere il problema. E' una fortuna per gli israeliani di non avere la possibilità materiale, né soprattutto la voglia, di prendere visione di tutte queste ricette risolutive dei loro problemi, perché non potrebbero che inorridire. Girando per la rete abbiamo trovato una di queste ricette, completa di tutto: diagnosi, terapia, prescrizioni.
E' una lettera a un giornale che non citiamo, di un lettore, che non citiamo, perché non ci interessano le polemiche personali, ma piuttosto le riflessioni su quello che si pensa a livello popolare sul tema Israele.
Nel testo che riportiamo sotto, il risalto in lettere maiuscole è originale, mentre quello in colore è aggiunto.
Per essere molto brevi e sintetici, il Sionismo è stato la risposta data da alcuni intellettuali ebraici alla fine del '800 all'antisemitismo, un fenomeno nato in coincidenza della caduta degli imperi della Europa centrale, provocando spinte nazionaliste e che sono sfociate nella prima guerra mondiale e poi nel fascismo e nel nazismo. Il Sionismo è nato quindi come risposta legittima a quell'antisemitismo causato dalle spinte nazionalistiche provocando guerre e tragedie che hanno insanguinato l'Europa. Ma il Sionismo, dichiarato dalla Assemblea Plenaria delle Nazioni Unite nel 1974 una forma di razzismo (anche se poi revocato), ha provocato quella ferita tutt'ora aperta in Medio Oriente, cacciando dalla Palestina il legittimo popolo palestinese. Questa premessa mi è servita per capire quale proposte si possono fare oggi per far finire questo conflitto, partendo da questa considerazione molto semplice: senza la pace in Palestina non ci può essere la pace in Medio Oriente, ma anche nel mondo intero.
Bisogna avere quindi il coraggio di ammettere oggi che gli Israeliani hanno vinto e che la guerra in questa regione non partorisce la pace, anzi è la guerra è stata lo strumento attraverso il quale il Sionismo ha vinto e ha scacciato i Palestinesi dalla loro terra. Oggi quindi solo una azione nonviolenta può riportare la pace e la convivenza tra Israeliani e Palestinesi. La mia idea è molto semplice: creare un unico Stato, che attraverso una Confederazione Federalistica di realtà regionali diverse, possa far convivere due popoli, consentendo a tutti la libera circolazione a tutte le persone, diritti e doveri uguali per tutti, abbattendo da subito tutti quei muri orrendi costruiti in questi anni dal governo Israeliano, peggiori del muro di Berlino, che la storia ha fatto crollare. Israele, visto che vinto, deve dichiarare la fine del Sionismo e farsi carico di dare a tutta la popolazione che oggi vive nella Palestina stessi diritti e stessi doveri. E i palestinesi devono a mio parere rinunciare a dar vita allo Stato Palestinese (che per nascere deve dotarsi di un esercito, cosa questa che gli Israeliani non consentiranno mai.) Con l'avvento del terzo millennio dobbiamo avere il coraggio di dichiarare la fine del guerra, e DICHIARARE LA PACE, non solo in Palestina, ma in tutto il mondo. Rivendicare idee di carattere nazionalistico, non può far altro che fa aumentare le sofferenze del popolo palestinese, che ancor oggi paga atroci sofferenze vivendo nel silenzio della pubblica opinione internazionale, le stesse atrocità vissute dagli Ebrei nei campi di sterminio nazista. Anche gli Israeliani devono farsi carico della realtà che il Sionismo ha creato, rinunciando ad usare la Shoa per fare ai Palestinesi quello che loro hanno subito nei campi di concentramento. Comprendo che il percorso che ho suggerito è molto arduo, che non si realizza dall'oggi al domani, ma io credo che l'Europa, che ha comunque una responsabilità storica in questo contesto, abbia il dovere di far incontrare le voci della convivenza pacifica. Ma anche la Chiesa Cattolica che in passato ha organizzato le Crociate, deve fare molto di più, in quella terra dove è nato, vissuto, crocifisso, morto e risorto Gesù Cristo, perche a Betlemme possa riapparire per sempre, la stella cometa della pace. Oggi con Papa Francesco si possono organizzare CROCIATE PACIFISTE, perchè israeliani, mussulmani, cristiani possano convivere finalmente in pace in Palestina, come vivevano agli inizi del secolo scorso.
Probabilmente l'autore di queste righe si considera una persona informata, oggettiva, equilibrata, e desiderosa di null'altro che di vedere la PACE stabilirsi nel mondo. Si sentirebbe quindi offeso se qualcuno gli dicesse che è un antisemita oggettivo, più pericoloso dei naziskin, e quindi è bene che non gli sia detto, neppure in questa forma. Ma resta il fatto che con pseudoconoscenze piene di falsità e pregiudizi come questa, insieme a molte "buone intenzioni", si arriva prima o poi ad essere convinti che chi si oppone allo stabilimento della PACE nel mondo è un elemento solo: Israele. E di questo gli antisemiti professanti di tutto il mondo saranno più che contenti. M.C.
(Notizie su Israele, 19 ottobre 2013)
Israele per le giovanili femminili
La federcalcio israeliana (IFA) ha organizzato il primo settore giovanile femminile, con 21 giocatrici selezionate che daranno il via al progetto a settembre.
Questo settore giovanile è il primo passo della IFA per lo sviluppo del calcio femminile nel paese. I valore di base dell'accademia sono l'eccellenza, il fair play, il lavoro di squadre e gli obiettivi. Lo scopo è quello di permettere alle giovani di talento di sfruttare il loro potenziale grazie ad allenamenti svolti nelle condizioni ottimali, oltre a quello di ottenere buoni risultati nei principali tornei internazionali.
Uno di questi tornei è l'Europeo Femminile Under 19 UEFA 2014/15, che si terrà proprio in Israele, e nel quale dovrebbero essere coinvolte le 21 giocatrici selezionate per l'accademia.
Lo staff tecnico dell'accademia comprende il tecnico Guy Azouri, che in passato ha guidato squadre maschili di alto livello in Israele, e il suo assistente, Jan Telesnikov, ex giocatore con esperienza di allenatore nel massimo campionato.
Le ragazze staranno in accademia 24 ore al giorno, da domenica a giovedì, per undici mesi all'anno. Si alleneranno due volte al giorno e giocheranno sia nel campionato maschile che in quello femminile.
La IFA fornirà alle atlete: le migliori condizioni di allenamento, una scuola privata, attrezzature di alto livello, una palestra moderna, specialisti per controlli, programmi di crescita e sviluppo, accesso alla medicina sportiva e a un dipartimento di ricerca, una struttura di supporto che comprende medici, nutrizionisti, fisioterapisti, psicologi e altri specialisti, riabilitazione sportiva oltre a uno staff per le relazioni sociali e l'educazione.
Questa è un'altra pietra miliare nella storia della IFA per ridurre il gap tra il calcio femminile israeliano e quello dei paesi che hanno reso questo sport così popolare. La IFA considera questa iniziativa come qualcosa che avrà un grande impatto sulla percezione della gente del calcio femminile, e che porterà molte ragazze a giocare a calcio.
(UEFA.com 18 ottobre 2013)
Giorgio de Chirico e l'Hebdomeros a Tel Aviv
Rassegna dedicata a 'Il libro: d'arte e d'artista'
TEL AVIV - Giorgio de Chirico, il suo "Hebdomeros" e le 23 litografie originali che lo accompagnano, esposti per la prima volta a Tel Aviv. Il capolavoro della letteratura surrealista, come e' considerato generalmente dai critici, e' stato presentato ieri sera al Museo Beit Hair, l'ex municipio che sorge in una delle piu' belle piazze della citta', nella mostra dedicata al "Libro: d'arte e d'artista", ideata da Carmine Siniscalco dello Studio S-Arte contemporanea di Roma.
Una rassegna con due temi: il libro come contenitore letterario o come oggetto/soggetto d'arte. Per il primo ecco appunto "Hebdomeros", definito da Louis Aragon "opera interminabilmente bella" e da Jean Cocteau "il più importante testo letterario del mondo surrealista". Per il secondo tema, la mostra - organizzata dall'Istituto italiano di Cultura, in collaborazione con la municipalità di Tel Aviv-Giaffa e con il Beit Hair, nell'ambito della 13/a edizione della Settimana della Lingua italiana nel mondo - presenta 36 libri d'artista, "opere d'arte in forma di libro", in esemplare unico, tutti realizzati e firmati da artisti contemporanei. Artisti - e' stato detto - che, con la propria personalità e creatività, sottolineano l'importanza del libro come strumento di comunicazione e diffusione della cultura, della conoscenza, del sapere, di contenuti poetici e scientifici.
L'esposizione - ha sottolineato l'ambasciatore italiano in Israele Francesco Maria Talo' - consentira' a molti di "avvicinarsi al mondo pittorico e al pensiero filosofico del Grande Metafisico, Giorgio De Chirico, e di scoprire allo stesso tempo artisti in massima parte conosciuti e apprezzati in Italia e all'estero". "Il libro - ha aggiunto Carmela Callea, direttrice dell'Istituto - e' il testamento del sapere che abbiamo il dovere di trasmettere alle generazioni future". La mostra resterà aperta fino al 16 gennaio 2014.
(ANSAmed, 18 ottobre 2013)
Israele salva duemila macachi dalla vivisezione. Ma ancora non sa dove metterli
Stop del governo di Gerusalemme all'unico allevamento specializzato in primati da laboratorio.
di Elisabetta Rosaspina
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Alcuni macachi in cattività |
GERUSALEMME - Sono 1896. Non servono più per la riproduzione e, auspicabilmente, nemmeno come cavie da laboratorio. Per tutta la loro vita sono stati trattati come «merce», a tremila dollari l'uno. E sono stati spediti come pacchi nelle stive degli aerei in viaggi intercontinentali. Il destino loro, o dei loro figli, era di finire immobilizzati in piccole gabbie di aziende farmaceutiche o cosmetiche sparse per il mondo, ma principalmente in Giappone, Stati Uniti, Cina, a sperimentare intrugli tossici iniettati nelle loro vene o spalmati sulla loro pelle, e a farsi prelevare quotidianamente il sangue per verificare gli effetti. In pochi potrebbero consolarsi sapendo di aver salvato, con il loro sacrificio, molte vite umane. La maggioranza, secondo le associazioni in difesa degli animali, hanno contribuito tutt'al più al miglioramento delle creme anti età o agli ombretti ipoallergenici.
STOP SPERIMENTAZIONI - Ora per quasi duemila macachi dell'allevamento israeliano Mazor Farm sembra arrivata la conclusione dei tormenti: il governo di Gerusalemme ha deciso di mettere fine, dopo vent'anni, all'attività dell'unico allevamento di scimmie, a scopo sperimentale, del paese: da gennaio nessun cucciolo di macaco viene più staccato senza pietà dalla madre per essere inviato in una cassa a istituti di ricerca, come il nippo-statunitense Shin Nippon Biomedical Laboratories, uno dei principali clienti della Mazor Farm, con filiali in nord America, Cina, Giappone, Cambogia e un fabbisogno di tremila scimmie all'anno. Da Israele, a quanto pare, non ne arriveranno altri. Ma alle autorità si pone il problema di dove sistemare i quasi duemila macachi rimasti nelle gabbie dell'allevamento, dove rischiano di essere considerati come un ingombrante, costoso «avanzo di magazzino» da liquidare il prima possibile. Così il ministro per l'Ambiente Amir Peretz ha lanciato un appello internazionale per trovare rifugio a 700 esemplari, e alla procura generale perché autorizzi il trasferimento delle scimmie negli eventuali paesi d'accoglienza.
LE «MATRIARCHE» - Le loro origini sono all'isola di Mauritius, dove 650 di loro sono state catturate dai cacciatori e inviate in Israele come fattrici. Ma da Port Louis non c'è da attendersi un via libera per il loro rimpatrio: i macachi sono considerati una specie infestante. Gli altri 1246 sono nati in Israele e, finché la nuova legge non diventerà esecutiva (nel gennaio del 2015), sono teoricamente ancora a rischio di esportazione a fini sperimentali. Soltanto per 50 femmine anziane l'incubo sembra davvero terminato: il ministero per l'Ambiente ha trovato un accordo con Tamar Fredman, direttore di un centro per la riabilitazione dei primati a Ben Shemen, per ospitare le «matriarche», ormai non più fertili. Il racconto di Tamar Fredman è impressionante: abituate per anni a vedersi sottrarre i loro piccoli, le macache si stanno riprendendo gradualmente dai loro traumi e ritrovano piano piano fiducia negli umani e qualche gioia nella vita. Non sono più costrette in gabbie dal suolo di cemento, ma hanno a disposizione un compound pavimentato con la terra. Stabiliscono gerarchie e relazioni sociali fra loro. E basta poco per renderle felici: a ciascuna un giocattolo preferito da cui non separarsi mai, per sentirsi sicura, e per trovare un po' di quiete.
VIAGGIO DI SOLA ANDATA - Negli ultimi vent'anni, secondo i calcoli del quotidiano Haaretz, 5.231 scimmie sono partite dall'allevamento israeliano per un viaggio di sola andata verso il loro infausto destino, generando un giro d'affari di 15 milioni di dollari. Ma, stando ai documenti della Mazor Farm, le importazioni da Mauritius si sono interrotte nel 2008. La nuova linea del governo, avviata dall'ex ministro per l'Ambiente, Gilad Erdan, e confermata dal suo successore, Peretz, mette fine anche le polemiche sui mancati (o pilotati) controlli dei sovrintendenti dell'Autorità israeliana per la natura e i parchi(Inpa): «Bisogna inculcare nell'opinione pubblica il concetto che non si fanno affari sulla sofferenza degli animali» ha sottolineato Eerdan, all'inizio della battaglia. Ora però si tratta di trovare un "buen retiro" per quasi duemila individui sopravvissuti o scampati alla schiavitù. «Missione difficile, ma non impossibile» promettono le autorità israeliane.
(Corriere della Sera, 18 ottobre 2013)
Un ghetto ebraico in Polonia visto dal fotografo di Hitler
Hugo Jaeger, uno dei fotografi personali di Hitler negli anni '30, ha avuto l'opportunità di scattare una serie di fotografie nel Ghetto di Kutno pochi mesi dopo l'invasione della Polonia da parte dei nazisti. Gli ebrei presenti nel ghetto erano circa 8000, gran parte dei quali vennero successivamente deportati nel campo di sterminio di Chelmno. A Kutno rimasero solo gli anziani e gli ammalati, anch'essi giustiziati dai nazisti, riporta imediabuzzy.
Le foto di Hugo Jaeger, oltre ad essere tra le poche del periodo a colori, mostrano ritratti di uomini, donne e bambini ebrei, sorridenti, cosa "atipica" per il periodo e per la situazione.
Fotografie molto belle, ma anche molto tristi, che rendono insopportabile l'idea che proprio davanti a quella macchina fotografica molte persone hanno vissuto i loro ultimi momenti di umanità.
(AgoraVox, 18 ottobre 2013)
«Enzo, sono Anna! Te li ricordi i mitra?»
di Maria Lombardi
16 ottobre 1943 uno dei momenti più bui della storia
«Voglio incontrare Enzo, sono venuta qui per lui. Non lo vedo da 70 anni, dalla mattina del 16 ottobre 1943». Anna con le mani aggrappate alle inferriate della Sinagoga aspetta che finisca la cerimonia per l'anniversario del rastrellamento del Ghetto. È in piedi da ore, ha 84 anni e sente dolore alle gambe. «Abitavo vicino ad Enzo in viale delle Milizie, avevamo tutti e due 14 anni. Eravamo cresciuti insieme. Quella mattina vennero a prenderli. Non me lo posso dimenticare. Vidi il furgoncino davanti al palazzo. Scendevano le scale, lui e tutta la famiglia, dietro di loro i soldati con le armi puntate. La mamma di Enzo aveva la canna del mitra poggiata sulla schiena, il soldato la spingeva. Lei si fermò e si affacciò sulla tromba delle scale urlando: signora Balestrieri, il canarino! La signora Balestrieri era la vicina del piano di sopra. In casa era rimasto solo l'uccellino nella gabbietta, io lo vedevo dalla finestra di casa mia. Se ne occupò la vicina. Da quella mattina non li ho più visti. Ho saputo che Enzo stamattina è qui, voglio incontrarlo». Anna trema. Chiede aiuto, vuole che qualcuno le indichi Enzo perché dopo tutto questo tempo faticherà a riconoscerlo. La cerimonia con Napolitano finisce, Enzo scende lento le scale della Sinagoga. Anna l'aspetta al cancello. «Ciao, Enzo. Sono Anna Corruccini, viale delle Milizie 16, scala B. Ti ricordi?», piange. Lui si ferma, «sì, Anna». Le mani si incontrano incerte, gli occhi opachi di lacrime. Anna e il suo amico: Enzo Camerino, sopravvissuto ad Auschwitz e al 16 ottobre.
(Il Messaggero, 18 ottobre 2013)
Israele: ondata di attacchi terroristici forse troppo sottovalutata
In Israele sono molto preoccupati per la forte infiltrazione di cellule di Hamas in West Bank e in particolare nelle aree sotto controllo della Autorità Nazionale palestinese. Gli ultimi attacchi terroristici, l'ultimo ieri sera, sembrano il frutto di una vera e propria campagna più che di fatti isolati.
Ieri sera l'ultimo attacco terroristico della serie che nelle ultime settimane ha visto diversi civili israeliani feriti o uccisi, tra i quali una bambina di appena nove anni gravemente ferita mentre era nel giardino di casa. Un terrorista palestinese, tale Younis Radeideh, a bordo di un bulldozer si è lanciato contro una base dell'IDF e ha cercato di investire diversi militari prima di essere ucciso....
(Right Reporters, 18 ottobre 2013)
Odifreddi, il blog calamita per antisemiti
di Elena Loewenthal
Mentre mezza Italia è all'inseguimento delle spoglie di un criminale nazista fiero di esserlo stato, l'altra infesta il web di parole orrende. La responsabilità primaria di questo inquinamento verbale torrenziale, bulimico, è di Piergiorgio Odifreddi e del suo blog. Il matematico impertinente nonché tuttologo visibilmente in cerca di visibilità lancia da un pezzo i suoi strali contro Israele, che con un risentimento fetido equipara ai peggiori criminali seriali della storia.
Il web, si sa, è diventato ormai il luogo dove l'esercizio della libertà di parola diventa come nulla lo sproloquio dell'arbitrio, della parola che si lancia al vento della rete giusto per farsi sentire. A forza di gridare forte, Odifreddi è riuscito ad attirare entro il suo campo gravitazionale una costellazione di voci accomunate da quello che non si stenta a definire una nuova forma di (vecchio) antisemitismo.
Dall'odio per Israele alla diffidenza per la storia del Novecento così come ci sarebbe stata «propinata» dai vincitori il passo non era poi così lungo. Si è compiuto in questi giorni, sull'onda del tardivo decesso di un boia nazista. Perché più delle parole di Odifreddi - che potremmo anche prendere con il beneficio d'inventario della trovata mediatica, della boiata da megafono - sconcertano i commenti degli internauti, rimbalzati come una fiumana tossica per tutti i social network.
E di questi commenti, stupisce che più della furia, della voglia di presunta rivalsa storica, siano intrisi di una razionalità assurda, di quella serietà che possiamo immaginare sul volto arcigno di una maestrina, le mani sui fianchi e il piede che batte per terra. C'è chi avanza dubbi sull'efficacia dello Zyklon B e sull'infiammabilità di quell'aria impestata per dimostrare che i racconti arrivati da Treblinka e Auschwitz sarebbero incongruenti e dunque falsi. Chi dice che le ha viste bene, a Dachau, ed erano docce vere, altro che! Chi, più in generale, invoca delle prove dello sterminio, che in fondo non ci sono
Una quantità inenarrabile, insomma, di sentenze, di assurdità declamate. Un quadro terribilmente desolante che suscita due pensieri, tristi entrambi. Il primo è che chi scatena e lascia spazio a tali nefandezze verbali ha delle pesanti responsabilità intellettuali prima ancora che morali. La seconda è che forse l'istanza della memoria esige una revisione. A giudicare da queste escandescenze, ricordare non serve. Diventa anzi una comoda scappatoia per alienare quella memoria, misconoscerla e rinfacciarla a chi l'ha subita. Quella storia lì, dei campi, del gas, dei forni crematori è dell'Europa, di tutti, prima ancora che del popolo ebraico. Il delirio di parole scatenato da Odifreddi è una sconcezza terribile, per me una fitta di dolore misto a rabbia e l'anelito assurdo ma irrefrenabile a un poco di oblio. Lasciatemi in pace con i miei milioni di morti.
(La Stampa, 18 ottobre 2013)
... forse l'istanza della memoria esige una revisione. Questa frase di Elena Loewenthal merita di essere presa in seria considerazione. Se la celebrazione della memoria dellOlocausto diventa, come è diventata, la posizione ufficiale delle autorità e di tutte le persone benpensanti, allora landare contro corrente, il poter dire di non essere allineati con lopinione della massa (forse perché veicolata dai soliti ebrei, si suggerirà sommessamente) apparirà come segno di perspicacia e libertà intellettuale. E poiché molta gente non aspetta altro che qualcuno gli porti qualche ragione (non ha importanza quanto fondata) che gli confermi che a pensar male degli ebrei si coglie nel segno, è chiaro che chi si fa paladino di simili ardite posizioni contro corrente ha buone probabilità di ottenere prestigio e successo. Se poi si stabilirà per legge che a negare lOlocausto si va in galera, a molti questo apparirà come la prova provata che dietro tutta la faccenda cè, ancora una volta, lo zampino degli ebrei che non vogliono far venire a galla la verità. Forse non ci siamo ancora arrivati, ma ci stiamo arrivando. M.C.
L'idea di Palestina tra geografia e narrativa
La parola "Palestina" è stata coniata dai romani per sostituirla al nome Giudea dopo la repressione delle Rivolte Ebraiche successive alla conquista romana.
"Palestina" è un termine che è stato in seguito usato per denominare l'area che oggi comprende Israele e i Territori sotto amministrazione dell'Autorità Palestinese.
Sotto il Mandato Britannico (1920-1948), la parola "Palestina" è stata reintrodotta per denominare l'area tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, confinante con Siria, Libano, Transgiordania (oggi Giordania) e Egitto.
Dopo la fondazione dello Stato di Israele, la parola "Palestina" reca in sé l'idea nazionale del popolo palestinese, con le conseguenti richieste territoriali e nazionali....
(Informazione Corretta, ottobre 2013)
Segnaliamo questo interessante dossier sulla Palestina che indubbiamente merita di essere diffuso per la semplicità con cui presenta fatti facilmente documentabili, ma purtroppo ignoti ai più. Soltanto due osservazioni: 1) il download del testo in pdf non funziona; 2) la frase dellarticolo di introduzione Dopo la caduta dellImpero Ottomano, larea è passata sotto amministrazione Britannica, che lha chiamata Palestina (a est del fiume Giordano) e Transgiordania (a ovest del Giordano) dovrebbe essere opportunamente corretta per evidenti... motivi geografici.
Gir@ La Moda a Tel Aviv per la Holon Fashion Week 2013
A Tel Aviv si torna letteralmente a parlare di moda grazie alla Holon Fashion Week 2013, che si è inaugurata nella spettacolare cornice del Design Museum di Holon. Ospite internazionale dell'evento è Stephen Jones con la mostra "Head Sculpture": una selezione di 20 cappelli dalle forme scultoree, ripercorrono anni diversi della sua carriera. Una piccola retrospettiva pensata in dialogo con l'architettura di Ron Arad che rappresenta l'avvio di un workshop tenuto dallo stesso Stephen Jones. Un momento di grande condivisione dove Stephen ha raccontato il suo metodo di lavoro in un dialogo aperto con il pubblico presente.
Altrettanto emozionante è stata la performance dei "Muslin Brothers" che hanno letteralmente invaso con una valanga di abiti la collina a lato del museo fino all'ingresso.
Questa non una delle "solite" fashion week in cui si vedono sfilare i designer, ma è un vero e proprio festival della moda con mostre, installazioni, workshop, conferenze e incontri per invitare opinion leader e stampa internazionale a scoprire la moda israeliana. Il progetto della Holon Fashion Week è iniziato sei anni fa come giornata di studi sulla moda e solo dal 2011 si è consolidato con un programma strutturato e ricco di iniziative. Ogni anno si pone l'accento su tematiche differenti per innescare un dialogo tra la fashion community globale e quella israeliana.
Questa edizione ha come tema i materiali della moda e in particolare il confronto tra il ritorno alle tradizioni artigianali e l'utilizzo delle tecnologie più avanzate, come il design interattivo o la stampa 3D, oggi impiegata in modo sperimentale da diversi fashion designer come la pionieristica Iris Van Herpen.
Un panorama di moda e design che risulta davvero sorprendente e poco conosciuto.
(ELLE.it, 17 ottobre 2013)
Schiaffo di Erdogan alle spie di Israele
WASHINGTON - All'inizio dello scorso anno, il governo del premier turco Tayyip Erdogan rivelò a Teheran l'attività di una rete di spie israeliane che si incontravano in Iran con una decina di informatori iraniani, causando ad Israele una "notevole" perdita di intelligence. Lo scrive oggi il Washington Post citando "fonti bene informate", secondo cui è stata un'azione motivata dalla volontà di assestare "uno schiaffo agli israeliani".
L'intelligence israeliana ha apparentemente condotto parte della sua rete di spionaggio iraniana dalla Turchia, poiché è relativamente semplice oltrepassare la sua frontiera con l'Iran, scrive ancora il Post, aggiungendo d'altro canto che secondo funzionari Usa, Israele riteneva che i turchi non avrebbero mai esposto l'attività dell'intelligence israeliana dopo molti anni di stretta collaborazione.
Gli stessi funzionari, citati in forma anonima, ritengono possibile che le rivelazioni di Ankara a Teheran siano state una sorta di rappresaglia per l'incidente della flottiglia che nel maggio 2010 era diretta verso Gaza. In quell'occasione, un commando delle forze israeliane abbordò una nave turca che trasportava aiuti per la popolazione di Gaza e intendeva forzare il blocco imposto dalle autorità di Israele, e negli scontri che seguirono nove attivisti turchi rimasero uccisi.
(Corriere del Ticino, 17 ottobre 2013)
La legge contro limmigrazione illegale in Israele
Allo studio un nuovo 'piano d'azione' dopo i rilievi della Corte Suprema
GERUSALEMME - "Fermare l'ingresso di nuovi migranti nelle città di Israele e rimpatriare quanti sono già entrati illegalmente": questi i due obiettivi fissati oggi dal premier israeliano Benyamin Netanyahu in una riunione interministeriale convocata per esaminare un nuovo 'piano di azione' contro l'immigrazione illegale dai Paesi africani. Il mese scorso la Corte Suprema di Gerusalemme ha trovato incostituzionale un emendamento che prevede la reclusione fino a tre anni di chi sia entrato illegalmente in Israele. I nove giudici hanno chiesto all'unanimità al governo di varare una nuova legge che sia consona con i principi a cui si ispira lo Stato ebraico.
Il consigliere legale del governo, Yehuda Weinstein, ha assicurato che sarà tenuto conto delle indicazioni dei giudici.
"Quella sentenza - ha ammesso il ministro degli Interni Gideon Saar - ha creato una situazione nuova". Tuttavia, ha rilevato, "Israele resta l'unico Paese occidentale che confina con l'Africa". "Abbiamo il dovere - ha aggiunto - di difendere (dai migranti, ndr) lo Stato, i nostri confini, i nostri cittadini".
Netanyahu ha notato con compiacimento che negli ultimi mesi "il numero degli ingressi illegali è stato pari a 'zero'": un risultato legato anche alla costruzione di una lunga barriera sul confine con il Sinai egiziano. Il premier ha aggiunto che anche i migranti già stabilitisi in Israele - 60-70 mila circa, per lo più sudanesi ed eritrei - saranno rimpatriati, "mediante metodi legali ed accettabili".
(ANSAmed, 17 ottobre 2013)
I rabbini ortodossi che rifanno Simon e Garfunkel
Successo strepitoso per «Sounds of silence»
di Elisabetta Rosaspina
Erano già stati visti esibirsi sulla Jaffa Road di Gerusalemme nel repertorio dei Beatles e dei Pink Floyd's, ma da quando sono comparsi alla televisione israeliana cantando "The sound of silence" come Simon e Garfunkel, i fratelli Aryeh e Gil Gat sono stati proiettati nel firmamento dell'audience. Niente di strano in tempi di talent show (in questo caso il programma s'intitola "Rising Star", più o meno "Stella Nascente") se non fosse che la coppia protagonista del video (ormai virale in internet) è composta da due fratelli rabbini "haredim", ultra ortodossi. Un duo folk non comune, ma ben avviato secondo i critici locali. (E.R.)
(Corriere della Sera, 17 ottobre 2013)
Shoah difesa per legge?
di Andrea Cangini
ROMA - Nel silenzio dei cosiddetti «liberali» di Pdl, Scelta civica e Pd, riecheggia la voce anticonformista del solito Pannella: «Francamente, l'idea di mettere in galera chi sostiene che la Shoah non sia mai esistita mi pare segno di un'inciviltà totale». Da sempre amico degli ebrei e di Israele, il leader radicale considera «totalmente illiberale» la legge in discussione al Senato che prevede fino a 5 anni di carcere per «chiunque nega l'esistenza di crimini di guerra o di genocidio o contro l'umanità». Così come la giornalista ebrea Fiamma Nirenstein sostiene che «è con le idee che si combattono le idee, anche le peggiori come l'antisemitismo», anche Marco Pannella nella norma vede la negazione del noto motto voltairiano «non condivido le tue idee, ma sono disposto a morire perché tu possa professarle». Tanto più che in questo caso non si parla esplicitamente dell'Olocausto, ma genericamente di tutti i crimini contro l'umanità. La Corte penale internazione diverrebbe dunque il custode di una Verità assoluta penalmente difesa. O, per meglio dire, imposta.
Riflette Pannella: «Essendo durato più a lungo del nazismo, a carico del comunismo reale potremmo mettere un danno per l'umanità ancor più grave di quello provocato dalla Shoah. E allora che facciamo, mettiamo in galera tutti quelli che sostengono che in Unione Sovietica non si stava poi così male?». Parole coerenti con la storia dei radicali italiani, tra i quali figurano gli antifascisti Ernesto Rossi e Altiero Spinelli che pure si opposero all'introduzione del reato di apologia del fascismo voluta nel '52 dall'allora ministro dell'Interno Scelba.
I reati di opinione sono sempre odiosi. E spesso controproducenti. A domanda se non si rischi così di fare dei negazionisti non delle macchiette ma dei martiri della libertà, il deputato del Pd Emanuale Fiano, figlio di Nedo Fiano, deportato ad Auschwitz e unico superstite di tutta la sua famiglia, non nega il problema: «Ci devo riflettere», dice. Nessun dirigente del Pdl di estrazione liberale sembra invece incline alla riflessione. Uniche voci critiche quelle di due ex socialisti: Fabrizio Cicchitto («il negazionismo è abietto e ridicolo, ma resto contrario per principio al delitto di opinione») e Maurizio Sacconi («avverto una strana propensione ad istituire reati d'opinione il cui sviluppo giurisprudenziale potrebbe essere imprevedibile», dice riferendosi anche alla recente legge sull'omofobia).
Nel 2007, quando l'allora ministro della Giustizia Mastella propose il carcere per i negazionisti, quasi 200 accademici firmarono un appello critico e ben argomentato. Il silenzio odierno non depone a favore dello stato di salute della nostra democrazia.
(Quotidiano.net, 17 ottobre 2013)
Il 31% degli israeliani è "a rischio povertà"
Un rapporto del Central Bureau of Statistics, pubblicato ieri, paragona i dati del Paese con quelli dell'Unione europea. In aumento israeliani ed europei a rischio di povertà. Per i bambini israeliani la percentuale è al 40%, contro una media del 20% europeo.
GERUSALEMME - Il 31% degli israeliani è "a rischio povertà". Lo rivela un rapporto del Central Bureau of Statistics (CBS), pubblicato ieri, che paragona i dati del Paese con quelli dell'Unione europea.
Ne emerge che nella Ue il "rischio povertà" riguarda il 17% della popolazione e che il dato israeliano è peggiore di quello degli Stati europei in condizioni più disastrate, che sono Spagna e Grecia, attestate intorno al 20% di "rischio".
Il rapporto, che si riferisce a statistiche del 2011, indica un aumento del numero di israeliani ed europei che sono a rischio di povertà. Nel 2011, il 31% degli israeliani erano in tale situazione, contro il 26% nel 2001. A parte la Germania e la Svezia, Israele ha registrato il più forte aumento del numero di cittadini che sono a rischio di precipitare nella povertà se confrontato con gli Stati dell'UE.
La ricerca evidenzia anche che, sempre nel 2011, la percentuale di bambini israeliani che erano a rischio di povertà era al 40%, contro una media del 20% europeo. Nel 2005, la percentuale di bambini israeliani nella situazione era del 38,3%. L'aumento più consistente di tale dato nell'Ue è stata registrata in Svezia (dal 10,5% del 2005 al 14,5% del 2011).
Altri dati forniti dall'Ufficio israeliano di statistiche evidenziano come il 44% delle famiglie israeliane con un solo genitore sia a rischio di povertà nel 2011, rispetto al 41% nel 2001. In quest'ultimo anno il dato europeo è del 35%.
Va invece meglio che in Europa, infine, l'occupazione. Il tasso di disoccupazione tra gli israeliani di 25-64 anni si attesta al 5,9%, contro una media del 7% in Stati appartenenti all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.
(Asia News, 17 ottobre 2013)
Video
Negare la Shoah è da infami. Ma non è reato
di Fiamma Nirenstein
Le mie ragioni per non essere d'accordo col reato di negazionismo sono opposte a quelle che hanno portato il Movimento 5 Stelle a frenare l'iter della legge speciale in Parlamento. L'alibi della «complessità» del tema addotto dai grillini è semplicemente risibile. Temo che della «complessità» i nuovi senatori e deputati a 5 Stelle ne sappiano poco, specie quando è riferita alla condizione e alla questione ebraica: lo si vede dalle loro inverosimili prese di posizione sullo Stato d'Israele, che pure si succedono con una certa frequenza. Dunque, speriamo che si occupino d'altro.
Il negazionismo non può essere combattuto in tribunale: delle leggi ad hoc non esistono in vari Paesi peraltro molto interessati al tema, per esempio in Israele. Si tratta infatti di una perversione globale, trasferitasi nel mondo intero da un maleodorante salottino europeo capeggiato da Roger Garaudy (definito da Gheddafi il più grande filosofo europeo dopo Platone e Aristotele), che come Robert Faurisson prendeva aria in certi suoi tour finanziati dal mondo islamico, dall'arcigna maschera di David Irvin e quella penosamente ridicola di Dieudonnè M'bala M'bala, dall'ammiccare a certi ambienti di alta aristocrazia codina e a dei deficienti rapati a zero... È diventato un ruggito globale, uno strumento primario di antisemitismo. I negazionisti non usano l'antisemitismo come arma. È il negazionismo ad essere un'arma fondamentale dell'antisemitismo contemporaneo in allarmante aumento in Europa e in stabile condizione di alta, altissima marea nel mondo islamico. Non possiamo mettere in galera tutti i negazionisti, possiamo combattere politicamente tutti gli antisemiti. Combattere il negazionismo da solo non si può, è impossibile, se non si affronta di petto l'antisemitismo, cosa che vergognosamente l'Europa si rifiuta di fare. Ormai quasi la metà dei cittadini ebrei dei Paesi della Ue ha ricevuto attacchi o minacce legati alla propria religione: il Vecchio Continente, se avesse un minimo di rispetto per se stesso, dovrebbe alzarsi in piedi e cacciare a pedate chi ripropone ciò che sul suo terreno ha creato il peggiore degli episodi della sua storia. Non lo fa, anzi nega il fenomeno: la Svezia si sta svuotando di ebrei, l'emigrazione ebraica in Francia è alta quanto non si era mai visto prima, in Inghilterra e nei Paesi Bassi cresce, e anche in questo nostro dolce Paese l'aria non è tanto buona. Il presidente della Repubblica che ieri era caldamente presente alla Sinagoga per ricordare con una gran folla la razzia del Ghetto, è sempre stato un alfiere della lotta all'antisemitismo, denunciando tra i primi l'identificazione fra quest'ultimo e l'odio per Israele.
Ma in questi anni l'ondata si è fatta tsunami globale, e il negazionismo si è tinto di tutti i colori, ha parlato tutte le lingue, si è insinuato con varie nuances fra intellettuali e politici.
Il negazionismo ne è un'arma principale. Tutti ricorderanno la conferenza che Ahmadinejad tenne a Teheran nel dicembre del 2006. La condanna fu vastissima, ma anche la partecipazione fu tale che per combatterne i colori si sarebbe dovuto marciare con molte divisioni scorrazzando sul globo. Dunque: o la battaglia delle idee, o lo scontro armato, il tribunale non c'entra. Apparve fondamentale al regime degli Ayatollah, che predica la distruzione dello Stato d'Israele, sostenere di fronte a tutto il mondo che la Shoah è una menzogna. Anche Abu Mazen, il rais palestinese, a suo tempo ha negato la Shoah: è un comma specifico della guerra contro gli ebrei, che la si combatta sul terreno delle caricature o su quello del terrorismo. Fu in questo molto coadiuvato da personaggi provenienti da tante latitudini, da David Duke ad Ahmed Rami. Hassan Nasrallah come tanti altri leader arabi ha lodato Garaudy, e non mi esce di mente un saggio di Alain Finkielkraut «Au nom de l'autre, reflection su l'antisemitism que vien» che legava il pacifismo estremo, la negazione della possibilità che esista una guerra giusta (come quella, per esempio degli americani contro il nazismo) alla nuova vita presa dal negazionismo. È con le idee che si combattono le idee, anche le peggiori come l'antisemitismo, che di invenzioni perverse ne conta svariate, e non solo il negazionismo, un'idiozia per miserabili.
(il Giornale, 17 ottobre 2013)
Si spera che questa posizione sia largamente condivisa allinterno della comunità ebraica, perché su argomenti come questo con le leggi punitive non si ottiene niente. O forse meno che niente. M.C.
Il talent canoro interattivo "Rising Star" invade l'Europa
di Francesco Marchesi
Arriva da Israele il format tv che ha fatto tanto rumore e successo al recente Mipcom. Si tratta di Rising Star, il nuovo talent canoro interattivo che la francese M6, la tv russa Rossiva, la tedesca RTL e Nordisk, che opera nei paesi nordici, hanno voluto per i loro telespettatori.
Rising Star, creato da Keshet International, è un talent con aspiranti cantanti che provano a sottoporre il loro estro ad una giuria - e fino qui niente di nuovo. La novità del programma è il voto da casa in diretta che decide la sorte dei cantanti. Sono infatti i telespettatori presumibilmente seduti sul loro divano che decidono, attraverso un app per smartphone e tablet, il destino di ogni concorrente: si, mi piace, no, non mi piace. Ma man che arrivano i voti appaiono le foto dei votanti stessi in diretta tv su di un muro digitale che si alzerà solo quando sarà superata la soglia del 70% dei voti a favore. In quel momento il concorrente potrà vedere il pubblico in studio e da avrà passato la selezione. Ci sono anche quattro giurati ma il loro voto vale, singolarmente, solo per il 7%.
In Israele il format già in onda su Channel 2 ha toccato punte del 50 per cento di audience, l'app del programma è stata scaricata 1,2 milioni di volte. La componente del talent canoro tradizionale mista alla forte interattività con il pubblico a casa, che questa volta è a tutti gli effetti quello che decide, lo rende ad oggi uno dei format più interessanti nel mercato dei format tv. Sarà interessante vedere non solo se saprà ripetere i successi di The Voice ed XFactor ma se saprà sostituirli nelle preferenze degli spettatori che non vorranno più tornare ad un format che non sia completamente interattivo, come promette di essere Rising Star.
(tvzoom, 17 ottobre 2013)
Woody Allen: "Dietro le critiche politiche a Israele si nasconde l'antisemitismo"
Le critiche a Israele nascondono l'antisemitismo. Parola di Woody Allen. "Molta gente camuffa i suoi sentimenti negativi nei confronti degli ebrei con una critica, critica politica, riguardo Israele - ha spiegato il regista alla rete tv Canale 2 - In sostanza ciò che realmente intendono è che non gli piacciono gli ebrei".
L'intervista, ripresa poi dal Jerusalem Post, fa parte di una campagna promozionale per il lancio del suo nuovo film
'Blue Jasmine' con Alec Baldwin e Cate Blanchett, storia della crisi di un'affascinante newyorkese.
Secondo l'attore e regista, dietro le polemiche politiche contro Israele si cela un "odio ancora più profondo" nei confronti del popolo ebraico. Ma afferma che l'America continua ad essere un posto "accettabile" per gli ebrei: "Visti i bassi standard di tolleranza in tutto il mondo, l'America - ha detto - è un posto tollerante per gli ebrei".
(L'Huffington Post, 16 ottobre 2013)
La comunità ebraica di Roma adotterà una famiglia di sopravvissuti alla strage di Lampedusa
Lo ha annunciato il presidente della comunità, Pacifici
PALERMO - «La giunta della comunità ebraica di Roma ha deciso di adottare una famiglia di sopravvissuti alla strage di Lampedusa». E' quanto ha annunciato il presidente della comunità, Riccardo Pacifici, intervenendo alle celebrazioni per il 70esimo anniversario dei rastrellamenti nazi-fascisti nel ghetto ebraico della capitale.
L'ACCOGLIENZA - Secondo Pacifici in Italia «c'è posto per tutti. Sessanta milioni di cittadini - spiega - possono accogliere poche migliaia di persone. Lo ha gia fatto Israele». Perciò, sottolinea, bisogna aiutarli e aiutare le istituzioni che si occupano della prima accoglienza». «Noi ci occuperemo della seconda e ci mettiamo a disposizione - aggiunge - per chiedere ad altri di farlo insieme a noi. Chiediamo alle istituzioni cosa dobbiamo fare per integrare e vedere i bambini degli immigrati giocare con i nostri. Questa - ha concluso - è la memoria».
IL SINDACO DI ROMA - «Stiamo lavorando con il ministero dell'Interno. Anche questa mattina ne ho parlato con il ministro Angelino Alfano. Domani mattina chiamerò il sindaco di Lampedusa per cercare di capire quali potranno essere i tempi». Così il sindaco di Roma Ignazio Marino a chi gli chiedeva notizie sull'arrivo nella Capitale dei 155 superstiti del naufragio di Lampedusa. «Non abbiamo ancora una data precisa ma stiamo continuando ad avere contatti con il governo - aggiunge - Abbiamo avuto la disponibilità di famiglie e professionisti della nostra città a donare delle somme per aiutarci nell'accoglienza. In altri casi per ospitare famiglie di sopravvissuti».
(Corriere del Mezzogiorno, 16 ottobre 2013)
Corso di Israelologia a Caltanisetta
Evangelici d'Italia per Israele in collaborazione con l'associazione B'Nei Efraim e la Chiesa Evangelica di Caltanisetta organizza un corso di Israelologia il 16 di Novembre.
Il relatore sarà il prof. Rinaldo Diprose dell'Istituto Biblico Evangelico di Roma che si avvarrà dell'ultima sua pubblicazione "Israele e la Chiesa".
Hanno già dato la loro adesione alcune chiese evangeliche siciliane di Catania, Caltanisetta, Caltagirone e Palma di Montechiaro.
Per informazioni telefonare alla segreteria organizzativa 3405261324 o all'indirizzo di posta elettronica ass.efraim@gmail.com.
EDIPI segnala inoltre che dal 3 di novembre iniziano a Roma i seminari di Israelologia presso i locali della Chiesa Pentecostale di via del grano no 32.
Ci sarà una sessione didattica ogni prima domenica del mese dalle 17:00 alle 18:30. Anche in questo caso il relatore sarà il prof. Rinaldo Diprose.
Per altre informazioni www.edipi.net.
(EDIPI, 16 ottobre 2013)
Così l'Italia si consegnò ai terroristi islamici
L'assalto al Tempio di Roma nel 1982 fu frutto di un pesante clima anti-israeliano
di Fiamma Nirenstein
C'è stato un tempo peggiore di questo, in cui attacco terroristico e odio antisraeliano (e antisemita) si sono sposati giorno dopo giorno fino a pavimentare una strada larga e comoda per l'attacco alla sinagoga del 9 ottobre 1982.
Alle 11,55 di mattina un commando palestinese assaltò il Tempio di Roma da cui uscivano soprattutto bambini per mano ai loro genitori, perché era il giorno di Shemini Atzeret, con la tradizionale benedizione dei ragazzini. Fu ucciso Stefano Gay Tachè, di due anni. Trentasette persone furono ferite, alcune molto gravemente.
Un libro edito da Viella, "Attentato alla Sinagoga" coi sottotitoli "Roma, 9 ottobre 1982 e Il conflitto israelo palestinese e l'Italia" scritto da Arturo Marzano e Guri Schwarz, ci riporta senza remissione verso quel giorno, e ci dimostra che non si sarebbe potuto evitare. Perché il carico di odio degli spari dei palestinesi godeva di una inverosimile supporto: gli israeliani e gli ebrei erano considerati da quasi tutta l'opinione pubblica italiana (e comunque dai media fuorché il Giornale, il Resto del Carlino e il Secolo d'Italia, scrivono gli autori) fascisti colonizzatori e neonazisti, e sempre di più via via dalla guerra del '67 fino a quella del Libano nell'82. I palestinesi invece venivano lodati come partigiani, fratelli dei cubani, dei vietnamiti, del movimento di liberazione antifascista in Italia.
Sullo sfondo, il volume fa balenare addirittura un accordo fra il governo italiano, il cosiddetto «Lodo Moro» che lasciava ai terroristi palestinesi campo libero contro i loro nemici ebrei israeliani (e poi anche ebrei italiani, come si è visto) col patto di non toccare gli italiani. L'attacco al Tempio, come dimostra il volume, non fu un'insorgenza sporadica, ma il frutto di una guerra ideologica che avvolse l'Italia e anche l'Europa di quegli anni fino ad afferrare Stefano nelle sue spire. Marzano e Schwarz raccontano come negli anni della crisi energetica, anche se non manca il terrorismo di origine etnica e religiosa (i baschi, i cattolici d'Irlanda) e politica (le Brigate Rosse, la Bader Meinhof, i vari gruppi neonazisti) prende già piede il terrorismo islamico, di cui quello palestinese è il primo motore. Increbile il numero degli attentati: l'oleodotto Siot, il giradischi esplosivo nella stiva di un aereo El Al, un attacco di missili all'aereoporto di Fiumicino schivato quasi per caso, un attentato sul nostro suolo patrio a Golda Meir in visita, un'autobomba in Piazza Barberini a Roma, le due spaventose stragi di Fiumicino, quella del 1973 e qualla dell'85, con decine di morti sempre per mano palestinese e tanti altri.
In Europa era lo stesso, basta ricordare l'attacco agli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco dell'82, di cui peraltro il mondo si infischiò al punto che i giochi proseguirono. La logica per cui, nello stesso '85, gli assassini palestinesi che uccisero sulla nave Achille Lauro l'ebreo americano Klinghoffer sulla sedia a rotella gettandolo in mare, furono messi in salvo dal governo italiano, è scritta nelle pagine della guerra fredda. C'era una volta un mondo dei diseredati e oppressi, giustificati in ogni azione, anche la più perversa, dal ruolo di vittime, e dall'altra parte i colonialisti oppressori e imperialisti, gli americani e gli israeliani.
Ha qualcosa di simile alla perversione sessuale quello che si è scritto su Israele e sugli ebrei in quegli anni ancora vicini alla Shoah. L'Europa quando parla di ebrei perde la testa. Israele viene descritto dalla maggioranza degli articoli e dei testi politici come un serial killer, la formula del «nazisionismo» diventa comune sulla stampa e nelle manifestazioni, compresa quella della CGIL che depone una bara nera proprio davanti alla sinagoga prima dell'attentato. Per anni questa formula è stata universalmente accettata e riprodotta in vignette (anche di Forattini) e battute (anche di Dario Fo, premio Nobel). Giancarlo Pajetta, Rodinson, Avneri e tanti altri hanno creato la base teorica per la promozione dell'odio antisraeliano e antiebraico, fino all'omicidio. Il «lodo Moro» non funzionò, le stragi coinvolsero anche italiani: ma se ne spiegò la violazione dicendo che l'attacco a Fiumicino erano stato compiuto contro la linea aerea israeliana. Se l'accordo con l'OLP lo strinse Aldo Moro, niente di più tragicamente ironico, dato che la sua fine fu scelta da quelle Brigate Rosse con cui scambiarono armi e consigli le organizzazioni palestinesi, libere, grazie al lodo, di scorazzare sul nostro territorio. È una triste parabola sul danno provocato dal credere di placare l'aggressore, aiutandolo a colpire la sua vittima.
(il Giornale, 16 ottobre 2013)
Sorpavvissuto al rastrellamento: "Alle 5,30 bussarono alla porta"
"Il giorno del 16 ottobre alle 5 e mezza sono venuti a bussare alla porta. Se fossero venuti solo un po' più tardi non mi trovavano perché dovevo andare a fare la fila per le sigarette". Questo il racconto di Enzo Camerino, uno degli unici due testimoni ancora in vita (l'altro è Lello Di Segni), sopravvissuti al rastrellamento del ghetto di Roma da parte dei nazisti e alla successiva prigionia nei campi di concentramento. Camerino ha partecipato alle commemorazioni per il 70esimo anniversario dell'episodio tenute alla sinagoga di Roma: "Ho detto al presidente Napolitano che devo preparare un libro per le scuole per raccontare cosa è successo perché se non stiamo attenti succederà di nuovo".
Video di Marco Billeci
(la Repubblica, 16 ottobre 2013)
16 ottobre - Riprendiamoci la nostra storia
di Gadi Piperno
In una chiacchierata tra due figlie di cugini, mia sorella Gaia e mia cugina Iskà Bassi Hoppenheim nasce un'idea. L'idea di un viaggio. Ad Auschwitz. Che c'è di così particolare in questo? Molte famiglie, scuole, enti organizzano viaggi nei campi di sterminio nazisti. Forse nel nostro caso c'è qualcosa di diverso che merita una condivisione.
I miei bisnonni Augusto e Virginia Piperno (zikhronam livrakhà) furono arrestati il 16 ottobre 1943 in viale Giulio Cesare. Mentre aspettavano la partenza del treno da Roma, riuscirono a gettare un biglietto (vedi immagine), nel quale chiedevano di avvisare i familiari del fatto che insieme a Clara (sorella di Virginia) e Giuseppe Efrati (z"l) venivano portati in Germania. Dicevano di essere "rassegnati e sereni". Furono uccisi al loro arrivo ad Auschwitz il 23 ottobre.
Avevano tre figli: Renata, Fernando e Giorgio (z"l). I nipoti, che non ebbero modo di conoscere tranne il primo, Franco Sabatello (z"l), furono otto. Si arriva quindi alla generazione successiva di trentacinque pronipoti, i quali oggi hanno un'età compresa tra i 15 e i 43 anni e risiedono in Israele per la grande maggioranza, due in Italia e gli altri quattro rispettivamente negli USA, a Strasburgo, in Argentina ed in India.
Noi cugini, pronipoti di Augusto e Virginia, abbiamo deciso di riprenderci il nostro passato. Vogliamo partire dal dolore dei campi di sterminio, per iniziare un percorso allo stesso tempo intimo ma condiviso. Ci ritroveremo tutti in Polonia. Avremo qualche giorno per riconoscerci, o, in certi casi, vederci per la prima volta. Andremo quindi ad Auschwitz. Per molti di noi sarà la prima volta in un campo di sterminio, ma vogliamo farlo tutti insieme, per confortarci a vicenda e perché l'idea di presentarci in trentacinque discendenti dei nostri bisnonni è il messaggio di forza più grande che possiamo dare.
Da lì partiremo per tornare a Roma in treno facendo il percorso inverso rispetto a quello fatto dai nostri bisnonni cercando di renderlo ricco di significati e non solo commemorativo. Non c'è solo l'orgoglio di dire: avete ucciso i nostri bisnonni ma non il loro futuro. C'è anche, e soprattutto, la voglia di riprenderci il nostro passato e farne un patrimonio comune. Oltre ad essere separati da distanze geografiche non indifferenti, esistono tra di noi differenze di visione del mondo, dell'ebraismo e anche della politica molto distanti. Ma tutti abbiamo una radice comune che nasce a Roma, delle tradizioni da salvaguardare, una storia familiare dei nostri genitori e dei nostri nonni che le vie della vita non ci hanno permesso di tenere nel dovuto conto. Il primo grande obiettivo è quindi quello di rincontrarci, riconoscerci e trovare una lingua comune.
Tutto questo non lo facciamo solo per noi, ma anche e soprattutto per i nostri figli perché i legami familiari non dipendono solo dal grado di parentela ma da quanto si condivide. A questo scopo abbiamo iniziato a raccogliere le informazioni sulla vita dei nostri bisnonni comuni e dei nostri nonni per farne un patrimonio comune.
Il primo passo significativo di questo nostro viaggio non poteva che avvenire nella giornata del 16 ottobre. In questa giornata le famiglie residenti in Israele dei discendenti di Augusto e Virginia Piperno si raduneranno allo Yad Vashem per la commemorazione della deportazione degli ebrei romani, e, in questa occasione, davanti al direttore dello Yad Vashem ed all'ambasciatore Italiano in Israele, saliranno sul podio Yochanan Di Castro, fratello di Letizia, nuora di Augusto e Virginia, che parlerà della storia della nostra famiglia, e successivamente i miei cugini Ruth Di Segni Hakim e Shaul Bassi per raccontare del nostro progetto.
Il termine usato per questo nostro progetto è masa' che in ebraico vuol dire viaggio, percorso ma anche tappa. Verso la fine del libro di Bemidbar, poco prima dell'ingresso dei figli di Israele in Eretz Israel, si parla di mas'è ovvero le tappe che fecero per avvicinarsi verso la terra. Il midrash Tanchumà spiega il motivo per cui in quel momento vengono ricapitolate tutte le tappe del viaggio del popolo nel deserto portando un esempio: è come un re che ha un figlio malato e ha dovuto portarlo in un posto lontano per curarlo. Al ritorno, il padre riepiloga tutte le tappe del percorso dicendo: qui abbiamo dormito, qui ci siamo raffreddati, qui hai temuto per la tua testa.
È arduo dire se nella nostra generazione le ferite della Shoah si siano rimarginate. Noi, che oggi abbiamo dei figli, abbiamo il dovere di guardare avanti e pensare al loro futuro. Ma il futuro dei nostri figli sarà migliore se riusciremo a trasmettere loro la consapevolezza delle nostre origini e gli elementi distintivi della nostra famiglia.
(Notiziario Ucei, 16 ottobre 2013)
L'eterno dubbio su Pio XII. Dai colpevoli silenzi alle diecimila persone salvate
di Lidia Lombardi
L'anniversario del 16 ottobre non mancherà di rilanciare la polemica sui "colpevoli silenzi" di Pio XII. Un papa accusato di non essersi opposto a nazismo, leggi razziali, deportazioni. L'odio degli ebrei più integralisti ma anche di certi cattolici di sinistra nei confronti di Pacelli si è rinfocolato all'avvio della causa di beatificazione di colui che salì sul soglio pontificio nel 1939. Un nuovo attacco avvenne nel 2004, dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera di una presunta direttiva vaticana inviata nel '46 a Roncalli, allora nunzio apostolico in Francia, affinché non venissero restituiti alle famiglie i bambini ebrei battezzati. Ma anche in questo caso altri studiosi sostennero che si trattava di accuse non sostenute dall'esame diretto dei documenti, conservati negli archivi vaticani. Invece in questa vigilia del 16 ottobre Papa Francesco ha voluto ricordare alla Comunità Ebraica di Roma che, "interpretando la volontà del Papa", "molti istituti religiosi, monasteri e le stesse Basiliche Papali", aprirono "le loro porte per una fraterna accoglienza" degli ebrei in pericolo. Peraltro la prima enciclica di Pacelli, la Summi Pontificatus, del 1939, condannò ogni forma di totalitarismo. Lo storico Andrea Riccardi in un libro quantifica in 10 mila quelli che sopravvissero nascondendosi in parrocchie, conventi, ospedali, sedi vaticane, a fronte di 2 mila che non riuscirono ad evitare la deportazione.
(La Notizia, 16 ottobre 2013)
Il fatto che alcuni o molti ebrei siano stati salvati dai nazisti per l'intervento di persone e istituzioni cattoliche può significare due cose:
1) SUL PIANO PERSONALE - Alcuni, indipendentemente dal fatto di essere cattolici o no, sottoposti a vincoli religiosi o no, fecero il loro dovere di esseri umani cercando di salvare altri esseri umani da una mostruosa furia omicida;
2) SUL PIANO ISTITUZIONALE - Poiché si sapeva bene quello che i tedeschi avevano fatto e stavano facendo agli ebrei; ed essendo ormai evidente che la Germania aveva irrimediabilmente perso la guerra; e sapendo che ben presto, a guerra finita, si sarebbero fatti i conti, la cosa più conveniente era di prendere le distanze dai carnefici e cercare di prefabbricarsi un passato di "amici degli ebrei", come poi è avvenuto.
Tutto questo non cambia il fatto che quei mille ebrei romani trasportati ad Auschwitz sono stati sacrificati sull'altare della "ragion di stato" vaticana.
A conferma di questo riproponiamo qui di seguito due articoli che avevamo pubblicato cinque anni fa nella stessa occasione. M.C.
Quel lungo inverno del '43, l'oro, gli ebrei
ROMA - Dal 12 settembre del '43 Roma e' in mano ai tedeschi che controllano la città. A guidare i servizi segreti militari tedeschi nella capitale è il colonnello Herbert Kappler. I fonogrammi che intercorrono tra Roma e Berlino sono regolarmente intercettati e decifrati da Ultra, il sistema di decrittazione in mano agli inglesi. Dopo il dissolvimento del regime fascista i tedeschi hanno campo libero nel loro piano di colpire "l'infezione ebraica mondiale".
Già da metà settembre del '43 si mettono a punto i piani per la deportazione di tutti gli ebrei romani nei lager tedeschi. Roma non e' esente. Anzi le prime vittime designate sono proprio gli ebrei romani, la comunità più antica. Il 25 settembre arriva a Kappler l'ordine di predisporre la deportazione degli ebrei della Capitale "senza distinzione alcuna di nazionalità, sesso e condizione".
Viene fissata la data del 7 ottobre. Kappler, certo ormai della deportazione, convoca per il 26 settembre il Presidente della Comunità israelitica di Roma, Ugo Foà e il Presidente della Unione delle comunità israelitiche italiane, Dante Almansi. Nel giro di 36 ore gli ebrei romani debbono consegnare 50 kg di oro oppure 200 di loro saranno deportati in Germania. 15 kg vennero prestati alla comunità dal Vaticano su indicazione di Pio XII.
Dal 9 di ottobre comincia a circolare a Roma la voce di una prossima retata. Gli ebrei non ci credono avendo consegnato l'oro ai tedeschi che ora aggiornano rapidamente le schede dell'Ovra, la polizia politica del regime, in vista della retata. Tra il vertice tedesco della capitale c'é però chi non è d'accordo. Si vorrebbe proporre di utilizzare gli 8.000 ebrei della capitale (secondo i calcoli delle SS ma in effetti erano 13.000) per i lavori di fortificazione in vista di un ipotetico tentativo di sbarco ad Ostia, come già era avvenuto a Tunisi. Il 9 ottobre Hitler ordina che gli ebrei vengano portati a Mauthausen, sul Danubio.
"Gli ebrei devono essere immediatamente e totalmente eliminati", scrive il generale Kaltenbrunner a Kappler, che predispone l'operazione. Tutte le ipotesi alternative vengono spazzate via. Per la retata, a causa della "inaffidabilità" degli italiani, in particolare dei carabinieri, si utilizzano i nostri soldati solo per gli arresti individuali. Alla fine 365 uomini arrestano, a "Roma città aperta" 1.259 persone.
Conclusa l'operazione "trappola" gli ebrei fermati saranno 1.002. Tutti gli altri sono stati via via rilasciati. Il 18 ottobre alle 14 il treno che li racchiude parte dalla stazione Tiburtina verso il campo di concentramento di Auschwitz. Su quel treno sono in 1007. Vi salgono anche "l'ariana" Carolina Milani, che assiste una signora immobilizzata e Costanza Sermoneta, che ha cercato di ritrovare suo marito tra gli arrestati. Dal campo di concentramento tornarono in 15.
(ANSA, 18 ottobre 2008)
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Pio XII nell'ottobre '43: tedeschi corretti con il Vaticano
di Paolo Cucchiarelli
ROMA - C'è un nuovo tassello da inserire nel cangiante e spesso contraddittorio mosaico del rapporto tra Pio XII e gli ebrei nell'autunno del 1943, quando le SS di Herbert Kappler arrestarono poco più di mille romani nel ghetto e nei quartieri della "città aperta" e li spedirono ad Auschwitz.
Si tratta di documenti che arrivano dagli archivi inglesi e americani, visto che quelli vaticani sono tuttora inaccessibili. Uno di questi illustra l'incontro avvenuto due giorni dopo la retata nel ghetto, il 18 ottobre '43, tra il Papa e l'inviato straordinario della Gran Bretagna presso la Santa Sede: in quella occasione Pio XII tace sulla retata e il diplomatico gli chiede di interpretare con maggior determinazione il suo ruolo. In quel contesto Pacelli afferma che i tedeschi si sono comportati "correttamente" con il Vaticano.
In quelle ore il treno con gli ebrei romani sta per partire verso Auschwitz. Due mesi dopo la deportazione degli ebrei romani il Papa, il 13 dicembre del '43, conversando con l'ambasciatore tedesco Ernest von Weiszaecker, che aveva cercato di opporsi alla deportazione, aveva illustrato la sua posizione sugli sviluppi della guerra. Il diplomatico aveva riassunto il tutto in un rapporto che è stato rintracciato durante alcune ricerche dagli studiosi Mario J. Cereghino e Giuseppe Casarrubea che le pubblicheranno in un prossimo volume.
"Il Papa si augura - afferma il rapporto fatto avere ai servizi americani da Fritz Kolpe, la più importante 'talpa' che gli Usa avevano all' interno del ministero degli Esteri tedesco - che i nazisti mantengano le posizioni militari sul fronte russo e spera che la pace arrivi il prima possibile. In caso contrario, il comunismo sarà l'unico vincitore in grado di emergere dalla devastazione bellica. Egli sogna l'unione delle antiche Nazioni civilizzate dell'Occidente per isolare il bolscevismo ad Oriente. Così come fece Papa Innocenzo XI, che unificò il continente (l'Europa) contro i musulmani e liberò Budapest e Vienna".
Proveniente dagli archivi inglesi è invece il resoconto dell'incontro del 18 ottobre del '43 tra l'inviato straordinario inglese Sir D'Arcy Osborne e il Papa. Da due giorni gli ebrei romani sono stati prelevati dalle loro case; lo stesso giorno, alle 14, partiranno dalla stazione Tiburtina verso il campo di concentramento. Nulla il Papa dice di quanto è avvenuto in quelle ore. Pio XII parla della difficile situazione alimentare a Roma che potrebbe portare a tumulti e della sua volontà di non abbandonare la città a meno di non essere "rimosso con la forza".
L'ambasciatore è colpito dall'atteggiamento del Papa che gli dice di non avere elementi per lamentarsi del generale Von Stahel, comandante della piazza militare di Roma, e degli uomini della polizia tedesca "che finora hanno rispettato la neutralità" della Santa Sede. "Io ho replicato - scrive il diplomatico nel rapporto indirizzato al ministro degli Esteri Eden - di aver capito che quando il Vaticano parlava di preservare 'Roma citta' apertà, si riferisse alle operazioni militari. A parte il fatto che la denominazione 'Citta' apertà è una farsa, l'Urbe è alla mercé dei tedeschi che sistematicamente la privano di tutti i rifornimenti e della manodopera, che arrestano ufficiali italiani, giovani e carabinieri e che applicano metodi spietati nella persecuzione degli ebrei. (...)".
Il diplomatico cerca di far uscire Pio XII dal suo atteggiamento. "Io ho affermato che Egli dovrebbe fare tutto il possibile per salvaguardare lo Stato della Città del Vaticano e i suoi diritti alla neutralità. Egli ha replicato che in tal senso e fino a questo momento, i tedeschi si sono comportati correttamente", aggiunge nuovamente il diplomatico. Una affermazione fatta mentre la città è ancora sotto choc per la retata arrivata dopo il ricatto dei 50, inutili, kg di oro chiesti agli ebrei per evitare la deportazione. "A mio parere - scrive ancora il rappresentante inglese - molta gente ritiene che Egli sottostimi la Sua autorità morale e il rispetto riluttante di cui Egli è oggetto da parte dei nazisti, dal momento che la popolazione tedesca è cattolica. Ho aggiunto di essere incline a condividere questa opinione e l'ho esortato a tenerlo bene in mente nel corso dei futuri avvenimenti, nel caso emergesse una situazione in cui fosse necessario applicare una linea forte".
"Mettendo a raffronto i due documenti - commentano gli studiosi - risulta chiaro che Pacelli si sente a suo agio con l'ambasciatore tedesco. Con il rappresentante inglese assume un atteggiamento freddo, facendo leva su un giudizio del tutto formale tanto da suscitare la inusitata reazione del diplomatico". I due studiosi, già autori di un volume sulla guerra al comunismo in Italia tra il '43 e il '46, "Tango connection", sottolineano la difficoltà di raccogliere in Italia elementi documentali sulla questione ebrei-Vaticano: "Tuttavia migliaia di documenti sulla situazione della Santa Sede negli anni della seconda guerra mondiale sono da tempo disponibili negli Archivi di College Park negli Stati Uniti e di Kew Gardens in Gran Bretagna. Sono carte provenienti dai fondi dei servizi segreti angloamericani, del Dipartimento di Stato Usa e del Foreign Office britannico", spiegano. "Il nostro archivio www.casarrubea.wordpress.com), conserva rapporti dei Servizi Usa sulle pesanti ingerenze esercitate dalla Santa Sede e in particolare da Pio XII e da Montini, il futuro Paolo VI, nella formazione del primo governo De Gasperi".
(ANSA, 18 ottobre 2008)
UEFA Under 19. Israele - Irlanda del Nord 1-1
Le due squadre, senza speranze di qualificazione, concludono il proprio cammino con un pareggio a Tel-Aviv.
Israele e Irlanda del Nord chiudono il cammino di qualificazione per la Coppa del Mondo FIFA con un pareggio a Tel-Aviv.
Dopo una fase iniziale di gara senza particolari emozioni, sono gli ospiti a portarsi in vantaggio prima dell'intervallo, ma la rete di Steven Davis evita agli ospiti la sconfitta e assicura il quinto posto nel girone, con Israele che chiude invece in terza posizione.
La sfida regala poche occasioni ma gli uomini di Eli Guttman al 43' riescono a sbloccare il punteggio con Ben Basat, che di testa trafigge il portiere avversario realizzando il settimo gol in dieci partite internazionali.
La formazione irlandese reagisce e agguanta il pareggio nella ripresa grazie al gol di Davis, servito con precisione da Jamie Ward.
(UEFA.com, 15 ottobre 2013)
Giovani ebrei: "L'Italia si rifiuti di ospitare i funerali del nazista Priebke"
"La tradizione ebraica insegna che di fronte alla morte di un uomo non ci si rallegra mai, ma bisogna invece riflettere sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a D-o e agli uomini. E' per questo motivo che - afferma Alessandra Ortona, presidente UGEI - in linea con la decisione assunta dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, abbiamo preferito rimanere in silenzio di fronte alla morte del criminale nazista Priebke. Non avremmo potuto però - continua - rimanere indifferenti di fronte al testamento che Priebke ha lasciato ai posteri e alla possibilità che un tale assassino venga seppellito in Italia, a Roma.
Il nostro Paese e le istituzioni che ne hanno facoltà - prosegue - non possono permettere che il corpo di chi con tanta brutalità ha preso parte all'uccisione di 335 italiani senza mai pentirsene, trovi sepoltura sotto la stessa terra che è stata testimone delle atrocità da lui commesse. Da italiani e da ebrei, non potremmo considerarlo altro se non un terribile insulto alla memoria delle vittime di quella barbarie. Non da ultimo - continua Ortona - va con tutte le forze evitato di fornire ai suoi ammiratori un ulteriore motivo di celebrazione dell'individuo e di creazione di un luogo di venerazione. Ci appelliamo quindi alle istituzioni - conclude la nota - affinché sia trasmesso coi fatti a tutti gli italiani, ed in particolare alle nuove generazioni, il messaggio civile e culturale che il nostro paese si rifiuta di ospitare la sepoltura di un simile assassino."
Lo dichiara in una nota il Consiglio Esecutivo dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia.
(Roma Daily News, 15 ottobre 2013)
Le fosse ardeatine sono avvenute in reazione a unoperazione di guerriglia compiuta da italiani, e anche se agli ebrei è stata data certamente la priorità nella scelta delle vittime, il fatto non riguarda soltanto loro. Priebke è stato giudicato in Italia, per questo forse sarebbe stato meglio, in questo caso, non accentuare troppo nelle prese di posizione la propria ebraicità, come se questa desse una maggiore autorità nelle decisioni che si devono prendere. Un atteggiamento più nobilmente distaccato sarebbe stato più appropriato alla circostanza e forse più utile alla comunità ebraica. M.C.
Parma - Palatina e Biblioteca d'Israele, alleanza sui preziosi manoscritti
di Rossella Tercatin
La punta di diamante è una commovente Mishna vergata intorno al 1073, la seconda più antica al mondo (nell'immagine), ma la collezione della Biblioteca Palatina di Parma comprende oltre 1600 esemplari, cinquecento biblici, duecento miniati. Grazie a un accordo siglato tra l'istituzione emiliana e la Biblioteca nazionale israeliana, presto quei manoscritti saranno a disposizione degli studiosi di tutto il mondo, con la completa digitalizzazione in alta risoluzione.
L'idea di riunire tutti i testi ebraici antichi esistenti fu avanzata da David Ben-Gurion nel 1950. Consapevole che il neonato Stato di Israele non poteva certo permettersi di acquistare, optò per la raccolta di fotografie e microfilm, della qualità migliore possibile. Oggi la Biblioteca possiede le repliche di oltre il 90 per cento dei manoscritti conosciuti, e la sfida è anche quella di rinnovare le più antiquate, beneficiando delle nuove tecnologie. "L'intero patrimonio culturale ebraico in un'unica stanza" sottolinea Aviad Stollman, responsabile del progetto, al Times of Israel. Anche per la Palatina, che nel 2012 è stata chiusa dopo un incendio causato da un corto circuito e che ora lotta per raccogliere i fondi per riaprire al pubblico, un'opportunità importante, come ha sottolineato la direttrice Sabina Magrini.
"Ciò che fanno le biblioteche è mettere le persone in rete, dare vita a relazioni tra cataloghi e banche dati, offrire strumenti di lavoro, oltre agli stessi libri. Un tempo si faceva con carte e pergamene, oggi, nell'era di internet è tutto più efficiente e diffuso, ma la nostra funzione non è cambiata. Continuiamo a creare legami tra studiosi, lettori, e oggetti".
(Notiziario Ucei, 15 ottobre 2013)
Il "tesoro" ebraico della Biblioteca Palatina di Parma su internet
Israele ribadisce il suo diritto ad attacchi preventivi
Proprio mentre l'Iran avanza a Ginevra, davanti al cosiddetto gruppo P5+1, le sue proposte per giungere ad una soluzione diplomatica della questione del nucleare, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha colto l'occasione della sua visita al memoriale della guerra della Yom Kippur per riaffermare la dottrina israeliana secondo la quale lo Stato ebraico ha il diritto di lanciare attacchi preventivi.
Nelle parole del primo ministro, Israele avrebbe appreso proprio dal conflitto dell'ottobre 1973 "a non sottovalutare il nemico, a non ignorare i pericoli e a non escludere la possibilità di portare attacchi preventivi".
Ancora più gravemente, Netanyahu ha sottolineato che "vi sono casi nei quali la preoccupazione per la reazione internazionale in caso di un nostro attacco preventivo non è sufficiente per escludere un vantaggio strategico" e che "la decisione di un attacco preventivo è una delle più difficili per un governo, giacché non si potrà mai dimostrare che cosa sarebbe successo se non avessimo preso l'iniziativa", un'osservazione evidentemente che può servire a giustificare qualsiasi aggressione militare.
Il primo ministro ha precisato, sintetizzando la dottrina israeliana nelle relazioni internazionali, che "la pace è ottenibile mediante la forza", avvalendosi proprio dell'esperienza della guerra del 1973, in quanto, secondo l'interpretazione sostenuta da Netanyahu, solo dopo la vittoria israeliana in quel conflitto, Egitto e Giordania firmarono la pace con Israele.
Il capo del governo israeliano, del resto, ha spesso ricordato nei giorni scorsi che l'attuale disponibilità dell'Iran a riaprire su nuove basi le trattative sul nucleare dipenderebbe dall'indebolimento del paese conseguente alle sanzioni. "Sarebbe un errore storico - ha aggiunto, ammorbidire le sanzioni proprio quando stanno per diventare efficaci. La pressione internazionale è proprio quello che ha costretto gli Iraniani a fare delle concessioni".
Anche l'amministrazione Usa del presidente Obama è quindi avvisata.
(Antimafia, 15 ottobre 2013)
Accordo segreto tra Putin e Obama dietro il piano sul nucleare dellIran
ROMA, 15 ott. - Non solo Siria: ci sarebbe un accordo tra Putin e Obama anche dietro le aperture dell'Iran sul suo programma nucleare. E settimane di intenso lavoro negoziale di un team messo assieme dal Cremlino per trovare una soluzione al problema iraniano, nella stessa atmosfera di segretezza e cautela che hanno permesso la svolta Usa-Russia sulle armi chimiche di Damasco. Il sito israeliano Debka, specializzato in notizie di intelligence, oggi fornisce molti dettagli sul patto segreto tra il Cremlino e la Casa Bianca, alla base del negoziato con l'Iran e quindi della proposta oggi al vaglio del meeting negoziale in formato 5+1 (Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina e Germania) a Ginevra.
Debka punta molto sulla figura di Sergey Kiriyenko - il direttore dell'ente nucleare russo Rosatom - come uomo di fiducia di Putin e, concretamente, inviato sul terreno in Iran a negoziare. Come per la Siria, sarebbe stato il Cremlino a fare il primo passo. Fonti russe a conoscenza della trattativa con l'Iran, consultate da TMNews, definiscono "realistico" questo scenario, ma non confermano: "Sono ore cruciali" e per ora nessuno si affretta a rivendicare la paternità dell'idea il cui contenuto è ancora tenuto segreto e non è detto funzioni, è il ragionamento.
Secondo Debka, il presidente russo ha inviato Kiriyevko regolarmente nei mesi di luglio e agosto a Teheran e Bushehr, dove si trova la prima centrale nucleare iraniana, costruita dai russi. Lì opera un team di scienziati nucleari russi che parlano la lingua farsi e che sono con ogni probabilità gli unici stranieri costantemente in contatto con gli iraniani che davvero contano nel programma nucleare del Paese degli Ayatollah. Tra l'altro, proprio l'ufficio della guida spirituale suprema Ali Khamenei sarebbe stato l'interlocutore del negoziatore russo e non, almeno in prima battuta, quello del presidente Hassan Rohani. I tecnici russi, dietro la guida di Kiriyenko, avrebbero stilato un primo piano di accordo da presentare all'Iran e agli Usa, sulla falsariga del patto sulla armi chimiche siriane.
Putin avrebbe anche stabilito una "verticale dell'azione negoziale", incaricando Kiriyenko di trattare direttamente con gli esperti iraniani e rivolgersi al presidente Rohani (o al capo dell'agenzia atomica iraniana Ali Abkar Salehi) in caso di contestazioni. E di chiamare il Cremlino in caso anche i piani alti iraniani avessero fatto resistenza: Putin a quel punto avrebbe contattato Obama per eventuali modifiche all'intesa di base.
L'accordo tra i due presidenti sarebbe stato poi tradotto in linguaggio diplomatico dai capi dei ministeri degli Esteri, Sergey Lavrov e John Kerry. Alcuni stralci dei documenti concordati, e accettati dall'Iran, sarebbero oggi sul tavolo del 5+1 a Ginevra. Non a caso le agenzie russe danno molto rilievo alle notizie in arrivo dalla Svizzera, in particolare alle "prime reazioni positive" alla proposta ufficialmente presentata dall'Iran. E per ora tenuta segreta.
(TMNews, 15 ottobre 2013)
Se si confermerà che le cose stanno effettivamente così, bisognerà rivedere certi giudizi su Obama. Barack Obama non sarebbe uno sciocco amico di Israele, ma un ambiguo nemico di Israele. E un disastroso presidente degli Stati Uniti. M.C.
Studenti israeliani creano un sistema di diagnosi per il morbo di Parkinson
GERUSALEMME, 15 ott. - Due universitari israeliani hanno sviluppato il primo sistema informatizzato del mondo per diagnosticare il Parkinson, efficace nel 94 per cento dei casi.
Lo riferisce il quotidiano 'Haaretz'. Il programma dei due studenti, Tal Waserman e Tomer Shraga del college Braude Ort di Carmiel, permette la misurazione uniforme dei sintomi, mentre la diagnosi attualmente si basa su analisi soggettive di diversi parametri.
"Fino ad oggi", ha spiegato Waserman, "i pazienti che arrivavano in una clinica con gravi problemi motori dovevano fare diversi esercizi davanti al dottore, e ricevevano da lui un punteggio che determinava la presenza e la gravita' del Parkinson". "La diagnosi", aggiunge, "si basa sull'opinione di un unico dottore, e puo' variare", mentre il sistema informatizzato utilizza una telecamera davanti al paziente, che fornisce misurazioni standardizzate.
(AGI, 15 ottobre 2013)
Alberta Levi, scampata ai rastrellamenti del 1942
«Così mi salvai dai campi di concentramento»
di Fabio Isman
La prima scampanellata dei nazisti, «preferisco chiamarli così invece che tedeschi» dice Alberta Levi Temin, 94 anni portati magnificamente e una splendida signora «è stata la notte tra l'8 e il 9 ottobre 1943, a Ferrara dove vivevamo: un questurino italiano e un soldato germanico cercavano il nonno Tullio Ravenna, morto da 22 anni; mettono a soqquadro la casa, perlustrandola tutta. Quel rumore delle scarpe chiodate io lo sento ancora». Quella notte, presero 22 persone. Due giorni dopo, è Kippur: una delle massime feste ebraiche. Compiuto il digiuno, «spiego che dobbiamo partire tutti. Papà tentennava, diceva: cercano solo i maschi da 20 a 30 anni».
IL 16 OTTOBRE
Lei racconta quanto indirettamente aveva saputo da un prete: «A Vienna, i nazisti avevano preso 40 ragazze ebree; le avevano offerte in premio a un reparto di SS, e l'indomani uccise». Il padre prende il cappello, e esce. La madre la rimprovera per la durezza: «Allora, le ragazze, io avevo 24 anni, di certe cose non parlavano». Papà torna, ma con i biglietti del treno. Fino ad Arezzo, per non lasciare tracce; «il supplemento per Roma l'abbiamo pagato in treno. Niente valige per non destare sospetti». Era il giorno 13. A Roma, stavano gli zii, che da tempo li reclamavano; il Po non era più sicuro. Nemmeno preavvisati. Via Flaminia, 21. Una stanza e un lettone, per Alberta, la sorella Piera, la madre. Papà va altrove: lo aiuta un commilitone della Prima guerra.
«Il 16 mattina, scampanellata. Prima che finisse il coprifuoco: non possono che essere i nazisti. Ma il rumore delle loro scarpe chiodate non potevo sentirlo di nuovo. La zia apre, urla: sono tedeschi». In camicia da notte, «esco sul balcone; mia madre chiude la porta finestra. Sentivo le voci: Komm, Komm, andiamo; mia zia Alba: no, non prendo la pelliccia, non andiamo mica a teatro. I nazisti erano due; ma da quanto urlavano, io credevo che fossero dieci».
IL VALZER
«Ero pietrificata. A un certo punto, l'altra porta del balcone, che dà sulla cucina, si apre appena appena; uno spiraglio; vedo una scarpa da uomo; li sento andar via e la porta d'ingresso chiudersi a chiave. Dopo, saprò che quel piede era di Giorgio, cugino amatissimo, finito a Auschwitz con i suoi: mi aveva aperto la porta, per non farmi restare in trappola». Di lui, le resta un'immagine: l'ultima cena non è solo quella di Leonardo a Milano. «La sera del 15, dopo mangiato, lui, al piano, suona un valzer di Chopin».
IL SALVATAGGIO
Da quella fessura sul balcone, lei rientra. «Mamma aveva lasciato a terra il volantino con cui i nazisti impartivano gli ordini: ho capito. Trovo le chiavi. Esco di soppiatto. Si apre la porta di fronte: il barone Sava aveva visto. Mi fa entrare. Falsifica i miei documenti, e da Levi divento Levigati. Mi fa telefonare a papà. Non spiego: gli dico soltanto esci e ci vediamo». I genitori e gli zii finiscono sul Lungotevere, Palazzo Salviati. «Gli zii dicono a mamma: a Roma nessuno ti conosce, non sei nelle liste degli ebrei, fingetevi cattolici senza documenti. Una voce indica: chi è cattolico vada nell'altro stanzone. Ma altri avvisa: se un ebreo prova a fuggire, 10 saranno uccisi. Mamma non ce la fa. Un'altra voce: i cattolici di nozze miste nell'altro stanzone. Mamma si decide. Intanto, ha già fatto uscire un biglietto per noi: ce l'ho ancora».
Mamma e sorella se ne vanno. Mancava un'ora al coprifuoco; unico indirizzo noto, quello del compagno d'armi del padre. «Sentiamo suonare; l'amico di papà, Di Santolo, ci aveva mostrato un soppalco in cucina: se qualcuno avesse suonato, dovevamo nasconderci. Lo facciamo. La voce dell'amico urla: sono la mamma e Bruna, che poi è diventata suocera di Amos Luzzatto».
NELLE SCUOLE
Tempi difficili. Documenti falsi. «Diventiamo la famiglia Nanni: ecco la carta d'identità». La pensione Patrizia è accanto alla scalinata di Piazza di Spagna: «Costava poco, non avevamo soldi». C'era un perché: mal frequentata, dice così: «due giorni dopo, una ragazza grida: c'è la polizia». Finisce la guerra; Alberta ritrova un ebreo ferrarese emigrato a Napoli, Fabio Temin. Le aveva già «fatto la corte», «ma io pensavo a una cosa combinata, e mi ero ritratta». Sono stati insieme 57 anni: cinque figli, 12 nipoti e 23 pronipoti come prova lampante che Hitler ha fallito. «Di queste cose, a lungo ho taciuto. I miei figli le hanno sapute già da grandi»: troppa pena a ricordarle, anche se «non odio nessuno».
Poi, ha cominciato a spiegarle nelle scuole: «Da quando esiste il negazionismo storico: prima, ce li hanno massacrati, ora li vogliono cancellare». L'ultimo anno, ben 19 incontri; «non voglio nemmeno i fiori, facciano beneficenza; ma devono venirmi a prendere»: nella splendida casa di Napoli, un panorama da spezzare il fiato, davanti c'è Capri: «Sento il tempo, mi accorgo che i figli invecchiano».
Era giusto 70 anni fa: la peggior tragedia italiana della Shoah, vituperio di Roma. «Penso ai troppi che ho perso. Essendomi salvata, mi sono sempre voluta occupare di cose sociali, ma da ebrea. Talora ho paura; mi chiedo: perché devo rivedere quelli lì? Vanno educati i ragazzi; ci sono ancora i diversi, di ogni tipo. Soltanto quando non ne esisteranno più, finiranno anche le guerre».
(Il Messaggero, 15 ottobre 2013)
Libri: L'emancipazione ebraica in Toscana
L'opera curata da Dora Liscia Bemporad sarà presentata giovedì 17 ottobre alle 17. Interviene il consigliere regionale Paolo Bambagioni.
FIRENZE - Un lavoro accurato che ripercorre il processo di emancipazione ebraica in Toscana e la partecipazione degli ebrei all'Unità d'Italia. E' l'ultimo libro di Dora Liscia Bemporad, che sarà presentato giovedì 17 ottobre alla ore 17 nella sala Gigli di palazzo Panciatichi, in via Cavour 4 a Firenze. Interverranno il consigliere regionale Paolo Bambagioni e il presidente della Fondazione circolo Fratelli Rosselli Valdo Spini. A portare il suo saluto anche il presidente della Comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli, mentre a coordinare sarà Ugo Caffaz, consulente per le iniziative del Giorno della memoria della Regione Toscana. Sarà presente l'autrice.
(met, 15 ottobre 2013)
El Al, in arrivo i nuovi Boeing B737
Nell'àmbito del rinnovamento della flotta di El Al, è cominciata la consegna da parte di Boeing dei nuovi B737-900ER, aeromobili all'avanguardia che, tra l'altro, garantiscono alla compagnia israeliana un notevole risparmio sui costi.
Il primo aereo è stato consegnato nei giorni scorsi, il secondo arriverà a dicembre, ed entro la fine del 2016 gli ulteriori quattro saranno operativi sulle rotte da Israele per l'Europa e viceversa.
El Al ha investito oltre 320 milioni di dollari nell'acquisto di questi sei nuovi aeromobili, fra i più sofisticati e tecnologicamente avanzati attualmente in commercio.
Il B737-900ER ha una configurazione unica di 172 posti di cui 16 posti in classe Business e 156 posti in classe Economica. Le poltrone in entrambe le classi di servizio sono state acquistate dalla ditta B/E Aerospace; quelle in classe Economica, le Pinnacle slim, sono di ultima generazione, ultra leggere con cuscini ergonomici; quelle in Business, le Millennium, sono dotate di ogni comfort e hanno un pitch di 44 pollici. In entrambe le classi di servizio tutte le poltrone sono dotate di prese elettriche e connessione USB.
L'altra innovazione di questi aeromobili consiste in un sistema di illuminazione interna totalmente nuovo; le luci cambiano di intensità e colore a seconda delle fasi di volo.
Come sottolinea il presidente di El Al, Elyezer Shkedy, l'acquisto di questi nuovi aeromobili è parte di un più generale rinnovamento della compagnia, che si pone nuovi obiettivi in termini di soddisfazione passeggeri garantendo loro il miglior prodotto e il servizio più all'avanguardia, posizionando al tempo stesso El Al in vetta alle classifiche dei vettori preferiti per i voli da e per Israele.
(Agenzia di Viaggi, 15 ottobre 2013)
Settant'anni fa la deportazione degli ebrei di Roma. Intervista con Gabriele Rigano
di Filippo Sbrana
A Roma il 16 ottobre non è una data come le altre. Nel 1943 l'esercito nazista deportò dalla capitale oltre mille ebrei, in maggioranza donne e bambini. Vennero portati ad Auschwitz e morirono quasi tutti, solamente in 16 tornarono dal campo di sterminio. La città si prepara a celebrare mercoledì prossimo il settantesimo anniversario di quel triste avvenimento. Ne abbiamo parlato con Gabriele Rigano, docente di storia contemporanea all'Università per stranieri di Perugia e autore di importanti studi sul tema (uno dei quali nel volume curato da Marco Impagliazzo, La resistenza silenziosa, recentemente ripubblicato in versione ampliata).
- Professor Rigano, cosa rappresenta questa data nella storia della città?
È una delle date più nere nella storia plurimillenaria della città: il 16 ottobre 1943 più di mille romani innocenti vennero arrestati e deportati nei campi di concentramento. Fu la più grande operazione contro gli ebrei in Italia durante la seconda guerra mondiale. Nonostante questo, per lungo tempo la memoria di questo avvenimento è rimasta circoscritta alla Comunità ebraica della capitale. Nell'immediato dopoguerra, quando era forte la tradizione antifascista, pur non essendoci una larga partecipazione di romani, le autorità cittadine prendevano parte alle manifestazioni celebrative. Ma dagli anni Sessanta anche questa consuetudine cominciò a venire meno.
- Oggi la deportazione viene considerata una memoria cittadina. Cos'è accaduto?
È stata importante una manifestazione pubblica, una marcia, iniziata a metà degli anni Novanta per l'iniziativa congiunta della Comunità di Sant'Egidio e della comunità ebraica. Negli anni Ottanta la comunità cattolica trasteverina aveva colto i germi di un risorgente antisemitismo, allacciando rapporti di vicinanza con la comunità ebraica romana. Il rabbino capo di allora, Elio Toaff, fu un interlocutore importante e con lui si pensò di organizzare una manifestazione in memoria della Shoà. Dal 1994, una marcia silenziosa attraversa ogni anno la città la sera del 16 ottobre, compiendo il percorso inverso a quello fatto dai deportati. Il corteo è aperto da una frase di Primo Levi: "Coloro che non hanno memoria del loro passato, sono condannati a ripeterlo".
- Sono passati quasi vent'anni dalla prima marcia e molto sembra cambiato.
Nel 1994 la manifestazione fu significativa ma con una partecipazione contenuta. Di anno in anno si sono aggiunti nuovi compagni di strada. Tanti romani hanno iniziato a considerare questa marcia come un appuntamento importante per la città, in particolare molti giovani, colpiti dalle parole degli anziani ebrei che hanno testimoniato quelle dolorose vicende. Penso a Settimina Spizzichino, unica donna tra i superstiti della deportazione, che negli anni Novanta fu una presenza assidua alla manifestazione. Si sono fatti compagni di strada anche molti religiosi di Roma, i cui ordini hanno avuto un ruolo importante a difesa di tanti ebrei negli anni dell'occupazione tedesca, e non pochi nuovi romani - gli immigrati - hanno compreso il rilievo di questa memoria. Con loro numerosi Rom, che come gli ebrei furono vittime del razzismo nazista. È cresciuta nel tempo anche l'attenzione delle istituzioni: in una prima fase erano soprattutto cittadine, poi hanno aderito anche quelle nazionali. Lo scorso anno è intervenuto il presidente del Consiglio, Mario Monti, esprimendo idealmente l'adesione di tutto il Paese.
- Perché ricordare?
La deportazione degli ebrei romani è una memoria cittadina, in cui riflettere sulla storia ma anche sul presente, su chi oggi è vittima del disprezzo e dell'odio. Mercoledì prossimo ci ritroveremo in tanti (Piazza Santa Maria in Trastevere, ore 19 ndr), per marciare insieme verso l'antico Ghetto dove si terrà la cerimonia conclusiva, per affermare che chi è diverso non deve mai essere considerato una minaccia. Gli errori del passato non vanno ripetuti. In questo senso è importante stigmatizzare sempre il razzismo: come quello verso i Rom, purtroppo ancora diffuso, non dimenticando che tanti di loro furono uccisi nei campi dai nazisti. Ricordare non serve solo a fare memoria del passato, ma a costruire un futuro diverso in cui non ci sia più spazio per discriminazioni e razzismo.
(Notizie Italia News, 15 ottobre 2013)
Domani a Roma Workshop Israele con TTG Italia
Insieme all'Ufficio del Turismo Israeliano, ad accogliere gli operatori del settore iscritti al Workshop Israele organizzato in collaborazione con TTG, ci saranno anche Eshet Incoming, Amiel Tours, Interface Tourism, A. R Eland Tours Ltd, Kibbutz Hotels Chain, El Al Israel Airlines Ltd, Hotels Mercure & Savoy Tel Aviv, Jerusalem Development Authority, Isram Israel, HTMS.
L'appuntamento è per domani, a Roma: un'occasione unica e importante non soltanto per aggiornarsi sulle novità dell'offerta turistica della destinazione ma anche per attingere nuove idee e informazioni per proporla correttamente e con efficacia ai giusti target.
Israele è infatti una meta dalle molte sfaccettature, che offre le più varie esperienze di vacanza: dalla movida di Tel Aviv al raccoglimento dei luoghi simbolo delle principali religioni, dai futuristici centri di sperimentazione high tech ai siti archeologici a cielo aperto o celati nelle viscere della terra, dall'aridità del deserto che si spinge fino al punto più basso del pianeta alle acque trasparenti di Eilat e a quelle terapeutiche del Mar Morto.
La partecipazione al Workshop Israele è riservata ai professionisti del settore, che possono iscriversi gratuitamente a questo indirizzo.
(TTG Italia, 15 ottobre 2013)
UEFA Under 19 - Israele-Irlanda del Nord
Senza nessuna pretesa, Israele e Irlanda del Nord si giocano questa sera alle 20.00 l'ultima partita del gruppo F delle qualificazioni ai Mondiali di Brasile 2014.
La nazionale di Israele per l'ennesima volta ha giocato un buon girone di qualificazione, confermandosi una nazionale emergente molto interessante, ma anche questa volta non riuscirà a qualificarsi neanche per gli spareggi: terzo posto matematico nel girone, complice anche la presenza di due nazionali decisamente superiori come Russia e Portogallo, contro le quali era molto difficile competere alla pari.
L'Irlanda del Nord ha dimostrato di cavarsela discretamente nelle partite in cui può chiudersi a riccio e ripartire; oggi Israele certamente dovrà fare la partita, per cui da un punto di vista tattico per l'Irlanda potrebbe mettersi bene. Dubito comunque che possa uscire una partita con tanti gol segnati.
(Te La Do Io L'America, 15 ottobre 2013)
L'Umbria "apre" a Israele
Riccardo Pacifici: «Perugia capitale della cultura ebraica nel 2014»
di Pierpaolo Burattini
PERUGIA - Quello che si poteva risolvere in un incontro di pragmatica istituzionale, ma comunque significativo, si rivela, invece, come l'inizio di una stretta collaborazione che, se coltivata con intelligenza, nei prossimi anni può rivelarsi feconda sia per la Comunità ebraica romana e perugina, sia per il capoluogo, sia per l'Umbria intera. La stretta di mano, andata in scena ieri mattina alla sala della Vaccara tra il presidente della Comunità ebraica di Roma e Perugia Riccardo Pacifici (in serata ha incontrato il premier Letta) e il sindaco del capoluogo Wladimiro Boccali è uno scatto in avanti sia sul piano culturale sia nei rapporti politico-diplomatici della nostra regione (che non è estranea, almeno da un punto di vista storico, al legame con il popolo ebraico: basti pensare a figure come quella di don Brunori o di madre Biviglia che durante la Seconda guerra mondiale rischiarono la propria vita per salvare quella di molti ebrei altrimenti condannati ai campi si sterminio).
I buoni presupposti ci sono tutti e lo si capisce quando Pacifici a metà mattinata, dopo i saluti del coordinatore comunale del Pd Franco Parlavecchio a cui va il merito di aver reso possibile l'incontro, suggella questo "gemellaggio" inserendo Perugia tra le città in lizza per poter essere, a partire dal prossimo anno, centro propulsore della cultura ebraica: «Proporrò all'Unione delle comunità ebraiche italiane di fare Perugia città capofila della prossima giornata della cultura ebraica». Cosa non da poco. Ma l'apertura di credito del presidente della Comunità ebraica romana non si ferma qui, ma si estende alla candidatura di Perugia a Capitale europea della cultura. «Conosco bene la città, so che ha i valori della tolleranza e, nel mio piccolo, sosterrò la candidatura a Capitale europea della cultura».
Due passaggi significativi che possono essere il preludio per una collaborazione che renda Perugia e la nostra regione una porta spalancata sulla cultura ebraica nello specifico e sul senso del rispetto e della tolleranza delle minoranze, in senso più generale. L'ufficialità non c'è, ma non è affatto peregrino pensare che eventi come Il Festival internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica che si svolge a Roma nel mese di luglio, possano in qualche modo collegarsi anche a Perugia. A questo proposito, Pacifici ribadisce un concetto su cui non si può che essere d'accordo: «Bisogna parlare della cultura ebraica: se mi chiedono di scegliere tra Shoah e la nostra cultura millenaria, non me ne vogliano i morti, io scelgo la seconda. La Shoah è stata una parentesi, per quanto tragica, ma solo una piccola parentesi creata da altri nella storia del popolo ebraico». Una mano tesa, con tante opportunità in ballo, che il sindaco Boccali raccoglie e rilancia: «Mi fa molto piacere questa visita, d'altronde Pacifici è anche presidente anche della comunità ebraica perugina, con cui abbiamo un dialogo costante. La nostra città - sottolinea - è molto impegnata sul campo del multiculturalismo e sul tema dell'accoglienza e della cittadinanza dei figli di stranieri nati qui. A Perugia ho scoperto che ci sono ben 58 comunità diverse e la diversità è fonte di arricchimento». A questo proposito, va ricordato che la presenza della comunità ebraica a Perugia affonda le sue radici nella seconda metà del XIII secolo. Un legame, questo, spesso dimenticato o non conosciuto, ma che è iscritto nella stessa storia del capoluogo.
Pacifici, dopo l'incontro istituzionale, ha fatto visita ad una scuola in via Settevalli per discutere con gli studenti dell'importanza della memoria come arma per sconfiggere ogni tipo di intolleranza e odio razziale. «Tra i giovani ci sono sacche di antisemitismo - ha detto - ma posso garantire che nelle scuole ci sono dei giovani che, non facendo cronaca, non facendo svastiche, non fanno notizie ma che grazie a bravi docenti conoscono la storia e sono strumenti di cultura facendosi portatori di valori sani, sanno confrontarsi e sono aperti alle culture diverse. Per questo mi fa molto piacere recarmi in una scuola e parlare spesso di cultura nel corso delle nostre iniziative. Non ci piace essere coinvolti solamente per ricordare la tragedia della Shoah, forse - ha sottolineato - non tutti sanno che ci sono centomila persone l'anno che visitano il museo della cultura ebraica di Roma o che per le nostre feste abbiamo la più alta partecipazione anche di giovani che vengono nel nostro quartiere».
In chiusura, ha fatto capolino l'attualità e così Pacifici ha detto la sua sui funerali del boia delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke. «Confidiamo nell'attività delle forze dell'ordine - ha detto - della questura e prefettura che hanno vietato funerali pubblici che possano trasformarsi in una ghiotta occasione per i nostalgici, per i nipotini di Hitler, per fare un'adunata contro le leggi dello Stato, soprattutto immagino si creerebbero problemi di ordine pubblico. Nulla, ovviamente, su quello che è l'aspetto dei funerali in forma strettamente privata. Poi c'è l'aspetto della sepoltura -ha concluso - ma anche lì il sindaco di Roma è stato molto chiaro». Ora ciò che conta è guardare al futuro e l'incontro di ieri a Perugia, è più di un segnale positivo.
(Giornale dell'Umbria, 15 ottobre 2013)
Casco israeliano, piloti arabi
di Fabio Scuto
L'industria militare israeliana ha messo a segno un altro importante successo: tutti i piloti americani e i loro Alleati che stanno comprando bombardieri Stealth, in futuro utilizzeranno un casco HDMS che è stato progettato dalla Elbit Systems. Dal momento che il piano attuale è di produrre circa 4.000 bombardieri F-35 Stealth, per l'industria israeliana significa più di un miliardo di dollari di ricavi entro un decennio.
Questo fine settimana il Pentagono ha annunciato di aver fermato lo sviluppo di una alternativa al casco israeliano (della britannica Bae Systems), dopo che la Elbit e il suo partner americano Rockwell Collins, sono riusciti a soddisfare gli altissimi standard che sono stati fissati per loro dal Pentagono.
Il nuovo casco, che sarà fabbricato negli Stati Uniti, con il suo schermo è in grado di mettere tutti i dati di volo, nonché quelli sui sistemi d'arma e software davanti agli occhi del pilota , allineandoli in tempo reale, evitando la necessità di perdere tempo prezioso a guardare i monitor del cockpit. È dotato di una fotocamera migliorata per la visione notturna. Il casco mostrerà anche ai piloti immagini in tempo reale da sei telecamere a infrarossi a bordo del velivolo, permettendo così anche di "guardare attraverso" l'aereo, opzione giudicata molto utile nei duelli aerei e nel bombardamento di obiettivi sul terreno. Il casco sarà parte integrante di ogni F-35 che verrà prodotto a partire dal 2016, tra cui anche i 19 che l'Israel Air Force ha ordinato .
La decisione americana significa, in pratica, che ogni Paese che ha comprato o sta per comprare l'F-35 dovrà automaticamente anche acquistare il casco israeliano e non avrà alternative tra cui scegliere. Fra questi molti Paesi arabi e islamici come la Turchia, che ha già ordinato più di 100 bombardieri Stealth, e sono in lista anche altri Alleati arabi degli Stati Uniti specie nel Golfo Persico, con Arabia Saudita, che ne acquisterà un centinaio, e Bahrein in testa.
(la Repubblica - blog, 14 ottobre 2013)
Dove è finito tutto il cemento?
Un mese fa il governo israeliano ha autorizzato l'incremento di camion (da 100 a 350) che ogni giorno trasportano nella Striscia di Gaza cemento, calcestruzzo, tondini in ferro e altri materiali da costruzione. Questo, nel tentativo di compensare il blocco totale del valico meridionale al confine con l'Egitto, disposto dal governo del Cairo dopo il colpo di stato di inizio luglio. Questo, mentre i "valichi" non ufficiali (tunnel sotterranei) sono fatti detonare o allagati con le acque delle fogne (e pazienza se qualche palestinese ci rimetterà la pelle: tanto non ne parlerà mai nessuno).
La speranza: che questo afflusso di materiali da costruzione servisse ad edificare nuove e più solide case per la popolazione palestinese; già stremata e prostrata dal regime di Hamas.
La realtà: nulla di tutto questo. Le case sono rimaste così com'erano. I cantieri, deserti. Ma allora dove è finito tutto questo cemento?
Nei nuovi tunnel che Hamas ha scavato nel sottosuolo, dalla Striscia fino al territorio israeliano. Nel tentativo di ripetere la "fortunata" operazione di sequestro del caporale Gilad Shalit del 2006. A corto di finanze per la bellicosa ostilità dell'Egitto, che l'ha privato di corposi introiti dal contrabbando illegale e dalla cresta che praticava sulle merci in transito provenienti dall'Egitto; Hamas è pronta a ricorrere a questo comportamento ripugnante. Che non esclude il rapimento di bambini, prelevati con la forza dagli asili delle città meridionali di Israele.
(Il Borghesino, 14 ottobre 2013)
La zappa sui piedi
Dilapidato dall'Autorita Palestinese un miliardo di euro ricevuti dall'Unione Europea
Un rapporto ufficiale del l'Unione Europea conferma adesso quello che molti sospettavano e su cui alcuni, tra cui Israele, avevano più volte riferito: nei territori palestinesi si disperdono milioni di aiuti provenienti dall'Unione Europea.
Il rapporto commissionato dalla Corte di Giustizia Europea non è stato ancora pubblicato, ma domenica scorsa è stato presentato in anteprima dal britannico Sunday Times. Così, tra il 2008 e il 2012 dalla sede dell'Unione Europea a Bruxelles sono stati erogati aiuti finanziari per un importo di € 1,95 miliardi. Destinatari: la Cisgiordania gestita dal presidente palestinese Mahmoud Abbas e la Striscia di Gaza controllata da Hamas.
L'influenza dell'Unione Europea sull'uso del denaro è stata minima. Secondo il rapporto, circa 1 miliardo è stato sprecato o usato per la corruzione .
I ricercatori europei si sono fatti una propria idea della situazione e sono stati costretti a registrare "significative carenze" nella gestione degli aiuti finanziari ai palestinesi in relazione a Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza. Nel rapporto si dice anche che, nonostante tutto questo, nessuna misura è stata presa per ridurre i rischi di corruzione o di cattivo investimento dei fondi.
(israel heute, 14 ottobre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
UEFA Under 19. Israele-Liechtenstein 9-0
Reti: 19' Safuri, 22' e 52' Hugy, 29' Danino, 40' Peretz, 50' El Hijya, 80' e 84' Cohen, 82' Shamir.
Abbiamo trovato un breve commento (in tedesco) a questa partita nel sito della Lega Calcio Lichtenstein.
Grossa sconfitta come conclusione.
La squadra nazionale U19 del Liechtenstein ha concluso le qualificazioni agli Europei in Israele con una grossa sconfitta contro i padroni di casa. Nella terza partita in sei giorni la squadra U19 non è più riuscita a tenere a bada l'avversario per molto tempo. E 'stato un vero peccato, ha detto l'allenatore Uwe Wegmann, che il primo gol sia venuto fuori da un'azione poco chiara. "Da quel momento non abbiamo più avuto i mezzi per offrire una valida resistenza al gioco molto veloce della squadra israeliana. E naturalmente bisogna anche dire che alla nostra squadra in questa terza partita è mancata la freschezza necessaria per contrastare per 90 minuti il rapido ritmo di Israele".
(Liechtenstein Fussballverband, 13 ottobre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Oltremare - Autunno
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
Ottavo: Tzàbar si diventa
Nono: tutti in prima linea
Decimo: un castello sulla sabbia
Sei quel che mangi
Avventure templari
Il tempo a Tel Aviv
Il centro del mondo
Kaveret, significa alveare ma è una band
Shabbat & The City
Tempo di Festival
Rosh haShanah e i venti di guerra
Tashlich
Yom Kippur su due o più ruote
Benedetto autunno
Politiche del guardaroba
Suoni italiani
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di Daniela Fubini, Tel Aviv
D'autunno qui a Tel Aviv non cadono le foglie. Davvero, non cadono, e in effetti non ci sono ippocastani e castagne matte, né alberi che prendono tutti i colori dal giallo al rosso e ritorno. Anche a questo ci si abitua, soprattutto se l'altro lato della medaglia è che si va in spiaggia fino a fine ottobre, a volte oltre.
Quel che succede invece, d'ottobre come di gennaio e d'agosto, è lo sbarco dei "nuovi" - studenti o nuovi immigrati, che più son giovani e più avranno facilità con la lingua, mentre più sono attempati e più si sapranno organizzare utilizzando tutta la saggezza accumulata negli anni stanziali. I tempi di arrivo corrispondono in autunno all'inizio dell'università, mentre in inverno ed estate all'inizio dei programmi di cinque mesi degli Ulpan.
Il mio è stato un arrivo invernale, e come Ola Chadashà, quindi i primi giorni sono stati un bel concentrato di burocrazia - quel che non ci ammazza ci rende più forti, dice. Ma per fortuna il vero tessuto del mio arrivo è stato l'accoglienza (nel mio caso a Gerusalemme) di amici vecchi e nuovi, che hanno fatto da banca di affetto e di esperienza, aperta a tutte le ore, per tutti i primi lunghi mesi.
Oggi, a quasi sei anni da quei giorni, mi accorgo che destino di ogni Ole Chadash è di passare poi quasi subito dal lato di chi chiede a quello che provvede risposte e consigli e spiegazioni a quanti arrivati anche poco dopo di noi. C'è chi lo fa in maniera più organizzata - io collaboro con una associazione che si occupa proprio di Olim Chadashim con istruzione universitaria (Gvahim) - e chi più semplicemente diventa un centralino di informazioni pratiche, oppure apre la casa ogni shabbat ai nuovi arrivati.
Ben arrivati super-nuovi, che in un batter d'occhio saranno quasi-nuovi, e poi non-tanto-nuovi, ma meglio così (ché vuol dire che sono rimasti).
(Notiziario Ucei, 14 ottobre 2013)
App italiana Atooma tra vincitori 'Start Tel Aviv'
TEL AVIV - Un'app che crea automaticamente ''regole'' personalizzate sui telefoni cellulari: si chiama 'Atooma' ed e' realizzata da circa un anno in Italia, a Roma, da quattro giovani imprenditori. 'Atooma' e' tra i 12 vincitori di 'Start Tel Aviv', competizione internazionale che ogni anno premia le migliori innovazioni tecnologiche in tutto il mondo.
Da ieri Gioia Pistola - una dei quattro - e' a Tel Aviv, regno delle 'start up', dove insieme agli altri vincitori per una settimana studiera' ''l'ecosistema nella citta'''.
'Start Tel Aviv' si svolge durante la settimana speciale intitolata 'Innovation@TelAviv' che fa parte del Festival dell'Innovazione, appuntamento globale di ''innovatori e imprenditori' in programma a meta' ottobre che riguarda i differenti aspetti dell'innovazione digitale, tecnologica, sociale e urbana. Organizzata dal ministero degli esteri israeliano e dal comune di Tel Aviv, la manifestazione e' una fucina di novita' nel settore, come appunto 'Atooma'.
''Siamo partiti - ha raccontato Pistola - con un piccolo finanziamento e poi via via ci siamo affermati. Ad oggi abbiamo oltre 135 mila utenti. La nostra e' un'applicazione che mira a rendere ancora piu' intelligenti gli Smartphone in base a regole di semplice applicazione''.
(ANSAmed, 14 ottobre 2013)
«Anche il più malvagio ha diritto alla sepoltura»
Ieri, alla domanda di Repubblica «trova giusto che Priebke abbia un funerale e poi una sepoltura?», il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha risposto con il silenzio.
di Davide Di Santo
Ieri, alla domanda di Repubblica «trova giusto che Priebke abbia un funerale e poi una sepoltura?», il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha risposto con il silenzio. Oggi, aggiunge un concetto importante: «La sepoltura non si nega a nessuno, anche al più malvagio».
- Rabbino, il Vicariato di Roma ha detto no alle esequie dell'ex ufficiale SS, il Campidoglio alla sua sepoltura. Cosa ne pensa?
«C'è un aspetto liturgico e religioso nella decisione del Vicariato. Come rabbino capo trovo di pessimo gusto commentare le decisioni di autorità di altre religioni».
- Però può commentare quella del Comune.
«Lei mi chiama come rappresentante della comunità ebraica ma il lutto che ha colpito Roma per l'eccidio delle Fosse Ardeatine riguarda tutta la città, offesa dalla barbarie nazista. Il mondo della politica finalmente risponde adeguatamente, con una presa di posizione netta».
- Perché dice finalmente?
«Un esempio per tutti è la vicenda di Herbert Kappler, un criminale addirittura peggiore di Priebke e che per qualche gioco politico, mai chiarito fino in fondo, è stato lasciato fuggire dall'ospedale del Celio dove era detenuto».
- Ma la sepoltura di Priebke a Roma va fatta o no?
«La sepoltura non si nega a nessuno, anche al più malvagio. Nella nostra tradizione, però, può essere onorevole o disonorevole. Quest'ultima forma non è prevista da nessun regolamento comunale. La questione è politica e amministrativa e, mi perdonerà, non entro nel merito».
- Anche una funzione in forma privata sarebbe un oltraggio alla città?
«L'offesa ci sarebbe se venissero permesse manifestazioni filonaziste. Quella sarebbe una violenza intollerabile per la città. Un'eventualità che va assolutamente evitata».
- Sì, ma come si fa a obbligare qualcuno a non andare a un funerale?
«Un conto è andare a un funerale, un altro fare una manifestazione neonazista. Ma che facciano o no le esequie di Priebke è una cosa che non mi riguarda. Come ho già detto, dal punto di vista religioso la forma più opportuna sarebbe quella della sepoltura disonorevole, ma non è prevista dal regolamento comunale. Il resto non mi interessa, punto e basta».
(Il Tempo, 14 ottobre 2013)
Sepoltura di Priebke: il parere di un membro della comunità ebraica di Pomezia
di Francesca Poddesu
POMEZIA - Sull'eventuale sepoltura di Erich Priebke a Pomezia arriva il commento di D. B., quarantenne pometino di religione ebraica. "Non voglio pubblicizzare il mio nome - esordisce - per il semplice fatto che purtroppo sono cresciuto sentendo persone ignoranti che mi apostrofavano come "ebreo di merda". A Pomezia ci sono tantissime famiglie di religione ebraica, ma non si fanno riconoscere perché preferiscono l'anonimato per tutelare i propri figli, in quanto ancora oggi, nel 2013, si sentono offese nei confronti degli ebrei. Anche i miei figli continuano a sentire queste frasi offensive che logorano, e le leggono sul web, soprattutto sui forum di estrema destra. Riguardo al boia tedesco, credo che la questione tocchi anche i cristiani, non solo gli ebrei, vista la moltitudine di persone che quel personaggio ha ucciso. Non mi spaventa il fatto che Priebke venga a Pomezia, ma di sicuro non ne sarei contento. Ma io parlo così perché non ho vissuto direttamente quella tragedia: se questa domanda venisse fatta a mio padre o a mio zio, di certo risponderebbero con molta meno diplomazia". L'Argentina non lo vuole, Roma non lo vuole, Pomezia, con il suo cimitero tedesco, sarà quindi sembrata un'opzione scontata, vista la vicinanza alla Capitale
"Ma nessuno ha ipotizzato l'opzione della cremazione? Non sarebbe una cattiva idea, se si guarda alla storia
Comunque mi piacerebbe sapere cosa deciderà il sindaco Fucci e soprattutto cosa ne pensa Beppe Grillo, che alcuni mesi fa ebbe uno scontro proprio con la comunità ebraica".
(Il Corriere della Città, 14 ottobre 2013)
Facebook compra Onavo e sbarca in Israele
L'operazione varebbe circa 200 milioni di dollari. L'acquisizione della start up specializzata nell'analisi dei dati delle app mobili permetterà al social network di esplorare nuovi mercati. In programma l'apertura della sede a Tel Aviv.
di Antonello Salerno
L'annuncio ufficiale è arrivato nella notte: "Entriamo a far parte del team di Facebook", si legge sul blog di Onavo, start up israeliana specializzata nell'analisi dei dati provenienti dalle applicazioni mobili. Il gigante di Palo Alto acquisisce così la società di Tel Aviv, anche se non si conoscono ancora i dettagli dell'operazione che tra l'altro porterà Facebook ad aprire la sua prima sede ufficiale in Israele. La notizia è stata riportata anche dai siti di TechCrunch e AllThingsD, mentre i giornali israeliani iniziano a ipotizzare le cifre della transazione, che avrebbe una portata compresa tra i 150 e i 200 milioni di dollari.
Onavo è stata fondata nel 2010, ed è impegnata nella gestione, analisi e interpretazione dei dati provenienti dal mondo delle app, essenzialmente per scopi di marketing. La società israeliana tra l'altro crea e distribuisce applicazioni rivolte ai consumatori per ottimizzare le prestazioni degli smartphone (come "Count", ed "Extend"). Ad agosto aveva lanciato "Insights", un prodotto che consente ai produttori di app di capire l'efficacia delle campagne pubblicitarie mobile per promuovere nuove applicazioni. Dalla fondazione l'azienda ha ottenuto 13 milioni di dollari in venture capital da investitori del calibro di Sequoia, Horizons Ventures, Motorola e Magma Venture Partners.
Tra le ragioni che potrebbero aver spinto Facebook a compiere questo passo c'è il fatto che il gigante dei social network sta sviluppando le proprie strategie sul business mobile, il settore più in crescita e scelto da un numero crescente di consumatori nei mercati emergenti. Ma Onavo tornerà utile a Facebook anche per il progetto "Internet.org", iniziativa nata in collaborazione on i giganti del settore per portare connettività a tutte le persone nel mondo che attualmente non hanno accesso alla rete.
(Corriere delle Comunicazioni, 14 ottobre 2013)
Tennis - Vietato il match con l'israeliano. Stop a Malek Jaziri per motivi politici
Al tennista tunisino, numero 169 della classifica Atp, è stato vietato dal ministero di Tunisi di scendere in campo contro Amir Wintraub, numero 196 dell'Atp. Il motivo? "Colpevole" di essere israeliano. La tennista Selima Sfar indignata: "Mi vergogno del mio paese quando si comporta così".
di Alessandro Grandesso
MILANO, 14 ott 2013 - La prima email è arrivata il 9 ottobre alle 20,04. Tre righe per spiegare al tennista Malek Jaziri, n. 169 Atp, che federazione e il ministro avevano deciso di vietargli la partita contro Amir Wintraub, numero 196, colpevole di essere israeliano. Un'ingerenza inquietante della politica nello sport di un paese ancora alla ricerca di un equilibrio democratico dopo la famosa rivoluzione dei Gelsomini del gennaio 2011. Un intervento che solleva polemiche, fomentate oggi dall'intervista concessa all'Equipe di Selima Sfar, prima tennista araba ad accedere nel top 100 mondiale (nel 2001) e oggi consulente per Al Jazeera, ma soprattutto scandalizzata e preoccupata per un fatto "regressivo".
VERGOGNA La Sfar parla chiaro: "Sono arrabbiata e delusa, è un'immagine pessima per il paese. E poi in Tunisia ci sono solo tre tennisti, Ons Jabeur, Malek Jaziri ed io. Ci siamo battuti duramente per diventare professionisti e ora non siamo più sostenuti. Cosa succede se Malek incontrasse ogni settimana un israeliano nei tornei, darebbe sempre forfait?". Per Sfar, l'ingerenza politica è insopportabile: "Il nostro popolo si è battuto anche con il sangue per andare verso la democrazia e l'apertura mentale, e invece stiamo regredendo. Giocare contro un israeliano non significa essere un cattivo tunisino, un cattivo arabo o un cattivo musulmano. Sono fiera di essere tunisina, araba e musulmana, ma mi vergogno del mio paese quando si comporta così".
CASI Così significa con divieti imposti per ragioni politico religiose, incompatibili con lo spirito dello sport e della teorica uguaglianza che ne deriva. Alla prima email del 9 ottobre, secondo la ricostruzione dell'Equipe, è seguita una richiesta di chiarimento del fratello e manager di Jaziri: "Si tratta di lettera ufficiale per evitare sanzioni?" Secca la replica affermativa del direttore tecnico nazionale Adel Lahdhiri, sempre per email, con oggetto: "Match contro l'israeliano". Quella che sembrava dunque una partita annullata per un problema fisico, in realtà è una questione politica. E non sarebbe neppure la prima volta. Lo scorso luglio, al torneo ITF di Bakou in Azerbaigian, la tunisina Jabeur, 18 anni, aveva abbandonato il quarto di finale che vinceva per due set, ma che l'avrebbe destinata alla sfida contro una israeliana. Nel 2011, durante i mondiali di scherma, la tunisina Sarra Besbès decise di rimanere "passiva" contro l'israeliana Noam Mills, per rispettare le direttive federali di boicottaggio ed evitare sanzioni. Nel maggio 2012, un bambino di 10 anni fu fatto ritirare dai mondiali di scacchi per non affrontare un israeliano. Gli episodi di boicottaggio nei confronti di atleti israeliani coinvolgono molti altri paesi arabi. Sempre nel 2011, per esempio, a Shanghai, l'iraniano Mohammad Ali Rezaei rifiutò di gareggiare durante le batterie dei 100 metri stile libero perché nella corsia accanto c'era un israeliano.
(La Gazzetta dello Sport, 14 ottobre 2013)
Israele crea il reparto di difesa cibernetica
Nell'esercito israeliano è in atto una vera e propria rivoluzione, ma non è proprio quella di cui tutti parlano. L'Idf infatti, sta addestrando l'esercito a combattere sul nuovissimo campo di battaglia: il cyberspazio. Le Forze di Difesa israeliane sono al centro di questa rivoluzione, fortificando la difesa cibernetica contro le minacce degli hacker nemici.
La nuovissima unità responsabile della cyber- difesa si chiama Lotem - C41. Formata da migliaia di esperti provenienti dal mondo accademico e militare, la divisione è diventata una delle più grandi organizzazioni della sicurezza in Israele.
C41 Soldier: Cyber Defense
Le minacce informatiche rappresentate dagli hacker nemici, sono reali e potenzialmente disastrose. L'Idf dipende da sistemi informatici: sempre.
Se l'intero apparato informatico dovesse essere neutralizzato o soltanto paralizzato, Israele cadrebbe.
Per ridurre al minimo i rischi, l'Idf ha attuato delle contromisure. Già nel 2011, l'esercito israeliano ha creato una divisione ufficiale anti hacker. L'unità protegge la rete informatica israeliana 24 ore al giorno e sette giorni alla settimana.
Lo scorso mese di maggio infine, l'esercito israeliano ha acquistato due grandi aziende di software fondendole in un'unica unità chiamata "Matzpan", acronimo in ebraico per Sistemi di gestione, controllo e comando informatico dell'Esercito.
(teleradiosciacca.it, 13 ottobre 2013)
Israele scopre una galleria sotto terra
GERUSALEMME - Il «tunnel del terrore»: così Israele ha definito la galleria sotto terra, lunga circa 1.8 chilometri, scoperta lo scorso 7 ottobre - ma la notizia si è saputa oggi - tra la Striscia di Gaza e le vicine comunità civili in territorio israeliano.
Un tunnel - ha spiegato l'esercito - costruito per «attività terroristiche contro civili israeliani e personale di sicurezza in Israele». E il ministro della difesa Moshè Yaalon ha chiamato in causa Hamas, la fazione islamica al potere a Gaza.
Il premier Benyamin Netanyahu - nella consueta riunione domenicale del governo a Gerusalemme - ha subito ringraziato le forze armate per aver scoperto «il tunnel del terrore» aggiungendo che l'azione s'inquadra nella «nostra linea di condotta, una politica aggressiva contro i terroristi in termini di contrasto e intelligence». Poi non ha mancato di sottolineare che, anche se gli ultimi quattro anni sono stati «i più calmi di un decennio», tuttavia nelle recenti settimane c'è stato «un incremento delle attività terroristiche».
La prima conseguenza della scoperta del tunnel è stato il blocco da parte di Israele, fino ad un riesame della situazione, del trasferimento verso la Striscia del materiale da costruzione che aveva riammesso, per la prima volta da tempo, lo scorso settembre.
Il ministro Yaalon ha detto che «il tunnel è un'ulteriore prova che Hamas, nonostante la tregua imposta, continua a prepararsi per uno scontro tra Israele e attività terroristiche». Le gallerie come quella di oggi - la terza scoperta lungo il confine nel passato anno - sono state usate, ha spiegato l'esercito, dai «terroristi per portare a termine attacchi contro civili e militari. Nel 2006 ci fu un attacco mortale mentre i soldati erano di pattuglia in un veicolo blindato. Terroristi armati - ha continuato - si sono infiltrati in Israele attraverso tunnel di contrabbando uccidendo due soldati e prendendone in ostaggio un terzo, Gilad Shalit».
Il generale Mickey Edelstein, comandante della divisione di Gaza, ha detto che «l'esercito agisce con l'idea che ci siano altri tunnel che mettono in pericolo nell'area civili e personale di sicurezza».
La galleria di oggi - la cui scoperta secondo il quotidiano Haaretz non è dovuta ad un caso, bensì ad «una soffiata» - è stata costruita con circa 500 tonnellate di cemento e calcestruzzo, raggiunge la profondità di 22 metri, l'altezza è di 1,8 metri e comincia a Gaza, nei pressi di Khan Yunis, per finire, 300 metri già in territorio israeliano, vicino al kibbutz di Ein Hashosha.
All'interno - secondo i media - illuminazione e linea telefonica, usata durante lo scavo cominciato pare nel 2011. Non sono stati trovati esplosivi, ma - è stato notato - erano presenti molti spazi nei quali era possibile immagazzinarli.
«Hamas e le altre organizzazioni del terrore nella Striscia - ha detto ancora l'esercito - investono milioni di dollari e di risorse in modo da creare una florida rete di tunnel illegali diretti in Israele». Ci sono «sufficienti prove a favore del fatto che i terroristi abusino metodicamente dei materiali da costruzione trasferiti nella Striscia da Gaza da Israele come aiuto umanitario per costruire invece i tunnel».
I responsabili delle Comunità israeliane della zona vicino la Striscia hanno chiesto all'esercito di ritornare sulla precedente decisione di fermare il dispiego di truppe a guardia e di ridurre i fondi per i veicoli di sicurezza nell'area.
(Il Secolo XIX, 13 ottobre 2013)
Salvò molti ebrei rischiando la vita: madre Giuseppina Biviglia «Giusta fra le nazioni»
Il museo dell'Olocausto di Gerusalemme le ha conferito il riconoscimento
Madre Giuseppina Biviglia, all'epoca della Seconda guerra mondiale abbadessa del monastero delle clarisse di San Quirico, è «Giusta fra le nazioni». Il museo dell'Olocausto di Gerusalemme di Yad Vashem le ha conferito il riconoscimento per aver salvato numerosi ebrei mettendo a rischio la sua vita. A rendere nota la concessione del riconoscimento è lo stesso monastero al quale apparteneva madre Bidiglia attraverso l'ufficio stampa dei Frati Minori di Assisi. Madre Giuseppina (Serrone di Foligno 31 marzo 1897-31 marzo 1991) entrò in monastero nel 1922 e guidò la comunità come madre abbadessa negli anni 1942-1945, 1945-1948, 1964-1967, 1967-1970.
Un libro di memorie
Lasciò nel libro delle memorie del monastero i suoi ricordi del periodo bellico: «
Mentre fino dal settembre 1943 s'intensificava l'offesa aerea anglo-americana sull'Italia con somma sorpresa di tutti, mentre in patria rincrudivano persecuzioni politiche, vendette personali e ordini odiosi venivano spiccati contro Ebrei e soldati ligi allo spirito dell'armistizio, i nostri Istituti divenivano luogo di rifugio agli sbandati, ai perseguitati politici, ai fuggitivi, agli ebrei, agli evasi dai campi di concentramento. Ne ebbe la sua parte il nostro Monastero. Superfluo dire che incapaci noi stesse di capire quanto avveniva in tanta confusione, si obbediva solo a un sentimento che sorgeva spontaneo di volta in volta che si presentavano dei disgraziati: davanti al dolore di ciascuno avrebbe taciuto ogni velleità di giudizio, anche se avessimo saputo darne uno. La pietà avrebbe in ogni caso trionfato come trionfo».
(Umbria24, 13 ottobre 2013)
Il giardino dei Finzi Contini inaugura il Museo Ebraico a Roma
di Pino Farinotti
Il Museo Ebraico di Roma inaugura oggi 13 ottobre la mostra "Storie del '900" proiettando Il giardino dei Finzi Contini, diretto da Vittorio De Sica, tratto dal romanzo di Giorgio Bassani. Il film ottenne l'Oscar nel 1972 come "miglior straniero". Saranno presenti l'assessore alle Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma, Gianni Ascarelli, la direttrice del Museo Ebraico, Alessandra Di Castro, il regista e attore Lino Capolicchio ed Emi De Sica figlia del regista.
De Sica dichiarò sempre di essersi emozionato alla notizia di quella vittoria, come mai gli era successo. Eppure l'abitudine non gli mancava, si era visto attribuire la statuetta già tre volte, con Sciuscià, Ladri di biciclette e Ieri, oggi, domani.
La scelta è certo appropriata. La letteratura e il cinema traboccano di titoli dedicati alla tragedia ebraica e al cosiddetto olocausto. Il "Giardino" sfiora l'olocausto inteso come lager e violenze inumane, focalizza i momenti precedenti. Parlo del romanzo che è, temporalmente, diverso dal film. L'azione del libro percorre il periodo fra il 1929 e il '38, le stagioni dell'incubazione, diciamo così, fino a quando, nel '38 appunto, il regime si allineò alla politica, chiamiamola così, nazista ed emanò le maledette leggi razziali. E raccontare, nel libro è Giorgio, una sorta di alter ego dello stesso Bassani, che rivede tutto 14 anni dopo, a guerra finita e a vita salvata. Nel film Giorgio vive la storia in contemporanea. Il periodo è fra il '38 e il '43, differenza sostanziale certo, ma storicamente più "cinematografica". I personaggi chiave, tutti israeliti, sono Giorgio appunto, giovane borghese gradito ai ricchi Finzi Contini che vivono nel loro eremo dorato; Micol, amore impossibile di Giorgio, la ragazza padrona di casa, bella e complessa; Alberto, fratello di Micol, sensibile e delicato, incapace di affrontare le vicende; Giampiero Malnate, aitante e diretto, dal quale Micol è attratta. Alla fine tutti vengono deportati o muoiono. In modo diverso, secondo libro o film.
La critica non fu proprio benevola verso l'opera di De sica. Ecco uno stralcio della recensione del Dizionario dei film Zanichelli: "... Film di cartapesta e, nell'ultima parte, di una ruffianeria sentimentale che sfiora il cinismo. Franoso nella costruzione drammatica, è imperdonabilmente approssimativo nello svolgimento temporale, inetto nella rievocazione dell'epoca, zeppo di incongruenze a svarioni..." Ed ecco il Baldini Castoldi Dalai: "...De Sica smorza i toni, annacqua la tragedia e tira a commuovere il pubblico: eppure tra i suoi ultimi film è uno dei più riusciti. Esangue ed elegante, piacque molto al pubblico."
E io dico che il pubblico, comunque, ha la sua importanza. E certo il film non riuscì a cogliere e a rappresentare tutta la qualità e la profondità del libro. Ma succede (quasi) sempre così. Ma il segnale decisivo è un altro: Giorgio Bassani ritirò la sua firma prendendo le distanze dagli sceneggiatori Ugo Pirro e Vittorio Bonicelli. Non dopo un confronto, molto acceso, col regista. La scelta dello scrittore va intesa proprio in chiave di rapporto fra libro e film: quando la scrittura incontra il cinema, l'incontro, soprattutto se la scrittura è alta, diventa scontro, e a prevalere non è mai il cinema. Appunto. Tuttavia quel titolo rimane una memoria importante. Con qualche licenza imprecisa e sfuocata e con qualche estetica patinata di troppo, lo spirito e l'essenza di quella immane tragica vicenda, viene trasmesso.
Giorgio Bassani (1916) nacque a Bologna ma visse quasi sempre a Ferrara. Figlio di famiglia ebrea benestante subì quel momento storico, ma riuscì comunque a compiere studi regolari e a laurearsi in lettere. Conosceva bene l'argomento. Poi... divenne "Bassani", uno dei nomi portanti della nostra letteratura del novecento. Oltre che romanziere era sceneggiatore, poeta e critico letterario. Sono molti i titoli da lui firmati che fanno parte del corpo della nostra letteratura. Il suo nome si impose nel 1956 quando, con Cinque storie ferraresi, vinse il Premio Strega. Ma se deve essere un'unica opera a identificare Giorgio Bassani è certo Il giardino dei Finzi Contini. Grazie anche a De Sica, nonostante... i critici. E quelli del Museo di Roma se ne sono accorti.
(Onda&Fuorionda, 13 ottobre 2013)
Gli archivi vaticani e i segreti sulla fuga dei nazisti
Molti gerarchi sono fuggiti dal porto di Genova verso l'Argentina con l'aiuto di alti prelati. Ma dentro i registri della Chiesa c'è anche la verità sui desaparecidos
di Francesco Peloso
La morte di Erich Priebke ha riaperto un capitolo spinoso per la Chiesa: quello della fuga di gerarchi e capi del nazismo, all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale, in Argentina e in altri Paesi dell'America Latina con l'aiuto e il sostegno decisivi di esponenti del clero. In realtà da tempo su tutta la vicenda aleggia un sospetto ben più pesante: e cioè che le massime autorità vaticane, compreso Pio XII o qualcuno dei suoi più stretti collaboratori, potessero essere quantomeno informate dell'opera di salvataggio che alcuni prelati, preti e religiosi, avevano realizzato.
La storia nelle sue linee generali è nota: una rete di monasteri e di chierici, fra i quali spicca il nome di Alois Hudal, vescovo filonazista che lavorava in Vaticano, ha reso possibile la fuga di diversi criminali come appunto Erich Priebke, Adolf Eichmann e Josef Mengele tanto per limitarsi ai nomi più noti. Molti segreti, appunti, documenti relativi a questa storia restano sepolti nei tanti archivi ecclesiali; quelli vaticani in primis, certo, ma in realtà altre carte potrebbero essere conservate dai francescani (in Italia e nel resto d'Europa) il cui ordine fu coinvolto in modo particolare in questa vicenda. Allo stesso tempo curie locali o sedi arcivescovili di primo piano conservano probabilmente qualche traccia di quei lontani avvenimenti.
E' stato proprio il 'Secolo XIX' a chiedere già una decina di anni fa e poi di nuovo nelle settimane scorse, che la curia genovese mettesse a disposizione i propri archivi. Genova è infatti stata uno snodo fondamentale delle "ratlines", le cosiddette vie di dei topi; dal suo porto si sono imbarcati molti dei capi ustascia croati e dei gerarchi nazisti tedeschi più noti, il ruolo svolto dallo stesso arcivescovo Siri è assai problematico sotto questo punto di vista. A suo tempo il cardinale Tarcisio Bertone diede la propria disponibilità per una verifica storiografica, ma poi non se ne seppe più nulla. Un intervento di papa Francesco potrebbe sbloccare anche questa situazione.
Tuttavia la vicenda Priebke apre le porte su un quadro più complesso e delicato. La storia ha infatti voluto che destinazione privilegiata degli uomini del terzo reich in fuga, fosse proprio l'Argentina nella quale nazisti e fascisti provenienti dall'Europa - con l'aiuto sovente dei servizi segreti occidentali, del Vaticano e della Croce rossa - furono fatti arrivare in nome della lotta al comunismo; la necessità era quella di non rinunciare al 'personale' più qualificato per la nuova battaglia che stava cominciando il giorno dopo la fine della guerra. In Argentina Juan Domingo Peròn si dimostrò particolarmente sensibile sull'argomento e aprì le porte del Paese a questa emigrazione del tutto particolare. E' inoltre storia ormai documentata che alcuni dei personaggi passati attraverso le ratlines verso la fine degli anni '50, ebbero un ruolo nei regimi repressivi e nelle dittature che interessarono quasi tutti i Paesi dell'America Latina fra gli anni '60 e gli anni '80 del secolo scorso. Un caso a parte è quello di Alois Brunner, uno dei maggiori responsabili dello sterminio ebraico che, seguendo le ratlines, raggiunse la Siria dove contribuì a formare i servizi segreti di Hafez al-Assad.
Oggi sul Soglio di Pietro siede un papa argentino non estraneo a una certa fede politica peronista che del resto si coniuga anche con un filone di partecipazione popolare e di giustizia sociale; allo stesso tempo Francesco è grande amico della consistente comunità ebraica del Paese latinoamericano. Anzi, fra i suoi più forti sostenitori va annoverato uno dei leader dell'ebraismo argentino, il rabbino Abraham Skorka, esponente dell'ala più liberale del pensiero ebraico. Il Papa poi, nei giorni scorsi, ha incontrato in Vaticano la comunità ebraica romana e ha avuto parole forti contro l'antisemitismo ricordando la tragica deportazione dal ghetto di Roma avvenuta il 16 ottobre del 1943.
Così i funerali di Priebke, martedì prossimo, finiranno quasi con il coincidere con la data della razzia del ghetto di Roma. I fili di diverse storie, allora, s'intrecciano in questa lunga vicenda che dal dopoguerra arriva fino ad oggi. Il problema delle carte conservate dal Vaticano nei suoi archivi segreti è ormai parte essenziale del dibattito sul rapporto controverso fra Shoah e comportamento della Santa Sede (una parte di questi documenti fu comunque fatta pubblicare da Paolo VI).
Ma oggi il problema si apre anche, e proprio con Bergoglio, per casi più recenti come quelli della sanguinosa dittatura militare argentina. La leader delle "abuelas", le nonne, di plaza de Mayo, Estela Carlotto, nell'aprile scorso ha incontrato il pontefice e a lui ha chiesto un aiuto per conoscere la verità su figli dei desaparecidos adottati dai militari. "Non chiediamo - disse nell'occasione Estela - di vedere i registri della Chiesa per accusare questo o quel prete, ma per ritrovare i nostri nipoti". Nei giorni scorsi, ancora, l'altra organizzazione che si batte per la verità sugli anni bui del regime, "las madres de plaza de mayo", ha chiesto al papa, con una lettera, due cose: da una parte di "riconoscere" le complicità di vescovi e sacerdoti con i militari, ma dall'altra di dire quali furono i preti e le suore "assassinati dalla dittatura".
(globalist, 13 ottobre 2013)
Israele - Italkim, cambio della guardia
È Angelo Piattelli, esperto e perito di manoscritti, stampe antiche ed oggetti di judaica che cura le collezioni di diversi appassionati svizzeri, inglesi ed americani e che vive in Israele da circa 20 anni il nuovo presidente della Hevrat Yehudei Italia, associazione che rappresenta la comunità italiana in Israele. Già impiegato presso l'Institute for Jewish Bibliography (Università Ebraica di Gerusalemme) e esperto di case d'aste (Sotheby's Israele e Europa e Judaica, Gerusalemme), Piattelli sostituisce il presidente uscente Eliahu Ben Zimra.
Eletti nel nuovo Consiglio insieme a lui, in una votazione in cui si sono presentati ben 14 candidati, Chanoch Cassuto, Angela Polacco Lazar, Viviana Di Segni, Pierpaolo Pinhas Punturello, Ruhama Bonfil Piperno Beer e Cecilia Nizza, subentrata a Filippo Ventura, che ha dichiarato di rinunciare all'incarico, come riferisce il comunicato diffuso dal Comitato degli italiani all'estero in Israele, che sottolinea anche come Sergio Della Pergola, demografo dell'Università ebraica di Gerusalemme, abbia deciso di non ripresentarsi dopo oltre trent'anni di attività nei vari comitati. L'appuntamento elettorale ha conosciuto momenti concitati: è stato preceduto da un intenso dibattito e ha visto l'elezione di due candidati già parte del Consiglio di altre associazioni, e in particolare dall'Irgun Olei, nata per offrire supporto alle Aliyot dall'Italia (oltre a Filippo Ventura anche il rabbino Pierpaolo Pinhas Punturello).
La Hevrah ha da poco chiuso una lunga trattativa con l'Autorità per i Beni immobiliari dello Stato di Israele per l'assegnazione dell'area di Rehov Hillel 27 di Gerusalemme, luogo del tempio italiano, del museo dedicato alla cultura degli ebrei italiani e prestigioso simbolo internazionale della loro storia e plurimillenaria identità (nell'immagine).
(Notiziario Ucei, 13 ottobre 2013)
Scoperto un tunnel tra Gaza e Israele
TEL AVIV - L'esercito israeliano ha scoperto un tunnel che correva sotto il confine con la Striscia di Gaza e che è ritenuto servisse ai militanti palestinesi per entrare in Israele e attaccare soldati o civili. L'ingresso del tunnel in territorio israeliano è vicino al kibbutz di Ein Hashloha ed è stato scoperto una settimana fa, ma solo oggi alle autorità è stato possibile divulgare la notizia.
La scoperta del tunnel tra Gaza e Israele è "un'ulteriore prova che Hamas, nonostante la tregua che è stata imposta, continua a prepararsi per uno scontro tra Israele e attività terroristiche", ha detto il ministro della difesa israeliano Moshe Yaalon, citato dai media. "Continueremo ad agire con forza - ha aggiunto - contro chi tentata di colpire cittadini di Israele".
(TicinOnline.ch, 13 ottobre 2013)
Altri particolari
Lui, Eichmann e gli altri boia felici di esserlo senza mai un rimorso
Nel 1943 Serge Klarsfeld sfuggì alla Gestapo, a Nizza. Suo padre venne catturato e deportato a Auschwitz. Serge aveva 8 anni. Il resto della sua vita lo ha dedicato a ritrovare - con l'aiuto della moglie Beate - i capi nazisti per trascinarli in tribunale.
di Stefano Montefiori
Signor Klarsfeld, è sorpreso dal testamento di Erich Priebke? Quel suo ripetere che l'Olocausto è un'invenzione, che ad Auschwitz c'erano cucine più che camere a gas, che lui comunque non ha mai fatto altro che ubbidire agli ordini?
«No, sarei sorpreso del contrario. Io ho ritrovato e fatto processare tra gli altri anche Klaus Barbie (soprannominato "il macellaio di Lione", ndr), che deportò centinaia di ebrei di Francia e in particolare 44 bambini. Abbiamo mai sentito da lui una parola di pentimento? L'abbiamo mai udita da Adolf Eichmann? Priebke è un boia uguale a tutti gli altri, non fa che ripetere il copione tipico di tutti i nazisti che sono stati catturati dopo la guerra».
- Perché, secondo lei? Forse non voleva deludere quelli che avrebbero poi scritto sui muri «onore a Priebke» con la croce celtica? C'è un clima, in Europa, che rende possibile queste assurdità?
«No, non credo sia questo il motivo e non mi sento di lanciare allarmi. A parte qualche imbecille, l'opinione pubblica europea sa che l'Olocausto è esistito e Priebke è morto sapendo di suscitare il disgusto nella stragrande maggioranza della popolazione».
- Quindi Priebke è rimasto fedele a una linea concordata?
«Sì, tutti i nazisti catturati hanno sempre risposto allo stesso modo, con quel ritornello di ubbidire agli ordini... Né Priebke né nessun altro ha avuto mai la forza di assumersi le sue responsabilità di boia, di dire la verità, cioè "ammazzavo gli ebrei perché potevo farlo ed ero contento". Si sono tutti dati un gran da fare nel dare la colpa agli altri, a chi dava gli ordini, anche se molti ordini li hanno dati loro stessi Forse, in qualche Paese del Medio Oriente dove si contesta ancora l'esistenza stessa dell'Olocausto, Priebke avrebbe persino rivendicato le sue gesta. Non poteva farlo in Italia, in Europa. Ha scelto la rimozione, la negazione. E qualcosa di psichiatrico, comune a tutti loro. Qualcosa che forse ha anche a che fare con il bisogno di poter guardare ancora in faccia i figli, i famigliari. C'è una distanza che lascia sgomenti tra le loro azioni durante la guerra e il loro umore da sconfitti in fuga. Non uno che sia crollato sotto il peso del rimorso».
- Che pensa del rifiuto di Roma e dell'Argentina di accoglierne la salma?
«Non saprei, neanche questo mi sorprende. Come non mi ha turbato il fatto che Priebke abbia vissuto tanto. La durata e la qualità della vita non dipendono affatto dalla moralità della persona, come si vede. Altri gerarchi hanno vissuto molto a lungo. Mi consola pensare che anche alcuni deportati sopravvissuti ad Auschwitz ci sono riusciti. Israele disperse le ceneri di Eichmann in mare, l'Argentina non vuole esaudire il desiderio di Priebke di essere sepolto accanto a sua moglie. Mi è tutto sommato indifferente».
- Signor Klarsfeld, la sua battaglia continua?
«Continua la mia battaglia per tenere viva la memoria dei deportati, con la mia Associazione dei figli e delle figlie dei deportati ebrei di Francia. Ma la caccia ai criminali nazisti ormai si sta concludendo. Ho sempre cercato di colpire i pesci grossi, quelli che realmente avevano delle responsabilità enormi nell'esecuzione del massacro, e quelli sono morti o sono negli ultimi mesi di vita. A questo punto della vicenda storica bisogna fare molta attenzione»
- Che cosa intende?
«Dobbiamo essere in grado di fermarci, di non accanirci I grandi colpevoli non ci sono più. Resta qualche pesce piccolo, e il problema con loro è accertarsi che abbiamo davvero commesso crimini contro l'umanità. La legge tedesca è la meno selettiva nella materia, consente di arrivare fino ai guardiani dei campi. Ma a questo punto, siamo sicuri che solo per questo siano responsabili? La prospettiva di condannare un innocente mi spaventa tanto quanto quella di lasciare indisturbato un massacratore. Nei prossimi mesi nel Baden-Wurttemberg verrà organizzato un processo contro uno di questi guardiani, ormai molto anziano. E io non so ancora se vorrò partecipare».
(Corriere della Sera, 13 ottobre 2013)
Berlino, il ritorno degli ebrei. "La Storia non ci fa più paura"
Migliaia di giovani arrivano da Israele: ci sentiamo a casa, è la nuova Gerusalemme.
di Tonia Mastrobuoni
BERLINO - La prima volta che sono venuto qui, dopo il servizio militare, volevo solo divertirmi. Ma avevo anche la testa piena delle storie orribili dei miei genitori e dei miei nonni e quel numero: sei milioni di morti. Dopo un po' ho cominciato a sentire tutto quello che c'era stato prima e che senti ovunque, e ho capito che Berlino è come Gerusalemme». Zeev Avrahami sta preparando dell'hummus con le melanzane, ogni tanto esce dalla cucina, si siede al tavolo e racconta un pezzo della sua storia. Mentre armeggia con le pentole, canticchia le canzoni di Ariel Silber. «Qui non lo conosce nessuno, ma noi "nuovi ebrei" lo conosciamo tutti». I «nuovi ebrei», spiega, sono quelli che come lui che hanno deciso di andarsene da Israele per cercare le loro radici qui. «Siamo sempre di più. Tanti, come me, vengono dopo il militare, poi sentono dentro questa cosa forte. La "grande bestia" ha cercato di ucciderci. Ma noi stiamo tornando».
Quarantaquattro anni, una moglie tedesca e due figli piccoli, Zeev indica le loro foto appese al muro del suo piccolo ristorante a Prenzlauer Berg. «Il piccolo è israeliano, la grande è tedesca», sorride: il bimbo ha gli occhi scuri e i capelli neri, come Zeev, la bambina i capelli chiari, gli occhi verdi. «Mi chiede perché sono rimasto, perché mi sono innamorato di una tedesca? Insomma, qui si inciampa ovunque sulla nostra Storia, e non solo perché tante cose ricordano l'Olocausto. I miei sono persiani, emigrati nel Sinai, ma credo che nella diaspora la mia identità di rafforzi. Ecco perché sono andato via da Israele. Più sono qui, più mi sento ebreo».
La comunità di israeliani sta crescendo enormemente a Berlino assieme a quella degli ebrei americani e russi. Ma è già la seconda ondata, dopo quella giunta in Germania dopo la caduta del Muro, che arrivò per motivi economici, ma soprattutto per la ragione più antica del mondo: l'antisemitismo. Con il collasso delle repubbliche sovietiche, raccontano i rapporti del «Consiglio centrale degli ebrei in Germania», crebbe la paura di un ritorno dei vecchi odi. Gli ebrei russi, ucraini, lituani cominciarono a emigrare verso il Paese che più ne aveva minacciato la sopravvivenza. Nel giro di pochissimo, il governo tedesco si adeguò dichiarandoli rifugiati e aiutandoli con leggi e incentivi specifici ad integrarsi, e il numero quadruplicò da circa 25 mila a 100 mila. Oggi si stima che siano circa 120 mila; la maggior parte, circa 18 mila, vive a Berlino, le seconde comunità più grandi sono Francoforte e Monaco.
L'ondata più recente, tuttavia, non viene per paura, non scappa da zone difficili. Viene perché è attratta dalla Germania e in particolare da Berlino. Uno dei centri nevralgici della comunità è il quartiere attorno a Oranienburger Strasse, dove c'è la grande sinagoga distrutta durante il pogrom dei nazisti nel '38 e ricostruita dopo la guerra, ma protetta ancora da imponenti misure di sicurezza.
Accanto all'edificio, Gal Titan sta caricando rami di palma e di salice su un camion. Un ragazzo dalla barba già lunga che indossa un cappello nero a falda larga lo aiuta: è Menanem Mendel. Si stanno preparando al Sukkot, la festa ebraica che ricorda la traversata del deserto degli ebrei verso la Terra promessa. Il nonno di Gal è l'unico sopravvissuto di sei fratelli: gli altri sono morti nei campi di concentramento. «Mio nonno è di Berlino, ma non tornerebbe mai, non metterebbe mai piede in Germania». Lui invece sta perfezionando il tedesco, e sta finendo di studiare geografia. «Certo, è stata dura tornare, sentire la Storia, ma io voglio chiudere il cerchio». Per Gal è stata più forte la ricerca della sua identità che «il sangue dei nazisti». Menanem, che ha interrotto i preparativi per il Sukkot e ha messo un braccio attorno alle spalle di Gal, annuisce: lui studia per diventare rabbino, viene dalla Russia, ma non sa se resterà. «Si sta bene qui», dice.
Non sempre, però, Berlino si dimostra all'altezza di questa sfida storica, non sempre riesce a incoraggiare il ritorno e il reintegro. Crescono gli episodi di intolleranza. E non solo da parte dei neonazisti, si moltiplicano anche nei quartieri ad alta densità turca e araba. Tanto che il rabbino Daniel Alter, picchiato brutalmente per strada un anno fa da un gruppo di arabi, è convinto che esistano ormai delle «no-go-areas» nella capitale, dove è meglio nascondere la kippah. Un timore condiviso dal 32enne Yossi, che è venuto da Israele per studiare architettura e ha sposato una russa. Non sa se resterà. Abita in un quartiere dove vivono moltissimi turchi, a Neukölln: «Quando vado in giro cerco di non essere riconoscibile», ammette. Il padre è austriaco e non vuole venire a trovarlo, anche a lui è stata assassinata la famiglia dai nazisti. Ma Yossi non prova nessuna rabbia: «Appartengo a un'altra generazione», dice. «Con noi ricomincia tutto».
(La Stampa, 13 ottobre 2013)
Gli ebrei cacciati dal Rotary
di Giulio Busi13
Gadi Luzzatto Voghera, Nessuna distinzione di razza né di religione. Il Rotary italiano, gli ebrei, la persecuzione antisemita (1923-1938), Erredi, Genova, pagg. 112, € 30
Gershom Scholem, che certe cose non le mandava certo a dire, usò un'espressione poco accomodante: Selbstbetrug, «autoinganno». E anche a voler essere più accomodanti, non si può negare che la parabola identitaria del giudaismo assimilato, durante gli anni Venti e i primi anni Trenta del secolo scorso, disegni una curva assai ambigua. Proprio mentre in Europa s'infittivano i segni del pregiudizio e delle discriminazioni, molti ebrei, e in specie quelli di maggiore censo e peso sociale, si ostinarono a non vedere, e a credere di avercela fatta una volta per tutte. Di essere riusciti a conquistare l'approvazione dell'élite cristiana, e di avere finalmente diritto a un ruolo stabile all'interno della società.
La vicenda dei Rotary italiani, dalla loro fondazione nel 1923 sino allo scioglimento imposto nel 1938 dalle autorità fasciste, conferma questa amara sensazione di spaesamento. Basta scorrere le biografie di illustri ebrei rotariani attivi in quel periodo per scoprire che parecchi aderirono con convinzione al fascismo, e rivestirono ruoli di rilievo nella compagine economica e finanziaria del regime. Come chiarisce con efficacia Gadi Luzzatto Voghera, l'esperienza del Rotary nella penisola ebbe caratteristiche peculiari. Da una parte, gli ideali furono quelli, di matrice americana, della tolleranza e dell'indipendenza dai condizionamenti religiosi e confessionali. D'altra parte, l'organizzazione ebbe contatti piuttosto stretti con il potere politico. Pensato per raccogliere la borghesia medio-alta, il Rotary fu un naturale laboratorio d'integrazione. Ma all'entusiasmo per uno spazio sociale condiviso, in cui industriali e politici ebrei potevano interagire con i settori più elevati della società maggioritaria, seguì lo scoramento per le leggi razziali. Certo non per coincidenza, l'esclusione degli ebrei dalla vita della nazione s'accompagnò allo smantellamento del Rotary. Per quanti avevano prestato fede al sogno di un'unica classe dirigente, multiculturale e aperta, era giunto il tempo del disinganno.
(Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2013)
La Spezia - "Erwartung", l'epopea della Porta di Sion arriva al Civico
Dopo la prima estiva al Molo Garibaldi, arriva in teatro lo spettacolo che racconta l'attesa dei profughi ebrei prima di partire per la Palestina.
LA SPEZIA - Replica invernale per il fortunato spettacolo "Erwartung/Attesa" che ha debuttato il 26 luglio scorso al Molo Garibaldi con la partecipazione di quasi duemila spettatori. Ottanta persone sul palco raccontano una storia poco conosciuta ma molto importante nella memoria colletiva e nell'identità della nostra città, un'occasione per chi l'avesse perso e due repliche mattutine per le scuole, considerato l'alto valore storico e identitario dello spettacolo.
Al teatro Civico della Spezia
Mercoledi 20 novembre ore 10 (ingresso 3€ riservato alle scolaresche)
Giovedi 21 novembre ore 10 (ingresso 3€ riservato alle scolaresche)
Mercoledi 20 novembre ore 21 (ingresso 6€ ridotto 3€ per la città)
info e prenotazioni per le scuole 0187/757075
Nel maggio del 1946 due navi partirono da La Spezia alla volta della Palestina. I passeggeri, 1014 ebrei scampati ai lager nazisti, erano rimasti bloccati per trentacinque giorni dal rifiuto del governo inglese di concedere i permessi per l'espatrio. La volontà di lasciare l'Europa per il sogno della Palestina, unita alla solidarietà dei cittadini italiani segnò una delle prime tappe per la liberazione di un intero popolo.
Questa non è la storia del viaggio ma dell'attesa della partenza. Protagonisti dello spettacolo sono attrici ed attori adolescenti che con i loro corpi e le loro voci raccontano al pubblico la Storia passata creando un ponte generazionale ed un passaggio di testimonianza della vicenda dell'esodo ebraico dopo la Seconda Guerra Mondiale. I giovani artisti hanno abbracciato con entusiasmo le piccole storie dei ragazzi di allora che affollavano il molo Pagliari, riconoscendo in quei ragazzi, diversi da loro per cultura ed esperienza, le loro passioni, le loro fragilità, la loro voglia di vivere sempre e comunque, la loro voglia di affermarsi in un mondo crudele che spesso li rifiuta.
Assieme a loro sul palcoscenico che diventa "il molo dell'attesa", anche tanti bambini e adulti, pronti tutti insieme, ad appassionare il pubblico raccontando una delle Storie più importanti della nostra città. Filo conduttore dello Spettacolo è la Musica, il canto che accompagna nelle forme tradizionali ebraiche e klezmer e in canzoni originali lo sviluppo della storia, contrappunto ideale concretizzato dalle 2 orchestre, una di scena e una in "buca" e dai protagonisti, 2 cori, uno di adulti ed uno di ragazzi e bambini.
Con Coro Ragazzi F. De Andrè, Four Steps Choir,
Regia Enrico Casale
Drammaturgia Davide Faggiani
Direzione musicale Gloria Clemente
(Città della Spezia, 12 ottobre 2013)
Da Israele lo sgabello 100% naturale
Argille e materie di scarto diventano protagonisti della vena creativa di Adital Ela che dà loro una nuova vita nelle vesti di complementi d'arredo.
di Valentina Bonfant
L'artista israeliana ha deciso di mettersi in gioco lanciando sul mercato una brillante idea eco-friendly capace di dare un piccolo contributo contro l'abuso di materie prime con cui stiamo seviziando il nostro pianeta.
Ha deciso, infatti, di sfruttare un bene naturalmente inestinguibile come la terra, e di dare una seconda opportunità alle produzioni di scarto della fauna, come sterco e feci, con l'intento di dare forma a complementi d'arredo utili all'uomo del 2013.
Parliamo in questo caso di sgabelli noti come "Terra Stools", comode sedute ottenute dalla lavorazione dell'argilla e dei materiali agricoli di scarto sopra citati. Il processo di produzione inizia con l'impasto delle materie considerate e la creazione della forma desiderata, dopo di che ogni oggetto riceverà una finitura naturale, necessaria sia a proteggerlo che a lucidarlo, la quale viene eseguita mediante l'impiego di olio di semi di lino.
Ogni sgabello così ottenuto rappresenta un pezzo unico e del tutto privo di sostanze inquinanti. Sembrerebbero essere oggetti adatti ad ogni tipo di arredamento, sia per aree interne che per quelle esterne, in modo tale da ridurre all'osso l'utilizzo di materiali inquinanti, come la plastica, in ogni ambiente della casa.
Il culto di questa particolare lavorazione e l'utilizzo di questi prodotti naturali deriva da antichissime usanze radicate nelle tradizioni dell'India e del Medio Oriente, dove vengono attualmente utilizzati anche per la creazione di tazze da tè e caffè.
(La Stampa, 12 ottobre 2013)
Vergogna a Roma: i nazisti inneggiano a Priebke
Come si temeva con la morte del boia della Ardeatine sono usciti allo scoperto i provocatori e i fascisti. Offesa la città.
"Onore a Priebke": è questa la terribile scritta con vernice nera comparsa in via Cardinal Parocchi a circa 200 metri dall'abitazione romana dell'ex ufficiale delle SS, morto ieri all'età di 100 anni.
Vicino alla scritta è stata anche disegnata una svastica. L'ingresso dell'appartamento è ancora sorvegliato ma nessuno ha notato nulla.
I residenti della zona sono esasperati dicono: "Ancora non troviamo pace. Siamo stanchi anche di vedere imbrattati i nostri muri con queste schifezze". La Capitale si sente offesa e deturpata. A prova di questo le parole del sindaco capitolino Ignazio Marino, il quale ha detto "che Roma è una città antinazifascista", e ha fatto sapere che in accordo con Prefettura e Questura "vieterà qualsiasi forma di celebrazione in forma solenne" dei funerali di Priebke.
La cattura e la condanna - Nel 1994 l'aguzzino nazista viene rintracciato da una televisione americana e poi arrestato dalla polizia argentina a Bariloche, in Argentina.
L'Italia ne chiede l'estradizione, che avviene l'anno successivo. A maggio del '96 inizia il processo militare e nel '97 arriva la sentenza di primo grado: Priebke viene condannato a 15 anni (10 dei quali condonati).
Nel '98 la Corte Militare d'Appello lo condanna all'ergastolo. Dal '99 Il tribunale militare di sorveglianza concede a Priebke la detenzione domiciliare per motivi di salute.
(globalist, 12 ottobre 2013)
Coppa del Mondo FIFA: Portogallo-Israele 1-1
Eden Ben Basat punisce un errore del portiere di casa nel finale e impedisce al Portogallo di mettere pressione alla Russia nel Gruppo F.
Il Portogallo resta secondo nel Gruppo F di qualificazione alla Coppa del Mondo FIFA dopo il pareggio 1-1 contro Israele, che assicura ai lusitani la certezza di un posto negli spareggi.
Il Portogallo, che schiera titolare l'esordiente André Almeida dell'SL Benfica, si porta in vantaggio al 27' grazie a un colpo di testa di Ricardo Costa. I padroni di casa, tuttavia, non riescono ad aumentare il proprio margine e nel finale subiscono il pareggio ad opera di Eden Ben Basat sugli sviluppi di un errore dell'estremo difensore Rui Patrício.
I padroni di casa prendono subito l'iniziativa a Lisbona e creano problemi a Israele. Ròben Micael calcia di poco a lato dopo una bella giocata con Hugo Almeida, ma con il passare dei minuti gli ospiti guadagnano fiducia e sfiorano il vantaggio con Ben Basat.
Il pericolo corso scuote il Portogallo, che aumenta i ritmi. Il portiere ospite Dudu Aouate si rifugia in calcio d'angolo su un tentativo di Ròben Micael e sul successivo corner di Joio Moutinho Ricardo Costa firma il suo primo gol in nazionale.
Hugo Almeida è il primo a rendersi pericoloso nella ripresa, con un colpo di testa che sorvola la traversa. Ricardo Costa, il subentrato Nélson Oliveira e Antunes sfiorano tutti il raddoppio per il Portogallo, ma a 5' dal termine è Israele a colpire: sotto la pressione avversaria, Rui Patrício sbaglia il disimpegno e serve Ben Basat, che non può sbagliare.
Video
(UEFA.com 12 ottobre 2013)
La Russia provvede ad applicare l'esperienza israeliana di cura delle tosssicodipendenze
Il Servizio federale antidroga (SFA) ha elaborato un progetto legge sulla riabilitazione complessa dei tossicodipendenti. Precisandosi che la Russia intende applicare l'esperienza israeliana in questo campo,- ha fatto sapere Viktor Ivanov, capo del dicastero antidroga.
Nel corso della sua visita in Israele (dal 7 all'11 ottobre) Viktor Ivanov ha avuto un incontro, a porte chiuse, con il Ministro della Sicurezza Interna di questo Paese Izhak Aronovich. Le Parti hanno discusso la possibilità di ampliare la cooperazione bilaterale nella lotta contro la circolazione clandestina di droga, nonché nel campo della prevenzione e della riabilitazione delle tossicodipendenze. Il titolare del SFA è convinto che i programmi di riabilitazione delle tossicodipendenze non solo offrono agli interessati la possibilità di liberarsi dalla tossicodipendenza, ma anche abbassano fortemente il livello di criminalità:
Per noi è un problema di particolare attualità, dal momento che ora ci troviamo nella fase finale della preparazione di un programma interdicasteriale statale di riabilitazione e risocializzazione complessa dei consumatori di droghe in Russia. Praticamente è già stato concordato e noi ci proponiamo di considerare, in particolare, l'esperienza dei centri di riabilitazione israeliani.
Una delegazione russa ha visitato il Centro di riabilitazione nel nord di Israele, specializzato nel trattamento degli adolescenti e dei giovani di un'età fino ai 26 anni. Il Centro ha circa 20 programmi di riabilitazione che si applicano a seconda del sesso del paziente, del tipo di droga che abbia consumato, a seconda del grado di sua tossicodipendenza e via dicendo. Nella prigione israeliane "Hermont" il direttore del SFA ha avuto la possibilità di vedere i locali speciali in cui i detenuti fanno il trattamento terapeutico. Nella prima fase nei detenuti viene a formarsi la motivazione per la terapia, nella seconda - la risocializzazione dei tossicodipendenti. Secondo le parole di Viktor Ivanov, nel nostro Paese ci sono tutte le possibilità per l'effettuazione di un'efficace trattamento terapeutico dei detenuti tossicodipendenti:
Questa esperienza in larga misura viene coordinata con quella russa con la sola eccezione del fatto che in Israele vi è il supporto statale, ossia lo Stato sostiene sul piano finanziario la realizzazione di questi programmi di riabilitazione, mentre in Russia tale supporto non esiste assolutamente.
Viktor Ivanov e i suoi collaghi israeliani hanno discusso la possibilità di firmare, entro la fine del 2013, un accordo interdicasteriale sulla cooperazione nel campo della lotta contro la circolazione clandestina di droga, di sostanze psichedeliche e di loro precursori.
(La Voce della Russia, 12 ottobre 2013)
Obama consegna l'Egitto alla Russia su un piatto d'argento
Continua imperterrita la politica sfascista di Obama in Medio Oriente. Con la decisione di interrompere gli aiuti militari all'Egitto costringe nei fatti l'esercito egiziano a cercare aiuto da altre parti. E la Russia di Putin è in agguato.
L'errore di Obama è a dir poco clamoroso. L'Egitto ha il più grande esercito del Medio Oriente, controlla il Canale di Suez, è l'unico Paese arabo (insieme alla Giordania) ad avere un trattato di pace con Israele. Teoricamente la stabilità di tutto il Medio Oriente dovrebbe passare per la terra dei faraoni. E cosa fa Obama? Prima supporta apertamente il regime islamista di Mohamed Morsi e dei Fratelli Musulmani poi, non pago, quando l'esercito a seguito di una fortissima sollevazione popolare depone Morsi, invece di sostenerlo lo critica in maniera più o meno aperta e infine taglia gli aiuti militari promessi che consistono in carri armati, elicotteri da combattimento, missili e pezzi di artiglieria oltre a 260 milioni di dollari in contanti, il tutto mentre l'esercito egiziano è impegnato in una difficilissima lotta contro gli integralisti islamici nel Sinai, uno dei punti più strategici del Medio Oriente proprio perché si affaccia sul Canale di Suez....
(Right Reporters, 12 ottobre 2013)
Cannabis per curare lo stress post traumatico. Uno studio in Israele
di Domenico Cianci
Buone notizie in arrivo nell'ambito dalla lotta allo stress post traumatico. La patologia, conosciuta anche con la sigla DPTS, che affligge psicologicamente le persone che sono state vittima di un evento violento o traumatico, potrebbe essere curata somministrando al paziente determinate quantità di cannabis. Sarebbe questo, infatti, l'esito non ancora pubblicato di uno studio condotto dal MAPS - Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies -, ovvero un gruppo di ricerca californiano guidato dalla dottoressa Mimi Peleg, secondo la quale i risultati raggiunti dallo studio sarebbero "molto incoraggianti".
Nel suo studio, la dottoressa Peleg è stata coadiuvata dal medico di Los Angeles e ricercatore all'Università di Tel Aviv Allan Frankel, il quale, studiando le reazioni che una dozzina circa dei suoi pazienti affetti da stress post traumatico avevano nei confronti di una terapia medica a base di marijuana, ha notato un grande miglioramento nelle loro condizioni di salute; i pazienti, infatti, non solo riuscivano a dormire molto meglio di quanto non riuscissero a fare prima, ma erano anche in grado di ricordare il loro passato con una sofferenza nettamente minore rispetto a prima.
Di fronte a questi risultati, il ministero della Salute d'Israele ha dato l'autorizzazione al professor Allan Frankel per eseguire alcuni test medici utilizzando il cannabidiolo (CBD) e valutare quali possano essere gli effetti di questo principio attivo della cannabis su persone affette da disturbi del sonno, dell'umore e da ansia.
Ma tornando alla ricerca della dottoressa Peleg, questa è stata condotta seguendo e curando attraverso il consumo di cannabis una trentina di reduci di guerra israeliani. Perché è stato scelto Israele come sede principale dello studio? Perché Israele è senza alcun dubbio uno dei Paesi in cui la legislazione relativa al consumo e al possesso di marijuana è più all'avanguardia. Non perché, come in alcune regioni olandesi, residenti e turisti possano trovare luoghi in cui è possibile acquistarla e fumarla nei coffee shop, ma perché il governo israeliano ha dichiarato completamente legale l'uso di cannabis per scopi terapeutici e medicali, e ha dato una grande spinta al programma ospedaliero che prevede l'impiego della sostanza e che riguarda, al momento, un totale di circa 12.000 pazienti. Fatti, questi, che rendono il Paese uno dei più indicati per condurre questo tipo di ricerche.
Al momento attuale, infatti, esistono circa 200 pazienti in tutto Israele che, al fine di curare i sintomi dello stress post traumatico che li ha colpiti, fanno uso abituale di medicinali a base di principi attivi della cannabis. Questi principi attivi si possono ricavare da moltissimi tipi diversi di piante di cannabis, anche se quelle che vengono coltivate utilizzando semi femminizzati si fanno preferire in quanto offrono una qualità superiore, oltre che rese maggiori.
(loStrilloneTV, 8 ottobre 2013)
La marijuana efficace contro la Sclerosi Multipla
Riduce la produzione di molecole infiammatorie e nocive
La marijuana contiene dei composti chimici utili a trattare l'infiammazione che accompagna la Sclerosi Multipla. Ne sono convinti i ricercatori israeliana dell'Università di Tel Aviv che hanno testato l'effeto delle due principali sostanze contenute nelle foglie della pianta, cannabinodiolo (Cbd) e Thc (delta-9-tetraidrocannabinolo), il composto più abbondante, sulle cellule del midolo spinale e del cervello scoprendo che il trattamento riduce la produzione di molecole infiammatorie, in particolare di interleuchina 17. Lo studio, pubblicato sul Journal of Pharmacology Neuroimmune, è stato condotto su cellule prelevati a topi parzialmente paralizzati a causa della degenerazione provocata da alterazioni nervose.
La Sclerosi Multipla comporta, infatti, uno stato infiammatorio cronico, progressivo o intermittente, del sistema nervoso che danneggia la guaina (mielina) di protezione dei nervi, compromettendo la trasmissione degli impulsi nervosi. Nel tempo la demielinizzazione dei nervi ostacola i movimenti e può ridurre il volume del cervello, riducendo le capacità cognitive. L'uso di cannabis è stato già studiato in relazione alle capacità terapeutiche su malattie infiammatorie, come la Sclerosi mulipla, che è in rapida crescita nel mondo, ma non solo. Il gruppo di studio israeliano guidato da Ewa Kozela ha già condotto sperimentazioni in laboratorio sui modi per rallentare o contrastare i processi infiammatori che sono responsabili della degenerazione cellulare.
(Il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2013)
Papa: bandire per sempre l'antisemitismo. Vigilare contro intolleranza
CITTA' DEL VATICANO, 11 ott - ''Mantenere sempre vigile la nostra attenzione affinche' non riprendano vita, sotto nessun pretesto, forme di intolleranza e di antisemitismo, a Roma e nel resto del mondo. L'antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!''. A chiederlo e' papa Francesco che stamane ha ricevuto stamane in Vaticano una Delegazione della Comunita' Ebraica di Roma, in occasione del 70* anniversario della deportazione degli Ebrei di Roma. Presenti il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, il Presidente della Comunita' ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e il Presidente dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna. Il papa, parlando a braccio, e' poi tornato a ribadire che l'antisemitismo e' ''una contraddizione'' soprattuto per i cristiani che ''hanno radici comuni'' con gli ebrei e che un cristiano, quindi, ''non puo' mai essere antisemita''. ''Paradossalmente, - ha detto il papa - la comune tragedia della guerra ci ha insegnato a camminare insieme''. Da qui il ricordo del 70* anniversario della deportazione degli Ebrei di Roma che porto', ha aggiunto papa Bergoglio, a ''tante vittime innocenti della barbarie umana, con le loro famiglie''. ''Quell'anniversario ci permettera' anche - ha aggiunto Francesco - di ricordare come nell'ora delle tenebre, la comunita' cristiana di questa citta' abbia saputo tendere la mano al fratello in difficolta'. Sappiamo come molti istituti religiosi, monasteri e le stesse Basiliche Papali, interpretando la volonta' del Papa, abbiano aperto le loro porte per una fraterna accoglienza, e come tanti cristiani comuni abbiano offerto l'aiuto che potevano dare, piccolo o grande che fosse''. Il papa ha poi invitato cristiani ed ebrei ad approfondire la ''riflessione teologica attraverso il dialogo''. Ma ''e' anche vero che esiste un dialogo vitale, quello dell'esperienza quotidiana, che non e' meno fondamentale. - ha spiegato - Anzi, senza questo, senza una vera e concreta cultura dell'incontro, che porta a relazioni autentiche, senza pregiudizi e sospetti, a poco servirebbe l'impegno in campo intellettuale''. Un dialogo ed una conoscenza che non sempre ci sono stati anche a Roma. '' Come Vescovo di Roma, sento particolarmente vicina la vita della Comunita' ebraica dell'Urbe: so che essa, - ha affermato il papa - con oltre duemila anni di ininterrotta presenza, puo' vantarsi di essere la piu' antica dell'Europa occidentale. Da molti secoli dunque, la Comunita' ebraica e la Chiesa di Roma convivono in questa nostra citta', con una storia - lo sappiamo bene - che e' stata spesso attraversata da incomprensioni e anche da autentiche ingiustizie. E' una storia, pero', che, con l'aiuto di Dio, - ha concluso il pontefice - ha conosciuto ormai da molti decenni lo sviluppo di rapporti amichevoli e fraterni''.
(ASCA, 11 ottobre 2013)
Se è vero che un cristiano non può essere antisemita, Bergoglio dovrebbe dedurne che molti papi non erano cristiani. Se lo facesse pubblicamente, troverebbe il consenso di molti. Per ricordare che i decenni dello "sviluppo di rapporti amichevoli e fraterni" tra papi ed ebrei non sono poi molti, proponiamo la lettura del seguente articolo: "L'antisemitismo del Vaticano".
I Finzi Contini al Museo Ebraico di Roma
Il film di De Sica scelto per anniversario deportazione romana
ROMA - Vittorio De Sica immortalato con la kippah in testa, mentre brinda al matrimonio a Gerusalemme del produttore Arthur Cohn nel 1972. I bozzetti firmati da Giancarlo Bartolini Salimbeni per abiti e acconciature di Dominque Sanda.
Sono alcune delle scoperte della mostra 'Storie del '900 - Il giardino dei Finzi Contini' al Museo Ebraico di Roma che ha scelto il film da Oscar diretto da De Sica nel 1970 e tratto dal romanzo di Giorgio Bassani per commemorare i 70 anni dalla deportazione romana.
Video
(ANSA, 11 ottobre 2013)
Obama informa Israele: presto alleggeriremo le sanzioni all'Iran
ROMA, 11 ott. - Barack Obama ha informato il premier israeliano Benjamin Netanyahu che la sua amministrazione è pronta ad avviare presto un parziale e graduale alleggerimento delle sanzioni economiche contro l'Iran. E' quanto scrive il sito israeliano Debka, citando fonti di Washington e Gerusalemme.
Israele è l'unico alleato americano ad essere stato avvertito della decisione e l'unico ad essere stato messo al corrente nel dettaglio degli accordi che Washington ha raggiunto con Teheran, ha sottolineato Debka. Nessun altro leader è stato informato delle reciproche concessioni approvate da Obama e dalla Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, che verranno alla luce una volta messe sul tavolo del negoziato sul programma nulceare di Teheran, al via a Ginevra il prossimo 15 ottobre.
Una fonte americana ha detto al sito: "La torta americano-iraniana è già nel forno ed è già cotta per metà".
In un'intervista concessa a diversi media europei, il premier israeliano ha sottolineato oggi che "un cattivo accordo sarebbe una soluzione peggiore di un mancato accordo" nel prossimo vertice di Ginevra sul nucleare fra l'Iran e i Paesi del 5+1. Secondo Netanyahu, infatti, Teheran non farà che delle "concessioni di facciata" per ottenere un alleggerimento delle sanzioni, che il premier israeliano vorrebbe invece venissero mantenute se non inasprite: "L'Iran è economicamente alle corde a causa delle sanzioni, siano arrivati all'ultimo round e potremmo mettere ko i programmi nucleari iraniani con mezzi pacifici".
"Non mollate ora, finite il lavoro, fate in modo che sia efficace - ha quindi concluso il premier rivolgendosi a Stati Uniti ed Europa - non mollate ora e non dite poi che non vi avevamo avvertiti".
(TMNews, 11 ottobre 2013)
Commento del cameraman a un matrimonio ebraico: "Hitler aveva ragione"
LONDRA - Una coppia di sposi ebrei, guardando il video del loro matrimonio, sono rimasti scioccati da un commento in sottofondo: "Hitler aveva ragione".
Claudia Ressler e Stan Gocman, i due sposi, contattando il cameraman Anthony Aurelius, che aveva ripreso il "giorno più bello della loro vita", gli avevano chiesto chiesto se era possibile avere una versione redatta e corretta visto che la l'altra era difettosa. "Si vedevano più le schiene degli invitati - ha commentato al Jewish Chronicle la sposa - che i loro volti".
Nel video originale, però, erano presenti commenti antisemiti. Così quando Claudia e Stan hanno sentito, guardando il filmato, frasi come "sono la razza più cattiva del mondo" e "pensano di essere meglio degli altri perché vengono da Israele" hanno deciso di intraprendere le vie legali contro Aurelius.
Non potendo portare il cameraman davanti a un giudice, poiché la società di Aurelius era fallita, la coppia ha così deciso di farsi giustizia da sola postando il video originale del matrimonio su YouTube.
(blitz quotidiano, 11 ottobre 2013)
Tennis - Il tunisino Jaziri rifiuta di scendere in campo contro un avversario israeliano
L'episodio accaduto nei quarti di finale del Challenger di Tashkent
Il tennista tunisino Malek Jaziri si è rifiutato di scendere in campo contro il suo avversario Weintraub perchè israeliano. L'agente e fratello del giocatore, Amir Jaziri, ha fatto sapere che già il giorno prima le autorità sportive tunisine erano state informate della decisione aggiungendo che il presidente della Federazione Tunisina tennis aveva chiesto di mettere questa volontà per iscritto perchè altrimenti sarebbe stato inutile.
Al giocatore, a questo punto, potrebbero essere inflitte delle pesanti sanzioni da parte dell'ITF: potrebbe essere radiato dai tornei a seguire e privato dei punti guadagnati del ranking. Il presidente della Federazione Tunisina ha inoltre confermato di avere inviato una mail a Jaziri chiedendogli di non disputare il match. Da chiarire ancora se il giocatore si sia rifiutato di sua spontanea volontà oppure in seguito alla richiesta delle autorità politiche e sportive del suo Paese.
(TennisWorld, 11 ottobre 2013)
El Al, in flotta il primo di sei nuovi B737-900er che serviranno le rotte europee
El Al accoglie in flotta i nuovi Boeing 737-900er, che saranno operativi sulle rotte europee. Il primo aeromobile è già arrivato in Israele e rappresenta soltanto l'inizio del rinnovamento della flotta di El Al, che ha investito oltre 320 milioni di dollari nell'acquisto di sei nuovi velivoli fra i più sofisticati e tecnologicamente avanzati, esistenti in commercio. La consegna del secondo aeromobile è attesa per dicembre ed entro la fine del 2016 ulteriori quattro saranno operativi sulle rotte da Israele per l'Europa e viceversa. Il presidente della El Al, Elyezer Shkedy sostiene che l'acquisto di questi nuovi aeromobili è parte di un rinnovamento della compagnia che si pone dei nuovi obbiettivi in termini di soddisfazione passeggeri garantendo loro il miglior prodotto ed il servizio più all'avanguardia, al tempo stesso posizionando El Al in vetta alle classifiche dei vettori preferiti per i voli da e per Israele.
(Travel Quotidiano, 11 ottobre 2013)
La strage di Bologna? Figlia del tradimento del «lodo Moro»
Il patto col Sismi venne violato. E ci fu la ritorsione palestinese
di Gabriele Paradisi
La strage di Bologna fu la sanzione palestinese per la rottura del «lodo Moro»? La sua violazione, col sequestro di due missili a Ortona nel novembre del '79 e l'arresto e la condanna nel gennaio '80 del responsabile del Fplp in Italia, Abu Anzeh Saleh, fu alla base dell'eccidio del 2 agosto?
Il «lodo Moro», espressione coniata dal presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, ha costituito per anni il segreto più indicibile e gravido di conseguenze della storia repubblicana. Da un lato esentava il nostro Paese da attentati terroristici e permetteva trattamenti di favore da parte dei paesi arabi produttori di petrolio, dall'altro innescava il disappunto dei nostri alleati atlantici e di Israele.
Le armi e gli esplosivi che i palestinesi trasportavano e depositavano in Italia, protetti dal «lodo», venivano in parte distribuite alle organizzazioni rivoluzionarie europee. In queste operazioni i palestinesi usufruivano dell'appoggio militare e logistico delle Brigate rosse. Così il governo e i servizi, aiutavano segretamente i palestinesi in questi traffici di armi; armi che qualcuno avrebbe poi utilizzato anche per colpire al «cuore lo Stato». Un cortocircuito mortale che, per un tragico paradosso, non ha risparmiato lo stesso Aldo Moro.
Ma in cosa consisteva il «lodo Moro»? «Moro si riferisce a quell'accordo "anomalo" stabilito al di fuori dello Stato ma sotto il controllo dello Stato, grazie al quale l'Italia non è stata teatro di quei dirottamenti aerei, stragi e attentati che tante vittime e danni hanno provocato in Europa a partire dal '72. Rumor e Moro giudicarono che l'unica strada per impedire che l'Italia diventasse terreno di manovra dei palestinesi era quella di trattare con Habash una sorta di mutuo patto di non aggressione. L'accordo stabilito dal Sid fu sempre rispettato». Così scriveva Mino Pecorelli su OP il 10 ottobre 1978, analizzando una lettera a Flaminio Piccoli, dove Moro scriveva: «Dunque, non una, ma più volte, furono liberati con meccanismi vari palestinesi detenuti ed anche condannati, allo scopo di stornare gravi rappresaglie che sarebbero poi state poste in essere, se fosse continuata la detenzione. La minaccia era seria, credibile, anche se meno pienamente apprestata che nel caso nostro. Lo stato di necessità è in entrambi evidente».
La testimonianza più importante dell'esistenza di questo accordo viene dunque proprio da Moro in persona che, tra il 22 e il 30 aprile del '78, scrisse altre 5 lettere dello stesso tenore. La «linea della fermezza» stava avendo il sopravvento e Moro si era deciso a «rendere noto» quell'accordo segreto a testimonianza che i governi, quando la Ragion di Stato e la necessità lo richiedevano, non avevano esitato a stringere accordi anche con organizzazioni terroristiche pur di scongiurare attentati.
In quelle 6 lettere «palestinesi» Moro si rivolse, oltre a Piccoli, al suo partito e a 4 suoi collaboratori che costituivano lo staff di giuristi che aveva contribuito a rendere efficace il «lodo» durante il decennio 70. Di volta in volta, andavano escogitate forme giuridiche opportune per consentire la liberazione di terroristi arrestati in flagranza.
Diversi esponenti della controparte palestinese ne hanno parlato in più occasioni: l'ha fatto Bassam Abu Sharif, leader dell'Fplp e reclutatore di Carlos («Trattai io il lodo Moro»), Nemer Hammad, delegato nazionale palestinese a Roma, Abu Daud, braccio destro del numero 2 di Fatah Abu Ayad e, «last but not least», lo stesso Abu Anzeh Saleh, che in un'intervista ad Arab Monitor del marzo 2009 ha detto: «Io posso dire che c'era effettivamente un accordo ed era tra l'Italia e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Fu raggiunto tramite il Sismi, di cui il colonnello Stefano Giovannone, a Beirut, era il garante. Non era un accordo scritto, ma un'intesa sulla parola. Lui ci aveva dato la sua parola d'onore e noi gli abbiamo assicurato che non avremmo compiuto nessuna azione militare in Italia. In cambio Giovannone ci riconobbe la possibilità di trasportare materiale militare attraverso l'Italia».
(Il Tempo, 11 ottobre 2013)
Compiacere i palestinesi, e di conseguenza danneggiare gli ebrei in Israele, per il bene della nazione: questo significa il lodo Moro. E per la medesima ragione che lallora Presidente del Consiglio Mario Monti, con lapprovazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha fatto votare allItalia laccettazione dello Stato di Palestina come membro osservatore allONU. Alla fine la morale è sempre la stessa: per stare bene noi, è inevitabile far star male gli ebrei. Sembra quasi una legge di natura che ogni tanto si fa sentire e ripete: Cari ebrei, per favore, per il bene universale di tutti noi, sparite! Ma non accadrà. M.C.
Israeliano ucciso in Giudea-Samaria da un commando palestinese
L'uomo è stato picchiato a morte con utensili da lavoro dentro la casa all'interno dell'insediamento ebraico. La polizia: "Attacco opera di terroristi palestinesi".
GERUSALEMME - Un israeliano è stato colpito a morte e una donna, probabilmente sua moglie, è stata ferita gravemente in un attacco apparentemente perpetrato dai palestinesi nella loro casa in un insediamento in Giudea-Samaria. Lo ha reso noto la polizia.
"Sono stati picchiati con utensili da lavoro" nella casa che i due avevano nell'insediamento di Brosh, ha spiegato il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, aggiungendo che l'attacco è stata opera "indiscutibilmente" di terroristi palestinesi.
L'esercito israeliano ha bloccato tutte le strade nella zona di attacco, che ha avuto luogo a nord della Valle del Giordano. E' in corso una "caccia all'uomo" per arrestare gli autori dell'aggressione.
Secondo la radio pubblica israeliana, la coppia era in casa per la notte; l'uomo ha sentito dei rumori esterni e un cane che abbaiava ed è uscito per vedere cosa stava succedendo. E' stato attaccato da almeno due persone armate di sbarre di ferro. L'israeliano è morto per le ferite riportate, mentre anche la moglie, uscita per difendere il marito, è stata aggedita e ferita. La donna, però è riuscita a fuggire e a dare l'allarme. Secondo il suo racconto, gli aggressori sarebbero stati due palestinesi.
L'incidente è avvenuto a meno di una settimana dal ferimento a coltellate di una bambina di nove anni che stava giocando nel suo giardino nell'insediamento di Psagot in Giudea-Sanaria, vicino a Ramallah.
Il mese scorso, un soldato israeliano è stato ucciso nella città di Hebron. L'esercito ha attribuito l'attacco a un terrorista palestinese.
(Fonte: la Repubblica, 11 ottobre 2013)
Gino Bartali postino in Versilia per sfuggire alla guerra
Il nome di Gino Bartali, il 'postino' della salvezza per tanti ebrei italiani, è da oggi scolpito nel 'Giardino dei Giusti tra le Nazioni' a Yad Vashem, il Mausoleo della Memoria a Gerusalemme che lo ha nominato nelle scorse settimane.
A inaugurare l'inserimento di 'Ginettaccio' nella lista di marmo con gli oltre 500 italiani che riscattarono l'onore della nazione soccorrendo i loro concittadini ebrei, e' stato il figlio del grande campione Andrea che oggi ha visitato anche il Museo.
"È una grandissima emozione essere qui - ha detto Bartali figlio, che si trova in Israele dove domani a Gerusalemme si svolgerà la gara di ciclismo 'Gran Fondo Italia' dedicata in parte al campione - e parlare di mio padre".
"Molti mi chiedono perche' l'ho fatto ed io - ha aggiunto indicando il nome che, sulla lista, e' accanto a quello di Artuto Carlo Jemolo - rispondo sempre con le sue parole: 'se il ciclismo non e' lezione di vita e di solidarietà, non serve a nulla'. Lui a questo si è sempre attenuto".
"Mio padre era un credente e - ha continuato Andrea nel corso della cerimonia alla quale hanno partecipato i vertici di Yad Vashem e l'ambasciatore italiano in Israele Francesco Maria Talò - durante la guerra ha riposto all'appello dell'Arcivescovo di Firenze Dalla Casa. Serviva un postino per consegnare i documenti falsi. Chi meglio di lui? Mio padre ha subito accettato. Da postino, quasi ogni giorno percorreva 340 chilometri da Firenze ad Assisi e ritorno. Ma sapeva che portava la salvezza". "Quando lo fermavano - ha raccontato ancora - diceva semplicemente che si stava allenando e del resto, come campione, era plausibile. E' stato mitragliato dagli alleati, sparato dai cecchini ma e' sempre andato avanti".
Sul perché non abbia parlato prima delle sue azioni in clandestinità, Andrea ha ricordato la risposta del padre: "'il bene si fa, non si dice. Eppoi, io sono solo un ciclista. Per le mie gare voglio essere ricordato'". Però - ha proseguito - "a me le diceva aggiungendo che un giorno sarebbe arrivato il momento giusto per raccontarle. Ecco quel giorno e' arrivato".
"Noi - ha detto Dorit Novak, direttore generale di Yad Vashem - abbiamo il dovere di ricordare il bene che Bartali ha fatto, insieme al rabbino capo di Firenze Nathan Cassuto".
Tra chi ascoltava oggi a Yad Vashem, oltre i figli del rabbino Cassuto, David e Susanna, c'era anche Giulia Donati Baquis, 91 anni, che oggi vive in Israele ed ha testimoniato a favore del riconoscimento come Giusto del campione. Durante la guerra quando la sua famiglia era nascosta a Lido di Camaiore in Versilia, qualcuno portò i documenti falsi. Quel postino era Gino Bartali. Lei e il figlio del campione si sono abbracciati commossi.
(ANSA, 10 ottobre 2013)
leader
di Sergio Della Pergola
Con la scomparsa a 93 anni del Gran Rabbino Capo emerito Ovadia Yosef, termina in Israele e nel mondo ebraico sefardita l'epoca dei grandi maestri di levatura mondiale. Ovadia Yosef è stato uno dei più carismatici e amati decisori rabbinici del XX secolo e la prova si è avuta al suo monumentale funerale cui hanno partecipato non meno di 500mila persone. Il suo contributo all'ebraismo è stato duplice. Da un lato ha cercato di unificare i molti e diversi usi delle molteplici comunità sefardite in un unico sistema coerente di universale applicazione. Dall'altro ha affontato con molto coraggio i problemi emergenti dalla società contemporanea e non ha rifiutato il confronto con la modernità e con idee rivali sul terreno delle questioni più spinose. Basti l'esempio del suo riconoscimento senza riserve dell'appartenenza all'ebraismo della comunità ebraica etiope, osteggiata in altri ambienti rabbinici. Ma come altre grandi figure prima di lui (per esempio il Rabbi di Lubavitch), Ovadia Yosef non ha lasciato una chiara indicazione sulla sua successione. Il movimento politico-religioso da lui creato, Shas, rimane cosí acefalo o peggio diviso fra diversi possibili pretendenti alla leadership. Se è prevedibile un grande successo elettorale alle amministrative del prossimo 22 ottobre, resta da vedere che cosa succederà dopo. E per capire il problema ricordiamo una sola emblematica immagine. Al funerale del grande estinto, una delle omelie richiamava il pubblico a gettare via quel diabolico strumento di corruzione che è il cellulare smartphone. E dai tetti delle case e dalle cime degli alberi migliaia di giovani uomini vestiti di nero riprendevano e registravano quell'omelia con il loro smartphone.
(Notizie su Israele, 10 ottobre 2013)
"Gli ebrei d'America stanno morendo di laicità". Un rapporto choc
di Giulio Meotti
Alan Dershowitz, il giurista ebreo di Harvard, il principe del foro, lo strenuo difensore dei diritti civili, aveva intitolato un suo libro "The Vanishing American Jew". L'ebreo americano in via di estinzione. Un libro nato da una ferita tutta personale, il matrimonio del figlio dell'avvocato con una ragazza cattolica e il disagio di pensare che i propri nipoti non sarebbero più stati ebrei, almeno secondo la legge ebraica. Adesso un rapporto del prestigioso Pew Forum americano getta una luce sinistra sul futuro della grande diaspora americana.
Si tratta, come scrive il New York Times, del "primo sondaggio in dieci anni" sullo stato di salute dell'ebraismo statunitense. Dati choc per un fenomeno conosciuto ma mai davvero analizzato scientificamente. Il matrimonio interreligioso è salito al 58 per cento (l'ultimo, eclatante, quello del re di Facebook Mark Zuckerberg con Priscilla Chan), e arriva addirittura al 71 per cento per gli ebrei non ortodossi (negli anni Settanta il tasso era appena al diciassette per cento). Quando l'ebreo americano Marc Mezvinsky si è sposato con Chelsea Clinton, figlia di Bill e Hillary, Yated Neeman, uno dei giornali degli ebrei più ortodossi d'Israele, ha parlato di "genocidio spirituale" del popolo eletto e di "annichilimento del popolo ebraico, della sua identità e della sua eredità".
Il Pew Forum dice anche che due terzi degli ebrei non appartiene a una sinagoga, un quarto non crede in Dio e un terzo ha un albero di Natale in casa durante le feste. La secolarizzazione riguarda anche l'educazione: due terzi degli ebrei americani non impartisce ai figli una educazione ebraica. La percentuale di chi si dice "non religioso", salita a quota ventidue per cento, è la più alta di sempre.
L'ultimo sondaggio di questo tipo lo aveva realizzato nel 2000 la Jewish Federations of North America. I risultati, fra mille polemiche, erano stati deprimenti. Da qui la decisione di non compiere un nuovo progetto demoscopico. Il Pew Forum ha riempito il vuoto, sondando 70 mila persone in tutto il paese.
Già alcuni anni fa il rabbino Ephraim Buchwald, fondatore del National Jewish Outreach Program, aveva parlato del "paradosso ebraico americano", simbolico più in generale del confronto fra tradizione e secolarismo nelle democrazie avanzate. La sopravvivenza è sempre stata vista dagli ebrei come difesa contro l'antisemitismo. Così gli ebrei sono diventati dei liberal convinti, favorendo "la separazione dello stato dalla chiesa". Ma in questo modo, disse Buchwald, "la laicità è diventata parte integrante dell'ebraismo" e ha provocato questa crisi per la sopravvivenza. Così oggi in America crescono soltanto gli ebrei ortodossi. Già nel 1997 l'Unione dei rabbini ortodossi aveva sconfessato le correnti riformista e conservatrice, cui appartiene il novanta per cento circa dei quasi sei milioni di ebrei americani, adducendo che queste ormai "non sono più ebraismo ma un'altra religione".
L'ex rabbino capo del Regno Unito, Jonathan Sacks, ci ha scritto anche un libro, dal titolo emblematico: "Avremo ancora nipotini ebrei?". Gli ebrei potrebbero sparire, assimilati ai non ebrei. La domanda posta da Sacks è terrificante: "Riuscirà l'assimilazione a ottenere ciò che a Hitler non riuscì?". Invece della Shoah, la dissoluzione. Anche il premio Pulitzer Charles Krauthammer, forse l'editorialista ebreo più rispettato e influente d'America, ha commentato i dati del Pew Forum. "Come fa una comunità a decimarsi nelle condizioni benigne degli Stati Uniti? Facile: bassa fertilità e matrimoni misti. In tre generazioni, la popolazione sarà dimezzata. Negli Stati Uniti oggi gli ebrei si sposano più con i cristiani che con altri ebrei". Forse più importante per la continuità ebraica è proprio l'identità. "Due terzi dei matrimoni ebraici stanno producendo bambini che per tre quarti sono persi al popolo ebraico". A rischio anche lo storico e vitale legame fra gli ebrei d'Israele, che invece diventano sempre più religiosi, e la diaspora statunitense, ricca e influente ma sempre più distante dai legami identitari.
Hagai Segal, columnist di Yedioth Ahronoth, nel commentare i nuovi dati americani, ha usato la definizione di Maimonide di "Olocausto non violento". Più dei sanguinari pogrom riuscirà l'attraente secolarizzazione? C'è persino chi paragona l'attuale secolarizzazione della comunità ebraica americana a quanto accadde durante l'Inquisizione in Spagna. Con la differenza che allora fu la paura e il terrore a spingere gli ebrei a occultare la propria identità, mentre adesso avviene alla luce del sole e sotto i fasti della più aperta e tollerante delle democrazie occidentali.
(Il Foglio, 10 ottobre 2013)
Naor Gilon: Israele ha problemi nei rapporti con l'Europa nel suo insieme
Eccellenti invece sono i rapporti bilaterali con quasi tutti i paesi europei
ROMA, 10 ott - Israele ha eccellenti rapporti bilaterali con la maggior parte dei paesi europei, ma quando dialoga con l'Europa presa nel suo insieme, questa usa "il minimo comune denominatore, e abbiamo un problema": lo dice in un'intervista all'ANSA Naor Gilon, ambasciatore di Israele in Italia.
"Quando parliamo bilateralmente i nostri rapporti con la vasta maggioranza dei paesi europei sono eccellenti, tutti vogliono buoni rapporti commerciali, nel campo della ricerca, anche nel settore dell'energia, ora che si è scoperto il gas in Israele - dice il diplomatico - Ma quando trattiamo con l'Europa collettivamente, c'è un problema. Noi pensiamo che l'Europa non sia imparziale, vuole predeterminare il risultato dei negoziati con i palestinesi. Negli ultimi quattro anni ha dato premi ai palestinesi, le chiamano compensazioni, mentre loro erano fuori dal negoziato. L'Europa parla di confini del 1967, dello scambio di terre, e di Gerusalemme est come capitale palestinese. Non c'è uno stato palestinese e loro ne parlano così. Se continuano a premiarli, non hanno necessità di tornare al negoziato". Per Gilon, ci sono molte sfide al negoziato di pace in Medio Oriente. "All'inizio, c'è stata la costruzione della fiducia, ma col tempo questa fiducia s'è persa, tra i due popoli, tra le due leadership. E ora dev'essere ricreata - osserva - Quando iniziammo, c'era una sola entità: adesso c'è Gaza, e dovremmo parlare non di una soluzione con due stati, ma una con tre. Se facciamo un accordo con la Cisgiordania, che facciamo con Gaza?
Inoltre, l'instabilità nella regione non aiuta; l'Occidente è più debole, a causa della crisi economica, e ci sono state molte guerre nel frattempo. Abbiamo tutti gli ingredienti per la pace, ma resta da vedere se riusciremo a cucinare qualcosa di buono" Chiediamo se anche gli insediamenti possono essere considerati un ostacolo alla pace. "Abbiamo provato in passato che gli insediamenti non sono un ostacolo. Quando ce ne siamo andati dal Sinai, li abbiamo rimossi. Quando abbiamo lasciato Gaza, abbiamo portato via oltre 10.000 persone e smantellato oltre venti insediamenti. E come risposta, sono aumentati i lanci di razzi su Israele. Quello è un altro ostacolo: i cittadini israeliani hanno visto quella reazione, e dicono, non vogliamo la stessa cosa dalla Cisgiordania. Con i confini del 1967 praticamente tutta Israele sarebbe nella gittata dei razzi.
L'esperienza del passato, non gli insediamenti, è un ostacolo".
(ANSAmed, 10 ottobre 2013)
Per Israele la ricerca è 'Capitale umano risorsa numero uno'
ROMA - Per continuare a crescere, Israele deve scommettere sull'istruzione: il capitale umano rappresenta il vantaggio competitivo numero uno del Paese. Lo afferma uno studio di recente pubblicazione su 'Innovazione e competitività nell'area mediterranea', coordinato da THINK! The Innovation and Knowledge Foundation, il quale fotografa il livello di sviluppo della regione, nazione per nazione, e indica le prospettive future. La ricerca prende in considerazione quattro ordini di fattori: la qualità di vita, la pubblica amministrazione, il clima economico, le telecomunicazioni e infrastrutture. Chiare le conclusioni su Israele: "Oggi può essere facilmente inserito nella lista dei Paesi sviluppati. Un risultato ottenuto grazie a un'industria basata sull'alta tecnologia e la capacità della nazione di capitalizzare idee e processi innovativi".
Tuttavia, la complicata situazione politica pende come una spada di Damocle sulle prospettive di ulteriore sviluppo del Paese, che rischiano di essere indebolite "dall'isolamento di Israele nella regione del Mediterraneo sud orientale, dall'instabilità politica, dalle tensioni interne tra laici e religiosi e infine dalla mancanza di materie prime". Per contrastare condizioni poco favorevoli, quello su cui lo Stato ebraico deve puntare è il mantenimento di "un alto livello di formazione del suo capitale umano", la 'materia prima' migliore su cui la nazione può contare. "Questo - scrivono ancora i ricercatori - appare particolarmente importante oggi, in quanto il sistema di educazione non sembra star evolvendo in una maniera adeguata a sostenere il cammino nazionale dell'innovazione". E non solo: la fuga dei cervelli potrebbe essere dietro l'angolo. "Sebbene oggi Israele abbia sia le idee, sia i fondi per supportarle, se l'instabilità politica e i dissidi interni tra religiosi estremisti (gli ultra-ortodossi) e i cittadini laici non verranno risolti, scienziati e innovatori di domani potrebbero scegliere di lasciare il Paese".
(ANSAmed, 10 ottobre 2013)
La visita di Rav Ovadia Yosef alla Scuola del Merkos a Milano
La visita del Gaon Rav Ovadia Yosef z"l alla Scuola del Merkos a Milano con Rav Gershon Mendel Garelik, Rav Moshe Lazar, Rav Itzchak Belinov, Rav Yeshua Hadad, Rav Levi Hezkia e Rav Elharar.
Le foto
(Chabad.Italia, 9 ottobre 2013)
IL Libro d'Arte e d'Artista
Giorgio De Chirico e 36 artisti contemporanei
Anna Addamiano / Cesare Berlingeri / Franca Bernardi / Marina Bindella / Anna Boschi / Vito Capone / Francesca Cataldi / Mercedes Cuman / Yvonne Ekman / Anna Maria Fardelli / Vittorio Fava / Giovanni Fontana / Piero Fornai Tevini / Salvatore Giunta / Paolo Gobbi / Ana Maria Laurent / Stefania Lubrani / Flavia Mantovan / Piero Mascetti / Rita Mele / Mirko Pagliacci / Lina Passalacqua / Claudio Perri / Teresa Pollidori / Alessandra Porfidia / Achille Quadrini / Fernando Rea / Anna Romanello / Alba Savoi / Eugenia Serafini / Sinisca / Franca Sonnino / Ernesto Terlizzi / Isabella Tirelli / Fiorenzo Zaffina / Luisa Zanibelli.
LIBRO: D'ARTE E D'ARTISTA è il titolo dell'esposizione espressamente organizzata dallo Studio S - Arte Contemporanea di Roma per l'Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv nel contesto della XIII Settimana della Lingua Italiana nel Mondo con riferimento al LIBRO quale contenitore letterario e oggetto/soggetto d'arte. In mostra un particolare LIBRO D'ARTE, L'HEBDOMEROS di Giorgio de Chirico, artista internazionalmente noto, con 23 sue litografie originali e 36 LIBRI D'ARTISTA, "opere d'arte in forma di libri" firmate da artisti contemporanei.
L'HEBDOMEROS è un capolavoro di Editoria d'Arte pubblicato a Roma nel 1972 con testo ed illustrazioni di Giorgio de Chirico scrittore e pittore, ed i LIBRI D'ARTISTA in esposizione sono veri oggetti d'arte in un unico esemplare, non soltanto cartacei ma realizzati anche con mezzi insoliti ed eterogenei, su uno stesso soggetto: il LIBRO, ancora oggi sicuramente un importante strumento di comunicazione e diffusione di cultura, conoscenza, sapere, contenuti scientifici e poetici. Artisti internazionalmente noti, ed anche emergenti, si sono dedicati a questo specifico settore d'arte nel mondo intero utilizzando i media più svariati, dalla pittura al disegno, dalla scultura alla scrittura, dalla carta alla creta, dal tessuto alla paglia, dalla fotografia al computer e così via: quale risultato il LIBRO D'ARTISTA è divenuto un oggetto d'arte che non è più, o non solo, mezzo di comunicazione e promozione culturale ma è esso stesso soggetto-testimone delle radicali trasformazioni dei linguaggi dell'arte nel XX secolo.
Questa mostra risponde al progetto culturale dell'Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv per la XIII Settimana della Lingua Italiana nel Mondo organizzata sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica in quanto offre un panorama delle tendenze d'arte in Italia , dalle tradizionali alle innovatrici, ed allo stesso tempo rende omaggio ad uno dei più comuni strumenti di studio e promozione della lingua: il LIBRO.
Studio S - Arte Contemporanea
Via della Penna 59 - 00186 Roma
(exibart, 9 ottobre 2013)
Nobel: l'austriaco Karplus scampò alla Shoah nel 1938
WASHINGTON - Il neo-premio Nobel per la Chimica Martin Karplus fu tra gli ebrei austriaci che riusci' a scampare all'orrore dell'Olocausto rifugiandosi in Svizzera nel 1938 quando la Germania nazista si 'impossesso'' di Vienna con l'Anschluss. Lo scienziato era nato a Vienna nel 1930 e a soli otto anni trovo riparo nella confederazione elvetica quando le truppe tedesche varcarono il confine chiamate dal cancelliere nazista Arthur Seyss-Inquart. Il padre di Karplus fu meno fortunato: venne imprigionato a Vienna, e non ebbe sue notizie per lungo tempo, fino a quando sua madre decise di comprare un biglietto per New York, e "miracolosamente" il genitore si presento' al porto francese Le Havre, come Karplus racconta nella sua autobiografia. Lo scienziato, che oggi ha 83 anni, ha ricevuto il premio Nobel per lo studio di modelli in grado di descrivere reazioni chimiche complesse, insieme all'inglese-americano Michael Levitt e all'israeliano-americano Arieh Warshel.
(AGI, 9 ottobre 2013)
Andrea Bartali al mausoleo della memoria di Gerusalemme
Il figlio del campione 'Giusto tra Nazioni' assisterà alla cerimonia
Andrea Bartali, figlio del popolare campione di ciclismo Gino, nelle scorse settimane riconosciuto 'Giusto tra le Nazioni', sara' domani al Mausoleo della Memoria di Yad Vashem a Gerusalemme per assistere all'iscrizione del nome del padre sul Muro d'onore nel Giardino dei Giusti. Andrea Bartali visitera' anche il Museo e il Memoriale dei Bambini uccisi durante la Shoah.
Alla visita sara' presente, oltre l'ambasciatore italiano in Israele Francesco Maria Talo', anche Giulia Donati Baquis, sopravvissuta all'Olocausto e la cui famiglia, quando si trovava a Lido di Camaiore in Toscana, fu salvata grazie ai falsi documenti forniti da Gino Bartali.
La cerimonia ufficiale in onore del campione toscano con l'assegnazione della Medaglia d'Oro e del certificato di onore si svolgera' invece in Italia - in data ancora da definire - con l'intera famiglia e gli amici di Bartali. Andrea Bartali arrivera' in Israele per assistere ad una manifestazione ciclistica che si chiama 'Gran Fondo Giro d'Italia', in programma venerdi' a Gerusalemme.
(ANSA, 9 ottobre 2013)
A Roma la mostra Storie del '900
"Il giardino dei Finzi Contini" di Vittorio De Sica
Domenica 13 ottobre 2013 il Museo Ebraico di Roma inaugura la mostra Storie del '900: "Il giardino dei Finzi Contini" di Vittorio De Sica, che prevede l'esposizione esclusiva del materiale d'epoca del film "Il giardino dei Finzi Contini".
Nella sala '900 del Museo Ebraico di Roma, fino al 13 febbraio 2014, saranno esposti per la prima volta i costumi del leggendario capolavoro (premio Oscar come Migliore Film Straniero), le attrezzature originali, alcuni bozzetti dei costumi, i manifesti, le locandine, gli articoli dei giornali, le foto di scena e copie rare del libro di Bassani.
"Il giardino dei Finzi Contini" di Vittorio De Sica è considerata un'opera eccellente in tutto il mondo. Sin dalla sua uscita nelle sale, nel 1970, il film del regista italiano ha rappresentato non solo il capolavoro per cui il cinema italiano è conosciuto e apprezzato nel mondo, ma anche per il pubblico internazionale una fonte di conoscenza dell'ebraismo italiano del Novecento e la sua storia.
Con la mostra Storie del '900: "Il giardino dei Finzi Contini" di Vittorio De Sica, il Museo Ebraico di Roma vuole risvegliare l'attenzione del pubblico internazionale sul capolavoro di De Sica in vista della commemorazione dei settant'anni dal 16 ottobre 1943, data del rastrellamento del ghetto di Roma, "ed iniziare un ciclo di mostre temporanee dedicate ai grandi personaggi del '900, alla letteratura, al cinema e alle altre arti", spiega il Direttore del Museo, Alessandra Di Castro.
Il progetto coordinato dall'Assessore alle Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma, Gianni Ascarelli, è ideato da Ariela Piattelli e si avvale della collaborazione di Manuel De Sica, compositore e figlio del regista, della famiglia Bartolini Salimbeni, e dell'attore e regista Lino Capolicchio. La mostra è a cura di Olga Melasecchi e l'allestimento straordinario dell'Architetto Valentina Putzolu punta a far sentire il visitatore "dentro la storia", per poi riuscire a comprendere meglio i fatti e i personaggi. Il visitatore è accompagnato nel "tour" dalle musiche scritte per il film da Manuel De Sica, alla scoperta di foto e oggetti, alcuni dei quali esposti al pubblico per la prima volta.
(cinemaitaliano.info, 9 ottobre 2013)
Per Lapid non è necessario richiedere il riconoscimento di Israele come "Stato ebraico"
TEL AVIV, 9 ott - Il ministro delle finanze israeliano Yair Lapid non e' d'accordo con la richiesta del premier Benyamin Netanyahu che l'accordo di pace con i palestinesi preveda da parte loro il riconoscimento di Israele come 'Stato ebraico'. Lapid - che e' anche leader di 'C'e' futuro', formazione di peso nell'attuale coalizione di governo di Netanyahu - ha detto che non vede il ''bisogno di una dichiarazione da parte palestinese in cui si riconosca Israele come 'stato ebraico'''. ''Mio padre - ha spiegato in un'intervista a Bloomberg ripresa dai media israeliani - non e' venuto a Haifa dal ghetto di Budapest per essere riconosciuto dal presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas)''.
''Certo che voglio che Israele sia uno stato ebraico - ha aggiunto - ma la ragione per la quale credo che l'unica soluzione sul tavolo sia quella di 'Due Stati' e' che se continuiamo a governare su tre o quattro milioni di palestinesi l'identita' di Israele svanira'. Per questo dobbiamo separare noi stessi dai palestinesi''.
La richiesta del riconoscimento da parte palestinese di Israele come 'Stato ebraico' e' uno dei cardini della politica del premier Netanyahu nelle trattative di pace appena riprese e ribadita con forza anche in un recente discorso.
(ANSAmed, 9 ottobre 2013)
Diversamente laici
di Alberto Cavaglion
Mentre rileggevo, sull'ultima "Rassegna Mensile di Israel", alcuni corsivi di Guido Fubini, firmati con lo pseudonimo di Tewie il Lattaio, impazzava sui quotidiani la notizia degli scambi epistolari fra Papi. Papi veri e Papi laici. Prima Eugenio Scalfari e Papa Francesco, poi Papa Ratzinger e Piergiorgio Odifreddi. E' di ieri la notizia di un'intervista di Scalfari a Papa Francesco uscita su "Repubblica".
Ci sono laici e laici, lo vado ripetendo da parecchi anni. C'è la laicità ironica e tagliente di Tewie il Lattaio, c'è la laicità tronfia di Scalfari, che parla da Papa a Papa. Tipo: "Se una persona non ha fede né la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato?" Domande che un laico vero, cioè autoironico, non osa affrontare. Un passaggio dell'enciclica laica mi ha inquietato. Scrive Scalfari: "Credo che il Papa, che predica la Chiesa povera, sia un miracolo che fa bene al mondo. Ma credo anche che non ci sarà un Francesco II. Una Chiesa povera, che bandisca il potere e smantelli gli strumenti di potere, diventerebbe irrilevante. E' accaduto con Lutero ed oggi le sette luterane sono migliaia e continuano a moltiplicarsi". Sette luterane? Spero che gli amici evangelici reagiscano come si deve e soprattutto trovino fra gli ebrei italiani chi solidarizzi con loro. Suggerisco questa settimana l'ottimo articolo di uno dei più esperti conoscitori del rapporto Stato-Chiesa, Iacopo Scaramuzzi. S'intitola "Scalfari e il papa" ed è uscito sul numero di ottobre della rivista "Lo straniero" (si trova anticipato in rete, www.lostraniero.net). Amara la conclusione di Scaramuzzi. I Papi laici di oggi hanno bisogno di una Chiesa trionfalistica, identitaria, politica: "Lagauche caviar scalfariana ha bisogno di un popolo fedele di cui sentirsi guida illuminata, una storia di cui eleggersi deus ex machina, una religione civile da fondare e rifondare. Ha bisogno di potere. L'unica cosa che ricorda di un passato che non c'è più".
(moked, 9 ottobre 2013)
Laico Eugenio Scalfari? "diversamente laico"? Meglio sarebbe dirlo "diversamente cattolico". Nell'articolo citato da Cavaglion si dice: "Bergoglio non è un Papa-Re, mentre è di un Papa-Re che l'illuminato fondatore di 'Repubblica' - e con lui un pezzo della sinistra italiana - ha nostalgia." Nella dottrina del Papa-Re sta la peculiarità specifica del cattolicesimo all'interno del mondo cristiano. Per questo Scalfari merita il titolo di "diversamente cattolico". E poiché con la tronfia spocchia tipica di un certo vetero-cattolicesimo parla di "sette luterane", citiamo le parole con cui un autentico laico evangelico risorgimentale, Teodorico Pietrocola Rossetti, metteva in guardia i politici di allora dal riconoscre il cattolicesimo come "Religione di Stato":
«Quando riflettiamo al colore ed alle polemiche religiose di alcuni giornali, ed ai discorsi di alcuni oratori del Parlamento italiano, un terrore cupo e misterioso scuote l'anima nostra. Alcuni ateizzano con quella sottigliezza di logica razionale che tutto ammette per discuter tutto e rigettar tutto, - altri parlano di conservare il papato come Religion di stato mentre ne combattono il Credo, - ed altri parlano del Romanesimo con una leggerezza che ci sembra veder fanciulli insensati che scherzano coll'aspide velenoso!
L'avvenire ci fa paura. Sentiam parlare d'una politica conciliatrice col papa: guai a noi se essa avrà il sopravvento! La storia c'insegna che molte fiate il papa fu spogliato del potere temporale, e con le male arti d'una politica subdola riconquistò tutto: - c'insegna altresí che assai volte venne a patti col principato, ma la spada e il pastorale non poterono restare uniti, e il prete soverchiò finalmente il principe. Or la bisogna andrà sempre cosí se si continua a parlar di conciliazione coll'irreconciliabile sacerdozio. - Si parla di Roma come capitale del Regno d'Italia e ne siam lieti, - ma quando si dice che in quella metropoli siederanno il papa e il Re col Parlamento, temiamo dell'avvenire, perciocché il pontefice ancorché fosse soltanto rivestito del potere spirituale incaglierà ogni atto del governo, e susciterà dissidii e rivoluzioni. Ciò non avverrebbe se vi fosse abolizione della Religione di Stato. Badate che il prete potrà permettere e darvi tutto, e poi negarvi tutto. La coscienza sua è elastica, e non ha bisogno della vostra assoluzione.»
Tipi come Scalfari saranno sempre ben accolti in Vaticano. Con la loro ossequiosa professione di laicità rafforzeranno nel papa quel sentimento di universalismo ecumenico che è la caratteristica del cattolicesimo di oggi. M.C.
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Il Dio di Einstein e il D-o di Abramo
di Gianfranco Di Segni
Negli ultimi mesi ci siamo soffermati più volte su quanto sia diffuso un uso improprio del Nome di Dio. La recente scoperta effettuata al Cern di Ginevra del bosone di Higgs, la cosiddetta particella di Dio, ne è la riprova. Non c'è dubbio che il grande clamore mediatico suscitato dalla scoperta sia dovuto anche a questo (ab)uso del Nome. Ma è proprio un abuso? Il primo a chiamare la particella di Higgs in questo modo fu il fisico americano Leon Lederman, premio Nobel per la fisica nel 1988, nel libro scritto nel 1993 insieme al giornalista Dick Teresi intitolato, appunto, The God Particle (tr. ital. La particella di Dio, Mondadori 1996). Che Lederman sia ebreo non è irrilevante. In più punti del libro compaiono espressioni yiddish e reminiscenze ebraiche....
(moked, 9 ottobre 2013)
Calcio - Israele avanti con ottimismo
Dopo la partenza di Guy Luzon, la nazionale israeliana è partita bene con il nuovo tecnico Michael Nees e si appresta alle sfide contro Portogallo e Norvegia.
di Boaz Goren
Luzon ha lasciato la panchina per andare ad allenare l'R. Standard de Liège dopo l'eliminazione di Israele dalla fase a gironi, pur con un positivo 1-0 contro l'Inghilterra. "Lascio solide basi per gli anni a venire - ha commentato nella conferenza stampa d'addio -. Credo che il nostro futuro sia molto buono".
La previsione di Luzon è sembrata azzeccata perché Israele, attualmente allenato dal tedesco Michael Nees, ha inaugurato le qualificazioni per il 2015 con un 7-2 nel Gruppo 8 contro l'Azerbaigian. Ora, la squadra si appresta alle sfide contro Portogallo (giovedì) e Norvegia (martedì). "Tutti si aspettano una valanga di gol dopo la prima partita, ma noi pensiamo solo al risultato - ha commentato il 46enne Nees, ex Ct delle Seychelles -. Quella in Portogallo sarà la nostra prima trasferta e sevirà a misurarci".
Con Nees c'è stata un'evoluzione piuttosto che una rivoluzione, poiché in squadra ci sono ancora otto giocatori che hanno partecipato all'Europeo Under 21 in casa. Manca però il capitano Nir Biton, passato al Celtic FC e approdato in nazionale maggiore. Dal canto suo, Luzon non ha fatto alto che consolidare la sua reputazione guidando lo Standard in testa al campionato belga a punteggio pieno.
Una delle pedine più importanti della squadra di Nees è il centrocampista Dor Mikha. "Stiamo bene e con Nees giochiamo più o meno come con Luzon - commenta il giocatore, autore del gol della vittoria del Maccabi Tel-Aviv FC sull'FC Girondins de Bordeaux alla seconda giornata di UEFA Europa League -. Allenamento dopo allenamento, ci abituiamo sempre di più alle piccole variazioni che ha introdotto".
Un altro volto nuovo in nazionale è Nir Davidovich. L'ex portiere della nazionale, che ora lavora come allenatore nell'Under 21, commenta: "Sono felice di aver ricevuto l'offerta dell'Under 21 e spero di far parte nascere una vera scuola di portieri in un futuro prossimo. Siamo pronti alla sfida".
(UEFA.com, 9 ottobre 2013)
La genetica svela l'origine degli Ebrei Ashkenaziti
Un nuovo articolo pubblicato sull'autorevole rivista internazionale "Nature Communications" sostiene di aver risolto la questione dell'origine degli Ebrei Ashkenaziti. L'analisi di campioni di DNA ha, infatti, dimostrato che per quanto riguarda le linee genetiche di origine materna, quelle degli Ashkenaziti deriverebbero in gran parte non dal Medio Oriente, ma dall'Europa meridionale e occidentale.
Segnaliamo questo articolo, trovato su un portale sportivo (!), come puro fatto di cronaca.
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Non esistono ancora risposte certe riguardo l'origine degli Ashkenaziti, gli Ebrei dell'Europa centrale e orientale. Una scuola di pensiero sostiene che i loro antenati siano migrati in Europa dalla Palestina nel primo secolo d.C., dopo la distruzione del Secondo Tempio da parte dei Romani, e che solo successivamente possano esser andati incontro a matrimoni misti con Europei. Uno scenario alternativo prevede che gli Ashkenaziti siano di origine europea, cioè che siano costituiti principalmente da Europei convertiti alla religione ebraica, specialmente in Italia. Infine, un'ulteriore ipotesi sostiene che potrebbero essere discendenti dell'impero Cazaro, i cui sovrani si convertirono all'ebraismo nell'8o-10o secolo d.C....
(Sevenpress.com, 9 ottobre 2013)
Israele si promuove in Italia, workshop a Roma con TTG
Per supportare gli specialisti del settore nel lavoro di promozione e consulenza, l'Ufficio Israeliano del Turismo organizza, il 16 ottobre, nella capitale, un workshop operativo in partnership con: Eshet Incoming, Amiel Tours, Interface Tourism, A. R Eland Tours Ltd, Kibbutz Hotels Chain, El Al Israel Airlines Ltd, Hotels Mercure & Savoy Tel Aviv, Jerusalem Development Authority, Isram Israel, HTMS.
Il Paese ha un'immagine turistica consolidata grazie soprattutto alla sua vasta offerta di località dalle caratteristiche uniche, evocative di un passato che riconduce alle origini dell'uomo e della sua spiritualità. L'antico porto di Jaffa, Nazareth, Gerusalemme, Tiberiade, Betlemme, Cafarnao, Massada e poi il Mar Morto con le sue acque terapeutiche, la fortezza di Erode che lo domina e le vicine grotte di Qumran.
Una elevata forza di attrazione molto forte per il visitatore alimentata anche dalle spiagge affacciate sul Mediterraneo e sul Mar Rosso.
Un'offerta sfaccettata, che deve essere correttamente orientata ai diversi target.
Le iscrizioni all'evento di Roma sono effettuabili su www.ttgroadshow.com. La partecipazione è gratuita e riservata esclusivamente ai professionisti del settore.
(TTG Italia, 9 ottobre 2013)
Roma - Museo della Shoah, aperta la gara
"Importante per le giovani generazioni". L'assessore ai Lavori pubblici Masini dichiara in una nota l'intenzione di realizzare un museo dedicato alle vittime della Shoah. "Vogliamo garantire il massimo rigore e trasparenza".
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Il progetto del Museo della Shoah |
"Con l'apertura della gara ha preso avvio l'iter per la realizzazione del Museo della Shoah. Si tratta di un momento importante per questa città, che vuole tenere viva la Memoria delle vittime dello sterminio attraverso uno spazio collettivo dedicato al ricordo, come ne esistono nelle principali capitali europee colpite al cuore dall'orrore dell'Olocausto". Così si espresso l'assessore ai Lavori pubblici Paolo Masini in una nota.
"Anche per questo - aggiunge -, e vista l'importanza di questa opera per la città, vogliamo garantire il massimo rigore e la massima trasparenza. La ferita del rastrellamento del ghetto e delle deportazioni degli ebrei romani è ancora viva settant'anni dopo. Il Museo, assieme ai viaggi con le scuole, come quello che faremo il 19, 20 e 21 ottobre prossimi ad Auschwitz, rappresenta il motore per la trasmissione della memoria alle giovani generazioni, affinché a partire dal ricordo della peggiore follia della storia sia resa più forte, ai giorni nostri, la lotta contro ogni forma di discriminazione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche e di condizioni sociali".
(la Repubblica, 8 ottobre 2013)
Calcio - Qualificazioni europei under 19: Israele-Italia 2-0
La Nazionale azzurra under 19 e' stata sconfitta 2-0 da Israele nella gara di esordio della prima fase delle qualificazioni al campionato europeo. I padroni di casa sono andati a segno per due volte con Ohana, al 15' del primo tempo e al 36' della ripresa. La squadra di Pane tornera' in campo giovedi' 10 contro il Liechtenstein, che oggi e' stato battuto 2-0 dalla Danimarca, le altre due squadre che compongono il girone.
(la Repubblica, 8 ottobre 2013)
La raccolta dei datteri nella striscia di Gaza
Nelle fotografie di Said Khatib per la Agence France Presse, gli agricoltori di Khan Yunis, nella parte meridionale della Striscia di Gaza, arrampicati sulle palme da dattero, durante la raccolta stagionale.
Il dattero è uno dei prodotti dell'agricoltura tradizionale palestinese, alla cui coltivazione sta tornando un numero crescente di agricoltori. Le palme da dattero riescono a sopravvivere con poca acqua e sono dunque compatibili con lo scarso approvvigionamento idrico dell'area, ma danno frutti redditizi.
(Panorama, ottobre 2013)
Quando l'antiebraismo era scritto sui giornali cattolici
Uno storico ricostruisce il ruolo delle gerarchie della Chiesa fra fine '800 e Olocausto: Per scoprire che si parlava spesso di "lotta santa".
di Vera Schiavazzi
L'antisemitismo di casa nostra, quello che troppo spesso ignoriamo, ha radici lontane nel tempo. Ora lo storico Valerio Marchi, romano di nascita ma torinese di adozione, dedica un prezioso libro al capitolo risorgimentale di questa storia, col titolo di "L''affaire Dreyfus' e l''accusa del sangue'", per l'editore Del Bianco, con una prefazione di Ephraim Nissan. Attraverso la carta stampata e la miriade di piccole testate dell'epoca, quello che si usa chiamare "giornalismo di provincia", Marchi ricostruisce il ruolo degli ebrei italiani nelle lotte per l'Indipendenza e l'Unità d'Italia, un ruolo nel quale molti di loro si impegnarono generosamente alimentando così le violente reazioni della propaganda cattolica.
Nella particolare "via italiana all'antisemitismo", gli argomenti puramente biologici - quelli che qualche decennio più tardi avrebbero alimentato le teorie sulla "razza ariana" - venivamo apparentemente rigettati, per alimentare invece il pregiudizio economico-sociale ricollegandosi al caso Dreyfus da un lato e all'accusa del sangue dall'altro. L'assalto all'ebreo si inseriva in una più vasta resistenza alla modernità, alla nuova idea di Europa e d'Italia che andavano faticosamente affermandosi anche nel dibattito nazionale. "E' un libro coraggioso - commenta Laura Camis de Fonseca, che attraverso la Fondazione che porta il suo nome promuove lo studio dell'antisemitismo e video didattici sulle stragi del XX secolo - perché ripercorre una storia scomoda e dolorosa. In Italia si preferisce pensare che la Shoah fu il frutto imprevedibile della 'barbariè nazista. Una barbarie che invece si era accesa a sprazzi attraverso tutta la storia dell'Europa cristiana".
Come dimostrano le ricadute domestiche del caso Dreyfus: che in Francia si accusasse un ufficiale ebreo di alto tradimento rappresentava anche per gli antisemiti italiani una formidabile "prova", mentre sul versante dell'immaginario collettivo, potente e pericoloso nell'Ottocento come oggi, si dava credito alla mitologia degli "omicidi rituali ebraici", l'accusa del sangue, appunto, esigendo azioni punitive a fronte di miti e leggende che non era ovviamente possibile provare. Già nel 1848, quando grazie a Carlo Alberto i diritti civili e la libertà di culto vennero concessi a ebrei e valdesi in Piemonte, i politici contrari affermarono che "un giorno sarebbe venuto nel quale costoro si sarebbero rivelati indegni di tali diritti". Diritti che, non a caso, sarebbero stati revocati agli ebrei con le leggi razziali imposte dal fascismo nel 1938 e 1939.
La ricostruzione di Marchi è puntuale e minuziosa, ma si appoggia su alcuni capisaldi: nel 1889, ad esempio, venne pubblicato a Trento un pamphlet firmato con uno pseudonimo, "La piaga ebraica". Ora Marchi mostra come la propaganda antisemita fosse direttamente collegata, quando non alimentata, dalle stesse gerarchie cattoliche che in quegli anni erano impegnate allo spasimo per difendere i confini e il potere dello Stato Vaticano. L'ebreo è un nemico, dal quale la difesa è legittima. E in molti casi è il capro espiatorio ideale, proprio alla luce della partecipazione di moltissimi ebrei ai movimenti risorgimentali. E il Trevigiano è la culla di questa battaglia, il luogo dove l'ostilità clericale antiebraica sembra coagularsi e diventa anche fisicamente leggibile su testate come "La Vita del Popolo" (il settimanale diocesano tuttora esistente a Treviso) o il quotidiano udinese "Il Cittadino italiano. Si propugna la "lotta santa" e si scrive, come fa Giuseppe Ponzian, "l'ebreo mostrossi sempre nemico dei cristiani... da tutte le quali considerazioni scaturisce la crescente preponderanza della stirpe ebrea, e il corrispondente decadimento degli stati cristiani, costretti a gemere sotto la coloro dominazione". Accusati di furto, spionaggio e antropofagia, gli ebrei italiani che per secoli avevano vissuto pacificamente nei diversi Stati venivano anche additati come colonne di un altro potere emergente, la massoneria. E, a completare il quadro, c'era l'accusa di diffondere la peste e altre epidemie. Il lavoro di Marchi si conclude con l'importante capitolo dedicato all'ambiziosa sfida di alcuni tra i vescovi e i prelati più illuminati: "cristianizzare" gli ebrei, sottraendo loro la possibilità di praticare la propria religione e l'educazione dei figli. Per capire in che modo l'antisemitismo poté rafforzarsi fino a produrre l'Olocausto, insomma, basta guardare a cento anni prima, e alla cattolicissima Italia dell'epoca.
Valerio Marchi, "L'affaire Dreyfus e l'accusa del sangue", Del Bianco editore, pagine 190, euro 20.
(la Repubblica, 8 ottobre 2013)
Sardos pro Israele protesta per la presenza a Cagliari di Hezbollah
CAGLIARI, 8 ott. - Esprime "disapprovazione per la presenza a Cagliari, per la seconda volta, la prima nel 2011, di esponenti dell'organizzazione terrorista Hezbollah invitati a prendere la parola in una conferenza", Mario Carboni, presidente dell'Associazione "Sardos pro Israele" di Cagliari, in merito alla partecipazione al Primo Meeting Internazionale delle Politiche del Mediterraneo dello scorso 4-5 ottobre presso l'Hotel "Regina Margherita" di Cagliari di Abdallah Kassir, direttore della Tv AlManar e il Responsabile Esteri di Hezbollah, Ammar Al-Mussawi.
"Ci domandiamo cosa abbiano avuto da dire in merito alle 'politiche del Mediterraneo' gli esponenti di un'organizzazione dichiaratamente terrorista - precisa Carboni - e che combatte la cosiddetta 'occupazione israeliana' con attentati sucidi in mezzo mondo e con fondi iraniani destinati ad ordigni per l'uccisione di civili, occupazione di cui in Libano non c'è peraltro traccia".
L'Associazione sarda, aderente alla federazione delle associazioni Iialia-Israele, chiede agi organizzatori della conferenza "come e con quale faccia questi due signori abbiano preso la parola per parlare di soluzione della questione Siriana 'in modo democratico' nel momento in cui fanno parte di una organizzazione terrorista armata . Ancora peggio che questi signori vengano a Parlare di politiche di accoglienza e tolleranza nei confronti degli stranieri, dal momento in cui Hezbollah è una organizzazione che mira coi suoi attentati sempre a un solo scopo: la cancellazione dello stato Ebraico".
(Adnkronos, 8 ottobre 2013)
Natura e shabbat in vetrina al concorso fotografico
di Francesca Matalon
Un tema affrontato in modo molto filosofico quello del concorso fotografico europeo Obbiettivo sul mondo ebraico, indetto dall'archivio fotografico della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, quest'anno alla sua quinta edizione col titolo Natura e tradizione, in concordanza col tema della Giornata europea della cultura ebraica, in corrispondenza della quale è avvenuta a Milano la premiazione delle foto vincitrici. La Audrey Hepburn filosofeggiante di Cenerentola a Parigi sarebbe stata molto fiera, niente "bellezze sintetiche" di vestiti cangianti e rossetti rosso fuoco, "gli alberi sono belli, perché non fotografa gli alberi?", suggerisce a Fred Astaire. E quando la natura si intreccia con l'ebraismo, la bellezza degli alberi si fonde con la spiritualità. Dando vita a foto come quella, intitolata "Rebirth", rinascita, della livornese Giuliana Ghelarducci, vincitrice del concorso con uno scatto in bianco e nero nel cimitero della comunità toscana, che ritrae un fiore giallo e solitario, unica macchia di colore di fronte a un'alta lapide grigia. E poi ci sono le due menzioni speciali: un'altra livornese, Mariangela Braghieri, ha inscritto un albero del ghetto di Venezia in una spirale di movimento sfuocato nella sua fotografia intitolata "Spring of peace", primavera di pace; Dikla Recanati invece, da Tel Aviv, ha immortalato un evento che si verifica soltanto ogni ventotto anni, la Birkat Hahammah, un ringraziamento a Dio per aver creato il sole che viene recitato al tramonto quando l'astro completa il suo ciclo. Ma quest'anno Milano ha ospitato anche il festival internazionale di cultura ebraica Jewish and the city, incentrato sul tema dello Shabbat. Pere seguire il quale l'archivio fotografico del Cdec ha organizzato anche una mostra di fotografie con lo scopo di far calare il visitatore nell'atmosfera dello Shabbat, attraverso immagini che ne ritraggono i vari momenti peculiari, articolandola dunque in vari temi: una mamma che prepara le challot con le sue bambine per esprimere il clima concitato della preparazione del sabato, la kabalat shabbat, gli aspetti religiosi, una stanza affollata per la lezione di un rabbino, alternando lo studio con il riposo e lo stare in famiglia, e la tipica e suggestiva candela dell'avdalah.
(Notiziario Ucei, 8 ottobre 2013)
Il nuovo volto dell'Iran. Che ruolo gioca l'Italia?
di Gabriella Tesoro
Si torna a parlare di Iran, ma questa volta non solo nella distensione con gli Stati Uniti, ma anche e soprattutto nei rapporti tra l'Italia e la Repubblica Islamica. È stato questo l'argomento principale della conferenza organizzata dall'Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo (Isiamed) presso la Camera dei Deputati, intitolata "Dalla presidenza di Hassan Rohani un'opportunità di dialogo per la comunità internazionale?".
Ospite d'onore del dibattito è stato l'ambasciatore della Repubblica Islamica dell'Iran in Italia, Jahanbakhsh Mozaffari, che ha auspicato una nuova collaborazione tra Roma e Teheran, soprattutto dopo che, nel corso del 2012, le relazioni economiche bilaterali tra i due Paesi hanno subito un brusco calo rispetto all'anno precedente. Inoltre, Mozaffari ha parlato anche del nuovo presidente iraniano, Hassan Rohani, un uomo "che ha fatto della moderazione il suo cardine principale".
Secondo quanto affermato dall'ambasciatore, Rohani segue nella politica interna un approccio imparziale, trasversale e meritocratico, ma è nella politica estera, dove "calcoli errati e sospetti" hanno eretto in passato diversi muri, la vera svolta. In primo luogo, Rohani punta alla creazione di un'importante interazione costruttiva con il mondo esterno grazie alla distensione e alla ricostruzione dei rapporti con le grandi potenze internazionali. In secondo luogo, l'Iran deve normalizzare e migliorare i rapporti con gli altri Paesi mediorientali, soprattutto con quelli confinanti. In terzo luogo, è fondamentale costruire una partnership con l'Europa e l'Asia. Infine, Teheran vuole esercitare un'influenza costruttiva contro le armi di distruzione di massa e per la lotta al terrorismo e agli estremismi. "Sia chiaro a tutti - ha concluso l'ambasciatore - la condizione pacifica del nostro Paese. Vogliamo trasformare una partita in cui tutti perdono, in una partita in cui sono tutti vincitori".
Insomma, l'Iran conferma di voler cambiar volto e dopo l'apertura di Rohani è giusto cogliere la mano che Teheran pone non solo all'Occidente, ma a tutta la comunità internazionale soprattutto perché, come ha più volte sottolineato Nicola Pedde, direttore dell'Institute for Global Studies, "l'apertura non sarà eterna" e bisogna "cogliere questo momento" in quanto il contesto iraniano è eterogeneo e l'opinione pubblica ha idee spesso divergenti . Dunque, diventa fondamentale abbandonare le polemiche (le voci che ritengono l'apertura dell'Iran di circostanza, ndr) e far sì che, soprattutto l'Italia, diventi la capofila di questo percorso.
Uno dei problemi principali rimane però il nucleare. L'Iran non deve avere armi di distruzione di massa e gli iraniani si dicono d'accordo, quindi, in teoria, la questione termina ben presto. Il problema rimane nella pratica: nessuno può contestare all'Iran di avere un nucleare civile, ma il confine tra nucleare civile e quello militare è sottile in quanto si può passare con estrema facilità da uno all'altro. La soluzione, secondo Ugo Intini, ex ministro degli Affari Esteri, è il commercio: intrattenere rapporti economici Italia-Iran e avviare negoziazioni sono utili per la ricerca della pace. Il nodo però non è a Roma, ma a Washington, soprattutto perché manca una politica estera europea che abbia una visione unitaria. In più, l'Italia, nel contesto internazionale, pesa poco e questo complica la faccenda.
Dunque, ben venga il disgelo tra Iran e Stati Uniti, ben vengano i rapporti commerciali tra Teheran e la comunità internazionale, soprattutto perché l'Iran, grazie alla sua popolazione giovane e istruita e grazie al grande fermento culturale e alla voglia di rinnovamento, può rappresentare un nuovo pilastro per la stabilità, la moderazione e la pace in Medio Oriente.
(International Business Times, 8 ottobre 2013)
«Il governo iracheno ha massacrato i dissidenti iraniani a Camp Ashraf»
La pretesa dell'Iraq di non sapere nulla circa il massacro di 52 dissidenti iraniani, membri dell'Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell'Iran, avvenuto a Camp Ashraf il 1o settembre è "impossibile da credere"; "essi sanno e ne sono stati gli esecutori", ha detto un ex inviato dell'ONU a Baghdad.
Taher Boumedra, che è stato incaricato della questione di Camp Ashraf in Iraq, ha affermato che sarebbe stato impossibile per uomini armati entrare nel campo senza essere visti dalle guardie irachene, che hanno dovuto fare entrare gli assassini.
Boumedra ha detto in una conferenza all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa a Strasburgo lunedì:
"Conosco bene quel luogo, ero solito andarci ogni settimana e so che sarebbe stato impossibile per chiunque raggiungere quell'area del campo senza essere visto.
"Ricordo le torri di guardia intorno al campo, che rendono assolutamente impossibile per chiunque penetrare nel campo inosservato. Quindi, circa il fatto che il governo dell'Iraq pretenda di non sapere quanto vi è accaduto, posso dirvi che essi sanno e ne sono stati gli esecutori.
"E posso dirvelo anche per esperienza, poiché dopo i precedenti attacchi che ebbero luogo ad Ashraf, nel luglio 2009 e nell'aprile 2011, sono stato io a condurre una missione d'inchiesta e so che anche in quei due casi essi negarono l'accaduto e solo successivamente ammisero le uccisioni a Camp Ashraf. Questo è il terzo caso.
"Perché hanno ripetuto l'attacco contro i residenti di Ashraf? Prima di tutto, perché c'è un completo silenzio da parte della comunità internazionale. L'hanno fatto una volta, L'hanno fatto la seconda volta, non ne hanno subito conseguenze e ora l'hanno fatto una terza volta; e se noi restiamo inerti sentiranno di non avere problemi, e vi dico che lo ripeteranno a Camp Liberty.
"La ragione per cui lo ripeteranno è che la più alta autorità a Baghdad ha detto che, fino a quando gli esuli iraniani saranno in Iraq, loro continueranno a sottoporli a vessazioni.
"Quindi, è responsabilità degli Stati membri e dei loro rappresentanti a Baghdad far sentire alta la propria voce, dato che conoscono la realtà. Anche gli Stati Uniti conoscono i dettagli di cosa è accaduto. Rimanere inerti equivale a coprire un crimine contro l'umanità".
(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 7 ottobre 2013)
Le donne del Muro vincono la prima battaglia. Pregheranno ad alta voce
Da anni volevano pari diritti nel luogo simbolo per gli ebrei
di Elena Loewenthal
Sarà che alla radice di tutta questa storia c'è il paradosso di un popolo che come luogo di massima vicinanza al cielo ha non più uno spazio aperto o una navata bensì un Muro - che in ebraico non si chiama affatto «del Pianto» bensì «Occidentale» - ma ci voleva la giudiziosa saggezza delle donne per arrivare a un compromesso. Del resto, come dice lo scrittore Amos Oz, compromesso è sinonimo non di debolezza, bensì di vita.
Nella giornata in cui il traffico di Gerusalemme è paralizzato dai funerali di rabbi Ovadia Yosef, leader spirituale degli ultraortodossi, arriva l'annuncio che le «donne del Muro» accolgono la proposta del mediatore Natan Sharansky, ex refusenik dell'Unione Sovietica e ora presidente dell'Agenzia Ebraica, e si ritirano dalla loro postazione nel settore femminile. È un successo a metà, che promettono provvisorio. E tuttavia, storico. D'ora in poi, infatti, a qualche decina di metri di distanza, dall'altra parte del «Mughrabi Bridge», la passerella in legno che conduce dal piazzale sino alla Spianata delle Moschee - o Monte del Tempio, come lo si voglia chiamare -, le donne potranno pregare come gli uomini, con lo scialle, il copricapo e i filatteri. E leggere pubblicamente la Torah. Sarà uno spazio religioso «egualitario» gestito da un comitato ebraico multiconfessionale.
Il movimento «Donne del Muro» viene fondato nel lontano 1988 con l'obiettivo di ottenere non la promiscuità dei sessi nel luogo di preghiera bensì il diritto di pregare come gli uomini. Il Muro del Pianto, si badi bene, non è un luogo sacro - l'unico tale per l'ebraismo è l'inaccessibile monte del Tempio, dove in passato c'era il Santuario - ma una sinagoga a cielo aperto, con due settori separati, uno femminile e uno maschile.
Queste donne, che appartengono a diversi ambienti religiosi ebraici - ortodossi, liberali, riformati -, volevano «soltanto» poter pregare come gli uomini. Anche - e preferibilmente - per conto loro. Ma nell'ebraismo tradizionale le donne hanno un ruolo di pura «osservazione» del culto: non pregano a voce alta, non leggono la Torah. Le donne del Muro si ritrovavano nel settore femminile di questo luogo. Ma la loro voce salmodiante «disturbava» la comunità ultraortodossa maschile, responsabile della gestione del Muro. E ne urtava la sensibilità, al punto da chiedere l'intervento delle forze dell'ordine, o tentare di farsi «giustizia» da sé, causando disordini. Si è arrivati anche al fermo delle donne per «disturbo dell'ordine pubblico». Poi nel 2013 la Corte suprema d'Appello ha dichiarato illegale questa procedura.
Le donne del Muro hanno dalla loro la società civile israeliana, che nella sua stragrande maggioranza è laica, indifferente se non decisamente ostile all'ortodossia religiosa. Accettando questa soluzione «salomonica» e battendo in ritirata di qualche decina di metri, dichiarano che la battaglia non è finita, si avvia solo verso una nuova fase. «Dobbiamo essere agenti di cambiamento e guardare al futuro. A quel futuro che auspichiamo per le nostre figlie», ha detto Anat Hoffman, presidente del movimento, dopo il lungo e difficile dibattito che ha condotto alla decisione di accettare la proposta del governo. Che mondo sarebbe, senza le donne.
(La Stampa, 8 ottobre 2013)
Egitto - Farouq: i Fratelli musulmani "giocano" con la morte per alimentare il caos
di Pietro Vernizzi
Cinquantuno morti negli scontri tra i sostenitori dei Fratelli musulmani e le forze dell'ordine hanno insanguinato l'Egitto a tre mesi dalla caduta del presidente Morsi. L'anniversario della guerra del 1973 contro Israele è stato trasformato dai partiti islamisti nell'ennesima occasione per creare caos e disordini. L'Esercito ha risposto come sempre con la mano pesante, sparando contro i manifestanti alcuni dei quali erano a loro volta armati. Per il professor Wael Farouq, "i Fratelli musulmani ancora una volta dimostrano di essere pronti a tutto pur di finire nei titoli dei telegiornali e dare al mondo l'impressione che l'Egitto sia fuori controllo. Nella realtà non è così, ma le divisioni tra i giovani rivoluzionari che vogliono uno Stato laico e moderno rischiano di portarli a una nuova sconfitta alle elezioni presidenziali della prossima primavera". In questa difficile situazione, il prossimo 13 ottobre si terrà la seconda edizione del Meeting Cairo, l'incontro che nel 2010 fu salutato come un segno di speranza per tutto il Medio Oriente.
- Professor Farouq, perché a oltre tre mesi dalla caduta di Morsi l'Egitto è ancora nel caos?
Sono i Fratelli musulmani a volere dimostrare che l'Egitto è nel caos, ma nella realtà non è così. L'economia è in ripresa e la quotazione della lira egiziana ha smesso di scendere rispetto al dollaro. Mentre dal punto di vista politico sono stati compiuti numerosi passi avanti nella road map proposta originariamente dal comitato rivoluzionario del Tamarod, a partire dalla convocazione dell'assemblea che dovrà preparare la nuova Costituzione.
- Come si spiega allora i 51 morti di domenica?
I Fratelli musulmani stanno facendo di tutto pur di fare notizia. Di tanto in tanto alcune decine di migliaia dei loro sostenitori organizzano manifestazioni, e ciò porta alle violenze cui abbiamo assistito. Gli scontri in gran parte non avvengono con le forze del'ordine, bensì tra i Fratelli musulmani e i comuni cittadini.
- Perché le manifestazioni degli islamisti sono sempre così violente?
Quando Morsi era ancora in carica, ha ordinato la scarcerazione e l'amnistia per alcune migliaia di terroristi. Ciò cui stiamo assistendo ora in Egitto è la conseguenza di quella scelta. I giovani rivoluzionari stanno con le forze dell'ordine, perché hanno visto quanto violenti e brutali siano i Fratelli musulmani. La situazione non si è ancora risolta del tutto, ma ogni giorno è migliore di quello precedente.
- Quali saranno le conseguenze di questo nuovo bagno di sangue?
I Fratelli musulmani sanno bene che le loro manifestazioni non cambieranno nulla, e che nella prossima primavera si terranno nuove elezioni garantite dagli osservatori della comunità internazionale. Gli islamisti stavolta non vinceranno, perché nella società civile oggi c'è molto odio nei loro confronti. L'unica cosa che possono fare è cercare di stare il più possibile sotto i riflettori delle tv, e ovviamente il modo più semplice per ottenere questo risultato è fomentare dei disordini.
- Che cosa ne pensa del modo in cui l'Esercito sta gestendo la transizione?
Ora l'Esercito ha una nuova leadership, ma il comportamento dei militari non è molto diverso da quello adottato nel 2012 quando il governo era in mano al Consiglio Nazionale delle Forze Armate. L'unica differenza rispetto ad allora è che oggi godono del sostegno della maggior parte della popolazione.
- In che senso?
Nel gennaio 2012 l'Esercito usò la violenza contro i manifestanti, e la reazione della gente non si fece attendere riempiendo tutte le piazze del Paese in segno di protesta. Anche oggi l'Esercito continua a rispondere alla violenza con la violenza, eppure una parte molto ampia della società accoglie positivamente tutte le azioni dei militari. E il motivo è che il modo in cui i Fratelli musulmani hanno governato ha reso l'opinione pubblica molto ostile nei loro confronti.
- I giovani rivoluzionari riusciranno a organizzarsi politicamente in vista delle elezioni di primavera?
In queste settimane stanno lavorando alla fondazione di un nuovo partito politico, ma il problema è la mancanza di una leadership liberale in grado di guidare il movimento rivoluzionario. Quest'ultimo è ancora diviso, e i problemi cui si era trovato di fronte dopo la cacciata di Mubarak si stanno ripetendo. Manca una figura in grado di unire tutte le forze laiche e liberali, e ciò fa sì che l'ipotesi di un candidato dell'Esercito in grado di diventare il nuovo presidente diventi ogni giorno più probabile.
- Quale contributo può offrire il Meeting Cairo a questa situazione?
Il fatto che, nonostante la situazione in cui si trova l'Egitto, si riesca a tenere la seconda edizione del Meeting Cairo è un segno molto positivo. Il nostro contributo sarà quello di presentare una proposta all'intera società per quanto riguarda il rapporto tra legge e religione nella nuova Costituzione. Joseph Weiler, professore di Diritto costituzionale alla New York University, dedicherà il suo intervento proprio all'Assemblea costituente. Il giudice della Corte costituzionale, Marta Cartabia, e il professor Andrea Simoncini presenteranno il loro nuovo libro dedicato al diritto e all'esperienza elementare nei discorsi di Benedetto XVI.
- Perché avete scelto di presentare proprio questo libro?
Lo ritengo un fatto molto importante, in quanto questo legame con l'esperienza elementare è l'unico modo per riuscire a elaborare una Costituzione che protegga le libertà, i diritti e le differenze del popolo egiziano. Parteciperanno anche il rettore di Al-Azhar, Usama al-Abd, il Vescovo Generale della Chiesa Copto-Ortodossa, e il vescovo Qulta, vice-patriarca della Chiesa cattolica in Egitto.
(ilsussidiario.net, 8 ottobre 2013)
Il Ministro Emma Bonino riceve il Presidente della Knesset
ROMA, 7 ott - Lo stato eccellente delle relazioni bilaterali, a livello politico, economico e culturale, e gli ultimi sviluppi politici nell'area del Mediterraneo orientale: questi i principali temi al centro del colloquio, svoltosi oggi alla Farnesina, tra il Ministro degli Esteri Emma Bonino e il Presidente della Knesset, Yuli-Yoel Edelstein. Nell'evidenziare la solidita' del rapporto con Israele e l'importanza del prossimo Vertice intergovernativo bilaterale del 2 dicembre prossimo a Torino - recita una nota - la titolare della Farnesina ha posto l'accento sull'impegno italiano contro l'intolleranza religiosa e l'odio razziale. ''L'Italia e' da sempre in prima linea nella lotta contro l'antisemitismo'', ha dichiarato il Ministro Bonino, ricordando le norme introdotte dal Parlamento in materia anche in anni recenti e l'istituzione, gia' nel 2000, della ''Giornata della Memoria'' per ricordare la tragedia della Shoah. L'incontro ha anche offerto l'opportunita' per un approfondito scambio di vedute sul rapporto Israele-UE, sulla situazione in Egitto e nel Sinai, sull'andamento del processo di pace tra israeliani e palestinesi e sulla questione nucleare iraniana all'indomani dei nuovi segnali di dialogo provenienti da Teheran.
(ASCA, 7 ottobre 2013)
Oltremare - Suoni italiani
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
Ottavo: Tzàbar si diventa
Nono: tutti in prima linea
Decimo: un castello sulla sabbia
Sei quel che mangi
Avventure templari
Il tempo a Tel Aviv
Il centro del mondo
Kaveret, significa alveare ma è una band
Shabbat & The City
Tempo di Festival
Rosh haShanah e i venti di guerra
Tashlich
Yom Kippur su due o più ruote
Benedetto autunno
Politiche del guardaroba
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di Daniela Fubini, Tel Aviv
Ascolto molto la radio, qui in Israele: ottima abitudine tutta merito della maestra dell'ulpan, che consiglió nell'ormai lontano 2008 l'ascolto quotidiano del giornale radio, per abituare l'orecchio all'ebraico corretto (e sporcarlo poi liberamente, ma dopo, con quello parlato fuori da Reshet Bet). Non può sapere che sono diventata una ascoltatrice sistematica, da allora.
Quando esce una notizia dall'Italia, è sempre molto buffo decrittare i nomi reinventati dai cronisti. Il Presidente del Consiglio Late. Late? Vabé provateci voi a leggere una parola dopo aver tolto e inserendo a orecchio tutte le vocali, e senza le doppie. Dura la vita del lettore di giornale radio e telegiornale in ebraico. Che poi senza andare tanto lontano, in qualsiasi ufficio pubblico io divento "Povini" - perchè oltre a tutto certe consonanti hanno doppia lettura.
Per fortuna dall'Italia arriva anche la musica, soprattutto sotto forma di canzoni sempreverdi degli anni Sessanta e Settanta ("Parole parole" però nella cover di Dalida), e a volte alcune fra le migliori canzoni di Paolo Conte, tradotte da Raphi Adar con una certa libertà nei testi, ma mantenute quasi identiche quanto a musiche e arrangiamenti. Quando un giorno ho sentito l'intro di "Azzurro" e poi le parole erano in ebraico (e la voce, non la voce pastosa di Conte) ho avuto un attimo di vertigini.
Ci si abitua a tutto, va detto, quando si vive nel paese più strano del mondo, dove Azzurro è diventata la storia di un trentenne che non vuole crescere, vive ancora con i genitori e non ha nè un lavoro nè una sua famiglia. Niente Africa in giardino, treni dei desideri che vanno all'incontrario, e preti per parlare nel vuoto della città estiva. Sarà perchè qui le città non si svuotano mai: un adattamento prima sociale che di contenuto.
(Notiziario Ucei, 7 ottobre 2013)
L'ebraicità dello Stato d'Israele è più importante
GERUSALEMME - Meglio uno Stato a maggioranza ebraica che continuare ad avere la sovranità sulla Giudea-Samaria: la pensa così, secondo un sondaggio, il 66% degli israeliani, contro un 21% che ritiene il contrario e un 7% che crede importanti entrambe le cose. Il 44% degli ebrei è d'accordo a incoraggiare l'emigrazione, il 57% preferisce come "vicini" gli arabi ai lavoratori stranieri. Il 30,6% pensa che solo gli ebrei debbano votare il referendum su eventuali accordi di pace.
(Adnkronos, 7 ottobre 2013)
Guidare uno scooter con dietro un uomo è un reato gravissimo per Hamas
di Franco Iacch
Quando nel 2006 Hamas prese il controllo di Gaza, Nizar Rayyan, alto funzionario del regime (sarà ucciso in un raid israeliano nel 2009) presentò l'organizzazione dicendo: "la fine di ogni eresia nella Striscia di Gaza". Da quel giorno Hamas ha imposto alla società la visione più estremista dell'islam, con la piena e più rigida possibile applicazione della legge. Da allora, Hamas è stata accusata in patria così come in campo internazionale di imporre un modello talebano alla società di Gaza.
Continuano le pubblicazioni a cura dei servizi segreti israeliani sul modus operandi di Hamas, organizzazione terroristica che come obiettivo ha la cancellazione dello Stato di Israele. Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, mirati a screditare l'operato del governo in questione. Che Hamas sia un'organizzazione terroristica, non ci sono dubbi, considerando che è ritenuta tale anche dall'Unione Europea. Lo studio delle forze armate israeliane in collaborazione con il Mossad, mette in luce il modello sociale ed ossessivo imposto da Hamas.
- Che cosa significa talebanizzazione ?
La talebanizzazione impone un preciso codice comportamentale: si va dalla rigorosa regolamentazione delle abitudini femminili alle norme oppressive nei confronti delle minoranze non musulmane.
- I diritti delle donne a Gaza
L'applicazione estremista e miope sulla società operata da Hamas è particolarmente discriminante per le donne. La "polizia morale" di Hamas punisce le donne per reati come quello di guidare uno scooter con dietro un uomo, fumare sigarette in pubblico, lasciare i capelli sciolti, vestirsi con i jeans, ballare durante eventi pubblici. Le donne accompagnate da uomini poi, sono fermate dalla polizia ed interrogate per stabilire il legame che li unisce.
Nell'estate del 2009, fu lanciata una "campagna di virtù": alle avvocatesse fu imposto di indossare il velo nei luoghi pubblici. Recentemente, Al Aqsa University, un'università pubblica a Gaza, ha introdotto un codice di abbigliamento islamico per le donne. Le studentesse di Al Aqsa, a lungo considerato un luogo di profonda apertura intellettuale, per stare nel campus devono seguire un rigido codice di abbigliamento che prevede abaya (mantello) e hijab (velo).
Il 10 aprile scorso, una maratona è stata annullata dalla Unrwa, sponsor e organizzatore della manifestazione. Hamas decise di non permettere alle donne di partecipare .
Ma anche gli uomini soffrono della volontà di Hamas che plasma la società a sua immagine. Hamas ha imposto il divieto di portare i pantaloni a vita bassa e tagliare i capelli in stile occidentale. La decisione è stata presa nei confronti dei giovani palestinesi nella Striscia di Gaza. Hamas teme che ai ragazzi siano inculcati i valori occidentali tramite la televisione ed internet.
- Le arti a Gaza
Anche le arti devono passare attraverso il filtro islamico di Hamas. I libri che sono ritenuti immorali, non sono autorizzati ad essere venduti nei negozi e possono essere confiscati. Inoltre, i film realizzati a Gaza prima di essere mostrati pubblicamente, devono ricevere l'autorizzazione dal Ministero della Cultura.
(teleradiosciacca.it, 7 ottobre 2013)
Polemiche a Cagliari per l'invito a Hezbollah del Centro Italo-Arabo Assadakah
Ha destato più di una semplice preoccupazione l'iniziativa di Assadakah - associazione per l'integrazione centro Italo-Arabo e del Mediterraneo - di ospitare alti rappresentanti di Hezbollah in occasione della conferenza "Politica ed economia nel Mediterraneo. Nuovi orizzonti tra Africa Mediterranea, Eurasia e Occidente" tenutasi a Cagliari.
E le preoccupazioni sono aumentate quando con un controverso comunicato, il centro Assadakah ha attaccato il blog "No pasdaran" per un più che comprensibile articolo di denuncia che si dichiarava contrario all'invito in
Italia dei rappresentanti di un gruppo terrorista responsabile di appoggiare militarmente il regime di Damasco, di aver compiuto diversi attentati e di controllare il traffico mondiale di droga. Insomma, non certo il miglior curriculum possibile. Sorprendente, ovviamente in negativo, come all'evento abbiamo partecipato l'On. Antonello Cabras e il senatore Giorgio Tonini, entrambi del Partito Democratico.
In un duro editoriale pubblicato su Al Manar, il cui direttore era ospite proprio di Assadakah, si accusa duramente l'occidente di islamofobia e di essere succube degli Stati Uniti e di Israele.
(ilsussidiario.net, 7 ottobre 2013)
Al Premier slovacco Fico il Premio ebraico per la tolleranza
A fine mese a Bruxelles sarà consegnato al Primo ministro slovacco Robert Fico un riconoscimento per il suo "impegno per la tolleranza". Lo European Jewish Prize for Tolerance è un evento organizzato da 17 organizzazioni ebraiche europee, tra le quali il Centro Rabbinico d'Europa e il Centro europeo delle comunità ebraiche (EJCC). Già nel marzo scorso, in occasione di un incontro avvenuto a Bratislava, una delegazione di rabbini dell'EJCC e dell'Associazione ebraica europea, una lobby con sede a Bruxelles, hanno ringraziato Fico per il suo ruolo nel designare il 9 settembre in Slovacchia quale Giorno della Memoria ebraica, e il Premier avrebbe notato come la preservazione dei siti storici ebraici in Slovacchia (tra i quali sinagoghe e cimiteri), è una parte complementare del salvataggio del patrimonio culturale del Paese.
Il 9 settembre 2013, durante la commemorazione che si è tenuta presso il monumento all'Olocausto su Rybne namestie a Bratislava, nel luogo ove sorgeva la sinagoga abbattuta dalle autorità comuniste a fine anni '60 per far posto alla costruzione di una strada a quattro corsie, il capo della Conferenza episcopale slovacca, mons. Stanislav Zvolensky, ha per la prima volta riconosciuto - secondo il sito ebraico jta.org - le "malefatte" compiute in passato da funzionari della chiesa cattolica. Zvolensky ha detto che la tragedia dell'Olocausto ha avuto un profondo impatto su tutti gli abitanti del Paese, e la memoria delle vittime è molto concreta, ha scritto sul suo sito Radio Vaticana. Lui si è detto certo che il loro ricordo indelebile è iscritto profondamente anche nella memoria di Nostro Signore. Bisogna, ha detto Zvolensky, "rifiutare ogni tipo di odio, razzismo e deturpazione della dignità umana di qualunque persona", evitando che le nostre azioni "provochino odio verso altre persone, perché dall'odio alla violenza la strada è molto breve".
Il 9 settembre 1941 (durante la cosiddetta Prima Repubblica Slovacca guidata da mons. Tiso) il Parlamento della Repubblica Slovacca adottò il cosiddetto Codice Giudeo che dette il via alle deportazioni di cittadini ebraici slovacchi, principalmente in direzione del campo di sterminio di Auschwitz. Quasi 70.000 ebrei provenienti dalla Slovacchia sarebbero stati uccisi durante la seconda guerra mondiale. Secondo il Congresso ebraico europeo, sarebbero circa 3.000 gli ebrei che vivono oggi in Slovacchia.
Pochi giorni fa ha fatto tappa in Slovacchia anche il capo dell'IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) Mario Silva, nel corso di un tour all'interno dei paesi membri della Nato, con l'obiettivo di conoscere le attività che la Slovacchia promuove e le sfide che si trova ad affrontare. Silva ha discusso con rappresentanti del Ministero degli Affari esteri ed Europei, con l'Accademia Slovacca delle Scienze (SAV), con i responsabili del Museo della Cultura Ebraica e del Centro di documentazione dell'Olocausto. Il ministero slovacco è coordinatore dell'adesione della Repubblica Slovacca alla IHRA, che associa 31 paesi e ha come obiettivo fondamentale la realizzazione e il sostegno di progetti focalizzati sull'insegnamento della Shoah, la sua memoria e la ricerca sui fatti storici.
(Buongiorno Slovacchia, 7 ottobre 2013)
Calcio - Europeo Under 19, domani si gioca Italia-Israele
E' atterrato a Tel Aviv l'aereo con a bordo la Nazionale Under 19 che, dopo una settimana di raduno a Coverciano, ha raggiunto Israele.
Domani martedì 8 ottobre (calcio d'inizio alle 17 ora locale, le 16 italiane) esordirà con i padroni di casa nella prima fase delle qualificazioni al Campionato Europeo.
Sono 18 gli Azzurrini convocati dal tecnico Alessandro Pane per le tre gare in programma, che vedranno l'Italia opposta anche a Liechtenstein (10 ottobre) e Danimarca (13 ottobre).
(CalcioPress.net, 7 ottobre 2013)
Morto il rabbino Ovadia Yossef, una delle personalità religiose più influenti di Israele
Il rabbino Yossef era ricoverato da diversi giorni. Oggi, nell'apprendere che era in punto di morte, il capo dello Stato Shimon Peres si è recato da lui per un estremo saluto
GERUSALEMME, 7 ott 2013 - Il rabbino Ovadia Yossef, leader spirituale degli ebrei sefarditi, uno dei personaggi religiosi più influenti di Israele, è morto oggi nell'ospedale Hadassah di Gerusalemme all'età di 93 anni. Era nato il 23 settembre 1920.
Negli ultimi tre decenni il rabbino Yossef aveva mantenuto un ruolo di spicco sia nel mondo rabbinico - dove era ammirato per la vasta erudizione in materia biblica - sia nel mondo politico, in quanto guida spirituale del partito ortodosso sefardita Shas.
Il rabbino Yossef era ricoverato da diversi giorni. Oggi, nell'apprendere che era in punto di morte, il capo dello Stato Shimon Peres si è recato da lui per un estremo saluto. Un messaggio di cordoglio è stato pubblicato anche dal premier Benyamin Netanyahu. "Era uno dei grandi saggi della nostra generazione", ha affermato.
(RaiNews24, 7 ottobre 2013)
Giovani, nostalgici e idealisti: il ritorno a Berlino dei nuovi ebrei
"Qui non ci sono solo sei milioni di morti, ma anche un sacco di vita ebraica". Opinione diffusa nella comunità israelitica della capitale tedesca, dove è in atto una "contro-diaspora": gli ebrei sono 30mila, un terzo arrivato negli ultimi anni. La maggioranza è laica e dinamica: "Sono ebreo, ma non sono israeliano", dice uno di loro.
di Stefano Citati
"Siamo una nuova specie, non abbiamo radici yiddish, ma siamo qui per trovare il luogo di appartenenza. Sono ebreo, ma non sono israeliano. Per me noi ebrei ci rafforziamo quando siamo minoranza, quando conserviamo la specificità del nostro essere". Zeev Avraham è un corpulento 44enne, genitori iraniani, trasferitosi a Berlino nel 2007. Ha aperto "Sababa" - "che vuol dire 'tutto bene' in arabo, ma è un'espressione che usiamo anche noi" - ristorante mediorientale a Kastanienallee, strada alberata di Prenzlauer Berg, il quartiere dell'ex Berlino Est a ridosso del Muro divenuto dopo l'89 il centro della vita alternativa della capitale riunificata (e ormai imborghesito a scapito dei nuovi quartieri trendy più a est). "Ero venuto per la prima volta nel 2001, a far la festa, come tanti giovani europei, a Berlino. Poi son tornato: è stata un'illuminazione: è stato come sentirmi a Roma o a Gerusalemme per un cattolico. La mia identità è più forte qui: mi sento meno israeliano e più ebreo. E posso mettere in pratica uno dei fondamenti del nostro popolo, se sei una minoranza, devi essere intelligente per emergere".
Tra Prenzlauer Berg e Mitte, il centro-città di Berlino risorgono i simboli e i luoghi della presenza ebraica. La storica sinagoga di Oranienburgerstrasse con la sua cupola dai colori levantini oro e verde, è frequentata da turisti e giovani ebrei - ultra-ortodossi o molto laici - giunti a Berlino per studiare e ritrovare le loro radici. Il rabbino Daniel Alter, malmenato per strada nel 2012, sostiene che vi siano aree "off limits" per gli ebrei: i quartieri di Neukholln e Wedding, dove la maggioranza della popolazione è di origine turca e ritiene che il 20% dei tedeschi resti "latentemente antisemita".
Eppure il comune di Berlino favorisce la contro-diaspora degli ebrei e il ripopolamento dei quartieri abbandonati durante lo sterminio nazista. Nel 1937 nella capitale del III Reich vivevano almeno 150mila ebrei, ridotti a 8.000 nel 1945. Nell'89 erano 6.400 a Ovest e circa 200 censiti a Est. Adesso pare siano almeno 30.000, forse non tutti stanziali, ma in costante aumento. Come Mendel e Gal Titan: il primo un ventenne russo che indossa il classico cappello a larghe falde degli ultra-ortodossi; il secondo israeliano che si è stabilito qui per riannodare i fili della storia familiare: "È un ritorno alle origini: mio nonno è l'unico dei sette fratelli sopravvissuto, e mi ha raccontato tante cose belle di Berlino". "Si ricordano quasi sempre solo i morti - spiegava Zeev - ma c'era tanta vita ebraica qui che va percepita e coltivata".
Tutta la città è disseminata delle pietre d'inciampo che davanti a tanti portoni - come quelli di Sophienstrasse, dietro la grande sinagoga, che conserva intatta l'aria da strada di un villaggio ebraico mitteleuropeo, lo shtetl - riportano i nomi e i destini degli ebrei deportati nei campi di sterminio nazisti. Non è solo Berlino a venir ripopolata dalle nuove generazioni ebraiche. La Frankfurter Allgemeine Zeitung racconta dei villaggi dell'Ucraina, la culla del movimento chassidico (ultra-ortodosso, ndr) che tornano a nuova vita con l'arrivo degli ebrei - più americani che israeliani; un ritorno al futuro che disegna una curva inaspettata della Storia.
(il Fatto Quotidiano, 7 ottobre 2013)
La chiamano "Start Up Nation"
di Gabriele Bauer
Atterrato qualche anno fa all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dopo qualche giorno ho cominciato a seguire il piano che avevo programmato nelle precedenti settimane in Italia. I giorni e le settimane passavano velocemente, e tra lo studio della lingua e la ricerca di lavoro, non si sapeva a cosa dare maggiore priorità. Il lavoro, col tempo, ha avuto la preferenza.
Nel frequentare conventions, incontri organizzati dall'ambasciata italiana, piuttosto che presentazioni organizzate da varie associazioni, e perché no, qualunque festa e altro, avevo sempre occasione di presentarmi e conoscere gente che in Israele o si era trasferita negli anni precedenti, come il sottoscritto, oppure erano "Sabra" (nativi israeliani). Quello che più mi lasciava sorpreso é che mi sono trovato molto spesso di fronte a ragazzi, neanche trentenni, che già avevano avviato la loro start up, e che avevano già ricevuto i fondi per avviare il loro progetto. Di gente ne ho vista tanta, ed oggi, continuo ad incontrarne. E' stupefacente quanti giovanissimi ci sono, laureati nelle diverse discipline informatiche, matematiche, fisiche, mediche, che stanno pianificando l'apertura delle loro start up.
Un paese di poco meno di una decina di milioni di abitanti, ha circa 4800 start up, che attraggono più Venture Capitalist che in qualunque altra nazione. Israele é la nazione che ha più aziende quotate alla borsa di New York confronto qualunque altro stato. L'avvenimento di successo più recente, é l'acquisizione da parte di Google della nota Waze, startup israeliana che ha sviluppato un Gps gratuito per ogni smartphone.
Israele rimane un centro di innovazione assoluta per tante aziende. Recentemente Apple ha aperto due R&D, Teva é una delle più grandi società farmaceutiche al mondo, quotata al NASDAQ, con una capitalizzazione di oltre 40 miliardi di dollari; CheckPoint, nota società informatica, ha una capitalizzazione di 11 miliardi di dollari.
E' vero che in Israele le università sono molto avanzate, e sono tra le migliori del mondo, segue poi l'esperienza militare che ogni cittadino israeliano (uomo o donna) é tenuto a fare. Spesso succede che l'esperienza militare, porta i soldati in congedo a proseguire quanto imparato nel periodo di leva, nelle diverse università. Tra le più rinomate c'é il Technion di Haifa.
Ora, davanti a tutto questo, un nuovo immigrato che si trova davanti a persone che hanno avuto questo background, e a 22 anni sanno già cosa fare, o stanno per finire l'università, lascia alquanto allibiti.
Rimane il fatto che Israele é comunque un paese estremamente dinamico, e gran parte dei ragazzi o delle ragazze che hanno speso la loro leva in reparti speciali dell'esercito, si trovano ad avere delle ottime basi e spunti, per programmare un futuro di successo.
Per noi, o quantomeno, per me, che mi trovo a relazionarmi con queste persone, rimango ogni volta affascinato dalle mille idee che hanno, per la forza che hanno nell'intraprendere il loro obiettivo, e di riflesso, mi invogliano a fare di più.
E' stato scritto, a questo proposito, un libro dal nome Start Up Nation, una presentazione (inglese) puo' essere vista cliccando qui.
(Linkiesta - blog Israele 360 - 7 ottobre 2013)
Si rinsalda l'asse Grecia-Israele
Manovre militari congiunte, strategia comune su giacimenti gas
ATENE, 7 ott - Il primo ministro greco Antonis Samaras, rientrato ieri da una visita ufficiale di sei giorni negli Stati Uniti, ripartirà lunedì alla volta di Israele per prendere parte ai lavori di un Consiglio interministeriale greco-israeliano ad alto livello. Si è appreso intanto che martedì e mercoledì le marine militari e le aviazioni di Grecia e Israele faranno esercitazioni congiunte nel Mediterraneo. A conclusione della sua missione negli Usa, tesa in particolare a sollecitare investimenti nel suo Paese, Samaras ha tenuto un discorso ad un convegno di uomini d'affari greco-americani durante il quale ha anticipato che con le autorità dello Stato ebraico discuterà dei programmi congiunti di Grecia, Israele e Cipro per sfruttare i giacimenti di gas naturale di recente scoperti nel Mediterraneo orientale. Oggi intanto Samaras incontra al Megarò Maximou (il palazzo del governo) numerosi ministri del suo esecutivo che lo metteranno al corrente degli ultimi sviluppi della situazione nel Paese, sia sul fronte dei negoziati con la troika (Ue, Bce e Fmi) per ottenere un'ulteriore tranche di aiuti, sia su quello del recente giro di vite della magistratura contro il partito filo-nazista Chrysi Avgì (Alba Dorata). Nel corso nella sua permanenza in Israele, Samaras avrà colloqui anche con il presidente Shimon Peres e con il patriarca ortodosso di Gerusalemme Theophilos. Il premier greco concluderà la sua visita partecipando a Tel Aviv ad una conferenza organizzata da imprenditori greci e israeliani.
(ANSAmed, 7 ottobre 2013)
Yom Kippur 1973: perché Israele si fece attaccare?
Dopo la guerra dei Sei Giorni, l'attacco arabo dello Yom Kippur. Ecco perché fu deciso e cosa cambiò.
di Stefano Casertano
Il nazionalismo arabo non avrebbe la forma attuale senza la sconfitta di Siria, Giordania ed Egitto durante la guerra dei Sei Giorni nel 1967. Il conflitto di sei anni dopo, quello dello Yom Kippur - il 6 ottobre di quarant'anni fa - venne visto dai paesi arabi come occasione di rivalsa per l'umiliazione subita. I cambiamenti in merito ai territori occupati furono minimi, e soprattutto non è mai stato stabilito con certezza chi abbia vinto e chi abbia perso nel conflitto. In Egitto si celebra ancora oggi questa data come "Giornata delle Forze Armate" ed è festa nazionale. Anche in Siria si festeggia. Israele, da parte sua, conservò tutto ciò che aveva preso nel 1967.
Il conflitto del 1973 iniziò con un attacco egiziano nel Sinai, catturato da Israele sei anni prima. Il presidente Anwar Sadat inviò cinque divisioni per un totale di 100mila soldati, con 1.350 carri armati. La prima difesa, lungo il canale di Suez, era rappresentata da 450 israeliani della Brigata Gersalemme. La linea di difesa fortificata "Bar Lev" fu presa dagli egiziani in due ore, e si aprì uno dei conflitti a più alta intensità consumo di consumo di materiale bellico del Dopoguerra. La Siria intervenne nel Golan, a Nord, e Israele fu sul punto di collassare.
La celebre frase del ministro della difesa Moshe Dayan al premier Golda Meir fu che «il Terzo Tempio sta per cadere». Fu chiesto agli Stati Uniti d'intervenire. È emerso anni dopo che la sera del 24 ottobre il presidente russo Leonid Brezhnev invitò gli Usa ad agire insieme per vigilare sul cessate il fuoco, visto che - secondo Brezhnev - Israele continuava a violarlo. Il capo di staff Alexander Haig assegnò la questione a Henry Kissinger, che allora aveva la doppia carica di Consigliere per la Sicurezza Nazionale e Segretario di Stato. L'abile stratega ritenne Nixon "incapace di prendere decisioni importanti", visto l'impatto nervoso che lo scandalo Watergate stava esercitando sul suo già fragile ego. Kissinger organizzò una riunione dove fu deciso di agire, al solito, "a-la Kissinger": proporre una negoziazione, ma nel frattempo minacciare un intervento militare. La pace fu raggiunta il giorno dopo. Nixon venne lasciato a dormire.
Ma come fu possibile un fallimento di tale portata dell'intelligence israeliana? L'errore iniziale fu una stima fornita da un agente senior del Mossad, Ashraf Marwan, genero del primo presidente egiziano Nasser e uomo d'affari dall'abilità tipica degli uomini di successo del Medio Oriente. Marwan sosteneva che gli egiziani avrebbero pensato a un attacco solo se avessero ricevuto forniture di Mig-23 e Scud dall'Unione Sovietica. Egitto invece attaccò prima di ricevere gli aerei, e prima che gli Scud fossero operativi.
Il processo decisionale israeliano dimostrò tutti i suoi limiti. Sei ore prima dello scoppio del conflitto, il capo di staff delle forze armate David Elazar informò che Marwan aveva cambiato idea, e che un attacco era imminente. Dayan si oppose non solo a un attacco preventivo, ma anche alla chiamata urgente dei riservisti: aveva paura che Israele potesse essere considerato "l'aggressore". Dayan ottenne il benestare di Meir: Israele doveva attendere, nell'iper-confidenza sulle capacità del proprio esercito. Golda Meir e Moshe Dayan ritenevano che la chiamata alle armi potesse "essere graduale", visto che "non era il 1967".
L'attacco arabo fu quindi una sorpresa a metà, aiutata da sei ore di estemporanea e incredibile incompetenza - incredibile soprattutto considerando il calibro dei due grandi leader israeliani, Meir e Dayan. Ci sono state discussioni anche sulla frase di Dayan, quella del "Terzo Tempio", in quanto la parola "tempio" poteva essere usata come codice per "bomba atomica". All'inizio gli Usa erano renitenti all'azione, mentre l'Urss stava organizzando un vivace ponte aereo per rifornire Siria ed Egitto di armi. Dayan considerò per qualche ora l'ipotesi di un attacco, almeno come "dimostrazione di forza" e per render chiaro che Israele non sarebbe scomparso senza trascinare con se i paesi che lo avevano attaccato.
La personalità politica del mondo arabo, umiliata dal conflitto del 1967, trovò qui una forma militare di rivalsa. Non solo Egitto, Siria e Giordania riacquistarono fiducia nella propria macchina militare, ma l'OPEC - per quanto il cartello non fosse esclusivamente arabo - prese a funzionare in maniera credibile, provocando la prima crisi energetica come "vendetta" per il sostegno occidentale a Israele. Dopo il 1973 emerse anche però come la soluzione militare diretta non servisse a nessuna delle parti, e vennero poste le basi per gli accordi di Camp David del 1978, tra Israele ed Egitto, che l'anno successivo avrebbero condotto a un trattato di pace definitivo.
(Linkiesta.it, 6 ottobre 2013)
Netanyahu: Israele è Stato ebraico
GERUSALEMME - I palestinesi devono "riconoscere Israele come Stato ebraico" per arrivare a un vero accordo di pace, ha ribadito oggi il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. "I palestinesi devono rinunciare al loro rifiuto a riconoscere il diritto del popolo ebraico al loro Stato nazionale", ha affermato Netanyahu in un discorso all'università di Bar Ilan, vicino a Tel Aviv.
(ANSA, 6 ottobre 2013)
Israele dice sì al treno anti-Suez
GERUSALEMME - Una commissione inter-ministeriale ha oggi approvato il progetto della costruzione di un lungo tratto di ferrovia fino ad Eilat (Mar Rosso) e gli ha dato nuovo impulso nella determinazione di completare l'opera entro cinque anni. «Abbiamo compiuto un grande passo avanti» ha rilevato il ministro dei trasporti Israel Katz (Likud). «In futuro sarà possibile raggiungere Eliat da Tel Aviv (340 chilometri, ndr) in due ore. In alcuni tratti i terni viaggeranno a 250 chilometri all'ora». Oltre alla speranza di favorire lo sviluppo del turismo, il progetto prevede la costruzione parallela di rotaie anche per treni merci che collegheranno così il porto di Eilat (mar Rosso) con quello di Ashdod (mar Mediterraneo). In questo modo - ha detto in passato il premier Benyamin Netanyahu - Israele appronterà una nuova linea di commercio fra l'Asia e l'Europa, che potrebbe servire da alternativa al Canale di Suez. Di conseguenza, a suo parere, lo status internazionale di Israele sarebbe accresciuto. Il ministro Katz ha respinto in questa occasione le critiche mosse dall'ex capo del Mossad Efraim Halevy secondo cui Israele compie un errore fatale nell'affidare la realizzazione dell' ambizioso progetto a compagnie cinesi: ossia di un Paese «legato anche ai nemici di Israele». Tali compagnie, ha replicato Katz, saranno coinvolte solo nella costruzione, non nella gestione. Israele, ha aggiunto, si è rivolto peraltro anche a compagnie francesi e spagnole.
L'unico ministro che oggi si è espresso contro il progetto è stato Amir Peretz (ambiente) secondo cui la costruzione della ferrovia per Eilat comporta necessariamente l'allargamento del suo porto commerciale, a scapito della prestigiosa barriera corallina. In definitiva, avverte, rischia di ritorcersi contro il turismo. «Una giornata nera per la difesa della natura nel Neghev», lamentano gli ambientalisti. La stampa specializzata, avanza forti dubbi sui ricavi economici di cui Israele potrà realmente beneficiare da questa ferrovia. In particolare dubita che essa rappresenti una alternativa valida a Suez. Ma il governo Netanyahu replica che in ogni caso il progetto avrà effetti benefici per lo sviluppo economico del Neghev: una regione di Israele con un grande potenziale, ancora non sfruttato a sufficienza.
((Il Secolo XIX, 6 ottobre 2013)
Netanyahu condanna l'attacco alla bimba
Il premier dell'Anp non si sottragga alle sue responsabilità
GERUSALEMME, 6 ott - Israele considera "l'odioso" attacco a una bimba di nove anni a Psagot un "fatto molto serio": lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu, osservando il recente aumento nel numero degli "attacchi terroristici". La bimba è stata gravemente ferita da un proiettile ieri sera in un insediamento vicino a Ramallah, in Giudea-Samaria. "Finchè ci sarà un incitamento nei media palestinesi - ha aggiunto - l'Autorità palestinese non può sottrarsi dalle sue responsabilità in questi eventi".
(ANSA, 6 ottobre 2013)
Quattordici arresti per raid antiarabi
GERUSALEMME 6 ott - Nelle recenti settimane la polizia del distretto di Gerusalemme ha arrestato 14 ragazzi ebrei della citta' sospettati di aver operato come gruppo organizzato contro residenti arabi. Lo riportano i media secondo cui i giovani studiano tutti in scuole ebraiche sparse nel paese. Secondo la polizia - citata dai media - i ragazzi sono stati protagonisti di atti di "odio nei confronti degli arabi e di vendetta per attacchi commessi contro ebrei".
(ANSA, 6 ottobre 2013)
Investitori israeliani interessati alla riqualificazione dell'ex Fim di Porto Sant'Elpidio
PORTO SANT'ELPIDIO (FM) - Investitori esteri per affiancare la proprietà e portare a termine la bonifica, poi attuare la riqualificazione dell'ex Fim.
E' l'ultima prospettiva che si affaccia sul romanzo infinito della vecchia fabbrica di concimi e che, si spera, potrebbe imprimere una svolta per scrivere la parola fine su un iter bloccato da più di due anni. Da qualche settimana ormai si vocifera del possibile arrivo di capitali da una società straniera, con cui sono stati avviati contatti e che pare interessata ad investire su Porto Sant'Elpidio.
Si tratterebbe di una compagnia israeliana, la stessa che ha deciso di investire l'anno scorso una cifra vicina ai 100 milioni di euro qualche chilometro più a nord, per il recupero dell'ex Ceramica a Potenza Picena.
Due progetti con diversi punti in comune, quelli tra la cittadina elpidiense e quella maceratese. In entrambi i casi si parte dalla bonifica di un sito industriale dismesso, in entrambi i casi il futuro prospetta qualche centinaio di unità abitative, spazi commerciali e ricettivi ed ampie aree verdi.
Altro particolare non trascurabile, sia il progetto per la Fim che quello per l'ex Ceramica sono stati seguiti dallo stesso studio professionale, quello dell'architetto Filiberto Andreoli. Ma mentre nell'altro caso l'accordo è già stato raggiunto da un anno e mezzo, a Porto Sant'Elpidio siamo ancora nella fase embrionale.
L'intervento di nuovi capitali potrebbe essere determinante per portare a buon fine l'operazione di recupero del sito che si affaccia sul lungomare sud. Un lavoro che ha collezionato ormai ritardi enormi, se si pensa che dall'agosto del 2011 in poi, a parte qualche campionamento di terreno, la bonifica è rimasta completamente ferma.
Gli ulteriori materiali inquinanti rinvenuti nel sottosuolo della vecchia fabbrica, come noto, hanno reso necessaria una variazione del progetto di risanamento del sito. Un cambio che ha comportato anche un sensibile incremento dei costi.
Dalle ultime stime, si sarebbero raggiunti i 14 milioni di euro, quasi il doppio di quanto preventivato, ormai 5 anni fa, quando l'operazione prese il via. Cifre corpose che hanno inciso sui continui rinvii della ripresa del cantiere e difficili da sostenere per i privati, che hanno dovuto riconsiderare tutto il piano economico dell'investimento.
Proprio per questo, l'arrivo di un finanziatore intenzionato ad entrare in società, o a rilevarla, potrebbe fare la differenza. Ma c'è bisogno che ci sia certezza sulle possibilità edificatorie, cosa che dovrà essere frutto di un accordo di programma tra Comune e Provincia.
(CorriereAdriatico.it, 7 ottobre 2013)
Manuela ce l'ha fatta! A Lecco il record di Rewalk
di Silvia Ratti
LECCO - 5 ore 11 minuti e 7 secondi questo il nuovo record del mondo di Manuela Migliaccio sui 10,549 km. Oggi, tra gli applausi di amici, staff medico, autorità e cittadini venuti a sostenerla, ha segnato il nuovo record del mondo, percorrendo un quarto di maratona con l'ausilio di ReWalk, un esoscheletro progettato e prodotto in Israele capace di supportare l'attività di deambulazione di persone con totale impossibilità di controllare il movimento delle gambe.
Manuela Migliaccio - 29 anni, paraplegica da 4 in seguito ad un incidente - ha vinto la sua personale sfida portando a termine il percorso stabilito e battendo il precedente record dall'israeliano Radi Kaiuf.
Ad aspettarla al traguardo in tanti pronti a festeggiare con lei questa impresa che sa di eroico, come ha sottolineato l'Assessore Regionale Antonio Rossi che si è complimentato con Manuela per la determinazione e la forza di volontà. "Non mi aspettavo di fare un tempo così buono - commenta Manuela - sono contentissima e più che soddisfatta".
"Questo risultato è importante per tutti i disabili che non accettano la loro condizione e smettono di vivere - continua - giusto cercare una cura, ma nel frattempo bisogna continuare la propria vita". La Migliaccio ha iniziato il suo allenamento nel luglio dello scorso anno con il supporto di Laura Colombo e Sabrina Basilico, le sue due fisioterapiste, e dello staff medico partendo da percorsi di 5km e alzando la posta fino agli 11 km percorsi oggi. "L'idea della maratona é nata per gioco - spiega l'atleta -, ma i medici mi hanno dato credito e ci siamo accorti che questo è un ottimo modo per sensibilizzare e dimostrare che la speranza esiste". "All'inizio lo facevo solo per me stessa - conclude -, mentre ora mi sento responsabile verso tutti quelli che mi scrivono e che seguendo le mie imprese trovano il coraggio per affrontare la loro condizione, viceversa questo enorme riscontro personale aiuta anche me nei momenti di sconforto che inevitabilmente ci sono". Manuela dedica il record alle sue due fisioterapiste e a Maria Giulia, sua sorella acquisita.
Ai suoi complimenti hanno fatto eco quelli del Prorettore del Polo di Lecco, Marco Bocciolone che ha sottolineato l'importanza della ricerca in questo campo e l'impegno del Politecnico e del Polo di Lecco in particolare nel campo della sanità e della riabilitazione.
Anche una medaglia d'oro alle paraolimpiadi di Pechino di ciclismo su strada, Fabio Triboli, ha sostenuto Manuela con la sua presenza.
Il dott. Franco Molteni, responsabile del Trial Clinico ReWalk in Europa, che ha diretto la formazione di Manuela presso l'Ospedale Valduce Centro di Riabilitazione Villa Beretta di Costa Masnaga, ha voluto condividere questo eccezionale successo con tutto il territorio.
"Lecco è da sempre strato un luogo fertile dove idee, tecnologie e servizio alle persone con differenti abilità trovano un ambiente, strutture e competenze ideali per mettere a frutto innovazioni avanzate uniche in Italia."
"La compresenza e la collaborazione del Politecnico, di Villa Beretta, della Nostra Famiglia, del CNR e della Fondazione Cariplo - aggiunge Vico Valassi, presidente di Univerlecco - rendono la nostra città un centro unico con grandissime potenzialità di crescita in questo settore"
Poi tutta l'attenzione per la protagonista indiscussa di questa straordinaria mattinata che ha espresso tutta la sua gioia e soddisfazione dedicando il suo successo a tutti quelli che l'hanno aiutata, incoraggiata e seguita per tutto questo tempo.
(Lecco News, 7 ottobre 2013)
Stop della compagnia aerea El Al al trasporto di primati per la vivisezione
GEAPRESS - La Corte del Distretto di Tel Aviv ha stabilito martedì scorso che la compagnia aerea di bandiera El Al, non è obbligata a trasportare scimmie per scopi di ricerca. In pratica, commenta Animal Defenders International, un duro colpo per il noto allevamento Mazor. La decisione trae origine da una vicenda legale che aveva visto opporsi la compagnia aerea israeliana ad una precedente decisione.
A quanto pare un regolamento interno della compagnia aerea, ha di fatto distinto tra i trasporti di primati considerabili "positivi" (tra questi quelli di protezione delle specie) ed altri che invece verrebbero vietati, come nel caso della sperimentazione animale. Significativo quanto riferito dalla Corte di Tal Aviv in merito ai precedenti delle ormai numerose compagnie aeree straniere che rifiutano questi trasporti.
E' probabile che sulla decisione della Corte di Tel Aviv, possono avere influito i recenti provvedimenti governativi che hanno in qualche maniera ristretto il campo d'azione dell'allevamento.
In tutto, sempre secondo ADI, nell'allevamento israeliano, sarebbero detenuti 2.000 macachi.
(GeaPress, 6 ottobre 2013)
La lotta degli ebrei neri in Israele
Sono stati discriminati per anni. Ma ora gli etiopi vogliono l'integrazione. E un'agenzia punta a trasformarli in testimonial da spot. Sulla scia della modella di colore vincitrice del Grande Fratello.
di Giovanna Faggionato
Sul fatto di essere ebreo e pure nero, Woody Allen affonderebbe una battuta. E invece per gli ebrei etiopi non c'è mai stato molto da ridere. Arrivati in Israele a migliaia dalla metà degli Anni 80 per scappare alla miseria e alla guerra civile, ancora oggi i 120 mila Falascià (questo il nome del popolo) che risiedono tra Tel Aviv e Gerusalemme sono il segmento più povero e discriminato della società ebraica.
Nel gennaio del 2012 però la prima deputata di origini etiopi, Pnina Tamano-Shata, ha fatto il suo ingresso storico alla Knesset, il parlamento israeliano.
TRA MISS ISRAELE E GRANDE FRATELLO - Il 2013 sembra inoltre portare una nuova ventata di integrazione.
A febbraio Yityish Aynaw, un'altra etiope, è diventata Miss Israele. Ad agosto la modella Tahunia Rubel, anche lei di origini etiopi, ha trionfato nell'edizione locale del Grande Fratello. Dopo la politica, insomma, anche la tivù e la moda hanno portato alla ribalta i neri ebrei.
L'INTEGRAZIONE PASSA DALLA MODA - L'integrazione passa anche da qui. Ne è convinto Yohannes Azanaw, attivista per i diritti degli ebrei etiopi e assistente di Tamano-Shata, che ha deciso di usare come strumento di lotta per l'integrazione un'agenzia di modelle.
Nel 2009 ha fondato la società YaIsrael con l'obiettivo di portare gli ebrei neri sugli schermi della televisione come testimonial pubblicitari. E farli diventare esempi da imitare. Riuscire nell'impresa, per Azanaw non è stato semplice. I neri sono sempre stati gli ultimi tra gli ebrei. La legge del ritorno istituita in Israele nel 1950 consente a chiunque professi la religione ebraica o che abbia nelle vene sangue ebraico (almeno per parte di uno dei quattro nonni) di ottenere la cittadinanza.
Ciononostante, esiste da sempre una gerarchia non scritta tra chi è più o meno gradito. Ai primi posti vengono gli ebrei ashkenaziti dell'Europa dell'Est, poi ci sono i sefarditi dell'Europa meridionale, poi gli ebrei russi che in Israele sono oggi 2 milioni. A ogni ondata migratoria, Israele ha dovuto ridisegnare la propria identità nazionale.
LE DISCRIMINAZIONI DI STATO - Gli ebrei etiopi, secondo l'antico testamento eredi della tribù di Dan, hanno iniziato a migrare verso la Terra promessa solo intorno a metà degli Anni 80. E oggi sono all'ultimo gradino di tutte le statistiche. La metà di loro vive sotto la soglia di povertà. Gli adolescenti denunciano di essere emarginati a scuola; gli adulti al lavoro. E la discriminazione è stata perpetrata sistematicamente anche dallo Stato.
LO SCANDALO DONAZIONI - Nel 2006 le autorità israeliane hanno ammesso di aver scartato per anni le donazioni di sangue degli ebrei etiopi: le sacche venivano gettate per paura che fossero infettate con il virus dell'Hiv.
A dicembre del 2011, dopo lunghe dispute dottrinali, il Gran rabbinato d'Israele, organo supremo dello Stato per gli affari spirituali, ha minacciato di espellere la comunità etiope dall'ortodossia ebraica. Provocando vive proteste da parte dei suoi leader.
I CONTRACCETTIVI OBBLIGATORI - Ma il caso più clamoroso è stato sollevato nel dicembre 2012 da un documentario trasmesso in tivù: 30 donne etiopi hanno accusato l'American joint distribution committee, un'organizzazione governativa che si prende cura dei neoimmigrati, di aver somministrato loro iniezioni di Depo-Provera, un contraccettivo con pesanti effetti collaterali. L'organizzazione spiegò allora che le donne erano state informate. Ma il problema è a monte.
LA BATTAGLIA SULLA NATALITÀ - In un decennio, infatti, il tasso di natalità delle ebree etiopi è calato del 20%.
Il trattamento con il Depo-Provera, previsto dal piano di educazione per il controllo delle nascite, è stato rivolto nel 57% dei casi proprio alla comunità etiope, che rappresenta però solo il 2% degli israeliani: in altre parole, gli ebrei neri sono pochissimi e sono stati quelli maggiormente coinvolti nel controllo delle nascite.
La vicenda ha avuto un'eco mondiale. E per la prima volta, grazie alle pressioni della deputata Tamano-Shata, a gennaio il ministero della Salute ha cambiato le linee guida sul loro tasso di natalità.
«Oggi c'è una speranza che la società israeliana si apra», ha spiegato al quotidiano Haaretz il leader spirituale Semai Elias. «Abbiamo una chance».
LA CAMPAGNA SULLA VERA BELLEZZA DI ISRAELE - Il cambiamento politico è andato di pari passo con quello culturale e sociale.
Quando Azanaw ha fondato l'agenzia di modelle, la strada degli africani di Israele era ancora lunga: in tivù, sulle riviste e nelle pubblicità, i neri ebrei non esistevano. Così Azanaw ha deciso di tentare la strada del marketing. Le ragazze sono arrivate da ogni parte del Paese, ma le agenzie pubblicitarie israeliane non le volevano.
Quando l'attivista bussava alle loro porte, i pubblicitari sorridevano e poi chiudevano ogni spiraglio. «Mi dicevano che il mercato etiope era ristretto: non è razzismo, è che non è il target giusto», ha spiegato al portale Al Monitor.
IL SUCCESSO DI AYNAW - Le cose sono cambiate quando Aynaw, orfana di padre e cresciuta nelle periferie povere di Tel Aviv, è stata incoronata Miss Israele.
La scelta ha destato polemiche e sui social network si sono riversate battute sul colore della sua pelle, ma anche sulle povere origini della sua famiglia: «Poveri parenti, non sanno che ha vinto perché non hanno la televisione», era il tono dei commentatori.
Ma lei, coerente con il suo nome africano che significa «guardare al futuro», ha tirato dritto: «La mia è una storia da Cenerentola», ha raccontato alla stampa poco prima di incontrare il presidente americano Barack Obama durante la sua visita ufficiale in Israele.
LA LOTTA AL RAZZISMO IN TIVÙ - Poi c'è stata la vittoria di Rubel al Grande Fratello, valsa 274 mila dollari.
Ma durante il reality show non sono mancati momenti di tensione: due concorrenti sono stati eliminati per averla insultata per il colore della sua pelle.
Oggi, insomma, la missione del talent scout Azanaw è più facile. Miss Israele potrebbe sdoganare gli ebrei neri su riviste patinate e spot. E per sfruttare l'occasione l'attivista ha deciso di lanciare una nuova campagna intitolata La bellezza di Israele. Sottinteso: la bellezza di Israele è la sua faccia scura.
(Lettera43, 6 ottobre 2013)
Alessandria - Visite guidate questa domenica pomeriggio in Sinagoga
Dopo il grande afflusso di visitatori della Giornata Europea della Cultura Ebraica di domenica 29 settembre, la Sinagoga di Alessandria riapre le sue porte al pubblico questa domenica 6 e domenica 13 ottobre per visite guidate dalle h. 15 alle h. 19 (ultimo accesso alle h. 18.30).
I visitatori potranno ammirare il raccolto tempietto invernale e il suggestivo tempio grande, salvaguardati da un paziente lavoro di restauro non ancora del tutto concluso. La sinagoga è stata edificata nella sua forma attuale tra il 1867 e il 1870, ma la presenza ebraica in città è molto più antica e risale al XV secolo. La visita sarà quindi l'occasione per ripercorrere la storia e la memoria della comunità ebraica di Alessandria: una comunità che, nel corso dei secoli, ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo della città e che è stata brutalmente decimata dalle Leggi razziali e dall'Olocausto nazifascista; una comunità di cui la sinagoga di via Milano costituisce una testimonianza visibile e interessante dal punto di vista architettonico e artistico.
Le visite guidate sono a cura di Società Cooperativa Culture, in collaborazione con la Comunità ebraica di Torino.
La durata media della visita è di circa 30 minuti, il costo della visita è di 3 € a persona e sarà possibile prenotarsi a partire dalle h. 15.00 presentandosi all'ingresso di via Milano n. 7.
(radiogold, 6 ottobre 2013)
Hezbollah ritira parte dei suoi uomini dalla Siria
Per fonti diplomatiche è effetto delle pressioni di Beirut, per il gruppo sciita è mossa tattica
Gli sciiti libanesi di Hezbollah avrebbero cominciato a ritirare parte dei loro combattenti dalla Siria, dove affiancano le truppe del regime di Bashar al-Assad. Lo hanno riferito fonti diplomatiche e di intelligence citate dal 'Times', secondo le quali la mossa e' l'effetto delle pressioni esercitate dall'esecutivo di Beirut, che si e' visto sempre piu' isolato da parte degli altri governi regionali. Secondo le fonti, dei 10mila combattenti di Hezbollah che erano presenti in Siria fino a poco fa, oggi ne restano solo "poche migliaia".
Fonti vicine a Hezbollah hanno ammesso il ritiro parziale, imputandolo tuttavia a motivazioni "tattiche" e non alle pressioni Beirut o di governi stranieri. Il conflitto siriano ha esasperato le tensioni etniche e confessionali in Libano e sono frequenti gli scontri tra sunniti sostenitori dei ribelli anti-Assad e sciiti vicini al regime di Damasco. Lo scorso mese cinque persone sono morte in uno scontro a Baalbek, nell'est del Libano, tra militanti di Hezbollah e alcuni esponenti di clan sunniti.
(Aki, 6 ottobre 2013)
In Egitto piazza Tahrir blindata per le manifestazioni pro Morsi
Annunciate in occasione dell'anniversario della guerra del 1973
CAIRO - Piazza Tahrir blindata dopo le manifestazioni che hanno riportato sangue e violenza Al Cairo e in attesa delle prossime proteste, già annunciate dai sostenitori di Mohamed Morsi.
Video
(TMNews, 5 ottobre 2013)
Bimba ferita da cecchino mentre gioca nel cortile di casa
Secondo la polizia israeliana, il colpo sarebbe stato sparato dalla barriera che separa l'insediamento ebraico dalla città di al-Bireh.
GERUSALEMME - Una bambina israeliana di 9 anni è stata ferita gravemente da un colpo d'arma da fuoco sparato probabilmente da un cecchino che l'ha centrata al torace mentre stava giocando nel cortile di casa. Teatro del dramma è l'insediamento di Psagot, a est di Ramallah. Secondo Micky Rosenfled, portavoce della polizia isralieana, a sparare sarebbe stato un cecchino, appostato da qualche parte nella barriera che separa l'insediamento dalla vicina città di al-Bireh. La polizia israeliana avrebbe trovato delle impronte accanto alla barriera che isola Psagot dal resto della Giudea-Samaria%. Un medico dell'ospedale dove la bambina è ricoverata ha detto che è grave, ma cosciente.
(Fonte: la Repubblica, 5 ottobre 2013)
Napoletana, 29 anni, paraplegica: "Camminerò da sola per 10 Km!"
Era rimasta paralizzata 4 anni fa, dopo essere caduta da una scogliera mentre si trovava in vacanza in Grecia. Ma, grazie al dispositivo israeliano ReWalk, questa ragazza ha ripreso a camminare. E domenica si cimenterà in un nuovo record: superare i 10 km a piedi. L'anno scorso ne aveva già fatti 5. Ecco la sua storia.
Non si è mai arresa Manuela Migliaccio, napoletana, 29 anni, paraplegica da 4. E oggi può tornare a camminare grazie a ReWalk, un esoscheletro di origine Israeliana sperimentato anche in Italia. Domenica cercherà addirittura di battere un record: dopo avere percorso 5 km lo scorso anno, l'obiettivo ora è coprire la distanza di un quarto di maratona e superare i 10 km percorsi qualche mese fa in Israele dal paziente Radi Kaiuf.
Una storia a lieto fine, quindi, ma non per questo semplice. "Manuela aveva una lesione midollare pressoché completa a livello lombare che le aveva reso impossibile muovere le gambe e camminare", spiega il dottor Franco Molteni, primario dell'Ospedale Valduce " Villa Beretta" di Costa Masnaga (in provincia di Lecco), dove si sta sperimentando ReWalk.
La prima sfida per Manuela, dopo l'incidente, fu quella di rimettersi in forze, con un periodo di riabilitazione al Centro Montecatone di Imola. "Dopo poco più di un anno Manuela era tornata in buone condizioni generali e aveva acquisito ottime capacità di muoversi in carrozzina", spiega Molteni. Era dunque arrivato il momento di rischiare di più. "Manuela aveva tutte le caratteristiche giuste per partecipare al nostro protocollo di ricerca con ReWalk - spiega l'esperto - e così, circa due anni fa, abbiamo iniziato il nostro percorso con questo tipo di tecnologia innovativa che consiste in un sistema indossabile che restituisce la possibilità di camminare a persone che non sono in grado di compiere alcun movimento a livello degli arti inferiori ma che hanno un equilibrio del tronco molto buono. Spostando ritmicamente il tronco, infatti, attraverso la tecnologia correlata all'esoscheletro, riescono a trasmettere il movimento ritmico alle gambe, che vengono mosse dai motori inseriti nell'esoscheletro stesso".
I risultati, con Manuela, sono stati ottimi. "Tanto che - spiega Molteni - è stato possibile estendere la sperimentazione dal centro di riabilitazione al contesto domestico". A Manuela, in pratica, è stata affidata una versione dell'esoscheletro da utilizzare nella sua Napoli, dove compie passeggiare di due/tre ore ogni giorno.
In un lasso di tempo brevissimo, Manuela ha raggiunto traguardi che forse neanche lei due anni fa avrebbe potuto immaginare. Dopo un periodo di training, ha prima percorso una minimaratona di 6 km consecutivi e 15 giorni fa ha vinto il campionato italiano di triathlon per persone in carrozzina. Domenica cercherà di battere il record di Radi Kaiuf. "Un po' temerariamente", non nasconde Molteni, che è comunque convinto che Manuela ce la farà.
L'esperto mette però in guardia dalle "false illusioni". "ReWalk è un dispositivo che richiede un'attenta selezione dei pazienti, che devono avere delle specifiche caratteristiche affinché il dispositivo possa funzionare correttamente". La giovane età e le buone condizioni fisiche di Manuela hanno sicuramente contribuito al successo della sperimentazione, "ma - sottolinea Molteni - abbiamo ottenuto ottimi risultati anche in pazienti con oltre 55 anni di età".
(Scienza e Farmaci, 5 ottobre 2013)
Soldati israeliani si addestrano in falso villaggio hezbollah
ELYAKIM - Lo scenario e' da set cinematografico: un falso villaggio del sud del Libano, con alcuni palazzoni, villette con il giardino e una casbah. Ma la recita che vi si svolge e' molto seria. E' qui infatti, nella base militare di Elyakim, che i soldati israeliani si addestrano a quella che potrebbe essere una prossima guerra contro gli Hezbollah libanesi.
Gli strateghi israeliani non temono un attacco dal Libano, ma considerano alto il rischio di incidenti causati dal conflitto siriano che possano degenerare in scontri piu' ampi. A descrivere il potenziale scenario e' un alto ufficiale israeliano: "la Siria passa armi sofisticate agli Hezbollah. Gli Hezbollah cercano di portarle in Libano. Cerchiamo di fermarli. Loro rispondono. Potrebbe accadere domani".
Secondo le stime dell'intelligence israeliana, fra i 2mila e i 4mila uomini del partito sciita libanese combattono in Siria a fianco del regime di Bashar al Assad, pari al 10-15% dei combattenti del "partito di Dio". Inoltre nei 200 villaggi del sud del Libano controllati da Hezbollah si ritiene che vi siano 50-100mila missili a medio e corto raggio, nascosti in garage, cantine, fienili, tunnel sotterranei, ma anche camere da letto. "Se questi missili verranno lanciati- spiega un militare- dovremo andare nei villaggi e trovarli".
(Adnkronos, 5 ottobre 2013)
I sauditi sono così furiosi con Obama che fanno piani con Israele
Incontri segreti tra regni del Golfo e il governo di Gerusalemme per formare una nuova intesa contro Teheran
di Daniele Raineri
La rete israeliana Channel 2 dice che nelle scorse settimane c'è stata una serie di incontri riservati tra Israele e delegati di alto livello dei paesi arabi del Golfo per tentare di formare una nuova intesa e bloccare il programma atomico iraniano. Alla notizia ci sarebbe un'aggiunta da fare ed è questa: "considerato che tanto Washington sta facendo poco per fermare gli iraniani, anzi, sta cedendo alle loro lusinghe diplomatiche". Secondo il report televisivo, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha fatto da supervisore a una serie di "meeting intensi" con questi paesi e un emissario del Golfo è persino arrivato in visita segreta in Israele. E' una svolta finita anche in un passaggio poco notato del discorso alle Nazioni Unite, dove il leader israeliano ha osservato che "la preoccupazione condivisa per il nucleare iraniano ha portato molti vicini arabi a realizzare che Israele non è il loro nemico" e ha alluso alla costruzione di "nuove relazioni".
Gli interlocutori arabi del Golfo sono quasi certamente due: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, con l'aggiunta possibile di Bahrein e Kuwait e forse di altri ancora. Giovedì l'Arabia Saudita ha rinunciato al suo discorso alle Nazioni Unite, per la rabbia causata dall'intesa tra America e Iran e non ha nemmeno consegnato uno statement scritto. Si tratta di nazioni che hanno interrotto tutte le relazioni diplomatiche ufficiali con il governo di Gerusalemme, non ci si può nemmeno entrare se sul passaporto c'è un visto di Israele. L'Arabia Saudita ha un Comitato nazionale per il boicottaggio e le sanzioni contro Israele molto attivo, che due giorni fa ha raccomandato di sciogliere il contratto con la compagnia di sicurezza britannica G4S, perché ha vinto un appalto per sorvegliare la Mecca ma lavora anche in Israele. In realtà, gli israeliani mantengono relazioni con vari stati dell'area - in Qatar c'era anche un ufficio d'interesse, chiuso nel 2009 - ma non ne parlano per non comprometterle. Un'edizione uscita per sbaglio del budget governativo israeliano per il 2013 ha rivelato l'esistenza di un ufficio diplomatico da qualche parte nel Golfo persico tra il 2010 e il 2012, ma poi la voce è stata eliminata.
Israele e i regni sunniti del Golfo sono semplicemente dalla stessa parte per quanto riguarda il dossier iraniano, anche se non possono dirlo esplicitamente, e guardano con estrema diffidenza alla possibilità di un accordo tra Teheran e l'Amministrazione Obama. Il giorno dopo la storica telefonata tra il presidente americano Barack Obama e il presidente iraniano Hassan Rohani, il quotidiano arabo Asharq al Awsat aveva in prima pagina una foto del secondo piegato da una risata irresistibile. Un articolo del Wall Street Journal spiega che i sauditi sono furiosi per il doppio colpo ricevuto dalla Casa Bianca, che hanno da sempre considerato protettrice anche dei loro interessi. Prima la rinuncia all'ultimo minuto allo strike contro il presidente Bashar el Assad in Siria, che ha usato le armi chimiche contro i civili ma se la caverà con un piano di disarmo ancora da realizzare. Poi il nuovo clima possibilista con l'Iran, fatto per ora di materia impalpabile, tweet e telefonate, ma certamente nuovo rispetto al passato. Riad ora intende fare da sé, ignorando se necessario "gli interessi e le speranze americane", dice Mustafa Alani, analista saudita del Gulf Research Center di Ginevra. "E se gli americani si arrabbieranno, sopravviveremo. Stiamo imparando dai loro nemici come si tratta con gli Stati Uniti".
(Il Foglio, 5 ottobre 2013)
Consiglio sicurezza: Israele si candida per il 2019-2020
Israele si candida a un seggio non permanente in Consiglio di Sicurezza per la prima volta dalla nascita dello Stato ebraico.
La candidatura israeliana per il biennio 2019-2020 è stata annunciata dall'ambasciatore Ron Proser, determinato a "fare di tutto per vincere", a dispetto dei molti ostacoli.
Ottenere un seggio non permanente nel massimo organo di governo dell'Onu è un pò una gara di popolarità, un terreno sul quale Israele alle Nazioni Unite non ha mai brillato.
Lo Stato ebraico fa parte dal 2000 del gruppo Paesi dell'Europa occidentale nonostante la collocazione geografica in Medio Oriente perchè le 54 nazioni del gruppo Asia-Pacifico hanno respinto il suo tentativo di entrare. Anche Germania e Belgio si sono candidati per il biennio 2019-2020. Per conquistare il seggio in Consiglio, Israele dovrebbe ottenere una maggioranza dei due terzi nel voto dei 193 membri dell'Assemblea Generale. Contrari in partenza è tuttavia la maggioranza dei 120 non-allineati, mentre di solito, quando l'Assemblea si pronuncia su questioni relative al conflitto con i palestinesi, gli israeliani hanno la peggio.
L'anno scorso 138 nazioni hanno votato per il riconoscimento della Palestina come Stato non membro, malgrado l'ostilità di Israele spalleggiato dagli Usa. Un voto che ha messo in evidenza l'isolamento dello Stato ebraico all'Onu, visto che non più di 41 paesi si sono astenuti e appena 8 hanno detto no.
(swissinfo.ch, 4 ottobre 2013)
Si ritrova dopo settantanni una famiglia di industriali ebrei
ANCONA - Ebrei dalmati emigrati ad Ancona nel '700, nel '900 titolari di una delle principali aziende farmaceutiche italiane, la Russi & C., con le leggi razziali in molti deportati o rifugiati in Svizzera, Usa, Israele e Francia.
Per la prima volta nella storia recente, i discendenti di una delle principali famiglie ebraiche di Ancona, i Russi, discendenti degli 11 figli di Davide Russi e Sara Moscato, si ritrovano oggi ad Ancona.
Molti si incontrano per la prima volta, la gran parte ha saputo dell'esistenza degli altri da un articolo su Vanity Fair di Manuela Vitali Norsa Dviri, scrittrice italo-israeliana nipote di Olga Russi.
Da lì sono partiti i contatti su Facebook e Skype: "anche chi non era iscritto al social network ha deciso di farlo - spiega Giovanna Salmoni, architetto, figlia di Claudio, primo sindaco del dopoguerra ad Ancona -, ed è stato commovente vedere come alcune zie ultranovantenni hanno imparato a navigare sul web per potersi parlare".
Sessanta i discendenti della famiglia Russi. Alcuni sono sempre rimasti ad Ancona, altri durante la guerra e le persecuzioni razziali dovettero trovare accoglienza in altre città se non emigrare all'estero. Oggi arriveranno dagli Stati Uniti, dalla Francia, da Israele e da tutta Italia.
Fra i tanti che si ritroveranno ad Ancona ci sono David Phillip Russi da Lafayette Colorado e Roberta Russi da Parigi discendenti di Vito Russi, Claudia Tesoro da Philadelphia discendente di Annina Russi, la scrittrice Manuela Vitali Norsa Dviri e sua figlia Michal da Tel Aviv nipote di Olga Russi, Alessandro Bedarida da Monaco di Baviera nipote di Rodolfo Russi. E poi parenti da Livorno, Milano, Siena, Roma, Ferrara, Bari.
Abitano ad Ancona e ci saranno anche gli architetti Vittorio e Giovanna Salmoni figli di Claudio Salmoni, partigiano ed ex sindaco repubblicano della città, nonchè nipoti del magistrato Vittorio; Frida Russi moglie di Aldo Russi figlio di Franco con le figlie Manuela e Simona; Gabriele Tedeschi ricercatore all'università Politecnica delle Marche e Susanna negoziante in corso Mazzini discendenti rispettivamente di Rodolfo e Vito Russi.
Il gruppo visita la Sinagoga, il cimitero ebraico storico e quello attuale, le case del centro dove hanno vissuto gli avi e alcuni Russi abitano tutt'oggi. Nel pomeriggio, la Guardia di finanza apre la caserma di Lungomare Vanvitelli a questo insolito gruppo di "turisti": nel cortile c'è tutto quel che resta della mitica azienda di famiglia, distrutta poco dopo la deportazione a Meppen Versen di Giacomo e Sergio Russi: un arco di pietra bianca a sesto acuto, per gli anconetani "l'arco dei Russi".
(Corriere Adriatico.it, 5 ottobre 2013)
Il "tesoro" ebraico della Biblioteca Palatina di Parma su internet
Importante accordo con la National Library of Israel, che consentirà la pubblicazione on-line dei manoscritti della biblioteca, una delle collezioni più importanti al mondo. Tra i documenti una delle copie più antiche della "Mishnah", un testo di diritto ebraico.
di Raffaele Castagno
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| I gioielli ebraici
della Palatina |
Fu Dave Ben Gurion, uno dei padri della patria d'Israele, a lanciare l'idea una cinquantina di anni fa di fotografare i manoscritti ebraici sparsi per il mondo. Una scelta che oggi tocca anche la Biblioteca Palatina di Parma, che vanta una delle più importanti collezioni mondiali di manoscritti ebraici, come ha spiegato il direttore della National Library of Israel Aviad Stollman. Il "tesoro" annovera ben 1.600 codici, che grazie a una convenzione con l'istituzione israeliana, saranno digitalizzati e resi disponibili in rete e all'interno della Biblioteca nazionale a Gerusalemme. Il progetto dovrebbe essere completato entro 18 mesi.
I codici in possesso della Palatina coprono un arco cronologico che va dal Medioevo fino al 19vesimo secolo. Più di 1.400 di questi manoscritti provengono dalla collezione privata del biblista Giovanni Bernardo De Rossi (1742-1831), un prete cattolico, studioso delle sacre scritture che collezionava codici per le sue ricerche private. Acquistò gran parte dei manoscritti da ebrei italiani. Dopo l'attribuzione del Ducato parmense a Maria Luigia d'Austria, nel 1816 la stessa Duchessa acquistò la collezione De Rossi per la Biblioteca.
Tra i testi famosi troviamo la "Mishnah", uno dei più importanti documenti del diritto ebraico. La copia in possesso della Palatina è una delle più antiche esistenti al mondo. Fu redatta molto probabilmente nel Medioevo, nell'11esimo secolo. Altri 200 manoscritti presentano un ricco apparato di miniature, già oggetto di studi da parte di numerosi storici dell'arte della comunità ebraica.
Per la Palatina, da tempo chiusa a causa di un corto circuito, si tratta di un prestigioso riconoscimento. Lo confermano le parole di elogio da parte del direttore della Biblioteca nazionale di Gerusalemme, che ha definito la collaborazione con l'istituzione parmigiana un "momento epocale", grazie al quale studiosi e ricercatori di tutto il mondo potranno esaminare codici importanti. Stollman ha espresso un personale ringraziamento alla direttrice Sabina Magrini. "La dottoressa Magrini non solo ha promosso la ricerca scientifica degli studi ebraici, ma ha anche contribuito alla conservazione del patrimonio culturale italiano".
Parole che testimoniano quanto la Palatina sia importante per Parma. A riguardo arriva l'appello di Adele Quintavalla e Mariangela Rinaldi, rispettivamente Presidente e Past President dell'Associazione mogli dei medici della nostra città. "Restituire al pubblico la Biblioteca Palatina è fondamentale, non solo per Parma ma per l'intero mondo della cultura".
Così mercoledì nove ottobre è stata organizzata una raccolta benefica di fondi, per rendere più vicina la riapertura dell'istituzione, con una sfilata della stilista parmigiana Alessandra Alpi. L'evento si terrà al Circolo di Lettura. I modelli sono quelli della stagione autunno/inverno 2014, già presentati a Milano. In passerella parmigiane e amiche della stilista. Magrini: "E' bellissimo che sia stato organizzato un evento di questo tipo. E' importante mantenere viva l'attenzione e lavorare insieme per riaprire parte dei locali all'inizio del 2014. C'è molto lavoro da fare ma, grazie ai contributi pubblici e a quelli dei privati, ci si avvicina sempre di più alla cifra necessaria per la messa a punto del nuovo impianto elettrico e ulteriori lavori di adeguamento. Vedere che Parma risponde al richiamo della Palatina e comprende l'urgenza della riapertura dimostra quanto questo luogo sia profondamente parte del tessuto della città.
"Inoltre - prosegue - la Biblioteca ha già beneficiato dell'impegno dell'Associazione mogli dei medici che ha provveduto a restaurare un magnifico testo del 1440, lo Statuto dell'almo collegio medico parmense. Per prendere parte all'evento è possibile ritirare gli inviti al negozio Passato Prossimo di Borgo Angelo Mazza.
(la Repubblica - Parma, 5 ottobre 2013)
Scontro Israele-Ue sulla circoncisione
di Massimo Lomonaco
GERUSALEMME - La circoncisione torna a essere terreno di scontro. Con un intervento durissimo, il ministero degli Esteri israeliano ha chiesto oggi al Consiglio d'Europa di ritirare la risoluzione che, l'altro ieri, ha definito la pratica - tradizionale per i neonati fra gli ebrei e i musulmani osservanti - "una violazione dell'integrità fisica dei bambini". Arrivando a metterla sullo stesso piano delle mutilazioni genitali femminili.
Il documento - approvato dall'assemblea parlamentare a Strasburgo con 77 sì, 19 no e 12 astensioni - chiede agli Stati membri di proibire entrambe le pratiche, a meno che non si abbia più di 15 anni e non si sia dato il proprio consenso.
Un'indicazione messa sotto accusa da Israele, secondo cui essa "getta una macchia morale sul Consiglio d'Europa e alimenta l'odio e le tendenze razzistiche in Europa". Sembra quindi riproporsi lo scontro avvenuto nel luglio 2012 con la decisione della Corte d'appello di Colonia in Germania di definire "illegali" le circoncisioni dei neonati. Un fatto che suscitò la forte opposizione, rabbinato in testa, della comunità ebraica tedesca, ma anche di quella islamica. Oltre ad una forte reazione in Israele. La vicenda finì dopo mesi di polemiche roventi con una legge - varata su sollecitazione della cancelliera Angela Merkel - votata a stragrande maggioranza del parlamento tedesco che confermò, nel rispetto di alcune prescrizioni e cautele sanitarie, la legittimità della circoncisione per motivi religiosi in Germania.
La pratica, ha ricordato oggi il ministero degli Esteri israeliano, "è un'antica tradizione di due importanti religioni, l'Ebraismo e l'Islam, ed è anche comune in alcuni circoli cristiani". Comparare questa tradizione, ha aggiunto, alla "barbarica pratica delle mutilazioni genitali femminili è, al meglio, ignoranza abissale o, al peggio, diffamazione e odio antireligioso". Israele ha poi contestato che la circoncisione - secondo quanto sostenuto nella risoluzione del Consiglio d'Europa - "faccia male alla salute e al corpo dei giovani". "È falso - ha tuonato - e non in linea con tutte le evidenze scientifiche. È vero il contrario, invece".
A questo proposito ha citato un rapporto pubblicato dall'Accademia Americana di Pediatria nell'agosto 2012 che "mostra i benefici della circoncisione sulla salute dei maschi neonati".
Per questo, il ministero degli Esteri ha bollato la decisione come "un intollerabile attacco sia a una rispettabile e antica tradizione, alla base della cultura europea, sia alla moderna scienza medica e ai suoi risultati".
Contro il Consiglio d'Europa si è schierato anche il parlamentare laburista Nachman Shai, capo della delegazione israeliana nell'istituzione europea: "Una decisione - ha detto - che rivela ignoranza e una fondamentale incomprensione di una delle più sacre usanze dell'ebraismo". La risoluzione, ha sollecitato Shai, sia "fermata qui e subito".
(ANSAmed, 4 ottobre 2013)
«Portano via tutti gli ebrei!»
di Anna Foa
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Due ebrei romani durante il rastrellamento
del 1943 |
«Al numero 13 di via del Portico d'Ottavia, a fianco dei ruderi romani del Portico, c'è un vecchio portone di legno che si apre inaspettatamente su un vasto cortile circondato da logge rette da colonne antiche, simile più ad un chiostro che ad un cortile d'abitazione. In questa casa ho abitato per 12 anni». Ecco subito spiegato il titolo che Anna Foa ha dato al suo nuovo libro: «Portico d'Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del '43» (Laterza, pp. 168, euro 15), da cui riprendiamo in questa pagina un brano. Ma è anche «un tentativo di riparazione, un modo per far pace con quelle persone che il 16 ottobre 1943 hanno sceso dietro la spinta dei fucili tedeschi quei gradini che tante volte 60 anni dopo ho salito inconsapevole».
Era festa, era sabato ma era anche l'ultimo giorno di Sukkot. Più tardi alcuni sarebbero andati in sinagoga, non al Tempio grande, che era stato chiuso per precauzione dalla Comunità, ma al Tempio spagnolo, sotto al Tempio grande, dove le funzioni continuavano a tenersi regolarmente. La razzia cominciò poco prima delle 5.30. Il quartiere del vecchio ghetto era circondato, c'erano pattuglie tedesche di guardia a tutte le vie di accesso. Nella Casa di via del Portico d'Ottavia 13, i nazisti non ebbero neanche il bisogno di sfondare il portoncino di legno, che era tutto sfasciato e restava sempre aperto. Entrarono nel cortile a passi pesanti e cominciarono a bussare alle porte col calcio del fucile, là al piano terra, dove si aprivano gli appartamenti e i magazzini. Poi, dal momento che nessuno andava loro ad aprire, sfondarono una porta a spallate, sempre gridando ordini nel vuoto. A quel punto, tutti gli abitanti della Casa erano svegli e tendevano un orecchio atterrito a quanto stava succedendo al piano terra. Una donna che abitava al secondo piano, Cesira Limentani, non perse altro tempo, prese la figlia di 5 anni, avvolse in una copertina il bambino più piccolo, che aveva solo 6 mesi, e insieme ad alcuni dei suoi vicini saltò fuori dalla finestra, verso il retro. Il salto era basso, e riuscirono a fuggire, sottraendosi ai posti di blocco dei tedeschi. Più tardi, trovarono rifugio in un istituto religioso vicino al Gazometro. La donna non credeva davvero che avrebbero preso anche loro, le donne con le creature, ma non si era fermata troppo a pensare e, quando aveva sentito il fracasso della porta sfondata e gli ordini rauchi dei tedeschi, era scappata via subito, d'istinto, con i bambini. E questo salvò loro la vita.
Scrupolosamente, gradino dopo gradino, i nazisti salirono le larghe scale di marmo consunte della Casa, memoria di antichi splendori, fermandosi ad ogni porta senza tralasciarne nessuna. Questo dette ad alcuni degli abitanti il tempo di fuggire. La Casa era piena di anfratti e corridoi, che consentivano di scappare dal retro senza essere visti. Alcuni, pochi però, si erano già allontanati nei giorni precedenti. In tutto, quel giorno furono catturati nella Casa 35 ebrei. Molti altri abitanti della Casa, 14 in tutto, furono presi nel corso dei mesi successivi e ben 6 di loro furono assassinati alle Fosse Ardeatine nel marzo del 1944. Per una sola casa, sia pur grande come quella, fra 90 e cento abitanti, non era certo poco. Intanto, mentre i nazisti salivano le scale delle case lì intorno e bussavano perentori alle porte, tutti si erano svegliati. «All'improvviso la Piazza esplose. Sentimmo ordini in tedesco, grida, imprecazioni», scrive Settimia Spizzichino, l'unica donna superstite della deportazione del 16 ottobre, allora una ragazza di 22 anni che abitava con la famiglia subito lì dietro, a via della Reginella. Voci e grida risuonavano alte dalle finestre degli edifici, gli uni avvisavano i parenti o gli amici nella casa accanto di scappare. «Prendono gli ebrei, prendono tutti», si gridava da ogni parte. Le donne si affacciavano alle finestre degli ultimi piani, mentre già i nazisti entravano nelle case sottostanti. Chi ci riusciva, prendeva le scale facendo finta di niente, come fece la famiglia Fatucci che abitava all'ultimo piano della Casa: dopo aver fatto fuggire i figli maschi dai tetti, i genitori di mezza età e le due figlie adolescenti scesero le scale senza voltarsi indietro.
Si era ormai capito che i tedeschi non si limitavano ad arrestare gli uomini in età da lavoro, ma prendevano tutti, proprio tutti, dai vecchi ai neonati. Che cosa ne avrebbero fatto poi, nessuno lo sapeva. Come non sapevano che i tedeschi stavano facendo lo stesso in tutta Roma, che in quello stesso momento ogni edificio della città in cui abitavano ebrei risuonava delle stesse grida e degli stessi passi. I nazisti avevano in mano gli elenchi di tutti gli ebrei di Roma, uno per uno, completi di indirizzo. Avevano diviso la città in 26 zone "operative" e in ognuna di esse si sviluppava contemporaneamente la razzia, che aveva lo scopo di arrestare la maggior parte degli ebrei presenti in quel momento in città, fra italiani e stranieri oltre tredicimila. In realtà ne presero molti di meno, poco più di mille una volta rilasciati i "misti", un sostanziale fallimento nell'ottica nazista, che il rapporto ufficiale di Kappler attribuisce sia al numero insufficiente degli uomini impegnati nell'azione sia «all'atteggiamento di resistenza passiva, e in alcuni casi individuali di aiuto attivo, della popolazione». Talvolta i tedeschi chiesero al portiere o ad altri inquilini dove potevano trovare quei signori là dell'elenco, alla cui porta avevano invano suonato. E ci fu chi, come il colonnello Guido Terracina, incontrò i nazisti mentre scendeva le scale per scappare e chiese loro in tedesco cosa stesse succedendo, lesse il suo nome sul loro elenco e rispose, con un gran sangue freddo, che quel signore non si vedeva dall'estate passata, che si diceva che fosse sfollato altrove.
E continuò a scendere le scale, dopo aver salutato cortesemente i tedeschi. Ma per farlo bisognava sapere il tedesco e abitare in una casa, come quella dove abitava Terracina, in via Sannio, dove non vivessero solo ebrei. Gli uomini impegnati nell'operazione erano in tutto 365, 5 compagnie dell'esercito e della polizia di sicurezza guidate da un reparto specializzato nella caccia all'ebreo formato da 14 ufficiali e sottufficiali e 30 soldati, comandati dal capitano Theodor Dannecker, uno stretto collaboratore di Eichmann, che avrebbe successivamente cooperato con lui nella deportazione degli ebrei ungheresi. Due o tre giorni prima del 16 ottobre arrivò anche il reparto speciale di Dannecker, che si acquartierò al Collegio Militare, sulla Lungara, dove poi sarebbero stati radunati gli ebrei razziati. Stranamente, non abbiamo nessuna fotografia della razzia del 16 ottobre. Eppure, sappiamo che era usanza dei nazisti prendere immagini delle loro azioni. I nazisti potrebbero aver preferito non documentare questa azione, farla passare sotto silenzio. È forse questo un altro indizio delle esitazioni tedesche di fronte alla deportazione degli ebrei romani proprio «sotto le finestre del papa»? O si tratta di un caso, e le foto c'erano e sono state successivamente smarrite?
(Avvenire.it, 4 ottobre 2013)
Roma - A lezione di Kasherut nel tempio di Adriano
di Sara Moresco
Kasher o non Kasher: questo è il dilemma. Mercoledì scorso, nel tardo pomeriggio, si è svolto un incontro dal tema "Kosher a Roma" a Piazza di Pietra, nel tempio di Adriano. Adriano nel 135 tentò di sradicare l'ebraismo considerandolo la causa delle continue ribellioni, proibì la Torah e mise a morte gli studiosi. Gerusalemme prese il nome di Aelia Capitolina e agli ebrei venne vietato l'accesso. Ironia della sorte ieri proprio nel suo tempio si è parlato della simbologia della Kasherut e della tradizione ebraica. Sandro Di Casto ideatore del progetto insieme a Stefano Caviglia, ha ricordato che dietro alle tradizionali ricette giudaico romanesche c'è un mondo affascinante racchiuso nella simbologia e nella lingua ebraica. Trentadue sono i denti e trentadue sono le vie per arrivare alla sapienza. Cibo, machal in ebraico, porta la stessa radice di malach, angelo.
Il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni ha sottolineato l'importanza che il cibo ha per un ebreo. Adamo peccò nel Gan Eden. La trasgressione, sulla quale si è sviluppata una lunga esegesi, fu di tipo alimentare. Il vasto argomento dell'alimentazione Kasher può essere sintetizzato in: animali permessi e animali proibiti, macellazione rituale e divieto di mangiare alimenti di carne e latticini insieme. Ma la domanda più ricorrente è: "Perché?". A partire dai semplici curiosi fino ad arrivare agli studiosi di antropologia culturale e agli stessi ebrei, tutti si pongono la stessa domanda. Le risposte sono vaste, dalle più semplici alle più assurde. Gli ebrei osservanti si basano sulla presenza delle regole nella Torah, alcuni credono nell'igiene del cibo Kasher, ma qualcun altro contesta perché sarebbe riduttivo fare della Torah un manuale di igiene. Che la Kasherut sia stata istituita per distinguere il popolo ebraico dagli altri popoli, non è da escludere. Serve forse per educare il popolo? Ovviamente le strade perseguibili sono molte.
Il maiale è il cibo proibito per eccellenza. Ed anche qui si scatenano montagne di domande dalla difficile risposta. Si crede che sia un animale sporco e quindi non sano, che il suo mantenimento, non cibandosi di erba, è costoso. Oppure c'è la teoria che sia sinonimo di ipocrisia: gli ebrei mangiano animali con lo zoccolo spaccato e ruminanti. Ma attenzione, "non è tutt'oro quel che luccica", il maiale apparentemente ha lo zoccolo spaccato, ma non è ruminante. Per questo è considerato ingannevole.
L'iniziativa è stata presa dall''Azienda Romana Mercati in collaborazione con l'Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, l'Archivio Storico e il Centro di Cultura della Comunità Ebraica di Roma per onorare una tradizione che attira i palati più curiosi. Nonostante tutte le persecuzioni, i prezzi alti del cibo Kasher, la cucina giudaico romanesca è ben salda e chi non ha avuto il piacere di assaggiarla, non sa che si perde.
(Comunità Ebraica di Roma, 4 ottobre 2013)
Adrenalina, ironia e poesia: com'è viva Tel Aviv
Festival di danza da Israele tra surreale e quotidiano. Dagli interni introspettivi alle gag ironiche e irriverenti: fin dal primo spettacolo si coglie il mix di un'intensa creatività
Fin dal suo primo giorno, nel 1948, Israele ha vorticosamente danzato invadendo festosa le strade di Tel Aviv per abbracciare, con il linguaggio del corpo, lo Stato nascente al ritmo della «hora», ballo popolare che intreccia cultura europea e araba. Dagli anni 60 in poi, ha continuato a danzare, rivelando il suo volto più intellettuale attraverso le compagnie «storiche» di modern e di contemporaneo (in primis, la Batsheva e il Kibbutz) che hanno scavato nella memoria dolorosa dell'Olocausto e aperto un varco ai propri figli, giovani autori come Hofesh Schecter, Itzik Galili ed Emanuel Gat che sono oggi acclamati in Europa per la capacità di svelare, nell'astrazione della trama coreografica, l'anima ebraica stretta tra rabbia, emotività, sensualità e di liberarla in un respiro universale.
SPETTACOLI E WORKSHOP - Ecco ora bussare alle porte di Milano i figli dei figli di Israele nel nuovissimo festival «Energie da Tel Aviv. Il gesto oltre la parola» presentato ieri da Andrée Ruth Shammah insieme a Stefano Lucchini, presidente di Eni USA (partner dell'iniziativa) e a Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione Italia -Israele per la cultura e le arti. Il progetto, curato da Gianni Morelenbaum Gualberto, andrà in scena da giovedì 10 al 17 ottobre nella sala di via Pierlombardo e avrà un proseguimento nel mese di maggio con workshop tenuti dagli stessi autori invitati. «Con i suoi 65 anni Israele regge il confronto con gli Stati Uniti, per il melting pot della sua cultura e per la capacità di guardare al futuro. La danza è uno specchio di questa intensa creatività», afferma Morelenbaum, che ha selezionato decine di gruppi emergenti e già affermati.
DEBUTTO CON GOLDFISH - Filo rosso del festival il mix di adrenalina, ironia e poesia che si colgono dal primo spettacolo che inaugura il festival, da giovedì 10 a sabato 12: «Gold fish», debutto italiano, firmato in tandem da Inbal Pinto e Avshalom Pollak, coppia attiva fin dai primi anni 90 con un gruppo al quale ha regalato lavori in bilico tra fantasia surreale e quotidianità. Sul tema anche «Two room apartment», dal 14 al 16, duetto maschile ideato e interpretato da Niv Sheinfeld e Oren Laor che rivedono un pezzo dell'87 di Liat Dror e Nir Ben Gal (coppia con la quale aveva esordito a 23 anni Emanuel Gat): compagni di vita e d'arte, i performer indagano i limiti angusti di due spazi attigui, metafora di frontiere emotive e psicologiche.
UMORISMO E IRRIVERENZA - Più scanzonato e irriverente è il gruppo-rivelazione Tziporela Worldwide (13-14 ottobre) che mescola gag ad acrobazia, satira e nonsense in un approccio innovativo al teatro che, secondo il «Jerusalem Post», «ha cambiato la scena teatrale israeliana». La battaglia quotidiana delle donne nella giungla umana è il tema sviluppato nel dittico «Red fields» e «The feast» (15 e 16 ottobre) da Sharon Vazanna, olandese cresciuta in Israele, già danzatrice della Kibbuts Contemporary Dance Company e dello svedese Cullberg e poi collaboratrice di William Forsythe e di Jacopo Godani. Il finale di «Energie da Tel Aviv», il 17 ottobre, sterzerà verso la musica con il concerto del Layla B'Canaan Ensemble in collaborazione con gli «Aperitivi» del Manzoni: in un programma che attraversa il repertorio israeliano, svettano tra i musicisti del gruppo Talya Solan, vocalist, e Jean-Louis Matinier virtuoso della fisarmonica, famoso come spalla di Juliette Gréco, Anouar Brahem, Renaud Garcia-Fons.
(Corriere della Sera, 4 ottobre 2013)
Due israeliani su tre favorevoli ad azioni militari contro l'Iran
GERUSALEMME, 4 ott. - In Israele quasi due persone su tre, il 65,6%, sono favorevoli ad azioni militari contro l'Iran per fermarne il discusso programma nucleare: e' quanto emerge da un sondaggio commissionato dal quotidiano filo-governativ 'HaYom'. Una maggioranza ancora piu' ampia, l'84 per cento, ritiene che il regime degli ayatollah non abbia alcuna intenzione di rinunciare a dotarsi di armi atomiche. Valutato positivamente da oltre la meta' degli interpellati, il 51,4 per cento, il recente discorso pronunciato davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal premier Benjamin Netanyahu .
(la Repubblica, 4 ottobre 2013)
Ferramonti, il campo sospeso
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Il campo di concentramento Ferramonti - Anno 1942 |
Fu il più grande campo di internamento allestito dai fascisti in Italia con l'entrata in guerra a fianco
della Germania. Per oltre tre anni residenza forzata per migliaia di ebrei, apolidi, slavi e oppositori del regime, Ferramonti di Tarsia è il perno attorno cui ruota il documentario "Ferramonti: il campo sospeso" di Cristian Calabretta. Dal giugno 1940, mese di apertura del campo, fino alla liberazione datata settembre 1943: a prendere forma sono ricordi e situazioni attraverso la viva voce di alcuni internati. Tra gli altri Jakob Klein, 97 anni, che alla sua detenzione a Ferramonti ha dedicato un commovente intervento pronunciato in occasione dell'iniziativa For Ferramonti 70X25 svoltasi in aprile al centro Pitigliani di Roma.
Ed è proprio Roma, nella prestigiosa cornice della Sala della Promoteca del Campidoglio, ad accogliere la presentazione del lavoro di Calabretta. Appuntamento lunedì 7 ottobre alle 10.30. Tra gli ospiti il ministro per l'Integrazione Cecile Kyenge, invitata in Campidoglio dal presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma Leone Paserman. Un segnale d'attenzione molto forte in un momento in cui, spiega Paserman, "i temi dell'integrazione e delle libertà individuali tornano sempre più drammaticamente d'attualità".
Chiamati ad intervenire anche Gianfranco Bartalotta (Università Roma Tre), Costantino Di Sante (Istituto Storico Pesaro Urbino) e il parlamentare Ernesto Magorno.
(Notiziario Ucei, 4 ottobre 2013)
Israele ha chiesto al Consiglio d'Europa di revocare la decisione sulla circoncisione
Il Ministero degli Esteri israeliano: La risoluzione alimenta il razzismo
GERUSALEMME - Israele ha chiesto al Consiglio d'Europa di revocare la risoluzione che ha adottato contro la circoncisione. Lo ha detto il ministero degli Esteri, secondo il quale il provvedimento "alimenta l'odio e le tendenze razzistiche in Europa".
La circoncisione - ha sottolineato il ministero degli Esteri israeliano - è "un'antica tradizione di due importanti religioni, l'ebraismo e l'Islam, ed è anche comune in alcuni circoli cristiani". Comparare questa tradizione - ha aggiunto - alla "barbarica pratica delle mutilazioni genitali femminili è, al meglio, un'ignoranza abissale o, al peggio, diffamazione e odio antireligioso".
Affermare poi - ha osservato il ministero - che la circoncisione "faccia male alla salute e al corpo dei giovani è falso e non in linea con qualsiasi evidenza scientifica. E' vero il contrario, invece. Per esempio un rapporto ufficiale pubblicato dall'Accademia Americana di Pediatria nell'agosto del 2012 mostra i benefici della circoncisione alla salute dei maschi neonati".
La risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa è un "intollerabile attacco sia alla rispettabile e antica tradizione che risiede alla base della cultura europea sia alla moderna scienza medica e ai suoi risultati".
Una risoluzione - ha concluso il ministero - che "getta una macchia morale sul Consiglio d'Europa e alimenta l'odio e le tendenze razzistiche in Europa".
(ANSAmed, 4 ottobre 2013)
Più bella di una star: Gerusalemme, città dello spirito
di Leonard Berberi
Più che sulla sceneggiatura, dicono gli autori, hanno dovuto faticare sui permessi. Imparando a destreggiarsi tra ostacoli burocratici, rivalità culturali e politiche, leader religiosi e vertici militari, esponenti della comunità e non. Per dire: fare le riprese aeree sulla Città vecchia - no-fly zone per eccellenza - ha richiesto il via libera delle forze armate israeliane. Un tipo di nulla osta che non veniva dato da almeno vent'anni. Ma alla fine, dopo più di cinque anni di lavoro, eccolo, il risultato: un film-documentario, interamente girato con cineprese dotate di tecnologia per gli schermi Imax (quelli con la definizione più alta del mondo) e in uno dei posti più esclusivi, misteriosi e tormentati: Gerusalemme. E proprio «Gerusalemme» è il titolo dell'opera distribuita dal National Geographic Entertainment (vedi il trailer) e narrata dall'attore inglese Benedict Cumberbatch. Le carrellate e le riprese mozzafiato ci accompagnano tra le stradine della Città vecchia, al Muro del pianto, nella Via Dolorosa e nella Moschea di Al-Aqsa.
I luoghi simbolo per ebrei, cristiani e musulmani. Sopra e nei sotterranei. Nei giorni normali e in quelli di festa. Tanto che, per esempio, per accedere in molti edifici è stato necessario convincere i leader religiosi. Alla base della pellicola la vita di tre ragazze - un'ebrea, una musulmana e una cristiana - e la loro giornata tipo in una delle città più antiche del pianeta.
Prima di accendere le telecamere, i produttori hanno comprato spazi sui giornali e in tv per spiegare ai gerosolimitani - in inglese, ebraico e arabo - che di lì a poco avrebbero visto strane attrezzature svolazzare ad altezza uomo. «È stato tutto complicato», ha spiegato alla Jewish Telegraphic Agency Taran Davies, uno dei produttori. «Anche le normali riprese, quelle fatte semplicemente su un treppiede, sono state difficili da realizzare».
Tra le cose più ostiche, ricordano gli autori, le scene dall'alto sul Muro del pianto. Per installare la «giraffa» sopra alle teste di migliaia di pellegrini è stato necessario avere l'autorizzazione delle sei autorità - politiche, militari e religiose - che hanno voce in capitolo sull'area.
E nemmeno sul fronte islamico le cose sono state poi così semplici. «Le maggiori difficoltà le abbiamo avute per fare le riprese all'interno della Spianata delle Moschee. Abbiamo dovuto chiedere il permesso all'autorità musulmana che gestisce l'area, al ministero degli Affari religiosi in Giordania e alle forze di sicurezza israeliane».
Perché un film su Gerusalemme? «Non per ragioni politiche o religiose - ha chiarito Daniel Ferguson, un altro produttore -, ma per ragioni culturali: vogliamo promuovere la comprensione e mettere in discussione le convinzioni di ebrei, musulmani e cristiani. Vogliamo offrire un altro punto di vista». E non è un caso, forse, che alle tre grandi religioni monoteiste, nel documentario, è stato dedicato lo stesso, identico tempo.
(Corriere della Sera, 4 ottobre 2013)
Live from Tel Aviv
Concerti live, festival e rave nel deserto del Negev più il lusso inaspettato di Tel Aviv. Nuova capitale della movida nel Mediterraneo.
Israele, il paese "adolescente", ricco, rumoroso e sempre al passo con le nuove tecnologie, che non riesce a smettere di far parlare di sé, alla stregua di una egocentrica starlette, su quotidiani e riviste patinate, ha appena finito di festeggiare l'inizio dell'anno nuovo nel calendario ebraico. E questo 5.774 è arrivato assieme a tanta tanta musica. Per una volta non c'è da preoccuparsi dei conflitti che da sempre affliggono questa "sacra" terra e gli occhi di tutti sono puntati sul sound....
(Vogue, 4 ottobre 2013)
La "canzone di Teheran" non incanta i sauditi
Vertice italo-saudita a Roma per celebrare gli 80 anni delle relazioni diplomatiche fra i due paesi. "Da qualche tempo da Teheran arriva una nuova canzone
abbiamo sentito gli iraniani dire cose nuove, un ritornello sul desiderio di migliorare le relazioni con i paesi vicini e sulla scena mondiale: ma bisogna vedere se dalle parole passiamo ai fatti". Non ha avuto nessun imbarazzo il ministro degli Esteri saudita Saud Al Feisal ad affrontare il tema delle nuove aperture, dei nuovi discorsi che il presidente iraniano Rohani ha iniziato a intonare ormai da qualche settimana. A Roma Italia e Arabia Saudita hanno discusso molte questioni bilaterali, innanzitutto la possibilità di nuova collaborazione economica. I temi politici principali sono stati innanzitutto il possibile nuovo corso iraniano e naturalmente la guerra in Siria.
L'Arabia Saudita è l'avversario storico della Repubblica islamica nell'area del Golfo. L a possibilità che gli iraniani arrivino a costruirsi la bomba nucleare letteralmente terrorizza i principi della casa saudita. Il principe Feisal è molto scettico quando deve commentare le "aperture" del nuovo leader iraniano: "Bisogna vedere se passiamo dalle parole ai fatti: se così sarà, sarà un bene, se sono solo parole, allora non inciderà sul panorama geo-politico regionale e internazionale".
Sulla Siria il principe è stato molto duro: "Questa guerra civile è il peggiore disastro di questo secolo e la comunità internazionale non può permettersi di stare a guardare. Il Paese si sta distruggendo, il popolo viene ucciso e il mondo si chiede cosa fare. Non possiamo lasciare andare avanti questi massacri per mano di un governo che ha voluto uccidere chiunque esprimesse una voglia di cambiamento". Per i sauditi ci sono due possibilità: "Muoversi sullo scenario mondiale con risoluzioni efficaci del Consiglio di sicurezza" oppure "aiutare l'Esercito siriano libero a difendersi, ma è inaccettabile stare a guardare". Loro, l'Arabia Saudita, hanno già deciso che visto che l'Onu è bloccata da tempo l'unica reazione possibile è quella di armare i ribelli.
E' di ieri la notizia secondo cui l'Arabia Saudita in Siria sarebbe riuscita a riunire 43 gruppi di miliziani salafiti per contrastare l'avanzata dei gruppi legati ad Al Qaeda. La nuova formazione, ribattezzata "L'Esercito dell'Islam", è guidata dal saudita Zahran Alloush e sarebbe attiva nella zona di Damasco. In questa partita inter-islamica governi come quello italiano (e la stessa amministrazione americana) ormai da mesi hanno capito che è davvero difficile capire da che parte schierarsi.
(la Repubblica, 4 ottobre 2013)
Netanyahu: "Risponderei a una telefonata di Rohani"
Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu sarebbe disposto a rispondere a una telefonata da parte del presidente iraniano Hassan Rohani, se questi chiamassi. "Darei il benvenuto a un telefonata di Rohani", ha detto Netanyahu a Piers Morgan della Cnn in una intervista in onda in prima serata negli Usa. Il commento di Netanyahu è stato anticipato da Morgan.
(L'Unione Sarda, 4 ottobre 2013)
Quarant'anni fa la guerra del Kippur e il crollo dei miti
La generazione che combatté è ancora sotto trauma
di Aldo Baquis
Quarant'anni dopo, la guerra del Kippur e' in Israele una cicatrice non rimarginata. Fra quanti vi presero parte, molti ammettono che essa torna ancora a visitarli negli incubi notturni. Tutti ricordano quel 6 ottobre 1973 quando le sinagoghe si erano riempite per il digiuno del Kippur: una solennita' che non doveva essere turbata in alcun modo. Ragion per cui quel giorno le stazioni radio tacevano, fatta eccezione per una piccola emittente pacifista che trasmetteva musica leggera da una navicella in acque internazionali e che per prima informo' di sviluppi allarmanti sul terreno. Erano le 2 del pomeriggio quando le sirene di allarme si misero ad ululare e le jeep militari sciamarono nelle strade delle citta' deserte per richiamare i riservisti, setacciando le sinagoghe e passando di palazzo in palazzo: il telefono in casa era ancora un lusso di pochi.
Ma nelle ore critiche seguenti, necessarie ai riservisti per correre al fronte, gli eserciti di Siria ed Egitto, con uno spettacolare attacco a tenaglia, avevano gia' registrato successi eclatanti nelle alture del Golan e sul canale di Suez. Col blitz speravano di recuperare l'orgoglio nazionale e almeno in parte le terre perdute nel 1967, nella guerra dei sei giorni. La linea Bar-Lev - una catena di decine di fortini israeliani a ridosso del canale - era alla merce' dell'artiglieria egiziana, mentre velivoli egiziani compivano centinaia di incursioni in un Sinai tornato ad essere terra di battaglia, sei anni dopo la occupazione israeliana.
Solo a guerra guerra finita la popolazione di Israele avrebbe compreso - dai racconti dei riservisti - la reale drammaticita' di quei momenti. Solo allora avrebbe saputo che i blindati siriani erano lanciati verso il lago di Tiberiade e che nei fortini di Bar-Lev i militari israeliani venivano uccisi come mosche, oppure catturati. Che sul Canale soldati diciottenni singhiozzavano nelle ultime comunicazioni radio, e che a distanza i superiori li ascoltavano impotenti. Dove erano, si domandavano inquieti gli israeliani, i Grandi della Patria? Dove era Golda Meir, la premier laburista di acciaio che affrontava senza peli sulla lingua i potenti della Terra, che ancora di recente aveva detto: ''La nostra situazione non e' mai stata cosi' buona''? Dove era il ministro della difesa Moshe Dayan, che pur con un occhio solo sembrava saper scrutare il futuro meglio di chiunque altro? Segui' un'orgia di sangue. Grazie anche ad un provvidenziale ponte aereo militare ordinato da Richard Nixon, Israele riusci' a ribaltare la situazione: prima sul Golan, poi nel Sinai dove lo spericolato ed indisciplinato gen. Ariel Sharon si mise in luce guidando unita' israeliane oltre Suez, addentrandosi nel continente africano.
Quando a fine ottobre Usa e Urss imposero ai rispettivi alleati il cessate il fuoco, l'esercito israeliano era quasi alle porte di Damasco e a 100 chilometri dal Cairo. Il bilancio dei militari uccisi, israeliani ed arabi, era di 23 mila: mille caduti al giorno. Militarmente, Israele aveva superato l'esame: ma era quella una ''vittoria''? A posteriori si puo' affermare che, nella politica israeliana, la guerra del Kippur rappresento' uno spartiacque.
Fu allora che mossero i primi passi - con tesi politiche opposte - gli extraparlamentari di Peace Now e Gush Emunim, il movimento nazional-religioso dei coloni. Sulla scia di manifestazioni popolari, fischiata in un cimitero militare, Golda Meir getto' la spugna trascinando con se' nella polvere anche Dayan. Il loro mito si era spezzato. Tre anni dopo (1977) il nazionalista Menachem Begin (Likud) avrebbe sancito il declino storico dei laburisti conquistando a sorpresa il potere. Nel 1978 avrebbe firmato storici accordi di pace proprio col promotore della Guerra del Kippur, il presidente egiziano Anwar Sadat. Anche questi avrebbe sorpreso il mondo passando dalla sfera sovietica a quella americana. Evento epocale nella Storia di Israele, la guerra del Kippur e' quasi assente nella letteratura e nel cinema.
Quel conflitto, affermano i ricercatori, fece riaffiorare negli israeliani un senso di insicurezza atavica legato anche alla Shoah. Le conquiste del 1967 si erano rivelate fragili. A pesare sulla Nazione furono l'alto prezzo di sangue, i prigionieri, i dispersi. Da qui, secondo alcuni ricercatori, il trauma nazionale la cui sedimentazione e la cui metabolizzazione hanno necessitato decenni. Nel cinema l'unico film di rilievo e' 'Kippur' di Amos Gitai (2000). Nella letteratura quella guerra drammatica non trova ancora spazio adeguato. Ne parlarono con efficacia Amnon Dankner ('Berman, perche' me l'hai fatto?', 1982) e Haim Sabato ('Aggiustando i periscopi', 1999). Piu' di recente quella guerra ha avuto una drammatica presenza anche in un romanzo di David Grossman ('A un cerbiatto somiglia il mio amore'), dove uno dei personaggi sarebbe stato marchiato in maniera indelebile dalla prigionia in Egitto.
(ANSA, 3 ottobre 2013)
L'Antitrust israeliana contro Google: "Con l'acquisizione di Waze è monopolio"
L'autorità per la concorrenza di Israele preoccupata per la fusione per l'acquisto dell'applicazione gps gratuita. Dopo il via libera dell'FTC americana scatta l'indagine dell'Antitrust israeliana sull'acquisizione che vale un miliardo di dollari".
di Maria Chiara Furlo'
Il matrimonio tra Google e Waze non convince Israele. Aleggiano nuovi sospetti di concorrenza sleale sull'acquisizione dell'applicazione di mappe stradali online, che conta 50 milioni di utenti in tutto il mondo, da parte del colosso di Mountain View. Quattro mesi dopo l'operazione di acquisto, quasi contemporaneamente al via libera della Federal Trade Commission, si apre un'indagine da parte dell'omologa Autorità antitrust israeliana, preoccupata della gestione monopolistica del settore delle navigazione stradale online.
Un miliardo di dollari. Questa la cifra con cui lo scorso 11 giugno Google, sbaragliando sia Apple che Facebook, ha comprato l'applicazione gps gratuita (sviluppata nel 2007 dalla startup israeliana Waze Mobile), diffusa a livello globale perché in grado di offrire aggiornamenti reali sul traffico e su tutto quello che avviene nelle strade segnalate grazie ai commenti degli stessi utenti. Tutto in pieno stile crowdsourcing, il modello di business a cui fanno sempre più riferimento le startup e che fa crescere un progetto imprenditoriale grazie agli interventi della comunità di riferimento sul web. La parte operativa di Waze Mobile, che conta un centinaio di dipendenti tra Stati Uniti e Israele, per ora, resterà distaccata da Google e manterrà la sede in Israele.
Waze era già stata chiamata in causa per aver pesantemente contribuito alla crisi dei navigatori satellitari di serie, troppo costosi e poco efficienti se messi a confronto con un'applicazione gratuita che si aggiorna costantemente grazie alla stessa community di utilizzatori. Questa volta il problema è differente. Google non è semplicemente l'acquirente di questa società, ma ne è anche il maggior concorrente se si pensa al servizio di mappe online offerto da Google Maps, la piattaforma di cartine geografiche digitali più adoperata su internet e utilizzabile sui sopporti mobili come smartphone e tablet.
Il problema della creazione di un monopolio è stato immediatamente sollevato dalla Federal Trade Commission. L'Authority per la concorrenza statunitense aveva aperto un'indagine qualche giorno dopo la notizia dell'acquisto, insospettita dal fatto che Google stesse comprando l'unico competitor nel mercato delle mappe online, senza sottoporre l'operazione al suo giudizio. Dietro l'azione, il sospetto che Google avesse comprato Waze solo per impedire ad Apple e Facebook di farle concorrenza su un settore per lei così centrale e in cui le altre due società avrebbero potuto in questo modo espandersi più velocemente. Google ha puntato così su una strategia di difesa in modo da rallentare soprattutto la crescita del social network guidato da Mark Zuckerberg, che avrebbe fatto volentieri tesoro della ghiotta community portata in dote da Waze.
Ieri, secondo quanto diffuso dall'agenzia internazionale Bloomberg la FTC avrebbe chiuso la propria inchiesta decidendo di non andare avanti contro Google per mancanza di estremi, la società californiana avrebbe evitato un'eventuale sanzione o il blocco dell'operazione anche grazie alla clausola che mantiene indipendente la parte operativa con sede in Israele.
Contemporaneamente, però, la partita si è spostata in Israele, dove proprio per questo motivo, si è aperta un'indagine da parte dell'Autorità Antitrust israeliana preoccupata dai potenziali problemi di posizione dominante nel suo territorio, dove naturalmente l'app di origine israeliana è molto diffusa. L'Authority ha inviato una lettera a Google Israele e agli amministratori delegati della società che ha sviluppato l'app Waze, chiedendo di poter esaminare tutti i documenti relativi alla acquisizione.
Non è ancora del tutto salva, quindi, quella che per la storia di Google è la quarta operazione più importante, dopo l'acquisto di Motorola Mobility, avvenuto a maggio del 2012 per 12,5 miliardi di dollari, quello di DoubleClick, società di servizi internet comprata nel 2007 per 3,1 miliardi di dollari e quello di YouTube nel 2006 per 1,65 miliardi di dollari.
(la Repubblica, 3 ottobre 2013)
Israele non crede alla "aperture" pro-Usa di Teheran
Non è piaciuto per nulla a Israele ed a Beniamin Netanyahu il colloquio fra il presidente americano Barack Obama e il suo omologo iraniano Hassan Rohani.
All'Onu il premier israeliano ha ripetuto come, secondo lui, Teheran punti solo a guadagnare tempo per dotarsi di armi atomiche. Arrivando a dire che lo Stato di Israele farà di tutto per difendersi dalle minacce. Anche da solo.
Diplomaticamente paciosa la risposta di Rohani: "Non credo ci potessimo attendere un'altra reazione. Questo dimostra che andiamo nella giusta direzione. Dobbiamo continuare".
L'opinione pubblica israeliana e la stampa sostengono il premier. Troppo fresche ancora nella memoria, le dichiarazioni violente dell'ex presidente Ahmadinedjad che aveva promesso di cancellare Israele dalla carta geografica.
Dice un israeliano: "Non sono un grande estimatore di Netanyahu, ma il suo discorso è stato perfetto. Sono stato abituato a fare da me nella vita. Quindi, se dovremo difenderci da soli, lo faremo".
A contribuire a mutare la strategia di Teheran verso "il grande satana americano", c'è anche la crisi economica interna, che potrebbe travolgere la repubblica islamica. Israele però, non è intenzionato ad abbassare la guardia.
(euronews, 3 ottobre 2013)
L'Unione Europea crede a Rouhani. Israele è isolato
di Stefano Magni
C'era da attenderselo. L'Unione Europea, per bocca dei suoi diplomatici, propone di alleggerire le sanzioni all'Iran e di permettere al regime di Teheran di completare pure il suo programma di arricchimento dell'uranio. Si parla di produrre materiale utile (uranio arricchito) per la costruzione di bombe atomiche. Quasi un decennio di braccio di ferro contro il programma atomico devono portare a questo appeasement? In Iran non è cambiato nulla, nemmeno con l'elezione del nuovo presidente Rouhani.
Resta la preoccupazione per l'ostilità contro Israele, che l'attuale capo di governo di Teheran definisce "una ferita da mendare". Resta la sua intenzione di portare avanti il programma atomico, arricchimento dell'uranio compreso. Eppure
"Io credo che se l'Iran dimostra che quel che sta facendo è pacifico - dichiara il ministro degli Esteri lituano (la Lituania è presidente di turno dell'Ue) Linas Linkevicius - lo possa continuare a fare". Si riferisce al programma nucleare ovviamente. Dunque, c'è da pensare che, nei prossimi negoziati, lo stop all'arricchimento dell'uranio non sia più una condizione richiesta dalle democrazie occidentali.
C'è molta cautela pubblica per dichiarare questa svolta. Ma le dichiarazioni di Linkevicius e fonti diplomatiche lo confermano: l'Ue porrà meno vincoli, accetterà che l'Iran porti a termine un programma "limitato" e conceda più spazio alle ispezioni dell'Onu. Quel che è cambiato, in Iran, è solo l'atteggiamento. Ahmadinejad, con la sua retorica incendiaria, faceva paura a tutti. Rouhani, con i suoi modi garbati, dà speranza. Ma è possibile che ai governi dell'Unione Europea e degli Stati Uniti basti un semplice cambiamento di immagine? Evidentemente sì. Ma anche perché (a questo punto è lecito ipotizzarlo) non sono mai stati convinti della necessità di prevenire l'atomica iraniana.
In primo luogo, l'opzione militare è sempre stata sventolata sulla carta, ma mai presa in considerazione nella pratica. Quando non hai la possibilità o la volontà di usare la forza per far rispettare i patti, tanto vale dar ragione alla controparte. È una regola antica quanto la stessa diplomazia. Nel lunghissimo braccio di ferro con l'Iran, c'era solo una nazione disponibile a usare la forza, alla mala parata: Israele. Ma questa nazione non ha mai avuto, né ha tuttora, i mezzi necessari per lanciare, da sola, un eventuale attacco preventivo.
Sia George W. Bush che Barack Obama non hanno mai dato "luce verde" a Israele per un attacco. Né si sono mai dichiarati disponibili a sostenerlo. Senza la minaccia concreta della forza (che nessuno ha mai voluto usare) non c'è alcuna possibilità di esercitare un'azione diplomatica determinata. Non a caso, l'Iran è stato rallentato nel suo programma nucleare, con sanzioni e sabotaggi più o meno dichiarati, ma mai fermato. Oggi appare a un passo dalla sua prima bomba atomica. Se l'Ue e, tutto sommato, anche gli stessi Usa, non avevano intenzione di fermare l'Iran, allora perché hanno condotto un braccio di ferro quasi decennale? Perché, evidentemente, non avevano altra scelta.
Un Ahmadinejad che negava l'Olocausto e parlava esplicitamente di distruzione di Israele, non poteva rimanere impunito. Ma basta un Rouhani per far emergere le vere intenzioni: lasciare libero l'Iran di completare il suo programma nucleare. Poi sarà quel che sarà. Netanyahu, che agli occhi dell'opinione pubblica occidentale appare come un "falco", dunque screditato, è ormai l'unico che avverte che il nuovo presidente è "un lupo travestito da agnello". Il premier israeliano, all'Onu, ha ricordato che sin dalla rivoluzione islamica del 1979, in Iran, "i presidenti si sono alternati. Alcuni di essi erano considerati moderati, altri falchi.
Ma tutti hanno servito lo stesso regime, lo stesso credo estremista. Il presidente Rouhani, come tutti i presidenti arrivati al governo prima di lui, è un fedele servitore del suo regime". Considerando che, agli occhi del regime iraniano e della sua dottrina religiosa, Israele è e resta il "piccolo Satana", Netanyahu si dice pronto a difendersi, anche con la forza, anche da solo se necessario. Difficile che lo possa fare, senza il sostegno internazionale. Ma almeno ci proverà.
(L'Opinione, 3 ottobre 2013)
Olanda - Merci dagli insediamenti senza etichetta: tutto Made in Israel
Lo ha assicurato il premier Rutte che vuole evitare in questo modo campagne di boicottaggio. Peres: "L'Ue elimini le restrizioni ai finanziamenti nei territori contesi, rendono difficili i negoziati"
Nessuna etichettatura che segnali i prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani in territorio Palestinese. L'Olanda è contraria all'idea che è in discussione nell'Ue e già in atto in Paesi come Gran Bretagna, Danimarca e Sudafrica, e continuerà a imporre soltanto la dicitura Made in Israel. È quanto ha assicurato il primo ministro del Paese, Mark Rutte, durante l'incontro con il Presidente israeliano Simon Peres a cui ha anche garantito che i Paesi Bassi si oppongono a ogni boicottaggio di Israele.
All'inizio di quest'anno il Ministro degli Esteri olandese, Frans Timmermans, aveva affermato che i prodotti provenienti dalla Cisgiordania, Golan e Gerusalemme Est non potevano avere l'etichetta "Made in Israele" per tutelare e informare i consumatori. Ma Rutte ha corretto il tiro e ha anche affermato di stare "lavorando all'interno dell'Unione europea per raggiungere un consenso", e "trovare una soluzione che non danneggi il processo di pace" per quanto riguarda il provvedimento comunitario che vieta a Bruxelles di sostenere economicamente qualsiasi progetto israeliano che si svolga negli insediamenti, in quanto queste si trovano all'interno dei confini Palestinesi pre-1967, e sono per tanto considerati illegali dal diritto internazionale. La decisione, che scatenò le aspre polemiche di Tel Aviv, non è mai stata digerita dal governo di Benjamin Netanyahu che continua a fare pressione perché l'Ue faccia dietro front rispetto al provvedimento.
Da parte sua Peres ha ringraziato Rutte dicendo che "l'Europa, come Israele, capisce che il conflitto israelo-palestinese sarà risolto solo attraverso i negoziati e il dialogo, non attraverso sanzioni". Il presidente ha affermato di essere sicuro che l'Europa non abbia intenzione di "rendere i negoziati più difficili", ma che se si proseguirà con le sanzioni e i divieti di finanziamento degli insediamenti "l'effetto sarà questo".
(EuNews.it, 3 ottobre 2013)
Israele: meglio antipatici che morti
Negli Stati Uniti è in atto una vera e propria campagna di stampa tesa a denigrare le parole pronunciate dal Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, alle Nazioni Unite. Netanyahu ha invitato il mondo a non credere alle parole di Hassan Rohani e ha detto che Israele è pronto a difendersi anche da solo dal rischio esistenziale rappresentato dal nucleare iraniano.
Le reazioni della stampa di sinistra vicina a Obama, primo fra tutti il New York Times, è stata veemente e in alcuni tratti persino offensiva. Netanyahu è stato accusato di essere una specie di guerrafondaio irresponsabile che esagera sul rischio rappresentato dal nucleare iraniano, che non vede l'ora di menar le mani insieme ai suoi alleati americani al Congresso. In molti negli USA credono alle parole di Rohani, forse più per coprire la vigliaccheria del Presidente Obama piuttosto che per reale convinzione. Resta il fatto però che dalla "operazione simpatia" di Hassan Rohani si è passati alla "operazione antipatia" dedicata a Benjamin Netanyahu colpevole solo di aver sbattuto in faccia al mondo la realtà iraniana....
(Right Reporters, 3 ottobre 2013)
Il boicottaggio anti-israeliano evapora via
Massiccia manifestazione di protesta, qualche giorno fa, nel Regno Unito, nei confronti della israeliana SodaStream, che commercializza il suo fortunato apparecchio per la carbonazione domestica delle bevande in tutto il mondo; Italia compresa. La società israeliana, con sede legale nei pressi dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, e 13 impianti di produzione in tutto il mondo, è stata al centro dei rumor di borsa qualche mese fa, quando si è vociferato un interesse del colosso statunitense PepsiCo per la maggioranza del capitale. A quanto pare non se n'é fatto più niente, ma le ire dei fanatici del movimento BDS non si sono placate.
Oggetto del contendere lo stabilimento situato a Maale Adumim, ad est della famosa Linea Verde, che da' lavoro a circa 900 palestinesi (fonte: Wikipedia), ben felici di essere occupati in una azienda nota per il suo impegno ambientalista... e per le generose retribuzioni. Ma cadeva alla fine di settembre il primo anniversario del punto vendita EcoStream di Brighton, non lontano da Londra; per cui per i fanatici del movimento BDS urgeva l'obbligo di dare prova della loro esistenza....
(Il Borghesino, 3 ottobre 2013)
Alla luce i segreti di un cimitero ebraico dimenticato per secoli
di Mattia Cialini
Esiste un luogo a Monte San Savino (AR), in località Campaccio, rimasto dimenticato per troppo tempo. Un antico sepolcreto ebraico, recuperato nel corso degli ultimi anni. Molto impegno è stato profuso da Jack Arbib, un ingegnere aeronautico nato in Libia e residente in Israele. E che, transitando in Valdichiana, si è appassionato alle vicende della comunità ebraica di Monte San Savino, di cui è attestata la presenza a cavallo del XVII e XVIII secolo e scomparsa a seguito dei moti del Viva Maria nel 1799. Comunità che - tra l'altro - ha dato i natali a Salomone Fiorentino, primo poeta ebreo di rilievo della letteratura italiana.
E proprio il cimitero ebraico, da poco riscoperto, sarà al centro di uno studio - in fase di elaborazione - da parte di Jack Arbib e del professor Mauro Perani, docente di lingua e letteratura ebraica all'università di Bologna. Un lavoro che riguarderà una quarantina di lapidi riportate alla luce, di cui sono state analizzate le iscrizioni. Uno studio complesso che permetterà, nelle intenzioni dei ricercatori, anche di ricostruire le genealogie delle famiglie ebraiche savinesi di 300-400 anni fa.
L'annuncio è stato dato domenica scorsa, a Monte San Savino, dai due studiosi in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, giunta alla quattordicesima edizione, quest'anno incentrata sul tema "Ebraismo e natura".
Nel corso della giornata è stata portata a termine anche un'iniziativa dall'alto contenuto simbolico. In piazza Vittorio Veneto, è stato piantato un albero come segno di amicizia e rispetto dell'ambiente, un gesto promosso dalla Fondazione Kkl Italia Onlus, del Comune di Monte San Savino e dell'Associazione Culturale Salomon Fiorentino, alla presenza del sindaco savinese Margherita Scarpellini. Non un albero qualsiasi, ma un cedro del Libano. Il legno con il quale, secondo la Bibbia, sarebbero state realizzate le travi del tempio di Re Salomone.
(Arezzo Notizie, 2 ottobre 2013)
Il Meis racconta gli ebrei di Ferrara
Dal Medioevo all'emancipazione: sette secoli di di vita ebraica a Ferrara, un appassionante cammino di conoscenza che è oggi portato all'attenzione del pubblico da una grande mostra, intitolata "Ebrei a Ferrara, ebrei di Ferrara", che si inaugura questo pomeriggio alle 18.30 al Museo dell'ebraismo italiano e della Shoah. Un nuovo significativo capitolo nell'iter che porterà il Meis a dimora facendone, nei prossimi anni, un punto di riferimento per studiosi e appassionati di ebraismo da tutto il mondo.
Parallelamente, l'avvio dei lavori di un prestigioso convegno internazionale in due giorni al Museo di Casa Romei. Il contributo culturale, economico e sociale degli ebrei ferraresi come filo conduttore della prima sessione di interventi presieduta in mattinata da Anna Esposito. Ad intervenire Silvia Superbi, Michele Luzzati, Elisabetta Traniello, Susana Bastos Mateus e Francesca Mattei.
I lavori, presieduti da Marina Caffiero, riprenderanno nel pomeriggio con gli interventi Stefano Arieti ("Etica e pratica clinica fra XVI e XVII secolo: Amato Lusitano e Jacob Zahalon"), Laura Graziani Secchieri ("In casa d'Amadio Sacerdoti Mondovì: lui medesimo d'anni 35". Il censimento del ghetto di Ferrara del 1692"), Keoma Ambrogio ("Vecchie città ed edilizia nuova", il contributo di Ciro Contini nel panorama dell'Urbanistica dei primi del Novecento") e Lucio Scardino ("Oltre le Mura. Arrigo Minerbi, scultore ebreo ferrarese tra Vittoriale e Vaticano").
La terza sessione, in programma domani mattina e moderata Pier Cesare Ioly Zorattini, avrà invece come protagonisti Luca Baraldi ("Sguardi dall'interno. La predicazione di Mordekhay Dato tra 'bona raccolta' e 'mala compania'), rav Luciano Caro ("Fermenti kabalistici a Ferrara durante il rabbinato di Isacco Lampronti"), Andrea Faoro ("La casa dei catecumeni di Ferrara. XVI-XVII secolo"), Andrea Yaakov Lattes ("La vertenza tra la Comunità ebraica di Ferrara e la Casa dei Catecumeni sulla tassa retroattiva per il periodo napoleonico) e Mauro Perani ("I cimiteri ebraici di Ferrara. Vicende e studio di una formidabile fonte storica, genealogica, letteraria e poetica").
Conclusione, nel pomeriggio, con le riflessioni di Laura Brazzo ("Ferrara, 'crocevia' dell'ebraismo italiano nell'età liberale. Le carte Leone e Felice di Leone Ravenna dell'archivio della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano") e Antonella Guarnieri ("Matilde Bassani tra antifascismo, Resistenza e impegno sociale: una vita 'felice' dedicata agli altri") e un intervento del presidente della Fondazione Meis Riccardo Calimani. A seguire un concerto di musiche ebraiche eseguite dalla corale Vittore Veneziani.
(Notiziario Ucei, 3 ottobre 2013)
Tunisia - Ennahda accusata di legami con terroristi salafiti
Dal comitato di difesa per omicidi esponenti opposizione
TUNISI, 2 ott - Un terremoto mediatico si è abbattuto, oggi, sul partito islamico di governo Ennahda accusato di legami con il movimento salafita Ansar al Sharia, messo fuori legge per terrorismo dal governo tunisino. Nel corso di una conferenza stampa dai toni molto tesi, Taîeb Aguili, che fa parte del comitato di difesa per Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, i due esponenti dell'opposizione assassinati nei mesi scorsi, presentando prove documentali (tra cui filmati e fotografie) ha detto che dietro i due omicidi e dietro molti altri atti di violenza in Tunisia c'è Ansar al Sharia. Movimento con il quale esponenti di Ennahda avrebbero avuto solidi contatti anche nella fase di organizzazione di altri assassini politici.
Aguili, poi, ha rivelato che i salafiti tunisini sono legati ad un gruppo armato libico, comandato da Abdel Hakim Belhadj, definito come "vicino" ad Ennahda, aggiungendo che tre esponenti di Ansar al Sharia (Abou Iyadh, capo del gruppo; Kamel Kadhkadhi, accusato di essere l'esecutore dell'omicidio Belaid, e Mohamed Aouadi) hanno fatto molti viaggi in Libia per addestrarsi in campi militari jihadisti.
Uno dei massimi rappresentanti di Ennahda, Samir Dilou, ha respinto con sdegno le accuse di essere in contatto con il libico Belhadj, ma è stato inchiodato da una fotografia che lo ritrae accanto al presunto capo jihadista. Voci non ancora confermate riferiscono che Ennahda, dopo la conferenza stampa di Aguili, ha convocato con procedura d'urgenza il suo ufficio politico.
(ANSAmed, 2 ottobre 2013)
Netanyahu all'Onu: Rohani mente
di Fiamma Nirenstein
Ha camminato sul sottile filo della verità e della diplomazia Benjamin Netanyahu ieri all'Onu: di fronte a lui, un'assemblea che non aveva voglia di sentire suonare la sveglia del premier israeliano preferendo credere nei sorrisi del presidente iraniano Rohani. Dopo l'incontro con Obama, Netanyahu lo ha assecondato almeno dicendo che desidererebbe la strada diplomatica, e anche credere a Rohani. Ma poi ha sparato una raffica di ragioni per non credergli affatto: attentati in 26 città site nei cinque continenti, violazioni dei diritti umani, bugie sull'arricchimento dell'uranio e sulle testate balistiche per trasportare l'arma atomica, citazioni di tutti gli inghippi inventati per acquistare tempo, stesso obiettivo che Rohani sta perseguendo oggi: vuole una situazione di quiete per proseguire il programma atomico e anche che cadano le sanzioni che uccidono la sua economia. Le tre intenzioni di Israele sono scritte nella pietra: pressare l'Iran con le sanzioni finché non si vedono risultati concreti (e qui Obama è di opinione diversa) e niente piccoli accordi: si deve arrivare all'eliminazione di tutto il programma nucleare. Se del caso, Bibi ha scandito, Israele si leverà contro il nucleare iraniano anche con mezzi militari, e lo farà persino da solo perché sa che il fanatismo degli ayatollah è una minaccia reale per tutti. Alla fine ha ricordato come suo nonno, in Europa, fu aggredito, ferito, gettato per terra da un gruppo di antisemiti e disse: «Che vergogna, il figlio dei Maccabei giace nel fango senza la possibilità di difendersi». Poi, immigrò in Israele.
(il Giornale, 2 ottobre 2013)
Arriva lo smartphone kasher: niente internet e solo app consentite dai rabbini
Israele è la patria dell'innovazione tecnologica, ma anche degli haredim, gli ebrei ultra-ortodossi per i quali i telefoni intelligenti e l'utilizzo sfrenato del web sono dei tabù blasfemi - Ecco perché Rami Levy Communications ha ideato uno smartphone kasher, approvato dalla comunità religiosa ma secondo molti troppo costoso.
Israele è la patria dell'innovazione tecnologica, ma anche il Paese dove risiedono più haredim, gli ebrei ultra-ortodossi per i quali i telefoni intelligenti e l'utilizzo sfrenato del web sono dei tabù blasfemi, per la loro capacità di metterti in un contatto eccessivo e costante con il mondo laico. Talmente blasfemi da essere banditi e talvolta pubblicamente danneggiati, come quando nel 2012 un rabbino prese a colpi d'ascia davanti a testimoni un iPhone appena uscito.
La soluzione? L'ha pensata e trovata la compagnia di telefonia mobile israeliana Rami Levy Communications, che ha appena commercializzato uno smartphone inedito, in grado di unire "la tecnologia e l'innovazione all'esigenza di non transigere sui valori spirituali", come invocato dagli integralisti del culto religioso.
Il nuovo prodotto, a questo punto definibile 100% kasher, non è altro che un Nexus 4 con una versione modificata di Android, senza connessione internet, impossibilitata ad agganciarla tramite altri wi-fi e priva dello store di applicazioni Google Play. "Vendiamo un telefono Google, ma senza Google", il paradosso spiegato dallo stesso dg di Ramu Levy, Shlomi Gulian.
Ma che senso ha dunque avere uno smartphone? In Israele hanno pensato a tutto: il gioiellino costruito ad hoc avrà la possibilità di utilizzare in piena libertà, grazie al placet di un comitato di rabbini, l'Afik Store, una piattaforma di oltre 700 applicazioni approvate dai capi della comunità ortodossa.
Le app consentite propongono dai servizi classici alla banca online, ad alcuni programmi "pii", come per esempio lo studio quotidiano di un testo del Talmud o delle raccolte di canti religiosi. Il nuovo smartphone tuttavia non rinuncia alle necessità di chi oltre alle esigenze di culto ha anche una intensa vita lavorativa: consente dunque di inviare sms e email.
E per chi si domanda quanto possa valere un mercato così di nicchia, la risposta è che gli haredim attivi, ancorché assolutamente minoritari tra la popolazione israeliana, sono però ogni anno più numerosi: gli ultra-ortodossi rappresentano infatti il 9% degli 8 milioni di cittadini israeliani, ossia poco meno di 800mila potenziali clienti.
Rami Levy spera perciò di vendere 50mila unità del suo nuovo smartphone nel primo anno di commercializzazione, ma resta il dubbio sul prezzo. La società di telefonia vorrebbe convincere i clienti fissando prezzi fra i 1.500 e i 1.900 shekels (322-395 euro al cambio attuale): a queste condizioni, secondo molti commercianti di Gerusalemme, "il telefonino kasher non sfonderà: i religiosi solitamente non sono particolarmente ricchi, e cercano sempre i prodotti più economici".
(FIRSTonline, 2 ottobre 2013)
Tensione tra Israele e USA dopo il discorso di Netanyahu all'Onu
Quello che ha detto ieri il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, all'Assemblea Generale dell'Onu era largamente prevedibile. Israele non crede alle aperture iraniane, né crede che il programma nucleare iraniano sia a scopi pacifici. Le prove del contrario sono tante e incontestabili.
Netanyahu le ha elencate una ad una a partire dai reattori ad acqua pesante per il plutonio, alle strutture segrete fino alle centrifughe di nuovissima generazione, tutte cosa che hanno poco a che fare con un programma civile trasparente e pacifico. Per questo ha invitato il mondo a non credere alle parole di Hassan Rohani, "un lupo travestito da agnello" lo ha definito Netanyahu. Tuttavia il Premier israeliano non si fa illusioni e si rende conto che il mondo ha voglia di credere alle promesse di Rohani, per questo ha rimarcato che Israele è pronto a difendersi anche da solo e a fare quello che c'è da fare, quello che cioè gli altri non hanno il coraggio di fare....
(Right Reporters, 2 ottobre 2013)
Prima colazione abbondante contro l'infertilità
Secondo studi di ricercatori israeliani
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Il Wolfson Medical Center in Holon |
Un numero sempre maggiore di ricerche dimostra quanto l'alimentazione possa interferire con i problemi di salute più diversi. Un nuova ricerca delle Università di Tel Aviv e Gerusalemme dimostra che una prima colazione abbondante può aiutare la fertilità nelle donne che soffrono di ovaio policistico.
Precedenti ricerche hanno già dimostrato come non solo la quantità di calorie che ingeriamo influisce sul nostro peso, ma anche quando le ingeriamo.
I ricercatori in questo caso si sono chiesti in che modo fossero meglio distribuite le calorie per le donne che soffrono di ovaio policistico, una patologia che porta all'infertilità. E secondo i risultati, ingerire più calorie al mattino, invece che alla sera, porterebbe ad un aumento della fertilità.
La ricerca è stata condotta dal Prof. Oren Froy della Hebrew University e Ma'ayan Barnea della Tel Aviv University ed è stata pubblicata su Clinical Science.
Lo studio, più precisamente, ha indagato se gli orari dei pasti abbia un impatto sulla salute della donna con irregolarità mestruali a causa della sindrome dell'ovaio policistico (PCOS) . La PCOS colpisce circa il 6-10 % delle donne in età riproduttiva, minando la loro fertilità. Questa sindrome crea una resistenza all'insulina, che porta a un aumento di ormoni sessuali maschili e può anche causare irregolarità mestruali, perdita di capelli e aumento dei peli sul corpo, acne, diabete e problemi di fertilità.
L'esperimento è stato effettuato presso il Wolfson Medical Center su 60 donne per un periodo di 12 settimane. Le donne di età compresa fra i 25 e i 39, avevano un indice di massa corporea inferiore a 23 e soffrivano di PCOS.
Le donne sono state divise in due gruppi e potevano, in entrambi i gruppi,consumare circa 1.800 calorie al giorno. La differenza tra i gruppi era il momento in cui veniva consumato il pasto più grande. Un gruppo ha consumato il loro pasto più grande, circa 980 calorie, a colazione, mentre l'altro gruppo l'ha consumato a cena. I ricercatori hanno voluto esaminare se il programma di apporto calorico influisse sull' insulino-resistenza e sull'aumento di androgeni nella donna affetta da PCOS. Le donne hanno tenuto un registro di che cosa mangiassero esattamente.
I risultati hanno mostrato che i livelli di glucosio e insulino-resistenza sono diminuiti dell'8 % nel primo gruppo che consumava la colazione abbondante, mentre il secondo gruppo, quello della cena abbondante, non ha mostrato variazioni. Un altro risultato ha mostrato che fra il gruppo della colazione, i livelli del testosterone (uno degli androgeni) sono diminuiti di quasi il 50 %, mentre il livello del gruppo della cena sono rimasti neutrali. Inoltre, i ricercatori hanno registrato un tasso molto più elevato di ovulazione della donna all'interno del "gruppo della colazione " rispetto al gruppo della "cena" , mostrando che mangiare una colazione abbondante porta ad un aumento del livello di fertilità tra la donna con sindrome dell'ovaio policistico .
Secondo il Prof. Froy , "La ricerca dimostra chiaramente che in effetti la quantità di calorie che consumiamo ogni giorno è molto importante, ma i tempi in cui le consumiamo è ancora più importante."
(Gaianews.it, 2 ottobre 2013)
"La circoncisione una violazione dei minori"
Sentenza del Consiglio d'Europa
di Enrico Caporale
STRASBURGO - La circoncisione è una violazione dell'integrità fisica dei minori. Lo ha sancito l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa che nel documento approvato ieri ha messo sullo stesso piano la tradizionale pratica alle mutilazioni genitali femminili.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha stimato che a livello mondiale il 30% dei maschi (oltre i 15 anni) è circonciso: la maggior parte di questi, circa il 70%, sono musulmani. Non sorprende pertanto che il testo siglato a Strasburgo sia stato fortemente osteggiato dalla delegazione turca, dove la circoncisione è una praticata ancora molto diffusa.
Tuttavia, è Israele a detenere il primato di uomini circoncisi: tra gli ebrei, infatti, l'asportazione del prepuzio è una praticata ancora obbligatoria.
Il Consiglio d'Europa ha approvato il documento con 77 sì, 19 no e 12 astensioni. Due i punti principali: bisogna pretendere il rispetto delle condizioni sanitarie e gli interventi non possono essere eseguiti su minori non sufficientemente grandi da poter essere consultati.
A Strasburgo sono stati condannati anche piercing, tatuaggi e interventi medici su bambini intersessuali (soggetti con caratteristiche anatomo-fisiologiche sia maschili che femminili).
(La Stampa, 2 ottobre 2013)
La percezione dell' ebraismo, tra archeologia, diplomazia e letteratura
Grande apprezzamento per un'iniziativa di alto livello scientifico, volta a rafforzare i contatti tra Italia e Israele, è stata espressa dall'Ambasciatore israeliano in Italia, Naor Gilon, che è intervenuto all'apertura del convegno «La percezione dell'Ebraismo nelle altre culture e nelle arti». Il convegno si svolge da oggi fino a giovedì nell'Aula Odeon della Facoltà di Lettere e Filosofia de «La Sapienza» ed è organizzato dal prof. Alessandro Catastini, docente di Lingua e Letteratura Ebraica all'Università «La Sapienza» di Roma. Tra gli altri, è intervenuto il prof. Lorenzo Nigro, archeologo, che ha illustrato le recenti scoperte nel sito di Khirbet Qeiyafa, sulle prime alture della Giudea, non molto distanti da Gerusalemme. La località si presume sia quella dello scontro tra Davide e Golia. I risultati degli scavi attestano che si tratta di un importante capoluogo del distretto che era subordinato a Gerusalemme e di cultura giudaica-israelita piuttosto che cananea o filisteo. Secondo le ricerche la località di Qeifaya va identificata con la città di Sha'arayim, menzionata nella Bibbia («e i feriti dei Filistei caddero lungo la strada per Sha'arayim» racconta il libro di 1 Samuele) descrivendo l'inseguimento dell'esercito filisteo subito dopo la vittoria di Davide su Golia. Le scoperte archeologiche si inseriscono nel dibattito di questi anni, dando ragioni alle tesi secondo cui nella Bibbia si trovano precisi elementi storici e non solo una visione religiosa o mitica.
Il prof. Alessandro Gebbia ha analizzato alcuni scenari della letteratura contemporanea ebraico-americana e gli scrittori dell'ultima generazione (Nathan Englander, Jonathan Safron Foer, Nicole Krauss, Lara Vapnyar, Michael Chabon, Shalom Auslander, Morley Torgov) mettendo in luce il modo, diverso e innovativo, con cui affrontano problematiche quali la Shoah, la memoria, il confronto/scontro tra tradizione e assimilazione.
La prof.ssa Paola Buzi ha parlato del «Conflitto che non c'era. Ebrei e cristiani nella tradizione letteraria copta del V-VIII secolo», analizzando in particolare l'omelia sulla Passione attribuita al fantomatico Evodio, «arcivescovo di Roma», che la tradizione egiziana vorrebbe «il secondo dopo Pietro». In un complesso e improbabile intreccio narrativo, persino Alessandro Magno e la regina di Saba vengono chiamati in causa per dimostrare l'inaffidabilità e la miscredenza degli Ebrei, considerati dai Copti nemici peggiori persino dei temibili e pervicaci pagani.
«Il convegno - ha notato il prof. Catastini - ha una spiccata caratteristica multidisciplinare. L'Ebraismo viene visto attraverso i filtri di una molteplicità di insegnamenti e non solo sotto l'aspetto confessionale che pur è importantissimo. Agli studenti ed agli studiosi intervenuti l'anno scorso e a maggior ragione quest'anno vengono prospettate le diverse sfaccettature che variano a seconda del tempo storico, del luogo e del contesto in esame.
(korazym.org, 1 ottobre 2013)
Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace di Gerusalemme
COMUNICATO EDIPI
Come ogni anno nella prima domenica di ottobre si terrà la "Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace di Gerusalemme". Giunta alla sua undicesima edizione ha l'obbiettivo di coinvolgere non meno di 300 milioni di credenti di 175 nazionalità.
Anche quest'anno l'associazione Evangelici d'Italia per Israele sarà coinvolta con i vari associati, presenti ormai in quasi tutte le regioni d'Italia, nelle rispettive congregazioni di appartenenza, per questo appuntamento importante e in ubbidienza a quanto è riportato nel Salmo 122,6: "Pregate per la pace di Gerusalemme! Quelli che ti amano vivano tranquilli".
Per l'occasione verrà distribuita la pubblicazione di Derek White "Medio-Oriente e Isarele: antichi dei e legami moderni" che è un vero e proprio manuale di intercessione per i problemi spirituali del medio oriente.
Un incontro speciale si terrà nella Chiesa della Nuova Pentecoste di Sedico (BL) dove il presidente di EDIPI, past. Ivan Basana, donerà un tallit (il caratteristico scialle di preghiera ebraico) al pastore locale avv. Gino Mazzoccoli in ricordo della giornata.
Ogni chiesa può indicare la partecipazione all'evento segnalandola nel sito www.daytopray.com
(EDIPI, 1 ottobre 2013)
Jewish and the City, laboratorio del confronto con la società
di Rossella Tercatin e Francesca Matalon
Grandissimo successo di pubblico e sale costantemente esaurite per Jewish and the City, il festival organizzato dalla Comunità ebraica in collaborazione con il Comune di Milano e il patrocinio di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Rai, Regione e Provincia.
Così Milano, la città della frenesia, una città spesso considerata fredda e poco incline all'ascolto, riflette sul valore del riposo. La dimensione del riposo legato allo Shabbat è stata infatti al centro della penultima giornata del festival. Etica e valore del riposo, etica e valore del lavoro. Tempo individuale e tempo collettivo. Diritti e doveri. Di questi temi si è discusso alla Fondazione Corriere della Sera, in un dibattito dai grandi protagonisti. Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, Andrea Guerra, amministratore delegato del gruppo Luxottica Group, David Meghnagi, professore di Psicologia dell'Università Roma Tre, Donatella Di Cesare, professore di Filosofia alla Sapienza di Roma. Il presidente Piergaetano Marchetti ha portato i saluti della Fondazione. A moderare l'incontro Stefano Jesurum, giornalista del Corriere della Sera. A ragionare invece sulle implicazioni del riposo nella vita dell'uomo contemporaneo è stato invece lo psicanalista francese Daniel Sibony nel corso della sua lectio magistralis tenuta per il festival sempre alla Fondazione Corriere "Nella società di oggi il riposo è un concetto talmente importante che esiste addirittura un'industria del riposo, un'industria del tempo libero. Un bene prezioso, necessario anche per far entrare nella temporalità e nello spazio del prossimo". Quale debba invece essere la valenza del riposo di fronte al valore della vita umana è stato il tema sviluppato in mattinata nell'incontro di un medico chirurgo, Yehuda Skornick, già direttore del Magen David Adom, un rabbino, rav Alberto Somekh, e un teologo Vito Mancuso, docente dell'Università degli Studi di Padova. Perché se si tratta di salvare una vita, contravvenire ai divieti dello Shabbat diventa un dovere, come hanno spiegato i relatori, moderati dallo psicanalista David Fargion. Una visione complessiva dello Shabbat è stata infine offerta dalla lezione del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib.
Ma nella sua seconda giornata, tanto partecipata quanto la prima, con eventi che hanno fatto registrare il tutto esaurito nei vari luoghi della città, il festival ha offerto anche spunti maggiormente ludici e creativi oltre che riflessivi, con le lezioni di cucina curate dal blog Labna.it alla Società umanitaria, "Ivrit shel Shabbat", il viaggio nella lingua ebraica a cura di Odelia Liberanome del Centro pedagogico dell'UCEI e uno specialissimo tavolo di Shabbat ispirato alle tradizioni yiddish, un Tisch (tavolo appunto nell'idioma degli ebrei dell'est europeo). In scena al Teatro Parenti è stato uno spettacolo/concerto/conferenza ricco di suggestioni, dall'apertura dell'attore e autore Filippo Timi che ha condiviso con il pubblico la storia del suo personale incontro con la spiritualità ebraica, ai canti dello Shabbat del coro Kol Hakolot, passando, soprattutto per le narrazioni offerte dagli eclettici ospiti riuniti attorno alla tavola imbandita di frutta secca, vino e vodka, ottimi compagni di ascolto degli altrui interventi. Così la direttrice del Parenti Andrée Ruth Shammah, il giornalista Beppe Severgnini, gli scrittori Stefano Bartezzaghi, Antonio Scurati, Masal Pas Bagdadi, il rabbino Igal Hazan del movimento chassidico Lubavitch, la regista Miriam Camerini hanno offerto storie di vita propria e non soltanto, esperienze sabbatiche nel senso più ampio del termine, momenti di ironia, introdotti dal gallerista Jean Blanchaert.
(Notiziario Ucei, 1 ottobre 2013)
Israeliani a Vasto per una settimana alla scoperta dell'Italia "vera"
Un gruppo di turisti Israeliani è in città fino alla prossimo lunedì per un tour enogastronomico di una settimana. La visita è organizzata dalla vastese Rebecca Galante, che è titolare a Tel Aviv del tour operator VillaItalia, organizzazione che offre agli israeliani anche vacanze di nicchia con programmi particolari alla scoperta di nuove zone d'Italia, come la nostra regione. "Finalmente l'Abruzzo comincia ad essere conosciuto anche in Israele", sottolinea la titolare di Villa Italia a Tel Aviv. "Per esempio le proposte di visita alla nostra regione piacciono ai nostri 5.000 fans di facebook, tutti potenziali clienti per il futuro. Ma soprattutto fa piacere che i clienti che hanno gia' fatto questa espereinza sono rimasti positivamente colpiti da questa regione a cui non manca nulla".E aggiunge : "Il mio tour operator Villaitalia, con sede a Tel Aviv in collaborazione con un partner locale Italia Sweet Italia, organizza dei tour culinari concentrati principalmente sulla costa abruzzese per piccoli gruppi di 12/15 persone che vengono a visitare l'Italia vera".
Gli ospiti israeliani giungono oggi 1 ottobre e si tratterrano a Vasto e dintorni per una settimana. "Oltre a cucinare in posti unici come i trabocchi, imparare a fare la pasta in case private, degusteranno solo ed esclusivamente cibi caratteristici della nostra regione che siano a km ZERO!". "Non solo enogastronomia - conclude Rebecca Galante - ma anche paesaggi, escursioni nelle riserve naturali, visita a laboratori di artigiani locali, nonche' la comprensione del concetto di tramandare l'azienda di famiglia che caratterizza il nostro paese".
(QuiQuotidiano.it, 1 ottobre 2013)
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