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Notizie settembre 2013


Diplomatica francese schiaffeggia un militare israeliano

Lo schiaffo al militare
La diplomatica è stata richiamata in Francia

PARIGI - Marion Fesneau-Castaing è una diplomatica francese. La donna, dopo essere stata estratta in malo modo dalla sua auto durante una protesta in Cisgiordania, ha dato uno schiaffo a un soldato israeliano.
Il fatto è accaduto davanti alle telecamere e diversi testimoni. Le immagini hanno fatto il giro del web e la donna è stata richiamata a Parigi dal Quai d'Orsay, il ministero degli esteri francese, a causa delle vivaci proteste del governo israeliano.

(Blitz quotidiano, 30 settembre 2013)


Roma - Fino al 4 ottobre il festival della enogastronomia giudaico-romana

Si e' aperta domenica 29 settembre, la prima edizione del Festival della cultura e dell'enogastronomia giudaico-romanesca chiamato ''Kosher a Roma'', in programma fino al prossimo 4 ottobre. L'iniziativa, nata in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, e' promossa e organizzata da ARM (Azienda Romana Mercati, Azienda speciale della Camera di Commercio di Roma), in collaborazione con la Discoteca di Stato, con il Centro culturale e con l'Archivio Storico della Comunita' ebraica di Roma. Sono previsti convegni, presentazioni di libri, degustazioni e visite guidate. Si spazia dai temi legati alla cucina a quelli piu' generali relativi alla storia e alla cultura della piu' antica comunita' della diaspora ebraica in Europa. Si parlera', poi, di come era la vita degli ebrei nel periodo del Ghetto, con una mostra fotografica del quartiere prima della completa demolizione alla fine dell'800, dei loro rapporti con il resto della popolazione romana, delle vicende che hanno portato alla costruzione della sinagoga e, piu' in generale, degli oltre duemila anni di storia della comunita'. Azienda Romana Mercati ha censito e descritto ristoranti, pastifici artigianali, panifici, pasticcerie, tavole calde e fast-food kasher presenti non solo nella storica cornice dell'antico ghetto, ma anche in altre parti della citta'. Tutti sono stati inseriti in un catalogo e in un'applicazione internet. Per coloro infine che volessero cimentarsi nella preparazione di queste specialita', nel catalogo figurano anche alcune ricette. Per gli aggiornamenti del programma e' possibile consultare il sito www.kosheraroma.it o scrivere all'e-mail posta@romamercati.com. com-mpd

(ASCA, 30 settembre 2013)


Oltremare - Politiche del guardaroba
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

E' cosa nota che l'israeliano veste in modo molto meno elegante di qualsiasi europeo. Che negli uffici le giacche si contano sulle dita di una mano e di cravatte semplicemente non c'è traccia. Per le donne c'è più spazio a vestiti e gonnelline, ma i miei tailleur italiani giacciono nell'armadio e ne escono di rado e di norma come spezzati, che tutto insieme un tailleur in Israele fa troppo effetto: ti chiedono subito se vai a un matrimonio.
Appunto, i matrimoni. Mi sono appena arrivati due inviti. Sul primo, molto israeliano, c'è scritto in basso, con modestia naturale: "Vi consigliamo un abbigliamento caldo". E' un matrimonio di sera, sulle colline di Gerusalemme. Gentili a ricordarmelo, a me che vivo nella pianura calda e umida. Il messaggio è chiaro: farà fresco, portatevi giacca o pashmina, senò batterete i denti. Nulla fa presupporre invece che io mi debba vestire elegante; ma da europea, sarò impeccabile ed in lungo. Nobelesse oblige.
Sull'altro invito, le indicazioni sul vestiario occupano un intero cartoncino, con precisa descrizione del livello di eleganza (lungo da giorno per le signore, vestito grigio con panciotto per i gentlemen) e perfino uno schizzo della resa, davvero elegante, del tre pezzi maschile. Eh, ma che esagerazione, vien da dire. Poi mi ricordo di aver sentito racconti dell'orrore di israeliani che si sono presentati a matrimoni di europei in Crocs (sì, le scarpe di plastica colorata che vanno bene per andare in spiaggia e anche lì non tutti le metterebbero). Si vede che i futuri sposi hanno sentito gli stessi racconti e hanno deciso di non rischiare.
Forse saremo davvero israeliani il giorno che andremo anche noi nuovi immigrati in gonna jeans e infradito ad un matrimonio. Nell'attesa, io continuo prudentemente con il lungo.

(Notiziario Ucei, 30 settembre 2013)


Scritte antisemite a Fiuggi nella giornata degli ebrei

di Stefano De Angelis

Scritte antisemite a Fiuggi nella giornata europea della cultura ebraica. Sono comparse ieri mattina davanti all'ingresso della Fonte Anticolana, nei pressi della biglietteria. Sul caso, la procura di Frosinone ha aperto un'inchiesta contro ignoti e polizia e Digos stanno indagando nel tentativo di risalire agli autori. Due gli striscioni con frasi razziste. Anzi, nello specifico un lenzuolo grande circa tre metri per due e una sorta di cartellone di circa un metro quadrato che campeggiavano alle porte della città termale. Solo poche ore dopo, sarebbero cominciate le iniziative previste nell'ambito della giornata promossa in varie città dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Quando c'è stata la scoperta, subito è scattato l'allarme alla polizia e sul posto sono intervenuti gli agenti del commissariato di Fiuggi, coordinati dal vicequestore Sergio Vassalli. Vista la situazione, è stata immediatamente informata la Digos, guidata dal vicequestore Cristiano Bertolotti. I poliziotti hanno effettuato un sopralluogo e i rilievi, anche fotografici. Poi quelle scritte offensive sono state rimosse: lenzuolo e cartone sono stati sottoposti a sequestro e messi a disposizione dell'Autorità giudiziaria. Stando alla ricostruzione degli investigatori, non c'erano solo quelle frasi che hanno lasciato tutti sgomenti, attoniti: «La vostra cultura è una menzogna» e un'altra dai toni razzisti, discriminatori: «Al forno gli...». Su quella stoffa e sul quel cartone, erano state incise anche una svastica e una Stella di Davide, quest'ultima rappresenta la civiltà e la religiosità ebraica, barrata con una sorta di croce. Gli uomini della Digos hanno repertato tutto il materiale ritenuto utile all'attività investigativa e hanno fatto scattare le indagini, che vanno avanti serrate. La polizia ritiene che quelle scritte siano state sistemate in quel luogo della città termale nella notte tra sabato e domenica scorsi. Al momento sono in corso gli accertamenti per fare piena luce sull'accaduto. Ma non è la prima volta che a Fiuggi spuntano striscioni di questo tipo: era già accaduto in passato e anche in quell'occasione si era trattato di scritte antisemite contro la comunità ebraica, su cui sempre gli uomini della questura di Frosinone avevano fatto partire un'indagine.

(Il Messaggero, 30 settembre 2013)


Marta Affricano, una custode della cultura ebraica

Una vita di passione per insegnamento e musica. Tra i suoi allievi anche Vasco Rossi

di Laura Solieri

  
Marta Affricano, l'insegnante di Vasco
MODENA - I documenti fanno risalire alla seconda metà del Trecento l'arrivo a Modena di ebrei prestatori di denaro. Dal 1638 al 1859, con un'unica breve interruzione nel periodo napoleonico, gli ebrei abitarono nel ghetto al centro della città: erano circa 1500 e rappresentavano il 10 per cento della popolazione. All'indomani della Quattordicesima Giornata europea della Cultura Ebraica, la nostra rubrica incontra Marta Affricano, ex docente, di famiglia e cultura ebraica, che da anni collabora con la Comunità ebraica di Modena e Reggio Emilia per la quale guida le scolaresche alla visita della Sinagoga e all'incontro con l'ebraicità.
  «Ho trascorso gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza a Roma, dove ho vissuto la guerra e ho fatto tutti gli studi, fino alla laurea - racconta Marta mostrandoci le foto dell'infanzia romana, foto che sua madre spediva al padre, ingegnere civile, che era stato fatto prigioniero degli inglesi in Africa - Sono stati anni bui. Io e la mia famiglia abbiamo vissuto il discrimine e le persecuzioni razziali. Negli anni, è maturata in me la necessità di scavare nella memoria e nella mia cultura d'origine per illuminare gli intrecci nascosti dell'appartenenza culturale, legati a questo vissuto così difficile» spiega l'ex insegnante, che è arrivata a Modena nel 1964 e ha insegnato fino al 1996 Geografia economica al Barozzi. «Tra i miei alunni ho avuto anche Vasco Rossi - sorride la professoressa - Insegnare è sempre stata per me una vocazione e anche dopo la pensione non ho mai smesso di farlo, proseguendo con forme di volontariato: nella Comunità ebraica, ogni anno scolastico, vengono accolti a visitare la Sinagoga circa 2500 ragazzi di circa 100 classi di Modena e provincia. Oltre all'insegnamento - prosegue Marta - l'altra mia grande passione è la musica. Ho cantato per 20 anni nella Corale Luigi Gazzotti di cui sono anche stata presidente. Inoltre, ho collaborato a riordinare gli spartiti musicali di canti sinagogali della Comunità modenese, custoditi nell'Archivio della stessa Comunità. Questi canti sono così tornati a vivere in un concerto eseguito nel 2008 nella Sinagoga dalla Corale Gazzotti, motivo per me di grande soddisfazione».
  Documenti, testimonianze, fatti storici, ma anche costumi e tradizioni che forniscono lo spaccato di una Modena di periferia pervasa dalle tracce della presenza ebraica è quanto ritroviamo nel libro di Marta Affricano "Tra Naviglio e Panaro. La presenza ebraica nel territorio a nord di Modena", realizzato con il contributo della Circoscrizione 2, in collaborazione con l'Archivio storico del Comune di Modena e la Comunità ebraica. Il libro è un mosaico di luoghi e residenze che traccia un itinerario abitativo che si snoda nella zona compresa tra gli assi viari di via Canaletto nord e via Emilia est, cercando di fare luce su importanti famiglie ebraiche e connettendone le vicende con quelle della città durante il Ducato Estense e il Regno d'Italia.
  «Partendo dal cimitero ebraico di via Pelusia, l'itinerario si snoda tra le dimore di campagna di famiglie, come gli Usiglio, i Formiggini, i Nacmani, i Sarcedoti, alcune ancora presenti, altre scomparse. La popolazione ebraica - conclude Marta - rappresenta da tanti secoli una componente importante della cittadinanza di Modena. Negli incontri con i giovani trasmetto volentieri le mie conoscenze e le mie esperienze personali per far avvicinare le nuove generazioni alla cultura ebraica che storicamente rappresenta, nonostante esclusioni e persecuzioni, una parte importante della cultura italiana».

(Gazzetta di Modena, 30 settembre 2013)


Mohamed Helmy, primo 'Giusto tra le nazioni' egiziano

ROMA - Un medico egiziano e' stato riconosciuto per la prima volta da Israele ''Giusto tra le nazioni'', un titolo onorifico attribuito dallo Stato ebraico agli stranieri che hanno agito per salvare anche un solo ebreo dalla persecuzione nazista. Lo ha annunciato oggi lo Yad Vashem in un comunicato, precisando di aver attribuito il riconoscimento postumo al dottor Mohamed Helmy, un medico egiziano che viveva a Berlino e alla moglie tedesca Frieda Szturmann per ''aver salvato insieme una famiglia ebrea in pieno Olocausto''. ''Il dottor Helmy e' il primo egiziano ad essere riconosciuto ''Giusto tra le nazioni'' precisa lo Yad Vashem, che e' alla ricerca della famiglia del medico per consegnarle la medaglia. Trasferito in Germania dal 1922, il dottor Helmy lavora presso l'Istituto Robert Koch di Berlino fino al 1937, quando viene licenziato dal regime nazista. ''Non appartenendo alla razza ariana, il dottor Helmy non aveva il diritto di esercitare nella sanita' pubblica ne' di sposare la fidanzata tedesca'', spiega lo Yad Vashem, aggiungendo che il medico ''fu arrestato nel 1939 ma rilasciato l'anno successivo per ragioni di salute''. Il dottor Helmy, morto nel 1982, insieme alla sua fidanzata (poi moglie) ''aiuto' quattro membri di una famiglia ebraica a nascondersi e a sopravvivere all'Olocausto''.

(ASCA, 30 settembre 2013)


Facce da coloni

La Guerra dei Sei Giorni, mossa da Egitto, Siria e Giordania nei confronti di Israele nel 1967, si è conclusa il 10 giugno di quell'anno con la riunificazione della capitale Gerusalemme, occupata dalle truppe giordane nel 1967, e con la conquista della penisola del Sinai, poi riconsegnata all'Egitto dopo sottoscrizione di trattato di pace del 1979, e delle Alture del Golan, annesse due anni dopo. Quanto ai territori di Giudea e Samaria, strappati alla Giordania che li aveva occupati nel 1949, e noti anche come West Bank per la circostanza di occupare la parte occidentale del fiume Giordano, essi non hanno mai guadagnato un pieno stato giuridico, dopo la formalizzazione posta in essere dalla Conferenza di Sanremo del 1920 che assegnò queste terre, provenienti dal disfacimento dell'impero ottomano, alla locale popolazione ebraica....

(Il Borghesino, 30 settembre 2013)


Israele - Vandalismo anticristiano nel cimitero evangelico

Arrestati quattro studenti di una yeshivah

GERUSALEMME - Nel pomeriggio di domenica 29 settembre quattro giovani ebrei israeliani di età tra i 17 e i 27 anni sono stati arrestati dopo che avevano gravemente danneggiato almeno quindici tombe del cimitero cristiano evangelico situato sul Monte Sion, nei pressi della Città Vecchia di Gerusalemme. I quattro arrestati sono studenti di una scuola religiosa ebraica (yeshivah) situata a ovest della Città Vecchia. Almeno due di loro - ha riferito il portavoce della polizia israeliana Micky Rosenfeld - risultano essere attivisti delle sigle legate ai coloni ebrei estremisti della Cisgiordania.
E' dall'inizio del 2012 che si susseguono profanazioni e atti vandalici contro monasteri, chiese, moschee e cimiteri cristiani e musulmani compiuti da gruppi oltranzisti vicini al movimento dei coloni ebrei. Molti di tali atti intimidatori sono stati finora "firmati" con la formula "il prezzo da pagare". "Questi atti" dichiara all'agenzia Fides il sacerdote palestinese Raed Abusahliah, direttore generale di Caritas Jerusalem "vanno perseguiti con fermezza, e i loro autori vanno sottoposti a giudizio, evitando di liquidare questi gesti come se fossero solo intemperanze di qualche scriteriato". Padre Raed riferisce che alcuni frequentatori delle scuole rabbiniche mostrano spesso atteggiamenti offensivi nei confronti di vescovi, suore, sacerdoti e religiosi che passano per la Città Vecchia. "Appena vedono una croce" racconta il sacerdote "molti di loro cominciano a sputare per terra".

(agenzia Fides, 30 settembre 2013)


Ebraismo, la Giornata di Genova

 
L'intervento del presidente della comunità ebraica di Genova, Amnon Cohen
GENOVA - Si è celebrata domenica, in 66 città italiane, la quattordicesima Giornata della Cultura ebraica, dedicata quest'anno al tema "Ebraismo e natura".
Nel capoluogo ligure, la sinagoga di via Bertora ha aperto le porte al pubblico per una serie di visite guidate, cui sono seguite due conferenze del rabbino di Genova, Giuseppe Momigliano: la prima dal titolo "Animali e vegetali nella simbologia biblica"; la seconda sul "Rapporto tra l'uomo e la natura nei Comandamenti della Torah". Sono state programmate visite anche al Museo ebraico, dove è allestita la mostra sull'Haggadah di Sarajevo (presenti i curatori, Daniéle Sulevic e Alberto Rizzerio) ed è stata organizzata anche un'attività didattica per bambini con il laboratorio sulla "Tutela della natura nelle principali festività del calendario ebraico".
A chiusura del programma della giornata, il presidente della comunità ebraica di Genova, Amnon Cohen, ha presentato il gruppo musicale savonese Musa Migrante Ensemble, che ha eseguito di fronte a un folto pubblico musiche klezmer e della tradizione balcanica.
Tra i visitatori, da registrare la presenza dell'imam Abu Bakr Moretta, della comunità religiosa isalmica (Coreis) di Sanremo: un segnale importante di vicinanza tra la comunità ebraica e quella islamica.

(Il Secolo XIX, 30 settembre 2013)


Iran: "Non negoziabile il diritto all'arricchimento dell'uranio"

Il Ministro degli Esteri iraniano accusa Israele di "mentire" sulle intenzioni di Teheran

WASHINGTON, 29 set. - Il capo della diplomazia iraniana Mohammad Javad Zarif ha definito oggi "non negoziabile" il diritto dell'Iran ad arricchire l'uranio, accusando quindi Israele di "mentire" sulle intenzioni di Teheran. L'Iran è "pronto a negoziare, lo vogliamo", e "sul tavolo del negoziato ci sono tutti gli aspetti del programma iraniano di arricchimento", ha detto il ministro all'emittente Usa Abc. Ma "il nostro diritto all'arricchimento non è negoziabile", ha precisato, aggiungendo che l'Iran non ha "bisogno di uranio arricchito a livello militare". "Questo è sicuro e non stiamo andando in questa direzione", ha sottolineato. Zarif ha quindi replicato al premier israeliano Benjamin Netanyahu che ha criticato "l'offensiva del fascino" del nuovo presidente iraniano, Hassan Rohani, verso gli Stati Uniti: "Un'offensiva del sorriso è preferibile a un'offensiva di bugie".

(TMNews, 29 settembre 2013)


Rohani criticato per la 'pace' con il Grande Satana americano

Il presidente iraniano non ha lasciato indifferenti i suoi connazionali, dopo l'intervento all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e le sue aperture verso l'Occidente, e in particolare verso gli Stati Uniti. Contestatori lo hanno accolto con insulti e lanci di uova (e scarpe) al ritorno da New York.

NEW YORK - Una sola telefonata tra i presidenti di Usa e Iran non è il segno che le relazioni saranno presto ripristinate, perché "relazioni normali" necessitano più di "una chiamata, un incontro e negoziati". Lo ha dichiarato il viceministro agli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, secondo quanto riporta l'agenzia stampa Fars. I suoi commenti sembrano destinati a calmare gli intransigenti che si oppongono a un rapido appianamento dei 34 anni di congelamento delle relazioni diplomatiche.
I due Paesi avevano infati interrotto le relazioni dopo la Rivoluzione musulmana sciita del 1979 guidata dall'ayatollah Ruhollah Khomeini, che aveva costretto alla fuga lo Scià Reza Pahlevi, deposto la monarchia e istituito la Repubblica islamica.
Hassan Rohani, tornato in patria dopo il viaggio a New York e la conversazione telefonica di 15 minuti con Barack Obama, è stato accolto all'aeroporto di Teheran da centinaia di persone che lo hanno acclamato ma anche da un gruppo di contestatori - vicini ai pasdaran, i Guardiani della rivoluzione - che, al grido di "morte all'America", lo hanno insultato lanciando uova e scarpe. Le guardie del corpo hanno fatto da scudo al presidente mentre la sua auto lasciava l'aeroporto.
Sulle 'aperture' di Washington al regime degli ayatollah sembra critico anche Israele. "Dirò la verità rispetto alle parole dolci e agli attacchi dei sorrisi. Si deve parlare dei fatti e dire la verità", così il premier Benyamin Netanyhu prima di partire per gli Usa ieri sera. Netanyahu vedrà il presidente Obama e interverrà all'Onu. ''Dire oggi la verità - ha aggiunto - è vitale per la sicurezza e la pace del mondo e ovviamente per Israele''. Prima di partire il premier ha dato istruzioni ai ministri del suo governo e ai portavoce ufficiali di non rilasciare dichiarazioni pubbliche o interviste riguardo la telefonata tra Obama e Rohani e, in genere, sul dossier Iran. Con l'obiettivo - riportano i media - di evitare gaffe o critiche prima del suo incontro con il presidente Usa domani alla Casa Bianca. Netanyahu parlerà martedì prossimo all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ultimo degli interventi dei capi di Stato e di governo.
Oggi Avigdor Lieberman, presidente della commissione Affari esteri e Difesa della Knesset ha postato sulla sua pagina Facebook un commento nel quale mette in guardia dalle parole di Rohani che sono ''null'altro che un falso espediente in stile Nord Corea''.

(Rai Giornale Radio, 29 settembre 2013)


Ebrei, figli della Roma di tutti

Piccole e grandi storie nel nuovo saggio di Stefano Caviglia che ripercorre la storia della Comunità nella Capitale

La Sinagoga centrale di Roma
ROMA - È il 2 luglio 1904, Sono appena finiti i lavori per la costruzione del Tempio maggiore israelitico nell'area dell'antico Ghetto. Un simbolo multiplo. È il pieno, definitivo inserimento della Comunità ebraica e dell'area in cui vive nel nuovo tessuto urbano di Roma capitale del Regno d'Italia ma anche l'inaugurazione di un rinnovato rapporto con la componente israelitica italiana dopo i terribili secoli dei Ghetti chiusi. La consacrazione religiosa avverrà il 27 luglio ma quel giorno, appunto il 2 luglio, avviene qualcosa di straordinario: arriva in visita Vittorio Emanuele III re d'Italia. Riporta il corrispondente da Roma del periodico torinese «Il Vessillo Israelitica»: «Ho veduto moltissimi colle lacrime agli occhi, certo paragonando e ricordando le diseguaglianze passate». È sconvolgente pensare che quello stesso sovrano avrebbe sottoscritto di proprio pugno per la divulgazione le Leggi razziali (che sarebbe meglio definire, una volta per tutte, razziste) del 1938-39. Una responsabilità incancellabile per il terzo re d'Italia: nessun sovrano europeo si è macchiato dello stesso, immondo delitto. Sinistra e tragica anticipazione, a Roma, dell'agghiacciante rastrellamento degli ebrei romani del 16 ottobre 1943.
  Basterebbe questa pagina legata al 1904 per suggerire la lettura del nuovo libro di Stefano Caviglia «Alla scoperta di Roma Ebraica», edito da Intra Moenia. Caviglia è un giornalista, scrive di economia e politica per «Panorama», ma è anche un raffinato cultore del retaggio ebraico. Per Laterza ha scritto nel 1996 «L'identità salvata. Gli ebrei di Roma tra fede e nazione 1870-1938». Ed oggi, proprio nella stagione in cui ricorre il settantesimo anniversario della vergogna del 16 ottobre 1943, Caviglia sente il bisogno di proporre una storia della Roma ebraica. Si parte, inevitabilmente, da lontano, dalla cronaca dello storico ebreo Giuseppe Flavio che descrisse la deportazione degli ebrei a Roma dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nell'anno 66. Da lì comincia la presenza a Roma della diaspora ebraica. Ed è per questa ragione che gli ebrei romani rivendicano, con un orgoglio giustificato dalla Storia, di rappresentare il più antico insediamento israelitico del Mediterraneo. Caviglia ci rammenta che il rito ebraico romano non è askenazita (area franco-tedesca) né sefardita (area spagnola) semplicemente perché gli ebrei romani «provengono direttamente dall'antico Israele».
  Caviglia, lungo tutto il saggio storico, ha l'abilità letteraria di mantenere un tono narrativo non da addetti ai lavori ma da autentico divulgatore. C'è il capitolo dei lunghi secoli degli alterni rapporti col Papato (da Leone X che istituisce una cattedra di ebraico a La Sapienza nel 1514 a quelli che Caviglia chiama «i settant'anni nel deserto» compresi tra il 1800 e il 1870). Ma avvincenti sono soprattutto (proprio perché l'autore presenta i dati senza emozione né coinvolgimento) le pagine di storia moderna. La complessa questione dell'adesione, spesso entusiasta, di molti ebrei al primo fascismo. L'intollerabile capitolo del 16 ottobre. Il clima che precedette l'attentato alla Sinagoga del 9 ottobre 1982. Poi la prima visita di un Papa con Giovanni Paolo II accanto a Elio Toaff. Infine una guida alla vita religiosa ebraica romana, con tanto di glossario e di analisi della gastronomia ebraico-romana. Il pregio di questo saggio è di non puntare l'indice contro nessuno né di sollecitare conti storici. Anzi è la tipica pietra posta sul cammino del futuro. E chiunque sia romano, o ami questa nostra complessa città, troverà mille ragioni per identificarsi in mille passaggi del libro. Lassatece passà/ semo romani , ordina lo stornello. Lassatece passà ma tutti insieme. Soprattutto i più antichi tra noi, figli della stessa Roma.

(Corriere della Sera - Roma, 29 settembre 2013)


Milano - Jewish and the City, un appuntamento da tutto esaurito

Tutto esaurito e oltre nella serata del Teatro Parenti che ha ufficialmente aperto Jewish and the City, la rassegna milanese dedicata alla cultura ebraica che abbraccia ed espande la Giornata europea dedicata a Natura ed ebraismo. Sul palco Haim Baharier, studioso di ermeneutica biblica e lo psicanalista Vittorino Andreoli, coordinati da Andreè Ruth Shammah, direttore artistico del teatro, a raccontare perché "Shabbat non è una domenica che capita di sabato". In un cammino di linguaggi tra spiritualità, ricordi e un pizzico di ironia, si è inserito anche l'intervento del direttore del Dipartimento educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e direttore scientifico del festival rav Roberto Della Rocca, che ha conquistato la platea con i suoi ricordi di ragazzino a Roma alle prese con l'arduo compito di spiegare l'osservanza di Shabbat a compagni e insegnanti del liceo classico pubblico Visconti....

(Notiziario Ucei, 29 settembre 2013)


“Le donne israeliane tra cinema e realtà" a Cinematov

Cinematov : rassegna di film israeliani in programma a Milano al teatro Franco Parenti

  
MILANO - Cinematov, rassegna di cinema israeliano indipendente giunta quest'anno alla seconda edizione presenterà a Milano al Teatro Franco Parenti, dal 4 al 7 ottobre, una serie di film imperniati sulla donna nella società israeliana.
Tutti i film in programma a Cinematov, opere che vanno dagli anni '60 a quelli del 2000, girano intorno al tema "Le donne israeliane tra cinema e realtà" una serie di corto e lungometraggi che evidenziano il ruolo delle donne nella società di Israele, riflettendo un'immagine che può sorprendere rispetto all'immaginario spesso veicolato, di una donna paritaria rispetto all'uomo, in un paese antesignano che tra i primi ha visto la presenza di rappresentanti femminili nell'esercito e di una donna di primissimo piano internazionale come Golda Meir dominare la scena politica (lady di ferro come la britannica Thatcher che diventerà Primo ministro nel '79 mentre la Meir era già deceduta da un anno).
I film presentati a Cinematov, sono stati selezionati tenendo conto della loro qualità (diversi, infatti, hanno ricevuto premi e menzioni) ma anche con il desiderio di offrire al pubblico la visione di opere difficilmente proposte nei circuiti commerciali.
Film in maggioranza di registi uomini, tra questi anche uno, "Matzor", (che fu candidato alla Palma d'oro a Cannes) di un regista italiano Gilberto Tofano,(figlio dell'attore, regista, disegnatore Sergio Tofano) mentre la rassegna è opera di una donna Marta Teitelbaum, - giornalista, traduttrice e docente di ebraico all'università di Amiens.
Marta Teitelbaum, con il suo sguardo attento e sensibile e la sua grande conoscenza di Israele paese in cui ha compiuto i suoi studi, ha a lungo vissuto, che continua regolarmente a frequentare sia per lavoro che per relazioni familiari, ha curato una volta di più un programma vario ed accuratamente scelto per offrire agli spettatori una rassegna di grande qualità che non potrà che interessare il pubblico.

(Mondo Informazione, 29 settembre 2013)


Una telefonata non assicura la pace

di Fiamma Nirenstein

Una telefonata storica, dal '79 non si era visto niente di simile, una svolta, un passo strategico, una vittoria per Obama. I media non si sono risparmiati. Se poi il saluto in farsi di Obama a Rohani (khodafez, «che Dio ti accompagni») e il «have a nice day» di Rohani a Obama preludano a vere trattative sul nucleare, solo un indovino lo può prevedere, per ora parole gentili sono state aggiunte a parole, il fantasma del perfido Ahmadinejad è fugato, che sollievo, e tutti sperano che la bomba a tempo più paventata, quella degli ayatollah destinata a stabilire il califfato mondiale e a distruggere Israele, possa essere stata disinnescata, con i pericoli di guerra. Obama si muove a fin di bene, come ha fatto anche col discorso del Cairo, o quando ha chiamato la Fratellanza Musulmana «una forza prevalentemente laica». Sbagliava. E oggi? La telefonata di quindici minuti, è stata richiesta dagli iraniani, certo un segno di grande interesse. Obama vi si è detto ancora una volta disponibile a trattative, ma non non ha parlato di promesse nella confernza stampa post-telefonata: solo di un'apertura di rapporto che potrebbe portare a una «soluzione complessiva»; la via è, dice, «piena di ostacoli»; e Rohani giunto in patria, dove è stato accolto da evviva ma anche da scarpate, si è vantato dei grandi onori ricevuti come di una svolta, ma ha detto subito che gli impianti nucleari sono «l'orgoglio» irrinunciabile del popolo iraniano. Un vero dilemma: nucleare per uso civile, come ha detto a New York. Difficile davvero crederlo. Rohani è un presidente partorito dal leader supremo Khamenei, l'unico vero capo. Gli altri candidati sono stati esclusi o incarcerati; è il negoziatore che nel 2005, quando l'Agenzia Atomica rivelò che l'Iran aveva nascosto le strutture per un nucleare aggressivo, disse: «Parliamo con gli europei a Teheran e installiamo strutture a Isfahan. Creando un ambiente rilassato, siamo riusciti a finire il lavoro».
Obama ha citato la dichiarazione di Rohani sulla proibizione religiosa a fare armi di distruzione di massa, ciò che è in contraddizione completa sia con la realtà dei fatti in tutto l'Islam (il Pakistan ha almeno 200 bombe atomiche, e quasi tutto il Medio Oriente ci ha provato), quanto all'Iran ci sono dozzine di prove della sistematica costruzione della bomba. In più si sa bene che c'è la mumatilah, una tattica sviluppata dai mullah nei secoli: temporeggiare per raggiungere lo scopo. Inoltre un cedimento iraniano non è concepibile per chi si ritiene il suo capo, la sua testa di ponte, segnerebbe una sconfitta complessiva.
Tuttavia l'Iran, per far togliere le sanzioni, che è la promessa elettorale di Rohani, può trattare per accatastare il suo uranio arricchito, aprire in parte all'Aiea, gestire a lungo una trattativa che soddisfi il mondo e in particolare Obama. La bomba non sparirebbe dall'orizzonte ma sarebbe rimandata. Quando Obama il 9 ottobre del 2009 ricevette il Premio Nobel, molti giudicarono avventato quel gesto: non lui. È invece del tutto probabile che quell'evento che commentò auspicando tolleranza fra popoli di diverse fedi, razze e religioni e invocando l'eliminazione dell'arma nucleare lo abbia influenzato per sempre. A ogni costo, Obama vuole rendere reale il suo Nobel. E Rohani vuole che si sollevino le sanzioni sull'Iran. Ci basta?

(il Giornale, 29 settembre 2013)


La sorprendente reazione di Israele all'aggressione palestinese

di Daniel Pipes

  
La casa di Beit Hamachpela a Hebron
Come rappresaglia per la sparatoria avvenuta il 22 settembre in cui è rimasto vittima un soldato israeliano di 20 anni, il sergente Gabriel Goby, mentre era di pattuglia a Hebron, colpito dal fuoco di un cecchino alla nuca, il governo israeliano ha autorizzato l'immediato re-insediamento nell'edificio ribattezzato Beit Hamachpela ("la Casa dei Patriarchi"), un fabbricato di tre piani che sorge a Hebron, vicino alla Grotta dei Patriarchi e al luogo in cui il soldato Koby è stato ucciso.
(La comunità ebraica di Hebron aveva acquistato gran parte dell'edificio nel marzo 2012 ma pochi giorni dopo ai suoi membri fu ordinato di sgomberare il caseggiato perché non erano in possesso del permesso di soggiorno. In seguito, essi hanno vinto una causa legale che ha permesso loro di farvi ritorno senza però avere l'autorizzazione per farlo.)
Il premier Benjamin Netanyahu ha commentato che "Chiunque cerca di sradicarci dalla città dei nostri antenati otterrà l'opposto. Noi continueremo a combattere il terrorismo e a colpire i terroristi con una mano, e con l'altra, continueremo a rafforzare l'impresa delle colonie". Il ministro dell'Economia Naftali Bennett ha osservato che "Sappiamo come costruire e colonizzare. Non come uccidere. Questa sarebbe la risposta sionista adeguata [alla violenza]".

Commenti:
1) Essendo io favorevole da lunga data a una risposta israeliana più energica alla violenza immotivata, questa decisione mi sembra molto appropriata. Essa indica ai palestinesi che uccidere gli israeliani li fa procedere a ritroso. La prossima volta, la risposta israeliana dovrebbe essere più energica; e come suggerisce Aaron Lerner, ciò potrebbe significare la creazione di un nuovo quartiere. Questo messaggio arriverebbe rapidamente e la violenza avrebbe fine.
2) L'Autorità palestinese non ha condannato quest'aggressione, né l'altra avvenuta il giorno prima, quando un soldato israeliano, anch'egli ventenne, è stato attirato con l'inganno, rapito e ucciso in Cisgiordania, mostrando ancora una volta come l'Autorità palestinese sia un "partner di pace" totalmente inadeguato per Israele. I negoziati farsa patrocinati da John Kerry e sotto la supervisione di Martin Indyk dovrebbero essere sospesi fino a quando Mahmoud Abbas non si scuserà in modo convincente e non adotterà le misure necessarie per assicurare che tale comportamento scorretto non si ripeta più.

(danielpipes.org, 23 settembre 2013)


Netanyahu: All'Onu dirò la verità su adulazioni e sorrisi

GERUSALEMME, 29 set. - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu annuncia che alle Nazioni unite "dirà la verità sulle adulazioni e la carica dei sorrisi", riferendosi alle aperture diplomatiche dell'Iran verso l'Occidente. Si tratta della prima reazione del governo israeliano alla telefonata tra il presidente Usa Barack Obama e l'omologo iraniano Hasan Rohani, primo contatto del genere in tre decenni. Netanyahu negli Usa incontrerà Obama e interverrà all'Assemblea generale delle Nazioni unite. Israele, scettico nei confronti di Teheran, crede che quest'ultima stia continuando a lavorare ad armi nucleari e costituisca quindi un rischio.

(LaPresse, 29 settembre 2013)


Dove si è soldati a vita

di Roberto Bongiorni

Fotogalleria
Attendi, cercando un barlume di complicità nei suoi occhi di ghiaccio. Ma lei è impassibile. La mano stretta sul fucile M16 avverte che è addestrata a usarlo. E non esiterà a farlo se dovesse essere necessario. Solo lei ha il potere di farti passare. Devi portare pazienza. Ne debbono avere di più i palestinesi che attraversano i checkpoint dell'esercito israeliano. Uomini di 50-60 anni, interrogati a lungo da una ragazza di 18, perquisiti, gli indumenti levati, trattati a volte con durezza. Non di rado respinti. Sono situazioni all'ordine del giorno per chi attraversa un check point nei Territori Palestinesi, o per chi sta rientrando dalla Striscia di Gaza attraverso il valico di Herez, sottoponendosi a perquisizioni che - per quanto necessarie - non sembrano finire mai. Eppure di quelle donne in divisa si sa davvero poco. La gente come noi non ha paura, della giovane israeliana Shani Boianjiu, offre un punto di vista nuovo. Pagina dopo pagina, approfondisce un argomento che nessuno dei più blasonati autori israeliani (Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman) ha affrontato: il servizio di leva delle israeliane. E lo fa con una scrittura semplice, una narrazione priva di retorica in cui la politica e le guerre sono solo la cornice in cui si svolge la vita "ordinaria" delle tre protagoniste.
   Yael, Avishag e Lea sono tre giovani studentesse che crescono in un villaggio isolato al confine con il Libano. Dove le aule scolastiche sono ricavate da container e la minaccia della guerra incombe sulla comunità. Anche per loro arriverà il giorno della Leva. Yael insegnerà a sparare alle reclute - uomini - in un campo di addestramento. Avishag finirà al confine con l'Egitto, davanti al monitor di una telecamera di sicurezza. Lea, divenuta ufficiale, sarà assegnata a un check point su una strada "fantasma" nei Territori Palestinesi. Da quei mesi le ragazze usciranno cambiate. Per sempre. Perché la Leva in Tsahal divide, recidendola, la vita degli israeliani. Gli uomini per tre anni, le donne per due, vivranno fianco a fianco, condividendo quasi ogni momento della giornata. Nella terra dove si è soldati a vita, la guerra è parte della vita. Anche quando si ha una famiglia, o si è raggiunta una brillante posizione sociale, ogni anno si sarà richiamati per un mese di esercitazioni fino ai 45 anni. In caso di guerra, si può sempre partire per il fronte, con poche ore di preavviso.
   Le tre ragazze si riuniranno proprio quando saranno richiamate. E ognuna ricorda la vita da soldato: le canzoni, i rapporti sessuali con i compagni, il gioco di iniettarsi insieme acqua ghiacciata nelle vene per sfuggire alla calura. Ma anche momenti drammatici, quando l'adrenalina pervade il corpo. Come accade a Lea, quando un suo soldato, violando il protocollo, si affaccia al finestrino di un'auto e viene accoltellato alla gola da un palestinese esasperato. Avishag non scorderà mai i corpi senza vita dei profughi in fuga dal Sudan, uccisi dalle guardie egiziane. Esperienze drammatiche - sconosciute a moltissimi coetanei europei - legate da un filo conduttore: il dovere di servire il proprio Paese e la pervicacia nel non avere paura o, quanto meno, a non mostrarla. Anche alle soldatesse non è dato provare compassione, né indugiare. Diffidare, sospettare, indurirsi, diviene una regola per sopravvivere. Eppure in alcuni momenti affiora nei personaggi la curiosità per quelli dell'«altra parte», a volte anche un moto di tenerezza. Come a Yael, quando permette a un gruppo di ragazzini palestinesi di rubare gli oggetti della base militare, fino alla recinzione, e si rende complice del loro gioco. O quando il racconto vira sull'umorismo e Lea si trova davanti tre manifestanti palestinesi (tra cui un vecchio e un bambino) che protestano per la chiusura della strada implorandola prima di usare le bombe sonore, poi i lacrimogeni, e al terzo giorno i proiettili di gomma affinché la manifestazione sia ripresa dalla stampa. In questi momenti si rompe la spirale manicheista che da decenni governa le relazioni tra i due popoli e li rende sconosciuti gli uni agli altri. Mai come negli ultimi anni le prospettive di veri negoziati di pace è apparsa così tenue. Il conflitto israelo-palestinese è incancrenito. Shani ha ammesso: «Molti di noi, me compresa, non pensano che vedranno la fine della crisi con i palestinesi durante la loro vita».

(Il Sole 24 Ore, 29 settembre 2013)


Il film "Bethlehem", candidato di Israele agli Oscar

Pellicola ha vinto sei Ophir, maggiore premio Israele

GERUSALEMME, 29 set - "Bethlehem", film di Yuval Adler, rappresenterà Israele come candidato agli Oscar per il miglior film straniero. La pellicola - che ha avuto la sue premiere all'ultima Mostra di Venezia ed ha ricevuto il palmares al recente Film Festival di Haifa - ha infatti vinto ben sei 'Premi Ophir', il più importante riconoscimento cinematografico israeliano.

(ANSA, 29 settembre 2013)


29-30 settembre 1938: la Conferenza di Monaco

di Ferruccio Del Bue

Il 29 e 30 settembre del 1938 furono i giorni della conferenza di Monaco. L'accordo stipulato al termine dei lavori fu una disonorevole Canossa nella quale Gran Bretagna e Francia, nell'illusione di potere scongiurare la guerra, sacrificarono la Cecoslovacchia alla Germania. Ancora una volta Adolf Hitler potè realizzare un suo antico progetto di annessione: inglobare i territori Sudeti. Già nel marzo del 1938 il Fuhrer aveva disteso la lunga mano del nazismo sull'Austria. Con l'ingresso a Vienna delle camicie brune si era poco tempo prima consumato l'Anschluss.
   Ma Gran Bretagna e Francia dimostrarono di non avere imparato la lezione. E quando Hitler, in nome dell'autodecisione dei gruppi etnici, reclamò sofisticatamente anche i territori Sudeti, il premier del Regno Unito Arthur Neville Chamberlain e il suo collega francese Eduard Daladier tentarono una nuova mediazione nell'illusione di potere allontanare i neri venti di guerra che già soffiavano a raffica sull'Europa. L'errore finale, poi, fu quello di proporre al duce Benito Mussolini di fare da mediatore con l'invadente alleato dell'Asse Roma-Berlino.
   La due giorni di Monaco si aprì alla Führerhaus con un tavolo tra Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia. Incredibilmente i cecoslovacchi non vennero neppure invitati a discutere dei loro destini nazionali. Anzi, addirittura il britannico Chamberlain aveva fatto in precedenza pressioni sul premier cecoslovacco Benes perché accettasse a priori i diktat hitleriani. Viste le premesse, naturalmente è inutile dire come finirono i lavori. La Cecoslovacchia, senza complimenti e logica, fu mutilata di una superficie di oltre 25mila km quadrati, il territorio più ricco del Paese. L'accordo parve andare bene a tutti i negoziatori, tranne ovviamente ai "puniti" che lo trovarono inaccettabile. Al termine delle 48 ore di Monaco proseguiva lo slancio della politica di espansione del Reich nei territori slavi di lingua tedesca, il Lebensraum im Osten.
   Hitler era addirittura stizzito, quasi infastidito da quella rapidissima vittoria sulla carta capace di essere persino più veloce della blitzkrieg (guerra lampo) della Wehrmacht tedesca. Mentre chi pensava di avere scongiurato la guerra fu in realtà così miope da non rendersi conto che quel gesto pavido di diplomatica ingiustizia aveva solo avvicinato l'appuntamento con i cannoni. Benito Mussolini, calando dal Brennero verso Roma, raccolse applausi e ovazioni. Gli italiani lo salutarono come l'ispiratore salvatore della pace. Mentre il duce era invece così irritato dallo spettacolo del popolo oceanico e festante che la stessa sera, una volta giunto a Palazzo Venezia, si affacciò al balcone salutando di sotto più volte, ma senza mai proferire una sola parola. Solo dopo un po', preceduto dall'annuncio del segretario del Pnof. Achille Starace, ruppe gli indugi: "Camerati, voi avete vissuto ore memorabili. A Monaco noi abbiamo operato per la pace secondo giustizia". Qui si interruppe mostrando un certo disappunto nel tono e chiese quasi polemico: "Non è questo l'ideale del popolo italiano?". E lasciando cadere l'interrogativo sulla folla a piè veloce sparì dietro le vetrate. Alcuni mesi dopo la Wehrmacht e i nazisti, era il 13 marzo del 1939, entrarono a Praga annettendo le regioni della Boemia e della Moravia e facendone un protettorato tedesco. Ancora una volta Gran Bretagna e Francia non mossero un dito. Da li a breve le attenzioni della Germania si sarebbero spostate sulla Polonia, il corridoio per Danzica e lo sbocco al mare. Così la guerra bussò alla porta dell'Europa. Ma questa è già un'altra storia.

(Avanti!, 29 settembre 2013)


“Se vuoi la pace prepara la guerra”, dice l’antico motto. Altri invece dicono: “Se vuoi preparare bene la guerra e vincerla, parla di pace”. Ci sarà Rohani tra questi?


Arrestato in Israele un agente iraniano

L'uomo d'affari balga sarebbe stato reclutato dai Pasdaran nell'apparente intento di creare una rete spionistica in Israele.

GERUSALEMME, 29 settembre 2013 - Lo Shin Bet, l'agenzia israeliana di intelligence per gli affari interni, ha arrestato un iraniano sospettato di spionaggio. L'uomo, con passaporto belga, è stato arrestato l'11 settembre all'aeroporto di Tel Aviv e trovato in possesso di fotografie dell'ambasciata americana.
Si tratta, secondo la radio militare, di un uomo d'affari belga, Alex Mans, originario dell'Iran.
L'uomo, ha aggiunto l'emittente, è stato reclutato dai Pasdaran nell'apparente intento di creare una rete spionistica in Israele. Nei bagagli di Mans sono stati trovati documenti vari fra cui fotografie dell'ambasciata Usa a Tel Aviv.
Mans (58 anni) risulta essere nato in Iran, con il nome di Ali Manzuri (secondo la traslitterazione ebraica). Vi ha risieduto fino al 1980, quando si è trasferito in Turchia. In seguito ha avviato attività commerciali in Belgio per poi ottenere, mediante un matrimonio, la cittadinanza di quel Paese.
Secondo lo Shin Bet, Mans è stato reclutato da due dirigenti della Guardie rivoluzionarie iraniane su istruzione del loro superiore diretto, Kassam Suleimani.
Il suo compito - aggiunge lo Shin Bet - era di allacciare rapporti commerciali in Israele allo scopo di fare da copertura per future attività clandestine dell'Iran. In particolare sarebbe stata menzionata la possibilità di compiere attentati.
Per finanziare queste attività - aggiunge lo Shin Bet - doveva essere stanziato fino a un milione di dollari. Mans ha compiuto due brevi visite in Israele, nel luglio 2012 e nel gennaio 2013. Nella terza visita, questo settembre, è stato infine arrestato. Lo Shin Bet ha anche divulgato alcune fotografie di cui Mans era in possesso. Fra queste le immagini dell'ambasciata Usa a Tel Aviv (ripresa da due angolazioni diverse) e una immagine dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

(RaiNews24, 29 settembre 2013)


Intervista al dott. Luzzatto: 'Israele, uno Stato in guerra'

di Andrea Castello

Amos Luzzatto
Era il 29 Agosto scorso, nel pieno della crisi siriana le agenzie di informazione di tutto il mondo riportavano le minacce del generale iraniano Masoud Jazayeri: «In caso la Siria venisse attaccata, Israele brucerà». Le immagini che arrivavano da Israele in quei giorni mostravano gli abitanti intenti a ritirare le maschere anti-gas da utilizzare nel caso di un attacco condotto con armi chimiche. Non si vedeva terrore o panico in quei visi, le persone attendevano pazientemente in file ordinate il proprio turno per ritirare le maschere.
In quel momento ci si sarebbe potuto chiedere cosa potesse passare per la testa degli Israeliani, come la popolazione potesse affrontare un'eventualità così spaventosa come quella di una guerra. In effetti Israele è abituato a sopportare un clima di costante tensione per le minacce alla sicurezza interne ed esterne, ma come si può vivere in questo modo?
Per capire meglio come gli abitanti di Israele affrontino questo stato di cose abbiamo intervistato il dott. Amos Luzzatto, scrittore, saggista, medico, professore universitario ed ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane.

- Dottor Luzzatto, come può un intero popolo vivere in uno stato di perenne allarme?
  «Si può paragonare la situazione degli israeliani con la condizione in cui si trova un malato terminale di cancro, con la precisazione di quanto tempo gli resta da vivere e a quali sofferenze andrà incontro. Questa persona come fa a vivere? Esistono casi abbastanza rari in cui un paziente non accetta tutto questo e si suicida. Questa persona le direbbe che così non si può vivere. Altre persone invece tirano avanti fino alla fine e anzi, meravigliano il prossimo mostrando la loro enorme forza e la loro voglia di vivere. Questo è Israele, alle prese con il problema secolare di trovare un significato valido per vivere anche in condizioni estreme, ma sempre con la speranza che un giorno le cose migliorino».

- Israele ha eretto intorno al suo territorio una serie di barriere che lo isolano per motivi di sicurezza, ma questo isolamento è soltanto geografico o anche culturale?
  «Non parlerei di isolamento, dipende anche dalle persone che si incontrano e da dove si va. Ricordo che una volta presi un auto a noleggio in Israele e mi diressi verso Betlemme. A un certo punto mi persi. Nello spazio di pochi minuti fui circondato da una folla di bambini e di adulti palestinesi che, confusionari in una maniera impensabile e gridando tutti assieme, stavano litigando per decidere chi mi avrebbe dovuto aiutare. Alla fine ritrovai la strada del ritorno con quella macchina chiaramente israeliana circondata da una folla schiamazzante. L'incontro si concluse con grandi inchini, saluti e sorrisi. Questo è un esempio di come gli israeliani non siano completamente isolati geograficamente dai Paesi che li circondano».

- E dal punto di vista dell'isolamento culturale?
  «Da questo punto di vista Israele non è per nulla isolato. Le sue Università collaborano con tutte le Università europee e americane incentivando gli scambi culturali. C'è anche un rapporto di collaborazione scientifica permanente con il resto del mondo. Tutti si aspetterebbero di vedere Israele come una corazzata chiusa e con centomila sentinelle pronte a sparare, ma non è così. In realtà la popolazione è plurilingue perché proviene da paesi diversi, Paesi con cui hanno mantenuto rapporti molto stretti. A parer mio i veri problemi non sono l'isolamento geografico o culturale, quanto altri aspetti della vita quotidiana. Per esempio un ragazzo che si prepara a fare il liceo, nel momento in cui progetta il corso dei suoi studi dovrà anche mettere in conto di fare tre anni di servizio militare. Questo fa capire come la vita di un giovane israeliano sia un po' anomala rispetto a quella di un ragazzo europeo. La cosa che non va in Israele è quella di vivere in un settore del mondo, il Medio Oriente, che in linea di massima non ti vuole».

- Anche lei ha ricevuto una preparazione militare?
  «Certo. Avevo circa quindici anni e frequentavo la scuola come tutti. Un giorno ci dissero che ogni pomeriggio avremmo dovuto fermarci a scuola per frequentare le lezioni di quella che chiamarono Educazione Fisica Allargata. Ci insegnarono la lotta corpo a corpo, la lotta con i bastoni, lo studio del terreno, il camuffamento e il funzionamento di una mitragliatrice. Fu così che nacque l'esercito israeliano, in modo quasi clandestino, senza che gli inglesi lo sapessero (a quel tempo il territorio israelo-palestinese era sotto il controllo inglese e non era ancora nato uno Stato di Israele)».

- Ricorda qualche avvenimento in particolare durante questo addestramento?
  «Si, ricordo che quando la fase addestrativa finì, il nostro istruttore ci portò ai piedi di una collina che sulla cima ospitava un gruppo di ragazzi palestinesi. Tra i due gruppi iniziammo subito a scambiarci insulti e il nostro istruttore lasciò che la tensione salisse fino a quando questi palestinesi iniziarono a lanciarci addosso sassi, arance, tutto quello che trovavano. In quel momento l'insegnante ordinò di andare all'attacco utilizzando le tecniche apprese durante il corso. Noi ubbidimmo e ci mimetizzammo così bene che li prendemmo di sorpresa, arrivando sulla cima della collina con espressioni così minacciose da far scappare a gambe levate quei ragazzi».

- Secondo lei finirà questo continuo stato di tensione tra Israele e i paesi confinanti del Medio Oriente?
  «Finirà, ma non sarà sicuramente grazie ai governi, serve una spinta dal basso, dalla gente, dai giovani, dagli studenti. Forse io non vedrò questa rivoluzione, ma sono certo che avverrà».

(Wake Up News, 28 settembre 2013)


Ritirata la certificazione "kasher", l'Hostaria del Ghetto ricorre al giudice

Il rabbino ha bocciato il locale, il titolare ha presentato un ricorso in Tribunale perché avrebbe subìto un danno.

di Giorgio Cecchetti

   
VENEZIA - Toccherà a un giudice del Tribunale di Venezia stabilire se l'Hostaria del Ghetto, quella a fianco della Casa israelitica di riposo che usufruisce anche del Giardino dei melograni con l'entrata in campo del Ghetto Novo, offre una cucina "kasherut", cioè secondo le regole alimentari ebraiche dettate dalla Torah (il libro sacro).
A rivolgersi al Tribunale lagunare con un ricorso d'urgenza è stato il titolare del ristorante, Carlos Alberto Skaladanowski, con l'avvocato Paolo Bettiol, dopo che il rabbino capo di Venezia Benjamin Ghil ha tolto la certificazione di kasherut alla cucina del ristorante e la Comunità ebraica veneziana ne ha dato notizia affiggendo per tutto il Ghetto manifesti in cui si legge che l'Hostaria del Ghetto non ha più la certificazione e quindi la sua cucina «non è kasherut». La firma è quella del rabbino capo ma su carta intestata della Comunità ebraica veneziana. Da notare che all'entrata del locale ci sono due targhe, nella prima c'è scritto che ci si trova di fronte a una "Kasher House" e nell'altra che si tratta di un "Kasher Restaurant" con "Jewish-italian cusine".
«Naturalmente non chiediamo che il magistrato si esprima sul fatto se la cucina del locale in questione rispetti le regole dell'alimentazione ebraica», spiega l'avvocato Bettiol, «bensì che disponga in via d'ugenza la rimozione dei manifesti con la scritta che non si tratta di cucina kasherut perché è un'affermazione che porta discredito e che procura un danno». Non sono pochi, in particolare i turisti soprattutto statunitensi, che cercano ristoranti che rispettino le regole religiose e quel cartello, stando al legale, avrebbe già causato un danno economico o comunque potrebbe provocarlo.
Ieri, davanti al giudice Luca Boccuni, si è costituita la Comunità ebraica con l'avvocato Agnese Gemin, la quale ha prodotto una memoria. Il giudice ha rinviato l'udienza all'8 novembre per dar tempo alle parti di studiare la documentazione. Per l'avvocato Gemin, comunque, la questione non è di competenza della magistratura, trattandosi di una questione religiosa: se la cucina sia kasherut o meno, infatti, è il rabbino a certificarlo e un giudice non può entrare nel merito della questione. Inoltre, dai dati economici presentati dallo stesso titolare del ristorante risulterebbe che l'incassi è sì diminuito, ma i clienti nel loro numero sono aumentati e quindi l'avviso che non si tratta di una ristorante che segue le regole ebraiche non avrebbe comportato alcun danno.
La causa giudiziaria tra il titolare dell'Hostaria del Ghetto da una parte e il rabbino e la Comunità ebraica dall'altra in realtà nasconde uno scontro che ormai si trascina da anni, è quello tra la Comunità ebraica veneziana e gli esponenti della setta ortodossa dei Lubavitch,
Il termine “setta” è vagamente spregiativo e non è assolutamente adeguato a indicare un movimento come i Lubavitch. Userebbero, per esempio, i giornalisti italiani il termine “setta” per indicare un movimento cattolico come quello dei Focolarini?
che ormai ha preso piede da tempo anche nel Ghetto veneziano. Si tratta di un esteso movimento religioso del "giudaismo chassidico" che ha il suo punto di forza soprattutto negli Stati Uniti e che si è esteso anche in Europa, ma la maggioranza degli ebrei veneziani non solo non hanno aderito, ma criticano duramente l'ortodossia della setta. Il titolare dell'Hostaria del Ghetto, che è in parte in affitto dalla Comunità, visto che il ristorante si trova nell'edificio della Casa di riposo ebraica, da qualche tempo è passato con i Lubavitch.

(la Nuova Venezia, 28 settembre 2013)


Il cous cous israeliano al burro di lavanda? Tanto buono che ha vinto

Anche il Sole 24 ore di oggi riporta la notizia della gara di cous cous che si svolge in questi giorni nella cittadina siciliana di San Vito Lo Capo . Nell'articolo il piatto israeliano premiato dalla giuria, denominato "Harmony", viene presentato con queste parole:
    La giuria tecnica - di cui ho avuto la fortuna di far parte insieme a colleghi e chef di rara simpatia - è stata invece intrigata dalla scelta di Israele, che ha profumato la sua semola con burro di lavanda. Una scelta azzardata, hanno avvertito gli chef della giuria, basta un attimo e ti prende la mano, sovrastando prepotente tutti gli altri sapori. Così non è stato. Boaz Cohen e Ronny Basson, gli chef di Gerusalemme che hanno preparato il piatto, sono riusciti a donargli equilibrio e armonia ineccepibili.
Per i coraggiosi che volessero cimentarsi, l'articolo presenta la ricetta del piatto israeliano.

HARMONY PER 8 PERSONE

Purea cremosa di ceci con burro di lavanda e pesce locale coperto di sognante crema di melanzana affumicata e pioggerellina di cocco, succo di limone e una nuvola bianca sopra.

PER IL COUS COUS:
4 tazze di burgul
2 porri tritati finemente
2 carote a dadini
50 grammi - burro non salato
2 cucchiai di olio d'oliva
5 tazze di brodo vegetale
1 cucchiaio di lavanda
Preparazione:
soffriggere la carota e il porro con sale marino, poi aggiungere il burro burgul e lavanda. Mescolare per un minuto, aggiungere il brodo vegetale e cuocere a fuoco lento fino, poi si cucina a fuoco basso per 5 minuti con un coperchio. Lasciate riposare da parte per 10 minuti e poi mescolare con una forchetta.

PER I CECI:
2 tazze di ceci cotti morbidi
2 porri tritati finemente
50 grammi di burro non salato
1 litro di verdure stock
4 cucchiai di olio d'oliva
sale e pepe
Preparazione:
soffriggere il porro con l'olio d'oliva fino a dorarlo, aggiungere il brodo di ceci e verdure. Aggiungere un po' di sale, cuocere per 15 minuti poi aggiungere il burro e spegnere il fuoco.
Mescolare utilizzando un frullatore fino ad ottenere una purea cremosa ma non troppo liscia.

SALSA DI COCCO:
1 lattina di liquido di cocco
1 cucchiaio di semi di coriandolo secchi
radice di citronella
Preparazione:
arrostire i semi di coriandolo quindi aggiungere il resto degli ingredienti e cuocere insieme per 15 minuti a fuoco vivace. Passare attraverso un colino e cuocere finché non si addensa.

CREMA DI MELANZANA:
1 melanzana
2 tuorli d'uovo
120 ml di olio di oliva
sale
Preparazione:
arrostire le melanzane sul fuoco aperto da entrambi.
Mettere sopra un colino e catturare tutti i liquidi.
Frustare i tuorli d'uovo e lentamente iniziare ad aggiungere l'olio d'oliva. Dopo l'aggiunta di circa la metà dell'olio di oliva, iniziare lentamente aggiungendo il liquido di melanzane fino ad ottenere una salsa.
Mettere la melanzana affumicata dentro e purea attraverso il colino, e nell'olio liquido. Mescolare bene a bagno maria per circa 15 minuti fino a quando non si addensa.

DENTICE:
8 pezzi di 80 grammi di dentice
3/4 di cocco salsa al limone erba (lasciare un quarto per condire il piatto dopo)
20 grammi di semi di coriandolo
Filetto il dentice, tagliato a 80 grammi pezzi
Preparazione:
marinare il pesce in salsa di cocco per circa un'ora
schiacciare i semi di coriandolo molto bene fino ad ottenere sabbia di coriandolo
appena prima di spostare il pesce in un forno preriscaldato spargere qualche coriandolo di sabbia da entrambi i lati grill per circa 6 minuti.

PLACCATURA:
riscaldare la piastra, mettere una generosa quantità di crema di ceci sul fondo del piatto, organizzare il couscous sopra i ceci, mettere il pesce sopra il couscous, versare una buona quantità di crema di Melanzana sopra il pesce, farlo scivolare delicatamente sopra il couscous, usare la ricotta per una nube sopra il piatto, guarnire con qualche erba cipollina o un ingrediente più creativo

(Notizie su Israele, 28 settembre 2013)


Obama e Rouhani parlano al telefono: un contatto dopo oltre trent'anni

"Opportunità unica". Il presidente iraniano desidera risolvere la questione nucleare entro breve tempo, per cancellare le molte sanzioni che stanno facendo precipitare l'economia del Paese.

WASHINGTON - Il presidente Usa Barack Obama ha chiamato al telefono il suo omologo iraniano, Hassan Rouhani per una conversazione sul futuro dei dialoghi sul nucleare. È il primo contatto fra le due nazioni dopo quasi 35 anni.
Per Obama il contatto è stato "una opportunità unica". Egli ha parlato con Rouhani mentre questi si recava all'aeroporto, dopo aver partecipato all'assemblea generale dell'Onu. Nel suo primo discorso alle Nazioni Unite, Rouhani ha detto che l'Iran desidera risolvere presto la questione, sperando in un allentamento delle sanzioni che stanno provando in profondità l'economia del suo Paese. Egli ha affermato che l'Iran non vuole costruire alcuna bomba nucleare, come invece molti Paesi occidentali e Israele sospettano da tempo.
L'elezione di Rouhani a presidente lo scorso giugno, ha portato a nuovi e interessanti segnali di distensione con Israele e la comunità internazionale. Ma Israele e una parte del mondo politico Usa rimane sospettoso e preferirebbe accrescere le sanzioni e minacciare attacchi militari contro Teheran.

(Asia News, 28 settembre 2013)


Risolvere la questione nucleare per Rohani probabilmente significa due cose: 1) convincere Obama a non continuare nelle sanzioni contro l’Iran perché lui la bomba atomica non ce l’ha e neppure la vuole avere; 2) ricordare ad Obama che chi ha la bomba atomica invece è Israele e che risolvere la questione nucleare nel mondo significa costringere Israele a sottoporsi alle ispezioni Onu. E Obama, che ha come obiettivo primario la pace nel mondo (non per nulla l’hanno fatto premio Nobel), troverà interessanti queste argomentazioni. Un giorno forse si capirà quale sciagura sia stata per gli Stati Uniti, e non solo, avere un presidente come Barack Obama. M.C.


Il sabato al centro del Festival ebraico

di Andrea Aufieri

In concomitanza con la Giornata europea della cultura ebraica di domani, la comunità milanese avvia da stasera quattro giornate di festa, Jewish and the city.

Al centro il tema dello Shabbat, il sabato, e dunque il giorno del riposo, dedicato alla riflessione e alla spiritualità. Un diritto presentato sotto varie manifestazioni della cultura ebraica, senza dimenticare il tipico senso dell'ironia. Anche la cucina, con i piatti tipici dello Shabbat, è un pretesto per conoscerne la storia e il valore. Connessi ai temi della cucina e del riposo, si includono i ritmi della terra, dalla quale dipendono qualità e genuinità di quello che arriva sulla tavola. La musica è ancora un'occasione di convivialità e di dialogo, con le danze ebraiche e arrangiamenti klezmer, di classica e jazz.
Il festival ospita ottanta autori e si sviluppa tutto intorno alla sinagoga centrale della Guastalla. L'anteprima, questa sera alle 21.30, è al teatro Parenti, dove Vittorino Andreoli e Haim Baharier, due psicanalisti, discutono sul tema: «Lo Shabbat non è una domenica che capita di sabato». Domenica, dopo i saluti delle istituzioni, il via alla giornata europea: alle 10.30 in sinagoga «La bibbia è musica», recital musicale diretto da Omer Meir Wellber. A seguire la lectio magistralis «Lo Shabbat della speranza» di Marek Halter, romanziere e portavoce dell'ebraismo nel mondo. I portici della Besana ospitano, poi, la tavolata tradizionale, con ingresso libero per ascoltare le storie dietro ogni piatto, intrattenuti dallo spettacolo di burattini di Simcha Jelinek, e la degustazione al costo di 10 euro. Tra gli eventi del pomeriggio, lo spettacolo di strada «The bed» dell'attore Adrian Schvarzstein alle 14, e
 
Il trio NefEsh
l'incontro con il regista Amos Gitai al teatro Parenti dalle 16.30. Dalle 10 in poi anche tanti giochi e laboratori per i bambini. Lunedì 30 all'insegna della storia con una serie di incontri all'Università degli Studi: tra i relatori Vito Mancuso e Maria Canella. Il saggista Arturo Schwarz presenta: «Perché un ateo da 15 anni osserva lo shabbat». Alla resistenza durante la Shoah è dedicato l'evento principale di martedì, con Rav Giuseppe Laras e Ferruccio de Bortoli, dalle 17 al Memoriale. Erri de Luca ed Emanuele Segre rifletteranno in musica e parole sul tema del silenzio, dalle 21 in sinagoga. Si chiude con un concerto musicale alla rotonda della Besana, con i Nema Problema e il trio NefEsh.

(il Giornale, 28 settembre 2013)


Il punto più basso della diplomazia

Non fosse che siamo storditi dal cinico realismo che arriva dalle stanze della Casa Bianca, il cuore ci si stringerebbe a vedere Samantha Power, ambasciatrice americana all'Onu, che festeggia un accordo con i russi per la risoluzione sulle armi chimiche siriane (i russi non riconoscono le prove dell'Onu, e ieri ne sono arrivate di nuove, di altri attacchi, e le violenze continuano in Siria). Lei sa che è un bluff, che Bashar el Assad è e rimarrà impunito, che una risoluzione che non prevede conseguenze in caso sia violata è una risoluzione senza potere, che come scrive il Monde s'è fatto come volevano i russi. La Power lo sa, e sa che resterà testimone di un crimine che ancora una volta l'America non ha voluto punire, nonostante il gran vociare e l'imperativo morale che, non si sa come, è arrivato e sfumato nel giro di una decina di giorni. La Power lo sa, è esperta di genocidi e diritti umani: ma deve tacere, perché Barack Obama ha fatto un calcolo preciso e a quello bisogna attenersi. La crisi siriana sarà risolta per vie diplomatiche: garantiscono i russi che l'arsenale chimico sarà depotenziato e distrutto, in nove mesi non ci sarà più, ma se poi qualcosa dovesse andare storto, ci si ritroverà all'Onu a discuterne: il Cremlino non voleva che fosse incluso l'uso della forza nel caso la risoluzione non fosse ottemperata, e l'uso della forza non c'è. L'opinione pubblica vuole così, e vuole anche piantarla con la paura della Bomba iraniana, vuole che quel presidente con l'aria da nonno, Rohani, venga accolto e ascoltato. Obama viaggia sul 43 per cento della popolarità, se la sua immagine sgualcita si salva così, anche Samantha si volta dall'altra parte.

(Il Foglio, 28 settembre 2013)


Italiano e israeliano il cous cous più buono del mondo

Fotogalleria
Per tre giorni la cittadina siciliana di San Vito Lo Capo ha visto sfidarsi a colpi di semola gli chef provenienti da 9 paesi per una gara, il Cous Cous Fest, che quest'anno festeggia la sedicesima edizione. Festa di sapori ma anche festa di popoli, nata per dimostrare che il cous cous lega le genti del Mediterraneo e può diventae cibo della pace: anche in questa edizione i cuochi israeliani hanno condiviso la cucina con le cuoche palestinesi, per presentare i loro piatti alla giuria.
La giuria tecnica, composta da giornalisti, chef e gastronomi, ha scelto il piatto proposto da Israele, intolato "Armonia", a base di pesce e legato da un delicato aroma di lavanda e melanzane affumicate.
Il premio per la miglior presentazione è andato invece al Senegal: le due chef si sono presentate al pubblico e alla giuria con un messaggio scritto sul piatto, contro la violenza alle donne.
La giuria composta dal pubblico ha invece premiato il piatto italiano, presentato dagli chef Emanuele Russo e Antonella Pace: cous cous di salpe (un pesce dal sapore molto deciso) su vellutata di "aranci di mare" (granchi locali), fritto di capone (lampuga) e melanzana verde, profumato al croccante di aglio rosso.

Se volete provare a cimentarvi, ecco gli ingredienti di assemblare:
Per la semola: semola di grano duro, acqua, olio, pepe, cannella, alloro, sale.
Per la zuppa di pesce: Salpe, boghe, cipolla, aglio, prezzemolo, mandorle, concentrato, olio, sale, pepe, peperoncino.
Vellutata: cipolla, sedano, carote, pomodorino, granchi, olio, sale e pepe.
Fritto: capone a tocchetti, melanzane a tocchetti, olio di oliva.
Croccante: granella di aglio tostato.

(Panorama, 28 settembre 2013)


Percezione dell'Ebraismo

ROMA - Si intitola «La percezione dell'Ebraismo nelle altre culture e nelle arti«, il convegno organizzato nei giorni 1, 2, 3 ottobre dal prof. Alessandro Catastini, docente di Lingua e Letteratura Ebraica all'Università «La Sapienza» di Roma. Il convegno si svolge nell'Aula Odeion della Facoltà di Lettere e Filosofia de «La Sapienza» (Piazza Aldo Moro, 5 - Roma). Con questo convegno annuale, il secondo organizzato, si vuole offrire agli studenti delle Facoltà dell'Ateneo una panoramica multidisciplinare in cui gli interventi dei conferenzieri sono legati dal comune filo di come e quanto la cultura ebraica sia presente nelle altre lingue, letterature, arti figurative, nel cinema, nella musica e nello spettacolo. Verranno inoltre esaminati i rapporti storico-confessionali con le altre grandi religioni rivelate, perchè le prospettive di incontro e di dialogo si fanno più frequentie pressanti.
Il convegno ha una spiccata caratteristica multidisciplinare. L'Ebraismo viene visto attraverso i filtri di una molteplicità di insegnamenti e non solo sotto l'aspetto confessionale che pur è importantissimo. Agli studenti ed agli studiosi intervenuti l'anno scorso e a maggior ragione quest'anno vengono prospettate le diverse sfaccettature che variano a seconda del tempo storico, del luogo e del contesto in esame. L'anno scorso una professoressa di germanistica commosse l'uditorio - spiega il prof. Catastini - così come la conferenza sugli aspetti musicologici affascinò gli astanti che probabilmente non avevano mai avuto modo di riflettere sull'argomento.
Nel convegno di quest'anno sono stati inseriti anche temi letterari e storici. Perché non si può parlare di Ebraismo trascurando l'apporto che autori ebrei hanno fornito alle letterature diverse dalla propria, alle arti ed allo spettacolo di qualsiasi genere. L'aspetto storico poi è imprescindibile: tutto va visto diacronicamente in modo da poter apprezzare l'evoluzione nel tempo dei vari elementi e dei vari aspetti.

(lafolla.it, 27 settembre 2013)


Medicina senza frontiere

In 65 anni di esistenza, Israele ha raggiunto accordi di pace solo con due Paesi arabi: Egitto e Giordania. Alcuni membri di questo strano - e rissoso - condominio chiamato Medio Oriente si guardano bene dal chiamare lo Stato ebraico col suo nome, nel timore che così facendo ne giustifichino l'esistenza. Preferiscono l'eufemismo disprezzante di "entità sionista". Ma in questo buio orizzonte c'è almeno uno sprazzo di luce. I cittadini di questi Paesi si dimostrano più pragmatici dei loro leader. Una spia è il successo che stanno avendo nel mondo arabo i video con istruzioni sanitarie prodotti dalla mutua israeliana. I positivi talk back scritti dai fruitori contraddicono l'ostilità' dichiarata dei loro leader....

(Il Borghesino, 27 settembre 2013)


La poesia del codice, pietanze in armonia con il Creato: tabù e precetti della tradizione

Elena Loewenthal, dottore di ricerca in Ebraistica: «La creatività in cucina nasce anche dai limiti»

 
Elena Loewenthal, docente di cultura ebraica alla facoltà di Filosofia dell'Università Vita Salute-San Raffaele di Milano
Il pensiero più poetico legato al mondo della cucina ebraica è la tutela del primogenito: il primo frutto non si tocca e nemmeno il primo fiore. Ce lo racconta Elena Loewenthal, una delle più autorevoli esperte di Ebraismo, ospite del Festival Jewish and the City da domani a Milano. Se il dualismo è il fondamento della realtà e del pensiero di ogni cultura, nella religione si manifesta attraverso i codici proibito-concesso e con le restrizioni in campo alimentare: a giorni di magro e grasso corrispondono, nella cultura ebraica, cibi kashèr e tarèf, consentiti o no. «Il termine kashèr, che significa conforme, si usa anche in altri ambiti, mentre tarèf, oltre che proibito, possiede in più il significato negativo di rapace. Tutto parte dall'interpretazione dei testi, soprattutto nel Levitico e nel Deuteronomio, che dedicano molto spazio all'argomento cibo. Per i cristiani le parole della Bibbia sono da interpretare simbolicamente, per gli ebrei alla lettera», dice Loewenthal, che ha il dono straordinario di far sembrare semplici questioni complesse.
CUCINA IN ARMONIA CON IL CREATO - La Kashrut è l'insieme delle norme che regolano la cucina, può contenere decine di varianti e modifiche: fa fede la comunità di appartenenza. «Dio ha creato l'uomo vegetariano, solo con l'avvento di Noè, dopo il diluvio universale entra nell'alimentazione l'animale, ma è considerato un nutrimento nell'emergenza, mai nel quotidiano. L'uomo non dovrebbe cibarsi di esseri che mangiano carne, così come tra i vegetali non dovrebbe scegliere tra quelli geneticamente modificati». Anche ai tempi delle antiche scritture si usava praticare innesti sulle diverse specie botaniche. Ne esce una visione per cui Dio è padrone dell'universo, per questo noi dobbiamo avere rispetto, non soltanto verso gli esseri umani, ma anche verso gli animali. Quindi sì alla carne, ma con moderazione, e sono animali puri i quadrupedi ruminanti con l'unghia spaccata, come i bovini, gli ovini e i caprini; esclusi il maiale e il cammello, che sono vietati. Benvenuti sulle tavole ebraiche i pesci ben riconoscibili, forniti di squame e pinne, ma sono vietati tutti i molluschi e i crostacei.
«La ragione è antropologica», spiega la studiosa. «Per l'ebreo è meglio diffidare di specie animali che non conosce. No ai cavalli, ai conigli, agli insetti, agli animali che strisciano, perché sono a contatto con la terra, e no anche ai latticini».
I TABU' - E qui si introduce uno dei due grandi tabù della cultura ebraica: il primo la terra, perché la terra è di Dio, il secondo è il sangue, perché il sangue è sacro e simbolo della vita. Ogni animale prima di essere consumato deve essere ucciso (shechitah), perfettamente dissanguato, lavato e cosparso di sale e non deve entrare in contatto con il latte o con qualsiasi altro alimento o oggetto, perché è scritto «non cuocere il capretto nel latte di sua madre». Per questa ragione bisogna avere recipienti e stoviglie separate per cibi di carne e di latte: due frigoriferi e due lavastoviglie, tanto per cominciare. Sembra tutto tremendamente complicato. «Non tanto come appare», dice Loewenthal. «La donna ebrea si sa organizzare. Gli effetti delle restrizioni dovute alla crisi hanno avuto effetti anche positivi. La limitazione ha scatenato la creatività in cucina. Molti alimenti arrivati dalle Americhe hanno impiegato secoli per essere accettati dalle altre culture e religioni: la melanzana, le patate. Mentre la donna ebrea, se gli alimenti erano consentiti, li faceva entrare in casa e ha imparato sin dall'epoca tardo antica a cucinarli in mille varianti».
LA DONNA CUSTODE DELLE TRADIZIONI - Il ruolo delle donne sembra, nella cultura ebraica, ancora più legato al concetto di accudimento e di testimone delle tradizioni secolari che passano attraverso la condivisione del cibo, che è comunione di valori. L'uomo ebreo non ha patria, la sua terra diventa la famiglia, solo in due modi la difende e la perpetua nei secoli, attraverso la parola e il cibo. La donna ha questo compito.

(Corriere della Sera, 27 settembre 2013)


Raqa, i ribelli jihadisti bruciano due chiese cattoliche

Si tratta della chiesa greco-cattolica dell'Annunciazione e della chiesa armena dei santi Martiri. I fondamentalisti hanno distrutto la croce del campanile e innalzata la bandiera islamista. La denuncia dell'Osservatorio siriano per i diritti umani. Crescono le divisioni nell'opposizione ad Assad. I gruppi fondamentalisti rifiutano l'autorità del Consiglio nazionale e vogliono la sharia. Al Consiglio di sicurezza è pronta la risoluzione sulla distruzione dell'arsenale chimico di Assad. Apprezzamenti da Russia e Usa.

DAMASCO - Ribelli jihadisti legati ad al Qaeda hanno bruciato statue e croci in due chiese di Raqa, nel nord della Siria. L'Osservatorio siriano per i diritti umani, spesso favorevole ai ribelli, denuncia che ieri i Combattenti per lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante sono entrati nella chiesa greco-cattolica di Nostra Signora dell'Annunciazione distruggendo immagini e mobili all'interno. Hanno fatto lo stesso con la chiesa armeno-cattolica dei Martiri. In più, essi hanno distrutto la croce sulla punta del campanile per rimpiazzarla con la loro bandiera qaedista.
Raq e la sua provincia, sulle sponde del fiume Eufrate, sono cadute nelle mani dei ribelli lo scorso marzo. Da subito, gli oppositori fondamentalisti hanno ingaggiato una lotta contro gli oppositori del Free Syrian Army.
I Combattenti hanno imposto sulla popolazione del luogo una stretta legge islamica (sharia). Gli islamisti si sono spesso scatenati nel distruggere chiese e moschee sciite; hanno computo esecuzioni sommarie contro alauiti; sono sospettati di aver rapito sacerdoti e vescovi.
Per l'Osservatorio, questi attacchi "contro la libertà religiosa,... sono un assalto contro la rivoluzione siriana". In effetti, a causa della violenza dei jihadisti, molti oppositori di Assad, abbandonano i loro gruppi e tornano ad essere sostenitori del regime.
All'inizio della resistenza contro Assad, i ribelli hanno applaudito all'arrivo di gruppi fondamentalisti da Iraq, Arabia saudita, Libia, Cecenia, Indonesia, Qatar, Egitto. Ma poco dopo si è aperto sempre più uno scontro fra le due fazioni, quella "laica" e quella fondamentalista.
Ieri 11 gruppi di ribelli islamisti hanno annunciato di non riconoscere l'autorità della Coalizione nazionale, l'alleanza che unisce tutti gli oppositori del regime siriano, con base a Istanbul. Fra i motivi che hanno portato a tale decisione, vi è la condanna dei gruppi che gestiscono la rivoluzione siriana stando all'estero e soprattutto la voglia di islamizzare in modo integrale la lotta contro Assad. In una dichiarazione resa pubblica ieri essi esortano "tutti i militari e i civili a unirsi sotto una chiara proposta islamica basata sulla sharia, che dovrebbe essere l'unica fonte della legislazione".
Intanto, al Consiglio di sicurezza dell'Onu a New York, si è giunti a una risoluzione comune sulla consegna e l'eliminazione delle armi chimiche da parte di Assad. Essa sembra trovare anche l'appoggio della Russia e della Cina, grandi sostenitori di Assad. Il testo dovrebbe essere votato entro stasera. In esso si cita il capitolo VII della Carta dell'Onu, che convalida l'uso della forza, ma non permette una decisione automatica: per l'uso della forza - in caso di non rispetto della consegna e della distruzione - è necessaria una nuova risoluzione (come voleva la Russia).
Il testo condanna l'uso delle armi chimiche in Siria, ma non accusa nessuna delle due parti in lotta, entrambi sospettate di averne usato. Si dice che i responsabili potranno essere processati, ma non si cita il Tribunale criminale internazionale. La risoluzione non chiarisce come, dove e a chi la Siria deve consegnare le tonnellate di gas posseduto. E non specifica le modalità di verifica della consegna.
In ogni caso, il testo è visto come un buon passo dagli Stati Uniti. E la Russia riconosce che un accordo è stato raggiunto.

(Asia News, 27 settembre 2013)


Perché Rohani non ha riconosciuto l'Olocausto

di Christian Rocca

Chi nega l'Olocausto non nega che i nazisti uccisero gli ebrei. Nega le dimensioni dello Sterminio, la sistematicità della Soluzione finale, l'unicità della Shoah. Quindi, piano con gli entusiasmi: il neopresidente iraniano Rohani è un negazionista come il predecessore. Un negazionista dal volto umano, certo. Capace di ammaliare chi insegue una trattativa purché sia (Rohani, per sua ammissione, li ha già fregati una decina di anni fa sul nucleare).
L'agenzia Fars sostiene che la Cnn ha manipolato la traduzione, che la condanna specifica dello sterminio degli ebrei non c'è stata e che la parola «Olocausto» non è mai stata pronunciata. Il grande sollievo è ingiustificato: Rohani lascia agli storici il compito di valutare le dimensioni del crimine, paragona i crimini nazisti contro gli ebrei a quelli contro i non ebrei e traccia il falso parallelismo tra sterminio e sofferenze territoriali dei palestinesi. Il negazionismo soft di Rohani si ascolta con meno disgusto di quello rozzo di Ahmadinejad, ma è più pericoloso.

(Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2013)


L'ebraismo scoprì l'ecologia 3 mila anni fa

Nello Shabbat vengono anticipati i temi della vita in armonia con la natura e del rispetto delle sue risorse

 
di Stefano Rodi

Vivere in armonia con la natura significa, a volte, fermarsi. E, magari, riflettere. Bruce Chatwin, uno che aveva girato il mondo e aveva imparato a cooscerlo, diceva che «se il futuro esiste, sta nella rinuncia». Una religione, l'ebraismo, tremila anni fa, con l'introduzione dello Shabbat, la festa del riposo, ha fissato per legge una pausa biblica, un «fermi tutti planetario» che, nel tempo, ha assunto un valore simbolico che ha attraversato paesi, culture ed economie.
QUATTRO GIORNI DI DIBATTITI - Se ne parlerà a lungo quest'anno a Milano, nei quattro giorni del Festival internazionale di cultura ebraica, dal 28 settembre al 1o ottobre. Uno dei temi centrali, in questa prima edizione di Jewish and the City dedicata allo Shabbat, sarà quello del rapporto tra ebraismo e natura, in concomitanza con la giornata europea della cultura ebraica che si tiene il 29 settembre anche in molte altre città italiane ed europee. Il concetto del riposo, del «fermo biologico» e, più in generale, di una gestione oculata delle risorse del pianeta sono punti con cui la società moderna deve fare i conti, anche perché sempre più spesso non tornano. Quest'anno, l'Earth Overshoot Day, quello che segna la data in cui l'umanità esaurisce le risorse naturali del pianeta disponibili per l'anno in corso, è caduto il 20 agosto, secondo quanto calcola il gruppo di ricercatori che fa parte del Global Footprint Network e che calcola questo breakeven dal 1993, anno in cui, per la cronaca, il giorno del «pareggio di bilancio» con la natura cadeva il 21 ottobre. E per il resto dell'anno? Negli altri mesi si vive accumulando debiti con la Terra e, su questo fronte, non ci sono manovre finanziarie che tengano.
LA PAUSA - Migliaia di anni fa, quando tutto su questo pianeta si poteva temere tranne l'esaurimento delle sue risorse, l'ebraismo «mise le mani avanti» e anticipò concetti che si ritrovano oggi al centro dell'attenzione ecologista. «Il problema dell'armonia tra uomo e natura», riflette Elia Richetti, rabbino della sinagoga di Milano di via Eupili, «non nacque sicuramente perché tremila anni fa esistevano preoccupazioni sull'esaurimento delle risorse naturali, ma per il fatto che D-o (nella religione ebraica Dio non può essere nominato, ndr) concede l'uso della sua opera all'uomo, e che la proprietà di quest'ultima resta nelle sue mani; come tale, deve essere tutelata nel migliore dei modi possibili. Il concetto chiave, attorno al quale ruota tutto il pensiero "ecologista" ebraico è quello dello Shabbat».
NATURA E SALVAGUARDIA - Su questo concorda pienamente anche Roberto della Rocca, direttore scientifico di Jewish and the City: «L'interruzione del ciclo settimanale lavorativo appare preordinata a radicare il principio che il tempo deve essere visto e vissuto come momento e opportunità di superamento della schiavitù materiale quotidiana, che ci tiene avvinti alle esigenze della corporeità. E come ingresso in una dimensione di tutt'altra natura». Se nel primo capitolo della Torah scritta, Dio ordina all'uomo «empite la Terra e rendetevela soggetta», pochi versetti dopo precisa che «Dio pose l'uomo nel Giardino (il mondo intero, ndr) perché lo coltivasse e lo custodisse». C'è dunque il diritto di utilizzare la natura per le proprie necessità ma, allo stesso tempo, c'è il dovere di salvaguardarla. Come possono coesistere questi due aspetti lo spiega un versetto del quinto libro della Torah, con un esempio che sarà anche datato ma è efficace: «Quando in una guerra un'armata stringe d'assedio una città e si prepara a usare un'albero come ariete, non può usare a questo scopo un albero da frutto, ma solo uno non fruttifero».
ACQUA E ALBERI - E proprio con gli alberi, e non solo quelli da frutto, la cultura ambientale israeliana ha mostrato nel recente passato di saper lavorare bene. Dal 1901 il Fondo nazionale ebraico, organizzazione no profit nota anche come Kkl (Keren Kayemeth LeIsrael), ne ha piantati 280 milioni. E nella zona di Yatir, in pieno deserto del Negev, dove il primo albero venne messo nel 1964, una foresta di pini copre adesso 30 mila dune su un'area di 30 chilometri quadrati. «E in quest'area», commenta Silvio Tedeschi, presidente di Kkl onlus Italia, «la temperatura media annua è scesa di due gradi. Questi pini vivono con un bicchiere d'acqua all'anno, grazie al sistema dell'irrigazione a goccia». In una terra dove i miracoli sono passati alla storia, adesso resta una sapiente conoscenza della natura, la capacità di sfruttare le sue risorse ma anche e forse soprattutto di difenderle. Israele è un Paese che ha una sola fonte di risorsa idrica naturale: il lago di Tiberiade. «Adesso possiamo contare su 220 bacini idrici che raccolgono l'acqua piovana che cade a gennaio e a febbraio e che viene poi ridistribuita durante il resto dell'anno», spiega ancora Tedeschi. Quando si sanno fare i conti con la natura non si butta via niente: il 95% delle acque nere, per esempio, viene filtrato, reso quasi potabile, e riusato per l'agricoltura. E poi si cerca, si prova, si impara. «E soprattutto ci si confronta con gli altri», conclude Tedeschi. «Noi stiamo collaborando con Paesi africani subsahariani, mettendo a confronto le nostre rispettive esperienze in campo ecologico. Lo stiamo facendo anche con l'Australia, per esempio, in particolare sui possibili utilizzi della pianta dell'eucalipto». Vivere in armonia con la natura, sfruttare le sue risorse ma anche difenderle e farle proliferare. Dio - non solo quello degli ebrei - lo dice da tremila anni. Ma gli uomini faticano a capirlo.

(Corriere della Sera, 27 settembre 2013)


Hamas lascia il Qatar?

Gli uffici politici del movimento islamista potrebbero essere trasferiti a Beirut o Teheran. Il Qatar aveva offerto alla Giordania milioni di dollari per riprendersi Hamas.

GERUSALEMME, 27 settembre 2013- Hamas potrebbe lasciare il Qatar. Lo rivela il quotidiano libanese Al Akhbar, secondo il quale il leader del movimento islamista palestinese avrebbe deciso di trasferire gli uffici politici in un altro Paese. Tra le città papabili, Khartoum, Beirut o Teheran.
Una decisione dovuta all'assedio che Hamas sta subendo dalle autorità del Qatar: Meshaal, capo dell'ufficio politico, vive sotto lo stretto controllo delle forze di polizia e lamenta di non potersi spostare senza rischiare la vita o la libertà.
Nei giorni scorsi, alcune fonti riportate da media arabi avevano rivelato un'offerta da milioni di dollari del Qatar al re Abdallah di Giordania, perché permettesse ad Hamas di trasferire nuovamente i propri uffici ad Amman. Un'offerta rigettata dal governo giordano, che ha ritirato la cittadinanza a Meshaal ed altri leader islamisti palestinesi.
Negli ultimi mesi, il Qatar aveva offerto ad Hamas sostegno e denaro, girato al governo de facto della Striscia di Gaza. Il riavvicinamento era seguito alla decisione di Hamas di abbandonare l'alleato storico, la Siria, dove la leadership del movimento si era rifugiata per anni. Oggi il crollo dell'Islam politico in Egitto e l'indebolimento del movimento dei Fratelli Musulmani ha provocato una profonda crisi all'interno di Hamas, privata del sostegno regionale della rete islamista alle cui priorità aveva sacrificato quelle interne palestinesi.

(Nena News, 27 settembre 2013)


Cultura ebraica, Perani a Monte San Savino

Professore all'Università di Bologna, Mauro Perani, in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, affronterà il tema: "Ebraismo: la natura dell'uomo e l'uomo nella natura"

MONTE SAN SAVINO (AR) - Nel quadro degli eventi in programma a Monte San Savino in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, che sis volge domenica 29 settembre, s'inserisce l'incontro con un ospite d'eccellenza, il professore Mauro Perani docente di ebraico all'Università di Bologna.
Mauro Perani insegna Lingua e letteratura ebraica presso l'Università di Bologna, è segretario dell'Associazione italiana per lo studio del giudaismo e direttore del progetto Frammenti ebraici in Italia. Ha pubblicato diversi studi sulle scoperte più importanti compiute nella "Ghenizàh italiana" e ha al suo attivo diversi libri e articoli su temi di giudaistica.
Recentemente Perani è stato protagonista di un eccezionale ritrovamento, con la ridatazione di un antico rotolo della Torah nella biblioteca universitaria. Questo rende il manoscritto la più antica versione della Bibbia completa finora conosciuta.
In occasione del convegno a Monte San Savino Perani affronterà, con l'erudizione e l'originalità che lo contraddistinguono, il tema "Ebraismo: la natura dell'uomo e l'uomo nella natura".

(Fresco di Web, 27 settembre 2013)


Cinque libri in un rotolo


La tavola dello Shabbàt: le ricette tradizionali del sabato ebraico

Le ricette della tradizione religiosa ebraica sono protagoniste di "Jewish and the City" a Milano. Tutti piatti da preparare in anticipo, per osservare il risposo del sabato. Ma dopo due giorni, sono ancora più gustosi.

di Mirta Oregna

Il riso persiano "ingioiellato", ricetta portata in Italia dalle donne ebree provenienti dalla Persia
Tutti i venerdì, al calar del sole gli Ebrei osservanti interrompono le usuali attività quotidiane perché ha inizio lo Shabbàt, un momento di festa che dura fino al tramonto del giorno seguente e durante il quale non è permesso lavorare, accendere la luce o la televisione, usare l'auto o qualsiasi tecnologia. Quindi, nemmeno cucinare. Ma a tavola però ci si ritrova con tutti i membri della propria famiglia, secondo una tradizione antichissima che risale ai tempi della Bibbia. E se nell'immaginario comune lo shabbàt richiama chiassose tavole imbandite, in realtà l'origine risale ad una restrizione alimentare, quando cioè il popolo ebreo fuggì dall'Egitto nutrendosi di dolce manna che avrebbe raccolto in dose doppia il sesto giorno perché il settimo avrebbe riposato: in ricordo di questa doppia porzione concessa nel deserto, gli ebrei di tutto il mondo usano avere a tavola due forme di pane nei pasti dello Shabbàt. Se l'aspetto gastronomico è dunque importante, i piatti dello Shabbàt che costituiscono la cena del venerdì, la colazione e il pranzo del sabato, devono essere pietanze che - preparate con anticipo - diventano sempre più buone con il passare delle ore, e che possono essere lasciate in caldo su di una piastra elettrica anche 20 ore di seguito.
   Occasione per scoprirle è proprio "La tavola dello Shabbàt" imbandita a Milano il 29 settembre (dalle 12 alle 15 alla Rotonda della Besana) all'interno di Jewish and the City, primo festival di cultura ebraica in città. Qui il pubblico potrà degustare alcune ricette storiche preparate da catering kosher (perché bisogna ricordare che il cibo dello Shabbàt deve seguire le strette regole dalla Kasherut) , ovvero cibi idonei, adatti; e spesso sono ricette che utilizzano ingredienti poveri e di stagione. Un'attenzione particolare è rivolta al pane intrecciato challah coperto all'inizio della cena affinché non si offenda di non essere il primo a essere mangiato. Un pane bianco e leggermente dolce che si è soliti impastare per lo Shabbàt con lo scopo di chiedere a Dio aiuto per le persone care, bisognose o scomparse, messo in tavola in due forme per ricordare appunto la doppia manna biblica. Gli antipasti sono generalmente quelli della tradizione ebraica, ma non sono specifici della festa: piuttosto è importante che i piatti, soprattutto quelli principali di carne e di pesce, siano bilanciati, per mangiare sì ma senza appesantirsi.
   La food blogger ebrea Benedetta Jasmine Guetta, che dal 2009 tiene Labna, un esaustivo blog di ricette ebraiche, segnala ad esempio lo hraimi, una portata di pesce tipica della cucina tripolina, fatta con filetti di pesce (magari tonno o ricciola) conditi con salsa piccante. Un'altra ricetta interessante è Il riso persiano "ingioiellato" ricetta portata in Italia dalle donne ebree provenienti dalla Persia (l'attuale Iran): rappresenta un caratteristico riso di Shabbàt, perché si prepara in anticipo, scaldandolo al momento o consumandolo freddo, e ogni famiglia ne elabora la propria versione. Sulla tavola dello Shabbàt non possono infine mancare i dolci, come i baklava fatti con la pasta fillo farcita di frutta secca e immersi nel miele: un dessert tanto calorico quanto gustoso.
   Quanto alla colazione, Rossella Tammam Vaturi, autrice de La cucina ebraica tripolina, preferisce preparare una crostata di frolla impastando farina bianca, uovo, zucchero, lievito e al posto del burro olio di semi, la farcisce poi con gherigli di noce e confetture di stagione, che ne caso del Jewish festival sono quelle di Rigoni di Asiago, scelto come unico food quality partner in quanto produce confetture kosher, oltre che bio. Per di più è una torta che, essendo priva di latte e burro, può essere servita anche a fine cena, dopo la carne. Senza violare la regola ebraica di non consumare carne e latte nello stesso pasto.
Quasi un obbligo, infine, citare i falafel, le tradizionali polpette vegetariane di ceci, aglio e prezzemolo, un caposaldo della cucina alla giudìa che spesso Benedetta insegna nei suoi showcooking. I falafel esulano dalla più specifica tavola del sabato, ma che certo non ci stonano. E aprono un nuovo capitolo di cucina kosher.

(leifoodie, 27 settembre 2013)


La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura sostiene "Kosher a Roma"

Domenica, in occasione Giornata europea della cultura ebraica

ROMA - Si apre domenica 29 settembre la prima edizione del Festival della cultura e dell'enogastronomia giudaico-romanesca chiamato "Kosher a Roma", in programma fino al prossimo 4 ottobre. L'iniziativa, nata in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, è stata promossa e organizzata da ARM (Azienda Romana Mercati, Azienda speciale della Camera di Commercio di Roma), in collaborazione con la Discoteca di Stato, con il Centro culturale e con l'Archivio Storico della Comunità ebraica di Roma.
Sono previsti convegni, presentazioni di libri, degustazioni e visite guidate. Si spazia dai temi legati alla cucina a quelli più generali relativi alla storia e alla cultura della più antica comunità della diaspora ebraica in Europa. Si parlerà, poi, di come era la vita degli ebrei nel periodo del Ghetto, con una mostra fotografica del quartiere prima della completa demolizione alla fine dell'800, dei loro rapporti con il resto della popolazione romana, delle vicende che hanno portato alla costruzione della sinagoga e, più in generale, degli oltre duemila anni di storia della comunità.
Azienda Romana Mercati ha censito e descritto ristoranti, pastifici artigianali, panifici, pasticcerie, tavole calde e fast-food kasher presenti non solo nella storica cornice dell'antico ghetto, ma anche in altre parti della città. Tutti sono stati inseriti in un catalogo e in un'applicazione internet. Per coloro infine che volessero cimentarsi nella preparazione di queste specialità, nel catalogo figurano anche alcune ricette.

(ANSA, 27 settembre 201


Rohani moderato? Meglio non fidarsi, la comunicazione ha i suoi trucchi

di Marco Venturini

   
La comunicazione ha i suoi stratagemmi. Anche per passare da moderato dicendo cose da estremista.
Così il presidente iraniano Rohani dopo il suo discorso all'ONU e la successiva intervista alla CNN è passato da degno successore di Ahmadinejad, alleato di Hitler-Assad a pacifista amico degli ebrei, così buono che il Dalai Lama impallidisce al confronto.
La dichiarazione che evidenzierebbe la conversione, sulla quale si fonda il grido al miracolo, è quella dell'intervista alla Cnn durante la quale il presidente iraniano ha pronunciato le seguenti parole:
"Il crimine commesso dai nazisti nei confronti degli ebrei e dei non ebrei è riprovevole e condannabile. Prendere una vita umana è condannabile e non ha importanza se si tratta di una vita ebrea, cristiana o musulmana, per noi è lo stesso. Prendere una vita umana è una cosa che ogni religione respinge. Ma questo non vuol dire che se i nazisti hanno commesso un crimine contro un gruppo, ora questo gruppo può prendere la terra di un altro gruppo e occuparla. Anche questo è un atto che va condannato".
Per placare gli entusiasmi non bisognava aspettare la frenata di ieri da parte dell'agenzia di stampa iraniana militante Fars che contesta traduzioni e parole travisate se non inventate. Per valutare razionalmente le parole del presidente iraniano e capire che non siamo realmente di fronte a un moderato basta disinnescare la trappola comunicazionale che ha usato nell'intervista: manipolazione tramite il principio di contrasto. Vediamo.
Il principio alla base di questa tecnica è che quando vediamo o ascoltiamo qualcosa, il modo in cui lo percepiamo non è influenzato solo da ciò che sentiamo in quel momento, ma anche da quello che abbiamo ascoltato appena prima.
Il principio di contrasto dice che se ci sono due cose sufficientemente diverse tra loro, tale differenza verrà amplificata e i due oggetti ci sembreranno molto più diversi di quanto siano in realtà. Se infiliamo una mano nell'acqua bollente e subito dopo la immergiamo in acqua tiepida, questa ci sembrerà fredda. Se invece facciamo la stessa cosa mettendo la mano non in acqua calda ma in acqua ghiacciata, quella tiepida sembrerà calda. Eppure era tiepida in entrambi i casi. Allo stesso modo se solleviamo una scatola molto leggera e poi una pesante, quest'ultima scatola ci sembrerà molto più pesante. Questo vale per ogni percezione sensoriale.
Se Ahmadinejad, il predecessore di Rohani, non avesse negato l'olocausto e proposto la cancellazione di Israele, le dichiarazioni dell'attuale presidente iraniano non ci sembrerebbero così moderate.
Altra tecnica usata da Rohani in questi giorni per riabilitare la sua immagine in occidente è quella di strutturare i discorsi partendo con dichiarazioni positive. È lo stesso principio della prima impressione. Se una persona ci sembra simpatica alla prima impressione ci vorrà tempo prima di cambiare idea sul suo conto. Hitler lo sapeva bene quando tagliò i suoi baffetti alla Charlie Chaplin.
Così Rohani è ben attento ad aprire gli interventi con frasi positive prima di lanciare affondi. Il passaggio dell'intervista in questione comincia con la condanna dell'olocausto.
Prendiamo le stesse parole dell'intervista invertendo però l'ordine dei periodi. Se Rohani, come prima cosa, invece di condannare i crimini nazisti nei confronti degli ebrei, avesse guardato l'intervistatrice e dopo qualche attimo di silenzio avesse attaccato dicendo: "non vuol dire che se i nazisti hanno commesso un crimine contro un gruppo, ora questo gruppo può prendere la terra di un altro gruppo e occuparla." Avremmo ancora parlato di "apertura" agli Usa o del riconoscimento dei diritti di Israele? E tornando al principio di contrasto, immaginate se queste stesse parole "non vuol dire che se i nazisti..." venissero dette da Enrico Letta o peggio, dalla tedesca Angel Merkel. Rabbrividisco al pensiero.
Analizzandone la comunicazione vediamo che per giudicare un leader è meglio basarci non sulle sue parole, che sono studiate ad arte, ma sulle sue azioni nel tempo.

(L'Huffington Post, 27 settembre 2013)


Petizione parlamentare israeliana contro la liberazione dei prigionieri palestinesi

Ventotto ministri, sette ministri del governo e svariati membri del parlamento israeliano hanno chiesto ieri al primo ministro Benjamin Netanyahu di congelare la prossima fase del rilascio di prigionieri palestinesi, come parte di un gesto di buona volontà nei confronti del presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas.
È la terza volta in tre giorni che i membri del parlamento presentano la stessa petizione a Netanyahu, dopo gli omicidi di due soldati israeliani per mano di palestinesi nel weekend. La lettera è stata firmata da membri del partito ultranazionalista Habayit Hayehudi, che rientra nella coalizione al governo, di Likud Beitenu e dei partiti religiosi Shas ed Ebraismo e Torah Uniti.
Lo scorso fine settimana, le morti dei due sergenti Tomer Hazan e Gal Kobi hanno scosso il paese, soprattutto perché Hazan è stato ucciso dopo aver accettato di accompagnare un conoscente palestinese al suo villaggio in Cisgiordania, dove è stato strangolato proprio da quest'ultimo. Kobi è stato freddato da un cecchino palestinese mentre era di guardia a un posto di blocco nella città cisgiordana di Hebron.
Nella petizione a Netanyahu, i parlamentari esigono che venga sospeso il secondo round di scarcerazioni, dal momento che "non si può negoziare la pace mentre si commettono atti di terrorismo". Il premier non si è ancora espresso a riguardo.
Da parte sua, da New York, dove si trova per assistere all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Abbas ha subito condannato le uccisioni e ha ricordato che Israele dovrebbe allo stesso modo condannare le morti di quattro palestinesi avvenute durante i recenti scontri con l'esercito israeliano.

(Atlas, 26 settembre 2013)


Regione Lazio e comunità ebraica, due giunte a confronto sotto la Succà

Pacifici: "Un'opportunità per presentarci in una veste diversa. Una comunità che vuole aprirsi alla società".


ROMA, 25 settembre 2013 - Due comunità a confronto, due giunte unite sotto la Succà, la tradizionale capanna ebraica. In occasione dell'ultimo giorno di Succot, una delle più importanti festività del popolo di Israele, la giunta regionale del Lazio e quella della comunità ebraica di Roma hanno pranzato secondo il precetto ebraico, per consolidare i rapporti e ricordare la cerimonia del 16 ottobre, giorno in cui ricorre per i 70 anni della deportazione degli ebrei di Roma.
Un'opportunità per presentarci in una veste diversa - ha sottolineato Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica - una comunità che vuole aprirsi alla società, farsi conoscere sui propri costumi e sulla propria tradizione.
Un rapporto, secondo Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, che continuerà ad essere solido e di grande collaborazione. Questo incontro, ha aggiunto Zingaretti, "è stata anche l'occasione per rendere partecipe una parte di Roma delle grandi sfide che abbiamo davanti e riconciliare i tanti attori della città, civili, sociali e religiosi, con un'istituzione che è uscita un pò ferita nel corso degli ultimi anni."
Il Rabbino capo, Riccardo Di Segni, ha voluto inoltre porre l'accento sulla festa delle capanne, che la Comunità sta celebrando in questi giorni e che "ha un significato attualissimo". La festività di Succot "segna il ricordo di un percorso di nomadi nel deserto, ma siccome ognuno di noi, come essere umano, ha una radice e un rischio di nomadismo - ha spiegato - dobbiamo rientrare in questa condizione per capire le radici del nostro essere. Quindi noi questo lo facciamo con molta serenità e gioia in questi giorni, costruendo dove possibile una capanna dove conserviamo i nostri pasti."
Il servizio di Teresa Ciliberto

(Meridiana Notizie, 26 settembre 2013)


Minacce antisemite a Pacifici, la procura apre un fascicolo

ROMA — La procura della Capitale ha aperto un'inchiesta sulla campagna intimidatoria contro il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Il fascicolo sull'iniziativa lanciata dai neonazisti di "Militia Roma" (e denunciata ieri da Repubblica) è stato affidato al sostituto procuratore Luca Testaroli. Il magistrato è, infatti, già titolare di un procedimento riguardante l'attività del forum "Stormfront", un concentrato di violente discriminazioni e incitamenti alla supremazia della razza bianca. A Pacifici è arrivata una telefonata di solidarietà dal Quirinale. «Gli sono stati trasmessi i sentimenti di vicinanza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano», ha precisato il portavoce della comunità ebraica Fabio Perugia. Anche Laura Boldrini, presidente della Camera, ha condannato le cartoline e i post minatori: «Quanto sta succedendo a Riccardo Pacifici dimostra che fenomeni come il cyber-crime sono ormai molto diffusi e non si può abbassare la guardia». Il sindaco di Roma Ignazio Marino ha definito «vergognose e intollerabili » le minacce e ha voluto esprimere a Pacifici la vicinanza di tutta la città.

(la Repubblica, 26 settembre 2013)


Chi è veramente Rohani?

Non convincono i modi gentili del neopresidente iraniano Rowhani. La barba curata, l'aspetto bonario da docente universitario in pensione, e l'approccio meno rude e cafonesco rispetto al predecessore Ahmadinejad ha colto di sorpresa l'opinione pubblica occidentale, che si era ben abituata ai deliri di Ahmadinejad. Ma la sostanza non cambia. E scavando nel passato del presidente designato de facto degli ayatollah, si hanno conferme sulla cautela giustamente adottata dai paesi più esposti alla minaccia atomica iraniana....

(Il Borghesino, 26 settembre 2013)


Ahmed e Tala, sposi ragazzi a Gaza

  
Fotogalleria
Lo sposo si chiama Ahmed Soboh e ha 15 anni, mentre la sposa, di nome Tala, ne ha 14: si sono sposati ieri a Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza, come ci raccontano queste fotografie di Ali Ali per la European Pressphoto Agency. Il protagonista è lo sposo, che vediamo festeggiare con il padre e gli amici, mentre la sposa, coperta da capo a piedi, compare solamente mentre lascia la casa paterna al braccio del giovane marito.
Nei Territori palestinesi, Gaza compresa, l'età minima legale per contrarre matrimonio è 18 anni. Ciononostante, la legge civile viene frequentemente ignorata, seguendo le prescrizioni della sharia, la legge islamica. In Cisgiordania se ne segue l'interpretazione giordana, in base alla quale, per sposarsi, i ragazzi devono avere almeno 15 anni e le ragazze 16. A Gaza, invece, viene seguita l'interpretazione egiziana: 16 anni per i ragazzi e 17 per le ragazze. Con il permesso speciale di un tribunale, la soglia dell'età minima può non essere vincolante.

(Panorama, 26 settembre 2013)


Gli islamisti siriani: vogliamo la Sharia

Tredici gruppi armati fondamentalisti prendono le distanze dalla coalizione dei ribelli: vogliamo uno stato musulmano.

Tredici gruppi ribelli siriani di ispirazione islamica hanno affermato di non riconoscersi nella Coalizione delle opposizioni, con sede all'estero, aggiungendo di volersi battere per l'instaurazione di uno Stato basato sulla legislazione islamica (Sharia).
Un duro colpo agli sforzi occidentali di incoraggiare l'unità tra le varie forze dell'opposizione come alternativa credibile al regime di Bashar al Assad. Tra i gruppi che hanno preso l'iniziativa, diffondendo in Rete un comunicato congiunto, figurano sia organizzazioni jihaiste come il Fronte al Nusra, legato ad Al Qaida, sia altre considerate più moderate, come la Brigata Al Tawhid, una delle principali forze sul terreno nella provincia settentrionale di Aleppo.
I 13 gruppi affermano di non sentirsi rappresentati da organizzazioni «formate all'estero che non siano tornate nel Paese», come appunto la Coalizione nazionale siriana, e fanno appello a «tutti i gruppi civili e militari perché si uniscano in un contesto chiaramente musulmano fondato sulla Sharia».

(globalist, 26 settembre 2013)


Obama grato ad Abu Mazen per i suoi sforzi sulla pace

NEW YORK - "Il presidente Abbas (Abu Mazen, ndr) ha rifiutato la violenza e ha riconosciuto la necessità della pace. Gli sono grato per i suoi sforzi". Sono queste le parole pronunciate dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama durante l'incontro con il presidente dell'autorità palestinese Mahmoud Abbas avvenuto martedì a New York a margine dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Obama ha ribadito la posizione degli Stati Uniti sul processo di pace, definendo l'America "profondamente impegnata nella realizzazione di una pace giusta e duratura per un conflitto che va avanti da troppo tempo".
"Non ci facciamo illusioni che la pace sarà facile o semplice", ha detto Abbas. "Dobbiamo superare diverse difficoltà ma ci rendiamo conto che la pace in Medio Oriente non è solo importante per i palestinesi e gli israeliani ma per l'intera regione e per il mondo". L'incontro tra Obama e Abbas è avvenuto dopo il discorso tenuto in mattinata dal presidente americano all'Assemblea Generale dell'Onu. Nel suo intervento Obama ha parlato del conflitto israelo-palestinese auspicando la creazione di due Stati indipendenti che vivano in pace e in sicurezza.

(TMNews, 25 settembre 2013)


“Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa cadrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno.” (1 Tessalonicesi 5:3)


Una Giornata nel segno della natura

Ha il proprio baricentro a Napoli, città capofila per il 2013, la 14esima edizione della Giornata della Cultura Ebraica.
  Un appuntamento, dedicato quest'anno al tema "Ebraismo e natura", che è ponte ideale con numerose manifestazioni a carattere ebraico organizzate a Napoli e nel Meridione d'Italia, di cui la Comunità partenopea è garante e punto di riferimento, negli ultimi mesi: il festival Lech Lechà, da poco conclusosi, e ancora le tante iniziative in cantiere per celebrare i 150 anni di vita della kehillah partenopea.
  Ospite d'onore il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in città per onorare il 70esimo anniversario delle Quattro giornate che, tra il 27 settembre e il 30 settembre 1943, portarono alla liberazione della città dal nazifascismo.
  In apertura di Giornata gli interventi del presidente UCEI Renzo Gattegna, del vicepresidente e responsabile della Giornata Roberto Jarach, del presidente della Comunità di Napoli Pierluigi Campagnano e del consigliere UCEI Sandro Temin. A seguire, tra gli incontri più attesi, la conversazione attorno al tema della Giornata con protagonisti rav Scialom Bahbout e il biblista Erri De Luca.
  Da Merano a Siracusa, sono 66 le città italiane dove avranno luogo incontri, mostre, visite nei luoghi ebraici. A Roma, sede della più grande Comunità ebraica italiana, iniziative dislocate in moltissime sedi, compresa la sezione di Ostia. Al Tempio Maggiore il tema "natura" sarà declinato in chiave musicale scoprendo quanto questo abbia influenza nei canti liturgici sinagogali attraverso un concerto del coro con cantore rav Alberto Funaro, organista Angelo Spizzichino e direttore Claudio Di Segni. Il concerto sarà preceduto da una presentazione del professor Pasquale Troia.
  Denso, tra i vari appuntamenti, il calendario di conferenze alla sala Margana. Introdotti da Georges De Canino, interverranno Cesare Efrati, Sara Procaccia, il rabbino capo Riccardo Di Segni e Alberto Sonnino. Nello stesso luogo sarà inaugurata la mostra Vento e Materia di Gabriele Moreschi. Da segnalare anche anche l'iniziativa Jews Maps, inedito itinerario in bicicletta per scoprire i segreti della Roma ebraica.
  Natura ed ebraismo, tema della Giornata, si mescola a Milano con i piatti forti del capoluogo lombardo: la riflessione sullo Shabbat al centro del festival Jewish and the City che abbraccia e sviluppa l'appuntamento di domenica 29 settembre e il ragionamento sulla strada dell'Esposizione universale 2015 che avrà proprio nell'ecologia il filo conduttore. Così nasce l'incontro "Shabbat dell'uomo, Shabbat della Terra" che avrà come protagonisti il presidente dell'Assemblea rabbinica italiana Elia Richetti e il presidente del comitato scientifico di Expo Claudia Sorlini, professore di Microbiologia agraria all'Università degli Studi, con la conduzione di Pier Luigi Vercesi, direttore del settimanale del Corriere della Sera Sette: appuntamento alle 15 alla sinagoga centrale. Nel pomeriggio in sinagoga anche la premiazione del concorso fotografico Obiettivo sul mondo ebraico organizzato dall'archivio fotografico della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea. Rispetto per la Terra e i suoi equilibri concetti ispiratori anche della performance dell'israeliana Ilana Yahav, sand artist, che racconta "Creazione. E il settimo giorno il signore si riposò" con la partecipazione dello storico dell'arte Daniele Liberanome e l'accompagnamento musicale di Michelangelo De Corato al Teatro Franco Parenti. Molteplici durante tutta la giornata gli appuntamenti dedicati alla cultura ebraica in tutte le sue sfumature, dall'etica alla cucina, passando per il programma dedicato ai più piccoli (tra gli altri alle 15, laboratorio organizzato dalla redazione di DafDaf alla società umanitaria).
  Tre le aree tematiche in cui sono suddivise le iniziative fiorentine: l'ebraismo di carta, l'ebraismo organico, l'ebraismo di plastica. Filo conduttore la suddivisione degli spazi del giardino del Tempio e della sinagoga in luoghi dedicati alle buone pratiche e al riciclo. Moltissimi gli incontri, da mattina fino a sera. In apertura l'intervento del rabbino capo Joseph Levi su "Le'ovdà uleshomrà - Coltivare e custodire la natura: responsabilità e dialogo nel rapporto tra l'Uomo, Dio, e la Natura". In conclusione un omaggio artistico alla figura di Gino Bartali, proclamato lunedì scorso Giusto tra le Nazioni. Alla regia Nicola Zavagli, come accompagnamento le musiche della Balagan Orkestar diretta da Enrico Fink.
  A Torino le celebrazioni della Giornata si legheranno alla festività di Sukkot. In piazzetta Primo Levi sarà infatti esposta la mostra "La festa di Sukkot: i frutti e i simboli - Le sette specie, il Lulav, la Sukkà". Curata da Baruch Lampronti e David Sorani, si basa su un testo del rabbino Alberto Somekh e a corredo ha immagini di lavori realizzati dalla scuola media ebraica Emanuele Artom. Al centro sociale uno spazio sarà invece dedicato al Keren Kayemeth LeIsrael e al suo lavoro di rimboschimento di Israele.
  Musica e ballo protagonisti a Trieste, dove sarà ospitato il corpo di ballo guidato dal coreografo e ballerino ucraino Vladimir Savchenko, che si esibirà in alcune antiche danze ebraiche raccolte in anni di studio. Il Gruppo Eksotic e il coro Rodnik si alterneranno sul palco del Teatro Miela riportando le melodie e i passi di balli della tradizione ebraica esteuropea e del folklore ebraico e russo.
  A Venezia grande curiosità e attenzione per il laboratorio per bambini "La creazione del mondo" con realizzazione di costumi e maschere di animali e vegetali presso l'aula didattica Cannaregio.
  Sempre per i più piccoli "Il mondo creato", pomeriggio di animazione per bambini e adulti con travestimenti preparati al mattino e giochi in campo. Si parlerà in particolare della festa di Tu Bishvat con letture animate e messa a dimora di piantine nelle aiuole pubbliche in campo di ghetto novo. Sono previste attività per famiglie.
  Programma completo della Giornata 2013

(moked, 25 settembre 2013)


Hassan Rohani riconosce l'olocausto: "È stato un crimine riprovevole"

  
"Il crimine commesso dai nazisti nei confronti degli ebrei e dei non ebrei è riprovevole e condannabile". Così il nuovo presidente dell'Iran, Hassan Rohani, ha ribaltato nel corso di un'intervista alla Cnn le dichiarazioni fatte in passato dal suo predecessore, Mahmoud Ahmadinejad, il quale definì l'Olocausto un "mito".
"Prendere una vita umana - ha dichiarato Rohani - è condannabile e non ha importanza se si tratta di una vita ebrea, cristiana o musulmana, per noi è lo stesso. Prendere una vita umana è una cosa che ogni religione respinge". "Ma questo - ha sottolineato - non vuol dire che se i nazisti hanno commesso un crimine contro un gruppo, ora questo gruppo può prendere la terra di un altro gruppo e occuparla. Anche questo è un atto che va condannato". Una lettura almeno apparentemente lontana anni luce da quella di Ahmadinejad, che invitava a intraprendere ulteriori ricerche per stabilire se l'olocausto fosse realmente accaduto.
Per il governo israeliano, però, la condanna dell'Olocausto da parte di Rohani è "insufficiente". "È vero che Rohani non ha negato l'Olocausto, ma non ha condannato coloro che lo hanno negato, come il suo predecessore (Mahmoud Ahmadinejad, ndr) e gli altri leader iraniani", ha osservato il ministro per l'Intelligence, Yuval Steinitz, alla radio pubblica israeliana.
E il vice-ministro degli Esteri, Zeev Elkin, ha aggiunto: "È sufficiente semplicemente riconoscere che l'Olocausto c'è stato per essere considerato illuminato e adeguato? I leader spirituali iraniani che hanno negato l'Olocausto sono ancora al loro posto". In precedenza, il premier Netanyahu aveva liquidato come "cinico" e "pieno di ipocrisia" il discorso compiuto da Rohani dinanzi all'Assemblea generale dell'Onu.
Per quanto riguarda un eventuale incontro con il presidente Usa Barack Obama, Rohani ha spiegato che ci sono stati dei colloqui in merito e che "gli Usa avevano dichiarato l'interesse a farlo", ma che "non c'è stato abbastanza tempo per preparare il meeting". Il popolo iraniano, ha spiegato Rohani, "vuole creare una nuova era nelle relazioni tra l'Iran e il resto del mondo".
Il presidente ha inoltre affermato di "avere l'autorità ogni volta che si tratta di questioni di interesse nazionale" e ha riferito che il leader supremo, l'ayatollah Ali Khamenei, ha autorizzato il suo governo "a negoziare se è necessario per gli interessi nazionali del Paese". Khamenei, ha aggiunto, "non è ottimista riguardo ai colloqui con gli Usa, ma ha autorizzato i funzionari del governo a parlare con i loro omologhi americani se necessario", soprattutto per quanto riguarda "la questione nucleare e le questioni regionali nel Medioriente". Rohani si è infine rivolto al popolo americano, affermando di "portare la pace e l'amicizia degli iraniani per gli americani".
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Certamente qualcuno starà già pensando di proporre Hassan Rohani come candidato al prossimo premio Nobel per la pace, sulla scia di quanto è stato fatto a suo tempo con Yasser Arafat. Con lui come maestro, anche Rohani ha imparato come si devono trattare gli occidentali amanti della pace. Dopo che il suo predecessore aveva detto e ripetuto che è bianco quello che tutti sanno e vedono che è nero, come non considerare un enorme passo avanti il fatto che lui adesso dica che sì, effettivamente, il nero è nero? Detto questo, tutto il mondo non potrà che essere disposto ad accettare quello che lui dice in seguito, cioè che Israele occupa illegalmente territori altrui. E su questo, naturalmente, tutti, o quasi tutti, saranno pronti a dargli ragione. Conseguenza: se si vuole la pace, come tutti vogliono, lui per primo, non bisogna preoccuparsi per la bomba atomica che l’Iran potrebbe costruire, ma per la bomba atomica che Israele ha già e usa per minacciare tutto il mondo, a cominciare dai poveri palestinesi. E Obama, anche lui premio Nobel per la pace, non potrà che essere sensibile a discorsi moderati e ragionevoli come questo. Israele invece no? Ecco, anche questa sarà una riprova che proprio lì sta il problema. E’ Israele il problema! L’aveva già detto prima, ma adesso molti di più ne saranno convinti. Bravo Rohani! Certo, la sua bravura di attore è esaltata dal tipo di platea che ha davanti, ma bisogna rendere onore al merito. E Rohani merita. M.C.

(L'Huffington Post, 25 settembre 2013)


Verona - Il cinema israeliano con animo femminile

Da domenica al 16 ottobre. Le proiezioni sono a ingresso libero. Prima rassegna cinematografica a Verona. Quattro i film, si parte con «La bella vallata» di Fridlich.

di Adamo Dagradi

Una foto di scena del film La bella vallata (2010) di Hadar Fridlich che ha ricevuto una menzione speciale al Festival di San Sebastian
29 settembre-16 ottobre. Una cinematografia poco conosciuta in Italia, un angolo di pianeta che aspira alla normalità ma sul quale pesano decenni di guerre, interferenze internazionali e precari equilibri tra Oriente e Occidente. Si aprirà domenica, alla ex chiesa di Santa Maria in Chiavica in centro storico a Verona, sede del Ctg (Centro turistico giovanile), la prima Rassegna di Cinema israeliano: quattro proiezioni, fino al 16 ottobre, a ingresso libero, organizzate da Comunità ebraica di Verona e Associazione Veronese Italia Israele, con la collaborazione di Kaleidoscopio, patrocinio del Comune, dell'ambasciata di Israele e dell'Associazione Memoria Immagine. Tutti i film saranno preceduti da cortometraggi d'animazione firmati dagli studenti dell'Accademia di Belle arti Bezalel di Gerusalemme.
La rassegna inizierà domenica, alle 20.45, con un'introduzione della giornalista Marta Teitelbaum. Dopo di lei il professoree Asher Salah, docente di cinema dell'Accademia Bezalel, presenterà il film La bella vallata (2010), di Hadar Fridlich (menzione speciale al Festival di San Sebastian). La proiezione, come tutte quelle di questa iniziativa, sarà in lingua originale con sottotitoli in italiano. La bella vallata (Emek Tiferet) racconta la storia di Hanna, addolorata dall'inesorabile privatizzazione del Kibbutz nel quale ha lavorato per tutta la vita, coltivando un sogno di eguaglianza ed equità che le nuove generazioni non sembrano capire. Domenica 6 ottobre La tromba nel Wadi (2002), di Slava Chaplin, dramma romantico che gravita attorno a un immigrato russo e a una donna arabo cristiana: un rapporto inviso agli abitanti arabi del quartiere di Haifa in cui vivono.
Lunedì 14 ottobre, con l'introduzione di Giovanni Quer, studioso di storia e società israeliana, tocca a Vicino a casa (2005), di Dalia Hager e Vidi Bill, su due soldatesse che pattugliano le strade di Gerusalemme. Si chiude mercoledì 16 ottobre con Prendere moglie (2004), di Ronit e Shlomi Elkabetz. La protagonista è una donna marocchina, residente a Haifa, soffocata dal maschilismo e dal tradizionalismo della famiglia del marito.
La rassegna, come è evidente dalle trame dei film, promette di approfondire il tema della femminilità nel mondo arabo e israeliano, permettendo agli spettatori di scoprire una dimensione intima di questa cinematografia, nota all'estero più per i titoli dedicati alla guerra che per quelli di vita comune.

(L'Arena, 25 settembre 2013)


"Mandate una cartolina al giudeo Pacifici". La campagna-shock dei neonazisti italiani

Così Militia minaccia sul web il presidente della Comunità ebraica di Roma per "vendicare" l'arresto di Mirko Viola (del sito neonazista Stormfront)

di Paolo Berizzi

 
Una campagna web contro il "giudeo" Riccardo Pacifici. Un diluvio di post e cartoline per perseguitare virtualmente il presidente della Comunità ebraica di Roma. È l'iniziativa shock lanciata da Militia Roma, formazione neonazista e antisemita già nota alle cronache per numerosi episodi di razzismo e xenofobia. "Libertà per Mirko Viola, spedisci anche tu una cartolina al giudeo Pacifici". L'invito, diffuso con un tam tam su Facebook, prende spunto dalla vicenda del camerata Mirko Viola, già Forza Nuova Como, arrestato e condannato in aprile a due anni e otto mesi per istigazione all'odio razziale. Per i giudici era lui, assieme ad altre tre persone, il moderatore del forum italiano di Stormfront, sito antisemita con basi in tutto il mondo. Forum nel quale venivano presi di mira politici, scrittori, giornalisti, magistrati di origine ebraica, in un concentrato di odio razziale con tanto di incitamento alla supremazia della razza bianca. Qual è la colpa del "giudeo" Pacifici? I camerati di Militia non gli perdonano di avere segnalato la mail che Mirko Viola gli aveva inviato mentre si trovava agli arresti domiciliari, iniziativa costata a Viola la revoca dei domiciliari con la disposizione, da parte del gip Carmine Castaldo, della custodia cautelare in carcere.
"L'infamata" del rappresentante degli ebrei, più volte minacciato e insultato in questi anni da gruppi di estrema destra e finito nella black list apparsa su Stormfront (il sito italiano è stato chiuso), per i neonazisti capitolini merita ora una reprimenda pubblica a base di offese. Le cartoline sono indirizzate alla sede della Sinagoga di Roma, all'attenzione del destinatario Pacifici: "Vaffanculo giudeo Pacifici! Voi siete i padroni di un mondo che non rispecchia noi, e non è con le vostre maniere coercitive che cambierete la nostra testa pensante", scrive Trillitrilli Puccetti. "Onore al camerata Mirko che paga duramente per aver lottato a viso aperto contro l'abominio giudaico-massonico", è la chiosa apparsa sulla pagina Fb di Militia Monteverde.
Sulla stessa pagina campeggia in copertina una foto che ritrae Pacifici con l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, anche lui criticato in passato da Militia poiché ritenuto troppo "amico" degli ebrei. "Un'altra volta gli estremisti neonazisti si distinguono per un'iniziativa becera e razzista - dice Gennaro Gatto, dell'Osservatorio democratico sulle nuove destre - Questa campagna dimostra il tentativo di rigurgito dai covi che la galassia nera sta tentando, una pericolosa tendenza favorita dal clima di odio e di xenofobia che soffia in Italia, con pericolosi revisionismi nazionalsocialisti".

(la Repubblica, 25 settembre 2013)


Campagna-shock, inziativa shock, oggi è tutto shock. Purtroppo invece non c’è niente di scioccante in inziative come questa, perché l’odio antiebraico, anche e non solo in queste becere manifestazioni, non ha mai cessato di esprimersi. Più pericoloso di questo nostalgico antisemitismo, che giornali come Repubblica volentieri registrano, è l’antisemitismo non scioccante, quello che nega agli ebrei il diritto di vivere come popolo e nazione sulla terra che a loro appartiene. M.C.


Avviato oggi il volo easyJet da Roma a Tel Aviv

ROMA, 24 set. - E' partito qualche minuto fa il nuovo volo easyJet che collega Roma Fiumicino con Tel Aviv. Il collegamento verrà operato su base annuale con due frequenze settimanali previste nelle giornate di martedì e sabato.
"easyJet," spiega una nota della compagnia, "è stata la prima compagnia aerea low fare a entrare nel mercato israeliano, nel novembre 2009. Tel Aviv è la città più grande d'Israele, una destinazione molto ambita dai turisti italiani in cerca di divertimento e relax, nonché punto d'accesso per gli itinerari religiosi in Terra Santa. La città è inoltre la capitale economica del paese e rappresenta un'importante aggiunta al network di destinazioni easyJet da Roma anche per il traffico di affari tra i due mercati."

(ilVolo.it, 24 settembre 2013)


Il Ministro Bennett ai parlamentari cristiani: "Sostenete Israele"

Il Ministro Naftali Bennett
GERUSALEMME - Il Ministro israeliano Naftali Bennett ha chiesto ai parlamentari cristiani provenienti da tutto il mondo di manifestare solidarietà con Israele. Lo Stato ebraico può contare solo su se stesso, ma è grato per ogni sostegno che riceve, ha detto domenica a Gerusalemme.
Come scrive il quotidiano "Jerusalem Post", Bennett ha ricevuto nella sua Sukkah a Gerusalemme uomini politici provenienti da America, Europa e Africa. Sono venuti da Stati Uniti, Canada, Guatemala, Argentina, Cile, Bolivia, Uruguay, Brasile, Paesi Bassi, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia, Macedonia, Sud Africa e dal Parlamento dell'Unione Europea. Questi uomini politici sono leader della "Israel Allies Foundation". Questa organizzazione si è posta come obiettivo di promuovere il sostegno a Israele nei parlamenti di tutto il mondo, e di favorire le relazioni tra tutti i parlamentari pro-israele. Durante la Festa dei delle Capanne Bennet ha tenuto una conferenza a Gerusalemme, incoraggiando i suoi ospiti a dire la verità nei loro paesi d'origine: "Chi pensa che la nostra vecchia capitale di 3000 anni è occupata non capisce assolutamente niente. Basta con le menzogne!”
"Mentre era a pranzo con gli ospiti internazionali nella Sukkah, ha ricordato che da 3000 anni il suo popolo passa ogni anno una settimana in una capanna per ricordare sempre la sua liberazione dall'Egitto. Il popolo ebraico ricorda sempre la sua storia, ed è per questo che continua ad esistere, ha detto Bennett.
Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, ha ribadito che non ci sarà una divisione di Gerusalemme. E ai parlamentari ha detto: "Siate ambasciatori di pace e dite la verità sulla vostra visita qui."
La lotta contro le nuove direttive UE sui rapporti con gli insediamenti israeliani è stato anche un tema nel corso della riunione. Lunedì i partecipanti alla conferenza sono stati accompagnati in Giudea e Samaria. Hanno anche visitato una cantina e hanno avuto un incontro con i leader degli insediamenti.
Benny Elon, Presidente della "Israel Allies Foundation" e ex Ministro del turismo, ha detto al servizio di notizie Arutz Sheva: "Penso che quello che possiamo vedere qui oggi è un importante messaggio non solo per noi israeliani, ma anche per tutto il mondo. Il messaggio è questo: milioni di comunità non ebraiche amano Israele".

(israelnetz.com, 24 settembre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


«L'Occidente non vuole vedere che ci hanno dichiarato guerra, l'islam moderato non esiste»

Intervista a Domenico Quirico: «La Primavera araba è stata scippata da un'internazionale islamica che ha come scopo quello di ritornare al Grande califfato del sesto secolo».

«Noi non vogliamo capire che l'islam moderato non esiste, che la Primavera araba è finita e che la sua nuova fase consiste nel progetto islamista e jihadista di costruire il Grande califfato islamico. Neanche a dirlo, il principale ostacolo alla sua costruzione siamo noi». Domenico Quirico, inviato della Stampa, rapito in Siria e rimasto nelle mani dei ribelli per cinque mesi, riassume in una grande «dichiarazione di guerra» dell'islam all'Occidente gli attentati in Siria, Pakistan, Nigeria, Egitto e Kenya a cui stiamo assistendo in questi giorni. Domani sera [25 settembre] Quirico sarà a Milano per un incontro organizzato dal Cmc e a tempi.it racconta «quello che ci sfugge, perché ci fa comodo far finta di non vedere»....

(Tempi.it, 24 settembre 2013)


Ebrei iraniani negli Usa: no ad un incontro con Rohani

Gli ebrei iraniani negli Usa hanno respinto una offerta di incontro con il presidente iraniano Hassan Rohani in visita a New York per l'assemblea generale dell'Onu.
I leader della comunità si sono detti preoccupati che l'incontro "avrebbe mandato il messaggio sbagliato all'amministrazione Obama e al pubblico americano in questo momento delicato", ha detto Sam Kermani a nome della Iranian American Jewish Federation.

(SCR , 24 settembre 2013)


Israele non ascolterà Rohani all'Onu

Non si è ancora capito se i rappresentanti di Israele oggi attenderanno l'inizio del discorso di Rohani, presidente dell'Iran per alzarsi ed andarsene dall'Assemblea dell'Onu o si assenteranno prima.

Yuval Steinitz
Gli israeliani boicotteranno il discorso del presidente iraniano Hassan Rohani all'Onu. Il ministro Yuval Steinitz, più alto esponente del governo israeliano ora presente a New York, ha riferito al sito Ynet News che non sarà presente quando Rohani prenderà la parola davanti all'Assemblea Generale e che l'ambasciatore presso le Nazioni Unite, Ron Prosor, farà altrettanto. Entrambi sono in attesa di istruzioni dal primo ministro Benyamin Netanyahu, che deciderà se dovranno alzarsi al momento del discorso o assentarsi prima. C'è grande attesa all'Onu per il discorso che Rohani pronuncerà oggi, ore dopo l'intervento del presidente americano Barack Obama.
Rohani afferma di voler ricucire i rapporti con l'Occidente e il suo discorso avrà toni moderati, ben diversi dalle invettive del suo predecessore Mahmoud Ahmadinejad che minacciava di cancellare Israele dalle mappe. Negli anni scorsi, molti rappresentanti occidentali uscivano dall'aula quando Ahmadinejad parlava all'Onu, ma questa volta potrebbero essere solo gli israeliani a disertare l'intervento di Rohani.
Ieri è stato annunciato che il segretario di Stato americano John Kerry incontrerà giovedì l'omologo iraniano Javad Zarif nell'ambito di una riunione del gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio Onu più la Germania) che negozia sul programma nucleare di Teheran. È la prima volta che ministri degli Esteri dei due paesi si troveranno faccia a faccia dal 1979. Per rassicurare Israele, gli Stati Uniti continuano ad affermare di volere «fatti e non parole da Teheran», ma Netanahyu teme che l'Iran voglia solo guadagnare tempo per costruire la bomba e intende fare della minaccia iraniana il fulcro della sua missione diplomatica negli Stati Uniti, sia all'incontro a Washington con il presidente Barack Obama il 30 settembre che nel suo intervento all'Assemblea Onu il primo ottobre.

(il Journal, 24 settembre 2013)


Festival Internazionale di Cultura Ebraica in programma a Milano

Dal 28 settembre al 1o ottobre, prima edizione del Festival Internazionale di Cultura Ebraica in programma a Milano, un festival dedicato al dialogo e al confronto su temi universali e pratiche di vita quotidiana. La cultura ebraica si presenta con un festival dedicato al dialogo e al confronto su temi universali e pratiche di vita quotidiana. In questi ultimi anni, anche a seguito delle recenti edizioni della Giornata Europea della Cultura Ebraica, i mass media e gli ambienti culturali del paese hanno mostrato un forte interesse nei confronti dell'ebraismo. Il bisogno di conoscenza che ne consegue ci ha portati a proporre un intero festival dedicato alla cultura ebraica. L'intento è far percepire l'impegno costante della cultura ebraica al dialogo e al confronto, volto a una maggiore conoscenza dell'altro, soprattutto in un momento di grandi mutamenti e sconvolgimenti in cui intolleranza e incomunicabilità sembrano troppo spesso vincere.
Incontri non stop tra concerti, spettacoli, reading, momenti conviviali, laboratori, lezioni di danze, cucina, musica e lingue, con oltre 90 voci dall'Italia e dal mondo. Il tema del Festival è dedicato allo Shabbat, in cui, per la cultura ebraica, il sabato è il giorno dell'osservanza e del diritto al riposo. E lo Shabbat è anche il giorno della convivialità, del valore del pasto in famiglia, del cibo buono e salutare. Uno dei percorsi del Festival sarà dedicato proprio al cibo nella tradizione ebraica e una grande tavolata lungo i portici della Rotonda della Besana ospiterà i piatti tipici dello Shabbat. Racconti e ricette si intrecceranno dando vita a ricordi ed esperienze, considerati la base delle relazioni umane. Il cibo come valore. Un valore che non può prescindere da alcuni importanti requisiti e che, nella cultura ebraica deve essere "Kosher", cioè "valido, adatto, buono". Domenica 29 settembre, alla Rotonda della Besana, dalle 16.30 alle 20.30, in occasione di due incontri particolarmente coinvolgenti che si svolgeranno al Teatro Franco Parenti saranno dedicati a uno scambio collettivo di storie e racconti sul riposo, a partire dal Tisch, il rituale che si celebra il venerdì sera dopo la cena dello Shabbat. A raccontare l'esperienza del silenzio saranno alcuni importanti personaggi tra cui Enzo Bianchi, Erri De Luca e Rav Benedetto Carucci Viterbi. Lunedì 30 settembre, due show- cooking, uno dalle 16 alle 18 e uno dalle 19 alle 21, I due incontri, "Mangiare alla Giudia", saranno curati da Benedetta Guetta presso la Sala Bauer della Società Umanitaria. Martedì 1 ottobre, nel pomeriggio, dalle 16 alle 18 e dalle 19 alle 21, Lezioni di danze ebraiche.
Per maggiori informazioni

(CuneoCronaca.it, 24 settembre 2013)


Tutto quello che volevate sapere sulla cucina Kosher

Aringhe con la cipolla, borsch di cavolo rosso, bagel, con salmone, cous cous, falafel, hummus di ceci, carciofi alla giudia... Se fosse un menù sarebbe l'esperimento peggio riuscito di fusion, ed invece è l'elenco dei piatti più tipici di quella che viene definita cucina ebraica.
La si conosce ancora poco, la curiosità però è molta e i ristoranti specializzati sempre molto affollati. Un po' di storia, di indirizzi e due festival di fine settembre per un primo assaggio.

TANTE TRADIZIONI IN UNA
Dalla Russia al Maghreb, dalla Spagna all'Italia, la cucina ebraica raccoglie sotto ad un'unica definizione ricette tipiche di paesi molto diversi per tradizioni gastronomiche ed è per questo un mix stranamente assortito. Nel corso dei secoli gli ebrei hanno mangiato e vissuto un po' ovunque e hanno semplicemente fatto proprie alcune ricette, le hanno rielaborate e poi portate con sé, fino in America o in Israele dove si sono contaminate a loro volta con la cucina locale. Il bagel tipico newyorkese è una ricetta dell'Est Europa arrivata negli States con i primi immigrati ebrei; i falafel sono un piatto arabo, ma oggi insieme a couscous e hummus sono alla base della dieta quotidiana di qualunque israeliano.
Le famiglie conservano questa o quella tradizione, a seconda della loro origine, e allo stesso modo ci sono ristoranti ebraici che propongono piatti mediterranei, altri mitteleuropei. Mangiare ebraico può voler dire trovarsi davanti carpa in agrodolce come un piatto di riso persiano - fortunatamente quasi mai contemporaneamente. Le tradizioni sono diversissime e non hanno nulla in comune a livello di sapori, ma condividono tutte, e da migliaia di anni, le stesse regole, quelle della kasherut.

OLTRE ALLA RICETTA, LE REGOLE DEL CIBO KASHER
Kasher significa letteralmente "adatto", "permesso" e contraddistingue tutti i cibi che possono essere mangiati dagli ebrei osservanti e le regole giuste per cucinarli. Non sono kasher il maiale, i pesci senza squame, i crostacei ma anche le ricette che mixano latte e carne. Le regole della kasherut sono decine e riguardano la scelta degli alimenti, la macellazione degli animali, la conservazione e la netta separazione fra carne e latte - a casa, in viaggio, al supermercato, questo è un vero e proprio stile di vita. Le regole vengono osservate più strettamente dagli ebrei ortodossi, e meno, o anche per nulla, da tutti gli altri, ma i prodotti certificati kasher sono un vero business, e non solo per gli ebrei.

IL BUSINESS DELLA CERTIFICAZIONE KASHER - PER NON EBREI
La certificazione di cibo o ristorante kasher viene dato dopo fitti controlli da parte di rabbini specializzati che verificano il rispetto delle regole igieniche, la provenienza di ogni ingrediente, l'uso solo di materie prime a loro volta certificate... Un po' come per il cibo biologico, le certificazioni sono tante, fatte da associazioni religiose con codici di condotta più o meno restrittivi, nazionali, internazionali, locali.
Non tutti gli ebrei controllano le etichette, eppure i prodotti certificati kasher stanno vivendo un boom di vendite soprattutto negli States. Si stima che solo il 14% delle vendite di questi prodotti avvenga per motivi religiosi e che ben il 25% di quello che si trova sugli scaffali dei loro supermercati sia kasher (inclusa la pasta Barilla, la De Cecco e il caffè Illy in vendita in America). Il motivo? Sono considerati più affidabili, controllati e di qualità migliore, vengono inoltre scelti dai vegani che non vogliono trovare tracce di ingredienti animali in formaggi, prodotti da forno, dolci, piatti pronti.

RISTORANTI, SCUOLE, BLOG
 
In Italia la situazione non è la stessa e i marchi nazionali kasher oltreoceano non hanno queste certificazioni qui da noi, per mancanza di richiesta. La cucina ebraica non si identifica in Italia prevalentemente con le regole che la sottendono, ma con il ricchissimo panorama gastronomico presente nel Paese. C'è la tradizione romanesca, ancora viva nel ghetto, una rinascita della cucina ebraica veneziana, l'influenza nordica di chi ha origini tedesche o polacche, i sapori del medioriente dei tanti ebrei tripolini, persiani, marocchini….
I ristoranti ebraici si concentrano fra Milano e Roma, con qualche eccezione mentre i bagel con pastrami stanno entrando prepotentemente nella lista dei panini più in voga delle grandi città. Di nuova apertura una scuola di cucina a Venezia, e per navigare da casa c'è un foodblog ricco di ricette e storie.

IL FESTIVAL, A FINE SETTEMBRE
Un'altra occasione per assaggiare un po' di sapori ebraici in un mix culturale e gustativo arriva ogni anno a fine settembre in occasione della Giornata Mondiale della Cultura Ebraica (nel 2013, domenica 29 settembre). Gli appuntamenti vengono organizzati in un centinaio di città italiane e quasi sempre (vedi il programma per città) la degustazione finale è d'obbligo. Nel 2013 a Roma e Milano lo spazio dedicato al cibo si amplia per due foodfestival paralleli di alcuni giorni con cene a tema, incontri, scuole di cucina, assaggi…
A Torino, alle h 11 l'incontro I sapori della tradizione ebraica.
A Verona, Buffet kasher dalle h 12.
A Firenze, l'incontro "L'ebraismo organico", laboratori di cucina, degustazione di specialità ebraiche e di vini kasher a chilometri zero.

(VanityFair.it, 24 settembre 2013)


Ecco come Lustick ti spazza via l'ebraismo

di David Harris (*)

Voglio proporvi un quiz.
Cosa racconta a proposito del Medio Oriente il New York Times, la testata di spicco degli USA, di così importante da dedicarle la maggior parte della prima pagina del suo inserto domenicale di dodici pagine di questa settimana più due pagine interne e una grafica accattivante? Trattasi forse della Siria? Dopo tutto, la decisione a sorpresa del governo americano di utilizzare la diplomazia e collaborare con Mosca per forgiare un accordo sull'arsenale di armi chimiche siriano è uno dei più grandi sviluppi geopolitici nella storia recente.
Se l'affare è fattibile, e se porterà ad un allungamento o ad un accorciamento della durata del regime del presidente Assad, non è una domanda di poco conto. Inoltre, il flusso continuo di profughi Siriani, che conta oggi oltre due milioni di persone che stanno affollando i paesi confinanti, tra cui il fragile Libano, è un dramma politico e umano di enorme rilevanza. No, non si tratta della Siria. Trattasi forse del destino dei Cristiani in quella regione? Mentre i cristiani una volta costituivano una percentuale significativa delle popolazioni di molti paesi del Medio Oriente, il loro numero è in rapido declino, ed in quanto minoranze sono soggetti a violenze e persecuzioni.
Dal momento che lo status delle minoranze è uno specchio piuttosto accurato della salute di una società, anche questo non è cosa da poco. E invece no, la prima pagina dell'inserto domenicale di questa settimana non riguarda la sofferenza dei cristiani in quella regione, e cosa ciò possa significare per il futuro. Trattasi forse della Turchia e di come, esattamente 90 anni dopo l'introduzione della visione kemalista di una moderna nazione occidentale orientata, il primo ministro Erdogan stia smantellando quella visione pezzo a pezzo, sostuendola con la sua di visione, che avrebbe fatto rivoltare Atatürk nella tomba? Così come la rivoluzione di Atatürk quasi un secolo fa fu tra i principali sviluppi del Novecento, allo stesso modo quello di Erdogan è un più tranquillo, ma non meno significativo, dietro-front.
Trovandosi al crocevia tra Europa e Asia, a ridosso del Medio Oriente, ed essendo un membro della NATO, ciò che accade in Turchia ha implicazioni che vanno ben oltre i suoi confini nazionali. No, non si tratta della Turchia. Trattasi forse della rivalità per la supremazia nel Medio Oriente, con Turchia, Iran e Arabia Saudita in cerca di avvantaggiarsi tra le sabbie mobili della regione, cercando di proteggere i loro interessi fondamentali, e di riempire il vuoto creato dal ritiro americano? In questa nuova versione della lotta per il potere regionale, l'esito è tutt'altro che certo, e la posta in gioco non potrebbe essere più alta.
No, non si tratta di nuove alleanze e nuovi rivali. Trattasi forse dell'Egitto, il più grande Paese arabo? Dopo tutto, il paese è ancora nel bel mezzo del cambiamento dopo i mega-eventi degli ultimi anni, e le scelte che verranno prese hanno implicazioni profonde per la regione, l'Occidente e il mondo intero. Può il Paese risolvere i suoi conflitti interni, riavviare l'economia, e fornire almeno una parvenza di un futuro certo per la sua popolazione in rapida crescita? In caso contrario, non cambiate canale. No, neanche l'Egitto è il tema di questa settimana.
Trattasi forse dell'Iraq, che dieci anni dopo l'invasione da parte degli Stati Uniti, sta discendendo in un abisso fatto di lotte tra fazioni ed atti di terrorismo quotidiani, oltre che a subire sempre più l'influenza dell'Iran? No, non si tratta dell'Iraq. Trattasi forse dei problemi endemici che affliggono il mondo arabo, i problemi di fondo che sono stati evidenziati nel Rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo sponsorizzato dalle Nazioni Unite, e che continuano ad affliggere la regione, rendendola così violenta, instabile e imprevedibile? No, non si parla dei ritardi nell'alfabetizzazione, dei pochi diritti per le donne, della scarsa innovazione, o della cultura della colpa, o dell'introspezione.
Piuttosto, il tema principale dell'inserto è dedicato alla "chimera di una soluzione a due Stati negoziata" tra israeliani e palestinesi. Altrove nel lungo articolo, questa è indicato come un "miraggio", una "finzione", o una "fantasia". Zero possibilità di un accordo a due stati, sostiene l'autore, Ian Lustick, mentre si reca a studiarne un altro al tavolino. La risposta che tira fuori - e qui ci vuole un rullo di tamburi, per favore - è una soluzione ad un unico stato, esattamente come quella proposta del leader libico Muammar Gheddafi in un editoriale sul New York Times nel 2009. Lustick immagina un futuro in cui "gli israeliani le cui famiglie provenivano da paesi arabi potrebbero trovare nuove ragioni per pensare a se stessi non come 'orientali', ma come arabi".
Il Sionismo, egli afferma, è diventato "un'idea superata," e gli israeliani devono accettare il fatto che "Israele non può più esistere come la visione ebraica e democratica dei suoi fondatori sionisti". Così, dal suo trespolo nella Philadelphia ovest, Lustick spazza con nonchalance quello che lega l'ebraismo ad un popolo, una terra, e una fede.
Lustick sostiene che una nazione la cui popolazione è cresciuta da 650.000 persone nel 1948 a oltre otto milioni nel 2013, è uno stato membro delle Nazioni Unite dal 1949, appartiene al club OCSE delle nazioni più industrializzate del mondo, ha più start-up quotate al NASDAQ di tutti, a parte una o due altre nazioni, ha la più potente forza militare della regione, e continua ad avere un forte ethos nazionale, cioè il sionismo, in realtà, non ha futuro.
A proposito di illusioni, la parola usata nel titolo di questo articolo ("L'illusione dei due stati"), anche lui ignora allegramente la plateale realtà del Medio Oriente, e cioè che la sua soluzione porterebbe immediatamente a violenze tra le varie comunità ed a spargimenti di sangue su vasta scala. Ed evita il percorso dei due stati, anche se molti negli Stati Uniti, Europa, Israele, e alcune parti del mondo arabo, sapendo che la risposta di Lustick non è una risposta, si sono nuovamente impegnati per la sua realizzazione.
E se la vogliamo mettere sul personale, ho chiesto ad alcuni di quegli "israeliani le cui famiglie provenivano da paesi arabi" per sentire cosa ne pensassero del consiglio di Lustick, che comincino a ridefinire se stessi come "arabi". Le loro reazioni non sono pubblicabili per motivi di decenza. Diciamo che si sono domandati se Lustick sapesse una qualunque cosa sul Medio Oriente, visto che il New York Times sembra pensare di sì.

(*) David Harris è direttore esecutivo dell'AJC - American Jewish Committee

(L'Opinione, 24 settembre 2013)


Che la soluzione dei due stati sia un'illusione, è un fatto, ma è interessante la soluzione proposta dall'intellettuale americano: gli ebrei smettano di pensare di avere un rapporto storico vitale con quella terra e accettino tranquillamente di vivere come ospiti in casa d'altri, come hanno fatto per secoli. In altre parole: smettano una buona volta di continuare a tediarci con la questione della loro identità di popolo legata vitalmente ad una terra. In altre parole ancora: smettano di essere ebrei. M.C.


Watec Israel 2013


L'ICE-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane organizza a titolo gratuito, una partecipazione collettiva italiana e b2b alla fiera WATEC ISRAEL, la manifestazione biennale delle tecnologie idriche che si svolgerà presso il centro fieristico di Tel Aviv dal 22 al 24 ottobre 2013 nell'ambito della Conferenza Internazionale Watec 2013.
Le aziende interessate all'iniziativa sono invitate a far pervenire ad ICE-Agenzia la loro adesione attraverso la compilazione della scheda e la sottoscrizione del regolamento per accettazione entro il 4 ottobre 2013, con inoltro via e-mail o a mezzo fax, a entrambi i seguenti contatti: elettronica.chimica@ice.it o tramite fax 06 89280348 ICE-Agenzia di Roma Ufficio Meccanica, Chimica, Energia e Ambiente telaviv@ice.it o al fax (009723) 6962812 Ufficio ICE Tel Aviv.
Le richieste verranno registrate in ordine d'arrivo fino ad esaurimento dello spazio disponibile.

Per informazioni:
ICE-Agenzia per la promozione all'estero e internazionalizzazione delle imprese
Meccanica, Chimica, Energia e Ambiente
Tel. 0659926872 Fax. 0689280348
elettronica.chimica@ice.it
ICE TEL AVIV
Tel. (009723) 6918130 / 6918139 /6918141 / 6918142
Fax. (009723) 6962812
telaviv@ice.it
Scheda di adesione

(Camera di Commercio Latina, 24 settembre 2013)


Al via il nuovo collegamento Fiumicino-Tel Aviv di easyJet

Sarà attivo da martedì 24 settembre 2013 il nuovo volo easyJet Roma Fiumicino-Tel Aviv. Il collegamento verrà operato su base annuale con 2 frequenze settimanali previste nelle giornate di martedì e sabato.
easyJet è stata la prima compagnia aerea low fare a entrare nel mercato israeliano, nel novembre 2009.
Tel Aviv è la città più grande d'Israele, una destinazione molto ambita dai turisti italiani in cerca di divertimento e relax, nonché punto d'accesso per gli itinerari religiosi in Terra Santa. La città è inoltre la capitale economica del Paese e rappresenta un'importante aggiunta al network di destinazioni easyJet da Roma anche per il traffico di affari tra i due mercati.
I biglietti sono in vendita sul sito web www.easyJet.com, sulla easyJet mobile app e sui canali GDS, con tariffe a partire da €43.80 a tratta, tutto incluso.

(Master Viaggi, 23 settembre 2013)


Napolitano il 16 ottobre in Sinagoga a Roma

Per l'anniversario della deportazione degli ebrei romani

ROMA, 23 set. - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si rechera' nella Sinagoga di Roma in occasione della cerimonia prevista per il 16 ottobre alle 11 volta a commemorare il 70o anniversario della deportazione degli ebrei romani. Lo si e' appreso nel corso di un incontro con i rappresentanti della Comunita' ebraica della Capitale, la piu' antica della Diaspora. Nel corso della solenne cerimonia saranno presenti rappresentanti del governo, autorita' civili, ex deportati nonche' il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e il presidente della Comunita' ebraica di Roma Riccardo Pacifici.

(Adnkronos, 23 settembre 2013)


A Pitigliano tra cibo kasher e visite guidate

il ghetto si apre per la Giornata della cultura ebraica

di Barbara Farnetani

 
Tavola presso il Museo Ebraico di Pitigliano      (Immagine Matteo Vinattieri)
PITIGLIANO (GR) - Il ghetto, il cimitero ebraico, la sinagoga, il forno della azzime. Sono tanti i simboli di Pitigliano che ancora ricordano la forte impronta che le ha lasciato la presenza, nei secoli di una nutrita e laboriosa comunità ebraica.
Tutti luoghi che continuano a vivere e che saranno visitabili domenica 29 settembre, nell'ambito della XIV edizione della "Giornata europea della cultura ebraica" ebraismo e natura.
Attraversando i luoghi più importanti della Piccola gerusalemme si potranno assaggiare e gustare le specialità Kasher, vini e cibi della cultura ebraica (nella foto a fianco la Sinagoga di Pitigliano).
Ingresso gratuito Orario continuato 10:00 - 18:00
Questo il programma della giornata:

Ore 10:00mostra di pittura di Daniel Schinasi (fondatore del Neofuturismo) "Quando il sole ferma la guerra".
Ore 11:00visita guidata ai vicoli dell'antico ghetto che intersecano Via Zuccarelli.
Le stradine anguste, dove il sole penetra a fatica, alla fine si aprono inaspettatamente sulla lussureggiante vallata dove scorre limpido e tranquillo il torrente Meleta.
L'occhio spazia a 180o su un verde anfiteatro naturale limitato a sinistra dal cimitero ebraico; al centro, dal monumentale ponte leopoldino; a destra, da un'antica chiesa cattolica: simboli delle due religioni e del governo Lorena che convissero pacificamente nel territorio.
Ore 15:00visita guidata al Cimitero Ebraico.
Ore 16:00"L'importanza della natura e delle piante nella tradizione ebraica":
"Rosh ha-shanà lailanoth" (Capodanno degli alberi).
"Succoth" (festa delle capanne)
Proiezione del documentario: "Ebraismo e Natura" della rubrica "Sorgente di vita". Introduce Elena Servi.

Per l'intera giornata: degustazione di prodotti tipici della tradizione ebraica e di vini Kasher della Cantina Cooperativa di Pitigliano.

(Il Giunco, 23 settembre 2013)


Alghero riabbraccia gli ebrei. 1728-2013

Inaugurata la nuova Piazza della Juharia alla presenza delle autorità politiche e militari, all'interno del complesso di Santa Chiara, ristrutturato dopo decenni di abbandono.

ALGHERO - Giù la Porta a Mare riportata alla luce dai lavori di recupero del complesso Santa Chiara ad Alghero. Questo passaggio, murato nel 1728 dall'ingegnere militare De Vincenti per motivi legati alla difesa della città, è il più antico collegamento verso il mare ed è quello dal quale si attese lo sbarco di Carlo V il 7 ottobre del 1541 durante la sua tappa algherese in direzione di Algeri.
Alghero è stata la colonia ebraica più importante della Sardegna. Gli ebrei che arrivarono dalla Catalogna tra il 1328 e il 1331 fondarono l'insediamento numericamente più consistente ed economicamente più potente dell'isola. Da quì l'idea di intitolare la nuova Piazza della Juharia, all'interno del complesso di Santa Chiara, ristrutturato dopo decenni di abbandono, alla presenza dell'Ambasciatore d'Israele in Italia Naor Gilon, e del suo predecessore Gideon Meir, attualmente direttore generale della diplomazia pubblica presso il Ministero degli Esteri.
1728-2013 appuntamento con la storia. Oltre alle autorità politiche e militari, numerosi cittadini non hanno voluto mancare alla storica inaugurazione del complesso che si accinge a divenire sede della Facoltà di Architettura dell'Università. E così dopo anni di lavori iniziati con l'allora sindaco Carlo Sechi e proseguiti con costanza dall'ex Marco Tedde, la città di Alghero può disporre del nuovo e ristrutturato complesso nel cuore del centro storico. Soddisfatti il progettista Giovanni Macciocco e l'archeologo Marco Milanese, emozionati il sindaco Stefano Lubrano, che ha voluto con vigore il progetto, e l'Ambasciatore Naor Gilon.
Fotogalleria

(alguer.it, 23 settembre 2013)


Oltremare - Benedetto autunno
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Per primo è il vento, che cambia sostanza, meno umido e più sostenuto. Si scontra con le finestre e fa vibrare i vetri, il vento del pomeriggio tardo e della sera. Poi in cielo ritornano le dimenticate nuvole, bianche e pannose, immobili inizialmente, poi anche loro mobili che fanno allegria.
Intanto in spiaggia c'è finalmente spazio per stendere un asciugamano da un metro tutto diritto senza incocciare una famiglia di francesi o locali arsim (hem, burini, direi) sbracati e superabbronzati che fan paura, di giorno quanto di notte. L'acqua del mare lentamente riconquista la limpidezza e il colore suo naturale, senza tutta la sabbia alzata dai suddetti francesi ed arsim, che riescono ad essere disordinati e rumorosi anche mentre fanno il bagno. In modo più graduale, meno evidente, diminuiscono anche le coppie di giocatori di matkot - gioco con racchette di legno un po' più grandi di quelle da ping-pong, ma senza regole riconoscibili e senza punti, sui cui bisognerebbe scrivere un libro intero di antropologia israeliana - e con esse scéma il pericolo costante di essere centrati da un pallino nero simile a quello delle bocce proprio in mezzo agli occhi. Infine la sabbia e il bagnasciuga smettono di essere chiazzati di spazzatura varia, torsoli di mela o spesse bucce di anguria, sacchetti di plastica e cicche spente.
E allora è ufficiale: l'estate è finita. La spiaggia ritorna nostra. Territorio di nuovo amico, piacevole sia per una passeggiata che per un bagno che altrove sarebbe fuori stagione. La città si prepara all'autunno e all'inverno, e una prima pioggia cade, davvero presto, sorprendendo tutti ancora in costume da bagno. Benvenuto davvero con le tue benedizioni, anno 5774!

(Notiziario Ucei, 23 settembre 2013)


Shoah: giardino dei giusti, un carrubo per ogni eroe

GERUSALEMME, 23 set. - A creare nel 1960 il Giardino dei giusti, che a Gerusalemme riunisce il ricordo di tutti i Giusti tra le nazioni, e' stato Moshe Bejski, un ebreo salvato da Oskar Schindler dal campo di concentramento di Plaszow in Polonia. Bejski ha dedicato il resto della sua vita alla ricerca dei "Giusti". Per ogni eroe non-ebreo veniva piantato un albero di carrubo: inizialmente ne nacque un viale, poi un giardino, e oggi, per mancanza di spazio, sono stati eretti dei 'Muri d'Onore' su cui vengono scolpiti i nomi.
I 'Giusti tra le nazioni' italiani sono piu' di 500, tra cui partigiani, vescovi, medici, funzionari di stato che salvarono centinaia di ebrei. Tra gli ospiti del Giardino dello Yad Vashem ci sono inoltre persone che durante la Seconda guerra mondiale non partecipavano alla Resistenza, eppure sono riuscite a salvare delle vite, anche un solo ebreo, grazie al loro eroismo. In totale nel mondo sono stati riconosciuti 'Giusti tra le nazioni' circa 25.000 non-ebrei.

(AGI, 23 settembre 2013)


Bartali premiato: aiutò gli ebrei durante la Shoah

È stato proclamato "Giusto tra le nazioni" dal sacrario della Memoria di Gerusalemme.

  
Gino Bartali, il grande campione di ciclismo, e' stato dichiarato 'Giusto tra le nazioni' da Yad Vashem, il sacrario della Memoria di Gerusalemme.
La decisione, che è stata annunciata sul sito dell'organizzazione, è stata presa per premiare l'impegno di Bartali a favore degli ebrei perseguitati in Italia durante la Shoah.
«SALVÒ CENTINAIA DI EBREI» - Vashem ha spiegato che Bartali, «un cattolico devoto, nel corso dell'occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l'Arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa». Ques'ultimo è stato già riconosciuto 'Giusto tra le nazioni'.
Il sacrario della Memoria ha proseguito dicendo che «questa rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell'occupazione tedesca e all'avvio della deportazione degli ebrei, ha salvato centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente in Francia e Yugoslavia».
«NASCONDEVA I DOCUMENTI NELLA BICICLETTA» - Vashem ha aggiunto che Bartali ha agito «come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, tutto con la scusa che si stava allenando.
Pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva per aiutare gli ebrei, Bartali ha trasferito falsi documenti a vari contatti e tra questi il rabbino Cassuto», e ha concluso annunciando che in onore del grande ciclista è prevista una cerimonia in Italia in una data ancora da stabilire.
LA GIOIA DEI FAMIGLIARI - La moglie di Gino Bartali e il figlio Andrea si sono detti felicissimi che il grande campione sia diventato 'Giusto tra le nazioni'. «È una cosa magnifica», ha affermato Andrea, che ha aggiunto: «Aspettavamo questa notizia già da qualche tempo, soprattutto dopo che ad agosto hanno proclamato 'Giusto tra le nazioni' il cardinale Elia Dalla Costa. Saperlo proprio nel giorno in cui a Firenze sono iniziati i Mondiali di ciclismo ha un significato enorme».
La famiglia di Bartali era già stata invitata a Gerusalemme dal governo israeliano per il mese di ottobre, quando è in programma una gran fondo di ciclismo intitolata al ciclista toscano.

(Lettera43, 23 settembre 2013)


Al Zawahiri detta la linea. Colpire solo gli infedeli

di Maurizio Molinari
   
Ciò che accomuna l'assalto al centro commerciale di Nairobi e l'attacco kamikaze alla chiesa di Peshawar è l'intenzione di fare strage di non-musulmani. La scelta del commando Shaabab di far allontanare i musulmani - identificandoli con domande sui nomi di Allah - e l'intenzione dei jihadisti pakistani di infliggere ai cristiani locali il più pesante bagno di sangue degli ultimi anni nascono dalle nuove direttive che Ayman al Zawahiri sta diramando alla galassia di cellule collegate ad Al Qaeda.
   Il successore di Osama bin Laden ritiene che l'attuale indebolimento, politico e militare, di Al Qaeda sia dovuto alla scelta di molti gruppi di colpire i musulmani. Lo scrisse di proprio pugno nel 2005 in una lettera a Abu Musab al Zarqawi, allora capo di Al Qaeda in Iraq, esprimendo disappunto per la sanguinosa campagna di attentati anti-sciiti. «Dobbiamo chiederci se questa guerra agli sciiti sia inevitabile scrisse al-Zawahiri - e quali sono i nostri interessi nel lungo termine». Nel blitz dei Navy Seals ad Abbottabad, che portò all'uccisione di Bin Laden, vennero inoltre trovate copie di email e messaggi scritti dal settembre 2006 all'aprile 2011 nei quali il fondatore di Al Qaeda esprimeva «preoccupazione» per il «crescente declino dell'immagine» dell'organizzazione fra le masse musulmane.
   Secondo Muafaq al-Rubaie, ex consigliere per la sicurezza del governo iracheno, «al Zarqawi dirottò Al Qaeda su terreno della faida con gli sciiti, allontanandola dalla matrice originale di Bin Laden e al Zawahiri» il cui intento era combattere «sionisti e crociati», colpendo anzitutto ebrei, cristiani e gli interessi degli Stati Uniti.
   Arrivato alla leadership di Al Qaeda, al Zawahiri sembra intenzionato a riportare le cellule jihadiste sul terreno di battaglia originale, nel tentativo di riguadagnare prestigio, donazioni e reclute fra i musulmani. È interessante notare in proposito che fu proprio al Zawahiri, già ideologo della jihad egiziana, a redigere il testo del manifesto originale di Al Qaeda, nel 1998. Ora l'obiettivo è rilanciarlo per farsi largo nei Paesi arabi attraversati da rivolte che spesso hanno emarginato i jihadisti.
   Si spiega così anche l'assalto messo a segno in gennaio da Al Qaeda nel Maghreb Islamico contro l'impianto energetico algerino In Amenas simbolo degli investimenti stranieri. Per riuscire a imporre questo «ritorno alle origini» alZawahiri deve però imporsi in Siria, dove i gruppi più vicini ad Al Qaeda Jubat al Nusra e Lo Stato islamico nel Levante e in Siria - si sono distinti per una feroce campagna non solo anti-alawiti, considerati un'eresia dell'Islam, ma anche contro i ribelli sunniti non-jihadisti.

(La Stampa, 23 settembre 2013)


L'asse Israele-cristiani africani

di Giulio Meotti

Il Kenya è sotto attacco da parte dei terroristi islamici. Come la Nigeria, il Kenya è un grande patchwork di fedi (oltre 18,3 milioni di kenioti sono protestanti, oltre nove milioni cattolici, quasi quattro milioni cristiani di varie denominazioni, mentre i musulmani sono circa quattro milioni). Il terrorismo che sta insanguinando il Kenya ha due obiettivi primari a lungo termine: l'islamizzazione dell'Africa orientale, tramite l'instaurazione della sharia, e la fine dell'alleanza strategica fra il Kenya cristiano e l'Israele ebraico. Il Kenya è diventato un "hub" per la presenza israeliana nel continente nero. Il 28 novembre 2002 terroristi di al Qaida avevano già attaccato i turisti israeliani presenti a Mombasa, uno dei maggiori poli mondiali del turismo tropicale di massa. Allora, un imam di Mombasa, Abu Hamza, dichiarò: "Perché il Kenya dovrebbe avere legami con gli ebrei? Questa è terra islamica". Il presidente israeliano, Shimon Peres, aveva detto che Israele è "pronto a fare di tutto" per sostenere il Kenya nella guerra contro le milizie somale al Shabaab, mentre il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, recentemente aveva dichiarato che "i nemici del Kenya sono nemici di Israele". L'alleanza fra Kenya e Israele risale addirittura al 4 luglio 1976, con l'"Operazione Tuono", quando un gruppo di fuoco tedesco- palestinese dirotta un jet francese in Uganda. A bordo vi è un gran numero di passeggeri israeliani che viene rinchiuso nell'aerostazione di Entebbe. Gli israeliani riscostruiscono un modello dello scalo ugandese e con la collaborazione del Kenya creano una base d'appoggio avanzata a Nairobi. La popolazione del Kenya ha poi sviluppato una profonda affezione su basi cristiane nei confronti di Israele. Compagnie israeliane hanno costruito letteralmente il Kenya, con aeroporti, ponti, strade e altre infrastrutture. Lo stato ebraico ha stretto un patto strategico con una serie di paesi africani - Kenya, Uganda, Etiopia, Sud Sudan, Tanzania e Nigeria - da anni in guerra con il terrorismo islamico. E' la cosiddetta "politica periferica" d'Israele con gli stati non arabi dell'Africa. Già negli anni Settanta, guidato dal primo ministro Golda Meir, Israele spedì scienziati, tecnici, medici e militari nel continente nero. E' questo patto i cristiani neri e gli ebrei israeliani che l'islamismo intende spezzare a ogni costo.

(Il Foglio, 23 settembre 2013)


«Usa impotenti contro Al Qaeda». Israele: è un'offensiva planetaria

di Lorenzo Bianchi

«Quella che è in corso è senza dubbio una delle più importanti campagne di Al Qaeda nel mondo. Usano le loro capacità per imporre una nuova forma di terrorismo». Raanan Gissin è una voce significativa di Israele. È stato consigliere politico di Ariel Sharon. Ora è un apprezzato analista, consultato dai network televisivi di tutto il mondo.

- Quale forma, in concreto?
  «Si è modificato il peso quantitativo. Gli attentati sono molto più grandi. E lo scenario ora è davvero planetario. Si va dall'Asia sudorientale, alla Siria e all'Europa. Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito negli Stati Uniti al declino della capacità di affrontare in concreto il terrorismo. Al Qaeda sta sfruttando la situazione».

- In che senso?
  «Vediamo tutti quello che sta succedendo in Siria. C'è una ramificazione qaedista in tutto il mondo. Anche in Europa, ma il Vecchio Continente non ne vuole sapere di essere coinvolto in risposte adeguate».

- Quindi i combattenti della Guerra Santa, la Jihad, semplicemente sfruttano questo vuoto?
  «La maggiore responsabilità è senza dubbio quella degli Stati Uniti. Si aprono spazi per i russi e per l'Iran. Mosca sfrutta le circostanze, ma si guarda ben dal prendere iniziative perentorie e decise. Al Qaeda, da parte sua, sceglie governi deboli, come oggi quello del Kenya, per i suoi attacchi e così riesce a infliggere danni molto più consistenti».

- C'è stato un attentato suicida molto sanguinoso a una chiesa di Peshawar, in Pakistan.
  «Parliamo ormai quasi sempre di 50 o 60 morti per attacco. I diversi bracci regionali dell'organizzazione di al-Zawahiri si stanno affrontando in una sorta di competizione interna, fatta di morti e di sangue».

- A Nairobi sono intervenute forze speciali israeliane?
  «Ritengo che siano sul posto elementi del Mossad, il controspionaggio estero, che stanno dando una mano per l'intelligence e per la gestione della situazione. Non credo invece che siano state inviate unità militari».

- Torniamo al Pakistan.
  «Anche lì il potere ha scelto un basso profilo, direi il più basso possibile».

- Quindi che fare?
  «L'unica soluzione sarebbe agire con molta forza. Ma le grandi potenze non vogliono e non ne sono capaci. Si aspetta solo il prossimo colpo. I terroristi potrebbero usare testate chimiche, purtroppo son disponibili. Israele è sola. Il nostro capo di stato maggiore Gabi Ashkenazy continua a dirlo: possiamo contare solo su noi stessi».

(Quotidiano.net, 23 settembre 2013)


Volley - Amichevole tra Millenium Brescia e la nazionale di Israele

 
Le due squadre
Si è conclusa con una sconfitta di misura l'amichevole fra Millenium Brescia e la nazionale femminile di pallavolo israeliana, giocata sul campo del volley Celadina a Bergamo. Israele schiera il sestetto titolare e partono bene, con un gioco concreto e senza fronzoli, che mette in affanno la seconda linea bresciana, e di conseguenza anche la costruzione del gioco.
«E' stata una partita molto interessante e di grande lustro per noi, non capita tutti i giorni un'amichevole di questo calibro. Certo è che giocare contro un allenatore del calibro di Arie Selinger è un'emozione molto forte, è un pezzo vivente della storia pallavolistica mondiale, e la sua mano si è vista perché rispetto alle amichevoli invernali la nazionale israeliana mi sembra cresciuta», è il commento della Società per bocca del dirigente Emanuele Catania, «per quanto riguarda la gara in sé siamo abbastanza soddisfatti, posto che il tabellino interessa relativamente in occasioni come queste: continuiamo la nostra preparazione traendo indicazioni preziose soprattutto sugli aspetti da perfezionare, dobbiamo fare ancora un po' strada per arrivare pronti per la prima di campionato».

(Fonte: quiBrescia.it, 22 settembre 2013)


Rohani: è Israele la vera minaccia

TEHERAN, 22 set - E' l'arsenale nucleare e chimico di Israele a minacciare il Medio Oriente e non quello siriano o il programma atomico di Teheran: cosi' il presidente iraniano Hassan Rohani. "L'Iran non costituisce affatto una minaccia per i suoi vicini e per i paesi della regione", ha detto. E poi: il regime che rappresenta una "minaccia è quello che calpesta tutte le norme internazionali e accresce le proprie riserve di armi nucleari e chimiche per minacciare gli altri".

(ANSA, 22 settembre 2013)


“E’ Israele la vera minaccia!” Ecco la frase che rende simpatico Rohani agli occidentali. “Sono gli ebrei il vero problema!”: questa è la scoperta che chiarisce tutto e mette d’accordo tutti. E' nel trovare la “soluzione finale” a questo problema che si trova la via della “pace”. Non è questo che si è sempre detto anche nel passato? M.C.


È festa a Gerusalemme

Galleria
La festa di Sukkot, parola ebraica che significa "capanne" o "tabernacoli", è una delle più importanti della religione ebraica. Comincia il 15 del mese di Tishri del calendario ebraico (tra settembre e ottobre, quest'anno il 15 Tishri corrisponde al 19 settembre) e dura sette giorni. È chiamata anche "festa del raccolto", perché segna la fine dell'anno agricolo. Uno dei momenti più importanti delle celebrazioni è la processione di quattro diverse specie di vegetali (cedro, palma, mirto e salice) che vengono portate nelle sinagoghe. La Bibbia prescrive che durante la festa si abiti in capanne costruite apposta, per ricordare la permanenza del popolo di Israele nel deserto, durante la fuga dall'Egitto.
A Gerusalemme, gli ebrei ultraortodossi si riuniscono di fronte al Muro Occidentale nella città vecchia, il cosiddetto "muro del pianto", e si coprono il capo con i veli per la preghiera. Migliaia di ebrei osservanti arrivano a Gerusalemme per il Sukkot, una delle tre grandi "feste di pellegrinaggio" della religione ebraica insieme alla Pasqua e alla festa di Shavuot, che si celebra a maggio-giugno.

(Il Post, 22 settembre 2013)


Iran: trenta missili balistici in maxi-parata

TEHERAN, 22 set - L'Iran ha presentato 30 missili balistici Sejil e Ghadr con una gittata di 2.000 km durante una parata militare. E' la prima volta che l'Iran mostra un numero così elevato di missili balistici. In particolare, 12 missili Sejil e 18 Ghadr a combustibile solido sono stati presentati durante la parata, nel sud della capitale, Teheran. "Negli ultimi 200 anni l'Iran non ha mai attaccato un altro paese", ha detto il presidente Hassan Rohani: le forze armate "non inizieranno mai un'aggressione".
Obama naturalmente è pronto a crederci


(ANSA, 22 settembre 2013)


Da Israele sì a materiali di costruzione a Gaza

GAZA, 22 set. - Israele permette l'ingresso di materiali edili nella Striscia di Gaza per la prima volta in sei anni, acconsentendo al loro uso da parte di privati. Lo fa sapere un ufficiale di confine palestinese, Raed Fattouh, spiegando che 60 camion carichi attraverseranno oggi il confine. Israele ha vietato l'ingresso dei materiali edili quando Hamas prese il controllo del territorio palestinese nel 2007, per timore che i militanti li utilizzassero per costruire armi e fortificazioni. Dal 2010 li ha ammessi per i progetti finanziati dalle organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni unite. I privati sono quindi stati costretti ad affidarsi ai carichi portati illegalmente nella Striscia attraverso i tunnel dall'Egitto. Ulteriori difficoltà sono quindi sorte quando il Cairo ha dato una stretta al flusso attraverso questo canale. I costruttori dicono che quello permesso da Israele sia una minima frazione di quanto servirebbe per rispondere alle esigenze della Striscia.

(LaPresse, 22 settembre 2013)


Lo Shabbat è come la musica, ci vogliono impegno e passione

di Ilaria Myr

 
Clive Lawton
MILANO - Capelli lunghi, occhi spalancati e un sorriso ironico e aperto, potrebbe sembrare a metà tra un guru e uno scienziato pazzo, un tipo comunque originale e creativo. La kippà sempre sulla testa ci dice però che è un ebreo osservante. Ma sono soprattutto le sue attività e le conferenze - fra cui quella che terrà al prossimo Festival di Cultura Ebraica a Milano e quella tenuta al Moked di Milano Marittima -, a far capire lo spessore di quello che è diventato un personaggio di spicco dell'ebraismo mondiale. Parliamo di Clive Lawton, lo studioso inglese, ricercatore e insegnante presso il London Jewish Cultural Centre, e cofondatore di Limmud, organizzazione che dà vita alla conferenza annuale per ebrei di tutto il mondo e di tutte le correnti. Esperto conoscitore delle diverse forme di ebraismo sparse sul pianeta, sarà uno dei tanti nomi internazionali invitati al primo Festival Internazionale di Cultura Ebraica (a Milano, 28 settembre-1 ottobre), dedicato al tema dello Shabbat. A Lawton abbiamo chiesto di spiegarci qual è la sua visione di questo giorno, così importante per l'identità ebraica.

- Che significato ha per lei lo Shabbat? E soprattutto, come lo vive?
  Cerco di essere abbastanza attento alle regole, che considero come un programma organico e coerente più che come una lista di proibizioni. Se si evitano tutte le cose che la Halachà proibisce, allora rimangono solo poche cose che si possono fare durante lo Shabbat: cantare, camminare, mangiare, giocare, pregare, dormire, ballare, parlare, leggere, imparare, e via di seguito. Ma tutte queste sono attività per nulla secondarie e molto importanti per mantenere uno stato di salute, un vero equilibrio. Inoltre, durante tutta la settimana, riduciamo al massimo il tempo per le azioni più "sane", perché troppo sottoposti alla pressione di tutti gli altri aspetti più concretistici. Shabbat è il tempo per riequilibrare: un tempo per il mio D-o, la mia comunità, la mia famiglia e me stesso. Meraviglioso!

- Pensa che lo Shabbat sia un giorno di riposo tout court o, invece, un giorno in cui finalmente si può fare tutto il resto, cioè tutto ciò che non abbiamo il tempo di svolgere (ad esempio, stare in famiglia, studiare, ecc….)?
  Dobbiamo pensare al concetto di "tutto-il-resto" in modo non-convenzionale, cioè come un agire senza tuttavia "fare nulla di utile". Dobbiamo staccarci, per un solo giorno, dal concetto di utilità, di fare per avere, per entrare nel fare per essere. Bisogna smettere di cercare di manipolare il mondo per adattarlo a noi stessi. A Shabbat, una volta che le candele sono accese il venerdì sera, dovremmo vivere il mondo così come lo avremmo trovato il primo giorno della Creazione. Non è il sudore e la fatica che dovremmo evitare, ma la costruzione e la distruzione.
Passare un giorno su sette beneficiando del mondo che abbiamo costruito tutti insieme è un equilibrio ragionevole fra il fare e il godere. Stranamente, nonostante la gente abbia oggi molte più possibilità per passare il proprio tempo libero - e, quindi, più occasioni di riposare - c'è invece molta più ansia e stress. Questo accade perché pensiamo che dobbiamo fare qualcosa in ogni momento. C'è una grande arroganza umana nel lavoro: pensiamo che se non facciamo nulla, niente accadrà! Nonostante rilassarsi possa essere una parte importante dello Shabbat, in realtà esso non è tutto: Shabbat è, allo stesso tempo, un giorno di celebrazione e di riposo. Nella Torà, lo stesso Comandamento dice "Ricorda lo Shabbat": questa azione di ricordare, richiede da noi di fare qualcosa di diverso in questo giorno. E non, invece, di incrociare le braccia e non fare nulla.

- In un'epoca frenetica e sempre più tecnologica, il concetto di Shabbat può essere considerato "anacronistico"? O, invece, è un concetto che rimane "fuori dal tempo"?
  No, non è anacronistico. Lo Shabbat commemora due fatti: prima di tutto, la creazione del mondo e il riposo di D-o; e poi l'Esodo dall'Egitto e il fondamentale riscatto dalla schiavitù. Per quanto riguarda il riposarsi - come fece il Creatore -, lo Shabbat è più che mai di attualità. Una volta, accendere la luce richiedeva un grande lavoro, e quindi era proibito di Shabbat. Oggi, invece, pigiamo un bottone, un semplice "click", ed ecco la luce: oggi possiamo creare la luce senza alcuno sforzo, proprio come fece D-o! È quindi molto più importante che ci si fermi e si pensi all'enorme potere che liberiamo nell'accendere un interruttore; e che dovremmo disciplinarci a usare queste facoltà riflettendoci su, e trattenendoci dal farne uso almeno un giorno la settimana, come fece D-o. E questo per porre a noi stessi un obiettivo ben più ampio e ambizioso, quello sul senso delle cose!

- Lei ha una profonda conoscenza dell'ebraismo di tutto il mondo: dalla sua esperienza, pensa che si possano evidenziare, fra le varie comunità sparse nei diversi Paesi, delle differenze nel vivere lo Shabbat?
  La mia esperienza mi ha insegnato a fare attenzione a non generalizzare. Detto questo, mi sembra che gli italiani riescano a essere in contatto con alcuni aspetti più sottili della vita che, a Londra e altrove, si sono invece persi: ad esempio, passare del tempo a godere del buon cibo. L'incremento dello stress, le sempre più numerose richieste di questa nostra epoca, il disfacimento delle famiglie: tutte queste cose sono delle sfide e possono essere corrette prestando un'attenzione attiva allo Shabbat. D'altro lato, Shabbat esiste come forma di equilibrio, e non, invece, come un'entità a se stante. Il Comandamento è composto da due metà: la prima è "Sei giorni lavorerai". Mi chiedo allora: gli ebrei italiani prendono così seriamente anche l'altra metà della Legge? È solo grazie a una settimana di contributo produttivo al mondo, che possiamo dedicarci, del tutto giustificatamente, allo Shabbat.

- Quali sono le maggiori difficoltà dell'insegnare lo Shabbat e le sue proibizioni? E quali i benefici dell'osservanza di questo giorno, che dovrebbero essere maggiormente comunicati?
  Dovremmo comunicare la positività di questo giorno ed essere sicuri di ricordarci sempre la coerente interezza dello Shabbat, e non solo dei suoi pezzetti separati. Tutte le persone che conosco, che hanno passato lo Shabbat con una famiglia che davvero gode di questo giorno, l'hanno trovato una bellissima esperienza, e molte hanno voluto ripeterla.
Tutti sappiamo che non si può suonare uno strumento musicale con vero piacere senza un grande impegno e un'intensa disciplina: lo stesso vale per il benessere fisico e anche per apprezzare i migliori libri, film o brani di musica. Anche il cibo più raffinato ha bisogno di un'attenzione enorme. Ignora le "proibizioni" in un gioco sportivo e non ti divertirai più come prima: verrai squalificato e non ti sarà più permesso giocare. Questo per dire che quasi tutti i traguardi importanti richiedono regole, sforzi e impegno. E anche l'idea dello Shabbat necessita una grande ispirazione.
Esso è probabilmente il più grande dono che gli ebrei hanno dato al mondo: i principi dello Shabbat hanno dato ai lavoratori il diritto di ritirarsi dal lavoro, l'idea delle vacanze pagate e dei recuperi, e forse anche delle pensioni e delle malattie retribuite. Gli antichi romani pensavano che gli ebrei fossero dei pazzi a sprecare 1/7 del loro tempo "non facendo nulla". Ma, del resto, i Romani amavano la schiavitù - ovviamente, di tutti gli altri -.

- Qual è il modo più efficace per comunicare ai giovani l'importanza dello Shabbat?
  Probabilmente, lo Shabbat non è affatto per giovani! Essi conducono delle vite con poche responsabilità e hanno poca esperienza di vera pressione, eccetto quelle che noi creiamo per loro. Ma, nella misura in cui essi sentono il peso della scelta di una carriera, Shabbat diviene per loro un meraviglioso correttivo. Insegna che cos'è davvero importante, e non quello che può essere manipolato e cambiato. Esso insegna la distinzione fra il concetto di "puntuale nel tempo" e quello di "senza tempo, infinito". Ai giovani, oppressi senza fine dalla necessità di essere in Rete o connessi, potrebbe dare un poco di respiro e soprattutto il tempo per pensare e sviluppare aspetti più profondi.
A una generazione continuamente persuasa che la realtà virtuale abbia lo stesso valore di quella reale, Shabbat ricorda che niente batte la realtà, la quale inizia con il mondo a misura di uomo. Se non abbiamo il tempo per riflettere, allora non possiamo godere di quello che abbiamo, o trovare soluzioni per migliorare: viviamo solo una routine, sforzandoci di avere sempre di più, senza sapere perché, o quale valore dare alle nostre conquiste. Non è una sorpresa che i giovani soffrano di ansia, disordini alimentari e perfino tendenze suicide, molto più delle generazioni che li hanno preceduti.
Per le famiglie giovani, Shabbat è un giorno nel quale non devono passare il tempo a portare i figli da un'attività all'altra; è invece un'occasione per fermarsi e stare con loro, senza dover comprare cose e andare in posti per far fare loro delle attività! I bambini così avranno la possibilità di giocare con i propri genitori e parlare con loro. Molti adulti oggi passano molto più tempo a fornire servizi ai loro bambini, invece che a comportarsi con loro da genitori. Shabbat cambia anche questa dinamica: fate un gioco da tavolo, fate un puzzle con loro…

- Per concludere, vuole aggiungere qualcosa?
  Niente da aggiungere… eccetto che il suo è un atteggiamento tipico dello Shabbat: darmi 7 domande, con l'ultima per la quale non ho niente da dire. Ben fatto!


Clive Lawton sarà ospite del prossimo Festival di Cultura Ebraica di Milano (28 settembre- 1 ottobre) domenica 29 settembre alla Società Umanitaria per l'incontro dedicato a "Il nostro Shabbat: racconti dal mondo". Insieme a Lawton interverrannp anche Amos Luzzatto, Angelica Edna Calò Livnè e Miriam Camerini.

(Mosaico, 22 settembre 2013)


Urge una immediata riforma dell'UNRWA

Secondo un recente studio, il popolo palestinese ha ricevuto, in termini reali aiuti pari a 25 volte quelli ricevuti dagli europei delle nazioni devastate dalla II Guerra Mondiale sotto il Piano Marshall. Secondo lo studio, la maggior parte di questi fondi sono stati veicolati verso il popolo palestinese tramite la United Nations Relief and Work Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA). Si tratta dell'unica agenzia delle Nazioni Unite concepite specificatamente per una sola popolazione; l'unica che definisce come rifugiati coloro che hanno vissuto per almeno due anni in una specifica area nel momento in cui è scoppiata la guerra arabo-israeliana del 1948. E si tratta anche dell'unica agenzia che identifica i discendenti degli originari rifugiati come anch'essi rifugiati, sebbene il 90% di quelli che l'UNRWA originariamente definì come tali che non si sono mai allontanati dal luogo di origine....

(Il Borghesino, 22 settembre 2013)


Il Jewish Museum di New York: un museo ebraico aperto al mondo

di Alessandra Farkas

"Non siamo un museo storico o dell'Olocausto, il nostro punto focale sono l'arte e la cultura" spiega la direttrice Claudia Gould.

Il Jewish Museum di New York
NEW YORK - Quando nel 2011 la 57enne studiosa d'arte contemporanea Claudia Gould fu nominata direttrice del Jewish Museum di New York, i media americani parlarono di "svolta epocale" per l'illustre museo ebraico fondato nel 1904 e negli ultimi 30 anni guidato dall'influente ma tradizionalissima Joan Rosenbaum. "Se vogliamo crescere e prosperare nel nuovo millennio", teorizzò allora il presidente del museo Robert A. Pruzan, "dobbiamo saper usare l'eredità del nostro grande passato per affermarci nel futuro". "Il mio obiettivo è costruire sul ricchissimo lascito dei direttori che mi hanno preceduta nella ultracentenaria storia del Jewish Myseum", racconta Gould a Shalom, "il mio cambiamento è di natura evoluzionale, non rivoluzionario. Gli occhi sono nuovi, la missione è la stessa". Come intende conciliare passato e futuro, coniugando la ricca collezione di oggetti d'arte cerimoniale del Jewish Museum a una prospettiva più contemporanea? "Per la recente mostra di Barbara Bloom abbiamo invitato la celebre artista californiana a creare un'installazione attingendo dagli oltre 25,000 oggetti d'arte, cerimoniali e decorativi della nostra collezione permanente. Il risultato è stato una mostra che, attraverso 276 reperti ricollocati in altrettanti contesti anticonvenzionali, ha offerto al visitatore nuovi criteri per vedere il museo e la sua collezione".
   Rimescolando e reinventando gli oggetti della millenaria tradizione ebraica non si rischia di snaturarne il significato? "La giustapposizione di testi, opere d'arte e teche contenenti oggetti antichi operata da Bloom ha prodotto associazioni imprevedibili, innescando il dialogo. E' un approccio in cui crediamo fortemente.
   Se allestiremo altre mostre storiche, lo faremo utilizzando la stessa prospettiva contemporanea". Quali mostre ha in cantiere per l'immediato futuro? "Il prossimo 15 settembre inaugureremo 'Love, War, and Exile' che esporrà le opere realizzate da Marc Chagall nel suo esilio in Usa durante la seconda Guerra mondiale: uno dei suoi periodi meno conosciuti. Abbiamo in cantiere anche una grande retrospettiva dedicata al fumettista di Maus Art Spiegelman e una sulla regina della cosmesi Helena Rubinstein. Un'altra importante mostra intitolata 'Other Primary Structures' ed ispirata alla nostra influente retrospettiva del 1966 sull'arte minimalista rivisiterà il Minimalismo attraverso sculture realizzate negli anni 60 in paesi come Israele, India, Libano, Giappone e Romania. Stiamo, infine, lavorando su una nuovissima serie di mostre d'arte contemporanea intitolata 'Unorthodox', non ortodosso."
   Qual è la differenza tra il vostro museo e i musei ebraici nel resto del mondo? "Il Jewish Museum di Manhattan non è un museo storico o dell'Olocausto. Il nostro punto focale sono l'arte e la cultura ebraiche dall'antichità ai tempi attuali, senza dimenticare che la nostra collezione di Judaica è una delle tre più grandi al mondo". Non pensa che l'Olocausto ed Israele debbano rimanere comunque tra le tematiche di un museo ebraico? "Esistono istituzioni che si focalizzano esclusivamente su questi due temi. In quanto museo con una prospettiva artistico-culturale di tipo globale, il nostro arco di interessi è necessariamente più ampio. Una diversità che si riflette non solo nelle mostre ma anche nei programmi per adulti, famiglie e scuole. Per lo stesso motivo non possiamo sposare una data posizione politica ma cerchiamo di esplorare idee diverse, sempre attraverso l'arte". Avete in programma mostre dedicate ad artisti ebrei italiani? "Siamo sempre aperti a collaborare con i musei italiani. Per la mostra su Chagall abbiamo ricevuto in prestito due importantissimi quadri dai Musei Vaticani.
   Il nostro grande orgoglio resta 'Modigliani: Beyond the Myth' del 2004: la retrospettiva più visitata di tutta la nostra storia". Quali musei ebraici internazionali ammira di più? "Quasi tutti sono fonte d'ispirazione per un'avida visitatrice di musei come me. Ho visitato quello di Roma quando aprì i battenti nel 2005, oltre a quelli di Amsterdam, Vienna, Londra e Parigi. Non posso dire di preferirne uno in particolare anche se attendo con ansia l'apertura del nuovo museo ebraico di Varsavia". Quanto è importante attrarre anche un pubblico di non ebrei? "Grazie alla sua identità poliedrica e in continua evoluzione, il Jewish Museum si rivolge a gente di tutti i background. La nostra costante preoccupazione è mantenere l'integrità dell'arte che mostriamo, presentandola nel contesto della cultura ebraica e aiutando allo stesso tempo persone di altre fedi a trovarvi un significato. Oggi il 55% dei nostri visitatori sono ebrei, il 45% non-ebrei. Speriamo di continuare così".

(Shalom, settembre 2013)


Un soldato israeliano rapito e ucciso in Giudea-Samaria

Arrestato un palestinese di 42 anni: avrebbe già confessato l'omicidio.

Era entrato in taxi Giudea-Samaria, ma una volta arrivato a destinazione, un soldato israeliano è stato rapito e ucciso da un suo conoscente palestinese. Questi progettava, secondo i servizi segreti israeliani, di organizzare in un secondo tempo uno scambio: la liberazione del fratello - Nur-el-Din Amer, un miliziano di al-Fatah recluso dal 2003 per attività terroristiche - con il corpo del militare. Ma in poche ore il presunto rapitore palestinese, Nidal Amer (42 anni), è stato scoperto ed arrestato dagli agenti israeliani. È stato lui, secondo un portavoce militare, a mostrare loro il corpo del giovane (Tomer Hazan, 20 anni), gettato in fondo a un pozzo nel villaggio cisgiordano di Beit Amin, presso Kalkilya.
L'ALLARME DEI FAMILIARI. Hazan, un soldato di leva dell'aviazione militare, aveva ottenuto il permesso di lavorare nelle ore libere in un ristorante della località turistica di Bat Yam (Tel Aviv). Là aveva fraternizzato con Amer e venerdì 20 settembre, al termine della giornata di lavoro, sono partiti assieme per la Giudea-Samaria. Quando in serata i familiari di Hazan si sono resi conto di aver perso i contatti hanno dato l'allarme. Ingenti forze dell' esercito hanno presto localizzato la abitazione di Amer e hanno compiuto diversi arresti nel suo villaggio.
IL RITROVAMENTO DEL CADAVERE. Nella mattinata di sabato 21 settembre il cadavere del militare - che era stato pugnalato a morte - è stato recuperato in un pozzo vicino. Secondo lo Shin Bet, il servizio segreto di sicurezza, l'uccisione del militare è stata agevolata da due gravi infrazioni: la prima del militare stesso, che pare essere entrato di propria volontà in Giudea-Samaria; la seconda attribuita ai gestori del ristorante che non avrebbero dovuto offrire un lavoro a un palestinese che, come Amer, era privo dei necessari permessi di lavoro.
ALTA TENSIONE IN GIUDEA-SAMARIA. Lo Shin Bet cerca adesso di chiarire se l'iniziativa di Amer - che in apparenza non aveva probabilità di successo - gli sia stata imposta da una cellula terroristica più organizzata.

(Fonte: Lettera43, 21 settembre 2013)


L’opposizione siriana respinge la proposta dell’Iran

BEIRUT - La Coalizione dell'opposizione siriana ha respinto la proposta dell'Iran di facilitare il dialogo tra i ribelli e Damasco (sua alleata). "La proposta iraniana non è seria e manca di credibilità politica", ha affermato la coalizione in una nota. Il presidente iraniano Hassan Rohani aveva scritto giovedi' sul Washington Post online che il suo governo era "pronto a facilitare il dialogo tra il governo siriano e l'opposizione".

(ANSA, 21 settembre 2013)


Incontro sulla musica klezmer a Santa Margherita Ligure

di Ezio Piola

 
Luciano Biondini
Mercoledì 25 settembre, alle ore 17,30 nella sede dell'Associazione "Spazio Aperto di Via dell'Arco" a Santa Margherita Ligure, "Musicainsieme": serie di incontri dedicati alla voce dei popoli in diverse espressioni musicali curata da Enzo Piola, per "Musica in Villa".
In programma la musica Yiddish: Il Klezmer: "Malastrana - Nigun": Luciano Biondini (fisarmonica) - Mosé Chiavoni (clarino). Con il patrocinio del Comune di Santa Margherita Ligure.
Ingresso libero.

MUSICA YIDDISH: IL KLEZMER
Il canto popolare yiddish nasce in Renania quasi mille anni fa, da una tradizione popolare di quasi 2500 anni. E' uno specchio di vita semplice di tutti i giorni e dei suoi valori: la preghiera, l'affetto coniugale, l'amore tra genitori e figli, l'amicizia, la continuità della tradizione sentita come continuità della vita stessa.
Il klezmer esprime sia felicità e gioia, sia la sofferenza e la malinconia tipiche della musica ebraica.
Fonde in sé strutture melodiche, ritmiche ed espressive provenienti da differenti aree geografiche e culturali dell' Europa Orientale (Balcani, Polonia, Russia), con cui il popolo ebraico è venuto in contatto.
Le origini stilistiche sono quelle del Sud dell'Europa (Moldavia, Bessarabia, Romania, Grecia, Turchia), quelle culturali delle celebrazioni ebree, in particolar matrimoni, nell' Est Europa. Quando i pogrom e i sovvertimenti sociali, che sfoceranno in Russia nella rivoluzione, porteranno molti ebrei in America, il klezmer contribuirà non poco alla formazione del jazz.
L'ironia è lo strumento principe del canto yiddish, per evidenziare la fragilità dell'uomo, nella gioia e nel dolore. Anche le canzoni di dolore degli Ebrei askenaziti mostrano come, sia la tristezza che la disperazione, possano essere temperati dalla sottile ironia, da un sorriso, dalla speranza incrollabile di un futuro migliore.
Gli strumenti tipici del klezmer sono il clarinetto, il trombone, il violino e (in tempi più recenti), la fisarmonica.
I musicanti klezmer, klezmorim, imparano a suonare gli uni dagli altri, provando e riprovando sino a raggiungere esecuzioni perfette. Il loro repertorio comprende, con la musica strumentale yiddish, musica classidica e musica paraliturgica, versioni strumentali di canti popolari.

(Levante News, 21 settembre 2013)


Israele non crede all'Iran

Netanyahu ha detto di non credere alle promesse iraniane sul nucleare, mentre gli Stati Uniti premono per tenere aperto il dialogo.

Giovedì 19 settembre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha messo in guardia dalle aperture iraniane fatte pochi giorni fa dal presidente Rouhani, che in un'intervista con la rete televisiva statunitense NBC ha detto che il suo paese non svilupperà mai armi nucleari. «Non fatevi ingannare dalle fraudolente affermazioni del presidente iraniano», ha dichiarato Netanyahu in una nota diffusa dal suo ufficio.
   L'intervista a Rouhani - in carica da poche settimane - è stata considerata da molti un'apertura importante e un cambiamento di rotta rispetto alle scelte fatte in passato dai leader iraniani. Rouhani ha affermato che la guida suprema del paese gli ha conferito tutti i poteri necessari a portare avanti le trattative sul nucleare con l'Occidente: una libertà che si ritiene non avessero i negoziatori del suo predecessore, Mahmoud Ahmadinejad.
   Nei giorni precedenti all'intervista, l'amministrazione americana aveva compiuto diverse aperture storiche e importanti verso l'Iran. Obama e Rouhani si sono scambiati alcune lettere in queste settimane, come non era mai successo tra i presidenti dei due paesi in trent'anni - di solito la corrispondenza passava sempre attraverso la guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei. Accanto alle aperture di credito verso l'Iran, scrive il New York Times, gli Stati Uniti stanno compiendo anche un'operazione di diplomazia meno visibile e diretta verso Israele.
   Durante una serie di conversazioni private e in alcuni comunicati, le autorità americane hanno fatto capire che, nonostante tutte le aperture, rimangono scettici riguardo alle intenzioni iraniane sul programma nucleare e che giudicheranno il nuovo presidente dalle azioni e non soltanto dalle dichiarazioni concilianti. Il governo israeliano, infatti, si è sempre mostrato meno propenso a seguire la via dei negoziati per interrompere il programma nucleare iraniano, che percepisce come una minaccia diretta alla sua esistenza. Più volte i leader israeliani hanno affermato la necessità di una minaccia militare credibile per costringere l'Iran a fermare il programma nucleare.
   Ma le rassicurazioni americane non sono bastate a evitare il durissimo comunicato diffuso giovedì 19 dall'ufficio del primo ministro israeliano. «La prova [delle intenzioni iraniane] non è in quello che dice Rouhani, ma nelle azioni del regime iraniano che continua a portare vigorosamente avanti il suo programma nucleare mentre il presidente si fa intervistare», è scritto nel comunicato, che poi specifica anche quali passi l'Iran dovrebbe intraprendere per essere ritenuto credibile da Israele: «fermare l'arricchimento dell'uranio, distruggere l'uranio che ha già arricchito, smantellare l'impianto nucleare di Qom e fermare il suo programma per ottenere plutonio».
   L'amministrazione americana ha comunque fatto capire che intende mettere alla prova le intenzioni iraniane e continuare a percorrere la strada dei negoziati. Il confronto tra le due posizioni potrebbe risolversi - o peggiorare - nel corso della settimana prossima, quando tutti i protagonisti si ritroveranno a New York. Martedì 24 settembre Obama parlerà all'Assemblea delle Nazioni Unite, domenica 29 si incontrerà con Netanyahu che parlerà a sua volta il 30. Lo stesso giorno di Obama, per la prima volta da quando è stato eletto, parlerà all'assemblea anche lo stesso Rouhani.

(il Post, 21 settembre 2013)


Abbandonato dalla madre e curato dagli israeliani

La storia del piccolo Mohammed, il bimbo palestinese senza braccia né gambe.

di Federico Tagliacozzo

Immagini
Durante la sua breve vita Mohammed al-Farra, bimbo palestinese di tre anni e mezzo, ha potuto conoscere una sola casa: le corsie gialle dell'ospedale israeliano di Tel Hashomer, sobborgo di Ramat Gan.
Nato a Gaza con una rara malattia genetica, Mohammed ha subito l'amputazione delle braccia al livello del gomito e dei piedi, a causa di alcune complicazioni mediche. I suoi genitori lo hanno abbandonato, le autorità palestinesi non sono in grado di pagare le spese mediche, così il bimbo vive in ospedale accudito dal nonno.
«A Gaza non ci sono le possibilità per prendersi cura di lui, lì non c'è una casa dove può vivere - spiega il nonno Hamouda al-Farra - mio nipote è privo di autonomia, non è in grado di mangiare da solo, di vestirsi e di compiere i gesti più comuni. La sua vita sarebbe zero senza aiuto».
Subito dopo la nascita Mohammed fu portato nell'ospedale israeliano per cure urgenti. La sua malattia genetica ne aveva indebolito gravemente il sistema immunitario. Un'infezione aveva colpito i suoi arti costringendo i medici ad amputarli. «Durante le cure sua madre lo ha abbandonato perché il padre, provando vergogna per la disabilità, l'aveva minacciata di prendere una seconda moglie se non avesse lasciato il figlio e non fosse tornata a casa», ha dichiarato al-Farra.
Oggi Mohammed, sempre bisognoso di cure, passa i suoi giorni imparando a usare le protesi costruite apposta per lui. Suo nonno lo segue. L'ospedale, grazie a delle donazioni, riesce a sostenere le spese mediche e il soggiorno del nonno. Ancora non si sa quanto dovrà stare in ospedale. Come palestinese, Mohammed non ha diritto alla residenza permanente in Israele. I suoi genitori, come precisato dal nonno, non intendono riprenderlo con sé.
Il dottor Raz Somech, primario fisiatra presso il reparto di immunologia pediatrica dell'ospedale di Tel Hashomer, attribuisce la responsabilità del difetto genetico del bambino alla reiterata pratica dei matrimoni tra consanguinei nella sua famiglia, inclusi i genitori: «La pratica delle unioni tra cugini, quando è ripetuta per generazioni, può generare figli con difetti genetici. Un terzo dei pazienti del mio reparto è costituito da palestinesi figli di parenti. Nelle zone meno avanzate di Gaza alcuni uomini riescono a ottenere la mano della cugina anche contro la sua volontà, reclamando il "diritto di prima scelta sulla parente". Spesso i genitori approvano questa pratica per rafforzare i legami di famiglia».
A Gaza è praticata la poligamia, anche se è poco diffusa. Secondo quanto riportato da dati ufficiali dell'Ufficio di statistica palestinese pubblicati nel 2011, a Gaza 183mila persone su un totale di 1,7 milioni soffre per disabilità che colpiscono la salute mentale, la vista, l'udito o la mobilità. Circa 40mila persone soffrono di disabilità gravi.

(Il Messaggero, 20 settembre 2013)


La grande sinagoga di Trieste in vetrina su "Bell'Italia"

Il mensile dedica nel numero di settembre sei pagine all'edificio costruito nel 1912 su progetto dei fratelli Berlam. Il servizio inserito nel contesto degli "Itinerari sul filo della memoria".

 
La Grande Sinagoga di Trieste
"Bell'Italia", mensile della Cairo Communication, dedica nel numero di settembre sei pagine a Trieste con gli "Itinerari sul filo della memoria". In particolare ecco i luoghi simbolo dell'ebraismo in città, dalla Risiera di San Sabba alle vivaci vie dell'antico ghetto. Percorsi di arte e di fede anche nelle chiese ortodosse e protestanti. Ampio spazio con belle foto a colori è dedicato alla sinagoga «monumentale ed elegante, il tempio israelitico triestino inaugurato nel giugno del 1912, è simbolo di una comunità vivace e fiera della sua lunga storia».
«Conviene arrivare a piedi alla sinagoga di Trieste, per lasciarsi stupire»: inizia così il servizio di Anna Pugliese. L'articolo descrive ogni luogo del tempio che «pare un angolo di Medio Oriente abbracciato da una città neoclassica». Interessante e preciso l'intervento di Alessandro Salonichio, presidente della Comunità ebraica del Friuli Venezia Giulia che ne spiega la storia e il significato: «È la casa della nostra comunità, una comunità che vive concretamente il suo tempio e che lo apre con gioia a chi vuole conoscerlo».
A corredo dei servizi un'intervista a Elisabetta Sgarbi, scrittrice e regista, autrice di due film dedicati a Trieste: "Il viaggio della signorina Vila" e "Trieste la contesa". Nell'intervista Sgarbi afferma che la tradizione ebraica di Trieste si respira a ogni passo, dalle assicurazioni Generali alla Libreria Saba. «Visitare la splendida sinagoga - afferma - dà un senso di vertigine, una sensazione di spaesamento, inquietudine e insieme di grandezza».
Tra i luoghi simbolo di Trieste "Bell'Italia" segnala anche la Risiera di San Sabba «un museo di grande impatto che lascia ammutoliti», la Libreria Umberto Saba e il Museo della Comunità ebraica Carlo e Vera Wagner. Oltre ai luoghi di culto «crocevia di popoli nel cuore d'Europa», come San Spiridione, San Nicolò e la chiesa della Santissima Trinità.

(Il Piccolo, 20 settembre 2013)


Ritrovato in Belgio un film di propaganda anti-nazista

Pensavano fosse andato perso per sempre invece da più di 70 anni questo film giaceva nella cinemateca reale belga. Si tratta di una pellicola statunitense di propaganda antinazista realizzata in Germania nel 1933. Il film, restaurato, sarà proiettato al museo MOMA di New York il prossimo 26 ottobre.
Video

(euronews, 20 settembre 2013)


La pace vera e quella (tutta da verificare) sulla carta

Nonostante vi siano migliaia di morti nelle guerre civili in Siria, Egitto, Tunisia, Vemen, Iraq e Libano, sulla stampa si ripete il luogo comune che l'epicentro di tutta l'instabilità in Medio Oriente sia a causa della questione palestinese.

di Ugo Volli

Area geografica su cui avrebbe dovuto essere ricostituito lo Stato ebraico (e nessun altro) secondo la decisione presa dalle Potenze alleate vincitrici della Seconda guerra mondiale: decisione che la mandataria Gran Bretagna non volle adempiere per i suoi interessi neocoloniali.
I centro del Grande Disordine Arabo che macina da tre anni ormai migliaia di morti al mese, Israele è sostanzialmente in pace. Ogni tanto qualche missile arriva da Gaza o dal Sinai, prontamente bloccato da Iron Dome seguito da misurate rappresaglie, ogni tanto qualche colpo di mortaio supera i confini siriani, più spesso il "terrorismo a bassa intensità" delle pietre sulle macchine e delle coltellate a tradimento provoca allarme nel territorio stesso di Israele. Ma non vi è confronto con quel che succede tutto intorno e neppure con quel che accadeva in Israele dieci anni fa. Le statistiche dicono che nell'ultimo anno vi è stato solo un morto da parte israeliana e una decina di terroristi coinvolti in attacchi con bombe molotov o sassi - il minor numero da sessant'anni in qua. Non sarà la pace ma ci somiglia.
   Pure è un luogo comune nella stampa e presso i politici europei e americani che l'epicentro di tutta l'instabilità in Medio Oriente sia Israele, che solo la pace fra Israele e l'Anp può risolvere questa situazione e che siamo di fronte all"'ultima occasione" per questa pace. L'attivismo del segretario di stato americano Kerry che ha imposto ai riluttanti governi israeliani e dell'Anp di riprendere trattative dirette, invece di dedicarsi alle crisi sanguinose di Egitto, Siria, Tunisia, Yemen, Iraq, Libano ecc. si giustifica con questa linea di pensiero.
   Non discuterò qui queste opinioni, le ho spesso contestate. E non parlerò nemmeno della stranezza politica che ha portato l'amministrazione Obama a questa scelta di priorità. Noterò solo che l'ostacolo principale per i nemici di Israele si chiama "normalizzazione" e che la normalizzazione è in atto, come si vede girando un po' per Giudea e Samaria: gli esagitati non mancano, ma la situazione che si vede per le strade è abbastanza tranquilla, la circolazione è facile perché buona parte dei check point sono stati aboliti, circa un terzo degli stipendi degli arabi dell'Anp vengono da datori di lavoro israeliani, i villaggi ebraici si sviluppano al di qua come al di là della linea verde, ma cresce anche l'economia palestinese, vi sono belle case e campi ben coltivati in entrambe le comunità.
   Tutto questo mostra che, almeno a medio termine, la situazione è più che sostenibile e la maggioranza dei cittadini dell'Anp preferisce vivere nella situazione attuale piuttosto che avventurarsi nel disordine di un'''intifada'' o in una guerra civile. Naturalmente questo non piace ai "rivoluzionari di professione" come sono stati formati ad essere i quadri di Fatah e Hamas e neppure ai loro consimili delle Ong: dopotutto gli uni e gli altri vivono e piuttosto bene del loro ruolo nel conflitto, in assenza del quale perderebbero importanza e privilegi.
   A giustificare i tentativi di destabilizzare questa situazione vi sono due argomenti, uno demografico e uno giuridico. Sul piano demografico si dice che Israele sarà presto sommerso da una maggioranza araba, a meno che si distacchi da Giudea e Samaria come ha fatto da Gaza. Non ho lo spazio qui per discutere questa teoria "dell'apocalisse" demografica, mi basta dire che sono sempre più numerose le voci in Israele che contestano come gonfiati i dati dei censimenti palestinesi e sottolineano che vi è un'inversione di tendenza: la natalità araba è in forte arretramento, quella ebraica cresce e i due tassi sono ormai vicini ad allinearsi.
   Il tema giuridico è molto propagandato sul piano politico e giornalistico. Vi sarebbe una "occupazione" israeliana di "territori palestinesi" che violerebbe la "legalità internazionale" e pertanto andrebbe fermata al più presto. Tutto ciò però, sul piano strettamente giuridico, non è affatto vero. Israele è stato costruito sul territorio del mandato britannico sulla Palestina, deciso dopo la fine della prima guerra mondiale e il crollo dell'impero ottomano, dal trattato di pace di San Remo (un trattato accessorio di quello di Versailles, si trova in rete fra l'altro qui) e poi della deliberazione della Società delle nazioni (le cui decisioni sono state interamente confermate dall'Onu al momento della sua fondazione). La premessa del mandato è che "recognition has thereby been given to the historical connexion of the Jewish people with Palestine and to the grounds for reconstituting their national home in that country" cioè si dà riconoscimento alla connessione storica del popolo ebraico con la Palestina come base per ricostituire in quale paese la loro nazione. All'articolo 6 si impone al mandatario di "shall facilitate Jewish immigration [. .. J and shall encourage { ... J close settlement by Jews on the land, including State lands and waste lands not required for public purposes", cioè facilitare l'immigrazione ebraica e di incoraggiare il "fitto insediamento" (o "colonizzazione" la parola è sempre "to settle") della terra, incluse le terre statali e quelle vuote non necessarie a scopi pubblici.
   Questo testo, che ha valore legale si riferisce a tutta la Palestina mandataria. La proposta di divisione dell'Assemblea generale dell'Onu, che fu respinta dai paesi arabi, gli accordi armistiziali e poi quelli di Oslo, che rimandano tutti al futuro non hanno cambiato la condizione giuridica del territorio, anche della parte che fu arbitrariamente occupata dalla Giordania nel '49. Il mandato di Palestina tutto, anche il "west Bank", come si iniziò a chiamarne un pezzo dopo il '49, era destinato a patria del popolo ebraico e la sua "colonizzazione" era e resta perfettamente legale. La convenzione di Ginevra che spesso si cita come prova dell'illegalità israeliana non c'entra niente: sia perché si applica a territori occupati, come Giudea e Samaria non sono, sia perché riguarda trasferimenti forzati di popolazione e pulizia etnica, come in quella zona ha perpetrato la Giordania e vorrebbe commettere l'Anp, ma Israele non ha mai fatto.
   I fatti che ho esposto sono ben noti. E' quel che ha scritto il rapporto della commissione Levy (dal nome dell'ex giudice della corte suprema israeliana che l'ha presieduto) del 2012; è quel che è stato affermato di recente da un appello di giuristi contro la decisione, tutta politica, della Commissione Europea di proibire ogni suo finanziamento ad attività che hanno sede oltre la linea armistiziale del '49: " la definizione dell'UE della Giudea e Samaria come "territori palestinesi" o" territori occupati" è priva di qualsiasi valore legale o di fatto. L'area non è mai stata definita come tale [ai sensi del diritto internazionale] e quindi l'uso continuo dell'Unione europea di questa terminologia mina la possibilità di negoziati per una pace permanente". La percezione di illegalità degli insediamenti israeliani da parte "dell'UE deriva da ragioni differenti dal diritto internazionale". Inutile dire che queste analisi e altre consimili sono regolarmente ignorate dai giornali.
   In conclusione: non vi sono affatto le ragioni né politico-militari, né giuridiche per rendere una trattativa fra Israele e Anp necessaria né tanto meno urgente. Vi può essere un'opportunità politica, una volontà di convivenza, la necessità di non scontrarsi frontalmente con una comunità internazionale in buona parte succube della propaganda islamica e ostile a Israele. Ma bisogna fare attenzione a non distruggere una tranquillità sostanziale e faticosamente conquistata con un pezzo di carta che sarebbe comunque rinnegato da buona parte dei movimenti palestinesi e alla prima occasione facilmente stracciato, come ha spiegato in televisione un ministro dell'Anp, come Maometto fece del suo accordo con i nemici della Mecca.

(Shalom, settembre 2013)


Nella valutazione della situazione politica attuale questo articolo introduce alcuni elementi del passato storico troppo spesso trascurati nella discussione sulla "pace" in Medio Oriente. Tra i diversi articoli pubblicati da "Notizie su Israele" su questo argomento ne segnaliamo due:
Il sionismo durante e dopo la prima guerra mondiale
Diritti legali e titolo di sovranità del popolo ebraico sulla Terra d'Israele e Palestina secondo il diritto internazionale


Obama vede Rohani. Speranza (vana) di un Iran democratico

di Fiamma Nirenstein

 
Dopo un misterioso scambio di lettere pare che Obama e Rouhani si incontreranno a New York all'ONU già martedì o mercoledì prossimo. Un incontro fatale, piace immaginare. Scoppierà la pace, come dice il Papa? L'Iran dimostrerà un'incredibile apertura nei confronti delle richieste di bloccare l'assemblaggio dell'atomica? Smantellerà le centrifughe? Smetterà di impiccare gli omosessuali? Libererà le donne dall'oppressione? Hassan Rouhani sembra maestro nel suk: si attrae il compratore con una tazza di tè alla menta, ci si siede rilassati, si sorride, la merce diventa così affascinante che non si oserà mai negare il prezzo richiesto. Se l'affare fallisce, è solo colpa tua, lui era così carino.
Negli ultimi giorni l'Iran ha dichiarato per bocca di Rouhani tutta la sua disponibilità a farsi togliere le sanzioni economiche. Ha anche funzionato da ponte con Assad, sembra: senza i suoi ordini Assad non avrebbe intrapreso la strada del compromesso, l'Iran lo arma fino ai denti. Ma sulle cose serie, non si sa se chiuderebbe le centrali, se consegnerebbe l'uranio arricchito, se rinuncerebbe alla bomba... Ieri in un'intervista all'NBC Rouhani ha detto che il suo Paese cerca "pace e amicizia", ma ha aggiunto che Israele porta instabilità nel Medio Oriente perché è un "occupante", non si sa con quali conseguenze per l'Iran voleva solo distruggerlo; non ha risposto alla domanda se neghi la Shoah come Ahmadinejad, perché lui "non è uno storico".
Sui diritti civili ha detto che vuole che la sua gente sia "completamente libera": aspettiamo specifiche sulle donne, il diritto di opinione, la libertà sessuale. Dunque, solo parole e anche quelle poco significative: ma ci piace sognare. Non sarebbe tanto difficile capire le intenzioni di Rouhani se non stessimo mangiandoci le unghie nella speranza che sia buono. Anche il supremo leader Khamenei l'ha spiegato: ha detto che ci vuole "eroica flessibilità" e poi ha aggiunto che tuttavia "non bisogna dimenticarsi chi è il nemico e qual è lo scopo principale". Scusi, lo dice anche a noi?

(il Giornale, 20 settembre 2013)


Eccola, la legacy di Obama

Noi iraniani l'arma nucleare non la vogliamo fare, né ora né mai, e dovete credermi, perché il mio governo ha pieno potere sul negoziato con l'occidente, e lo stallo in cui ci siamo infilati finirà. Con queste parole dette in un'intervista alla Nbc americana, il quieto presidente della Repubblica islamica d'Iran, Hassan Rohani, ha messo il sigillo sulla sua "operazione charme" nei confronti della comunità internazionale in vista del grande appuntamento della settimana prossima: l'esordio all'Assemblea nazionale delle Nazioni Unite. Tutto è pronto per il suo grande discorso e soprattutto per bilaterali che soltanto l'anno scorso erano impensabili: si sta lavorando anche a un incontro con il presidente americano Barack Obama - non si sa se sarà "accidentale", come è tutta la politica estera della Casa Bianca, o se è già pianificato, ma a guardare il portavoce presidenziale, quel Jay Carney che abbiamo visto sudare freddo più volte nel suo appuntamento quotidiano con i giornalisti, si capisce che c'è grande eccitazione nell'entourage obamiano. L'apertura di Rohani è quanto di meglio potesse accadere a un presidente a caccia della sua legacy: ci pensate? Obama può passare alla storia come il presidente che ha fermato la Bomba iraniana. E l'ha fatto con la mano tesa, coi messaggi, con le lettere, con qualche minaccia, con il muso duro contro Israele che invece farebbe blitz armati in ogni momento - con il soft power. Ci pensate? I liberal guardano scettici Obama per il suo Nobel per la Pace dato preventivamente e sconsideratamente, ed ecco che tutto si ribalta: la più grande minaccia esistente - l'arma nucleare in mano agli ayatollah che pregano per la scomparsa di Israele e dell'occidente - viene spazzata via con la forza della diplomazia. Esiste forse una legacy più scintillante? Poi magari Rohani sta bluffando, gli basta giusto farsi vedere buono per qualche mese, allentare le sanzioni che gli stanno soffocando il paese, e andare avanti con il programma nucleare (non sarebbe la prima volta). Ma tutti vogliono credere che Rohani faccia sul serio, anzi, diciamo pure che Rohani fa sul serio, tanto non c'è nessun leader oggi - Israele a parte, s'intende - e nessuna opinione pubblica che si sognerebbe di mettere in piedi un'offensiva contro l'Iran. Così il "moderato" di Teheran può giocarsi tutto il suo credito di fronte alla comunità internazionale e alla Guida Suprema, e Obama può vantare un capolavoro diplomatico davvero impressionante. Il costo di questo "grand bargain" a lungo sognato e finalmente a portata di mano pesa tutto sull'opposizione al regime di Bashar el Assad e sui bambini siriani gasati con il sarin. Pur in versione "moderata", Teheran chiede a Washington di stare fuori dalle faccende mediorientali. E Washington ha già dimostrato di non avere tutta questa voglia di infilarcisi. E non è poi così inutile, la riluttanza: l'impunità di Assad val bene una legacy.

(Il Foglio, 20 settembre 2013)


"Così io, Stella ebrea, ho beffato le SS"

Esce il diario della figlia di Giulio (il comandante Laghi) "In Val di Lanzo, tra streghe e giochi, aspettavo la libertà".

di Bruno Quaranta

  
Stella Bolaffi Benuzzi è nata nel 1934 a Torino. Dopo la guerra, si è laureata in Lettere e ha esercitato la professione di psicoanalista. Le sue memorie "La balma delle streghe" escono da Giuntina
TORINO - E così, la memorialistica subalpina, accanto a Natalia Ginzburg, Virginia Galante Garrone, Lalla Romano, si arricchisce di un'ulteriore orma femminile: Stella Bolaffi Benuzzi, una signora ruotante intorno a un intimo filo di ferro, nonché ramo orgoglioso di un albero genealogico costellato di francobolli, di rarità in rarità risalendo al 1890, quando nonno Alberto fondò la pregiata ditta torinese, cedendo il testimone nel 1944 al figlio Giulio, il comandante Laghi, alla guida in Val Susa della divisione di Giustizia e Libertà «Stellina», come la figlia. «Ha una sua (!) borghesissima paura della parola "politica" - lo ritrarrà Ada Gobetti -. La guerra la combatte e la paga generosamente».
Nel nome del padre è il journal di Stella Bolaffi Benuzzi La balma delle streghe (Giuntina, pp. 184, €15, prefazione di Paolo Rumiz). Ovvero «l'eredità della mia infanzia tra leggi razziali e lotta partigiana», bagaglio che permeerà le future stagioni, dagli studi al matrimonio, alla professione. Una fanciullezza braccata, fuggendo da SS e repubblichini in Val di Lanzo, a Vonzo, una frazione di Chialamberto, come istitutrice, angelo custode, mentore, la maestra Gabriella Foà, un Augusto Monti delle classi elementari.
Psicoanalista freudiana, Stella Bolaffi subito evoca il dottore di Zeno, «l'autobiografia, buon preludio alla psico-analisi». Nella Balma alternandosi (e intrecciandosi) il racconto e la sua «lettura», seduta dopo seduta. «No, non concordo con Svevo. È una considerazione semplicistica, la sua. In analisi, sono due i protagonisti, artefici di un dialogo che culmina nel transfert».
Inseparabile da Alberto, ieri e oggi, la signora Stella, poco importa la distanza geografica, in Alberto riconoscendo l'eco nitida del padre, del «depositum» Bolaffi che si trasmette di generazione in generazione. «Mio padre, una figura cardinale, nel male e nel bene. Nel male: come subiva la madre, la possessiva nonna Vittoria, come era geloso della mamma, come era drastico con me, nessuna discussione ammessa, com'era ostile, per esempio, a qualsivoglia, innocente vanità. Ricordo quando, sposata, gli feci visita con i due bambini, sulle labbra appena un velo di rossetto. Mi intimò: "Ora andrai nella toilette, a lavarti il viso"». E nel bene? «Una forza d'animo eccezionale, anche nelle occasioni più tragiche, mai smarrendo la flemma».
Mai abdicano, papà Giulio, all'identità ebraica: «"Onora tuo padre e tua madre", il comandamento per lui sommo. Quando il nonno muore, nel diario di cui presto uscirà un'edizione scientifica, non esiterà a definirlo "il mio più grande amico". No, non era un ebreo ortodosso, di sabato lavorava, ma andava al Tempio, faceva l'offerta, diceva le preghiere la mattina e la sera, indossando il cappello e il tallèt, il manto».
L'attesa dela libertà, nella Balma delle streghe, è l'attesa del padre. Il suo ritorno alla vita civile, dopo la clandestinità, è l'aurora che scardina la notte, che incenerisce il colore nero. La bomba fatta esplodere sulla strada per Torino simboleggia il punto e a capo, l'addio alle armi, la speranza di veder nascere una diversa Italia.
È grazie all'ebreo Freud che Stella Bolaffi Benuzzi è riuscita «a dare una spolverata alla Balma», all'età che forse fu nonostante tutto favolosa sotto falso nome: «Che poi lassù lo chiamassero "balma" e Freud "inconscio", sempre di streghe si tratta e delle loro mele avvelenate» (balma che è un grosso masso, di masso in masso formando, rotolando, delle caverne...). Freud scoperto nella biblioteca della nonna materna a Acqui: «Le ore passate sulla dormeuse leggendo L'interpretazione dei sogni...».
Perché solo adesso La Balma? «Non mi sembrava corretto, verso i pazienti, sollevare il sipario su di me quando esercitavo la professione». Sciolta la riserva, «immagino un seguito, La grotta della foca monaca, restaurando le giornate alla Capraia, quando c'era il tetro carcere, ma non la luce elettrica, assaporando le tregue, che la vita della psicologa è ardua. Nel frattempo ho voluto comporre una sorta di esercizio di ammirazione, in onore del cardinal Martini».
Occorre, per capire, riandare alla stagione universitaria. «A quando mi laureai con Augusto Guzzo, controrelatore Benvenuto Terracini, sul'etica dei Salmi. Il Padre ha voluto scolpito sulla tomba nel Duomo milanese un salmo: "La tua parola è lampada ai miei passi / luce sul mio sentiero". A un idem sentire ho voluto rendere omaggio».
Carlo Maria Martini, il ponte solido, finalmente mondo di ogni incrostazione, perfidia, infamia, fra cristiani ed ebrei. Selvatica come suole narrarsi, mentalmente sempre nei boschi, per mano al comandante Laghi che le insegna a riconoscere i funghi, sorretta da una cordiale ironia, due pupille che hanno visto le streghe, Stella (in ebraico Kokhbà) Bolaffi Benuzzi posa lo sguardo sulla vera, commuovendosi: «E' un dono di papà. Che emozione leggerne la scritta all'interno: Giulio e Mina 21 maggio 1933 - 25 iyar 5693. Era la fede di mia madre. Nell'anello è riunito in me l'amore per i miei genitori come loro avevano riunito in quelle due date ebraismo e cattolicesimo».

(La Stampa, 20 settembre 2013)


Hamas perde alleati, si aggrava la crisi finanziaria

La deposizione di Mohammed Morsi in Egitto e la distanza con l'Iran per il mancato sostegno al regime di Bashar al-Assad in Siria stanno spingendo ai margini il movimento islamico palestinese di Hamas, con conseguenze sulla crisi finanziaria della Striscia di Gaza. Crisi che Hamas ha poche chance di risolvere, per l'embargo imposto da Israele, la distruzione dei tunnel usati per il contrabbando tra l'enclave palestinese e l'Egitto dopo la salita al potere dei militari egiziani e il taglio degli aiuti a Gaza dopo che Hamas si è rifiutato di sostenere Assad nella crisi siriana. Un duro colpo, quest'ulltimo, per l'encalve governata dal 2007 da Hamas e che riceveva da Teheran circa 22 milioni di dollari al mese. Dalle tasse sulle merci contrabbandate attraverso i tunnel, ora distrutti, Hamas ricavava invece circa 365 milioni di dollari, il 40 per cento del suo bilancio, come spiega una fonte del ministero delle Finanze di Hamas alla Xinhua.
Ora, senza il sostegno dei Fratelli Musulmani egiziani e dell'Iran, Hamas non riesce nemmeno a pagare gli stipendi dei suoi impiegati, per i quali sono necessari 37 milioni di dollari al mese. L'unica soluzione per uscire dalla crisi, ritiene Mo'een Rajab, ex docente all'universita' di al-Azhar a Gaza, è quella di ''raggiungere una riconciliazione interna'' con l'Autorita' nazionale palestinese (Anp), dice alla Xinhua.

(Adnkronos, 20 settembre 2013)


Così la Bella Italia esporta i suoi tesori

L'Annunciazione di Botticelli esposta a Gerusalemme. Un'operazione voluta per segnare l'inizio delle attività della Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti

di Letizia Cini

Un particolare dell'Annunciazione andata in esposizione a Gerusalemme
FIRENZE - Ci vuole un fisico bestiale, ma anche mezzi potenti e tecnologicamente avanzati. Imballare, trasportare e far arrivare a destinazione — spesso molto, molto lontano — capolavori assoluti, dal valore inestimabile (artisticamente ed economicamente parlando), non è cosa da tutti. Non c'è assicurazione che tenga capace di far dormire fra due guanciali chi, per lavoro, abbia scelto di prendersi cura di questi passeggeri speciali, specialissimi, come l'Annunciazione di San Martino alla Scala, il capolavoro di Botticelli partito dagli Uffizi di Firenze, ora esposto all'Israeli Museum di Gerusalemme, dove resterà fino al 10 gennaio 2014.
Un'operazione voluta per segnare l'inizio delle attività della Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, sostenuta dall'ambasciatore Francesco Maria Talò e diretta da Simonetta della Seta, che esulta: «Si tratta di un regalo che, grazie al forte sostegno dell'ambasciata italiana a Tel Aviv, abbiamo voluto fare a Israele per il 65esimo anniversario della sua nascita».
Dopo il braccio di ferro, "partenza sì, partenza no", il compito di far arrivare il grande affresco — un murale di dimensioni gigantesche, quasi sei metri per tre, databile al 1481 — è toccato alla Montenovi Srl di Roma, azienda specializzata in questo genere di trasporti eccezionali. «La passione per l'arte si può esprimere in modi diversi: studiando la storia dell'arte, creando capolavori, viaggiando per conoscere da vicino monumenti e opere — spiegano da Roma i corrieri — . Ed è proprio iniziando dallo studio delle sculture unito alla creatività personale che Pietro, ebanista-sagomatore, ha dato vita nel 1870 alla Montenovi specializzandosi nell'imballaggio delle opere d'arte».
Dare il via al viaggio del grande "ambasciatore", il debutto di un capolavoro del Rinascimento in terra ebraica, è stato tutt'altro che facile. Il prestito ha subito numerosi rinvii, per cause logistiche e politiche (non ultimo il recente aggravarsi della situazione in Siria).
Tanto che negli ultimi giorni, i tempi e i modi dell'arrivo in Israele dell'Annunciazione di San Martino alla Scala del Botticelli sono stati tenuti segreti, con annunci e smentite discordanti, diffusi a più riprese, sull'eventualità di un nuovo ulteriore ritardo sul giorno in cui la tela sarebbe stata visibile a Gerusalemme. In realtà, l'ultima delle date proposte, il 17 settembre, è stata rispettata.
L'Annunciazione è stata prelevata a Firenze imballata in una doppia cassa, dopodiché caricata a bordo di un camion ammortizzato e climatizzato. Il viaggio è proseguito in aereo e l'affresco-star, abbondantemente scortato da forze di polizia armate, dopo due scali è finalmente arrivato a destinazione.
«Un'operazione non commerciale e non certo economica — spiega la soprintendente per il Polo museale fiorentino, Cristina Acidini — , ma finanziata dalla Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti che ha scelto la ditta Montenovi per l'imballaggio e il trasporto, impegnandosi a trovare sponsor e finanziatori». La cifra? Top-secret.

(Il Giorno, 19 settembre 2013)



Volley - Gara amichevole tra la nazionale femminile israeliana e la Tecnoteam di Albese

  
Sconfitta per la Tecnoteam (volley femminile di B1) di Albese (CO) alla prima gara stagionale disputata davanti ad un discreto pubblico alla palestra Pedretti. Le ragazze di coach Cairoli sono state superate per 3-1 dalla nazionale di Israele, impegnata in una tournee in Italia prima delle qualificazioni ai mondiali, in un test amichevole di grande valore e prestigio. A guidare Israele (nella foto a lato) coach Selinger, un autentico maestro del volley femminile, in passato già in Olanda e Stati Uniti. Ottimo primo set per la Tecnoteam, vinto 25-22, poi la maggiore freschezza delle avversarie è venuta fuori e le israeliane si sono imposte negli altri due set con il punteggio di 25-22 e 25-17. Ma le albesine hanno mostrato ampi margini di miglioramento. Elli (13 punti) già in forma campionato, buona prova anche della capitana Franco (10) e di Anna Colonna (11).
La palla con cui la squadra di casa si aggiudica il primo set
Il saluto tra le due squadre

(CiaoComo.it, 19 settembre 2013)


Netanyahu a Rohani: Basta essere umani per riconoscere Olocausto

WASHINGTON - "Non bisogna essere uno storico per riconoscere che l'Olocausto ebbe luogo, basta essere umani". Così l'ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in risposta alle parole del presidente iraniano Hasan Rohani, il quale, rispondendo a una domanda sulle dichiarazioni del suo predecessore Mahmoud Ahmadinejad sulla veridicità dell'Olocausto, ha detto di non essere uno storico. Per quanto riguarda la questione nucleare, si legge nel comunicato, Teheran "sta manipolando i media in modo che le centrifughe possano continuare a girare". L'Iran, prosegue la nota, può dimostrare "una reale sospensione del programma nucleare soltanto fermando tutte le attività di arricchimento dell'uranio, consegnando tutto l'uranio arricchito, smantellando la struttura di Qom e chiudendo la filiera di plutonio. Finché non saranno applicati tutti questi passi, la comunità internazionale deve aumentare le pressioni sull'Iran".

(LaPresse, 19 settembre 2013)


Razzo da Gaza su Israele

TEL AVIV, 19 set - Un razzo Qassam e' stato sparato la scorsa notte dalla striscia di Gaza verso la vicina citta' israeliana di Ashqelon. E' esploso in un campo agricolo senza provocare vittime ne' danni. La popolazione israeliana della zona e' stata svegliata di soprassalto dalle sirene di allarme. La paternita' dell'attacco non e' stata finora rivendicata da alcuno dei gruppi palestinesi attivi a Gaza.

(ANSA, 19 settembre 2013)


Momento storico per Alghero: si inaugura la Plaça de la Juharia

 
Il Sindaco Stefano Lubrano
Domenica 22 settembre, alle ore 18,00, si terrà la cerimonia di inaugurazione della Plaça de la Juharia, nel complesso di Santa Chiara. Il Sindaco Stefano Lubrano terrà la cerimonia di intitolazione del nuovo spazio pubblico alla presenza dell'Ambasciatore d'Israele in Italia, Naor Gilon, e del suo predecessore Gideon Meir, attualmente direttore generale della diplomazia pubblica presso il Ministero degli Esteri. Alla piazza della Juharia si accederà attraverso l'antica Porta a Mare, riportata alla luce dai lavori di recupero del complesso Santa Chiara.
Questo passaggio, murato nel 1728, consentirà di accedere alla nuova piazza dalla sottostante banchina del porto. Alla Plaça de la Juharia si potrà accedere inoltre dai bastioni Pigafetta, tramite gradinate adiacenti la Torre della Polveriera, e dalla via Sant'Erasmo. A seguito dell'intitolazione, la Piazza sarà sede alle ore 19,00 del convegno di studi Los Jueus a l'Alguer, al quale prenderanno parte i rappresentanti istituzionali di Israele presenti insieme al Sindaco Lubrano. L'intitolazione della Piazza fa parte di un programma denominato "La Settimana della Juharia", che prevede diverse manifestazioni organizzate dall'Amministrazione comunale, dalla Fondazione Meta, con l'Associazione Cutlurale Tholos e la partecipazione del Dipartimento di Archeologia Medioevale dell'Università di Sassari, l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e l'Associazione Culturale Saber i Sabor. L'appuntamento è per domenica 22 Settembre alle ore 17,45 presso l'ingresso della porta a mare, poco distante dalla Torre di Sant'Elmo.

(BuongiornoAlghero.it, 19 settembre 2013)


Alba (CN) celebra la "Giornata Europea della Cultura Ebraica"

Domenica 29 settembre ore 18,00.
"L'Associazione Italia-Israele, sez. "Alba, Bra, Langhe e Roero", in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, che quest'anno avrà come tema "Ebraismo e Natura", è lieta di presentare "il Keren Kayemeth LeIsrael" ovvero il Fondo Nazionale per Israele, nato nel 1901 e considerata la prima associazione ecologista della storia. Il KKL è all'avanguardia nella ricerca ecosostenibile oltre ad essere attiva nei settori dell'agricoltura, parchi e foreste, e nelle creazione di strutture per ipovedenti e disabili.
All'incontro, interverrà il Dott. Riccardo Levi del KKL Italia Onlus che ripercorrerà la storia di questa associazione dalle bonifiche delle prime terre alle innovazione tecnologiche applicate all'agricoltura sino alla forestazione di intere aree desertiche.
L'incontro, ad ingresso gratuito, si terrà domenica 29 settembre ore 18,00 ad Alba, presso la Chiesa di San Giuseppe.

(targatocn, 19 settembre 2013)


Verso una produzione di massa di staminali pluripotenti indotte

E' una singola proteina a frenare la riprogrammazione delle cellule somatiche adulte in cellule staminali pluripotenti indotte, rendendo il processo estremamente inefficiente. Eliminando questa proteina dalle cellule è possibile aumentare l'efficienza della riprogrammazione dall'uno per cento a quasi il 100 per cento, riducendo notevolmente anche il tempo necessario per completare la trasformazione delle cellule adulte in staminali pluripotenti.

Sopprimendo l'espressione di una singola proteina, è possibile aumentare enormemente l'efficienza del processo di riprogrammazione delle cellule adulte in cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), portandola dall'attuale uno per cento circa al 90-100 per cento e abbattendo anche i tempi necessari al completamento del processo da quattro settimane ad appena otto giorni. Il risultato è stato ottenuto da un gruppo di ricerca del Weizmann Institute a Rehovot, in Israele, e illustrato in articolo pubblicato su "Nature" a prima firma Yoach Rais. La scoperta dei ricercatori israeliani promette di accelerare enormemente l'uso clinico delle cellule iPS, per la cui scoperta lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka nel 2012 ha ottenuto il premio Nobel per la medicina....

(Le Scienze, 19 settembre 2013)


Il sodalizio tra il Museo Ebraico e il Museo di Roma

La conferenza di Roy Doliner
La storia degli ebrei della comunità di Roma è un percorso trasversale che attraversa secoli ed epoche della città di Roma. La presenza ebraica ha lasciato evidenti tracce durante il suo passaggio e le sue storie sono celate dietro opere artistiche della città. Ogni luogo di Roma è testimone della storia millenaria degli ebrei romani: da trastevere al Campidoglio, dal Colosseo all'isola tiberina.
Martedì 17 settembre il palazzo Braschi del museo di Roma ha ospitato una brillante conferenza di Roy Doliner, scrittore ebreo americano, autore de "Il disegno segreto", "Il mistero velato", e "I segreti della Sistina".
Ad introdurre Doliner il presidente della comunità Riccardo Pacifici che ricorda il momento della decisione riguardo il direttore del museo ebraico di Roma, durante il quale Alessandra Di Castro, attuale direttrice, destò l'attenzione per il suo particolare interesse nel creare un "network" tra i vari musei di Roma con quello ebraico.
La collaborazione tra il museo di Roma, il "non plus ultra" tra i musei di Roma, come sottolineato dalla presidente dell'associazione Mirabilia Paola Sonnino, ed il museo ebraico di Roma è una tappa fondamentale nel percorso di multicultura progettato dalla direttrice Alessandra Di Castro.
La storia artistica della città di Roma diventa quindi la base di una cooperazione serrata alla ricerca dei segreti celati da ogni angolo romano.
Il cicerone americano che appunto "conosce una storia per ogni sampietrino di Roma" arricchisce ogni opera artistica di significati nascosti e legge i simboli più improbabili alla luce di interpretazioni kabbalistiche. È infatti interessante notare l'influenza del pensiero talmudico sulle opere artistiche italiane.
La costante tra i discorsi dello scrittore Doliner, il presidente Pacifici e la direttrice Di Castro è quella di ribadire l'importanza di esaltare la vitalità delle comunità ebraiche nel mondo, piuttosto che continuare a soffermarsi esclusivamente sul tragico evento del passato, che per quanto tappa fondamentale nella storia del popolo ebraico, non può e non deve costituirne l'essenza di esso nella sua totalità.

(Comunità Ebraica di Roma, 18 settembre 2013)


La storia del dialetto ebraico-mantovano

Il presidente della comunità ebraica mantovana, Emanuele Colorini, ripercorre la storia del dialetto ebraico-mantovano, una specifica individualità della parlata degli ebrei rispetto a quella dei concittadini cristiani

di Emanuele Colorni

Gli ebrei mantovani, costituenti per secoli un nucleo rilevante rispetto alla popolazione globale della città (dalla metà del 1600 fino alla metà del 1800, circa 1800-2000 anime sul totale di circa 25.000, ossia il 7-8%), hanno mantenuto nei rapporti interni, sino a metà del secolo scorso, l'uso di un dialetto molto simile a quello locale ma non coincidente completamente con esso: un dialetto non soltanto inframmezzato da un certo numero di parole ed espressioni ebraiche, ma anche differenziato da peculiarità grammaticali, fonetiche e morfologiche di ben chiaro rilievo.
Esistono ampi e approfonditi studi su quasi tutti i casi di accertata esistenza di una specifica individualità della parlata degli ebrei rispetto a quella dei concittadini cristiani. In particolare sui dialetti della comunità ebraica di Roma, e di talune comunità toscane (Livorno e Pitigliano), emiliane (Ferrara e Modena) e piemontesi (Torino ed altre minori). Per quanto riguarda Mantova, basilare risulta l'esauriente saggio "La parlata ebraico-mantovana" di Vittore Colorni in Judaica Minora, ed. Giuffrè, Milano 1983, pp. 579-636.
I dialetti italiani si suddividono, per comune consenso dei linguisti, in tre grandi raggruppamenti: 1) dialetti alto-italiani, 2) dialetti centro-meridionali, 3) dialetti toscani e della Corsica. I dialetti alto-italiani si suddividono a loro volta in cinque sezioni: a) dialetti piemontesi, b) dialetti lombardi, c) dialetti liguri, d) dialetti emiliano-romagnoli, e) dialetti veneti.
Il dialetto mantovano, ad onta della collocazione topografica del territorio di Mantova che ha sempre fatto parte della regione lombarda, non appartiene alla sezione dei dialetti lombardi, ma a quella dei dialetti emiliani, e la sua "lombardizzazione" risale ad epoca relativamente recente.
Le province di Mantova e Ferrara sono contigue e nessun corso d'acqua di forte portata segna il confine fra esse. La comunità di linguaggio, in passato, fu certamente favorita da questa situazione topografica, oltrechè da altri fattori sociologici (identità dei tipi di coltura agricola, scambi commerciali intensi, ecc.) e forse politici.
Premesse queste elementari nozioni sul dialetto mantovano in genere, si può affermare che, mentre esso, fuori dal ghetto, subisce con il tempo sensibili variazioni, all'interno del ghetto invece esso si "cristallizza" in sonorità antiche e subisce assai poche modifiche arricchendosi nel contempo di parole ebraiche e di modi di dire comuni a diversi gruppi ebraici. Si creano così curiosi ibridismi ebraico-italiani con l'uso non sempre linguisticamente corretto di termini ebraici.
Infatti alla radice ebraica di alcune parole vengono applicate desinenze italiane con il risultato di una parlata ebraico-mantovana che purtroppo nessuno più usa nella pratica d'ogni giorno.
Si tratta oggi di un'interessante particolarità linguistica di cui rimane memoria in rari scritti degni di attenzione e di studio. Tra le composizioni realizzate in dialetto ebraico-mantovano sono certamente da annoverare le poesie del medico ebreo mantovano Annibale Gallico (1876-1935) che, con brio ed arguzia, descrive in rima momenti di "vita di ghetto" ridando vita a persone e cose di quel particolare ambiente.
Il ghetto di Mantova tra musica yiddish e parole

(Gazzetta di Mantova, 19 settembre 2013)


Sukkòth e la ricerca del cedro perfetto

L'accuratissima scelta del profumato e saporito agrume da utilizzare nel rito dell'importante festa ebraica di Sukkòth, che comincia stasera.

  
La ricerca del cedro perfetto
Inizia questa sera, nel quindicesimo giorno del mese ebraico di Tishrì, la festa di Sukkòth, una delle più importanti del calendario ebraico, che ricorda i quarant'anni durante i quali gli ebrei abitarono nel deserto, riparati da capanne, dopo la fuga dall'Egitto e prima di giungere alla "Terra promessa". Durante i 7 giorni (8 fuori da Israele) di Sukkòth, nota anche come "Festa delle capanne", gli ebrei ortodossi trascorrono buona parte della giornata in una capanna (sukkà) di rami, abbellita da fiori, frutti e disegni, e con un tetto fatto di frasche rade, che consentano di osservare le stelle durante la notte.
"Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni": da questi versetti del libro del Levitico viene fatto derivare un altro comandamento da onorare, prima dell'inizio della festa: la preparazione del lulàv - un mazzo costituito da un ramo di palma, due rami di salice e tre di mirto, a cui si aggiunge un cedro (in ebraico etrog; plurale etrogim) - che, in particolari momenti della preghiera, verrà impugnato e agitato in sei direzioni.
Le quattro diverse specie vegetali che compongono il lulàv, secondo l'interpretazione più accreditata, simboleggiano la varietà del creato e i diversi tipi di esseri umani. Così come la palma non ha profumo ma dà frutti dolci, il salice non profuma né ha sapore, il mirto profuma ma non è saporito, mentre il cedro possiede entrambe le qualità, allo stesso modo esistono persone sapienti e generose, mentre altre hanno solo una o nessuna di queste caratteristiche. La festa di Sukkòth vuole riunirle tutte, come un invito all'aiuto e al sostegno reciproco.
Come vediamo in questa fotogallery, particolare attenzione viene dedicata alla scelta del cedro destinato al rito, che non può essere un frutto qualunque. Per essere adatto alla cerimonia del Sukkòth, il cedro deve infatti essere privo di imperfezioni: senza rugosità o macchie sulla buccia e con una forma conica perfetta. Non possono essere usati i cedri secchi o rubati, né quelli - per divieto generale della Kosherut, l'insieme delle regole alimentari ebraiche - colti da piante cresciute da una talea innestata, più giovani di quattro anni o coltivate in una città scomunicata.

(Panorama, settembre 2013)


L'esecito egiziano distrugge sei tunnel al confine con Gaza

ROMA - Le forze speciali dell'esercito egiziano hanno distrutto sei tunnel sotto il confine tra Gaza e l'Egitto. Lo hanno reso noto funzionari della sicurezza del Cairo ai media locali. I tunnel erano situati a nord di Rafah, nel quartiere di Al-Sarsoriya. Le forze egiziane hanno utilizzato esplosivi per distruggere i tunnel e tutte le merci che venivano trasportate a Gaza sono state sequestrate dai militari. Un funzionario egiziano ha riferito che oltre il 90 per cento dei tunnel tra l'Egitto e Gaza ''sono stati ora distrutti''. I tunnel sono stati un importante canale di comunicazione per il trasporto di cibo, abbigliamento e materiali da costruzione nella Striscia di Gaza, che Israele tiene sotto assedio dal 2006.

(ASCA, 18 settembre 2013)


L'epurazione ebraica annunciata a Trieste

75 anni fa Mussolini proclamava la via italiana al razzismo in piazza Unità a Trieste

di Roberto Spazzali

Mussolini a Trieste annuncia le leggi razziali
«Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito a imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono poveri deficienti ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà. Il problema razziale non è scoppiato all'improvviso come pensano coloro i quali sono abituati ai bruschi risvegli, perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È in relazione con la conquista dell'Impero; poiché la storia c'insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità. Il problema ebraico non è dunque che un aspetto di questo fenomeno».
Era il 18 settembre di settantacinque anni fa, quando Trieste, illuminata da una splendida giornata di sole, accolse Benito Mussolini che dal palco, emblematicamente realizzato a forma di timone, annunciò l'irrevocabile decisione di adottare di una legislazione razziale tale da espellere dalla società gli ebrei, ridurre il loro ruolo politico ed economico, cancellarli dalla storia della nazione. Nessuna sorpresa, casomai la conferma di una scelta già decisa.
Mussolini, salutato pure in ambienti non sospetti e dalla stessa comunità ebraica triestina come lo statista che si apprestata a salvare la pace in Europa, andava diritto al cuore di quello che riteneva il vero problema: la politica razziale e la discriminazione degli ebrei non erano l'imitazione della Germania nazista, ma la sintesi ultima di una subcultura tutt'altro che marginale, riaffiorata l'indomani della conquista dell'Impero sull'onda entusiastica di una vittoria militare che aveva stabilito - questo il convincimento - una superiorità razziale degli italiani. Un argomento che a Trieste trovava orecchi assai attenti, più che altrove.
Il discorso di Mussolini è un "capolavoro" dichiarativo in quanto, nel pieno del consenso popolare che circondava il duce, nulla infatti taceva delle reali intenzioni del regime e delle convinzioni personali di dover perseguire una via italiana al razzismo, creando pure le categorie giustificative: le sanzioni economiche, conseguenti all'aggressione all'Etiopia, erano frutto di un complotto giudaico-massonico e tale era pure dietro l'antifascismo: «l'ebraismo mondiale è stato durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico inconciliabile del fascismo. In Italia la nostra politica ha determinato negli elementi semiti quella che oggi si può chiamare, si poteva chiamare, una corsa vera e propria all'arrembaggio». Quindi non solo la minaccia internazionale, ma gli ebrei erano un Male già insinuato nella società e nell'economia italiane, verso il quale il regime, anzi lo Stato, doveva porre rimedio discriminando tra coloro che, per propri meriti, potranno trovare «comprensione e giustizia» e tutti gli altri verso i quali sarebbe stata praticata «una politica di separazione».
E a quel punto da piazza dell'Unità salì pure un'approvazione, ripetuta poco dopo quando Mussolini promise una generosità tale da stupire il mondo, ammonendo che l'atteggiamento d'ora in poi sarebbe dipeso soltanto dal comportamento degli ebrei, dentro e fuori l'Italia e dai loro sodali «che da troppe cattedre li difendono». Un chiaro accenno alla posizione della Chiesa. Con quelle parole Mussolini confermava la posizione antistorica ed antirisorgimentale del fascismo, in quanto negava il valore inclusivo del processo unitario, mentre il regime aveva sostenuto l'opposto, ovvero l'esclusione, la discriminazione e al massimo la cooptazione politica. Eppure a Trieste, qualcuno avrebbe dovuto capire, ma la città sembrava totalmente magnetizzata da quell'evento, al punto di dimenticare almeno quei fatti recentissimi che avrebbero dovuto avvertire il cambiamento di clima. Il 19 agosto il podestà Enrico Paolo Salem, colpito dalle prime epurazioni ed offeso da diverse lettere anonime, era stato costretto a rassegnare le dimissioni: infatti sarà il commissario prefettizio Francesco Marcucci ad organizzare l'accoglienza al duce. Qualche giorno prima erano comparse scritte antisemite sulla facciata della Ras, presieduta da Edgardo Morpurgo, e con il regio decreto del 5 settembre 1938, venivano allontananti dall'insegnamento un'ottantina di professori e maestri, tra i quali Baccio Ziliotto e Giani Stuparich. Seguirono a breve le epurazioni nei campi assicurativo, bancario, economico, industriale, universitario, sanitario e delle libere professioni.
Ma l'avvenimento più clamoroso, perché ampiamente ripreso e commentato dalla stampa italiana, è l'arresto del professore milanese Eugenio Colorni, da tre anni insegnante di filosofia all'Istituto magistrale "Carducci". L'8 settembre viene fermato mentre era in procinto di partire per un viaggio di studio in Francia. Aderente a "Giustizia e Libertà" era in corrispondenza con diversi fuoriusciti italiani, dai fratelli Treves a Borgese, e qui a Trieste vengono trovate le prove dei suoi contatti. Colorni viene presentato non solo come un antifascista, ma un "ebreo-antifascista", anche se le posizioni dell'intellettuale erano laiche ad agnostiche come aveva potuto testimoniare il suo preside, Giovanni Quarantotto, nel tentativo di scagionarlo, ma l'arresto doveva dimostrare la correlazione tra antifascismo e giudaismo. Un pretesto straordinario per appuntire ulteriormente la campagna antisemita di elementi di razzismo biologico. Per inciso, Colorni finirà a Ventotene dove parteciperà alla stesura del Manifesto federalista con Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli, e morirà cinque giorni prima della liberazione di Roma, ucciso in un agguato.
Quindi, il discorso di Mussolini del 18 settembre 1938, nel perturbato quadro internazionale di allora, con l'Austria annessa al Terzo reich e la Cecoslovacchia prossima vittima della Conferenza di Monaco, assumeva un'importanza decisiva nella politica di riposizionamento dell'Italia nello scacchiere danubiano-balcanico. Con un'assicurazione alla vicina Jugoslavia che, per ora, poteva ritenersi sicura. Ma era già l'Italia dell'Asse Roma-Berlino, delle ricercate affinità tra fascismo e nazionalsocialismo, e pochi davvero capirono che in quella direzione nulla sarebbe stato come prima.

(Il PIccolo, 18 settembre 2013)


Intel, Panasonic, Toshiba esporranno all'inaugurale CES Unveiled TEL AVIV

In anticipazione del 2014 International CES sarà in mostra tecnologia all'avanguardia sia di aziende globali sia di startup innovative.

La Consumer Electronics Association (CEA)® oggi ha annunciato un elenco preliminare di espositori che include Intel, Panasonic e Toshiba per il suo inaugurale CES Unveiled TEL AVIV, un evento esclusivo per i principali media, responsabili acquisti, investitori e influenzatori essenziali del settore dell'alta tecnologia israeliana. L'evento è programmato per lunedì 7 ottobre 2013 a Tel Aviv, Israele.


Esporranno a CES Unveiled TEL AVIV sia aziende internazionali di prestigio sia startup in anticipazione del 2014 International CES®, il punto d'incontro internazionale per tutti i protagonisti nel business delle tecnologie per i consumatori.

(ANSA, 18 settembre 2013)


Israele corre in soccorso della Striscia di Gaza

Stretta sempre più d'assedio dall'esercito egiziano, che chiude ripetutamente il valico meridionale di Rafah, malmena i pescatori locali, distrugge e allaga i tunnel clandestini, e occupa porzioni sempre più ampie del territorio palestinese per prestunte "ragioni di sicurezza"; e oppressa dal regime oscurantista di Hamas, che ha fatto ormai terra bruciata attorno a se', ignorata dai Fratelli Musulmani prima della loro defenetrazione, e abbandonata da tutti gli stati arabi vicini (con la significativa ma sterile eccezione del Qatar); la Striscia di Gaza conta sempre più sull'aiuto umanitario insperato di Israele.
Il piccolo stato ebraico ha disposto un blocco navale al largo delle coste di Gaza nel 2007, con l'avvento al potere dopo sanguinoso colpo di stato da parte dei fondamentalisti islamici. Questo provvedimento, legittimo sul piano del diritto internazionale (lo certifica il rapporto ONU della Commissione Palmer), ha prevenuto l'arrivo a Gaza di armi e munizioni via mare, senza per ciò pregiudicare le attività marittime e di pesca della popolazione gazana. Non ha evitato ovviamente il contrabbando di armi tramite la penisola del Sinai e i tunnel clandestini scavati dai terroristi fra l'Egitto e la Striscia; ma ciò non ha mai impedito la collaborazione sanitaria, umanitaria e di supporto alla vita di tutti i giorni da parte di Gerusalemme....

(Il Borghesino, 18 settembre 2013)


Da Israele, paese delle start-up, una mano a 'debuttanti' Italia

Concorso e premio al migliore progetto web di giovani italiani

di Elisa Pinna

 
L'ambasciatore di Israele, Naor Gilon (al centro), alla premiazione del migliore progetto web di giovani italiani
ROMA - Da Israele, paese per eccellenza delle start-up e della corsa tecnologica, si allarga il canale di collaborazione con le imprese delle nuove generazioni italiane. Il governo israeliano ha organizzato - per il secondo anno consecutivo e in collaborazione con la Luiss-Enlabs - il concorso 'Start@TelAviv' per selezionare e premiare il migliore progetto innovativo italiano per il web. A vincere il riconoscimento - nella cerimonia che si è svolta a Roma presieduta dall'ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon - è stata la società "Atooma" che, con un team di giovanissimi guidato dalla fondatrice Gioia Pistola, ha elaborato la 'Horizontal intelligence platform': si tratta di un applicazione di collegamento tra diversi sistemi, che permette di centralizzare e personalizzare informazioni (dal traffico alle previsioni meteo) utili per l'organizzazione e la semplificazione della propria vita. I vincitori parteciperanno in ottobre allo 'Startup Tel Aviv Camp', una delle più importanti rassegne internazionali delle nuove imprese e una vetrina strategica per farsi conoscere e raccogliere investitori. "Il nostro obiettivo - spiega ad ANSAmed l'ambasciatore Gilon - e' quello di dare una mano al settore delle start-up in Italia. Tuttavia si tratta di un'iniziativa proficua per entrambi i Paesi, e per sviluppare e intensificare la cooperazione economica bilaterale. L'Italia è un paese di grande creatività e, in Israele, abbiamo invece l'esperienza e la conoscenza per trasformare quelle che agli inizi possono apparire solo come belle idee in un business reale. Abbiamo un 'ecosistema' delle start-up". Israele non si è conquistata per caso la fama di 'Nazione delle start-up': oltre il 5% del Pil è investito nel settore. Si tratta - spiega il diplomatico - della percentuale più alta nel mondo, due volte e mezzo, in termini pro-capite, di quella degli Stati Uniti. A cio' bisogna aggiungere anche altri fattori: l'alta tecnologia dell'esercito, dove i giovani israeliani prestano servizio di leva ed apprendono conoscenze; l'apporto di sapere tecnologico giunto con l'immigrazione di ebrei dall'ex Unione Sovietica negli anni Novanta; ed infine - osserva Gilon - una mentalità molto aperta verso l'approccio imprenditoriale, senza timori reverenziali per i superiori o paure di fallimento: "per noi l'importante è rialzarsi".
Anche in Italia tuttavia - osserva il diplomatico - il fenomeno delle start-up è in crescita esponenziale. Al concorso di quest'anno hanno partecipato numerosissime imprese e la scelta della giuria è stata "tra il molto buono e l'eccellenza".
Anche il verdetto finale è stato combattuto: oltre alla vincitrice "Atooma" erano rimaste in gara 'Icoolhunt', impresa per studiare i trend della moda, e 'Risparmiosuper', un app per individuare i punti dove la spesa è più economica. Dalla Luiss Enlabs, il dipartimento dell'Università di Confindustria che sponsorizza le nuove imprese tecnologiche giovanili, è tutto un pullulare di iniziative. "C'è un grande spazio per sinergie tra Italia e Israele", si dice convinto l'ambasciatore Gilon.

(ANSAmed, 18 settembre 2013)


Anatomia di un pregiudizio

di Diletta Carmi

MILANO - "I soliti ebrei", questo il titolo della presentazione svoltasi ieri nei locali della Fondazione Corriere della Sera di Milano incentrata sulla ricerca qualitativa della sociologa del Centro di documentazione ebraica contemporanea Betti Guetta a proposito dell'immagine percepita degli ebrei italiani. "Titolo azzeccato, che intende sottolineare come gli archetipi del pregiudizio antiebraico restino invariati nonostante il processo di globalizzazione e multiculturalismo del mondo contemporaneo" ha sottolineato Stefano Jesurum, giornalista e coordinatore dell'incontro.
"Questa - ha spiegato la sociologa, che sul nuovo numero di Pagine Ebraiche presenta il suo lavoro - è una ricerca che mi porto nel cuore da molto tempo, perché dopo anni di studi sul fenomeno di tipo quantitativo, mi sono chiesta quali facce ci fossero dietro a quei numeri, e dunque mi sono rivolta all'analisi qualitativa".
Creare degli schemi della diversità e suddividere il genere umano in gruppi minori a cui attribuire determinate caratteristiche - per lo più in difetto rispetto alla propria cultura - è una costante del genere umano, che permette di facilitare la comprensione del mondo esterno e dei suoi abitanti, come ha ricordato Milena Santerini, deputata e docente di Pedagogia all'Università Cattolica del Sacro Cuore. Così, ricorda ancora la Santerini - pur essendo divenuta la xenofobia una sorta di tabù impossibile da condividere ed esprimere a livello razionale e pubblico dal dopoguerra in avanti - la pedagogia scolastica e civile non sono state ancora in grado di trovare il giusto modo per avere un impatto significativo sul razzismo emozionale, ovvero sull'odio nei confronti dell'Altro che riaffiora puntualmente nei momenti di difficoltà di una società: "quando l'organismo-società si trova a dover far fronte ad un momento di crisi, il virus del razzismo riemerge ed investe proprio le parti più deboli del sistema, che nel nostro caso sono i giovani, i quali mostrano di avere un opinione più ostile nei confronti del gruppo ebraico italiano, e più in generale delle culture altre".
Accade inoltre che l'opinione pubblica drammatizzi di volta in volta determinati fenomeni sociali e individui alcune fasce di popolazione come pericolose per il benessere comune: "si è passati per esempio negli ultimi dieci anni dalla criminalizzazione degli albanesi a quella dei rom, e poi ancora dall'omofobia al femminicidio", ha affermato il sociologo e senatore Luigi Manconi, "mantenendo sempre una certa diffidenza nei confronti degli ebrei, visti come ricchi e potenti, e perciò in grado di gestire le economie mondiali a discapito dei più deboli".
Interessante infine il contributo di Gad Lerner, che ha raccontato la sua esperienza di "ebreo nel web", una piattaforma in cui grazie all'anonimato alcune persone possono facilmente sbarazzarsi dei tabù e delle censure ed esprimere con molta leggerezza le loro posizioni antisemite.

(Notiziario Ucei, 18 settembre 2013)


Il cedro, ambasciatore della Calabria nel mondo grazie ai Lubavitch

Ogni anno decine di rabbini selezionano i prodotti più belli per consentire di realizzare la mitzvà del Lulav, come spiega Rav Menachem Lazar ai lettori di Shalom.

di Jonatan Della Rocca

Cedro della Riviera calabrese
Da decenni non è insolito vedere nei mesi estivi, nella costa tirrenica dell'Alto Cosentino, rabbini vestiti di nero che sin dall'alba si aggirano nei campi di coltura cedriera, attenti al raccolto del prezioso agrume effettuato dai contadini locali. Perché sono lì per controllare che i cedri rispondano a tutti i requisiti dettati dall'Halachà, in modo che siano pronti ad essere distribuiti con il Lulav completo per la festa di Succot. Si, perché in ottemperanza al dettato biblico che prescrive che le piante e il cedro usati nella festività delle Capanne devono essere molto belli, vengono presi in queste zone rinomate per gli agrumi, dove il clima è favorevole alla coltivazione, nei periodi in cui il cedro si presenta verde.
Di questa esperienza che rinnova, ancora una volta, lo stretto legame esistente tra ebrei e natura, ne abbiamo parlato con Rav Menachem Lazar, rampollo di una nota e illustre dinastia rabbinica dei Chabad Lubavitch, che fa parte dell'equipe che annualmente si reca nel Meridione per svolgere i necessari controlli di certificazione.

- Da quanti anni prendete i cedri per i Lulavim in Calabria?
  La tradizione racconta che fin dai tempi di Moshe Rabbenu i cedri venivano raccolti in Calabria, e per migliaia di anni sono stati raccolti dai contadini e spediti alle comunità ebraiche. Soltanto recentemente, nel 1955 circa, un ebreo di Milano andò in vacanza in Calabria e notò che c'erano alberi di cedro innestati: da allora, secondo le istruzioni del Rebbe di Lubavitch, il raccolto deve essere fatto sotto controllo rabbinico. Come nacque l'iniziativa?
Prima arrivava un rabbino da New York, ma dopo qualche anno chiesero a mio padre, Rav Moshe Lazar, e poi a Rav Shmuel Rodai di supervisionare il raccolto dei cedri, più tardi anch'io mi sono aggiunto per aiutare assieme ad altri.

- Quanti ne raccogliete?
  Nei primi anni raccoglievamo soltanto qualche centinaio di cedri. Oggi, grazie alle nuove tecniche nel campo dell'agricoltura, ne raccogliamo migliaia. Vengono spediti in tutto il mondo dall'Argentina alla Russia, dall'Australia al Canada.

- Come funziona l'intera fase del raccolto dei cedri?
  Ogni mattina all'alba ci incontriamo nei campi, osserviamo il raccolto, e ogni cedro viene analizzato. Scegliamo quelli adatti che poi vengono controllati di nuovo prima della spedizione.

- Quanti rabbini partecipano ai controlli?
  Il nostro gruppo è di un minimo di quattro persone, ma ci sono vari gruppi; comunque dovrebbero esserci almeno due supervisori.

- Perché proprio il cedro calabrese?
  Secondo la tradizione, il sud d'Italia, la Magna Grecia, non esisteva quando Yitzchak benedì Yaakov. E
 
Il controllo rabbinico
fu creato in seguito alla benedizione di Yitzchak a Esav. Yitzchak infatti benedi Esav con una terra ricca, e secondo il Midrash e Rashi si tratta di questo lembo di terra.

- C'è interesse degli abitanti del posto nel sostenere questa attività?
  Sono coloro che coltivano e tagliano i cedri ma, purtroppo, non sono abbastanza interessati a lavorare i campi che, così, diminuiscono di anno in anno.

- Come sono i rapporti con le autorità del luogo?
  Mio padre è in ottimo contatto con le diverse autorità che riconoscono l'apporto che la raccolta del cedro porta alla regione, infatti ha ricevuto varie cittadinanze onorarie in diversi comuni.

Quali sono i paesi calabresi che offrono i migliori cedri?
  I cedri crescono sulla Riviera dei cedri, una fascia che fino a qualche decina di anni fa raggiungeva circa 40 chilometri. Oggi è tanto diminuita. Sarà lunga circa una decina di chilometri. Le principali città interessate sono Scalea e S. Maria del Cedro.

- Anche gli altri componenti del Lulav, palma, salice e mirto, sono di provenienza calabrese?
  La palma si trova in Egitto e in Spagna, il mirto cresce anche in Calabria, ma in Israele hanno sviluppato una tecnica per farli crescere quasi perfetti, il salice si trova in tutto il mondo, vicino ad un fiume o ruscello.

- In Calabria vi fu una presenza ebraica importante per tanti secoli che poi ha conosciuto altrettanti periodi di assenza. Come vi sentite nel tornare in quelle terre e promuovere una rnitzvà cosi importante legata alla natura e al territorio?
  E' molto importante preservare la storia. Noi visitiamo diversi luoghi storici ebraici come cimiteri e i resti della più antica sinagoga in Europa, e lì sono state erette lapidi in ricordo dell'espulsione. Ma comunque il modo migliore per preservare la storia è di viverla.

(Shalom, settembre 2013)


“Jewish and the City 2013,” il festival della cultura ebraica

A Milano, dal 28 settembre al 1 ottobre, oltre quaranta eventi intorno alla Sinagoga di via Guastalla. Al centro, il tema dello shabbat.

È prevista dal 28 settembre al 1 ottobre la prima edizione di Jewish and the City, il festival internazionale di cultura ebraica.
Promosso dalla Comunità ebraica di Milano in collaborazione con il Comune, con il patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della RAI, la rassegna si svolge in occasione della quattordicesima Giornata Europea della Cultura Ebraica, che si terrà il 29 settembre in tutta Europa e che avrà al centro il tema Ebraismo e natura.
Il festival declinerà il tema della Giornata in un evento che offrirà lo spunto per parlare del riposo sabbatico della terra e dell'importanza di instaurare un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente circostante.
Il cuore di Jewish and the City sarà il quartiere Guastalla, tra la Sinagoga centrale, la Biblioteca Sormani, la Rotonda di via Besana, l'Università degli Studi, la Società Umanitaria e il Teatro Franco Parenti con momenti di confronto anche al Memoriale Binario 21 della Stazione Centrale, negli spazi di Open Care e alla Sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera.
Per quattro giorni non stop il quartiere sarà animato da oltre quaranta eventi tra incontri, spettacoli, reading, concerti, momenti conviviali, laboratori, lezioni di danze, cucina, musica e lingua, con oltre novanta voci dall'Italia e dal mondo, e il coinvolgimento attivo di numerose associazioni ed enti ebraici.
Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha salutato con entusiasmo il progetto che ha definito «un'importante occasione di incontro e di confronto. Jewish and the City si concentra sullo Shabbat come momento di riflessione personale intima, di riconquista del tempo, degli spazi anche all'interno della propria famiglia e della propria comunità».
«Per la nostra città è fondamentale - ha proseguito Pisapia - che ci sia un profondo dialogo tra diverse religioni e culture, perché la reciproca conoscenza è il percorso migliore per una convivenza basata sul rispetto dell'altro».

(mentelocale.it, 18 settembre 2013)


1938. Trieste non dimentica

Settantacinque anni fa, il 18 settembre 1938, Mussolini decideva che Trieste sarebbe stato il luogo più adatto per annunciare all'Italia, ma soprattutto al mondo, la successiva emanazione delle leggi razziste che avrebbero segnato il destino di decine di migliaia di persone. Ieri, 16 settembre 2013, i rappresentanti delle istituzioni locali hanno voluto ricordare ciò che avvenne, per dare un segno tangibile d'irreversibile rifiuto di un'ideologia indegna....

(Moked, 17 settembre 2013)


Libro dei Libri si svela a Gerusalemme

Al Museo delle Terre della Bibbia di Gerusalemme è prevista, dal 23 ottobre 2013 al 24 maggio, 2014 una mostra speciale: "Il Libro dei Libri" che esporrà i testi biblici più importanti mai visti in un'unica esposizione. La mostra presenterà - tra gli altri - frammenti dalla versione "dei Settanta", le più antiche versioni del Nuovo Testamento, codici miniati, rari frammenti provenienti dalla Geniza del Cairo e pagine originali della Bibbia di Gutenberg.
Questa mostra è dedicata alla Bibbia e alla sua gente. A partire dal periodo del Secondo Tempio, passando attraverso la scrittura dei Rotoli del Mar Morto e la nascita del cristianesimo, il Medioevo, l'invenzione della stampa fino ai tempi moderni, la mostra esplora lo sviluppo della Bibbia comparandolo con la diffusione dell'ebraismo e del cristianesimo, dalla Terra di Israele al resto del mondo. Il Museo delle Terre della Bibbia, aperto al pubblico l'11 maggio 1992, è l'unico museo al mondo dedicato alla storia del Vicino Oriente Antico da una prospettiva biblica. La mostra principale è una collezione di arte antica e archeologia volta a rintracciare le radici del monoteismo dagli albori della civiltà al primo cristianesimo.

(mondointasca.org, 17 settembre 2013)


Suor Ermella Brandi, una senese "giusta fra le nazioni"

Operò ad Assisi e nascose diverse famiglie ebree. Lo Yad Vashem cerca i discendenti per consegnare il riconoscimento.

Una senese elevata a "Giusto fra le Nazioni" dallo Stato d'Israele per la sua opera di salvezza nei confronti degli ebrei. Si tratta di suor Ermella Brandi, all'anagrafe Angela Brandi che, nella sua veste di badessa delle suore Stimmatine di Assisi nascose e salvò diverse famiglie ebree. Lo Yad Vashem, il massimo organismo israeliano che, solo a livello italiano, ha individuato oltre cinquecento persone che durante la dittatura nazi-fascista misero a repentaglio la propria vita per salvare quella degli ebrei perseguitati, celebrerà altre due benemerite. Si tratta per l'appunto di suor Ermella Brandi e suor Giuseppina Biviglia, madre badessa delle suore del monastero di San Quirito di Assisi. Le due religiose insieme alle loro consorelle, secondo diverse testimonianze raccolte dalla commissione dello Yad Vashem deputata a conferire il riconoscimento, avrebbero nascosto e salvato diverse famiglie ebre arrivate all'epoca in Assisi.

(Corriere di Siena.it, 17 settembre 2013)


Il grande miracolo quotidiano di Israele: conservare la speranza nonostante l'insicurezza

Guardare al domani con ottimismo sapendo che il futuro è incerto e nonostante angosce e paure saper costruire un Paese forte ed accogliente.

di David Meghnagi

L'avversione contro la diaspora, mi aveva ripetuto Yehoshua in una lunga intervista per un documentario su Gerusalemme realizzato con Claudia Hassan poco prima dello scoppio della seconda intifada, "è finita, per la semplice ragione che abbiamo vinto, che Israele esiste e che c'è uno Stato ed una nazione ebraica con una sua esistenza. il mio conflitto con la Diaspora degli anni Sessanta e Settanta appartiene al passato, per la semplice ragione che sono ormai sicuro dell'esistenza di Israele, almeno così spero". Nell'ascoltarlo rimasi colpito, dalle parole "almeno così spero" e gliene chiesi ragione. La reazione fu un sorriso rivelatore di sentimenti e pensieri radicati nell'inconscio, che fanno da sfondo a un non detto che appare più forte delle razionalizzazioni ideologiche e politiche.
   In contrasto col suo atteggiamento non fondato di svalutazione unilaterale della vita della diaspora, nel piccolo lapsus di Yehoshua erano racchiuse angosce che non appartengono unicamente alla diaspora. Il sorriso disarmato rivelava il timore racchiuso nell'inconscio che le realizzazioni del sionismo potessero essere un mero intervallo rispetto alla realtà dell'esilio, che la sfida non era stata definitivamente vinta e che la diaspora e Israele hanno bisogno profondamente l'uno dell'altro. Le paure degli israeliani mirabilmente descritte da Yehoshua nel racconto del palestinese che appicca il fuoco al bosco (Mul Haya'ar), sono anche le paure della diaspora.
   Tra i miti fondativi dello Stato di israele vi era l'idea di creare un ebreo "nuovo" diverso da quello diasporico. A dispetto delle apparenze, la percezione che gli israeliani hanno di sé nel profondo non è in realtà distante diversa da quella degli ebrei della diaspora. Gli incubi notturni di Hannah, il personaggio centrale del primo grande romanzo di Amos Oz (Michael Shellì/Michele Mio), sono da sempre gli incubi di un'intera nazione assediata. Ed è normale che sia così. L'ebraismo è una religione di vita e l'angoscia ne è un riflesso profondo. Non è un segno di debolezza, ma di una consapevolezza profonda del pericolo che ha come sfondo salutare la conservazione del senso del limite.
   AI di là dello sviluppo mirabile che il paese ha conosciuto ininterrottamente, dell'aumento costante della sua popolazione, della capacità unica di integrare realtà culturali diverse, della sua volontà di esistere e della indubbia capacità militare, il sentimento della fragilità alberga nel profondo. Grazie al processo di mediazione messo in atto dalle istituzioni educative e nazionali israeliane, l'angoscia può essere creativa- mente trasformata. Basta però scavare un po' perché riemerga.
   In queste condizioni c'è anzi da chiedersi come abbiano fatto gli israeliani a conservare il loro sistema parlamentare e le loro libere istituzioni. Per molto meno, le democrazie di più antica data sono state esposte al rischio di involuzioni autoritarie.
   L'esempio più commovente dell'angoscia latente e della sublimazione creativa della paura, è la capacità degli israeliani di svenarsi per i figli più piccoli, di non far mancare loro nulla in tutti i modi. I figli sono il loro futuro, ma allo stesso tempo qualcosa nell'inconscio dice ai genitori che essi potrebbero malauguratamente sopravvivere ai loro figli. Passata l'età dell'innocenza, i figli indosseranno la divisa e non è detto che dopo gli interminabili tre anni di servizio, faranno ritorno salvi a casa. il pericolo è dietro l'angolo. Se non è la guerra, ci sono poi gli attentati.
   Dopo secoli di peregrinazioni ed esili, la terra non è ancora stabile sotto i piedi. Nel profondo la massa si percepisce ancora come "nuda", arranca nel deserto e non vede l'agognata normalità sull'orizzonte. L'immagine dei corpi sventrati dagli attentati contro i civili, seguita alle illusioni nate dagli accordi di pace, è qualcosa di già visto su più vasta scala. Gli israeliani non hanno un territorio profondo in cui ritrarsi, né un mare che li separi. il mare che hanno alle spalle è la loro unica via di fuga verso un mondo da cui i loro padri sono fuggiti in cerca di scampo. Sono pochi, concentrati in un piccolo territorio, per metà desertico. Sono assediati da un nemico molto più numeroso e alle spalle hanno solo il mare. La loro prima sconfitta rischia di essere l'ultima. Gli israeliani sanno che possono rispondere al colpo, colpire e distruggere le basi nemiche, come hanno fatto nella guerra del '67, ma dopo ogni guerra il nemico rischia di diventare più numeroso e aggressivo. Le soluzioni politiche sono uscite sconfitte. Quelle militari spostano solo in avanti il problema, rimandando a conflitti ancor più sanguinosi. Tel Aviv dista pochi chilometri da quello che era il fronte orientale quando la città santa era divisa dal filo spintato e gli abitanti di Mishkenot, il primo quartiere nato fuori dalle mura, erano esposti ai colpi dei cecchini. Per fare un paragone che solo in parte coglie la sostanza del problema, è come se all'epoca della guerra franco prussiana, il confine francese passasse per Parigi con in più l'aggravante di non poter contare sulla profondità di un territorio entro cui ritirarsi nel caso di un attacco militare a sorpresa da un territorio montagnoso che plana rapidamente sul mare e al di sotto di esso.
   Cionostante ed è questo il vero miracolo di Israele, la maggioranza della popolazione non ha mai abbandonato la speranza in un futuro diverso. Nelle canzoni popolari i padri non hanno smesso di promettere alla figlia più piccola che sarebbe stata l'ultima guerra. Pur sapendo che non era affatto così, la maggioranza degli israeliani non ha cessato di elevare il proprio canto, come in un'antica preghiera che si rinnova ogni anno hanno conservato viva l'immagine di un futuro diverso e migliore.
   Mantenendo viva la speranza, anche la vita diventa più vivibile. Come nel canto d'apertura della preghiera di Rosh Hashanah la depressione fa posto all'ottimismo, le "maledizioni" lasciano il posto alle "benedizioni" e la vita trionfa sulla morte. Per quanto incerto, il futuro diventa più tollerabile. Paragonate al passato più recente, la rinascita è un miracolo vivente. La nazione è il crogiuolo vivente di figli e nipoti di sopravvissuti allo sterminio nazista e alle persecuzioni sovietiche, di comunità sfuggite ai pogrom arabi che hanno trasfigurato la loro storia di fuga in un esodo miracoloso.
   il miracolo su cui poggia l'esistenza di Israele e della vita ebraica dopo la Shoah, ha qui il suo fondamento più grande. La capacità di sognare e di immaginare, nonostante tutto e contro tutto, la possibilità di un futuro diverso e migliore per sé e per l'intero genere umano.

(Shalom, settembre 2013)


"Le leggi razziali hanno impoverito Trieste e la Regione Friuli Venezia Giulia"

  
Debora Serracchiani
TRIESTE, 16 set. - ''Le leggi razziali, con la Shoah che hanno nei fatti favorito, hanno provocato un impoverimento irreversibile della ricchezza sociale di Trieste e della regione''. Cosi', puntando all'essenza di una perdita che ha riverberato i suoi effetti sulla storia e sul tessuto umano e sociale del Friuli Venezia Giulia, la presidente della Regione, Debora Serracchiani, ha evidenziato gli effetti diretti e terribili di un evento che oggi e' stato ricordato nella sala colma di pubblico del Consiglio comunale di Trieste.
Mussolini scelse Trieste, il 18 settembre e la celebrazione dei vent'anni dalla fine della Grande guerra per annunciare le leggi razziali, che qualche mese dopo sarebbero state approvate dal Consiglio dei ministri. Un vulnus che per la presidente ''ha avuto un duplice significato: l'inizio di un sentiero oscuro per tanti nostri concittadini e la ferita morale contro la coscienza civile del popolo italiano''.
Il tempo, il consolidarsi della democrazia, il lavoro di storici e testimoni hanno contribuito a rimarginare la ferita, ma il danno e' rimasto perche' ''le leggi antiebraiche hanno rappresentato prima di tutto una lacerazione del ricco tessuto connettivo della citta'''.
Da presidente della Regione, Debora Serracchiani si e' inchinata ''alle terribili sofferenze subite dagli ebrei del nostro capoluogo, e alla forza vitale con cui l'attiva presenza della comunita' continua a manifestarsi'', ricordando peraltro che non solo Trieste e' stata depredata della sua comunita' ebraica.
La presidente ha infatti ricordato i rastrellamenti della notte del novembre 1943 a Gorizia e le due cittadine di Cividale, deportate per motivi razziali nell'aprile 1944 e ricordate sulla Lapide della Sinagoga di Gorizia.
''Oggi - ha aggiunto la presidente - il Friuli Venezia Giulia e' una regione che guarda avanti, che ha saputo ritrovare la sua autentica vocazione di terra di passaggio e contaminazione e Trieste rimane la citta' piu' europea d'Italia''.
''Nella riscoperta e nel rilancio della sua vocazione - ha concluso la presidente - il Friuli Venezia Giulia fa tesoro di tutta la sua storia, la offre alle generazioni future e, con reverenza, anche ai concittadini e fratelli ebrei, con la sanzione che quanto abbiamo visto 75 anni fa non sara' mai piu'''.
Assieme alla presidente e' intervenuto il sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, che ha evidenziato, accanto alla tragedia che decimo' la comunita' ebraica, ''le persecuzioni nei confronti dei cittadini di nazionalita' slovena e croata'' e si e' appellato affinche' dalla paura del diverso ''non derivi l'intollerabile pretesto per cercare nuovi nemici e colpevoli''.

(ASCA, 16 settembre 2013)


Civili e ribelli siriani vengono curati in Israele

SAFED (Israele), 17 set. - Gli ospedali del nord di Israele continuano a ricevere feriti della guerra civile in Siria, in gran parte miliziani dei gruppi ribelli e civili che incrociano la frontiera in cerca di assistenza medica. Il principale centro ospedaliero civile e' l'ospedale di Ziv de Safed, nella Galilea Superiore, ma non solo: vicino alla frontiera, nella parte settentrionale delle Alture del Golan, l'esercito israeliano conta dall'inizio dell'anno un ospedale da campo, che svolge la sua attivita' nella piu' assoluta discrezione.

(AGI, 17 settembre 2013)


Gerusalemme ospita la 7a edizione di Open House

Dal 7 al 9 novembre in programma visite guidate gratuite di oltre 100 tra le strutture architettoniche più interessanti della Città Santa.

La storia millenaria di Gerusalemme ha lasciato forti tracce nel tessuto della città, alcune diventate monumenti riconosciuti come imprescindibili in ogni visita, altre, più intime, nascoste nelle case e nei vicoli più inattesi.
Open House, evento in programma dal 7 al 9 novembre, permetterà ai turisti in visita nella capitale israeliana di scoprire queste meraviglie nascoste.
La città, solo in occasione di questo evento, darà modo di vivere in prima persona il suo tesoro architettonico più nascosto, tramite visite guidate completamente gratuite di oltre 100 tra le sue più interessanti strutture: case private, edifici pubblici, vicoli e quartieri da percorrere a piedi, accompagnati da guide d'eccezione, professionisti e appassionati di architettura. Ogni visitatore potrà scegliere il proprio itinerario architettonico, scegliendo tra visite guidate di gruppo e visite individuali, accompagnati dai proprietari o da appassionati, che condivideranno informazioni e dettagli sulle particolarità e sulla storia dell'edificio.

(Casa&Clima.com, 16 settembre 2013)


Domenica 29 settembre: EDIPI alla Giornata della Cultura Ebraica

La Giornata Europea della Cultura Ebraica giunta alla sua 14sima edizione ha, come città capofila per l'Italia, Napoli dove vive una comunità ebraica che festeggia i 150 anni della sua fondazione.
Il tema conduttore sarà: "L'Albero della Vita".
La dr.essa Rossella Genovese, delegata EDIPI per la Campania, laureatasi qualche anno fa con un originale pubblicazione sulle Festività Ebraiche, parteciperà alle diverse iniziative in programma, con il marito avv. Giovanni Tortora, responsabile del dipartimento giuridico di EDIPI.
Per il programma completo dell'evento si può consultare il sito www.ucei.it/giornatadellacultura, mentre le iniziative programmate in Europa (ben 23 nazioni) si possono trovare su www.jewisheritage.org..
A livello nazionale Evangelici d'Italia per Israele distribuirà la pubblicazione di Derek White "L'Ebraicità di Gesù".

(EDIPI, 16 settembre 2013)


Muoveremo braccia e gambe con un'app

I ricercatori di Tel-Aviv hanno realizzato il primo chip impiantabile che risponde a comandi inviati da smartphone e tablet. L'uomo bionico è dietro l'angolo.

di Antonino Caffo

Pensate di a quelle persone che non hanno un arto per vari motivi. Mutilati di guerra, invalidi sul lavoro, o semplicemente chi è nato senza un braccio o una gamba. Oltre a permettere a uomini, donne e bambini di intraprendere una vita "normale" come quella degli altri, la tecnologia potrebbe fare di più. I moderni smartphone hanno sensori e app che sono in grado di fare tante cose. Il prossimo traguardo, in realtà già presente, è unire il web 2.0 al 3.0, ovvero l'immaterialità del digitale ad azioni concrete. Il concetto che è alla base della moderna domotica, o della weblife come i tag NFC a mo' di pubblicità sparsi per la città, è anche il passo successivo dell'interazione uomo-macchina, almeno è così che la pensano a Tel-Aviv.
I ricercatori dell'università cittadina hanno realizzato degli speciali sensori, realizzati con una stampante 3D, che sono in grado di interagire con un comando esterno, inviato anche da smartphone e tablet. L'idea è quella di permettere ai moderni dispositivi mobili di dotarsi di una versione aggiornata dei sensori di movimento, come giroscopio e bussola, in grado di diventare "telecomandi" per braccia e gambe artificiali, impiantate in qualsiasi individuo.
Il sensore realizzato a Tel-Aviv è costruito con materiale organico non tossico, grande quanto un francobollo e pronto per essere inserito in un impianto artificiale. Una volta indossato, il sensore può convertire gli impulsi inviati esternamente in movimenti da eseguire con l'arto associato, normalmente non utilizzabile. Questi dispositivi sono generalmente chiamati sensori micro elettromeccanici(MEMS ), in grado di agire anche come "attuatori". Il sensore converte i segnali di movimento in impulsi elettronici che un telefono può comprendere (ad esempio il gesto di mettere lo smartphone in orizzontale per far ruotare lo schermo), l'attuatore fa il contrario, convertendo gli impulsi in movimento.
Nonostante le evidenti implicazioni mediche, i nuovi MEMS non sono ancora stati sperimentati su esseri umani. Ci sarebbero poi certe problematiche di sicurezza da considerare. Sarebbe così semplice andare in giro con un chip impiantato in un braccio o in una gamba ed essere sicuri che nessuno possa comandarli se non il legittimo proprietario? Anche se ci fossero dei sistemi di abbinamento personalizzati (un MEMS per quel determinato sensore) cosa accadrebbe nel caso di furto del device? Vedremmo persone azionare braccia e gambe bioniche dagli impulsi dati dal ladro dello smartphone che avrebbe così tra le mani una vera e propria arma? Sembrano scenari molto lontani e fantascientifici, ma da Tel-Aviv non la pensano così.

(Panorama, 16 settembre 2013)


Oltremare - Yom Kippur su due o più ruote
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Il silenzio è la prima cosa che colpisce, camminando veloci per le strade già quasi vuote di Tel Aviv.
A pochi minuti dall'inizio di Kol Nidre, inizio solenne e corale di Yom Kippur, le automobili in moto sono ridotte a pochi ritardatari, e già iniziano a vedersi i primi ragazzini in bicicletta. Le autostrade sono deserte, e turisti e giornalisti si divertono a fotografarle (in effetti fa una certa impressione vedere le otto corsie della Ayalon, arteria principale del centro di Israele, attraversate da skateboard e biciclette); deserta è la spiaggia, chiusi tutti i negozi, bar e ristoranti.
Entro la fine della funzione serale, le strade si sono riempite di nuovo e fino all'eccesso, le macchine sostituite da una moltitudine di famiglie con bambini e ragazzi a piedi o su ogni genere di mezzo non a motore: biciclette piccole e grandi, monopattini, skateboard, tricicli, che per 25 ore sono i padroni assoluti delle strade della più grande città del paese. Tel Aviv, Città Bianca per via dei palazzi in stile Bauhaus, diventa doppiamente bianca durante Yom Kippur, quando molti vestono candidi completi di camicia e gonna o pantaloni bianchi, e scarpe di gomma e di tela, spesso bianche anch'esse.
Ma chi dice che sembra di essere in una città fantasma sbaglia: soprattutto la sera, dopo Kol Nidre, c'è piuttosto un'atmosfera da black out. Le strade sono illuminate, vero, ma tutto intorno è fermo e spento, e gli abitanti che di solito corrono in autobus o in macchina fra impegni, scuola, lavoro, divertimento, camminano tranquilli, come sospesi in un tempo altro, un tempo nel quale la quotidianità è assente. Chi digiuna e prega probabilmente coglie questa sospensione della realtà nella sua vera pienezza. Ma anche gli altri ne sono contagiati, pur in sella alle loro biciclette a riempire finalmente luoghi di solito occupati dai veicoli a motore.
Poi però, Tel Aviv è Tel Aviv, e dopo 25 ore il tempo ritorna tempo e gli spazi vuoti tornano a riempirsi di automobili, al massimo dieci minuti dopo il suono dello Shofar. Fino all'anno prossimo.

(Notiziario Ucei, 16 settembre 2013)


Il mio Kippur

di Rachel Silvera, studentessa

ROMA - "Anche questo anno è fatta", questa è la frase che sigilla da sempre il mio Kippur. Improvvisamente i volti tesi si rasserenano, le rughe si distendono con botox naturale ed i bambini diavolacci che bevono peccaminosi succhi di frutta, diventano di nuovo creaturine alle quali sorridere bonari. La verità è che a me Kippur mette ansia. E non solo a me, le mie amiche ed io siamo esperte del settore. Non è la fame e nemmeno la sete (e qui contravvengo alla famosa regola dell'ebraismo romano: "Nun è tanto la fame ma 'a sete") ma il grado di estraneità a preoccuparmi. Ho deciso per il secondo anno di errare per i templi come da tradizione e ho avvertito un malessere davvero inopportuno. Mi sono sentita fuori luogo. Un alieno. Prima dagli 'un po' radical', poi da sneakers griffate e abiti bianchi, percepivo il mio senso di non appartenenza. Ed è questo il primo errore per cui esiste Kippur. Pur digiuna, peccavo proprio in questo giorno mentre camminavo facendo la raminga. Bisognerebbe sospendere il proprio giudizio per un giorno ed avere l'umiltà di essere giudicati. Bisognerebbe smetterla di pensare: "Caio non mi ha salutata, è un maleducato ma tanto la sua ragazza ha dei brutti capelli". Eppure ero lì macchinosa che mi dimenavo tra la voglia di essere odiosa e quella ancora più forte di essere migliore. Poi sono approdata al mio tempio, che non sento poi così mio ma che in confronto sembrava un focolare accogliente e ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima: entrare ed assistere alla funzione. Fino ad ora avevo sempre avuto la scusa della folla all'entrata, ma questo Kippur niente da fare. Mi sono seduta e mia madre mi ha passato il discorso di Rav Di Segni, del quale sono una fan della prima ora. E mentre un coro di affamati pregava con veemenza, ho letto il suo elogio di una comunità difficile come quella romana, di una religione complessa come quella ebraica. Forse l'inizio di una riconciliazione con questo mondo che alle volte mi fa impazzire? Nel quale i sentimenti vanno controllati e gli alimenti pure? Allora, dopo più di venti anni, posso dire di aver fatto il mio primo Kippur.

(Notiziario Ucei, 16 settembre 2013)


La pittura ebraica al femminile

Al Centro Culturale Altinate-San Gaetano di Padova otto artiste del '900 italiano

di Elena Pontiggia

 
Antonietta Raphaèl - Autoritratto con violino - 1928
PADOVA - Non l'ha detto una femminista nel Sessantotto, ma Rimbaud: «Verrà un giorno in cui i tesori dell'intelligenza femminile non saranno più sprecati come accade oggi». Vengono in mente queste parole vedendo la mostra «Ebraicità al femminile. Otto artiste del Novecento», aperta fino al 13 ottobre al Centro Culturale Altinate-San Gaetano di Padova.
    Di tesori, nel luminoso palazzo dello Scamozzi dove ha sede il Centro, ce ne sono parecchi, a cominciare dalle opere di Antonietta Raphaèl che è la vera protagonista della rassegna. E pensare che l'artista lituana (Kaunas 1895-Roma 1975), moglie di Mafai ed esponente del gruppetto espressionista che Longhi chiamò «la Scuola di via Cavour», dal nome della strada di Roma dove abitavano, fino a pochi anni fa era citata solo in fondo al breve elenco di quella «Scuola». Prima veniva Scipione, com'è giusto; poi Mafai, e già qui si potrebbe discutere perché per molti Raphaèl è più brava del marito; quindi Mazzacurati, figura interessante ma certamente più marginale. Infine, per ultima, lei. Nelle sale padovane, invece, la sua presenza risplende, dalle vedute di Roma degli Anni 30 agli ultimi quadri stravolti, e per nulla senili, degli Anni 60. Senza dimenticare l'Autoritratto col violino, un dipinto doloroso che sembra esprimere la fulminante battuta yiddish: «Perché gli Ebrei preferiscono suonare il violino piuttosto che il piano? Perché è difficile fuggire con un pianoforte…». Raphaèl dipinge la madre che benedice le candele come una profetessa biblica, la festa di Yom Kippur nella sinagoga, la visione allucinata delle lamentazioni di Giobbe: un mondo realistico e visionario che racconta la propria vitalità malinconica come nelle pagine di Singer e in certe opere di Chagall.
    Ma nella mostra padovana, curata con competenza da Marina Bakos e Virginia Baradel, non c'è solo Antonietta. Nel gruppo, insieme a presenze più defilate (la simbolista e poi naturalista Alis Levi; Gabriella Oreffice, divisa tra fauves e «Novecento»; la praghese e un po' onirica Lotte Frumi; Eva Fischer, con una figurazione dalle cadenze cubiste; l'astratto-informale Silvana Weiller), spiccano altre due personalità. La prima è Adriana Pincherle, sorella di Moravia, espressionista istintiva ma sapiente che cattura nei quadri una luce radiosa. Il suo Ritratto di Elena Cimino non è il ritratto di una donna, ma il ritratto del giallo. La seconda è Paola Consolo, delicata figura di pittrice che coglie le suggestioni contrastanti del «Novecento» (moglie di Gigiotti Zanini, era anche parente di Margherita Sarfatti) e del primitivismo. Fu stimata da Medardo Rosso e da Funi, del quale fu allieva ma che confesserà anni dopo: «Quando Paola veniva a dipingere nel mio studio, molte cose le imparavo da lei». Certi rosa segreti, certi azzurri trasparenti infondono nella sua pittura un'acerba liricità. Paola Consolo muore di parto nel 1933, a ventiquattro anni. Ma non era una giovane promessa, era già un'artista.

(La Stampa, 16 settembre 2013)


Siria: la grande bugia di Obama

Ieri il Segretario di Stati USA, John Kerry, era a Gerusalemme per "tranquillizzare" l'alleato israeliano piuttosto scettico sull'accordo raggiunto tra Stati Uniti e Russia sulla Siria. Ma le capriole di Kerry non hanno convinto Israele e i dubbi restano tutti. Kerry ha detto che questo accordo sulla Siria deve essere un monito all'Iran perché capisca che gli Stati Uniti non permetteranno ai regimi totalitari di dotarsi di armi di distruzione di massa, ma francamente più che un monito sembra un incentivo. Infatti l'unica cosa che hanno dimostrato gli Stati Uniti è che con Obama come Presidente le minacce non si tramutano mai in fatti reali e che quindi i regimi totalitari come quello iraniano o siriano possono stare tranquilli e procedere per la loro strada....

(Right Reporters, 16 settembre 2013)


Putin stravince sulla Siria e torna re del Medio Oriente

Il presidente russo approfitta delle debolezze di Obama per incassare un successo storico e allargare la sua influenza nell'area. Un terremoto geopolitico che non si vedeva dal 1973.

di Fiamma Nirenstein

Possiamo persino cercare di prendere sul serio Obama che si vanta di avere evitato la guerra e aver costretto Assad ad ammettere di avere le armi chimiche mentre si avvia a distruggerle, di credergli quando promette che sarà indefettibile altrimenti si torna alle armi, e anche che comunque l'Iran resta nel mirino, come ha detto ieri.
   Possiamo immaginare che non abbia trattato con Putin quando si è voltato e non ha visto nessuno che lo seguiva. Ma questo non aiuterà il presidente americano ad apparire il vincitore della battaglia sul Medio Oriente, anche se fa piacere l'immediato vantaggio della pace, che comunque durerà solo giorni perché i ribelli sono molto arrabbiati e forse cercheranno di rinfocolare il bracere.
   Putin è il vincitore in questo momento, e la sua vittoria è storica. Questo terremoto cambia le carte che erano state distribuite addirittura nel 1973, al tempo della guerra del Kippur, quando la Siria e l'Egitto attaccarono Israele di sorpresa per raderlo al suolo: fu allora che gli Stati Uniti, per decisione di Nixon e Kissinger spedirono a Israele 20mila tonnellate di carri armati, artiglieria e rifornimenti vari. Così il mondo arabo dopo la vittoria di Israele che, tuttavia, col disperato valore dei suoi soldati rimase aggrappata sul precipizio del Mare Mediterraneo, imparò che era meglio tener conto della presenza americana in zona, tanto che l'Egitto lasciò l'area sovietica per entrare nella sfera degli Usa.
   Putin, dopo che Obama ha abbandonato Mubarak e ha perduto l'Egitto con imperdonabile leggerezza, si dà molto da fare in un giuoco di sostituzione. L'ultima indecisione del presidente americano apre nuovi spazi. Putin era già in caccia: si era sentito tradito dalla mossa della Nato contro Gheddafi, una contraddizione per lui in un periodo di rafforzamento economico e strategico. Non che la sua economia fosse diventata più affidabile, col suo lato masnadiero e mafioso. Ma Putin ha deciso nel momento della defenestrazione di Gheddafi di non lasciare più spazio a imprese unilaterali che lo svantaggino sul terreno internazionale, ha rafforzato la sua propaganda antiamericana e le sue personali esibizioni di forza (con ammiccamenti machisti autoritari, anti femministi, anti omosessuali, anti giornalisti) fino alle alzate di spalle di fronte alle stragi di Assad, il suo gauleiter in Medio Oriente. Ha lasciato che se ne avvantaggiassero l'Iran degli ayatollah, viscidamente ammesso ad acquietare il rapporto con la Siria che pure arma e sobilla contro l'Occidente, e gli Hezbollah, un'organizzazione terrorista che ha ormai sulla coscienza, oltre a tutti gli innocenti uccisi nel mondo, anche i bambini siriani.
   Spingi e spingi, proprio nel momento giusto, quello in cui Obama capiva di non avere il supporto del Congresso, di essere abbandonato dall'Inghilterra e criticato dall'Europa e dal Papa, Putin, davvero come un imperatore romano che protegga il suo protettorato, ha ammesso tutto ciò che aveva sempre negato ovvero che le armi le ha Assad e vanno consegnate. Se poi ora le sta caricando sui camion e spedendo in Irak e in Libano, Putin se ne lava le mani. Sembra di leggere Flavio Giuseppe quando racconta di Adriano e Tito. I dominati fanno e dicono ciò che gli si ordina, pena la morte. Così ha fatto Assad, proclamando ieri la «vittoria»: fino a ieri Putin incitava a resistere, e ora a cedere. Lo spazio di Putin per allargare la sua influenza ora è vasto: al contrario di Obama, Putin sostiene i suoi, qualsiasi cosa facciano. Obama se n'è andato dall'Irak lasciando grande spazio all'Iran e se ne va dall'Afghanistan. Gli israeliani, i sauditi, la gente degli Emirati, i giordani, i turchi sono preoccupati per l'assenza americana, e nessuno ha buone ragioni per tenersi alla larga da Putin.
   La maggiore conquista di Putin fin'ora è stata di certo quella delle pagine del New York Times, la casa di Obama, su cui Putin ha fatto un'irruzione violenta, impicciandosi con astio della politica americana fino dentro la sua anima eccezionalista. Obama gli ha insegnato la strada, il Nyt gli ha aperto la porta con deferenza. Impensabile prima dell'era siriana di Putin rex.

(il Giornale, 16 settembre 2013)


Accordo Italia-Israele sullo studio dei terremoti

di Peppe Caridi

Lo studio dei livelli di sismicita' di alcune zone del mondo puo' avvalersi talvolta anche dell'archeologia e della documentazione storica. Questo il punto di partenza di una conferenza bilaterale sullo studio dei terremoti in terre antiche ('Dagli Appennini al Levante') apertasi oggi nel Kibbutz Maagan (Tiberiade): proprio in una zona altamente sismica, il 'great rift valley'. Organizzato col sostegno dell'Ambasciata di Italia in Israele, il simposio vedra' nei prossimi giorni 10 esperti italiani confrontarsi con i loro colleghi israeliani. Questo convegno rappresenta una occasione per studiosi da diverse Universita' e Centri di ricerca dei due Paesi per confrontare le conoscenze e in particolare la straordinaria quantita' di dati raccolti sui terremoti che hanno caratterizzato i rispettivi Paesi. I loro risultati potrebbero rivelarsi utili anche per altre aree nel mondo che non dispongono di una quantita' di dati altrettanto ricca. La paleosismologia, ovvero la comprensione dei terremoti tramite l'approccio geologico, per essere efficace deve pertanto essere strettamente legata alla comprensione della storia e dell' archelogia di luoghi antichi sovrapponendola a casi di terremoti piu' recenti. La sfida e' dunque quella di poter arrivare in futuro ad una mappatura piu' precisa delle zone a rischio sismico e ad una mitigazione del rischio. Corganizzato dal Prof. Michetti dell'Universita' dell'Insubria e dal Prof. Agnon dell'Universita' Ebraica di Gerusalemme il convegno prevede anche un giorno di studio in siti archeologici israeliani presso il Lago di Tiberiade. Il Simposio scientifico e' il nono organizzato dall'Ambasciata d'Italia in Israele grazie all'Accordo bilaterale industriale, scientifico e tecnologico esistente tra Italia e Israele.

(MeteoWeb, 16 settembre 2013)


Memoria per gli ebrei di Libia

di Rachel Silvera

 
ROMA - Partecipazione numerosa stamattina al Cimitero monumentale del Verano per celebrare la memoria di Raffaello Fellah. Nel 1977 Fellah fece costruire un monumento per le vittime ebree dei pogrom in Libia, ora accanto all'opera d'arte brilla la targa commemorativa svelata dai famigliari alla presenza del rabbino capo Riccardo Di Segni e del presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. Rav Di Segni ha ricordato la ferita ancora aperta nella storia degli ebrei in Libia, Pacifici ha poi tratteggiato nitidamente la figura di Fellah: "Betty Luzon è stata fondamentale in questa iniziativa. La storia ebraica libica non è ancora abbastanza diffusa e le nuove generazioni sono quasi tutte all'oscuro della presenza del monumento eretto al Verano. La scuola ebraica dedicherà presto delle date apposite per la memoria degli ebrei di Libia". Il ricordo di Raffaello Fellah è arrivato anche da parte di Luca Zevi, compagno di molte avventure professionali e di Raffaele Luzon che ha citato un passo del Pirqe Avot ("Dove non ci sono uomini, sii uomo").

(Notiziario Ucei, 15 settembre 2013)


Botticelli sbarca in Israele

Ad attendere l'Annunciazione del Botticelli è una "splendida parete" in una delle sale più importanti del Museo di Israele a Gerusalemme: è lì che martedì 17- come previsto, nonostante il momentaneo stop dei giorni scorsi - l'opera (quasi sei metri per tre) sarà esposta per la prima volta in terra ebraica. Al museo - dice Simonetta Delle Seta, direttore generale della 'Fondazione Italia-Israele per la cultura e le artì che con l'arrivo del dipinto lancia le sue attività in Israele - l'aria che si respira è quella "delle grandi occasioni. Sono tutti elettrizzati. Una sorta di annunciazione dell'Annunciazione".

(L'Unione Sarda, 15 settembre 2013)


Tradurre il Talmud per lanciare Ferrara

Ecco il nuovo progetto legato al Meis sul testo sapienziale ebraico che ha raccolto l'entusiasmo del ministro Bray.

di Stefano Scansani

Il ministro Massimo Bray
«Tutti fuori. La riunione è riservata. Devono parlare del Talmud». Va bene che era la vigilia dello shabbat, il sabato ebraico, e l'incontro è stato convocato dentro il Meis, ma il Talmud ci è subito sembrato un pretesto per mimetizzare temi altri, più forti, segreti. E invece no. I riuniti come in un sinedrio ferrarese nel chiuso della direzione del Museo dell'Ebraismo Italiano e della Shoah hanno davvero discusso del testo sacro della fede giudaica.
   Il nuovo progetto ferrarese è immenso: tradurre lo scritto sapienziale che sostiene quella fede e quella cultura, in italiano. Operazione mai avvenuta, se si considera che il Talmud per la sua possanza conosce soltanto trasposizioni in ebraico moderno e in inglese. L'impresa piace al ministro Massimo Bray che venerdì a Ferrara ha detto di credere nel progetto incompiuto del Meis nell'ex carcere di via Piangipane. Lui, il ministro digitale, assorto, mai stanco di vedere e ascoltare, magro e bianco, ha detto e ripetuto nella nostra città che i musei nuovi gli piacciono, ma devono essere innanzi tutto laboratori di ricerca, non soltanto strutture espositive. E ha ragione. Ferrara ebraica e museo dell'ebraismo sono funzionali appunto all'idea di far coesistere la struttura con l'officina della traduzione del Talmud. L'incontro riservato ha quindi fortificato il senso e la dinamica della struttura ex carceraria, anche perché ha compreso e messo a confronto i massimi livelli locali, regionali, nazionali. Dietro la porta chiusa, intorno al tavolo due ministri, Bray e Franceschini, l'assessore regionale alla cultura Mezzetti, la direttrice regionale dei beni culturali Di Francesco, il prefetto Raimondo, il sindaco Tagliani con gli assessori alla cultura e all'urbanistica Maisto e Fusari, la presidente della Provincia Zappaterra, il presidente della fondazione Meis e il direttore del museo Calimani e Finardi. Più quartier genere di così. Il progetto di traduzione in italiano del Talmud potrebbe trovare proprio nell'Expo 2015 un'occasione per il lancio e l'illustrazione a livello mondiale. Perché una impresa di questo genere chiamerà per forza a raccolta biblisti, esperti di lingue antiche, filologi, storici. Cultura non esposta, ma in movimento, secondo il Bray-pensiero. Dottrina, la sua, molto minimalista e apprezzata, che sa vedere e concepire anche la fine temuta di questo governo. Bray è consapevole che - se l'esecutivo finirà dall'oggi al domani - lui avrà comunque lavorato bene e non avrà rammarichi: non ci sono soste nel suo andare e venire per la penisola e le isole, e neanche acrobazie politiche preistoriche o italiote (di quell'Italia che va autodeprimendosi). L'assessore alla cultura Maisto è arci-certo che il Meis aprirà con i plessi espositivi fondamentali nel 2016 e che per chiudere il cantiere sono disponibili dagli 11 ai 12 milioni di euro. La riunione a porte chiuse è stata necessaria anche per fare chiarezza sulla nuova composzione del consiglio della fondazione che dal ministero va aspettando ancora indicazioni sul numero delle rappresentanze. Il ministro Franceschini è parso determinato - e ci mancherebbe, gioca in casa - sul Meis. Immagina di far riverberare il decreto Valore Cultura con ulteriori finanziamenti almeno nei prossimi dieci anni e dai venturi governi per chiudere il capitolo di via Piangipane. Dieci anni e venturi governi: questo è il ritmo lento delle imprese culturali (e turistiche) del beneamato Paese, purtroppo.
   Ma quella impartita venerdì dal ministro Bray è stata una lezione di normalità. Piccoli gesti fisici, verbali, economici: ha lasciato la scorta chissà dove quando eravamo abituati a fenomeni processionali in doppiopetto e auto altrettanto blu con salamelecco anche al più basso in grado nella gerarchia ministeriale; mi ha raccontato di sua madre nata in Turchia, ad Izmir, e della sua formazione leccese, non appena ha visto, annusato e goduto della sarabanda del mercato ferrarese; ha preteso di pagare il catalogo dei Diamanti. Questi dovrebbero essere lo stile e il passo della rivoluzione culturale italiana: il ritorno a un'umanità quotidiana, solare e severa, che pretende di tradurre il Talmud al tempo di internet, a Ferrara. Proviamoci.

(la Nuova Ferrara, 15 settembre 2013)


Gaza - Peschereccio attaccato dalla marina egiziana

GAZA - La marina militare egiziana ha aperto il fuoco la scorsa notte contro un peschereccio palestinese e ha arrestato due uomini che erano a bordo. Lo ha reso noto un portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, secondo cui l'incidente è avvenuto "in acque palestinesi" di fronte al settore Sud della Striscia. Hamas ha biasimato il comportamento dell'Egitto che giunge in un momento di crescente tensione lungo il confine fra la striscia di Gaza e il Sinai egiziano.
Fonti locali aggiungono che la sistematica chiusura da parte dell'esercito egiziano dei tunnel per il contrabbando verso Gaza ha provocato nella Striscia, fra l'altro, una forte penuria di pesce. I pescatori di Gaza che di conseguenza cercano di raggiungere zone di pesca verso Sud di fronte alla costa del Sinai sono nelle ultime settimane respinti, anche a fuoco, dalla marina egiziana. Sul versante Nord le loro attività sono peraltro limitate dalla marina militare israeliana.
Il comportamento delle forze armate egiziane - che da cinque giorni impongono una chiusura totale del valico di Rafah, unica uscita praticabile dalla Striscia - sta destando un crescente malumore a Gaza.
Ieri di fronte alla rappresentanza diplomatica egiziana a Gaza si è svolta una manifestazione di protesta indetta da studenti universitari palestinesi.

(tio.ch, 15 settembre 2013)


Nazisti in fuga, il silenzio della Curia

di Andrea Casazza

 
Il passaporto falso della Croce Rossa ritrovato a Buenos Aires con il quale di Eichmann si imbarcò a Genova
GENOVA - Un silenzio durato dieci anni. Era il 21 settembre del 2003 quando Tarcisio Bertone, allora arcivescovo di Genova, annunciava la creazione di un pool di esperti incaricati di confutare le tesi di un'inchiesta che Il Secolo XIX aveva svolto quell'estate destando grande clamore. Una commissione composta da sei saggi (storici, giuristi, uomini di cultura) incaricati di dimostrare l'estraneità della Chiesa genovese al piano di aiuto e copertura che aveva permesso ad alcuni fra i più feroci criminali della Seconda Guerra Mondiale di trovare rifugio a Genova per poi imbarcarsi alla volta dell'Argentina. Una responsabilità, quella della curia genovese, che l'inchiesta del Secolo XIX aveva prima adombrato e, giorno dopo giorno, reso più nitida man mano che venivano alla luce nuovi documenti e testimonianze tratte dagli archivi dei servizi segreti americani, dalla sede ginevrina della Croce Rossa e, soprattutto, dal Centro di Immigrazione di Buenos Aires.
  Proprio dall'apertura degli archivi della capitale argentina, rimasti sino a quell'anno segreti, aveva del resto preso avvio l'inchiesta giornalistica. Una desecretazione avallata, nella primavera di quell'anno, dall'allora presidente argentino Néstor Kirchner e legata alla pubblicazione del saggio "La autentica Odessa" dello storico e giornalista Uki Goñi. Le lunghe e dettagliate indagini di Goñi, volte a dimostrare che l'immigrazione in Argentina di criminali nazisti non era stata passivamente subita ma, al contrario, pianificata dal governo di Juan Domingo Peron con la complicità della Chiesa cattolica, avevano inaspettatamente acceso i riflettori su Genova. La città, in quel saggio, veniva indicata quale luogo di passaggio, soggiorno e imbarco di alcuni fra i più noti e sanguinari ufficiali delle SS, di collaborazionisti francesi e ustascia. In particolare veniva segnalata la presenza a Genova, fra la fine del 1947 e gli inizi del 1951, di criminali come il Duce degli ustascia Ante Pavelic, il medico della morte Joseph Mengele, il pianificatore della soluzione finale Adolf Eichmann, il boia di Lione Klaus Barbie, il capitano delle SS poi condannato all'ergastolo per il massacro delle Fosse Ardeatine Erich Priebke e il responsabile del piano di sterminio dei disabili Aktion 14, Gerhard Bohne. L'inchiesta era partita da lì. Dal clamore e dallo sgomento di scoprire come la città, medaglia d'oro per la Resistenza, si fosse a sua insaputa trasformata, negli anni dell'immediato dopoguerra, nel terminale della ratline, la via dei topi seguita dai criminali di guerra in fuga dall'Europa.
  Il primo tassello per ricostruire il complicato puzzle del loro passaggio in città era dato, come in un gioco enigmistico, da un acronimo: Daie, Delegaciòn Argentina de Inmigraciòn en Europa. Una sigla che, sul finire degli anni Quaranta, compariva sul portone di Villa Bombrini in Albaro, l'attuale sede del conservatorio "Nicolò Paganini". Si era scoperto che a Villa Bombrini la Daie aveva aperto i battenti nella seconda metà del 1947. Da Buenos Aires, a dirigere l'ufficio che sarebbe divenuto il centro di raccolta per i criminali di guerra in fuga da Germania, Austria, Croazia e Francia, era stato mandato Carlos Fuldner, un ex capitano delle SS, nato in Argentina ma di nazionalità tedesca. La Daie godeva di uno status semidiplomatico. Aveva uffici a Roma, dove venivano tenuti i contatti con Buenos Aires, e a Genova dove i candidati all'emigrazione, oltre a ricevere i documenti che consentivano loro di imbarcarsi, venivano sottoposti a un esame medico per accertarne il buono stato di salute. Tutte le pratiche venivano raccolte in fascicoli numerati presso il centro di immigrazione a Buenos Aires. Si era così scoperto che dagli uffici di Albaro della Daie, dal 1947 al '51, erano passati non solo Mengele, Eichmann, Barbie e camerati più o meno noti ma centinaia di "figure minori", di sterminatori e seviziatori al servizio della follia nazista che negli uffici diretti da Carlos Fuldner trovavano una nuova identità, un visto per entrare in Argentina e un passaporto rilasciato dalla Croce Rossa.
  I passaporti della Croce Rossa erano poco più che un attestato introdotto negli anni del dopoguerra per ridare un'identità ai molti che, nelle vicissitudini del conflitto mondiale, avevano perso (o distrutto) il proprio documento. Identità che, nella maggior parte dei casi, veniva certificata da testimoni accreditati. Ed è proprio grazie alle copie di questi passaporti conservati nella sede centrale di Ginevra della Croce Rossa che si era potuto ricostruire la rotta genovese dei fuggiaschi, determinare dove avevano alloggiato in città e, soprattutto, chi aveva garantito per loro. Si era dunque scoperto che Joseph Mengele, nel maggio del 1949, aveva trovato asilo sicuro in via Vincenzo Ricci 3, in una casa privata; sarebbe partito il 16 di quello stesso mese sul piroscafo North King sotto un nome di copertura: Helmut Gregor. Adolf Eichmann, invece, era arrivato a Genova "solo" nella tarda primavera del 1950. In attesa del passaporto a nome di Ricardo Klement e dell'imbarco sulla motonave Giovanna C. in partenza per Buenos Aires il 17 giungo del 1950, aveva trovato alloggio in albergo, in via Balbi 9. Ultimo grande ricercato di guerra ad arrivare a Genova era stato Klaus Barbie. Fuggito da un carcere austriaco probabilmente grazie all'aiuto dei servizi segreti americani che l'avevano appena arruolato, Barbie era arrivato in treno nel marzo del '51 e ad accoglierlo alla stazione Principe aveva trovato un sacerdote: il croato Krunoslav Draganovic. L'uomo che aveva controfirmato il suo passaporto attestandone le false generalità. Il nome di copertura di Barbie era Klauss Altmann e aveva soggiornato all'albergo Nazionale di via Lomellini 6 in attesa di imbarcarsi, il 22 di marzo, sul piroscafo argentino Corrientes. La destinazione per lui non era stata l'Argentina di Peron, ma la Bolivia.
  Ma l'inquietante passaggio del boia di Lione in città accende anche per la prima volta i riflettori su Krunoslav Draganovic. Si scopre che il sacerdote, capo della Confraternità di San Girolamo con sede a Roma, a Genova veniva molto spesso e che il suo nome quale garante non compare solo sul passaporto di Barbie ma anche su quello di altri criminali in fuga dal porto genovese. Dei suoi particolari servizi si è avvalso ad esempio anche Hans Fischbock, assistente di Eichmann e ministro delle Finanze del Reich nell'Olanda occupata, che salperà alla volta dell'Argentina sull'Anna C. il 2 febbraio del '51. Ed era stato grazie al passaporto falso sottoscritto da Draganovic se Gerhard Bohne aveva trovato imbarco con la sorella Gisele nel gennaio del '49. Destinazione, guarda caso, Buenos Aires.
  Ma le tracce della presenza a Genova del prete croato facevano risalire ad altri due sacerdoti attivi in città in quegli anni. Il nome del primo, Edoardo Dömöter, compariva addirittura sul documento falso che aveva aperto la via della fuga a Eichmann. Dömöter è un francescano ospitato nella chiesa di Sant'Antonio di Pegli e ha frequenti contatti con monsignor Alois Hudal, da molti storici indicato come l'eminenza grigia della rete salva-nazisti con sede in Vaticano. Il secondo sacerdote in contatto con Draganovic che è particolarmente attivo sul fronte dell'accoglienza e della protezione dei criminali in fuga si chiama don Carlo Petranovic. Di lui e del suo zelo parlerà, molti anni dopo, Eric Priebke, ricordando la coda che aveva dovuto fare negli uffici della Daie per procurarsi il visto d'ingresso in Argentina: «Nelle ore passate in fila, non avevo tardato a venire a sapere che la strada di chi aveva fretta di imbarcarsi era solo una: padre Carlo Dragutin Petranovic, un sacerdote croato. Questi aveva sempre a disposizione dei posti sulle navi in partenza per Buenos Aires».
  Scavando sul passato di don Petranovic, ex cappellano militare delle milizie ustascia di Ante Pavelic, si scopre che la sua storia genovese comincia nei primi mesi del 1946 con un biglietto di presentazione scritto dal cardinale di Milano Ildebrando Schuster e inviato all'arcivescovo Giuseppe Siri. E' con questo viatico che il sacerdote croato si stabilisce a Genova ed è qui che, fino ai primi mesi del '52, gestirà direttamente la trama di rapporti tra Vaticano, Croce Rossa, Auxilium e Comitato nazionale emigrazione in Argentina. In città Petranovic alloggia in una cella del convento benedettino del Boschetto, sopra Fegino, ed ha, rivelano alcune fonti, un rapporto personale e costante con il cardinale Siri che dell'Auxilium e del Comitato nazionale per l'emigrazione in Argentina è il referente principe. Ha il diritto di usare la Mercedes nera dell'arcivescovo con targa diplomatica della Città del Vaticano; viaggia spesso, di notte, tra Genova e Roma, e ritorna sempre di notte, portando una "valigia diplomatica". E c'è chi dice che contenga proprio i passaporti in grado di garantire una nuova vita ai nazisti e agli ustascia in fuga da Genova. Solo maldicenze? Non si direbbe visto che lui stesso, nel corso di un'intervista rilasciata nell'89 a Mark Aarons e a John Loftus, autori del saggio "Unholy Trinity", si vanterà di essere stato molto vicino al cardinale genovese dichiarando di avere aiutato un paio di migliaia di persone a imbarcarsi a Genova.
  Ma l'inchiesta del Secolo XIX prosegue. A collegare il nome del cardinale Siri alla rete di protezione e aiuto dei criminali di guerra in fuga non sono solo le dichiarazioni di don Petranovic. Dell'alto prelato genovese si occupano, nell'immediato dopoguerra, anche i servizi segreti americani. In una nota del Central Intelligence Group, datata 21 gennaio 1947, Siri viene ad esempio segnalato come referente di "un'organizzazione internazionale il cui scopo era favorire l'emigrazione di europei anticomunisti in Sudamerica". Mentre altri due rapporti inviati a Washington quello stesso anno sottolineano come i nazisti in arrivo a Genova non solo fossero assistiti da dignitari cattolici ma che la Pontificia Commissione di Assistenza avesse a tal fine persino aperto un ufficio alla stazione Principe. Un centro che faceva capo all'Auxilium.
  Giunta a questo punto l'inchiesta del Secolo XIX si era dovuta fermare davanti all'impossibilità di accedere alle fonti della curia genovese e in particolare all'archivio privato del cardinale Siri. Archivio tuttora chiuso. Quali rapporti legavano l'arcivescovo genovese a padre Dömöter e a don Petranovic? È davvero possibile che la curia genovese fosse del tutto ignara di quanto stava avvenendo in città? Il cardinal Bertone garantiva allora che la Chiesa «era pulita», che non aveva favorito quelle fughe e, per spazzare via ogni sospetto, annunciava l'apertura di una controinchiesta affidata a un pool di esperti. Da allora, però, sono passati dieci anni e dei risultati raggiunti da quella commissione non si è avuta notizia.

(Il Secolo XIX, 15 settembre 2013)


"Siamo qui grazie alla forza dei nostri padri"

Il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni ha pronunciato nell'ora di Nei'là di questo Kippur 5774, nel Tempio maggiore della Capitale, le seguenti parole:

di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Quaranta anni, nei ritmi della Bibbia sono un'epoca, una generazione. Sono gli anni passati nel deserto dagli Ebrei usciti dall'Egitto. E oggi sono passati quaranta anni da quel Kippur del 1973 in cui lo Stato d’Israele e il popolo ebraico si svegliarono bruscamente per ritrovarsi in guerra. I meno giovani ricorderanno l’angoscia di quelle ore e dei giorni successivi. Se il vasto pubblico sa che esiste un giorno importante per gli ebrei chiamato Kippur, lo si deve proprio a quella guerra che ne prese il nome, cosa che per noi è una stridente contraddizione. Kippur è il giorno in cui intorno a noi ci dovrebbe essere una tregua e, se proprio ci dovesse essere una guerra, dovrebbe essere una guerra interna, tra le forze opposte dentro di noi che ci spingono da una parte e dall’altra, ma con le quali dobbiamo fare i conti e arrivare ad una pacificazione, dentro di noi, nei riguardi degli altri, e nei confronti del Creatore. In questi giorni, a 40 anni di distanza, il clima generale sulla scena nazionale e sulla scena mondiale è molto differente e strano. In ogni momento sembra che stiano per saltare gli equilibri precari della stabilità politica ed economica e della pace, poi c’è un rinvio, una sospensione, una dilazione. Viviamo in una situazione di continua sospensione. E' un po' il simbolo della condizione umana in questi momenti del calendario ebraico, sospesi in attesa del giudizio divino che si spera favorevole, e impegnati a fare qualcosa perchè la situazione migliori. A cosa serve Kippùr, si chiedevano i Maestri? Dipende dalla gravità delle colpe commesse. Per le trasgressioni minori basta la teshuvah, la consapevolezza di avere sbagliato strada e l’impegno di non ripetere più l’errore; per le colpe progressivamente più gravi ci vuole da parte nostra la teshuvah, e dall'Alto il giorno del Kippur; la teshuvah sospende, appunto, e Kippur cancella. Ma quando per colpe più gravi la teshuvah e Kippur non bastano, arrivano le sofferenze. Abbiamo però qualche strumento per fermarle, per evitare il peggio, e dipende da noi, dalla nostra capacità di metterci in discussione. Fermiamoci da soli prima che sia qualche evento esterno a costringerci a farlo. Quante volte ci è capitato improvvisamente un evento spiacevole e inatteso. Interpretiamolo come un campanello di allarme, una sveglia personale, fastidiosa ma necessaria. In realtà una “sveglia” l'abbiamo sentita dieci giorni fa, ma era collettiva, positiva e sacra, era il suono dello shofar di Rosh HaShanah. Tra poco lo risentiremo ancora al culmine della nostra celebrazione. In tempi remoti lo shofar si suonava a Kippur una volta ogni 50 anni, quando si proclamava il Giubileo, e oggi il motivo principale per cui lo si fa è il ricordo del Giubileo. Il Giubileo è la  libertà, quando i servi devono essere liberati ed è come se nascessero in quel momento, e noi tra poco proclameremo una libertà raggiunta tutti insieme, una rinascita spirituale dopo un bagno collettivo di purificazione. I dieci giorni di Teshuvah che si concludono tra poco sono un cammino collettivo in cui si inizia scoprendo che la macchina non funziona bene, che si è inceppata, ma si può riparare; la si ripara e da questa sera riparte come nuova.
Spesso non ci rendiamo conto della speciale dignità del popolo ebraico, una dignità che non è automatica ma che si assume e cresce in rapporto alla nostra fedeltà alla Torà. In questi tempi strani, proprio in questi giorni, ce l'ha ricordato un'autorevole voce esterna. Una voce proveniente paradossalmente proprio dal campo da cui abbiamo subito per secoli sofferenze, umiliazioni e offese, perché mantenevamo la nostra tradizione e rimanevamo nell'attesa messianica. I nostri padri hanno resistito a queste umiliazioni e se siamo qui lo dobbiamo alla loro forza. Sono stati in pochi a cedere anche nei momenti più drammatici. Abbiamo ora dei libri ben documentati che raccontano le pressioni micidiali cui erano sottoposti gli ebrei nel Ghetto di Roma. Chi abiurava poteva farsi una nuova vita, libera e agiata rispetto alle ristrettezze del Ghetto. C'è stato in verità un flusso continuo di fughe, ma sempre molto contenuto. Tra gli anniversari di questi giorni, ora sono 75 anni dalle leggi razziali del '38. Gli archivi della nostra Comunità conservano tutti i dati sulle abiure di quei giorni, dettate dalla paura e dalla speranza di sfuggire alla persecuzione, molto raramente da ispirazione religiosa. Uno studio dettagliato non è stato ancora fatto, ma un primo dato è certo: almeno il 90% della comunità volle restare ebrea. E non erano, nella stragrande maggioranza, ebrei osservanti come oggi si è osservanti. Semplicemente volevano restare ebrei e non tolleravano soprusi. Avevano il senso della dignità ebraica. E sapevano bene che chi sceglie non lo fa solo per sé, lo fa per il passato e soprattutto per il futuro. E noi siamo מאמינים בני מאמינים  “credenti figli di credenti”, un tempo vituperati per la nostra fede, oggi additati ad esempio positivo, ma sempre resistenti: alle seduzioni e alle lusinghe di qualsiasi sistema o idea concorrenziale che vuole semplicemente farci scomparire. In ogni momento e luogo della nostra storia dobbiamo confrontarci con culture differenti, idee e sensibilità nuove. Molte possono essere anche positive, e non dobbiamo evitare il confronto;  ma quando lo facciamo non dobbiamo compiere l'errore fondamentale di pensare che l'altro è il bene assoluto e indiscutibile, il criterio di verità rispetto al quale l'ebraismo sia solo una materia plastica che si deve adattare, anche cambiando le sue regole di base. Abbiamo visto con quanta rapidità molte delle mode e delle idee degli ultimi due secoli siano scomparse rapidamente insieme al fascino che le accompagnava.
Quando esisteva il Tempio di Gerusalemme il giorno di Kippur era centrato sul servizio del Gran Sacerdote. Di tutto questo ci è rimasto solo il ricordo, insieme a tanti insegnamenti. Finito il servizio dentro l'Hekhal, dove il Gran Sacerdote rimaneva solo, prima di uscire si fermava per recitare una preghiera per tutti. Ma la preghiera doveva essere breve, altrimenti chi l'attendeva fuori avrebbe pensato a qualche terribile incidente. Impariamo da questa storia, tra l'altro, che chi rappresenta la comunità deve pregare per lei ma non deve isolarsi troppo a lungo. Avvicinandoci ai momenti finali del Kippur, in cui si firma in Alto la sentenza che ci riguarda, ripetiamo alcune parole di questa preghiera che è stata letta a Musaf, e che ci accompagni nei nostri pensieri:
“Che quest'anno possa essere per tutti un anno di benedizione, un anno favorito dalle piogge e dal sole, un anno ricco di rugiada e di prodotti abbondanti, un anno di salvezza, un anno di prosperità, un anno di facile sussistenza, un anno di bene e di gioia; un anno di libertà, un anno in cui Tu faccia regnare tra noi la concordia e prosperare tutte le nostre opere...”
חתימה טובה תזכו לשנים רבות

(Notiziario Ucei, 14 settembre 2013)


Vent'anni fa, di questi giorni

Vent'anni fa, di questi giorni, andava in scena l'orrenda farsa di Oslo, che ha portato un'incredibile impennata del terrorismo palestinese con migliaia di morti e decine di migliaia di feriti e invalidi da entrambe le parti, la distruzione della società palestinese, il lavaggio del cervello a partire dall'età dell'asilo (come ampiamente documentato in questo blog) e una spietata persecuzione delle comunità cristiane di Gaza e Cisgiordania, che ha portato alla loro quasi totale scomparsa....

(ilblogdibarbara, 15 settembre 2013)


La guerra tra Egitto e Hamas che non interessa i pacifisti

In un interessante editoriale apparso su diversi media mondiali il giornalista arabo Khaled Abu Toameh, tra i più seguiti nel suo genere, afferma che tra Hamas ed Egitto è in corso una vera e propria guerra che per il gruppo terrorista palestinese potrebbe essere più distruttiva di tutte le guerre avute con Israele. Il punto di vista di Khaled Abu Toameh è molto interessante non solo perché è un profondo conoscitore della realtà araba in Medio Oriente, ma perché ci svela alcuni retroscena di cui in occidente si parla ben poco.
In primo luogo Khaled Abu Toameh parla di una guerra senza esclusione di colpi che si combatte su due fronti, quello dei media e quello lungo il confine tra Gaza ed Egitto....
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(Right Reporters, 14 settembre 2013)


Settant'anni fa la prima strage di ebrei in Italia

Fine settimana di commemorazioni a Meina e nei comuni vicini per onorane le vittime dell'eccidio nazista del 1943 e promuovere la ricerca storica.

   
Le acque del Verbano furono le prime a testimoniare ciò che settant'anni fa accadde a Meina. Il lago in quei giorni di settembre restituì, a poco a poco, i cadaveri delle sedici persone, uomini e donne, fucilati nel 1943 dai soldati nazisti. Erano tutti ebrei che i soldati della divisione corazzata delle Waffen-SS Leibstandarte "Adolf Hitler" avevano fatto prigionieri nelle stanze dell'Hotel Vittoria per poi ucciderli di notte gettando in acqua i corpi senza vita. Fu quello del 15 settembre 1943 il primo eccidio di ebrei in Italia e non fu l'unico nella zona. Tra il 13 e il 14 i nazisti rastrellarono decine di persone tra Baveno, Arona, Meina, Orta, Mergozzo, Stresa e Intra. I morti accertati furono cinquantasette.
Nel settantesimo anniversario di quei crimini il Comune di Meina si è fatto promotore, insieme all'Istituto storico "Piero Fornara", di un comitato che riunisce i nove comuni coinvolti nelle stragi del 1943 e l'Istituto Comprensivo del Vergante per onorane le vittime e promuovere la ricerca storica.
Dal 14 al 17 settembre il paese ospiterà una serie di iniziative per pubblico e scuole. Tra le iniziative in programma una cerimonia commemorativa con orazioni e melodie ebraiche a cura della Comunità Ebraica Riformata di Milano "Lev Chadash", di cui è stata animatrice la testimone della strage Becky Behar, cittadina onoraria di Meina. Il lamento dello Shofar, l'antico strumento biblico sarà suonato in ricordo delle vittime. Alle 16.30, al museo di Villa Faraggiana, in Via Sempione a Meina sarà presentato, a cura della casa editrice, il volume di Aldo Toscano, Io mi sono salvato. L'olocausto del lago Maggiore e gli anni dell'internamento in Svizzera (1943-1945), Ed. Interlinea, Novara 2013; si tratta della riedizione critica e ampliata del testo di Aldo Toscano, L'olocausto del lago Maggiore (settembre-ottobre 1943), Bollettino storico per la provincia di Novara, anno LXXXIV - 1993 n. 1. Nel parco di Villa Faraggiana a Meina (NO) proseguiranno invece le performance artistiche "So Stare - questo tempo e questo luogo", dell'artista Francesca Amat.
Anche in provincia di Varese, a Busto Arsizio, è stata organizzata una commemorazione: gli Amici del tempio civico ricorderanno in questi giorni, l'eccidio di Cefalonia e la strage di Meina, la prima compiuta in Italia contro gli ebrei.

(VareseNews, 14 settembre 2013)


La tranquillità di Israele, nonostante l'inferno sia alle porte

Circondato da nemici animati da odio e da desiderio di distruzione, lo Stato ebraico non si fa trascinare nel caos e nell'isterismo.

di Fiamma Nirenstein

Quando si parla di guerra, in Israele, non si roteano gli occhi, non si lanciano esclamazioni di orrore, non si dice speriamo bene, non si alzano le sopracciglia. Il Paese si stropiccia gli occhi, sospira un po', fa due scherzi ai bambini, si alza lentamente da un letto da campo in mezzo a una zona impervia dove dormire è stato un privilegio e si è grati di questo riposo, si guarda intorno e si sciacqua la faccia. Ha cercato di prendere fiato, di riposare per una mezzoretta, l'intervallo è finito, e adesso guarda la vita con senso pratico. Si gira intorno, si tira su le maniche.
   A Nordest la Siria: un dittatore dall'apparenza ingannevole, col suo lungo collo da inglese, fa stragi di bambini col gas e bombarda i villaggi dall'aria mentre dall'altra parte una schiera inconsulta di martiri jihadisti oltre a odiare Assad si trova d'accordo con lui solo nel maledire Israele (benché alcuni dei suoi feriti vengano raccolti e curati negli ospedali dello Stato Ebraico) e tutto il mondo occidentale. Poco più su, in Libano, ecco l'inverosimile massa di giovani agli ordini di un clerico sciita il cui cervello ribolle d'odio sotto il turbante nero, Hassan Nasrallah, che emerge come un serpente dal suo bunker solo per spedire i miliziani a uccidere altri giovani musulmani in Siria con le loro donne e i loro bambini e per promettere a chi se lo fosse dimenticato che il vero scopo è distruggere Israele. Anche loro sono certi che il califfato mondiale cancellerà Israele. Se si procede verso il nord ovest due mastodonti che ormai sono entrati, come iceberg alla deriva, in rotta di collisione, la Turchia e l'Iran, partecipano della catastrofica impresa della guerra sunnita e di quella sciita, ognuno punta all'egemonia assoluta del Medio Oriente e a essere il leader della rivincita islamica, ma soprattutto ciascuno è imbevuto di leggende antisemite, che nel caso Iraniano fanno ruotare più veloci le centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. Attaccati a Israele, in un piccolo guscio carico di astio che trova ogni giorno nuove parole di rottura inguaribile, i palestinesi. Quelli di Abu Mazen, subdoli e segretamente decisi a non giungere mai alla promessa soluzione di due stati per due popoli, al momento sembrano maggiormente malleabili alle esigenze americane e dei media che li vogliono "moderati". Però a Gaza li compensa nell'odio senza quartiere Hamas, in armi come l'Iran, in armi come la Fratellanza Musulmana, a seconda che la distruzione d'Israele sia all'ordine del giorno di questo o di quello. E là vicino, Tzahal combatte con gli egiziani i suoi nemici di oggi, Fratelli Musulmani e beduini messaggeri di Al Qaeda che invadono le sue vicinanze, il Sinai, ma sa che l'anima profonda faraonica del Paese delle piramidi sogna di spazzare via il piccolo astuto nemico che l'ha battuto così festosamente nel '67, e poi sempre. Più lontano, altri Paesi islamici, come il Sudan o la Libia, vedono anch'essi l'esistenza di Israele come un peccato davanti a Dio. Dal Sudan sono passati teorie di camion di armi di fabbricazione iraniana dirette verso gli hezbollah tramite la Siria, verso il centro del progetto della distruzione di Israele, velleitaria e primitiva, sempre sconfitto e quindi sempre più astioso.
   Assad e anche l'Iran e gli hezbollah hanno promesso a Israele di essere il primo obiettivo quando Obama colpirà. Le minacce si sono susseguite sempre eguali: se ci colpite, colpiremo Tel Aviv. Obama ha un bel dire che sarà un attacco breve, circoscritto, che non intende spodestare Assad ma solo punirlo perché ha superato la linea rossa delle armi di distruzione di massa (e ha ragione, sia ben chiaro!). Assad contempla di certo, nelle ore dell'attesa l'ipotesi di trascinare con sé Sansone e tutti i Filistei, di essere il Balilla (di cui lui non conosce l'esistenza) che grida "Che l'inse" e lancia la pietra che tutti sognano di gettare a Israele morendo gloriosamente, o salvandosi sull'onda dell'entusiasmo arabo. Non è molto importante chi ha gettato nello scontro Assad-ribelli il gas nervino. Probabilmente tutti e due. Adesso se qualcuno non glielo toglie di mano, esso potrebbe essere lanciato contro Tel Aviv, anche se a una mente razionale questo sembra poco probabile. Perché è vero: se Assad facesse una mossa del genere, avrebbe firmato la sua fine. Ma anche quando ha gettato sui suoi concittadini, per il 40 per cento bambini, il gas nervino, ha compiuto un gesto irrazionale, di cui non aveva bisogno, dettato solo da odio e confusione mentale. Israele ha sempre avuto nemici pieni di odio e di confusione mentale, è per questo che li ha sconfitti sempre, perché non odia e ha la mente chiara. Però sa bene quanto è pericolosa quella sua piccola casa in Medio Oriente. Dunque, lavora silenzioso, mentre nessuno, proprio nessuno della coalizione di Obama gli lancia una parola di rassicurazione. Per Israele in questi giorni prepararsi alla guerra non vuol dire esclamare, o preoccuparsi, o angosciarsi, o chiedere: vuol dire lavorare duro da solo e stare tranquillo. Vuol dire togliere le coperte incerate ai cannoni, ai carri armati, fare i test gli aerei, distribuire le maschere che purtroppo sono solo il 60 per cento del fabbisogno, ripulire i rifugi, metterci dentro un po' d'acqua e la radiolina. Vuol dire contare su Tzahal, sull'esperienza e il magnifico avanzamento tecnico dell'esercito, ma soprattutto su quei ragazzini di 18 anni che sperano tutti che la guerra non gli rovini la hufshaà di sabba (il permesso di libera uscita), e per il resto, di essere abbastanza bravi da salvare ancora una volta il piccolo Paese che solo, fronteggia il terremoto Medio Orientale. Quel paese sa che "guerra" non è una parolaccia, ma una necessità indesiderata, un evento della vita. Una buona vita, in un Paese democratico determinato a scegliere la cultura e il buon senso in una zona dove la follia estremista è sovrana. Prepariamoci, se sarà necessario, a sostenere ancora una volta la vita.

(Shalom, settembre 2013)


Commovente incontro di Hanna Kugler Weiss con Maria Rosa Goretti

BALLABIO (LC) - L'amministrazione comunale di Ballabio ha voluto incontrare presso la Sala Giunta, Hanna Kugler Weiss, l'anziana italo ebrea sopravvissuta al campo di sterminio di Birkenau, per ringraziarla della sua preziosa opera di testimonianza che, nonostante i suoi 85 anni, continua instancabilmente a portare avanti per far conoscere gli orrori della guerra, affinché, come dice lei, non si debbano più ripetere.
   Hanna Weiss è stata ospite di Padre Angelo Cupini alla Casa sul Pozzo di Lecco, dall'1 all'11 settembre e, durante la sua permanenza, è stata accompagnata nei vari spostamenti dal nostro concittadino Ernesto Corti, suo amico personale. Hanna non è la prima volta che viene a Ballabio; vi era già stata il 28 gennaio 2011, in un incontro presso la Sala Consiliare, nel tardo pomeriggio, gremita di bambini e adulti. In quell'occasione la nostra Maria Rosa Goretti aveva consegnato a Hanna una documentazione riguardante la famiglia ebrea Dana, che i suoi genitori avevano ospitato, aiutato e protetto.
   Da quella famiglia arrestata a Ballabio, si è salvato, fuggendo, il figlio Mosè, di cui si erano poi perse le tracce. Fra le due donne, quasi coetanee, era subito scattata una spontanea simpatia e Hanna aveva promesso a Maria di ricercare Mosè in Israele, non solo, ma anche di fare avere alla ballabiese un riconoscimento ufficiale da parte del Memorial di Gerusalemme "Yad Vashem", per quanto fatto dai suoi genitori in aiuto di quella sfortunata famiglia ebrea.
   Grazie alla determinazione di Hanna, Mosè è stato ritrovato e Maria Rosa, ha provato una grande gioia e un'indescrivibile emozione. Da Israele e da Ballabio si sono immediatamente incrociate lettere, fotografie e l'immancabile invito sia da parte di Maria Rosa che di Mosè a recarsi nei rispettivi paesi. Non è difficile immaginare quanto avrebbero avuto il piacere di rivedersi, di riannodare il filo della memoria, di ricordare quel periodo tragico, tuttavia illuminato dalla loro amicizia. Gli anni
sono tanti, Maria non se la sente proprio di volare in Israele e così pure Mosè di venire, dove ha vissuto per qualche tempo, pur fra mille peripezie, con la sua famiglia. Maria Rosa Goretti, presente all'incontro, ha ricevuto da parte di Hanna l'assicurazione che a breve riceverà il riconoscimento da parte del Memorial di Gerusalemme e, l'atto ufficiale le sarà consegnato direttamente dal sindaco Luigi Pontiggia.
   Il sindaco, a nome della cittadinanza, ha ringraziato Hanna per la sua determinazione nel far conoscere la Shoah e le ha espresso sentimenti di stima e di affetto, augurand osi che l'anziana signora possa ritornare nuovamente da noi. L'assessore allo Sport Tempo li bero e Turismo Manuela Deon, ha regalato a Hanna dei libri riguardanti la storia del paese. All'incontro erano presenti il vice sindaco Pinuccia Lombardini, che ha partecipato anche al viaggio con Hanna Weiss ad Auschwitz e Birkenau, organizzato dalla Casa sul Pozzo e che è rimasta impressionata da quanto visto e dalla capacità di Hanna di far rivivere quel periodo infausto. La consigliera anziana Gabriella Bolchi, che con don Alfredo Comi martedì 10 settembre ha partecipato con Hanna alla visita del Memoriale della Shoah di Milano, organizzata dal nostro concittadino, ha espresso il suo orrore per quanto è accaduto anche a Milano al binario 21. Presente anche la consigliera Daniela Danieli. Infine, Ernesto Corti ha ringraziato il Comune per la sensibilità dimostrata verso questa anziana superstite del Campo di sterminio e per le indescrivibili sofferenze patite dagli ebrei.

(Ballabio News, 14 settembre 2013)


Siria - Esperto russo: Quirico mostra che cos’è l’opposizione

"Putin sa benissimo che i terroristi passeranno poi al Caucaso"

di Cristina Giuliano Domenico

MOSCA -"Quirico ha detto la verità, quello che ha visto, non quello che vuole un Paese o un altro. E certo, le informazioni" che ha dato il giornalista della Stampa "non erano un complimento per l'opposizione siriana". Evgenij Satanovskij è uno dei maggiori esperti russi nel campo delle politiche di Israele e del Medio Oriente, presiede la Ong Istituto del Medio Oriente ed è stato a capo del Congresso ebraico russo dal 2003 al 2004. Considerato tra tutti i politoligi russi, forse il più schierato contro Barack Obama, definisce quello che sta accadendo in Siria "chiaramente indirizzato verso la creazione di un nuovo califfato islamico. Poi valuti lei cosa possa significare. Nessuno sta dicendo che Assad è bravo e buono. È un despota, ma mostratemi un Paese in Africa o in Medio oriente che non sia uno Stato autoritario, a parte Israele o il Libano. Gli altri sono tutti regimi", continua in un colloquio con TMNews.
   L'esperto russo ammette che il quadro è molto complesso. Si mischiano interessi dei sauditi, del Qatar, della Turchia e dove, nel mondo nell'informazione occidentale sulla Siria emergono "falsificazioni" che ricordano "1984 di George Orwell".
   In base alle informazioni dell'Istituto russo del Medio Oriente, la Siria è stata ampiamente infiltrata dai militanti di altri Paesi e organizzazioni terroristiche. "Ci sono molti talebani, militanti di origine pakistana, 1000 yemeniti che hanno fatto un traning in campi in Giordania, sappiamo anche quanto vengono pagati: 3000 dollari al mese. Non parliamo poi di quanti terroristi dal nord del Caucaso: ce n'è davvero una grande quantità dalla Cecenia e dal Daghestan, con passaporto russo. È una guerra seria che coinvolge molti stranieri, compresi i curdi, compresi militanti con passaporti europei o americani, in particolare americani musulmani. E io non capisco come si possa aiutare certa gente a rimuovere un dittatore. Come in Libia, hanno tolto Gheddafi, e il risultato? Catastrofico".
   E nel caso che la "catastrofe" si ripeta anche in Siria? "Non si può essere così suicidi da augurarselo. Prendiamo (il presidente russo Vladmir) Putin. Sa benissimo che i militanti con passaporto russo che hanno combattuto in Libia contro Gheddafi, torneranno prima poi in Russia per portare a termine altri attentati. Un obiettivo portrebbero essere le Olimpiadi di Sochi 2014. E sa benissimo che se Assad soccombe, il prossimo obiettivo sarà il Caucaso. Lo hanno già detto i militanti, su internet, sui social network, lo hanno scritto anche sui muri di Damasco". Quindi non si tratta solo della Siria. "Quanto accaduto a Tunisi, in Libia, in Egitto ha aperto la porta a un'ondata di terrorismo dall'Africa del Nord, che si mischia inevitabilmente a quei migranti che arrivano sui barconi sulla vostra Lampedusa. Io capisco che se l'Italia fosse da un'altra parte, chessò, al posto dell'Islanda, forse non sarebbe per voi un problema centrale. Ma così non è".

(TMNews, 13 settembre 2013)


L'Annunciazione del Botticelli andrà in Israele

Lo conferma il direttore degli Uffizi Natali. Il via libera è arrivato dopo l'evolversi della situazione in Siria.

L'Annunciazione di San Martino alla Scala
Dopo lo stop di alcuni giorni fa è in arrivo al Museo di Gerusalemme l'Annunciazione di San Martino alla Scala di Sandro Botticelli al Museo di Israele a Gerusalemme. Lo conferma all'ANSA il direttore degli Uffizi Antonio Natali. L'opera sarebbe anzi già partita oggi. Secondo quanto si apprende, il via libera ci sarebbe stato dopo l'evoluzione della situazione in Siria e le verifiche sullo stato dell'opera fatte dall'Opificio delle pietre dure di Firenze.
''La relazione dell'Opificio ha confermato quello che comunque già si sapeva e cioè che l'Annunciazione sta bene'', ha sottolineato Natali. L'Annunciazione di San Martino alla Scala, conservata agli Uffizi di Firenze, è una delle opere più belle di Botticelli e dovrebbe restare esposta in Israele per alcuni mesi, dal 17 settembre.
L'operazione è stata messa a punto con la Fondazione Italia-Israele per la cultura e le arti. L'opera - un grande dipinto murale che misura 243 centimetri per 555 - e' databile al 1481 e originariamente si trovava nell'ospedale di San Martino alla Scala a Firenze, in una delle logge. Fu in seguito trasferito all'Uffizi, dopo essere stato restaurato.

(ANSA, 13 settembre 2013)


Krav Maga con il maestro Yanilov, lotta corpo a corpo delle Forze Israeliane

NAPOLI - Per la seconda volta a Napoli, il 30 settembre 2013, si tiene presso l'Arenile di Bagnoli, lo stage evento Krav Maga con il maestro Yanilov, a cura della Krav Maga Global Italia (krav-maga.com/kmg-locations/italy). E' la seconda volta che Napoli e' protagonista con questa disciplina antica ma al tempo stesso attualissima, purtroppo, per ciò che la quotidianità propina continuamente sulla violenza in genere. Il Krav Maga è il sistema ufficiale di difesa personale e di lotta corpo a corpo delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), della Polizia Nazionale Israeliana e dei Servizi di Sicurezza. Viene inoltre insegnato nelle scuole pubbliche e nei centri di formazione del Ministero dell'Istruzione Israeliano.
   Nato proprio in Israele da Imi Lichtenfeld, Istruttore Capo dell'esercito israeliano, e poi diffuso in breve tempo in tutto il mondo grazie alla sua efficacia e apprendimento rapido, il Krav Maga contribuisce a sviluppare nelle persone che lo praticano una disciplina mentale, che ha lo scopo di rafforzare il rendimento psicomotorio in caso di combattimento. I metodi speciali di addestramento vengono usati per simulare lo stress dell'aggressione reale, preparando allievi ed allieve alla durezza di un vero scontro in cui potrebbe essere in gioco la vita.
   E' un metodo di difesa personale adatto a chiunque, di qualunque età e di qualsiasi costituzione fisica; particolarmente adeguato alle donne, inoltre è il metodo di lotta adottato dalle principali unità speciali dell'esercito e della polizia del mondo. Il Krav Maga presuppone l'utilizzo di movimenti semplici e naturali che risultano straordinariamente efficaci e al contempo facili da imparare. Agli studenti viene insegnato ad applicare i princìpi e le tecniche in una grande varietà di situazioni: in ambienti bui, in posizione seduta o distesa, in circostanze sfavorevoli in cui sono costretti a difendersi anche se la loro capacità di movimento è fortemente ostacolata.
   Di fondamentale importanza è l'addestramento psicologico ad affrontare situazioni reali di pericolo, valutando in brevissimo tempo le possibili soluzioni, ed attuando una difesa rapida e sopratutto efficace, per guadagnare la via di fuga o una posizione di vantaggio sull'aggressore. L'utilizzo della naturale istintività e l'applicazione della biomeccanica, rendono il Krav Maga molto semplice ed estremamente pratico. L'effettiva concretezza del Krav Maga è stata testata negli anni da combattenti professionisti ed esperti di arti marziali, oltre che dalla polizia e da svariati reparti militari.
   Il Krav Maga prende solo il meglio dalle arti marziali tradizionali quali ginocchiate, gomitate e clinch della Muay thai, calci e pugni della kick Boxing, leve particolari del jujitsu, proiezioni dello judo. Difenderci è un nostro diritto. Allenare il nostro naturale istinto di difesa può davvero salvarci in situazioni pericolose, ma è importante ricordare che laddove si acquisisce sicurezza e capacità tecnica, tale disciplina non vuole mai la propensione all'attacco ma trovare piuttosto la migliore soluzione. La risposta più sicura, è sempre carpire immediatamente il linguaggio corporeo dell'eventuale avversario e trovare una via di fuga al più presto evitando ogni confronto finché possibile.
   Oltre Napoli (30/9) il seminario tocca città come Udine (27/9), Viareggio (28/9) e Cagliari (29/9).

(5W, 13 settembre 2013)


Israele celebra Yom Kippur, il giorno dell'espiazione

GERUSALEMME, 13 set. - Israele si prepara a festeggiare lo Yom Kippur, la ricorrenza ebraica che celebra il giorno dell'espiazione, in cui il Paese letteralmente si ferma. L'esercito ha chiuso i valichi di frontiera con la Cisgiordania a causa di "valutazioni di sicurezza". Nel corso della festa, che inizia stasera, gli ebrei osservanti chiedono a Dio di perdonare loro tutte le trasgressioni, si astengono dal mangiare e dal bere e partecipano alle preghiere in sinagoghe. I negozi e gli aeroporti restano chiusi, mentre le emittenti radio e le tv interrompoono le trasmissioni. Quest'anno si festeggia inoltre il 40esimo anniversario della guerra arabo-israeliana del 1973, nota in Israele come la guerra del Kippur, perché il Paese fu attaccato dalla Siria e dall'Egitto nel giorno della festività.
La festività dello Yom Kippur termina un periodo di riflessione durato dieci giorni e iniziato con il capodanno ebraico, Rosh Hashanah. Per gli ebrei osservanti, si tratta della giornata più solenne nel calendario religioso, in cui secondo la tradizione Dio valuta le azioni delle persone e decide quale sarà la loro sorte l'anno successivo.
In questa giornata è inoltre vietato lavorare, usare elettricità e tutti i tipi di macchine. Le strade del Paese sono vuote e soltanto in alcune zone si possono incontrare ciclisti o ragazzi che vanno su skateboard. Da alcuni anni Israele ha deciso di chiudere i confini della Cisgiordania durante la maggior parte delle festività ebraiche per timore che militanti palestinesi sfruttino l'occasione per condurre attacchi nel territorio dello Stato ebraico.
Ieri sera, alla vigilia dello Yom Kippur, migliaia di persone hanno partecipato alle preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme. Dato che le persone osservanti non bevono e non mangiano durante la festa, il servizio sanitario israeliano è in stato d'allerta in vista di possibili emergenze. Secondo le previsioni meteorologiche, infatti, la giornata sarà particolarmente calda. Una notevole parte della popolazione laica osserva il digiuno o almeno evita di mangiare in luoghi pubblici.

(LaPresse, 13 settembre 2013)


3-Sweep, il programma per trasformare ogni foto in 3D

Un gruppo di ricercatori dell'Università di Tel Aviv è al lavoro per creare un software in grado di creare un modello tridimensionale da qualsiasi immagine.

di Matteo Maggioni

Se fino ad ora la creazione di modelli 3D era riservata esclusivamente agli esperti del settore, presto le cose potrebbero cambiare: perché un gruppo di ricercatori dell'Università di Tel Aviv, guidati dal Tao Chen, è al lavoro per sviluppare 3-Sweep, un incredibile software in grado di creare modelli 3D di oggetti presenti su una qualsiasi foto.
Con pochi click, il programma permette di tracciare un profilo dell'immagine, isolando la figura che si vuole modificare e mantenendo invariato lo sfondo: grazie alla sua capacità di analizzare in automatico le foto, individuandone i differenti elementi che la compongono, 3-Sweep aiuta l'utente nel tracciamento dell'oggetto interessato - in pratica, lo stesso principio di quando si usa Photoshop per scontornare un'immagine, solo che il tutto avviene in maniera molto più semplice perchè guidati dal programma.
A questo punto, una volta "evidenziate" le singole parti che compongono un oggetto, è possibile duplicare, modificare e cambiare le dimensioni di ogni elemento su schermo; una vera e propria evoluzione nel campo del 3D editing.
Per ora, 3-Sweep è ancora in fase sperimentale, ma l'idea del team di ricercatori è quello di trasformarlo in futuro in un programma disponibile per tutti gli appassionati di fotografia e di editing; nell'attesa che ciò avvenga, sotto potete vedere un video dimostrativo delle sue incredibili funzionalità.

(youtech, 13 settembre 2013)


Alghero - Inaugurazione del quartiere ebraico

Domenica prossima la festa della cultura ebraica. Lo spazio in cui verrà inaugurata la piazza è stato riportato alla luce da Marco Milanese, docente di archeologia medievale all'Università di Sassari.

Sarà festeggiata anche ad Alghero, con l'inaugurazione della nuova "Plaa de la Juharia", l'antico quartiere ebraico algherese, la giornata europea della cultura ebraica, annuale appuntamento, coordinato e promosso in Italia dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che invita a scoprire le tradizioni, i luoghi, la storia e la vita degli ebrei e delle comunità ebraiche del Vecchio continente. Lo spazio di Alghero in cui verrà inaugurata la piazza è stato riportato alla luce da Marco Milanese, docente ordinario di archeologia medievale all'Università degli Studi di Sassari e si trova in una posizione privilegiata del centro storico, l'antico quartiere fu sede fino al 1492 di una importante comunità ebraica. L'inaugurazione avverrà il 22 settembre, alle 20, alla presenza delle autorità, alle 21 seguirà un concerto di musica sefardita. Una volta conclusa la giornata di domenica, le attività continueranno fino al 29 settembre, a cura dell'associazione culturale gastronomica algherese Saber i Sabor. Sarà possibile degustare piatti tipici della tradizione ebraica in diversi ristoranti del centro storico.

(L'Unione Sarda, 13 settembre 2013)


Comunità ebraica di Trani, Yom Kippur, il giorno del perdono

Dal tramonto venerdì 13 al tramonto di sabato 14 settembre (10 Tishrì 5774 del calendario ebraico)

Dal tramonto venerdì 13 al tramonto di sabato 14 settembre (10 Tishrì 5774 del calendario ebraico) cade lo Yom Kippur, il Giorno del Perdono.
Gli ebrei di Puglia si riuniranno tutti presso la Sinagoga Scolanova di Trani secondo il seguente programma:
VENERDÌ kol nidrei alle 18:30, arvit alle 19:00,
SABATO shachrit alle 9:00, musaf alle alle 12:30, minchà alle 15:30, neilà alle 18:00,
             shofar alle 19:35, havdalà (essendo anche Shabbath) alle 19:47.
Nel giorno di Kippùr vengono espiate solo colpe commesse dall'uomo verso Dio ma se si tratta di colpe commesse verso il prossimo non viene perdonato fino a che non abbia dato al prossimo ciò che gli spetta e lo abbia placato.
Ogni anno vengono pesati i peccati di ciascuno di fronte ai suoi meriti nel giorno di Rosh haShanà; chi risulta giusto viene suggellato per la vita, chi risulta malvagio viene suggellato per la morte e l'individuo mediocre
resta sospeso fino a Kippùr: se fa penitenza viene suggellato per la vita altrimenti viene suggellato per la morte. Questa pesatura non è quantitativa ma qualitativa; un solo peccato può esser contrappeso a molti meriti o un solo merito può essere contrappeso a molti peccati; per questo motivo gli ebrei usano dare molta beneficenza, fare molte buone azioni e occuparsi di mitzvòt tra Rosh haShanà e Kippùr più che in tutto il resto dell'anno.
È mitzvà (precetto) mangiare e bere la vigilia di Kippùr; il 9 e 10 del mese si usa intingere il pane di hammotzì nello zucchero o nel miele in tutti i pasti della giornata.
Ognuno deve baciare padre e madre la vigilia di Kippùr verso sera quando va in sinagoga e deve chieder loro perdono; se il figlio non ha chiesto di esser perdonato i genitori lo perdonino lo stesso.
Si usa accendere molti lumi e mettere belle stoffe in Sinagoga e così pure mettere belle tovaglie sulle tavole per il giorno di Kippùr come per il Sabato.
C'è chi usa mettersi abiti bianchi di Kippùr in base a un midràsh sulle parole bibliche: Il giorno santo al Signore è onorato (Is. 57:13).
La notte di Kippùr ha le stesse norme del giorno; proibito lavorare, mangiare e bere, lavarsi, ungersi; è proibito calzare sandali o scarpe di cuoio ma è permesso di gomma o stoffa o altre specie che non siano cuoio.
Di Kippùr sono proibiti rapporti coniugali ed è anche proibito toccare la propria moglie come se fosse nel ciclo e dormire con la moglie nello stesso letto.
È permesso odorare profumi di Kippùr.

(Trani News, 13 settembre 2013)


Yom Kippur: Israele chiude lo spazio aereo

GERUSALEMME, 13 set - In occasione del digiuno penitenziale ebraico del Kippur, che inizia stasera, Israele si isolera' dal resto del mondo per una giornata: chiudera' il proprio spazio aereo dalle ore 14 locali (le 13 in Italia) e lo riaprira' nella tarda serata di domani. Imposta anche la chiusura dei valichi di transito con la Giudea-Samaria. Come negli anni passati, i trasporti pubblici cesseranno nella mattinata e dal primo pomeriggio il silenzio sara' osservato da tutti i mezzi di informazione, fino alla serata di domani.
Misure straordinarie di sicurezza sono state adottate dalla polizia a Gerusalemme nei pressi della spianata delle moschee, dove l'accesso ai fedeli musulmani e' stato limitato oggi a quanti hanno piu' di 45 anni di eta'. La polizia presidia inoltre le citta' israeliane a popolazione mista, ebraica ed araba. In occasione del Kippur cessa in Israele quasi del tutto il traffico automobilistico. La polizia ha annunciato che cerchera' di proteggere quegli automobilisti che volessero comunque spostarsi e che fossero attaccati a sassate - come e' accaduto in passato - da religiosi ebrei.
La stampa odierna dedica ampio spazio alla rievocazione del Kippur di 40 anni fa, quando gli eserciti dell'Egitto e della Siria sferrarono un attacco a sorpresa. L'anniversario di quel conflitto viene osservato oggi in Israele in base al calendario lunare ebraico, anche se esso in effetti inizio' il 6 ottobre 1973.

(ANSAmed, 13 settembre 2013)


Gaza - Hamas dice stop alle proteste contro il governo

Il movimento di resistenza islamico Hamas non permetterà alcun tipo di protesta contro il suo governo nella Striscia di Gaza. La notizia è arrivata nell'imminenza di una manifestazione in programma per il prossimo 11 novembre.
"Non ci sarà alcuna manifestazione l'11 novembre", ha assicurato Islam Shawhan, portavoce del ministero degli Interni e responsabile delle forze di sicurezza di Hamas, in un comunicato diffuso dalla pagina web del governo di Gaza.
Il portavoce sostiene che l'intenzione di scendere in piazza quel giorno "è parte di un piano per smantellare la resistenza (palestinese) e portare il caos e il disordine a Gaza".
La decisione di diversi gruppi di indire una manifestazione è stata lanciata attraverso social network e email in forma anonima.
Il fatto che la data coincida con l'anniversario della morte del leader palestinese Yasser Arafat, fondatore del movimento nazionalista Fatah, fa presumere che i manifestanti possano essere seguaci di questo partito, messo al bando nella Striscia nel 2007 da Hamas e attualmente al potere in Cisgiordania.
Shahwan ha aggiunto che dietro la convocazione delle proteste ci sono l'Autorità nazionale palestinese (Anp), governata da Fatah, e i servizi segreti israeliani, che vogliono "minare il lavoro della resistenza" contro Israele.

(Atlas, 13 settembre 2013)


La Giornata europea della cultura ebraica

Torna il 29 settembre l'appuntamento che invita a scoprire le tradizioni, i luoghi e la storia degli ebrei nel Vecchio continente. "Ebraismo e natura" è il tema di questa quattordicesima edizione.


   
La storia dell'ebraismo italiano è sfaccettata e ricca e controversa, e in molti casi ancora incrostata dalle scorie del tempo e dell'oblio. La Giornata europea della cultura ebraica è da quattordici anni un'occasione per conoscere meglio i luoghi e le tradizioni di questa storia. La data, stavolta, cade domenica 29 settembre, a ridosso prenderanno vita manifestazioni che coinvolgeranno settanta località sparse lunga tutta la Penisola.
Il piatto forte sarà sicuramente a Napoli, dove interverrà Erri De Luca in una delle prime apparizioni pubbliche dopo le polemiche seguite alla sua presa di posizione a favore della politica dei sabotaggi del movimento No Tav. Lo scrittore partenopeo, profondo conoscitore dei testi biblici, che ha in parte avuto modo di tradurre dall'ebraico antico, ragionerà sull'"esperienza fisica della rivelazione". Insieme a lui, in un incontro che si terrà a mezzogiorno di domenica 29 a Villa Pignatelli, il rabbino capo della città Scialom Bahbout.
A Milano invece la giornata si trasformerà in un vero e proprio festival denominato Jewish and the City - e sarà una prima assoluta - che durerà quattro giorni, dal 28 settembre al primo ottobre. Molti gli ospiti di nome e di sostanza, dal regista israeliano Amos Gitai allo scrittore francese, ma ebreo polacco di nascita, Marek Halter, passando per Ferruccio De Bortoli e uomini di spettacolo come Filippo Timi e Gioele Dix.
A Roma si faranno visite guidate in bicicletta e incontri sulla cucina kosher, a Padova si puntano i riflettori sull'arte ebraica contemporanea al femminile, ad Alghero si celebra il recupero dell'antico quartiere ebraico, la Juharia, nel cuore della città vecchia.
Il tema dell'edizione 2013 della Giornata, a cui aderiscono ventinove paesi in tutto il Vecchio Continente, appare insolito: "Ebraismo e natura". Ma in realtà l'impressione è superficiale, perché a fronte dell'idea di una cultura spesa soprattutto nella letteratura e nello spettacolo, idea molto diffusa nella società occidentale anche in ragione dell'enorme impatto dell'opera di numerosi scrittori ebrei del Novecento, dalla piccola epica arcaica di Isaac B. Singer alle paturnie modernissime di Bellow e Roth, il pensiero ebraico ha da sempre dedicato molte riflessioni al rapporto dell'uomo con l'ambiente e con le risorse naturali.

(Europa, 12 settembre 2013)


Meina domenica ricorda la prima strage di ebrei in Italia

Coinvolte le scuole e nove Comuni con l'Istituto Storico della Resistenza «Piero Fornara». Nell'eccidio furono 57 le vittime accertate.

di Cinzia Bovio

MEINA (NO) - Settant'anni fa, tra il 15 settembre e l'11 ottobre 1943, sul Lago Maggiore le SS si macchiarono del primo eccidio di ebrei in Italia: 57 le vittime accertate. Quest'anno, l'Istituto storico della Resistenza «Piero Fornara» ha costituto un comitato per ricordare quella tragedia con le scuole e i nove comuni coinvolti (Arona, Bée, Baveno, Meina, Mergozzo, Novara, Orta, Stresa e Verbania).
Sarà presentato anche il libro «Io mi sono salvato. L'olocausto del Lago Maggiore e gli anni dell'internamento in Svizzera (1943-1945)» di Aldo Toscano, ebreo novarese scampato all'eccidio e internato in Svizzera: «Fu il primo a dedicarsi alla ricostruzione storica di quegli avvenimenti - spiega Gianni Cerutti, direttore scientifico dell'Istituto storico - : ora si ripubblica il suo studio con in più l'inedito diario sull'internamento».
Domenica la cerimonia a Meina a cura dell'Associazione per l'ebraismo progressivo- sinagoga Lev Chadash di Milano alle 12 al parco della Fratellanza a cui seguirà alle 14,30 la presentazione del libro di Toscano con Gianni Cerutti e Luciana Picciotto. Alle 16 Daniele Biacchessi pronuncerà l'orazione civile per la Resistenza in memoria delle sedici vittime di Meina (a villa Faraggiana anche l'installazione di Francesca Amat «So Stare»: info: 388-3280189).
Teatro invece all'auditorium Sant'Anna di Verbania il 20 settembre alle 21 con «Io ti racconto. Settembre 1943, una strage dimenticata». Due gorni dopo al cimitero di Baveno, alle 11, cerimonia religiosa ebraica con Elia Enrico Ricetti, e alle 12 sul lungolago inaugurazione del monumento in ricordo delle 14 vittime di Baveno conla presidente della comunità ebraica di Vercelli, Rossella Bottini Treves.
Il 23 la riedizione critica del libro di Toscano verrà presentata alle 21 alla biblioteca Negroni di Novara dai curatori Sara Lorenzetti e Laura Toscano con Alberto Toscano (figli dell'autore) e Gianni Cerutti. Parteciperanno con Alberto Bolaffi al circolo della Stampa di Torino il 26 settembre alle 17 anche alla presentazione con il presidente dell'Ordine dei giornalisti Alberto Sinigaglia. Il 5 ottobre alle 11 commemorazione ad Orta alla lapide dedicata ai Levi. Le iniziative si concluderanno a Trecate il 26-28 ottobre, ricordando Becky Behar che, sopravvissuta a quella strage, si battè fino all'ultimo dei suoi giorni per mantenere vivo il ricordo e raccontare ai giovani quel terribile eccidio. La figlia di Becky, Rossana Ottolenghi, in aprile tornò a Meina per una cerimonia.

(La Stampa, 12 settembre 2013)


Tv egiziana: Hamas ha addestrato militanti islamici

IL CAIRO - I palestinesi di Hamas, al potere nella Striscia di Gaza, hanno addestrato i militanti islamici che nelle ultime settimane hanno condotto attentati in Egitto. E' quanto sostiene la tv di stato del Cairo, secondo la quale, in particolare, Hamas ha istruito gli islamici su come piazzare bombe a bordo delle auto e ha consegnato loro almeno 400 mine. Hamas e' la costola palestinese dei Fratelli Musulmani egiziani, di cui fa parte l'ex presidente egiziano Mohamed Morsi, destituito dai militari lo scorso luglio.

(Adnkronos, 12 settembre 2013)


La delegazione palestinese in Francia nella sede della Gestapo

L'Hotel Meurice
La storia è un meraviglioso ritornello che non finisce mai di sorprenderci.
Sappiamo tutti che i padri dell'ideologia palestinese erano innamorati del regime nazista. Al Husseini, nonno della libanese Leila Shahid, rappresentante palestinese in Europa, anche lui ha aderito allo sterminio degli ebrei. Al Husseini, il Muftì che è l'essenza del "sapore" islamico arabo-palestinese, ha dato un motivo alla soluzione finale.
E che si scopre oggi?
Attualmente i "poveri palestinesi" stanno discutendo il futuro di Israele in un Hotel di lusso parigino, e non in uno qualsiasi, ma nell'Hotel Meurice, che durante la seconda guerra mondiale fu requisito dalle Waffen SS per discutere il futuro degli ebrei in Francia.
Un paese governato da un'elite che avesse un minimo di etica avrebbe da tempo messo fine al ricatto arabo-israeliano. Dal 1940 negli arabi-palestinesi non è cambiato niente. Ascoltiamo infatti l'attuale "Gran Mufti di Gerusalemme": Video
Ricordiamo che Fabius ha preso poco fa 9 milioni di euro dalle tasche dei contribuenti francesi e li ha dati ai palestinesi, i quali - si dice - sarebbero in una situazione economica catastrofica... E per parlarne, hanno scelto di farlo nel salotto di un Hotel Rue de Rivoli. Parigi è così bella! E certamente Hitler non avrebbe detto il contrario.

(Europe Israel, 12 settembre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Israele: +40% per le importazioni di autoveicoli

Dai dati pubblicati emerge che e' stato registrato un aumento in Israele nelle importazioni di autoveicoli e nelle importazioni di prodotti elettrici. 12.837 era stato il numero di autoveicoli privati importati ad agosto 2012, mentre nello stesso mese del 2013 e' stato pari a 18.016.
L'aumento registrato quindi rappresenta un incremento del 40.3%. Anche per quanto riguarda i prodotti elettrici e' stata registrata una tendenza positiva: l'importazione di frigoriferi e' cresciuta del 10.5%, di Video e DVD del 17.6% di Lavatrici del 12%.

(Tribuna Economica, 12 settembre 2013)


Conferenza Italia-Israele su Terremoti e Rischio Sismico

Università degli Studi INSUBRIA Varese-Como - Conferenza Italia-Israele su Terremoti e Rischio Sismico all'Uninsubria dal 16 al 18 settembre, Kibbutz Maagan , Lago di Tiberiade, Great Rift Valley

Gli studiosi indagano sotto il profilo storico, archeologico e geologico i terremoti del passato in territori di antica civilizzazione per comprendere meglio e mitigare il rischio sismico
   È in programma dal 16 al 18 settembre 2013 la prima Conferenza Bi-nazionale Italia-Israele su Terremoti e Rischio Sismico, organizzata da Ambasciata Italiana in Israele. L'evento "Earthquakes in Ancient Lands: The Apennines and the Levant" è in programma sul Lago di Tiberiade, presso il Kibbutz Maagan, all'estremità settentrionale della grande depressione tettonica della Valle del Giordano, con il supporto scientifico, per la parte italiana, dell'Università dell'Insubria, professor Alessandro Maria Michetti, e per la parte israeliana, della Hebrew University di Gerusalemme, professor Amotz Agnon.
 
Il Kibbutz Maagan
   La conferenza mira ad analizzare i terremoti del passato nei territori di Antica Civilizzazione, dal punto di vista geologico, storico e archeologico; il patrimonio di informazione disponibile per l'Appennino e per la Terra Santa costituisce, infatti, un archivio di valore inestimabile per meglio comprendere la grande variabilità della sismicità nel tempo, e quindi per derivare modelli di pericolosità sismica, e strategie di mitigazione del rischio associato, sempre più corretti ed efficaci.
   L'evento è articolato in tre diversi momenti: una prima sessione prevede quindici interventi di ricercatori italiani e israeliani, sui forti terremoti avvenuti nell'antichità negli Appennini e nel Levante; la seconda giornata di lavori si svolgerà sul terreno in località vicino al Lago di Tiberiade, per analizzare evidenze di forti eventi sismici preservate in importanti siti archeologici della Valle del Giordano; il terzo giorno è in programma un workshop itinerante lungo le strutture tettoniche attive del territorio della Galilea.
   «Gli Appennini in Italia, così come la struttura della "Levant Fault" in Israele - la cosiddetta "Faglia del Mar Morto", che si estende dal Golfo di Aqaba sino al confine con Siria e Libano - sono zone di grande interesse per l'analisi dei terremoti: regioni caratterizzate da eventi sismici di forza devastante, ma con intervalli di ritorno molto lunghi - spiega il professor Michetti - . Si tratta spesso di terremoti avvenuti in un passato remoto, per i quali non abbiamo a disposizione rilevazioni strumentali, pertanto per lo studio e la comprensione di questi fenomeni diventa determinante un approccio multidisciplinare basato sull'analisi delle evidenze geologiche, storiche e architettoniche, come ad esempio i muri delle fortezze crociate spostati dalla Faglia del Mar Morto, oppure i crolli imputabili ai terremoti medievali nella Pianura Padana, ovvero i danni ambientali prodotti dai maremoti sulle coste della Sicilia Orientale in epoca romana».
   Dallo studio dei terremoti del passato si traggono preziose informazioni per il presente: «La paleosismologia, l'archeosismologia e la sismologia storica - continua Michetti - ci aiutano nella comprensione dei terremoti odierni: come ad esempio nel caso del terremoto che ha devastato la Pianura Padana l'anno scorso. A memoria d'uomo nessuno ricordava un terremoto di quelle dimensioni con epicentro nel settore di Mirandola, in particolare l'Emilia Romagna era considerate - nell'opinione comune - una zona non ad alto rischio sismico, ma nell'antichità in zone limitrofe si sono registrati eventi sismici devastanti, e per il geologo quello è un segnale di attenzione estremamente eloquente: l'analisi dei fenomeni del passato diventa uno strumento di prevenzione, sapere se nell'antichità si è verificato un terremoto distruttivo è un campanello d'allarme e un criterio sufficiente per richiedere l'applicazione di misure antisismiche in quel territorio». In particolare se, come in Italia o in Israele, sono a rischio infrastrutture di inestimabile valore culturale, sociale e industriale.
   «L'idea di organizzare questo evento è nata in seguito al Workshop Internazionale dell'INQUA tenutosi nel Febbraio 2009 sul tema "The Dead Sea Rift as a natural laboratory for earthquake behavior: prehistorical, historical and recent seismicity" ed è nostra intenzione fare della Conferenza Bi-nazionale un appuntamento annuale nell'ambito del programma di scambio scientifico bilaterale Italia -Israele» conclude Michetti.

(Controcampus, 12 settembre 2013)


Yom Kippur: pentimento o espiazione? Considerazioni di un gentile

«Che cosa ha da dire un goy sul nostro Yom Kippur? - potrebbe pensare un ebreo - Che c'entra lui? Sono fatti nostri. Gli altri farebbero meglio a starne fuori».
Una reazione come questa sarebbe comprensibile, ma non del tutto giustificata. Israele è l'unico popolo che ha ricevuto direttamente da Dio la luce, e proprio per questo è destinato a rimanere sotto la luce dei riflettori. Quello che fa Israele e quello che gli accade non è cosa che riguardi soltanto lui. Il mondo guarda, giudica e agisce, ma non per questo si trova in una posizione di superiorità. Anzi, nazioni e individui porteranno, ciascuno per parte propria, la responsabilità di quello che avranno detto e fatto nei riguardi del popolo che Dio ha scelto....

(Notizie su Israele, 12 settembre 2013


Le Brigate dei Martiri di al-Aqsa incitano al terrorismo contro Israele

GERUSALEMME - I palestinesi siedono con gli israeliani al tavolo dei negoziati e parlano di pace. Nello stesso tempo le Brigate dei Martiri di al-Aqsa invitano a fare attacchi terroristici contro Israele. Questo gruppo terroristiCO è vicino al partito Fatah del presidente palestinese Abbas. In un volantino distribuito martedì scorso a Gaza si esorta a partecipare agli attacchi contro il nemico sionista che avranno inizio il prossimo venerdì. Venerdì sera inizia lo Yom Kippur, la maggiore festività ebraica, che gli ebrei trascorrono in maggior parte nelle sinagoghe. I fanatici islamici giustificano il loro appello al terrorismo con la presunta "giudaizzazione e divisione" della moschea al-Aqsa sul Monte del Tempio a Gerusalemme.
I terroristi invocano una "sollevazione popolare" e incitano ad avere scontri con i soldati israeliani ai posti di blocco tra Israele e i territori palestinesi. Il portavoce di Fatah, Ahmed Assaf, ha sottolineato ancora una volta l'esclusivo diritto di sovranità dei palestinesi sul Monte del Tempio. Lì sorgeva un tempo il luogo più sacro del giudaismo, e oggi l'area è dominata dalla musulmana cupola della Roccia e dalla moschea di al-Aqsa. Agli ebrei è permesso di entrare temporaneamente nel luogo, ma non possono pregare. Ahmed Assaf ha avvertito Israele: la presenza di ebrei sul Monte del Tempio rischia di sabotare i colloqui di pace. Ripetute visite di ebrei in questa zona potrebbero far sprofondare l'intera regione in manifestazione di estremismo e violenza.
Le autorità di sicurezza israeliane si aspettano un aumento della minaccia terroristica. La compagnia aerea israeliana El Al teme anche che possano esserci attacchi con razzi dai terroristi nel Sinai. Per questo ha cancellato tutti i voli da Tel Aviv a Eilat sul Mar Rosso. I percorsi di atterraggio in futuro dovranno essere cambiati, in modo che gli aerei israeliani non debbano più avvicinarsi al confine con l'Egitto prima dello sbarco. In quella zona i terroristi islamici hanno missili in abbondanza.

(israelheute, 11 settembre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Il Meis di Ferrara prende forma

 
Il progetto
Il Meis (Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah) prende lentamente forma: nel corso di un incontro nella mattinata di oggi in residenza municipale la Conferenza dei Servizi ha approvato positivamente il Progetto esecutivo dell'intero complesso museale.
Questo permetterà, entro la fine dell'anno, l'attivazione della procedura di appalto del primo stralcio esecutivo incentrato sul restauro dell'ex corpo delle celle di detenzione destinato ad ospitare le sale per le mostre temporanee, l'area didattica per i bambini, gli uffici e la biblioteca. Nel corso dell'incontro da parte della Direzione Regionale Beni Culturali MIBAC, del Comune di Ferrara, del Meis e degli Enti coinvolti nella realizzazione del progetto è stata espressa grande soddisfazione per questo traguardo, che giunge a soli due anni dal conferimento dell'incarico al gruppo dei progettisti vincitori del concorso internazionale di progettazione, lo Studio Scape Architettura e lo Studio Arco.
Alla riunione in Municipio erano presenti, tra gli altri, il sindaco Tiziano Tagliani, l'assessora comunale all'Urbanistica Roberta Fusari, il direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia-Romagna Carla Di Francesco, rappresentanti dello Studio Scape Architettura e dello Studio Arco, il segretario generale della Fondazione Meis Roberto Finardi, il dirigente comunale servizi Pianificazione e Progettazione Paolo Perelli e rappresentanti degli Enti e dei servizi necessari all'espressione di parere sul progetto (Arpa, Usl, Vigili del Fuoco, Consorzio di Bonifica ecc.).

(Ferrara24Ore, 11 settembre 2013)


Un sondaggio mostra il consenso dei palestinesi agli attentati terroristici

Il sito di ricerca PewResearchCenter.org ha condotto un sondaggio in undici paesi, arabi e a maggioranza musulmana, per quanto riguardo il consenso popolare agli attentati suicida. All'interno di questa analisi è venuto in primo piano il parere positivo dei palestinesi che giustificherebbero il ricorso ad attentati kamikaze per la difesa dell'Islam e del territorio. Il sondaggio, realizzato un giorno prima dell'anniversario della strage dell'11 settembre, ha però messo in evidenza come la maggioranza degli intervistati prenda le distanze dall'operato di Al-Qaida. Tornando all'instabilità che regna da secoli in quei territori, ben il 62% dei palestinesi ha espresso il proprio supporto agli attacchi terroristici nei confronti di obiettivi civili; in particolare è favorevole a questo tipo di rappresaglia il 64% degli intervistati a Gaza, dove governa Hamas, e il 60% dei cittadini della West bank, sotto il controllo di Al-Fatah. Andando al di fuori del territorio israelo-palestinese l'opinione pubblica musulmana cambia radicalmente in quanto la maggioranza dei fedeli sarebbero sempre e comunque contrari ad atti terroristici: tra i paesi sondati vi sono la popolazione pakistana (89% contraria) dove tra l'altro vi è ancora una forte presenza di talebani esiliati dall'Afghanistan dopo l'intervento Nato del 2001, la popolazione indonesiana (81% contraria), quella nigeriana (78% contraria) dove è fortemente attivo il gruppo terroristico denominato Boko Haram, e quella tunisina (77% contraria). Sempre secondo il sondaggio è notevolmente diminuito nel corso degli ultimi anni l'appoggio ai movimenti terroristici in nome di una logica libertaria guidata dalla fede musulmana. Ben il 67% dichiara però di essere in qualche modo preoccupata riguardo l'estremismo religioso, a dimostrazione del fatto che il fenomeno non sia da sottovalutare poiché non è scomparso del tutto. I più allarmati risultano essere i cristiani maroniti del Libano, vittime insieme alle altre etnie di diverse guerre civili che hanno portato a massacri indiscriminati nelle diverse file degli schieramenti contrapposti su basi religiose. Si ricordi per esempio la guerra civile iniziata nel 1975 e durata per tutti gli anni Ottanta. Tornando alla questione israelo-palestinese il consenso della popolazione palestinese agli atti terroristici può essere spiegato facendo riferimento alla forte presenza del partito Hamas, diffusosi in seguito al declino del prestigio dell'Olp.

(ilsussidiario.net, 11 settembre 2013)


Coppa Davis, Belgio-Israele: domani aprono Sela e Darcis

Saranno Dudi Sela e Steve Darcis ad aprire il playoff di Coppa Davis tra Belgio e Israele che inizia domani ad Anversa. La federazione israeliana (ITA) ha infatti ottenuto di cominciare un giorno prima e non giocare sabato, giorno dello Yom Kippur (Giorno dell'Espiazione), la festività più sacra e importante del calendario ebraico, che segna la fine dei "Dieci giorni dell'Espiazione", e concede agli ebrei l'ultima opportunità di ottenere il perdono e l'assoluzione dai propri peccati per l'anno appena giunto al termine. E' un giorno di digiuno e preghiera, celebrato il 10 di Tishrei, 10 giorni dopo Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico.
L'ITA ha raggiunto un accordo per rimborsare la federazione belga di qualsiasi costo aggiuntivo derivante dalla modifica della schedule e dall'aumento dei giorni di gare. La revisione delle date è stata proposta dalla federazione belga e approvata dal Comitato della Coppa Davis". Un episodio analogo si era già verificato nel 2010, quando Israele perse al quinto e decisivo singolare contro l'Austria.
Il Belgio schiera Ruben Bemelmans, che affronterà Amir Weintraub, come primo singolarista. David Goffin, infatti, si è fratturato il polso sinistro cadendo durante un allenamento con Darcis: dovrà restare fermo almeno otto settimane.

(Quotidiano.net, 11 settembre 2013)


Non intervento

di Francesco Lucrezi

Di fronte alla drammatica crisi siriana, e all'eventualità di un intervento armato statunitense contro il regime di Assad, tutti i politici e i commentatori nostrani, senza alcuna eccezione, appaiono compatti come non mai nello sposare la linea del non intervento, e i giudizi di condanna, scherno, irrisione verso l'amministrazione americana traboccano da ogni foglio stampato, schermo televisivo, pulpito, microfono. La forza non fa che aggravare i problemi, si dice. Il Medio Oriente si incendierà. Scoppierà la Terza Guerra mondiale. Gli USA non possono essere il poliziotto del mondo. Bisogna lasciare spazio alla diplomazia. La guerra è brutta, meglio la pace ecc. ecc.
Per carità, nell'attuale, incandescente situazione, avere certezze di segno opposto sarebbe vera e propria follia, come sarebbe folle giocare disinvoltamente col fuoco nella polveriera del Medio Oriente. Un intervento militare non può mai essere affrontato a cuor leggero, senza calcolare attentamente il rapporto tra costi e benefici. E quale sia questo rapporto, nell'attuale situazione, è difficile dire. Personalmente, provo la più profonda ripugnanza per l'attuale regime siriano, e non posso non augurarmene la più rapida e totale cancellazione. Temo, però, che un eventuale governo degli insorti possa essere addirittura peggio, in quanto aggiungerebbe alla violenza dell'attuale dittatura l'incontrollabile irrazionalità e lo spirito di morte del fanatismo islamico.
La prudenza, di fronte all'uso della forza, è quindi d'obbligo. Ma, francamente, non mi ritrovo minimamente nella quasi totalità dei commenti 'pacifisti' dei nostri mezzi di comunicazione, che trovo, in larga parte, malati di miopia, cinismo e malafede. Soprattutto, nego a tali posizioni il crisma di moralità di cui vorrebbero ammantarsi. Non è morale dire "fate quello che volete, sterminate intere popolazioni, tanto non me ne importa niente, non mi riguarda e non muoverò mai un dito per arrestare la strage". Non è morale gridare "la guerra è brutta" esclusivamente quando entra in campo l'Occidente, facendo finta di dimenticare che la guerra c'è già, nella beata indifferenza del mondo. Non è morale invocare la politica e la diplomazia come semplice scusa e alibi per non fare niente, quando è evidente a tutti la totale, assoluta impotenza dell'una e dell'altra.
Una giusta dose di egoismo è sempre stata una fondamentale componente della natura umana, senza la quale, probabilmente, nessuna specie vivente avrebbe potuto affermarsi e resistere. Gli uomini delle caverne lottavano per difendere le proprie donne, i cuccioli, le provviste, ma non sarebbero sopravvissuti se fossero sempre usciti dalle tane per andare in soccorso ai vicini in pericolo. Vogliamo farci i fatti nostri? Benissimo, probabilmente è una scelta saggia. Ma diciamolo. E' inutile sforzarci di dimostrare che siamo più buoni e morali di Obama. E' una bugia, ed è fatica sprecata, perché lo pensano già tutti.

(Notiziario Ucei, 11 settembre 2013)


Haifa International Film Festival - Scelti dieci film italiani

di Antonio Capellupo

Dal 19 al 28 settembre, il cinema italiano sarà assoluto protagonista nella 29a edizione del "Haifa International Film Festival".
Dieci le pellicole inserite nel programma della kermesse israeliana, divise in quattro sezioni: "Alì ha gli Occhi Azzurri" di Claudio Giovannesi, "Salvo" di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, "Un Giorno devi Andare" di Giorgio Diritti e "Un Chateau en Italie" di Valeria Bruni Tedeschi sono previsti fuori concorso, mentre "Bella Addormentata" di Marco Bellocchio, "Miele" di Valeria Golino, "Viva la Libertà" di Roberto Andò e "Che strano chiamarsi Federico! Scola racconta Fellini" di Ettore Scola faranno parte della Golden Anchor Competition.
Evento di Gala per "La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino e sezione International Documentaries per "Stop the Pounding Heart" di Roberto Minervini.

(CinemaItaliano.info, 11 settembre 2013)


Israele - Il debito/Pil scende del 4,7% in un anno

Gli ultimi aggiornamenti dei conti pubblici del paese, condotti tradizionalemnte dall'Ufficio Centrale di Statistica - CBS www1.cbs.gov.il, mettono in luce come il debito/PIL del paese sia sceso del 4,7% nel 2012 passando dal 73,1% al 68,4%.
Il rapporto tra il debito pubblico e il PIL è considerato uno degli indici più importanti in quanto viene attentamente analizzato dalle agenzie di rating internazionale. Questo indice, riflette, infatti, le capacità dei governi di ripagare i propri debiti in futuro. Più basso e' il rapporto tra i due indicatori, maggiore e' la forza finanziaria del governo mutuatario.

(Tribuna Economica, 11 settembre 2013)


Tel Aviv: 'WiFi free’ in ottanta punti della città

Iniziativa del comune per la 'rivoluzione digitale'

TEL AVIV, 11 set - L'hanno definita la rivoluzione digitale per una citta 'Startup' che è già polo di tecnologia e innovazione: Tel Aviv offre il WiFi gratuito in 80 punti sparsi in città, come accade diffusamente negli Usa. Residenti e visitatori potranno così collegarsi ad internet senza pagare ovunque si trovino: spiagge, centri di divertimento e da molte delle attrattive turistiche. 20 punti sono stati suggeriti al comune dai cittadini che hanno espresso le loro preferenze sulla pagina Fb del municipio.

(ANSA, 11 settembre 2013)


Il suicidio altruista

diI Stefano Magni

Ci si domanda perché, a soli 12 anni di distanza dall'11 settembre 2001, dal più sanguinoso attacco agli Stati Uniti sul suolo statunitense, il presidente Barack Obama voglia iniziare le ostilità in Siria al fianco di Al Qaeda. La realtà è esattamente questa. Inutile, ormai, negare che la resistenza siriana sia completamente penetrata da gruppi jihadisti. Inutile fingere di credere che un intervento statunitense possa sostenere la sola resistenza "laica" dell'Esercito Siriano Libero e non le milizie di Al Nusrah (Al Qaeda siriana) che combattono dalla stessa parte, negli stessi territori e contro lo stesso nemico.
  La guerra contro Al Qaeda è tutt'altro che finita. Continuano i raid dei droni statunitensi. Continuano i tentativi di attentato, pianificati nello Yemen, in Somalia e in Pakistan. Eppure, nel bel mezzo di questa guerra, Obama concepisce un'azione (che per ora è rimandata) a favore di una fazione che include Al Qaeda, che, se andrà a buon fine, creerà in Siria un nuovo santuario dei terroristi. E allora, ancora, ci si domanda perché, a soli 12 anni di distanza dall'11 settembre 2001, con una guerra contro Al Qaeda ancora in corso, il presidente Barack Obama voglia iniziare le ostilità in Siria al fianco di Al Qaeda. "La realtà è complessa" risponderebbe il tipico esperto di relazioni internazionali. La realtà è molto semplice, direbbe l'uomo della strada. Ed è semplicissima, a dire il vero. Lo hanno capito i marines, i marinai, i soldati dell'esercito di terra, che si sono fotografati con il cartello "Non mi sono arruolato per andare a combattere in una guerra civile in Siria al fianco di Al Qaeda".
  Gli hacker della Syrian Electronic Army hanno piratato il sito dei marines, postandovi quelle foto sulla home page. Ma quegli auto-scatti sono autentici. E stanno diventando virali, anche su Twitter, sotto l'ashtag "I didn't join" (non mi sono arruolato per …). I soldati che si fotografano con i cartelli della protesta nascondono il loro volto, ma non la loro uniforme, portata orgogliosamente, spesso carica di medaglie conquistate sul fronte. Fonti anonime, in tutti i corpi d'arma, rivelano lo stesso identico malumore. I veterani di Iraq e Afghanistan, in particolar modo, si sentono traditi. E li si può capire: questa generazione di soldati, sottufficiali e ufficiali, si è arruolata dopo l'11 settembre 2001, per dare una mano al Paese attaccato, per combattere chi ancora minaccia amici, parenti, vicini di casa.
  Combattere dalla parte del nemico (non dell'ex nemico, non di un futuro nemico, ma del nemico attuale) non è forse un tradimento? Se nel 1943 o '44, in pieno conflitto, gli Stati Uniti si fossero alleati con i nazisti per combattere una delle campagne della Seconda Guerra Mondiale, che cosa direbbero oggi i libri di storia? Benché questo rischio di svolta a 180 gradi della politica americana sia sotto gli occhi di tutti, forse una sola corrente di pensiero libertario americano, quella degli oggettivisti, riesce a spiegare il perché. Secondo gli oggettivisti, discepoli della filosofa individualista radicale Ayn Rand (1905-1982), il problema della politica estera americana non è la sua inefficienza. Ma il sua natura altruista. "Un mondo sicuro per la democrazia" era quello che il presidente Woodrow Wilson voleva costruire nel 1918, dopo la Prima Guerra Mondiale. "Un'America più sicura" rispondeva Ayn Rand negli stessi anni, fuggita dall'internazionalismo dell'Unione Sovietica e riparata negli Usa a respirare un po' di sana libertà individuale.
  Il problema che aveva individuato Ayn Rand, negli anni del primo e del secondo dopoguerra e in quelli delle guerre in Corea e Vietnam, era proprio l'universalismo della politica estera statunitense. Quella volontà di combattere per "gli altri" e non "per sé". Alla fine della Guerra del Vietnam, la Rand constatava con orrore come i soldati americani avessero rischiato e perso la vita per difendere un popolo sudvietnamita che non amava né l'America né gli americani. Constatava come quella guerra non fosse stata combattuta per garantire la sicurezza degli americani, ma il benessere di un popolo alleato, in un'area non indispensabile da un punto di vista strategico. Contrariamente ai pacifisti, la filosofa fuggita dall'Urss non è mai stata pacifista. Anzi. Non tollerava neppure l'atteggiamento dei Paesi non-allineati. Il problema che lei individuava era nelcomee nelperchéuna guerra si combatte. Il perché è presto detto: lo Stato deve difendere i propri cittadini da aggressioni esterne. È il suo scopo principale, forse l'unico ruolo legittimo di un governo. Il come è anche presto detto: si combatte usando tutti i mezzi necessari e sufficienti a eliminare la fonte del pericolo.
  Il Vietnam non rispondeva a nessuna di queste due caratteristiche: fu combattuta contro un nemico che non costituiva una minaccia diretta alla vita degli americani e fu condotta, deliberatamente, non per cercare una vittoria schiacciante e definitiva sul campo, ma per vincere "i cuori e le menti" di un altro popolo, da una classe politica progressista che voleva applicare le teorie del welfare state anche alla strategia militare. Il problema è proprio nella logica di Wilson: si combatte per rendere il "mondo" sicuro per la "democrazia", prima ancora che per la sicurezza dei proprio cittadini.
  La lezione del Vietnam, così come ce l'ha spiegata Ayn Rand, l'abbiamo purtroppo vista ripetersi in Afghanistan e in Iraq. Cos'è una politica di "nation building", se non un modo di combattere per gli altri, per il benessere degli afgani, più che per la sicurezza dei cittadini americani? E perché, a Baghdad, appena conquistata la città, gli americani hanno issato la bandiera irachena invece che quella americana? Anche i neoconservatori, prima ancora dei liberal, hanno adottato la filosofia wilsoniana, ritenendo che l'America potesse essere al sicuro solo in un "mondo sicuro per la democrazia".
  Non è solo una questione di etichette o di simboli. In guerra diventa una questione di vita o di morte. In un conflitto combattuto per "gli altri", si deve necessariamente limitare l'uso della forza. Si deve, prima di tutto, cercare di comprendere cosa la popolazione locale pensa di te, della tua presenza, del tuo modo di combattere. Si devono spendere risorse in aiuti umanitari e welfare locale, in psicologi, etnologi e antropologi, in mediatori culturali e in esperti di religioni, da ascoltare tanto quanto gli strateghi militari. Si devono sottrarre fior di risorse allo sforzo bellico, per regalarle alla popolazione nativa. Ci si deve sempre domandare se sia più lecito rischiare di perdere i propri soldati o rischiare di infliggere vittime collaterali ai civili e la risposta è sempre la prima: meglio perdere i propri soldati.
  E soprattutto, se è vero che si combatte per "gli altri", si deve scendere a compromessi. Tanti compromessi. Si deve dare ascolto a chi governerà quel Paese dopo la tua partenza, compreso chi odia visceralmente il tuo Paese. E così, dal 2005, i "realisti" che sono subentrati ai neoconservatori, hanno iniziato a dar retta ai Fratelli Musulmani, ritenendoli meno pericolosi di Al Qaeda, nella convinzione che possano anche governare senza fare la guerra agli Stati Uniti. Dal 2010 si stanno sdoganando i Talebani in Afghanistan, nella convinzione che la loro sia una minaccia più locale e marginale rispetto a quella di Al Qaeda. Prima, per pudore, si diceva che le trattative fossero avviate solo con i Talebani "moderati", categoria che esiste nelle menti del Dipartimento di Stato, ma sconosciuta ai Talebani stessi. Adesso è chiaro che si sta trattando direttamente con i Talebani del Mullah Omar.
  Che non è propriamente un moderato, visto che fu l'uomo che coprì la preparazione dell'11 settembre 2001. Con un intervento in Siria, l'altruismo della politica estera americana farebbe un passo in più: sdoganerebbe un bel pezzo di Al Qaeda. In questo modo, però, non stupiamoci del fatto che gli Usa non stiano vincendo la guerra al terrorismo. Che ci siano tuttora attentati o tentativi di attentati. Che l'Islam radicale e totalitario continui ad espandersi e a fare vittime. E che, a soli 12 anni dall'11 settembre 2001, si rischi di combattere una guerra dalla parte del nemico.

(TheRightNation, 10 settembre 2013)


Gli scienziati israeliani offrono la soluzione alla fame

Vediamo che cosa dirà il movimento di boicottaggio di Israele se Israele riuscirà a sviluppare nuove tecnologie per ridurre la fame, rendendo possibile la crescita delle colture nella siccità. Forse incolperà Israele per la riduzione dei prezzi del cibo.

di Aryeh Savir

Un team di scienziati israeliani ha sviluppato una nuova tecnologia in grado di minimizzare carestie e conflitti, consentendo coltivazioni in tutto il mondo anche in condizioni di siccità.
Il professor Shimon Gepstein, cancelliere del Collegio Kinneret, dirige un gruppo di lavoro con l'obiettivo di modificare geneticamente una pianta in modo che possa resistere alla siccità per mezzo di una "autoibernazione" dopo un determinato periodo senza acqua e poi "resuscitare" quando riceve nuovamente acqua, senza che la struttura fisica della pianta subisca alcun danno.
Un portavoce del Collegio Kinneret ha detto alla Tazpit News Agency, che i risultati si stanno già mettendo in pratica e che aziende internazionali hanno espresso interesse per questa tecnologia.
La scoperta è avvenuta per caso durante la conduzione di esperimenti per prolungare la longevità delle piante e la durata di conservazione delle verdure. Sperimentando su foglie di tabacco, gli scienziati sono riusciti a sviluppare una pianta che vive due volte più a lungo, producendo fiori e frutti molto tempo dopo che le piante regolari sono appassite e morte. Quando le punte delle foglie vengono tagliate, le piante regolari ingialliscono e muoiono dopo una settimana, mentre le piante geneticamente modificate rimangono verdi per 21 giorni.
La svolta si è avuta quando alcune piante sono state lasciate nella serra incustodite per quattro settimane. Le piante di tabacco devono essere bagnate ogni due o tre giorni.
Quando il team ha scoperto che le piante erano rimaste inalterate e non avevano perso la loro vitalità, ha deciso di effettuare una serie di test su piante modificate e regolari che non sono state innaffiate per tre settimane. Le piante regolari sono morte, e quelle modificate hanno ripreso a crescere dopo aver ricevuto l'acqua, senza avere subito alcun danno durante la "siccità".
La nuova tecnologia, se commercializzata, creerebbe una rivoluzione dato che gli scienziati prevedono che i cambiamenti climatici aumenteranno il numero e la gravità delle siccità in tutto il mondo.
In Israele e in altre zone aride, il grano piantato all'inizio dell'inverno e i germogli sviluppatisi dopo una pioggia precoce saranno in grado di sopravvivere a una successiva siccità.
La nuova tecnologia potrebbe anche alleviare una crescente carenza di acqua globale, in quanto le piante sopravvissute all'esperimento necessitano di appena un terzo della quantità normalmente necessaria.

(The Jews Press.com, 19 agosto 2013 - Segnalato e tradotto da ilblogdibarbara)


Calcio - Russia-Israele 3-1

La formazione di Fabio Capello vince 3-1 a San Pietroburgo e balza in testa al girone F di qualificazione.

Seconda vittoria consecutiva per la Russia di Fabio Capello che a San Pietroburgo batte 3-1 Israele nell'ottava giornata del gruppo F di qualificazione ai Mondiali di Brasile 2014. Dopo il 2-0 di venerdì scorso al Nord Irlanda la Russia infila un altro successo e balza in testa al girone davanti al Portogallo, 18 punti contro 17, a due turni dal termine.
Dopo una prima frazione chiusa a reti bianche sullo 0-0, la squadra di Capello sblocca subito il risultato a inizio ripresa con un terrificante uno-due. Al 50' Vasili Berezutskiy realizza con un destro in diagonale su assist di Shirokov mentre al 52' raddoppia Kokorin con una prodezza al volo dal limite dell'area che spedisce la palla all'incrocio. Al 74' il tris è di Glushakov, dopo rigore parato a Shirokov, mentre in pieno recupero arriva la rete di Israele con l'ex palermitano Zahavi.

(DataSport, 11 settembre 2013)

I gol


Quando il primo giorno di scuola non è uguale per tutti

Scolare di Gaza. Compiendo nove anni, i bambini
vengono divisi in base al genere. Illegale per i docenti
insegnare agli alunni del sesso opposto.
Lunedì scorso, nove settembre, la campanella è suonata per tutti gli alunni delle scuole pubbliche e private del Medio Oriente. Mentre in tutto il mondo gli studenti iniziano il nuovo anno scolastico conoscendo nuovi amici, imparando ad ampliare i propri orizzonti, i bambini di Gaza sono sottoposti al regime autoritario ed oppressivo di Hamas, che li priva di una vera educazione, insegnando loro come uccidere.
Continuano le pubblicazioni a cura dei servizi segreti israeliani sul modus operandi di Hamas, organizzazione terroristica che come obiettivo ha la cancellazione dello Stato di Israele. Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, mirati a screditare l'operato del governo in questione. Che Hamas sia un'organizzazione terroristica, non ci sono dubbi, considerando che è ritenuta tale anche dall'Unione Europea. Lo studio delle forze armate israeliane in collaborazione con il Mossad, mette in luce le nuove leggi scolastiche di Hamas.

- Rappresentano un affronto alla vita umana.
  Il primo giorno di scuola a Gaza, è totalmente diverso da quello che siamo abituati a vedere nel resto del mondo. Gli studenti di età superiore ai nove anni, si ritroveranno ad essere divisi in base al sesso e non potranno interagire con studenti ed insegnanti del genere opposto. Per i docenti è illegale fare lezione agli studenti del sesso opposto. La nuova legge minaccia soprattutto l'esistenza delle scuole private cristiane, che non riusciranno a mantenere scuole separate per ragazzi e ragazze. E 'solo un altro passo per sopprimere le opinioni dei non musulmani nella Striscia di Gaza .
A Gaza, tutte le scuole sono gestite da Hamas, così come molte chiese e tutte le organizzazioni internazionali. La nuova legge impone nelle scuole una rigida segregazione di genere e codici di abbigliamento ben definiti.

- Sei portato per la musica o per gli esplosivi?
  Anche Hamas ha le sue scuole "specializzate ", come la 'Al- Ahmad Jabari', dove si insegna il terrorismo e la lotta contro Israele. La scuola è finanziata dal Ministero dell'Istruzione di Gaza ed è aperta ai bambini di tutte le età.

- Peter Pan o un manuale per uccidere?
  I libri di testo poi. Hamas forma gli studenti su libri che descrivono gli ebrei come ladri e criminali. Nel corso di storia per esempio, agli studenti viene insegnato che tutti gli ebrei provengono dall'Europa, ignorando quelli espulsi dal Nord Africa e da tutto il Medio Oriente. Ovviamente nessuna traccia della Shoah. Alcune scuole insegnano l'ebraico, ma non come un modo per promuovere la pace e la comprensione. Matard Mahmoud, direttore generale del Ministero della Pubblica Istruzione di Gaza, dice che 'l'ebraico è insegnato esclusivamente perché è la lingua del nemico'.

- Attività extrascolastiche
  Nelle scuole superiori infine, le pause pranzo ed i corsi serali sono vere e proprie lezioni militari, in cui i bambini si allenano con i fucili d'assalto Kalashnikov, imparano ad usare bombe a mano ed a far esplodere ordigni. Fa tutto parte del programma 'Al- futuwwa' per i ragazzi tra i 15 ed i 17 anni.

(Tele Radio Sciacca, 11 settembre 2013)


Spazio aereo israeliano chiuso nel fine settimana per lo Yom Kippur

Voli bloccati dalle 13:30 di venerdì

Lo spazio aereo israeliano verrà chiuso al traffico per un intero giorno nel prossimo fine settimana, caratterizzato dalla festività dello Yom Kippur.
Lo Yom Kippur ("Giorno dell'espiazione") è la principale festività ebraica, caratterizzata da circa 25 ore di digiuno ed intensa preghiera. La data varia in base al calendario ebraico: quest'anno cade il 14 settembre, ma la festività inizia al tramonto del giorno precedente.
Di conseguenza, lo spazio aereo del Paese medio-orientale sarà chiuso al traffico dalle 13:30 di venerdì 13. L'ultimo volo ad atterrare all'aeroporto "Ben Gurion" di Tel Aviv, il principale scalo israeliano, arriverà da Lubiana, mentre l'ultimo a partire decollerà verso Copenhagen.
La riapertura dello spazio aereo avverrà alle 23:30 di sabato 14, con un volo per Amman, Giordania. I terminal dell'aeroporto "Ben Gurion" verranno riaperti la sera dello stesso giorno.
L'aeroporto "Ben Gurion" si trova a circa 19 km dal centro della città israeliana, e rappresenta il principale punto d'ingresso per le aree metropolitane di Tel Aviv e Gerusalemme, oltre che per l'intero Paese. È un hub per El Al, Israir Airlines e Arkia Israel Airlines. Nel 2012 ha gestito un traffico di 13.133.992 passeggeri, con 97.824 movimenti aerei.

(AvioNews, 10 settembre 2013)


Il ministro dell'Energia israeliano incontra la Comunità Ebraica di Roma

di Carlotta Livoli

Una terra stillante latte e miele e ricca di risorse energetiche capaci di far ingolosire il mondo intero, questa è Israele! Tra le alture del Golan ed il deserto del Neghev si trovano anche imponenti quantità di acqua da utilizzare a scopo energetico la cui disponibilità supera quella della penisola italiana, sebbene in Israele sia incalzante il problema della desertificazione. Inoltre vi è anche una considerevole riserva di gas. Ieri sera il ministro delle risorse energetiche ed idriche d'Israele, Silvan Shalom, figura bonaria ed al contempo autorevole, ha tenuto un incontro nel Tempio spagnolo di Roma, adiacente al Museo Ebraico, alla presenza di esponenti ed autorità della comunità ebraica romana quali il presidente Riccardo Pacifici e il Rabbino Capo Rav Riccardo Di Segni che hanno ringraziato l'ospite per poi passargli la parola. Il ministro ha esordito chiarendo la posizione israeliana rispetto alla crisi internazionale siriana, affermando con vigore che Israele mantiene una posizione al di fuori della disputa, astenendosi dall'entrare in gioco in una partita dagli schieramenti ambigui. Il ministro ha poi sottolineato la potenza energetica dello stato d'Israele, le sue risorse d'acqua e di gas, provocando il riso con una sonora battuta: "a chi mi chiede del gas israeliano, io rispondo che la nostra è una terra stillante latte e miele!". Ha illustrato con entusiasmo l'accordo stabilito tra Israele, Cipro e la Grecia. Un cavo sottomarino per la fornitura di energia collegherà infatti Israele e la Grecia passando per Cipro, così da esportare l'energia prodotta in Medio Oriente verso l'Europa. Questo rappresenta un passo importante per Israele ed i suoi rapporti internazionali. Infatti, anche l'Italia ha dimostrato interesse per questo accordo. L'incontro è stato particolarmente stimolante, i presenti hanno partecipato con entusiasmo ponendo interessanti domande ed i temi affrontati, di scottante attualità, hanno catturato l'attenzione con successo.

(Comunità Ebraica di Roma, 10 settembre 2013)


El Al sospende i voli diurni per Eilat

TEL AVIV, 10 set - La compagnia aerea israeliana El Al ha sospeso oggi a sorpresa i voli diurni per Eilat (sul Mar Rosso, a ridosso del confine col turbolento Sinai egiziano), adducendo ragioni cautelari di sicurezza. L'El Al ha spiegato che le autorita' israeliane hanno appena modificato le rotte da e per Eilat e che nelle condizioni attuali non sussistono piu', a suo parere, i necessari margini di sicurezza. Due altre compagnie, Israir e Arkia, non hanno invece alterato le proprie attivita' verso Eilat.

(ANSA, 10 settembre 2013)


L'oro del Tempio di Gerusalemme

Gli scavi condotti durante l'estate dall'archeologa Eilat Mazar hanno portato alla scoperta di due involti di preziosi. Sono tornate alla luce trentasei monete d'oro, gioielli d'oro e d'argento, a un medaglione d'oro su cui è incisa una Menorah.

di Marco Tosatti

L'archeologa Eilat Mazar
La corsa all'oro è cominciata sotto il monte del Tempio a Gerusalemme; e ha cominciato a dare i suoi frutti. Gli scavi condotti durante l'estate dall'archeologa Eilat Mazar hanno portato alla scoperta di due involti di preziosi. Sono tornate alla luce trentasei monete d'oro, gioielli d'oro e d'argento, e un medaglione d'oro su cui è incisa una Menorah (il candelabro a sette braccia). Nello stesso medaglione sono incisi uno shofar (il corno rituale) e un rotolo della Torah Questo ritrovamento eccezionale è stato battezzato il "Tesoro Ophel".
Il ritrovamento avvenuto a circa 50 metri dalla parte meridionale del Muro, risale al settimo secolo dell'era cristiana, ed è avvenuto sul sito di un edificio pubblico bizantino distrutto. In questa zona in passato sono stati trovati reperti molto antichi, risalenti all'epoca del Primo Tempio. Per Eilat Mazar trovare oggetti di un periodo così più recente è stata una completa sorpresa. Il medaglione era destinato probabilmente ad ornare un rotolo di Torah.

(La Stampa, 10 settembre 2013)


Calcio - Oggi la partita Russia-Israele

Quest'oggi alle ore 17 la Russia ospiterà l'Israele nell'incontro valevole per la Qualificazione al Campionato del Mondo Brasile 2014.

Con una gara in meno i padroni di casa proveranno a superare il Portogallo di Cristiano Ronaldo che usufruirà del turno di riposo. Sembrerebbe una partita semplice per la formazione di Fabio Capello ma l'Israele è a sole tre lunghezze dai padroni di casa che non possono sottovalutare un avversario che non perde da quattro match. All'andata c'è stata una vittoria schiacciante della Russia per 4 a 0 ma, occhi aperti per Capello.

(Te La Do Io L'America, 10 settembre 2013)


Israele e lo sviluppo sostenibile

Silvan Shalom
ROMA - "Un momento di confronto molto utile e stimolante". È la valutazione che il consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Alex Luzon fa dell'incontro svoltosi domenica a Roma tra il ministro israeliano dell'Energia, dell'Acqua e dello Sviluppo Silvan Shalom, in Italia per alcuni colloqui istituzionali, e numerosi esponenti della realtà ebraica capitolina. Tra le tematiche affrontate nel corso dell'incontro l'energia come chiave per il progresso e lo sviluppo delle nazioni, il ruolo di Israele nel bacino mediterraneo, la preoccupazione per la crisi siriana. A colpire Luzon le riflessioni del ministro Shalom sul fronte delle energie rinnovabili, settore in cui Israele è sempre più all'avanguardia. "Da avvocato mi occupo spesso di diritto ambientale. Una tematica che mi è molto cara e che vede Israele tra i paesi protagonisti di un nuovo modello di sviluppo", afferma Luzon.
Presenti all'incontro consiglieri della Comunità romana e presidenti di associazioni ebraiche locali e nazionali. A fianco del leader comunitario Riccardo Pacifici, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni. In rappresentanza dell'UCEI, assieme a Luzon, i componenti di Giunta Settimio Pavoncello e Raffaele Sassun e i consiglieri Elvira Di Cave e Barbara Pontecorvo.

(Notiziario Ucei, 10 settembre 2013)


11 settembre 2013: Anonymous attacca USA e Israele

di Antonino Caffo

Il gruppo degli AnonGhost ha annunciato il lancio di #OpIsrael Reborn, un'altra campagna in difesa della Palestina.

Domani sarà l'11 settembre, il dodicesimo anniversario dell'attentato terroristico alle Torri Gemelle. Un giorno da ricordare per milioni di cittadini di tutto il mondo come punto di rottura tra la storia recente e quella futura basata sulla corsa alla protezione e prevenzione di ulteriori minaccia orientali. Un giorno che anche Anonymous vuole far ricordare ma in senso contrario. Gli hacktivisti hanno lanciato la seconda #OpIsrael proprio in occasione del prossimo 11 settembre come campagna digitale contro gli alleati Israele e Stati Uniti.
La dichiarazione di guerra:
"Ciao Israele, noi siamo gli stessi che ti hanno colpito il 7 aprile 2013 e adesso siamo tornati per punirvi. AnonGhost è dappertutto. Non c'è nessun Israele sulla mappa, nessuno vi riconosce perchè vi è la Palestina" - hanno scritto gli hacker su diversi siti già "defacciati".
Nonostante le minacce di colpire e spegnere diversi siti affiliati al governo, gli esperti dicono che i danni che gli hacker potrebbero causare sono di rilevanza minore.

L'annuncio su YouTube
Un video in lingua inglese su YouTube ha invitato gli hacker musulmani di tutto il mondo a partecipare all'iniziativa di domani. Partita diverse settimane fa, la #OpIsrael Reborn ha già causato alcuni disservizi su obiettivi israeliani di certo non strategici come una società specializzata in piscine di nome Aquapool, una compagnia di interior design e un outlet per bambini.

(Data Manager, 10 settembre 2013)


La piccola Moncalvo d'Israele

di Nicola Gallino

C'è in Israele un pezzo di storia ebraica piemontese custodito dagli eucalipti e dal vento caldo che qui gira dal promontorio di Giaffa. È l'"Aron ha Kodesh" della sinagoga di Moncalvo, sacro armadione ligneo dove gli ebrei monferrini riponevano i rotoli della Torah. Due colonne ioniche tinte a finto marmo. Ante massicce e protettive. Sopra, il capriccio d'oro e intagli di un fastigio. E in cima le Tavole della Legge incoronate. Un manufatto di ebanisteria primo Ottocento in tutta la sua solennità, salvato e restituito al culto della sinagoga Obadiah da Bertinoro di Ramat Gan, popoloso e tranquillo sobborgo residenziale di Tel Aviv. L'"aron" è affidato alle cure di un nucleo di ebrei italiani che hanno fatto "aliyah" negli anni Quaranta e Cinquanta e che oggi si godono una longeva e serena stagione di affetti e di memorie.
   La comunità ebraica di Moncalvo è per secoli tra le più fiorenti del Piemonte. Di lì arrivano i «barba», gli antenati che Primo Levi evoca con ironia e tenerezza in "Argon", primo racconto del "Sistema periodico". Con Asti e Fossano, Moncalvo è depositaria dell'Apam, rito antico e speciale così
  La sinagoga Obadiah
chiamato dall'acronimo delle iniziali ebraiche delle tre città e dotato di canti e preghiere tutti suoi. Lì sono risuonati gli ultimi echi del dialetto giudeo-piemontese. E nel 1860 inaugura con orgoglio la nuova facciata della sua sinagoga: l'unica in Europa a insistere sulla piazza principale, intitolata proprio a quel Carlo Alberto che nel 1848 aveva emancipato gli ebrei piemontesi permettendo loro di non nascondere più i templi nei penetrali di anonimi casamenti.
   Poi le piccole comunità di provincia si svuotano poco a poco: per saldo naturale, per l'inurbamento che attira tante famiglie israelite verso Torino e i centri maggiori. Dopo l'ultima guerra anche a Moncalvo non c'è più nessuno. Il tempio chiude i battenti. Oggi resta un guscio vuoto, confuso fra le case del centro storico e una memoria sbiadita che lo chiama «la cèsa dij Ebrei». Solo Piero Norzi, anni fa, è tornato lì da Torino per spremere dalla fecondità veramente biblica di queste colline il primo vino "kosher" del Piemonte. È lui che custodisce l'antico cimitero israelitico e lo apre ai turisti che arrivano da tutto il mondo in occasione delle festività religiose e delle Giornate Europee della Cultura Ebraica, la prossima in programma il 29 settembre.
   Fra le villette e i giardini tropicali di Ramat Gan ci accompagna Sharon Nizza, giovane ebrea italiana da anni in Israele dove si occupa di cultura e sociale. La sinagoga porta il nome di Obadiah da Bertinoro, rabbino del Quattrocento autore di un compendio della Mishnah venerato in tutte le comunità d'Europa. Il fabbricato in cemento è arricciato e dimesso. Niente sontuosità o bellurie. Semmai la stessa aria domestica di tante chiese prefabbricate delle nostre periferie. Sui gradini ci aspettano Silvio e Liliana Della Torre e Simcha Nahon. Simcha è figlia di Umberto Nahon, infaticabile salvatore del patrimonio dell'ebraismo italiano dopo la Seconda Guerra Mondiale. A lui è intitolato il piccolo e meraviglioso Museo di Arte Ebraica Italiana di Gerusalemme. Silvio è del 1919, novantaquattro anni. Liliana una decina di meno. Ma non glieli daresti mai. Hanno la lucidità signorile di una vita piena di ricordi e cose da raccontare.
   «Ho vissuto a Torino negli anni della guerra», si scioglie lui. «Lì ho conosciuto mia moglie, che abitava in via della Rocca angolo corso Vittorio. Frequentavo la casa, lei era ancora una bambina». E un po' alla volta riaffiorano storie incredibili. «Arrivai a Torino per imparare un mestiere che mi consentisse di trasferirmi in terra d'Israele non appena possibile. Ma l'Italia entrò in guerra e non potei più muovermi. Finché mi cercò un industriale meccanico che mi permise di lavorare per l'intero conflitto senza nemmeno cambiare identità». Perché ci sono anche Della Torre non ebrei, e il cognome non insospettiva. «Sotto la Rsi fui fermato molte volte ma sempre rilasciato, perché la mia classe non era stata richiamata e la mia officina faceva produzioni belliche per i tedeschi. Mi andò bene quella volta che a un posto di blocco si dimenticarono di perquisirmi. In tasca avevo il libro di preghiere per Pesach», la Pasqua ebraica. E Liliana sorride con occhi da sposina: «Ditemi se non è pazzo... ».
Poi l'incubo finisce. Silvio nel 1945 fa "aliyah" assieme ai genitori e altri tre fratelli, oggi ancora tutti in Israele e felicemente veleggianti fra i 90 e i 98 anni. Uno, Mario, è anzi fra gli ultimi depositari del "bagitto", il vernacolo giudeo-livornese nel quale ha pubblicato vivaci poesie. Silvio negli anni successivi torna a Torino appena può. Ritrova Liliana cresciuta. Si frequentano. Nel 1954 rav Dario Disegni li sposa in sinagoga a San Salvario e lei lo segue in Israele. A dividerli resta un dettaglio più forte del legame mosaico. «Io sono livornese. Mio nonno è stato l'ultimo rabbino a Pisa, poi finito deportato. Ma mia moglie è di famiglia pisana… Sa com'è il detto: "Meglio un morto in casa"... «. E ride mentre te lo sussurra in un orecchio, sornione e tranchant: «Per me... mia moglie è torinese e basta».
   Anche all'interno la sinagoga è spoglia, essenziale. Arrivano da Moncalvo anche i capitelli ionici in legno dorato montati sopra le finestre a "vasistas", unica ricercatezza oltre all'altare. Simcha: «A Ramat Gan gli italiani sono sempre stati numerosi. Diverse centinaia. La strada principale la chiamavano addirittura "Boulevard des Italiens". All'inizio era tutto molto precario. Il dottor Genazzani era rabbino e faceva scuola. Si pregava a casa di Germana Sinigaglia e Lidia Servadio, venute qui nel 1939. La Sinigaglia convince il Comune a cedere un appezzamento su cui viene costruita una prima sala, quella che oggi è il tempietto sotterraneo che funge anche da rifugio. Finché un giorno una comunità ashkenazita tedesca ci chiede di poterlo utilizzare. Noi glielo vendiamo e con il ricavato, fra il 1988 e il '91, riusciamo a edificare questa sinagoga».
   I rotoli manoscritti della Torah arrivano dall'Italia, alcuni vecchi anche di trecento anni. Pure i banchi arrivano dalla Penisola, restaurati con cura a Gerusalemme. Ma manca la cosa più importante. L'aron, appunto. A Ramat Gan vengono a sapere che in una yeshiva, una scuola religiosa di Benei Berak, pia cittadina nei pressi di Tel Aviv, ce n'è uno antico. Lo aveva portato in Israele nel 1950 il rabbino Yosef Kahaneman, chiamato in Piemonte da Umberto Nahon a salvare dall'abbandono il tempio di Moncalvo ormai chiuso. Lo fanno restaurare e lo riportano agli onori del culto.
   Oggi in Israele sono una ventina le sinagoghe italiane smontate pezzo per pezzo e ricostruite in tutto o in parte: metafora scintillante del rapporto unico che il popolo ebraico ha con la nozione di radici, di «qui» e «altrove». Saluzzo, Trino Vercellese, Busseto, Soragna, Reggio Emilia, Sabbioneta, Mantova, Padova, Pesaro, Ancona, Livorno, Pisa — visitata di recente dal concittadino Enrico Letta — fino agli splendori rococò di quella di Conegliano rimontata nel Museo Nahon e quella di Vittorio Veneto, dal 1964 all'Israel Museum. Dà emozione pensare che su quelle panche pregava e sgambettava da bambino Lorenzo Da Ponte, il futuro librettista di "Nozze di Figaro", "Don Giovanni" e "Così fan tutte".
   «La sinagoga di Ramat Gan la frequentano una ventina di famiglie fisse e molte di passaggio. Italiani, francesi e belgi che vengono a celebrare il "bar mitzvah" dei ragazzi perché apprezzano la moderazione e liberalità di noi ebrei occidentali». L'"aron" monferrino però non ode più le invocazioni del rito Apam ma quelle livornesi sefardite. Su questo, Silvio è fiero e perentorio: «Ancora oggi si fa così. Le preghiere e i canti degli ebrei dei paesi arabi ci feriscono. I tedeschi sembra che piangano. Noi vogliamo armonia, teniamo molto ai nostri canti e alla loro melodiosità. Siamo italiani e abbiamo la musica nel cuore». E mentre usciamo arriva da Liliana una visione sospesa come un flebile rimpianto: «Mia nonna a Torino faceva in casa il salame d'oca "kosher". Chissà se si trova ancora...».

(la Repubblica, 10 settembre 2013)


L'Unione Europea stanzia 52 milioni per i palestinesi

L'Ue stanziera' 52 milioni a sostegno del popolo palestinese. L'annuncio e' stato dato questa mattina dopo l'incontro avvenuto a Bruxelles tra il primo ministro palestinese Rami Hamdallah e l'alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton. Il finanziamento rientra nel Piano di sviluppo nazionale palestinese 2011-2013, che ha come obiettivo quello di assicurare un idoneo sviluppo economico, sociale e istituzionale per la Palestina.

(affaritaliani.it, 9 settembre 2013)


Energia: Zanonato incontra il ministro israeliano Shalom

'L'Italia puo' essere un ponte energetico verso l'Europa'

ROMA, 9 set - Lo sviluppo della cooperazione tra Italia e Israele nel settore energetico e in particolare del gas, ma anche il proseguimento della collaborazione nel campo dell'innovazione tecnologica e della ricerca, sono stati i temi al centro di un bilaterale tra il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato e il ministro dell'Energia e dell'Acqua Silvan Shalom. Nel corso dell'incontro, Zanonato ha prospettato il ruolo di 'ponte energetico' verso l'Europa che l'Italia potrebbe rivestire nei confronti di Israele, oltre a quello di potenziale acquirente di gas. Le ricerche intraprese dal governo israeliano nelle aree marine di sua giurisdizione hanno infatti consentito recentemente il rinvenimento di rilevanti giacimenti di gas naturale che potrebbero rivoluzionare il proprio stato di approvvigionamento energetico ed avere riflessi importanti nel delicato quadro geopolitico del Medio Oriente. Shalom ha manifestato a Zanonato l'interesse di Israele ad esplorare tutte le possibili modalita' di esportazione del gas, a partire dall'opzione di un gasdotto connesso con il Corridoio Sud e con Tap.

(Borsa italiana, 9 settembre 2013)


Oltremare - Tashlich
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Felicemente dimentica delle guerre in preparazione, nei due giorni di Rosh HaShanah e poi Shabbat mi trovavo nelle sante altitudini di Gerusalemme. Come ogni anno, le celebrazioni del nuovo anno ebraico prevedono la divisione del tempo in tre terzi equivalenti: funzioni al tempio, pranzi e cene supersociali e piacevolmente interminabili, e sonno ristoratore ovvero sonno di difesa, ove l'alternativa sarebbe mangiare ancora, e non è proprio possibile. Nel pomeriggio del primo giorno di festa, usa andare in riva a un corso d'acqua dove ci siano pesci, e recitare una preghiera con la quale si gettano idealmente tutti i peccati dell'anno passato nel fiume o ruscello che sia, perché: i pesci o la corrente se li portino via fino al mare, dove si disperdono ed annullano. E per chi non lo sapesse, a Gerusalemme l'acqua è merce rara. Salvo le fontane a riciclo, che non valgono perché: appunto, l'acqua non va da nessuna parte e di certo non al mare, sono pochi i punti in cui si può uscire d'obbligo con il Tashlich. Uno è il laghetto del Giardino Botanico, che ogni anno diventa luogo di intenso passaggio e breve sosta di una varia umanità ebraica: dal chassid vestito di nero che più nero non si può, al portatore di kippah colorata fatta all'uncinetto e camicia bianca che legge la sua brava preghiera guardando l'acqua e va via tranquillo, mentre gli altri continuano a ballare e cantare in circoli strettamente maschili. I pesci intanto ingrassano, perché: i bambini gettano loro pane e biscotti veri. E fino a sera, l'accesso al Giardino Botanico sembra un'autostrada in miniatura: un flusso continuo in entrata e in uscita, compresi tamponamenti fra passeggini e imbottigliamenti. Meraviglie di Gerusalemme, dove quando si riesce a fare una cosa tutti insieme fra ebrei vestiti in maniere diverse, senza tensioni, è una vera delizia.

(Notiziario Ucei, 9 settembre 2013)


Come i palestinesi spendono il (nostro) denaro

Dal 2004 soltanto l'Unione Europea ha destinato almeno 5 miliardi di dollari al sostegno dell'autorità nazionale palestinese (ANP). Cosa fa Ramallah di questo fiume di denaro che sopraggiunge da tutto il mondo? Un sacco di cose: passa una ricca diaria alle famiglie dei terroristi ospitati nelle carceri israeliane, finanzia i viaggi in giro per il mondo della presidenza Abu Mazen (presidente, famiglia, cortigiani e servitori compresi), spende soldi in pubbliche relazioni internazionali, e così via....

(Il Borghesino, 8 settembre 2013)


Obama chiede aiuto politico a Netanyahu


(RaiNews24, 9 settembre 2013)


Il clarinetto di Terezin

MANTOVA - Terezin fu un campo di reclusione particolare. Un campo in cui gli ebrei - lì raccolti nell'attesa di essere trasferiti ad altri luoghi di sterminio - potevano andare a scuola, scrivere giornali ed ascoltare la musica. Prima però che Terezin divenisse un braccio del regime nazista, essa era una tranquillissima città-fortezza, con i suoi abitanti e le sue fabbriche. Fra d'esse ce n'era una che produceva strumenti musicali e che realizzò un clarinetto, che fu poi acquistato da un ebreo di Praga. Quest'ultimo divenne una delle innumerabili vittime delle deportazioni e si ritrovò proprio a Terezin, col suo clarinetto, che così face ritorno nel suo luogo d'origine.
Il musicista morì, il clarinetto rimase fra quelle mura e subì la rovina del tempo e dell'abbandono.
Quel clarinetto, ritrovato e restaurato, è tornato a suonare per la prima volta davanti al grande pubblico dell'ultima giornata di Mantova Festivaletteratura 2013 giunto per ascoltarlo, grazie al fiato di Gabriele Coen e incoraggiato dall'accompagnamento vocale di Enrico Fink.
La sua melodia porta ancora la voce di quel posto, di quegli anni e di quel dolore.

(Notiziario Ucei, 9 settembre 2013)


Qualcuno lo sa?

Un giornalista in erba egiziano chiede alle persone se hanno mai sentito parlare di Olocausto.




IN STUDIO

Ragazzino: Benvenuto al nostro spettacolo. Oggi parleremo di ...

SULLA STRADA

Ragazzino :Che cos'è l'Olocausto?
Donna: Che cosa?
Ragazzino: L'Olocausto.
Donna: Non lo so.
Uomo: L'Olocausto? Non ho idea.
Giovane: Dammi alcune opzioni tra cui scegliere. In Germania? Ne ho sentito parlare, ma non so esattamente che cosa sia successo.
Un altro giovane: Lo che?
Ragazzino: L'Olocausto ...
Giovane: Olocausto? Puoi ripetere la domanda?
Ragazzino: L'Olocausto.
Giovane: Quale Olocausto? Non ne ho idea.
Donna anziana: Non lo so.
Donna giovane: Perché non mi dici di che cosa si tratta? Ti ho detto che non lo so. Non c'è niente di sbagliato a imparare qualcosa da qualcuno che è più giovane di te.
Uomo: Ah, l'Olocausto? Vuoi dire Olocausto di Hitler? Durante la guerra, li ha bruciati [gli ebrei] in forni crematori.
Un'altra donna: Hitler ha catturato gli ebrei e li ha bruciati e gasati. Ha ucciso molti di loro. Ma non sono convinta che questo sia realmente accaduto.
Un altro uomo: E' un termine nuovo. E 'la prima volta che lo sento in Egitto.
Giovane: O ha bruciato gli ebrei, o sono gli ebrei che hanno bruciato... non ricordo esattamente.
Giovane: L'Olocausto ha avuto luogo durante la seconda guerra mondiale. Hitler catturato gli ebrei e li ha messi in certe cose chiamate camere a gas. Ci sono controversie sulle cifre. Alcuni dicono che sono stati uccisi tre milioni di ebrei, altri dicono che erano un milione. Alcuni si chiedono se sia veramente avvenuto.

IN STUDIO

Ragazzino: Nell'Olocausto un sacco di persone furono arrestate e uccise.

(MEMRI, maggio 2013)


Siria - Minacce dall'Iran: rapiremo la figlia di Obama

LONDRA - Pesanti minacce dall'Iran al presidente Usa Barack Obama e al suo staff diplomatico in caso di un intervento militare in Siria. Nelle ultime sono arrivate da Alireza Forghani, ex governatore della provincia iraniana di Kish e consigliere dell'ayatollah Ali Khamenei che in un blog ha fatto sapere che nel caso di attacco Usa "nel giro di 21 ore in tutto il mondo saranno rapiti i familiari e i figli dei funzionari altolocati Usa, compresa Sasha, la figlia del presidente Obama". Il funzionario iraniano avverte anche che "18 ore dopo il rapimento il governo Usa ricevera' filmati contenenti immagini di amputazione dei loro arti". E' di ieri la notizia che i servizi segreti americani hanno intercettato l'ordine di un funzionario iraniano ai militanti sciiti in Iraq di attaccare obiettivi Usa a Baghdad in caso di intervento militare in Siria, ha rivelato il Wall Street Journal citando fonti dell'Amministrazione Obama secondo cui l'ambasciata Usa in Iraq sarebbe tra i possibili obiettivi. Il messaggio risale agli ultimi giorni e sarebbe partito dal generale Qassem Suleimani, comandante della cosiddetta Niru-ye Quds (Forza Gerusalemme). Si tratta di un'unita' speciale dei Guardiani della Rivoluzione che si occupa delle operazioni all'estero e che risponde direttamente alla Guida Suprema della repubblica islamica, Ali Khamenei.
La notizia, che non e' stata commentata da fonti ufficiali Usa, e' uscita nelle stesse ore in cui il Dipartimento di Stato americano invitava i cittadini americani a evitare viaggi in Iraq se non "essenziali". Sempre ieri il Dipartimento di Stato americano ha annunciato di aver evacuato dall'ambasciata Usa a Beirut tutto il personale non adibito a compiti di emergenza e i rispettivi familiari, a causa di non meglio specificate "minacce rivolte alle missioni diplomatiche statunitensi all'estero e ai loro dipendenti". In una nota si intima inoltre a tutti i connazionali di "evitare qualsiasi viaggio in Libano a causa delle attuali preoccupazioni concernenti sicurezza e incolumita'". Analogo provvedimento e' stato inoltre adottato nei confronti del consolato generale di Adana, capoluogo dell'omonima provincia della Turchia meridionale, dove e' stata ridotta la presenza dei diplomatici .

(AGI, 8 settembre 2013)


La città dalla manna buona

MANTOVA - Sviluppare una formula snella per dar vita a iniziative letterarie, conferenze e network sui temi della cultura ebraica mantovana. È la sfida dell'associazione "Man Tovà - la città della manna buona'" appena costituitasi a Mantova con lo studioso Stefano Patuzzi alla presidenza. Questa mattina a Mantova, all'Archivio di Stato, la presentazione del progetto simultaneamente alla presentazione dello studio che Ermanno Finzi ha voluto dedicare alle vicende, legate al proprio vissuto familiare, degli ebrei di Rivarolo Mantovano ("La culla dei Finzi"). A coaudivare Patuzzi in questa nuova sfida, aperta a tutta la cittadinanza, l'attuale leader comunitario Emanuele Colorni e il presidente della Fondazione Franchetti Aldo Norsa. L'associazione potrà inoltre contare sull'appoggio di un nutrito gruppo di studiosi di fama. A partire da Mauro Perani, cui è stata recentemente attribuita la scoperta del più antico Sefer Torah integrale mai rinvenuto.
Nel logo dell'associazione un richiamo ai momenti peculiari dell'identità ebraica mantovana e al contorno paesaggistico di una città ancora oggi al centro dell'attenzione nazionale con le intense giornate del Festivaletteratura di cui va concludendosi proprio in queste ore una nuova edizione. Città di Mantova, comunità ebraica: un legame saldo e inscindibile, che Man Tovà afferma nel proprio biglietto di visita. La forma delle lettere utilizzate nel logo ripropone infatti, con alcune varianti, la forma di alcune lettere dell'alfabeto ebraico. Un modo per comunicare fin dall'aspetto grafico la natura di un'associazione declinata nel segno dell'interazione e del reciproco arricchimento. Un tuffo nella storia, ma anche un nuovo asset di progettualità.

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Dalla divisa di Tsahal al Festival


Shani Boianjiu
MANTOVA - Giunto alla sua ultima giornata, Festivaletteratura 2013 di Mantova porta Paolo Giordano ("Il corpo umano", Mondadori) ad incontrare Shani Boianjiu, scrittrice israeliana che a soli 26 anni ha raggiunto il successo con il suo romanzo "La gente come noi non ha paura" (Rizzoli), elogiato da tutta la critica internazionale e già tradotto in 23 lingue, che racconta la vita delle ragazze impegnate nell'esperienza del servizio militare.
Il conflitto in Medio Oriente è a Mantova un tema di grande interesse, non solo per le relazioni politiche che si instaurano attorno ad essa, ma soprattutto per ciò che concerne i suoi risvolti umani nella vita dei singoli cittadini, i quali si confrontano quotidianamente con una situazione drammatica e con il rischio di tramutare la paura una nevrosi. Come infatti afferma l'autrice, i giovani israeliani - pur vivendo nella tragicità e nella sofferenza della guerra - devono trovare la forza e il coraggio di andare oltre la divisa mimetica, di conciliare il dramma con la necessità di attraversare le tappe di vita e di crescita tipiche di chi si affaccia al mondo della vita adulta, scopre le relazioni, il sesso, il mondo del lavoro e tenta di crearsi una posizione stabile e sicura nel mondo.

((Notiziario Ucei, 8 settembre 2013)


Ragazze in divisa


Calcio - L'Azerbaigian frena Israele

Israele - Azerbaigian 1-1

Etey Shechter e Rasim Ramaldanov
Un gol di Etey Shechter consente a Israele di evitare la sconfitta interna contro l'Azerbaigian nel Gruppo F, ma la squadra di Eli Guttman vede assottigliarsi le possibilità di qualificarsi alle fasi finali della Coppa del Mondo FIFA 2014.
Rahid Amirguliyev porta avanti gli azeri al 61' e anche se il vantaggio ospite dura appena 12 minuti, il pareggio non accontenta Israele, che ora è staccato di tre punti dalla Russia, seconda e prossima avversaria mercoledì a San Pietroburgo.
Israele aveva bisogno di tre punti per rispondere ai successi ottenuti venerdì da Portogallo e Russia, ma pur prendendo il comando delle operazioni fin dalle prime battute, la squadra di casa non punge. L'unico giocatore a impensierire il portiere azero Kamran Agayev è il difensore Eytan Tibi, che coglie un legno al 19' e sfiora nuovamente il gol poco prima dell'intervallo.
Nella ripresa sono invece gli ospiti a portarsi in vantaggio, con una conclusione dalla distanza di Amirguliyev che sorprende Dudu Aouate. Israele reagisce prontamente e trova il pareggio con Shechter, su assist dell'esordiente Ofir Davidzade, ma il gol-del sorpasso non arriva.

(UEFA.com, 7 settembre 2013)


Ferrara - Le esposizioni dentro il Meis già dopo il primo cantiere

Il primo stralcio di lavori per il Meis, cioè l'avvio del "vero" Museo nazionale dell'ebraismo e della Shoah, partirà nella prossima primavera, andrà avanti per un paio d'anni e consegnerà a Ferrara...

Il progetto Meis
Il primo stralcio di lavori per il Meis, cioè l'avvio del "vero" Museo nazionale dell'ebraismo e della Shoah, partirà nella prossima primavera, andrà avanti per un paio d'anni e consegnerà a Ferrara 1.500 metri quadrati di superfici espositive. Sarà demolito, in particolare, il corpo interno del vecchio carcere di via Piangipane, sarà allestita la grande zona centrale per le mostre temporanee, gli spazi biblioteca e il museo dei bambini, oltre al piano interrato che ospiterà tutti i servizi. È quest'ultima la parte più complessa del progetto, che giustifica la previsione sui tempi di realizzazione. Il quadro della situazione l'ha ricostruito la soprintendente Carla Di Francesco, responsabile per il cantiere Meis, a margine del confronto con il vicesindaco Massimo Maisto, ieri sera alla festa Pd di piazzetta San Nicolò.
«Il costo di questo primo stralcio è di circa 9 milioni di euro, interamente coperti dai vecchi stanziamenti e dall'integrazione di 4 milioni di euro prevista dal recente decreto del governo» ha specificato Di Francesco. L'11 settembre la conferenza dei servizi darà il via libera definitivo al progetto esecutivo dell'intera opera, dalla quale Di Francesco "estrarrà" il primo lotto, per andare in appalto non appena sarà convertito il decreto Bray. La visita al Meis del ministro della Cultura, il 14 settembre in occasione dell'inaugurazione della mostra dei Diamanti, sarà l'occasione per ottenere indicazioni e conferme. Nel vecchio salone grande del carcere, che diventerà il primo spazio espositivo del Meis, oltre a mostre temporanee si potranno individuare «le prime sezioni permanenti del museo, per cui bisognerà iniziare a ragionare del materiale da esporre» spiega l'architetto.
Resta sullo sfondo l'altro grande tema, cioè come trovare i soldi necessari al secondo lotto di lavori, quelli che dovranno realizzare la parte più caratterizzante del museo, cioè i 4 volumi a forma di libri sacri: servono 28 milioni di euro, ad oggi nessuno li garantisce.

(la Nuova Ferrara, 8 settembre 2013)


Iran - Netanyahu: "Non sono impressionato dagli auguri, giudico i fatti"

GERUSALEMME, 7 set. - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e' indifferente ai segnali di apertura lanciati dal presidente iraniano Hassan Rohani, che ha fatto gli auguri alla comunita' ebraica per Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico, caduto il 5 settembre. Anzi, ha chiesto alla comunita' internazionale di accrescere la pressione sulla Repubblica islamica a causa del suo controverso programma nucleare. "Non sono impressionato dagli auguri provenienti dal regime che solo una settimana fa ha minacciato di distruggere Israele", ha affermato Netanyahu in un comunicato. "Il regime sara' giudicato solo sulle sue gesta, non sugli auguri, che hanno solo l'obiettivo di distrarre l'attenzione dal fatto che anche dopo le elezioni continua ad arricchire uranio e a costruire un reattore al plutonio allo scopo di realizzare un'arma nucleare che minacci Israele e il mondo", ha aggiunto il premier israeliano .

(AGI, 8 settembre 2013)


Tikkun Olam, ripara il mondo

di Deborah Fait

 
In Siria la carneficina continua, mentre a San Pietroburgo i "Grandi della Terra" riuniti al G20 hanno deciso... di essere indecisi... anche se, almeno incominciando a parlarne, hanno fatto un bel passo avanti rispetto all'indifferenza e al silenzio di anni.
Il mondo pacifista sta in silenzio, come sempre, se guerra e violenza non coinvolgono Israele. Le "Flottiglie della Pace" si organizzano solo se Israele chiude i confini con Gaza per tener fuori i terroristi ma le barche stanno in secca se e' l'Egitto a isolare Gaza, se e' l'Egitto ad ammazzare membri di Hamas, se Hamas festeggia la fine del Ramadan con 40 impiccagioni in piazza, se la Siria ammazza, tortura, brucia coi gas altri siriani tra cui donne e tanti bambini, se nei campi profughi in Giordania, Libano o al confine con la Turchia genitori siriani vendono al miglior offerente i loro bambini ma soprattutto le loro bambine. Vauro che sbraitava contro Israele al tempo della Mavi Marmara ha perso la parola e anche la matita.
Mairead Corrigan-Maguire, irlandese, premio Nobel per la Pace, che nel 2009 aveva paragonato Israele alla Germania nazista, che aveva urlato contro "la pulizia etnica dei palestinesi", aveva organizzato addirittura una delegazione chiamata "Nobel Women'Initiative" per andare a protestare contro Israele, che aveva preso parte al movimento Free Gaza per impedire a Israele di difendersi dai terroristi e che, a causa di queste sue attivita' cosi' poco pacifiche, era stata espulsa da Israele come 'Persona non grata', e' scomparsa dalla ribalta internazionale!
Ehhh, si , amici, la Corrigan-Maguire che era tornata, insieme a molti altri pacifinti del suo calibro, a rompere le scatole imbarcandosi sulla Mavi Marmara per forzare il blocco e che aveva persino chiesto l'espulsione di Israele dall'ONU, questa brava personcina, premio Nobel per la Pace, non si fa piu' vedere ne' sentire.
I pacifisti, cosi' rumorosi e violenti, si sono trasformati in fantasmi, nessuno li vede e li sente piu'. Se penso che solo qualche anno fa riempivano le piazze del mondo, urlando come pazzi esaltati contro Israele, pazzi di odio e esaltati dall'ammirazione per il terrorismo islamico.
Se Israele non e' nel contesto, il concetto di pace non e' che una parola vuota. Se viene rivolta contro Israele serve solo a guadagnare soldi e fama.
Nessun pacifista fa piu' sentire la sua voce, nessun seguace di Rachel Corrie, che e' stata ammazzata da un bulldozer mentre protestava contro la demolizione delle case dei terroristi palestinesi, va a manifestare contro le carneficine islamiche e allora penso proprio si possa dire, anzi gridare, anzi urlare proprio, e a gran voce, che tutti quei manigoldi, dalla Corrigan-Maguire a Rachel Corrie, e giu' giu' a tutti gli altri odiatori, altro non erano che veri e propri antisemiti.
  
Mairead Corrigan-Maguire
L'«attivista della pace» sostiene Hamas e provoca Israele... -->
... e l'IDF di Israele la tratta con gentilezza
Ehh sì, antisemiti, avete letto bene, inutile girarci intorno, inutile cercare termini meno crudi, quando uno odia Israele e si schiera sempre contro Israele e agisce solo contro Israele e fa l'attivista solo e sempre contro Israele, quando chi rivendica il diritto di "criticare Israele" poi tace di fronte a stragi, massacri, dittature, gas nervini e orrori islamici vari, altro non e' che un antisemita, esattamente come quelli che aiutavano i nazifascisti.
Da quando e' iniziata la crisi siriana, con massacri allegati, Israele si e' attivato per aiutare i feriti di quel paese, sia civili che soldati o miliziani. L'esercito israeliano ha realizzato ospedali da campo al confine con Siria e Libano per curare chiunque ne avesse bisogno, senza distinzioni di fazione, governativi e ribelli, e, quando questi ospedali sono risultati insufficienti, i feriti sono stati trasportati nelle citta' israeliane e curati per mesi, ormai per anni. L'Ospedale Ziv di Safed, in Galilea, accoglie pazienti siriani ad ogni ora del giorno e della notte, ogni volta che riceve una telefonata dall'Esercito israeliano l'ospedale e' pronto, nessuno viene rimandato indietro e questo vale per tutti gli ospedali del nord di israele alcuni dei quali possono essere raggiunti in soli 20 minuti, altri in qualche ora. Chi arriva con le ambulanze, chi cogli elicotteri di Tzahal. I pazienti arrivano con ferite tremende esterne e interne, quasi sempre la degenza dura molti mesi perche' servono arti artificiali e riabilitazione.
Intorno ai tavoli operatori i medici israeliani sono instancabili, nelle corsie il personale paramedico e gli assistenti sociali si dedicano a rincuorare i pazienti, a rallegrare i bambini, a rassicurarli parlando con loro in arabo. Spesso i feriti arrivano terrorizzati al pensiero di essere in Israele, grazie alla propaganda con cui sono stati imbevuti credono che gli ebrei siano dei mostri. Vengono rincuorati, tranquillizzati, i bambini ricoperti di giochi e di carezze e alla fine sono increduli e felici di fronte alla realta', loro sconosciuta, dell'umanita' degli israeliani.
Quando i pazienti vengono dimessi e consegnati alla Croce Rossa Internazionale che li riportera' in Siria per ricongiurgerli alle famiglie, se le hanno ancora in vita, oppure nei campi profughi, gli ospedali israeliani rilasciano un documento che spiega a quali cure i pazienti sono stati sottoposti , documenti scritti in arabo e senza timbri perche' esiste il pericolo che i siriani curati in Israele vengano accusati di collaborazionismo, anche se bambini, e ammazzati dai loro compatrioti.
Per gli odiatori di Israele quello che fa questo paese per i propri nemici non e' sufficiente. Esiste un forum decisamente antiisraeliano.... antisionista e... diciamo... antisemita, che non nomino per non fargli pubblicita', in cui chi ci odia scrive che "e' inutile che Israele curi i siriani se poi li rimanda in Siria, deve accoglierli....". A parte il fatto che gli accordi sono che i feriti guariti debbano essere consegnati alla Croce Rossa Internazionale, a parte che Israele aveva gia' accolto in passato molti libanesi maroniti, molti profughi musulmani dell'ex Jugoslavia e altri profughi delle guerre in VietNam, in Cambogia e, piu' recentemente, in Africa, non capisco la critica se non attribuendola un ripugnante senso di livore e accanimento.
Israele fa la cosa giusta, quando puo', ogni volta che puo', quando non e' costretto a difendersi da nemici senza anima e senza pieta'.
Israele laica onora il concetto del giudaismo che si legge nella Mishna', un'espressione squisitamente ebraica, che, interpretata, significa "ripara il mondo, prenditi la responsabilita' di trasformarlo e migliorarlo per condividerlo con altri": "Tikkun Olam". Un concetto talmente bello da essere usato ormai nel linguaggio comune di ogni israeliano, sia esso ateo o religioso. Ripara il Mondo, Tikkun Olam.

(Informazione Corretta, 7 settembre 2013)


Nuovo Rabbino Capo in Gran Bretagna

La comunità ebraica britannica e del Commonwealth ha un nuovo leader: è il rabbino ortodosso Ephraim Mirvis, che ha preso il posto di Lord Jonathan Sacks.

di Marco Tosatti

Ephraim Mirvis
La comunità ebraica britannica e del Commonwealth ha un nuovo leader: é il rabbino ortodosso Ephraim Mirvis, che ha preso il posto di Lord Jonathan Sacks come rabbino capo di Gran Bretagna e delle Congregazioni unite del Commonwealth. Nelle sue prime dichiarazioni Ephraim Mirvis ha detto che lavorera per la difesa dei valori ebraici tradizionali, e fra questi l'appoggio al matrimonio naturale; e al tempo stesso ha detto che desidera che tutti gli ebrei si trovino a casa, e a loro agio, nelle sinagoghe ortodosse. "Abbiamo una chiara definizione biblica del matrimonio, che è l'unione di un uomo e di una donna, e attraverso questo diamo valore alla vita della famiglia tradizionale", ha detto Mirvis alla BBC. E anche se ha dichiarato il suo desiderio di offrire alle donne un ruolo maggiore, nell'ebraismo tradizionale, si oppone all'ordinazione femminile. "L'eguaglianza è ciò per cui lottiamo, ma quando parliamo di eguaglianza non è l'uniformità", ha detto.

(La Stampa, 6 settembre 2013)


Hamas dice no al dialogo

Hamas dice no al dialogo israelo-palestinese. Il movimento islamista che controlla la Striscia di Gaza avvisa Abu Mazen che non accetta alcuna forma di negoziato. La parata militare arriva a tre giorni dall'incontro tra il presidente palestinese e il segretario di Stato statunitense, John Kerry, lunedì a Londra, e a vent'anni esatti dalla stretta di mano a Oslo tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin.
"Non abbiamo autorizzato nessuno a negoziare sui nostri diritti - ha detto alla folla un militante - Noi non diciamo che la nostra gente è debole e che la nazione araba è debole. Noi siamo forti perché abbiamo i nostri diritti".
La prova di forza di Hamas arriva dopo un'escalation di tensione che ha le sue radici nel colpo di Stato in Egitto. Tensione che arriva anche a Gerusalemme, dove 15 palestinesi sono stati arrestati dopo gli scontri scoppiati alla Spianata delle Moschee. La protesta è divampata quando, mercoledì scorso, la polizia israeliana ha interdetto l'accesso alla moschea di al-Aqsa.
Video

(euronews, 6 settembre 2013)


Come si vede, ancora una volta, gli islamisti sostengono di avere “diritti” su quella terra, e proprio su questo fondano la loro forza, perché è sempre più evidente che sul piano militare contro Israele sono perdenti. Quello che dice Hamas è falso. Hamas e arabi islamisti non hanno diritti, né biblici, né storici, né internazionali su quella terra. E’ un errore fondamentale di Israele e di molti suoi amici aver abbandonato questo fondamentale campo giuridico di lotta per concentrarsi tutti su pragmatiche strategie di alleanze politiche. La questione ebraica, che oggi coincide con la questione israeliana, è una questione di verità: è per questo che l’arma preferita dai nemici di Israele è la menzogna. Ma la verità, in tutti i suoi aspetti storici e personali, vincerà. E’ bene quindi essere sempre dalla sua parte. M.C.


Lo strano caso di Pistelli

La notizia è stata sapientemente "oscurata" in Italia dove nessuno - se si esclude una citazione senza evidenza in un lancio Ansa - ha ritenuto fosse doveroso parlarne.
Invece, il modo con cui il viceministro degli Affari esteri Lapo Pistelli ha annunciato l'assegnazione di 60 milioni di euro del Fondo per la cooperazione internazionale all'Autorità nazionale palestinese meriterebbe forse qualche valutazione di merito, oltre all'ampio e purtroppo critico spazio riservatogli dalla stampa internazionale....

(formiche.net, 7 settembre 2013)


Izis Bidermanas, poeta della fotografia, in mostra a Firenze

La Fondazione Alinari presenta l'opera del grande fotografo umanista del secolo ventesimo, poeta dell'immagine, ritrattista e reporter.

Galleria
Con la mostra dal titolo "IZIS. Il Poeta della Fotografia ", la Fratelli Alinari. Fondazione per la Storia della Fotografia di Firenze, in collaborazione con la Ville de Paris, propone un'occasione per conoscere l'intensa attività del fotografo di origine lituana Izraèl Bidermanas alias Izis (1901-1980). Curata da Manuel Bidermanas, figlio del fotografo, con Armelle Canitrot, la mostra è divisa in 6 sezioni: Il ritratto, Chagall, Sogni di Parigi, Sogni di Terra Promessa, Sogni di Londra e Sogni di circo: attraverso una selezione di circa 120 fotografie, offre la possibilità di una vera e propria scoperta delle fotografie di Izis, testimonianze di grande poesia.
Artista poco conosciuto al grande pubblico, ma con un posto di diritto in tutte le storie della fotografia e presente nelle maggiori collezioni pubbliche e private internazionali, con la sua opera Izis ha conciliato la professione di reporter con una intensa ricerca personale, che riflette sul dialogo tra l'immagine e la parola e ricerca la coerenza tra soggetto, emozione e forma. Nei dieci libri attraverso i quali ha orchestrato il suo lavoro - tra cui molti dedicati al "sogno" di Parigi, ai suoi quartieri popolari, alle rive della Senna e alle fiere: Paris des revês (1950), Grand Bal du printemps (1951) e Paris des poètes (1977) - si disegna in filigrana il ritratto di un artista affascinante, segnato dalla difficoltà dell'esilio e dalla guerra. Di natura puramente poetica, la sua fotografia è intuitiva e, tra i fotografi umanisti, è colui che più si è allontanato dalla realtà per entrare nel sogno, grazie all'uso sapiente della luce e alla particolare sensibilità alle atmosfere.
Nell'ambito della mostra, che inaugura il 6 settembre e sarà aperta fino al 6 gennaio 2014, è possibile assistere anche alla proiezione del film "Aperçus d'une vie (Scorci di vita)", presentato in esclusiva a Firenze. Accompagna la mostra il catalogo "Izis Bidermanas. Paris des Rêves", Manuel Bidermanas Armelle Canitrot.



BIOGRAFIA
Izraèl Bidermanas nasce da una famiglia modesta a Marijampole in Lituania, nella Russia zarista, il 17 gennaio 1911. Frequenta la scuola ebraica locale, dove i suoi compagni lo soprannominano "il sognatore". Nonostante suo padre lo spinga a lavorare come falegname, diventa apprendista fotografo. La pittura lo appassiona e a sedici anni lascia Marijampole per andare a lavorare in altre città della Lituania. Nel 1930 scappa dalla miseria della sua terra per raggiungere la "Parigi dei sogni", capitale dei pittori e degli Impressionisti, dove lavora come stampatore e impiegato in diversi studi fotografici. Da qui, durante la guerra, è costretto a rifugiarsi, con la prima moglie e il figlio Manuel, nella regione del Limousin. Dopo la liberazione di Limoges, nel '44, si arruola nelle Forze Francesi dell'Interno (FFI) e, affascinato dai giovani della resistenza, realizza ritratti straordinari dei partigiani che escono dalla clandestinità. Inizia ad usare lo pseudonimo di Izis e gli abitanti della regione di Limoges scoprono la sua opera grazie a quattro mostre. Suo fratello David viene ucciso con la sua famiglia in Lituania. Finita la guerra ritorna a Parigi, dove prosegue la sua attività di ritrattista, fotografando artisti, poeti, scrittori e pittori (tra gli altri, Argon, Eluard, Breton) che animano la vita culturale della città. Nel 1946, dopo il divorzio, si risposa. Dalle seconde nozze nascerà nel 1948 la figlia Lise. Nel 1947 ottiene la naturalizzazione francese. Dal 1949 inizia a lavorare per Paris Match, collaborando fin dal primo numero come specialista del ritratto, rimanendo poi alla rivista per altri vent'anni. Nel 1950 pubblica il suo primo libro "Les Yeux de l’âme". Nel '51 e nel '53 pubblica rispettivamente i libri "Grand Bal du printemps", realizzato con Jacques Prévert, e Paradis terrestre, con la scrittirce Colette. Sempre nel 1951 viene invitato alla mostra "Five French Photographers" al MoMa di New York con Doisneau, Ronis, Brassaì e Cartier-Bresson. Nel 1955 pubblicato "Israèl", con prefazione di André Malraux. Tra il 1963 e il 64 è l'unico fotogiornalista ammesso da Chagall durante la realizzazione del soffitto dell'Operà di Parigi, rare testimonianze della sua preziosa capacità di riuscire a cogliere l'animo e l'ispirazione che muovono gli artisti durante la creazione. Nel 1969 dedica un'intera opera, Le Monde de Chagall, all'amico pittore. Nel 1977 viene pubblicato il suo ultimo libro, "Paris des poètes". Muore a Parigi nella sua casa di rue Henri-Pape, il 16 maggio 1980.

(Panorama, 6 settembre 2013)


Le tecniche di lotta dei parà israeliani insegnate ad Imperia

di Maurizio Vezzaro

   
IMPERIA - Inizio il 1o ottobre per i corsi base di difesa personale con le tecniche del krav maga e del kapap, metodi di lotta insegnati nell'esercito israeliano e considerati tra i più temibili, insegnati alla palestra ex Quartiere Latino, ai Piani.
Il krav maga e il kapap, per la loro semplicità di apprendimento ed esecuzione sono adatti a tutti, sia uomini che donne di qualsiasi corporatura, peso e altezza anche senza nessuna precedente esperienza nel campo delle arti marziali.
Qualche notizia sul krav maga. Nacque nella prima metà del XX secolo grazie ad un ufficiale dell'esercito israeliano, esperto in tecniche di lotta occidentali, Imi Lichtenfeld, su richiesta dello stesso governo Israeliano. L'esigenza era quella di sviluppare un sistema di combattimento efficace ma rapido da apprendere, al fine di addestrare le neonate forze speciali israeliane. L'esperienza personale di Lichtenfeld influenzò pesantemente lo stile e la filosofia del krav maga: infatti egli, grande ginnasta, pugile e campione di lotta libera, alla base teorica aggiunse una grande esperienza di lotta di strada, maturata in una gioventù in parte passata a lottare per la vita nei vicoli del suo paese natale, allora occupato dai nazisti.
Il risultato della sua opera fu un sistema di combattimento semplice ed efficace, nato appunto per essere appreso in breve tempo. Il krav maga risponde a criteri di tipo militare quali l'efficacia e la rapidità con cui si arriva al risultato desiderato, che spesso è la neutralizzazione definitiva dell'avversario. Infatti esso punta proprio alla neutralizzazione del nemico, prima che questi possa diventare una minaccia, con un mix di tecniche che vanno da pugni a leve articolari, a calci e proiezioni. Esso punta prevalentemente a zone vitali del corpo quali: genitali, carotide, occhi etc, (ritenute normalmente intoccabili negli sport di contatto, e pertanto non può essere praticato in forma sportiva come per tutti gli sport da combattimento).
A ciò si aggiunga la grande attenzione che riveste la preparazione per fronteggiare nemici armati, anche di armi da fuoco. Le tecniche di krav maga trovano oggi particolare riscontro ed applicazione nel campo degli operatori della sicurezza, forze armate e dei corpi di polizia. Oltre che in Israele, esso è ormai diffuso in tutti paesi del mondo, dando vita a numerose scuole.
Grazie alla stessa opera di Imi Lichtenfeld e dei suoi seguaci, il krav maga oggi si rivolge a tutti: uomini, donne e ragazzi. È stato infatti adattato anche per un utilizzo in ambito civile, rendendolo praticabile anche da donne e ragazzi, al fine di permettere a ogni persona di muoversi liberamente in qualsiasi ambiente e contesto.

(La Stampa, 6 settembre 2013)


Facebook cancella la pagina che negava l'Olocausto

Il social network interviene contro i negazionisti della Shoah

di Marco Pasqua

Facebook interviene contro i negazionisti della Shoah e chiude la pagina choc nella quale erano contenute foto e post che irridevano le vittime dei campi di concentramento nazista. "Ebrey today" - questo il suo nome - è stata rimossa questa mattina a meno di 24 ore di distanza dalla denuncia de Il Messaggero.it. Del caso si occupa anche la Digos della capitale, che, d'intesa con la polizia postale, lavorerà ora per rintracciare i gestori di questa pagina della vergogna. E' probabile che siano gli stessi che, nel dicembre del 2011, avevano già creato, sempre su Facebook «comprare posaceneri su ebrey» (chiaro, nel suo nome, il riferimento oltraggioso allo sterminio degli ebrei nei forni crematori, anche se, nella fase iniziale, veniva usata per offendere anche le persone di colore e i disabili). Quella pagina, che aveva raggiunto circa 1600 fan, venne chiusa dopo mesi e mesi di proteste e segnalazioni a Facebook, a febbraio.
Su Ebrey today, aperta lo scorso 23 agosto, erano riportate affermazioni deliranti che dipingevano il campo di sterminio nazista di Auschwitz come un «centro ricreativo con campi di calcio, un teatro e una piscina». Il gestore firmava tutti i post usando il nickname "K29" e citava, spesso, alcuni blog di negazionisti italiani, come Olodogma e Olotruffa (anche questi finiti sotto la lente di ingrandimento della polizia postale).

(Il Messaggero, 6 settembre 2013)


Siria, la paura degli italiani in Israele

di Federico Tagliacozzo

   
Cresce la crisi in Siria e con essa si fa più concreta l'ipotesi che un possibile attacco con armi chimiche tocchi Israele. Secondo notizie diffuse dalle autorità di Geruslaemme solo il 60% della popolazione è dotato di maschere antigas. Nel paese vivono alcune migliaia di immigrati italiani sparsi nelle grandi città ma anche nei piccoli centri.
Tamara, sorella dell'organizzatore di eventi e concerti David Zard, vive nel centro di Tel Aviv da appena un anno: «Vedo in tv la gente in fila per prendere la maschera antigas che ci dà lo Stato. Io ancora non ce l'ho e francamente non ne sento tutto questo bisogno - spiega -. Quando sono venuta a vivere qui avevo la sicurezza che ancora conservo, che Israele avrebbe avuto la forza di proteggere tutti i suoi cittadini e di prevenire gli attacchi di cui si parla. Anche in città non vedo tutte queste preoccupazioni, i locali sono pieni, le persone fanno le cose di tutti giorni senza risparmiarsi divertimenti e spensieratezza».
Emigrato a Gerusalemme da più di 30 anni, l'ex predente della Camera di commercio italiana in Israele Lello Dell'Ariccia si meraviglia per tutte queste file per le maschere: «Le autorità già da un anno avevano comunicato ai residenti di ritirare la propria maschera. Quelli che fanno al fila oggi sono dei ritardatari un po' colpevoli. Se si fossero mossi per tempo non ci sarebbe stata nessuna coda e nessun clamore. Certo questo mio ragionamento non riguarda gli immigrati entrati nel paese da pochi mesi».
Di recente immigrazione è Silvia Modiglioni, figlia dell'ex deputato dei "Progressisti" Enrico Modiglioni. Sua madre Desy non nasconde la sua apprensione: «Mia figlia si è trasferita nel paese da pochissimo. Appena è salita la tensione nella regione le ho raccomandato di procurarsi una maschera immediatamente comprandosela autonomamente senza fare file. Io sono francamente preoccupata. Certo non è il momento più adatto per andare a vivere in Israele».
Negli istituti di ricerca israeliani ci sono diversi studenti italiani. Tra loro Nadine Graubardt, che sta finendo il post dottorato presso l'istituto di ricerca scientifica Weizmann a Rehovot, non lontano da Tel Aviv: «Non so se ci sarà un attacco o meno - afferma - ma sono sicura che Israele saprà prevenire queste minacce. Non posso negare di avere un po' di paura. Ma quando vivi in Israele ti abitui a fare la tua vita cercando di non pensare troppo ai pericoli. Ti abitui a pensare che andrà tutto bene… Inshallah».

(Il Messaggero, 6 settembre 2013)


La guerra blocca ''L'Annunciazione" di Botticelli: non partirà per Gerusalemme

Contrordine dal ministero: il capolavoro che si trovava originariamente nell'ospedale di San Martino alla Scala a Firenze, non partirà per Gerusalemme, causa guerra.

di Letizia Cini

FIRENZE - Non poteva esistere luogo migliore per un'ambasciatrice del bello e della fede: una delle opere più emblematiche (e danneggiate) di Sandro Botticelli - ''L'Annunciazione di San Martino alla Scala'', conservata agli Uffizi di Firenze era destinata a incantare il pubblico del Museo di Israele, a Gerusalemme, dove sarebbe dovuta restare alcuni mesi .
A portare, per la prima volta, il grande affresco "strappato" nello stato ebraico, doveva essere la Soprintendenza fiorentina in collaborazione con la Fondazione Italia-Israele per la cultura e le arti. Invece... contrordine: "L'Annunciazione di San Martino alla Scala", grandioso affresco di Sandro Botticelli (243x550 cm) realizzato intorno al 1481 e custodito alla Galleria degli Uffizi, non partirà per Gerusalemme, almeno per il momento. L'opera avrebbe dovuto essere esposta al Museo di Israele dal 17 settembre al 10 gennaio prossimi. Ma, visti gli attuali problemi in Medio Oriente, Roma ha cambiato idea.
"Il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo Bary, in accordo con il Governo, rende noto che alcune riflessioni consigliano in questo momento di non spostare l'opera", si legge in una comunicazione ufficiale del Mibac. Per la soprintendente al Polo museale fiorentino Cristina Acidini, si tratta semplicemente di un "rinvio": "Non è vero che l'opera non partirà. E' stato deciso solo di rimandare la spedizione a quando saranno più chiari gli sviluppi della situazione mediorientale".
L'opera - un grande dipinto murale che misura 243 centimetri per 555 - è databile al 1481 e originariamente si trovava nell'ospedale di San Martino alla Scala a Firenze, in una delle logge. Fu in seguito trasferita all'Uffizi, dopo essere stato restaurato.

(La Nazione, 6 settembre 2013)


Nella Grande Sinagoga di Stoccolma Obama onora Wallenberg

"Oggi noi guardiamo con profondo rispetto al coraggio di un uomo che si è guadagnato un posto eminente tra i Giusti delle nazioni". Con queste parole il presidente Obama ha ricordato Raoul Wallenberg, il diplomatico svedese che salvò da sicura morte migliaia di ebrei a Budapest, in occasione di una solenne cerimonia che ha avuto luogo il 4 settembre nella Grande Sinagoga di Stoccolma.
Il 17 gennaio 1945 Wallenberg fu arrestato dai russi e scomparve nelle prigioni staliniane. Le circostanze della sua fine a tutt'oggi permangono incerte.

(TicinoLive, 6 settembre 2013)


Venezia - Carne scaduta alla casa di riposo ebraica. Calimani si dimette

I carabinieri hanno sequestrato 60 chili di alimenti vecchi nei congelatori dell'ospizio della comunità ebraica veneziana. Il presidente lascia l'incarico.

di Giorgio Cecchetti

VENEZIA. I carabinieri del Nas di Treviso hanno compiuto un controllo anche nella Casa di accoglienza per anziani della Comunità ebraica, in Ghetto, ed hanno sequestrato oltre 110 confezioni di carne per un totale di 60 chili: era congelata in modo artigianale ed era scaduta. In Procura è stato aperto un fascicolo che è finito sul tavolo del pubblico ministero Lucia D'Alessandro: la casa di riposo è gestita dalla Comunità ebraica e la responsabilità legale ricade sul presidente, che ora è lo storico Riccardo Calimani.
E proprio mercoledì sera, in occasione dell'inizio dei festeggiamenti per il Capodanno ebraico, il Rosh ha-Shanà, davanti a tutti i componenti della comunità e anche al sindaco Giorgio Orsoni che era presente, Calimani ha dato le dimissioni, nonostante sia stato eletto alla presidenza appena quattro mesi fa. Una decisione legata alla visita dei carabinieri e all'indagine giudiziaria, nonostante quegli alimenti fossero in quel congelatore da più di quattro mesi e, dunque, prima che Calimani venisse eletto. Insomma, la responsabilità sostanziale non sarebbe sua, visto che è subentrato dopo i fatti scoperti dai militari dell'Arma, bensì dei suoi predecessori che comunque Calimani non ha indicato con nomi e cognomi. Calimani, mercoledì sera in sinagoga, davanti al sindaco, non ha voluto affrontare l'argomento delle responsabilità. Adesso, la parola passa a Roma, ai vertici nazionali della Comunità ebraica, che probabilmente nomineranno un commissario per la gestione corrente in attesa di nuove elezioni, al termine delle quali gli ebrei veneziani sceglieranno un nuovo presidente.
Dal punto di vista penale, la contestazione prevista dalla legge sugli alimenti si cancella pagando una contravvenzione e non è certo della magistratura che Calimani deve temere. E' invece sul piano dell'immagine e dell'opportunità che questa vicenda può nuocere a lui e alla Comunità veneziana, visto che gli anziani ospitati nella casa di accoglienza di Campo del Ghetto - la stessa da cui le SS tedesche e i fascisti italiani deportarono una mattina del 1943 decine di ebrei veneziani - sono padri, madri, parenti dei componenti della comunità che ha eletto Calimani. Formalmente, infatti, è lui che ne risponde e se - come ha fatto mercoledì sera - non indicherà i nomi di chi davvero ha gestito la casa di riposo nei giorni in cui quella carne è finita ed è rimasta nel congelatore continuerà ad esserci il suo nome sulla copertina del fascicolo giudiziario.
La data di scadenza, stando alle norme, è quella fino alla quale un alimento è igienicamente idoneo al consumo, se mantenuto nelle corrette condizioni di conservazione. Essa viene riportata obbligatoriamente sugli imballaggi alimentari dei prodotti preconfezionati rapidamente deperibili (latte e prodotti lattieri freschi, formaggi freschi, pasta fresca, carni fresche, prodotti della pesca e dell'acquacoltura freschi) con la dicitura "da consumarsi entro" seguita dal luogo sulla confezione dove la data viene stampigliata. Anche per la conservazione è necessario seguire delle precise procedure.

(la Nuova Venezia, 6 settembre 2013)


Bologna - La musica ebraica incontra il jazz

Gabriel Coen
Le serate al Museo Ebraico di Bologna nell'ambito della rassegna estiva del Comune di Bologna "BèBolognaEstate2013", costituiscono ormai un vero e proprio punto di riferimento nell'estate bolognese e lo spirito, l'identità e in particolare la qualità delle proposte artistiche da sempre ne decretano il successo.
Anche quest'anno il programma sarà incentrato su alcuni eventi musicali, nei quali Gabriele Coen con il suo quintetto reinterpreterà la tradizione musicale ebraica in chiave jazzistica, combinando la specificità degli elementi musicali ebraici con altre culture e tradizioni, dalla musica rinascimentale europea, alle contaminazioni col mondo arabo.
Momento cruciale nella storia ebraica e anche nelle sue esperienze musicali fu la massiccia emigrazione ebraica negli Stati Uniti fra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. A New York, primo approdo di circa tre milioni di ebrei, il klezmer, la canzone yiddish e la musica sefardita conobbero una nuova vita grazie alla contemporanea nascita e affermazione dell'industria discografica. E ancora una volta la musica ebraica attinse all'universo sonoro del paese che l'aveva accolta, contaminandosi con il jazz.

Tre gli appuntamenti musicali:
Martedì 10 settembre 2013, Gabriele Coen Jewish Experience. Yiddish Medodies in Jazz.
Coen conduce il suo ensemble al cuore del rapporto tra la musica ebraica e il jazz americano, esplorando l'influenza dell'eredità ebraica sul jazz attraverso una personale interpretazione di brani che sono diventati dei veri e propri classici della tradizione jazzistica.Il debito della musica ebraica nei confronti del jazz da cui, negli Stati Uniti, ha saputo trarre nuova linfa vitale, è cosa nota e ampiamente indagata e si è tradotta, negli anni, in un nuovo tipo di musica che coniuga il sound ebraico con le nuove frontiere sonore offerte dal jazz e da altre culture musicali.
Martedì 17 settembre 2013, Gabriele Coen Quintet. Plays the music of John Zorn.
Nella seconda serata il repertorio del quintetto è interamente incentrato sulla musica di John Zorn, il paladino dell'incontro tra jazz contemporaneo e musica dalle radici ebraiche, cifra stilistica dominante nei suoi lavori degli ultimi quindici anni. Nel 1995 Zorn inizia la sua brillante carriera di produttore e discografico fondando l'etichetta Tzadik, con cui si impone a livello mondiale come figura imprescindibile per la diffusione della nuova musica ebraica. Il quintetto di Coen, unici musicisti italiani ad aver inciso due dischi per la Tzadik, ripercorre il Masada Song Book, senza trascurare alcune incursioni nella produzione di colonne sonore di Zorn, i cosiddetti Filmworks, che rappresentano la vera colonna portante di tutta la sua attività compositiva.
Domenica 29 settembre 2013, Gabriele Coen Sephardic Tinge. La musica sefardita incontra il Jazz.
Sefarad è il nome con cui gli ebrei chiamavano la Spagna ed è da qui che incomincia questo viaggio musicale. Gli insediamenti ebraici nella penisola iberica risalgono addirittura all'epoca romana e si protrassero fino alla fine del '500. Quattordici secoli in cui la cultura sefardita poté progredire a contatto prima con la cristianità e poi, a partire dal 700, anche con l'Islam. Otto secoli di incontro-scontro tra tre diverse culture - ebraica, cristiana, islamica - testimoniano un periodo di grande interesse storico e naturalmente anche musicale. Un confronto di fertile scambio attraverso repertori, strumenti e prassi esecutive. La musica sefardita, che risale principalmente al medioevo e al rinascimento spagnolo, si caratterizza per un uso preponderante della voce solista, in particolare femminile. Non mancano naturalmente brani strumentali, perlopiù andati perduti. Gli strumenti musicali svolgono comunque un importante ruolo di accompagnamento.

(BolognaToday, 6 settembre 2013)


I Tesori del Ghetto di Venezia per la prima volta in mostra alla Ca' d'Oro

I tesori del ghetto
Fino al 29 settembre 2013 è aperta alla Galleria Franchetti (Ca'd'Oro) la mostra che raccoglie alcuni preziosi "Tesori del Ghetto di Venezia" nata dalla collaborazione tra la Comunità Ebraica di Venezia e il contributo finanziario e organizzativo di Venetian Heritage e della Maison Vhernier.
In esposizione è possibile ammirare una collezione di importantissimi oggetti liturgici settecenteschi in argento, recentemente ritrovati nel Ghetto di Venezia. Nel 1943 (poco prima dell'arrivo dei nazisti) due anziani signori veneziani di religione ebraica, responsabili del servizio religioso della Sinagoga Spagnola e di quella Levantina, nascosero una selezione di preziosi oggetti liturgici in un luogo segreto. Questi oggetti sono stati ritrovati per caso solo qualche anno fa in occasione del restauro della Sinagoga.
La mostra "Tesori del Ghetto di Venezia" è nata per celebrare il prossimo il cinquantesimo anniversario della fondazione del Museo ebraico veneziano. Si tratta di un'esposizione itinerante che dopo la puntata newyorkese presso la sede centrale di Sotheby's e la successiva tappa espositiva al Museum of Fine Arts di Houston, approda ora alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro, presso i cui laboratori si sono svolte lo scorso anno le delicate operazioni di restauro dei pezzi, effettuate dal consorzio RE.CO. - Restauro e Conservazione di beni Culturali (argenti) e dalla ditta Sansovino Restauri (arredi lignei).
Orari:
lunedì: 8.15 - 14.00
martedì - domenica: 8.15 - 19.15

(Venezia.net, 5 settembre 2013)+


Su Facebook torna la pagina che nega l'Olocausto

Creata alla fine di agosto, contiene foto e post offensivi

ROMA - Il campo di sterminio nazista di Auschwitz che diventa un «centro ricreativo con campi di calcio, un teatro e una piscina». E' solo uno degli orrori che compaiono in una delle ultime pagine create su Facebook dai negazionisti dell'Olocausto. Una pagina già denunciata e rimossa lo scorso mese di febbraio, dopo le proteste di centinaia di utenti Facebook, ma che ora è tornata a insultare la memoria dei milioni di ebrei morti nei campi di concentramento voluti da Hitler. E sulla quale si concentrano già le attenzioni della Digos di Roma, che ha fatto partire un'indagine.
Il nome (Ebrey Today) è analogo a quello della pagina choc che era già segnalata dall'Osservatorio sulla propaganda antisemita sul web (Opaw), e nella quale erano contenute foto e affermazioni antisemite. Probabile, dunque, che le mani che firmano i post offensivi siano le stesse.
Creata lo scorso 23 agosto e gestita da un utente che usa il nickname "K29", viene definita una pagina «di revisionismo storico e di sconfessione menzogne ebraiche/sioniste secondo l'articolo 21 della costituzione Italiana e dei diritti dell'uomo». In realtà, offre soltanto un capovolgimento della storia della seconda guerra mondiale per arrivare a negare il dramma della Shoah.

LA RETE DEI NEGAZIONISTI
Tra le tante foto pubblicate, alcune dipingono il lager di Auschwitz come un centro in cui erano presenti studi dentistici per i pazienti, una banda musicale per l'intrattenimento dei prigionieri, un teatro e piscine: «attività piuttosto insolite per un lager adibito all'uccisione di ebrei, gay, dissidenti politici e quant'altro», scrive il gestore che si firma "K29". Le stesse follie vengono propagandate dai principali siti dei negazionisti italiani, come Olodogma e Olotruffa (in alcuni casi, le foto sono state tratte proprio da quelle pagine web, di cui riportano il logo).
Ma ci sono anche dei legami con il forum neonazista Stormfront, chiuso lo scorso anno dalla polizia postale, e i cui quattro moderatori e animatori sono stati condannati perché incitavano a commettere violenza sulla base di pregiudizi razziali, etnici e religiosi e inneggiavano alla superiorità della razza bianca. Su EbreyToday è presente un post di difesa nei confronti di uno dei condannati, Mirko Viola, legato a Forza Nuova: «Viola, da quasi un anno internato in un carcere per aver osato contraddire la visione ufficiale dell'olocausto ebraico - si sostiene in un post - Alla faccia della democrazia e della libertà di parola che dovrebbe essere un diritto fondamentale. Cosa ha da nascondere la giudeolobby dell'Olocausto?». Segue un invito a sostenere economicamente l'estremista di destra, che ora sta scontando una condanna a due anni e otto mesi.

IL PRECEDENTE
La pagina chiusa a febbraio si chiamava "Comprare posaceneri su ebrey" ed era stata creata nel dicembre del 2011. Chiaro, nel suo nome, il riferimento oltraggioso allo sterminio degli ebrei nei forni crematori, anche se, nella fase iniziale aveva un altro nome e offendeva prima le persone di colore, poi i disabili. «Indisturbato antisemitismo da due anni - attaccavano i gestori dell'Opaw - Ne nascono migliaia ogni giorno e altrettante ne vengono chiuse; antisemitismo spicciolo, blasfemia, omofobia, incitamento al maltrattamento degli animali et similia. Bastano poche segnalazioni e la pagina viene rimossa e gli amministratori bannati. In questo caso, è pacifico, qualcosa non ha funzionato nel sistema di supervisione di Facebook». Una pagina che aveva raggiunto oltre 1600 fan e che, secondo alcune indagini effettuate dalll'Opaw, era gestita da uno studente milanese che, in classe, avrebbe chiesto alla professoressa di riportare una affermazione antisemita su "Ebrey".

(Il Messaggero, 6 settembre 2013)


Gli auguri di Netanyahu per Rosh haShanah





Anche Rouhani fa gli auguri agli ebrei

Messaggio su Twitter del neo presidente della Repubblica islamica per il capodanno ebraico. Significativo cambiamento rispetto alla linea di Ahmadinejad.

TEHERAN - Il neo presidente iraniano Hassan Rouhani ha fatto gli auguri agli ebrei per la festa di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico che cade oggi. Una netta cesura
con l'odio antisemita di cui il suo predecessore, Mahmoud Ahmadinejad, aveva fatto un cavallo di battaglia. Nel dare la notizia diversi mezzi di informazione israeliani, tra i quali Haaretz, Yediot Ahronoth e Jerusalem Post, sottolineano che sebbene il profilo non abbia il "bollino blu" che contrassegna gli account istituzionali su Twitter, l'ufficio del presidente iraniano ha confermato che l'account è suo ed è gestito con il suo beneplacito.
"Mentre il sole sta per tramontare qui a Teheran auguro a tutti gli ebrei, e specialmente agli ebrei iraniani, un buon Rosh Hashanah", ha scritto Rouhani, insediatori il 3 agosto scorso. Sotto il messaggio appare una foto di ebrei iraniani che pregano alla sinagoga di Teheran.
Durante la campagna elettorale per le presidenziali, Rohuani aveva condannato gli attacchi di Ahmadinejad contro gli ebrei, bollandoli come "retorica dell'odio".
La comunità degli ebrei iraniani conta ormai solo 10.000 fedeli, ma una volta era una delle più numerose di tutto il Medio Oriente.

(la Repubblica, 5 settembre 2013)


Siria: strage di cristiani a Maalula. Un massacro di cui nessuno parla

Secondo le nostre fonti in Siria i ribelli del gruppo di Al-Nusra, legato ad Al Qaeda, avrebbero attaccato la cittadina cristiana di Maalula provocando un vero e proprio deliberato massacro che ha lasciato sul terreno decine di civili cristiani innocenti uccisi solo perché appunto cristiani.
A riferirlo è anche l'Osservatorio per i Diritti Umani in Siria che però parla solo dell'attacco e non della strage, che invece viene riportata da una Ong cristiana che opera proprio a Maalula....

(Right Reporters, 5 settembre 2013)


Video dei Fratelli Musulmani egiziani: convertitevi alla Sharia o vi uccidiamo

Sono video come questi che forse il presidente americano e il suo staff dovrebbero vedere, video che testimoniano come la stragrande maggioranza dei ribelli siriani siano ormai un esercito di fondamentalisti islamici, in mano ad Al Qaeda e i Fratelli Musulmani. Certo, tutto questo non giustifica l'uso di armi chimiche sui civili, sempre che siano state le truppe fedeli ad
Assad a usarle, ma fa capire a chi andrà in mano la Siria una volta che il regime di Assad sarà stato abbattuto anche grazie all'intervento militare americano. Nel video, postato dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, si vedono uomini armati che dicono di appartenere ai Fratelli musulmani egiziani rivolgersi a circa trenta prigionieri curdi presi in ostaggio lo scorso mese. Quello che dicono è molto semplice: convertitevi al vero Islam e alla sharia o vi ammazziamo. Si tratta di appartenenti al Partito del lavoratori del Kurdistan, da sempre perseguitati un po' da tutti, da turchi, iracheni e iraniani. Gli esperti, a conferma del video, dicono come gli uomini armati parlino con evidente accento egiziano: è la prova di come i Fratelli musulmani fino a poco tempo fa al potere in Egitto siano impegnati militarmente in Siria con le forze radicali islamiche. I Fratelli musulmani erano già presenti in Siria prima della guerra ma furono messi fuori legge da Assad nel 2011.
Per vedere il video completo, il cui codice embedded è stato disattivato su richiesta dell'utente, clicca qui.

(ilsussidiario.net, 5 settembre 2013)


Fuori dalla storia

di Francesco Lucrezi, storico

"In ogni caso - scrive Sergio Minerbi sulla newsletter di domenica scorsa - la conclusione più importante deve essere per Israele che quando arriverà il momento di agire rischierà di trovarsi solo come in passato davanti al nemico". Nessuna novità, da questo punto di vista. Dunque, Siria e Iran si preparano a colpire Israele. Se vivessimo in un mondo normale, in tempi normali, e se parlassimo di una regione della Terra normale, sarebbe d'obbligo la domanda: "perché?". Perché un Paese dovrebbe essere colpito per delle vicende con lo riguardano minimamente? Ma una tale domanda, parlando di Israele, sarebbe di un'ingenuità disarmante, anche i bambini capiscono che non avrebbe senso. Primo Levi racconta che, a un aguzzino che, senza alcun motivo, aveva dato un pugno in faccia a un prigioniero, questi chiese: "Warum?", "perché?". La risposta fu chiara e semplice: "Hier ist kein Warum", "qui non c'è un perché".
Nell'appena conclusa rassegna pugliese Lech Lechà, si è parlato, in occasione della presentazione di due bei libri (Diaspora, di Anna Foa, e Figure filosofiche della modernità ebraica, di Stefan Mosès, a cura di Ottavio Di Grazia), del dibattito sulla presunta vocazione 'metastorica' di Israele, ricordando come Franz Rosenzweig si opponesse all'assimilazione degli ebrei tra le genti d'Europa, in quanto il popolo ebraico avrebbe un destino peculiare, che lo pone al di là della storia. Un concetto riproposto, dopo la Shoah, da Emmanuel Levinas, ma avversato da altri pensatori, in nome dell'impossibilità di una collocazione fuori dalla storia, e anche dell'intrinseca pericolosità dell'idea. Non sono un filosofo, non so se si possa concepire qualcosa fuori dalla storia. Ma, come cultore di storia, ho cercato di ricordare se, in tutti i secoli e i millenni passati, in qualche angolo sperduto dei cinque continenti, sia mai esistito un Paese, una città, un villaggio, un piccolo agglomerato di persone, destinato 'naturalmente' a essere colpito dai vicini, qualsiasi cosa accada, e anche se non accade niente. Ciò nella quieta indifferenza del mondo, disposto a considerare tale fatto il più naturale, il più ovvio che ci possa essere. E, di fronte a un bambino inavveduto che osasse chiedere "Warum?", pronto a rispondere, con una scrollata di spalle, "Darum", "perché sì".
Non l'ho ancora trovato, ma deve pure esistere, essere esistito, in qualche luogo, in qualche tempo. O, forse, bisogna cercare fuori dalla storia?
No, un paese come Israele non esiste, né dentro né fuori la storia. La spiegazione si trova nell'unico libro davvero storico: la Bibbia. Non agisce da vero storico chi cerca spiegazioni esaurienti sul tema "Israele" senza prendere in seria considerazione quello che dice la Bibbia.


(Notiziario Ucei, 4 settembre 2013)


Lech Lechà 2013, resoconto di una indimenticabile Settimana ebraica

Si è conclusa con una indimenticabile serata di danze ebraiche accompagnate dall'Ensemble Shanà Tovà di Nadja Martina e con il Rav Scialom Bahbout nell'insolita veste di maestro di danze la seconda edizione della Settimana di arte, cultura e letteratura ebraica Lech Lechà e che quest'anno si è svolta a Trani (autentico motore dell'ebraismo meridionale) e a Barletta, Manfredonia, San Nicandro Garganico, Brindisi e Sogliano Cavour.
Il numeroso pubblico, ebraico e non, ha accompagnato gli oltre cento eventi disseminati nell'intera Puglia; a dispetto di inattesi e dolorosi tagli di bugdet a pochi giorni dall'inizio della Settimana, l'organizzazione del Lech Lechà ha saputo assicurare il pressochè svolgimento del programma, creando una autentica full immersion nell'ebraismo e in tutti i suoi aspetti storici, culturali, religiosi, artistici e conviviali grazie al ristorante Il Marchese del Brillo reso interamente kasher per una settimana.
L'amministrazione comunale di Trani si è dimostrata ancora una volta orgogliosa del patrimonio umano e culturale ebraico tranese; inoltre
Tra gli eventi che più hanno suscitato interesse, occorre citare il convegno su Shabbetai Zevi tenuto da Anna Foa e Fabrizio Lelli nonchè la piéce 30 Aprile 1945 di Luca Frozen Cresci nel Castello Svevo di Barletta, il convegno sul dialogo Ebraismo - Islam con Rav Scialom Bahbout e l'Imam Yahya Pallavicini come pure il dibattito sul Dybuk a Brindisi, il convegno su Israele e la Diaspora con Ugo Volli e Tullio Levi presso la Biblioteca G. Bovio di Trani e le seguitissime conferenze sul tema della giustizia con relatori quali Rav Roberto Della Rocca, Francesco Messina, Cosimo Yehuda Pagliara, Ferdinando Imposimato, Rav Riccardo di Segni e Luigi Pannarale.
La foto di Luciana Doronzo con Jacopo Pagliara (tra i giovani ragazzi della comunità ebraica pugliese) e Umberto, figlio dell'imam Yahya Pallavicini, rende più di mille parole il forte messaggio che lascia quest'anno Lech Lechà a poche ore dall'ingresso del Capodanno ebraico 5774: il dialogo è l'arma più forte degli uomini e l'atmosfera di gioiosa interculturalità che ha saputo creare la Settimana ebraica tranese è una sicura piattaforma sulla quale poter costruire un futuro migliore, di serenità tra popoli e di sincera unità nella diversità.

(Trani News, 4 settembre 2013)


Basket - Europei: Gran Bretagna-Israele 75-71

LUBIANA, 4 set. - La Gran Bretagna ha battuto Israele per 75-71 all'overtime nella gara valida per il Gruppo A degli Europei di basket. Decisivi i 22 punti di Kyle Johnson, coadiuvato soprattutto da Kieron Achara (18 punti e 13 rimbalzi).

(Adnkronos, 4 settembre 2013)


Ad Alghero una piazza in ricordo del ghetto ebraico

Il prossimo 22 settembre si terrà la cerimonia di inaugurazione della piazza, all'interno di un programma che prevede una settimana di manifestazioni denominato "La Settimana della Juharia".

ALGHERO - L'Amministrazione intitolerà una piazza del Centro Storico alla Juharia, il quartiere ebraico, all'interno dell'area interessata dai lavori di recupero del Complesso di Santa Chiara, area facente parte insediamento ebraico medioevale composto nel suo momento di massimo splendore da circa 800 abitanti.
Il prossimo 22 settembre si terrà la cerimonia di inaugurazione della piazza, all'interno di un programma che prevede una settimana di manifestazioni denominato "La Settimana della Juharia". L'Amministrazione, con l'Associazione Cutlurale Tholos e la partecipazione del Dipartimento di Archeologia Medioevale dell'Università di Sassari, l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e l'Associazione Culturale Saber i Sabor, ha previsto una serie di iniziative dal 22 al 30 Settembre. Oltre alla cerimonia di intitolazione della piazza, l'evento prevede una mostra fotografica nella Torre di San Giovanni, spettacoli musicali e convegni. Alghero è stata la colonia ebraica più importante della Sardegna.
Gli ebrei che arrivarono dalla Catalogna tra il 1328 e il 1331 fondarono l'insediamento numericamente più consistente ed economicamente più potente dell'isola. La colonia si ingrandì, inoltre, grazie ad una seconda ondata immigratoria di ebrei giunti dalla Provenza, nel 1370. A seguito dell'editto di espulsione degli ebrei dai domini spagnoli, nel 1492, non tutti scelsero la via dell'esilio. Per Alghero in particolare, la nota famiglia de Carcassona, scelse la conversione al cristianesimo. Alla piazza della Juharia si accederà attraverso l'antica Porta a Mare, riportata alla luce dai lavori di recupero del complesso Santa Chiara.
Questo passaggio, murato nel 1728 dall'ingegnere militare De Vincenti per motivi legati alla difesa della città, è il più antico collegamento verso il mare ed è quello dal quale si attese lo sbarco di Carlo V il 7 ottobre del 1541 durante la sua tappa algherese in direzione di Algeri. La storia di Alghero in questo interessante e suggestivo capitolo rappresenta, tra l'altro, un motivo di interesse turistico e imprenditoriale destinato a crescere e consolidarsi.
Ottimi risultati sono stati riscontrati dal flusso proveniente da Israele, che trova in Alghero una nuova meta turistica, stimolata dalla scoperta della storia degli ebrei in città in epoca medioevale che il Sindaco Stefano Lubrano ha illustrato agli operatori turistici israeliani nel corso della fruttuosa missione istituzionale svolta nell'aprile scorso a Tel Aviv.

(AlgheroNotizie.it, 4 settembre 2013)


Di Segni: «Oggi è il Capodanno ebraico, auguri a tutti»

di Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma

  
Da questa sera, per due giorni, gli ebrei di tutto il mondo festeggiano il Rosh haShanà, il Capodanno. E lo fanno anche a Roma dove vive la comunità ebraica più antica della diaspora e la più numerosa d'Italia. L'anno che inizia è il 5774 dalla creazione del mondo, una cifra che deriva dall'interpretazione letterale del racconto della Bibbia che parla della creazione in sei giorni. Più esattamente il Capodanno corrisponde al sesto giorno della creazione, in cui compare la prima coppia, che nello stesso giorno riesce a compiere il primo peccato. In altri termini il Capodanno è una festa universale, il compleanno dell'umanità, in cui si celebra la centralità della creazione umana ma anche la fragilità morale e fisica di questa creazione. Se l'uomo dovesse essere giudicato per quello che fa non avrebbe scampo; serve la misericordia divina. Per questo i primi giorni dell'anno ebraico sono dedicati alla riflessione sulle nostre debolezze e all'invocazione della comprensione dall'alto. Giorni dolci e amari, festosi e terribili allo stesso tempo, dedicati a lunghe sedute di preghiera ma anche a riunioni famigliari. Non mancherà sulle tavole degli ebrei di Roma il miele, che accompagna la richiesta di un anno buono e dolce. Il clima di questi giorni di Capodanno è turbato dalle tensioni sulla scena internazionale e in particolare nella regione vicina alla terra d'Israele; all'orrore per quanto avviene in Siria si aggiunge la minaccia di un'estensione del conflitto che ci tocca tutti da vicino. Tutto questo dà un significato ancora più sentito e attuale alle nostre preghiere che invocano pace, umanità, misericordia e giustizia e che sembrano che siamo state composte apposta per questi giorni. Malgrado tutto, un anno buono e dolce a tutti.

(Il Messaggero, 4 settembre 2013)


Repubblica Ceca, itinerario dedicato all'ebraismo

L'ente del turismo della repubblica Ceca suggerisce l'itinerario "La via dell'ebraismo" tra Boemia e Moravia tra siti storici, cimiteri monumentali, quartieri-città e campi di detenzione. Ghetti, sinagoghe e cimiteri sono i grandi sopravvissuti della cultura ebraica a cominciare da Josefov, la Praga ebraica, con la Sinagoga Vecchio-Nuova, la più antica in attività in Europa. Da visitare anche l'antico cimitero ebraico, che risale alla prima metà del XV secolo e conta 12 mila lapidi gotiche, rinascimentali e barocche. Tra il XVI e il XIX secolo, centro spirituale, culturale e politico degli ebrei di Moravia fu Mikulov, sede dei rabbini provinciali. Oggi attorno alla sinagoga e al cimitero sopravvivono una novantina di edifici tra Rinascimento e Barocco: abitazioni ma anche una scuola, una casa delle anime e persino una cisterna per i bagni rituali. Per non dimenticare è doverosa infine una visita a Terezin, a una sessantina di chilometri da Praga, tristemente nota con il nome di Theresienstadt, che ha visto passare 152 mila ebrei deportati da ogni parte d'Europa.

(Travel Quotidiano, 4 settembre 2013)


Netanyahu avverte Assad

di Gianandrea Gaiani

il Blue Sparrow  
Se non fosse stato per i potenti e sofisticati radar russi, imbarcati sulle navi o schierati nella base siriana di Tartus, forse nessuno avrebbe fatto caso al test missilistico effettuato dagli israeliani ieri mattina intorno alle 10 ora locale. Un test del tutto difensivo ma che ha allarmato tutti gli osservatori internazionali.
Inizialmente Gerusalemme non ha commentato la notizia annunciata da fonti di Mosca, poi anche la Marina statunitense ha reso noto tramite il portavoce del comando in Europa che «nessun missile è stato lanciato dalle navi nel Mediterraneo», senza aggiungere commenti. Infine Israele ha annunciato di aver effettuato nel Mediterraneo, insieme agli Stati Uniti, il lancio di un vettore per testare i sistemi di difesa anti-missile. Un Blue Sparrow che simulava le caratteristiche di un missile balistico iraniano, è stato lanciato da un cacciabombardiere F-15 decollato da una base nell'area centrale di Israele per venire probabilmente intercettato da missile Arrow 3, che costituisce la più recente evoluzione dell'arma antimissile che protegge lo Stato ebraico.
Gli Ankor Kahol (nome ebraico del Blue Sparrow) sono definiti "Medium range surrogate ballistic missile" dalla società Rafael che li ha sviluppati testandoli nel 2007 ampliando la famiglia di "Air launched ballistic targets" che già comprendeva i missili Black Sparrow e Silver Sparrow. In pratica si tratta di sofisticati missili-bersaglio che nei test devono simulare per tipo di traiettoria e manovra di rientro nell'atmosfera , prestazioni e segnatura radar dei missili balistici più moderni nelle mani dei nemici, reali o potenziali, di Israele.
Il Blue Sparrow è stato così in questi anni il "compagno inseparabile" dell'Arrow, il missile sviluppato in sinergia (soprattutto finanziaria) con gli Stati Uniti che difende il territorio israeliano dalla minaccia balistica iraniana e degli altri Paesi arabi dotati di armi offensive di questo tipo. Dopo essere stato lanciato dal jet che lo trasporta, il Blue Sparrow esce dall'atmosfera per rientrarvi comportandosi come un vero missile balistico a medio raggio del tipo Scud D nordcoreano fornito anche alla Siria, Shahab iraniano (che trae origine dai Nodong nordcoreani) e CSS-2 che i cinesi hanno fornito all'Arabia Saudita.
Test come quello compiuto ieri vengono effettuati regolarmente a sostegno dello sviluppo del sistema antimissile Arrow e solitamente vengono programmati con ampio anticipo. Non c'era quindi nessuna attinenza con la crisi siriana ma è indicativo che le tensioni in atto non abbiano indotto Gerusalemme a rinviarlo. Al contrario, il ministero della Difesa israeliano lo ha utilizzato a scopo deterrente annunciando di aver completato con successo, in collaborazione con le forze statunitensi, un'esercitazione che ha visto il lancio di un missile Blue Sparrow. Probabile quindi che il missile-bersaglio abbia avuto anche il compito di addestrare i sistemi di scoperta e difesa antimissile Aegis imbarcati sui cinque cacciatorpediniere dell'Us Navy in navigazione nel Mediterraneo Orientale. Navi pronte a lanciare missili da crociera Tomahawk su Damasco ma anche idonee a fornire un supplemento di copertura difensiva antiaerea e antimissile a Israele in aggiunta ai missili Arrow.

(Il Sole 24 Ore, 4 settembre 2013)


L'Iran svela una 'nuova nave da guerra'

Israele: "Teniamo i nemici ancora piu' stretti degli amici"

La Marina iraniana ha presentato poche ore fa una nuova nave da guerra dotata di "armi avanzate e sistemi radar di ultima generazione", annunciando inoltre che Israele sarebbe il "principale obiettivo" se l'America decidesse di lanciare un attacco militare in Siria.
In realtà, l'Iran ha soltanto aggiornato una nave da guerra, installando nuovi radar e sistemi d'arma che avrebbero migliorato prestazioni e potenza di fuoco.
Secondo il governo iraniano la nave può identificare "bersagli invisibili come gli ultimi missili da crociera stealth".
Ci risiamo.
Ogni volta che scoppia una crisi nella regione del Golfo, l'Iran presenta nuovi mezzi di difesa. Ma proprio l'Iran è conosciuto per esagerare le capacità dei propri sistema d'arma, con pretese espansionistiche che esistono soltanto a livello di propaganda interna, non di certo esterna.
L'Iran è il primo difensore della Siria, fornendo copertura diplomatica e militare per il leader assediato.
Quando il presidente Barack Obama accennò ad un possibile attacco contro la Siria, i leader iraniani risposero rapidamente che la "prima vittima sarebbe stata Israele".
La prima vittima di questa crisi sarà il regime sionista ha aggiunto Alaeddin Boroujerdi, presidente della Sicurezza Nazionale del Parlamento iraniano e della Commissione sulla politica estera.
La retorica Iraniana è ben nota. Identica a quella della Korea del Nord. Inconsistenti entrambe.
Gli Stati Uniti non hanno commentato la notizia. In realtà, le foto trapelate del nuovo battello, non fanno tremare proprio nessuno.
Proprio Israele, ha risposto mediaticamente come è sua consuetudine, con una frase ad effetto che lascia ben intendere le sue intenzioni.
L'home page del sito dell'IDF è stata aggiornata pochi minuti dopo con una foto di un un F-15 Ra'am con tanto di scritta di una nota massima di di Sun Tzu: "Keep Your Friends Close, Your Enemies Closer". Che tradotto significa "Tenere vicini gli amici, ancora più vicini i Nemici".
Chiaro il riferimento ai paesi che hanno minacciato ritorsioni contro Israele se gli Stati Uniti dovessero attaccare la Siria.
L'Iran non ha né le forze nè la preparazione per sostenere un attacco contro Israele. Ricordiamo che proprio Israele ha pianificato ogni possibile scenario, mettendo in stato di allerta tutte le forze disponibili. Anche l'intera flotta di sottomarini classe Dolphin, alcuni dei quali armati con missili Tomahawk con testata nucleare, è stata schierata in funzione deterrente. E questo lo sanno tutti: iraniani, siriani, palestinesi, russi e cinesi. Il mondo teme gli Usa, ma rispetta Israele per la capacità di risposta al fuoco che si basa sulla concezione della sopravvivenza ad ogni costo. Non sarebbe errato affermare che Israele è un paese costruito per combattere.
Qualora gli Stati Uniti attaccassero la Siria, l'Iran probabilmente risponderebbe con attacchi informatici e terroristici portati da cellule indipendenti. In poche parole, verrebbero intensificati gli attacchi asimmetrici contro cui non esiste contromisura. Le tattiche asimmetriche sono assurde, banali, elaborate o di una ovvietà disarmante e portate da insospettabili. Ed è per questo che sono efficaci. Gli attacchi informatici portati da hacker professionisti poi (hackerato per ore, alcuni giorni fa, il sito dei Marine con scritte contro l'intervento in Siria), rappresentano il terrore di ogni governo. Proprio gli americani investono miliardi di dollari nel preparare programmatori ed hacker a difesa della loro rete, ma le contromisure non sembrano ancora essere efficaci.
Nonostante la forte retorica dei leader iraniani, Teheran non ha mai pensato di scatenare una guerra convenzionale contro gli Stati Uniti o Israele.
Ogni ritorsione iraniana avverrebbe in forma irregolare, colpendo civili, generando il terrore ed instillando la mancanza di fiducia nelle istituzioni, provando a destabilizzare il sistema.
La Russia intanto, non si opporrebbe ad un'operazione militare in Siria portata dagli Stati Uniti, a condizione che le responsabilità di Damasco vengano dimostrate, con l'approvazione delle Nazioni Unite. Lo ha affermato il Presidente Vladimir Putin all'Associated Press.
Abbiamo bisogno di una prova evidente - ha aggiunto Putin - Mosca è pronta ad agire con decisione.
Il Presidente Putin ha anche confermato che la Russia ha fornito alla Siria componenti per l'S-300, ma ha aggiunto che le consegne non sono state completate e che Mosca sta attualmente considerando la sua prossima mossa.

(Tele Radio Sciacca, 4 settembre 2013)


Ana Arabia di Amos Gitai a Venezia 70: il giardino della convivenza

Amos Gitai in concorso a Venezia 70 con il suo Ana Arabia, storia "marginale" sulla possibile convivenza tra Israeliani e Palestinesi girata in un piano sequenza di ottanta minuti.

di Michele Faggi

La splendida Yuval Scharf, giovane attrice israeliana emergente, nel nuovo film di Amos Gitai è Yael, una giornalista in visita in un angolo completamente dimenticato, al confine tra Bat Yam e Jaffa, città a pochi chilometri a sud di Tel Aviv, con una stratificazione storica complessa che dal 1947, in seguito alle risoluzioni delle Nazioni unite per la divisione della Palestina subisce un cambiamento demografico, morfologico e commerciale traumatico.
Basandosi su un episodio vero che documentava la felice convivenza tra una donna sopravvissuta all'olocausto con il marito palestinese, Gitai, con un piano sequenza di circa ottanta minuti percorre lentamente lo spazio abitativo della famiglia raccontando così la storia possibile di un'intera comunità.
Yael deve scrivere un report sulla vita di Hanna Klibanov, sopravvisuta ad Auschwitz e convertita all'islam dopo aver sposato un uomo palestinese e conosciuta come "Ana Arabia" il cui significato è "io, l'Araba".
Incontrerà il marito della donna ormai defunta, Yussuf (Yussuf Abu Warda) e tutti i membri della famiglia; la figlia Miriam (Sarah Adler), la nuora Sarah (Assi Levy) che racconterà a sua volta della sua esperienza matrimoniale, simile a quella di Ana, ma completamente fallita; uno dei figli ancora vivi, Walid (Shady Srur) e due vicini di casa, Hassan e Norman.
Secondo le note stampa, Gitai avrebbe conservato un take unico di ottanta minuti, dopo una decina di tentativi tra quelli filmati dall'operatore Nir Bar, di cui non era convinto, superando quindi qualsiasi barriera di impostazione teatrale, alla ricerca di una flagranza narrativa ed emozionale, che in un unico movimento fosse in grado di comprendere uno spazio apparentemente circoscritto come quello di un giardino interno ad un nucleo di case, microcosmo dai molteplici percorsi possibili, tanti quante le storie che rimbalzano da un angolo all'altro della corte interna e che mantengono tracce nel lavoro quotidiano delle donne, nei ricordi degli uomini e nella conservazione di un giardino coltivato con amore da Sarah e che era stato tirato su proprio da Ana.
Filmato con la luce delle prime ore del mattino, con il sole già alto, cattura i suoni di una tranquillità quasi ancestrale, storicizzando una possibile convivenza tra Israeliani e Palestinesi, attraverso una serie di racconti minimi e marginali. Nella persistenza emozionale del movimento, c'è tutto il senso del cinema di Gitai, se si pensa alla sequenza di Free Zone, quando Natalie Portman si allontana da Gaza osservandola dal finestrino di un veicolo, e al modo in cui il suo pianto diventa una (nostra) possibile soggettiva su quegli eventi, in Ana Arabia si assiste ad una scelta di verità molto simile; rimanendo al di quà della semplice testimonianza documentale e allo stesso tempo cercando di renderla possibile e stratificata senza frammentarla, Gitai trova un modo per essere nelle cose, racchiudendone i segni in uno spazio performativo che sia liberamente percorribile anche dal nostro sguardo; il peregrinare incerto di Yael, il suo prendere appunti in modo discreto, quasi di nascosto, per non interrompere il flusso naturale del racconto, la sua commozione in campo ma ormai fuori da quello visivo delle donne, che ormai si è lasciata alle spalle, sono un continuum di emozioni in movimento, interrotte solamente da un paio di Dolly che alzano l'occhio così da presentarci questo piccolo esempio di convivenza, con la prospettiva caotica della città alle spalle.

(Indieeye, 4 settembre 2013)


Banca mondiale darà otto milioni di dollari per la gestione dei rifiuti palestinesi
Chissà quanti soldi darà la Banca Mondiale
per la sopravvivenza dei profughi siriani.


Il progetto coinvolgerà Hebron e Betlemme

RAMALLAH, 3 set - La Banca Mondiale ha annunciato un nuovo progetto da più di otto milioni di dollari per migliorare l'accesso ai servizi di gestione dei rifiuti solidi nei Territori contesi.
Secondo un comunicato stampa della stessa Banca Mondiale, il progetto coinvolgerà le città di Hebron e Betlemme e permetterà a più di 800.000 palestinesi l'accesso a una migliore qualità della raccolta e trattamento dei rifiuti solidi urbani. Il costo del progetto sarà di circa 8.3 milioni di dollari e verrà portato avanti dalla Global Partnership on Output-Based Aid (Gpoba), ramo operativo della Banca Mondiale, in partnership con Autorità nazionale palestinese.
''La Raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è un problema serio a Hebron e Betlemme, in particolare per i poveri che vivono vicino alle discariche abusive ai margini delle città e dei villaggi. Il progetto intende migliorare la qualità e l'efficienza del sistema di gestione dei rifiuti solidi e di conseguenza aiutare a proteggere l'ambiente e la salute dei cittadini'', ha dichiarato Mariam Sherman, direttrice della Banca Mondiale per la Cisgiordania e Gaza.
Il pilota Gpoba è parte del più ampio 'South West Bank Solid Waste Management', sostenuto dalla Banca Mondiale, l'Unione europea e da altri donatori internazionali.

(ANSA, 4 settembre 2013)


Calcio - Storico colloquio tra Federazione israeliana e palestinese

ROMA, 3 set - Storico incontro fra i capi delle Federazioni calcistiche israeliana e palestinese che cercano di porre fine alle dispute sulle restrizioni per i calciatori che vanno a giocare o provengono dai territori contesi. Il colloquio a porte chiuse tra il presidente della Federazione palestinese (PFA), Jibril Rajub e il suo collega israeliano Avi Luzon e' stato sponsorizzato direttamente dal capo della Fifa, Sepp Blatter. Il meeting giunge dopo poche settimane dalle polemiche provocate dalle restrizioni di Israele nei confronti dei calciatori della nazioni arabe che partecipavano a un torneo giovanile organizzato dalla PFA, che a sua volta aveva chiesto che la FIFA sospendesse Israele dal calcio internazionale.

(ASCA, 3 settembre 2013)


Rosciascianà? Che rob'è?

di Marcello Cicchese

   
Cari amici giudei, non fatevi illusioni: a noi greci del vostro rosciascianà non interessa proprio un fico secco. Lo so, in questi giorni ci saranno diversi personaggi ufficiali che vi faranno gli auguri di capodanno, vi manifesteranno la loro simpatia, e questo forse vi darà l'impressione di essere al centro della benevola attenzione del mondo intorno a voi. Ma la realtà è che la maggior parte di noi ha ben altre cose a cui pensare da trovare il tempo e la voglia di mettersi a cercare di capire le stranezze dei vostri costumi. Sono secoli che continuate ad attirare la nostra attenzione su quello che fate e non fate, su quello che dite e non dite. Ma non ci sono cose più importanti di cui parlare? E' una bella domanda.
   Ma perché ho parlato di "giudei", pur sapendo che il termine è usato in forma non spregiativa soltanto quando si parla di quei deliziosi "carciofi alla giudìa" della cui esistenza io, come romano attempatello, ho preso conoscenza molto prima dell'italiano medio dei nostri giorni? E perché parlo di "noi greci", quando ho già detto di essere romano e, aggiungo adesso, non ho mai messo piede in Grecia?
   Dipende da una deformazione di tipo biblico. La Bibbia ha un modo particolare di usare i termini. Per esempio, non si parla mai di "cosmo", ma di "cielo e terra", quindi il tutto viene indicato mettendone in rilievo anche l'essenziale articolazione interna. Non si parla mai nemmeno di "umanità", ma, almeno nel Nuovo Testamento, per indicare generalmente gli uomini si parla in molti casi di "giudei e greci".
   Anche in questo si riconosce lo stile ebraico: ci sono i "giudei" e i non giudei, chiamati tutti "greci". Noi diciamo genericamente che tutti gli uomini sono peccatori, ed è assolutamente vero, ma l'apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani precisa: "... abbiamo dimostrato che tutti, giudei e greci, sono sottomessi al peccato" (Romani 3:9). In questo dunque non c'è differenza, e sarebbe meraviglioso se con tutti gli sforzi che si fanno oggi per avvicinare gli uomini tra loro ci sentissimo vicini almeno in questo: sarebbe una bella forma di ecumenismo. E sarebbe ancora più bella se fosse seguita da un'altra forma di convinzione comune: "... non c'è distinzione tra giudeo e greco, perché lo stesso Signore sopra tutti è ricco verso tutti quelli che lo invocano" (Romani 10:12). Non c'è differenza dunque nella misericordia di Dio verso coloro che si rivolgono a Lui con tutto il cuore. Per questo agli anziani di Efeso Paolo può dire, prima di salutarli per non rivederli mai più: "... ho avvertito solennemente giudei e greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo" (Atti 20:21).
   L'universalità dell'annuncio di salvezza e dell'invito al ravvedimento dell'apostolo Paolo contiene tuttavia una forma di articolazione: "Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del giudeo prima e poi del greco" (Romani 1:16). C'è dunque un chiunque universale che accomuna tutti, ma c'è anche un prima e poi che articola la differenza. Nella Bibbia, le differenze di posizione, e quindi di incarico e di onore (non di dignità) sono sempre di tipo temporale, e quindi immodificabili. Chi nasce prima sarà sempre in questo irraggiungibile da chi nasce dopo. I genitori vengono prima dei figli, per questo devono essere da loro "onorati" (non necessariamente ubbiditi) qualsiasi cosa facciano; l'uomo viene prima della donna, per questo i posti occupati dai due generi non potranno mai essere intercambiabili; il giudeo viene prima del greco nel piano di salvezza voluto da Dio, e questo scarto temporale genera una differenza di posizione che deve essere ben compresa nei suoi aspetti concreti, ma non potrà mai essere cancellata.
   Per inciso, l'accostamento del rapporto uomo-donna al rapporto giudeo-greco meriterebbe di essere approfondito: se nella sopraffazione del maschio sulla femmina alcuni vedono la caratteristica ideologica basilare dell'islamismo, che cosa significherà per l'attuale Israele laico la svalutazione della differenza maschio-femmina, voluta anch'essa da Dio come la differenza giudeo-greco?
   Le parole dette all'inizio, cioè che a noi greci di Rosh haShanah "non interessa proprio un fico secco", devono essere dunque intese come una vergognosa ammissione di colpa. Non ha importanza quello che penso e faccio personalmente: sono parte di un "noi" di cui voglio sentirmi partecipe anche nella responsabilità. Mi dico greco perché non sono giudeo, né voglio esserlo, dal momento che non lo sono, ma sono contento perché esiste un vangelo che è arrivato prima al giudeo, è vero, ma poi è arrivato anche a me, che sono greco. E questo non mi fa desiderare di cambiare le priorità temporali, né per il passato, né per il presente, e nemmeno per il futuro. Dio fa ogni cosa nel modo migliore.
   Per finire, ho appreso che in questa occasione nelle sinagoghe viene letto anche il passo di Geremia 31:2-20. E' un brano molto bello, come tutto il capitolo, e un versetto in particolare è bellissimo:
    Così parla il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, prorompete in grida, per il capo delle nazioni; fate udire le vostre lodi, e dite: Signore, salva il tuo popolo, il residuo d'Israele!"
Israele è "capo delle nazioni"! È il Signore che lo dice. Si festeggi dunque, e lo facciano anche i greci, non solo perché il 5 settembre è Rosh haShanah, ma anche perché Israele è Rosh haGoym (ראש הגוים).

(Notizie su Israele, 3 settembre 2013)


Prove di guerra nel Mediterraneo Israele e Usa testano i missili

MOSCA, 3 set. - Stati Uniti e Israele hanno effettuato un test missilistico nel Mediterraneo. Si chiarisce cosi' il giallo sul lancio di due "oggetti balistici".
Israele ha infatti annunciato di aver effettuato insieme agli Stati Uniti il test di un missile nel Mediterraneo. Il ministero della Difesa dello Stato ebraico ha spiegato che alle 6,15 Gmt (le 8,15 italiane) e' stato lanciato un missile che viene usato per testare i sistemi anti-missile.
I media israeliani hanno riferito che il test sarebbe consistito nel lancio di missili Ankor Kahol (lancia blu) da basi nel Mediterraneo e dal centro di Israele. Gli Ankor sono vettori realizzati da Israele per imitare i missili Shahab iraniani nei test del sistema di difesa anti-missile Hetz, gia' sperimentato nell'Oceano Pacifico. L'annuncio israeliano ha risolto il giallo del lancio dei due "oggetti" balistici registrati dai radar militari russi, con traiettoria partita dal Mediterraneo centrale verso le coste orientali, e che avevano fatto pensare a un attacco missilistico di Francia o Stati Uniti contro la Siria.
Era stata la Russia, stamane, a rendere noto che una sua stazione di allerta per attacchi missilistici ha registrato il lancio di due missili da una zona centrale del Mediterraneo verso le coste orientali, dove si trova la Siria, alle 8,16 ora italiana. L'ambasciata russa a Damasco e Israele avevano in un oprimo momento smentito l'episodio. A registrate il lancio dei missili, ha riferito un comunicato del ministero della Difesa Russa, e' stata la stazione Armavir, nel sud della Russia. Nel comunicato si spiega che il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, ha gia' informato il presidente, Vladimir Putin.
La notizia arriva dopo che Francia e Stati Uniti hanno preannunciato un intervento militare contro il regime siriano, anche se il presidente Usa, Barack Obama, ha richiesto un voto del Congresso sull'operazione. In un primo momento una fonte diplomatica russa aveva di palloni-sonda meteorologici, poi Israele ha chiarito il giallo: si e' trattato di un test missilistico congiunto con gli Stati Uniti. Intanto Damasco fa sapere che la Russia ha le prove dell'uso di armi chimiche da parte dei ribelli siriani nell'attacco chimico del 21 agosto a est di Damasco: lo sostiene l'ambasciatore siriano a Mosca, Riad Haddad.
"Tutte le prove e gli elementi dimostrano che sono stati i gruppi armati dell'opposizione ad usare armi chimiche in quell'attacco", ha annunciato Haddad, spiegando che le prove presentate da Mosca sono "fotografie in cui sono visibili il luogo e l'orario del lancio del razzo". Sul conflitto mediorientale e' tornata a farsi sentire la voce di Papa Francesco: "Vogliamo che in questa nostra societa', dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace", scrive Francesco su Twitter, rilanciando un brano del suo appello di domenica scorsa contro la guerra in Siria.

(AGI, 3 settembre 2013)


Quando Kerry andava a cena con Assad...

Rispunta foto del 2009 in cui è in compagnia del rais e la moglie

   
ROMA - Sono passati quattro anni, ma la foto fa scalpore: John Kerry, il segratario di Stato americano che ha paragonato il presidente siriano Bashar al Assad a Hitler per l'uso di armi chimiche sui civili, a cena proprio col rais siriano. Non una cena d'affari con delegazioni di decine di persone, no: una cena a quattro, quasi a lume di candela, con le rispettive mogli. La foto è stata scattata nel 2009 in un ristorante di Damasco, quando Kerry era solo un senatore che si occupava di politica estera e Assad un 'normale' dittatore mediorientale. Dopo essere stata rilanciata dal Daily Mail, è finita su numerosi siti di informazione americani e promette di sollevare polemiche in vista del difficile dibattito sull'intervento militare Usa in Siria al Congresso di Washington.
Non è un caso che il Washington Times, giornale di qualità conservatore della capitale e rivale del Washington Post, abbia scritto un articolo per analizzare come i principali accusatori americani di Assad di oggi - oltre a Kerry ci sono il segretario alla Difesa Chuck Hagel e il vicepresidente Joe Biden - fossero in passato i suoi migliori 'alleati' Oltreoceano.
Negli anni 2000, ricorda il quotidiano di Washington, Assad faceva cose che l'amministrazione di George Bush deprecava, come rafforzare i legami con Hamas, Hezbollah e l'Iran, lasciar transitare cellule di al Qaida sul suo territorio verso l'Iraq e partecipare all'assassinio dell'ex premier libanese Rafik Hariri.
Biden, Hagel e Kerry, ricorda il W.Times, volevano coinvolgere la Siria in colloqui di pace sul Medio Oriente, cosa che l'amministrazione di Bush rifiutava di fare, e attaccarono in diverse sedute del Congresso l'allora segretario di Stato Condoleezza Rice proprio su questo punto. E quando Obama diventò presidente nel 2008, la sua prima mossa su Damasco fu di spedire Kerry a fare da 'pontiere'. Kerry andò ben due volte - una delle quali è quella della foto a cena - e così nel Carnegie Endowment for International Peace nel 2011 Kerry predisse che la Siria, dove la primavera araba stava appena cominciando a sbocciare, "si sarebbe mossa". "La Siria cambierà", disse, "mentre si apre a una legittima relazione con gli Stati Uniti e l'Occidente e le opportunità economiche che ne derivano". Hillary Clinton, allora segretario di Stato di Obama, disse alla CBS che i parlamentari che avevano incontrato Assad lo consideravano un "riformatore".

(TMNews, 2 settembre 2013)


Elicotteri dell'esercito egiziano bombardano covi di miliziani nel Sinai

IL CAIRO, 3 set. - Due elicotteri dell'esercito egiziano hanno sparato 13 razzi contro covi di miliziani nel nord della Penisola del Sinai. Lo rende noto un funzionario della sicurezza egiziana a condizione di anonimato. A essere colpite sono state al-Muqataa e Touma, a sud della citta' di Sheikh Zuweyid, vicino al confine con Gaza.

(Adnkronos, 3 settembre 2013)


Ma non lo chiamate doppiopesismo

L'Egitto ha chiuso ripetutamente il valico di Rafah che lo collega alla Striscia di Gaza, come forma di ritorsione nei confronti di Hamas, che secondo la nuova dirigenza del Cairo avrebbe preso parte attiva agli scontri con l'esercito all'indomani dell'esautoramento di Morsi. Nel frattempo i valichi israeliani di Erez e Kerem Shalom sono rimasti aperti: soltanto giovedì, l'IDF ha gestito il transito di 262 camioni, trasportanti 6266 tonnellate di beni, fra cui 640 tonnellate di materiali da costruzione. Ciò ha impedito che gli abitanti della Striscia rimanessero segregati e isolati. Il tentativo egiziano di mettere Gaza sotto assedio, facendo della Striscia una prigione a cielo aperto, non è andato a buon fine.
L'Egitto ha distrutto mediante detonazione con esplosivo il 90% dei tunnel clandestini che lo collegavano alla Striscia di Gaza. Per accertarsi della compiutezza del lavoro, non si è esitato ad allagare con acqua ciò che è rimasto delle gallerie sottorranee; e pazienza se nel frattempo qualche palestinese è annegato (se non è morto prima per schiacciamento). Non sono pervenute proteste, interrogazioni parlamentari, flottiglie della libertà, cortei per la pace, editoriali infuocati ne' mobilitazioni sui social network.
E mentre nei campi profughi in Siria muoiono sotto le bombe del regime di Assad (ancora membro del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU) altri 7 palestinesi, che si sommano ai 1.377 uccisi da Damasco; sempre a Gaza l'esercito egiziano mette ancora una volta in seria difficoltà gli antisionisti (vestiti da filopalestinesi) di tutto il mondo: decidendo di abbattere con le ruspe 13 abitazioni. L'intenzione è di creare una zona cuscinetto, militarizzata, lunga dieci chilometri e larga 500 metri. "Motivi di sicurezza", dicono i militari...
Fra i quali proprio non si riesce a trovare nessun sionista.
Ecco perché NON se ne parla...
Di questo passo, non sorprenderebbe una iniziativa militare a tutti gli effetti da parte dell'Egitto sul suolo di Gaza. Molti lo danno per probabile e imminente. Sorprenderà o indignerà qualcuno? è legittimo dubitarne...
Ma nel frattempo, nessuna Rachel Corrie accorrerà con il suo ciuffo biondo a difendere i poveri palestinesi dai bulldozer...

(Il Borghesino, 2 settembre 2013)


Netanyahu: guai a chi rovina il capodanno ebraico

Durante la cerimonia per l'inaugurazione di uno snodo autostradale in Galilea, il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha lanciato un monito ai terroristi internazionali. Sono imminenti i festeggiamenti per il capodanno ebraico, e, temendo attentati o azioni militari da parte dei numerosi nemici dichiarati dello stato ebraico, il premier ha affermato che non permetterà a nessuno di guastare l'atmosfera delle festività. Netanyahu ha inoltre stigmatizzato la situazione del medio oriente, dichiarando che mentre in tutte le regioni che circondano Israele si tende a distruggere, lo stato ebraico lavora con impegno per costruire un futuro migliore. Per la cultura ebraica, sono tre le festività del capodanno. L'imminente Rosh haShana, il capodanno religioso in base al quale vengono calcolati gli anni, cade quest'anno nella notte tra il 4 ed il 5 settembre.

(BeFan, 2 settembre 2013)


Oltremare - Rosh haShanah e i venti di guerra
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival ”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Dopo una settimana di file sotto il sole cocente ai centri di distribuzione delle maschere antigas; dopo chilometri di status più o meno allarmistici sui social network; dopo un weekend di calma piatta nei cieli, che qui paiono autostrade invece, appena iniziano veri allarmi; dopo le dichiarazioni di Obama, che rimette a posto imbronciato i carrarmatini del Risiko; come niente, è già ora di mele con il miele.
Se questa querra si farà, non sarà pare prima di Kippur, metà settembre. Inutile dire quanto poco arrida a tutti quaggiù l'idea di una mobilitazione (per quanto limitata, secondo gli ottimisti), per giunta sotto le feste ebraiche. Ogni azione militare nell'area (tracotante o necessaria e sacrosanta che sia) porta ovviamente pericolo, possibile richiamo dei riservisti, e poi memorie pesanti, di momenti simili già passati; ma deja-vu a parte c'è da contare il lato logistico della questione.
Già nei giorni normali, si ha l'impressione che metà Israele attraversi il paese intero solo per andare a lavorare e ritorno. Durante le feste è il picco: tutti in moto perpetuo, il santo popolo si muove incessantemente per far visita ai parenti, incontrare visitatori, oppure per una giornata di vacanza fuori città.
Si può fare lo stesso portandosi a spasso, insieme ad acqua, sandwich, anguria e snack per i bambini, anche ciascuno la propria graziosa scatola marrone che contiene la maschera antigas. Però certo, viene meno voglia di fare grandi scampagnate. Chissà se in caso di bisogno si troverà un rifugio aperto, se c'è posto per i visitatori in quello sotto casa degli amici che andiamo a trovare…
L'israeliano medio tende ad un ottimismo metà stoico e metà fatto di pura irriverenza. Dice e non dice: le ho viste tutte, io, di cosa dovrei preoccuparmi. Piuttosto il sandwich io lo voglio con tanto pastrami, grazie, e Shanà Tovà!

(Notiziario Ucei, 2 settembre 2013)


Zona cuscinetto tra Gaza e l'Egitto

GAZA, 2 set - Allarmato dai lavori di livellamento intrapresi da ruspe militari egiziane lungo il confine con la Striscia di Gaza, Hamas teme che l'Egitto si appresti ad approntare in quell'area una 'zona cuscinetto', nel dichiarato intento di stroncare il contrabbando. "Le 'zone cuscinetto' sono superflue fra Paesi amici, legati da vincoli storici", ha osservato Ihab al-Ghusein, un esponente di Hamas. La sua creazione "rafforzerebbe il blocco di Gaza e infliggerebbe nuove sofferenze alla popolazione", ha aggiunto.
Secondo Hamas occorre semmai stabilire sul confine una zona di libero scambio.
Secondo il sito web palestinese al-Ray, i militari egiziani hanno fatto saltare in aria negli ultimi giorni 13 abitazioni utilizzate in apparenza come sbocco di tunnel di contrabbando.
Il sito ha appreso che l'esercito egiziano vuole approntare lungo il confine con Gaza una fascia di terra larga 500 metri, sgombera di edifici e di vegetazione.

(ANSAmed, 2 settembre 2013)


Il servizio di sicurezza israeliano sventa un attentato in Gerusalemme

Il centro Mamila a Gerusalemme
Lo Shin Bet, servizio di sicurezza israeliano per l'interno, ha arrestato due terroristi arabi che secondo le autorità avevano progettato di innescare un ordigno esplosivo nel centro commerciale Mamila, a Gerusalemme. L'esplosione avrebbe dovuto avvenire durante le prossime grandi festività ebraiche, quando molte persone si muovono tra il centro Mamila e la Porta di Giaffa. Secondo fonti israeliane, la mente del progettato attacco è un uomo di 22 anni di Ramallah, in contatto con l’organizzazione islamica terroristica di Hamas. Nella sua casa le forze di sicurezza hanno trovato esplosivi e istruzioni per fabbricare bombe.
I due arabi arrestati, di 23 e 27 anni, erano in possesso di carte d'identità israeliane e avevano ricevuto l'incarico di introdurre esplosivi in Gerusalemme. I due sono impiegati come operai in uno dei centri commerciali di Mamila e avevano in progetto di nascondere una bomba in una toilette. Secondo quanto reso noto dal servizio di sicurezza, la bomba doveva esplodere poi in un ristorante. Alla bomba erano state collegate 40 sfere di metallo per aumentare il numero di morti e feriti.
La cellula terroristica stava già progettando altri attentati, anche contro soldati israeliani. L'attentato sventato ha alimentato ancora una volta la discussione sul pericolo costituito da arabi con passaporto israeliano che possono muoversi liberamente nel paese.

(israel heute, 2 settembre 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Israele - Messo a punto “Jumbo,” il fico erculeo

In un istituto di ricerca con 10 mila varieta' di fichi

TEL AVIV, 2 set - L'Istituto di ricerca agricola Volcani di Beit Dagan (Tel Aviv) ha messo a punto una nuova varieta' di fico, denominata 'Jumbo', il cui frutto e' grande come una palla da tennis e pesa fino a 150 grammi. Di color viola all'esterno e con la polpa rossa luccicante, 'Jumbo' e' solo uno dei 10 mila diversi generi di fichi concepiti dai ricercatori dell'Istituto Volcani per venir incontro alle diverse preferenze nei mercati mondiali.
Secondo quanto ha affermato il responsabile del progetto, dott. Moshe Fleishman, mentre il mercato cinese richiede fichi grandi e dolci, quello europeo preferisce frutti di dimensioni piu' ridotte, piu' idonei alle confezioni regalo. I messicani, come gli israeliani, sono piu' attratti dall'aspetto cromatico: esigono fichi ben verdi all'esterno e ben rossi all'interno. Un prodotto che tuttavia non troverebbe consensi fra i giapponesi e i coreani, piu' inclini a cibarsi di fichi chiari: giallastri all'esterno, bianchi dentro.
Per soddisfare questi mercati l'Istituto Volcani compie inoltre ingenti sforzi nel tentativo di garantire la raccolta di fichi quasi tutto l'anno. Afferma poi di essere in grado di 'regolare' l'altezza degli alberi e di portarli fino a 1.70-1.80 metri: in questo modo si cerca di facilitare agli agricoltori la raccolta del frutto.

(ANSA, 2 settembre 2013)


La musica batte le minacce: Avidan sale sul palco

La star di Gerusalemme in concerto nonostante gli attacchi di "Boycott Israel"

di Paolo Ferrari e Letizia Tortello

Non capita spesso che un festival chiuda a inizio agosto e riapra un mese dopo per venire incontro all'agenda di un artista. Ma il blasone fresco di successo di Asaf Avidan vale un'eccezione, e oggi il Gru Village riapre i battenti per una sola serata per dare spazio al cantante israeliano (inizio del concerto ore 22, biglietto 25 euro). E non hanno indotto gli organizzatori a ripensamenti neppure le scritte e i messaggi «boicotta Israele, boicotta Avidan» che hanno riempito i manifesti del cantante per la città. Un attacco di un gruppo di antagonisti del comitato Boycott Israel, che ha chiesto ai promotori della data torinese di cancellare il concerto e promette polemiche sonore fuori dagli spalti. Un timore che ha messo in guardia Questura e Carabinieri, su segnalazione delle Gru, vista l' ideologia antisionista espressa dalle scritte.
   Ma la musica è e vuole a tutti i costi essere più forte delle polemiche. Eventualmente accettando il dissenso. «E' storia vecchia - spiega Mario Della Casa, socio fondatore di Hiroshima, organizzatrice del concerto -, Avidan era già venuto da noi a dicembre e c'erano state le medesime contestazioni. I militanti di questa organizzazione volantinavano fuori dai cancelli, la protesta e' stata soft, nessun problema». Della Casa stempera le preoccupazioni: «Il servizio di sicurezza è attivato, ma non temiamo nulla». Per di più, «i testi di Avidan sono ben lontani da questi temi, parlano di questioni esistenziali che accomunano i giovani di tutto il mondo».
   E allora, via allo show, che annuncia una standing ovation. La bravura internazionale della star di Israele, ospite allo scorso festival di Sanremo, è riconosciuta. Un talento esploso all'improvviso, quasi per caso, con le stigmate del campione e lo vedremo presto primo in classifica. Trentatré anni, , Avidan ha iniziato la sua carriera per caso, quando una delusione amorosa lo spinse a cambiare vita, dirottandone la creatività da una scuola d'arte alla musica. Era il 2006, Asaf si mise alla guida di un gruppo, prese a incidere dischi e a fare tour. Niente però lasciava presagire quanto sarebbe accaduto sei anni dopo. Una delle canzoni di allora, «One Day / Reckoning Song» è diventata una hit mondiale lo scorso anno nel remix del dj tedesco Wankelmut, e il magnetico Avidan ha fatto irruzione nelle playlist di tutto il mondo.
   I paragoni si sono sprecati, dai mostri sacri Bob Dylan, Janis Joplin e Leonard Cohen al più vicino Antony. Il falsetto inquieto e disturbato del cantante israeliano ha fatto breccia in un pubblico ampio quanto trasversale. Piace agli estimatori del rock e del blues, si iscrive alla categoria del pop intelligente; una certa ambiguità, ammiccante anche nel titolo dell'album «Different Pulses», lo ha iscritto alla categoria delle nuove icone gay in campo musicale, per quanto mai siano giunte da parte sua dichiarazioni nell'uno o nell'altro senso.

(La Stampa, 2 settembre 2013)


Kosher cakes - Ariel Bahbout: dove i dolci ebraici diventano capolavori

di Paola Ambrosino

A tavola anche l'occhio vuole la sua parte e, quando il gusto incontra il design, ecco che nascono veri e propri capolavori.
E proprio di capolavori si può parlare davanti alle creazioni di Alessandra Di Castro, la cake designer della Capitale che con il suo "Kosher Cakes" colleziona successi ormai riconosciuti all'unanimità anche dai palati più raffinati.
Per conoscere più a fondo il laboratorio di pasticceria, e soprattutto i dolci della Di Castro, la redazione di RomaCapitaleNews ha intervistato oggi suo marito, Ariel Bahbout.

- Cos'e Kosher Cakes?
  Kosher Cakes è una pasticceria di alto livello, creata e gestita da mia moglie, Alessandra Di Castro. I suoi primi successi sono arrivati due anni fa quando importanti personalità del mondo dello spettacolo, da Woody Allen a Francesco Totti, hanno iniziato a rivolgersi a lei per avere torte e dolci per banchetti, feste o compleanni. Da lì abbiamo pensato di espanderci. Dopo il laboratorio-showroom di vicolo della Serpe 21, abbiamo infatti aperto due nuovi locali a via Cremona 37 (zona piazza Bologna), e piazza Costaguti 21 (zona Ghetto, nel cuore di Roma).

- Qual è la specialità di Kosher Cakes?
  Le specialità sono i dolci ebraici realizzati anche senza latte, quindi ottimi per chi è intollerante al lattosio. Un aspetto fondamentale per Kosher Cakes è poi l'utilizzo esclusivo di prodotti biologici e naturali. Non usiamo niente di già pronto né migliorativi, tutti i nostri ingredienti sono semplici e genuini, come vuole la vera tradizione.

- Altra particolarità di Kosher Caskes?
  Sicuramente lo staff. Mia moglie infatti si circonda di uno staff prettamente femminile. Questa particolarità è venuta fuori per caso, non c'è stato nulla di voluto o premeditato. Fra le prime a lavorare insieme ad Alessandra è stata la figlia più grande. All'inizio lavorava solo qualche ora dopo la scuola, poi ha scoperto di avere una forte passione per i dolci ed è diventata presto una risorsa importantissima. Ci sono poi altre due signore, esperte nella cura dei dettagli.

- Che tipo di clientela si rivolge a Kosher Cakes?
  In realtà non abbiamo un cliente tipo. Da noi vengono attori, calciatori, registi così come gente comune.

- Novità in cantiere?
  Si, stiamo portando avanti varie sperimentazioni per il gelato al pistacchio, ovviamente artigianale. Gli ingredienti sono semplici: pistacchi da tritare, latte e zucchero ma stiamo realizzando diverse prove per mettere a punto la ricetta.

(Roma Capitale News, 2 settembre 2013)


La società spagnola Abengoa realizzerà un impianto solare in Israele

Con due diversi annunci Abengoa conferma il suo attivismo nel solare termodinamico. Il gruppo spagnolo costruirà il maggiore impianto Csp (Concentrated solar power) d'Israele, nel deserto del Neghev, con una capacità di 110 MW. L'azienda si è aggiudicata il contratto per la realizzazione dell'installazione in consorzio con l'impresa israeliana Shikun & Binui, specializzata in infrastrutture. I lavori cominceranno nella zona di Ashalim nel 2014 e l'impianto dovrebbe essere operativo a partire dal 2017. Il progetto va inserito nelle politiche energetiche adottate dal governo israeliano che prevedono, entro il 2020, il 10% del fabbisogno energetico del Paese coperto da fonti di energia rinnovabile.
Il secondo annuncio che riguarda il Csp proposto dalla società di Siviglia arriva dal Sudafrica: lì il gruppo ha già realizzato la prima torre solare del suo impianto da 50 MW (denominato Khi Solar One). L'installazione è uno dei due progetti con tecnologia del solare a cincentrazione che Abengoa sta costruendo nella regione di Northern Cape, che saranno anche i primi impianti Csp sudadafricani. Abengoa sostiene che la torre appena completata rappresenta un progresso in termini di efficienza, perché consente di utilizzare temperature più elevate e un sistema di raffreddamento a secco, frutto di un lavoro interno di ricerca e sviluppo.

(Energia24, 2 settembre 2013)


Netanyahu: Israele è sereno

"I cittadini sanno che siamo pronti a ogni evenienza"

GERUSALEMME, 1 set - ''Israele e' sereno, sicuro di sè'': lo ha affermato il premier Benyamin Netanyahu, aprendo la consueta seduta del consiglio dei ministri. ''I nostri cittadini sanno bene che siamo pronti ad affrontare ogni evenienza. I nostri cittadini devono anche sapere che i nostri nemici hanno ragioni molto fondate per non mettere a prova la nostra potenza''. Netanyahu si e' infine congratulato per il lancio odierno del nuovo satellite israeliano, Amos-4.

(ANSA, 1 settembre 2013)


Israele lancia il satellite Amos-4

Amos-4
GERUSALEMME - Un nuovo satellite israeliano per le comunicazioni civili, Amos-4, e' stato lanciato la scorsa notte dalla base di Baykonur, Kazakhstan. Nelle prossime due settimane sara' sottoposto a serrate verifiche prima di raggiungere la sua posizione definitiva da dove potra' 'coprire' ampie zone del Medio Oriente, dell'Asia, dell'Africa e dell'Europa. Amos-4 sara' utilizzato in prevalenza per lo smistamento di comunicazioni telefoniche ed internet nonche' di trasmissioni tv ad alta definizione.

(ANSA, 1 settembre 2013)


Israele rassegnato a un conflitto che non vuole

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - C'è un Paese che non c'entra niente, non fa parte della coalizione che Obama sta cercando di mettere insieme per attaccare la Siria (ciò che ormai può accadere ad ogni momento dopo che sono partiti gli inviati dell'ONU) ha ripetuto in tutte le lingue che non intende occuparsi dei complessi affari, le rivoluzioni, gli scontri interni, le stragi, le persecuzioni da cui sono funestati i suoi vicini. Non parteggia per nessuno. Nel corso di questi due anni di incredibili violenze ai suoi confini, si è limitato a mordersi la lingua e a raccogliere i feriti che tracimano dalla lotta fra Assad e i ribelli oltre il Golan, e curarli nei suoi ospedali. Questo Paese si chiama Israele, ed è l'unico contro cui i siriani e i loro alleati iraniani minacciano vendetta per ciò che si prepara. Nelle ultime ora la radio siriana trasmette musiche marziali, le milizie alawite si preparano e gli ufficiali intervistati affermano che ogni arma sarà usata in caso di attacco, ovvero allude all'uso delle armi chimiche che Assad ha accumulato in grandi quantità. Lunedì Khalaf Muftah, presidente del Ba'ath, il partito di Assad, ha detto alla radio che "Israele cadrà sotto il fuoco se gli USA e i loro alleati lanceranno un attacco contro la Siria" e ha aggiunto: "Abbiamo armi strategiche (cioè armi chimiche), sappiamo usarle, ed esse sono normalmente puntate contro Israele".
   Hossein Sheikcholeslam, il direttore generale degli affari esteri del Parlamento iraniano, ha detto che se un attacco ci sarà il regime sionista ne sarà la prima vittima. Afif Nablusi, un clerico legato a Hezbollah ha dichiarato che il Libano risponderebbe a un attacco contro la Siria, e che Israele sarebbe colpito. Ed è noto che la distruzione di Israele è lo scopo sociale degli Hezbollah. Il ministro degli esteri libanesi Adnan Mansour ha detto a sua volta che "la minaccia viene direttamente da Israele, sfrutterà l'attacco contro la Siria per affrontare gli Hezbollah".
   La risposta di Israele è un cauto procedere verso l'azione eventuale, il sistema antimissile è schierato al confine, la radio spiega di continuo che il rischio è il minimo, che Assad non sarà così pazzo da esporsi a meno di un attacco molto aggressivo, che nel 2007 non ha risposto quando Israele gli ha distrutto gli impianti nucleari. La folla in coda litiga davanti ai centri di distribuzione delle maschere antigas (con le file gli israeliani sono peggio degli italiani), la tv spiega di nuovo che non è sulla maschera che si punta ma semmai sull'abilità dell'esercito. Infatti, di maschere ne mancano ben il 40 per cento. Netanyahu ripete un messaggio uguale: "Noi non ne vogliamo sapere niente, ma ho un consiglio da amico: non ci provate".
   Il miluim, ovvero le riserve, sono state mobilitate, ma solo nel numero di mille uomini, quasi tutti dei servizi d'informazione perché se mai qualche missile partisse verso Israele, la sirena che chiede di correre ai rifugi (anche quelli in disordine, la gente li apre e li spazza, ci mette qualche bottiglia d'acqua e la radiolina) è la cosa più importante. Tutti fanno, tutti preparano, ma l'uso consolidato in 60 anni è calmarsi a vicenda, ridere del pericolo incombente, fare i buffoni con le maschere per i bambini. Assad sa che se attacca Israele, è la sua fine. Ma ciò che non è ragionevole, lo è tuttavia in Medio Oriente, e qui è d'uso dire "muoia Sansone con tutti i Filistei". Assad ha usato, dopo aver fatto centomila morti, l'arma che in fondo era l'unica proibita da un consesso internazionale inetto, perché provocarne la reazione? Forse semplicemente uno dei suoi ha spinto il bottone, la quantità non era giusta, la valutazione sulla diffusione delle notizie errata, la valutazione politica sbagliata (mi hanno lasciato far tutto, sarà così anche adesso…), o la sua nevrotica perfidia fuor di controllo… Non si sa: gli idioti possono ancora agire e costringere gli israeliani a correre nei rifugi e a usare le maschere. Quando Saddam Hussein sparò qui decine di missili, agli americani interessava soltanto che Israele stesse buona, che non rispondesse, e tanto insistettero che Yzchack Shamir, che non era un tipo facile, ubbidì. Ma la Siria ha il confine con Israele, e anche gli Hezbollah armati da decine di migliaia di missili iraniani, piazzati nel sud del Libano. E l'Iran è in agguato.
   Guai a mostrarsi deboli. Benjamin Netanyahu ha detto, a chi l'avesse in mente, di non provarci. Si sussurra che gli americani gli abbiano già chiesto, nell'eventualità di una risposta israeliana, che sia lieve. Certo è che il mondo conta da decenni su questo piccolo Hans con il dito nella falla della diga da cui l'oceano è pronto a dilagare, un popolo che ormai è abituato a vedersi ascritte tutte le colpe del colonialismo, del capitalismo, dell'imperialismo, degli americani… che, quel che più conta, è combattere la battaglia di tutti per la democrazia in una zona dove l'islamismo è in continua crescita. Ci fosse stata, adesso, una sola voce, in inglese, in francese, in tedesco, che avesse detto: noi stiamo venendo da quelle parti, ma non vi preoccupate, se ci sarà bisogno avrete il nostro sostegno. Nessuna.
   Sono cominciate le scuole, la radio parla al cinquanta per cento con la voce dei bambini che raccontano le loro emozioni. Per l'altro cinquanta, con la voce della guerra. Non abbiate paura, dice, yhie beseder, andrà tutto bene, e tanto vi basti.

(il Giornale, 1 settembre 2013)


Viviamo aspettando il suono delle sirene, chi ci colpirà per primo?

  
Chi di noi andrà a dormire stanotte? O domani notte? Saranno in pochi ad andare a letto con tranquillità: qui in Israele ci aspettiamo l'attacco americano in qualunque momento, ce lo aspettiamo già stanotte in realtà. E immediatamente dopo ci aspettiamo l'attacco dei missili siriani, di quelli iraniani e di quelli di Hezbollah: e allora, chi può dormire tranquillo? Siamo in mezzo a un fuoco incrociato e Siria, Iran ed Hezbollah ci hanno già minacciato apertamente. E' vero, il nostro governo non ha dato nessun annuncio particolare, non ha comunicato coprifuochi o iniziative speciali. E questo non ci tranquillizza per niente: da anni, da decenni siamo pronti a fuggire nei rifugi al suono improvviso di un allarme, non c'è bisogno che ce lo dicano, questa è la nostra vita. Hanno fatto vedere immagini che mostrano la distribuzione di maschere anti gas alla popolazione, ma in realtà la metà degli israeliani non le ha. E certamente Assad non sarà così pazzo da lanciare i gas contro Israele: la risposta sarebbe una sola, un contrattacco nucleare da parte del nostro esercito. Orribile vero? Gli scenari che ci vengono alla mente sono niente altro che orribili. E comunque, sappiamo benissimo che Assad ha più di 100mila missili di tipo convenzionale da gettarci addosso, sarebbe una strage comunque.
La televisione invece ci aggiorna di continuo: hanno detto che Assad avrebbe già portato la famiglia al sicuro in un bunker isolato. A Damasco la gente aspetta l'attacco americano, proprio come noi. Molte delle nostre truppe si trovano già da giorni al confine sud con il Libano, pronte a intervenire e a invadere il sud del paese in caso Hezbollah ci lanci dei missili. I nostri aerei continuano a sorvolare il sud del Libano, per cercare di capire i loro movimenti. E' ovvio che anche se il nostro governo non ci dice nulla, siamo già in stato di guerra.
E' una situazione surreale, diversa dalla solita paura di attacchi da Gaza. Dopo quello che ormai sembra essere stato un attacco con armi chimiche da parte di Assad, il sentimento comune di noi israeliani è stato che qualcuno mettesse fine a tutto questo. Non dimentichiamo mai infatti che la metà del popolo ebreo è stato ucciso con i gas dai nazisti: nessuno deve fare più una cosa del genere. Però le ultime notizie dicono che Obama non intende attaccare per rovesciare Assad o distruggere il suo arsenale di armi chimiche. Vuole solo far vedere al mondo che sa mantenere la promessa, che nessuno cioè deve superare la linea rossa che proibisce l'uso di armi chimiche.

(ilsussidiario.net, 1 settembre 2013)


Avidan: "Boicottare Israele? Faccio musica, non politica"

La star di Tel Aviv domani sera al GruVillage risponde ai contestatori: sono considerato un liberale di sinistra e cerco di cambiare il governo del mio paese. Ma credo che l'arte debba unire e non dividere: è più utile suonare a Ramallah che sabotare Gerusalemme.

di Davide Agazzi

Asaf Avidan
"Ho già risposto e riferito la mia posizione. Non ho niente da aggiungere, le mie canzoni non parlano di politica". Lo dice Asaf Avidan, l'artista israeliano in concerto domani al GruVillage, riguardo alla "sfida" di Boycott Israel, il collettivo che gli chiede di prendere posizioni ufficiali contro il suo paese, accusato di "oppressione nei confronti del popolo palestinese".
Nessuna replica alla mail inviata agli organizzatori del concerto, che si aspettano il presidio ai cancelli del centro commerciale. Non si sbilancia Avidan, che già l'inverno scorso aveva risposto a una lettera ricevuta in occasione del suo concerto all'Hiroshima Mon Amour, rivelando di esser d'accordo con il cambiamento proposto, in quanto liberale di sinistra, ma non con i metodi del collettivo. "Il semplice fatto che io abbia un microfono non mi dà il potere di usarlo come mi pare", scriveva. E la città si scalda, tra chi ha affisso i volantini per San Salvario con il volto del musicista e la scritta "Boycott Israel" e chi invece aspetta di scoprire dal vivo il giovane cantante di Gerusalemme, star internazionale dell'ultima edizione di Sanremo, che chiude l'estate del Gru Village, domani, alle 22 (biglietti a 25 euro).

- Avidan, lei è nato nella Gerusalemme delle tradizioni e cresciuto nella mondana Tel Aviv, con una parentesi in Giamaica. Che quadro può fornirci di Israele?
"Per me Israele è un paese normale, come penso sia normale il proprio paese per chiunque. E non è solo quello di cui parlano i giornali, delle bombe e degli attentati. Sono cresciuto a Gerusalemme e vivo a Tel Aviv, ma non per questo sento una particolare influenza né alcuna limitazione, vivo una vita normale e cerco di comunicare con la mia musica".

- Qual è la sua posizione nei confronti del suo governo?
"Come ho già avuto modo di dire, a casa mia sono considerato un liberale di sinistra, e mi adopero, nei modi in cui le istituzioni democratiche me lo consentono, per provare a cambiare il governo israeliano e la sua politica. Credo che questo sia il mio dovere di cittadino. Ma, se concordo sul fatto che il cambiamento ci deve essere, non condivido con Boycott Israel né l'opinione sui modi di perseguirlo né un'idea basata sulla contrapposizione bianco-nero. Anche perché l'arte deve servire per unire e non per dividere: penso che suonare a Ramallah sia molto più utile che boicottare Tel Aviv".

- Lei torna a Torino dopo il sold out dello scorso inverno all'Hiroshima. Si è trovato bene in Piemonte? Che cosa è cambiato in questi mesi?
"Si, non conoscevo questa città e la passata esperienza è stata molto piacevole. Non so dire cosa sia cambiato per me nel frattempo; ogni artista è sempre in costante evoluzione e penso che sia così anche per me, anche se non me ne accorgo. È un processo naturale".

- In Italia sta riscuotendo molto successo, è anche salito sul palco dell'Ariston. Che esperienza è stata? Cosa pensa dell'Italia?
"Sanremo è stata un'esperienza molto interessante ed unica, non avevo mai partecipato ad eventi così importanti. Mi sono trovato molto bene. Conosco l'Italia, mi piace e ho amici italiani, non penso però si possa generalizzare l'impressione sul paese".

- Buona parte delle sue fortune la deve ad una sola canzone, rivisitata dal dj tedesco Wankelmut. È vero che non le piaceva tanto il remix?
"Come ogni artista, anche io sono più legato alle mie creazioni, rispetto alle elaborazioni di altri. Non so dire se ora concederei nuovamente i diritti per lavorarci sopra, di sicuro adesso sono contento di poter esprimere la mia musica ad un pubblico più vasto. E non è solo una questione di marketing".

- In molti si sono chiesti se il suo successo sia stato solo un colpo di fortuna o ci sia davvero del talento dietro, visto che nei suoi dischi ha dimostrato di saper maneggiare con maestria generi e stili diversi, dal blues al folk, dal rock al pop.
"Compongo semplicemente quello che mi viene in mente, senza pensare ad un genere o ad un altro. È tutto molto spontaneo, non sento particolari differenze, mi piace esprimermi sotto diverse forme".

(la Repubblica, 1 settembre 2013)


E' Israele, non Terra Santa

di Deborah Fait

Oggi la rubrica Dialogo del TG 1 curata da Roberto Olla ha presentato un servizio da Israele girato in occasione della partita degli Under 21 giocata in giugno.
Bellissimo servizio, niente da dire, Roberto Olla, che parlava da Gerusalemme, Israele, e' un bravo e serio giornalista. Claudio Pagliara, collegato da Tel Aviv, Israele, e' altrettanto bravo, altrettanto serio.
Entrambi i giornalisti parlavano da Israele e lo dicevano chiaramente, molto chiaramente: Israele!
Enzo Fortunato
Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli (Matteo 23:39)
Il terzo interlocutore era Padre Enzo Fortunato dei Frati di Assisi che invece era convinto di essere in collegamento colla Terra Santa, paese sconosciuto. Ho cercato inutilmente sulla carta geografica ma non ho trovato nessuna nazione con questo nome.
Padre Fortunato non ha mai pronunciato la parola Israele, fedele alle antiche e ormai millenarie direttive della Chiesa.
Eppure nel 1993 il Vaticano ha ufficialmente riconosciuto Israele, sì, un po' tardino, dopo 45 anni, ma alla fine c'è riuscito e allora non si capisce il motivo per cui tanti religiosi sono così restii a pronunciare quel nome. Proprio non gli piace, anzi pare quasi che gli ripugni dirlo.
Eppure e' anche un bel nome, elegante, Israele! Non vi pare?
Perché si è parlato della partita di calcio Under 21 in una rubrica che si intitola Dialogo? Perché come saprete, in quell'occasione Israele aveva invitato ad assistervi qualcosa come 500 bambini arabi dei territori occupati dai palestinesi, oltre naturalmente a bambini e ragazzi ebrei e arabi israeliani e il servizio era tutto improntato sul dialogo tra bambini delle due etnie.
In Israele!
Tutto molto bello, tante sviolinate sulla comprensione, sulla pace, bambini arabi che dicevano di non odiare più gli ebrei.
Un bel campetto dove bambini arabi e ebrei giocavano a calcio.
Sempre In Israele!
Davvero, nessuna critica... beh, solo una... un piccolissimo neo... solo uno... che però sarebbe stato essenziale rivelare in una rubrica dal titolo Dialogo.. perché, amici, parlando di pace, di conoscenza, di comprensione, sia Roberto Olla che Claudio Pagliara, che la portavoce del Centro Peres per la Pace Tami Chai, hanno dimenticato di dire una cosa importante che avrebbe fatto comprendere molte cose, soprattutto che il dialogo esiste solo tra Israele e Israele, non certo tra Israele e l'ANP. Trasportati dalla retorica hanno dimenticato una notiziola: quando gli Under 21 sono andati a giocare a Ramallah, i palestinesi hanno vietato agli israeliani l'ingresso nei territori dell'ANP e, ovviamente, di andare a fare il tifo allo stadio.
Allora a che serve parlare di pace se lo si può fare solo da una parte della "barricata"?
A che serve sviolinare tanto sulla conoscenza e sulla comprensione se lo si può realizzare solo in Israele?
E perché non dirlo durante il servizio che tutto quello che si e' visto, bambini felici, amici gli uni con gli altri, purtroppo, non e' reciproco?
Perché non far capire ai telespettatori che in Israele si parla di dialogo e di pace mentre dall'altra parte c'e' una chiusura totale sull'argomento?
Ecco, questo e' mancato perché il servizio fosse perfetto: meno retorica e più chiarezza, meno sviolinamenti e più informazione.
Peccato.

(Informazione Corretta, 1 settembre 2013)


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