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Notizie gennaio 2014


Intercettato da Israele un missile diretto contro Eilat

GERUSALEMME, 31 gen. - Il sistema antimissili israeliano ha intercettato e distrutto un missile diretto contro la localita' balneare sul Mar Rosso di Eilat. Lo ha reso noto la polizia spiegando che l'operazione non ha causato danni ne' a cose ne' a persone. Lo scorso 20 gennaio due missili sono stati sparati sempre contro Eilaty e il lancio e' stato rivendicato da un gruppo terrorista.

(AGI, 31 gennaio 2014)


Matilde Sarano non dimentica

La scrittrice ebrea salvata con i familiari a Mombaroccio nel '43, rimane legata ai luoghi ed alle famiglie che l'aiutarono da bambina.

di Maria Luisa Moscati Benigni

 
Al centro Matilde Sarano col pronipote (nel 2000) Baruch Lev.
Nello sfondo, scena da "Il Muro" (1969) di Leandro Castellani. 
  
MOMBAROCCIO (PU) - Ciò che accadde a Mombaroccio nei racconti di Matilde Sarano.
La mattina del 26 giugno 2000 c'è alla stazione di Pesaro un vecchio signore in attesa: è Aharon Cohen, il primo shaliach (inviato) del Bené Akiva, che già negli anni '50 veniva in Italia per organizzare i campeggi estivi dei giovani ebrei. All'epoca aveva conosciuto a Milano Matilde Sarano, si erano sposati e l'aveva condotta in Israele.
Questa volta però era in Italia per organizzare un viaggio dono che la nipotina Tova Vida, dodicenne, aveva chiesto in occasione del suo bath-mizwà, la Maggiorità religiosa. Desiderava visitare i luoghi di cui tante volte la nonna Matilde, diventata scrittrice e poetessa molto nota in Israele, le aveva narrato, a viva voce e nei suoi scritti... i luoghi della salvezza.
Alla fermata del treno dunque, Aharon accoglie la figlia Liora, le due nipotine Tova Vida e Avigail Diana e il genero rabbino Avraham Kelman che spinge il passeggino con l'ultimo nato Baruch Lev. Tutti provenienti da Israele.
La nonna Matilde, per ragioni di salute, non ha potuto partecipare, ma Tova Vida conosce bene la storia.
Stipati in un taxi raggiungono Mombaroccio e all'albergatore chiedono per prima cosa le indicazioni necessarie per rintracciare la mai dimenticata famiglia di Igino Ciaffoni. Questi nel settembre del '43 aveva affittato alla famiglia Sarano un cascinale, poco più di un granaio, e lì erano rimasti sino all'agosto del '44. Mesi durissimi, fatti di fame e di stenti, senza acqua né luce né servizi, ma confortati dall'affetto della famiglia Ciaffoni, dalla premura di un'impiegata comunale che aveva ottenuto per loro la tessera per il grano, e dalle visite giornaliere del prezioso lattaio Dante Perazzini e il figlio Ermete che ogni giorno portava loro un alimento così prezioso in una famiglia con vecchi e bambini.
Erano gli unici, oltre a padre Sante Raffaelli, superiore del vicino convento del Beato Sante, a conoscere la vera identità dei Sarano. Tutti seppero tacere per non mettere a repentaglio le vite di quei sette ebrei in disperata fuga, nonché le proprie, vista la crudezza delle Leggi razziali.
La famiglia Sarano, in un primo momento solo le donne, aveva lasciato Milano rimanendo sei mesi a Pesaro, poi, proprio nel giorno di Rosh a-shanà, il capodanno ebraico, dopo l'8 settembre, caricate su un biroccio, mandato dai Ciaffoni, le cose più care portate da Milano, aveva raggiunto Mombaroccio. Oltre ai genitori Alfredo e Diana Sarano con le due figliolette Matilde e Vittorina, c'erano i nonni Moshé e Allegra Sarano e uno zio, Arturo. Quando nel freddo inverno la nonna li aveva lasciati, la sepoltura ebraica sarebbe stato un problema, che però padre Raffaelli seppe risolvere esibendo documenti da cui risultava che era turca musulmana (dopo la guerra verrà trasferita al cimitero ebraico di Milano).
I visitatori dunque incontrano nell'aia il figlio di Igino e con lui raggiungono il granaio che era stato la "casa rifugio" dei Sarano per dodici lunghi mesi. La moglie di Igino, con i capelli candidi e i passi lenti, li accoglie commossa poiché ricordava benissimo Diana e le sue due bimbe chiacchierine e le angosce di tutta la famiglia per il continuo terrore dei tedeschi. Il pericolo maggiore incombeva su Alfredo che, nella sua qualità di segretario della Comunità ebraica di Milano, conosceva nomi e indirizzi degli ebrei milanesi e sarebbe stato estremamente pericoloso se fosse stato catturato.
La visita al convento del Beato Sante non può mancare in questa sorta di pellegrinaggio nei luoghi della salvezza e lì apprendono che uno dei tedeschi, il comandante Erich Eder, era al corrente della presenza di una famiglia di ebrei, ma evidentemente non contagiato dal paganesimo ideologico nazista, era rimasto un cattolico credente e non li aveva denunciati alle SS che pure erano presenti in loco per organizzare la difesa sulla linea gotica.
Matilde, che all'epoca aveva solo quattro anni, aveva raccontato in modo così vivo la notte del 25 agosto '44, che a tutti loro sembrò di riviverla: la corsa sotto le bombe in braccio ai genitori, i bagliori che accendevano il cielo e la discesa nel rifugio nei sotterranei del convento dove padre Raffaelli li aveva accolti insieme ai paesani e a decine di sfollati.
Padre Sante Raffaelli nell'iniziare le preghiere aveva lasciato che Alfredo aprisse con le parole dello Shemà Israel... mentre Diana si stringeva devotamente al petto la mezuzà che aveva portato dalla casa di Milano e che in tante occasioni li aveva salvati.
Il bombardamento era stato violentissimo, ma più terrificanti erano le voci dei tedeschi che impartivano ordini concitati, ma al mattino, come sempre dopo una tempesta, tutto era diventato sereno. Nel giro di ventiquattr'ore tutto era cambiato: i tedeschi in fuga, i canadesi in arrivo, finalmente salvi. Una gioia immensa che nulla riusciva a smorzare, neppure il constatare che nella notte, la loro "casa" era stata completamente svaligiata.
Portati a Pesaro dagli Alleati, con indicibile commozione, incontrarono i giovani della First Camonflage, ebrei palestinesi della Brigata Ebraica che poi ricostruiranno il ponte a loro recentemente dedicato; questi risalivano la penisola agli ordini del generale Alexander combattendo sotto quella bandiera che sarà poi la bandiera di Israele.
Saranno loro a condurre l'intera famiglia Sarano a Roma dove si stavano raccogliendo gli ebrei scampati alle deportazioni. Solo nel '45 potranno tornare a Milano, ma, in attesa che fosse loro restituita la casa, vissero in un alloggio di fortuna dove a turno la notte, dovevano proteggere Miriam, appena nata, dall'assalto dei topi.
Ad Evelina e Iride Ciaffoni venne conferito un Certificato di benemerenza, ma forse il regalo più bello era il sorriso che il piccolo Baruch Lev dispensava a tutti dal suo passeggino, quasi a ringraziare l'intero paese... senza tanta solidarietà lui, le sue sorelline e la loro mamma Liora non sarebbero mai nati.

(Quotidiano.Net, 31 gennaio 2014)


Richiesto alla procura di Augusta l’elenco delle opere trovate in casa di Cornelius Gurlitt

Molte opere d'arte sottratte dai nazisti agli ebrei

“Spontaneamente non restituisco niente”, ha detto Cornelius Gurlitt (qui ritratto) al quotidiano Spiegel
BERLINO - La giustizia tedesca ha imposto alla procura di Augusta, in Baviera, di fornire alla stampa una lista completa del cosiddetto "tesoro nazista", circa 1.400 opere d'arte, fra le quali anche dei Matisse e Chagall, ritrovate a Monaco nel 2012 presso l'abitazione di un collezionista ottantenne, Cornelius Gurlitt.
Il quotidiano tedesco Bild si era rivolto al tribunale amministrativo di Augusta sostenendo che la procura non aveva alcun obbligo di imporre il segreto su queste opere d'arte, una buona parte delle quali era stato rubato dai nazisti agli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Il tribunale ha quindi chiesto alla procura di fornire una "descrizione dettagliata delle opere" ai giornalisti. La procura dovrà anche precisare per quali oggetti sono stati già individuati o contattati i proprietari, senza rivelare i loro nomi. La procura ha già detto che farà appello contro questa decisione.

(TMNews, 31 gennaio 2014)


Roma - Preso l'autore del pacco ignobile

Pacifici: "Grazie alla Questura e agli uomini della Sicurezza della Cer (Comunità Ebraica di Roma)"

"La Comunità Ebraica di Roma ringrazia le forze dell'ordine per aver identificato il presunto autore del pacco ignobile che è stato spedito nella nostra sede, in quella dell'Ambasciata d'Israele in Italia e in quella del Museo di Trastevere dove è in corso una mostra sulla Memoria. La prontezza e la velocità d'intervento dimostrano ancora una volta l'attenzione della Questura ai fenomeni criminosi che si verificano a Roma. Al dottor Massimo Maria Mazza, al dottor Diego Parente della Digos e ai loro uomini vanno i nostri complimenti per l'ottimo lavoro svolto. Un ringraziamento particolare anche agli organi di sicurezza interni allaComunità Ebraica di Roma che, seguendo le procedure standard, hanno saputo affrontare con professionalità questa spiacevole vicenda".
Lo dichiara il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.

(Comunità Ebraica di Roma, 31 gennaio 2014)


Iran: Il numero delle esecuzioni è arrivato a 83 dal 6 al 30 Gennaio
   
Esecuzione clandestina e collettiva di sei prigionieri nella prigione di Urumiyah

Il disumano regime teocratico ha impiccato clandestinamente sei prigionieri nella prigione centrale di Urumiyah il 30 Gennaio. Inoltre il giorno prima, l'intelligence dei mullah hanno portato la notizia dell'esecuzione di due prigionieri politici alle loro famiglie.
Finora, queste esecuzioni hanno portato il numero di quelle registrate a Gennaio a 83. E questo mentre il loro numero a Gennaio 2013 era di 46, il che dimostra un aumento di circa il 90%.
In un altro episodio, martedi 28 Gennaio, gli aguzzini del regime hanno messo sotto pressione sette prigionieri del Kurdistan nella sezione 350 della prigione di Evin perché collaborassero con il regime. Sono stati minacciati che, nel caso si fossero rifiutati, il tribunale supremo del regime li avrebbe rapidamente condannati a morte con le accuse di Moharebeh e "propaganda contro il sistema" e che le sentenze sarebbero state eseguite.
Il trend in crescita costante delle esecuzioni, utilizzate per amplificare l'atmosfera di terrore nella società, tradisce la paura dei mullah per il diffondersi del malcontento popolare causato dalle dimensioni crescenti della repressione e dal catastrofico andamento del tasso di povertà e disoccupazione, nonché dalla distruzione di tutte le infrastrutture economiche e produttive del paese.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. 31 gennaio 2014)


Anche Scarlett Johansson vittima dell'odio antisemita

L'attrice costretta a lasciare l'incarico di ambasciatrice dell'ong Oxfam che si autodefinisce «grande confederazione basata sulla democrazia».

di Giuseppe Pollicelli

 
Scarlett Johansson
Video
Una organizzazione non governativa che operi delle discriminazioni è di per sé una stranezza, quasi una contraddizione in termini. O almeno dovrebbe esserlo. Soprattutto se, sul proprio sito, l'ong in questione si definisce «un grande network internazionale di organizzazioni di Paesi diversi per ottenere un maggior impatto nella lotta globale contro la povertà e l'ingiustizia. Una grande confederazione basata sulla democrazia e la partecipazione come strumenti di governance interna ed esterna». È questa la descrizione che di se stessa fa la Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief), una confederazione di ong nata in Inghilterra nel 1942 e impegnata a combattere la povertà a livello mondiale. Sul sito italiano della Oxfam si legge anche: «Per sradicare povertà, ingiustizia e le loro cause è necessario operare a 3600 nel nord e nel sud del mondo». A 3600 ma, a quanto pare, con qualche eccezione.
   Che poi è un'eccezione soltanto, la solita eccezione: lo Stato d'Israele. E a far le spese di tale eccezione è stata, questa volta, perfino una superstar di Hollywood come Scarlett Johansson, la bella attrice newyorchese che dal 2005 figurava tra gli ambasciatori della Oxfam. Incarico che Scarlett ha ora deciso di lasciare, dopo che sul suo capo sono piovute dure critiche da parte della Oxfam stessa. Di quale colpa si è macchiata, Scarlett? La seguente: interpretare uno spot pubblicitario della SodaStream, azienda che produce apparecchi per realizzare in casa bibite gasate. Dov'è lo scandalo? Semplice: la SodaStream è una ditta israeliana e, fatto ancor più imperdonabile per la Oxfam, tra i suoi 25 stabilimenti ce n'è uno situato a Maaleh Adumim, un enorme insediamento ebraico in Cisgiordania. Tanto è bastato perché l'ong rilasciasse dichiarazioni di questo tenore: «Oxfam ritiene che le aziende come SodaStream, che operano in insediamenti, aggravano ulteriormente la povertà e negano il diritto delle comunità palestinesi per cui lavoriamo».
   Punto di vista con cui non sembrano concordare i tanti palestinesi che, al fianco di lavoratori ebrei, sono impiegati presso la SodaStream. Una pacifica convivenza che ha indotto l'amministratore delegato del colosso israeliano, Daniel Birnbaum, a far notare come «l'unicità della SodaStream è proprio nella sede che si trova in Cisgiordania, nell'area C. Siamo in grado di assumere persone di ogni tipo: palestinesi al fianco di arabi israeliani ed ebrei israeliani. Lavorano insieme. Abbiamo circa 1200-1300 persone che lavorano in questo stabilimento, in pace e armonia, e siamo molto orgogliosi di essere stati in grado di venire qui e di contribuire a nostro modo alla coesistenza e, speriamo, alla pace di questa regione».
   Parole che non hanno scalfito l'oltranzismo anti israeliano della Oxfam, che non ha fatto una piega di fronte al commiato di un'esasperata Scarlett Johansson: «Il ruolo della signora Johansson nel promuovere l'azienda SodaStream», ha fatto sapere l'ong, «è incompatibile con il suo incarico di ambasciatrice nel mondo». Malgrado lo sbandierato sostegno alla democrazia e alla partecipazione, e nonostante l'auspicio che si operi a 360 gradi per combattere povertà e ingiustizie, la concreta azione di avvicinamento tra israeliani e palestinesi realizzata dalla SodaStrearn attraverso l'offerta di posti di lavoro è considerata dalla Oxfam un fatto estremamente negativo, meritevole di condanna.
   Spulciando nella lista degli ambasciatori della ong, si apprende peraltro che del gruppo fa parte l'82enne Desmond Tutu, arcivescovo sudafricano della Chiesa anglicana (Nobel per la pace nel 1984), il quale da tempo paragona la politica di Israele all'apartheid, ha detto che il sionismo ha molti punti in comune con il razzismo e, durante un incontro di alcuni anni fa con l'ambasciatore israeliano in Sudafrica, si rifiutò di nominare Israele usando sempre e solo la parola Palestina. Performance che, a quanto par di capire, non mettono affatto in pericolo il suo ruolo di ambasciatore della Oxfam. E allora ditelo.

(Libero, 31 gennaio 2014)


Avigdor Lieberman loda il coraggio di Scarlett Johansson

GERUSALEMME, 31 gen - "Il nostro premio Oscar va a Scarlett": così il Ministro israeliano degli Esteri Avigdor Lieberman ha commentato la vicenda della star cinematografica Scarlett Johansson che si e' schierata contro il boicottaggio di un'azienda israeliana di bibite, la SodaStream, che ha uno stabilimento in Giudea-Samaria, in un grande insediamento di ebrei israeliani.
L'attrice, secondo Lieberman, "ha dato prova di coraggio di fronte all'ipocrisia e all'ottusità". "Il tentativo di organizzazioni filo-palestinesi di attaccarla non è riuscito a piegare l'attrice, né l'ha indotta a scusarsi. Ella ha anzi preferito attenersi ai propri principi in maniera chiara di fronte a chi, accampando argomentazioni infondate, porta avanti l'antisemitismo classico con metodi diversi", ha sostenuto Lieberman. Parole di congratulazioni sono giunte anche dalla negoziatrice israeliana, la ministra centrista Tzipi Livni, che nella sua pagina Facebook scrive: "Tanto di cappello a Scarlett", che "è molto in gamba, bella e coraggiosa".
L'attrice e coloro che ne difendono la decisione di accettare il ruolo di testimonial per la SodaStream fanno notare che l'azienda impiega in Cisgiordania dipendenti sia israeliani sia palestinesi.

(Fonte: ANSA, 31 gennaio 2014)


Quegli ebrei venuti dalla Germania per imparare a lavorare la terra

Duecento giovani, fra cui anche alcune donne, fino al 1938 frequentarono il podere "Ricavo" a Castellina

MATRIMONI DI CONVENIENZA
Alcuni si sposarono per amore e altri perche' cosi' riuscivano ad ottenere il permesso per l'immigrazione.

LA SCOPERTA
«Ho ritrovato alcuni discendenti di quei giovani e il rabbino ha scoperto che il padre, Leo Levi, era tra i protagonisti della storia».

LA CERIMONIA CON IL PREFETTO
Il caso della 'ascharà di ricavo', ricostruito da Paola Giovanna Morelli, e' stato presentato ieri matiina anche alle scuole.

IL VIAGGIO
Dopo le leggi razziali furono costretti a partire per la Palestina.

Ci sono pezzi di storia destinati a rimanere nascosti e dimenticati oppure a volte, per puro caso, riportati alla luce grazie a un passaparola che si tramanda da anni ma che molti non conoscono più. E' il caso della 'ascharà di Ricavo', ricostruita dall'archivista Paola Giovanna Morelli e presentata ieri a Castellina in Chianti, in una cerimonia particolare del Giorno della memoria. Una storia diversa, che non parla di Shoah e che è stata raccontata ieri alla presenza del prefetto Renato Saccone, del rabbino di Firenze Rav Yosef Levi, del professor Giuliano Catoni, del sindaco Marcello Bonechi, delle autorità locali e di alcune scolaresche.
«Tutto è nato per caso - racconta Morelli - un'amica mi chiese se fossi a conoscenza della 'ascharà di Ricavo', di qualcosa dove si impara, dove si fa apprendistato e in questo caso avrebbe dovuto essere a Ricavo, Castellina. Non ne sapevo nulla, mi sono messa a cercare ma non ho trovato nulla, ho chiesto in paese ma nulla. Stavo per abbandonare quando mi è venuta in mente la tradizione orale e sono andata alla casa di riposo dove un anziano mi ha detto: «Certo che mi ricordo! Quel poggio accanto a casa tua si chiama poggio degli ebrei perché lo hanno dissodato loro». Di lì sono partite le ricerche tra Italia e Israele, archivi di Stato, chiacchierate, finché ho trovato Vittorio Luttazzi, italiano che era partito da Israele con la stessa ricerca. Nel 2001 abbiamo iniziato la ricerca e nel 2005 abbiamo presentato la mostra ad Haifa. Oggi, a 80 anni da quella storia, siamo tornati dove è nata». Il risultato è sorprendente, mentre prosegue il racconto. «Nel 1934 un'organizzazione tedesca avviava i sionisti religiosi di quel Paese alle professioni e mandò 200 giovani - tra questi anche donne - a Castellina, nel podere del Ricavo, affidandoli ai mezzadri: i ragazzi avrebbero imparato a lavorare la terra, all'epoca arida e simile a quella della Palestina e in cambio loro avrebbero comunque lavorato, dando una mano. Una storia durata fino al 1938, con l'arrivo delle leggi razziali e l'espulsione dei giovani ebrei. Quattordici i matrimoni celebrati a Castellina, alcuni veri, altri di convenienza per avere il diritto al permesso di immigrazione verso la Palestina. Nel mio lavoro ho ritrovato alcuni discendenti di quei giovani. E il rabbino ha scoperto che il padre, Leo Levi, era tra i protagonisti di questa stona». r.d.s.
LA RICERCA
«Nel 2001 sono iniziate le ricerche e nel 2005 c'è stata la mostra ad Haifa, A 80 anni da questa storia siamo tornati dov' è nata».

ANCHE IN ISRAELE
«Sono seguite indagini tra Italia e Israele, archivi di Stato, chiacchierate, finché ho trovato Vittorio Luttazzi».
  
TRADIZIONE ORALE
«Alla casa di riposo locale un anziano mi ha detto: 'Certo che mi ricordo! C'è il poggio degli ebrei, l'hanno dissodato loro».

LA CERIMONIA
Un modo diverso per celebrare la Giornata della Memoria quello scelto ieri a Castellina in Chianti, recuperando una storia molto bella e particolare avvenuta in questo angolo di provincia.

(La Nazione, 31 gennaio 2014)


Yaalon: non tollereremo il lancio di razzi su Israele

TEL AVIV, 31 gen - ''Non tollereremo il lancio di razzi verso Israele'': il ministro della difesa Moshe' Yaalon ha ripetuto oggi il suo monito, confermando che l'aviazione dello Stato ebraico stanotte in un raid sulla striscia ha colpito ''tre obiettivi di Hamas''. Il raid è avvenuto dopo che ieri sera son stati lanciati razzi su Israele. ''L'esercito - ha detto, citato dai media - continuerà a colpire coloro che sparano verso Israele o tentano attacchi terroristici''.

(ANSA, 31 gennaio 2014)


Teste di maiale, individuato il mittente dei pacchi

Secondo la Digos l'autore del gesto è un ragazzo di 29 anni, legato agli ambienti di estrema destra della Capitale. I tre plichi inviati alcuni giorni fa alla Sinagoga, all'ambasciata d'Israele a Roma e a una mostra sulla cultura ebraica.

ROMA - Un ragazzo di 29 anni, legato all'estrema destra di Forza Nuova, indagato per istigazione all'odio razziale. Sarebbe lui, secondo la Digos, il mittente dei tre pacchi con teste di maiale inviati alla comunità ebraica romana il 24 gennaio, a ridosso dello Shabbat e della giornata della memoria. L'obiettivo sarebbe stato fondare un proprio movimento.
Gli inquirenti sarebbero arrivati al mittente analizzando i dati dei materiali sequestrati e incrociandoli con testimonianze di persone informate sui fatti. In particolare, durante le perquisizioni a casa del giovane c'era anche un testo del 1941, di Giovanni Preziosi, pseudonimo con cui aveva firmato i pacchi e storico del fascismo. Oltre al libro, "Giudaismo, bolscevismo, plutocrazia e massoneria", una scimitarra e alcune magliette del movimento di destra di Forza Nuova. Cinque anni fa aveva anche partecipato ad una manifestazione di Forza Nuova a Roma.
I plichi erano stati spediti all'ambasciata di Israele a Roma, alla Sinagoga romana e al museo di Roma in Trastevere a piazza Sant'Egidio, dove era in corso una mostra sulla cultura ebraica.
Intanto dalla comunità ebraica arriva il "più sentito e caloroso apprezzamento alle forze dell'ordine a seguito dei risultati ottenuti con le indagini". A parlare è il presidente dell'Unione della comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, che aggiunge: "Gli ebrei italiani sanno di non essere soli e di poter condividere con la società civile e le istituzioni, i propri valori di pace, progresso e convivenza". Anche da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma arriva il ringraziamento per il lavoro delle forze dell'ordine per "aver identificato il presunto autore del pacco ignobile" inviato nei giorni scorsi.

(RaiNews, 31 gennaio 2014)


Un contributo per il progetto dell'Archivio Storico Comunale di Savigliano

L'associazione "Piemonte ebraico ONLUS" di Torino ha erogato 2.500 a favore del progetto relativo al restauro di un catasto medievale, risalente al 1394. Nel registro si trovano presumibilmente le prime tracce documentarie della presenza ebraica in Piemonte.

 
L'associazione "Piemonte ebraico ONLUS" di Torino, nella persona del suo presidente Marco Luzzati, ha erogato a favore del Comune di Savigliano un contributo di € 2.500 a favore del progetto redatto dall'Archivio Storico Comunale relativo al restauro di un catasto medievale, risalente al 1394. Nel registro si trovano presumibilmente le prime tracce documentarie della presenza ebraica in Piemonte. Nella consegna giurata del saviglianese Ludovicus Beiamus si fa riferimento infatti ad una torre dei Beggiami detta "de Salamono", espressione che potrebbe riferirsi alla presenza in Città di un banco di prestiti ebraico. Grazie a questa preziosa pagina del catasto, sarà possibile, con il cofinanziamento del Comune di Savigliano, restaurare l'intero volume e recuperare una fonte di grande importanza per la storia saviglianese.
Di seguito le iniziative in programma per la giornata di sabato 1 febbraio 2014

Ore 15/19 - Via Cambiani
Mostra "Savigliano ricorda… la comunità ebraica e le leggi razziali"
a cura dell'Archivio Storico Comunale.
La mostra, allestita nello spazio urbano che ospitava il ghetto ebraico cittadino, propone un itinerario alla scoperta delle tracce che una delle più antiche comunità ebraiche piemontesi, quella saviglianese, ha lasciato nei documenti d'archivio. Sarà possibile pertanto leggere direttamente lettere, disegni, circolari, manifesti, certificati che documentano la storia degli ebrei saviglianesi dal secolo XVI fino alle persecuzioni razziali del secolo scorso.

Ore 17,30 - Via Palestro
Lezione-concerto di Luca Lanzi e Francesco Moneti.
Organizzato in collaborazione con TRS Radio.
Luca Lanzi, cantante e compositore (e insegnante di scuola primaria) della band aretina Casa del Vento e Francesco Moneti, violinista e chitarrista dei Modena City Ramblers (ma con Luca Lanzi anche co-fondatore della Casa del Vento) propongono una lezione-concerto nella quale vengono raccontate, attraverso le canzoni realizzate in questi anni dalla Casa del Vento, alcuni episodi legati al tema della Shoah e delle tragedie provocate dalla dittatura nazi-fascista nel periodo 1943-45.
La band di Arezzo realizzò infatti un album dal titolo "Sessant'anni di Resistenza" nel quale si raccontano i principali tragici massacri subiti dalla popolazione e dai partigiani da parte dell'esercito tedesco occupante con spesso il supporto di italiani aderenti alla RSI. Per colpa delle leggi razziali emanate da Mussolini nel 1938 tantissimi ebrei furono deportati. La Casa del Vento, con un lavoro di ricerca, ha raccolto in questo album le storie di uomini, donne e bambini vittime di questa follia, e i profili di figure importanti della Resistenza, nonché il viaggio senza ritorno degli ebrei Carolina Lombroso e dei suoi quattro bambini verso Auschwitz, e del marito Eugenio Calò che morirà nella strage di San Polo.
E' pertanto attraverso le canzoni ed il linguaggio musicale che Luca e Francesco cercano di far cogliere il significato di certi eventi che hanno sconvolto quel periodo della storia italiana, per contribuire nella società odierna a consolidare quei valori democratici necessari alle nuove generazioni.

(targatocn, 31 gennaio 2014)


In Israele è guerra aperta alla pax americana

di Fiamma Nirenstein

Sulla carta del New York Times sembra semplice, ma da quando due giorni fa Thomas Friedman ha descritto (e le sue fonti obamiane sono più che interne!) le linee della pax americana che Kerry presenterà entro pochi giorni, la discussione in Israele è alle stelle. Sono idee elementari, che non hanno niente di geniale e distribuiscono con semplicità americana qualcosa di buono e qualcosa di cattivo a israeliani e a palestinesi. Ma Friedman avverte che se questo treno dovesse passare senza che nè Abu Mazen nè Netanyahu lo prendano al volo, il prossimo li travolgerà. Obama ha biosgno di questo successo. Le fonti di Friedman descrivono un libro dei sogni più che una road map, ma fanno sentire alle parti che l'amministrazione Usa gli respira sul collo. L'ambasciatore americano in Israele Dan Shapiro dice che Kerry ha solo raccolto idee venute dalla discussione fra le due parti, e che il documento vuole essere la base per passare alla fase due su un base molto concreta «che non lascia spazio alla fantasia». Il piano chiede la fine del conflitto e di ogni richiesta ulteriore dopo che Israele si sarà ritirata dal West Bank oltre la linea del 67. Questo non piace a Netanyahu. Anche la Valle del Giordano, il vallo che separa Israele dal mondo arabo e, come diceva Rabin, un imprescindibile spazio di difesa, conoscerà nuovi arrangiamenti, in cui Israele verrà emarginato. In genere, la ritirata non includerebbe alcuni blocchi di insediamenti che verrebbero ricompensati con territorio israeliano. I Palestinesi avrebbero la loro capitale a- Gerusalemme est ma devono riconoscere Israele come lo stato-nazione del popolo ebraico. E questo gli duole alquanto.
   Il piano non include il diritto al ritorno per i profughi palestinesi (per altro ormai alla terza o quarta generazione). La lista è quella delle vacche sacre. Per esempio Abu Mazen ha sempre detto che per lui è fuori questione riconoscere uno stato del popolo ebraico, e la sua gestione è piena di odio verbale e la sua politica di incitamento sui libri e alla tv. Israele per altro teme che restringere i suoi territori ai confini del 1967 lo costringa in uno spazio indifendibile dal terrorismo e dallo jihadismo che si espande. E gli abitanti dei Territori in questi giorni sono molto nervosi, da quando Netnayahu ha dichiarato a un convegno che nei suoi piani nessuno verrà sgomberato. Un omaggio postumo ai poveri coloni della striscia di Gaza, che però è stato interpretato come l'idea che decine di migliaia di ebrei resteranno nello Stato palestinese a venire, come esistono arabi israliani nei confini dello Stato Ebraico. Ma subito la leadership palestinese ha detto che non vuol vedere neppure un ebreo nei suoi confini.
   Intanto il partner di governo e ministro Naftali Bennett ha praticamente dato a Netanyahu dell'assassino per aver ventilato l'idea: i palestinesi uccideranno chi lascerai nelle loro mani, gli ha detto, rinunci alla patria ebraica e ai nostri compatrioti. Bibi gli ha chiesto di scusarsi pena le dimissioni forzate, e Bennett le ha porte, ma i settler ormai si vedono minacciati da due destini: quello di essere strappati dalla loro casa, dalla loro vita, dai loro affari come furono gli abitanti della striscia di Gaza, e essere abbandonati nelle mani di un'entità nemica. In questa confusione, Netanyahu vive un dilemma profondo. Non si scambia la sicurezza con la benevolenza, ma il rischio della rottura con gli Usa è fatale.

(il Giornale, 31 gennaio 2014)


Bonino e la bufala del velo

di Ehsan Soltani

Nei giorni scorsi era circolata la notizia, specie sulla stampa iraniana, che il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino si sarebbe rifiutata di indossare il velo nella sua visita ufficiale in Iran: la stampa della Repubblica islamica aveva spiegato che il capo cerimoniale aveva portato nell'aereo appena atterrato tre veli per farli scegliere al ministro, ma Bonino si era rifiutata di indossarli. Nessuna sorpresa: il ministro ha notoriamente nel suo curriculum importanti battaglie per l'emancipazione della donna e, ha poi proseguito la stampa, a nulla sarebbe valsa la richiesta del capo cerimoniale di rispettare le usanze del luogo. Non solo, Bonino gli avrebbe risposto che neppure le delegazioni iraniane rispettano le usanze dell'Italia quando si recano in visita, tant'è che verrebbero disertati i pranzi ufficiali nel momento in cui vengono serviti i vini, ovvero prodotti che sono parte integrante della cultura italiana.
L'agenzia Jahan News ha poi riportato che il capo cerimoniale avrebbe comunicato la cosa al ministro Javad Zarif e che lo avrebbe invitato a intervenire di persona, ma questi, adirato, avrebbe affermato che se la donna non avesse indossato il velo, sarebbe stata respinta ed il programma di visita annullato. L'agenzia ha poi comunicato che Bonino avrebbe chiamato l'Italia e con uno scatto di nervosismo, dopo essersi accesa le consuete due o tre sigarette, avrebbe accettato di indossare il velo e, munita di copricapo, sarebbe scesa dal velivolo.
Le foto circolate in seguito dimostrano tuttavia che si è trattato di una bufala, in quanto appare evidente che Bonino è scesa dall'aereo e si è recata in albergo senza velo. Lo ha poi indossato negli incontri con le autorità religiose, come d'altro canto è d'uso quando le signore sono in visita dal pontefice.

(Notizie Geopolitiche, 30 gennaio 2014)


Emma Bonino ha tenuto il velo in testa anche negli incontri con il Ministro degli Esteri iraniano, che non è un’autorità religiosa.


Domenica 2 febbraio apertura della ex Sinagoga di Carpi

 
E' con piacere che la Fondazione Fossoli informa della possibilità di visitare la ex Sinagoga di Carpi, per l'anno in corso, grazie all'accordo stipulato con il gruppo di volontari Apertoperarte. A partire da domenica 2 febbraio dunque l'edificio di via Rovighi 57, oggi sede della Fondazione, sarà visitabile ogni prima domenica del mese con il seguente orario: mattino 10-13, pomeriggio 15-19. L'ingresso è a offerta libera.
La Sinagoga è stata progettata da Achille Sammarini e inaugurata nel 1861. La facciata di via Rovighi presenta severe linee neoclassiche. All'interno il problema dovuto allo scarso spazio per l'accesso al Tempio è risolto dal progettista con una geniale soluzione di scala concava. Il vasto ambiente di culto, decorato di stucchi e rivestimenti in scagliola con dorature e fregi monocromi, presenta un tabernacolo a colonne corinzie scanalate e timpano circolare e, sulla parete opposta, il matroneo.
Dalla fine dell'800 è chiusa al culto. Non sono più conservati oggetti sacri, trasferiti a Modena, e a Gerusalemme. Gli ambienti della ex Sinagoga sono stati restaurati e inaugurati il 19 aprile 2009. L'Antica Sinagoga costruita nel 1722 e posta nel sottotetto del Portico del Grano, ha visto di recente concludersi i lavori di consolidamento: a causa del sisma a tutt'oggi non è però ancora visitabile.

(Modena2000, 30 gennaio 2014)


Il ruolo di Israele nella costruzione della memoria ebraica del dopoguerra

Lo Stato ebraico non è nato a causa della Shoah, ma nonostante la Shoah.

di David Meghnagi

Proviamo a immaginare che cosa sarebbe accaduto se lo Stato ebraico, appena proclamato, fosse uscito sconfitto nel violento attacco che gli era stato mosso dagli eserciti arabi. Proviamo a immaginare quale sarebbe stata la vita ebraica nel dopo guerra se, all'indomani della più grande delle catastrofi, le speranze residue di una rinascita fossero state violentemente spezzate e gli scampati dai Lager fossero stati uccisi insieme a chi aveva creato le basi per una vita indipendente nella Terra dei padri. Il lutto sarebbe diventato senza fine e la melanconia avrebbe rischiato di prendere il sopravvento sull'amore per la vita. Se Israele fosse stato distrutto sul nascere, forse alcuni di coloro che oggi la osteggiano in nome di una malintesa e ipocrita solidarietà con gli oppressi, ne piangerebbero la distruzione. Alcuni di coloro che oggi cavalcano le false equazioni delle vittime di ieri trasformatesi in "carnefici", ne piangerebbero la fine accusando l'Occidente di avere tradito le sue promesse anche dopo l'ecatombe nazista. Per fortuna le cose sono andate diversamente. Israele esiste e la vita ebraica è tornata a pulsare anche se nulla potrà mai riportare un intero mondo andato perduto. L'identificazione crescente che gli ebrei di ogni luogo hanno in seguito sviluppato, ha qui il suo richiamo profondo.
   A differenza di quanto comunemente si ritenga, Israele non è nata a causa della Shoah. Non fu un atto di riparazione del mondo, come se ci fosse la possibilità di riparare un male così grande. Israele nacque nonostante la Shoah, per la capacità ebraica di sublimare il dolore, per la capacità della leadership sionista dell'epoca di raccogliere con intelligenza e lungimiranza le sfide della politica. La tentazione, in alcuni settori del mondo politico europeo, di abbandonarlo al suo destino è un grave sintomo di fuga dalle responsabilità della politica, segno di un'incomprensione profonda della vera posta in gioco oggi nei rapporti fra civiltà e culture. Non è in discussione il diritto di ogni democratico alla critica contro scelte politiche da cui dissente. La premessa è d'obbligo per evitare fraintendimenti e falsi equivoci. La discussione critica è il sale della democrazia e la stampa israeliana è la prima a esercitarla in forme che farebbero il vanto di molte democrazie occidentali. A essere in discussione sono le forme talora assunte dalla critica, le figure e la retorica del discorso, i fantasmi sottesi. Per non parlare della falsificazione dei fatti, dei doppi standard di giudizio, delle false equazioni e della demonizzazione. Il debito che l'Occidente ha verso Israele va oltre le tragedie che hanno insanguinato il secolo che si è chiuso. L'Occidente così come si è definito dopo Auschwitz ha le sue origini in quel lembo di terra conteso.
   È l'Europa a essere in realtà parte di Israele, perché l'idea di Europa come la conosciamo dal dopoguerra è figlia della tragedia di Auschwitz e senza Israele sarebbe come se non fosse mai rinata. È l'Occidente ad avere bisogno di Israele per dire a se stesso che la liberazione dei campi fu il passaggio a un nuovo ordine di valori condivisi, che hanno trovato posto nel diritto internazionale per quanto contraddittoria sia stata la loro successiva attuazione, l'alba di un nuovo inizio e non una tregua, come Primo Levi con angoscia adombrava nei suoi incubi notturni dopo il suo ritorno a casa. Difendendo l'esistenza di Israele, l'Europa difende l'unica immagine credibile di un suo futuro possibile. L'accettazione piena di Israele e della sua esistenza nella sua antica striscia di terra madre, libererebbe l'Islam dai conflitti in cui è avviluppato e aprirebbe la strada a un rinnovamento culturale per l'intera regione mediorientale. Aprirsi un varco nel cuore dei popoli arabi, è per Israele una necessità vitale, oltre che un richiamo fondamentale ai valori che ne fondano l'esistenza. L'Europa e il mondo arabo, l'Occidente e l'Islam potranno parlarsi se Israele, in pace con il mondo arabo, sarà presente come testimone dei propri lutti e dei loro.

(Shalom, 31 gennaio 2014)


Cyber-sicurezza. Israele vuole imporsi come nuovo referente mondiale

  
Israele vuole imporsi come nuovo referente mondiale in termini di sicurezza informatica. Sotto gli auspici del governo, è stata inaugurata questa settimana la prima conferenza mondiale sulla cyber-difesa e sicurezza, la CyberTech 2014, alla quale hanno preso parte i rappresentanti di numerosi paesi, società informatiche e del web che vogliono potenziare la propria sicurezza.
È intervenuto anche il premier Benjamin Netanyahu, che ha annunciato la creazione di un centro specializzato in cyber-sicurezza e difesa - il CyberSpark - a Beer Sheva, nel sud del paese. Qui, l'Università di Ben Gurion lavorerà a stretto contatto con il dipartimento informatico nazionale e aziende del settore, come Ibm, che creeranno incubatori di start-up dedicate alla sicurezza nel web.
"Beer Sheva non sarà solo la cyber-capitale di Israele, ma di tutto l'emisfero orientale. La ragione per cui lo facciamo è che abbiamo un'ottima università con migliaia di laureati in questo settore", ha detto Netanyahu.

(Atlas, 30 gennaio 2014)


Fuga dalla Francia

Cresce ogni anno il numero di ebrei che abbandonano il Paese e scelgono di vivere in Israele.

di Jonatan Della Rocca

2185 francesi hanno fatto l'alyà nel 2013 (fino al mese di settembre). Nel corso dell'intero 2012 erano stati 1907. L'impennarsi del fenomeno è dovuto secondo agli analisti a più fattori: innanzitutto, il crescente antisemitismo che pone la Francia ai primi posti per il moltiplicarsi di casi di violenza. Con il dilagare dei social network, non si contano ormai i siti incriminati per istigazione all'odio razzista, soprattutto dopo l'attentato di Tolosa alla scuola ebraica, del marzo del 2012, che vide l'assassinio di tre bambini e di un professore. Influisce anche la crisi economica, che vede lo Stato transalpino tra i più colpiti dagli stretti vincoli imposti dai trattati europei, e fa fatica come l'Italia ha intraprendere la strada della ripresa. L'immigrazione francese in Israele è composta da numerosi giovani in età universitaria. Quest'anno sono un migliaio, rispetto ai settecento dell'anno passato, che prendono parte al programma Masà Israel. Tutto ciò porterà a investimenti maggiori dell'Agenzia ebraica per agevolare e implementare l'inserimento nei programmi di studio e nella società israeliana dei nuovi arrivati.
Se si passeggia nelle strade di Netanya e di Tel Aviv ci si accorge che non si sente parlare solo ebraico e russo, ma anche la lingua di Balzac. Si tratta di un'immigrazione significativa, oltre al risvolto sociale, anche per l'economia. A detta degli esperti, l'alyà dalla Francia ha contribuito a tenere alto il mercato immobiliare israeliano che non ha risentito della battuta d'arresto e della crisi che da diversi anni ha investito i Paesi occidentali. Ai numeri citati sopra vanno aggiunti quelli di tante migliaia ormai di ebrei francesi che passano molti mesi nello Stato ebraico, che fanno da pendolari, e non hanno ancora deciso il passo definitivo. Comunque la tendenza è delineata, e andrà sicuramente a rimpolpare di grosso la cifra di cinquantamila aliot che sono avvenute dal 1990 ad oggi dalla Francia.
Alla lunga, viene così accolto l'invito dell'allora premier israeliano Ariel Sharon che nel luglio del 2004, dopo i tanti episodi antisemiti accaduti oltralpe, tra un vespaio di polemiche, incitò i francesi a un'alyà di massa con queste parole: "Lasciate il paese immediatamente e venite in Israele. In Francia esiste un antisemitismo sfrenato, provocato anche dal fatto che il 10% della popolazione è di confessione musulmana".

(Shalom, gennaio 2014)


Don Duilio Mengozzi: 'Giusto fra le Nazioni'

Il riconoscimento di "Giusto fra le Nazioni" viene consegnato dallo Stato di Israele alle persone non di fede ebraica che hanno salvato e messo a repentaglio la propria vita per salvare una persona, una o più famiglie di ebrei durante il periodo del 1943-1944, il più buio delle persecuzioni razziali in Italia. La cerimonia della consegna della medaglia al Rev. Don Duilio Mengozzi, scomparso nel 2005, è organizzata dal Comune di Sansepolcro e dall'Ambasciata di Israele a Roma e si svolgerà il prossimo 4 Marzo a Sansepolcro alla presenza delle autorità tra le quali la prima assistente dell'Ambasciata israeliana in Italia, dottoressa Sara Gilad. Lunedì scorso, 27 gennaio "Giorno del Ricordo" si è riunita la commissione toponomastica del Comune di Sansepolcro presieduta dal Sindaco Daniela Frullani insieme all'associazione biturgense Cultura della Pace rappresentata dal Presidente Leonardo Magnani. All'unanimità è stata decisa l'intitolazione della piazza antistante la chiesa del Trebbio al parroco. Don Duilio Mengozzi nacque a San Zeno di Galeata il 6 novembre del 1915 e morì a Sansepolcro il 17 Marzo 2005. Fu ordinato sacerdote dal vescovo Pompeo Grezzi e parroco della chiesa del Trebbio per più di 30 anni. Il religioso ospitò nella canonica del Trebbio alcuni ebrei assistito anche da un giovane chierichetto, Alvaro Lucernesi, che insieme alla famiglia Varardi-Foa ha testimoniato l'opera svolta. Il reverendo è il primo cittadino di Sansepolcro a ricevere l'alta onorificenza e il suo nome sarà scritto nel muro perimetrale del Giardino dei Giusti presso il museo Yad Vashem di Gerusalemme.

(ArezzoWeb, 30 gennaio 2014)


Roma - "Pacifici infame", scritte antisemite anche a Vigne Nuove

Diverse le offese comparse sui muri di via delle Vigne Nuove e via Conti. Continuano gli episodi di intolleranza nella città.

Immagini
"Pacifici infame", "27.1 Niente Memoria", "Sharon un porco di meno", "Shoah: falso", "Onore a Priekbe", "27.1 Solo Menzogna", questo il repertorio di antisemitismo ben visibile sui muri sottostanti le 'torri' di Vigne Nuove dove da diversi giorni campeggiano scritte e offese contro la comunità ebraica. Episodi di negazionismo comparsi anche nel quartiere del III Municipio Montesacro in occasione della 'Giornata della Memoria della Shoah' che si è celebrata lunedì 27 gennaio.+

SCRITTE SOTTO LE 'TORRI' - Le offese con bomboletta nera sono ben visibili sia in via delle Vigne Nuove che in via Conti, con una delle scritte "27.1 Solo Menzogna", in parte cancellata con uno spray dello stesso colore. L'ex IV Municipio dove il fenomeno dell'antisemitismo si è manifestato in maniera grave con altre scritte offensive comparse alla vigilia della giornata della Memoria in piazza Sempione e poi rimosse.

ANTISEMITISMO IN CITTA' - Gli episodi di intolleranza sono spuntati come i funghi in ogni parte della città, dalla circonvalazione Clodia, all'Esquilino con un macabro preludio che si è manifestato nelle giornata di venerdì e sabato quando tre teste di maiale sono state recapitate alla Sinagoga di Roma, all'Ambasciata di Israele ai Parioli ed al Museo Roma In Trastevere.

DUE DENUNCE - Le manifestazioni di antisemitismo hanno innalzato l'allerta delle forze dell'ordine con un fascicolo aperto dalla Procura di Roma e la polizia a denunciare due persone, un 47enne, con precedenti di polizia e appartenente a Militia, e un 33enne, già indagato nel corso dell'operazione 'Stormfront 2' del novembre 2013, erano entrambe monitorate dalla Digos. Agli agenti del commissariato Prati e del reparto Volanti che li hanno bloccati, i due hanno rivendicato la paternità di alcune scritte realizzate poco prima nei pressi di piazzale Clodio. Sono stati quindi accompagnati negli uffici di Polizia e denunciati in stato di libertà per violazioni della legge sulla discriminazione, odio e violenza per motivi razziali.

(RomaToday, 29 gennaio 2014)


Iran: settantaquattro esecuzioni in tre settimane
   
CNRI - L'ondata di esecuzioni continua in diverse città dell'Iran. Il numero delle esecuzioni solo dal 6 al 28 Gennaio, è arrivato a 74.
All'alba di martedi 28 Gennaio, un prigioniero di 44 anni è stato impiccato in pubblico a Qazvin. I media di Stato hanno ampiamente diffuso le foto di questo crimine per creare un atmosfera di terrore.
Il 27 Gennaio, sette prigionieri sono stati impiccati in massa nella prigione di Qezelhesar a Karaj. Gli aguzzini hanno rianimato uno dei condannati che era svenuto prima dell'esecuzione e subito lo hanno giustiziato.
La sera di sabato 25 Gennaio, un detenuto della prigione di Evin e altri quattro prigionieri della prigione di Sanandaj sono stati impiccati. Un altro prigioniero di Sanandaj è stato giustiziato nel frattempo.
Il 23 Gennaio, 7 prigionieri sono stati impiccati a Kermanshah, il 22 e 23 Gennaio altri sette sono stati impiccati in segreto nella prigione centrale di Bandar Abbas e il 20 Gennaio un ragazzo di 27 anni e altri due prigionieri sono stati impiccati nella prigione centrale di Zahedan. Nella terza settimana di Gennaio, sono state annunciate le esecuzioni di tre prigionieri originari dei villaggi di Delfan e Malayer.
Inoltre, dal 6 al 15 Gennaio sono stati giustiziati 40 prigionieri.
Questa repressione, in particolare con l'uso della barbara pena di morte, è messa in atto solamente per contenere la rabbia e l'insoddisfazione del popolo oppresso e si è ancor più diffusa da quando si è insediato Hassan Rouhani. Nel 2013, più di 700 persone sono state giustiziate, fatto senza precedenti negli ultimi dieci anni.
La Resistenza Iraniana chiede una ferma condanna da parte della comunità internazionale delle esecuzioni arbitrarie e di massa del regime teocratico e la presentazione di questo caso di gravi violazioni dei diritti umani di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il silenzio della comunità internazionale di fronte a queste esecuzioni, una vergogna per la società contemporanea, incoraggia solo questo regime criminale a continuare con i suoi crimini.+

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 28 gennaio 2014)


La nostra radicale Ministra degli Esteri, ex accanita sostenitrice dei diritti umani, che qualche giorno fa ha convocato l'ambasciatore israeliano per esprimere il disappunto italiano per i nuovi insediamenti che starebbero per sorgere dalle parti di Gerusalemme, continua a non manifestare alcuna preoccupazione per le nuove impiccagioni che stanno avvenendo in Iran. M.C.


Stamina, Nas: "Possibili nuovi casi simili". Famiglie pronte a partire per Israele

Parte la prima fase dell'indagine conoscitiva con cui il Parlamento tenta di fare chiarezza su come la fondazione sia arrivata a un passo dall'ottenere il via libera per la sperimentazione clinica del cosiddetto "Metodo Vannoni". Intanto i malati inseriti nella lista d'attesa agli Spedali Civili di Brescia si preparano a lasciare l'Italia: "Il 9 febbraio 7 adulti e 5 bambini raggiungeranno il dottor Shimon Slavin".

di Francesca Martelli

 
Il prof. Shimon Slavin, direttore del Centro Internazionale di terapia cellulare & Immunoterapia del Cancro a Tel Aviv
"Potremmo avere a breve casi di Stamina 2, 3 o 4?. L'allarme arriva dal comandante dei Nas, Cosimo Piccinno, in commissione Sanità al Senato. Prima fase dell'indagine conoscitiva con cui il Parlamento, quasi un anno dopo dalla conversione in legge del decreto Balduzzi, tenta di fare chiarezza su come Stamina Foundation sia arrivata a un passo dall'ottenere il via libera per la sperimentazione clinica del trattamento proposto da Davide Vannoni. Sul piatto una sperimentazione di 18 mesi e fondi pari a 3 milioni di euro (un milione nel 2013 e due milioni nel 2014) da prelevare dal Fondo sanitario nazionale.
A Palazzo Madama è stato ascoltato anche Luca Pani, direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa): "Sospettiamo" che in Italia "la deregolamentazione sulle cellule staminali possa aver prodotto situazioni analoghe a quelle di Stamina". Pani ha descritto così la situazione rilevata nelle cartelle cliniche dei pazienti in cura agli Spedali Civili di Brescia: "Nessuno sa che cosa viene infuso". In totale, dall'inizio della convenzione tra gli Spedali Civili di Brescia e Stamina Foundation (settembre 2011) solo oltre 140 le infusioni effettuate. Nelle prossime audizioni, i senatori ascolteranno anche membri di Stamina Foundation, rappresentanti di Regione Lombardia e familiari di pazienti sia a favore che contro il trattamento Stamina.

FAMIGLIE PRONTE A PARTIRE PER ISRAELE - E' Shimon Slavin, direttore scientifico del CTCI center (clinica con sede a Tel Aviv), l'alternativa a cui pensano le famiglie italiane in lista d'attesa agli Spedali Civili di Brescia. A raccontarlo al fattoquotidiano.it è Pietro Crisafulli, vice-presidente del movimento 'Vite sospese', presente alla conferenza stampa di Roma, in cui molti dei genitori a favore di Stamina, avevano difeso davanti alla stampa "i miglioramenti" dei loro cari: "Il 9 febbraio con un gruppo di pazienti, formato da 7 adulti e 5 bambini partiremo per Israele. Andremo dal dottor Slavin, che utilizza le staminali mesenchimali. E' un trattamento simile a quello di Vannoni, ma non è lo stesso". Come ha reagito il fondatore di Stamina Foundation? "Non bene - ammette Crisafulli - ma noi non abbiamo tempo, le persone stanno morendo e in Italia la situazione è bloccata". Non sarà un viaggio gratis: "Costerà poco più di 20mila euro, siamo riusciti a ottenere un piccolo sconto perché portiamo tante persone".
Caos in Regione Lombardia - Il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni ha annunciato un'azione ispettiva riguardo al "caso Stamina" agli Spedali Civili di Brescia. Due giorni prima dell'arrivo a Milano del ministro della Salute Beatrice Lorenzin (previsto per questa sera) per recuperare un vuoto di conoscenza di tre anni nei rapporti tra i vertici di regione Lombardia e Stamina Foundation. "Ho parlato ieri con l'assessore (alla Salute, ndr) Mario Mantovani, oggi ci saranno i risultati". Ieri il commissario straordinario degli Spedali Civili di Brescia è stato ascoltato per tre ore dal direttore generale della Sanità Walter Bergamaschi, da un membro dell'avvocatura e da un rappresentante dell'assessorato al Bilancio.
Anche la Corte dei Conti della Lombardia sta infatti indagando per capire "se le casse dello Stato hanno subito un danno e di quale entità" dal trattamento Stamina. Il gruppo Pd, all'opposizione in consiglio regionale, dice: "Entro sera aspettiamo l'impegno dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale di formalizzare l'indagine conoscitiva su Stamina della commissione sanità, altrimenti chiederemo la commissione d'inchiesta". Al di là del burocratese, i tempi dell'indagine conoscitiva sono più brevi della commissione d'inchiesta, la cui presidenza spetterebbe però all'opposizione.

(il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2014)


Arriva Dario, l'app che batte il diabete

Arriva da Israele un'app per il diabete a metà tra medico, amico e personal trainer. Per gestire la glicemia monitorandola in mobilità.

di Marco Cosenza

Misurare gli zuccheri nel sangue, tenere il conto dei carboidrati, verificare il livello di insulina e sforzo fisico. Chi soffre di diabete ha molte cose di cui preoccuparsi e, da oggi, un alleato in più. Il suo nome è Dario, ed è il prodotto di un team di startupper israeliani. Si tratta di una app collegata a un device portatile capace di controllare in modo integrato tutti i parametri chiave per la salute.
Tutto gira intorno a un piccolo apparecchio tascabile: "al suo interno ci sono una cartuccia da 25 linguette e un glucometro wireless dotato di un ago sottilissimo" spiega il CEO di Labstyle Innovations, Erez Raphael. Basta pungersi la punta del polpastrello, lasciare che la linguetta assorba una goccia di sangue e collegare il dispositivo allo smartphone attraverso il jack delle cuffie per liberare il potenziale della piattaforma.
Dario si sincronizza automaticamente col profilo online dell'utente, permettendo di visualizzare i dati riguardanti il glucosio, di confrontarli in tempo reale con quelli passati, di condividerli con medici o familiari e di accedere ad un ampio database di cibi e valori nutrizionali, facilitando le operazioni che chi ha problemi di diabete è abituato a compiere almeno 5 volte al giorno. Con l'idea che consigliare la giusta dose di insulina sia importante almeno quanto somministrarne una di spensieratezza e maggiore libertà nel trascorrere le proprie giornate.
Il servizio prevede inoltre l'accesso a una community online per essere in contatto con altri diabetici nel mondo e confrontare così le proprie esperienze. La patologia riguarda infatti 400 milioni di persone e catalizza 98,4 miliardi di dollari di risorse tra diagnosi e cure. Numeri che anche gli apparecchi sanitari mobili possono aiutare a tagliare.
Certo non si tratta della prima app di questo genere (vedi Glucose Buddy, Glooko e MySugr) ma il suo stile all-in-one la rende unica. "Molte soluzioni sono focalizzate più che altro sulle misurazioni, mentre portarle sul cloud è il primo passo per trasformare la sanità, identificando i trend e permettendo a dottori e pazienti di adattare più velocemente cure e comportamenti", afferma David Edelman, direttore della strategia del prodotto.
Un filone, quello della mobilità, che abbiamo visto trionfare al CES 2014 insieme a quello dei dispositivi cosiddetti wearable. Tecnologie da indossare, oltre che da usare. Dario e il suo design high-tech sembrano essere il tentativo più all'avanguardia per portare in questa direzione anche le attrezzature di uso medico. Da fine 2013 l'app è scaricabile gratuitamente in Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda (solo su iOS).

(Wired, 28 gennaio 2014)


Israele - Una speranza per i bimbi siriani

di Rossella Tercatin

  
Una bimba di sette mesi combatte per vivere nel campo profughi siriani del Kurdistan iracheno. Ha un difetto cardiaco e pesa solo tre chilogrammi. I medici non ritengono sia sicuro operarla finché non diventa più robusta. Proprio ciò che la malattia le impedisce di fare. Ma qualcuno, molto lontano, ha saputo di lei e ha fatto un lungo viaggio. Per permetterle di arrivare dove potrà essere aiutata.
"Dove la volete portare?" chiede il nonno Muammad all'occidentale di fronte a lui "Al Quds, Gerusalemme". "In Palestina?". "In Israele". Pausa. "Va bene".
Jonathan Miles, fondatore dell'organizzazione cristiana basata in Israele Shevet Achim, nata allo scopo di portare a curarsi nello Stato ebraico bambini malati da tutti i paesi musulmani, di conversazioni del genere ne ha avute a decine, non solo in Kurdistan ("dove non c'è ostilità nei confronti di Israele - spiega al Times of Israel - Se mai stupore, a volte anche curiosità ed entusiasmo all'idea di viaggiare per arrivarci"), ma anche in Giordania, Gaza, nei Territori palestinesi. Quando giunge a Shevet Achim la notizia di un caso, di un bambino che potrebbe avere bisogno di aiuto, il suo staff si mette a cercarlo, per quanto vaghe possano essere le informazioni. Per esempio in dicembre il londinese Sunday Times aveva pubblicato la storia di Liliana, cinque anni gravemente ammalata nel campo profughi di Darashakran. L'organizzazione si è mossa e quando l'ha trovata, ha scoperto che aveva già ricevuto le cure necessarie. Ma il viaggio è stato l'occasione per scoprire altri bambini da aiutare. Tra gli ospedali coinvolti, il Wolfson Medical Center di Holon, dove verrà ricoverata anche la piccola di sette mesi che, come gli altri pazienti, deve rimanere senza nome, perché le famiglie potrebbero essere in pericolo se si sapesse che accettano l'aiuto di Israele. Anche in Kurdistan dove il campo è infiltrato da agenti iraniani.
In prima linea, ogni giorno, per aiutare i civili siriani è anche Tzahal, l'esercito di difesa israeliano, che ha impiantato lungo il confine un ospedale militare da campo per curare le vittime di un conflitto che sembra non trovare soluzione. "Chi salva una vita salva il mondo intero" ricorda il blog ufficiale di Tzahal in cui vengono raccontati degli sforzi per aiutare i siriani.
"Il codice etico dell'esercito stabilisce chiaramente che un soldato ha il dovere di aiutare chiunque sia ammalato o ferito - sottolinea il colonnello Tariff Bader, druso, responsabile della struttura - Qui ci occupiamo di coloro che non sono in condizione di essere trasportati in ospedali civili. Nessuno è mai rimasto senza cure. E se all'inizio c'era un po' di diffidenza, oggi i siriani si fidano di noi". Tanti i bambini che arrivano lì, non solo feriti, ma anche traumatizzati. Si fa di tutto per sostenerli, anche psicologicamente. Per esempio attraverso le visite regolari di clown per regalare loro un sorriso.
Quando i pazienti sono curati, vengono riaccompagnati sul confine, stando attenti a cancellare ogni traccia per non metterli in pericolo tornati in Siria.
"Sono anch'io un padre - conclude Bader - E sono orgoglioso di fare questo lavoro. Come medico e come cittadino israeliano".

(moked, 29 gennaio 2014)


Antisemiti, chi sono i nuovi sostenitori del negazionismo

Altrettanto insidioso appare l'antisionismo: si vuol negare l'esistenza di Israele invece della Shoah. Non si parla soltanto dei ragazzi che disegnano le svastiche sui muri, ma di intellettuali che non riconoscono la tragedia.

di Furio Colombo

Furio Colombo
Raccontava Giorgina Arian Levi, protagonista per decenni della vita ebraica, della vita intellettuale e della vita politica torinese (due volte deputata comunista) del suo addio alla sua città e alla sua università quando sono state promulgate le leggi razziali. Era una giovane assistente di Storia moderna e la sua ultima visita prima di lasciare l'Italia è stata per il professore che l'aveva laureata con lode e l'aveva voluta sua assistente per avviarla alla cattedra. Il professore si mostra molto dispiaciuto, le sta stringendo le due mani dopo un abbraccio e improvvisamente ha detto: "Certo che voi ebrei, con la vostra continua avidità di danaro, queste cose ve le tirate addosso". Giorgina, decenni dopo, ricordava quella frase di "una persona amica" come una spinta in più per fuggire, per non commettere l'errore di tanti che hanno pensato: non è che un temporale, passerà. Non passa. I secoli della discriminazione cristiana e l'accusa di deicidio durano sotto la pelle di intere, pacifiche, civilissime popolazioni.

È accaduto in Europa: a una assimilazione vasta e profonda di molti ebrei ha fatto riscontro un sentimento nascosto, ma diffuso. Gli ebrei ci sono ed è meglio non dimenticarlo. Avventurarsi nel mistero di questa resistentissima discriminazione implicita, silenziosa e, per molti, non detta neppure a se stessi (finché esplode) è come avventurarsi in una boscaglia in cui nessun machete serve a sfoltire confusioni, equivoci e quello stato mentale assurdo che è l'antisemitismo in buona fede. Pensate a quanti si battono con passione per i palestinesi senza sapere che lo fanno quasi solo perché gli israeliani sono ebrei. Infatti, se fosse in discussione la politica e le azioni militari e la difesa dei più deboli, non si capirebbe perché i bambini sterminati in Siria (deliberatamente, a migliaia, da Assad o dai suoi nemici) o le stragi etniche e religiose (di nuovo, donne e bambini a decine di migliaia) nella Repubblica Centro Africana, o nel Sud Sudan, o la persecuzione cinese, religiosa ed etnica, dei tibetani e di un intero popolo di cinesi islamici) non smuove gli stessi attivisti e le stesse folle. È lo stesso profondo seme di memoria ignota che spinge alcuni a sentirsi pronti a offendere, aggredire, disprezzare, negare. Pensate a quel professore dell'Accademia di Belle Arti di Roma che non ha difficoltà o imbarazzo a dire alla sua allieva ebrea che la Shoah non c'è mai stata, che è tutto un trucco e un imbroglio. E quando l'allieva cerca in tribunale una ragione (e una punizione) per un simile comportamento (in pubblico, a scuola) il giudice sentenzia "assolto perché il reato non sussiste". Vi rendete conto? Non esiste negazionismo, al mondo, con tutte le sue tragedie storiche, che riguardi ogni altra tragedia umanitaria. In Parlamento mi dicevano che dovevo parlare dei gulag invece di insistere su Auschwitz. Nessuno si sognerebbe di dire a un armeno che, invece, dovrebbe parlare della strage dei nativi americani. Pensate che io stia parlando di ragazzi allo sbando che disegnano svastiche e tentano di distruggere o sporcare le pietre di inciampo? No, in questo momento sto pensando al celebre matematico Odifreddi che - sulla Shoah - ha detto di non avere fatto indagini in proprio e dunque di sapere solo ciò che gli è stato detto "dalla propaganda". Ma Odifreddi è laico e ateo. Dunque non c'entra il fiume sommerso del deicidio?
Perché questo punto interrogativo?


Ci sono altre fonti sommerse, oltre a quella cristiana, che porta a un'istintiva ostilità se continuate a insistere con i problemi storici degli ebrei? Certo l'antisemita, nella grandissima parte è per niente, o solo in parte, conscio dello spazio interiore in cui vive e che cresce o tende quasi a scomparire, a seconda degli eventi. Molti, col tempo, hanno trovato un grande alibi e se ne sono impossessati. È l'anti-sionismo, un secondo negazionismo. Si nega Israele invece di negare la Shoah. Ma spesso i due negazionismi (di nuovo, persino inconsciamente e con argomentazioni che sembrano politiche) si legano. Si sente di dire che la Shoah (o la deliberata e orchestrata propaganda di essa) ha creato Israele. E per farlo finge di non sapere che si è cominciata a raccontare qualcosa della Shoah solo venti anni dopo la nascita di Israele. Qui ti buttano dentro gli insediamenti e le colonie non come fatti politici che puoi giudicare aberranti, ma come rivelazione del come sono fatti gli ebrei. Ecco quel che sappiamo. La cultura non fa differenza. Il fascismo o l'antifascismo non fanno differenza. Gli apparenti lapsus dei colti e le sverniciate di svastica degli incolti dicono, allarmano ma non spiegano. Evidentemente tutto ciò che noi chiamiamo e onoriamo come "la civiltà occidentale" è profondamente lambita dal fiume sommerso. Diciamo la verità e non fingiamo di avere voltato l'angolo: restiamo in pieno dentro il pericolo.

(il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2014)


Nozze di massa nei Territori Palestinesi

Fotogalleria
Quasi trecento novelli sposi. Alla mega-cerimonia, costata un milione e mezzo di dollari, era presente anche Abu Mazen.

ROMA.- Quasi 300 palestinesi sono diventati novelli sposi in Giudea-Samaria e nella striscia di Gaza, nel corso di una mega-cerimonia nuziale finanziata dall'Autorità nazionale palestinese, di cui è presidente Abu Mazen.
All'evento hanno preso parte 218 coppie della Giudea-Samaria, che si sono sposate a Gerico, mentre altre 80 coppie hanno pronunciato il fatidico "sì" in una cerimonia parallela nella striscia di Gaza, governata dal movimento radicale Hamas.
A Ramallah l'ufficio di Abu Mazen, anche lui presente a Gerico, ha rivelato che il costo del matrimonio di massa è stato di 1,5 milioni di dollari.

(Fonte: TMNews, 28 gennaio 2014)


Una scuola dà la stella di David agli studenti. I genitori musulmani protestano

Il simbolo dell'ebraismo per ricordare l'olocausto. Ma una famiglia si rivolge al preside: per noi è il ricordo di momenti difficili.

VENEZIA - Una stella di David per ricordare l'olocausto, ritagliata nella carta e data in mano a tutti i bambini della scuola Grimani di Marghera con l'indicazione di portarla a casa. E che però ha creato un caso. A sollevarlo una mamma di un bambino di terza, Silvia Olivetti, che ha chiesto spiegazioni al preside Claudio Marangon.
«Mio marito è egiziano, per noi quella stella ha un valore simbolico diverso, non è solo la stella dell'olocausto, rappresenta anche lo stato di Israele e per noi è memoria di momenti difficili. Per noi come per molti altri. Non voglio che passi il messaggio che i musulmani sono contro la Giornata della memoria, anzi. Non si tratta di religione ma di attenzione alle culture, di parametrare le simbologie a quello che accade oggi non solo a quello che è accaduto».
Fuori dalla scuola, intanto le stelle sono appese a dei cartelloni colorati che fanno bella mostra dalla strada. «Non era nostro intento urtare la sensibilità di nessuno - spiega Claudio Marangon preside dell'istituto - era un momento di ricordo di attenzione alla memoria, che ha colpito in modo inaspettato e negativo alcune famiglie. Ci dispiace ne abbiamo parlato con la mamma, ne terremo conto in futuro vista la multiculturalità delle nostre città».
Ecco che cosa scandalizza i musulmani

(Corriere del Veneto, 28 gennaio 2014)


Restituiamo agli italiani la Memoria

Elena Loewenthal spiega le ragioni del suo graffiante appello: "Per gli ebrei la retorica è il peggiore dei veleni".

di Guido Vitale

 
Elena Loewenthal
C'è una stagione, una data, in cui ogni ebreo italiano è sollecitato, quasi costretto, a prendersi carico della Memoria. Non la memoria propria, quella che il calendario ebraico scandisce nelle date del lutto e della riflessione, quella tramandata nelle famiglie di generazione in generazione, quella costantemente sfiorata, quotidianamente incombente che si fa cosa viva, passaggio necessario e insostenibile. No, non quella. Ma la memoria della società civile, della scuola, delle istituzioni, dei giovani. Con la sete di memoria di un'Italia che non riesce ancora a fare i conti con le proprie responsabilità storiche e attua un processo sostitutivo, e mette gli ebrei sotto i riflettori per compensare un grande vuoto con la loro presenza. Ci sono libri, film, produzioni teatrali e musicali, discorsi di stagione. Non è quindi stata un'azione solitaria o inconsueta, proprio sul finire del mese di gennaio, in prossimità del Giorno della Memoria, l'uscita in libreria dell'ultima fatica della scrittrice e traduttrice Elena Loewenthal, uno dei letterati che più si sono impegnati per la conoscenza della letteratura ebraica contemporanea e uno degli autori che nella loro produzione più hanno tentato di tradurre sulla pagina la loro sensibilità nei confronti del problema della Memoria. Eppure il libro, quasi un pamphlet, una raccolta di riflessioni e di idee questa volta lontana dalla prova letteraria, nell'ambito della grande produzione culturale dedicata alla Memoria in questa stazione, si nota.

- Una copertina vivida. un prezzo invitante. alla portata di tutte le tasche. che promette grandi diffusioni e questo titolo forte. graffiante. quasi traumatico. che sorprenderà molti: "Contro il Giorno della Memoria". E la firma di una intellettuale ebrea italiana molto in vista. Perché?
  Devo riconoscere - spiega Elena Loewenthal - che il titolo scelto dall'editore è molto forte e che mi sento più a mio agio con il sottotitolo "Una riflessione sul rito del ricordo, la retorica della commemorazione, la condivisione del passato". Si tratta certo di una provocazione stagionale, ma anche di un processo molto sofferto, della risposta a una domanda che mi ha perseguitata a lungo.

- Quale domanda?
  
Dopo tanti anni di Giorno della Memoria, di memoria istituzionalizzata, ufficializzata, credo sia inevitabile domandarsi se noi ebrei ricordiamo così. E la mia risposta è no. Non è la retorica, non è la ridondanza, non è l'abbondanza delle parole. Il nostro modo di ricordare è diverso, è altro. È presente ogni giorno. Ed è composto di molti silenzi.

- Eppure in questi ultimi anni abbiamo assistito a una intensificazione del lavoro sulla Memoria e da molti questa è considerata la migliore prevenzione perché non tornino gli errori del passato.
  
Credo che le sollecitazioni che arrivano in campo ebraico in questa occasione dovrebbero essere riconsiderate meglio. Siamo chiamati a salire alla ribalta. Ci dedicano uno spazio, talvolta anche significativo. Ma torniamo ai motivi ispiratori del Giorno della Memoria. Il 27 gennaio fu il giorno in cui furono aperti i cancelli di Auschwitz. Il momento in cui gli altri videro la realtà della persecuzione e dello sterminio. È la memoria vista dall'esterno, non dall'interno della storia di sofferenza dei perseguitati. E così dovrebbe restare uno spazio per far crescere la consapevolezza delle popolazioni europee, per aiutare l'Europa a fare i conti con il passato. Non è roba nostra, non è un problema nostro e nessuno ci fa una cortesia. Non è uno spazio di conoscenza della cultura ebraica. E non possiamo essere noi i protagonisti di questo processo di recupero della memoria.

- E questo equivoco comporta dei rischi?
  
L'assuefazione alla memoria di comodo, alla celebrazione della memoria, non è solo deteriore, ma anche pericolosa. Perché pone il problema al di fuori del campo dove deve trovarsi e finisce per deresponsabilizzare chi crede di fare in una giornata i conti con il problema della memoria e dell'identità dell'Europa.

- La soluzione quale sarebbe?
  
Non ho una risposta. Ma credo che in quanto ebrei dovremmo riflettere sulla possibilità di fare un passo indietro. Di spiegare alla società che la Memoria deve essere un suo patrimonio e una sua conquista, non un momento di omaggio e di riconoscenza per rendere noi protagonisti. Dovremmo aiutare gli italiani a riappropriarsene. Più si rende in questa occasione omaggio alla cultura ebraica e meno si capisce il problema proprio e la memoria propria. Il mito degli italiani brava gente, certo fondato sul reale coraggio dimostrato da alcuni, ma contraddetto da molti altri provvedimenti e azioni di cui l'Italia porta la responsabilità, è per esempio molto cresciuto da quando il Giorno della Memoria è stato istituito. Così facendo non cresce la coscienza civile, e proprio per questo dovremmo credo chiamarci fuori.

- Come vede oggi quello che accade in questa stagione?
  Siamo nel pieno di un fenomeno ipercelebrativo che non favorisce una crescita, non accresce per la popolazione italiana la capacità di fare i conti con il passato. E questo obbedisce alle norme di una società dove conta solo l'evento e tutto, dal contenuto dei giornali alle uscite in libreria, deve obbedire alla logica dell'evento. Il mercato editoriale passa direttamente dalla stagione delle strenne di dicembre alla stagione della memoria.

- Lei ha parlato recentemente in maniera critica di quella che ha definito una civiltà eventuale in quanto mercato delle idee e della cultura dipendente dagli eventi che vengono organizzati. Perché?
  Rendere per esempio la produzione letteraria un fatto eventuale significa perdere il senso della letteratura come creazione fine a se stessa, svincolata dal gusto per la scoperta e per il mistero. Di questa mutazione fa parte la proliferazione del fenomeno dei festival letterari e più in generale la sensazione che scrivere, leggere, fare cultura costituiscano dei doveri. Si tratta di una tendenza molto pericolosa, che porta molte persone alla sensazione di essere usciti d'obbligo, di aver spicciato l'incomodo di un'incombenza che sarà presto dimenticata.

- Eppure proprio lei in questo mercato letterario ha portato opere sue e traduzioni di grandi opere di scrittori israeliani che hanno appassionato innumerevoli lettori.
  Ma è proprio questo, credo, il segreto della grande letteratura ebraica contemporanea. La ricerca della scoperta e della sorpresa, l'esplorazione di un mondo come è Israele, sospeso fra esotismo e familiarità.

- In questi anni lei ha conquistato una grande conoscenza del mercato letterario. Quali sono le evoluzioni in corso?
  La crisi si sente e tende a comprimere anche la voglia di leggere degli italiani. Credo che sarebbe necessario fare meno libri, ma meglio meditati. Se andiamo a leggere le classifiche delle vendite, fra l'altro, possiamo identificare molti oggetti non letterari, un vero e proprio mercato parallelo di prodotti civetta che rischia di confondere le idee.

- Dopo aver lanciato questa provocazione, la pagina del 27 gennaio 2014 della sua agenda è rimasta coerentemente vuota?
  Al contrario, condividendo i miei interrogativi con il lettore è come se mi fossi liberata di un grande peso. E per la prima volta dopo tanti anni ho accettato l'invito di presentare i miei libri anche in occasione del 27 gennaio.

- Cosa vuole ottenere, in definitiva, con questo libro-appello?
  Esercitare il dovere civile di restituire la Memoria agli italiani. E fare della Memoria un'esperienza viva, non un esercizio di retorica. Per noi ebrei la retorica si è sempre rivelata il peggiore dei veleni.

(Pagine Ebraiche, febbraio 2014)


Antisemitesmo a Bergamo: ancora scritte contro gli ebrei

Il teatro Donizetti è ricoperto di scritte contro la comunità ebrea. «Sionismo cancro del mondo», «Israele boia» e «Nessuna memoria per chi falsifica la storia».

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BERGAMO, 28 gen. - All'indomani del Giorno della memoria, oggi i bergamaschi si sono ritrovati una serie di scritte antisemite sui muri esterni del teatro Donizetti, nel cuore di Bergamo.
Svastiche e scritte come «Sionismo cancro del mondo», «Israele boia» e «Nessuna memoria per chi falsifica la storia» sono comparse tutt'intorno al teatro dove, proprio da stasera, è in scena "La torre d'avorio", spettacolo di Nicola Zingaretti che, nei panni di un maggiore dell'esercito americano, indaga al termine della Seconda guerra mondiale su un direttore d'orchestra che ha preso le distanze dal nazismo.
Il Comune ha segnalato il fatto alla Digos, che ora indaga per risalire agli autori, anche attraverso le telecamere piazzate nella zona.

(globalist, 28 gennaio 2014)


Marion Klein confessa: "Arsiero mi ha salvata"

La sorella del noto jazzista Oscar Klein, la cui storia arriverà presto nei cinema, ha raccontato a Thiene la sua esperienza di deportata ebrea e ha ricordato l'esilio nella cittadina vicentina: "Piena di gratitudine per essere stata lì".

di Gloria Callarelli

"Piena di gratitudine per essere stata deportata nel Vicentino": con queste parole Marion Klein Fischer ha voluto sintetizzare la sua esperienza di deportata della Shoah in Italia nell'incontro all'Auditorium di Thiene (VC), alla presenza del sindaco Casarotto. Si perché l'esperienza nei campi di raccolta in Italia della sorella del noto jazzista Oscar Klein, e di tutta la sua famiglia, è stata "diversa" dalle testimonianze che siamo abituati a sentire. Non meno tragica, si badi bene, ma certo più fortunata.

LE DEPORTAZIONI IN ITALIA E ARSIERO - Marion Klein, abitava con la sua famiglia in un paesino dell'Austria. La vita scorreva "tranquilla" fino a quando nel 1938 venti di guerra sono arrivati anche lì con l'annessione del Paese alla Germania di Hitler. Da quel momento per i Klein è iniziato il calvario: "Devo essere grata a mio papà che aveva saputo e capito subito l'importanza di cercare di scappare altrove. I miei nonni materni sono presto stati uccisi, mentre quelli paterni, capito la tragedia, hanno deciso di suicidarsi davanti casa". Inutile cercare la fuga in Oriente, ad esempio in Palestina: la rivolta anti-ebraica poteva scoppiare anche lì da un momento all'altro e allora anche la famiglia Klein è dovuta tornare in Italia, e fermarsi a Trieste. Da lì il trasferimento a Ferramonti in Calabria: "Erano sempre campi, c'erano le malattie, ma non uccidevano come in Germania. Una volta al mese a noi bambini ci portavano persino a mangiare il gelato". E da lì, poi, l'internamento ad Arsiero, la prima città dell'elenco alfabetico che aveva disponibilità: "Che gioia essere stati portati qui: devo dirlo, grazie alla gente del posto ho comunque passato un'infanzia felice. Tutti dividevano con noi qualcosa: la famiglia che mi ha accolta mi ha insegnato perfino a pregare! Ora conosco meglio le vostre preghiere delle mie, e so perfino un po' di dialetto. E dire che gli abitanti all'inizio erano convinti che gli ebrei avessero tre occhi!" sorride. Potere del regime.

LA FUGA IN SVIZZERA - Due anni trascorsi in serenità, dunque, per la piccola Marion che all'epoca aveva 5 anni. Poi, la paura di essere portati a Tonezza da dove in 45 non sono più tornati. Grazie alla Brigata Mazzini, a don Frigo e al Giusto tra le nazioni Rinaldo Arnaldi, però la famiglia Klein riesce a scappare verso la Svizzera: "Mamma era incinta all'ottavo mese, solo per questo siamo riusciti a non essere portati subito a Tonezza. Col treno e poi a piedi per 13 ore camminando attraverso le gelide montagne siamo riusciti ad arrivare in Svizzera. Anche lì siamo stati tenuti in una fabbrica dismessa, congelata. In tanti sono morti di polmonite e di stenti: e per restare lì dovevamo lasciare tutto quello che avevamo". Un calvario da cui la sua famiglia è riuscita a salvarsi ma Marion non riesce ad odiare i suoi aguzzini "perché se hai sperimentato l'odio, non puoi odiare anche tu".

IL FILM SU OSCAR - Sul fratello presto uscirà il film "Oscar" di Dennis Dellai: "Sono felice del film su mio fratello, se lo merita. E sono felice di poter raccontare ogni anno la mia esperienza: i miei genitori mi hanno sempre protetta, loro hanno portato sulle loro spalle il peso del dramma. Nessuno voleva parlare fino al '65 di quello che era accaduto: ma adesso l'unica cosa da fare per cambiare il mondo è quello di raccontare della Shoah". Il regista sulla storia ha confermato: "Sono rimasto affascinato dalla storia. Senti di deportazioni e pensi a fatti lontani, invece sono capitati anche sul nostro territorio".

(VicenzaToday, 29 gennaio 2014)


Il venture capitalist milionario che da parlamentare vuol tassare Google in Israele

 
Erel Margalit al Nasdaq per il lancio di una delle società finanziate dal suo fondo
Erel Margalit ci è abituato. E' gia stato chiamato "comunista" dai suoi amici milionari. Da quando un anno fa è passato alla politica nel partito laburista dopo aver accumulato successi (e dollari) con la sua Jerusalem Venture Capital, la società d'investimento in nuove tecnologie più famosa del Paese: nel 2005 la rivista Forbes l'ha messa in cima alla lista Midas (il tocco d'oro) delle compagnie fuori dagli Stati Uniti.
Al debutto in parlamento Margalit ha spinto per una legge che limiti gli oligopoli e il controllo di pochi gruppi sull'economia israeliana ed è stato accusato di essersi trasformato in un nemico del libero mercato. Adesso propone una norma per tassare i colossi del Web: i motori di ricerca dovrebbero pagare il 7 per cento sui ricavi pubblicitari ai fornitori di cui usano i contenuti gratuitamente. Il testo del progetto, che arriva alla Knesset tra febbraio e marzo, non fa nomi ma tutti in Israele l'hanno già ribattezzata "Google Tax".
"I siti israeliani grandi o piccoli che producono contenuti - spiega Margalit al Financial Times - generano molto traffico rispetto alle dimensioni della popolazione. Stanno soffocando, non riescono a sopravvivere. Hanno diritto a quei soldi".
Il politico-imprenditore sta già raccogliendo il sostegno anche tra i deputati della maggioranza di centrodestra, rischia di trovarsi contro il premier Benjamin Netanyahu che tornato dal forum di Davos ha ammesso "nell'età dell'informazione, l'informazione va protetta altrimenti ci ritroviamo nella giungla". Ma ha aggiunto subito: "Israele deve favorire un clima favorevole, non ostile, alle grandi società digitali".
Google ha 350 dipendenti nel Paese e l'anno scorso ha inaugurato il Google Campus per riunire e promuovere le decine di piccole start-up locali.

(Corriere della Sera, 28 gennaio 2014)


Quella famiglia torinese nascosta a Cantarana

Luigi Molino ricorda l'impegno dei nonni durante la guerra

di Elisabetta Fagnola Cantarana

Luigi Molino con la targa ricevuta a Torino
Del nonno porta il nome e ricorda la voce di quando, nella stalla della cascina di Cantarana, raccontava ai nipoti la guerra durante le veglie d'inverno, tra i ricordi quel legame mai spezzato con la famiglia ebrea ospitata e nascosta per oltre due anni tra le colline di bricco Grosso. Ed è toccato a lui, 70 anni dopo, ritirare la targa dedicata al coraggio dei nonni, domenica al Conservatorio Verdi di Torino per la Giornata della memoria.
Una forte emozione per Luigi Molino che dei nonni Luigi Battista e Maria conserva con scrupolo le fotografie e che è riuscito nel tempo a riallacciare i rapporti con Eliana Funaro, la ragazza ebrea che la sua famiglia nascose con il padre Ernesto: «Le nostre famiglie hanno cercato di tenersi in contatto - racconta - ho potuto rivederla domenica a Torino, è stata una grande emozione. Mio nonno raccontava che nel 1943 suo cognato di Moncalieri gli ha chiesto se poteva ospitare una famiglia ebrea di Torino, abitavano in corso Francia e la zona era stata bombardata». Hanno detto sì, preparando le stanze nelle stesse ore in cui i tedeschi facevano irruzione dell'appartamento torinese: «Il marito Ernesto era fuori per una commissione, hanno portato via la moglie - racconta Molino - e lui è scappato qui con la figlia Eliana che era ancora ragazzina, mentre gli altri due figli si sono uniti alla resistenza».
Sono rimasti nella casa tra le colline fino al 1945: «Mio nonno era riuscito a fare una tessera del pane anche per loro, quando c'erano controlli si rifugiavano nel bosco, dove avevano improvvisato un riparo». Poi la separazione e un nuovo incontro, pochi anni fa: «Da quel giorno abbiamo cercato di tenerci in contatto, mi ha chiamato per avvertirmi della cerimonia di domenica - spiega - Sul palco davanti a tutta quella gente mi sono commosso, ma credo sia stato giusto ricordare il loro impegno».

(La Stampa, 28 gennaio 2014)


«Così salvammo una famiglia ebrea»

L'inedita testimonianza di Agnese Ordan, figlia della donna che ospitò per due anni madre, padre e una bambina piccola braccati dai nazisti

di Alessandro Abbadir

CAMPOLONGO. Una famiglia di ebrei triestina salvata dalla persecuzione nazista da una famiglia di Campolongo Maggiore. Questa l'incredibile vicenda di un nucleo famigliare al quale lo stato di Israele nei prossimi mesi conferirà il riconoscimento postumo ai protagonisti di "Giusti delle Nazioni". A essere salvati dalla generosità della famiglia Ordan di Campolongo furono Bruno e Carola Montanari e la figlia Maura all'epoca di appena sei mesi.
A raccontare questa vicenda è direttamente una delle protagoniste dell'epoca, Agnese Ordan. Agnese che ora ha 78 anni, vive ancora nella sua casa in via Lago di Misurina (ex via Chiesa), la stessa che dal 1943 al 1945 si trasformò in un prezioso rifugio contro la barbarie nazista. «Mia mamma Linda Piron», spiega Agnese, «vendeva all'epoca della guerra la carne al mercato nero a Venezia. Era la carne di maiali e buoi che mio papà Cesare allevava a Campolongo. Dopo l'8 settembre del 1943 anche Venezia fu scossa dalle terribili razzie di persone di religione ebraica. Un giorno mia mamma entrò in un locale vicino al Ghetto e fu avvicinata dalla proprietaria. Questa le spiegò, che stava nascondendo due famiglie di ebrei triestini arrivati a Venezia in cerca di rifugio. Il posto però a causa delle continue perquisizioni delle SS non era più sicuro per loro».
A quel punto la signora Linda mossa dal buon cuore decise di portare con sé una delle due famiglie. I tre che erano nascosti nel locale erano: Bruno Montanari, la moglie Carola e la figlia Maura. «Arrivati a Campolongo», spiega Agnese, che all'epoca aveva 7 anni «mio papà e mia mamma hanno sistemato Bruno, Carola e Maura all'interno della casa e nel fienile, non facendoli mai uscire dai confini dell'abitazione. Per quasi due anni così dall'autunno del 1943 al 25 aprile del 1945 i tre rimasero al sicuro evitando di essere catturati dai fascisti e dai tedeschi».
Cosa che purtroppo non capitò all'altra famiglia di ebrei che si trovava con loro a Venezia Qualche rischio durante tutto questo periodo però non mancò. «Mio papà Cesare», spiega la donna, «andava spesso a comprare la farina e il pane da un gerarca fascista. Le quantità che comprava erano superiori a quelle che servivano a lui a mia mamma e a me e ai miei tre fratelli, servivano infatti anche alla famiglia ebrea, ma per fortuna il gerarca non se ne accorse mai o meglio a dire il vero qualcosa sospettava. Se ne rese conto solo dopo la Liberazione quando i Montanari poterono finalmente uscire dalla nostra casa senza più rischiare la vita».
Un altro rischio fu corso dalla famiglia ebrea quando uno dei figli degli Ordan, che allora studiava alle scuole magistrali a Padova, fu fermato, identificato e poi costretto a lavorare per i tedeschi. «Per fortuna in quella occasione mio fratello su indicazione della mamma», racconta Agnese, «non scappò ed evitò così che la nostra casa fosse perquisita». L'amicizia indissolubile che lega i Montanari agli Ordan sopravvisse alla guerra. Ancora adesso Maura Montanari che ora ha 70 anni e vive a Trieste, si reca a far visita ad Agnese, figlia di chi in quegli anni bui le salvò la vita.

(la Nuova, 28 gennaio 2014)


Il Rotary italiano: un club senza distinzioni

di Michael Calimani

VENEZIA - Per Paul Harris, fondatore del Rotary, le distinzioni religiose erano una ricchezza e non un problema. Il Rotary era quindi aperto a tutti senza alcuna distinzione religiosa. A partire da questo assunto, Gadi Luzzatto Voghera nel suo libro "Nessuna distinzione di razza, né di religione. Il Rotary italiano, gli ebrei, la persecuzione antisemita (1923-1938)" ripercorre la strada seguita dagli ebrei italiani: come divennero parte integrante della classe dirigente e come vennero accolti all'interno dei Rotary d'Italia, dalla loro fondazione nel 1923 fino allo scioglimento imposto nel 1938 dalle autorità fasciste.
La presentazione del volume, introdotto ieri nella Sala consiliare di Ca' Loredan dall'assessore Tiziana Agostini, ha visto la partecipazione tra il pubblico non solo di membri ed esponenti del Rotary, ma anche di veneziani interessati all'evento inserito nel programma di commemorazione del Giorno della Memoria.
"Un tema scottante - ha affermato Luzzatto - su cui però ho avuto massima disponibilità e carta bianca nelle mie ricerche da parte del Rotary, un'associazione che come altre si è trovata ad affrontare in un periodo di totalitarismi, la questione ebraica, la presenza di illustri ebrei tra le sue file".
L'universo ebraico è però particolarmente articolato e difficile da inquadrare in un solo percorso. Solo l'antisemita ama presentare gli ebrei come gruppo monolitico impegnato in un disegno ostile nei confronti della società esterna.
Gli ebrei si avvicinarono così fin dall'inizio all'esperienza del Rotary, una realtà che in quegli anni era molto piccola rispetto a oggi. Si parlava negli anni '30 di circa 900 soci in tutta Italia, quindi un'esperienza di élite, rappresentativa di un mondo di potere di cui sono testimonianza gli ebrei che ne fanno parte.
Nel momento in cui si attivò il processo di emancipazione da uno stato di separatezza giuridica rispetto al resto della società civile lungo tutto l'800, gli ebrei conoscono uno sviluppo interessante sotto il piano della solidarietà, riproducendo all'esterno quei meccanismi che avevano permesso loro di sopravvivere nei ghetti in maniera unitaria.
Sono numerosi gli esempi anche nella realtà ebraica veneziana: si parla ad esempio del barone Jacopo Treves, che durante la Repubblica del '48 dispose aiuti in maniera del tutto indiscriminata senza differenze di religione. Fino all'Unità d'Italia gli ebrei stessi erano esclusi dalle Opere di beneficenza di matrice principalmente cattolica. Il Rotary rappresentò invece una forma di beneficenza laica che Antonio Gramsci, dal carcere, accolse positivamente, come servizio alla società da vedere con interesse, in netta polemica con la Chiesta cattolica che considerava i rotariani una sorta di massoni, che andavano colpiti e censurati.
In questa prospettiva alcuni componenti di spicco delle comunità ebraiche entrano a far parte dei club del Rotary. In particolare è importante l'esperienza triestina dove l'establishment ebraico intratteneva stretti rapporti con quello industriale e finanziario. Gli ebrei che entrarono erano però piuttosto lontani dalla tradizione religiosa e poco rappresentativi delle comunità ebraiche allora operanti sul territorio nazionale.
Alla fine del 1938 vennero emanate le leggi razziali e i club rotariani, spinti dalle forze di regime, si sciolsero: non era ben accetta la sopravvivenza di una Società che non aveva mai espresso ufficialmente adesione al fascismo e le cui sedi erano luoghi di libertà in cui si poteva respirare qualcosa di diverso dalla battente propaganda in atto.
Questa coincidenza fra la fine del Rotary e l'emanazione delle leggi razziali, che risparmiò l'onta dell'espulsione degli ebrei che aveva invece colpito il Rotary tedesco, non è però avvalorata da fonti che confermino un rapporto diretto tra i due eventi. Ci sono alcune documenti di Polizia in cui si considerava il Rotary infiltrato da elementi massonici ed ebraici e quindi pericoloso per la società italiana, ma non si riscontrano vere e proprie azioni ostili.
Permangono però le storie di ebrei, membri attivi del Rotary, rappresentativi di un certo modo di essere rotariano e di essere ebreo: Teodoro Mayer fondatore del Piccolo di Trieste, che nel 1931 venne nominato da Mussolini presidente dell'IMI, l'Istituto mobiliare italiano, una delle strutture finanziarie ideate dal fascismo per far fronte alla crisi di Wall Street. Arnoldo Frigessi di Rattalma, padrone prima della Ras, poi delle Assicurazioni Generali, in continuo e costante contatto con personaggi fondamentali della finanza italiana, da Volpi agli Agnelli. Gino Jacopo Olivetti, direttore generale di Confindustria durante il fascismo, Guido Jung ministro delle finanze e fondatore dell'Iri e tanti altri come Cesare Sacerdoti, Carlo Foà, Giorgio Ascarelli, Isaia Levi ed Emilio Segrè.
Non è però chiaro come sia stato possibile che una così importante rappresentanza di una classe dirigente che aveva lavorato con il fascismo, in gran parte non in senso ideologico, e che controllava le leve finanziarie ed economiche del Paese, accettasse un percorso di rafforzamento del totalitarismo. Che si accettasse, apparentemente in maniera silente, l'emanazione delle leggi razziali e la chiusura di uno dei luoghi di incontro di questa élite, dei club del Rotary.
Questo è un interrogativo che per ora ha trovato poche risposte: alcuni storici dell'economia hanno affermato che in realtà il percorso di distacco fra gli esponenti della finanza italiana e il fascismo era già iniziato dall'avventura in Etiopia, ma non fu mai di fatto un distacco che riuscisse a produrre un cambiamento decisionale determinante.

(moked, 28 gennaio 2014)


Cittadinanza onoraria di Lugo al Rabbino Caro

La soddisfazione di Silvano Verlicchi

 
Rav Luciano Caro
In occasione del Giorno della Memoria, ieri la città di Lugo (RA) ha conferito la cittadinanza onoraria al Rav Luciano Caro, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Ferrara. Un'iniziativa sposata in pieno da Silvano Verlicchi, candidato Sindaco per la lista civica “Per la Buona Politica”, che ha inviato un messaggio di congratulazioni al Rabbino ed un ringraziamento al Sindaco Raffaele Cortesi. "Esprimo la mia viva soddisfazione - dichiara Verlicchi - per un riconoscimento che, oltre ai ben noti meriti ed all'autorevolezza del dottor Caro, sottolinea anche gli intensi legami tra la comunità ebraica di Lugo e quella di Ferrara, oltre all'importante ruolo che essa ha rivestito nella nostra città nel corso dei secoli".
"A questo proposito - prosegue Verlicchi - concordo con chi ha sostenuto, oltre al conferimento della cittadinanza onoraria al Rabbino Caro, la necessità di individuare uno spazio permanente da destinare esclusivamente alla cultura ebraica: un luogo che, da una parte, possa permettere l'approfondimento e lo studio delle numerose testimonianze legate alla storia della comunità ebraica di Lugo; dall'altra, rappresenti il giusto riconoscimento al ruolo che gli ebrei hanno avuto nella costruzione dell'identità e della vocazione mercantile della città, sin dal Medioevo".
"Donare uno spazio al ricordo ed al legame che oggi celebriamo consentirebbe a mio avviso di renderlo ancora più tangibile e di non confinarlo ad una giornata che spesso rischia di cadere nella vuota retorica. In un periodo - conclude Verlicchi - in cui crescono pericolosi segnali di razzismo, intolleranza ed antisemitismo, la parola 'memoria' significa soprattutto attualizzazione della storia, ricerca instancabile della verità ed occasione di costruzione di nuovi modelli culturali".

(Lugonotizie.it, 28 gennaio 2014)


Paranoia, teppismo, indifferenza, menzogna

Commenti vari dalla stampa israeliana

Il Jerusalem Post commemora la Giornata Internazionale della Shoà e sostiene che vi sono due insegnamenti da trarre da quel tetro periodo della storia. Il primo «è che l'antisemitismo è essenzialmente una cronica malattia morale dell'umanità e che gli ebrei non devono mai più affidarsi esclusivamente al buon cuore degli altri». Il secondo è il riconoscimento che «l'uomo è capace di atti di inconcepibile orrore». In conclusione, l'editorialista afferma: «I due concetti non si escludono a vicenda. Uno discerne i pericoli che minacciano il popolo ebraico a causa di quella fatale paranoia ossessiva che è antisemitismo. L'altro ci obbliga a temperare questa consapevolezza con l'obbligo morale di combattere l'ingiustizia ovunque possa manifestarsi»....

(israele.net, 28 gennaio 2014)


Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è un abominio.
Levitico 18:22, Mitzva n.350
Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l'uso naturale in quello che è contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento. Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa, sì che facessero ciò che è sconveniente.
Romani 1:26-28







 

Sette indirizzi per mangiare cucina kosher nel mondo

Influenze milleleuropee, mediterranee, statunitensi. La tavola ebraica è un crogiolo di tradizioni. Ecco dunque dall'Europa dell'est al Mediterraneo fino agli USA dove gustarla a meglio in tutte le sue derivazioni-

di Silvia Anna Barrilà

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Un po' mitteleuropea, un po' mediterranea, un po' statunitense, la cucina ebraica racchiude in sé moltissime tradizioni culinarie che il popolo ebraico ha raccolto e rielaborato durante le sue peregrinazioni nel corso dei secoli. Ci sono piatti che vengono dalla Russia, come il borsch di cavolo rosso, altri che troviamo anche nei paesi arabi, come cous cous e falafel, e poi gli immancabili bagel e sandwich al pastrami. Tutto in versione Kosher.
Ecco dunque sette indirizzi in giro per il mondo dove gustare, in ambienti attenti anche al design, la migliore cucina ebraica.
A Berlino è stata da poco riaperta la "Jüdische Mädchenschule", la scuola femminile ebraica che si trova all'interno di un edificio storico in mattoni rossi a Mitte, restaurato per accogliere gallerie d'arte e ristoranti alla moda. Tra questi il Mogg & Melzer Delicatessen, in cui viene servita cucina ebraica newyorkese in un ambiente minimal tra opere d'arte di artisti emergenti.
Il Ba''ghetto sorge in un luogo storico del ghetto ebraico di Roma, uno dei più antichi del mondo. Si trova davanti al portico d'Ottavia che l'imperatore Augusto fece costruire in onore della sorella e che segnava i confini della zona da cui gli ebrei non potevano uscire durante la notte. Qui fino al secolo scorso veniva effettuata una singolare vendita all'asta di pesce aperta a tutti. È uno dei tre ristoranti della famiglia Dabush: il primo è nato negli anni '80, il secondo nel 2008, e l'ultimo, che propone ricette a base di latte e pesce (senza carne) è nato nel 2010.
Un classico imperdibile è Katz's Delicatessen a New York, nel Lower East Side. È stato ha aperto nel 1888 da una famiglia immigrata dalla Russia e la sua storia si legge sulle pareti, ricoperte di fotografie di celebrità che l'hanno visitato, da Liv Tyler a Bruce Willis a Al Gore. La sua fama si rispecchia nelle statistiche: ogni anno il ristorante vende 10.000 libbre di pastrami, 5.000 libbre di carne corned beef, 2.000 libbre di salame e 12.000 hot dog.
E siccome sulla tavola non può mancare il pane, a Vienna c'è Ohel Moshe Bakery, un panificio che il venerdì è preso d'assalto dagli ebrei osservanti che vanno ad acquistare le pagnotte di "challah", il pane del sabato. Non solo, qui si trovano dolci deliziosi come i Rugelach, simili a brioche, o i Kolach, originari dall'Europa dell'est.
A Parigi, dove sin dal tempo dei Romani c'è sempre stata una consistente popolazione ebraica, molte comunità si sono stabilite in quello che oggi è il Marais. Qui si trova Chez Marianne, dove si può gustare il lato mediterraneo della cucina kosher con falafel, humus, melanzane e insalata di carciofi. L'interno è molto piccolo ma in compenso il ristorante offre un'ampia terrazza.
Anche in Brasile non mancano le proposte della cucina ebraica. A San Paolo, la chef Andrea Kaufmann ha avviato il suo primo ristorante, chiamato AK Delicatessen, ispirandosi alle tradizioni e alle ricette della tradizione familiare erileggendole però in versione moderna attirando su di sé molte critiche da parte degli intenditori della cucina ebraica. Nel 2011 ha aperto un nuovo ristoranet, AK Vila, che ha avuto velocemente successo di pubblico e critica.
Il Tel Aviv Cafe+Deli porta i sapori e i profumi da Israele direttamente nel centro storico di Varsavia: babaganoush di melanzane, gazpacho di pomodoro con zenzero e coriandolo, da accompagnare con "limonana", una limonata alla menta diffusa negli anni '90 in Israele prima con una campagna pubblicitaria e poi con la sua produzione reale (si era trattato di un esperimento per testare gli effetti reali della pubblicità sugli autobus, perfettamente riuscito).
Per gli amanti dei dolci, a Budapest c'è una piccola pasticceria kosher nascosta, chiamata Noé Cukràszda, che offre specialità come il flódni, una torta ebraico-ungherese a strati con mele, noci e semi di papavero.

(Icon, 28 gennaio 2014)


Israele: ecco il paese su cui le compagnie aeree puntano

Da quando Israele e l'Unione Europea hanno firmato ufficialmente il loro storico "Open Skies" una sfilza di compagnie aeree sono al lavoro cercando di espandere le loro offerte verso questo interessante paese.
Sia compagnie aeree tradizionali tra cui Lufthansa che vettori low-cost come easyJet hanno ora l'obiettivo di approfittare della convenzione al fine di offrire ai clienti d'affari e ai turisti comode e opzioni di viaggio a prezzi accessibili per raggiungere lo Stato ebraico.
Grazie a "open skies", ora anche le compagnie aeree israeliane sono in azione, con El Al che ha da poco annuncito rotte aggiuntive verso l'Europa, e la nuova "Up", che inizierà il servizio verso destinazioni europee questa primavera.
Mark Feldman, attualmente CEO dell'agenzia di viaggi Zion Tours, spiega in un'intervista che a causa di "una clausola di salvaguardia, una compagnia aerea come easyJet, che ha già iniziato il suo servizio da Londra a Tel Aviv quattro anni fa può già andare avanti ed espandersi."
Un portavoce di easyJet ha confermato quattro voli settimanali tra Tel Aviv e Berlino e tre voli settimanali tra Tel Aviv e Milano. Il ministro del Turismo israeliano Uzi Landau Dr. descrive "Open Skies" come uno sviluppo innovativo per l'industria del trasporto in Israele, facendo viaggiare da e per l'Europa "più efficiente, fornendo maggiore concorrenza a prezzi più bassi [per il consumatore]. L'accordo è importante in quanto avvicina Israele all'Europa, rendendo il viaggio accessibile a molte persone."
Tal Muscal, capo del gruppo Communications Israele per il Gruppo Lufthansa, ritiene che l'accordo è un "game changer" nel settore dei viaggi. Muscal dice che l'accordo "aprirà Israele a molti più turisti, e consentirà a molti altri israeliani di viaggiare in Europa, in modo che tutti ne possano avere benefici".
Muscal dice che Lufthansa "ovviamente prenderà parte alle opportunità che questa liberalizzazione ci offre", spiegando che a partire dal mese di marzo, la compagnia aerea aggiungerà altri sei voli settimanali verso Tel Aviv per l'inizio della stagione estiva. Tre voli da Francoforte e tre da Monaco di Baviera portando i voli settimanali per Israele a 27.
Abbiamo provato a cercare su Volagratis i voli lufthansa per Israele e ci siamo resi conto come, forse proprio grazie a questo accordo, i prezzi sono in rapida discesa. Mentre un tempo si volava in Israele a prezzi esorbitanti, ora si trovano voli (sempre a partire dal prossimo marzo) a meno di 200 € A/R tasse incluse.
Per il ministero israeliano del Turismo l'accordo "Open Skies" porterà ad un aumento di 250.000 turisti europei provenienti da Israele durante il primo anno. Il ministero dice che questo porterà alla creazione di 10.000 nuovi posti di lavoro in Israele.

(NonSoloAerei, 27 gennaio 2014)


Foto di Yuri Dojc
La sinagoga abbandonata è rimasta come nel 1942

Nel 2006, il fotografo Yuri Dojc visitò in Slovacchia una scuola ebraica abbandonata durante la guerra, quando insegnanti e alunni erano stati deportati dai nazisti, e la vicina sinagoga. Il tempo si era fermato: dai libri sacri, agli oggetti di preghiera, tutto era fermo a quell'attimo tragico, come imprigionato nel tempo. Le sue immagini, in mostra fino al 23 febbraio presso la Ermanno Tedeschi Gallery di Roma, sono un tributo alle comunità ebraiche della sua terra, spazzate via dalla Shoah.

(L'Espresso, 27 gennaio 2014)


Siam tre piccoli porcellin

di Michael Sfaradi

Sapevo di essere un politicamente scorretto, sia come scrittore sia, e soprattutto, come giornalista, ma fino al momento in cui una testa di maiale è stata recapitata agli uffici della comunità ebraica, una all'ambasciata d'Israele e una al museo della memoria di Roma, non avevo capito quanto. Quando ho appreso la notizia, sono sincero, ho soffocato a stento una risata, non me ne vorranno i poveri maiali, ma l'atto è di un'idiozia tale che solo delle menti 'diversamente intelligenti', sempre che di menti si tratti, potevano partorire una stupidaggine così assurda che, almeno a prima vista, non ha né capo (fatta eccezione per le teste suine) né coda. Difficile capire quale potesse essere il fine che si prefiggevano, probabilmente neanche gli autori del gesto stesso avevano le idee chiare in proposito, ma significativa è la data in cui tutto è accaduto, molto vicina alla giornata internazionale della Memoria.
   Non ho perso neanche un secondo per capire il gesto e il suo messaggio, sarebbe stato un secondo sprecato, ma questa follia senza senso si è svolta in una data che, da quando è stata istituita la giornata della memoria, ha creato più critiche e polemiche che momenti di riflessione. Da dove l'imbecille o gli imbecilli che hanno spedito i pacchi hanno trovato la forza per un atto di questo tipo? Perché si sono sentiti liberi di rischiare mentre in altri momenti sarebbero rimasti muti e invisibili? Ognuno è libero di dare la sua risposta a questi quesiti, io do la mia.
   Siamo stati testimoni della strumentalizzazione selvaggia operata da sempre ai danni del 27 gennaio, dove nella maggior parte delle ricorrenze si è pensato più ad accusare gli ebrei vivi e a dar loro tutte le colpe della situazione mediorientale che a commemorare quelli morti, dove il nuovo antisemitismo mascherato da antisionismo ha sparso a piene mani odio verso Israele con il chiaro intento di delegittimare lo stato degli ebrei con la vana speranza di portarlo a un'implosione che ristabilisca il vecchio status dove gli ebrei stanno bene nei ghetti e in minoranza.
   Negli anni passati, durante la giornata della Memoria, abbiamo visto personaggi pubblici e politici stracciarsi le vesti e piangere lacrime di coccodrillo nel ricordo di quello che in molti vorrebbero cancellare e poi, passata la mezzanotte, riprendere il lavoro di demonizzazione e delegittimazione dello stato di Israele che è, inutile girarci intorno, l'unica polizza di assicurazione valida che garantisce a tutti gli ebrei del mondo, anche a quelli che non se ne rendono conto, pari dignità con gli altri popoli nel contesto mondiale. Mi chiedo: a cosa serve pretendere che le scritte siano cancellate o che i responsabili di questi atti siano puniti se ancora si permette a sedicenti intellettuali di negare la Shoah, i campi di sterminio, le camere a gas e i forni crematori?
   A cosa servono le sterili polemiche che si susseguono periodicamente accendendosi e spegnendosi senza portare alcun cambiamento se ancora, e nonostante un Papa che non fa segreto delle sue amicizie ebraiche e che è affettuosamente ricambiato, ci sono insegnanti di religione cattolica che proseguono nella trasmissione di falsi storici sulla crocefissione di Yoshua da Nazareth e sulla sua origine palestinese? Se c'è un consenso su tutto questo per 364 giorni l'anno la giornata della Memoria, in questi termini, ha ancora una ragione di essere? E soprattutto ha ancora un senso indignarci? Non sono le tre teste suine che sono sulla scena in questi giorni a preoccuparmi, ma le teste di altro tipo, parlanti e di tutti i colori politici, che sono sulla scena durante il resto dell'anno che dovrebbero far riflettere e preoccupare, è l'ipocrisia di chi si scandalizza al primo ciack per fare la parte del buono o dell'amico e che poi, per dirla da legionario, avvelena i pozzi e gira le spalle come una banderuola al vento.
   Carlo Levi disse: 'Le parole sono come pietre', mente un altro più illustre correligionario disse 'Chi è senza peccato scagli la prima pietra'.Il dovere di ognuno di noi, di coloro che non vogliono accettare il buio della ragione, a mio avviso non è solamente vigilare ma combattere ogni forma di odio razziale con le armi della ragione prima ancora di reprimere e soprattutto mettere davanti alle loro responsabilità tutti coloro che in questi anni hanno svolto impunemente il loro doppiogiochismo che sta nuovamente aprendo le porte all'ignoranza e all'odio.

(L'ideale, 27 gennaio 2014)


La star israeliana che spopola in Yemen

Zion Golan, cantante israeliano di origine yemenita, deve la propria popolarità a motivi cantati con parole, accenti e musiche della cultura araba yemenita.

di Maurizio Molinari

 
Zion Golan
In Yemen non c'è mai stato nè può andarci ma è cresciuto nell'eredità del Paese da cui arrivarono i suoi genitori ed ora la canzone che canta spopola a Sana'a. Il personaggio in questione è Zion Golan, cantante israeliano di origine yemenita che deve la propria popolarità a motivi cantati con parole, accenti e musiche della cultura araba yemenita.
Fra queste c'è "Sana'a al-Yemen", una canzone nella quale Golan pronuncia frasi come "Vieni con me a Sana'a" oppure "Sana'a è la mia casa e ti piacerà". Se fra gli oltre 300 mila israeliani di origine yemenita Golan è già una star la novità arriva ora proprio da Sana'a dove la canzone risuona spesso dai minibus a cui gli abitanti si affidano per gli spostamenti in città, come anche dagli stereo posizionati dentro i negozi o lungo le strade. Un'ulteriore conferma della popolarità di Golan fra gli yemeniti viene da Facebook perché molti giovani users di Sana'a e altre città parlano di lui e della sua musica, mostrando sorpresa e curiosità per l'attaccamento degli ebrei israeliani di origine yemenita ai costumi di un comunità che si insediò nell'estremo lembo della penisola arabica nel II secolo. In Israele infatti ristoranti, musiche e cerimonie religiose yemenite sono molto popolari. La comunità ebraica lasciò lo Yemen nel 1948, fuggendo da una povertà diffusa come da episodi di intolleranza, ed oggi a Sana'a restano meno di centro ebrei.

(La Stampa, 27 gennaio 2014)


«Io il velo non lo metto». La Bonino e il giallo del rifiuto in Iran

I media iraniani raccontano un piccolo incidente diplomatico durante la visita a Teheran. Lo staff del Ministro a VanityFair.it: resoconto completamente falsato.

di Francesco Oggiano

«Io il velo non lo metto». È un piccolo giallo, il rifiuto che alcuni media iraniani stanno attribuendo in queste ore al ministro degli Esteri italiano Emma Bonino. Le voci, originate dal quotidiano iraniano conservatore Jahan News e riprese dall'israeliano Haaretz, si riferiscono allo storico viaggio fatto dalla Bonino in Iran lo scorso 21 dicembre, prima visita di un ministro degli Esteri occidentale nel paese islamico dopo la firma dell'accordo nucleare tra Teheran e le potenze del gruppo 5+1.

- Il racconto dei media iraniani
  È poco dopo l'atterraggio all'aeroporto di Teheran che secondo il racconto dei media iraniani, smentito dallo staff del Ministro, sarebbe scoppiato un piccolo incidente diplomatico: la Bonino viene raggiunta sull'aereo da un funzionario del governo iraniano, che le presenta tre foulard e le chiede di scegliere quale indossare prima di scendere dal velivolo. È la tradizione: nessuna diplomatica in visita può mettere piede sul suolo iraniano con il capo scoperto.

- Il rifiuto del Ministro
  Il Ministro reagisce stizzito. Rifiuta di indossare il velo e rispedisce al mittente «l'invito». Il funzionario iraniano gira i tacchi e allerta l'intera catena di comando. Sempre stando al racconto dei media iraniani, i funzionari di Teheran contattano il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. Questi, seccato, ordina ai funzionari presenti all'aeroporto di proibire alla Bonino di scendere dall'aereo senza il copricapo. A quel punto, il Ministro italiano decide di non mettere a rischio la visita storica, agguanta il primo foulard a portata di mano e scende dall'aereo.

- La smentita dello staff
  Il racconto dei quotidiani iraniani viene smentito interamente dallo staff della Bonino, interpellato da VanityFair.it e presente anch'esso sull'aereo. Nessun funzionario avrebbe offerto i foulard al Ministro, che sarebbe sceso normalmente dall'aereo senza alcun copricapo. Soltanto nelle ore successive, la Bonino avrebbe indossato un copricapo, che avrebbe mantenuto serenamente durante tutti gli incontri ufficiali. È probabile, spiegano al Ministero, che la ricostruzione «fantasiosa» dei media iraniani sia dovuta all'irritazione per aver visto le foto del Ministro che scende dal velivolo con il capo scoperto.

(VanityFair.it, 27 gennaio 2014)


Leopoldina, la donna che cercò di salvare gli amici ebrei

Si è spenta venerdì scorso la bolzanina che tentò di aiutare alcune famiglie che si erano nascoste a Revò in Val di Non

di Ettore Frangipane

Leopoldina Micheletti
BOLZANO - E' mancata venerdì mattina a Bolzano a 97 anni, nella sua casa bolzanina di via Milano 76, Leopoldina Micheletti in Zucali, una delle ultime testimoni delle razzie perpetrate, anche nella nostra regione, ai danni degli ebrei.
La sua vicenda è stata raccontata da Federico Steinhaus, già capo della Comunità ebraica di Merano, che ne apprese i particolari dalla testimonianza della stessa Leopoldina, trasferendola poi in un suo libro: "Ebrei-Juden" (gli ebrei dell'Alto Adige negli anni Trenta-Quaranta). Nel 1943 Leopoldina Micheletti, che allora aveva 26 anni, si trovava a Vervò con la sua famiglia.
Un giorno d'agosto un loro cugino, Leopoldo Zadra, venne lassù con sua moglie Caterina Rapaport e chiese alla famiglia di ospitarla: non disse che era ebrea. Poi lo zio "Poldi" - così lo chiamavano - se ne andò affidando la donna, che a Merano vendeva tessili, ai suoi parenti. Negli stessi giorni in una casa vicina aveva trovato alloggio un'intera famiglia di ebrei, i Bermann, padre madre e due figli. Non si dichiararono tali ma Leopoldina ebbe modo di vedere attraverso una finestra Bermann-padre che era solito pregare tra candele accese con uno zuccotto in testa. Allora capì, e divenne particolarmente amica della madre, Teresa.
I Micheletti non li tradirono e continuarono ad ospitare anche la Rapaport, nel frattempo rivelatasi, finché un giorno, a metà settembre, non giunsero "due uomini in borghese- racconterà Leopoldina a Steinhaus -, uno con un mitra, l'altro impugnava una pistola; uno dei due era dell'alta Val di Non, della zona di Passo Palade. Mi chiesero chi ero e glielo dissi. Caterina in quel momento si affacciò alla porta, e mi chiesero il suo nome. Risposi che era una villeggiante, che non sapevo come si chiamasse (…). Mi minacciarono".
Caterina tentò la fuga uscendo dal retro della casa: i due spararono alcuni colpi, la raggiunsero, Caterina tornò a divincolarsi e a fuggire ma non ci fu più nulla da fare. La trascinarono con loro, volgendo poi la loro attenzione alla casa in cui si trovavano i Bermann, nella quale raggiunsero Teresa. «Teresa era calmissima - sono parole di Leopoldina - mentre Caterina gridava e s'agitava». Furono legate l'una all'altra e condotte a valle.
«Ho saputo poi - continua la testimonianza di Leopoldina - che le avevano trascinate per le strade di Merano, portandole all'edificio dove stavano raccogliendo gli ebrei da deportare». Questa era la casa del Fascio, nel cui scantinato si ritrovarono più persone, in un'aria soffocante poiché i nazisti avevano chiuso ogni apertura con l'esterno, onde non si sentissero le invocazioni dei prigionieri (tra i quali una bimba di 6 anni, Elena De Salvo, tubercolotica e priva di un polmone, la cui madre urlava per ottenere un po' d'aria per la piccola).
Ci furono casi atroci, come quello di Geltrude Benjamin, che quando vide arrivare a casa sua i nazisti, per non cadere viva nelle loro mani si avvelenò con la sorella, ma sopravvisse. Fu allora abbandonata senza soccorsi su un bigliardo che si trovava nello scantinato. "Che crepi pure", disse uno degli sgherri (da "Ebrei-Juden", di F. Steinhaus).
Tornando a Vervò, sfuggirono alla cattura gli altri Bermann, il padre e i due figli, che Leopoldina accompagnò dopo dieci chilometri di camminata notturna fino alla Trento-Malè, per poi proseguire fino a Ferrara. «L'ho fatto, ma avevo tanta paura».
Gli ebrei rastrellati a Merano in quell'occasione furono 22, e furono i primi ad essere avviati in Germania dall'Italia: era il 16 settembre del 1943. In totale gli ebrei deportati dalla penisola furono 7.800, solo 837 sopravvissero. Su 733 bambini, ne ritornarono 121.
Non si seppe più niente, tra l'altro, della piccola (neanche 4 anni) Olimpia Carpi di Bolzano, abitante con la famiglia in via Leonardo da Vinci 20, tradita dalla delazione di un negoziante della stessa strada che fu processato a guerra conclusa, condannato ma poi amnistiato.
Quasi tutti gli ebrei italiani sono stati deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Leopoldina Micheletti sarà inumata domani (martedì 28 gennaio) nel cimitero di Vervò, in val di Non, suo paese d'origine.

(Alto Adige, 27 gennaio 2014)


Non siamo l'unico bersaglio

di Riccardo Di Segni
Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma


La shoà è stata l'epilogo violento di una storia di millenni di ostilità, nella quale sono confluite contro il popolo ebraico motivazioni religiose, psicologiche, economiche, nazionalistiche, razziali. Siamo tutti testimoni del fatto che l'ostilità antiebraica non si è esaurita certo con la shoà. Continua in questo Paese oggi e si esprime in tante forme: dagli stadi alle scritte sui muri, che sono fenomeni miseri e incivili, dalla battuta quotidiana di cattivo gusto, espressione del pregiudizio, alle forme politiche organizzate e non solo nei covi neonazisti, nelle cattedre dove si insegna negazionismo, nelle manifestazioni di becero antisionismo, fragile maschera dell'antisemìtìsmo, alle forme religiose - I'insegnamento del disprezzo, il popolo deicida e il dio vendicativo - ormai deplorate dalla Chiesa cattolica ma conservate e trasmesse in sede "laica" anche da personaggi autorevoli. Davanti a tutti questi fenomeni che potrebbero portare a chissà cosa è necessario che la società vigili e ricordi, che denunci, che non ceda, che non minimizzi, che non assolva e che non si autoassolva. Ma non c'è bisogno di essere ebreo per essere oggetto di ostilità e di odio. Basta essere in qualche modo solo un po' diverso. Le cause dell'odio per il diverso sono tante e si intrecciano in continuazione: il desiderio di mantenere privilegi, la paura di confrontarsi, il senso della minaccia, la difesa del gruppo, una situazione esistenziale difficile e a rischio. La società più civile può scoprirsi all'improvviso crudele, inospitale, aggressiva, può avere leggi democraticissime e protettive ma allo stesso tempo negare i benefici a chi è considerato diverso. Sono perfettamente convinto della unicità della shoà, ma l'insegnamento che ne deriva non riguarda gli ebrei come vittime e e una società scomparsa 70 anni fa, è un discorso attuale in una società che cambia e che si fa fatica e seguire nelle sue evoluzioni turnultuose e nei germi anche micidiali che può covare al suo interno.

(Il Tempo, 27 gennaio 2014)


Ebrei o Israele?

di Marcello Cicchese

  
Oggi, nella cosiddetta "Giornata della Memoria", che qualcuno ha chiamato "Giornata dell'Ipocrisia", l'attenzione continua a rivolgersi a quelle tre teste di maiale consegnate a sedi ebraiche e a quelle scritte che appoggiano il negazionismo. Non è difficile, anzi è del tutto naturale, indignarsi contro simili manifestazioni di inciviltà, anche perché mettono in luce una buona dose di stupidità, pur non essendo per questo meno gravi.
Ma potrebbe essere più utile soffermarsi invece su una scritta comparsa qualche giorno fa sui muri di Lecce e poco sottolineata dai media. Come mostra l'immagine superiore riportata a lato, lì non si parla di negazionismo: all'esistenza dei forni nazisti chi l'ha pensata ci crede davvero; vorrebbe soltanto che fossero riaccesi al fine di completare un'opera che evidentemente ritiene non sia stata portata a termine come si conviene.
Ma dove dovrebbero stare i nuovi forni e chi dovrebbero bruciare? La risposta è contenuta nella frase "Palestina libera". Il luogo dei forni non dovrebbe essere più l'Europa, ma la cosiddetta "Palestina", perché lì si trova la terra che, come una volta la Germania, deve oggi essere liberata dalla presenza di ebrei. A dire il vero, questo processo è già iniziato nella cosiddetta "Striscia di Gaza", dove gli ebrei sono stati fatti sparire senza che questo abbia arrecato disagio né agli Stati Uniti, né all'Europa, né all'Onu: insomma a nessuno. Questo evidentemente significa che se una cosa simile accadesse un giorno da qualche altra parte, e precisamente nel resto di quella che gli arabi chiamano "Palestina", passato il primo momento di trambusto, il mondo se ne dimenticherebbe. Anzi, no, dopo un certo tempo di assestamento istituirebbe una nuova, solenne "Giornata Universale della Memoria". Memoria di che? Memoria dello Stato Ebraico d'Israele e di quello che esso rappresenta per il mondo.
E che cosa rappresenta Israele? Oggi, per la maggioranza delle persone rappresenta soltanto una mondiale rottura di scatole che li costringe a concludere che alla fine, se si levassero di torno sarebbe meglio per tutti. Ma in futuro, quando non ci sarà più Israele, la passata esistenza del suo Stato rappresenterà certamente un forte stimolo pedagogico, affinché giovani e meno giovani imparino a coltivare buoni sentimenti nel ricordo degli ebrei che sono morti e del loro Stato che una volta c'era, era bello, interessante, ma adesso non c'è più!
Affinché prima o poi questo avvenga, affinché le persone sensibili abbiano un giorno la possibiltà di commuoversi davanti alla cattiveria umana verso gli ebrei che sono morti, ci vuole qualcuno di buona volontà che faccia il lavoro sporco, cioè che si adoperi a fare oggi verso gli ebrei vivi quanto è necessario affinché si abbia domani qualcosa da rammemorare e davanti a cui commuoversi. Ed è questo che cercano di fare tenacemente i vari movimenti islamici in concorrenza e lotta continua fra di loro, ma accomunati dall'incrollabile desiderio di liberare la Palestina.
Liberarla da che cosa? Anche qui, non bisogna essere troppo frettolosi nel rispondere. La scritta riportata a lato parla di ebrei, ma è chiaro, e i movimenti islamici lo sanno benissimo, che l'ostacolo grosso non sta negli ebrei come persone, ma nello Stato d'Israele, perché Stato significa sovranità, ed è la sovranità che l'islam vuole. Stabilita la sovranità islamica, cioè la sharia, si può discutere sul posto, ovviamente subordinato, che potrà essere concesso ad ebrei e ad altri infedeli. Gli ebrei ci possono anche stare, ma uno Stato ebraico sulla terra dell'islam è uno scandalo che non si può sopportare.
E invece Israele vuole essere presente su quella terra proprio come Stato ebraico: ed è quindi questo il vero motivo del contendere.
Mettendo a confronto le due immagini riportate a lato, esse hanno due cose diverse e una cosa in comune. Una parla di ebrei, l'altra parla di Israele, entrambe hanno un simbolo che significa una stessa cosa: Israele deve essere cancellato, sparire.
Conclusioni. Staccare programmaticamente il discorso sugli ebrei da quello sullo Stato d'Israele continuando a distinguere tra antisemitismo e antisionismo, costituisce oggi il più solido, il più tenacemente difeso baluardo dell'antisemitismo.

(Notizie su Israele, 27 gennaio 2014)


Hacker palestinesi attaccano computer militari israeliani

GERUSALEMME - Un attacco informatico contro Israele: nella striscia di Gaza la guerra diventa 2.0. Hacker palestinesi questo mese hanno inserito un virus informatico nei computer del ministero della difesa Israeliana. La radio militare ha riferito che sono stati infettati i Pc di responsabili militari israeliani in Cisgiordania. Probabilmente l'obiettivo era impossessarsi di dati militari.
Un metodo di infiltrazione ingegnoso. Gli hacker hanno mandato un messaggio che, sembrava provenire dallo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano. Il titolo del documento allegato, in ebraico, sembrava di routine: 'Analisi delle caratteristiche degli attentati palestinesi nell'ultimo decennio'. Una volta aperto l'allegato, questo ha infettato i computer. Secondo la radio militare, gli hacker non sono comunque entrati in possesso di informazioni militari vere e proprie. Hanno invece ottenuto informazioni su transazioni condotte in Cisgiordania dal ministero della Difesa.

(EdizioniOggi, 27 gennaio 2014)


Oltremare - Il grigio
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Il grigio è lontano da qui, oltre il mare e in mezzo alla terra, quella terra che era casa, e che ha prodotto il mostro peggiore degli ultimi 100 anni.
Il grigio è onnipresente, nella memoria che non è ricordo, perché noi che siamo nati dopo, noi giovani o quasi, il ricordo del vissuto non l'abbiamo. Ma abbiamo la memoria, che abbraccia anche l'assenza. Fotografie in bianco e nero, nomi di famigliari che hanno solo passato e nessun presente.
Dopo l'aliyah, ogni ebreo passa un confine che è fisico e anche ideale. Il nostro "qui" è oggi Israele, il paese dei pionieri e del kibbutz, del sole e dell'epopea del paese "nostro" per davvero, per il quale si è combattuto purtroppo fino alla nostra generazione, ogni anno o quasi. Il "lì", l'altrove, è adesso l'Europa, con tutta la sua storia e cultura e bellezza che un po' ci manca tutti i giorni. E con tutta la violenza cieca e assassina contro di noi, proprio noi, meno di un secolo fa - ma sembra ancora meno, a guardare da qui. Sì, il fatto di vivere nel paese sognato e poi costruito, un luogo pieno di sole e calore perfino adesso, a fine gennaio, non ci toglie dagli occhi quel grigio, le righe verticali delle casacche, i filmati degli alleati, gli occhi sgranati dei bambini.
E anzi aggiunge l'orrore di una generazione che, anche quando è arrivata qui, in salvo, ha dovuto prendere in mano armi sconosciute e combattere nella guerra di Indipendenza, e si è sentita chiedere a volte "perché avete lasciato che vi massacrassero così"? Perché non avete combattuto abbastanza laggiù, non avete combattuto come noi qui intanto combattevamo contro il sole che seccava tutto quello che piantavamo, e contro gli arabi o gli inglesi.
Chissà come l'hanno spiegata, in quegli anni imperdibili, epici, ai pionieri abbronzati del 1948, la genuina incredulità dei deportati, che ancora sui grigi treni piombati credevano di andare soltanto a lavorare..

(moked, 27 gennaio 2014)


Rabbini contro Netanyahu: "Suo figlio non può stare con una norvegese"

Il premier israeliano conferma la relazione, i rabbini ultraortodossi di "Lehava" sulle barricate: "Non è ebrea"

di Franco Grilli

Una ragazza norvegese rischia di scatenare un incidente diplomatico con Israele. Si chiama Sandra Leikanger, ha 25 anni, studia a Tel Aviv ed è la fidanzata di Yair Netanyahu, figlio maggiore del premier israeliano Benyamin.
I due si frequentano da mesi, come ha detto lo stesso presidente alla sua omologa norvegese Erna Solberg. Ma la relazione non piace a molti, a partire dall'organizzazione rabbinica israeliana "Lehava" - che lotta contro i matrimoni misti tra ebrei e non - secondo cui il padre di Netanyahu, il professor Ben Zion, "si starà rivoltando sconvolto nella tomba".
Questo legame ha innescato un fiume di reazioni nei siti web israeliani. Alcuni hanno addirittura recuperato un'immagine di due anni fa, scattata mentre Yair ostentava un cappello da Babbo Natale accanto ad un abete ben addobbato. La didascalia era: "Il mio ragazzo cristiano". All'epoca l'ufficio del premier minimizzò l'episodio, bollandolo come "uno scherzo banale", ma adesso, con la conferma ufficiale del legame fra il figlio del premier e la giovane norvegese, "Lehava" è tornata alla carica, facendo presente a Netanyahu che, secondo l'ortodossia più rigorosa, Sandra non potrebbe essere considerata ebrea nemmeno se si convertisse. "Se finalizzate solo a un matrimonio, e non frutto di una profonda maturazione interiore, le conversioni non hanno infatti valore", stabiliscono questi rabbini ultraortodossi. Di conseguenza, hanno avvertito, gli eventuali nipoti del premier non sarebbero visti come ebrei.

(il Giornale, 27 gennaio 2014)


Emma Bonino, lo strano caso del velo in Iran

  
Emma e Mohammad
Su alcuni media stranieri circola una indiscrezione in merito alla visita di Emma Bonino in Iran, la prima di un ministro degli Esteri occidentale dopo la firma dell'accordo nucleare tra Teheran e le potenze del gruppo 5+1.
A riportarla il quotidiano israeliano Haaretz, che rilancia quanto apparso su un sito web di Teheran, Jahan News, vicino a posizioni conservatrici.
Secondo quanto scritto, al momento dell'arrivo dell'aereo della delegazione italiana in Iran, i funzionari del governo di Teheran si sarebbero presentati davanti al Ministro con tre foulard, tra i quali la Bonino avrebbe dovuto sceglierne uno da indossare prima di scendere dal velivolo e mettere piedi sul suolo iraniano.
Il ministro degli Esteri, però, turbato dalla richiesta, avrebbe inizialmente rifiutato di indossare il velo, secondo i media iraniani.
A quel punto, le autorità del luogo si sarebbero subito attivate per mettere in contatto telefonico la stessa Emma Bonino con il Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, al quale sarebbe stato chiesto di convincere il ministro italiano.
Ma Zarif si sarebbe rifiutato di insistere, comunicando semplicemente al capo del protocollo che se la Bonino non avesse voluto indossare il velo avrebbe dovuto tornare a Roma e di conseguenza tutti gli incontri previsti con i rappresentanti del regime iraniano sarebbero stati annullati.
Solo a questo punto, considerando la situazione e la possibilità che una visita di così alto profilo sfumasse, arrabbiata e dopo aver fumato delle sigarette, il Ministro Bonino avrebbe indossato a malincuore il foulard e si sarebbe diretta verso le scale dell'aereo.

(formiche.net, 26 gennaio 2014)


Comunità ebraica e Comune di Parma insieme per promuovere la cultura ebraica

Concorso per studi e ricerche, elaborati letterari o artistici in genere (arti figurative, musicali, poetiche ecc.) attinenti storia, cultura, tradizione e religione rivolto alle scuole e al territorio.

Il Comune di Parma ha concesso un contributo a favore della Comunità Ebraica di Parma per la realizzazione del concorso Shevilim "Percorsi di studio e di approfondimento della cultura Ebraica".
L'iniziativa, promossa anche negli scorsi anni dalla Comunità ebraica di Parma e dal Museo Ebraico "F. Levi" di Soragna, sarà proposta nell'anno scolastico 2013/2014.
Il progetto "prevede l'indizione di un Concorso per studi e ricerche, elaborati letterari o artistici in genere (arti figurative, musicali, poetiche ecc.) attinenti la storia, cultura, tradizione e religione ebraiche, che si distinguono per originalità e/o significatività, rivolto alle scuole al fine di promuovere la conoscenza della cultura ebraica nelle nuove generazioni e favorire l'incontro tra il mondo della scuola e la presenza delle Comunità Ebraiche del territorio".
A conclusione dell'iniziativa, come previsto dal bando di concorso, "verranno conferiti premi ai partecipanti, per un valore complessivo pari a 400 euro in materiale ed uso didattico, nel corso di una apposita cerimonia che si terrà presso il Museo "F. Levi" di Soragna o in concomitanza di altre manifestazioni di rilievo organizzate dallo stesso Museo".
La delibera del Comune di Parma

(ParmaDaily.it, 26 gennaio 2014)


La fattoria degli ebrei, cancellata dalla storia

Una lettrice invia a VareseNews una pagina della Stampa del 1938 che descrive la vita nella "Cascina Piana", tenuta agricola di Lentate dove visse anche Gianni Rodari.

  
La pagina della Stampa
Nella tenuta della "Cascina Piana", alla fine degli anni Trenta, venivano allevati anche i pavoni. I pollai erano puliti e le stalle erano rivestite in maiolica. La vita in questa fattoria era decisamente diversa rispetto alle altre strutture del luogo. Gestita da un gruppo di famiglie ebree, fuggite dalla Germania nazista, era un'azienda sviluppata e moderna. Vi lavoravano decine di persone, compresi molti braccianti italiani che provenivano dai comuni circostanti ma perfino da più lontano, da Bergamo e da Padova.
Tutto questo finì improvvisamente e per sempre in un solo anno, il 1939. Con l'entrata in vigore delle leggi razziali, i proprietari furono costretti a vendere e a fuggire in un luogo più sicuro abbandonando l'Italia, la tenuta e l'attività che con impegno e fatica avevano avviato.
Ciò che oggi conosciamo del passato di quella fattoria, dove visse per sei mesi anche Gianni Rodari, si deve ai ricordi dello scrittore e anche alle cronache dell'epoca. La nostra lettrice, Luisa Chierichetti, tra le carte di sua nonna Gina Bonenti Mira d'Ercole, intellettuale antifascista e poetessa sestese, ha trovato un articolo dedicato alla Cascina Piana pubblicato dal quotidiano La Stampa, datato 1 settembre 1938. È soltanto una puntata di una più articolata "Inchiesta sugli ebrei stranieri", il cui tenore è chiaramente ispirato alla propaganda del periodo fascista. L'autore parla di una "tenuta di Lisanza" ma il riferimento è all'azienda di Lentate dove il cronista si reca e incontra Frida, giovane contadina che lavora nella tenuta.
Il giornalista, oltre a descrivere il funzionamento dell'azienda e la sua produttività, «un reddito del 18,25 per cento», «una percentuale che non è forse mai stata conseguita da alcun agricoltore» ci rivela che quel luogo fu anche un punto di transito o di rifugio per altri ebrei. La proprietà apparteneva a tre famiglie (Rodari lavorò per i Sauer) con «un medico, un industriale, un possessore di titoli di rendita». «Quando vennero in Italia, puntarono decisamente sul lago Maggiore; e puntarono su questa riva: e il fatto che il piccolo paese di Angera conta da solo ben undici ebrei stanziali può voler dire qualcosa».

(VareseNews, 26 gennaio 2014)


Teste di maiale contro ebrei, Israele si indigna: "Incidente intollerabile"

Dopo i gesti oltraggiosi riservati alla comunità ebraica della Capitale, arriva la condanna dal Ministero degli Esteri israeliano: "Un incidente intollerabile e brutale". Tra venerdì e sabato sono stati recapitati tre plichi con dentro teste di maiale alla Sinagoga di Roma, all'ambasciata israeliana e ad una mostra sulla cultura ebraica al Museo di piazza Sant'Egidio. "Sono manifestazioni che non possono essere tollerate" e "confidiamo nella polizia", ha aggiunto il ministero. "E' sorprendente - ha sottolineato il portavoce del ministero a Gerusalemme, Ygal Palmor - che questo possa essere accaduto a Roma. Non ci aspettavamo simili incidenti. Abbiamo piena fiducia nella polizia e nel fatto che saprà fare piena luce, assicurando alla giustizia i colpevoli. E' sicuramente un incidente isolato e non un'ondata. Ma questo non vuol dire che sia meno offensivo. Non può - ha ribadito - essere tollerato".
Intanto, proseguono senza sosta le indagini, si scava negli ambienti di estrema destra per risalire agli autori. La Procura ha aperto un fascicolo e con il passare delle ore si fa spazio l'ipotesi del reato per istigazione all'odio razziale.
I pacchi contenevano anche un biglietto con frasi deliranti, dove si fa riferimento all'economia ebraica e alle deportazioni oltre a riferimenti a Theodor Herzl, scrittore ungherese ottocentesco considerato il fondatore del sionismo.
Gli investigatori pensano si tratti di un gruppo di persone organizzato e non di una sola persona e stanno passando al setaccio alcuni ambienti dell'estrema destra già in passato accusati di propaganda nazista ed antisionista, attraverso il web e il lavoro di intelligence.

(Fonte: Roma Capitale News, 26 gennaio 2014)


Lettere di Himmler alla moglie. 'Vado ad Auschwitz, baci'

BERLINO, 26 gen. - Heinrich Himmler si recava in visita di ispezione al campo di sterminio di Auschwitz con lo stesso spirito di un turista che si mette in viaggio. Lo rivelano alcune delle oltre 700 lettere private scritte dal famigerato capo delle SS alla moglie Margarete Siegroth (Marga) dal 1927 fino a cinque settimane prima del suo suicidio nel 1945, rimaste a lungo in possesso nell'archivio privato di una famiglia di ebrei israeliani, delle quali il domenicale 'Welt am Sonntag' (WamS) pubblica oggi alcuni estratti. "Vado ad Auschwitz. Baci, il tuo Heini", scriveva il braccio destro di Hitler a Marga, senza fare il minimo accenno agli orrori che si perpetravano in quel lager. Nel corso di un altro viaggio di ispezione dei lager eretti dai nazisti in Polonia, Himmler scriveva a Marga il 15 luglio 1942 che "nei prossimi giorni saro' a Lublino, Zamosch, Auschwitz, Lemberg e poi nella nuova sede. Sono curioso di vedere se e come funzionera' il telefono.
Fino a Gmund (residenza familiare bavarese sulle rive del lago Tegernsee, ndr), saranno oltre 2.000 chilometri. Saluti e baci! Il tuo Pappi". Himmler e Marga, di professione infermiera e di sette anni piu' anziana di lui, si erano conosciuti e subito innamorati l'uno dell'altra nel settembre 1927 durante un viaggio in treno da Berchtesgaden a Monaco di Baviera. Gia' all'inizio di gennaio 1928 Marga scriveva pero' al fidanzato definendolo "un uomo cattivo dal cuore duro e ruvido", ottenendo a stretto giro di posta il 3 gennaio l'autodifesa di Himmler: "Credimi, il tuo lanzichenecco non ha un cuore ne' duro, ne' ruvido, del resto tu lo sai meglio di chiunque 'piccola' donna". Da subito, ancor prima che Hitler arrivasse al potere, ad accomunare i due era anche il loro radicato antisemitismo, che per Marga era un fatto acquisito sul quale non era necessario spendere troppe parole. Riguardo agli ebrei scriveva il 2 novembre 1927 che "i fatti parlino da soli, a che servono questi commenti?", mentre in lettere successive ogni volta che parlava degli ebrei le definizioni ricorrenti erano "canaglie ebraiche" o semplicemente "canaglie", delle quali il 27 febbraio 1928 scriveva di avere "terrore", ricevendo in questo suo atteggiamento il pieno sostegno del fidanzato.
"Povera cara, a causa dei soldi devi farti spellare da questi miserabili ebrei", scriveva il futuro capo delle SS il 16 aprile 1928 a Marga, con la quale si sarebbe sposato qualche mese dopo e che prima delle nozze aveva ceduto le sue azioni di una clinica berlinese all'altro comproprietario ebreo Bernhard Hauschild. "Questo Hauschild, un ebreo rimane un ebreo!", scriveva Marga il 21 maggio 1928, ottenendo come risposta un invito a non prendersela troppo. "Non ti arrabbiare con gli ebrei", le rispondeva un mese dopo Himmler, aggiungendo che sull'argomento "potrei solo sostenerti, brava donna". Quando il marito il 9 novembre 1938 aveva gia' dato l'ordine di esecuzione dei pogrom contro gli ebrei ed i loro negozi e sinagoghe in moltissime citta' tedesche, passato alla storia come la famigerata 'notte dei cristalli', Marga annotava nel suo diario il 14 novembre: "Questa storia degli ebrei, quando ci lasceranno queste canaglie, in modo da poter condurre una vita felice?"

(AGI, 26 gennaio 2014)


Gandino, il paese che salvò gli ebrei dalla follia nazista

Piazza Vittorio Veneto a Gandino in una foto degli anni '40
I coniugi Bortolo e Battistina Ongaro, «Giusti fra le Nazioni». Ospitarono in casa Mariem Loewi e i due figli
«Colui che salva una sola vita, salva il mondo intero». La citazione del Talmud ebraico (sottotitolo del film Schindler's List di Steven Spielberg del 1993) corredava nel 2006 i diplomi che il Comune di Gandino riservò alle famiglie che in paese, negli anni '40, avevano ospitato a rischio della vita decine di ebrei.
A settant'anni da quei giorni tristi e a otto da quella commovente cerimonia, Gandino potrebbe avere un onore inedito e importante: veder riconosciuto all'intero paese il titolo di «Giusto fra le Nazioni», l'unica onoreficenza civile dello Stato d'Israele.
A battersi per questa ipotesi è Marina Loewi Zinn, oggi residente nel New Jersey (Usa) e salvata a Gandino, insieme alla madre Mariem Loewi (profuga dal Belgio) e al fratello Siegbert.
Marian Loewi e i suoi familiari hanno già dimostrato compiutamente la loro infinita gratitudine perorando con successo l'assegnazione alla memoria a sei gandinesi del titolo di «Giusti fra le Nazioni», avvenuta nel novembre 2005. Si tratta di Bortolo e Battistina Ongaro (che per primi ospitarono direttamente la famiglia Loewi), Vincenzo Rudelli (al tempo sindaco di Gandino) e Giovanni Servalli (impiegato comunale) che provvedevano per i documenti di copertura e i coniugi Francesco Lorenzo e Maria Chiara Carnazzi Nodari , che ospitarono successivamente i Loewi nella cascina di Prat Serval.
L'istanza di riconoscere a Gandino un titolo unico ed esemplare è stata ripresa nei mesi scorsi dallo scrittore Sergio Luzzatto, in un articolo apparso sul Sole 24 Ore. Trae spunto, per quanto riguarda Gandino, da uno studio portato avanti per anni dallo storico gandinese Iko Colombi, che ha raccolto con attenzione unica e certosina le testimonianze dirette di molti anziani e consultato gli album di famiglia di tanti gandinesi: gli archivi ufficiali di Comune e parrocchia rivelano infatti pochissimi dettagli, dato che in paese certamente tutti sapevano, ma nessuno tradiva.

(L'Eco di Bergamo, 26 gennaio 2014)


L'antisemitismo è tra noi e nessuno riesce a ucciderlo

Un micidiale libro-accusa di Daniel Goldhagen, lo storico che scrisse il celebre I volenterosi carnefici di Hitler: "Nel mondo arabo e in Europa molti vogliono eliminare Israele".

di Fiamma Nirenstein

Il nuovo libro di Daniel Goldhagen The Devil that never Dies (Little, Brown & Company, pagg. 486, dollari 30) è, come il suo celebre I volenterosi carnefici di Hitler (1996) un testo che schiaccia il lettore sotto una valanga di informazioni e dati che provano una tesi scandalosa quanto evidente: è cioè che l'antisemitismo non è un fenomeno da affidare alla memoria del passato, relegare nei libri.
No, il male esiste ancora, il «demonio» resiste. E l'antisemitismo, dice Goldhagen, ha le stesse caratteristiche genocide di un tempo e, naturalmente, minaccia in primis lo stato di Israele, l'ebreo collettivo.

- La tesi più spaventosa del libro è quella della diffusione globale dell'antisemitismo, della sua morsa su tutto il mondo.
  «Con la globalizzazione l'antisemitismo, che è il principale pregiudizio etnico di tutti i tempi, è diventato mondiale. Spinto dai Paesi arabi e islamici, agganciandosi a fonti europee e cristiane di antica matrice accantonate solo momentaneamente dopo l'Olocausto, l'antisemitismo è oggi presente in larga misura ovunque. I media digitali - dal web alla tv satellitare - l'hanno messo alla portata di chiunque, ovunque e in qualsiasi momento. Sono stati fondamentali per la sua diffusione globale».

- Cosa c'è di nuovo nell'antisemitismo contemporaneo?
  «L'antisemitismo globale attinge a vecchi pregiudizi cristiani, musulmani, di sinistra e di destra, ma oggi ha assunto anche nuove forme e dimensioni. Se prima prendeva di mira gli ebrei locali - quelli che si conoscevano direttamente per città, regione o nazione - oggi è accanitamente fissato anche sugli ebrei lontani, ovvero su quelli americani e israeliani. Inoltre, mentre in precedenza era un fenomeno di matrice principalmente sociale o culturale, nell'era globale politicizzata in cui viviamo, è decisamente un fenomeno politico. Per la prima volta, esso occupa un posto centrale nelle strategie e nella politica estera di molti Paesi, contro lo Stato d'Israele».

- Lei ha scritto che auspicare l'annientamento di Israele attraverso armi nucleari è la sostituzione dell'incitamento a un nuovo Olocausto. Il mondo islamico grida quotidianamente «morte agli ebrei» e nessuno batte ciglio.
  «Nel mondo arabo e islamico dire di voler distruggere gli ebrei - e non Israele semplicemente - è cosa comune. I leader politici e religiosi, i media e l'uomo della strada lo dicono apertamente. In Occidente, a causa dell'Olocausto e dell'adozione di leggi che perseguono reati d'odio, gli antisemiti sono più cauti: non dirigono i loro attacchi contro gli ebrei di per sé, anche se ricorrono a stereotipi tradizionali, fanno di Israele il loro obiettivo».

- Dove sono oggi i difensori degli ebrei?
  «Solo negli Usa, il Paese meno antisemita dell'Occidente, abbiamo assistito a un arretramento dell'antisemitismo negli ultimi decenni, invece di aumentare come in Europa. Non sorprende quindi che gli americani sappiano riconoscere che dietro l'assalto antisemita contro Israele e contro gli ebrei, anche quando è mascherato da antisionismo, si celi in realtà un odio pericoloso e omicida.»

- Che rapporto c'è tra il desiderio di annientare gli ebrei e la negazione dell'Olocausto?
  «La negazione dell'Olocausto non è che una forma della vasta gamma di negazionismi diretti agli ebrei, e agli ebrei soltanto: viene negato che gli ebrei abbiano una storia plurimillenaria che li lega alla loro terra, che il Tempio sia mai esistito, che abbiano il diritto come tutti i popoli ad avere un proprio Stato, e persino che siano esseri umani, un ritornello molto comune nel mondo arabo e islamico. Tutto ciò legittima l'idea che gli ebrei o Israele debbano essere eliminati».

- Che cosa dovrebbe fare Israele per combattere l'antisemitismo?
  «Ogni popolo, nel mondo moderno, per essere rispettato, per potersi autogovernare e difendere ha bisogno di un proprio Stato. Per la prima volta dopo millenni, gli ebrei hanno un proprio Stato che garantisce quella difesa che non hanno mai avuto quando sono stati perseguitati nel mondo cristiano e islamico nel corso dei secoli. Naturalmente Israele, come patria degli ebrei, è anche l'oggetto di molti attacchi antisemiti. Ed è questo antisemitismo e non le scelte politiche di Israele, che certo si possono criticare liberamente, che costituisce la radice del desiderio di eliminare Israele».

- Perché l'Europa, nonostante la Shoah, è il continente oggi più affetto dall'antisemitismo?
  «L'antisemitismo non è mai svanito dall'Europa. Le statistiche mostrano che un numero enorme di europei crede nelle nozioni antisemite più assurde e classiche sugli ebrei e Israele, compreso che minuscole cricche di ebrei in Europa hanno troppo potere nel mondo degli affari e che Israele sta conducendo una ?guerra di sterminio? contro i palestinesi, il che - per quanto si possa essere in disaccordo con le politiche d'Israele - altro non è che una fantasia antisemita».

- È possibile guarire questa malattia? Uccidere The Devil that never Dies?
  «Il diavolo non è destinato a scomparire presto: è ben radicato nel mondo arabo e islamico, è diffuso in Occidente e acquista spazio altrove. Prolifera sui media digitali ed è in continua crescita, anche perché le diverse correnti di antisemitismo si rafforzano reciprocamente come mai in precedenza. Non c'è dubbio che il conflitto mediorientale lo alimenti, ma non c'è neppure dubbio sul fatto che i vecchi pregiudizi antisemiti abbiano disegnato le linee interpretative con cui molta gente si figura Israele e gli ebrei in generale».

- Questa ondata di nuovo antisemitismo potrebbe portare a un nuovo genocidio?
  «L'antisemitismo odierno è senza dubbio potenzialmente genocida. Certo, molti degli antisemiti, specialmente in Occidente, non mirano, quantomeno non apertamente, a massacrare gli ebrei, ma molti altri, in particolare nel mondo arabo e islamico invece sì, e lo ripetono quasi abitudinariamente. In realtà i leader religiosi e politici arabi e islamici, come anche la gente comune, invitano di continuo a uccidere gli ebrei, più di quanto non l'abbiano mai fatto i Nazisti. Ciò che fanno, i loro scopi politici- dalla corsa iraniana al nucleare all'esplicito impegno di Hamas a distruggere Israele - indicano chiaramente che, se acquisissero i mezzi per compiere un genocidio, la probabilità che li utilizzino è del tutto reale».

(il Giornale, 26 gennaio 2014)


Leica Freedom Train: la storia di Ernst Leitz e dei treni della salvezza

Nella Germania delle persecuzioni razziali, non ci fu solo Oskar Schindler ad occuparsi della sorte degli ebrei. Ernst Leitz II e sua figlia Elsie Kuehn-Leitz salvarono centinaia di persone dalle persecuzioni naziste. L'industriale era il produttore delle mitica macchina fotografica Leica ma questa storia è poco conosciuta.

  
Il Leica Freedom Train ha rappresentato il tentativo di Ernst Leitz II e di sua figlia Elsie Kuehn-Leitz di aiutare centinaia di ebrei tedeschi ad abbandonare la Germania nazista, a pochi mesi dall'ascesa al potere di Adolf Hitler, nel 1933.
Quando Hitler divenne Cancelliere, Ernst Leitz II, figlio del fondatore delle Optische Werke Ernst Leitz, iniziò a ricevere strazianti lettere e telefonate da parte dei suoi collaboratori ebrei che gli chiedevano aiuto per sé e per le proprie famiglie.
Fu a questo punto che Leitz, di famiglia non ebrea e quindi non soggetta alle Leggi di Norimberga, decise di mettere in atto un progetto segreto, il Leica Freedom Train, per salvare quanti più ebrei possibile dalle persecuzioni naziste. Il piano sembrava abbastanza semplice ma, se fosse stato scoperto, avrebbe potuto portare a conseguenze drammatiche per tutte le persone coinvolte. Leitz aiutò numerosi ebrei a lasciare il Paese grazie ad una motivazione apparentemente semplice: un trasferimento all'estero per motivi di lavoro. I dipendenti della sua azienda, le loro famiglie e talvolta anche i loro amici furono infatti "assegnati" da Leitz ai reparti vendite, dislocati principalmente negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra e Hong Kong. Gli sforzi di Leitz si intensificarono in particolar modo dopo la Kristallnacht - La Notte dei Cristalli - nel novembre del 1938, durante la quale molti ebrei furono uccisi, mentre in tutta la Germania i loro edifici, i negozi e le sinagoghe furono saccheggiate e date alla fiamme.
Oltre a pagare tutti i costi dei trasferimenti, Leitz prima della partenza fece dono a ciascun dipendente di una macchina fotografica Leica che, in caso di bisogno, avrebbero potuto rivendere per avere contanti. Giunti a New York, i rifugiati furono accolti negli uffici e nello showroom Leitz sulla 5th Avenue, a Manhattan, dove ricevettero aiuto per trovare un posto di lavoro, una casa e tutto ciò di cui avessero bisogno per iniziare la loro nuova vita. A quelli che incontrarono delle difficoltà nel trovare un lavoro venne offerto un assegno di sussistenza. Tra tutte queste persone, molti divennero progettisti, tecnici di riparazione, addetti alle vendite, addetti marketing e persino scrittori di libri di fotografia.
Il Leica Freedom Train viaggiò per tutto il 1938 fino ai primi mesi del 1939, trasportando ogni settimana gruppi di rifugiati in tutto il mondo. Fu soltanto con la l'invasione della Polonia da parte delle armate tedesche il 1 settembre 1939 che i confini del Paese furono ufficialmente chiusi e Leitz dovette rinunciare al suo lodevole progetto.
L'intera vicenda non sarebbe mai venuta alla luce, se non fosse stato per la ricerca condotta da un rabbino nato in California e residente in Inghilterra. Scritto da Frank Dabba Smith e pubblicato nel 2002 dalla American Photographic Historical Society, "The Greatest Invention of the Leitz Family: The Leica Freedom Train" descrive dettagliatamente gli sforzi compiuti dalla famiglia Leitz per contrastare una tra le più grandi tragedie della storia. Quando l'Anti-Defamation League premiò postumo Ernst Leitz II con la Courage to Care Award nel 2007, il direttore di ADL Abraham Foxman disse: "Rischiando in maniera considerevole, e in spregio della politica nazista, Ernst Leitz intraprese azioni coraggiose per sottrarre dal pericolo i suoi dipendenti ebrei e altre persone. Se solo ci fossero stati più Oskar Schindler, più Ernst Leitz, sarebbero morti meno ebrei."
Anche se non c'è modo di sapere con precisione quante persone Ernst Leitz riuscì a salvare, si conoscono i rischi che ha corso per se stesso e per la propria famiglia.
La storia di questo nuovo Schindler è emersa solo qualche anno fa, l'industriale tedesco non parlò mai del suo impegno, nemmeno con i familiari o quando fu accusato di collaborazionismo. Fu il figlio di Leitz, Günther, a rompere il silenzio dichiarando in un'intervista: "Mio padre ha fatto quello che ha fatto perché si sentiva responsabile per i suoi lavoratori, per le loro famiglie e per i nostri vicini a Wetzlar."

(daringtodo, 26 gennaio 2014)


1944, gli ebrei in Puglia sognando la Palestina

di Vito Antonio Leuzzi

«L'evento certamente più notevole fu la fondazione di una comunità israelitica a Bari, la prima nella storia recente di questa città, dove la presenza di ebrei era assai scarsa. Già alla fine del 1943 venne ricostruito un consiglio provvisorio della comunità». Così lo storico berlinese Klaus Voigt, nel volume Il rifugio precario (1993) ricostruiva le drammatiche vicende degli ebrei che riuscirono a trovarono accoglienza nel capoluogo pugliese e nel resto della regione in un dopoguerra anticipato rispetto al resto del Paese.
  All'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 gli ebrei liberati dai campi di internamento fascisti, disseminati nel Meridione, si diressero verso una regione che dalla fine di settembre, liberata dai tedeschi, si trovava sotto il controllo militare degli alleati anglo-americani. In una situazione per certi versi unica nel contesto europeo iniziarono infatti ad affluire a Bari, anche dall'altra sponda dell'Adriatico, ebrei jugoslavi e di diverse altre nazionalità, in fuga dal terrore nazista che dilagava nella penisola balcanica. Gli alleati allestirono alla periferia di Bari, nella frazione di Carbonara, a Torre Tresca, un grande campo profughi, avvalendosi delle baracche di un ex campo di concentramento militare per prigionieri di guerra. Nella struttura del capoluogo pugliese, sostiene ancora Voigt, «i profughi venivano registrati, liberati dai parassiti, visitati da medici, curati quando era necessario e riforniti di abiti. A Bari oltre al reparto per la quarantena, vi era una zona del campo destinata ad accogliere i profughi per un soggiorno più lungo».
  Il campo di Torre Tresca definito, «Transit Camp n. 1», non fu sufficiente a contenere il grande afflusso di rifugiati. Furono requisiti alcuni appartamenti nel centro della città e molti ebrei trovarono occupazione nelle diverse strutture di servizio alleate, come interpreti, traduttori stenodattilografi e in attività artigianali e commerciali. Con il sostegno dell'Unnra (organizzazione delle Nazioni Unite) si iniziarono ad allestire altri campi profughi a Gravina-Altamura e nell'area Salentina, Santa Maria al Bagno, Santa Maria di Leuca, Santa Cesarea e Tricase.
  La presenza ebraica si consolidò con l'arrivo nel gennaio '44 di una unità della Brigata ebraica-palestinese che iniziò a svolgere un'opera assistenziale per i profughi, considerate le loro condizioni di vita precarie dopo anni di persecuzione e di terrore. In questo contesto si costituì inizialmente «un centro ebraico di accoglienza» collocato nel quartiere murattiano, in uno stabile di via Garruba 63, costituito da due uffici che rispondeva alle richieste di aiuto. Nel corso del 1944 sorse «la Comunità israelitica» con la messa a disposizione dell'ammezzato e l'intero primo piano dell'edificio collocato ad angolo tra via Garruba e via Quintino Sella che includeva venti vani. Un ruolo rilevante fu svolto dalla Comunità israelitica di Bari nelle vicende relative alla lotta antinazista in Italia e nella penisola balcanica. Diversi ebrei italiani e di diverse nazionalità, ospitati prima nel campo Transit n. 1 di Bari e poi in quello di Gravina, si arruolarono nelle brigate d'Oltremare, a sostegno della liberazione iugoslava.
  La funzione del «nuovo centro di aggregazione ebraica» del capoluogo pugliese è indicato, anche, dallo storico statunitense John A. Davis nel volume Gli ebrei di San Nicandro (2010) che ne sottolinea la rilevanza, soffermandosi sulla figura straordinaria di Enzo Sereni. Quest'ultimo si trasferì dal Cairo a Bari nei primi mesi del 1944 per pianificare operazioni segrete dietro le linee nemiche e per stabilire contatti con gli internati ebrei dei campi fascisti e nazisti dell'Italia del Nord (catturato dai nazisti fu eliminato a Dachau il 18 novembre 1944). Sereni si recò in tutti campi profughi del Salento e si spinse sino a Sannicandro Garganico, dove si era costituita spontaneamente attorno a un capo contadino, Donato Manduzio, un consistente nucleo di adepti dell'ebraismo. Sereni nella sua breve permanenza a Bari consolidò, tra l'altro, il programma per favorire l'emigrazione nella «Terra promessa».
  L'attività della Comunità di via Garruba 63 fu molto intensa tra il 1945 ed il 1948 con l'arrivo consistente di altri sopravvissuti dai campi di annientamento nazista. Alla fine del 1946 nella frazione di Palese si costituì ad opera dell'Iro (Organizzazione internazionale dei rifugiati) un altro campo profughi dopo la chiusura delle strutture salentine.
  In un articolo pubblicato nel 1947 dalla «Gazzetta», il giornalista Arnaldo Di Nardi scriveva: «Rade baracche in lamiera di ferro si stendono lungo il mare. Naturalmente sognano tutti la Palestina. A Palese il mare i profughi ce l'hanno a portata delle loro baracche, ne ascoltano tranquillo il respiro, essi amano cullare il loro sogno che è quello di un vecchio trabaccolo o di una vecchia carboniera clandestina, veleggiante verso la Palestina col carico dei loro corpi esausti e dei loro dolori».

(Gazzetta del Mezzogiorno, 26 gennaio 2014)


Campidoglio: "Cancellate le scritte antisemite in piazza Sempione"

ROMA, 24 gen. - Nel primo pomeriggio di oggi le squadre della Sezione P.I.C.S. decoro della Polizia Locale di Roma Capitale, insieme al personale dell'AMA, hanno effettuato l'intervento di cancellazione delle scritte antisemite apparse sull'edificio sede del Municipio III di Piazza Sempione.
Lo comunica, in una nota, il Campidoglio.

(Roma Daily News, 25 gennaio 2014)


L'Università di Israele apre agli studenti italiani

Chi vorrà studiare in Israele, da quest'anno potrà sostenere l'esame d'accesso all'università anche in lingua italiana facendo la prova direttamente in Italia.
Si tratta certo di una buona notizia per gli studenti italiani che pensano di continuare i loro studi all'estero, magari proprio in Israele, paese che vanta alcune delle migliori università del mondo. La prova dello psicometrico - l'esame per l'ammissione all'università - si terrà a Roma e Milano il prossimo 10 aprile. I risultati dell'esame sono validi per 7 anni e sono previste delle lezioni di preparazione on line. Gli interessati devono iscriversi entro il 30 gennaio.
L'Istituto Weizmann a Rehovot - Video

(Buongiorno Alghero.it, 25 gennaio 2014)



Roma - Tre teste di maiale recapitate a "obiettivi israeliani"

I pacchi sono arrivati nelle ultime ore alla sinagoga della capitale, all'ambasciata di Israele e al museo di piazza Sant'Egidio dove si svolge una mostra sulla cultura ebraica. Il gesto provocatorio arriva poche giorni prima della celebrazione della Giornata della Memoria.

     
Tre pacchi contenenti una testa di maiale sono stati recapitati nelle ultime ore a Roma: davanti alla Sinagoga, all'ambasciata di Israele e al museo di piazza Sant'Egidio, dove si svolge una mostra sulla cultura ebraica. Ma il messaggio è chiaro: offendere la comunità ebraica con un gesto provocatorio, a due giorni dalle celebrazioni per la Giornata della Memoria. E nel giorno considerato dalla comunità il più sacro della settimana, lo Shabbath. Inoltre sui muri di un quartiere di Roma nord sono apparse stamani una svastica e scritte antisemite come "Olocausto menzogna". La Procura di Roma è in attesa di una relazione da parte della Digos sull'accaduto sulla cui base verrà aperto un fascicolo d'inchiesta.
In queste ore gli investigatori stanno attivando una serie di indagini per ripercorrere a ritroso il viaggio del pacco e raggiungerne il punto di partenza, attraverso la collaborazione della stessa società privata di spedizione. Lo scopo è individuare gli autori del gesto, che probabilmente hanno agito in forma anonima cercando di eludere il tentativo di identificazione. Solo lunedì prossimo si svolgeranno a Roma, come tutti gli anni, le celebrazioni sulla Shoah con una cerimonia in Sinagoga.
L'episodio ha subito scatenato la dura reazione del sindaco capitolino, Ignazio Marino, per il quale si tratta di "un affronto. Condanno - prosegue - con fermezza questo gesto inqualificabile nei confronti della comunità ebraica di Roma. Chi la offende fa un oltraggio a tutta la città. Sono vicino al presidente Riccardo Pacifici, al rabbino capo Riccardo Di Segni e ha tutti i componenti della comunità".

(il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2014)


L'egiziano Salah non stringe la mano ai giocatori ebrei

di Enrico Franceschini

Si è sempre rifiutato di stringere la mano a calciatori israeliani. La stringerà al proprietario e ai dirigenti della sua nuova squadra, che sono ebrei? E loro come faranno a dare il benvenuto a un giocatore sospettato di antisemitismo? Sono i dilemmi che accompagnano il trasferimento al Chelsea di Mohamed Salah, 2lenne attaccante egiziano del Basilea. La stella del club svizzero è in procinto di entrare a far parte del team di Josè Mourinho non appena avrà superato gli esami medici a Londra. Ma il Daily Mail ricorda due episodi controversi che potrebbero turbare il suo passaggio ai Blues. L'anno scorso, quando il Basilea affrontò il Maccabi Tel Aviv nelle qualificazioni di Champions League, per due volte Salah evitò di stringere la mano agli avversari come è consuetudine prima della partita. All'andata, in Svizzera, lasciò le scarpette ai bordi del campo e tornò a mettersele mentre i suoi compagni stringevano la mano ai giocatori del Maccabi. Al ritorno, in Israele, salutò gli avversari con un "pugno-contro-pugno", interpretabile come un gesto giovanile ma anche come un rifiuto di stringere la mano di un israeliano. Roman Abramovich, il petroliere padrone del Chelsea, è un ebreo russo e ha stretti rapporti con Israele, che visita spesso anche per iniziative di beneficenza. Sono di origine ebraica pure il presidente della società, Bruce Buck, e il direttore sportivo, Eugene Tenenbaum. In passato Salah, che ha giocato 27 volte con la nazionale del suo paese segnando 17 gol, ha negato ogni accusa di antisemitismo, dicendo che si sentiva costretto a compiacere certe frange estremiste della comunità egiziana di Basilea. Difficilmente potrebbe usare una giustificazione analoga in Inghilterra, dove la Football Association e le leggi civili britanniche puniscono severamente qualsiasi tipo di discriminazione razziale.

(la Repubblica, 25 gennaio 2014)


Hamas e Israele, è scontro anche su Twitter

Il sito di microblogging ha sospeso una serie di account riconducibili all'ala militare del movimento palestinese. Per la soddisfazione di Gerusalemme e la rabbia dei sostenitori dell'organizzazione. Ma la guerra digitale non si fermerà.

di Raffaele Mastrolonardo

Il colpo più grosso, questa volta, Hamas non l'ha ricevuto da Israele ma da Twitter. E i danni, seppur virtuali, non sono da poco. Nel giro di un paio di settimane due account riconducibili ad AlQassam, il braccio militare dell'organizzazione palestinese, sono stati sospesi. Risultato: il movimento, da tempo impegnato in una battaglia di propaganda online con l'esercito israeliano si ritrova con le armi digitali spuntate. Come ha dimostrato il conflitto tra le due parti nel novembre del 2012, infatti, sempre di più i social network sono parte integrante degli sforzi per conquistare il favore delle opinioni pubbliche interne e internazionali. E restarne fuori, dicono gli esperti, può essere un problema. "Quello israelo-palestinese è uno dei conflitti in cui più si è visto un uso sapiente del mezzo da parte dei contendenti che lottano anche online per definire la cornice interpretativa degli eventi e accreditarsi entrambi come vittime", spiega Augusto Valeriani, ricercatore all'Università di Bologna e autore del libro Twitter factor. "Dunque, essere tagliati da questo campo di battaglia e di costruzione della rappresentazione potrebbe essere una difficoltà in più".

SOSPENSIONI DIGITALi - Il primo account legato ad Hamas a finire sotto l'accetta di Twitter è stato, il 9 gennaio scorso, @AlQassamBrigade. Stessa sorte è toccata, il 14 gennaio, a @QassamBrigade, creato dopo la sospensione del primo. Come ricorda il New York Times identico destino hanno subito in questi giorni altri due account dell'organizzazione che, da parte sua, sostiene di non avere violato i termini di servizio della piattaforma e ritiene che il provvedimento sia la conferma dei "successi ottenuti nel riflettere al mondo la vera e brillante immagine della resistenza palestinese". Di parere opposto, ovviamente, e forze armate israeliane che ricordando come Hamas sia considerata dagli Stati Uniti un'organizzazione terroristica e dunque soggetta al divieto di "ricevere servizi che ricadono sotto la legislazione americana". Quanto a Twitter, non ha commentato i fatti specifici ma, come riporta un blog del New York Times, ha rimandato alla sue regole che prevedono alcuni confini di utilizzo del mezzo il cui travalicamento può portare alla sospensione o alla cancellazione di un utente. La decisione segue analoghe prese di posizione di Facebook che, a quanto dicono le stesse brigate AlQassam, avrebbe cancellato la pagina dell'organizzazione nel 2010 e di YouTube.

LA SOCIAL GUERRA - Il provvedimento del sito dei cinguettii arriva in un momento in cui il terreno digitale appare sempre più cruciale dal punto di vista della propaganda nel conflitto israelo-palestinese. Nel novembre 2012, nel mezzo dell'offensiva Pilastro di sicurezza lanciata da Israele su Gaza, gli scambi di minacce via Twitter tra i due contendenti raggiunsero livelli senza precedenti. L'esercito di Tel Aviv, per esempio, avvertì i militanti di Hamas di non farsi vedere in giro. La risposta delle brigate AlQassam non si fece attendere: "Le nostre mani benedette - si leggeva in un messaggino - raggiungeranno i vostri soldati e i vostri leader ovunque si trovino (avete spalancato le porte dell'inferno)". Da allora Israele ha continuato ad espandere la propria potenza digitale. Oggi conta oltre 230 mila follower su Twitter, più di 385 mila "mi piace" su Facebook e una presenza assidua su tutte le maggiori piattaforme, da YouTube a Google Plus, a Instagram e Flickr, spesso in più lingue. Secondo Avital Leibovich, il boss della comunicazione "social" dei militari israeliani, l'esercito dello stato ebraico è in grado di raggiungere 95 milioni di persone online. Quanto a numeri, la presenza "ufficiale" di Hamas è sempre stata inferiore a quella del nemico. Prima della sospensione, l'account @AlQassamBrigade contava 40 mila seguaci. Nonostante la sproporzione dei mezzi, il movimento riusciva egualmente a farsi sentire. Rilanciando video delle proprie azioni e condividendo immagini anche molto crude sulle conseguenze dei bombardamenti nemici, era in grado di diffondere il proprio messaggio. All'epoca dell'operazione Pilastro di difesa, per esempio, l'hashtag lanciato da Hamas, #GazaUnderAttack ad un certo punto superava in popolarità quello israeliano, #PillarOfDefence, in un rapporto di 100 a 1.

(SkyTG24, 25 gennaio 2014)


L'Unesco boicotta l'esposizione su Israele

Su richiesta dei paesi arabi

di Aurora Bergamini

PARIGI - Scandalo, boicottaggio, insulto al popolo ebraico: è polemica sulla decisione di Irina Bokova, la direttrice generale dell'Unesco, di annullare in extremis un'esposizione su Israele. L'inaugurazione di "Les gens, le Livre, la Terre", "un'analisi sulla relazione che dura da 3.500 anni del popolo ebraico con la Terra Santa" - organizzata in collaborazione con il Centro Simon-Wiesenthal - era prevista lunedì scorso nella sede parigina dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, ma è stata rinviata a giugno in seguito alla protesta di 22 membri del gruppo dei Paesi arabi dell'Unesco. Il motivo, secondo la Bokova, è il timore che l'esposizione possa avere "un impatto potenziale sul processo di pace e sui negoziati in corso in Medio Oriente".
L'episodio interviene in un periodo in cui le relazioni tra l'Unesco e Israele sono particolarmente tese, dopo l'ammissione, nell'ottobre del 2011, della Palestina come Stato membro dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Per protesta, Washington e Israele avevano deciso di interrompere i propri contributi finanziari. In seguito, l'Unesco sospese il diritto di voto dei due Stati. Non si sono fatte attendere le critiche del premier israeliano, Benyamin Netanyahu, per il quale "la verità non può mai nuocere", e del dipartimento di Stato americano che si è detto "profondamente deluso". Mentre l'ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Samantha Powers, ha parlato di "mossa sbagliata" della Bokova che potrebbe essere "percepita come un boicottaggio e quindi come una presa di posizione politica". In un comunicato, l'associazione francese contro l'antisemitismo ha denunciato "la decisione scandalosa" dell'Unesco e ha chiesto all'Organizzazione di "non cedere alle pressioni esercitate dal Gruppo dei paesi arabi, evidentemente allergici alla verità storica". Se la Bokova non cambierà idea il Bnvca chiederà "a tutte le comunità ebraiche, le istituzioni ebraiche e gli amici di Israele, di non partecipare alla cerimonia in occasione dell'anniversario della liberazione dei campi nazisti organizzata dall'Unesco il prossimo 27 gennaio".
"Il tema dell'esposizione mostra chiaramente che la presenza ebraica in Terra Santa è stata costante - spiega Robert Wistrich, dell'Università ebraica di Gerusalemme, che ha curato la mostra per il Centro Simon-Wiesenthal - L'annullamento è uno schiaffo, un insulto al popolo ebraico". Mentre secondo un ambasciatore arabo presso l'Unesco, intervistato dal quotidiano Le Monde, "l'esposizione nega la presenza araba: è una revisione della storia". In risposta alla polemica la Bokova ha fatto notare, in una lettera, l'impegno dell'Unesco "nella lotta contro il razzismo, l'antisemitismo, e tutte le forme di negazionismo".

(ANSAmed, 24 gennaio 2014)


Riaffiorano in Israele lettere e foto sparite di Heinrich Himmler

Il gerarca nazista responsabile della morte milioni di innocenti

 
ROMA - Sessantanove anni dopo il suicidio di Heinrich Himmler ricompaiono in Israele lettere e fotografie appartenenti a uno dei più sanguinari gerarchi nazisti, fidato collaboratore di Hitler, organizzatore senza scrupoli dell'Olocausto, capo delle SS, della Gestapo e della polizia, responsabile dei campi di concentramento e della morte di milioni di innocenti.
L'esclusiva è del quotidiano tedesco di Welt che scrive che questi documenti, scomparsi da decenni e che il pubblico non ha ancora mai potuto vedere, sono costituiti da centinaia di lettere private, appunti, fotografie della vita privata di un uomo che ha giocato un ruolo fondamentale nello sterminio degli ebrei.
La documentazione, di cui Die Welt possiede una copia, è rimasta per tutto questo tempo prima nelle mani di un ebreo israeliano, poi in un archivio privato a Tel Aviv, infine nei forzieri di una banca.
Fra le lettere vi sono tutte quelle scritte da Himmler alla moglie Marga dal 1927 fino a cinque settimane prima del suo suicidio nel 1945, ma anche il lascito al figlio adottivo, scatti inediti e altri appunti fra i quali anche ricette culinarie.
Il presidente dell'archivio federale tedesco Michael Hollmann ha confermato a Die Welt l'autenticità dei documenti.

(TMNews, 24 gennaio 2014)


Sciopero per il sindaco a Nazareth

In Israele la citta' di Nazareth e' stata paralizzata oggi da uno sciopero generale e da una massiccia manifestazione di protesta mentre da mesi si trascina un aspro braccio ferro per la designazione del nuovo sindaco. Lo scorso novembre il candidato comunista Ramez Jeraisy (già sindaco della città per un lungo periodo) e' stato sconfitto con uno scarto di 22 voti dal suo ex vice Ali Salem. Dopo un ricorso e il riconteggio delle schede, Jeraisy é risultato vincitore per pochi voti.

(ANSA, 24 gennaio 2014)


Progetto "PediARTria": studenti universitari israeliani ospiti a Savona

SAVONA - Domenica 26 Gennaio il progetto PediARTria, promosso dal reparto pediatrico dell'ospedale San Paolo, acquisisce un ulteriore crescita con l'arrivo di studenti (accompagnati dal loro professore) della Facoltà d'Arte dell'Università Oranim del nord d'Israele. Quattro studenti e un professore della Facoltà israeliana saranno "ospiti" del Reparto per una settimana: lavoreranno con l'artista attuale (Daniele' Sulevic, già collaboratrice di Lele Luzzati), con i clown e con gli educatori e soprattutto con i bambini ricoverati nella Pediatria, con l'obiettivo di realizzare un interscambio culturale artistico volto ad esportare e diffondere tale metodo di lavoro anche fuori dai confini nazionali.
Durante il periodo di permanenza a Savona gli ospiti di oltreconfine avranno anche modo di apprezzare le risorse artistiche del nostro territorio: la lavorazione del vetro ad Altare, l'arte della ceramica di Albissola, i musei e il Duomo di Savona, la Fortezza del Priamar, i musei di Genova e altro. Gli studenti Israeliani, di fede ebraica e musulmana, saranno ospitati dalla Diocesi di Savona presso il Seminario Vescovile, segno di pace e integrazione tra i popoli.
Il progetto è il frutto di una stretta collaborazione tra la Pediatria dell'Ospedale S.Paolo di Savona, l'Oranim College, l'Ambasciata d'Israele a Roma, la Comunità Ebraica di Genova, la Diocesi di Savona, il Comune di Savona e Altare, l'Associazione Cresci-Onlus, il Movimento Arte del XXI Secolo.
Il progetto PediARTria ha avuto il suo esordio nel settembre 2011 e consiste nella realizzazione di una mostra d'arte permanente e itinerante presso i locali della Pediatria di Savona. Le mostre individuali durano dai 2 ai 3 mesi; nel periodo riservato alle loro opere gli artisti coinvolti gestiscono, presso i locali della pediatria, un laboratorio artistico, a cadenza settimanale, con i piccoli pazienti ricoverati.
Questa esperienza ha riscosso un grande successo e i commenti dei bambini, dei genitori e degli stessi artisti sono stati finora molto positivi. Si pensi che l'agenda dell'iniziativa risulta completa già fino al luglio 2015. Da non dimenticare che il progetto PediARTria fa parte di un progetto più globale di accoglienza e umanizzazione dell'intero Reparto, sempre attento alle esigenze dei piccoli ricoverati e delle loro famiglie.

(IVG.it, 24 gennaio 2014)


Così mio padre aiutò gli ebrei di Rodi

Filippo Ricciardi racconta la storia del padre Enrico che fornì documenti falsi per permettere la fuga agli ebrei dell'isola greca. L'uomo rivelò ai figli questa storia solo alla fine della sua vita.

di Filippo Ricciardi

Enrico Ricciardi
Vorrei raccontarvi la storia di mio padre Enrico Ricciardi (1925-2011). Condensare la vita di quest'uomo in poche righe è compito arduo, anche se volessi solo fare un sunto per inquadrare la persona. Filantropo, marito devoto e padre premuroso, gran lavoratore, amante della musica, compositore, direttore di diversi gruppi coristi, apprezzato dirigente di una piccola società di marketing e pubblicità nella Milano degli anni '60-'80. Sue le idee per alcune campagne pubblicitarie delle quali ancor oggi si sentono gli slogan.
Papà nasce a Mersin, in Turchia, figlio di Edmondo, di origine italiana nato a Rodi e di Madeleine Sultan, originaria di una famiglia libanese di religione cristiana.
   È ancora piccolo quando la famiglia si trasferisce a Rodi, isola facente parte del possedimento italiano del Dodecanneso. Mio nonno era un apprezzato e stimato funzionario di banca, un altro personaggio che meriterebbe un capitolo a parte.
   Incomincia a frequentare le scuole dei Fratelli delle Scuole Cristiane (i Lassaliani) e riceve un'educazione improntata all'ecumenismo. In famiglia l'ambiente è sereno; ha cinque tra fratelli e sorelle, i sentimenti sono solidi e l'isola in quegli anni, tra il 1930 e il 1938, è un piccolo paradiso in terra. L'antichissima comunità Ebraica di Rodi convive con quella Cristiana Cattolica, con i Greci Ortodossi, con la comunità Musulmana in una sorta di vero ecumenismo. Dai racconti di mio padre, ma anche da moltissime testimonianze a me giunte, emerge un ambiente permeato di solidarietà, rispetto, amore fraterno. Ogni comunità era invitata alle feste di ciascun gruppo religioso. La famiglia di mio padre era regolarmente alle funzioni religiose e alle feste familiari in occasione delle più importanti ricorrenze ebraiche, ortodosse e musulmane e viceversa, con una naturalezza oggi difficilmente comprensibile e quasi accostabile a un'utopia. A scuola, senza distinzioni, mio padre ha compagni di classe ebrei, ortodossi, e musulmani. I programmi di istruzione prevedevano il rispetto per ciascuna comunità!
   In questo ambiente fertile, incoraggiato dalla solida educazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, mio padre passa (parole sue) i "più begli anni della mia vita".
   Rodi, baciata dal sole, isola ricca di storia e arte, a un certo punto piomba nel buio della Guerra! Non è certo questa la sede per ripercorrere tutte le vicende belliche sull'isola; mi limito a dire che, a un certo punto, le cose incominciano a peggiorare vistosamente. Intanto il fratello maggiore di mio padre Antonio Ricciardi, classe 1919, (ancora in vita!) deve partire poiché ufficiale, e seguirà un percorso militare avventuroso, salvandosi più volte anche in modo rocambolesco.
   Arriva l'8 Settembre 1943. Da questo momento in poi, prima lentamente, poi sempre più velocemente, le cose precipitano. I Fratelli delle Scuole Cristiane intuiscono, forse prima di altri, che si avvicina la catastrofe, ma tra la popolazione non c'è ancora la consapevolezza di ciò che sta per capitare. In quel periodo il Comando dei Carabinieri sull'isola era presieduto dal Capitano Carlo Pellegrino (1896-1990) che aveva anche funzioni di Questore.
   Tra la fine del '43 e l'inizio dell'anno successivo, iniziano le deportazioni dei soldati italiani nei campi di prigionia, e qui si scrive un'altra pagina poco conosciuta. Ben 14.000 soldati italiani perirono durante i trasferimenti in mare, silurati dagli inglesi, sia pur ignari che quelle carrette di mare fossero stipate di soldati prigionieri. Ma i tedeschi puntavano sul fatto che gli inglesi avrebbero proprio preso di mira le navi in quel tratto di mare.
   I Fratelli delle Scuole Cristiane, dirette in quegli anni da Fratel Angelino Guiot (1884-1963), fanno la conta dei ragazzi in età di leva che rischiano la deportazione, tra i quali c'è mio padre Enrico. In tutta fretta, con la mediazione di Fratel Angelino, molti di loro vengono arruolati nei Carabinieri con funzioni di Polizia Militare. In sostanza, essendo arruolati con i compiti di Ordine Pubblico, i tedeschi non possono deportarli. Intanto, complice un severo blocco navale imposto dagli Alleati, Rodi vive il periodo più brutto della sua storia recente: la fame! La gente moriva letteralmente di fame e i morti non si contavano, spesso si nascondevano per non perdere la scarsa razione quotidiana assegnata a ciascun nucleo familiare. Papà mi raccontava che, di notte, mio nonno Edmondo arrivava vicino alle inferriate della zona militare e mio padre gli passava la sua razione quotidiana da portare a casa, rinunciando lui stesso a mangiare. Ho visto molte volte le foto di mio nonno e mio padre irriconoscibili, deperiti e con lo sguardo spento nei loro occhi.
   Poi papà viene trasferito in Questura all'ufficio dei passaporti. La situazione nel frattempo si stava aggravando. Siamo nelle primissime settimane del gennaio 1944. Le voci di ciò che stava succedendo agli Ebrei d'Europa arrivavano, sia pur smorzate, anche sull'isola. Qualcuno se ne vuole andare di nascosto prima che sia tardi. Tuttavia la maggior parte della comunità ebraica di Rodi, nonostante qualcuno incominci a raccontare ciò che sta capitando fuori dall'isola, si sente ancora tranquilla, anche perché rassicurati dal Maggiore Gen. Ulrich Kleemann arrivato sull'isola nel giugno del '43 (amico personale di Adolf Hitler) che rispetto al suo successore era ancora un moderato…
   D'ora in poi la storia è ricucita grazie alle testimonianze e a ciò che è stato trovato in seguito in rete perché, purtroppo, le persone coinvolte non sono più qui a potermi arricchire di dettagli. Sta di fatto che mio padre aveva a disposizione un buon numero di matrici della carta di identità italiana. All'inizio, senza pensarci e senza avvisare il suo superiore, iniziò a scrivere nomi e cognomi e date di nascita, modificando quelli originali di suoi cari amici Ebrei e dei loro familiari. Mi disse che, di notte, organizzavano delle barche sulle quali facevano salire quei poveretti che, con un fagotto di poche cose e soprattutto con la carta di identità rifatta, salpavano per la Turchia o per qualche isola non occupata. La cosa prese spessore perché il Capitano - nonché Questore - Carlo Pellegrino un giorno chiamò mio padre nel suo ufficio e gli disse: "Carabiniere Ricciardi, so cosa sta facendo, io non so nulla ma Dio vede!" Di fatto so che nella questione delle carte di identità era coinvolto Fratel Angelino Guiot, e anche il Capitano Pellegrino. È probabile che l'idea di queste fughe mirate con i "connotati" rifatti, venne a più persone contemporaneamente. È chiaro che se presi dai tedeschi sarebbero finiti sotto corte marziale e fucilati. Mio padre mi raccontò che si ricordava ancora bene i volti di chi partiva… Questi episodi erano periodici, si falsificavano le carte e si preparava la fuga nei momenti meno pericolosi. Alcune decine di persone riuscirono a fuggire, mio padre non ricordava il numero esatto.
   La situazione sull'isola peggiorò con l'arrivo del Gen. Wagener nel settembre del 1944, che si sarebbe dimostrato in seguito un vero aguzzino, sia per i soldati italiani che si erano arresi (ed erano stati internati in tre campi distinti sull'isola) sia per la popolazione ebraica.
   Wagener applicò alla lettera le disposzioni del III Reich sull'annientamento della razza ebraica. Arrivò anche il tremendo 3 settembre del '44 quando anche i ragazzi ebrei delle scuole Lassalliane furono ammassati e fatti salire sui piroscafi. A nulla valsero le preghiere di Fratel Angelino Guiot, che pregò Wagener e gli altri ufficiali di prendere lui al posto dei suoi allievi. Guoit parlava perfettamente il tedesco e a nulla valse il suo gesto, tanto più che Wagener gli puntò la pistola contro.
   Finì così in modo tragico la storia secolare degli Ebrei Safarditi di Rodi: 1800 deportati, solo qualche decina sopravvissuta ai campi e qualche altra decina fuggita prima del disastro.
   Una sera di qualche anno fa mio padre, con le lacrime agli occhi mi raccontò queste vicende, pensando di essere al traguardo della vita. Piangendo mi disse che non si diede mai pace per tutti coloro che non era riuscito a salvare. Cosa poteva fare un giovane di 19 anni più di quello che lui, il Capitano Pellegrino (poi costretto a fuggire braccato dai tedeschi perché soprattutto in lui vedevano colui che aveva aiutato gli Ebrei e i soldati italiani) e i Fratelli Lassaliani avevano fatto per nascondere, aiutare e far fuggire quei poveretti?
   Mi disse anche che avrei dovuto tenere custodita questa vicenda fin che lui fosse stato in vita. Ho mantenuto la promessa, e il giorno che ci ha lasciato, il 19 settembre 2011, un fiume in piena mi ha letteralmente travolto.
   In chiesa, nel paesino nella provincia di Varese dove abitava con mia mamma e mio fratello, c'era tanta gente da formare la coda fuori. Per tutta la vita aveva fatto del bene, anche solo con una parola gentile, con l'impegno nella parrocchia, insegnando a cantare a tutti! Dai bambini dell'asilo che lo chiamavano Nonno Enrico, a noi adulti che lo ammiravamo per il suo portamento "umile e fiero" come disse il parroco quel giorno.
   Ho raccontato i fatti salienti di Rodi durante l'orazione funebre perché era arrivato il momento che la gente che gli aveva voluto bene sapesse! Fuori dalla chiesa si avvicina un signore con i capelli bianchi e mi abbraccia: era il figlio del Capitano Pellegrino che sapeva la storia da suo padre.
   Ho stretto mille mani quel giorno, un caro collega di mio padre mi ha detto: "Quello che hai raccontato non mi sorprende, sapevo che uomo era tuo padre!"
   Quello che mi rimarrà impresso per tutta la vita è che camminando attraverso la navata della chiesa ho visto un sacco di giovani piangere: erano i bambini dell'asilo ai quali qualche anno prima aveva insegnato a cantare. Quel giorno salutavano il nonno Enrico nel suo ultimo viaggio.
   Come soleva dire in greco: Jassas pediamu! (Salute figli miei!) io dico a lui Jassu papà. Sarai per noi sempre un esempio per la tua correttezza, la tua signorilità, il tuo cuore grande così!
   E a voi dico: SHALOM che in qualunque parte del mondo e in qualunque lingua si dica è sempre una speranza per il futuro.

(VareseNews, 24 gennaio 2014)


Nelle scuole israeliane meno arabo

Dall'anno prossimo lo studio "obbligatorio" dell'arabo sarà ridotto di un anno. Ma solo in 37 scuole israeliane l'arabo viene studiato fino alla classe decima.

di Roberto Prinzi

ROMA, 24 gennaio 2014 - A partire dall'anno prossimo non sarà più obbligatorio lo studio della lingua araba nelle classi decima. A renderlo noto è la radio militare israeliana Galei Tzahal. La nuova disposizione è compresa nella riforma della maturità che il governo Netanyahu ha annunciato due settimane fa. Con il nuovo provvedimento solo gli studenti israeliani delle classi settima e nona avranno la "lingua del Dad" come corso obbligatorio (quindi una riduzione da quattro a tre anni).
Il cambiamento è puramente formale in realtà. Il Ministero dell'Istruzione, infatti, non ha mai imposto lo studio dell'arabo dalla classe settima alla decima. Inoltre, le scuole religiose e gli istituti tecnici sono dispensati dal farlo. Anche nell'istruzione statale le cose non vanno diversamente. In molti plessi scolastici gli studenti possono studiare accanto all'inglese il francese e non l'arabo come seconda lingua straniera. Di fatto, pertanto, l'obbligo della lingua araba fino alla classe decima interessa solo 37 scuole in Israele.
La notizia della riduzione dello studio dell'arabo ha fatto infuriare la Commissione pedagogica del Ministero dell'Educazione: "Abbiamo ricevuto la comunicazione all'improvviso e ci è stato chiesto di occuparcene urgentemente. Non c'è stata una riunione organizzata, né una discussione. Al momento non sappiamo ancora se questa decisione sarà applicata o resterà solo una intenzione" ha detto ad Ha'Aratz Alon Fragman, membro della Commissione e professore di studi arabi nel dipartimento di Studi mediorientali all'Università Ben Gurion.
Fragman parla di decisione "problematica". "Bisogna ricordare che noi siamo uno stato bi-nazionale, multilingue e multiculturale. Il 20% dei cittadini sono di madrelingua araba e il 16% di coloro che parlano l'ebraico proviene da paesi arabi e usa ancora l'arabo come prima lingua a casa" ha aggiunto. Fragman ha sottolineato l'importanza dell'arabo anche da un punto di vista sociale. "Incontro studenti che mi raccontano di come l'arabo li abbia avvicinati al proprio padre o alla zia. Prima si vergognavano quando li ascoltavano parlare in arabo, mentre ora li amano e ne vanno fieri. L'arabo è parte del nostro retaggio culturale".
Il Ministero dell'Educazione si è difeso mostrando come negli ultimi anni si sia registrato un aumento delle scuole elementari che hanno scelto di insegnare l'arabo (oggi sono più di 150). Il Ministero sostiene, inoltre, che negli ultimi anni c'è stato un incremento del numero degli studenti che ha scelto di portare all'esame di maturità cinque "unità di studio" dell'arabo.
Secondo il sistema educativo israeliano le materie della maturità sono classificate in cinque "unità di studio" (yechidot limud in ebraico) in base al numero di ore di lezione. Per molte materie la scelta delle unità è libera. Più è alto il numero dell'"unità", maggiore sarà la difficoltà del test a cui sarà sottoposto il maturando. Per ricevere un certificato "pieno" di maturità, lo studente israeliano deve superare almeno una materia di difficoltà 5 e arrivare, sommando le unità di ciascuna materia, a 21.

(Nena News, 24 gennaio 2014)


Agricoltura: l'Italia e la cooperazione con Israele

Convegno sullo sviluppo rurale. L'Italia guida il progetto 'Twinning'

Nel campo dello sviluppo rurale Israele puo' trarre grande vantaggio da una cooperazione con l'Italia. Una cooperazione che gia' esiste grazie alla Politica di vicinato della Ue che prevede progetti di collaborazione in campo agricolo tra l'Europa e Israele.
Nell'ambito di questo piano si e' svolta ieri a Tel Aviv una conferenza internazionale su "L'importanza e il ruolo dello sviluppo rurale nel quadro del sostegno pubblico all'Agricoltura". Del resto, l'Italia e' gia' protagonista di questa cooperazione, visto che ha ottenuto la guida di un progetto speciale, chiamato 'Twinning', della durata di 18 mesi e dedicato al settore dello sviluppo rurale, al quale partecipa anche la Germania.
Nella conferenza - alla quale hanno partecipato il ministro israeliano dell'Agricoltura Yair Shamir e l'ambasciatore d'Italia in Israele, Francesco Maria Talo' - e' stato sottolineato sia da parte israeliana sia dai rappresentanti europei, italiani e tedeschi, il ruolo di una cooperazione che consente a Israele di trarre profitto dall'esperienza sviluppata in campo europeo, in particolare in Italia, nel settore dell'agriturismo.
Il futuro dell'agricoltura, hanno detto Talo' e Shamir, e' legato alla possibilita' di attrarre turismo nelle zone rurali e difendere il paesaggio e la ricchezza culturale del territorio.
Talo', inoltre, ha messo in rilievo a questo fine l'appuntamento dell'Expo Milano 2015 come occasione "straordinaria" per mostrare al mondo le importanti innovazioni tecnologiche israeliano in questo settore.

(ANSAmed, 24 gennaio 2014)


I musulmani cacciarono da Sarajevo sia i serbi, che gli ebrei sefarditi

di Konstantin Kacialin

La comunità ebraica a Sarajevo, prima della guerra multietnica, contava diverse migliaia di persone. Dopo il trattato di pace di Dayton, di ebrei sefarditi ne rimasero solo seicento. Perché una nazione, che per secoli ha vissuto in Bosnia, e che era tornata nella sua seconda patria anche dopo che i nazisti avevano eliminato quasi tutti gli ebrei, fu costretta nel 1996 a lasciare di nuovo Sarajevo? Nel 1992, quando scoppiò la guerra civile, la comunità ebraica, per sua amara esperienza, organizzò un esodo di massa dalla città.

  
Dall'aprile del 1992 al marzo 1994, mille ebrei sefarditi lasciarono Sarajevo. Tra l'altro, di quegli ebrei rimasti nella capitale, settantuno combatterono dalla parte dell'esercito bosniaco. Parte del fondo alloggi della comunità ebraica fu trasferita per i rifugiati provenienti da altre parti del paese. Naturalmente, dopo l'accordo di pace di Dayton, alcuni ebrei volevano vedersi restituire le proprie case.
Ma nessuno dei "nuovi abitanti di Sarajevo" aveva intenzione di lasciare semplicemente la capitale. 146 appartamenti erano rimasti a uso cittadino, e non potevano essere restituiti ai proprietari originari; e se si considera che ogni metro quadrato a Sarajevo veniva valutato a peso d'oro, si può facilmente immaginare quanto denaro sia stato guadagnato sulla proprietà altrui. Una delle vittime, l'anziano ebrea Viola Janekovic, fu evacuata dalla sua città natale nel 1992. Dopo gli accordi di Dayton decise di tornare a Sarajevo, sperando di trascorrere la vecchiaia e morire in casa propria.
Ma i nuovi proprietari, che, ovviamente, pagando molti soldi si erano sistemati illegalmente nel suo appartamento, non ci pensavano nemmeno a restituire l'alloggio. Di simili esempi, nei primi giorni di "pace" ce ne furono qualche centinaio. È possibile che, se la legge avesse in qualche modo garantito la restituzione delle proprietà, e avesse offerto delle opportunità per il futuro, molti sarebbero tornati. Ma così, la gente non sapeva come vivere. Quando possibile, gli ebrei tentavano disperatamente di vendere le loro case. Il capo della comunità ebraica, Jakob Finci, ha tristemente notato che il suo popolo aveva ben poche possibilità di rimanere nella propria città.
L'unica cosa che dava una piccola speranza, era la comunità umanitaria, culturale ed educativa "La Benevolencija", fondata ancora nel 1892. Questa era impegnata nella fornitura umanitaria dei farmaci: il 49% di tutti i farmaci Sarajevo la riceveva attraverso la comunità ebraica, che fu aiutata dal Comitato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Dopo la fine delle ostilità, c'era la speranza che la vita sarebbe migliorata, ma Izetbegovi? non diede alcuna garanzia agli ebrei sefarditi sono garanzie. Questi non si sentivano al sicuro. Molti dissero: "Grazie a Dio, gli aerei volano e in qualsiasi momento si può tentare la fortuna all'estero, meglio se in Israele".
Gli ebrei sefarditi hanno sempre saputo che la comunità ebraica mondiale non li avrebbe piantati in asso. Molto più difficile era invece la situazione con i serbi di Sarajevo, che in tutti gli anni di conflitto non solo li avevano cacciati a migliaia, ma dopo l'inizio della pace proprio non volevano lasciarli tornare.
Se fino al 1991 la popolazione serba della capitale della Bosnia-Erzegovina socialista era di oltre 150.000 persone, dopo la firma di Dayton, la città contava meno di 20.000 serbi. I democratici di Sarajevo, e il partito di Alija Izetbegovi? fecero di tutto, perché questa citta cosmopolita non divenisse mai un importante centro islamico nei Balcani. Della tolleranza e dell'amore per le altre persone, che sotto Tito erano state le fondamenta della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, qui cercavano di non ricordarsene.

(La Voce della Russia, 24 gennaio 2014)


Iran - "Chi ha mai parlato di smantellare?"

Chi ha mai parlato di smantellare qualcosa? Al massimo è "la Casa Bianca che minimizza le concessioni ed esagera gli impegni iraniani", ma noi non abbiamo promesso di smantellare alcunché, sono solo i riflessi delle fantasie del vostro presidente. L'umiliazione di Barack Obama arriva alla fase della diretta televisiva, con il ministro degli Esteri di Teheran, Javad Zarif, che mercoledì alla Cnn ha negato qualunque progetto di smantellamento del programma nucleare nel contesto della grande pacificazione fra Obama e Hasan Rohani, lupo travestito da agnello che nei pascoli di Davos promette pace con l'America e pace in Siria, a condizione che i "terroristi" vengano cacciati dal paese. In altre circostanze non ci sarebbe dubbio alcuno intorno a chi, fra le parti in causa, sta bluffando e chi è in buona fede, chi è pronto a far seguire i fatti alle parole e chi aggredisce e sfotte perché in realtà non ha nulla in mano, solo armi spuntate. Ma Obama ci ha abituato a tali sfoggi di debolezza che nel presente negoziato si è tentati di credere alla campana di Teheran, che da lunedì esulta per le sanzioni allentate basandosi su promesse ritrattate davanti alle telecamere della Cnn; e il primo a esultare è la Guida suprema e tycoon Ali Khamenei, che è maestro della fede e pure delle opere, visto che ha partecipazioni dirette in tutte le compagnie che torneranno a fare profitti dopo l'èra del congelamento coatto. Alla retorica iraniana bisogna fare la tara, chiaro, ma la provocazione è un ballon d'essai per vedere fin dove il ricorso dell'umiliazione pubblica non produce ritorsioni fattive. Se Teheran può ridicolizzare la versione dell'accordo diramata dagli Stati Uniti ricevendone in cambio sorrisi e telefonate cordiali, significa che in questa trattativa vale un po' tutto, e pazienza se la credibilità dell'America ne viene fuori bastonata. E il "vale un po' tutto", del resto, è un grande assioma non scritto della filosofia di Obama, principio che il presidente probabilmente interpreta come l'apice delle virtù della volpe, ma che intanto suscita scetticismo e freddezza negli alleati, umiliazioni pubbliche negli avversari. Il primo caso di volpe in letargo.

(Il Foglio, 24 gennaio 2014)


La sinistra israeliana piange la morte di Shulamit Aloni

Punto di riferimento per la questione della pace con i palestinesi e per i diritti umani. Shulamit Aloni è stata un politico di primo livello in Israele.

Shulamit Aloni
E' morta ad 86 anni, Shulamit Aloni, fondatrice del partito della sinistra sionista Meretz ed ex ministro dell'istruzione. Messaggi di cordoglio sono stati pubblicati dai leader di svariate forze politiche.
Figlia di ebrei immigrati dalla Polonia, la Aloni prese parte attiva alla Guerra d'indipendenza di Israele (1948-9). Entrò poi in politica nelle file laburista, ma all'inizio degli anni Ottanta se ne separò guidando una lista concentrata sulla difesa dei diritti civili. Da essa sarebbe scaturito poi il partito Meretz, da allora impegnato nella ricerca di un accordo di pace con i palestinesi e nella edificazione di uno Stato laico e progressista.
Per decenni la Aloni - nota come accesa rivale dell' establishment rabbinico - ha rappresentato un punto di riferimento obbligato nei dibattiti sul carattere della società israeliana. I funerali avranno luogo domenica.

(il Journal, 24 gennaio 2014)


Cresce l'antisemitismo in Europa

ROMA - A pochi giorni dalla giornata internazionale della memoria, il Consiglio d'Europa si e' detto preoccupato per l'aumento dell'antisemitismo nei Paesi dell'Unione. ''Un'ostilita' profondamente radicata continua a minacciare la sicurezza e la dignita' umana degli ebrei in tutta l'Europa'', ha dichiarato il commissario dei diritti umani Nils Muiznieks. Secondo uno studio condotto in otto Paesi europei nel 2012, il 76% delle persone di confessione ebraica ha notato un aggravarsi degli atteggiamenti nei loro confronti. ''Oggi le forme d'antisemitismo 'moderne' sono molto numerose'', ha aggiunto Muiznieks in riferimento alle sempre crescenti frasi antisemite pubblicate sui social network. ''Le autorita' - ha concluso - devono prevenire questi attacchi, attraverso metodi educativi che insegnino a vedere l'olocausto con il piu' grande rigore storico''.

(ASCA, 24 gennaio 2014)


Voli per Tel Aviv: nuovi collegamenti diretti da Venezia

Recentemente sono stati annunciati nuovi collegamenti per Tel Aviv dall'Italia. La campagnia aerea EasyJet attiverà nuovi voli per la città israeliana da Milano a partire dalla prossima estate, ma questi non saranno gli unici. Arkia Israel Airlines, infatti, ha deciso di proporre dei voli diretti dall'Italia per Tel Aviv, che nel periodo estivo è una delle mete più gettonate di quell'angolo di Mar Mediterraneo, specie dai turisti LGBT.
A partire dal 15 giugno 2014 e fino al 19 ottobre 2014, sarà attivo un volo settimanale, in partenza nella giornata di domenica, da Venezia a Tel Aviv. Il volo IZ337 partirà dall'aeroporto israeliano alle ore 16:00 e arriverà a Venezia alle ore 19:00, mentre il volo IZ338 partirà dall'aeroporto italiano alle ore 20:00 e arriverà a Tel Aviv alle ore 00:30. Questo nuovo collegamento diretto si va ad aggiungere a quelli in partenza da Roma, serviti da Alitalia, El Al ed EasyJet, da Milano, serviti da Meridiana, El Al ed EasyJet, e Venezia, serviti da El Al.

(ViaggiOK.net, 24 gennaio 2014)


Quelli che difendono i palestinesi solo se possono dare addosso a Israele

Dov'è lo sdegno internazionale per i palestinesi fatti letteralmente morire di fame nel campo di Yarmouk, in Siria?

Com'è che per perorare gli interessi dei palestinesi - indipendentemente che a farlo sia la dirigenza palestinese o il mondo arabo o la comunità internazionale - Israele deve sempre andarci di mezzo ed essere in qualche modo denigrato e condannato? A quanto pare, affinché pacifisti, terzomondisti, Ong, sindacati e mass-media prestino attenzione, si allarmino e si mobilitino per la situazione dei palestinesi, è indispensabile che in un modo o nell'altro vi sia coinvolto, o vi si possa coinvolgere lo stato ebraico....

(israele.net, 24 gennaio 2014)


Lecce - Sul muro una scritta contro gli ebrei

In via Isabella Castriota, nel centro storico, uno slogan oltraggioso che riporta all'epoca drammatica dello sterminio di milioni tra uomini, donne e bambini nei campi di concentramento. Il 27 gennaio ricorre la celebrazione della Shoah.

 
LECCE - Un cattivo presagio in vista del Giorno della memoria, che ricorre il 27 gennaio. In via Isabella Castriota, che collega via Idomeneo a via Leonardo Prato, una mano al momento anonima ha vergato sul muro uno slogan oltraggioso - "Ebrei ai forni, Palestina libera" - con un stella di David sbarrata. Nessun simbolo o sigla che possa ricondurre il gesto ad una determinata matrice.
E' stato un esponente della comunità di discendenza ebraica, di Lecce, ad accorgersi della scritta. Nel capoluogo salentino la presenza ebraica affonda le sue radici nei secoli e, purtroppo, anche la discriminazione e la persecuzione non fanno eccezione: secondo alcuni studi già nel XV secolo, la contessa di Lecce, Maria D'Enghien, impose agli ebrei dei segni di identificazione sull'abbigliamento. Diffuso già allora, infatti, era l'armamentario di pregiudizi nei confronti della comunità che a Lecce ebbe anche una sinagoga e di cui oggi resta l'omologa via.

(LeccePrima, 24 gennaio 2014)


Nel Giorno della Memoria qualcuno ricorda al mondo che ci sono ancora ebrei da bruciare, per fare posto ai palestinesi bisognosi del loro "spazio vitale". M.C.


Netanyhau: sul nucleare Rohani continua lo show dell'inganno

GERUSALEMME
L’agenzia ANSA continua a scrivere TEL AVIV, facendo finta di non conoscere qual è la vera capitale di Israele. Saremo noi allora a sostituire ogni volta la parola sbagliata TEL AVIV con la parola giusta GERUSALEMME.
- "Rohani continua con lo show iraniano dell'inganno". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu commentando - secondo dichiarazioni diffuse in Israele dal suo ufficio - il discorso del presidente di Teheran a Davos in Svizzera nel quale ha detto, tra l'altro, che l'Iran non rinuncerà al "nucleare pacifico".
''Mentre Rohani afferma di non essere interessato ad un progetto nucleare a scopi militari - ha aggiunto Netanyahu - l'Iran continua a rafforzare le sue centrifughe ed il reattore ad acqua pesante, ad armarsi di missili intercontinentali, il cui solo scopo e' per armi nucleari''.
Per Netanyahu, ''Rohani ha ammesso un decina di anni fa di aver ingannato l'Occidente in modo da far avanzare il programma nucleare iraniano. E' ciò che sta facendo anche oggi".

(ANSAmed, 23 gennaio 2014)


Davos aspetta Rohani

Ieri a Davos, il paradiso della charme diplomacy condita con soldi e prestigio, è arrivato Hassan Rohani. Il presidente iraniano parlerà oggi, in prima fila sono sistemati i ceo delle grandi compagnie petrolifere mondiali, o i loro rappresentanti, o i loro banchieri, e la domanda e l'offerta si incontreranno, in diretta tv, sotto gli occhi di un mondo che si sta abituando a non temere Rohani, anzi, a fidarsi di lui. Investite, gente, investite, è l'invito del presidente, le sanzioni si stanno allentando, a fronte di una sospensione dell'arricchimento di uranio nelle centrifughe che lo lavorano al 20 per cento, come prevede l'accordo temporaneo siglato a Ginevra. Il business risponde giulivo, si sa che quello è un mercato grande e importante ed è un gran sollievo che ci si possa buttare di nuovo in una "corsa all'oro" che sembrava ormai impossibile. I media internazionali si affannano nello spiegare le divisioni iraniane, i cattivi (la Guida suprema Ali Khamenei) stanno facendo di tutto per ostacolare i buoni (Rohani), ma alla fine il bene vincerà, non può essere che una favola a lieto fine, questa. E' solo una questione di tempo, per tutti: l'Onu ha cercato di accelerare i tempi, invitando sciaguratamente l'Iran al tavolo di pace della Siria e si è preso una reprimenda dagli Stati Uniti, che sono i primi a voler fare la pace con Teheran, ma sanno che certe svolte vanno fatte digerire bene. A Washington mascherano l'euforia, ma il primo a credere alla favola è Barack Obama, anche se poi, al lieto fine, non tiene granché: "La Casa Bianca è pronta ad accettare un programma nucleare civile in Iran", scrive David Remnick sul New Yorker in un articolo dedicato a Obama. Israele e i paesi del Golfo si oppongono, "ma un benchmark assolutistico non è possibile", bisogna un po' compromettersi, siamo uomini di mondo.

(Il Foglio, 23 gennaio 2014)


Rohani: "L'Iran non rinuncerà al nucleare"

Hassan Rohani al World Economic Forum
Il presidente iraniano Hassan Rohani è intervenuto oggi al 44o World Economic Forum in corso a Davos, in Svizzera.
Come sottolinea Euronews, per la prima volta in 10 anni, un presidente iraniano partecipa al Forum economico mondiale di Davos e per Rohani è anche la prima visita in Europa come capo di Stato.
Rohani incontrerà anche un gruppo di dirigenti delle grandi multinazionali petrolifere, con l'obiettivo di incitarli a investire nel suo paese.
Il presidente iranina ha inoltre tenuto un discorso sul ruolo dell'Iran del mondo, alcune ore prima dell'entrata in scena del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
"L'Iran non rinuncerà al diritto al nucleare pacifico. Le armi nucleari non fanno parte dei nostri piani", ha detto Rohani sottolineando che l'Iran vuole trovare un accordo "accettabile con la comunità internazionale e non vedo impedimenti".
In un'intervista rilasciata all'inviata Isabelle Kumar di Euronews, Rohani in merito alla Siria ha affermato che "la soluzione migliore è organizzare libere e democratiche elezioni. Nessuno da fuori può decidere il futuro della Siria" ha sostenuto il presidente iraniano riferendosi con molte probabilità alla posizione espressa ieri dal Segretario americano John Kerry che a Montreux alla conferenza sulla Siria ha sostenuto che il presidente del regime siriano Bashar Al Assad non potrà far parte della transizione politica in Siria.
Rohani ha poi aggiunto che "tutti lavorino insieme per sconfiggere il terrorismo".
In merito alla sua assenza a Ginerva 2, Rohani ha spiegato che "pensiamo sia nostro dovere fare qualsiasi cosa per evitare i massacri in Siria e per favorire il benessere del popolo siriano. La stabilità nella regione è molto importante per noi, la guerra civile in Siria è intollerabile. A proposito dell'invito, noi siamo pronti a partecipare a qualsiasi incontro che miri ad aiutare i siriani. Sono deluso da ciò che è accaduto. Non per noi o per l'Iran. Sono dispiaciuto per le Nazioni Unite e per il Segretario generale."
"Come Chairman dell'Oil and Gas Governors incontrerò il Presidente Iraniano Rohani. Un incontro davvero importante, perché diremo al Presidente che la via migliore per giungere all'eliminazione delle sanzioni è quella di rispettarle oggi", ha dichiarato l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni i un'intervista alla Cnn in occasione del Wef di Davos.
"Questo significa che non cominceremo a operare in Iran fino a quando le sanzioni non verranno tolte. Le compagnie internazionali rimangono per ora fuori dall'Iran, mentre lavorano nel Paese compagnie oil and gas cinesi, indiane e altre. Tuttavia la loro performance non è comparabile con la nostra, soprattutto nelle attività offshore legate al gas, ambito importante per il Paese. Mi piacerebbe sentire dal Presidente Rouhani che concluderanno un accordo con il mondo occidentale per fermare il programma nucleare e ottenere il sollevamento delle sanzioni. In quel momento, l'Iran - che è il terzo Paese al mondo come riserve - diventerà molto interessante, in particolare per Eni che è lì da 60 anni", ha concluso Scaroni.

(Diretta News.it, 23 gennaio 2014)


Israele attacca l'Italia: "Troppo vicini a Teheran"

GERUSALEMME - Israele è preoccupata dal nuovo corso politico ed economico di Italia e Russia nei confronti dell'Iran. Per questo qualche giorno fa, mentre alcuni funzionari israeliani prendevano la strada di Mosca, a Roma è arrivato «in missione segreta» il ministro degli affari strategici Yuval Steinitz. Scopo del viaggio - ha rivelato il quotidiano Maariv - «frenare» questo riavvicinamento, nel timore che, grazie agli affari, si possa giungere ad un crollo delle sanzioni contro Teheran.
Un quadro complessivo - secondo il gìornale - al quale ha dato il via la recente visita in Iran del ministro degli Esteri Emma Bonino, primo responsabile europeo dopo lungo tempo a Teheran. Visita, inoltre, che potrebbe essere presto bissata -secondo Maariv - da quella del primo ministro Enrico Letta.
Dal Forum mondiale di Davos ha replicato subito la stessa Bonino: «Non si tratta - ha detto il ministro - di bloccare o non bloccare i rapporti economici tra Italia e Iran. Noi - ha spiegato - abbiamo messo sul sito del ministero cosa significa l'alleggerimento delle sanzioni all'Iran e quali sanzioni rimangono in vigore. A partire da ciò, gli imprenditori traggono le loro conseguenze». «L'ltalia - ha scritto invece Maariv - non vede l'ora di rilanciare le relazioni economiche con l'Iran». E un alto funzionario statale, citato dal giornale in forma anonima, ha rincarato la dose spiegando che «l'Italia aiuta l'Iran a creare la sensazione che l'isolamento e le sanzioni nei suoi confronti crolleranno presto».

(la Repubblica, 23 gennaio 2014)


Sventati attentati di al Qaida in Israele

 
GERUSALEMME - Attacchi suicidi a un centro congressi di Gerusalemme e all'ambasciata Usa a Tel Aviv: sarebbero stati questi i piani di tre palestinesi di Gerusalemme est e della Cisgiordania arrestati dallo Shin Bet (il servizio di sicurezza interna d'Israele) e sospettati di essere stati reclutati online da operativi di al Qaida nella Striscia di Gaza.
La cellula - sgominata lo scorso 25 dicembre con un operazione che lo Shin Bet ha reso pubblica solo ieri - era composta da Iyad Abu Saara (24 anni) di un sobborgo di Gerusalemme est, da Roubeen al-Najma (31 anni) di Abu Tor, sempre a Gerusalemme est, e Alaa Ranem (22 anni) di Al-Aqaba, vicino a Jenin, in Cisgiordania.
I primi due avevano carte d'identità israeliane. Il loro reclutamento - secondo quanto hanno spiegato i media in base alle informazioni dei servizi israeliani - sarebbe avvenuto su internet tramite un membro di un gruppo legato alla rete del jihad globale di al Qaida che opera a Gaza.
Il reclutatore, che ha identificato se stesso soltanto in base al `nome di battaglia‘ di Arib al-Sham si era presentato ai sospetti affermando di lavorare per Ayman al-Zawahiri: l'attuale capo di al Qaida dopo l'uccisione di Osama bin Laden da parte degli americani nel maggio del 2011.
Il metodo di reclutamento online usato in questo caso - secondo gli ufficiali dello Shin Bet - non sarebbe per nulla inusuale: molto dei gruppi jihadisti attivi in Medio Oriente adottano lo stesso modus operandi o meccanismi similari. Frugano in internet in cerca di candidati, emettono ordini e insegnano i metodi d'operazione. Nel corso delle conversazioni su internet con il reclutatore, intercettate dall'intelligence, i sospetti discutevano - ha sottolineato lo Shin Bet - piani per «attacchi terroristici combinati».
Il progetto - che prevedeva l'invio da Gaza di altri «terroristi» a sostegno dei tre arrestati - era quello di colpire il Centro internazionale dei congressi di Gerusalemme e contemporaneamente l'ambasciata americana a Tel Aviv. Nel primo caso, lo Shin Bet ha valutato il piano «a uno stadio avanzato» di realizzazione, mentre nel secondo le probabilità di riuscita sono state giudicate «basse».
Gli arresti - a giudizio del servizio di sicurezza - possono essere considerati «la prima prova concreta» dell'esistenza nella zona di gruppi legati ad al Qaida. Gli ufficiali dello Shin Bet hanno tuttavia precisato che l'attività di questi gruppi appare ancora embrionale e può essere stroncata.

(Il Secolo XIX, 23 gennaio 2014)


«Magari potessimo rimanere qui»

Feriti siriani curati in Israele: «Esitavamo a venire, ci hanno sempre detto che Israele è un nemico spietato»

Una giovane coppia di siriani è stata portata giovedì scorso dai soldati israeliani all'ospedale Poriah, vicino a Tiberiade, nel nord di Israele. I due, originari di un villaggio della zona di Daraa duramente colpita dai combattimenti della guerra civile siriana, sono arrivati in Israele con ferite d'arma da fuoco alle gambe. L'uomo ha 27 anni. Sua moglie ne ha 23 ed è ai primi mesi di gravidanza.
Le ferite che hanno riportato non li mettono in pericolo di vita, ma i due giovani sono recentemente passati attraverso una tragica serie di disgrazie. Pochi mesi fa la coppia ha perso una figlia di due sole settimane di vita. "A causa dei combattimenti e dell'assedio imposto a Daraa, il capoluogo della nostra zona - spiega la ragazza - non abbiamo avuto altra scelta che affrontare il parto in casa, ma le condizioni di salute della nostra bambina si sono deteriorate....

(israele.net, 23 gennaio 2014)


Aggressione a un ufficiale, fermato Dieudonné

PARIGI - L'umorista diventato agitatore antisemita Dieudonné è stato posto in stato di fermo fino a tarda sera e interrogato a lungo dai gendarmi di Anet, a circa 80 chilometri da Parigi, perché sospettato di avere sparato in aria un colpo di fiashball (l'arma che usa proiettili di gomma) per minacciare un ufficiale giudiziario. Intorno alle ore 20 di lunedì l'ufficiale giudiziario si era presentato a casa di Dieudonné e della moglie Noémìe Montagne, a Dreux, per notificargli una nuova ingiunzione di pagamento delle somme alle quali Dieudonné è stato condannato, nel corso degli anni, per antisemitismo e incitamento all'odio razziale (il totale delle multe da pagare è stimato in 65 mila euro). Dieudonné si è rifiutato di rispondere alle domande dell'ufficiale giudiziario, lo ha cacciato in malo modo e avrebbe poi sparato un colpo in aria L'ufficiale ha presentato denuncia, Dieudonné ha negato di avere usato la pistola fiashball, ma quell'arma è stata poi trovata a casa sua durante una perquisizione. Dopo gli insulti alla Shoah e la proibizione dello show «Le Murs» decisa dal ministro dell'intemo, Manuel Valls, Dieudonné dovrà presto fare fronte anche alle inchieste per riciclaggio, malversazioni e frode.

(Corriere della Sera, 23 gennaio 2014)


In Israele appuntamento con la musica: Festival internazionale di musica a Tel Aviv

Andres Mustone
ROMA - 22 gen - L' International MustonenFest, fondato e diretto dal direttore d'orchestra e violinista Andres Mustone, riunirà in un unico festival musicale i più grandi musicisti provenienti dall'Estonia, con i nomi più vivaci di Israele nel mondo della musica jazz e della musica classica. Sei spettacoli diversi e affascinanti avranno luogo presso la Tachana di Tel Aviv, la stazione ferroviaria recentemente ristrutturata, ai confini di Jaffa e Tel Aviv. Il festival inizierà con opere di Händel, Mozart, Mahler e la Sinfonia no 3 di Arvo Pärt eseguita dalla Jerusalem Symphony Orchestra, IBA. Solo alcuni nomi: Andres Mustonen, direttore d'orchestra, Helen Lokuta, mezzosoprano e Avigail Arenhaim, MC. Ci sarà anche un concerto dal titolo " Joint Forces Jazz " - adattamenti jazz di opere di Bach e dei suoi contemporanei eseguiti dal Quartet Art- Jazz con Andres Mustone, violino. Yaron Gottfried Trio, Anat Fort, pianoforte, Itamar Carmeli, pianoforte. Hortus Musicus Ensemble In programma anche un concerto dedicato alle famiglie dal titolo " Balliamo " con uno sguardo particolare alla "musica fatta per ballare" attraverso i secoli, dal barocco al rock, da Lully ai Led Zeppellin. Accompagnato da una esibizione di danza improvvisata. Questa sarà eseguita dall'Hortus Musicus Ensemble diretto da Andres Mustonen, violino (Estonia) insieme ad un quartetto d'archi israeliano accompagnato dai Suzanne Dellal Dancers. Ci sarà anche una notte di melodie tradizionali nordiche in stile moderno, alternative e meditative, eseguite da musicisti provenienti dall'Estonia. Gli spettacoli includeranno musicisti solisti dell'Estonian National Opera, della Jerusalem Symphony Orchestra, il Yaron Gottfried Trio, The Legendary Hortus Musicus Ensemble, il Quartetto Art- Jazz dall'Estonia: Anat Fort, Claire Meghnagi, Etty Ben Zaken Ensemble,Yoram Lakis, i ballerini della Suzanne Dellal e altri ancora.

(Prima Pagina News, 22 gennaio 2014)


Israele: prima emissione in euro in quattro anni

MILANO, 22 gen - Il governo israeliano ha effettuato oggi sulla piazza di Londra la prima emissione in euro in quattro anni - la quinta in assoluto - collocando titoli a dieci anni per 1,5 miliardi di euro. Molto alta la domanda che ha raggiunto quota 5,7 miliardi inducendo il governo israeliano ad aumentare l'ammontare dell'emissione rispetto al target originario di raccolta di 1 miliardo. I bond pagheranno un coupon annuale del 2,932%. Lo scorso anno, a gennaio, Israele era intervenuto sul mercato del debito americano collocando bond per 2 miliardi di dollari. "Il successo dell'operazione indica che i mercati finanziari internazionali nutrono grande fiducia nell'economia israeliana", ha commentato il ministro delle Finanze Yair Lapid. Circa 300 gli investitori istituzionali che hanno preso parte all'operazione

(Il Sole 24 Ore Radiocor, 22 gennaio 2014)


Isram Israel, charter Roma-Tel Aviv ad aprile

"E' per noi un forte investimento e un atto di fiducia verso la domanda italiana, perché l'impegno preso non è coperto da alcuna garanzia da parte degli operatori italiani con cui stiamo cominciando a collaborare", afferma Jacob Verthime, direttore commerciale.

Dopo aver annunciato qualche mese fa l'incarico di commercializzazione ad Htms, Isram Israel ribadisce la sua volontà di investire sul mercato italiano annunciando la disponibilità di un volo diretto da Roma a Tel Aviv con partenza il 15 aprile e rientro il 23 aprile.
"E' per noi un forte investimento e un atto di fiducia verso la domanda italiana, perché l'impegno preso non è coperto da alcuna garanzia da parte degli operatori italiani con cui stiamo cominciando a collaborare", afferma Jacob Verthime, direttore commerciale di Isram. "Tuttavia - prosegue - i primi segnali sono molto incoraggianti e crediamo fermamente che alla fine i posti saranno tutti venduti".
Isram propone la disponibilità del volo in abbinamento a due tour realizzati appositamente per il mercato italiano, uno destinato ai pellegrinaggi con un approccio decisamente religioso, l'altro destinato ad un pubblico più interessato alla visita di Israele sotto il profilo storico e culturale. Già numerosi i t.o. che hanno deciso di commercializzare questa partenza speciale.

(Guida Viaggi, 22 gennaio 2014)


Neonato libanese arruolato da Hezbollah

(MEMRI, gennaio 2014)


Ministro della Difesa israeliano: continueremo l'uso della forza contro chi lancia razzi

TEL AVIV , 22 gen - "L'esercito continuera' ad agire in modo da esigere un duro prezzo da Hamas e da coloro che si impegnano nel terrore e nel lancio di razzi contro Israele".
Cosi' il ministro della Difesa Moshe Yaalon ha commentato il raid della notte scorsa in cui sono stati uccisi due palestinesi responsabili per Israele del lancio dei razzi. "Non esiteremo nel continuare ad usare la forza contro chi minaccia la nostra sicurezza, utilizzando - ha spiegato - tutti i mezzi e i meccanismi a nostra disposizione".

(ANSAmed, 22 gennaio 2014)


Israele - Le opportunità svizzere

Tutte le strade portano in Svizzera. Quanto meno in questi giorni, quando tra Ginevra e Davos i leader del mondo si ritroveranno per parlare di politica internazionale ed economia. Oggi, infatti, ha inizio la Conferenza internazionale di pace sulla Siria per trovare una soluzione a un conflitto che conta decine di migliaia di vittime. Improbabile, secondo molti, che da Ginevra arrivino risposte positive. A qualche centinaio di chilometri intanto, il premier israeliano Benjamin Netanyahu assieme al presidente Shimon Peres e il ministro della Giustizia Tzipi Livni parteciperanno domani al tradizionale appuntamento del World economic forum. Un'opportunità per stringere nuove intese economiche ma anche per confrontarsi con una parte del mondo arabo, in particolare con quei paesi che con l'Iran non coltivano ottimi rapporti. Teheran, in ogni caso ci sarà; non solo il presidente Hassan Rouhani parlerà, ma il suo intervento precederà di qualche ora quello di Netanyahu. Orari diversi e nessuna volontà di incrociarsi. "Voi vi incontrereste con chi chiede la vostra eliminazione?", domandava il premier israeliano a giornalisti che ipotizzavano un incontro.
Come già nel discorso tenuto a Roma durante il vertice intergovernativo tra Italia e Israele, Netanyahu punterà sul ruolo delle innovazioni come cerniera fra l'economia israeliana e le altre realtà del mondo. "Dobbiamo sviluppare la nostra presenza in nuovi mercati e trovare nuovi partner - il primo ministro - La mia intenzione è di parlare con le compagnie leader nel hightech, nel campo tecnologico, in modo da farle investire in Israele e creare posti di lavoro nel nostro paese". Nella sua agenda sono previsti tra gli altri incontri con il Ceo di Yahoo! Marissa Mayer e con alti dirigenti di Google.

(moked, 22 gennaio 2014)


Delegazione Chabad accompagna il Primo Ministro Canadese in visita in Israele

YERUSHALAYIM - Stephen Harper, primo ministro canadese, è in Israele per una visita ufficiale, accompagnato da decine di persone fra cui dieci rabbini Chabad, rappresentanti di ogni provincia canadese.
Harper è da sempre conosciuto come un grande amico d'Israele. Durante la sua visita ha parlato alla Knesset, ha visitato il museo dell'Olocausto "Yad Vashem" e ha avuto un incontro privato con il primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu, e i dieci rabbini Chabad: Rav Berel Mochkin di Montreal, Rav Chaim Mendelshon di Ottawa, Rav Avraham Zalmen Grossbaum, Rav Mendel Kaplan, Rav Yoseph Zaltzman, Rav Mendel Zaltzman di Toronto, Rav Yitzchok Weinberg di Vancouver, Rav Shmuli Altein di Winnipeg, Rav Menachem Matusof di Calgary e Rav Mendel Feldman di Halifax.

(Chabad.Italia, 22 gennaio 2014)


Netanyahu: «Pronti a colpire Hamas»

Israele guarda a Ginevra, ma tutta l'attenzione è sull'Iran. Il balletto sulla partecipazione della Repubblica islamica alla Conferenza internazionale ha accresciuto le preoccupazioni del premier Benjamin Netanyahu, che negli ultimi mesi ha più volte criticato le aperture della comunità internazionale sul programma nucleare di Teheran e che lunedì ha chiesto che «si smetta di legittimare l'Iran quando ancora invoca la distruzione di Israele».
Ieri il premier ha ribadito di non essere per niente convinto che l'accordo ad interim fra l'Iran e Paesi del 5+1 possa disinnescare le ambizioni degli ayatollah. «II programma nucleare iraniano deve essere fermato e sarà fermato», ha detto Netanyahu. Secondo schemi collaudati, il messaggio israeliano è stato recapitato anche ad Hamas, il gruppo armato che controlla la Striscia di Gaza e che è tra i principali "beneficiari" dei finanziamenti iraniani (e siriani). «Se Hamas e le altre organizzazioni terroristiche hanno dimenticato la lezione, gliela ricorderemo molto duramente e molto presto», ha detto Netanyah. I servizi di sicurezza del gruppo islamico hanno subito alzato l'allerta e dispiegato le forze lungo le strade che portano al confine con Israele. Mentre si sono intensificati i lanci di razzi verso il Neghev israeliano e anche verso Eilat, sul Mar Rosso.
Netanyahu si conferma intenzionato a non arretrare di un metro anche sul fronte interno. E ieri, in "risposta" alle forti pressioni della comunità internazionale, e in particolare dell'Amministrazione Obama, per fermare gli insediamenti «illegali», ha annunciato la costruzioni di nuovi 381 appartamenti a Gerusalemme Est.

(Avvenire, 22 gennaio 2014)


"Discutiamo di Shoah-business» scatta la rabbia dei giovani ebrei

L'ateneo precisa di non aver concesso alcuno spazio agli antagonisti padani usciti dalla Lega

Due manifesti che annunciano un incontro durante il quale discutere di «razzismo rabbinico», «Shoah-business», e di «fondamentalismo religioso ebraico». Sono comparsi nell'atrio dell'università Cattolica, negli spazi del gruppo studentesco della Comunità antagonista padana (cellula che si è staccata dal Mup, il movimento universitario padano vicino alla Lega nord), scatenando immediatamente proteste e indignazione dell'Unione giovani ebrei d'Italia che parlano di «disgustoso incontro revisionìsta - a pochi giorni di distanza dal giorno della memoria. Hanno inviato una lettera al rettore, Franco Anelli, chiedendo in tempi rapidissimi la revoca dell'iniziativa: «Non potremmo tollerare neppure un minuto che si infanghi la memoria di quell'immane tragedia», denuncia l'Ugei. Le due locandine, ora rimosse dalle pareti di largo Gemelli, danno appuntamento a mercoledì prossimo in un'aula dell'università: partendo dal libro "Anche se non sembra" edito da Radio Spada, e lanciano sei punti su cui riflettere e discutere. Fra gli altri: «Cos'è il Regno ebraico dello Yemen e in cosa consiste l'olocausto dei cristiani che perpetrò? Primo Levi partecipò ad una azione in cui furono giustiziati due giovani partigiani. È la fine di un mito?». E ancora: «Le cause di ciò che in epoca contemporanea è chiamato "antisemitismo" sono più interne o più esterne rispetto al popolo ebraico?». Non è la prima volta che il gruppo studentesco provoca la reazione da parte della comunità ebraica. L'ultimo episodio risale a due anni fa, quando apparvero due manifesti con il volto di Mussolini e la caricatura del "giudeo", come veniva raffigurato nelle illustrazioni antisemite durante il fascismo. «È evidente dalla presentazione stessa della "formazione militante", e dalle farneticanti domande introduttive - ha scritto il presidente Ugei, Simone Disegni - che il dibattito attorno a un libro di recentepubblicazione appare come una disgustosa e intollerabile provocazione di inconfutabile stampo razzista, proprio in corrispondenza delle celebrazioni per il Giorn o della Memoria in ricordo della più terribile pagina della storia contemporanea, la Shoah».
Secca, però, la replica dell'ateneo che prende subito le distanze: «Un'iniziativa non voluta, richiesta e autorizzata dall'università - fanno sapere - i manifesti non corrispondono ai principi che ispirano la Cattolica e saranno valutati a breve tutti i provvedimenti da intraprendere». In occasione della Giornata della Memoria, tiene a precisare l'università, è in programma un incontro sulla Shoah con il regista e autore Claude Lanzmann. Presenterà il suo ultimo documentario "L'ultimo degli ingiusti" dedicato alla controversa figura di Benjarnin Murmelstein, ultimo presidente del consiglio degli anziani del ghetto di Terezin.

(la Repubblica, 22 gennaio 2014)


Il Vicesindaco di Milano visita la scuola superiore Beit Chana

MILANO - Domenica, il Vicesindaco di Milano, Ada Lucia De Cesaris, si è recata in visita alla scuola superiore femminile Beit Chana, una delle istituzioni del Beit Chabad di Milano, che da anni si sta distinguendo nel capoluogo lombardo per le sue numerose iniziative, ormai parte integrante della vita della città stessa.
La signora De Cesaris ha portato alle studentesse e a tutti i presenti, fra i quali Walker Meghnagi presidente della Comunita Ebraica di Milano, Ruggero Gabbai consigliere comunale, Rav Moshe Lazar emissario del Rebbe e rabbino del Tempio della scuola, Rav Moshe Shaikevitz direttore delle istituzioni del Beit Chabad di Milano, Rav Avraham Hazan direttore del Merkos Linyonei Chinuch, David Nassimiha membro del consiglio della Comunità Ebraica di Milano e Refael Nemni avvocato delle istituzioni del Beit Chabad, i saluti del Comune, aggiungendo che cercherà di impegnarsi per fare in modo che la scuola possa ricevere aiuto da parte delle istituzioni cittadine.

(Chabad.Italia, 22 gennaio 2014)


Si avvicina il Giorno dell'Ipocrisia

di Deborah Fait

Chi mi legge saprà che, da anni, nell'approssimarsi del 27 gennaio, internazionalmente dichiarato Giorno della Memoria, scrivo per protestare contro l'ipocrisia, anch'essa internazionale, che questa Giornata rappresenta per i non ebrei. Mi sento quindi in perfetta sintonia con quanto scritto da Elena Loewenthal nel suo libro "Contro il Giorno della Memoria".
Come si può pensare che il mondo occidentale, affetto da antisemitismo conclamato, possa celebrare con animo pulito e cuore puro questa tremenda ricorrenza, l'assassinio programmato di 6 milioni di ebrei!
E' assolutamente impensabile.
A chi e a che cosa possono servire alcune ore di incontri ufficiali, di parole bugiarde, di aria contrita e qualche lacrimuccia di coccodrillo, messe là, doverosa abitudine, tra un boicottaggio di Israele e un "Sti ebrei tutti ricchi sono, tengono il mondo in mano".
A chi e a che cosa serve questo baraccone di ipocriti, di ignoranti, di finti amici, di politici che, appena dette le parole di rito per ricordare gli ebrei massacrati, pensano a come condannare, l'indomani, Israele, l'Ebreo di oggi contro cui sfogare il proprio odio.
A che cosa servono parole vuote, discorsi preparati forse pensando, come leggo spesso sul Web, "però sti ebrei hanno rotto"
A cosa serve tutto questo se, come accade ogni anno, in contemporanea colle celebrazioni della Memoria, estremisti di sinistra, di destra e musulmani, fanno contromanifestazioni, sventolando bandiere palestinesi, urlando che Israele commette genocidio, che Israele è peggio dei nazisti, che gli ebrei "non hanno imparato niente", che Israele non deve esistere.
L'odio antiebraico è rimasto in incubazione per 20 anni dopo la Shoà per riesplodere in tutta la sua crudezza nel 1967 quando Israele vinse la guerra dichiarata dai Paesi arabi.
Inconcepibile!
In quel momento l'odio antisemita si trasformò in odio contro Israele, contro l'Ebreo Stato, contro l' Ebreo vincitore.
Davvero inconcepibile!
Gli ebrei dovevano sparire dalla faccia della terra, questo era il disegno, questo era stato lo scopo della Shoà e invece eccoli là, non solo avevano creato uno stato, avevano anche l'ardire di vincere le guerre e di "umiliare" gli arabi.
Da quel momento l'odio non ha più avuto confini e, man mano che gli arabi e l'Islam prendevano possesso delle menti degli occidentali penetrandovi inesorabilmente, e più aumentava in seno all'ONU la presenza di dittature arabe, si è venuto a creare uno strano fenomeno: per 364 giorni all'anno si demonizzava, si delegittimava Israele, si aggredivano e si ammazzavano israeliani ed ebrei e il 365mo giorno l'Occidente, obbligato dalla ricorrenza (cui l'Italia ha aderito nel 2000 e l'ONU nel 2005), si fermava per addolorarsi e piagnucolare sugli ebrei massacrati dall'Europa, in Europa.
Negli anni 80 del secolo scorso il nuovo antisemitismo, detto ipocritamente antisionismo, più esattamente, come lo chiama giustamente Fiamma Nirenstein, israelofobia è scoppiato in tutta la sua virulenza e da
  
allora è stato un crescendo di odio, di violenza, di terrorismo fino ad arrivare ai giorni nostri in cui gli stati occidentali membri dell'ONU sono al soldo dei Paesi arabi e completamente soggiogati ad essi.
L'ONU nei giorni scorsi ha pubblicato due relazioni quasi in contemporanea.
La prima relazione recita: "L'UNESCO ha rimandato la mostra sul legame tra il Popolo ebraico e la Terra di Israele". Prima di arrivare a questa drastica decisione avevano provato a cambiare la definizione "Terra di Israele" in Terra Santa" (come amava chiamarla il terrorista Arafat) ma ai 22 paesi arabi non bastava, la seconda mossa è stata di cancellare, tout court, la manifestazione.
L'Unesco, organizzazione che dovrebbe occuparsi di cultura, arte e scienze e che dovrebbe essere al di sopra di ogni diatriba politica, dimostra una volta di più di essere un insieme di mezze calzette, vigliacche e untuose, al servizio degli arabi e del loro impegno a cambiare la Storia quindi non ha esitato ad obbedire agli ordini e a gettare alle ortiche due anni di lavoro sui 3500 anni di legame indissolubile del Popolo ebraico con Erez Israel, la Terra di Israele.
La seconda relazione rilasciata dall'ONU sbatte ufficialmente in faccia al mondo "L'anno di solidarietà con i palestinesi" e prevedo che ne vedremo e ne sentiremo delle belle considerando che a loro tutto è permesso.
Vi risulta che l'Onu abbia mai programmato anni di solidarietà con altri popoli?
Non ne sono a conoscenza.
Avete sentito parlare di "anno di solidarietà con il Popolo tibetano"? oppure con il Popolo kurdo, o con i Popoli tormentati dell'Africa?
Avete sentito mai proporre un anno di solidarietà dedicato ai cristiani massacrati dai musulmani?
E' sempre il solito discorso, fatto e rifatto, il mondo occidentale è interessato solo ai palestinesi e qui ritorniamo automaticamente alla Israelofobia perché, se non ci fosse Israele, gli arabi della zona conterebbero meno di niente.
E' l'Ebreo Israele che l'Occidente vuole colpire attraverso i palestinesi.
L'ebreo Israele, l'ebreo vivo da massacrare in tutti i modi incominciando dal boicottaggio che ormai è arrivato a livelli planetari.
La rabbia cieca che non riesce a sopportare che Israele non soccomba a una persecuzione quotidiana di decenni, una rabbia incontenibile che non riesce a sopportare che Israele vinca le guerre e il terrorismo e che sia, al contrario, un paese pieno di inventiva, dinamico, economicamente persino più solido della maggior parte dei paesi europei che lo demonizzano.
Tutto questo li rende ciechi di furore, verdi di invidia. Israele doveva morire, doveva scomparire nel nulla, nel fuoco di Auschwitz, e invece è ancora qui che vive!
La sua esistenza è una spina nel fianco per gli arabi, per l'Islam e per i loro compagnucci comunisti e fascisti. Una spina nel fianco diventata vera e propria ossessione, una malattia mentale che non trova pace se non nella calunnia e nel sangue di qualche ebreo.
Allora bisogna massacrarlo questo Ebreo Stato, con tutti i mezzi a disposizione.
Non sono riuscite nell'intento le guerre? Non ce l'ha fatta il terrorismo? Ecco che arriva il boicottaggio economico, colpire Israele nel cuore, impedirgli di esportare, impedirgli di crescere e di diventare una potenza economica e di vivere serenamente ma.... ohibò... neanche questo pare sufficiente ad abbatterlo perché l'inventiva israeliana è così forte che riesce comunque a bucare il boicottaggio.... allora bisogna pensare ad altro, bisogna pensare a isolare il cervello, quel maledetto cervello ebraico che, costretto dalle tante persecuzioni, per poter sopravvivere, si è sviluppato.... troppo sviluppato.... e allora ecco la grande pensata: boicottiamo il cervello di Israele, boicottiamo la cultura, la scienza, la tecnologia, le Università, le Accademie! Annientiamo il cuore e il cervello dell' Ebreo Stato, forse così saremo vincitori....
I poverini non sanno, non ricordano, non vogliono ricordare che non sono bastati 2000 anni di sangue, roghi, persecuzioni e forni crematori a indebolire gli ebrei o forse se ne rendono conto e da qui nasce il loro furore!
Dall'Europa, sempre al primo posto nell'odio antiebraico, ecco dunque che il boicottaggio si è allargato agli USA, ecco che le Università americane si adeguano, ecco che molte Organizzazioni USA in cui si infiltrano, usando proprio la democrazia e la costituzione americane, bande di arabi/palestinesi incominciano la grande avventura del boicottaggio contro un'altra democrazia, contro il popolo ebraico che ha ricreato se stesso in Terra di Israele.
Con tutto questo triste background di odio a cosa può servire il 27 gennaio?
Dicono... ma almeno si va a parlare nelle scuole, almeno i giovani capiscono, almeno sapranno che non deve ripetersi una simile tragedia, almeno si renderanno conto che il razzismo non è "in".
Io ne dubito, non è certo portando i giovani alla la Risiera di San Sabba a Trieste o a visitare Auschwitz o Mauthausen o Bergen Belsen che il germe dell'antisemitismo scomparirà dalle loro menti dopo essere stati bombardati per tutto il resto dell'anno da pregiudizi, dalla disinformazione su quello che è veramente Israele, presentato, anche nelle scuole come un paese di soldati e religiosi, usurpatore dei diritti degli arabi e non come una vibrante democrazia, uno stato di diritto, dove si vive, si ama, si studia, ci si diverte e purtroppo si muore per mano di quegli arabi che vengono loro dipinti come "vittime".
Per anni, per decenni, anche prima dell'istituzione del Giorno della Memoria, si è parlato ai giovani della Shoà, del massacro del Popolo ebraico per mano dei nazifascisti, complici tutti gli altri stati europei, per decenni abbiamo loro mostrato immagini tremende girate dagli stessi tedeschi, abbiamo mandato i sopravvissuti a parlare nelle scuole.
A cosa è servito?
Ricordo che dopo aver portato le scuole di Bolzano a vedere Schindler's List, mi sono sentita dire, tra molte sghignazzate dei ragazzi presenti, "Ma è colpa vostra, avete i soldi, per forza che tutti vi odiano e poi.... potevate scappare, no?". Non ho avvertito nessuna indignazione, nessuna pietà in quei giovani cuori, anzi, in loro c'era una sorta di "ammirazione" per i "forti" per i potenti, per gli assassini e disprezzo per le vittime.
Posso anche citare le parole di un "amico": "beh, diciamocelo, voi siete molto antipatici...."
Allora?
Allora è permesso tutto, è permesso che il giovane Ilan Halimi, a Parigi, venga linciato perché ebreo, è permesso che a Toulouse tre bambini e il loro padre vengano rincorsi e ammazzati perché ebrei, è permesso che in tutta Europa, in special modo nei paesi "democraticissimi" del Nord, agli ebrei venga consigliato di non farsi riconoscere, è permesso al sindaco di Napoli si sponsorizzare, coi soldi dei napoletani silenti, la "Flotilla" degli innamorati dei terroristi di Gaza. Bisogna dire però che lui, il De Magistris, è coerente con i propri sentimenti perché, a quanto scrivono i media, pare abbia rifiutato di partecipare alle celebrazioni del Giorno della Memoria.
Tutto quadra!
E' permesso infine, e di questo me ne vergogno, a Giorgio Gomel, un ebreo romano, dire che lui non considera "fratelli" i componenti della la Famiglia Fogel, sgozzata a Itamar, ma "coloni".
E' di oggi la notizia che gli ebrei ungheresi saranno i primi a boicottare il Giorno della Memoria a causa dell'antisemitismo che governa quel paese e dopo che Sandor Szakali, direttore del "Centro per le Verità Storiche", sponsorizzato dallo Stato, ha dichiarato che il massacro di mezzo milione di ebrei ungheresi non è stato altro che "un'operazione di polizia contro "stranieri".
Bravi Ebrei d'Ungheria, non andate alle celebrazioni, a voi non servono, i vostri morti sono dentro di voi, nelle vostre case, nella vostra anima. Sono là sotto le ceneri, nelle fosse comuni. Non andate!
Il 27 gennaio non ha per me alcun significato, per noi ebrei, esclusi quelli che Ugo Volli chiama "diversamente ebrei" e che io definisco in altro modo, la Memoria è nella nostra carne e l'unico giorno che io riconosco e sento mio per ricordare "ufficialmente", come Popolo, i nostri 6 milioni di morti, il nostro milione e mezzo di bambini, è Yom haShoà, Il giorno del ricordo della Shoà, quando non servono discorsi e tutta Israele si ferma all'urlo delle sirene che ti strazia il cervello e il cuore.

(Informazione Corretta, 22 gennaio 2014)


Nelle carceri americane scoppia la passione per il cibo kosher

Anche i detenuti non credenti chiedono trattamenti speciali, ma i pasti ebraici costano quattro volte tanto.

di Francesca Berardi

Nelle prigioni americane sta esplodendo la passione per il cibo kosher, anche tra i detenuti non ebrei. La speranza dei carcerati, spiega il New York Times in un lungo articolo sulla prima pagina di oggi, è di trovarsi così sul vassoio pietanze più fresche e cucinate con più cura. L'aumento esponenziale delle richieste, mosse in nome del diritto alla libertà religiosa, sta preoccupando le amministrazioni dei sistemi carcerari e scatenando cause legali: un pasto kosher costa infatti almeno quattro volte quello che viene servito normalmente.
E così che in Stati come la Florida, terza in America per il numero di prigionieri, una corte federale ha decretato che solo "i detenuti con una sincera fede religiosa" possono richiedere trattamenti speciali, e che negli altri casi saranno le carceri stesse a decidere. Nello Stato del Sole il sistema delle prigioni ha già infatti un buco in cassa da 58 milioni di dollari e al momento sono più di 4.400 i detenuti a richiedere cibo idoneo alla religione ebraica. A fornire i numeri sulla questione è stato il segretario del Dipartimento di correzione della Florida, Michael Crews: un pasto standard costa ai contribuenti circa un dollaro e mezzo mentre uno kosher quasi cinque. "E' pane e acqua considerato cibo kosher?", ha chiesto, in tono palesemente provocatorio, il presidente della commissione di giustizia al Senato della Florida, il repubblicano Greg Evers.

America24, 21 gennaio 2014)


I pionieri di Giudea-Samaria lanciano una campagna anti-Kerry

GERUSALEMME, 21 gen - "Non ci arrendiamo a Kerry... Difendiamo il nostro Paese": questi gli slogan che accompagnano una gigantografia del segretario di Stato John Kerry esposta su un alto edificio a breve distanza dal ministero degli esteri israeliano a Gerusalemme. L'iniziativa giunge dal movimento dei pionieri che in parallelo ha avviato una vasta campagna di sensibilizzazione per convincere gli israeliani ad osteggiare un 'accordo-quadro' in fase di elaborazione nel contesto delle trattative di pace con i palestinesi.
In vistosi annunci a pagamento sulla stampa, il movimento dei pionieri rileva che in passato anche primi ministri come Menachem Begin (Likud), Yitzhak Rabin (laburista) e Ariel Sharon (Likud, poi Kadima) si opposero strenuamente all'ipotesi di un ritiro israeliano dalla valle delle Giordano, attualmente discusso al tavolo dei negoziati.
Un altro annuncio presenta il presidente dell'Anp, Abu Mazen, il negoziatore palestinese, Saeb Erekat, e i negoziatori israeliani (Tzipi Livni e Yitzhak Molcho) come altrettanti fiammiferi che stanno per bruciare su iniziativa di Kerry. "C'e' qualcosa che brucia, - si legge nel testo allarmato - nuovi accordi di Oslo (ossia, israelo-palestinesi, ndr) sono imminenti". Una prospettiva che evidentemente i pionieri vedono con allarme perché significherebbe per loro evacuazioni in massa.

(Fonte: ANSAmed, 21 gennaio 2014)


Netanyahu: "Presto una dura lezione ad Hamas”

Il primo ministro canadese Stephen Harper e Benjamin Netanyahu
GERUSALEMME, 21 gen. - Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha minacciato di dare "molto presto una lezione ad Hamas" in risposta ai continui lanci di razzi su Israele dalla Striscia di Gaza. "Se Hamas e altre organizzazioni terroristiche hanno dimenticato la lezione, gliene daremo un'altra in modo più duro e molto presto", ha detto il premier, citato dal suo portavoce.
I PRECEDENTI - Nella notte fra lunedì e martedì infatti almeno un razzo è stato lanciato verso il territorio israeliano senza provocare né vittime né danni; domenica scorsa un dirigente della Jihad Islamica è stato gravemente ferito in un raid aereo israeliano, rappresaglia per un precedente attacco missilistico. Dal primo gennaio ad oggi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso il territorio israeliano 13 razzi, cinque dei quali intercettati dal sistema di difesa antimissile Iron Dome.
TEHERAN - C'è poi la questione iraniana ad agitare, more solito, la politica israeliana. Paragonando le ambizioni nucleari di Teheran a un treno in corsa, Netanyahu ha chiesto alla comunità internazionale di "far deragliare il convoglio" per impedire di all'Iran di dotarsi di un'arma nucleare che costituirebbe "una minaccia per la pace, la sicurezza e la stabilità nella regione". L'intesa - assai criticata da Israele - prevede che l'Iran conservi la metà dello stock di uranio arricchito al 20% per alimentare il reattore di ricerca di Teheran mentre il rimanente verrà diluito al 5%; inoltre, ulteriori operazioni di arricchimento verranno sospese per sei mesi così come la costruzione o l'ampliamento di nuovi siti. In cambio, le sanzioni di Stati Uniti ed Unione Europea in vigore in determinati settori verranno allentate, mentre rimarranno invariate le sanzioni commerciali e finanziarie americane così come quelle imposte dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu; per un periodo di sei mesi infine non verranno imposte nuove sanzioni oltre a quella già esistenti. Un simile accordo è ritenuto pericoloso da Israele.
LA REPLICA - Netanyahu, oggi in conferenza stampa congiunta con il primo ministro canadese Stephen Harper (il Canada ha deciso di mantenere sanzioni integrali contro il regime degli ayatollah), ha formulato una proposta ben più dura: all'Iran va impedito non solo di ''ottenere armi nucleari, ma anche di avere la capacià di creare queste armi''
AUSCHWITZ - L'uscita pubblica di Netanyahu arriva nel giorno della presentazione delle cerimonie indette al campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau (Polonia) in occasione del Giorno internazionale della Memoria della Shoah il 27 gennaio. Vi parteciperà la delegazione più imponente mai inviata da Israele. Vi faranno parte 250 personalità fra cui: 55 deputati della Knesset (su un totale di 120); il presidente della Knesset; sei ministri; il rabbino capo ashkenazita; il direttore del Museo dell'Olocausto Yad va-Shem; e giudici della Corte Suprema.

(Fonte: Quotidiano.net, 21 gennaio 2014)


Hamas schiera uomini al confine di Gaza per fermare i missili contro Israele

Hamas ha dispiegato centinaia dei suoi uomini lungo il confine fra la Striscia di Gaza e Israele per fermare il lancio di missili verso lo stato ebraico. Lo ha riferito la radio israeliana. A quanto riferisce una fonte della sicurezza palestinese, citata dal sito Ynet news, Hamas aveva già convocato sabato diverse fazioni palestinesi per chiarire la necessità di fermare ogni lancio di missili, in modo da evitare rappresaglie israeliane. Secondo i media israeliani vi sono state anche pressioni da parte egiziana verso Hamas per evitare una nuova escalation fra Israele e la Striscia di Gaza in seguito alla recente ripresa di lanci di missili verso il sud dello stato ebraico. La scorsa notte sono stati lanciati due missili verso Eilat.

(OnlineNews, 21 gennaio 2014)


Beirut: esplosione nella roccaforte degli Hezbollah

Una forte esplosione ha colpito questa mattina il quartiere meridionale di Beirut di Haret Hrik, roccaforte del movimento sciita di Hezbollah. Nelle prime immagini mostrate dalla tv libanese, un edificio di alcuni piani in fiamme.
Video

(la Repubblica, 21 gennaio 2014)


Tutta la verità su Israele e i cosiddetti palestinesi (parte seconda)

Dopo la prima parte pubblicata lo scorso 19 gennaio proseguiamo con la nostra "operazione verità" mirata a far capire all'uomo della strada come stanno effettivamente le cose in Medio Oriente nel tentativo di dare un quadro realistico del problema israelo-palestinese.
Punto 3: gli aiuti internazionali ai "poveri" palestinesi
Come se non bastasse una organizzazione Onu dedicata unicamente ai cosiddetti palestinesi la comunità internazionale è molto prodiga di aiuti economici diretti alla cosiddetta Palestina, aiuti quantificabili in miliardi di dollari annui che però finiscono sistematicamente nelle tasche dei leader palestinesi o nell'acquisto di armi. Non è affatto facile ottenere i dati degli aiuti destinati ai palestinesi ma noi ci siamo riusciti e ne abbiamo fatto un report che potrete trovare qui. Dal report si evince con chiarezza che i cosiddetti palestinesi ricevono aiuti finanziari in misura decisamente sproporzionata rispetto ad altre realtà in via di sviluppo e messe in situazioni decisamente peggiori di quanto non lo siano i palestinesi....

(Right Reporters, 21 gennaio 2014)


Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non ha ancora conosciuto come si deve conoscere. Ma se uno ama Dio, egli è conosciuto da lui.
Prima lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi, cap. 8






 

Netanyahu: l'accordo con l'Iran non gli impedirà di avere l'atomica

GERUSALEMME 20 gen. - L'accordo sul nucleare iraniano entrato in vigore lunedì non impedirà a Teheran di possedere un'arma atomica: lo ha affermato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in un intervento parlamentare.

(TMNews, 21 gennaio 2014)


Quel derby tra Israele e Palestina giocato dall'altra parte del mondo

Storia di un corto circuito politico calcistico in Cile. Con la Fifa spettatrice interessata.

di Maurizio Stefanini

 
L'equivalente di 1300 dollari di multa e il divieto di usare ancora le nuove magliette inaugurate a dicembre: così la Federazione calcistica cilena ha dato ragione a un ricorso originato dalla comunità ebraica contro il Deportivo Palestino di Santiago per aver sostituito al numero uno una mappa della Palestina senza indicazione dei confini israeliani. "Deve essere al bando ogni forma di discriminazione politica, religiosa, sessuale, etnica, sociale o razziale", ha spiegato la Federazione. "per noi la Palestina Libera sarà sempre la Palestina storica e niente di meno", ha risposto il Palestino sulla sua pagina Facebook.
   "Con il Palestino dobbiamo avanzare/ perché da Oriente ci arriva la luce/ è vita, forza, allegria e pace/ che abbiamo trapiantato alla nostra gioventù", proclama l'inno del Club Deportivo Palestino, la squadra che è attualmente in testa al campionato cileno. Ma in questo momento invece che alla pace sta portando a una vera e propria guerra di polemiche, che mescolano calcio e politica in una miscela inedita e pericolosa. Tutto per la sua nuova maglietta, che sostituisce al numero uno una stilizzazione della cartina della Palestina ai tempi del mandato britannico come esistette dal 1920 al 1948: dopo, cioè, che il territorio fu ritagliato con la Pace di Sèvres dal territorio dell'Impero Ottomano, in particolare separandolo da quella Transgiordania che in origine era stata prevista come sua componente; e fino alla guerra del 1948, che lo divise tra Stato di Israele e i territori di Cisgiordania e Gaza.
   Ma il 1920 è anche l'anno in cui il Club Deportivo Palestino fu fondato, da un gruppo di emigranti cileni in Cile. Il Paese all'estremità del Sud America ospita infatti una colonia di almeno 300.000 oriundi palestinesi soprattutto di religione cristiana ortodossa, la cui maggior parte si trovava già in Cile prima degli eventi del 1948. Questa comunità, che è la più numerosa della diaspora palestinese fuori dal Medio Oriente, ha dato al Cile personalità di spicco come il ministro dell'Economia del "Perón cileno" generale Ibañez e poi senatore della coalizione di Allende Rafael Tarud, i banchieri e re dei media Carlos Abumohor Touma e Álvaro Saieh Bendeck, il re dell'immobiliare José Said, il regista e scrittore Miguel Littín. I palestinesi in Cile sono abitualmente associati a quell'immagine di imprenditori sagaci e aggressivi altrove spesso attribuita agli ebrei, e il Palestino è anche chiamato "club milionario" per i soldi che vi furono investiti al momento della fondazione. Campione del Cile nel 1995 e 1978, secondo nel 1953, 1974, 1986 e 2008, vincitore della Coppa del Cile nel 1975 e 1977, fondato in origine nella città meridionale di Osorno ma attualmente con sede a Santiago, il Palestino è tradizionalmente contrapposto da una animosa rivalità con altre due squadre della serie A cilena anch'esse fondate da emigranti: l'Audax Italiano La Florida, nato nel 1910; e la Unión Española, nata nel 1897." Clàsico de colonias" viene chiamato il derby in cui si affrontano due tra queste tre squadre. Qualcosa del genere la troviamo d'altronde anche in Brasile, anche se lì le due Palestra Italia di San Paolo e Belo Horizonte dovettero cambiare il nome rispettivamente in Palmeiras e Cruzeiro nel 1942, al momento in cui il governo dichiarò guerra al regime di Mussolini. Sempre in Brasile fu invece fondato da immigrati portoghesi il Vasco de Gama di Rio de Janeiro, mentre il Grêmio di Porto Alegre è la storica espressione della comunità tedesca.
   In tutti questi casi però la originaria affiliazione etnica è rimasta come un lontano legame sentimentale. Con l'intricata situazione in Medio Oriente, invece, l'uso da parte del Palestino della stessa bandiera bianca, rossa, verde e nera di Al Fatah ha sempre mantenuto il tifo su un maggior tono ideologico. Ulteriorrmente accentuato da quando nel 1998 l'Autorità Nazionale Palestinese è riuscita a far accettare dalla Fifa una rappresentanza in cui i giocatori del Deportivo Palestino, unica società calcistica professionista palestinese del mondo, hanno sempre fornito un contingente importante. Col processo di Oslo, bandiera e nome della Palestina sono stati riconosciuti da Israele, ma diverso è però il caso di una mappa che sembra evocare piuttosto gli slogan di Hamas o dell'Iran sulla "cancellazione dell'Entità Sionista". "Rifiutiamo l'importazione del conflitto del Medio Oriente in Cile, ci aspettiamo sanzioni della Asociación Nacional de Fòtbol Profesional de Chile al Club Palestino per aver infranto norme della Fifa", ha protestato il presidente della Comunità Ebraica del Cile Gerardo Gorodischer. "Lamentiamo profondamente che i sionisti cileni pretendano di importare il conflitto del Medio Oriente nel nostro Paese cercando con ciò di infangare la storia e l'apporto fondamentale che il club ha realizzato nel Paese", ha risposto la Federazione Palestinese del Cile. Tecnicamente la comunità ebraica cilena, non più di 20.000 persone, non potrebbe chiedere alla Anfp di pronunciarsi sulla maglietta di una squadra. Ma un'altra squadra sì, e il ricorso lo ha fatto la Ñublense: una piccola squadra del Sud, il cui presidente Patrick Kiblisky è collegato alla Comunità Ebraica, e che ha accusato il Palestino di aver utilizzato una mappa invece di un numero e di alludere a temi politici.
   In teoria, se il contenzioso dovesse finire alla Fifa il Palestino potrebbe essere addirittura radiato. La polemica si è fatta più rovente perché durante la partita tra Deportivo Palestino e Universidad de Chile, quest'ultima peraltro espressione di un'istituzione di nota derivazione massonica, i tifosi hanno finito per fraternizzare agitando cartelli anti-israeliani e anti-semiti. Da un "Palestina libera" con una stella di Davide cancellata, fino addirittura a una svastica.

(Il Foglio, 20 gennaio 2014)


Nuovo scudo anti-missilistico israeliano

Le Forze di Difesa israeliane prevedono di schierare l'anno prossimo un nuovo scudo anti-missilistico, noto col nome di "Raggio di ferro", che si avvale di un raggio laser per far esplodere razzi a corto raggio e bombe di mortaio. Lo ha annunciato domenica un funzionario della Difesa. Il sistema è progettato per fare fronte agli ordigni con una traiettoria troppo corta per essere efficacemente intercettati da "Cupola di ferro", il sistema israeliano già in funzione cui viene accreditato un tasso di successo dell'80% contro i razzi lanciati da terroristi palestinesi di Gaza verso zone israeliane densamente abitate.

(israele.net, 20 gennaio 2014)


Oltremare - Il giallo
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Nella Casa degli Artisti sotto casa mia è in corso una bella mostra, che nessun israeliano avrebbe veramente bisogno di vedere. Ai muri bianchissimi sono appesi quadri enormi quasi completamente monocromatici che vanno dal giallino all'ocra, con qualche pennellata di marroncino e una virata al rosa qua e là. Sono orizzonti appena definiti da linee in lontananza. Titolo: chamsin. Cioè sharav o scirocco.
Come già accennato in precedenti Oltremare, il chamsin è una condizione atmosferica a dir poco sgradevole fatta di sabbia in sospensione nell'aria, caldo soffocante e vento caldo. Non risparmia niente e nessuno. La vegetazione si accartoccia, i gatti vanno al rallentatore per giorni in attesa di tempi migliori, noi umani anche stando tappati in casa o in ufficio in aria condizionata non stiamo meglio: la pelle tira, la sete aumenta e non si placa.
E c'è questo effetto visivo, di ingiallimento di tutto quello che ci circonda.
Io poi, cittadina per eccellenza, il chamsin lo sento arrivare. Manco fossi un contadino con 50 generazioni di terra sotto le unghie. Mi dà un preavviso di 36/24 ore: una notte insonne, un senso di irrequietezza senza apparenti ragioni, la gola secca. Il giorno dopo il telegiornale regolarmente annuncia l'arrivo del chamsin, e io mi dico "ah, ecco!" Ma tanto, preavviso o meno, ha da passare e non ci si può fare molto.
Ecco, la rassegnazione con la quale qui si vivono quelle giornate infinite di caldo soffocante, nelle quali sembra che il cielo (giallino-rosato) si sia trasformato in un immenso phon (nel senso dell'asciugacapelli), è un vero traguardo per me. Mi preparo con solerzia e imparo dagli errori, ma per adesso il risultato è lontano dall'essere raggiunto. Consumo ettolitri di acqua e chili di crema idratante. Ancora oggi, dopo sei anni in Israele, un chamsin di oltre due giorni mi spezza le gambe e impedisce ogni pensiero costruttivo. Ma verrà il giorno che anche io riderò del chamsin, giuro.

(moked, 20 gennaio 2014)


L'Europa imiti l'Egitto e metta al bando i Fratelli Musulmani

I fanatici islamici che stavano consegnando Il Cairo al terrorismo sono al lavoro nelle nostre moschee

di Magdi Cristano Allam

Così come ringraziamo il Signore per l'esistenza dello Stato di Israele, oasi di democrazia e roccaforte inespugnata dal terrorismo islamico che si prefigge di annientarlo in ottemperanza agli ordini impartiti da Allah nel Corano e messi in atto da Maometto massacrando gli ebrei, noi non finiremo di ringraziare il generale Abdel Fattah Al Sisi, comandante supremo dell'Esercito egiziano, per aver messo fuorilegge i Fratelli Musulmani quale organizzazione terroristica, restituendo l'Egitto a un regime laico.
   La nuova Costituzione è stata approvata con il 98,1% dei votanti, con un'affluenza alle urne pari al 38,6%, superiore a quella del referendum che nel 2012 approvò una Costituzione basata sulla sharia, la legge coranica, imposta dall'allora presidente Mohammed Morsi destituito a furor di popolo il 3 luglio 2012. Ormai è quasi certo che Al Sisi si candiderà alle prossime elezioni presidenziali e diventerà il nuovo capo dello Stato. Si prevede una vittoria plebiscitaria. La presenza di Israele, da un lato, e dell'Egitto laico dall'altro, rappresentano una maggiore garanzia all'Europa e all'insieme dell'Occidente dal rischio reale del dilagare del terrorismo islamico. Al fine di metterci ancor più in sicurezza ed erigere una diga di sana laicità a salvaguardia della nostra civiltà umanistica e dello stato di diritto, dobbiamo sostenere il presidente siriano Bashar Al Assad e impedire in tutti i modi che prevalgano i terroristi islamici, sia quelli neanche tanto mascherati dei Fratelli Musulmani sia quelli del tutto espliciti di Al Qaida. Ma è veramente sconvolgente come quest'Occidente continui ad oggi non solo a legittimare i Fratelli Musulmani ma persino a collaborare con Al Qaida. Nonostante che l'Unione Europea e gli Stati Uniti considerino Hamas, che sono i Fratelli Musulmani nei Territori palestinesi, un'organizzazione terroristica, consentirono nel gennaio 2006 sia l'avvento al potere di Hamas sia l'ingresso di 88 deputati dei Fratelli Musulmani nel Parlamento egiziano. Così come, nonostante gli Stati Uniti abbiano sferrato due guerre, in Afghanistan e in Iraq, per sconfiggere Al Qaida, oggi combattono addirittura al fianco di Al Qaida in Siria!
   Ma anche Israele ha commesso un errore madornale in Siria intervenendo con azioni mirate per indebolire militarmente Assad, forse immaginando che alimentando l'incendio e favorendo la devastazione totale e il vuoto di potere si ritroverebbe con un contesto più favorevole. Sono invece fermamente convinto che Israele debba stare sempre e comunque contro il terrorismo islamico. Con i laici e i nazionalisti arabi è comunque possibile dialogare, tanto è vero che la frontiera tra la Siria e Israele è rimasta tranquilla dal 1971. Per contro gli islamici escludono pregiudizialmente la pace con Israele e disconoscono sulla base della prescrizione coranica il diritto all'esistenza del popolo ebraico.
   Oggi Israele ha un'occasione d'oro per consolidare l'accordo di pace con il nuovo Egitto di Al Sisi, offrendo aiuti economici di cui ha una necessità vitale per stabilizzare il consenso interno. Israele potrebbe anche avviare un accordo di pace con la Siria di Assad schierandosi decisamente contro i terroristi islamici, offrendogli un'opportunità per alleggerire la sua dipendenza dall'Iran e da Hezbollah. Quanto a noi, in Italia, in Europa e in Occidente, dovremmo seguire le orme di Al Sisi e mettere subito al bando i Fratelli Musulmani, vietare che i loro esponenti gestiscano le moschee che proliferano come funghi dentro casa nostra. Ricordiamoci che quando l'esercito dovette dare il colpo di grazia alle bande terroristiche dei Fratelli Musulmani, fu costretto a irrompere nella moschea di Al Fath al Cairo, che avevano trasformato in arsenale e dal cui minareto i cecchini sparavano sui soldati. O dobbiamo aspettare che lo stesso accada nella Grande moschea di Roma, dove sono già stati espulsi due imam per apologia di terrorismo, per essere costretti ad affrancarci dal torpore dell'islamicamente corretto?

(il Giornale, 20 gennaio 2014)


La retorica fa male alla memoria

di Pierluigi Battista

  
Malgrado il tono perentorio e assertivo del titolo appena pubblicato dall'editore Add, “Contro il giorno della memoria”, di Elena Loewenthal, non è un pamphlet scritto per «suscitare polemiche», né per «scandalizzare e indignare» alla vigilia del 27 gennaio. È invece un tentativo sofferto e intelligente di capire ciò che disturba un'intellettuale ebrea nata un po' di anni dopo la Shoah, e che coltiva con la Shoah quella che chiama un'ossessione e che su quest'ossessione scrive romanzi, e che ironicamente afferma che la Shoah è nella sua vita e nella sua mente «una presenza costante di cui farei volentieri a meno», come «un'ombra greve che mi pesa addosso facendo di me, così come di chi mi ha messo al mondo, una sopravvissuta», è un tentativo dunque di capire perché «il Giorno della memoria mi disturba».
Nato da una decina d'anni come ricorrenza civile che vuole segnare un «tributo di civiltà a chi è stato vittima della barbarie», gli ebrei, e come «progetto educativo» che deve coinvolgere scuole, istituzioni, agenzie pubbliche chiamate a svolgere un ruolo di pedagogia morale e nazionale, il «Giorno della memoria» coltiva in sé un'insopprimibile contraddizione. Obbliga a ricordare sempre la stessa tragedia storica, la Shoah, ma ogni anno cercando sempre una forma nuova per non ripetersi identica a se stessa. Ogni anno che passa, osserva Elena Loewenthal che infatti si è programmaticamente dichiarata indisponibile a partecipare a qualsivoglia manifestazione commemorativa nelle 24 ore di quel Giorno, gli editori, i giornali, le istituzioni cercano con un po' di anticipo «trovate» originali che rinnovino il senso di una memoria, senza scivolare nell'ovvio, nel già visto, nel convenzionale.
Quella di Elena Loewenthal non è insomma l'osservazione critica, che pure si sente in una sfera del non detto pubblico e privato, e che non si esprime in forme esplicite per la paura di toccare una sensibilità troppo sovraccarica di emozioni tragiche, sul fatto che ogni anno la ricorrenza si possa prosciugare, ossificare, diventare banale e ripetitiva routine. No, è soprattutto un'analisi impietosa dell'assunto che sta a base di una iniziativa lodevole e nata con le migliori intenzioni: l'assunto secondo il quale il ricordo pubblico, mentre i sopravvissuti se ne vanno e svanisce fatalmente l'esperienza di una memoria diretta dello sterminio, possa fare da antidoto alla ricaduta nella barbarie. Sapere e conoscere per non commettere mai più quei crimini che hanno macchiato indelebilmente la coscienza e l'umanità intera. La Loewenthal costruisce questo suo libretto appassionato e feroce sferzando le parole vuote della retorica. E ricorda che in Israele la Shoah viene ricordata ogni anno senza parole: «un minuto di sirene» che squassano l'aria in tutto il Paese contemporaneamente, mentre tutto si ferma «in assoluto e immobile silenzio». Un lungo minuto («non vedi l'ora che sia passato») che dice molto più di tante parole vacue e convenzionali. Questo è il senso della «provocazione» di Elena Loewenthal.

(Corriere della Sera, 20 gennaio 2014)


L'Unesco cancella una mostra sul legame tra popolo ebraico e Terra d'Israele

Centro Wiesenthal: l'agenzia Onu per la cultura rischia di ridursi a portavoce della "versione araba" della storia.

A meno di una settimana dall'inaugurazione, l'Unesco ha cancellato una mostra che documenta i 3.500 anni di legami ebraici con la Terra d'Israele. L'agenzia Onu per l'istruzione, la scienza e la cultura ha rinviato sine die l'inaugurazione dell'evento, che doveva aver luogo lunedì presso la sua sede di Parigi, dicendo che "potrebbe essere percepito dagli stati membri come una minaccia al processo di pace". Così ha scritto mercoledì scorso il direttore generale dell'Unesco, Irina Bokova, al Centro Simon Wiesenthal di Los Angels, co-organizzatore della mostra....

(israele.net, 20 gennaio 2014)


De Magistris "il palestinese" diserta la presentazione della Giornata della Memoria

di Fabrizio Ferrante

Polemiche a Napoli per l'ennesimo atteggiamento di de Magistris percepito come anti-israeliano dalla Comunità Ebraica napoletana e da associazioni a questa vicine. Stavolta de Magistris si è reso artefice non di un'azione ma di un'omissione, avendo disertato la conferenza stampa di presentazione, tenutasi ieri, della Giornata della Memoria.
Quella fra gli ebrei napoletani e l'amministrazione in carica è una partita che ormai dura dall'inizio del mandato di Luigi de Magistris e, sebbene a parole tutti siano per il dialogo e la pace, da Palazzo San Giacomo è ormai sempre più chiara la presa di posizione a favore di una sola parte del conflitto: quella palestinese. Ormai, evidentemente, lo strappo è così ampio che neppure la forma viene salvata e, con l'assenza alla conferenza di presentazione del 27 gennaio, Giornata della Memoria, il sindaco rischia di fondere tragici eventi storici con l'attualità. Col risultato, seppur inconsapevole, di mancare di rispetto alle tante vittime che a Napoli hanno perso la vita o sono state deportate in quegli inferni chiamati campi di concentramento.
Dunque dopo l'adesione e il patrocinio del Comune a Freedom Flotilla, avvenuta nel 2012, la cittadinanza onoraria reciprocamente scambiata fra Luigi de Magistris ed Abu Mazen nel 2013, il 2014 si apre con l'ennesimo schiaffo a Israele, agli ebrei e alla loro storia drammatica che, per comodità, qualcuno vuole oggi insabbiare. Al punto che, dopo che il tandem de Magistris-Sodano ha ritenuto di avere di meglio da fare nella giornata di ieri, il Comune si ostina a negare spazi dove sia permesso tenere gratuitamente delle conferenze in memoria della Shoà. Questo fanno sapere dall'associazione Memoriae e da Italia-Israele. La prima, in particolare, ha precisato attraverso una nota come ormai da due anni sia necessario trasferire il tutto a Salerno, dove evidentemente vige ben altro rispetto della storia, a Napoli sacrificata all'ombra dell'ideologia e della sempre più marcata adesione ideale (e non solo) di un sindaco occidentale alle posizioni antidemocratiche e filoterroriste di Hamas. La stessa organizzazione che protegge chi, pochi giorni prima del viaggio di de Magistris in Palestina, uccise oltre 150 persone con un attentato ai confini fra la striscia di Gaza e Israele.
Per la cronaca, alla conferenza con il rabbino capo del Meridione, Scalom Bahbout e il maestro Filippo Zigante, hanno presenziato gli assessori Annamaria Palmieri e Nino Daniele. E chissà che, in una Napoli che strizza l'occhio all'antisemitismo o perlomeno all'odio verso Israele, questi due assessori non rischino di pagare un costo politico per la loro presenza. Costo che, in quel caso, equivarrebbe a una medaglia da appuntarsi sul petto.

(Italia 24 ore, 20 gennaio 2014)


Un Nobel per la presidenza d'Israele

A sorpresa lo scienziato israeliano Dan Schechtman ha annunciato la sua candidatura alla successione di Shimon Peres.

Dan Schechtman
Il premio Nobel per la chimica 2011, Dan Schechtman (72) ha avanzato a sorpresa la propria candidatura alla carica di capo dello Stato di Israele in successione a Shimon Peres, il cui mandato scadrà fra alcuni mesi.
In una intervista televisiva Schechtman ha convenuto di non aver ancora chiesto il parere dei partiti politici, il cui sostegno è necessario per la elezione a cui partecipano i 120 deputati della Knesset. Ma ha anche rilevato di sperare che dieci deputati sostengano almeno la sua candidatura.
Dopo di che cercherà di organizzare in proprio favore un movimento di opinione. Da oggi sul web è stata aperta una petizione ("Dan for President") che in poche ore ha raccolto quattromila firme. Schechtman (che anticipa di volersi impegnare per il rilancio della educazione e della tecnologia in Israele) è una figura di spicco del Technion, l'Istituto politecnico di Haifa.

(RSI.ch, 19 gennaio 2014)


Storia di una mania

di Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche

"Ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, La Cavallina Storna o Il sabato del villaggio". Il dietologo in questione è Umberto Eco, e chi riceve il consiglio è suo nipote, destinatario di una lettera pubblicata sull'Espresso un paio di numeri fa insieme ad altre tredici di altrettanti prestigiosissimi padri e nonni. Un'operazione di quelle portatrici di una marea di buoni sentimenti tipica da inizio anno, e dunque di copie comodamente vendute. Ma stavolta chi se ne importa: qui c'è qualcuno di sufficientemente autorevole che spalleggia e alimenta le mie manie da secchiona. Perché di solito l'affermazione "mi diverte imparare cose a memoria" desta sempre meraviglia forse mista a un po' di compatimento, e la minaccia di mettersi a ripetere versi della Divina Commedia è molto utile quando si vuol essere lasciati in pace. Mai nessuno che si entusiasmi, nemmeno i più appassionati fra i compagni di università, e alla fine bisogna farci l'abitudine. Questa dunque, evidentemente, è la storia di una sociopatica, iniziata alle elementari con la filastrocca del vigile urbano che ferma i tram con una mano. Tutta colpa di Gianni Rodari in pratica. Poi proprio quando il passaggio a Pascoli preannunciava un roseo avvenire, Federico Moccia a tutto spiano insidiava la dignità di una futura aspirante letterata chic. Ed è ancora lì nitidissimo, sciagurato. Insomma, alla fine l'alta concentrazione di professori del liceo assai vecchio stile che facevano imparare versi a fiumi è stata il colpo finale. Ormai era diventata una fissazione personale. E così via a imparare che il 5 maggio ei fu, o che l'amore è così dolceamaro, o che quanto piace al mondo è breve sogno, per il puro piacere di riempire la bocca di parole incantate. Ovviamente qualcosa è entrato in testa anche per inerzia, tipo l'haggadah riletta ogni anno o Notte prima degli esami cantata prima di ogni esame. E tutto sta lì a fortificare sempre più la cultura ma soprattutto la stessa memoria, che "è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce", come dice Eco, ma deve pur esserci anche qualche studio scientifico dell'università dell'Illinois. Dunque - un po' per razzolare bene dopo aver predicato e un po' per sano sfoggio di erudizione, qua tocca tirar fuori Ariosto - "vostri alti pensier cedino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco".

(moked, 19 gennaio 2014)


Considerazioni aggiuntive di un ex studente ex giovane


Nei quattro Vangeli la parola «Israele» compare 30 volte, e la parola «chiesa» compare 3 volte.



 

Un sms annuncerà la guerra

Nell'ambito della progressiva informatizzazione l'Esercito israeliano nelle prossime settimane verrà introdotto un sistema che avvertirà con un sms i militari della Riserva - la maggioranza dei soldati impegnati nella Difesa di Israele - dello "stato di allerta" e della convocazione presso i loro comandi in caso di guerra. I riservisti dovranno identificarsi prima di poter leggere il messaggio che conterrà anche altre disposizioni relative alle operazioni in corso e informazioni sulla situazione sul terreno. Se ne dovrebbe ricavare una gran velocità di esecuzione per la mobilitazione generale. Presto tutti i soldati in servizio di leva nell'Idf avranno in dotazione uno speciale smartphone dal quale riceveranno ordini operativi, mappe e anche le immagini che i Droni - gli aerei senza pilota - invieranno dall'alto alle forze in campo.

(la Repubblica-blog, 19 gennaio 2014)


Silicon Valley in riva al Mediterraneo

In Israele un polo hi-tech a 15 minuti da Tel Aviv è la capitale delle start-up. Qui giovani imprenditori e creativi attirano investimenti da Apple, Facebook e Google. "La Storia ci fa mettere in discussione e le incertezze del Medio Oriente, ci obbligano a moltiplicare le invenzioni di successo".

di Maurizio Molinari

Social Lab di Tel Aviv
Chi vuole affacciarsi sulla Silicon Valley d'Israele può farlo dal numero 1 della Hasharon Street. Siamo a 15 minuti di auto da Tel Aviv, meno di un'ora da Gerusalemme o Haifa, praticamente nel centro delle tre maggiori regioni economico-industriali di Israele.
  È qui che sorge Air Port City, il «business park» vetrina dell'Information Technology che ha trasformato lo Stato ebraico nella nazione delle start-up attirando negli ultimi due anni almeno 14 miliardi di investimenti da parte dei giganti dell'economia digitale. È un complesso di edifici e padiglioni dove gli eventi si succedono a ritmi serrati, punto d'incontro fra innovatori e investitori. Il prossimo sarà a metà febbraio. CleanTech è l'unica fiera internazionale della tecnologia ecocompatibile e quest'anno vedrà oltre 600 aziende israeliane presentare i loro gioielli. Cartelli pubblicitari in loco e inserzioni online illustrano l'evento in giapponese, cinese, coreano e inglese preannunciando da dove è attesa la maggioranza degli imprenditori stranieri.
  Ad accompagnarci fra i padiglioni con l'allestimento quasi terminato è Denes Ban, ceo di OurCrowd Venture ovvero il talent scout delle start-up. Quest'anno Ban ha raccolto 31 milioni di dollari per offrire a 30 giovani imprenditori hi-tech la possibilità di affacciarsi sul mercato globale staccando assegni da 1 milione di dollari. OurCrowd è il fondo di investimento più attivo del Paese ed è anch'esso una star-up perché somma crowdfunding e venture capital. «Esaminiamo ogni start-up, su quello che ci convince investiamo con il crowdfunding offrendo ad ogni persona di partecipare - spiega Ban - e poi raccogliamo venture capital come gli altri fondi».
  In questa maniera miliardari e singoli cittadini, israeliani o non, possono diventare inconsapevolmente soci di una stessa azienda. È una dinamica che spiega il proliferare di giovani aziende ad alto tasso tecnologico nei settori più diversi, in un mercato nazionale che continua a espandersi a ritmi da capogiro. Moment.me, creata da Ronny Ekayam e Eilon Tirosh, misura in tempo reale sul web la popolarità di un evento di interesse: che si tratti del giuramento di Barack Obama, di una partita del Real Madrid o del proprio matrimonio, consente di sapere in quanti sulla Rete hanno seguito - o stanno seguendo - un evento, di persona o attraverso conversazioni sui social network.
  Lia Kislev è la creatrice di WiShi - «Wear it, Share it» - un hub digitale che tiene aggiornati su cosa c'è nell'armadio delle amiche o degli amici - per poter condividere i capi di abbigliamento, moltiplicando le possibilità di vestirsi e trasformando gli abiti in un collage di amicizie. Con Wix, Vered Avrahami offre la possibilità di creare un'azienda online e al momento la piattaforma conta 42 milioni di utenti registrati in tutto il mondo, gestiti con sedi a Tel Aviv, San Francisco, New York, Dnepropetrovsk e Vilnius.
  Matan Peled, ex comandante di ricognitori della Marina militare, con Winward permette di monitorare ciò che avviene sulla superficie degli Oceani scoprendo «ogni tipo di anomalie» che possono celare naufragi, barche di terroristi o concorrenza sleale mentre con SimilarWeb Boaz Sasson e Natalie Halimi paragonano i siti sulla base degli accessi dal Desktop, tracciando delle classifiche di popolarità che riservano sorprese. A dimostrarlo è il fatto che, senza calcolare accessi da cellulari e iPad, proprio SimilarWeb ha svelato in agosto che Google ha nella sola America più contatti di singoli utenti che Yahoo nel mondo intero: 9,4 miliardi contro 2,4 miliardi. Nessuna sorpresa se i giganti dell'economia digitale gareggiano nello shopping israeliano.
  Negli ultimi due anni Google, Apple, Intel, Ibm e Cisco hanno fatto acquisizioni pubbliche per 4 miliardi di dollari ma Zack Weisfeld, top manager di Microsoft in Israele, ritiene che «calcolando gli accordi non annunciati si arriva a 14 miliardi di dollari di acquisizioni dal 2012». Con gli ultimi 18 mesi in crescita: Facebook ha acquistato Onavo per 200 milioni di dollari, Apple ha fatto lo stesso con PrimeSense versando 345 milioni di dollari e Google ha sborsato ben 1 miliardo di dollari per avere Waze, l'applicazione che informa sul traffico nelle strade basandosi sul dialogo interattivo fra gli automobilisti. Sono queste le ultime notizie che arrivano dalla «Start Up Nation» descritta nel libro di Dan Senor e Saul Singer nel 2009 quando Israele già vantava il maggior numero di aziende straniere quotate sul Nasdaq.
  Sulla genesi di questo fenomeno Asaf Peled, ceo del colosso dell'informazione digitale FTBpro, osserva: «Sono le incertezze del Medio Oriente ad aver determinato la moltiplicazione di invenzioni di successo». Denes Ban riassume tale originale dinamica in tre fattori convergenti. Primo: «Israele è di per sè una start-up perché è stato creato dal nulla grazie agli immigrati e si trova dall'inizio in una situazione unica, con un mercato interno assai ridotto e intorno nazioni nemiche, ostili, trovandosi obbligato a interagire su scala globale». Secondo: «La formazione culturale ebraica perché il Talmud, studiato negli ultimi 4000 anni, insegna a mettere sempre tutto in dubbio, contestando lo status quo, così come il principio del "Tikun Olam", la riparazione del mondo, spinge costantemente a operare correzioni». Terzo: «Il servizio militare nazionale perché l'esercito israeliano porta ragazzi di 23-24 anni a conoscere la tecnologia più avanzata esistente così come ad assumersi responsabilità insolite in situazioni di alto rischio» oltre al fatto che «i nostri soldati sono noti per contestare i superiori quando ritengono sbagliati gli ordini e ciò contribuisce a svilupparne il carattere di leader».
  Proprio a quest'ultima caratteristica fa riferimento Tal Slobodkin, manager di Cisco System in Israele, spiegando che dal 1998 Cisco ha acquistato 11 start-up israeliane e ha investito in altre 22 «trattandosi di aziende rilevanti nei settori di networking, gestione dei Big Data, sicurezza e video» attingendo alle conoscenze di numerosi ex ufficiali. Nulla da sorprendersi se Guy Pross è fra gli imprenditori più ricercati in Sud Corea: la sua start-up North 31o - la collocazione geografica di Israele - promuove l'uso dell'Information Technology a favore delle infrastrutture. «Che si tratti di trasporti, energia o acqua è lo scambio di tecnologia la strada da seguire - dice Pross -consentire alle start-up di andare oltre le applicazioni e migliorare le infrastrutture». Il termine che Pross adopera per descrivere questa nuova frontiera è «innovazioni mid-tech». Un esempio viene da TaKaDu, che ha sviluppato il software capace di raccogliere Big Data sugli acquedotti - grazie ad un sofisticato sistema di sensori - per intervenire ed eliminare le perdite di acqua potabile che ammontano, ogni anno, al 25 per cento del totale.

(La Stampa, 19 gennaio 2014)


Il paradosso di Ariel Sharon, l'unico israeliano che avrebbe potuto dare uno stato ai palestinesi

Come dice lo storico Benny Morris, se l'ex premier israeliano non fosse stato fermato da un ictus, oggi la separazione fra i due popoli sarebbe cosa fatta.

di Rodolfo Casadei

Secondo Benny Morris, il più importante storico delle origini dello Stato israeliano, se Ariel Sharon non fosse stato colpito da un ictus otto anni fa e non fosse deceduto pochi giorni fa, oggi lo Stato palestinese sarebbe realtà e la separazione fra i due popoli sarebbe cosa fatta. È verosimile.
Dopo avere dedicato cinquant'anni di carriera politica e militare al sogno del Grande Israele e alla colonizzazione dei Territori occupati, Sharon si era reso conto che i fattori demografici e internazionali imponevano al paese di darsi confini definitivi e contenenti il minor numero possibile di palestinesi. Perseguì la nuova politica in modo unilaterale, spiazzando la leadership palestinese con l'evacuazione non concordata di Gaza e mettendosi contro la destra israeliana e i coloni che lo avevano sostenuto. Affermava che i palestinesi non erano in grado di far rispettare gli accordi e che la sua esperienza militare gli consentiva di comprendere quali assetti territoriali erano difendibili e quali no.
La maggioranza degli israeliani accettava queste spiegazioni, e se la malattia non lo avesse fermato avrebbe dato fiducia a Kadima, la sua sfortunata creatura partitica. La politica di Sharon era il corrispettivo della sua visione militare: per prevalere sul nemico bisogna conservare l'iniziativa. Lo Stato palestinese doveva poter esistere, ma in condizioni tali da non rappresentare una minaccia per Israele.
L'immobilismo dei governi succedutisi dopo il 2006, compreso l'attuale di Netanyahu, si è avvantaggiato delle turbolenze del mondo arabo senza pensare al futuro. I nodi verranno al pettine quando gli equilibri del mondo arabo si riassesteranno e Washington concluderà il "grand bargain" con l'Iran.

(Tempi, 19 gennaio 2014)


Sharon non aveva previsto, né forse poteva prevedere, che Hamas avrebbe conquistato con la forza il potere a Gaza, ed è difficile dire se davanti alla pioggia di razzi sul territorio israeliano si sarebbe comportato in modo diverso da quanto è stato fatto. Questa rivalutazione tardiva di Sharon serve soltanto a gettare ombre sull’attuale governo di Netanyahu e quindi danneggia la politica di Israele. “... se Ariel Sharon non fosse stato colpito da un ictus...” ma non si è sempre detto che con i "se" non si fa né storia né politica? M.C.


Tutta la verità su Israele e i cosiddetti palestinesi (parte prima)

Ormai da diversi anni stiamo assistendo a una pesantissima campagna di delegittimazione di Israele e più in generale del popolo ebraico. E' una campagna a volte subdola perché fatta di deliberate omissioni, a volte palese perché fatta di veri e propri attacchi basati spesso sulle menzogne e che vede internet e i social media protagonisti oltre che alcuni organi di stampa.
Questa campagna da alcuni mesi ha assunto le sembianze di un vero e proprio assalto mediatico che a volte è persino grottesco sia per le menzogne plateali che per il largo seguito di cui gode. Ora, è nostra intenzione chiarire alcuni punti, alcune verità che non sono contestabili e lo faremo in più parti perché il discorso è troppo lungo per essere affrontato in una sola volta. E' chiaro che il nostro obbiettivo sono quelle persone oneste che certamente in buona fede cadono nel tranello degli antisemiti e non gli antisemiti stessi che chiaramente non possono essere convinti su qualcosa che conoscono bene pur negandolo....

(Right Reporters, 19 gennaio 2014)


Il rabbino che fece il patto con il diavolo

La storia di Benjamin Murmelstein, accusato dagli ebrei di aver collaborato con i nazisti. Il regista Claude Lanzmann, autore di "Shoah", spiega a "Repubblica" perché in realtà fu anche lui una vittima, in qualche modo "un eroe".

di Bernardo Valli

 
Claude Lanzmann mentre intervista Benjamin Murmelstein
PARIGI - L'ultimo degli ingiusti ha trattato col diavolo. Era un ebreo e per sette anni ha avuto rapporti con Eichmann sterminatore degli ebrei. Era un personaggio non comune. Il suo nome era Benjamin Murmelstein. Rabbino, grande studioso della mitologia, colto, superintelligente, ironico, divertente, luminoso. Così me lo descrive Claude Lanzmann, che incontro nel suo appartamento, vicino al cimitero di Montparnasse. Lui, Lanzmann, l'autore del film destinato a durare come la grande opera sul massacro degli ebrei, difende Murmelstein, non lo giudica come altri un rinnegato, lo considera un uomo sincero che ha salvato decine di migliaia di ebrei. Centoventimila in Austria. Alla domanda se collaborare col diavolo non ponga un problema morale, Lanzmann risponde che dipende dalle circostanze e dagli uomini: e Murmelstein era di una perfetta onestà, era astuto, inventivo, coraggioso, si può dire eroico. Questo è il giudizio dominante nel suo film (L'ultimo degli ingiusti) in cui è posta una questione scottante: la capacità dell'uomo di agire secondo quel che ritiene il suo dovere, la sua etica, al di là delle evidenti e insidiose contraddizioni, anche filosofiche. In concreto, si doveva accettare o ci si poteva piegare perché costretti al non nobile ruolo di guardiano di un campo nazista, e poi tentare di alleviare la sofferenza delle vittime.
   Tanti sono i giudizi opposti a quelli di Lanzmann. Nel mezzo degli anni Ottanta, quando Benjamin Murmelstein morì, il grande rabbino rifiutò di recitare la preghiera per i defunti, e gli negò la sepoltura accanto alla moglie nel cimitero ebraico di Roma. Né in vita gli è stato riconosciuto il diritto all'aliya, cioè quello di emigrare nello Stato di Israele, riservato a tutti gli ebrei. Lo storico e filosofo Gershom Scholem voleva che venisse impiccato. Claude Lanzmann, storico della tragedia del suo popolo, invece lo riabilita. Per lui l'ultimo degli ingiusti era in verità un giusto. Crede nell'innocenza di Benjamin Murmelstein, il reietto, rifiutato dai suoi. Ne fa un ritratto rispettoso nel suo film—romanzo, sfidando la condanna abbattutasi sui Consigli ebraici (judenrat), ritenuti collaboratori dei nazisti, di cui Benjamin Murmelstein faceva parte, e di cui è stato il presidente a Theresienstadt.
   Claude Lanzmann ha uno scatto di collera quando definisco documentario le tre ore e quaranta minuti di immagini che raccontano la vicenda di Murmelstein, mostrano un lungo colloquio con lui, e riesumano Theresienstadt, il ghetto cecoslovacco dove lui operò negli ultimi mesi. Non gli va che si consideri la sua opera un documento. Il suo è un film autentico. Un grande film. È vero. Ha ragione. Mi mostra con orgoglio la lettera di complimenti scrittagli da Steven Spielberg — «... il tuo film mi ha tolto il respiro...» — con cui si era scontrato ai tempi di Schindler's List.
Quello di Lanzmann è un grande film e un terribile romanzo di una realtà da svelare, da capire, contro tutti i pregiudizi. Per Lanzmann non ci sono stati collaborazionisti ebrei per motivi ideologici, ma soltanto perché obbligati a esserlo. Con intelligenza, e anche con furbizia e audacia, nella sua posizione di «decano degli ebrei», come veniva chiamato in quanto mediatore tra carnefici e vittime, Murmelstein ha cercato, appunto, di alleviare la tragedia, nei limiti della sua condizione. Con l'autorità di storico della Shoah, Lanzmann gli riconosce questo merito, che altri ancora gli negano, continuando a considerarlo un "ingiusto", un essere iniquo.
   L'uomo è gonfio in viso. È marcato dalle nevrosi. Ma sa essere ironico. Acuto. A volte tenero. Vulnerabile. È nel 1975 che Claude Lanzmann filma il lungo colloquio con Murmelstein su una terrazza affacciata sui tetti di Roma, dove vive quasi nella miseria. Ma l'ha già incontrato prima, nel '73, all'Hotel Nazionale. Non è stato facile far parlare quel personaggio braccato dai severi giudizi dei suoi. Chiedo a Lanzmann perché abbia tardato tanto a rendere pubblica la lunga intervista e a prendere posizione in favore di quell'"ingiusto", escluso dalla comunità. La risposta è che Shoah (1985) era un film epico, il cui tema era la morte, e non poteva integrare la fragile figura di Murmelstein, personaggio tutt'altro che epico. Per Isaac Bashevis Singer, nei campi nazisti c'erano dei martiri e i martiri non sono sempre santi. Le vittime avevano tanti ruoli e innumerevoli comportamenti.
   Il campo di Terezin (Theresienstadt in tedesco) è a una cinquantina di chilometri da Praga. Era una caserma per sei-settemila soldati in cui sono stati poi rinchiusi almeno cinquantamila ebrei alla volta, e in cui ne sono passati almeno centoquarantamila dal novembre del 1941 alla primavera del 1945. Era un campo-ghetto famoso perché un film di propaganda nazista dal titolo
   Il Führer regala un villaggio agli ebrei mostrava una città esemplare, quasi da villeggiatura, dove c'erano cinema, palestre, sale da gioco e da conferenza, e dove gli abitanti potevano stampare giornali, disegnare e dipingere, e persino prendere il sole quando appariva nel grigio cielo mitteleuropeo. Erano immagini che dovevano far credere ai deportati che a Est, dove erano diretti, li attendeva una vita piacevole, e al mondo che i tedeschi trattavano con generosità gli ebrei strappati alle loro case. Nel giugno '44 un inviato del Comitato internazionale della Croce Rossa visitò quel luogo "idilliaco" senza accorgersi che dietro le facciate gli abitanti con la stella gialla morivano di stenti e di maltrattamenti, e molti di loro erano diretti in campi di sterminio come Auschwitz.
   Tre rabbini, «decani degli ebrei», si sono succeduti alla direzione del ghetto modello. Erano ovviamente designati dai nazisti e nel quadro dei Consigli ebraici avevano il compito di organizzare la comunità nei limiti consentiti. I due rabbini che hanno preceduto Benjamin Murmelstein hanno conosciuto una fine brutale. Jacob Edelstein fu arrestato nel '43 e deportato a Auschwitz e là assassinato; Paul Eppstein fu ucciso con un colpo alla nuca il 27 settembre '44 a Theresienstadt. Ed è allora che Murmelstein ha assunto l'incarico e si è rivelato il più abile. È sopravvissuto fino alla liberazione, quando pur possedendo un passaporto della Croce Rossa non è fuggito, anzi ha atteso di essere giudicato, dopo un anno di prigione, da un tribunale cecoslovacco. Il quale lo ha assolto dalle accuse dei reduci di Theresienstadt che lo indicavano come un solerte collaboratore dei nazisti e responsabile di avere contribuito a compilare le liste di chi doveva essere trasferito in altri campi dove la morte era sicura. Anche se lui non lo sapeva.
   Nel 1961 Murmelstein ha scritto in italiano un libro (Terezin, il ghetto modello di Eichmann) ripubblicato lo scorso anno dalla casa editrice La Scuola, nel quale si difende dalle accuse: ha salvato molte vite consentendo agli ebrei austriaci di emigrare in Inghilterra, in Spagna, in Portogallo; ha prolungato l'esistenza di Therensienstadt, dove poteva agire per migliorare la vita dei prigionieri; non ha fatto liste per deportare la gente in campi della morte; e si dilunga nel dimostrare la buona fede nel cercare di rendere l'esistenza dei deportati meno terribile di quel che sarebbe stata senza di lui. Si riteneva inoltre depositario di una missione: raccontare le giornate nel ghetto (come accade in Mille e una notte) per farne conoscere le abiezioni.
   Murmelstein non manca di humor. La paura l'ha accompagnato per sette anni, dal 1938, anno dell'invasione nazista dell'Austria, dove viveva, fino al 1945. Ma non doveva mostrarla, e dunque cercava di vivere quella situazione con spirito d'avventura. La conoscenza di Eichmann, a Vienna, subito dopo l'Anschluss, aveva fatto di lui una specie di "re degli ebrei", cosi lo chiamavano per scherno, ma anche con una certa considerazione, alcuni tedeschi.
   Murmelstein insegna a Eichmann la storia dell'emigrazione ebraica e il singolare allievo gli dimostra riconoscenza. Ad esempio lo fa sedere al suo stesso tavolo. Ordina addirittura a un SS di portargli una seggiola. Fatto eccezionale perché un ebreo doveva stare in piedi immobile, sull'attenti. Quell'episodio della seggiola conterà ancora dopo anni. L'SS che l'aveva portata a Murmelstein per ordine di Eichmann diventerà il responsabile di Theresienstadt nel '44 e non dimenticherà che quell'ebreo doveva essere trattato con riguardo, se a Vienna aveva potuto sedersi al tavolo del suo superiore. Murmelstein ironizza su quel tremendo e grottesco passato. La sua nomina a presidente del Consiglio ebraico fu in parte dovuta a quella seggiola.
   Il suo rapporto con Eichmann l'ha favorito ma ha creato attorno a lui anche la forte diffidenza dei deportati. Li faceva lavorare per settanta ore la settimana al fine di mantenere pulito il campo ed evitare le epidemie. Riconosce di essere stato odiato. Doveva far evacuare chi aveva malattie contagiose, e la destinazione era facilmente immaginabile. Era conosciuto come un personaggio malvagio e pronto ad alzare la voce per farsi ubbidire. Ma lui si considerava «un chirurgo che non doveva piangere sul paziente». Il suo compito era quello di Sancho Panza, che apre gli occhi a Don Chisciotte. Bisognava agire tenendo conto della cruda realtà, quindi anche prostituirsi per rendere migliore la vita a Theresienstadt. Dietro le lenti da miope traspare il tragico sguardo di chi ha dovuto amministrare l'orrore organizzato dai nazisti e si trincera dietro una malizia a tratti macabra.
   Quella di Lanzmann non è soltanto l'assoluzione elargita con generosità a un uomo condannato dalla propria comunità. Non è l'audace riclassamento di un parìa. È un viaggio nel cuore di tenebra, dove ci si imbatte anche nelle «selvagge contraddizioni» di Murmelstein. Quando lavorava per realizzare il lungo film sulla Shoah, Lanzmann si è reso conto, dice lui stesso, che la questione dei Consigli ebraici non poteva essere trascurata. Gli uomini che ne facevano parte erano per lui accusati ingiustamente di collaborazionismo. Quando seppe che Leib Garfunkel, numero due del consiglio di Koyno (un campo che Murmelstein contribuì a organizzare) stava per morire, Lanzmann corse a Gerusalemme. Scoprì un personaggio «adorable», ma ormai agonizzante. La sua voce era fioca, incomprensibile. E allora ha inseguito Murmelstein a Roma.
   L'azione di Lanzmann, e in particolare adesso il suo film L'ultimo degli ingiusti, è in aperta polemica con Hannah Arendt. La filosofa tedesco-americana ha scritto nel 1961, durante il processo di Eichmann, che il criminale nazista rappresentava «la banalità del male». Rifacendosi alla testimonianza di Murmelstein, Lanzmann definisce vergognose le parole di Hannah Arendt.
   Al contrario di quel che afferma, Eichmann non era un uomo qualsiasi, un funzionario ubbidiente, e quindi un personaggio banale. Murmelstein lo conosceva bene e lo giudicava un demone e un corrotto, responsabile delle proprie azioni. Nella Notte dei Cristalli, a Vienna (10 novembre 1938), pistola alla mano dirigeva l'operazione contro gli ebrei e i loro beni. Quel giorno Murmelstein lo vide di persona.
   Hannah Arendt considerò in tutti i modi giusta l'esecuzione di quel personaggio che riteneva banale. Ma a lei non viene perdonato neppure l'accusa rivolta ai Consigli ebraici di avere favorito la soluzione finale collaborando con i nazisti. La testimonianza di Murmelstein è, per Lanzmann, la prova del contrario.
A suo modo anche lui fu una vittima.

(la Repubblica, 19 gennaio 2014)


E Zaccaria, suo padre, fu ripieno di Spirito Santo, e profetizzò, dicendo:
    «Benedetto sia il Signore, l'Iddio d'Israele,
    perché ha visitato e riscattato il suo popolo,
    e ci ha suscitato un potente salvatore
    nella casa di Davide suo servitore
    come aveva promesso ab antico per bocca dei suoi profeti;
    uno che ci salverà dai nostri nemici
    e dalle mani di tutti coloro che ci odiano.
    Egli usa così misericordia verso i nostri padri
    e si ricorda del suo santo patto,
    del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre,
    affin di concederci che liberati dalla mano dei nostri nemici,
    gli servissimo senza paura,
    in santità e giustizia,
    al suo cospetto,
    tutti i giorni della nostra vita.
    E tu, piccol fanciullo, sarai chiamato profeta dell'Altissimo,
    perché andrai davanti alla faccia del Signore
    per preparare le sue vie,
    per dare al suo popolo conoscenza della salvezza
    mediante la remissione dei loro peccati,
    dovuta alle viscere di misericordia del nostro Dio,
    per le quali l'Aurora dall'alto ci visiterà
    per risplendere su quelli che giacciono in tenebre ed ombra di morte,
    per guidare i nostri passi sulla via della pace».
Dal Vangelo di Luca, cap. 1







 

Netanyahu critica l'Unesco per il rinvio di una mostra a Parigi

GERUSALEMME, 19 gen. - Il premier isrealiano, Benjamin Netanyahu, critica l'Unesco per aver posticipato una mostra a Parigi sul legame tra il popolo ebraico e la terra d'Israele, come chiesto dagli Stati arabi che affermano potrebbe minare i negoziati di pace con i palestinesi. "Non danneggia gli sforzi di pace", ha detto Netanyahu. L'agenzia Onu, che ha comunicato il rinvio la scorsa settimana, ha dichiarato di aver bisogno di più tempo per valutare le affermazioni storiche che alcuni Stati membri potrebbero considerare "contestabili". Il rabbino Marvin Hier, del Centro Simon Wiesenthal che ha co-organizzato l'esposizione, ha dichiarato che l'Unesco l'aveva già approvata e montata nella sede di Parigi. Anche l'ambasciatrice Usa alle Nazioni unite, Samantha Power, ha chiesto che sia aperta.

(LaPresse, 19 gennaio 2014)


Il ruolo di Israele nella costruzione della memoria ebraica del dopoguerra

Lo Stato ebraico non è nato a causa della Shoah, ma nonostante la Shoah.

di David Meghnagi

Proviamo a immaginare che cosa sarebbe accaduto se lo Stato ebraico, appena proclamato, fosse uscito sconfitto nel violento attacco che gli era stato mosso dagli eserciti arabi. Proviamo a immaginare quale sarebbe stata la vita ebraica nel dopo guerra se, all'indomani della più grande delle catastrofi, le speranze residue di una rinascita fossero state violentemente spezzate e gli scampati dai Lager fossero stati uccisi insieme a chi aveva creato le basi per una vita indipendente nella Terra dei padri. Il lutto sarebbe diventato senza fine e la melanconia avrebbe rischiato di prendere il sopravvento sull'amore per la vita. Se Israele fosse stato distrutto sul nascere, forse alcuni di coloro che oggi la osteggiano in nome di una malintesa e ipocrita solidarietà con gli oppressi, ne piangerebbero la distruzione. Alcuni di coloro che oggi cavalcano le false equazioni delle vittime di ieri trasformatesi in "carnefici", ne piangerebbero la fine accusando l'Occidente di avere tradito le sue promesse anche dopo l'ecatombe nazista. Per fortuna le cose sono andate diversamente. Israele esiste e la vita ebraica è tornata a pulsare anche se nulla potrà mai riportare un intero mondo andato perduto. L'identificazione crescente che gli ebrei di ogni luogo hanno in seguito sviluppato, ha qui il suo richiamo profondo.
  A differenza di quanto comunemente si ritenga, Israele non è nata a causa della Shoah. Non fu un atto di riparazione del mondo, come se ci fosse la possibilità di riparare un male così grande. Israele nacque nonostante la Shoah, per la capacità ebraica di sublimare il dolore, per la capacità della leadership sionista dell'epoca di raccogliere con intelligenza e lungimiranza le sfide della politica. La tentazione, in alcuni settori del mondo politico europeo, di abbandonarlo al suo destino è un grave sintomo di fuga dalle responsabilità della politica, segno di un'incomprensione profonda della vera posta in gioco oggi nei rapporti fra civiltà e culture. Non è in discussione il diritto di ogni democratico alla critica contro scelte politiche da cui dissente. La premessa è d'obbligo per evitare fraintendimenti e falsi equivoci. La discussione critica è il sale della democrazia e la stampa israeliana è la prima a esercitarla in forme che farebbero il vanto di molte democrazie occidentali. A essere in discussione sono le forme talora assunte dalla critica, le figure e la retorica del discorso, i fantasmi sottesi. Per non parlare della falsificazione dei fatti, dei doppi standard di giudizio, delle false equazioni e della demonizzazione. Il debito che l'Occidente ha verso Israele va oltre le tragedie che hanno insanguinato il secolo che si è chiuso. L'Occidente così come si è definito dopo Auschwitz ha le sue origini in quel lembo di terra conteso.
  È l'Europa a essere in realtà parte di Israele, perché l'idea di Europa come la conosciamo dal dopoguerra è figlia della tragedia di Auschwitz e senza Israele sarebbe come se non fosse mai rinata. È l'Occidente ad avere bisogno di Israele per dire a se stesso che la liberazione dei campi fu il passaggio a un nuovo ordine di valori condivisi, che hanno trovato posto nel diritto internazionale per quanto contraddittoria sia stata la loro successiva attuazione, l'alba di un nuovo inizio e non una tregua, come Primo Levi con angoscia adombrava nei suoi incubi notturni dopo il suo ritorno a casa. Difendendo l'esistenza di Israele, l'Europa difende l'unica immagine credibile di un suo futuro possibile. L'accettazione piena di Israele e della sua esistenza nella sua antica striscia di terra madre, libererebbe l'Islam dai conflitti in cui è avviluppato e aprirebbe la strada a un rinnovamento culturale per l'intera regione mediorientale. Aprirsi un varco nel cuore dei popoli arabi, è per Israele una necessità vitale, oltre che un richiamo fondamentale ai valori che ne fondano l'esistenza. L'Europa e il mondo arabo, l'Occidente e l'Islam potranno parlarsi se Israele, in pace con il mondo arabo, sarà presente come testimone dei propri lutti e dei loro.

(Shalom, gennaio 2014)


Ispettori Aiea a Teheran

Sono arrivati a Teheran gli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) incaricati di verificare l'applicazione dell'accordo raggiunto a Ginevra sul nucleare iraniano. Sotto la lente degli ispettori gli impianti di arricchimento di uranio di Natanz e Fordo. L'intesa siglata a novembre prevede fra l'altro la sospensione semestrale delle attività di arricchimento dell'uranio alla concentrazione del 20% in cambio della revoca di alcune sanzioni.

(RaiNews, 18 gennaio 2014)


Netanyahu perde la pazienza. Anche con l'Italia

di Fiamma Nirenstein

 
GERUSALEMME - Tempo di riscossa: i Paesi dell'Unione Europea convocano gli ambasciatori israeliani per protestare contro le costruzioni nei territori? E Israele convoca gli ambasciatori di Roma, Londra, Parigi e Madrid per protestare contro il loro l'atteggiamento squilibrato sempre a favore dei palestinesi. L'amaro calice delle guide lines della signora Ashton e la convocazione dei suoi ambasciatori alla fine sono risultate inaccettabili per Israele, un'intromissione in un momento delicato dei colloqui di pace. E forse la convocazione israeliana è un avvertimento all'Europa a non farsi strumento di Kerry per spingere a concessioni obbligatorie. Israele forse parla a nuora anche perché suocera intenda. Così anche l'ambasciatore italiano Francesco Talò, che ha rapporti cordiali con Israele, ha subìto nell'ambito del gruppo convocato dal ministero degli Esteri l'accusa di prendere sempre la parte dei palestinesi. Come fate a insistere tanto sugli insediamenti, hanno sostanzialmente detto ai diplomatici, quando dai palestinesi viene l'insistito rifiuto del riconoscimento di uno Stato Ebraico, dopo che gli abbiamo consegnato i prigionieri promessi, e loro non hanno dato in cambio altro che lodi dei terroristi liberati? La convocazione di Talò e degli altri propone di smetterla di colpevolizzare Israele.
Ed è quello che aveva fatto il primo ministro Benyamin Netanyahu la sera prima, con durezza, accusando l'Europa di ipocrisia durante il brindisi annuale con la stampa estera a Gerusalemme.
Il mondo arabo mette Netanyahu di buon umore in questo periodo, mentre l'Europa lo fa arrabbiare. Finiti i cocktail con un largo sorriso ha definito l'incontro pomeridiano col re giordano Abdullah «eccellente»: i due hanno discusso dei colloqui in corso. È vitale capire chi controllerà la Valle del Giordano che i palestinesi vorrebbero per sé con la presenza di una forza internazionale. Israele non ci sta, il re è in posizione delicata: «Proteggeremo la sicurezza di ambedue i popoli» ha detto Bibi. La sua ira invece si è rovesciata su un'Europa che ha appena chiamato a colloquio i suoi ambasciatori per protestare contro 1400 unità abitative nuove. Netanyahu non ha usato diplomazie: sbagliate, ha detto, se volete aiutare così a risolvere il conflitto. Non è la costruzione di qualche casa che causa lo scontro. Bibi ha ricordato che fin dagli anni Trenta, quando gli insediamenti non erano in vista, il mondo arabo aggredisce con attentati e con il suo rifiuto lo Stato d'Israele. Basta con l'ipocrisia, ha detto, quand'è stata l'ultima volta che l'Europa ha chiamato l'ambasciatore dell'Olp per chiedergli conto dell'incitamento a distruggere Israele o per protestare perché i suoi apparati di sicurezza partecipano ad attacchi terroristici. «L'Ue di fatto suggerisce ai palestinesi che possono fare tutto quello che vogliono senza pagare nessun prezzo ». Bibi ha risposto ai giornalisti, che chiedevano come si concilia restituire terroristi prigionieri ai palestinesi con le costruzioni, che qualche casa non cambierà l'accordo, e che spera comunque che i palestinesi non vogliano uno Stato Judenrein .
L'aggressività internazionale verso Israele si esprime a 360 gradi. L'Unesco, a meno di una settimana dall'apertura di una mostra che percorre i 3500 di legame fra il popolo ebraico alla terra d'Israele, l'ha bloccata con la scusa che il processo di pace potrebbe venirne disturbato. Così l'organizzazione che dovrebbe proteggere la cultura nel mondo ne cancella uno degli episodi fondamentali: la storia del popolo ebraico, la nascita del monoteismo a Gerusalemme. Si sa che lo stallo maggiore nel processo di pace oggi è il riconoscimento della storia del popolo ebraico. Che cosa ha da dire l'Europa sul gesto sconsiderato della solita Unesco?

(il Giornale, 18 gennaio 2014)


Ipocrisia! E' la parola giusta da usare, e non soltanto con i governanti, ma anche con tutti quelli che atteggiandosi a moralisti indirizzano la loro indignazione su un obiettivo soltanto: Israele. Se chi lo fa non è ebreo, è del tutto naturale pensare che si tratti di una forma dissimulata di antisemitismo; se invece è ebreo, forse non si potrà chiamare antisemitismo, ma certamente è qualcosa di moralmente riprovevole. M.C.


Netanyahu: incontrerò Rohani se riconoscerà Israele

GERUSALEMME, 17 gen. - Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu è pronto a incontrare il presidente iraniano Hassan Rohani se Teheran riconoscerà l'esistenza d'Israele. Così ha risposto Netanyahu alla televisione canadese Ctv che gli ha chiesto se incontrerà Rohani al World Economic Forum di Davos in Svizzera, dove saranno entrambi presenti.
"Se Rohani dirà: 'riconosciamo lo stato ebraico. Noi Iran siamo pronti a fare la pace con Israele, Israele ci sarà per sempre', allora questo mi interesserà, a Davos o in qualsiasi altro posto", ha affermato Netanyahu. Il primo ministro israeliano è sempre stato scettico sulla buona fede di Teheran nei negoziati sul nucleare e ha più volte definito Rohani "un lupo travestito da agnello".

(Adnkronos, 17 gennaio 2014)


Germania, giovane deputato Spd sfida i nazisti

Patrick Dahlemann, 25 anni, pubblica su Youtube il video del suo intervento. Un appassionato discorso in difesa dei migranti rifugiatisi in Germania.

di Andrea Tarquini

BERLINO - Si chiama Patrick Dahlemann, ha appena 25 anni, è un giovane dirigente della Spd (socialdemocrazia, al governo nella grosse Koalition insieme alla Cdu di Angela Merkel) nella cittadina tedesco-orientale di Torgelow nel Meclemburgo-Prepomerania, il più povero dei sedici Bundeslaender (Stati) della Repubblica federale. E con fantasia e coraggio, ha messo in scacco i neonazisti e ora con il video del suo atto di sfida a sorpresa li sfida con successo su Youtube. E' una storia di nuovo uso dei media elettronici nella lotta al razzismo e all'ultradestra.
I fatti risalgono al 31 luglio scorso. A Torgelow la Npd, cioè il più grosso e pericoloso partito neonazista, aveva indetto un comizio per mobilitare con argomenti xenofobi e razzisti contro la prevista costruzione di un Asylbewerberheim, cioè di un centro rifugio e raccolta per profughi politici, ovviamente quasi tutte persone che fuggono da dittature o guerre civili in paesi extraeuropei o in Bielorussia.

Per neutralizzare la contromanifestazione dei democratici, il leader locale della Npd, Stefan Koestner, aveva invitato l'organizzatore, appunto il giovane Patrick Dahlemann, a parlare al comizio neonazi. Dandogli cinque minuti, cioè il dieci per cento del tempo che egli aveva usato per il suo discorso. Dahlemann a sorpresa ha accettato: è un'occasione unica per metterli in difficoltà da non perdere, si è detto. E a sorpresa, filmato da una telecamera per poi mettere online il suo intervento, ha tenuto un appassionato discorso in difesa dei rifugiati politici, che ha convinto la gente e spiazzato i neonazisti.
"Vi prego, miei cari concittadini", egli ha detto, "non cadete nella trappola dei neonazisti. Io vi parlo come uno di qui, uno di voi. Per favore, non dimenticate chi sono queste persone che chiedono asilo a noi che viviamo in libertà. Sono persone pronte a lasciare volontariamente la loro patria, perché sono perseguitati politicamente fino a temere per la loro vita, perché hanno paura in patria di esporre le loro idee politiche, o perché a causa del colore della loro pelle o della loro religione sono perseguitati. Immaginatevi come sarebbe se noi vivessimo in situazioni simili e dovessimo sentirci costretti a lasciare la nostra patria!".
I neonazi misero il discorso sul loro sito online la sera stessa, sperando in un successo d'immagine, invece è diventato un danno pesantissimo per loro. E intanto dal 6 gennaio Dahlemann ha messo il video su Youtube. Cliccatissimo, suggerito su Facebook dal ministro degli Esteri federale, Frank Walter Steinmeier. Dahlemann ha atteso tanto, egli ha spiegato alla Frankfurter Allgemeine, perché non voleva affossare il tema nella campagna elettorale per le politiche del settembre scorso, e poi sono venute le feste di Natale. Ma ora è uno dei temi del giorno. I neonazisti cercano di fargli causa richiamandosi ai diritti d'autore su Youtube, ma con poco successo: è materiale su un evento pubblico e di interesse pubblico. E quel video su Youtube sta portando molti tedeschi a riflettere sulle tragedie che i profughi politici extracomunitari hanno alle spalle. Riflettono anche in Germania Est, dove dopo tre generazioni senza democrazia (gli anni di Hitler e poi di seguito la dittatura comunista) i neonazi hanno a volte gioco più facile con la loro propaganda.

(la Repubblica, 17 gennaio 2014)


Il video originale in tedesco


Strage di Lampedusa: superstiti accusano il "carceriere" palestinese

PALERMO, 17 gen. - Iniziera' il 3 febbraio, dinanzi al Gip di Palermo Giuliano Castiglia, la discussione sulla richiesta di rito abbreviato del somalo Mouhamud Muhidin, uno dei responsabili di un'organizzazione internazionale che intercettava i migranti provenienti dall'Africa, facendoli arrivare poi a Lampedusa. Muhidin e' accusato di sequestro di persona a scopo di estorsione all'associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina, dalla tratta di persone alla violenza sessuale. Ieri dinanzi al gip Giangaspare Camerini si e' chiuso l'incidente probatorio nell'ambito del quale i sopravvissuti siriani del tragico sbarco del 3 ottobre a Lampedusa - in cui trovarono la morte 366 persone - e del successivo dell'11 ottobre hanno rivissuto quei momenti, guardando in faccia un altro dei carcerieri, sotto processo: il palestinese Attour Abdalmenem. "Quando oramai la barca era quasi del tutto affondata e abbiamo visto i mezzi della Guardia costiera e Lampedusa abbiamo gridato: Inshallah! Credevamo che sarebbe stata una traversata tranquilla. Avevamo con noi documenti, passaporti e soldi.
Abbiamo pagato tra i 1800 e i 2000 euro. Ci era stato detto che ci sarebbe stata una barca da 40 posti, solo per noi siriani.
Ci avevano detto che avremmo avuto da mangiare e da berInvece, quando abbiamo visto uomini con le mitragliatrici sulla costa libica abbiamo capito. Ci hanno rubato tutto e ci hanno ammassato su una carretta, tutti seduti, senza poterci muovere". I siriani hanno confermato che il palestinese, indicandolo, un trafficante di esseri umani e che avevano pagato a lui il viaggio per l'Italia. Anche Abdalmenem ha quindi scelto di avvalersi del rito abbreviato.

(AGI, 17 gennaio 2014)


Polli, fenicotteri o cigni neri: ecco le scarpe di Kobi Levi

Kobi Levi
TEL AVIV - Kobi Levi è un designer israeliano con il pallino per le scarpe, che definisce come «la tela su cui esprimere il proprio estro, le proprie emozioni e ispirazioni». Kobi ha esposto le sue creazioni in varie mostre e collettive in giro per il mondo, da Gerusalemme a Tokyo, da Verona a Berlino e collabora con grandi aziende produttrici di scarpe sparse per il globo.
Quando si osservano le sue scarpe non si può far altro che pensare a delle «opere d'arte»: ogni paio realizzato in pelle è rigorosamente lavorato a mano e prodotto in edizione limitata in una serie di venti, massimo trenta, esemplari. Ma cosa hanno di così speciale le sue scarpe?
Basta dare un'occhiata veloce alla collezione ispirata al mondo della «vecchia fattoria» per capire che il ragazzo non scherza.

(Il Messaggero, 17 gennaio 2014)


Museo della Shoah: nominati gli organi costitutivi della Fondazione

ROMA CAPITALE - Nel corso della riunione dell'assemblea dei soci della Fondazione del Museo della Shoah, che si è tenuta oggi in Campidoglio, si è proceduto al rinnovo degli organi costitutivi.
Nell'occasione, il sindaco di Roma Ignazio Marino è stato nominato Presidente del Collegio dei Fondatori e vice presidente del Consiglio di Amministrazione. Sono stati inoltre indicati quali membri del CdA: Riccardo Carpino (commissario straordinario della Provincia di Roma); Renzo Gattegna (Presidente U.C. E. I.); Riccardo Pacifici (Presidente comunità ebraica di Roma); Walter Veltroni (già sindaco di Roma); Nicola Zingaretti (Presidente della Regione Lazio). Leone Elio Paserman, già Presidente della Comunità Ebraica di Roma, è stato nominato presidente del CdA della Fondazione.
"Gli obiettivi della Fondazione del Museo della Shoah sono fondamentali per mantenere viva la memoria della nostra città e del Paese - ha dichiarato il sindaco di Roma Ignazio Marino - il progetto del Museo è un modo concreto per trasmettere alle generazioni future la storia e gli orrori della Shoah, affinché quella tragedia non si ripeta mai più".
Lo comunica in una nota l'ufficio stampa del Campidoglio.

(Roma Daily News, 17 gennaio 2014)


In Israele 3,5 milioni di turisti nel 2013

Dall'Italia 173 mila visitatori

ROMA, 17 gen - Sono stati 16,7 milioni i pernottamenti in Israele, con un aumento del 3% rispetto allo scorso anno. I dati arrivano dall'Ufficio israeliano del turismo, il quale aggiunge che sono stati 173.000 gli italiani che hanno visitato Israele nel 2013, con + 2% rispetto al 2012.
I 3.540.000 turisti arrivati in Israele nel 2013 hanno fatto registrare un mezzo punto in percentuale in più rispetto al già precedente anno record del 2012. Il numero dei turisti in entrata (non compresi i visitatori giornalieri) è stato pari a circa 2,9 milioni, con un incremento del 3% rispetto al 2012.
La città più visitata è stata Gerusalemme (75%) e il Muro del Pianto è stato il sito più visto (68%), seguito dal quartiere ebraico di Gerusalemme (64%), la Chiesa del Santo Sepolcro (57%), la Via Dolorosa (55%) e il Monte degli Ulivi (53%). Il 53% dei turisti in arrivo erano cristiani, metà dei quali cattolici. Il 28% erano ebrei. Il 54% dei turisti ha messo piede in Israele per la prima volta, mentre il 46% sono stati visitatori di ritorno.
Il 22% ha dichiarato che la propria visita era parte di un pellegrinaggio, il 27% era in un tour e viaggio, 9% era in vacanza e tempo libero. Complessivamente il 58% ha definito la propria visita a fini turistici, il 26% ha visitato amici e/o parenti e l'8% è arrivato in Israele per affari o per partecipare a convegni.
I turisti sono arrivati principalmente da: Stati Uniti, Russia, Francia, Germania e Regno Unito. Come negli anni precedenti, il turismo dagli Stati Uniti ha rappresentato il più grande paese di origine per il turismo incoming in Israele, con 623.000 visitatori che sono arrivati nel 2013, (pari al 18% di tutto il turismo incoming), l'1% in più rispetto il 2012. Al secondo posto e con un margine molto piccolo è il turismo dalla Russia, con 603.000 visitatori, il 3% in più rispetto il 2012. La Francia occupa il terzo posto, con circa 315.000 visitatori (5% in più rispetto allo scorso anno), seguita da Germania (254.000, 6% in più rispetto 2012) e il Regno Unito con 217.000 visitatori ciascuno, 5% in più rispetto il 2012.

(ANSAmed, 17 gennaio 2014)


Israele-mania, le pop star volano a Tel Aviv

Il paese non fa più paura alle stelle della musica: nel 2014 i concerti di Justin Timberlake, Lady Gaga e forse anche Beyoncé

PASSIONE MUSICALE. Mentre una badante filippina di 47 anni, Rose Fostanes, si aggiudica X Factor, a Tel Aviv si prepara una grande primavera all'insegna della musica pop e delle star in arrivo. Che lo stato di Israele stia vivendo un momento molto fecondo dal punto di vista musicale, lo dimostrano i successi di Noa e Asaf Avidan che continuano a scalare le classifiche di mezzo mondo. E nel futuro musicale del Paese costituirà un unicum particolare la ridda di concerti e la parata di stelle che a maggio atterrerà a Tel Aviv.
ARRIVA JUSTIN. Dalla prossima settimana infatti saranno in vendita i biglietti per il concerto che Justin Timberlake terrà nel parco Hayarkon il 28 maggio (l'annuncio e la vendita di biglietti erano stati rinviati a causa del morte dell'ex primo ministro Ariel Sharon). Justin, che porterà in Israele il suo "20/20 World Tour Experience" non è stato il primo ad andare alla conquista del Paese. Già Rihanna si era esibita ad Hayarkon Park.
BEYONCÉ CI PENSA. E dopo Rihanna e Timberlake sarà la volta di Lady Gaga, che si esibirà in Israele per la seconda volta per promuovere l'uscita del suo nuovo album "ARTPOP". Un altra potenziale visitatrice di Israele quest'anno potrebbe essere Beyoncé che recentemente aveva già avviato le trattative con una società di produzione israeliana. Qualche intoppo pare abbia rallentato le operazioni ma non si esclude che anche l'ex Destiny's Child sbarchi nel Paese.

(Radio 105, 16 gennaio 2014)


Doppio appuntamento al Melville di Piacenza: klezmer e Gabriele Coen

Muzikobando & Gabriele Coen
PIACENZA - Doppio appuntamento stasera al Melville, Caffè Leterario di San Nicolò, all'insegna della musica ebraica. Alle 19 Gabriele Coen presenta "Musica Errante. Tra Folk e Jazz: Klezmer e Canzone Yiddish". Gabriele Coen, sassofonista, clarinettista, compositore, è anche il fondatore e leader dei Klezroym, ad oggi la più importante formazione italiana di musica klezmer con la quale è tra i massimi divulgatori in Europa della tradizione musicale popolare ebraica reinterpretata in chiave jazzistica.
Dopo numerosi collaborazioni artistiche, nel 2004 nasce il quartetto Gabriele Coen - Atlante sonoro (Lussu, Loddo, Caponi) con il quale pubblica due dischi Duende (2004) e Alhambra (2006). Con questi due lavori, Gabriele propone un inedito e personale incontro tra il jazz e la world music, compiendo un viaggio a 360 gradi nella fusione tra le diverse tradizioni musicali ebraica, mediterranea, balcanica e il jazz contemporaneo, affiancando la produzione di composizioni originali alla reinterpretazione di materiale tradizionale.
Nel 2005 fonda il quintetto Gabriele Coen Jewish Experience (Lussu, Berg, Loddo, Caponi) con il quale pubblica nel 2009 l'album d'esordio Golem per l'etichetta Alfamusic, distribuito da Egea.
Con il quintetto, Gabriele raggiunge una nuova maturità espressiva nel proporre il materiale musicale ebraico in chiave jazzistica fino al folgorante incontro con John Zorn a New York nell'estate del 2010 e l'ingresso nella scuderia della Tzadik la prestigiosa etichetta indipendente di Zorn che produce l'album Awakening (2010) Il suo è il primo ensemble italiano a produrre un disco per la Tzadik, che è diventata negli anni un punto di riferimento importante per il jazz contemporaneo, nella collana Radical Jewish Culture che John Zorn ha voluto dedicare alle migliori espressioni della nuova musica ebraica a livello internazionale.
Dalle 22 concerto di Muzikobando & Gabriele Coen.

(PiacenzaSera.it, 17 gennaio 2014)


Israele convoca gli ambasciatori d'Italia, Francia, Gran Bretagna e Spagna

GERUSALEMME - Gli ambasciatori d'Italia, Francia, Gran Bretagna e Spagna sono stati convocati dal ministero degli Esteri israeliano per "sottolineare loro che una costante presa di posizione contro Israele e a favore dei palestinesi è inaccettabile". Il richiamo di Avigdor Lieberman arriva dopo che l'Unione europea aveva convocato gli ambasciatori per la costruzione di 1.800 nuove case per gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, giudicati "illegittimi" anche dal Segretario di Stato americano, John Kerry. Il governo israeliano, ha riferito un portavoce del ministero degli Esteri, accusa questi paesi di "ignorare la realtà sul terreno e di assumere prese di posizione che feriscono in modo significativo la possbilità di raggiungere un accordo tra le parti".
Anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva condannato ieri la mossa europea: "Questa è ipocrisia. L'Unione europea convoca i nostri ambasciatori a causa della costruzione di poche case? Quando sono stati convocati gli ambasciatori palestinesi per l'incitamento alla distruzione di Israele? E' ora di finirla con questa ipocrisia. Questo squilibrio non favorisce la pace".

(ilPaeseNuovo, 17 gennaio 2014)


La Farnesina conferma: convocato ieri l'ambasciatore di Israele

ROMA, 17 gen - La Farnesina, così come i ministeri degli Esteri di Londra, Parigi e Madrid, ha convocato ieri l'ambasciatore israeliano a Roma, Naor Gilon, per manifestare la preoccupazione del governo italiano per gli annunci di nuovi insediamenti che non aiutano il processo di pace israelo-palestinese. Lo conferma la stessa Farnesina, precisando che l'ambasciatore è stato ricevuto dal segretario generale Michele Valensise.

(ANSAmed, 17 gennaio 2014)


Dunque anche la nostra Emma Bonino si allinea contro Israele. In ritardo forse, ma come in altri casi del passato, l’Italia alla fine ci riesce a mettersi al passo con chi si mette contro gli ebrei.
Le fini distinzioni tra ebrei e israeliani possono essere risparmiate: quello che va avanti in Europa, a livello sociale come a livello politico, è autentico, aggiornato antisemitismo. A ciascuno la propria responsabilità.



Iran: 21 esecuzioni tra ieri e oggi e 40 esecuzioni nelle prime due settimane del nuovo anno
   
Diciassette prigionieri giustiziati in segreto a Shiraz e Karaj

  
Un'ondata di barbare esecuzioni per mano degli aguzzini al potere in Iran sono costate 40 vite solo nelle prime due settimane del nuovo anno. Almeno 17 di queste persone sono state giustiziate clandestinamente nelle prigioni di Shiraz e Gohardasht di Karaj, ma il regime teocratico si è totalmente astenuto dal darne la notizia.
Nell'intervallo tra ieri e oggi, 14 e 15 Gennaio, sono state impiccati 21 prigionieri. Sette sono stati impiccati collettivamente nella prigione di Gohardasht. Cinque impiccati collettivamente a Shahroud, altri cinque a Shiraz, due nella città di Ardebil e un prigioniero è stato impiccato nella prigione di Tabas. C'è stata anche una esecuzione pubblica nella città di Saveh.
Questa ondata di crescente repressione, in particolare con il ricorso alla pena capitale, ha solo lo scopo di intensificare l'atmosfera di terrore nella società e di contenere la rabbia e il malcontento del popolo iraniano che deve sopportare una enorme pressione. L'accondiscendenza nei confronti di questo regime disumano e la diffusione di un'idea illusoria di moderazione di questi aguzzini che governano l'Iran, ha solamente rinvigorito la cricca al potere, aumentato e intensificato la repressione in Iran.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 15 gennaio 2014)


Chissà se la nostra radicale Ministra degli Esteri Emma Bonino convocherà l'ambasciatore iraniano "per manifestargli la preoccupazione del governo italiano" sulle nuove impiccagioni che stanno avvenendo in Iran, come ha fatto con l'ambasciatore israeliano a proposito di nuovi insediamenti che starebbero per sorgere dalle parti di Gerusalemme. M.C.


Pace in Medio Oriente: vergognosa offensiva europea contro Israele

Ieri il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha finalmente alzato la voce con l'Europa accusando i burocrati europei di "ipocrisia" in special modo quando in Europa si parla degli insediamenti come ostacolo alla pace in Medio Oriente.
Parlando ai giornalisti stranieri Netanyahu ha detto che «sostenere che gli insediamenti sono un ostacolo alla pace in Medio Oriente è una mera ipocrisia quando invece il vero ostacolo alla pace è il rifiuto da parte dei palestinesi di riconoscere Israele e il Diritto degli israeliani ad avere un proprio Stato».
Netanyahu è andato dritto al punto. Solo pochi giorni fa la controparte palestinese, Abu Mazen, aveva pubblicamente affermato che non avrebbe mai riconosciuto Israele come Stato Ebraico e questo a prescindere dalle concessioni israeliane, siano esse territoriali o di altro genere. Netanyahu ha ricordato che la liberazione di centinaia di terroristi palestinesi, oltre che un segno di buona volontà, rientrava in un accordo secondo il quale Israele avrebbe avuto in cambio la possibilità di costruire insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est cedendo altre terre in maniera compensativa. Ma a quanto pare ora l'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) sconfessa quell'accordo sostenuta appunto dalla ipocrisia europea. Ma quello che è il fatto più importante di tutti è che la ANP rifiuta a priori qualsiasi riconoscimento di Israele....

(Right Reporters, 17 gennaio 2014)


Antisemitismo, un vento che soffia dall'Europa ai Paesi arabi

È un odio risorgente che per dimensioni, continuità e violenza non è paragonabile a nessun altro fenomeno razzista che esiste e resiste anche dove non ci sono ebrei.

di Ugo Volli

Ci abbiamo creduto un po' tutti. Anche i più pessimisti nel mondo ebraico e soprattutto in quella che si usa chiamare "società civile" dell'Europa e degli Stati Uniti hanno dato per scontato che con la fine del nazismo e con la trasformazione delle chiese fosse finito anche l'antisemitismo. Il "mai più" rispetto ad Auschwitz sembrava un fatto più che una promessa, se non per quanto riguarda la capacità delle società umane di produrre atrocità e stragi, mai venuta meno, almeno per la sua concentrazione particolare sul piccolo popolo ebraico. Mai più genocidi, si pensava, ma anche mai più antisemitismo, la lezione è stata troppo atroce per poter essere dimenticata.
  Certo, dalla sua nascita non era mai tramontata l'ostilità araba verso Israele, diffusa poi a buona parte della sinistra e dei paesi del "terzo mondo", ma quello era un conflitto politico, si diceva, non c'entrava con
l'identità ebraica, era solo un problema di confini che si sarebbe presto risolto. E invece non è andata così, ormai è chiaro. Un piccolo demagogo che si fa intervistare per spiegare che i mali del mondo derivano dal fatto che le persone più ricche del mondo sono ebree o che sono ebraiche le banche (falso, naturalmente); una televisione rumena che trasmette canti natalizi che incitano a sterminare gli ebrei; il capo dell'associazione degli studenti arabi di un'università americana che si fa ritrarre con un coltello per sgozzare gli ebrei... sono notizie delle ultime ore che ho letto mentre scrivo questo articolo, ma notizie del genere non mancano mai e spesso sono peggiori: omicidi a freddo in Israele e fuori, tentati rapimenti, bombe, cimiteri sconsacrati, boicottaggi, luoghi in Europa in cui è molto pericoloso farsi identificare come ebrei, come lo è già in tutti i paesi musulmani, negazionismi sulla Shoà, attribuzioni di ogni tipo di colpe agli ebrei... L'aspetto più preoccupante di questa storia è che non si tratta di incidenti organizzati e attribuibili a un singolo centro, che potrebbe essere combattuto o almeno isolato. Sono ormai luoghi comuni, codificati nella cultura di massa, che fanno parte di quell'enciclopedia degli imbecilli che viene continuamente riflessa e riprodotta nei social media.
  Ognuno di noi ebrei in Europa vede solo una piccola parte del fenomeno: gli ungheresi vedono un governo che rivaluta i vecchi alleati dei nazisti e i partiti che li minacciano; i greci, dopo aver subìto incendi di sinagoghe e profanazioni di cimiteri, devono ora fare i conti con la popolarità di Alba Dorata. In Olanda, in Danimarca, in Norvegia, in Gran Bretagna, girare con una kippah è tanto pericoloso da essere sconsigliato dalle istituzioni ebraiche; in Francia l'antisemitismo ha superato i limiti dell'omicidio nei casi del rapimento di Ilan Halimi e nell'assalto alla scuola di Tolosa. In Italia abbiamo i negazionisti neonazisti, le minacce squadristiche, ma anche l'odio per Israele a sinistra e le menzogne populiste dei forconi e dei grillini. Il mondo anglosassone è percorso dalle ondate "benpensanti" del boicottaggio. Spesso si sostiene che questo odio risorgente, che per dimensioni, continuità e violenza non è paragonabile a nessun altro fenomeno razzista, sarebbe provocato dalle "politiche del governo israeliano" e che ciò lo renderebbe, se non condivisibile, almeno comprensibile.
  Le "critiche" di queste "politiche" sarebbero "legittime"; se ogni tanto esse "esagerano" prendendosela con gli ebrei "innocenti" (come se gli israeliani fossero "colpevoli" di volersi difendere...), be', bisogna capire e portar pazienza, o, ancor meglio, gli ebrei dovrebbero unirsi a quelle "critiche", cercando di cambiare le "politiche" o addirittura il "governo israeliano", rendendolo accomodante alla "giusta lotta" dei "palestinesi" che rivendicano null'altro se non la "loro terra". Questo discorso è ipocrita e subdolo, oltre che del tutto infondato. Le "politiche" non c'entrano affatto, per esempio questo è un periodo di trattative, in cui il governo di Israele sta cercando di vedere se esista una via di accordo con l'Anp.
  Ma questo non ha affatto bloccato i boicottaggi né tanto meno gli atti e i discorsi antisemiti. E non solo non c'entrano le politiche, ma neppure i governi e il loro orientamento: non ce n'è stato uno, dalla fondazione dello Stato di Israele, che si sia sottratto a odi e boicottaggi. Solo la malafede o la "sindrome di Stoccolma" (quella che proverbialmente porta ad appoggiare i propri persecutori, giustamente ritradotta da Kenneth Levin nel titolo di un libro importante "The Oslo Syndrome") di una certa sinistra ebraica autorizza tesi così aberranti. Del resto basta aver seguito un po' la pubblicistica dei vari movimenti palestinesi, aver letto i loro statuti e seguito quel che dicono in arabo alle loro televisioni invece che in inglese all'opinione pubblica internazionale, per capire che lo scopo finale della loro azione è l'eliminazione
 
di Israele e degli "ebrei", non la costruzione di uno "stato palestinese" che è solo uno strumento utile per la lotta antisemita, destinato ad essere abbandonato dopo la "vittoria". Il fatto è che non la lotta contro Israele è causa dell'antisemitismo, ma esattamente l'opposto: è l'antisemitismo (arabo o marxista, cristiano o fascista) a spiegare l'odio per Israele. E' un antisemitismo che non ha bisogno di ebrei per svilupparsi (tant'è vero che i paesi d'Europa che più si rivelano antisemiti ai sondaggi sono quelli dove gli ebrei non ci sono quasi più, come la Spagna e la Polonia). E l'antisemitismo fiorisce anche in luoghi pochissimo sfiorati dalla diaspora ebraica, come il Giappone. Il fatto è che l'antisemitismo ha pochissimo a che fare con quello che fanno in effetti gli ebrei, con la loro presenza reale.
  Con buona pace di storici poco scrupolosi e per nulla accorti che hanno cercato di sfruttare il tema, forse alla ricerca della pubblicità fornita dagli scandali, "l'accusa del sangue", quell'infame calunnia per cui gli ebrei furono perseguitati per secoli in quanto assassini di bambini cristiani che avrebbero usato per confezionare il pane azzimo, non ha nulla a che fare con le pratiche dell'ebraismo, anzi contraddice alcune delle leggi più sacre della Torà; ma è stato usato per molti secoli contro le comunità ebraiche dall'Inghilterra fino alla Siria, dalla Russia alla nostra Italia. E così per l'accusa di deicidio, per quella fabbricazione della polizia zarista che si intitola "Protocolli dei Savi di Sion" e ancora oggi è usata per l'antisemitismo arabo; così per l'accusa di un'influenza economica esagerata ("i cinque uomini più ricchi del mondo sono ebrei", ha detto uno sprovveduto, ma non isolato masaniello contemporaneo). Dimostrare che queste accuse sono false, documentarne la formazione truffaldina, far presente la loro palese assurdità non serve a nulla. Perché come scrive David Nirenberg nella sua bellissima storia dell'"Antigiudaismo", gli ebrei cui si riferiscono gli antisemiti di tutte le stagioni, dall'antico Egitto (quello tolemaico, non quello dei Faraoni), dove probabilmente questa storia è cominciata, fino ai paesi arabi contemporanei, passando per la Chiesa e Maometto, per i filosofi dell'Illuminismo e il nazismo, quasi mai sono i veri ebrei in carne ed ossa, con i loro meriti e i loro indubbi difetti. Si tratta invece di fantasmi, di costruzioni ossessive spesso del tutto staccate dalla realtà, cui sono attribuite certe caratteristiche di comodo, magari ereditate dalla tradizione e mai verificate, che servono spesso a fare i conti nell'ambito dello stesso fronte antisemita, dove l'accusa di essere "come gli ebrei" o addirittura membri del popolo di Israele è la massima ragione di squalifica.
  Che poi ci rimettano gli ebrei veri ed essi siano mandati in esilio, nei roghi dell'Inquisizione o in quelli dei lager, ha sempre importato poco. E questo è vero anche oggi, quando l'odio antisemita si concentra non solo sui singoli ebrei o sulle loro piccole comunità della diaspora ma soprattutto sul loro stato rinato, Israele. Una rinascita vissuta come un trauma aperto dall'Islam, ma più nascostamente anche da settori non piccoli della Cristianità, dato che entrambi, in maniera non dissimile, avevano profetizzato e preteso la dissoluzione di un popolo antiquato rispetto alle nuove profezie che li costituivano come religioni. Per questa ragione non è accettabile alcun varco di separazione fra antisemitismo e antisionismo o "israelofobia", secondo la parola proposta da Fiamma Nirenstein. Perché il nemico di Israele (o ipocritamente delle "politiche" del suo "governo") è un antisemita. Anche se per caso si trova ad essere di origini ebraiche, come parecchi negli Stati Uniti e anche in Europa e in Italia: essere antisemiti con sangue ebraico nelle vene non è affatto impossibile, vi sono molti casi illustri che lo dimostrano, dai neofiti che facevano i consulenti dell'Inquisizione a Otto Weininger, fino ai sedicenti intellettuali filopalestinesi d'oggi. E il solo modo per combattere l'antisionismo oggi è difendere Israele.

(Shalom, gennaio 2014)


Netanyahu tornato da Amman: il ruolo della Giordania è importante

GERUSALEMME - ''La Giordania, sotto la guida di re Abdallah, svolge un ruolo importante negli sforzi per raggiungere un accordo'' israelo-palestinese. Lo ha affermato il premier Benyamin Netanyahu al ritorno in Israele da una visita lampo ad Amman. Netanyahu ha precisato che nelle trattative con i palestinesi Israele ''mette l'accento sugli accorgimenti di sicurezza, tenendo presente fra l'altro gli interessi della Giordania''. In ogni accordo futuro con i palestinesi, ha aggiunto, sara' tenuto in considerazione l'accordo di pace fra Israele e Giordania, firmato 20 anni fa.
Nell'incontro con re Abdallah, ha precisato il premier, si e' parlato anche di cooperazione economica e di ''diverse questioni regionali'', che pero' non sono state dettagliate nel comunicato divulgato dal suo ufficio al ritorno dalla Giordania.

(ANSAmed, 16 gennaio 2014)


Roma: la città celebra con la comunità ebraica il Capodanno degli Alberi

ROMA, 16 gen 2014 - Una breve cerimonia alla presenza di tanti giovani studenti di tutte le religioni, scandita dalle parole del Ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza e del sindaco di Roma, Ignazio Marino. Si e' consumata cosi' a Trastevere, a pochi passi dall'ingresso del Miur, la celebrazione di una suggestiva festa ebraica il ''Capodanno degli alberi'', ovvero il momento in cui le precipitazioni terminavano, cominciavano ad apparire i primi frutti degli alberi e in terra d'Israele questi eventi cadevano durante la prima quindicina del mese di Shevat e venne fissata al 15* giorno del mese di Shevat. Un festeggiamento che rappresentava una sorta di ringraziamento per la fecondita' della terra dell'anno e un'occasione di augurarsi un raccolto migliore per l'anno successivo, ma anche una sorta di inizio d'anno fiscale con il pagamento - come spiegato dal Rabbino Capo della Comunita' ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, della decima sul raccolto.
A prender parte alla cerimonia anche l'assessore all'Ambiente, Estella Marino, il presidente del Municipio I, Sabrina Alfonsi, e l'ambasciatore dello Stato di Israele, Naor Ghilon, che ha ricordato la scomparsa, avvenuta nei giorni scorsi, di Ariel Sharon. ''Pensando al simbolismo cosi' forte di questa cerimonia che rappresenta un solido legame con la terra desidero ricordare la figura di una grande servitore dello Stato di Israele mancato in questi giorni, l'ex primo ministro Ariel Sharon, un uomo che ha servito il suo Paese per tutta la vita guidandolo prima in durissime lotte per la sopravvivenza e dopo. Anche Sharon era molto legato alla terra e nella vita privata era un vero agricoltore'' ha spiegato l'ambasciatore Ghilon.
Dal canto suo Marino ha sottolineato che ''una celebrazione come quella di oggi e' estremamente importante perche', al di la' del valore per la Comunita' Ebraica, ha un grande valore per la citta' di Roma che ha la fortuna di avere il verde agricolo piu' ampio di tutti i capoluoghi italiani, ma e' importante davanti ai bambini e ai ragazzi, inoltre, ricordare il valore dell'ambiente e la cura e l'amore che bisogna avere verso il verde pubblico''. ''E' un onore avere questa cerimonia proprio qui, vicino al Ministero e spero che questa aiuola fiorita e la vostra presenza dia un po' di anima e cuore a questo palazzo che ne ha tanto bisogno perche' e' percepito cosi' freddo ma in realta' li' dentro, dentro quelle stanze noi cerchiamo di amministrare e guidare la scuola italiana e si tratta di un'impresa non facile di questi tempi'', ha detto il Ministro Carrozza rivolgendosi ai ragazzi, sottolineando l'importanza delle tradizioni e ricordando l'importanza della Memoria e dei Viaggi della Memoria. ''Domenica partiro' con alcuni alunni per andare ad Auschwitz e simbolicamente sara' come se tutta la scuola italiana facesse questo percorso importante'', ha concluso.

(ASCA, 16 gennaio 2014)


Anche a Roma: ogni Shabbat cena per studenti e turisti

Una nuova e importante iniziativa si è aggiunta all'elenco delle tante attività del dipartimento "Chabad Turisti" della sezione "Chabad, Piazza Bologna" di Roma. Questa sezione è già da anni impegnata nell'aiuto verso quei turisti che, giunti nella capitale, necessitano di trovare un albergo per pernottare la notte, guide turistiche e di informazioni su come trascorrere piacevolmente il loro soggiorno romano. Inoltre, si è sempre impegnata a cercare famiglie ebraiche in grado di ospitarli per i pasti dello Shabbàt. Adesso, per iniziativa di rav Menachem e sua moglie Rivkie Lazar, direttori di "Chabad Piazza Bologna", ha fatto capolino una grossa novità.
Grazie alla concessione di una sala da parte del Tempio Beth Shmuel, "Chabad Piazza Bologna" ogni venerdì sera organizza la cena di Shabbàt, alla quale partecipano turisti ma anche studenti, per lo più israeliani ma non solo. Queste cene sono possibili grazie alle offerte che i turisti desiderano lasciare ma, molto significativo, anche dalla possibilità che le varie famiglie ebraiche romane hanno di dedicare ogni cena a un familiare scomparso.

(Chabad.Italia, 16 gennaio 2014)


"Io ebrea contro il Giorno della Memoria"

di Elena Loewenthal

Come si fa a scendere a patti con una storia così? Come si fa a farci i conti? A togliersela dalla testa, a non trasformarla in un'ossessione, a evitare che ti si aggrovigli dentro?
A pensare che possa lasciarti in pace anche soltanto un momento, per tutti i giorni della tua vita?
Niente da fare.
Te la trascini dietro. Sai che ci stai dentro e non ne esci più anche se sei nata dopo.
Forse, ogni tanto speri di poterla dimenticare. È pura illusione, è un auspicio che affidi, caso mai, alle generazioni successive. Ma altro che memoria, culto della memoria, celebrazione
Elena Loewenthal
della memoria, moralità della memoria. Per te che sei nata dopo, cioè per me, il vero sogno sarebbe poterla dimenticare, questa storia. Rimuovere la Shoah dall'universo della mia coscienza e dal mio inconscio, soprattutto. Smettere, ad esempio, di sentirmi l'intestino in gola ogni volta che vedo e sento passare un treno merci con il suo sferragliare pesante, la lentezza del moto e del suono che assorda, la parete impenetrabile dei vagoni.
Altro che GdM. Ci vorrebbe quello dell'oblio, per me. O almeno la possibilità di sistemare tutta quella memoria su una nuvola, come si fa adesso. Non perché sia vuoto, anzi. L'oblio non si fa con il vuoto, ma con il pieno, come il troppo pieno. È una forma di difesa dall'angoscia, una pulsione di vita, l'oblio: così spiega Simon Daniel Kipman in L'Oubli et ses vertus. Anche lui, che è psicoanalista, al dovere della memoria contrappone il diritto all'oblio e soprattutto il diritto alla trasformazione in tracce meno tossiche e più confortevoli dell'«iscrizione traumatica e traumatizzante del ricordo».
Se solo la si potesse dimenticare, questa storia. Non i suoi morti, che poi sono miei, ma la storia in sé. Le leggi razziali, le persecuzioni, i treni con i deportati, le camere a gas, le torture, le fucilazioni di massa, le violenze assurde. Perché mai coltivarne la memoria, se non per continuare a star male? Ma l'autolesionismo non fa parte della mia identità, né del mio bagaglio morale o teologico. L'ebraismo è una cultura della vita, ha fede nella vita. Non coltiva la morte.
Pensare che gli ebrei ambiscano a celebrare questa memoria significa non provare nemmeno a mettersi nei loro panni. Quella memoria è scomoda, terribile, respingente.
Ne farei tanto volentieri a meno, non finirò mai di ripeterlo.
È la prima cosa da chiedere, appuntata nella mente, se mi capitasse di nascere un'altra volta, con la possibilità di opzione: grazie, questo no. Né prima né durante né dopo. Mettetemi in un mondo dove non c'è la Shoah.
Anche per questa ragione, o forse in primo luogo per questa ragione, io rinnego il GdM: non mi appartiene, non gli appartengo, non riguarda me e la mia, di memoria. La mia memoria non comunica. Malgrado la mia vicinanza estrema e quotidiana, provo una frustrazione terribile che è la conseguenza di una distanza minima, ma insormontabile. A un passo di lì ci sono quel dolore, quelle paure. Lo so, ma non posso far nulla per condividerlo, per sentirlo, per renderlo comunicabile. Non lo è né lo sarà mai. Come non è veramente condivisibile alcuna sofferenza al mondo, del resto. [...]
Ma ovviamente l'oblio non è una terapia culturale accettabile. Viviamo in un tempo che celebra la memoria come valore e l'oblio come difetto. Ricordare è un bene di per sé. Siamo portati a considerare questo come un assunto indiscutibile. Ma forse non è così. Forse anche le società hanno bisogno di dimenticare - le ferite, i torti perpetrati e quelli subiti. Come l'individuo, che per riprendersi deve rimuovere i traumi almeno in parte, almeno per un certo tempo.
Al di là di questo, il GdM sta dimostrando, purtroppo, che la memoria non porta necessariamente un segno positivo, non è utile o benefica di per sé. Può rivoltarsi e diventare velenosa. Scatenare il peggio invece di una presa di coscienza. Come aiuta molti a capire, come fa opera istruttiva, così il GdM è diventato il pretesto per sfogare il peggio, per riaccanirsi contro quelle vittime, per dimostrare che sapere non rende necessariamente migliori. Di fronte ad alcuni, diffusi fenomeni, la reazione istintiva è ormai quella di rammaricarsi della conoscenza acquisita: se circolasse meno memoria, se di Shoah non si parlasse tanto e disinvoltamente, forse si eviterebbero esternazioni verbali - e a volte non solo verbali - che sono un insulto rivolto a tutti. Ai morti, ai sopravvissuti, ma soprattutto alla società civile contemporanea. In sostanza, in questi ultimi anni la memoria non si è dimostrata particolarmente terapeutica: se di certe cose si parla molto più che in passato, è anche vero che non di rado se ne parla offendendo la memoria - sempre che abbia senso, l'espressione «offendere la memoria»: caso mai si offendono i vivi, perché i morti, purtroppo per loro, non si offendono più. È quasi come se la celebrazione della memoria avesse autorizzato la sua stessa violazione. Per questo ogni tanto il silenzio sarebbe auspicabile.
Ma la violazione peggiore, quella più grave e sicuramente più gravida di conseguenze, è quella di considerare il GdM come l'occasione di un tributo agli ebrei, un postumo e ovviamente simbolico risarcimento.
Non è, non dovrebbe essere nulla di tutto questo.
Il GdM riguarda tutti, fuorché gli ebrei che in questa storia hanno messo i morti. Che non l'hanno ispirata, ideata, costruita e messa in atto. Che non l'hanno neanche vista, in fondo: ci sono precipitati dentro. Era buio. Gli altri sì che hanno visto. È questo sguardo che dovrebbe celebrarsi nel GdM. Allora nel presente, oggi verso il passato.
E non è uno sguardo nemmeno consolatorio. [...] Ma non certo per far sì che non accada mai più. La memoria non porta con sé alcuna speranza. La cognizione del male non è un vaccino. «Ricordare perché non accada mai più» è una frase vuota. Se anche non dovesse accadere mai più, non sarà per merito della memoria, ma del caso.

(La Stampa, 16 gennaio 2014)


Io, non ebreo, sono d’accordo. M.C.


Tennis - Maniago blindata per la Nazionale israeliana

Rafforzate le misure di sicurezza per l'arrivo della squadra under 16 femminile. Le gare dal 30 gennaio al 2 febbraio, in azione agenti del Mossad e in borghese.

di Rosario Padovano

MANIAGO (PN) - Si rafforzeranno a breve le misure di sicurezza in tutto il comprensorio maniaghese e in particolare nella città di Maniago per una manifestazione sportiva cui è invitata la squadra nazionale under 16 di tennis femminile di Israele.
Il 30 e 31 gennaio e l'1 e 2 febbraio è in programma, come ogni anno a Maniago, una competizione sportiva internazionale di tennis femminile per nazionali giovanili, la Winter Cup, che nella città dei Coltelli poi taglierà un prestigioso traguardo, quello della 10a edizione. Si tratta di un torneo di qualificazione ai campionati europei, cioè le prime due classificate disputeranno le finali in un'altra sede.
A Maniago, così come in altre località, viene organizzato un concentramento di qualificazione, ovvero rappresenta una località terza in cui si affrontano più nazionali. Oltre all'Italia, squadra di casa, quest'anno la federazione Itf, cioè la federazione europea che organizza il campionato europeo di tennis under 16 femminile per nazionali, ha deciso di inserire nel raggruppamento di Maniago la squadra rappresentante di Israele.
La Sicurezza dello stato ebraico, attraverso il Mossad o altre forze di polizia, conosce con almeno due mesi di anticipo gli spostamenti fuori dal Medio oriente di tutti gli sportivi che rappresentano le nazionali con la stella di David.
«Chiaramente mi hanno già contattato - ha riferito il presidente del Tennis Club Maniago, Daniele Fortugna, che sovrintende alla manifestazione - con largo anticipo. Hanno voluto sapere tutto del torneo e soprattutto mi hanno chiesto accorgimenti particolari per poter ospitare la delegazione israeliana».
Secondo indiscrezioni, la nazionale di Israele potrebbe essere ospitata in un albergo che si trova proprio in centro a Maniago. Attraverso gli sportivi del locale club di tennis il Mossad, dalla sede dell'Ambasciata d'Israele a Roma, ha chiesto e ottenuto di poter occupare determinate stanze di questo albergo.
È consuetudine, quando gli sportivi israeliani gareggiano all'estero, che alla delegazione si aggreghino dei poliziotti in borghese. Esiste anche un protocollo, una forma di collaborazione, tra gli agenti israeliani e la Digos italiana, per predisporre servizi discreti fuori dalle strutture frequentate da israeliani.
L'arrivo di una formazione israeliana in provincia di Pordenone non rappresenta certamente una novità. Per molti anni le nazionali di pallavolo di Israele, sia quelle giovanili maschili che femminili, hanno gareggiato nel famoso memorial dedicato a Ferruccio Cornacchia.

(il Messaggero Veneto, 16 gennaio 2014)


Attacco contro Israele: cinque missili da Gaza verso Ashkelon

Un vero e proprio attacco contro Israele è avvenuto questa notte. Cinque missili sono stati sparati dalla Striscia di Gaza in direzione di Ashkelon, nel sud di Israele. Tutti i missili sono stati intercettati e distrutti dal sistema Iron Dome.
L'attacco è stato massiccio e simultaneo proprio per mettere in difficoltà il sistema Iron Dome e tutti i missili erano in grado di colpire il bersaglio. I terroristi miravano chiaramente alla strage. Anche l'ora scelta per l'attacco, le due di notte, fanno pensare che i terroristi cercassero di colpire i cittadini israeliani senza dare loro la possibilità di andare nei rifugi. Infatti al suono della sirena di allarme rosso praticamente nessuno sarebbe stato in grado di raggiungere un rifugio....

(Right Reporters, 16 gennaio 2014)


Qatar: promessi migliaia di visti di lavoro per specialisti palestinesi

Il principe ereditario del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad bin Khalifa Al-Thani, ha dato ordine di concedere visti di lavoro a 20 mila palestinesi, ha annunciato ieri l'ambasciatore palestinese in Qatar.
In dichiarazioni all'agenzia di stampa palestinese Ma'an, Muneer Ghannam ha precisato che "da vent'anni le autorità dell'emirato non rilasciavano visti di lavoro a palestinesi".
L'ambasciatore ha aggiunto che il provvedimento è frutto di un incontro tenutosi due settimane fa tra il principe e Rami Hamdallah, primo ministro dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp). Hamdallah ha chiesto di permettere agli specialisti palestinesi di lavorare in Qatar per contribuire a ridurre i tassi di disoccupazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
I ministeri del Lavoro e degli Esteri palestinesi e qatarini collaboreranno alla pubblicazione di un elenco di posti vacanti in Qatar.
In caso di licenziamento, per qualsiasi ragione, il lavoratore palestinese dovrà tornare in patria e non potrà più lavorare in Qatar per due anni consecutivi.

(Atlas, 16 gennaio 2014)


Israele - Villetta geometrica sulla costa mediterranea

Si sviluppa su due livelli, più uno interrato e privilegia colori chiari per ampliare il senso di luminosità e spazio

  
Fotogalleria
Realizzata nel 2012 ad Ashdod, sulla costa del Mar Mediterraneo, a circa 70 km da Gerusalemme, questa villetta unifamiliare è un progetto dello studio locale Zahavi Architects.

FACCIATA GEOMETRICA - Sviluppata su un'area complessiva di 450 metri quadri e su due livelli, più uno interrato, l'abitazione - in cui vive una famiglia con figli adolescenti - è caratterizzata da una facciata dai tratti geometrici. le linee morbide nella parte anteriore della casa creano un accogliente hall, mentre la parete frontale che penetra all'interno della casa crea un unicum con il tetto.
OTTIMIZZARE L'APPORTO DI LUCE NATURALE - Un fattore importante che ha influenzato l'intera progettazione dell'edificio è stato il percorso del sole, in modo da ottimizzare al massimo l'apporto di luce naturale. Da qui l'orientamento studiato in funzione del sole e la creazione di finestre a tutt'altezza e lucernari.
SISTEMA DI RECUPERO DELL'ACQUA PIOVANA (in una regione dove scarseggia) - La villetta è inoltre dotata di una serie di elementi "green": sistema di riciclo e depurazione dell'acqua, uso di materiali ad elevato isolamento e solare in copertura. Il lotto su cui è costruita la casa è un'area verde, poco costruita: ecco che quindi le numerose aperture della casa si concentrano principalmente sul giardino e la piscina.
COLORI CHIARI PER AMPLIARE IL SENSO DI SPAZIO - La palette di colori di questo progetto vira tutta verso le tinte chiare, in particolare il bianco, offrendo una sensazione ariosa e leggera. Anche i materiali selezionati puntano ad esaltare il senso dello spazio: piastrelle di granito, alternate a porcellana ed elementi in vetro.

(CasaClima.com, 15 gennaio 2014)


Israele accoglie gli ebrei indiani 'Ben Menashe'

di Romolo Tosiani

Israele accelera l'accettazione degli ebrei degli Stati indiani di Manipur e Mizoram, nell'India del Nord-Est, considerati i discendenti della tribù perduta di Menascè.
I "Ben Menashe" appartengono alle etnie Mizo Kuki e Chin, parlano dialetti birmani-tibetani e discendono dagli antenati che 6000 anni fa lasciarono la Birmania per insediarsi nell'India nordorientale, dove si convertirono al cristianesimo. Le frontiere di Israele continuano ad essere aperte ai discendenti ebrei di tutto il mondo, il caso dei Ben Menashe è stato valutato positivamente dal Rabbinato d'Israele che ne ha verificato le origini e garantito l'ebraicità. La Knesset, in Parlamento israeliano, in dicembre ne ha autorizzato l'arrivo di 900 - che dovranno essere convertiti - lasciando intendere la volontà di far arrivare tutti i 7200 ancora in India.
Bnei Menache sono al momento gli ebrei più "orientali" che immigrano. E a cui quest'anno si potrebbero aggiungere i primi arrivi dalla comunità cinese di Kaifeng, nella provincia di Hainan, anche loro probabili discendenti di un'altra tribù perduta.

(The Blazoned Press, 15 gennaio 2014)


Badante filippina canta «My Way» di Sinatra e vince «X Factor» israeliano

Rose, 47 anni, aveva un sogno. Anzi, due: cantare e parlare della condizione dei suoi connazionali, sottopagati

Video
Una badante filippina, Rose Fostanes, 47 anni, una dei tanti stranieri che in Israele assistono gli anziani e gli ammalati ha sorpreso il Paese vincendo l'edizione locale di «X Factor» con una straordinaria interpretazione di «My Way» di Frank Sinatra. L'evento ha suscitato molta sorpresa in Israele, dove i lavoratori filippini sono circa ventimila.
CAMERIERI E GOVERNANTI - Negli ultimi giorni la popolarità di Rose era cresciuta a dismisura nella comunità dei connazionali, quasi tutti impegnati in lavori di assistenza, come lei, o di pulizia. Spesso Rose aveva approfittato della sua platea televisiva per sostenere la causa dei lavoratori stranieri sottopagati e sfruttati in tutto il territorio israeliano.
SORPRESA - «Non mi aspettavo davvero di vincere» ha dichiarato la protagonista del talent alla stampa, dopo aver saputo della vittoria. «Non sono israeliana, non ho nemmeno la residenza qui, sono a Tel Aviv soltanto per lavorare», ha raccontato. Per molti israeliani la parola «filippino» è sinonimo di «colf» e la vittoria di Rose ha contribuito ad abbattere lo stereotipo.

(Corriere della Sera, 15 gennaio 2014)


Israele punge Kerry: vuole solo vincere il Nobel

di Maurizio Molinari

Scintille fra Israele e Stati Uniti. È il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, a firmare il primo attacco diretto del governo Netanyahu al Segretario di Stato, John Kerry, esprimendo forte scontento per le pressioni in crescita sul fronte dei negoziati di pace. «Kerry è ossessionato, ha un approccio quasi messianico a questi negoziati» lamenta il ministro, imputandogli la «volontà di far nascere lo Stato palestinese a tutti i costi» solo al fine di «vincere il Nobel per la pace». «Spero proprio che Kerry vinca questo Nobel e ci lasci in pace» dice Yaalon a Shimon Shiffer, commentatore di punta del quotidiano «Yedioth Aharonot», rincarando poi la dose davanti ai liceali di Ofakim: «Non fanno che dirci che il tempo lavora contro di noi, non dobbiamo farci mettere sotto pressione o cedere». Da quando il presidente americano Barack Obama ha affidato a Kerry la missione di far ripartire il negoziato israelo-palestinese è la prima volta che la credibilità personale del Segretario di Stato viene contestata a Gerusalemme. Nonostante Netanyahu, assieme ai ministri Avigdor Lieberman e Tzipi Livni, si affretti a smentire Yaalon, obbligandolo ad una correzione di toni, l'affondo riceve una secca replica da parte di Washington. «Si tratta di giudizi offensivi e inappropriati» ribatte Jennifer Psaki, portavoce di Kerry, ricordando «cosa l'America sta facendo per garantire la sicurezza di Israele». Per comprendere la genesi delle scintille fra gli stretti alleati bisogna tener presente quanto è avvenuto 24 ore prima allorché, sfruttando le esequie di Ariel Sharon, il vicepresidente Joe Biden è sbarcato a Gerusalemme per esercitare forti pressioni su Netanyahu affinché ceda su contenzioni negoziali di indubbio peso, a cominciare dalla sovranità sulla Valle del Giordano. Biden ha fatto anche di più: ha definito Sharon «leader controverso» - un termine suonato offensivo a molti israeliani - suggerendo a Netanyahu di prendere esempio dal ritiro di Gaza nel 2005 e aprire alla possibilità dello smantellamento di insediamenti in Cisgiordania.
Barack Obama è per l'Israele di oggi quello che il Faraone d'Egitto fu per il popolo di Dio nei tempi biblici: "un sostegno di canna rotta che penetra nella mano di colui che vi si appoggia e gliela fora" (2 Re 18:21).
Era un testo scritto e dunque l'affondo su Netanyahu non è stato accidentale: innescando la contromossa di Yaalon. Al fine di far comprendere a Barack Obama che Netanyahu non ama le entrate a gamba tesa in casa propria. I negoziati stanno entrando nella fase più concreta e Kerry dovrà lottare per conquistare ogni centimetro di progressi.

(La Stampa, 15 gennaio 2014)


Tu Bishvat

 
Tu Bishvat è una festività ebraica anche chiamata Capodanno degli alberi. Il nome della festività significa 15 del mese di Shevat, ovvero il giorno centrale del mese ebraico di Shevat.
Il festeggiamento rappresentava una sorta di ringraziamento per la fecondità della terra nell'anno precedente e un'occasione di augurarsi un raccolto migliore per l'anno successivo.
In particolare si usano mangiare i frutti che nella Torah vengono associati alla terra di Israele: uva, fichi, melograni, olive, datteri, mandorle, pistacchi, noci, agrumi.
In Israele, durante la festa di Tu Bishvat si usa piantare una gran quantità di alberi. Questo gesto simbolico viene associato al desiderio del popolo di Israele di rendere nuovamente verde un paese che, in epoca biblica, era descritto come stillante latte e miele, metafora per indicare un terreno rigoglioso dove l'agricoltura poteva fiorire facilmente.

(Museo Ebraico di Bologna)

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I quattro bicchieri per "riparare"

di Rav Umberto Piperno

Tiqqun significa letteralmente "correzione": la sera di Tu Bishvat (quest'anno la sera di mercoledì 15 gennaio) leggiamo il tiqqun "perì Ez Hadar" per riparare la colpa dell'uscita dal Gan Eden, prototipo dell'esilio esistenziale. L'uomo ha sbagliato albero, mangiando il frutto della conoscenza invece di mangiare il frutto dell'albero della vita, simbolo della Torà. Per questo motivo mangiamo almeno quindici specie di frutta, recitando le relative benedizioni e nello stesso chiaramente la ricerca di identità, come a Pesach , passa per quattro bicchieri di redenzione. Durante il Seder si prega per poter far crescere etroghim kesherim per la mizvà del lulav , successivamente per un prodotto abbondante, per aiutare Israele ed il Mondo a sconfiggere il gelo dell'indifferenza con la conoscenza della Torà che riscalda i cuori. Benedire con il vino per rinnovare l'augurio alla vita Lechaim, significava originariamente distinguersi dai condannati a morte a cui veniva concesso un ultimo bicchiere: il popolo ebraico guarda sempre alla vita ed al futuro in attesa della primavera della redenzione.

(Comunità ebraica di Roma, 15 gennaio 2014)


Per un approfondimento


Mezzi discorsi

di Elio Cabib

Durante i funerali di Ariel Sharon alcuni rappresentanti di nazioni occidentali hanno fatto dei mezzi discorsi, hanno mandato a Netanyahu un messaggio in codice. Fai anche tu come Sharon che da uomo di pace ha reso la Striscia di Gaza priva di ebrei. Ma si sono guardati bene dal dire che cosa è successo dopo. Se chi governa un territorio, con la violenza, senza violenza, non importa, lo pretende judenrein, sarà bene che gli ebrei se ne vadano spontaneamente se vogliono dimostrare a tutto il mondo di amare la pace, perché anche la loro sola esistenza è una provocazione, se rimangono vogliono la guerra, sono cattivi e vanno cacciati a forza. Non basta dimostrare di amare la pace facendo crescere la qualità della vita nella società in cui si trovano, no, se si tratta degli ebrei l'unica soluzione è andarsene. Non importa: così è stato per 2000 anni, forse così sarà sempre. E' però imbarazzante spiegare poi perché anche senza ebrei della pace non c'è traccia, per questo possono fare solo dei mezzi discorsi.

(moked, 15 gennaio 2014)


Adesivi "nazisti" compaiono davanti a una scuola di Sedriano

Le scritte indicano il Nationalsozialistiche Arbeiter Bewegung - Movimento Nazionalsocialista dei Lavoratori, gruppo politico nazista che si ispira ad Adolf Hitler.

Nei pressi e davanti alla scuola Pirandello di Sedriano (MI), scrive in un comunicato Sinistra di Sedriano, affissi ai pali della luce, sono comparsi alcuni adesivi con la sigla Nsab.
"Questa sigla - viene scritto in una nota - indica il Nationalsozialistiche Arbeiter Bewegung - Movimento Nazionalsocialista dei Lavoratori, gruppo politico nazista che si ispira ad Adolf Hitler, presente nel nord Italia da circa dieci anni. Non è la prima volta che accade a Sedriano. Già nello scorso ottobre, ci fu la comparsa di adesivi simili in piazza Cavour".
A inizio settembre, volantini firmati con la stessa sigla, erano apparsi nella vicina Pregnana, e a fine dicembre anche in pieno centro a Bareggio.

(MilanoToday, 15 gennaio 2014)


Catanzaro e i suoi antichi fasti

Gli ebrei a Catanzaro: storia di un popolo dalle grandi capacità. La comunità ebraica si stanziò nell'area adiacente corso Mazzini, all'altezza del Caffè Imperiale. Abili mercanti, tintori e tessitori, agli ebrei si deve il perfezionamento dell'arte della seta.

CATANZARO - Ad un certo punto, nel passato, la storia della nostra comunità si intrecciò a quella di un popolo dalle complesse vicissitudini: gli ebrei. Un popolo che dimostrò di avere grande abilità anche nelle attività connesse alla lavorazione della seta.
Con molta probabilità gli ebrei si stabilirono nella città di Catanzaro nel 1073, durante il regno di Roberto il Guiscardo e il quartiere nel quale si stanziarono fu detto "giudecca". Per essere precisi l'area occupata dalla popolazione ebraica sorgeva ai bordi dell'attuale Corso Mazzini all'altezza dello storico punto di ritrovo Caffè Imperiale. Il ghetto ebraico si estendeva dall'attuale Vico IV Catalano fino all'attuale piazza Cavour. In seguito si allargò verso ponente, oltre Corso Mazzini, includendo anche Via del Duomo.
Qui essi aprirono botteghe di ricchissime mercanzie tra le quali si mescolavano i pregiati drappi di seta che la città produceva. Andando ben oltre la semplice commercializzazione dei manufatti serici, essi riuscirono a concentrare nelle loro mani tutto il prodotto grezzo che si produceva con l'allevamento dei bachi da seta, a tal punto che si può affermare che agli ebrei, al tempo dei normanni e degli svevi, si deve il perfezionamento dell'arte della seta. Merito loro fu inoltre la razionalizzazione della coltura degli alberi di gelso. Ed infine si dimostrarono particolarmente abili nel tessere la seta per ricavare drappi di notevole pregio e di loro esclusiva competenza fu l'arte di tingere i tessuti con l'indaco.
Ma una delle attività intraprese dagli ebrei fu l'usura, e questo valse loro molte persecuzioni non solo da parte della Chiesa. Sempre maggiore era il numero delle proteste contro l'usura che giungevano al re. Sicché, nel momento in cui il Governo escogitò delle misure contro l'usura i primi ad esserne colpiti furono proprio gli ebrei, ai quali venne imposta una tassa straordinaria d'usura. È notevole il fatto che il Comune di Catanzaro chiese al re che venisse fatta eccezione per quelli che ivi dimoravano. È noto, infatti, che i prestiti in denaro e le anticipazioni versati dagli ebrei sulle forniture permettevano all'economia locale, scarsa d'iniziative, di sopravvivere. Essi possedevano anche il monopolio della seta e nelle fiere e nei mercati, i commerciati stranieri dovevano rivolgersi proprio a loro per l'acquisto di grossi quantitativi di pregiato tessuto. Comunque, nonostante i benefici che essi, con la loro attività, apportarono all'economia della città, il fatto di aver intrapreso l'usura fu una delle ragioni della loro cacciata da tutto il regno di Napoli. La loro presenza aveva rappresentato un elemento di produzione importante nella disorganizzata società catanzarese, e quando essa venne a mancare si creò un vuoto enorme non colmato allora e né purtroppo oggi, dopo quasi quattro secoli, da una vera borghesia produttrice.


Contenuti tratti da "La seta a Catanzaro e Lione" Angela Rubino, Rubbettino 2007; "Catanzaro, città di storia e di cultura" Carla Capece Minutolo, Edizioni Edil Project.

(CatanzaroLive, 15 gennaio 2014)


La 'Assisi clandestina' che sconfisse il nazismo

 
ASSISI - E' una pagina bella e poco nota della recente storia italiana quella che affiora dallo spettacolo teatrale Nel Nome di Lea, scritto da Paolo Mirti ed interpretato da Sara Armentano per la regia di Graziano Lazzari con il commento musicale di Massimiliano Dragoni, che andrà in scena venerdì 17 febbraio alle ore 21,00 al Teatro Metastasio su iniziativa dell'Associazione Resonars e del Comune di Assisi.
E' la storia dei 300 ebrei rifugiati in Assisi che tra il 1943 e il 1944 riuscirono a scampare alla deportazione nazista grazie all'opera di un comitato clandestino formato da persone di diverse convinzioni politiche e religiose.
"Noi Ebrei rifugiati in Assisi non ci dimenticheremo mai di ciò che è stato fatto per la nostra salvezza. Perché in una persecuzione che annientò sei milioni di Ebrei, ad Assisi nessuno di noi è stato toccato". Così Il Prof. Emilio Viterbi, docente all'Università di Padova, raccontò la sua esperienza di rifugiato ebreo in Assisi. Assieme a lui molti furono gli ebrei che, a partire dall'autunno 1943, cercarono rifugio ad Assisi ,cercando di confondersi con le centinaia di sfollati che arrivarono nella città di San Francesco.
Nacque così in città una vera e propria organizzazione clandestina di soccorso agli ebrei, coordinata dal Vescovo Monsignor Giuseppe Placido Nicolini e dal giovane Sacerdote Don Aldo Brunacci, nella quale erano attivi anche Padre Rufino Niccacci, Padre guardiano di S. Damiano, ed i tipografi comunisti assisani Luigi e Trento Brizi.
L'opera teatrale che viene presentato al Metastasio dopo il successo ottenuto nella rappresentazione allestita nel teatro le Muse di Ancona è il racconto di quei fatti realmente accaduti visti con gli occhi di una donna, Lea, giovane ebrea rifugiata ad Assisi all'epoca dei fatti ed oggi anziana signora impegnata in un'unica missione: non far dimenticare questa storia.
La protagonista dell'opera è ispirata alla figura di Graziella Viterbi, sul cui racconto è basato il testo. La stessa Graziella Viterbi, invitata dall'Amministrazione Comunale di Assisi, verrà ad Assisi per assistere allo spettacolo del 17 gennaio legato alla sua storia.
La famiglia Viterbi arrivò ad Assisi dopo l'8 settembre 1943. Emilio Viterbi, professore universitario padovano espulso a seguito dell'emanazione delle leggi razziali, aveva due figlie, Grazia di 14 anni e Mirjam di qualche anno più piccola. Questo è anche il racconto della tragedia che colpì la loro come le altre famiglie ebree italiane dopo l'emanazione delle leggi razziali. Una lenta ma inarrestabile discesa verso gli inferi.
I principali artefici della salvezza degli ebrei ad Assisi sono stati riconosciuti "Giusti tra le Nazioni" ed i loro nomi compaiono nel Giardino dei Giusti allo Yad Vashem di Gerusalemme. Della loro storia si è occupata la Survivors of the Shoah Visual History Foundation, la Fondazione creata dal regista Steven Spielberg allo scopo di raccogliere le testimonianze di tutti i sopravvissuti all'Olocausto e dei loro salvatori.
"Ad Assisi - sottolinea l'autore dell'opera teatrale Paolo Mirti - il coraggio e l'umanità di alcune persone hanno sconfitto il nazismo. Per questo dobbiamo continuare a raccontare questa storia. Proprio come fa Lea. Per commuoverci certo, ma anche per riflettere sul senso delle nostre azioni e sul peso delle nostre omissioni".

(Vivere Assisi, 15 gennaio 2014)


L'ebrea agnostica che con la sua speranza così cristiana illuminò il buio Novecento

Oggi, 15 gennaio 2014, cadono i cento anni dalla nascita di Etty Hillesum, ebrea olandese uccisa nel 1943 ad Auschwitz, che ha lasciato in un diario e in diverse lettere una testimonianza di inaudita speranza sgorgata proprio dall'abisso più buio del male, lo sterminio nazista con i suoi campi di concentramento. Riproponiamo qui un articolo di Marina Corradi apparso nel settimanale Tempi nel dicembre 2008, in occasione dell'uscita in Francia dell'antologia completa degli scritti della Hillesum. In Italia la versione integrale del suo Diario è stata pubblicata per la prima volta da Aldelphi solo nel 2012.

Etty Hillesum
Esce in Francia dall'editore Seuil la versione integrale degli scritti di Etty Hillesum: mille pagine con molti inediti oltre a quelle già pubblicate di Diario e Lettere. Questa ragazza ebrea morta a Auschwitz è stranamente quasi sconosciuta in Italia. Forse perché, non battezzata né apertamente convertita, parla alla fine come una mistica cristiana, e dunque non convince la cultura ebraica. Forse perché, inizialmente non credente, arriva a una visione del mondo cristiana senza alcuna professione di fede - e questo poteva non piacere a certo cattolicesimo degli anni Cinquanta.
Intensamente figlia tuttavia del popolo ebraico, e affascinata dal Vangelo, Etty Hillesum lascia nei suoi quaderni e nella memoria di chi la incrocia l'orma di un'anima splendente: di una regina che riesce a dire, dalle baracche del campo olandese da cui verrà deportata: «Eppure la vita è splendidamente buona, nella sua inestricabile complessità».
L'edizione integrale francese riporta un passo - che nell'edizione italiana del Diario, pubblicata da Adelphi, non compare - in cui Etty legge il capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi («Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei un bronzo che risuona, un cembalo che tintinna…») e racconta: «Leggendo, ho sentito come se, come se cosa? Queste parole lavoravano su di me come una bacchetta da rabdomante, che toccava la terra indurita del mio cuore e faceva sgorgare delle fonti nascoste. Improvvisamente sono caduta in ginocchio accanto al tavolino bianco e l'amore, liberato, si è messo a scorrere in me; in un istante liberata dall'invidia, dalle gelosie, dalle antipatie…».
La ragazza in partenza per il lager descrive uno thàuma, ciò che per gli antichi era invasione divina. E ciò che poi saprà testimoniare dal lager dimostra di un cambiamento radicale avvenuto in quella che era una agnostica, vivace ventenne innamorata sempre almeno di due uomini per volta; in una donna che abortisce e scrive al figlio: «Voglio risparmiarti il dolore. Voglio respingerti nella tranquillità del limbo, piccolo essere in divenire, e dovrai essermene grata».
Da questo nichilismo anticipatore del sentire di tante ragazze di cinquant'anni dopo, alla fanciulla del lager colma, pure nel fondo del male, di una assoluta speranza, quale rivoluzione si è compiuta? E pensi a quelle fonti segrete sgorgate alla lettura dei Corinzi, all'improvviso, mai imparato né coscientemente voluto cadere in ginocchio di una ragazza ebrea. Lei stessa subito si riprende, e commenta: «Ieri pomeriggio, ero proprio isterica».
Straordinariamente moderna, Etty Hillesum. Ha addosso una domanda possente, un desiderio infinito; ma se s'affaccia oltre a ciò che si tocca e si misura, reagisce, si difende, torna in sella alla sua razionalità positivista. Ha letto Freud: "Sei solo isterica", si dice, dopo quell'attimo di felicità inaudita. Una sorella, vissuta cinquant'anni fa. Una che poi, nel fondo dell'inferno, in un istante vede tutto finalmente chiaro. «Siamo partiti cantando», sono le sue ultime righe, su un biglietto gettato dal treno per Auschwitz.

(Tempi, 15 gennaio 2014)


Quand'anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità, sono un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho carità, non sono nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova. La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non sospetta il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. La carità non verrà mai meno. Quanto alle profezie, esse verranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando son diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia: ora conosco in parte; ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto. Or dunque queste tre cose durano: fede, speranza e carità; ma la più grande di tutte è la carità.
Prima lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi, cap.13







 

L'addestramento di Hamas a Gaza

13 mila adolescenti a Gaza hanno imparato a usare armi leggere, strisciare sotto il filo spinato, saltare in cerchi infuocati.

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A Gaza circa 13 mila adolescenti hanno partecipato a un'esibizione militare, che ha concluso il corso di addestramento condotto da Hamas, l'organizzazione palestinese nata nel 1987, ora al governo nella Striscia di Gaza. L'addestramento era aperto soltanto ai maschi, con l'obiettivo di formarli per «liberare la Palestina da Israele», come ha spiegato un funzionario di Hamas. I ragazzi hanno imparato a scendere scivolando sulle corde, correre gli ostacoli, strisciare sotto il filo spinato e saltare in cerchi infuocati. Ai più grandi è stato insegnato come usare le armi leggere, mentre i più piccoli si sono esercitati con fucili finti di legno.

(il Post, 14 gennaio 2014)


Ma John Kerry, che cerca la pace tra Palestina e Israele, sa che Hamas vuole "liberare la Palestina da Israele"?


Israele da record: 16,7 milioni i pernottamenti

In totale 3,5 milioni di arrivi, dall'Italia in 173mila (+2%). Come primo mercato incoming si confermano gli Stati Uniti con 623mila visitatori.

Sono stati 16,7 milioni i pernottamenti in Israele nel 2013, con un aumento del 3% rispetto allo scorso anno. Quanto agli arrivi: 3.540.000 turisti sono stati accolti, facendo così registrare un mezzo punto in percentuale in più rispetto al già precedente anno record del 2012. Il numero dei turisti in entrata (non compresi i visitatori giornalieri) è stato pari a circa 2,9 milioni, con un incremento del 3% rispetto al 2012. In particolare l'Italia: con oltre 173.000 turisti cresce del 2% in più rispetto allo scorso anno.
L'ente del turismo ha rilasciato oggi i dati statistici, confermando che la città più visitata è stata Gerusalemme (75%) e il Muro del Pianto è stato il sito più visto (68%), seguito dal quartiere ebraico di Gerusalemme (64%), la Chiesa del Santo Sepolcro (57%), la Via Dolorosa (55%) e il Monte degli Ulivi (53%).
Il 53% dei turisti in arrivo erano cristiani, metà dei quali cattolici. Il 28% erano ebrei. Il 54% dei turisti ha messo piede in Israele per la prima volta, mentre il 46% sono stati visitatori di ritorno. Il 22% ha dichiarato che la propria visita era parte di un pellegrinaggio, il 27% era in un tour e viaggio, 9% era in vacanza e tempo libero.
Complessivamente il 58% ha definito la propria visita a fini turistici, il 26% ha visitato amici e/o parenti el'8% è arrivato in Israele per affari o per partecipare a convegni. I turisti sono arrivati principalmente da: Stati Uniti, Russia, Francia, Germania e Regno Unito.
Come negli anni precedenti, il turismo dagli Stati Uniti ha rappresentato il più grande paese di origine per il turismo incoming in Israele, con 623.000 visitatori che sono arrivati nel 2013, (pari al 18% di tutto il turismo incoming), l'1% in più rispetto il 2012. Al secondo posto e con un margine molto piccolo è il turismo dalla Russia, con 603.000 visitatori, il 3% in più rispetto il 2012. La Francia occupa il terzo posto, con circa 315.000 visitatori (5% in più rispetto allo scorso anno), seguita da Germania (254.000, 6% in più rispetto 2012) e il Regno Unito con 217.000 visitatori ciascuno, 5% in più rispetto il 2012.

(Guida Viaggi, 14 gennaio 2014)


Ministro della Difesa israeliano: "Il piano di Kerry non vale niente"

Moshe Yaalon: "La sola cosa che ci può salvare è che John Kerry vinca il premio Nobel per la pace e ci lasci in pace".
Epigrafica sentenza. Se a John Kerry daranno il premio Nobel della pace, che premio si potrà dare a Moshe Yaalon per questa scultorea sintesi della politica di John Kerry?


Moshe Yaloon
GERUSALEMME, 14 gen. - Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaloon, ha attaccato il segretario di Stato americano John Kerry e il piano di sicurezza da lui presentato nell'ambito dei negoziati di pace israelo-palestinesi.
"Il segretario di Stato John Kerry - che è arrivato qui determinato e che è animato da una incomprensibile ossessione e da una sorta di messianismo - non mi può insegnare niente sul conflitto con i palestinesi", ha detto Yaalon, citato dal giornale israeliano Yediot Aharonot.
"La sola cosa che ci può salvare è che John Kerry vinca il premio Nobel per la pace e ci lasci in pace", ha ironizzato il ministro della Difesa. Yaalon, un falco del governo di Benjamin Netanyahu, ha criticato più specificamente le proposte Usa sulla sicurezza in Cisgiordania, in particolare nella valle del Giordano, lungo la frontiera con la Giordania.
"Il piano americano di sicurezza che ci è stato presentato non porta né sicurezza e né pace", ha detto ancora il ministro israeliano al quotidiano. "Non vale neanche la carta su cui è scritto", avrebbe rincarato Yaalon durante una conversazione privata, riferita da alcuni presenti anonimi. Yaalon in questa occasione ha definito Kerry un ingenuo e ha insistito sul fatto che l'unico modo per garantire la sicurezza di Israele è essere presenti in forze sul campo.
Nel corso della sua ultima visita di inizio gennaio nella regione, il capo del dipartimento di Stato Usa ha presentato un "accordo quadro" che traccia le grandi linee per un'intesa definitiva sulle frontiere, sulla sicurezza, sullo statuto di Gerusalemme e sulla sorte dei rifugiati palestinesi, senza riuscire a convincere israeliani e palestinesi.

(TMNews, 14 gennaio 2014)


Iran - Arresti di cristiani nelle "chiese domestiche" a capodanno e nel periodo natalizio

TEHERAN - Le autorità di sicurezza iraniane hanno arrestato quattro cristiani iraniani, riunitisi in casa per celebrare il capodanno con un momento di preghiera nella cittadina di Karaj. La polizia ha fatto irruzione, ha percosso e arrestato Sara Rahimi-Nejad, Mostafa Nadri, Majid Sheidaei e George Isaia, trasferendoli in un luogo sconosciuto. Come riferisce una nota inviata a Fides da "Mohabat News", agenzia di informazione dei cristiani iraniani, gli aganti in borghese hanno sequestrato effetti personali, libri, appunti, computer, CD e DVD. Nei giorni scorsi i familiari dei quattro, recatisi al carcere di Evin per avere informazioni sui loro cari, sono stati allontanati. Durante il periodo natalizio, un altro gruppo di cristiani era stato arrestato: si tratta di Faegheh Nasrollahi, Mastaneh Rastegari, Amir Hossein-Nematollahi, Ahmad Bazyar e Hosseini, riunitisi in una chiesa domestica a Teheran.
Secondo quanto riferiscono fonti di Fides, le pressioni sulla comunità cristiana iraniana si intensificano nel tempo di Natale e Capodanno: la polizia compie incursioni per scoraggiare i fedeli che si riuniscono nelle cosiddette "chiese domestiche", considerate irregolari e pericolose e perseguite secondo le norme sulla sicurezza nazionale. Spesso la polizia cerca di estorcere confessioni in cui i detenuti cristiani ammettano di essere "pagati dall'estero per promuovere il cristianesimo in Iran".
Secondo un recente rapporto dell'Ong "Open Doors" l'Iran si colloca tra i primi dieci paesi al mondo dove i cristiani sono maggiormente perseguitati.

(Agenzia Fides, 14 gennaio 2014)


Cinque cose deliziose: Israele edition

Quando torni da un viaggio, se sei normale scarichi le foto sul pc, se sei psicopatico cerchi in rete la ricetta del cibo che più ti è rimasto nel cuore e lo riproduci seduta stante.
Israele si sa, è difficile da catalogare o riassumere, anche dal punto di vista gastronomico.
Nei secoli gli ebrei emigrati da ogni parte del mondo hanno contribuito ad arricchire e dare un'identità mista e contaminata alle abitudini culinarie del Paese. Il dibattito sull'esistenza di una vera identità della cucina tradizionale è tuttora aperto. Poco importa per raccontarvi le cinque esperienze gastronomiche da non perdersi e dove mangiare le delizie di questa lista....

(dissapore, 14 gennaio 2014)


I poveri soffrono di più dopo gli attacchi di cuore. La scoperta di ricercatori israeliani

I risultati di uno studio potrebbero aiutare i medici e i governi a migliorare l'assistenza post attacco di cuore per i poveri.

 
Dr. Yariv Gerber, Facoltà di Medicina Sackler, Università di Tel Aviv
LECCE - La povera gente può soffrire più dei "ricchi" dopo un attacco di cuore. Lo dicono i ricercatori dell'Università di Tel Aviv.
In uno studio pubblicato in una rivista internazionale di cardiologia, i ricercatori Vicki Myers e Yariv Gerber della facoltà di medicina Sackler della Tel Aviv University hanno scoperto che il rischio di diventare lo "stato" che viene denominato "clinicamente fragile" dopo un attacco di cuore è due volte più in alto per la gente di settori socioeconomici più bassi.
"Definendo la fragilità, che combina molti settori della medicina, possiamo prevedere che queste persone sono a rischio più alto dopo un attacco di cuore," la dottoressa Myers ha detto in una dichiarazione. "E abbiamo trovato una forte connessione tra fragilità e status socioeconomico".
I ricercatori hanno esaminato i dati provenienti da 1.151 israeliani che avevano subìto un attacco di cuore da 10 a 13 anni prima dell'inizio dello studio. Hanno applicato un indice di 40 variabili di salute - tra cui fattori quali livelli di energia, problemi di salute e malattie, inattività fisica, deterioramento delle condizioni di salute e perdita di peso - per determinare la fragilità dei partecipanti.
I ricercatori hanno scoperto che il 35 % dei soggetti sottoposti allo studio era diventato "fragile" nel decennio che seguì il loro attacco di cuore. Quei pazienti fragili avevano più probabilità di aver subito un grave attacco di cuore e di essere obesi di quando erano stati valutati in precedenza. Inoltre, vi erano più probabilità che provenissero da classi socio-economiche più basse, meno istruite e che guadagnassero redditi più bassi.
Nonostante ciò, per i pazienti fragili è risultato meno probabile che siano finiti in terapia intensiva, o che abbiano avuto un intervento chirurgico o prescritti farmaci comunemente indicati dopo un attacco di cuore. Circostanze che hanno indotto a pensare che siano conseguenza della possibilità di minor accesso alle cure tra i poveri.
"Non solo il reddito basso è risultato connesso a due volte il rischio di diventare "fragile", ma il vivere in un quartiere popolare era legato al 60 % di aumento del rischio di fragilità rispetto a vivere in un quartiere benestante, indipendentemente dalle circostanze personali", ha tenuto a precisare la ricercatrice.
I ricercatori, tiene a precisare Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", hanno sottolineato in una dichiarazione che i risultati della ricerca potrebbero aiutare i medici e i governi a migliorare le cure post-attacco per i poveri. Una conferma per noi dello "Sportello dei Diritti" che da anni ci battiamo contro i tagli indiscriminati alla sanità pubblica degli ultimi anni che come una scure si stanno abbattendo irrazionalmente sul sistema di welfare.
In tal senso, è opportuno ribadire che ricerche di tal tipo costituiscono la prova lampante che le politiche dei tagli lineari nella sanità a lungo termine graveranno ancor di più sulle condizioni di vita di un'intera nazione, mentre garantire cure a tutti e di qualità, ovviamente eliminando i veri sprechi, nel lungo periodo possono comportare notevoli risparmi e soprattutto aiutare a mantenere sana una popolazione che invecchia.

(informazione.it, 14 gennaio 2014)


Il sionismo pragmatico di Sharon che salvò Israele. Due volte

E dimostrò come la realtà avesse smentito le illusioni in cui si erano cullate sia la sinistra che la destra israeliane.

Ariel Sharon ha contribuito a salvare Israele almeno due volte. La prima volta, nel corso della guerra di Yom Kippur del 1973, gli è valsa il plauso di tutto il mondo libero. La seconda volta, tre decenni più tardi, nella guerra contro il terrorismo di Yasser Arafat, gli è valsa grandi critiche e accuse generalizzate. Questo slittamento riflette perfettamente il cambiamento di tattica nella pluridecennale guerra contro l'esistenza di Israele, e il conseguente crollo dell'immagine d'Israele agli occhi del resto del mondo.
Sharon, un fiero combattente che era rimasto così gravemente ferito nella guerra del 1948 da essere dato per morto, e che nel 1967 aveva ideato nuove tattiche di battaglia coi carri nel deserto, nell'ottobre 1973 rischiò la corte marziale quando attraversò con le sue truppe il Canale di Suez. Israele aveva vacillato sotto l'offensiva siriano-egiziana sferrata nel giorno di Kippur. Scontrandosi coi suoi superiori Sharon insistette perché, anziché battersi sulla difensiva, passasse all'offensiva ed entrasse in territorio egiziano. La sua audace manovra funzionò, arrivando ad accerchiare nel Sinai l'intera Terza Armata egiziana e contribuendo in modo determinante alla vittoria finale di Israele....

(israele.net, 14 gennaio 2014)


"Sharon fedele a un solo ideale: uno stato ebraico"


Raanan Gissin, analista esperto del conflitto arabo israeliano, consulente del premier Ariel Sharon e portavoce del governo israeliano, torna indietro nel tempo e ai microfoni di euronews rivela i dettagli inediti sulle scelte fatte da Sharon come premier e come militare.
Come politico e come il militare, per Raaan Gissin, fu guidato da un solo obiettivo, costruire uno stato ebraico che fosse la casa per tutti gli ebrei del mondo.

- Luis Carballo, euronews
  Qual'è stata la decisione più difficile che Sharon dovette prendere?

- Raan Gissin
  "Penso la rimozione delle colonie
Il termine inglese usato dall'intervistato è “settlements”, ma il giornalista invece di tradurre correttamente in italiano "insediamenti" usa la parola "colonie", corrispondente al termine inglese “colonies” che certamente l’israeliano non avrebbe mai usato. La menzogna comincia dalla scelta delle parole.
da Gaza, dalla Giudea e Samaria. Perché per lui, Israele, tutto lo stato di Israle, si componeva di colonie. Israele sarà lo stato per tutti gli ebrei del mondo e la colonia era un ottimo modo per costruire questo stato. Sharon è stato il promotore degli insediamenti per oltre vent'anni".

- Qual è stata la misura di cui andava più fiero?
  "Andava fiero di tutte le cose che ha fatto in Israele:dell'agricoltura, della terra, delle nuove colonie costruite, del fatto che Israele attirava sempre più persone, ebrei provenienti da tutto il mondo che hanno fatto sì che Israele diventasse uno stato qual'è oggi.
Penso che fosse fiero del fatto che Israele avesse un esercito forte, uno dei più forti del mondo.
Era molto orgoglioso di questo… perché ha permesso a Israele... (non finisce la frase).
Ricordava la sua esperienza nel 1948, quando fu sul punto di morire nella battaglia di Latrun, con i suoi che cercavano di salvare i membri del plotone. Lui per quanto ferito cercava di portare in salvo i suoi uomini. Fino all'infermeria".

- Dopo il ritiro da Gaza, avrebbe preso la stessa misura per la Cisgiordania? C'era lo stesso piano di smantellamento delle colonie della Cisgiordania?".
  "Immagino che senza dubbio ci sarebbe potuta essere una riflessione. Avrebbe potuto prendere in considerazione un cambiamento se il mezzo avesse giustificato il fine di avere uno stato ebraico forte al fianco di quello palestinese. Se fosse stato necessario da un punto di vista tattico l'avrebbe fatto. Non so se sarebbe stato in grado di arrivare a un accordo di pace con i palestinesi, come noi speravamo, ma con ogni decisione che prendeva riusciva a unire gli israeliani".
La cosa importante da capire è che Israele è uno Stato diviso, con forti differenze che Sharon era in grado di sintetizzare per condurre il popolo di Israele nelle battaglie più difficili".

- Si è mai pentito del massacro di Sabra e Shatila in Libano e della guerra in Libano?
  "Sabra e Shatila fu un errore, un errore in Libano. Ma sul fondo, sul fatto che si trattò di un'azione intrapresa contro i terroristi in Libano e per la sicurezza di Israele, non cambiò mai idea. Penso che si sia pentito, noi apprendemmo solo in seguito quale problema rappresentasse il Libano.
Sharon ha assunto la sua parte di responsabilità e abbiamo pagato per questo. C'è stato un processo e una commissione.
Lui non ha voltato le spalle a Israele, disse: ho preso questa decisione, perché era la giusta decisione e il momento giusto, assumo pienamente la responsabilità di quanto ho fatto perché l'ho fatto per il bene di Israele".

(euronews, 13 gennaio 2014)


Varese - Giornata della memoria, Goti Bauer testimone della Shoah

Goti Bauer
Si sta svolgendo a Varese, per tutta la durata dell'anno accademico 2013-14, la quinta edizione del progetto "Giovani Pensatori", dedicata al tema: "Di terra, acqua, aria e fuoco. Mondo e filosofia".
Il progetto rappresenta una occasione d'incontro e di confronto filosofico tra Università e Scuole cittadine, dalla scuola primaria - con il progetto della Filosofia per bambini -, alla scuola superiore di primo grado, fino alle scuole secondarie ad indirizzo tecnico e ai licei.
Mercoledì 22 gennaio 2014, Aula Magna, via Ravasi 2, Varese ore 10,
in occasione della Giornata della memoria:
Goti Bauer (deportata di Auschwitz), L'esperienza del lager nazista: testimonianza sulla Shoah
Fabio Minazzi (Università Insubria), Pensare Auschwitz
Goti, nata nel 1924, ebrea, viene arrestata il 2 maggio 1944 a Cremenaga (Varese), deportata ad Auschwitz vi giunge il 3 maggio 1944, poté tornare in Italia nel maggio 1945, ma i genitori muoiono nel lager.

(Varesereport, 13 gennaio 2014)


Il 27 gennaio 2009, ricorrenza del Giorno della Memoria, si è tenuto a Montecitorio il convegno
"Memoria: dalle testimonianze dirette al museo della Shoah".
Goti Bauer racconta la sua odissea: Parte prima, Parte seconda


Israele - Proposta di legge per vietare il termine "nazista"

Se dovesse passare la proposta di legge approvata per ora da una commissione del Parlamento, in Israele sarà probito l'uso del termine 'Nazista' in qualsiasi forma, così come, per qualsiasi ragione, parole dal suono simile.

- La condanna
  L'espressione sarà ammessa solo per "fini educativi, di documentazione, di ricerca storica o scientifica". Chi trasgredirà sarà condannato a sei mesi di prigione ed ad una multa fino a 100mila shekel (circa 20mila euro).

- La proposta di legge
  La proposta di legge - spiegano i media - sanziona anche coloro "che insultano qualcuno augurandosi o esprimendo la speranza che gli obiettivi dei nazisti dovrebbero essere completati" oppure lamentandosi che " questi non siano stati raggiunti". La norma non proibisce però di riferirsi agli attuali nazisti come tali. Il deputato del partito di destra 'Ysrael Beitenu' Shimon Ohayon ha detto, citato dai media, di aver promosso la legge con lo scopo "di proibire simboli o terminologia nazista".

(Rai News, 13 gennaio 2014)


Oltremare - L'azzurro
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

L'azzurro è spesso orizzontale. Prendiamo il mare, per esempio. O quello che noi qui chiamiamo mare - cioè praticamente qualunque bacino d'acqua, salato o dolce, grande o piccolo.
Il Kinneret, in ebraico è un mare, ma in italiano è più prosaicamente il lago di Tiberiade. Non discuto la definizione di mare, in una terra così piccola, visto che il Kinneret è il centro della vita nel nord del paese, e ci si fanno gare di nuoto e ci sono stabilimenti balneari esattamente come quelli di Tel Aviv. E' un mare miniaturizzato, passi. Quello che mi mette dubbi è il fatto che l'acqua è dolce. Sono quasi certa di aver studiato su qualche libro di geografia delle elementari che un mare, per definizione, ha l'acqua salata. E quindi, fra l'altro, non si può bere. Siccome invece dal Kinneret beviamo e utilizziamo per l'agricoltura e per le fabbriche anche troppa acqua, ecco, non so: lago? mare dolce? Comunque si decida di chiamarlo, l'azzurro sul Kinneret è una rarità. Prevalgono giornate velate, cielo lattiginoso e d'estate un caldo assordante.
Siccome poi questa è Israele e, come il tempo meteorologico, ogni cosa naturale va per eccessi, l'altro mare che contribuisce massicciamente all'economia israeliana portando turisti ed esportando sali dai poteri quasi magici, è il Mar Morto - che invece è salatissimo. Si narra di scherzi feroci alle matricole nell'esercito e a turisti facili da abbindolare, messi a pescare per ore interminabili, con il miraggio di mangiare poi un fantomatico pesce salato del Mar Morto. Che dire, la natura è meno stupida e infatti non si avvistano pesci anche se in ebraico si tratta del Yam Hamelach, il mare salato, e non mare morto.
Anche nel Yam Hamelach però, l'azzurro tende un po' a latitare. L'aria (un dotto direbbe forse: gli strati di atmosfera) pesa parecchio, a 427 metri sotto il livello di tutti gli altri mari. Anche qui, i giorni tersi con l'aria pulita scarseggiano.
Dunque è chiaro: per ritrovare l'azzurro, quello limpido che confonde cielo e mare, posso solo essere a Tel Aviv e d'inverno. Mi accontenterò, che sarà mai.

(moked, 13 gennaio 2014)


Roma - Consegnata a due famiglie la Medaglia dei Giusti

ROMA, 13 gen. - Questa mattina si è svolta la cerimonia di consegna della "Medaglia dei Giusti" del Museo Yad VaShem di Gerusalemme alle famiglie Serra e Dominici che si prodigarono per la salvezza di due famiglie ebraiche (Piperno e Ascarelli), durante il periodo delle persecuzioni naziste, rischiando la propria vita. La consegna è stata effettuata all'interno dei locali della libreria ebraica Kiryat Sefer grazie al lavoro di coordinamento e ricerca dell'Ambasciata d'Israele in Italia - Ufficio Affari Pubblici e Politici. Alla consegna ha partecipato l'Assessore alle Relazioni Istituzionali della Comunità Ebraica di Roma, Ruben Della Rocca, che ha salutato il pubblico e in particolare i ragazzi della terza media della scuola ebraica di Roma: "Siete voi l'esercito della Memoria - ha spiegato Della Rocca - e sono felice che questa cerimonia avvenga davanti ai vostri occhi affinché possiate raccontare ai vostri coetanei e un giorno ai vostri figli cosa è successo nella nostra città dopo il 16 ottobre 1943, quanti hanno aiutato i membri della comunità a salvarsi dalla ferocia nazista". Livia Link-Raviv, dell'Ambasciata d'Israele in Italia, ha aggiunto "quanto sia importante il lavoro di ricerca per consegnare il più alto riconoscimento dello Stato Ebraico alle persone che si sono spese per salvare delle vite. Vanno ricordate e premiate anche per non dimenticare quanti non aiutarono gli ebrei perseguitati e chi, purtroppo, ha invece aiutato i nazisti a compiere l'orribile opera di rastrellamento". Per la famiglia Serra ha ritirato la "Medaglie dei Giusti" la signora Maria Laura, mentre per la famiglia Dominici hanno avuto l'onore di vedersi consegnata la medaglia le signore Anna e Marisa. Sono loro le figlie di quegli eroi che salvarono le famiglie Piperno e Ascarelli. E nella tradizione ebraica chi salva una vita salva il mondo intero.

(Comunità Ebraica di Roma, 13 gennaio 2014)


Israele dà l'addio a Sharon

Massima allerta per i funerali: sarà inumato vicino a Gaza

  
L'addio a Sharon
L'esercito israeliano ha elevato l'allerta nel Neghev occidentale in occasione dei funerali dell'ex premier Ariel Sharon che sarà inumato nel suo ranch dei Sicomori, a pochi chilometri in linea d'aria da Gaza, alla presenza di importanti personalità. Negli ultimi due giorni dai territori palestinesi sono stati lanciati alcuni razzi: uno verso il Neghev e alcuni verso il mare.
Alla cerimonia funebre hanno preso parte i familiari, i dirigenti israeliani e gli esponenti politici da una ventina di paesi fra cui il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden. L'Italia è rappresentata dal vice ministro degli esteri Marta Dassù. Dopo la lettura della preghiera ebraica dei morti, la figura di Sharon è stata evocata dal Capo dello Stato, Shimon Peres, e dal premier, Benyamin Netanyuahu.
Ariel Sharon è stato "uno dei più grandi generali che il popolo ebraico e le forze armate israeliane abbiano mai conosciuto". Lo ha detto il premier Benjamin Netanyahu. "Era un uomo pragmatico e questo pragmatismo era incardinato dentro una profonda passione e sentimento per il popolo ebraico". "Era la spalla sulla quale poteva poggiarsi la sicurezza della nazione", ha aggiunto il presidente israeliano Shimon Peres.

(TGCOM24, 13 gennaio 2014)


Attivista palestinese pronta a morire per colpire Israele

Ha suscitato reazioni ovviamente negative il post che una ex studentessa dell'università di Calgary in Canada ha scritto sulla sua pagina facebook. Ala'a Hamdna, di origine palestinese ed ex presidente di Solidarity for Palestinian Human Rights, ha scritto di essere pronta a immolarsi per la causa palestinese contro Israele. "Sono nata per diventare la prossima combattente palestinese" ha postato su facebook lo scorso 25 dicembre, "nel grembo di mia madre avevo una pietra e una bandiera palestinese". Nel resto del suo messaggio ha poi scritto: "Il mio corpo e la mia anima sono pronti a combattere e morire. E se vedrete il mio sangue uscire dal mio corpo per favore sorridete e piangete di gioia perché solo allora potrò riposare in pace tra le braccia di mai madre". Concludendo così: "Questo paese sarà orgoglioso che i bambini palestinesi sono nati uomini e donne pronti a versare il loro sangue". In un altro post aveva invece scritto: "Immergerò la mia kefia (la tipica sciarpa palestinese, ndr) nel vostro sangue e la conserverò per mostrarla ai vostri parenti". Un post che a sua volta un gruppo canadese (CUWI) che sostiene Israele ha definito di odio e quindi è stata depositata una denuncia contro la giovane. In seguito la giovane ha rettificato il contenuto dei suoi post, parlando di esempi di scrittura creativa e di poesia: hanno omesso il contesto e il senso dei miei post, ha detto, e il significato di scrittura creativa. Quello che scrivo, ha aggiunto, vuole solo enfatizzare la situazione in cui vivono i palestinesi, ma non significa che io voglia fare veramente le cose che ho scritto né ho intenzione di incoraggiare alcuno a fare quello di cui scrivo.

(ilsussidiario.net, 13 gennaio 2014)


Ci sono effettivamente persone il cui animo creativo, stimolato all’elevazione lirica dalla “situazione in cui vivono i palestinesi”, arrivano ad esprimere in forma più o meno poetica il loro intimo odio verso Israele. E’ odio, puro odio, ma non dev’essere chiamato così, perché è odio letterario, e la letteratura, si sa, si muove su un piano diverso, che non è quello della banale, prosaica realtà di chi vive i fatti. Quindi, gli ebrei israeliani a cui dovesse capitare di leggere: “Immergerò la mia kefia nel vostro sangue e la conserverò per mostrarla ai vostri parenti" non devono preoccuparsi, ma semplicemente lasciarsi afferrare dal torrente poetico dell’autrice e immergersi nel mondo poetico della sua scrittura creativa.
Ma per ogni evenienza tengano un fucile a portata di mano.
Anche questa è scrittura creativa
M.C.


Un ricordo di Arnoldo Foà

di M.Cristina Nascosi Sandri

Arnoldo Foà
FERRARA - Arnoldo Foà, mancato l'11 gennaio, venne a Ferrara, tra le ultime volte, per partecipare alla seconda edizione della Festa del Libro Ebraico nel chiostro di San Paolo di Ferrara, a maggio del 2011. Uomo d'arte e di spettacolo a tutto tondo, ospite insieme con un altro eclettico entertainer, come lui di origine ebraica del '900, Teddy Reno - al secolo Ferruccio Merk Ricordi - fu, quel pomeriggio, come sempre, all'altezza della situazione, tra battute e rampogne tipiche della sua incisiva coscienza burbera e civile.
Ho avuto, fortuitamente e fortunatamente, l'occasione di conoscerlo di persona a Ferrara durante un'altra delle sue capatine di ritorno al luogo natìo, alcuni anni fa, a Palazzo dei Diamanti. C'era un concerto di rilievo quella sera: durante l'intervallo, vagando in quelle splendide sale piene d'arte immortale ferrarese, ebbi modo di parlargli brevemente, anche in dialetto ferrarese, idioma che lui ancora ben rammentava: una grande emozione - l'avevo provata così solo un'altra volta, nel corso di un altro indimenticabile incontro, quello con Giorgio Bassani - mi prese.
Ricordo che avrei voluto baciargli la mano. No, non certo per piaggeria, bensì per stima, riconoscenza, riconoscimento d'aver di fronte, per alcuni minuti, un grande essere umano, oltreché una grande personalità artistica a tutto tondo, piena, come quella di Bassani, di ineludibile ed unico wiz ebraico d'altri tempi, ormai impossibile da ritrovare nell' eredità estense d'oggi.

(Cronaca Comune, 13 gennaio 2014)


Israele saluta il suo enfant terrible

Commenti dalla stampa israeliana

Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «Ariel Sharon è morto come è vissuto: fuori dal consueto, sfidando ogni aspettativa, deviando dai piani. Per otto anni ha ricevuto assistenza medica 24 ore al giorno a causa del devastante ictus subito nel 2006. Ma quando i medici hanno detto che era sul punto di morire, il suo corpo aveva altri piani. Solo dopo che i più brillanti medici erano ormai diventati materia per comici e vignettisti, ha esalato il suo ultimo respiro. I suoi 85 anni potrebbero riempire due voluminose biografie, assai diverse fra loro, per raccontare le sue azioni, i suoi successi, le sue lacune e i suoi errori. Quasi ogni passo che ha compiuto nella sua vita militare e civile ha suscitato polemiche e generato aspri contrasti. Due immediati successori di Moshe Dayan, Haim Laskov e Tzvi Tzur, fecero in modo che Sharon non venisse promosso. Solo dopo che Yitzhak Rabin divenne capo di stato maggiore, la carriera militare di Sharon iniziò a decollare. E divenne leggendaria dopo la battaglia di Abu-Ageila, quando le sue truppe sconfissero le forze egiziane nel Sinai durante la guerra dei sei giorni 1967. Poi fu una sorta di mentore di un'ampia opera di insediamento in Giudea e Samaria. Ma fu anche il comandante in capo dello smantellamento degli insediamenti: dal Sinai, prima, da Gaza poi. Come risultato di questa dicotomia, si era fatto acerrimi nemici ad entrambe le estremità dello spettro politico israeliano». (Da: Israel HaYom, 12.1.14)...

(israele.net, 13 gennaio 2014)


L'approccio «diadico» per aiutare i bimbi autistici

Sperimentato in Israele e anche a Roma. Valorizza la sinergia con la madre

Ayelet Erez, psicologa clinica dell'età evolutiva e dell'educazione
HAIFA - La "mente binoculare" è il nuovo obiettivo sperimentale nella "cura" dell'autismo. Punto di arrivo della cosiddetta terapia diadica che, al di là del termine, significa creare una nuova entità composta da genitore-bambino e terapeuta-paziente per "evolvere" in sinergia. Due in uno, per evolvere insieme. È il percorso individuato dalla ricerca scientifica israeliana del Milman Center di Haifa. E in Israele, così come negli Stati Uniti, l'autismo non è certo malattia rara. «Il concetto di mente binoculare - spiega Ayelet Erez, psicologa clinica dell'età evolutiva e dell'educazione (Israele) - fa riferimento ai processi neuro-emozionali nell'autismo all'interno di sistemi complessi e dinamici. È un nuovo approccio integrato nel campo della scienza che unisce i processi e le idee di fisica, biologia, ecc.». La ricerca indaga da tempo sui «misteriosi sintomi del disturbo autistico - prosegue Erez -, intrecciando lo studio dello sviluppo infantile e le teorie relative al disturbo dello spettro autistico all'esperienza clinica. Ne è derivata una nuova comprensione dei fattori alla base del disturbo e del loro potenziale di cambiamento non lineare all'interno di una terapia innovativa. Ad Haifa adoperiamo per l'autismo un modello di lavoro basato su una prospettiva intersoggettiva, attraverso una psicoterapia genitore-bambino». Ayelet Erez è specialista in psicoterapia psicodinamica, con una particolare attenzione al rapporto genitore-bambino nell'autismo precoce. Ed è consulente del ministero della Salute israeliano. Con i suoi colleghi del Milman Center di Haifa segue 14 ore a settimana 150 bambini autistici e loro famiglie. E collabora con l'Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma «per effettuare una ricerca che contempli bambini sia israeliani sia italiani».

CERCARE LE «RISONANZE» - Prima di entrare nella realtà dell'IdO, visitiamo il Milman Center, nato nel 1992. Ed eccoci ad Haifa, dove dopo anni di studi sperimentali e clinici si adotta quella "prospettiva psicodinamica ed evolutiva sull'autismo", fondata sulla "relazione diadica" genitori-figli. «Cerchiamo le risonanze - spiega Erez - quelle attività di reciproca influenza e comunicazione interpersonale attraverso le quali i bambini possano sentirsi riconosciuti e compresi». Si tratta di un'interazione "cervello-cervello, mente-mente". La "mente binoculare", appunto. L'autismo è il «disturbo della regolazione del sé - precisa l'esperta israeliana - in cui il bambino reagisce a un trauma specifico e rintracciabile in una separatezza e non in una separazione». In effetto, prosegue la psicologa, «il bambino non riesce a sentirsi compreso, non riesce a sentire la risonanza sin dall'inizio».

NEURONI SPECCHIO - Risonanza è parola chiave. E i neuroni specchio, scoperta tutta italiana in quel di Parma, la componente biologica. In questo approccio «il genitore è chiamato ad attivare l'esistenza del bambino e lì intervengono la disponibilità percepita del minore e il ruolo dei neuroni specchio», spiega Erez. Se il bambino autistico «non riesce a ricevere e percepire la disponibilità parentale, questa separatezza mette in moto delle strategie di sopravvivenza della autoregolamentazione del sé. Può derivarne una iper-regolamentazione messa in atto dal soggetto autistico traumatizzato. Il sovraccarico di tutte queste qualità sensoriali e comportamentali può attivare le stereotipie». Semplificando, il genitore può far "riemergere" il bambino dal "suo buio".

LA TERAPIA - A livello operativo, gli specialisti del Milman si concentrano, in quelle 14 ore a settimana, «sulla relazione madre-figlio e padre-figlio all'interno di un struttura emozionale in cui i genitori imparano a diventare co-terapisti e ad aver a che fare con i bambini. La relazione genitore-bambino è dunque il paziente e il padre e la madre, insieme al terapista, cercano di richiamare l'immaginazione e i pensieri necessari per lo sviluppo mentale del bambino». Ci sono momenti all'interno del processo terapeutico «del tutto inattesi, in cui questa risonanza emerge - racconta Erez - ed è la clinica, la pratica, che c'è lo rivela. Sono le transizioni emergenti, quei comportamenti che compaiono come precursori anche se non sono ancora stati raggiunti. Arrivano e non testimoniano una nuova organizzazione ma l'attivazione di un momento. Per questo dobbiamo osservare le potenzialità del bambino - sottolinea - la capacità di qualcosa che emerge nell'atto che non c'è ancora perché è potenziale. I significati possibili sono ancora negli occhi di chi sta guardando - si appassiona la studiosa israeliana - perché sono in procinto per esserci anche se non ci sono ancora».

L'AMBIENTE - La risonanza «aiuta a superare le cesure dell'autismo». È un termine che deriva dalla fisica e si può manifestare come un'onda, oppure come "un attraversamento" ricalcando l'idea di una palla che tende ad attraversare il muro, o ancora può essere una risonanza diadica congiunta. «Qui la capacità di coinvolgimento del terapeuta è fondamentale - conclude Erez - per amplificare questi momenti e far sentire il bambino come riconosciuto e capace di attraversare la barriera-tunnel dell'autismo». La casa è il laboratorio di vita per le famiglie con bambini autistici. È il modello terapeutico su cui punta il Milman Center per promuovere la relazione primaria (madre-figlio, padre-figlio e genitori-figlio). In sostanza, nel centro di Haifa è stato ricreato un habitat che riprende l'ambiente della casa, sviluppando uno spazio che consente ai terapeuti di fornire alle famiglie gli strumenti per vivere al meglio la quotidianità. Sono previste zone dove si mangia insieme o ambienti condivisi per la socializzazione, come se fossero dei salotti. Il tutto all'interno delle molteplici attività proposte, dalla logopedia alla musicoterapia.

A ROMA - Ed adesso entriamo all'Ido di Roma, dove sono seguiti 245 bambini autistici (199 maschi e 46 femmine) tra i 2 e i 17 anni: 152 di questi bambini presentano sintomi gravi. Il progetto terapeutico a cui prendono parte si chiama "Tartaruga" (psicodinamico, intensivo e integrato). Un approccio terapeutico intensivo, integrato e psicodinamico volto a coinvolgere la triade bambino, famiglia e scuola all'interno di numerose attività. Sembra funzionare. «Sono tutti migliorati progressivamente, sia i minori di 5 anni che i bambini più grandi», dice Magda Di Renzo, responsabile del servizio terapie dell'IdO. «I bambini minori di 5 anni, oltre a migliorare già nel primo ciclo di terapia (2 anni), hanno anche cambiato diagnosi passando dalla condizione di autismo a quella di spettro autistico. Per i secondi (maggiori di 5 anni), invece, miglioramenti nella terapia sono stati riscontrati in modo significativo a lungo termine, ovvero dopo 4 anni. Considerato che l'attuale problema nelle Linee guida sono i risultati a lungo termine - precisa la psicoterapeuta dell'età evolutiva dell'IdO - è significativo poter vedere risultati dopo 4 anni». I miglioramenti dei sintomi sono documentati dai punteggi del test Ados (Autism diagnostic observation schedule). Per quanto riguarda gli stati mentali, invece, il test utilizzato è quello della "falsa credenza di Baron-Cohen" per verificare se il piccolo è arrivato a rendersi conto che "l'altro ha una mente". Chiarisce l'esperta italiana: «Nel processo che porta alla strutturazione della mente l'intenzione è l'elemento cardine. Valutando 112 bambini (89 maschi e 23 femmine tra i 2 e i 15 anni) abbiamo notato che sono tutti migliorati con la terapia e che i piccoli che hanno mostrato l'intenzione hanno segnato un passaggio da una situazione di ritardo ad una di normalità cognitiva. Questo perché - aggiunge la psicoterapeuta - quando migliora la possibilità relazionale migliora anche la possibilità di esprimere il potenziale cognitivo».

IL COMPAGNO VIVO - All'IdO il terapeuta è inteso come il "compagno vivo". Che cosa si intende? «Il suo ruolo è di richiamare il bambino alla vita risvegliandolo», risponde Di Renzo. Poi una riflessione: «Esistono molti stereotipi e luoghi comuni sull'approccio psicodinamico, ma in un disturbo così arcaico non si può non prendere come riferimento un approccio biopsichico». E guai a colpevolizzare i genitori, le madri in particolare. Per Di Renzo è tutta una grande falsità: «Queste mamme devono essere solo aiutate a sintonizzarsi ai loro figli, perché nessun genitore è pronto ad affrontare da solo uno sviluppo di un bambino atipico. Non è centrale che la disfunzione sia neurologica, ciò a cui noi dobbiamo puntare è trovare gli strumenti per descrivere in modo non solo sintomatico questo sviluppo».

TECNOLOGIA - Infine, c'è la tecnologia che aiuta a comunicare. Non solo nell'autismo. Si chiama Blu(e) ed è stata ideata dal team dell'area Special needs di Neocogita, con il supporto di Samsung. Permette di dare voce a chi soffre di patologie come autismo e afasia . Si utilizza con un tablet e consente ai bambini autistici di avere una voce, naturale e non sintetizzata, in alternativa al tradizionale quaderno dei segni. La sperimentazione di Blu(e) è attualmente in corso su dieci famiglie trentine con bambini tra i 10 e i 12 anni. L'applicazione potrà essere utilizzata per bambini affetti da patologie legate alla comunicazione, da ospedali e aziende sanitarie. Blu(e) può essere infatti una soluzione anche per i malati di Sla.

(Corriere della Sera - Salute, 12 gennaio 2014)


Il rabbino che maledisse Sharon: "Non mi pento"

 
Il rabbino Yosef Dayan
I bollettini medici «non spiegano fino in fondo» la fine di Ariel Sharon. Per comprenderla in pieno occorre tornare alla 'Pulsa de Nurà': la 'Staffilata di fuoco' cabalistica pronunciata alla fioca luce della luna in un piccolo cimitero della Galilea in una notte dell'estate 2005, tre settimane prima che l'allora premier ordinasse la distruzione delle colonie ebraiche di Gaza e l'espulsione di ottomila ebrei dalle loro case. «Ancora oggi penso che abbiamo fatto bene…», dice all'ANSA l'ideatore dell'inquietante cerimonia, il rabbino Yosef Dayan. Nel 1995 aveva già indirizzato un'altra 'staffilata di fuoco' contro il premier laburista Yitzhak Rabin. Trenta giorni dopo questi sarebbe stato abbattuto a pistolettate in una piazza di Tel Aviv. Il rabbino torna a controllare il calendario lunare ebraico, scorre col dito e ripete: «Ecco, trascorsero sei mesi esatti dalla cerimonia in Galilea all'ictus che colpì Sharon», nel gennaio 2006. C'è un rapporto causa-effetto fra i due episodi? «Mah - sospira, lasciando intendere che in questioni talmente arcane è difficile esprimersi con certezza -. Io comunque non ho dubbi che è successo qualcosa». Ossia che il crollo di Sharon ebbe anche un aspetto metafisico. «Noi allora non invocammo la sua morte, solo che gli accadesse qualcosa di grave», ossia che fosse obbligato ad uscire di scena, affinchè non potesse compiere il ritiro da Gaza. L'estate 2005 fu, in Israele, un periodo di estrema radicalizzazione politica. A tratti si temette una ribellione armata dei coloni di Gaza, e anche la disobbedienza di massa fra i militari religiosi su istigazione di rabbini eversivi. Sentendosi con le spalle al muro, venti religiosi mistici (tutti di età superiore ai 40 anni, tutti con la barba, tutti padri di famiglia) si raccolsero allora in un cimitero della Galilea per leggere il testo della 'Pulsa de Nurà. Si tratta, viene spiegato, di un'iniziativa ad alto rischio: se il Cielo la trova ingiustificata, può ritorcersi su chi l'ha propiziata. C'erano voluti mesi per redigere il testo di 30 righe in aramaico. Il rito durò un'ora circa. Ci fu anche un intoppo iniziale quando si menzionò 'Ariel bar Vera, del seme degli Scheinerman'. Qualcuno obiettò che non c'era certezza che la madre di Sharon, Vera Sheinerman, fosse del tutto ebrea. Poteva essere piuttosto una 'Sobotnik', membra di una setta di russi che avevano adottato una forma di ebraismo ed avevano poi messo radici in Palestina. In quel caso la cerimonia non avrebbe avuto effetto. La 'Pulsa de Nurà fu drammaticamente interrotta. Si telefonò ad un autorevole rabbino, che diede il via libera. La maledizione riprese: e allora contro Sharon furono scatenati i 'Malachey ha-Habalà, gli Angeli della Distruzione. Il resto appartiene alla Storia: il ritiro da Gaza, avvenuto malgrado tutto; la scissione del Likud e la fondazione del partito centrista Kadima; quindi il crollo di Sharon e infine gli otto anni di coma. Anni - fa notare significativamente il rabbino Dayan - in cui egli «non era più voluto ne qua (sulla Terra) nè là (in Cielo)».

(Online News, 12 gennaio 2014)


Fino a quando, o stolti, amerete la stoltezza?
Fino a quando i beffardi prenderanno gusto a schernire
e gli stolti avranno in odio la scienza?
Volgetevi ad ascoltare la mia riprensione;
ecco, io farò sgorgare su di voi il mio spirito,
vi farò conoscere le mie parole.
Poiché, quand'ho chiamato avete rifiutato d'ascoltare,
quand'ho steso la mano nessuno vi ha badato,
anzi avete respinto il mio consiglio
e della mia correzione non ne avete voluto sapere,
anch'io riderò delle vostre sventure,
mi farò beffe quando lo spavento vi piomberà addosso;
quando lo spavento vi piomberà addosso come una tempesta,
quando la sventura v'investirà come un uragano
e vi cadranno addosso l'afflizione e l'angoscia.
Allora mi chiameranno, ma io non risponderò;
mi cercheranno con premura, ma non mi troveranno.
Poiché hanno odiato la scienza,
non hanno scelto il timore dell'Eterno,
non hanno voluto sapere dei miei consigli
e hanno disprezzato ogni mia riprensione,
si pasceranno del frutto della loro condotta,
e saranno saziati dei loro propri consigli.
Infatti il pervertimento degli insensati li uccide
e lo sviarsi degli stolti li fa perire;
ma chi mi ascolta starà al sicuro,
vivrà tranquillo, senza paura d'alcun male.

Dal libro dei Proverbi, cap.1







 

Mei Feingold all'Eurovision 2014 per Israele

Mei Feingold
Sarà Mei Feingold (talvolta indicata come "Finegold") a rappresentare Israele al prossimo Eurovision Song Contest, in programma il 6, 8 e 10 maggio a Copenaghen in Danimarca. L'annuncio è arrivato oggi da parte della tv nazionale. Ancora una volta, come l'anno scorso e come spesso successo nelle ultime annate, Israele si affida ad una artista uscita dai talent show.
Mei Feingold, 31 anni, viene infatti dall'edizione israeliana di Pop Idol, la stessa che aveva già sfornato altri artisti eurovisivi, in particolare Shiri Maimon (in gara nel 2005 con "Hasheket shenishar" ), Boaz Mauda, che nel 2008 propose "The fire in your eyes (Keil'O Kan)"e Harel Skaat (in gara nel 2010 con "Milim"). Dal 2009, anno della sua partecipazione al talent show ha una buona carriera all'attivo: attualmente è al lavoro con la sua band Disiac.
Il brano sarà scelto successivamente, nel mese di Marzo fra un lotto di canzoni che saranno proposte, alcune dalla stessa artista, alcune da una preselezione attraverso il pubblico. Israele va a caccia della finale che le manca dal 2010. L'anno scorso Moran Mazor con "Rak Bishvilo" chiuse quattordicesima in semifinale.

(Eurofestival NEWS, 12 gennaio 2014)


Kerry è davvero scollegato dalla realtà

di Daniel Pipes

Nonostante tutto quello che sta succedendo in Medio Oriente - la proliferazione nucleare iraniana, la violenza in Iraq, lo scossone nel governo di Erdogan in Turchia, la guerra civile in Siria, l'Egitto e lo Yemen vicini al tracollo, la Libia in disfacimento, la crisi politica in Tunisia - il segretario di Stato americano John Kerry ha una sola cosa in mente, ossia siglare un accordo israelo-palestinese. Incredibilmente, il 13 gennaio egli compirà una dodicesima visita nella regione per perseguire quest'obiettivo.
Mentre lui continua a fare la spola, gli alti funzionari diplomatici israeliani mostrano una certa insofferenza nei suoi confronti. Qui di seguito alcune citazioni tratte da dichiarazioni rese a titolo ufficioso e molto candidamente a Israel Hayom. In primo luogo, eccone qualcuna riguardo al processo in corso:
  • "Riteniamo che in cambio della richiesta di Israele di protrarre i negoziati per un anno, Abu Mazen [il presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas] chiederà di più rispetto a Israele, ad esempio potrebbe pretendere il congelamento della costruzione degli insediamenti o un altro rilascio di prigionieri, e queste richieste saranno appoggiate da Kerry e trasformate in un'esigenza americana, accompagnata da una minaccia. Questo, mentre gli arabi non hanno mai dato nulla in cambio, dai negoziati di Oslo fino a oggi".
  • "I negoziati sono ora in corso senza che ci sia uno scambio tra le parti di carte o di documenti. E questo perché gli arabi rifiutano di presentare documenti scritti. Gli americani arrivano con delle proposte preparate, le leggono e non consegnano documenti a entrambe le parti. Tutto viene fatto verbalmente. Il governo Netanyahu sta collaborando all'iniziativa di Kerry, con la chiara consapevolezza che la parte araba non accetterà l'accordo e alla fine Israele non sarà tenuto a fare concessioni o a evacuare gli insediamenti".
  • "Israele è costretto a collaborare con il piano americano, soprattutto perché preoccupato che se rifiutasse di farlo, gli Stati Uniti incolperebbero Israele del fallimento dei negoziati".
  • E poi, in modo più rivelatore, ecco qualche dichiarazione sullo stesso Kerry e sulla sua squadra di lavoro:
  • "La condotta del segretario di Stato è mossa da un'ossessione. C'è chi dice che, più che voler promuovere la pace, egli desideri approfittare del conflitto per le sue esigenze politiche. Secondo questa linea di pensiero, Kerry sembra credere di poter riuscire ad arrivare alla Casa Bianca, grazie alla firma di un accordo di pace in Medio Oriente".
  • "Kerry, Dan Shapiro, l'ambasciatore americano in Israele, e Martin Indyk, l'inviato speciale Usa per il Medio Oriente, girano il paese, incontrano i ministri, ragguagliano i giornalisti e fanno credere che un accordo di pace sta per essere firmato".
  • Il piano di sicurezza di Kerry per la Valle del Giordano è "ridicolo e incapace di resistere alla prova della realtà".
  • "Kerry va a vedere molte cose, ma non capisce cosa stia accadendo qui. I piani americani sono superficiali e avventati. Non c'è alcun nesso tra ciò che viene detto pubblicamente sull'andamento dei negoziati e ciò che realmente accade. Sembra che Kerry sia davvero scollegato dalla realtà. Egli non è un esperto, a dir poco, delle cause del conflitto, non sa come offrire soluzioni reali e non dimostra nemmeno di saper leggere le mappe che gli vengono presentate."
COMMENTI:
1. Kerry ha da lungo tempo fama di voler cercare di piegare la realtà per adattarla al proprio modo di pensare. Questa iniziativa diplomatica sembrerebbe essere finora la sua gratificazione più ambiziosa - e dannosa.
2. L'amministrazione Usa è ossessionata dalla questione palestinese perché, in modo bizzarro, la considera la chiave di volta per risolvere gli altri problemi della regione.

(Archivio italiano di Daniel Pipes, 9 gennaio 2014)


Gaza - Esplode un razzo Qassam. Allerta di Israele

Un razzo Qassam sparato da miliziani palestinesi di Gaza e' esploso oggi anzitempo, schiantandosi all'interno della Striscia. Lo riferiscono fonti locali. L'episodio e' giunto mentre Israele eleva lo stato di allerta nel Neghev occidentale dove domani sara' interrato l'ex premier israeliano Ariel Sharon. La sepoltura, a cui parteciperanno personalita' locali e straniere, si svolgera' a pochi chilometri in linea d'aria dalla Striscia.

(ANSA, 12 gennaio 2014)


Shoà, le pietre della memoria nel ghetto di Venezia

di Andrea Merola

  
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A cominciare da oggi l'artista tedesco Demnig Gunter incastonerà, sul selciato dell'antico ghetto veneziano, le sue "Pietre d'inciampo", targhe commemorative di quanti furono deportati nei lager nazisti e da dove non fecero ritorno, in vista della Giornata della Memoria del 27 gennaio prossimo. Furono duecento gli ebrei veneziani deportati, per ultimi 21 anziani della casa di riposo israelitica, il 17 agosto 1944: fra tutti, ne sopravvissero venti. Demnig Gunter ha già collocato in altre città d'Europa le sue pietre di inciampo, ma è la prima volta nel luogo che diede origine alla segregazione degli ebrei: il ghetto infatti nasce a Venezia, anche nell'etimologia: ghetto da "getto di fusione dei metalli", che gli operai ebrei fondevano in piccole fucine attorno alle quali si raccolse la comunità, nel sestiere di Cannaregio: la notte, i due accessi all'area venivano chiusi e sorvegliati da guardie armate, a spese della comunità ebraica, con l'intento originario di salvaguardarla da eventuali aggressioni notturne.

(la Repubblica, 12 gennaio 2014)


Tanto rumore per molto

di Claudio Vercelli

Alla fine l'«uomo dal sacco nero» Dieudonné M'bala M'bala è stato fermato nella sua marcia più o meno trionfale verso l'apoteosi scenica dell'antisemitismo, pardon, dell'«antisionismo». Non senza una girandola di decisioni contraddittorie, assunte da autorità in palese conflitto tra di loro nell'interpretazione della legge ma, anche e soprattutto, delle opportunità politiche. Una serie di colpi di scena che in queste ultime settimane hanno concentrato l'attenzione su questo personaggio, peraltro noto alle cronache per il suo radicalismo ideologico antiebraico da almeno una decina d'anni. Con l'"editto di Nantes", pronunciato dal Consiglio di Stato, l'attore e politico francese non potrà calcare il palco, fendere la folla con le straripanti smargiassate che fanno parte del suo repertorio, deliziare orecchie ed occhi che vogliono godersi fino in fondo lo spettacolo del politicamente scorretto che di più non si potrebbe. Le cronache ci dicono che ben seimila acquirenti del biglietto d'ingresso (prezzo intorno ai cinquanta euro) sono così rimasti a bocca asciutta, perlopiù convinti di avere subito un torto, ed anche grave. Tra di loro, la stragrande maggioranza non era pubblico proveniente dalle periferie metropolitane francesi, quello a cui invece Dieudonné fa appello nei suoi proclami sospesi a metà tra politica e spettacolo, laddove però il secondo si mangia il primo, bensì membri del ceto medio, la cosiddetta «gente comune», alla ricerca di un riscontro, evidentemente, al proprio malcontento.
  Sono facili, in casi come questi, le equazioni in automatico, che stabiliscono analogie tanto immediate quanto scarsamente comprovate. Meglio quindi non indulgere in affermazioni non supportate da riscontri. E tuttavia alcune considerazioni, anche sulla scorta di altri precedenti, con la lunga discussione sulle forme e i modi per contenere e combattere il negazionismo, si impongono. Tra l'altro Dieudonné da almeno il 2008 va "pettinando" ed accarezzando i negazionisti, quanto meno da quando fece salire sul palco il "martire della causa" per eccellenza, quel Robert Faurisson che dell'universo dei negatori di professione è l'icona più affermata.
  Dunque, la prima considerazione è l'effetto rebound (il «rimbalzo»), ossia di amplificazione e disseminazione che le polemiche offrono a personaggi di tale fatta. Per inciso, si tratta proprio di ciò che vanno cercando, potendo meglio mestare le polveri nel mortaio quando questo è più grosso. Poiché, più che convincere da subito il grande pubblico del fondamento di quanto affermano, l'obiettivo al quale mirano è di instillare nel maggiore numero possibile di ascoltatori un dubbio sistematico, destinato poi ad aprire più di una falla nei convincimenti dei tanti. «In fondo, in quel che dice ci sarà pure qualcosa di vero», recita la litania dei molti «curiosi». «Che male c'è - aggiungono subito altri, di rincalzo - ad accordargli un po' di attenzione? In fondo siamo in democrazia!».
   Non è quindi un caso se il secondo punto critico sia la cosiddetta «libertà di espressione». La quale, da queste vicende, ne esce torta e strizzata come uno di quei panni che, prima di essere messi a stendere, sono ancora intrisi d'acqua. Per attendere che asciughino bisogna girarli e rigirarli, storcendoli innaturalmente. Stabilire il confine tra opinione, per quanto in sé radicale, e offesa deliberata, con tutti i cascami dell'incitamento all'odio, è compito della legge e, laddove essa non ci sia, delle norme che il legislatore deve creare all'occorrenza. Ma non si tratta di un automatismo così evidente. I personaggi come Dieudonné si fanno forti proprio della frequentazione di questo terreno impalpabile, quello che separa il diritto all'immaginazione e alla rappresentazione dall'insulto ai vivi e ai morti, per ritagliarsi su di sé l'abito dei difensori della «libertà di pensiero». In tali vesti, infatti, e non in altro modo, introducono il discorso antisemitico, dandogli la forma, nel medesimo tempo, di legittimo sarcasmo e di esercizio di lettura delle cose senz'altro paradossale ma ragionevolmente fondato, insieme alla finzione di una spietata critica del potere, meglio rappresentato, in un'unica soluzione, come inconfessabile e occulto «sistema» di interessi. Comunque vada la nomea di martiri di una causa, quella della presunta libertà di parola, se la conquistano in tale modo, fortificandola poi attraverso l'adesione acritica del pubblico, che diventa l'indice quantitativo sul quale misurare la liceità di quanto si va dicendo. In piena sintonia con un assunto fondamentale del circuito dei media e della comunicazione contemporanea, ancorché falso, ossia che se è il pubblico medesimo a volere certe cose, se le va pretendendo, esse hanno senz'altro un loro fondamento, al di là di qualsiasi riscontro oggettivo, ossia razionale e, soprattutto, di ragionevolezza.
  Un terzo punto, sul quale sarà poi bene ritornare, prima o poi, è quello che ci indica come l'attività politica sia sempre di più vincolata dall'agire teatrale e dalla spettacolarizzazione. Che il tribuno assommi su di sé queste competenze non è una novità. Ma negli ultimi tre decenni la deriva verso forme di puro istrionismo, dove il contenuto della comunicazione si identifica in tutto e per tutto con chi prende la parola, mettendo in scena una vera e propria rappresentazione umorale, ferina, feroce, ferale è divenuto l'approdo obbligato per molti esponenti delle leadership populiste. Con significative differenze tra di loro, ma anche con tratti comuni, a partire dall'unione tra parola e insulto, avendo il secondo sostituito la prima e risultando molto gradito. Dieudonné ha, come dicono i francesi, le physique du rôle giusto, l'aspetto fisico adatto per la parte che ha deciso di interpretare. È la versione adulta dei ragazzi delle banlieue, quello che una parte di loro presumibilmente sarà, tra qualche anno, quando l'adolescenza e la giovinezza si saranno consumate. Non è solo un tratto somatico ma è la sua stessa identità meticcia a dargli una marcia in più rispetto ad un pubblico, come abbiamo già osservato, in sé assolutamente composito, che vive i fenomeni della globalizzazione in quanto fatto di contaminazione inevitabile e sgradita al medesimo tempo. L'attore francese proietta le contraddizioni, le tensioni, i contrasti che da ciò derivano "oltre la siepe", indicando un obiettivo sul quale riversare il senso d'impotenza e d'espropriazione. Lo fa usando il codice della desacralizzazione dei valori condivisi, contrabbandato come indice di libertà. Anche questa è una modalità di azione non inedita ma che assume rinnovata linfa dinanzi alla cristallizzazione dei problemi, ad un tempo presente che sembra immodificabile, all'immobilismo delle cose e dei ruoli.
  E qui si inserisce, infine, un'ultima considerazione, relativa al confronto tra personaggi come Dieudonné e la pluralità dei poteri pubblici. Questi ultimi sono chiamati a pronunciarsi dinanzi alle sue (e altrui) intemperanze. Si chiede loro di agire con prontezza e velocità. Ma l'imbarazzo che li attraversa è palpabile, fermo restando che in una democrazia le sentenze degli uni possono essere ribaltate da quelle degli altri. Ancora una volta personaggi che giocano con il fuoco hanno tutto da ricavare da una situazione di tal genere, che è fisiologica in un sistema dove il vaglio di giudizio è competenza di più soggetti ed istanze (proprio a garanzia dell'imparzialità del medesimo) ma che per la sua durata, e per le modalità con le quali si svolge, dà al cittadino l'idea che non vi sia accordo sulla necessità di sanzionare una condotta riprovevole. Non di meno, giocando abilmente tra le contraddizioni dei sistemi giuridici contemporanei, legittimamente garantisti, i provocatori possono ancora una volta ritagliarsi alla bisogna l'abito del perseguitato. Qualora non vengano condannati diranno che era tutta una montatura ai loro danni, ora finalmente sgonfiatasi. Se invece vengono riconosciuti rei di quanto gli è attribuito, potranno sempre affermare che ciò che andavano dicendo era fondato, ovverosia che sussiste una persecuzione ai loro danni. Nell'uno e nell'altro caso piegando a proprio favore, ovvero a riscontro dei loro contenuti ideologici, qualsiasi esito derivi dall'azione di un giudice, di una corte come di una qualsiasi altra amministrazione.
  In sintesi: Dieudonné è una maschera tragica e triste soprattutto perché crede (o finge di credere) in ciò che va dicendo, celebrando il matrimonio ideologico tra alcuni rossi e non pochi bruni, cioè tra una parte della sinistra, più o meno radicale, che ha dismesso qualsiasi strumento di lettura critica della realtà, preferendovi il dileggio, e un nutrito numero di fascisti (non importa quanto ex, post o ancora neo), che si fregando le mani dicendosi che se è «grande il disordine sotto il cielo», la situazione (ovvero le opportunità che da ciò deriveranno) non potrà che «essere magnifica».

(moked, 12 gennaio 2014)


L'intransigente difensore di Israele che diceva di odiare la guerra

Fu un generale brillante con l'ossessione della sicurezza. Vinse le elezioni dopo la «passeggiata» sulla spianata delle moschee.
   
di Francesco Perfetti

 
Era il 6 giugno 1982 quando le truppe israeliane, sotto il comando del ministro della difesa Ariel Sharon, invasero il Libano, il paesi dei cedri, com'era chiamato. Fu la cosiddetta «Operazione Pace in Galilea», decisa dal governo israeliano in risposta al tentativo di assassinio del proprio ambasciatore nel Regno Unito e agli attacchi di artiglieria dell'Olp in Galilea: fu una guerra sanguinosa, conclusasi con l'abbandono del Libano meridionale da parte dell'Olp, una guerra che comportò decine di migliaia di vittime, tra militari e civili. Il solo eccidio nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, compiuto dai falangisti cristiano libanesi alleati di Israele come rappresaglia per l'assassinio del presidente libanese Bashir Gemayel, provocò settecento vittime civili.
   Mentre era ancora in corso l'invasione, Oriana Fallaci riuscì a ottenere una lunga e polemica intervista da Sharon, accusandolo di aver voluto una «sua guerra» anche contro il parere degli Stati Uniti e di aver trasformato Israele dalla «nazione del grande sogno, il paese per cui piangevamo» in uno Stato «sempre pronto a fare la guerra», una specie di «Prussia del Medio Oriente». Alla irruenza della giornalista italiana, egli rispose con orgoglio rivendicando il diritto di Israele ad assicurare la sicurezza dei propri territori contro i «sanguinari terroristi» di Arafat e facendo intendere come, su questo punto, tutti gli israeliani fossero d'accordo: «Questa non è una mia guerra, è una guerra di Israele». E ancora: «Quando si tratta della nostra sicurezza siamo uniti, non c'è dubbio. Non ci sono né falchi né colombe ma ebrei. Né Partito laburista né partito Likud ma ebrei». Minimizzò anche il contrasto con gli Stati Uniti: «Non drammatizzerei l'irritazione degli americani. La nostra alleanza con gli americani è basata su interessi reciproci, e gli americani lo sanno. Israele ha contribuito alla sicurezza degli Stati Uniti non meno di quanto gli Stati Uniti hanno contribuito alla sicurezza di Israele, e qualche screzio non cambia nulla».
   Il colloquio fra Sharon e la Fallaci fa capire molte cose, a cominciare dai rapporti con gli Stati Uniti. Le relazioni fra i due paesi non furono sempre lineari come dimostra il penetrante studio di Antonio Donno, «Una relazione speciale. Stati Uniti e Israele dal 1948 al 2009» (Le Lettere). Con il Likud guidato da Menachem Begin giunse al potere una classe dirigente fortemente legata alle istanze ideologico-religiose che erano state alla base della fondazione di Israele e Washington dovette modificare l'appoggio, più pragmatico che ideologico, cui erano improntati i suoi rapporti con gli esponenti del Partito Laburista. Ronald Reagan se ne rese conto e negli anni della sua presidenza, iniziata nel 1981, le relazioni fra i due paesi ebbero un fortissimo incremento.
   Sharon era stato chiamato alla guida del ministero della Difesa proprio da Begin. Questi, dopo le conclusioni di una commissione d'inchiesta sui fatti di Sabra e Shatila che ne aveva censurato la passività nell'evitare il massacro operato dai falangisti, fu costretto a rimuoverlo ma non volle privarsene, tanto che a Sharon vennero affidati altri incarichi ministeriali. A quell'epoca Sharon era nel pieno delle sue energie. Aveva da poco superato i cinquant'anni essendo nato nel 1928 e aveva avuto una carriera militare, che lo aveva visto esponente della lotta armata per la nascita di Israele e, generale appena ventottenne, partecipare a capo dell'esercito nella guerra del 1956 e, in seguito, protagonista della «guerra del Kippur» del 1973: in questa ultima occasione, anzi, aveva persino iniziato una marcia sul Cairo fermata solo dalla tregua che lo spinse a polemizzare con il governo favorevole al negoziato. Si era poi dedicato alla politica ed era diventato deputato del Likud ricoprendo numerosi incarichi governativi fra i quali quello di ministro dell'Agricoltura: proprio in questa veste, anzi, aveva avviato il programma di costruzione di insediamenti ebraici a Gaza e in Cisgiordania.
   L'amore per Israele e l'impegno per la difesa e la sicurezza del suo Paese furono per lui un imperativo categorico. Lo disse a chiare lettere quando era ministro della Difesa nel governo Begin: «Il popolo ha sempre saputo che su questioni fondamentali - come la sicurezza, Gerusalemme, i confini del 1967, il pericolo di uno Stato palestinese - noi non abbiamo altra scelta se non insistere sulle nostre posizioni, fermamente, fortemente, chiaramente, anche contro il nostro grande amico, gli Stati Uniti». L'intransigenza, insomma, fu la cifra della sua attività politica. Il gesto clamoroso compiuto il 28 settembre 2000 lo dimostra in maniera evidente. Quel giorno egli, allora capo dell'opposizione nel Parlamento israeliano, con un grande sorriso sul volto, si recò nella spianata delle moschee a Gerusalemme, in visita al complesso del Recinto, dove si erge la Cupola della Roccia, luogo sacro ai musulmani, per lasciare intendere che anche quella parte della città sottostava alla sovranità israeliana. La «passeggiata» nella spianata delle moschee consentì a Sharon di vincere le elezioni e diventare primo ministro, l'undicesimo nella storia di Israele. Durante i suoi governi fu avviata la costruzione del muro al confine con la Cisgiordania, ma fu anche deciso il ritiro dei soldati e il rientro dei coloni dai villaggi costruiti a Gaza e in Cisgiordania dopo la guerra del 1967. Quasi a riprova che l'intransigenza di Sharon si coniugava con il realismo politico e con un sincero desiderio di giungere a una situazione che mettesse fine alle turbolenze. La sua uscita dal Likud, il partito nazionalista del quale era stato un esponente di primo piano, e la fondazione nel 2005 del nuovo partito Kadima, più centrista e liberale, cui aderì anche l'ex laburista Shimon Peres, rientrano in questo quadro.
   All'immagine di uomo di guerra Sharon si ribellava. Il ricorso alle armi per lui si giustificava solo in funzione della difesa del proprio paese. Alla Fallaci lo disse brutalmente: «È l'errore più grosso che fa la gente su di me dipingermi come un guerriero, un ossesso che si diverte a sparare. Io odio la guerra. Soltanto chi ha fatto tante guerre quante ne ho fatte io, soltanto chi ha visto tanti orrori quanti ne ho visti io, soltanto chi vi ha perduto amici e vi è rimasto ferito come vi son rimasto ferito io, può odiare la guerra nella misura in cui la odio io». La verità è che Ariel Sharon è stato un protagonista, un grande protagonista, della storia di Israele, e non solo.

(Tempo, 12 gennaio 2014)


Morte di Sharon, i palestinesi festeggiano

Fotogalleria
Colpi d'arma da fuoco in segno di festa nel campo profughi di Ayn al-Hilwe, nel sud del Libano. A Gaza canti, immagini dell'ex premier israeliano bruciate e dolci distribuiti ai passanti. Hamas: "Perghiamo perché vada all'inferno".
Nel 1983, quando Sharon era ministro della difesa, dovette dimettersi, non senza un certo grado di ritrosia. Una commissione del governo israeliano aveva individuato in lui il responsabile dei massacri dei miliziani libanesi e dei civili palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila durante la guerra del Libano dell'anno precedente. Lo accusarono di non aver fatto nulle per impedire alle falangi cristiane di fare irruzione nei campi e compiere la strage. Oggi, dopo otto anni di coma, i profughi palestinesi festeggiano la sua morte. Colpi d'arma da fuoco sono stati esplosi in aria nel campo profughi Ayn al-Hilwe, nel sud del Libano, nei pressi di Sidone, dove vivono ammassate circa 80mila persone.
Nel campo di rifugiati Khan Younis della Striscia di Gaza i sostenitori di due gruppi militanti, Islamic Jihad e i Comitati di resitenza popolare si sono radunati nella strada principale cantando contro L'ex premier israeliano. Alcuni hanno bruciato immagini che lo raffigurano o le hanno calpestate, mentre altri hanno distribuito dolci agli automobilisti o ai passanti.
Ariel Sharon era arrivato alla politica dopo una lunga carriera militare, che lo aveva visto, da comandante, mettere a segno le vittorie per significative nella storia di Israele. Al governo era arrivato nel 1977, e ha ricoperto numerosi incarichi e fino al '92, e poi tra il '96 e il '99. alla leadership del partito Likud arrivò nel 2000. A quell'anno risale la passeggiata nella spianata delle moschee a Gerusalemme, un gesto provocatorio secondo molti, che gli hanno attribuito la responsabilità dello scoppio della seconda intifada. Nel 2005, poco prima dell'ictus che lo colpì nel gennaio del 2006, decise di ritirare le truppe e le colonie nei territori occupati della Striscia di Gaza.
"Nessuno dovrebbe celebrare la morte di qualcuno. Ma purtroppo devo dire che Sharon non ha lasciato bei ricordi ai palestinesi", ha affermato il politico palestinese Mustafa Barghouti, fondatore del partito Iniziativa nazionale palestinese e parente del più famoso Marwan Barghouti, dirigente del partito Fatah detenuto dal 2002 in Israele dove è stato accusato per cinque omicidi e sta scontando cinque ergastoli. "Purtroppo Sharon ha seguito un percorso di guerra e aggressione e ha fallito nel raggiungimento della pace con il popolo palestinese", ha aggiunto Barghouti.
Per Hamas, la morte di Sharon è "un momento storico" che segna la "scomparsa di un criminale con le mani sporche di sangue dei palestinesi". "Sharon era un criminale ed è stato tra i responsabili dei disastri per il popolo palestinese", ha affermato Salah el-Bardaweel, il portavoce di Hamas: "Preghiamo perchè Sharon e tutti i leader sionisti che hanno commesso massacri contro il nostro popolo vadano all'inferno. Quando i palestinesi pensano a Sharon, ricordano solo dolore, sangue, torture, crimini. Non riusciremo mai a essere dispiaciuti per la sua morte".

(Tempi, 11 gennaio 2014)


Un concerto di musica klezmer e la mostra fotografica

"Che cosa è per te l' identità ebraica?"

In occasione della Giornata della Memoria: Klezmer Connection e Inaugurazione della mostra "Essere ebrei - un progetto sull'identità ebraica" - dal 14/01/2014 al 29/01/2014.
In occasione della Giornata della Memoria il Forum Austriaco di Cultura Roma inizia l'anno 2014 con un concerto di musica klezmer dei "Klezmer Connection" pieno di melodie trascinanti.
Allo stesso tempo sarà inaugurato il vernissage di un lavoro fotografico dell'austriaco Peter Rigaud, che pone la domanda "Che cosa è per te l' identità ebraica?". Questa mostra itinerante è stata messa a disposizione del Museo Ebraico di Vienna e ritratta dei personaggi affascinanti ebrei di tutta l' Europa.
Nato nel 2011 in collaborazione con il Museo Ebraico di Vienna, Essere ebrei è un progetto che racconta l'identità ebraica attraverso il medium fotografico, una serie di ritratti che viaggia attraverso l'Europa e che continua ancora a crescere.
Il progetto verte intorno alle seguenti questioni: chi sono gli ebrei? Su cosa si fonda l'identità individuale ebraica? Chi si è sempre sentito ebreo? Chi ha scoperto in un secondo momento di essere ebreo e come? Partendo da queste domande il fotografo ha intervistato e ritratto alcuni modelli, chiedendo loro di scegliere la prossima persona da fotografare e perché.
In questo modo il progetto si è sviluppato attraverso una serie di dittici, che presentano a sinistra la persona intervistata (ego), con la sua risposta alla domanda sulla propria identità, e a destra l'altra persona (l'alter ego) fotografata su desiderio dell'intervistato. Un concept che ha permesso alla serie di crescere in maniera organica e imprevedibile, lasciando emergere storie, intrecci, spaccati di vita che animano le immagini di sentimenti, passioni, paure e ricordi.
La serie è nata a Vienna, su spinta del Forum Austriaco di Cultura Roma è cresciuta comprendendo Vilnius e Roma ed è già stata prenotata per altre, numerose città europee.
Il concerto e il vernissage avranno luogo il 14 gennaio, alle ore 20.00, ma la mostra sarà visitabile fino al 29 gennaio (lunedi - venerdi, 9.00 - 18.00) alla sede del Forum Austriaco di Cultura Roma in Viale Bruno Buozzi 113.
Ingresso libero alla mostra a partire dalle ore 19.00.
Per il concerto, ingresso libero fino a esaurimento posti a partire dalle ore 19:30. Si prega di presentarsi in anticipo, poiché non è possibile accettare prenotazioni.

(Gaia Roma, 11 gennaio 2014)


«Con l'aiuto di Dio, questa strada ci porterà all'unità»

Lo storico discorso di Sharon il giorno del ritiro di Israele da Gaza

Riportiamo il testo integrale del discorso televisivo che il primo ministro di Israele Ariel Sharon, morto stamattina a 85 anni, fece al paese il primo giorno dello storico ritiro dalla Striscia di Gaza nel 2005 deciso dal premier in modo unilaterale. Circa ottomila israeliani furono evacuati, molti trascinati a forza dai soldati dell'esercito.
     
    «Il giorno è arrivato. Comincia il passo più difficile e doloroso di tutti: evacuare le nostre comunità dalla Striscia di Gaza e dalla Samaria del nord (Cisgiordania, ndr). Questo passo è molto difficile per me, personalmente. Non è a cuor leggero che il governo di Israele ha preso questa decisione sul disimpegno e il Parlamento non l'ha approvato a cuor leggero. Non è un segreto che io, come tanti altri, ho creduto e sperato che saremmo potuti restare per sempre a Netzarim e Kfar Darom.
    Ma la realtà che cambia nel paese, nella regione e nel mondo mi ha richiesto di cambiare posizione. Non possiamo stare a Gaza per sempre. Più di un milione di palestinesi vivono lì e il loro numero raddoppia ad ogni generazione. Vivono ammassati nei campi profughi in povertà e nella disperazione, in focolai di odio crescente senza speranze né orizzonte. È perché siamo forti, non perché siamo deboli, che facciamo questo passo.
    Abbiamo provato a trovare accordi con i palestinesi per portare i nostri popoli alla pace, ma i nostri tentativi si sono schiantati contro un muro di odio e fanatismo. Il piano di disimpegno unilaterale che ho annunciato due anni fa è la risposta israeliana a questa realtà. Questo piano farà il bene di Israele nel futuro. Noi riduciamo così gli scontri giornalieri e le vittime da entrambe le parti. L'esercito israeliano si riunirà di nuovo lungo le linee difensive dietro il recinto di sicurezza. Quelli che continueranno a combatterci, incontreranno la piena forza dell'esercito israeliano e delle sue forze di sicurezza.
    Ora tocca ai palestinesi. Loro devono combattere le organizzazioni terroristiche e smantellare la loro infrastruttura e mostrare intenzioni sincere per ottenere la pace e sedersi con noi al tavolo delle trattative. Il mondo aspetta la risposta palestinese, una mano tesa per la pace o il fuoco del terrore. A una mano tesa noi risponderemo con un ramo d'ulivo, ma risponderemo con durezza al fuoco con il fuoco. Il disimpegno ci permetterà di guardare in casa nostra. La nostra agenda nazionale cambierà. Per quanto riguarda le politiche economiche saremo liberi di occuparci delle divergenze sociali e di combattere davvero la povertà. Miglioreremo l'educazione e aumenteremo la sicurezza personale di ogni cittadino del paese.
    La disputa intorno al piano di disimpegno ha provocato ferite, astio tra fratelli e parole e azioni forti. Capisco il dolore e il tormento di chi si oppone ma noi siamo un solo popolo anche quando combattiamo e discutiamo. Residenti di Gaza, oggi noi poniamo fine a un capitolo glorioso della storia di Israele, un episodio centrale nelle nostre vite di pionieri, di realizzatori del sogno di coloro che hanno portato il peso della sicurezza e degli insediamenti sulle loro spalle per tutti noi. Il vostro dolore e le vostre lacrime sono parte inestirpabile della storia del nostro paese.
    Qualunque cosa succeda, noi non vi abbandoneremo e dopo l'evacuazione faremo di tutto per ricostruire le vostre vite e comunità di nuovo. Voglio dire ai soldati e alla polizia: voi dovrete affrontare una missione difficile. Non fronteggerete un nemico, ma fratelli e sorelle. L'ordine di oggi è sensibilità e pazienza. Sono sicuro che questo è il modo in cui agirete. Voglio che sappiate che la gente è con voi ed è fiera di voi. Credetemi, il dolore che provo nel compiere questo atto è pari alla consapevolezza che è necessario farlo.
    Intraprendiamo una nuova strada che ha non pochi rischi ma che contiene anche un raggio di speranza per tutti noi. Con l'aiuto di Dio, questa sarà una strada che porta all'unità e non alla divisione, che non porta all'odio tra fratelli ma all'amore incondizionato. Farò tutto ciò che è nelle mie possibilità perché sia così».
(Tempi, 11 gennaio 2014)


Pasdaran: Missili di Hezbollah possono colpire ovunque in Israele

TEHERAN 11 gen. - Le capacità missilistiche di Hezbollah sono aumentate tanto da poter colpire qualsiasi obiettivo in Israele. Lo ha dichiarato il generale Amir Ali Hajizadeh, alto comandante dei Guardiani della rivoluzione iraniani. Israele, ha aggiunto, dovrà affrontare la nuova forza del gruppo sciita libanese, se dovesse verificarsi un conflitto. Un ruolo chiave nell'aumentare le capacità militari di Hezbollah lo ha avuto il suo comandante assassinato lo scorso mese a Beirut, Hassan al-Laqis, ha detto ancora Hajizadeh, secondo quanto riporta il sito web dei Guardiani, sepahnews.com.

(LaPresse, 11 gennaio 2014)


Dieudonné rinuncia allo show: "Caso chiuso, rispetto la legge"

"In uno stato di diritto - ha aggiunto l'artista accusato per la 'quenelle', il gesto nazista al contrario - bisogna rispettare la legge".

Basta, caso chiuso. Il comico francese Dieudonné M'Bala M'Bala ha annunciato che rinuncerà definitivamente al suo spettacolo "Le mur", vietato più volte dalle autorità per accuse di antisemitismo. Lo scrive il quotidiano Le Figaro.

- "Non c'è più il caso Dieudonné"
  Il comico ha spiegato la sua decisione con una conferenza stampa, dichiarando che "Non c'è più un caso Dieudonné". "In uno stato di diritto bisogna adeguarsi alla legge" ha detto. "Non sono un nazista, non sono un antisemita" ha aggiunto Dieudonné, ma "continuerò a disturbare molte persone con il riso, perché è il miglior modo che ho di esprimermi: è il mio mestiere".

(RaiNews, 11 gennaio 2014)


Ariel Sharon è morto

A dare il primo annuncio della morte del primo ministro di Israele è stata la radio israeliana. Ariel Sharon è morto ad 85 anni nell'ospedale di Tel Ha Shomer, nei pressi di Tel Aviv, dove era ricoverato negli ultimi tempi.
Le condizioni del leader israeliano, in coma vegetativo da otto anni e sette giorni, si sono aggravate nei giorni scorsi quando i medici avevano annunciato che non "ci sarebbe stata nessuna speranza". I figli, i nipoti ed i familiari più stretti da giorni si erano riuniti al capezzale del loro congiunto.
Ariel Sharon (vero nome Ariel Scheinermann), nasce da una famiglia di immigrati russi il 27 febbraio 1928 nel Kfar Malal, la regione che poi diventerà lo stato di Israele (1948). Sharon percorre sin da giovanissimo una lunga carriera nell'esercito israeliano. Nel 1942 all'età di 14 anni, si unisce al Gadna, un battaglione paramilitare, poi all'Haganah, la forza ebrea paramilitare che dopo la nascita dello stato di Israele diventerà ufficialmente la forza di difesa nazionale. A vent'anni partecipa come comandante di una compagnia di fanteria alla guerra di indipendenza. Al termine della guerra rimane nell'esercito prendendo attivamente parte ad operazioni di intelligence e di rappresaglia contro i vicini stati arabi, fondando nel 1953 anche un gruppo speciale denominato "101", che agirà sotto la sua guida.

(Termometro Politico, 11 gennaio 2014)


Farnesina: "disappunto e preoccupazione per gli insediamenti di Israele"

ROMA, 11 gen. - Il Ministero degli Esteri esprime vivo disappunto e preoccupazione per la decisione del governo israeliano di procedere alla costruzione di nuove unita' abitative nei territori occupati. In concordanza con quanto ribadito dall'Unione europea circa l'illegalita' dell'espansione degli insediamenti secondo il diritto internazionale, la Farnesina sottolinea in una nota che la decisione del governo di Gerusalemme complica il conseguimento di una soluzione fondata su due Stati. Ieri il governo israeliano ha annunciato piani per la costruzione di piu' di 1.800 nuove case per coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

(AGI, 11 gennaio 2014)


Questa è la posizione del Ministero degli Esteri italiano diretto dalla radicale Emma Bonino: totale appiattimento sulla posizione europea per quanto riguarda Israele e punta avanzata mondiale nell’avvicinamento all’Iran. Se in Israele qualcuno mantiene ancora qualche speranza nell’amicizia dell’Italia, dovrà ricredersi. M.C.


A Berlino torna "piazza Adolf Hitler"

 
L'errore di Google Maps
BERLINO - Su Google Maps, il servizio di geolocalizzazione fino alla sera del 9 gennaio, l'odierna piazza Theodor Heuss di Berlino veniva indicata anche con un secondo nome: piazza Adolf Hitler. A renderlo noto sono stati i reporter del tabloid berlinese B.Z..
Il colosso californiano non si spiega come sia potuto accadere un errore così imbarazzante in cui la piazza intitolata al primo presidente tedesco nel 1963, poco dopo la sua morte, possa essere tornata al nome che le avevano assegnato i nazisti tra il 1933 e il 1945 in omaggio al Fuehrer dittatore.
Google ha però fatto sapere di aver aperto un'indagine interna per chiarire la vicenda. Secondo quanto ricostruito da un blog tedesco di topografia, Landkartenblog, il vecchio nome sarebbe stato inserito da un utente anonimo il 2 gennaio scorso attraverso il servizio Google Maps Maker.
Sei giorni dopo, spiega il blogger Michael Ritz, la proposta sarebbe stata accettata da un revisore di Mountain View, che per errore ha inserito piazza Adolf Hitler come nome regolare. Il 9 gennaio un altro utente avrebbe segnalato lo sbaglio chiedendo la cancellazione dell'intestazione errata, avvenuta circa quattro ore dopo la richiesta. L'attuale piazza Theodor Heuss era stata anche intitolata piazza della cancelleria del Reich tra il 1906 e il 1933 e dal 1947 fino al 1963.

(blitz quotidiano, 10 gennaio 2014)


Il livello del Mar Morto continua a calare nonostante le piogge

GERUSALEMME - I livelli del Mar Morto sono diminuiti, nonostante le piogge che si sono avute a dicembre su Israele. A rivelarlo, uno studio condotto da Eli Raz e colleghi dell'Arava Science Center di Ketura, Israele. Gli scienziati hanno scoperto che il livello del Mar Morto e' calato di 3 centimetri, all'inizio di gennaio, rispetto al mese precedente, misurando al 427,82 metri al di sotto del livello del mare.
Si tratta di un calo che si va ad aggiungere a una diminuzione globale del livello dell'acqua del Mar Morto che si registra da tempo. Secondo i dati del Servzio Idrologico, infatti, il livello del bacino gia' un anno fa si sarebbe ridotto di circa 0,93 metri complessivamente. Nonostante le grandi piogge, il lento incremento del livello idrico del Mar Morto e' dovuto a condizioni di temperatura che sono andate a incidere sul tasso di evaporazione del bacino. Il livello del Mar Morto era diminuito di 8 centimetri a novembre e di 14 centimetri nel mese di ottobre e rispetto a dieci anni fa e' diminuito di 11 metri.

(AGI, 10 gennaio 2014)


Video
Ebrea ortodossa spiega perché è giusto portare il velo

Spopola sui social network il video di una ebrea ortodossa che spiega perché sia giusto coprirsi con il velo: "Una vera femminista è una mamma, una figlia, una sorella modesta" - spiega la signora, che come molte ebree ultraortodosse rivendica il diritto di coprirsi il capo come forma di protesta contro il modello stereotipato della bellezza "scoperta".

(La Stampa, 10 gennaio 2014)


Il Parlamento israeliano diventa "green"

A breve verrà installato un impianto solare di 4.650 mq sul tetto che permetterà di risparmiare circa il 5% dei costi energetici annuali.

Con l'installazione di 4.650 mq di pannelli solari sul suo tetto, il parlamento israeliano, meglio noto come Knesset, sarà uno dei primi Parlamenti al mondo ad auto prodursi parte dell'energia elettrica necessaria.
Il progetto è stato al centro delle discussioni parlamentari per diversi anni, ma solo recentemente l'autorità per l'energia ha dato il via libera ai proprietari di pannelli solari all'utilizzo dell'energia prodotta in proprio. Secondo Samuel Chayen, portavoce del Governo, il tetto solare sarà in grado di generare 510.000 chilowattora di energia elettrica e far risparmiare circa il 5% dei costi energetici annuali.

- Altri interventi
  I pannelli solari fanno parte di un programma per misure di risparmio energetico del valore di circa 2 mln di dollari, avviato dallo Stato nel 1960. Oltre l'installazione di pannelli, il programma prevede la sostituzione dell'impianto di condizionamento d'aria, un sistema di ricircolo dell'acqua da utilizzare in seguito per l'irrigazione esterna, l'implementazione dei sistemi di illuminazione e sistemi demotici per lo spegnimento automatico a fine giornata dei computer e altri sistemi. Se tutto questo venisse realizzato, secondo alcuni funzionari, potrebbero essere risparmiati 430.000 dollari di acqua e energia all'anno dopo i primi 5 anni.

(CasaClima.com, 10 gennaio 2014)


Il Giorno della Memoria nel primo Ghetto italiano

di Mario Ongaro

Il ghetto di Venezia
Ricordare affinché un tale abominio non si ripeta mai più. Questo è il significato e l'obiettivo del Giorno della Memoria, giunto quest'anno alla quattordicesima edizione. Le iniziative
proposte dal Comune di Venezia sono numerosissime, vi saranno infatti circa cinquanta manifestazioni tra concerti, mostre, spettacoli teatrali e incontri. Si inizierà domenica 12 gennaio alle ore 11 al campo del Ghetto Novo. Verranno qui collocate sulla strada le cosiddette "Pietre d'inciampo", piccole targhe di ottone realizzate dall'artista Gunter Demnig. Su ogni targa è inciso il nome, l'anno di nascita e la data di deportazione e morte della persona alla quale è dedicata. Il 26 gennaio, al Conservatorio Benedetto Marcello,vi sarà un concerto in onore del maestro di violino veneziano Giuseppe Sacerdoti mentre il 3 febbraio, all'Auditorium Santa Margherita, sarà ospite il celebre architetto americano di origine ebraica Daniel Libeskind. Chi volesse trovare l'elenco di tutte le iniziative previste per il Giorno della Memoria può consultare il sito
www.cultura spettacolo venezia.it.
Durante la presentazione delle iniziative Matteo Riberto ha sentito il delegato della Comunità ebraica di Venezia, Paolo Navarro Dina.

(RadioBase.net, 10 gennaio 2014)


Niente più tracce di virus polio in Israele

TEL AVIV , 10 gen - Il ministero della sanità israeliano ha annunciato oggi che nelle ultime analisi nel sistema fognario di Israele non sono state più rilevate tracce del virus della poliomielite. Fanno eccezione un numero ristretto di località beduine nel Neghev: ma anche là, precisa il ministero, "si va verso la scomparsa definitiva". Secondo il ministero ha dunque avuto successo la vaccinazione di un milione di bambini israeliani, avviata lo scorso agosto.

(ANSA, 10 gennaio 2014)


Angela Merkel in Israele a fine febbraio

BERLINO, 10 gen. - La cancelliera tedesca Angela Merkel ha accettato l'invito a recarsi in Israele, a fine febbraio, nel corso di una telefonata con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Lo ha riferito Steffen Seibert, portavoce del governo tedesco, precisando che nella telefonata di ieri Netanyahu ha augurato alla cancelliera, che nei giorni scorsi si è fratturata il bacino in un incidente sugli sci, una pronta guarigione e si è congratulato con lei per il suo nuovo governo.

(Adnkronos, 10 gennaio 2014)


Israele: il Forum cristiano scuote l'unità araba

di Mordechai Nisan

Stiamo assistendo a uno dei più straordinari cambiamenti nella storia delle relazioni tra ebrei, cristiani e musulmani. I cristiani della Galilea in Israele stanno promuovendo coraggiosamente la loro identità collettiva non araba e pre-islamica, recuperando le radici aramaiche e aramee. E' una svolta culturale e politica con conseguenze radicali per Israele, il Medio Oriente e il mondo intero.
Padre Gabriel Nadaf, prete ortodosso originario di Yafia, vicino a Nazareth, e Shadi Khalloul, un attivista maronita e riservista nell'esercito israeliano originario di Gush Halav, hanno fondato il Forum Cristiano per l'Arruolamento nell'Esercito Israeliano, al fine di promuovere il servizio militare volontario dei cristiani quando in Israele i non-ebrei non sono soggetti alla leva militare, ad eccezione dei Drusi e dei Circassi. Quest'iniziativa dimostra il desiderio di servire lo Stato e di integrarsi nella società israeliana, comprovando che i cristiani sono partecipi della sicurezza e del benessere dello Stato ebraico.

Le ragioni di questa campagna e i suoi profondi significati sono molteplici. Dall'inizio della guerra araba contro il Sionismo fino all'odierno rifiuto palestinese di uno Stato ebraico, la corrente principale dei cristiani si è alleata coi musulmani. I partiti arabi nazionalisti, a partire dal partito comunista precursore dell'odierno Balad, sono stati guidati e rappresentati da cristiani e da musulmani. Così anche le moderne correnti nazionaliste arabe nel Medio Oriente sono state ispirate da devoti ideologi e politici cristiani, come Michel Aflaq e Constantine Zuraiq, che hanno stretto un'alleanza con i musulmani, unendo la croce e la mezza luna contro la stella di David.
Le cittadine miste di residenti musulmani e cristiani in Israele, come Turan e Ibelin, Eilaboun e Nazareth, sono state da sempre considerate roccaforti della fratellanza e solidarietà araba, nonostante le differenze religiose e sociali. Ma ora il Forum Cristiano manda un messaggio forte e preciso che scuote l'unità della nazione araba.
Nei regimi islamici le strutture religiose e giuridiche hanno regolato nella storia le relazioni con ebrei e cristiani, degradati allo stato di dhimmi, abitanti tollerati e inferiori. Pur mantenendo la loro fede e la loro integrità sociale, le comunità dhimmi sono state soggette nella storia all'avida e umiliante tassazione in quanto infedeli (la jizya, tassa sull'infedele n.d.t.) e alla dipendenza dagli umori e capricci dei governanti musulmani, califfi, sultani, emiri e wali. Massacri e conversioni forzate hanno colpito nei secoli di supremazia musulmana gli ebrei in Yemen, Marocco, Libia e Iraq, così come i cristiani in Egitto e Siria dove prima della conquista araba costituivano la maggioranza della popolazione.
Il movimento sionista e lo Stato di Israele rappresentano oggi il movimento di liberazione nazionale dal colonialismo islamico in Palestina e dall'imperialismo arabo nel Medio oriente; l'esistenza di Israele simboleggia non solo la vittoriosa resistenza ebraica nella patria degli ebrei, ma anche la fine del complesso mentale di paura e inferiorità definito "dhimmitudine" dalla storica Bat Ye'or, che ha lacerato per generazioni gli animi degli ebrei orientali e anche dei cristiani orientali.
Dai villaggi di Yafia e Gush Halav risuona ora la chiamata alla libertà e una nuova consapevolezza si propaga dai 160.000 cristiani in Israele che rappresentano solo il 2% della popolazione, ma il loro numero è in crescita in netto contrasto ai massacri di cristiani e alla loro fuga in massa da Iran, Iraq, Siria ed Egitto. I cristiani sono stati anticamente massacrati dai musulmani in Turchia e Sudan; in Israele sono invece cittadini rispettati e vivono vite sicure e prospere. Dovesse esserci una Palestina araba al posto della Israele ebraica, i cristiani di Mei'liya e Fassuta sarebbero perseguitati, nel migliore dei casi. Anche oggi gli arabi minacciano la nuova alleanza tra Israele e i cristiani.
Benché il Forum Cristiano in Israele sia un'iniziativa locale, rappresenta un precedente e un coraggioso cambiamento dell'Occidente nel senso di promuovere la collaborazione ebraico-cristiana contro le forze islamiche estremiste, come in Europa. L'Islam ha prima distrutto le storiche comunità cristiane nel Medio Oriente, e minaccia ora la cultura e l'indipendenza politica dell'Europa, all'ombra della dhimmitudine. Ma l'eroica opposizione di qualche cristiano in Galilea indica la direzione da prendere, verso una simbiosi ebraico-cristiana al fine di rompere il vecchio patto musulmano-cristiano erede delle aspirazioni islamiche al dominio universale.
In Israele è questo il momento della verità e della riconciliazione, con il riconoscimento della sovranità ebraica da parte dei cristiani e l'alleanza tra cristiani ed ebrei nella lotta contro il comune nemico.
Mordechai Nisan insegna storia del Medio Oriente all'Università Ebraica di Gerusalemme.
L'originale inglese è stato pubblicato sul Jerusalem Post
il 4 gennaio 2014


(Informazione Corretta, 10 gennaio 2014 - trad. Giovanni Quer)


Mensa sociale per i bisognosi. Arrivano i pasti kosher

di Giannino della Frattina

Rav Avraham Hazan
Un pasto preparato secondo le regole dell'alimentazione ebraica per chi si trova in difficoltà.
E non solo per gli ebrei. È stata inaugurata ieri a Milano la prima Cucina sociale kosher italiana grazie all'iniziativa promossa dalla scuola Merkos, il ramo educativo del movimento Lubavitch che nell'ambito dell'ebraismo ortodosso è una delle maggiori comunità religiose del giudaismo chassidico. Quella che ha il suo centro principale nel quartiere di Crown Heights a Brooklyn.
In via Forze armate, invece, il passaggio dai pasti ordinati a una catering («troppo costoso») a una cucina interna ha convinto i responsabili della scuola frequentata da duecentoventi alunni dal nido al liceo a mettere gratuitamente a disposizione di chi ne abbia bisogno pasti cucinati secondo le regole della kasherut, la dieta alimentare ebraica stabilita nella Torah, interpretate dall'esegesi nel Talmud e codificate nello Shulchan Aruk. Tra le principali norme la carne macellata secondo il rituale ebraico (mediante resezione della giugulare) e il divieto di mescolare cibi di carne e latticini. Uso dei soli «animali puri», ruminanti con zoccolo «spaccato», fesso. Quindi bovini, ovini e cervidi e non gli equidi e i suini. Gli animali acquatici, invece, devono avere pinne e squame. Vietati storione, lompo, pesce gatto e ogni tipo di invertebrato marino come frutti di mare (ricci di mare, capesante, vongole, cozze), meduse, polpi e seppie.
Un'esperienza, quella della Cucina sociale kosher che a Milano nasce anche grazie alla collaborazione dell'onlus Enel Cuore, ma già sperimentata in Brasile, Australia e Israele dove la prima venne aperta dal movimento Lubavitch nel 1700. Ieri all'inaugurazione il presidente della comunità ebraica di Milano Alfonso Walker Meghnagi e il rabbino capo Rav Alfonso Arbib, il vicepresidente del Merkos Italia Rav Avraham Hazan e Novella Pellegrini, segretario generale di Enel Cuore Onlus. «L'apertura di una Cucina sociale kosher a Milano, capitale italiana del volontariato - le parole di Rav Igal Hazan - si inserisce perfettamente nel tessuto sociale e culturale di questa città tollerante, aperta, multietnica e multiculturale. Da sempre operiamo in un'ottica di collaborazione e dialogo con il territorio e questa iniziativa, aperta a tutta la cittadinanza, risponde ad un'urgente esigenza sociale dovuta alla pesante congiuntura economica». I pasti possono essere consumati alla mensa della scuola o in alcuni casi essere portati a domicilio dai volontari.
Video

(il Giornale, 10 gennaio 2014)


Sondaggio: per l'ottanta per cento degli israeliani la missione di Kerry fallirà

Tre su quattro sono contro il ritiro dalla valle del Giordano

Un atteggiamento di totale scetticismo circa la spola di pace del segretario di stato Usa John Kerry emerge da sondaggi condotti dai quotidiani Maariv e Israel ha-Yom. Otto israeliani su dieci, scrive Maariv, sono persuasi che Kerry non riuscira' a definire un accordo israelo-palestinese.
Sette israeliani su dieci, rileva Israel ha-Yom, si oppongono peraltro ad un ritiro di Israele dalla valle del Giordano nel contesto di accordi di pace. Per i palestinesi quel ritiro sarebbe comunque una condizione irrinunciabile per un accordo.
Nel sondaggio di Israel ha-Yom e' anche emerso che il 53,4 per cento degli israeliani non vede in Kerry ''un mediatore onesto''. Il premier Benyamin Netanyahu, in questo sondaggio, viene considerato dal 34,3 per cento degli intervistati il personaggio politico piu' indicato a fungere da primo ministro.
La negoziatrice (e leader del partito centrista ha-Tnua') Tzipi Livni occupa il quinto posto della graduatoria, con il 6,8 per cento dei favori.

(ANSAmed, 10 gennaio 2014)


Lontani ma a volte vicini: storia dei rapporti tra Israele e Sudafrica

Interessi economici e una simile visione del mondo hanno portato Gerusalemme e Pretoria ad avere rapporti più intensi (anche se non sempre idilliaci) di quanto la geografia avrebbe lasciato immaginare. Il fattore apartheid.

di Rodolfo Bastianelli

 
La storia dei rapporti fra Israele e il Sudafrica rappresenta uno dei capitoli più complessi delle relazioni internazionali.
A favorire gli intensi legami tra Gerusalemme e Pretoria ha contribuito la presenza, in Sudafrica, di una fiorente comunità ebraica capace di raggiungere, negli anni Settanta, il suo apice con 120 mila persone - in massima parte originari della Lituania e della Lettonia da cui emigrarono nel XIX Secolo per sfuggire ai "pogrom". Questa comunità, per il livello di donazioni finanziarie verso Israele, è stata seconda solo a quella statunitense.
Negli anni precedenti al secondo conflitto mondiale, la comunità appoggiava gli anglofoni moderati dello United party anche perchè il suo leader, Jan Smuts, figurava fra gli ideatori della Dichiarazione Balfour.
Al contrario, guardava con inquietudine alle politiche del National party, formazione di espressione degli afrikaaner: sia per i suoi atteggiamenti antisemiti, sia per i provvedimenti varati negli anni Trenta che prima limitarono le possibilità d'ingresso per gli ebrei provenienti dall'Europa orientale e poi contingentarono gli accessi per quanti erano in fuga dalla Germania.
Allo scoppio delle ostilità una parte consistente della popolazione afrikaaner, che si percepiva discriminata rispetto ai cittadini di origine britannica e nella quale era ancora forte il ricordo della guerra anglo-boera d'inizio secolo, era ostile agli Alleati e appoggiava gruppi filo-nazisti come l'Ossewabrandwag, movimento sorto nel 1939 con lo scopo d'impedire l'entrata in guerra del Sudafrica contro le potenze dell'Asse.
Quando nel 1948 fu proclamato lo Stato d'Israele, il Sudafrica, guidato allora dal National party (salito al potere proprio in quell'anno), procedette comunque al suo riconoscimento, anche se inizialmente i rapporti bilaterali non furono troppo calorosi.
Mentre il governo israeliano allacciò formali relazioni diplomatiche aprendo un'ambasciata a Pretoria, il Sudafrica si astenne dal fare lo stesso dichiarando come tali funzioni potevano essere svolte da quella del Regno Unito, essendo entrambi i paesi allora membri del Commonwealth. Ma la decisione fu anche presa per non compromettere i legami con il mondo arabo.
La scelta sudafricana di mantenere a un basso livello i rapporti bilaterali coincideva del resto con alcune considerazioni politiche da parte israeliana. Desideroso di conquistare l'appoggio delle nazioni africane per controbilanciare l'ostilità dei paesi arabi, il governo di Gerusalemme criticò in più occasioni il sistema dell'apartheid votando all'interno delle Nazioni Unite numerose risoluzioni di condanna contro il regime sudafricano.
Inoltre, sul piano internazionale, questo permise a Israele di guadagnarsi l'appoggio degli Stati africani moderati, il cui voto contrario avrebbe consentito in più occasioni di respingere risoluzioni ostili in seno all'Assemblea Generale dell'Onu.
Eppure, mentre l'atteggiamento del governo israeliano verso le politiche di Pretoria era critico, quello della stessa popolazione ebraica residente in Sudafrica nei confronti dell'apartheid era invece assai più sfumato: la gran parte di essa non assunse infatti posizioni apertamente ostili alle discriminazioni razziali poiché la maggioranza nera era percepita come potenzialmente favorevole al comunismo.
Anche se non vi era grande simpatia per il National party - stanti le posizioni antisemite presenti al suo interno - la comunità si sentiva comunque rassicurata dal fatto che le misure discriminatorie varate dal governo non andavano contro la popolazione ebraica. Tralasciando quindi alcune voci critiche, rabbini o esponenti politici attivi nella lotta contro l'apartheid, non è errato affermare che la comunità ebraica sudafricana fosse perfettamente integrata all'interno della minoranza bianca allora dominante il paese.
In seguito al conflitto arabo-israeliano del 1967 lo scenario internazionale cambiò profondamente, costringendo il governo israeliano a rivedere la sua politica africana. La guerra dei Sei giorni portò a un sensibile peggioramento dei rapporti con i paesi del continente e solo il Sudafrica (al pari di quanto fece nel 1956) lasciò i propri porti aperti alle navi israeliane.
Fu con il conflitto dello Yom Kippur del 1973 che i rapporti tra Pretoria e Gerusalemme si intensificarono notevolmente: mentre 29 dei 33 Stati africani con i quali Israele intratteneva dei rapporti ruppero le relazioni diplomatiche, il Sudafrica espresse tutto il proprio sostegno prima di nominare un ambasciatore a Gerusalemme. Negli anni successivi vennero varati progetti di cooperazione in campo scientifico ed energetico, favoriti gli scambi turistici e culturali e, cosa ancor più importante, avviata la collaborazione sul piano militare e della sicurezza.
Gerusalemme fornì al Sudafrica una serie di equipaggiamenti militari e sistemi per il controllo elettronico delle frontiere, ripagati da Pretoria con forniture di carbone e altre importanti materie prime. Gli scambi proseguirono anche dopo che le Nazioni Unite ebbero imposto l'embargo militare al Sudafrica, una misura interpretata da Israele come riguardante solamente i contratti futuri e non quelli già in essere.
Tale interpretazione avrebbe causato non pochi attriti con Washington, dopo che il Congresso approvò misure anti-apartheid in base alle quali gli Usa avrebbero dovuto sospendere le forniture militari agli Stati che intrattenevano rapporti economici con Pretoria.
A rafforzare i legami contribuì inoltre la visione ideologica coincidente. I nazionalisti sudafricani guardavano con ammirazione agli israeliani in quanto oppositori del dominio britannico proprio come i boeri, mentre sia gli ebrei sia i calvinisti afrikaaner tendevano a vedersi come un popolo eletto che, in nome della propria fede, aveva patito sofferenze e subìto persecuzioni.
Quanto fossero diventate strette le relazioni tra i due paesi, i cui servizi d'intelligence già intrattenevano un regolare scambio di informazioni, apparve a tutti evidente quando il premier sudafricano Balthazar J. Vorster - il quale, ironia della sorte, durante il secondo conflitto mondiale era stato internato per via delle sue simpatie naziste - effettuò nel 1977 una visita non ufficiale in Israele dove ebbe modo di incontrare le massime cariche politiche dello Stato ebraico.
Pretoria e Gerusalemme reputavano il proprio rapporto come fondamentale ai fini della sicurezza reciproca, in quanto appartenenti entrambe al campo occidentale eppure isolate dalla comunità internazionale e circondate da vicini ostili.
Questa visione strategica portò allo sviluppo di un'intensa collaborazione in ambito nucleare: Pretoria fornì denaro e materiale fissile a Israele, ricevendo in cambio assistenza tecnica per i propri programmi atomici e industriali. In quest'ottica, scienziati sudafricani avrebbero lavorato alla centrale di Dimona e collaborato alla realizzazione del missile Jericho 1, progettato da Israele per trasportare testate atomiche; tecnici israeliani si sarebbero invece impegnati nei piani di sviluppo dell'industria militare sudafricana.
Secondo quanto riportato da diversi servizi d'intelligence, negli anni Settanta i due paesi pianificarono due test nucleari. Il primo, che si sarebbe dovuto svolgere nel 1977 nel deserto del Kalahari, fu annullato per le pressioni della comunità internazionale, mentre il secondo - rilevato dai satelliti spia statunitensi - venne effettuato nel settembre del 1979 nell'Atlantico meridionale (benché la deflagrazione ebbe una potenza assai contenuta).
Fu sul finire degli anni Ottanta che il governo israeliano assunse una posizione via via più critica verso il regime sudafricano: nonostante il parere contrario di diversi esponenti politici, i contatti con Pretoria furono infatti sensibilmente diminuiti. Sul piano militare Israele aveva inoltre acquisito un'evidente superiorità rispetto ai paesi arabi, un fattore che rendeva non più determinante la collaborazione strategica con il Sudafrica.
Con la fine dell'apartheid e l'ascesa al potere del nuovo governo guidato dall'African national congress (Anc) i rapporti sono stati segnati da un alternarsi di tensioni e gesti distensivi.
Così, se nel 2002 l'arcivescovo Desmond Tutu invocava sanzioni contro Israele per via della sua politica repressiva e discriminatoria nei confronti dei palestinesi, due anni dopo il presidente sudafricano Thabo Mbeki, in un incontro con l'allora vice-premier israeliano Ehud Olmert, ricordava come Pretoria desiderava la creazione di uno Stato palestinese indipendente, pur riconoscendo l'importanza dei rapporti con Gerusalemme per via dell'interscambio commerciale.
Quindi, nel 2007, la maggiore confederazione sindacale sudafricana arrivò a invocare il boicottaggio delle merci israeliane e la rottura dei rapporti diplomatici. E anche se in occasione dell'intervento israeliano a Gaza il presidente Kgalema Motlanthe, che aveva precedentemente usato toni particolarmente duri contro Gerusalemme, avrebbe poi assunto una posizione più pragmatica e conciliante, appare oggi evidente come in Sudafrica l'atteggiamento verso Israele non sia dei più favorevoli.
L'elezione alla presidenza sudafricana del discusso esponente dell'Anc Jacob Zuma ha suscitato reazioni contrastanti: se da un lato il capo di Stato in un incontro con la comunità ebraica sudafricana ha riaffermato come la posizione di Pretoria rimanga improntata al principio dei "due popoli, due Stati", dall'altro molti non dimenticano i suoi legami con gli esponenti più radicali dell'Anc, noti per le loro posizioni filo-palestinesi.
I rapporti bilaterali attraversano quindi una fase non facile. Anche se non si arriverà a una loro rottura definitiva, stanti i rilevanti legami economici, i tempi della partnership strategica tra Gerusalemme e Pretoria appartengono a un'altra era.

(limes, 10 gennaio 2014)


L'odissea politica di Nazareth da due mesi senza sindaco

Ali Salam e Ramez Jaraisy
L'unica cosa certa è che non sarà di religione ebraica. Poi, ovvio, il rapporto tra i due contendenti - uno vice dell'altro - finisce qui. Perché per il resto è ancora tanta la confusione a Nazareth. E a questo punto, forse, sarebbe il caso di chiedere l'aiuto divino. Non solo per i 17 voti (dei soldati) spariti nel nulla. E nemmeno per un'intera urna - quella dedicata alle persone con disabilità - invalidata. Preferenze mancate che avrebbero potuto incidere molto sul risultato finale.
Il fatto è che, più di due mesi dopo le elezioni municipali (22 ottobre 2013), nella cittadina israeliana a maggioranza araba, laggiù nella Galilea, non si sa ancora chi sarà il prossimo sindaco. In teoria la fascia dovrebbe andare ad Ali Salam, ricco imprenditore musulmano, che al conteggio l'ha spuntata per soli 21 voti sul rivale Ramez Jaraisy, cristiano-ortodosso, per quasi vent'anni primo cittadino della località religiosa visitata ogni anno da migliaia di stranieri, italiani soprattutto.
Ma un giudice del tribunale distrettuale, Nehama Munitz, ha deciso di ricontare le schede. E, alla fine, ha stabilito che prendendo quelle contestate il vincitore non è più Salam, ma Jaraisy. E per nove voti appena. Un risultato che il candidato musulmano non ha preso bene. E, pur essendo stato a lungo vice proprio del rivale ortodosso, ha deciso di andare fino in fondo presentando un altro ricorso. E al diavolo il passato insieme.
«Il sindaco sono e resto io», ha rivendicato Salam ai microfoni della radio militare israeliana. «E la giustizia ribalterà la decisione del giudice Munitz». Parole che cadono, appunto, due mesi dopo una tornata elettorale dove, il primo giudice interpellato, ad ottobre, invitava le parti «a rivolgersi a qualsiasi organo ufficiale, l'importante è che a rimetterci non siano i cittadini». Detto. Ma non fatto.

(Falafel Cafè, 9 gennaio 2014)


Autismo: in Israele la casa è laboratorio di vita

ROMA, 9 gennaio - La casa quale laboratorio di vita per le famiglie con bambini autistici. È il modello terapeutico che il Milman center di Haifa (Israele) presenterà a Roma sabato e domenica (11 e 12 gennaio), in occasione della conferenza internazionale sull'autismo promossa dall'Istituto di Ortofonologia (IdO) e dedicata ad esplorare la relazione primaria tra i genitori e i figli coinvolti in un disturbo che ha interrotto in entrambi la capacità di mentalizzazione (di comprensione dello stato mentale dell'altro).
Sarà un week end all'insegna di un confronto scientifico aperto, che avrà luogo presso l'Aula magna dell'Istituto comprensivo Regina Elena in via Puglie 6, dalle ore 9 alle 18.30. Ad aprire il convegno sarà il deputato Paola Binetti, neuropsichiatra infantile, impegnato da tempo a garantire su questo disturbo una ricerca scientifica pluridisciplinare. Per promuovere quindi la relazione primaria (madre-figlio, padre-figlio e genitori-figlio), gli israeliani sottolineano l'importanza di lavorare con i genitori partendo proprio dall'accoglienza delle famiglie. In sostanza hanno ricreato nel loro centro un habitat che riprende l'ambiente della casa, sviluppando uno spazio che consenta ai terapeuti di fornire alle famiglie gli strumenti per vivere al meglio la quotidianità. Sono infatti previste zone dove si mangia insieme o ambienti condivisi per la socializzazione, come se fossero dei salotti. Il tutto all'interno delle molteplici attività proposte dal Milman center, che vanno dalla logopedia alla musicoterapia. "Non bisogna dimenticare i genitori - spiega Magda Di Renzo, responsabile del Servizio terapie dell'IdO - perché nell'autismo è presente la difficoltà del bambino ad attivare la responsività materna. Parliamo di soggetti con sviluppo atipico, per questo la madre deve essere aiutata a sintonizzarsi con il figlio che normalmente non si sintonizzerebbe". L'IdO attualmente segue oltre 100 bambini attraverso il progetto Tartaruga. Un approccio terapeutico intensivo, integrato e psicodinamico volto a coinvolgere la triade bambino, famiglia e scuola all'interno di numerose attività. I relatori della due giorni saranno Ayelet Erez, psicologa clinica dell'età evolutiva e dell'educazione (Israele); Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell'età evolutiva; Hanna Kaminer, psicologa clinica e dello sviluppo (Israele); Motti Gini, psicologo dello sviluppo (Israele); Yaniv Dolev Edelstein, psicologo clinico (Israele). Durante la conferenza verranno proiettati dei video che consentiranno di mettere a fuoco "la nascita del pensiero simbolico all'interno di un'interazione significativa". Al termine del convegno verrà rilasciato un attestato di partecipazione ma, dato il numero limitato di posti, è necessario registrarsi. Per avere tutte le informazioni sulle modalità di iscrizione è possibile scrivere a scuolapsicoterapia@ortofonologia.it.

(Salus, 9 gennaio 2014)


A Milano la prima cucina sociale kosher

Milano, ancora una volta all'avanguardia, domani inaugurera' la prima Cucina Sociale Kosher in Italia. L'Associazione Merkos l'Inyonei Chinuch ha realizzato, con il contributo di Enel Cuore, una cucina sociale all'interno della scuola Merkos in Via delle Forze Armate.
Obiettivo e' rispondere ad una duplice finalita': fungere da mensa per i bambini meno abbienti che frequentano la scuola e fornire pasti gratuiti ai bisognosi del quartiere. L'apertura di una cucina sociale "kosher", compatibile con l'alimentazione religiosa islamica "si inserisce perfettamente nel tessuto sociale e culturale della citta'".

(AGI, 8 gennaio 2014)


Come Israele e palestinesi fanno la pace col gas

di Giampaolo Tarantino

Secondo la stampa è cosa fatta. Israele ha firmato la licenza per lo sfruttamento del giacimento di gas naturale Leviathan. Il contratto firmato ufficialmente, è stato siglato con una società che opera presso l'Autorità nazionale palestinese per la fornitura a una centrale energetica che sarà costruita nella città di Jenin, in Cisgiordania, con una produzione di 0,2 miliardi di metri cubici annui e per la durata di 20 anni. Il giacimento ha riserve stimate in 600 milioni di barili di petrolio e di 4 miliardi di piedi cubi di gas naturale.
Con queste disponibilità di energia Israele potrebbe lanciarsi verso l'indipendenza energetica e affrancarsi dalle forniture che arrivano dall'estero. Le riserve di Leviathan (che si trova a circa 150 chilometri dalla costa di Haifa) potrebbero diventare un'importante alternativa al gas importato con sempre maggiore difficoltà attraverso il gasdotto del Sinai (metà del gas naturale consumato da Israele proviene dall'Egitto) a causa dei ripetuti attentati terroristici. Anche i palestinesi hanno un grande bisogno di energia e costruire una centrale elettrica in Cisgiordania significherebbe diventare meno dipendente dalle forniture che arrivano da Israele.
Il contratto di fornitura ai palestinesi ha visto la luce grazie all'intervento del Qatar che ha deciso di finanziare il progetto per un ammontare di 1,2 miliardi di dollari. Il piccolo e ricchissimo emirato del Golfo Persico conferma, così, la volontà di continuare a giocare un ruolo importante sullo scacchiere mediorientale con un occhio di riguardo alla questione israelo palestinese.

(formiche.net, 9 gennaio 2014)


Le idee confuse di Eugenio Scalfari - "Legge mosaica" e cantonate giornalistiche

di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Nuntio vobis gaudium magnum: "Habemus Papam Laicum"
I ripetuti riferimenti di Eugenio Scalfari alla "legge mosaica" nei suoi articoli di questi giorni mostrano evidenti errori e distorsioni che non possono essere lasciati senza risposta. Qui di seguito un'analisi delle sue parole (riportate in corsivo).

La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso: "Onora il tuo Dio, non nominare il nome di Dio invano, non avrai altro Dio fuori di me". Poi, per analogia, ordina di onorare il padre e la madre.

Bisogna prima di tutto precisare che l'uso corrente del termine "legge" deriva dalla versione greca della parola Torà, tradotta come nomos, e di qui "legge". Ma Torà significa "insegnamento" ed è un concetto ben più vasto della legge, anche se la Torà contiene la legge.
I dieci comandamenti (che nell'originale ebraico non sono "comandamenti" ma "parole") sono un condensato della "legge" solo in un certo senso. Per gli ebrei tutta la Torà e sacra e condensarla nelle dieci parole è riduttivo e selettivo. La selezione l'ha fatta la tradizione cristiana in coerenza con le sue scelte, non quella ebraica.
Le dieci parole iniziano con la frase "Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi". E' con queste parole e non con altre (inventate) che il "Dio mosaico" descrive anzitutto sé stesso, e non è un condensato della "legge" ma una proclamazione di libertà.
"Onora il tuo Dio" infatti non è scritto nelle dieci parole. E' invece ordinato di onorare i genitori. E non è certo un difetto, è un fondamento della civiltà; e fa parte della visione religiosa dell'ebraismo trasportare il divino nell'umano.
Nella legge mosaica non compare la parola "diritto", ma solo i doveri, di fare e di non fare. E' una scelta sorprendente per chi è abituato a parlare solo dei diritti come fondamento della legge. Ma tutto questo non vuol dire affatto che la legge non contempli diritti. Il diritto è implicito nel dovere. Garantire i diritti con la forza dei divieti. Il diritto alla vita è implicito nel divieto di uccidere (perché l'uomo è immagine divina, Gen. 9:6), il diritto alla proprietà nel divieto di rubare, il diritto al riposo settimanale è implicito nella legge del Sabato, il diritto del lavoratore al compenso tempestivo è implicito nel divieto di trattenere la paga (Lev. 19:13) e avanti con tanti altri esempi. La storia dell'umanità alla ricerca dei diritti è profondamente debitrice alla "legge mosaica", anche se se lo dimentica o esprime i diritti con un linguaggio differente. Rav Sacks ha scritto che le dichiarazioni fondamentali che sanciscono i diritti degli uomini parlano "con accento ebraico".

Infine si apre il capitolo dei divieti, dei peccati e delle colpe che quelle trasgressioni comportano: "Non rubare, non commettere atti impuri, non desiderare la donna d'altri (attenzione: il divieto è imposto al maschio non alla femmina perché la femmina è più vicina alla natura animale e perciò la legge mosaica riguarda gli uomini)".

Non si può giudicare la religione ebraica con il semplice confronto con il cristianesimo. Il fatto di essere religione non significa che le religioni siano uguali. L'esperienza religiosa ebraica si occupa anche di organizzare la società con la legge, così come ogni società si fonda sulla legge.
E' vero che il testo parla al maschile. Ma questo non vuol dire che le leggi riguardino solo gli uomini e che alle donne sia lecito uccidere, rubare, mancare di rispetto ai genitori (tra cui c'è anche la madre, di sesso femminile) e così via. Nell'adulterio la pena è esplicitamente per adultero e adultera (Lev. 20:20).
Il linguaggio biblico è "sessista"; ma la critica al linguaggio sessista è una novità recentissima. Persino nelle opere aggiornate degli antropologi culturali che dovrebbero essere i più egualitari si usa un linguaggio sessista; per esempio nella descrizione degli incesti, partendo da quanto è proibito ad un uomo e non a una donna.
Veramente ardua la conclusione che la femmina sia più vicina alla natura animale (ammesso che l'animalità sia un difetto). Sembra più un'invasione di cultura greca o comunque di cultura non ebraica, che un concetto biblico. La prima donna, Eva, viene creata dalla "costola" di Adamo, che invece era stato creato dalla terra. Difficile pensare che sia considerata vicina all'animale la matriarca Sara, alle cui istruzioni il marito Abramo è obbligato ad attenersi (Gen. 21:12), e vicine agli animali le levatrici che disobbediscono al Faraone o la misericordiosa figlia del Faraone che salva Mosè e così via per tanti esempi.

Il Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all'ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe della stirpe di David. Non contempla alcun Figlio il Dio mosaico; non esiste neppure il più vago accenno alla Trinità. Il Messia - che ancora non è arrivato per gli ebrei - non è il Figlio ma un Messaggero che verrà a preannunciare il regno dei giusti. Né esistono sacramenti né i sacerdoti che li amministrano. Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire chi premia l'uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge.

In questo brano esplode con tutta la sua forza l'antica dottrina oppositoria che è stata la bandiera dell'antigiudaismo cristiano per secoli. Il Dio vendicatore opposto a Gesù di Nazareth. Questa dottrina ha un nome preciso, marcionismo, dall'eretico Marcione che ne fece uno dei cardini del suo insegnamento. Marcione fu condannato dalla Chiesa, ma l'opposizione da lui drammatizzata tra due divinità fu recepita e trasmessa. Solo da pochi decenni la Chiesa se ne distacca ufficialmente, riconoscendola non solo come errore, ma anche come strumento illecito di predicazione di antagonismo e di odio. Ma chi ha studiato o forse solo ascoltato certi concetti in una lontana età giovanile, e non ha avuto l'interesse a rimetterli in discussione, ripropone in forma volgare e trita le antiche idee.
Che sono sbagliate perché il Dio della Bibbia ebraica (per non parlare di quello della tradizione rabbinica) è giustizia e amore, come possono attestare numerose fonti che non c'è spazio qui per citare. E' il Dio misericordioso (Es. 34:6) che perdona i suoi servi (sì, servi suoi, ma solo di lui e per questo liberi, servi di nessun uomo!) proprio quando non hanno eseguito la sua legge. Nulla avrebbe senso nell'ebraismo senza il perdono. Il Signore della legge mosaica non ricorda i peccati di gioventù (Salmo 25:7) e di questo anche chi ha scritto evocando fantasmi antigiudaici dovrebbe essere grato.
Che poi Gesù di Nazareth sia solo amore e non giustizia, in una melensa rappresentazione di comodo buonismo imperante, è tutto da dimostrare.
Il marcionismo qui rispolverato in un'affrettata esposizione parateologica è in altri contesti ancora più pericoloso. E' stato ed è la chiave di interpretazione della politica israeliana, che è cattiva e vendicatrice per definizione, appunto perché viziata dalla macchia ancestrale della religione che la esprime. Quando il giudizio va oltre la politica partendo da un pregiudizio religioso introiettato anche da chi si dichiara laico, i risultati sono disastrosi. Proprio nel giornale diretto da Scalfari non sono mancati testi e titoli ("la vendetta di Israele") ispirati a questi concetti.

Nei secoli che seguirono, fino all'editto di Costantino che riconobbe l'ufficialità del culto cristiano, il popolo che aveva seguito Gesù offrì martiri alla verità della fede, fondò comunità, predicò amore verso Dio e soprattutto verso Cristo che trasferì quell'amore alle creature umane affinché lo scambiassero con il loro prossimo. Nacquero così l'agape, la carità e l'esortazione evangelica "ama il tuo prossimo come te stesso".
Questo è il Dio che predicò Gesù e che troviamo nei Vangeli e negli Atti degli apostoli. Un Dio estremamente misericordioso che si manifestò con l'amore e il perdono.


Il popolo ebraico non ricorda in verità molti esempi di amore e perdono nei suoi confronti da parte delle comunità che in Gesù si riconoscevano.
L'esortazione evangelica "ama il tuo prossimo come te stesso" è anche evangelica ma viene dalla legge mosaica, Levitico 19:18.
In conclusione: gli errori citati non sono la simpatica confusione di una rispettabile tarda età, ma vengono da molto lontano, nella biografia dell'autore e in una lunga storia di opposizione e disinformazione teologica.

(moked, 9 gennaio 2014)


Al rabbino Di Segni va tutta la nostra ammirazione per la pazienza con cui ha letto, preso in considerazione e commentato quell'impressionante cumulo di sciocchezze laico-teologiche che l’ex direttore di Repubblica ha graziosamente propinato ai suoi devoti lettori. Chi scrive ammette francamente che non sarebbe riuscito a farlo. Quasi sicuramente il rabbino Di Segni non lo sa, ma con la sua evangelica (mi si perdoni il lapsus) sopportazione ha messo in pratica quella che si può chiamare una mitzvah cattolica, cioè una delle “Sette opere di misericordia spirituale” del catechismo: “Sopportare pazientemente le persone moleste”. M.C.


Operazione Calore Umano

Studenti e soldati israeliani raccolgono coperte e vestiti caldi per i profughi siriani

Tra poche settimane, ricevendo cartoni pieni di coperte, vestiti caldi e sacchi a pelo, alcune migliaia di profughi siriani forse si sorprenderanno di venire a sapere che tutte quelle forniture per l'inverno sono state raccolte da decine di scolari e studenti israeliani, coordinati da personale delle Forze di Difesa in una base dell'esercito nel nord di Israele.
Come nelle confinanti regioni del nord di Israele, la Siria sta attraversando un inverno particolarmente freddo, con temperature notturne anche sotto lo zero. Per i profughi accampati in sistemazioni di fortuna molto approssimative diventa veramente difficile difendersi dal freddo.
Un aiuto cerca ora di darlo l'Operazione Calore Umano, un'iniziativa guidata dall'organizzazione giovanile israeliana Hanoar Haoved Vehalomed in collaborazione con l'organizzazione socio-educativa Dror-Israel e con Flying Aid, l'organizzazione umanitaria israeliana che fu tra le prime a intervenire sul campo, ad Haiti, dopo il devastante terremoto del 2010....

(israele.net, 9 gennaio 2014)


E se censurare la «quenelle» rispondesse anche a un'ansia di catarsi?

di Marco Fraquelli

Non è un caso che sia stato Enrico Mentana, profondo conoscitore dell'ebraismo, anche per motivi di appartenenza religiosa familiare, l'unico, parlando del caso Dieudonnè, balzato alla ribalta internazionale in questi giorni, e in queste ore, a definire esplicitamente la Francia, nel suo telegiornale del 7 gennaio, come la «patria dell'antisemitismo». Anche spiazzando, forse, con questa giusta sottolineatura, il comune sentire - e il luogo comune - che vogliono nella Germania nazista la culla per antonomasia dell'antisemitismo per così dire «moderno».
Ma il direttore del TG7 ha ragione: in tema di antisemitismo, la Francia vanta molti primati, a cominciare dallo storico caso Dreyfus (che secondo il grande storico dei fascismi, Stanley G. Payne, aveva rivelato «un antisemitismo politico più attivo in Francia che in qualsiasi altro luogo d'Europa in quel momento»), per arrivare al cosiddetto «negazionismo» postbellico, che ha visto impegnati molti autori e militanti politici. Certamente più numerosi che in qualsiasi altro Paese (ma si potrebbe anche, seguendo il famoso storico israeliano Zeev Sternhell, ricordare come la Francia, prima ancora dell'Italia, possa considerarsi la patria del fascismo, inteso non come forma politica strutturata - qui, ovviamente, è l'Italia a poter «vantare» il primato storico-politico - ma come ideologia «anti-illuminista» e, per estensione, anti-democratica).
 
Dieudonné M'bala M'bala
E' forse per questo che il caso Dieudonné sta scuotendo molto le coscienze e creando molti imbarazzi nelle classi dirigenti, politiche e intellettuali, francesi; si potrebbe dire, forse, che sta scoprendo un nervo del tutto sensibile, ovvero quello di un antisemitismo che, ancorché rimosso, resta uno dei «peccati originali» più profondi e inquietanti per la patria della liberté, dell'égalité e della fraternité.
Spetta invece ad Alessandro Giuli (Il Foglio dell'8 gennaio) una delle analisi forse più originali sulla vicenda: secondo Giuli, l'«editto dell'Eliseo» scagliato sul comico francese da parte del presidente Hollande e del ministro degli interni Valss sarebbe un modo, forse un po' scomposto (e del tutto controproducente, per molte ragioni, come hanno giustamente sottolineato altri commentatori, a cominciare da Pierluigi Battista sul Corriere della Sera), da parte dell'intellighenzia di sinistra, di sbarazzarsi «di un suo figlio degenere» che da francese perfetto - nero, antifascista, militante dei diritti dell'uomo, universalista, gay friendly, ecc. - ha deciso di farsi comico e antisemita; di farsi «giullare maledetto», di «assomigliare a Jean-Marie Le Pen».
Insomma, un vero e proprio tradimento di ideali, contro cui la gauche lancia i propri strali censori.
Tutto giusto, come dicevo.
Aggiungerei poi un altro elemento, e cioè che in Francia l'antisemitismo ha trovato, storicamente, e in maniera non infrequente, un comune terreno di coltura tra estrema destra e estrema sinistra. E questo rischia forse di sollevare «brutti ricordi», di riattualizzare pagine dell'«album di famiglia» che la sinistra vorrebbe evitare di riaprire.
Basti ricordare come nel 1925, Georges Valois, creatore del primo vero e proprio movimento fascista al di fuori dell'Italia, lanciando il suo Faisceau, dichiarò di rifarsi a Maurice Barrès, sostenitore, alla vigiliadell'Affaire Dreyfus, di un socialismo violentemente antisemita, e per definire l'essenza del fascismo soleva usare la formula «nazionalismo + socialismo = fascismo.»
Sempre Sternhell cita poi il «curioso» caso del Cercle Proudhon, fondato per ispirazione di George Sorel, «che coniugava sindacalismo e nazionalismo», e nei suoi «Cahiers» ospitava indifferentemente interventi sia di Georges Valois sia di Edouard Berth, discepolo di Sorel ed esponente della estrema sinistra.
Per giungere a tempi a noi più vicini, si può ricordare il caso di Paul Rassinier, autore del «celebre» La menzogna di Ulisse (1955), capostipite dei saggi sul negazionismo della Shoah. Ebbene, Rassinier non solo non era qualificabile come fascista, ma, anzi, era stato tra i più giovani (allora era sedicenne) aderenti prima al Partito Comunista, da cui venne espulso per le idee considerate troppo rivoluzionarie, e quindi fondatore della Fédération Communiste Indépendante de l'Est e, infine, militante della SFIO, il partito socialista francese.
Di più, Rassinier, divenne un resistente della prima ora dopo l'invasione tedesca, fu co-fondatore del movimento Libération-Nord, e, arrestato nel 1943 dalla Gestapo, fu torturato e internato a Buchenwald e poi a Dora.
Quello di Rassinier (che fu peraltro espulso dal partito socialista proprio per il suo libro) non è poi l'unico caso di convergenza antisemita tra destra e sinistra in tempi a noi più vicini.
Si può ricordare anche il caso esemplare di alcuni militanti dello storico gruppo di estrema sinistra della Vieille Taupe (fuoriusciti poi dal gruppo proprio per le loro posizioni negazioniste), guidati dal «guru» Pierre Guillaume.
Con loro (che, ricordo, ripubblicarono nel 1979 il libro di Rassinier) intrattenevano rapporti molto stretti Robert Faurisson (forse il più celebre intellettuale francese negazionista, definito anzi il «papa» del negazionismo) e Michel Caignet, leader del neonazismo francese, che nel 1976 aveva tradotto e pubblicato La menzogna di Auschwitz, del nazista danese Thies Christophersen, una sorta di vera e propria «Bibbia» del negazionismo.
E proprio con Faurisson e Caignet, Guillame collaborò attivamente, nel 1984, alla traduzione di un altro «manifesto» della negazione dei campi di sterminio, Il Mito di Auschwitz, di Wilhelm Staeglich (edito poi nel 1986).
Si potrebbe continuare con altri esempi. Ma senza aggiungere molto.
Chissà, letta alla luce di questi elementi, magari la furia censoria della sinistra francese nei confronti del «giullare maledetto» potrebbe anche rivelare un fine in qualche modo catartico.

(Lettera43, 8 gennaio 2014)


Voi sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte. Quando diranno: "Pace e sicurezza", allora un'improvvisa rovina cadrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno.

Dalla prima lettera dell’apostolo Paolo ai Tessalonicesi







 

Il piede in due scarpe dell'Iran

Il Ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha detto che l'annuncio iraniano riguardante l'installazione di nuove centrifughe contraddice lo spirito dell'accordo sul nucleare firmato a Ginevra. Secondo fonti diplomatiche, i negoziati tra Iran e sei potenze mondiali sull'applicazione dell'accordo di novembre incontrano problemi sulla questione della ricerca e sviluppo di un nuovo modello di centrifuga nucleare che l'Iran dice d'aver installato. Durante la sua visita nel Regno Unito dove ha incontrato il suo omologo britannico William Hague, Lieberman ha detto che Israele si aspetta che le superpotenze gestiscano i colloqui sul nucleare in modo da non permettere all'Iran di tenere il piede in due scarpe.

(israele.net, 9 gennaio 2014)


Riprese i lager nazisti: restaurato il documentario di Hitchcock

Il grande regista lo realizzò nel 1945 e nel 2015 la versione restaurata e mai vista finora diventerà pubblica per il 70esimo anniversario della liberazione in Europa.

Il maestro del brivido Alfred Hitchcock visionò le immagini riprese dai soldati britannici e russi nel '45 a Bergen-Belsen. Ne rimase talmente sotto shock che si allontanò dai Pinewood Studios per una settimana. È qui che il grande regista stava lavorando, insieme al collega Sidney Bernstein, alla realizzazione del documentario "Memory of the Camps".
Per questo lavoro Hitchcok non volle ricevere alcun compenso. Il suo compito fu quello di ottimizzare il materiale in postproduzione. Nelle intenzioni degli Alleati, il film avrebbe dovuto essere proiettato al popolo tedesco per mostrare di cosa fosse stato corresponsabile ma si ritenne poi che fosse meglio non colpevolizzare e scioccare troppo i Tedeschi per avviare una fruttuosa collaborazione con la Germania post-nazista.
Le immagini sono abbastanza crude e raccontano la vita nei lager nazisti. Le pellicole rimasero dimenticate negli archivi di stato britannici per decenni, fino a quando, nel 1985, una versione incompleta fu ritrovata da un ricercatore nell'Imperial War Museum e poi trasmessa dal canale tv britannico PBS Frontline.
Il prezioso documentario è stato di recente restaurato digitalmente e arricchito di materiale inedito dal London's Imperial War Museum e sarà trasmesso dalla tv nel 2015, in coincidenza con il 70mo anniversario della Liberazione dell'Europa dal Nazismo e della fine della II Guerra Mondiale.

(globalist, 8 gennaio 2014)


Il Ministro Alfano in visita alla Comunità Ebraica di Roma

Questa mattina la Comunità Ebraica di Roma ha accolto in visita il Ministro dell'Interno, Angelino Alfano. L'incontro si è svolto alla presenza del Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, e della Giunta della Cer. Durante il colloquio è stata ribadita la collaborazione attiva e proficua con le forze dell'ordine che sul territorio nazionale sono presenti in ogni istituto ebraico garantendone la sicurezza e lo svolgimento delle attività. Un impegno, questo, che non ha paragoni nel resto d'Europa. L'occasione ha dato modo alle delegazioni di riflettere anche sull'importanza di non abbassare mai la guardia contro fenomeni di intolleranza, razzismo e xenofobia manifestati sia con l'uso della parola sia con altri mezzi. Nel merito hanno destato preoccupazione le attività di gruppi estremisti che si ispirano a movimenti come Alba Dorata (Grecia) o Jobbik (Ungheria). A conclusione dell'incontro il Rabbino Capo e la Giunta hanno augurato agli esponenti di governo un nuovo anno di lavoro all'insegna dei buoni risultati per il bene di tutta l'Italia.

(Comunità Ebraica di Roma, 8 gennaio 2014)


Roma - La sinagoga di Trastevere

 
Tanti luoghi, tanti incontri, tanti racconti tra grande storia degli ebrei di Roma e memorie personali. È il viaggio che i lettori di Italia Ebraica potranno compiere assieme al rav Vittorio Della Rocca, per molti semplicemente il Morè [Insegnante], che della Comunità è tra i personaggi più noti e amati. Il primo appuntamento è in Vicolo dell'Atleta a Trastevere dove una suggestiva casa medioevale conserva i resti della sinagoga fondata dal lessicografo Nathan ben Jechiel (1035 - 1106). Fu in quest'area che si raccolse e venne organizzata la prima forma di aggregazione comunitaria. Un luogo altamente strategico, vicino al Tevere e quindi vicino ai commerci. Ma anche un luogo di grandi suggestioni. Il primo incontro con questo portone, per rav Della Rocca, avviene nell'immediato dopoguerra. È il 1945: in una Comunità devastata dalla Shoah una indimenticabile generazione di educatori si occupa di scuola e formazione: Cesare Tagliacozzo, Sergio Sierra, Settimio Di Castro, Mario Sed, Nello Pavoncello. È proprio quest'ultimo, in una delle sue celebri domeniche culturali, a portare il giovane Vittorio e i suoi compagni in Vicolo dell'Atleta. I ricordi, davanti alla vecchia sinagoga, fluiscono con grande intensità. E inevitabilmente, tra una spiegazione e l'altra, si afferma la figura del morè Pavoncello. "Ricordo molto bene quella giornata, così ricca di significati - spiega Della Rocca - e soprattutto la consuetudine del morè di portare i suoi allievi alla scoperta dei luoghi più significativi della Roma ebraica. Aveva una straordinaria capacità oratoria, sapeva trasmettere amore per la cultura, condivideva con noi tutti le informazioni e le notizie 'che rimangono'. Di questo gli sarò per sempre grato". Impetuoso, schietto, 'romano de Roma': il morè, sottolinea il rav, è stato un personaggio con una forza e un carattere tutto particolare "che ad alcuni, mi rendo benissimo conto, poteva non piacere". A livello personale, comunque, "una delle più grandi amicizie delle mia vita". Vastissima l'anedottistica in materia. E legata in particolare a 'Piazza', l'anima e il cuore pulsante dell'ebraismo romano. È un pomeriggio d'estate quando il morè Pavoncello tiene la sua consueta lezione pubblica davanti a Boccione. Attorno a lui un'infinità di gente. Dal fondo si leva una voce. È quella del suo ex allievo Vittorio, che commenta: "Ecco il mio morè dell'alefbet (l'alfabeto, ndr)". Diventa una consuetudine: lezione pubblica e, puntuale, commento dal fondo. Finché un giorno il morè gli si rivolge con queste parole: "Senti, bello mio, usami una cortesia. Tutti i giorni mi dici questa frase come se io ti avessi insegnato soltanto l'alfabeto. Adesso farai una piccola correzione: invece di dire 'dell'alefbet', dirai 'dall'alefbet'. Ti sta bene?". Un aneddoto tra i tanti ma che racconta meglio di altri il temperamento del morè Pavoncello. Un personaggio, conclude Della Rocca, "a cui tutti noi siamo riconoscenti per la prolifica attività pubblicistica che ci ha lasciato".

(moked, 8 gennaio 2014)


Polemica in Olanda. La squadra Vitesse negli Emirati senza un calciatore israeliano

Dan Mori
Malinconico gennaio per il centrocampista Dan Mori della squadra olandese Vitesse Arnhem che domenica ha visto i suoi compagni decollare verso Abu Dhabi per gli allenamenti invernali mentre lui è stato costretto a restare indietro e ad allenarsi con le riserve. Poche ore prima del volo, ha detto al quotidiano Yediot Ahronot di Tel Aviv (che dedica alla vicenda ampio spazio), la squadra è stata informata che se Mori fosse sbarcato all'aeroporto di Abu Dhabi, sarebbe stato arrestato in quanto cittadino israeliano: ossia, 'persona non grata'.
La vicenda ha subito innescato aspre polemiche in Olanda, dove il comportamento del Vitesse (attualmente al secondo posto in classifica) viene biasimato da più parti. Uno dei politici più noti, il conservatore Geert Wilders, ha sostenuto che la squadra olandese avrebbe dovuto rinunciare al viaggio. Altri deputati hanno accusato il Vitesse di "codardia", mentre la comunità ebraica olandese si è detta "sconvolta" dalla vicenda. Citando la stampa olandese, Yediot Ahronot aggiunge che l'allenatore del Vitesse, Peter Bosz, ha ammesso di essere rimasto dispiaciuto per il forzato forfait di Mori in Abu Dhabi. Ma le critiche giunte dal mondo politico, ha aggiunto, non lo interessano affatto.
"Io faccio solo il mio mestiere, ossia l'allenatore", ha precisato. Fra quanti hanno cercato di sfumare i toni è stato proprio il centrocampista Mori, secondo cui un mese fa - quando per la prima volta si era profilata la possibilità di un ritiro invernale ad Abu Dhabi - i dirigenti locali non avevano fatto alcun problema. Il loro irrigidimento è stato repentino, ha aggiunto, poche ore prima del volo.
La stampa israeliana denuncia intanto con forza l'atteggiamento discriminatorio applicato verso i suoi atleti da alcuni Paesi arabi. Cita ad esempio il rifiuto di ingresso imposto dal Dubai nel 2009 alla tennista israeliana Shahar Peer: gli organizzatori dei campionati di tennis ricevettero allora una multa di 300mila dollari. Anche a Doha, rileva Yediot Ahronot, nuotatori israeliani sono stati di recente discriminati. Sono stati ammessi alle gare ma la bandiera israeliana è stata fatta "scomparire" per non urtare suscettibilità locali. L'ostilita degli sportivi di certi Paesi arabi nei confronti di quelli israeliani si è manifestata anche alle Olimpiadi. A Pechino 2008 nelle batterie dei 100 rana il nuotatore Mohammed Alireazei si rifiutò di gareggiare contro l'israeliano Tom Beeri.
Un anno dopo Alirezaei fece lo stesso ai mondiali di nuoto a Roma, per la presenza dell'israeliano Mickey Malul. Ad Atene 2004 il judoka iraniano Arash Miresmaeili, candidato alla vittoria finale nella sua categoria, disertò il tatami pur di non misurarsi con l'israeliano Ehud Vaks. Due anni fa a Catania ai mondiali di scherma fece una scelta analoga la tunisina Sarra Besbes, che preferì farsi squalificare piuttosto che gareggiare contro l'israeliana Noam Mills.

(La voce, 7 gennaio 2014)


La Gran Fondo del Mar Morto, tra emozioni e deserti suggestivi

 
EIN BOKEK - Sono da poco stati ufficializzati gli ordini d'arrivo della Gran Fondo del Mar Morto, che si è conclusa a Ein Bokek, ed ha visto la partecipazione di 550 atleti.
A vincere i portacolori del team TACC, con l'israeliano, Zohar Hadari che ha battutto il connazionale Roy Goldstein (500 WATT) dopo una lunga volata sul rettilineo finale. Al terzo posto, distanziato di pochi secondi, Ido Zilberstein (TACC).
I concorrenti, al 90% israeliani si sono dati battaglia in un percorso affascinante nel deserto e che ha visto come maggiore asperità di giornata la Salita degli Scorpioni, un'ascesa di circa 8 km suddivisa in 2 parti, una prima parte di 5 km ed una successiva di 3 km.
Tra i partenti anche l'ex campione del mondo 2005 della categoria Under 23, l'ucraino Dimitri Gabrowskyy, che ha militato per alcuni anni anche tra i professionisti, in Quick Step e Neri Sottoli-ISD.
La cornice, irripetibile, era la depressione terrestre (421 sotto il livello del mare) che ospita il Mar Morto, il bacino idrografico a maggiore densità salinica del mondo. Partenza e arrivo a Ein Bokek. In tutto 155 chilometri tra deserto, roccia, viste mozzafiato all'ombra della millenaria fortezza di Masada dove si consumò una delle pagine più drammatiche di resistenza israeliana alla conquista di Roma nel primo secolo.
Inizialmente previsto per metà dicembre, l'evento è stato fatto slittare di alcune settimane a causa dell'ingente nevicata che ha coperto Israele generando inaspettati problemi logistici in un paese poco avvezzo a tali manifestazioni climatiche.
Anima della Gran Fondo l'israeliano Harel Nahmani, una passione sfrenata per il Giro d'Italia che commenta così l'edizione che si è appena conclusa:
"C'è grande soddisfazione. Per l'evento, per le sensazioni che sono scaturite, per aver proposto un modello organizzativo vincente. Adesso l'obiettivo è quello di internazionalizzarci sempre di più".

ORDINE DI ARRIVO:
1. Zohar Hadari (TACC)
2. Roy Goldstein (500 WATT)
3. Ido Zilberstein (TACC)

COMMENTI:
EIN BOKEK - Harel Nahmani, organizzatore della Gran fondo del Mar Morto ci aiuta a capire meglio lo spirito che anima un Paese che da poco si è affacciato al movimento ciclistico. Uno stato, quello israeliano che spesso viene dipinto come luogo di contrasti, che di fatto esistono, ma che non impediscono alla bicicletta di crescere e trovare terreno fertile per dar vita ad un movimento giovane, in tutti i sensi, ma con molta voglia ed energia per fare.
"Non abbiamo sicuramente la cultura europea nel ciclismo. Paesi come Italia, Spagna, Francia e Belgio sono per noi inavvicinabili. Lì è stata fatta la storia di questo sport. Però 5 anni fa abbiamo registrato l'esplosione dello sport legato alla bike, in tutte le sue forme. E' un fattore strano da spiegare visto che non abbiamo campioni olimpici o mondiali. La gente in Israele però guarda il Giro, il Tour e la Vuelta. Ora tutti gli appassionati capiscono di tattica di corsa, acquistano biciclette da più di 10.000 euro e si interessano all'alimentazione".

Il concetto di ciclismo è arrivato forse in maniera diversa rispetto all'Europa. "Amiamo questo sport perché ci diverte e perché vogliamo essere in forma. A questo si aggiunte il fatto che viviamo in una realtà che è considerata tra i 7 miracoli della terra per bellezza e ricchezza storica. Grazie ad un mezzo ecologico e straordinariamente moderno come la bicicletta possiamo farlo al meglio".

Da queste basi stanno nascendo i primi eventi sportivi. "Molti di noi hanno preso parte alle gare italiane ed ora vogliamo a provare a creare anche qui degli eventi di ciclismo. Mettiamo la nostra professionalità, maturata anche in altri campi, come quello dello spettacolo dove esistono già molti festival".

Il percorso è iniziato a piccoli passi nel 2008. "Nel 2008 siamo riusciti, con fatica, a dar vita al primo club di Israele. L'anno seguente, nel 2009, abbiamo preso parte con 25 atleti alla Transalp, in mountain bike. Non avevamo professionisti iscritti ovviamente, ma ci siamo distinti per organizzazione di squadra. Il passo seguente, dopo aver vissuto il ciclismo pedalato, era quello di provare ad allestire qualcosa in Israele. Una sfida stimolante".

L'avventura è iniziata lo scorso anno con la prima Gran fondo del Mar Morto, e nel 2014 è arrivata la 2^ edizione. "Sappiamo che si tratta di un percorso di crescita lungo, ma la nostra politica dei piccoli passi credo possa dare buoni frutti. Pensiamo che la nostra sia un'interessante opportunità durante l'inverno. Ne abbiamo avuto la conferma 2 anni fa, quando è ventua ad allenarsi la Saxo Bank di Alberto Contador. Strade e percorsi si sono confermati di buonissimo livello ed anche i prof sono rimasti sorpresi".

Anche in questa occasione sono stati sfatati alcuni falsi miti, come quello legato alla sicurezza. "Come in tutto il mondo succedono delle cose, ma il nostro Paese ha un livello di qualità della vita tra i più alti al mondo, quindi non si deve aver paura di venire in Israele come noi non perdiamo occasione di venire in Italia. Abbiamo già un gruppo numeroso che ha prenotato le vacanze in Italia per seguire gli ultimi 10 giorni del Giro d'Italia, ovviamente in bicicletta. Lo scorso anno siamo stati a seguire le tappe del Sud, quest'anno privilegeremo il Nord. Speriamo solo che non ci sia la neve".

TEL AVIV - Yuval Golan è uno dei pochi ex corridori di Israele ed ha cullato il sogno di diventare un ciclista professionista. Oggi lavora nell'Esercito, è manager sportivo del Megiddo Regional Council.
E' lui che ci aiuta a fotografare meglio gli scenari di sviluppo per il settore bike israeliano: "Attualmente credo che per noi sia il secolo del ciclismo. Possiamo vantare su una popolazione molto giovane che ci permette di allargare la base dell'agonismo. Non è semplice creare dei buoni atleti, la bici necessita di educazione ed in tutto lo stato stiamo costruendo piste ciclabili. Ci sono progetti molto importante finanziati dal governo su vasta scala. Credo che nel giro di pochi anni si vedranno importanti frutti".

Quello che potrebbe interessare molto, ad esempio le aziende italiane è l'alto potere di acquisto degli appassionati. "Credo che in Israele si possano trovare tutti i tipi di attrezzatura e gadget ciclistici. I cicloamatori sono attentissimi agli oggetti che vedono utilizzare dai professionisti e corre ad acquistarli, anche se non vi è l'assillo della performance a tutti i costi".

Golan ripete un concetto già espresso anche dal Presidente di Saxo Bank, Lars Seier Christensen. "Per noi la bici è il nuovo golf. Siamo molto interessati al ciclista anche dal punto di vista turistico. Abbiamo fatto delle valutazioni. Riteniamo come target, che il biker sia a livello dello sciatore e gli sciatori spendono molto per la loro attività".

(Olimpiazzurra, 7 gennaio 2014)


Autismo: a Roma un convegno italo-israeliano

ROMA - Per una ricerca scientifica aperta e pluridisciplinare sull'autismo, l'Istituto di Ortofonologia (IdO) promuove sabato e domenica a Roma (11 e 12 gennaio) una conferenza internazionale su ''La nascita del simbolismo nella terapia diadica con il bambino autistico' in collaborazione con il Milman center di Haifa (Israele). La due giorni, dedicata allo studio delle relazioni primarie per favorire quella comunicazione tra la madre e il bambino volta a mettere in moto i processi di sintonizzazione che mancano nel soggetto autistico, avra' luogo nella Capitale presso l'Aula magna dell'Istituto comprensivo Regina Elena.
Da diversi anni l'Italia e Israele lavorano insieme per impostare osservazioni comuni e verificare la possibile efficacia delle terapie attraverso uno scambio di strumenti di valutazione. Nel Milman center si segue un approccio diadico di stampo psicoanalitico: ''Per dimensione diadica si intende la relazione primaria - spiega Magda Di Renzo, responsabile del servizio Terapie dell'IdO - perche' nel modello israeliano la terapia funziona attraverso incontri madre-figlio, padre-figlio e genitori-figlio, cosi' da trovare quella sintonia primaria di ciascun genitore con il bambino e poi della coppia genitoriale con il figlio. Questo approccio favorisce l'attenzione congiunta - aggiunge la psicologa dell'eta' evolutiva - e mette in moto nel piccolo quel processo di simbolizzazione della capacita' cognitiva che nasce dalla dimensione affettiva''.
L'Istituto di Ortofonologia ha portato in Israele il ''nostro Test sul contagio emotivo (Tce) per valutare il livello di empatia dei bambini seguiti all'interno del Milman center. D'altro canto - conclude Di Renzo - ad Haifa stanno conducendo studi approfonditi sul Manuale diagnostico psicodinamico per mettere in comune invece le conoscenze specifiche di ciascuno''. I relatori della due giorni saranno Ayelet Erez, psicologa clinica dell'eta' evolutiva e dell'educazione (Israele); Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell'eta' evolutiva; Hanna Kaminer, psicologa clinica e dello sviluppo (Israele); Motti Gini, psicologo dello sviluppo (Israele); Yaniv Dolev Edelstein, psicologo clinico (Israele).

(ASCA, 7 gennaio 2014)


La Libia studia come applicare la sharia in economia

Il ministro dell'Economia annuncia che un gruppo di esperti sta studiando come adottare un sistema economico islamico. Un'Ong attacca: «La Nato doveva portare la piena democrazia».

di Leone Grotti

  
La Libia si prepara a cambiare il suo sistema economico e bancario per conformarlo alla sharia. Il Parlamento ha approvato la sharia come fonte di tutte le leggi a inizio dicembre e ha nominato una commissione per verificare che ogni norma sia in linea con i dettami islamici.

ADDIO TASSI DI INTERESSE - Ecco perché il ministro dell'Economia Mustafa Abu Fanas ha dichiarato che un gruppo di esperti ha cominciato a studiare come applicare la sharia in economia. Sicuramente, come già avvenuto durante l'anno di governo dei Fratelli Musulmani in Egitto, le banche non potranno più applicare tassi di interesse a prestiti o finanziamenti, perché considerati usura dalla sharia, né emettere titoli di Stato.

«SISTEMA ISLAMICO» - «Adotteremo in modo graduale un sistema islamico - ha detto il ministro durante una conferenza stampa - che ci porterà a un'economia più forte. Tutto il mondo, del resto, si sta muovendo verso un'economia islamica».
Le ultime affermazioni del ministro sono discutibili, soprattutto se si pensa alla mole di investimenti di cui la Libia ha bisogno per ricostruire dopo la cosiddetta "Primavera araba" che ha portato all'uccisione di Muammar Gheddafi e ha gettato il paese nel caos.

«LA NATO HA FALLITO» - Secondo una Ong presente in Libia, The Barnabus Fund, l'imposizione della sharia è il segno che la rivoluzione appoggiata dai paesi occidentali ha fallito: «La Nato ha fatto la guerra in Libia per portare la piena democrazia», ha detto il direttore internazionale Patrick Sookhdeo. «Ma ora il governo è diviso e un estremismo religioso del peggior tipo ha preso il controllo del paese».
Non a caso, lo scorso ottobre il governo libico ha chiesto alla maggior parte delle comunità religiose cattoliche di andarsene dal paese perché non sarebbe più in grado di garantire la loro sicurezza. Il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Martinelli, ha parlato di «sofferenza terribile».

(Tempi, 7 gennaio 2014)


Israele - Energia, la chiave per la pace

di Daniel Reichel

"Guardando ai giacimenti israeliani, le nuove scoperte potranno essere utilizzate come significativo strumento di pace, portando la voce di Israele in un'Europa interessata alle nuove riserve di gas e quella dell'Europa nella regione del Mediterraneo, generando benefici anche alle popolazioni e ai paesi confinanti, come la Giordania e forse i palestinesi". Su Pagine Ebraiche di dicembre Valeria Termini, membro dell'Autorità nazionale per l'energia e il gas, sottolineava come le nuove risorse di gas, scoperte a largo delle coste israeliane, potranno avere un ruolo chiave negli equilibri del Medio Oriente, avvicinando paesi storicamente in contrasto. In quest'ottica, grande rilevanza ha la notizia della firma del contratto tra i tre partner (Noble Energy Inc, Delek Group e Ratio Oil Exploration) del giacimento israeliano Leviatano e la Compagnia energetica palestinese.
Mentre il segretario di Stato americano John Kerry cerca di trovare una soluzione diplomatica nel processo di pace tra israeliani e palestinesi, le due realtà hanno trovato un punto d'accordo in materia energetica: la partnership commerciale costituisce peraltro la prima legata all'esportazione del gas proveniente da Levietano. Quest'ultimo è il giacimento più grande mai scoperto nel Mediterraneo (150 km dalla costa di Haifa) e, assieme ai suoi fratelli minori Tamar e Dalit, ha rivoluzionato il panorama economico, oltre che energetico, israeliano, portando il paese da importatore a esportatore. Tornando all'accordo con la Palestine Power Generation Company, all'azienda verrano forniti per i prossimi 20 anni 4,75 miliardi di metri cubi di gas. Ad apporre la firma il ministro dell'autorità palestinese per l'energia Omar Kittaneh, il Ceo della Delek Group Yitzhak Tshuva e alti dirigenti della Noble Energy e della Ratio. "Credo che un economia stabile e forte tra le due parti porterà pace e stabilità in tutta la regione e tutti potranno beneficiare di una crescita economica - ha dichiarato Tshuva - La pace, la cooperazione economica, il mutuo rispetto e la fiducia costituiscono uno sforzo comune. In particolare, la cooperazione economica, un esempio è l'accordo siglato oggi (lunedì) aiuterà ad avvicinare i due mondi e contribuirà a costruire una base per la pace. Sarà possibile creare nuovi posti di lavoro e incentiverà la collaborazione tra le aziende".

(Notiziario Ucei, 7 gennaio 2014)


«Un cuore ebreo batte in una bimba araba»

Dopo un terribile incidente, muore una bimba israeliana. I suoi organi vengono donati a una bimba palestinese, e le salveranno la vita

di Francesco Crudo

   
Yuval Nizri
Yuval Nizri era una ragazza israeliana di undici anni. La piccola muore dopo un incidente d'auto e i suoi organi vengono donati: questi ultimi salveranno la vita di una donna palestinese. Yuval Nizri è rimasta vittima di un evento tragico nella cittadina di Rishon Lezion, ma ha trovato il modo di aiutare altre cinque persone.
Queste ultime, infatti, hanno potuto beneficiare della donazione dei suoi organi. Tra le persone salvate risultano quattro bambini e una donna di trentanove anni. Un piccolo gesto che dimostra che la pace tra i popoli può avvenire anche per mezzo di un semplice e simbolico gesto di una bimba israeliana: i suoi organi vengono donati anche a una persona considerata ostile al suo popolo. Ovviamente, questa ostilità è nata lungo tempo or sono. La storia del Medio Oriente è complessa e non può essere sintetizzata in poche righe. Yuval ha perso la vita la scorsa settimana e i suoi genitori hanno dato il permesso di utilizzare i suoi organi per aiutare altre persone. Tra i quattro bambini salvati dalla ragazza c'è Miran: una bimba palestinese di dieci anni. Lei si è salvata grazie a un trapianto di cuore e polmoni. La bimba era paziente da dieci anni nell'ospedale Schneider di Petah Tikva e grazie agli organi donati dalla ragazza israeliana è riuscita ad andare avanti. Il padre della bimba palestinese ha affermato questo:
    "Un cuore ebreo batte in una bimba araba. Questa è la prova che i due popoli possono vivere insieme. E che la pace è possibile. Vorrei ricambiare questo dono e riportare in vita Yuval se solo fosse possibile. Siamo tristi e siamo in lutto. Porgiamo le nostre condoglianze alla famiglia di Yuval".
Questo gesto fa capire che, come diceva Pasolini, i bimbi sono privi di pregiudizi e per questo la loro mente è spesso più aperta degli adulti. La pace tra i due popoli può giungere. Sebbene le buone notizie non godano di risalto sui media, la vicenda della bimba israeliana che decide di donare i suoi organi e salva una piccola palestinese è un gesto simbolico che va al di là di tutto.

(Ultime Notizie Flash, 7 gennaio 2014)


"Israele a 360 gradi"

Lettera a Beppe Severgnini

Buongiorno Beppe, buon anno,
da un paio di mesi ho cominciato a lavorare assieme a degli amici ad un progetto che promuove Israele a 360 gradi. Da "Italian" trapiantato a Tel Aviv da quattro anni, sapevo di venire a vivere in un Paese un po' diverso rispetto all'Italia. In questi anni ho imparato tanto. Ho imparato a conoscere la cultura, le persone, i pensieri, la lingua, e dettagli che ho deciso di trasferire a coloro che sono interessati a conoscere Israele per quello che veramente e'. Parlo di ricerca, parlo di hi tech, parlo di internet, parlo di medicina, parlo di argomenti che Israele esporta abitualmente, ed a mio avviso argomenti interessanti da conoscere. In questo gruppo non vogliamo parlare di politica in alcun modo, ma semplicemente essere un occhio al servizio dei lettori in italia, per far conoscere cosa accade in Israele, nella vita di tutti i giorni, raccontando la realta', da chi la vive.
Mi piacerebbe se potessi postare queste due righe, lasciando ai lettori di "Italians" la libera scelta se essere nostri fans o meno. Ci aiuterebbe piano piano a far conoscere questa realta', spesso poco raccontata, o comunque non raccontata al 100%. Il gruppo si chiama "ISRAELE 360", e per il momento ci troviamo su Facebook all'indirizzo www.facebook.com/ISRAELE360, al sito ci stiamo lavorando.
Ti ringrazio, e approfitto per augurarti un felice 2014.
Gabriele Bauer

(Corriere della Sera - blog, 7 gennaio 2014)


La risposta di Severgnini a questo “Italian” è miseramente piatta nella sua ripetizione di slogan correnti genericamente anti-israeliani e non la riportiamo. Ma pubblicizziamo volentieri l’iniziativa “ISRAELE 360”.


Video contro il negazionismo. Spot dei ragazzi di un liceo scientifico di Sondrio

Un'immagine tratta dal film girato dai ragazzi dell'istituto Donegani
SONDRIO - È il 26 gennaio 2014: in una camera buia un ragazzo - biondo, occhi azzurri - digita sulla tastiera di un pc la lista dei campi di concentramento e il termine Shoah e li cancella dai motori di ricerca sul web. Sul suo braccio si nota, rosso come fuoco, il simbolo del nazismo: la svastica.
In un'altra stanza, ariosa e luminosa, un ragazzo sta svolgendo una ricerca proprio su questo tragico periodo della storia, salvo scoprire che, mentre sulle pagine del libro di storia di Shoah si parla, nella rete la ricerca non dà risultati. Il disorientamento diventa rabbia, quando, in classe, si rende conto che i suoi compagni al contrario sono al corrente dei 7 campi di concentramento in Europa, dei 6 milioni di morti, di camere a gas, esperimenti e fucilazioni.
Il messaggio, che a questo punto compare con scritta rossa su fondo nero, è: «Rubare la storia è un reato. Ma per arrestare chi ruba la storia non servono armi, serve ricordare». Perché questo incubo - come dice un personaggio che richiama Dylan Dog - è stato reale.
È con questo spot intitolato "Incubo reale", della durata di tre minuti, che la classe quinta A del liceo scientifico Donegani ha partecipato al concorso nazionale del Miur per la Giornata della Memoria.
Ogni anno il Ministero promuove il concorso con temi differenti: quest'anno il focus è su negazionismo e web che i 23 studenti - su stimolo del professor Gianluca Moiser - hanno affrontato utilizzando naturalmente la tecnica video in modo efficace e snello.
In attesa dell'esito del concorso nazionale, la classe ha già ricevuto una menzione speciale al premio "Squarciare i silenzi" (la cui premiazione si è tenuta a Salerno il 21 dicembre) per «aver messo in risalto - si legge nella motivazione - i rischi insiti nella rimozione del dramma della Shoah dalla memoria collettiva attraverso un'opera apparentemente didascalica, con un alto valore educativo per le nuove generazioni».
«Il film è nato da un mio spunto che è, però, stato elaborato dalla classe - spiega Moiser -. I ragazzi hanno realizzato la storyboard, abbiamo girato le riprese impiegando due ore di lezione, una ragazza ha curato i costumi in modo che non ci fossero scritte di propaganda e poi due ragazzi hanno montato lo spot a casa. Il video mette in guardia dai rischi del web e invita a usarlo per ricordare, implementare e condividere con foto e materiali quanto accaduto con la Shoah. È importante che noi adulti e gli insegnanti capiscano il linguaggio dei ragazzi che usano modalità diverse rispetto al passato. Occorre assecondare queste loro capacità e indirizzare i giovani seguendo le loro attitudini con lo scopo di imparare la storia, anche in modo diverso. Il lavoro è stato lo spunto perché l'insegnante di storia parlasse ampiamente del negazionismo che, anche grazie all'esperienza dello spot, i ragazzi non dimenticheranno mai».

(La Provincia di Sondrio, 7 gennaio 2014)


«Qui siamo felici, abbiamo tutti i diritti e viviamo bene»

Gli arabi (palestinesi?) d'Israele rifiutano recisamente l'idea che alcune loro città vengano incluse nei confini del futuro stato palestinese.

Reazione totalmente negativa degli arabi israeliani (che spesso definiscono se stessi "palestinesi in Israele") contro la presa di posizione del Ministro degli esteri israeliano Avigdor Liberman per un accordo di pace con i palestinesi che preveda uno scambio di territori tale da portare città arabe israeliane sotto giurisdizione palestinese e città israeliane di Cisgiordania sotto giurisdizione israeliana.
Parlando domenica a Gerusalemme alla conferenza annuale degli ambasciatori israeliani, Lieberman ha detto che a suo parere un accordo sarà possibile solo se città arabe israeliane come Kafr Qara, Umm al-Fahm, Tayibe e Qalansawe, che si trovano nella zona di Wadi Ara (a sud est di Haifa) e in quella nota come il "Triangolo" (a nord-est di Tel Aviv), verranno scambiate con un territorio equivalente di Giudea e Samaria (Cisgiordania) dove vivono ebrei israeliani....

(israele.net, 7 gennaio 2014)


La Federal Reserve in mano alla Yellen: prima donna presidente

Janet Yellen guiderà la banca centrale degli Stati Uniti. Al suo fianco l'ex banchiere centrale d'Israele, Stanley Fisher.

di Sergio Rame

 
Janet Yellen
Adesso è ufficiale. Il Senato americano ha confermato la nomina di Janet Yellen alla guida della Federal Reserve.
Sostituendo Ben Bernanke, il cui mandato scade a fine gennaio, la Yellen sarà il primo presidente donna della banca centrale degli Stati Uniti in cent'anni di storia.
Nella prima seduta del Senato dopo la pausa natalizia, caratterizzata da numerose assenze a causa del polar vortex che negli Stati del Nordest ha trascinato la colonnina del termometro fino a 50o sotto zero, il Senato ha confermato la nomina proposta dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama con 56 voti a favore e 26 contrari. La 67enne Yellen, un donna estremamente preparata, meticolosa e colta, è anche la prima democratica a guidare la Fed dal 1979, cioè da quando il presidente Jimmy Carter designò Paul Volker al timone. Già numero due alla banca centrale statunitense dal 2010, è stata una forte sostenitrice delle straordinarie misure adottate a sostegno dell'economia, pur in un contesto di tassi d'interesse prossimi allo zero. Adesso dovrà gestire il temuto tapering, il graduale ritiro degli stimoli monetari che Bernanke ha annunciato lo scorso dicembre. Negli ultimi cinque anni la Federal Reserve ha "pompato" liquidità nel sistema per abbassare il costo del denaro e per sostenere lo sviluppo. Una mossa sbagliata o troppo aggressiva sul fronte del tapering rischierebbe di mandare nel panico non solo Wall Street, ma anche i principali listini mondiali. "Le conseguenze potrebbero essere inaudite", ha avvertito il presidente della Fed di New York, William Dudley, descrivendo le ardue sfide che la Yellen è chiamata a fronteggiare. "Il mercato finanziario è diventato drogato dai soldi facili delle politiche lassiste della Fed", ha attaccato il senatore dell'Iowa Charles Grassley che ieri ha votato contro la nomina fortemente voluta da Obama.
"La modesta riduzione nell'acquisto di asset annunciata non mina certo l'impegno della Fed a mantenere le politiche monetarie accomodanti per tutto il tempo necessario", ha rassicurato Bernanke durante l'ultima riunione del comitato monetario. Prima della crisi finanziaria, la Yellen era stata presidente della Federal Reserve di San Francisco, negli anni della bolla immobiliare, e aveva ammonito sui possibili rischi legati ai mutui subrime. Il nuovo capo dell'istituto centrale più importante del mondo si è laureata alla Berkeley University dove ha studiato le radici della disoccupazione. Ha ottenuto un dottorato alla Yale University e vanta una lunga carriera nella banca centrale americana dove ha anche conosciuto il marito, il famoso economista George Akerlof. A sostituire la Yellen come vicepresidente della banca centrale dovrebbe essere l'ex banchiere centrale d'Israele, Stanley Fisher. Anche Lael Brainard, del Dipartimento del Tesoro, potrebbe essere nominato nel board della Yellen, dove ci sono ancora altre due posizioni chiave da riempire.

(il Giornale, 7 gennaio 2014)


Ancora un nuovo volo diretto per Tel Aviv dall'Italia

Arkia Israel Airlines propone per la prossima estate un nuovo collegamento diretto dall'Italia con Tel Aviv, la città più gettonata del momento.

Ancora un nuovo collegamento per Tel Aviv! Dall'osservatorio privilegiato su Travelblog, da qualche mese a questa parte non faccio che notare nuovi collegamenti tra Tel Aviv, la seconda città d'Israele, e le più importanti capitali europee. "Sembra che tutti vogliano andare a Tel Aviv!", ho pensato, vista la frequenza con cui compariva sui bollettini aerei.
Sarà perché qui ci sono tante ambasciate straniere (non tutti i paesi riconoscono Gerusalemme come la capitale dello Stato)? Perché c'è la Città Bianca, protetta dall'Unesco, che presenta la più alta concertazione mondiale di edifici costruiti secondo lo stile Bauhaus? Perché c'è un fantastico reef dove fare surf tutto l'anno? O sarà per l'avvenenza dei ragazzi e delle ragazze della città?
O sarà perché, come ci racconta il nostro Rondone viaggiatore, Tel Aviv è la città del momento, quella più giovane e dinamica, quella dove le cose accadono ora? Comunque un motivo ci sarà, visto che anche Arkia Israel Airlines, la seconda compagnia aerea del paese, propone (tra gli altri) un nuovo collegamento diretto dall'Italia per Tel Aviv.
Tel Aviv - Venezia, dal 15 giugno al 19 ottobre, con un volo settimanale di domenica. Volo IZ337 che parte da Tel Aviv alle 16 ed atterra a Venezia alle 19, e volo IZ338 che parte da Venezia alle 20 ed atterra a Tel Aviv 30 minuti dopo la mezzanotte.
Italia - Tel Aviv; in questo momento, i collegamenti diretti tra l'Italia e Tel Aviv, sono quelli in partenza da Milano Malpensa (Meridiana, El Al), da Roma (Alital, El Al, EasyJet) e Venezia (El Al).

(Travelblog, 7 gennaio 2014)


Bergoglio in Israele

di Sergio Minerbi

La visita di papa Francesco prevista per fine maggio solleva alcune perplessità. Anzitutto la brevità della visita che durerà solo 48 ore, in tre paesi. Per di più quando Netanyahu, il primo ministro israeliano, invita il Pontefice a visitare Israele, papa Francesco gli riponde: "Sì, verrò in pellegrinaggio in Terra Santa". È come se i due parlassero di cose diverse.
Il contenzioso finanziario tra Israele e il Vaticano dura ormai dal 1993, cioè da quando fu firmato l'Accordo Fondamentale tra i due paesi. È incomprensibile perché in vent'anni il fisco israeliano non abbia ancora accettato di concedere le esenzioni d'uso. D'altronde nei 25 minuti della conversazione che ha avuto luogo il 2 dicembre scorso in Vaticano tra il papa e Netanyahu, non sappiamo se si siano discussi i grandi problemi della politica medio-orientale né con quali risultati. Chi legga "Civiltà Cattolica", la rivista nella quale ogni articolo deve essere approvato in anticipo dalla Segreteria di Stato, troverà gli elogi agli Hezbollah e ad altre tendenze pro-islamiche.
La visione della Santa Sede è fondamentalmente favorevole all'Islam, nonostante quanto avvenga in Siria, in Libano e in Iraq con serio pericolo per i cristiani. Tutte le volte che nel recente passato è stata sollevata la questione della Striscia di Gaza, come avvenne tre anni fa, il pontefice ha sempre mantenuto una posizione nettamente anti-israeliana.
Su questioni non politiche il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha giustamente messo in rilievo la pericolosa tendenza alla cristianizzazione della Shoah.
Su questi argomenti non c'è dialogo e quindi le posizioni rimangono divergenti. Naturalmente il pontefice potrebbe cambiare le usanze aprendo una conversazione vera e franca con lo Stato di Israele. C'è poi la questione del "Cenacolo" che è un locale wakf, ossia appartiene agli edifici religiosi islamici e a quanto sembra, Israele ha già concesso al Vaticano. Azione certamente problematica in questi frangenti di trattative tra Israele e i palestinesi.

(moked, 6 gennaio 2014)


"Sì, verrò in pellegrinaggio in Terra Santa". Questo significa che il Papa non si considera invitato dallo Stato d’Israele, e quindi suo ospite, ma visitatore pastorale ("pellegrino", dice per confermare lo stile popolare che ha scelto) di quella terra di cui si considera l’autentico amministratore autorizzato dall’Alto. Il Vaticano tratta con Israele, come con tutti gli altri stati, per assicurarsi per quanto possibile una presenza a lui vantaggiosa, ma con nessuno dei governanti di questi stati il Papa tratta “da pari a pari”, tanto meno con chi oggi governa (illegittimamente, secondo il Vaticano e secondo l'islam) uno "stato ebraico" nella "Terra Santa". A chi deve appartenere infatti una "Terra Santa" se non a uno che si fa chiamare "Sua Santità"? M.C.


L'auto volante israeliana

di Yori Yanover


Mi aspettavo di averne una già nell'anno 2000, ma meglio tardi che mai. Un'auto volante è già in fase di avanzato sviluppo nella israeliana Urban Aeronautics, che prevede diventi parte della vita quotidiana entro il prossimo quarto di secolo. Secondo Israel Muse, gli elementi fondamentali nella progettazione di questa macchina volante sono le ventole intubate che forniscono al veicolo la forza di sollevamento, e le palette, quelle sottili superfici piane montate lungo un asse che determinano la direzione dell'aria che esce dalle ventole. Delle lame sono installate all'interno dei condotti circolari. Benvenuti nella nuova era.

(The Jewish Press, 6 gennaio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Nessun divieto d'ingresso in Israele per Geri Müller

L'ambasciata israeliana in Svizzera ha rettificato le informazioni pubblicate la scorsa settimana dal quotidiano Haaretz

BERNA - Se è vero che l'organizzazione belga Council for European Palestinian Relations (CEPR) è stata dichiarata illegale dal governo di Tel Aviv, è invece falso che al consigliere nazionale Geri Müller (Verdi/AG), che si impegna nell'associazione, sia stato imposto un divieto d'ingresso nello Stato ebraico. L'ambasciata di Israele in Svizzera ha tenuto a rettificare le informazioni pubblicate la scorsa settimana dal quotidiano Haaretz e riprese da vari media elvetici.
Lo scorso 12 dicembre il ministro israeliano della difesa Moshe Yaalon ha ufficialmente dichiarato quattro organizzazioni con sede in paesi europei, tra cui il CEPR, illegali a causa della loro affiliazione all'organizzazione palestinese Hamas, ha indicato oggi all'ats Tzach Sarid, numero due della missione israeliana a Berna. Hamas, organizzazione di carattere politico, giudicata terrorista in particolare da Unione europea e Stati Uniti, controlla la Striscia di Gaza.
Dal canto suo il CEPR, organizzazione belga con sede a Londra, ha lo scopo di migliorare il dialogo tra Europa e mondo arabo, in particolare organizzando viaggi per parlamentari europei nei Territori palestinesi. Stando al suo sito, l'obiettivo è di "ristabilire i diritti palestinesi in accordo con la legislazione internazionale, nell'ambito di una risoluzione giusta del conflitto israelo-palestinese".
Müller è stato invitato in due occasioni dal CEPR a recarsi in Medio Oriente. "Il mio primo viaggio risale a tre anni fa a Gaza", ha detto all'ats il deputato ecologista, che un anno dopo è stato a Ramallah (Cisgiordania) e ad Amman (Giordania).
Secondo l'informazione di Haaretz, l'illegalità del CEPR comporta il divieto d'ingresso su territorio israeliano per tutti i suoi membri, compresi Müller e tre altri parlamentari europei.
"A Geri Müller non è vietato entrare in territorio israeliano né in Cisgiordania", ha invece affermato Sarid, precisando che lo stesso vale per gli altri tre europei. La decisione del governo israeliano si applica alle quattro organizzazioni e a dodici palestinesi membri di Hamas e contemporaneamente affiliati alle quattro organizzazioni, ha spiegato.
Stando a Müller, il CEPR non conta alcun membro di Hamas tra i suoi aderenti. "Non è perché si dialoga con Hamas che si è affiliati ad Hamas", ha commentato il consigliere nazionale, aggiungendo che "è molto importante comunicare con gli estremisti se si vuol sbloccare la situazione".

(TicinOnline.ch, 6 gennaio 2014)


Video
Una splendida rovesciata made in Israel!

Se c'è chi sostiene che i gol più belli vengono realizzati in Europa o al massimo in Sud America, allora questo qualcuno dovrà ricredersi guardando questo video. Siamo al 70o della sfida tra il Maccabi Tel Aviv e il Maccabi Haifa sul punteggio di 2-1 in favore dei padroni di casa. Il risultato è ancora in bilico, ma a mettere le cose a posto ci pensa Barak Itzhaki. Il suo nome non vi dirà molto, ma da oggi forse vi ricorderete di lui. Il numero 10 del Maccabi Tel Aviv va infatti a segno con una strabiliante rovesciata che sa di capolavoro.

(Calciomercatonews, 6 gennaio 2014)


Dieudonné ricorre contro il divieto dei suoi spettacoli

ROMA - Il comico francese Dieudonné ricorrera' alla giustizia amministrativa contro la decisione di proibire i suoi spettacoli, accusati di antisemitismo. Lo ha reso noto l'avvocato dell'umorista, Jacques Verdier, dopo la circolare con la quale il ministro degli Interni Manuel Valls ha segnalato ai prefetti i possibili mezzi legali attraverso i quali mettere al bando gli show di Dieudonné.

(ASCA, 6 gennaio 2014)


Hamas: i membri di Fatah possono ritornare a Gaza

ROMA - Hamas tende la mano alla fazione palestinese rivale di Fatah per promuovere la riconciliazione. ''Il governo di Hamas consentira' a tutti i membri di Fatah che provengono da Gaza e hanno lasciato la Striscia di fare ritorno, senza alcuna precondizione'', eccetto per coloro che sono accusati di aver ucciso alcuni militanti della fazione attualmente al potere a Gaza. Lo ha annunciato il primo ministro di Hamas, Ismail Haniya.

(ASCA, 6 gennaio 2014)


Io, il cercatore di siciliani che non sanno di essere ebrei

di Laura Anello

  
Stefano Di Mauro
«Dentro di me ho sempre saputo di essere ebreo. L'ho saputo prima che mia madre me lo confessasse sul letto di morte, prima che mi spiegasse perché ogni venerdì sera accendeva le candele rituali». Stefano Di Mauro, 69 anni, rabbino sefardita ortodosso col nome di Yitzhak Ben Avraham, è un archeologo della memoria tornato a Siracusa dopo una vita negli Stati Uniti. Non cerca tombe e reperti, ma il suo popolo cacciato 522 anni fa.
   Era il 31 marzo del 1492, pochi mesi prima della scoperta dell'America, quando i re spagnoli Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia promulgarono l'editto che dava tre mesi agli ebrei per lasciare il Regno, Sicilia compresa. Qui la comunità era una delle più grandi della Penisola: cinquemila anime, un quarto della popolazione cittadina. Migliaia di cognomi scomparvero con le conversioni forzate (gli ebrei diventarono marranos), migliaia di bambini furono affidati ai conventi per salvarli, migliaia di famiglie dovettero scegliere la sommersione. Di Mauro cerca «tutti quei fratelli che camminano su queste strade senza sapere nulla delle loro origini, o che lo sanno ma hanno paura di svelarsi. Perché, anche se è passato più di mezzo secolo, c'è ancora paura. La memoria dei roghi e delle persecuzioni non si dimentica».
   Così nel 2007 è tornato qui, nella città dov'è nato, con la giovane moglie americana Meira e i loro tre figli. Qui ha fondato una comunità di ebrei ortodossi, una sinagoga, un centro di studi, una scuola rabbinica dove studiano tre giovani siciliani: un archeologo, un commercialista, un avvocato. Ha celebrato una ventina di conversioni e tre matrimoni ebraici. «Sono un cardiologo, laureato a Catania. Per anni ho lavorato in Piemonte, primario all'ospedale di Oleggio. Poi sono andato in Florida, e lì sono diventato rabbino dopo gli studi compiuti sotto la guida di un maestro supervisore del Collegio sefardita di Gerusalemme e la convalida dell'ordinazione da parte della diaspora Yeshiva di Gerusalemme». Dal 1492 è il primo maestro di legge ebraica dell'Isola. Lo vedi, nel piccolo tempio nel quartiere di Tiche che ha comprato con i suoi risparmi, e capisci che la lotta è durissima, perché le regole della comunità (igieniche, sanitarie, alimentari) sembrano lontane anni luce dal mondo appena fuori. E lui lo sa: «Difficile dire oggi all'uomo contemporaneo di rinunciare a qualsiasi cibo di origine animale che non provenga da animali puri, di non accendere alcun tipo di fuochi durante lo Shabbat, il venerdì e il sabato».
   Capisci quant'è difficile quando lo accompagni a piedi alla sinagoga perché anche la scintilla di accensione dell'auto è vietata, o quando qualcuno esce ad aprire a mano il cancello, perché non si può usare il telecomando. «Se la missione è difficile va combattuta ugualmente», spiega accanto ai due allievi più fedeli: Sergio Palazzolo, postino in pensione, e Gabriele Spagna, giovane studente in archeologia. L'uno ti racconta della paura che sente in giro: «Zitto, ti dicono, non voglio sapere se sono ebreo». L'altro ti parla dei pregiudizi: «Siamo visti ancora con sospetto. I giovani ti fanno le battute sugli ebrei avari, i vecchi ti dicono: ma se non credo a Gesù poi come vado in Paradiso?».
   Una comunità che si è assottigliata da quando il rabbino Di Mauro ha consumato la rottura con l'Ucei, l'Unione delle comunità ebraiche italiane. Le prove di dialogo si sono infrante e ora gli ebrei "istituzionali" hanno aperto un altro centro di studi e di preghiera che opera in diretto collegamento con la comunità di Napoli guidata da Scialom Bahbout. Il rabbino Di Mauro, non l'ha presa bene: «Mai mi sarei aspettato una guerra da parte dei miei». Paradosso: la città dove per oltre 500 anni non si è respirato un refolo di ebraismo ora ha due sinagoghe, come prima della cacciata. E si preparano a celebrare tra una settimana, mercoledì 15 e giovedì 16 gennaio, il Purim di Siracusa, l'antica festa di ringraziamento smarrita per secoli.

(La Stampa, 6 gennaio 2014)


Egitto - Hamas e Fratelli musulmani volevano attaccare le chiese cristiane a Natale

Secondo quanto riporta un quotidiano egiziano, Al-Waran, le forze dell'ordine egiziane hanno sventato un piano che prevedeva attacchi suicidi a chiese cristiane nel giorno di Natale. A organizzare le tentate stragi Hamas e i Fratelli musulmani, uniti per la prima volta per attaccare i cristiani egiziani. Le chiese da colpire sarebbero state quelle che si trovano nella penisola del Sinai, regione che confina con il territorio palestinese di Gaza. Secondo quanto riportato dal giornale, le due organizzazioni avrebbero preparato tonnellate di esplosivo da mettere all'interno di automobili: il piano era di gettarsi con le macchine imbottite di esplosivo all'interno delle chiese per fare strage dei fedeli cristiani che vi si trovavano per la messa di Natale. Sempre secondo altre fonti, le autorità egiziane avrebbero intercettato le conversazioni nelle quali si mettevano a punto i dettagli del piano in cui si discuteva di trasferire l'esplosivo da Gaza al Sinai attraverso tunnel sotterranei, riuscendo così a evitare che il folle piano venisse messo in atto.

(ilsussidiario.net, 6 gennaio 2014)


Oltremare - Il nero
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Nero è il caffè. In Israele però, se si ordina un caffè nero ("shachor bevakasha"), ci si vede servire un "boz" (traducibile come fango), ossia quello che noi chiamiamo caffè turco, a tutti gli effetti fangoso o mucillagginoso per chi non aspetta i due minuti d'obbligo perchè si depositi e diventi bevibile ma freddino.
Superato il primo errore e imparato che si deve ordinare semplicemente un "espresso", parola italiana universale come pizza e mafia, possono succedere due cose: il caffè è buono, oppure il caffè è cattivo. Non mi si venga a raccontare che c'è una via di mezzo, il caffè così-così, perchè io condivido la città natale con Lavazza e Vergnano e non ci casco. Caffè buoni in Israele ce ne sono, eccome, spesso ben nascosti, altre volte sotto il nome di grosse catene. Ma un espresso qui costa da 8 a 12 Shekel (da uno e mezzo a oltre due Euro).
Di recente a Tel Aviv, dopo il tentativo imborghesito di rivoluzione dolce dell'estate 2011, con le sue tende canadesi ordinate ed estetiche allineate su Sderot Rothschild, la rivoluzione serpeggia adesso nei bar; ha il design retrò di vagoni ristorante incastonati nelle strade principali della città, e smercia caffè e una decina di altri prodotti a prezzo dimezzato rispetto ai concorrenti: tutto a 5 Shekel.
Gli ideatori di Coffix, caffè a prezzo fisso, sostengono di avere fatto i conti, e di aver scoperto che vendere un numero definito di prodotti a soli 5 Shekel, guadagnandoci il tanto per trarne profitto, è possibile; detto fatto, i loro mini negozi, con una sola vetrina e un solo rettangolo di pochi metri quadri per ordinare e ritirare subito le ordinazioni, aprono a ripetizione da quest'autunno.
Salvo il mero dettaglio che il loro caffè non è di quelli buoni, il risultato è che alcune catene di bar stanno abbassando i prezzi. E siccome per me il caffè buono è un diritto umano fondamentale, magari continuerò a bere il caffè della concorrenza, ma finalmente spenderò di meno.

(moked, 6 gennaio 2014)


Mostra Sport, Sportivi e Giochi Olimpici nell'Europa in Guerra (1936-1948)

La "Mostra Sport, Sportivi e Giochi Olimpici nell'Europa in Guerra (1936-1948)" a cura del Mémorial de la Shoah di Parigi, viene ospitata a Padova nell'ambito delle celebrazioni dei 70 anni dell'armistizio del 1943 ed è organizzata da Cristiani per Israele-Italia, in collaborazione con la Provincia di Padova e CUS Padova.

Cristiani per Israele-Italia è un'associazione culturale, senza scopo di lucro che fa parte di un movimento internazionale che opera in quasi tutti i paesi europei e molti paesi extraeuropei dal 1979, con l'obbiettivo di portare la conoscenza della storia e di combattere l'antisemitismo in tutte le sue forme e il razzismo. La sua direzione nazionale, molto attenta a ogni forma di antisemitismo in Italia, ha deciso di fare conoscere, con questa mostra, una pagina di storia del nazismo e del fascismo poco conosciuta, ovvero come gli ambienti sportivi sotto la Germania di Hitler e sotto l'Italia di Mussolini non furono indenni da una politica di esclusione all'insegna del razzismo e dell'antisemitismo, tanto che numerosi campioni sportivi di livello internazionale ed olimpico subirono misure di persecuzione e di deportazione.

La mostra attraverso un'iconografia curata e un linguaggio capace di combinare il rigore storico con l'intento comunicativo, si rivolge a un pubblico ampio e diversificato al tema dello sport inteso come lente focale per rileggere e interpretare la storia dell'ascesa del nazismo in Europa e della seconda guerra mondiale, e dare ai visitatori la possibilità di conoscere ciò che accadde negli anni della dittatura nazifascista.
Durante tutto il periodo vengono organizzati programmi di studio e di incontri formativi per le scuole di tutta la regione Veneto per ogni ordine e grado, seminari per gli insegnanti, visite guidate, proiezione di filmati, incontri con testimoni (secondo il calendario riportato e allegato). Il primo incontro sarà l'8 gennaio con una lezione su Bartali (Bartali, passaporto per molti).

La mostra ha ricevuto il patrocinio di molti enti e istituzioni nazionali
Resterà aperta fino al 28 Gennaio 2014 con i seguenti orari:
10.00-17.00 (lunedì-venerdì) / 10.00-13.00 (sabato).
Ingresso libero e gratuito
Programma
Invito
Per informazioni

(Cristiani per Israele-Italia, 6 gennaio 2014)


Ragazzi palestinesi scrivono all'Onu: "Vogliamo il nostro pallone"

di Sandra Alvarez

  
Un gruppo di ragazzi palestinesi hanno inviato una lettera al Segretario Generale delle Nazione Unite, Ban Ki-Moon, per recuperare un pallone da calcio che avevano perso in territorio palestinese, nella zona controllata da Israele. Senza volerlo, questi giovani hanno incrementato notevolmente le già accese polemiche sulla barriera di sicurezza che il governo di Israele vuole costruire per dividere i territori della Cisgiordania.

I FATTI - I ragazzi stavano giocando a calcio nel distretto di Tulkarem, nella località di Kafer Sur in Cisgiordania, quando il giovane Amir tirò il pallone con tanta forza da farlo oltrepassare una cancellata di sicurezza che delimitava una zona controllata dall'esercito israeliano. L'area è una parte delle terre confiscata dalle autorità israeliane per costruire il contestatissimo valico di separazione della Cisgiordania, iniziato nel 2002, e soltanto i soldati hanno accesso a essa.

LA BARRIERA DELLA CISGIORDANIA - Il valico israeliano della Cisgiordania è un progetto circondato da molte polemiche. Ancora in costruzione, il risultato finale sarà l'isolamento del circa dieci percento della Cisgiordania, che già si trova sotto controllo israeliano, per sviluppare nuovi insediamenti in territorio palestinese. Le critiche sono arrivate da molte organizzazioni per i diritti umani e, perfino, dalle Nazioni Unite, che ancora una volta dovranno scendere in campo al fine di risolvere le infinite controversie che sta generando la barriera.

ASPETTANDO UNA RISPOSTA - Non avendo la possibilità di accedere alla zona riservata, i ragazzini hanno deciso di scrivere una lettera direttamente all'Onu per tentare di recuperare il proprio pallone. I loro argomenti sono innocenti ma forti. Dichiarano che Israele ha violato i loro diritti per non avergli restituito il pallone né permettere a loro stessi di "salvarlo". Inoltre, considerano come un diritto di tutti i bambini quello di giocare a calcio nella propria terra senza nessun assurdo divieto o restrizione alcuna. Per questa serie di ragioni, il gruppo di ragazzi aspetta una soluzione rapida per riavere indietro il proprio pallone e ci auguriamo che la risposta sia all'altezza dell'organo che la emette.

(Wake Up News, 6 gennaio 2014)


Dopo gli anglicani della chiesa di San Giacomo a Londra, adesso abbiamo anche i ragazzini palestinesi di Kafer Sur che denunciano il “contestatissimo valico di separazione”. Non abbiamo dubbi che la risposta dell”Onu sarà “all'altezza dell'organo che la emette”. Ma nel frattempo, non si potrebbe trovare una soluzione a medio termine? Forse qualcuno potrebbe chiedere a Kerry di imporre a Netanyahu di trovare da qualche parte un pallone da restituire a quei ragazzini. Potrebbe essere un altro “gesto di buona volontà”, come ne sono già stati chiesti tanti altri nel passato. M.C.


Masterchef e la barriera difensiva israeliana

Una bella storia ci giunge ancora una volta da Israele. In tutto il mondo spopola il cooking show MasterChef: giunto in Italia alla terza, trionfale edizione. Storie umane si intrecciano a spadellamenti, mantecature, tagli alla julienne e cotture molecolari. Le latitudini propongono vicende personali di diversa intensità e colorazione: così, mentre in Italia una significativa porzione di partecipanti è accompagnata dal titolo di "disoccupato" (con l'edizione precedente che fece scalpore e suscitò addirittura indignazione perché la vincitrice è titolare di un avviatissimo studio legale); in Israele il vissuto si tinge di rosso: quello del sangue....

(Il Borghesino, 6 gennaio 2014)


Inter e Ghetton per la pace in Medio Oriente

di Rossella Tercatin

Un calcio alla diffidenza, un calcio alla povertà, un calcio alla palla su sabbia, erba, ghiaia. Tutti uguali nelle fiammanti divise originali nerazzurre e nel sorriso raggiante, in una favola a lieto fine, che in realtà è soltanto all'inizio. Inter Campus, il progetto di responsabilità sociale di FC Internazionale che lavora per l'infanzia disagiata in oltre venti paesi nel mondo, è presente in Israele e Territori palestinesi dal 1999. Ma oggi ha trovato una marcia in più, grazie a un partner che di pallone, giovani e amicizia se ne intende: si tratta di Ghetton, nata a Milano nel 2002 come organizzazione di tornei di calcio a cinque nella Comunità ebraica e poi sbarcata a Tel Aviv insieme al suo fondatore Yasha Maknouz. "Io sono qui dal 2006 - spiega Yasha - e sempre più spesso negli ultimi anni mi capitava di sentire amici milanesi trasferiti qui che parlavano delle partite di Ghetton come di ciò di cui sentivano più la mancanza dell'Italia. Così mi sono detto che si poteva rimediare".
   E in Israele, paese così ricco di differenti nazionalità, Ghetton supera se stessa. Nel 2011, 18 formazioni in rappresentanza di altrettanti Stati disputano il Mundial: a vincere, battendo in finale l'agguerrita Argentina, è la squadra nigeriana, formata da giovani in Israele grazie a un visto come lavoratori temporanei. Così Ghetton diventa non soltanto un'occasione per stare insieme fra amici, ma un incredibile laboratorio di integrazione. "Quest'anno abbiamo organizzato pure i mondiali under 16 - racconta ancora il suo fondatore - Hanno partecipato anche squadre di ragazzi provenienti dai quartieri a sud di Tel Aviv, dove vivono le comunità più emarginate. C'erano il Sudan, l'Uzbekistan, la Turchia… Abbiamo lavorato insieme alle scuole dell'area per coinvolgerli ed è stato un grande successo".
   La collaborazione tra Ghetton e Inter Campus nasce dalla passione e dalla perseveranza di Yasha, nerazzurro dalla nascita, come racconta anche Massimo Seregni, responsabile del progetto per l'area Africa e Medio Oriente. "Purtroppo - spiega - la seconda Intifada e le tensioni politiche avevano intralciato la nostra attività e ci trovavamo in una situazione di impasse. Fino a che non ho ceduto ai tentativi di Yasha per organizzare un incontro. Ci siamo trovati immediatamente sulla stessa lunghezza d'onda: progetti piccoli ma concreti e flessibili, che partano dal basso senza coinvolgere la politica. E così dopo una visita alle finali di Ghetton lo scorso giugno a Milano insieme al nostro portierone Francesco Toldo e un po' di lavoro in Israele, siamo stati pronti".
   Nelle scorse settimane il programma è stato lanciato: quattro centri di allenamento in diverse aree del paese (il quartiere a sud di Tel Aviv, il kibbutz Shefayim, una città arabo-israeliana, Jaljulia, una palestinese Djayous), una o più sessioni settimanali nelle varie località e incontri periodici fra tutti i bambini, palestinesi, israeliani, arabi, residenti temporanei, ovviamente mescolandoli nel gioco. Ad allenarli ragazzi delle rispettive comunità, individuati da Ghetton e formati dallo staff dell'Inter.
   "Così si rompono le barriere e i bambini si ritrovano insieme sul campo - sottolinea Yasha - sempre lavorando su due aspetti, da un lato l'incontro tra diversi e dall'altro il supporto a situazioni di povertà e disagio sociale". Tanti i progetti in cantiere per il futuro, compreso quello di portare una squadra di piccoli presto a Milano. "Speriamo di trovare i fondi: l'Inter offre le divise e le spese di trasferta dello staff per verificare come procedono le cose, per il resto cerchiamo sovvenzioni e sponsor". "Abbiamo scoperto che il calcio e un marchio come quello nerazzurro aiutano davvero a superare frontiere impensabili - conclude Seregni - Siamo presenti in Iran, a Cuba, in Libano. È incredibile come, partendo dal pallone, si riesca a lavorare per l'istruzione e la pace".
   E chissà che in futuro l'attività di Inter Campus, che è stata anche premiata dalle Nazioni Unite, non possa ulteriormente intensificarsi. Nel cedere il 70 per cento della società all'imprenditore indonesiano Erik Thohir, la famiglia Moratti ha tenuto Inter Campus per sé. A ricordare come il sorriso di questi piccoli tifosi speciali rappresenta più di ogni cosa il cuore della pazza compagine nerazzurra.

(Pagine Ebraiche, gennaio 2014)


L'implosione del Medio Oriente

di Bernard Guetta

Bernard Guetta è un giornalista francese esperto di politica internazionale. Ha una rubrica quotidiana su Radio France Inter e collabora con Libération.
È una catastrofe annunciata. Giorno dopo giorno il conflitto siriano si allarga a due paesi vicini - l'Iraq a est e il Libano a ovest - in quella che è ormai diventata una guerra di religione tra le due correnti dell'islam e di conseguenza tra le due principali potenze musulmane della regione, l'Iran sciita e l'Arabia Saudita sunnita.
In Libano - paese fragile, mosaico dove si incrociano cristiani, sciiti e sunniti - giovedì scorso un attentato ha provocato cinque morti e numerosi feriti nella zona meridionale di Beirut, feudo di Hezbollah, il potente movimento politico-militare sciita armato e finanziato dall'Iran fin dalla sua nascita all'inizio degli anni ottanta. Meno di una settimana prima Mohamed Shattah, figura di spicco del movimento sunnita libanese appoggiato dall'Arabia Saudita, era stato assassinato mentre si trovava a bordo della sua auto. A sua volta l'omicidio di Shattah era stato preceduto dallo spettacolare attentato contro l'ambasciata iraniana a Beirut.
In Libano lo scontro violentissimo tra sunniti e sciiti sembra precipitato in una spirale inarrestabile, anche perché la monarchia saudita ha deciso di concedere 3 miliardi di dollari all'esercito libanese per rispondere alla sfida di Hezbollah acquistando le armi messe a disposizione dalla Francia (alleato storico di Beirut) per evitare che il paese finisca nell'orbita iraniana.
È evidente che lo scontro tra sciiti e sunniti libanesi è stato infiammato dal conflitto in Siria, dove si fronteggiano un regime proveniente dalla minoranza sciita del paese (gli alawiti) e un'insurrezione a maggioranza sunnita. Un'evoluzione simile è in corso anche in Iraq, dove la minoranza sunnita si è ribellata alla maggioranza sciita salita al potere dopo la caduta di Saddam Hussein. Nei giorni scorsi, a ovest di Bagdad, un gruppo sunnita legato ad al-Qaeda si è impadronito della città di Falluja e di interi quartieri della città di Ramadi, bombardata da domenica dall'esercito iracheno.
A peggiorare la crisi c'è il fatto che l'Iran sciita ha pubblicamente offerto al governo iracheno un appoggio strategico, lo stesso che garantisce al regime siriano (che può contare anche sulle truppe fornite da Hezbollah su ordine di Teheran). In Siria, Libano e Iraq gli sciiti e i sunniti si affrontano insomma a viso aperto, appoggiati rispettivamente da Iran e Arabia Saudita.
Questa guerra di religione tra le due correnti dell'islam deriva dal fatto che l'Iran non intende perdere due alleati fondamentali come Hezbollah e il regime siriano, mentre l'Arabia saudita vuole impedire a Teheran di consolidare la sua posizione regionale conquistando il Libano e la Siria proprio mentre prosegue il suo percorso di riavvicinamento con gli Stati Uniti.
Ormai è chiaro, stiamo assistendo a una guerra tra due grandi potenze decise ad assumere il controllo del Medio Oriente dopo l'uscita di scena di Washington.

(Internazionale, 6 gennaio 2014 - trad. Andrea Sparacino)


Parigi vuol vietare lo show del comico antisemita

Dieudonné, popolare tra gli immigrati islamici, ha fatto perdere la pazienza al ministro dell'Interno Valls.

Tutti, o quasi, contro Dieudonné, diventato ormai il nemico pubblico numero uno in Francia. Il comico che farcisce di battute antisemite i suoi show, fomentando platee anti-sistema limitate ma agguerrite, è circondato dalla riprovazione generale.
Ma il suo caso è la bomba a orologeria di questo inizio d'anno in Francia.
A far esplodere la questione del controverso comico, da anni nel mirino della associazioni antirazziste per il suo antisemitismo dichiarato, è stata l'esplosione «virale» della quenelle, una specie di saluto nazista alla rovescia con il quale condisce i suoi spettacoli. Un segnale di intesa, che strizza l'occhio all'antisemitismo della sua platea, ma che prima il giocatore francese Nicolas Anelka, poi altri suoi colleghi connazionali, hanno avuto l'idea di rendere popolare festeggiando proprio con la quenelle i propri gol. Il presidente François Hollande ha lasciato chiaramente intendere di essere al fianco di tutte le iniziative del suo governo che ostacoleranno gli show di Dieudonné, la cui prima esibizione del nuovo tour è prevista mercoledì prossimo a Nantes, nell'ovest del Paese. Sabato al coro dei politici - con l'eccezione del Fronte nazionale di Marine Le Pen e pochi altri singoli - si è aggiunta la famiglia Klarsfeld, in particolare i due più famosi «cacciatori di nazisti», Serge e Beate, seguiti dal figlio avvocato Arno, che hanno lanciato un appello a manifestare proprio mercoledì a Nantes contro lo spettacolo di Dieudonné.
Ci saranno anche loro, con il figlio, a testimoniare la vicinanza e il sostegno alla battaglia del governo socialista e in particolare di Valls. Il quale ha ribadito oggi di voler essere «efficace» fin dall'inizio degli show: al primo accenno antisemita o razzista, gli spettacoli saranno interrotti. Christiane Taubira, ministra della Giustizia tutt'altro che vicina a Valls, è sulla stessa linea del responsabile dell'Interno: Dieudonné, ha sottolineato, deve 65mila euro allo Stato di ammende non pagate per le sue intemperanze.
L'atteggiamento di quel «penoso buffone» - come l'ha definito la guardasigilli - è condannato dalla legge come «organizzazione fraudolenta di insolvenza».
Ieri ha rincarato la dose un altro socialista di primo piano, il sindaco di Parigi Bertrand Delanoè: ha lanciato un appello al divieto dello spettacolo, sottolineando che lo Stato «non deve cedere di fronte ai criminali». Dal suo quartier generale parigino del teatro della Main d'Or, Dieudonné si fa beffe di Valls («non ha altro di meglio di cui occuparsi», avrebbe detto) ed ha presentato una denuncia per minacce. Per la prima serata del suo show, sono stati già venduti 5.000 posti sui 6.000 disponibili.

(il Giornale, 6 gennaio 2014)


L'insediamento ebraico di Neve' Atib dichiarato "zona militare chiusa"

L'esercito israeliano ha proclamato "zona militare chiusa" l'insediamento ebraico di Neve' Atib, sulle alture del Golan, dove sospetta si aggiri un infiltrato giunto dal vicino territorio siriano. Gli abitanti - riferisce la tv Canale 10 - hanno avuto ordine di restare nelle proprie abitazioni. Le perlustrazioni proseguono, con l'aiuto di elicotteri. L'allarme è scattato quando i militari hanno scoperto lungo i reticolati di confine orme sospette.

(TGCOM24, 5 gennaio 2014)


Dieudonné e l'antisemitismo che dilaga nei periodi di crisi

di Monica Ricci Sargentini

 
Claudio Vercelli
Dal comico Dieudonné al professore di Storia dell'arte recentemente assolto a Roma, le tesi negazioniste sembrano tornare in auge proprio nell'Europa che ha vissuto il dramma dello sterminio degli ebrei. Perché? Lo abbiamo chiesto a Claudio Vercelli, storico e autore, tra l'altro, de "Il negazionismo, storia di una menzogna". "In questi casi — spiega al Corriere — il negazionismo è una forma di antisemitismo ingentilito, è un modo di dire cose che altrimenti risulterebbero inaccettabili all'opinione pubblica".

- Ma perché questo successo? I video di Dieudonné sono stati visti da milioni di persone su YouTube.
  Perché l'antisemitismo, in tutte le sue forme, è un risentimento comune e diffuso che nei momenti di crisi sociale, economica e culturale riprende vigore. Dire a chi è spiazzato dalla mancanza di lavoro che c'è un unico elemento responsabile, che oltretutto ha già generato problemi in passato, è rassicurante perché ciò significa che tutto può andare a posto. Dieudonné è un imprenditore politico del razzismo ed è significativo che raccolga consensi sia nella destra che nella sinistra radicale.

- L'antisemitismo alberga anche nella sinistra?
  L'antisemitismo storicamente è stato coltivato dalle destre radicali, da quella fascista e nazista, ma c'è un atteggiamento antisionista, avverso a Israele a priori, che alcuni segmenti delle sinistre europee coltivano e hanno recuperato.

- Aumenta il numero degli ebrei che lasciano l'Europa per Israele, un brutto segno per il Vecchio continente.
  Di certo un fattore non secondario è l'immigrazione musulmana in Europa, ritroviamo atteggiamenti antiebraici proprio in alcuni segmenti che si rifanno in vari modi alla cultura musulmana. È un problema complesso e le facili equazioni non funzionano, però è vero che c'è un atteggiamento da parte di alcuni migranti che non coincide con il comune sentire europeo. La Francia ne è il caso emblematico: Dieudonné è soltanto la punta dell'iceberg.

(Corriere della Sera - I Blog, 5 gennaio 2014)


Il Kibbutz va in città

di Lorenzo Cremonesi

Un edificio del kibbutz Mishol
A prima vista il massiccio palazzaccio in cemento scrostato tutto sembra tranne che un kibbutz. Si trova su di una collina alberata nella parte nuova di Nazareth: la Illit a maggioranza ebraica, voluta negli anni Cinquanta dai leader del nuovo Stato per controbilanciare la vecchia area urbana cristiana e musulmana, la città araba più popolosa di Israele. Ricorda una vecchia scuola in crisi, magari un ricovero per anziani con pochi mezzi, oppure un nucleo di appartamenti di periferia edificati in stile sovietico. Sino a cinque anni fa era utilizzato come centro di accoglienza per i nuovi immigrati ebrei: qualche falascià dell'Etiopia e soprattutto russi. Ci restavano per un poco, giusto il tempo di studiare qualche nozione di ebraico e capire dove andare a vivere in modo permanente. Ma dal settembre scorso all'entrata è ben visibile un cartello blu. C'è scritto Kibbutz Mishol , che significa sentiero, passaggio.
  Attira l'attenzione per il fatto che contrasta con qualsiasi nozione del kibbutz così come lo conosciamo e come i suoi fautori lo hanno in gran parte narrato sin dalle prime comunità agricole sioniste agli inizi del Novecento. Nulla a che vedere con le tradizionali casette sparse nel verde, mancano i giardini fioriti, le stalle, i silos, i capannoni, le fabbriche delle cooperative. Non c'è la consueta piscina, che pure da almeno mezzo secolo marca il successo economico e la qualità della vita per i «figli del sogno». Sono assenti gli edifici centrali dell'amministrazione, le strutture separate per i bambini, la mensa comune. Al posto del lavoro collettivo nei campi, ogni mattina in maggioranza gli haverim (compagni) si recano a lavorare come maestri, psicologi, educatori nelle strutture sociali della bassa Galilea. «Siamo parte di una rivoluzione silenziosa che sta cambiando la struttura tradizionale delle comuni israeliane, ma è anche parte integrante della sua storia più antica», sostiene James Grant-Rosenhead, 39 anni, immigrato dall'Inghilterra alla fine degli anni Novanta con l'intenzione molto chiara sin dall'inizio di fondare quello che lui definisce «il più grande kibbutz urbano d'Israele».
  Da leader entusiasta dell'idea socialista non coercitiva, favorevole a una vita collettivista che tuttavia assicuri la libertà individuale, James sa bene che in questo periodo di crisi economica nel mondo occidentale il suo esperimento sociale attira forti attenzioni. «Noi seguiamo da vicino il fenomeno del cosiddetto cohousing negli Stati Uniti e soprattutto nel nord Europa. Gruppi di cittadini scelgono liberamente di condividere larga parte della loro esistenza e dei loro redditi. Rinunciano a una fetta del privato per stare assieme e sentirsi più sicuri, più garantiti, meno soli. Il nostro kibbutz urbano ha molti aspetti in comune con loro», osserva. Ma la tradizione israeliana ha peculiarità scaturite da una lunga storia. Mishol ne è una sintesi possibile. Lo abitano oggi un'ottantina di adulti (in maggioranza meno che trentenni) e quaranta bambini. Si dividono i 110 appartamenti (6 mila metri quadrati complessivi) dell'ex centro di accoglienza. Le abitazioni più piccole, circa 25 metri quadrati, vanno ai single. Le grandi arrivano a 78 metri quadri e sono destinate alle famiglie con più figli. Tutte sono servite di bagno e cucinino. Alcuni appartamenti sono stati trasformati in locali comuni.
  L'ethos prevalente è quello dei padri fondatori. «Tutte le risorse economiche sono comunitarie. Nessuno tiene per sé lo stipendio, ma lo versa automaticamente ogni mese sul conto bancario unico del kibbutz», spiega a «la Lettura» Tirza Perez, la tesoriera trentaduenne originaria di Moshav Yodfat (il moshav è una forma di fattoria collettivistica sviluppata negli anni Trenta, dove però permangono ampi ambiti di proprietà privata), che dirige la parte amministrativa da un piccolo ufficio al pianoterra. A lei il compito oneroso di far quadrare i conti. Le entrate annuali, fondate sui salari dei membri, assommano a circa un milione e 200 mila euro. Una media mensile di 1.300 euro per stipendio. «Il nostro tasso di scolarizzazione è alto. Ma quasi tutti abbiamo scelto di lavorare nel campo educativo pubblico, che tradizionalmente paga poco», dice. Le spese fisse sono tante: 230 mila euro per l'affitto dello stabile comprese acqua, luce e tasse. Oltre a 200 mila euro per la benzina e il mantenimento delle dieci automobili collettive. E 120 mila euro per l'educazione dei bambini. Alla fine, tolti gli imprevisti, ciò che il kibbutz paga mensilmente sono 200 euro a testa per gli adulti e 120 per i bambini. E in questo budget rientrano cibo, vestiti, divertimenti e piccole spese sanitarie.
  «Tutti prendono la stessa cifra, che siano ingegneri informatici o giardinieri. Certo, per la maggioranza è una forte rinuncia. Se vivessimo privatamente in una città avremmo salari molto più alti. Ma crediamo nel valore della comune. La nostra qualità della vita è impagabile», afferma Robin Zahavi Merkel, 36 anni, immigrato dal Canada nel 2000. L'organizzazione sociale interna è il frutto di un antico dibattito. «Sin dal primo kibbutz, fondato nel 1909 a Degania, sul Giordano a sud del Lago di Tiberiade, i giovani socialisti sionisti si divisero tra tolstojani (che si ispiravano al modello sociale dello scrittore russo), sostenitori di piccoli gruppi di pionieri mirati a cambiare intimamente il carattere del nuovo ebreo rinato dalla terra dei padri, e nazionalisti, convinti invece che la comune fosse il modo migliore per coltivare i campi e conquistare la nostra patria. Da allora, a fasi alterne, il nostro movimento ha sempre visto la dialettica, a tratti anche aspra, tra fautori della kvutzà , la piccola comune con 10 o 15 persone al massimo, e il grande kibbutz cooperativo, che già alla fine degli anni Venti poteva superare i mille membri», ricorda Muki Tzur, settantacinquenne ideologo e studioso residente a Kibbutz Ein Gev , sulla sponda occidentale di Tiberiade.
  Allora il «nuovo ebreo», contadino e produttore, nato sulle ceneri di quello arrivato dalla diaspora, avrebbe dovuto «conquistare» il lavoro e il suolo nazionali. Fu un successo clamoroso. I membri dei kibbutz non superarono mai il 5% degli israeliani ma per lungo tempo ne incarnarono i valori identitari. Quel ruolo, quello zelo missionario, giunsero però a esaurimento negli anni Settanta. Meno di dieci anni dopo, 270 kibbutz con quasi 150 mila membri in tutto il Paese erano in crisi profonda. Da avanguardie dell'impresa sionista ne erano diventati la retroguardia viziata, esclusivista, tagliata fuori, incapace di tenere il passo con i tempi. Fu la crisi demografica, il tracollo economico, la fine di un modello. Con i giovani in fuga verso le città e gli anziani incapaci di mantenersi da soli.
  Per conseguenza, i kibbutz scesero allora a quasi 100 mila membri, in modi e livelli diversi abbandonarono il socialismo originario, accettarono l'idea del reddito privato, chiusero le mense collettive, gli asili nido cooperativi. L'unico modo di mantenere il kibbutz fu quello di stravolgerlo, trasformarlo nel profondo. «Tanti kibbutz ora accettano che i loro membri posseggano vetture private e non paghino per la mensa comune. Molti impiegano lavoratori esterni. La crisi economica inoltre ha riportato tanti giovani a casa. In questo modo siamo risaliti a 140 mila membri», dice Tzur. Oggi i membri di Mishol vedono nel loro modello una via di rinascita significativa. Negli ultimi 10-15 anni sono fiorite circa 150 esperienze di comunità urbane organizzate in Israele. Pare raccolgano sino a 3 mila persone. Molti sono influenzati dalla crescita dei movimenti religiosi, altri da quelli dei coloni ebrei in Cisgiordania. Tutte forme ideologiche che gli haverim di Mishol però vedono con grande sospetto. «Noi siamo profondamente laici. E tanti tra noi sono contrari persino a servire con l'esercito nei Territori occupati», confida a «la Lettura» James. A suo dire, il segreto del successo del nuovo kibbutz è che sarebbe tornato a servire la collettività. «Trent'anni fa il movimento perse la spinta propulsiva perché non rispondeva più ai bisogni di Israele. Era diventato fine a se stesso, egoista, geloso dei propri privilegi. Ora non siamo contadini. Non serve più. Ma siamo maestri, assistenti sociali, stiamo nel cuore delle città dove vive la maggioranza degli israeliani. Aiutiamo i poveri, i disagiati, siamo di supporto nelle scuole per i bambini con handicap, negli ospedali».
  Ma anche a Mishol si propone l'antico dibattito tra piccolo e grande. Dice lui: «Abbiamo risolto il dilemma frazionando il kibbutz in otto gruppi (kvutzot ) mediamente composti da dieci membri ciascuno. Si sono divisi i vari piani del nostro edificio. E ogni gruppo ha in comune una lavanderia, oltre a una piccola mensa con cucina e la biblioteca. A turno i suoi membri fanno la spesa e cucinano per gli altri. Almeno due volte al mese tengono un'assemblea per decidere gli aspetti contingenti: le scelte del cibo, la richiesta di uno di loro di poter fare un viaggio, la pulizia dei locali loro affidati, i turni per le vacanze». Le auto vengono prenotate via computer con un programma elaborato specificamente dai due informatici della comune. Ma può anche avvenire che si debba attendere oltre una settimana per potervi accedere. Non è facile accettare le regole comunitarie, specie per chi viene dall'individualismo delle città. Ammettono a Mishol : «Tanti vengono, guardano, magari provano per qualche settimana, ma poi lasciano. Può sembrare bellissimo non dare importanza al denaro in comunità, dona un senso di grande leggerezza. Eppure si rivela gravoso esserne limitati dai bisogni degli altri. Resta con noi chi è educato sin da giovane alla condivisione. È un processo intimo, lungo, radicale».

(Corriere della Sera, 5 gennaio 2014)


Calcio - Gli ebrei israeliani religiosi potranno giocare con la kippah

  
Itay Schechter di Hapoel Tel Aviv
In deroga alle regole della Fifa, i calciatori ebrei religiosi potranno scendere in campo con uno zuccotto (la 'kippah') in testa. Lo riferisce il quotidiano Maariv, secondo cui sulla questione si e' innescato un aspro braccio di ferro fra l'Associazione israeliana calcio e gli sportivi religiosi, per lo piu' impegnati in squadre minori. In ossequio alle disposizioni Fifa la Associazione israeliana calcio ha vietato la settimana scorsa ai calciatori la ostentazione di un copricapo qualsiasi, ebraico o musulmano. Agli arbitri e' stato chiesto di segnalare questa forma di indisciplina e ai giocatori e' stato chiarito che rischiavano sanzioni. Ma le pressioni in senso inverso sono state tali che l'Associazione israeliana calcio e' stata presto obbligata a far retromarcia. Fra i calciatori distintisi nella protesta Maariv menziona Yair Cohen Zedek del Maccabi Jaffa e Guy Dayan (Hapoel Akko).

(la Repubblica, 5 gennaio 2014)


Israele rigetta le proposte americane per la Valle del Giordano

GERUSALEMME - Israele ha respinto le proposte americane per ristabilire la sicurezza nella zona della Valle del Giordano, dove ci sono numerosi insediamenti ebraici e dove spesso si verificano scontri con gruppi palestinesi.
Il ministro degli esteri israeliano, Youval Steinitz, ha affermato che "la sicurezza della zona resterà saldamente nelle mani israeliane e non permetteremo il dispiegamento di una forza internazionale di pace né accetteremo la presenza della polizia palestinese o di sistemi tecnologici che non sono confacenti alla situazione qui in Medio Oriente".

(L'Espresso, 5 gennaio 2014)


Fermare gli assassini di Allah

La politica del disimpegno voluta da Obama unita all'indifferenza occidentale di fronte a immani massacri perpetrati nel nome di Allah, hanno trasformato la Siria e l'Iraq in due immensi mattatoi islamici e rischiano di trasformare in un altro mattatoio anche l'Afghanistan che sta per essere lasciato al suo destino.
Girando per i forum qaedisti la mole di documenti, foto e filmati reperibili in merito ai massacri in Siria e in Iraq è impressionante e molto spesso non pubblicabile in un sito web normale. Spesso anche il linguaggio risulta incomprensibile persino a chi l'arabo lo conosce bene. Ma la frase "Allahu Akbar" (Allah è grande) è la costante di tutti questi documenti a rimarcare che quelle stragi sono compiute nel nome di Allah, cioè per motivi religiosi. Chi nega questa evidenza è solo un ipocrita....

(Right Reporters, 5 gennaio 2014)


Una scrittrice viareggina segretario politico del circolo PD di Gerusalemme

Anna Mahjar-Barducci
VIAREGGIO - È nato il circolo del Partito Democratico a Gerusalemme, l'unico in Israele e in Palestina: il segretario politico del circolo è Anna Mahjar-Barducci, giornalista e scrittrice di Viareggio.
Il circolo è stato ufficializzato dalla segreteria del Partito Democratico a Roma lo scorso novembre.
Eugenio Marino, responsabile Pd per gli italiani all'estero, ha dichiarato: "Sono particolarmente felice e orgoglioso che a questo congresso vi sia la partecipazione organica del circolo Pd di Gerusalemme, che rappresenta una importante e simbolica antenna politica nel Medio Oriente".
Il circolo ha organizzato un seggio per le primarie e ha lanciato da poco anche la pagina Facebook, dove è stata creata una rubrica sulle minoranze etniche e religiose che vivono in Israele e Palestina.

(Versiliatoday, 5 gennaio 2014)


E quando furono compiuti gli otto giorni dopo i quali doveva esser circonciso, gli fu posto il nome di Gesù, che gli era stato dato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo. Quando poi furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, com'è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà chiamato santo al Signore», e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani piccioni.
Ed ecco, v'era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest'uomo era giusto e pio, e aspettava la consolazione d'Israele; e lo Spirito Santo era su di lui; e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non avrebbe visto la morte prima d'aver visto il Cristo del Signore. Ed egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, se lo prese tra le braccia e benedisse Dio dicendo:
«Ora, o mio Signore, lascia andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; poiché gli occhi miei han visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per esser luce che illumina le genti e gloria del tuo popolo Israele».
E il padre e la madre di Gesù stupivano delle cose che dicevano di lui. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, madre di lui: «Ecco, questi è posto a caduta e rialzamento di molti in Israele, e per esser segno di contraddizione, e a te stessa una spada trafiggerà l'anima, affinché i pensieri di molti cuori siano svelati.»
V'era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser, che era molto avanzata in età. Dopo esser vissuta col marito sette anni dalla sua verginità, era rimasta vedova e avea raggiunto gli ottantaquattro anni. Ella non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni ed orazioni. Sopraggiunta in quella stessa ora, lodava anch'ella Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Vangelo di Luca, cap.2







 

Scherma: oro a Israele e Stati Uniti nella prima giornata della Coppa del Mondo

Due bronzi per l'Italia con Gabriele Cimini e Camilla Fondi. Domani giornata ricca di medaglie: quatro le gare al via al PalaIndoor di Udine

 
L'israeliano Yuval Freilich
Udine manda in archivio la prima giornata di Coppa del Mondo Under 20 di scherma con una conferma e una sorpresa. La sorpresa arriva dalla spada maschile, gara in cui l'israeliano Yuval Freilich, che non partiva con i favori del pronostico, ha dominato fin dalle poule del mattino, arrivando poi a sconfiggere in finale l'ungherese di origine asiatica Sandor Cho Taeun con il punteggio di 9-6. Al terzo posto il primo degli italiani, Gabriele Cimini, fermato in semifinale da Cho Taeun dopo aver sconfitto nei quarti uno dei favoriti, lo spagnolo Yulen Pereira. Con lui sul podio anche il francese Nelson Lopez Pourtier.
Nella sciabola femminile gli Stati Uniti hanno bissato il successo del 2013. 12 mesi fa fu Gracie Stone a salire sul gradino più alto del podio, oggi è toccato a Sage Palmedo (già trionfatrice della prima prova di Coppa del Mondo 2013/2014 a Sosnowiec in Polonia) portare a casa l'oro grazie alla vittoria in finale sulla russa Ekaterina Vorobyeva con il punteggio di 15-8. La russa aveva fermato la corsa dell'italiana Camilla Fondi in semifinale, mentre nell'altra semifinale Palmedo aveva avuto la meglio sulla francese Manon Brunet.

(ilFriuli.it, 4 gennaio 2014)


Yuval Freilich (19 anni) ha conquistato la medaglia d’oro gareggiando di sabato. Ha certamente dovuto superare qualche resistenza morale interna perché fino a qualche anno fa, essendo un religioso strettamente osservante, si rifiutava di gareggiare nel giorno sacro degli ebrei. Era intervenuta perfino la Corte Suprema per difendere il suo diritto a non violare il sabato. Alla fine però ha ceduto, e pur di non perdere la possibilità di gareggiare all’estero ha accettato, quando proprio non si poteva evitare, di gareggiare anche di sabato, ammettendo onestamente di “essere un po’ ipocrita”. Ha detto che per lui “la scherma viene prima”, ma che cercherà per quanto possibile di non gareggiare di sabato. In quest’ultima occasione, che gli ha fruttato addirittura la medaglia d’oro in una Coppa del Mondo, evidentemente non gli è stato possibile. Video [fonte: Jerusalem Post].


EasyJet: nuovi voli low cost per Tel Aviv da Milano

La compagnia di voli low cost EasyJet ha aperto le vendite per i voli dell'estate 2014 da Milano a Tel Aviv. Questo nuovo collegamento era molto atteso e soprattutto si
avvale di un alto tasso di gradimento. Qualche mese fa, la compagnia low cost inglese aveva annunciato i voli da Roma a Tel Aviv, che ebbero subito un enorme successo, tanto che la stessa EasyJet pensò di ampliare l'offerta con dei voli da Milano Malpensa che furono annunciati poche settimane fa.
Tel Aviv infatti è considerata una delle mete emergenti soprattutto per i giovani che la vedono come una destinazione balneare alternativa, moderna e non troppo costosa. La città attira sempre più giovani e per questo motivo, EasyJet ha pensato a dei voli da Milano Malpensa per Tel Aviv che saranno già attivi dalla prossima primavera. In totale saranno 4 voli a settimana che collegheranno Malpensa alla città di Israele, voli che potrebbero essere aumentati se la richiesta sarà più alta.

(ViaggiOK.net, 4 gennaio 2014)


Praga: giallo sulla morte dell'ambasciatore palestinese

Jamal al-Jamal
Tutt'altro che risolto a Praga il giallo della morte dell'ambasciatore palestinese, ucciso il primo dell'anno nella sua residenza da una strana esplosione, per la quale si comincia a parlare con insistenza di attentato. Ad alimentare il mistero e le più diverse congetture è il luogo dove questo fatto è avvenuto, Praga, oggi considerata la capitale in Europa più vicina alle posizioni dello Stato di Israele, mentre un tempo, durante il vecchio regime pre '89, l'allora Cecoslovacchia comunista sosteneva risolutamente le istanze della Organizzazione per la liberazione della Palestina.
  Non sembra reggere la prima ricostruzione degli inquirenti cechi, secondo la quale a Jamal al-Jamal, 56 anni, sarebbe stata fatale l'apertura incauta di una vecchia cassaforte dotata di una dispositivo autodistruggente. "Questo genere di dispositivi serve tutt'al più per liquidare il contenuto di uno scrigno di sicurezza, per esempio documenti, ma non è credibile che sia stato uno scoppio di questo genere la causa della morte" è l'opinione di Tomas Haas, un esperto, ex consulente del governo ceco. Il quale continua: "il fatto che si sia riunito immediatamente un comitato di crisi, alla presenza di tutti i rappresentati degli apparati di sicurezza del nostro Paese, fa pensare a qualcosa decisamente di più grosso del semplice scoppio di una cassaforte. Non si spiega altrimenti il motivo della evacuazione subito disposta ieri di tutti gli abitanti dei dintorni. E' invece probabile che nella dimora del diplomatico ci fosse altro esplosivo".
  L'ambasciatore Jamal al-Jamal a Praga da poco più di due mesi - si era trasferito appena da due giorni nella nuova dimora, in uno stabile destinato ad essere la futura missione diplomatica palestinese nella capitale ceca. Il quartiere è quello di Suchdol, una tranquilla zona residenziale in collina, semiperiferia nord della città. Durante il trasloco al-Jamal si sarebbe portato dietro, fra le varie cose, anche la vecchia cassaforte, poi esplosa, secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti. L'emissario palestinese è morto all'ospedale militare di Praga, poche ore dopo l'esplosione. Insieme a lui è stata ricoverata anche la moglie, una donna di 52 anni, alle prese con un forte stato di shock e subito dimessa.
  Sempre più insistenti in queste ultime ore le voci secondo le quali a uccidere il diplomatico sarebbe stato il Semtex, lo storico di esplosivo di produzione ceco, marchio di fabbrica della vecchia Cecoslovacchia comunista. Il Semtex, "la plastilina del terrore", è una sostanza il cui enome ha fama sinistra, guadagnata in decennni nel mondo. Sviluppato negli anni '50 per scopi militari e applicazioni civili nel settore edilizio e minerario, questo esplosivo è conosciuto in primo luogo per l'utilizzazione che ne hanno fatto diverse organizzazione terroristiche negli anni '70 e '80. Ne erano pieni gli arsenali del blocco dell'Est, in particolare quelli dell'Armata Rossa ed in generale dalle forze armate dell'allora Patto di Varsavia e dei cosiddetti "paesi amici", fra cui la Siria, la Libia, l'Iran, la Corea del Nord, l'Iraq e il Vietnam. Successivamente, negli anni '70 e '80, il Semtex divenne strumento di morte delle più pericolose organizzazioni estremistiche internazionali. Intanto, a rendere il quadro ancora più inquietante, giungono questa mattina a Praga i dubbi sulla morte dell'ambasciatore palestinese e le prime accuse di attentato volto a eliminare Jamal al-Jamal, che cominciano a sollevare le autorità palestinesi.
  Un cambio di linea a 180 gradi rispetto a ieri, quando, in un primo momento, le stesse autorità palestinesi avevano accreditato la tesi della cassaforte esplodente. "era una cassetta di sicurezza che non veniva aperta da quasi trent'anni" l'ipotesi subito avanzata da Riyad Al-Malik, ministro degli Esteri palestinese. Oggi invece un'agenzia cinese Nuvoa Cina riporta la tesi di un "anonimo alto rappresentante della Palestina" secondo il quale la morte dell'ambasciatore sarebbe da ricondurre a un attentato.

(NotiziarioItaliano.it, 4 gennaio 2014)


Hezbollah in possesso di un sofisticato sistema missilistico

Allarme in Israele

Hezbollah è entrato in possesso del sistema missilistico Yakhont, un sistema sofisticato impiegato principalmente in configurazione anti-nave difficilmente rilevabile dai radar. A riferirlo sono fonti della difesa israeliana.
Secondo quanto riferiscono fonti della Marina israeliana il sofisticato sistema missilistico di fabbricazione russa denominato anche P-800 metterebbe in serio pericolo le attività nei porti di Haifa e Ashdod e la cosa sta destando fortissimo allarme tra i capi della difesa israeliana....

(Right Reporters, 4 gennaio 2014)


Sviluppato a Tel Aviv un algoritmo che identifica geni anti-invecchiamento

WASHINGTON, 3 gen. - Un algoritmo computazionale sviluppato dalla Tel Aviv University ha identificato geni che potrebbero essere trasformati per fermare il processo dell'invecchiamento. In particolare, Keren Yizak e colleghi della Tel Aviv University hanno creato un algoritmo che predice quali geni possono essere 'spenti' per riuscire a ottenere un effetto anti-invecchiamento simile a quello prodotto dalla restrizione delle calorie. Come si legge sulla rivista Nature Communications, la tecnica potrebbe portare allo sviluppo di nuovi farmaci per trattare l'invecchiamento. Il nuovo algoritmo ha individuato geni erano gia' conosciuti per la loro capacita' di estendere la vita dei lieviti, se disattivati. I ricercatori, in particolare, hanno scoperto altri due geni, il GRE3 e l'ADH2, che riuscivano a estendere significativamente la vita dei lieviti quando disattivati.

(AGI, 3 gennaio 2014)


Israele: primo attacco del 2014 contro strutture di Gaza

La risposta all'attacco avvenuto questa notte contro Israele, non si è fatta attendere. Un caccia F-16, poche ore fa, si è alzato in volo ed ha colpito un'infrastruttura terroristica nel centro della Striscia di Gaza, distruggendo tre lanciarazzi nascosti.
Questo è il primo attacco contro Israele nel 2014 e la prima risposta armata aerea. Nel 2013 oltre 36 razzi sono stati lanciati da Gaza nel territorio israeliano. Tre sono stati intercettati dal sistema di difesa anti-missile Iron Dome.
La distruzione dei siti è stata confernata dai servizi segreti.

(teleradiosciacca.it, 3 gennaio 2014)


Arrow III, successo del test di difesa

Israele ha condotto con successo questa mattina un ulteriore test Arrow III di intercettazione antimissilistica, dopo quello di venerdí.
Lo ha reso noto un portavoce del ministero della difesa.
Il test ha consentito il lancio del missile secondo una traiettoria extra-atmosferica prestabilita.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto: "Voglio ringraziare i senatori per il supporto e il sostegno del governo statunitense sul programma Arrow. Oggi il lancio ha avuto successo e questo è un buon segnale di conferma dell'abilità di Israele di proteggersi dai missili balistici. Abbiamo bisogno di molta protezione in questa zona, perché esistono regimi criminali guidati dall'Iran".
Stati Uniti e Israele hanno sviluppato insieme il programma dal 1988, certi di prevenire l'escalation di ostilità in Medio Oriente.
Arrow III è concepito come sistema di difesa israeliana contro la minaccia Hezbollah di Siria e Iran. Il missile è in grado di raggiungere l'atmosfera terrestre e distruggere qualsiasi prodotto chimico, biologico o testata nucleare, intercettandola in modo sicuro.
Video

(euronews, 3 gennaio 2014)


Nella residenza dell'ambasciatore palestinese a Praga trovate armi

 
La sede dell'ambasciata palestinese a Praga
Presso la residenza dell'ambasciatore palestinese a Praga, Jamal Al Jamal, dove lo stesso diplomatico morì in un'esplosione, sono state trovate delle armi, lo ha detto il portavoce della polizia locale Andrea Zoulova. Qual è stata l'arma trovata e in che quantità, Zoulova non lo ha specificato.
A seguito dell'esplosione l'ambasciatore palestinese in Repubblica Ceca subì gravi lesioni e fu ricoverato in gravi condizioni ma i medici non poterono salvargli la vita. In precedenza è stato riferito che l'esplosione avvenne in un momento in cui l'ambasciatore aprì una cassaforte che presumibilmente non veniva utilizzata da 20 anni. Più tardi, un dipendente della missione diplomatica ha riferito che invece era esplosa un'altra cassaforte che viene costantemente utilizzata dal personale dell'ambasciata.

(La Voce della Russia, 3 gennaio 2014)


Quartiere di Praga chiede il trasferimento dell’ambasciata palestinese

Dopo la morte dell'ambasciatore in una misteriosa esplosione

PRAGA, 3 gen. - Il quartiere di Praga che ospita l'ambasciata dell'Autorità nazionale palestinese vuole che sia trasferita altrove, dopo la morte dell'ambasciatore in una misteriosa esplosione nel giorno di Capodanno. Lo hanno annunciato le autorità locali.
"Abbiamo chiesto al ministero degli Esteri ceco che l'ambasciata sia trasferita fuori dal nostro distretto", ha dichiarato Petr Hejl, consigliere del quartiere di Suchdol a Praga. "Il quartiere si sente tradito dal comportamento dei diplomatici, che tengono armi ed esplosivi in ambasciata, violando le leggi ceche e internazionali", ha aggiunto.
La polizia ha indicato di aver trovato armi non denunciate all'interno della sede diplomatica palestinese, ma non ha voluto diffondere dettagli su tipo o quantità. "Comprendiamo i timori dei residenti di Suchdol", ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri ceco, Johana Gohova. Il ministero "esaminerà la vicenda", ha assicurato. Una nota del ministero ha inoltre annunciato che autorità ceche e palestinesi hanno raggiunto un'intesa per collaborare pienamente nell'inchiesta, in modo che "le relazioni bilaterali tra Repubblica Ceca e Palestina non siano in alcun modo danneggiate".
L'ambasciatore palestinese a Praga, il 56enne Jamal al Jamal, è deceduto in seguito a lesioni letali alla testa, al petto e allo stomaco in una misteriosa esplosione nel complesso che ospita la nuova residenza e ambasciata palestinese.

(TMNews, 3 gennaio 2014)


Perché gli ebrei lasciano l'Europa per Israele

"La parola è ritornata, forte come non si sentiva da anni: Alyah, l'ascesa, la decisione di abbracciare fino in fondo l'ideale sionista e trasferirsi in Israele. Nel 2013 gli Olim sono aumentati ancora: +7% rispetto all'anno precedente, segnala l'Agenzia ebraica". Queste le prime righe di un'intera inchiesta dedicata oggi dal quotidiano La Repubblica al fenomeno dell'aliyà. L'approfondito articolo, intitolato 'Biglietto per israele, richiamato in prima pagina e firmato da Giampaolo Cadalanu, mette in luce le dimensioni delle aliot dall'Europa occidentale, che costituiscono un terzo degli oltre 19.200 olim arrivati nel 2013: nella classifica dei Paesi di provenienza, al primo posto c'è la Francia (+63% rispetto al 2012), seguita da Olanda (+57%) e Belgio (46%).
"Le cifre assolute non sono impressionanti, ma la tendenza è significativa" spiega lo studioso Sergio Della Pergola, che di recente ha lavorato a un sondaggio dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali con lo scopo di mettere a fuoco le percezioni della popolazione ebraica negli otto Stati dell'Unione che ne rappresentano la maggioranza. Tutt'altro che confortanti i risultati, resi noti nelle sorse settimane: due terzi degli intervistati considerano l'antisemitismo un problema reale, tre quarti credono che sia aumentato negli ultimi cinque anni, uno su due ha paura di aggressioni verbali e uno su tre addirittura di violenza fisica. E 29 su 100 hanno considerato la possibilità di lasciare il Paese dove vivono, proprio per paura che l'ostilità diventi aperta.

- Le ragioni dell'aliyà europea
  "In questo momento, ci sono tre motivi per preferire Israele all'Europa - spiega Della Pergola nell'inchiesta -. Il primo è la situazione economica nel vecchio continente, con la crisi che colpisce gli strati medio-bassi della società. Poi c'è il fattore economico israeliano: qui la disoccupazione è bassa, mentre gli indicatori della crescita sono positivi, e c'è una buona capacità di assorbimento della forza lavoro. E infine c'è una percezione di antisemitismo in crescita, difficile da cogliere in modo preciso, ma presente". A dimostrare quanto la questione economica sia determinante nella scelta di fare l'aliyà c'è la giovane età degli immigrati: 6 sui 10 hanno meno di 35 anni. Ma rimane il fatto che l'antisemitismo è per molti ebrei il motivo preponderante per lasciare il proprio Paese: è il caso della Francia, dove "le pressioni sugli ebrei stanno diventando insostenibili, soprattutto per chi si riconosce pubblicamente nell'identità ebraica", spiega Erik Cohen, docente di antropologia e sociologia all'Università Bar Ilan.

- Italia, la crisi spinge l'aliyà
  E l'Italia? Il nostro Paese, spiega La Repubblica, propone agli ebrei un'immagine meno inquietante: i nuovi arrivi sono poche centinaia , ma comunque in crescita rispetto agli anni passati, principalmente per motivi economici (come aveva analizzato il Bollettino nel novembre 2012). "C'è un aumento, ma legato soprattutto ai motivi economici - dichiara alla Repubblica Beniamino Lazar, avvocato e presidente del Comites -. Non ho mai sentito invece di persone che hanno lasciato l'Italia per paura, come invece è successo per Francia e Belgio. Credo che in questi Paesi si possa vedere un legame fra l' antisemitismo e la presenza diffusa di arabi oltranzisti".
Riguardo all'Italia, emerge un altro aspetto interessante anche dal sondaggio sopra menzionato, a cui ha partecipato Della Pergola: quello relativo all'atteggiamento delle autorità italiane nei confronti degli ebrei. Le istituzioni hanno sempre un atteggiamento corretto - spiega lo studioso -. Tutt'al più, ci sono cadute di stile come quella di Berlusconi, secondo cui Mussolini aveva fatto bene fino alle leggi razziali. Una dichiarazione resa proprio mentre a Milano si ricordava la Shoah davanti al binario 21, da cui partivano i convogli per Auschwitz".

- L'antisemitismo corre sul web
  Una parte del disagio legato all'antisemitismo resterà però anche fuggendo dall'Europa e andando in Israele: dal rapporto dell'agenzia europea emerge infatti come lo spazio prediletto per razzismo e pregiudizi sia il mondo virtuale, dove sono in continuo aumento le pressioni antisemite. "Da quando vado su Facebook ho più commenti antisemiti di quanti ne avevo sentito in tutta la vita", - ha detto una signora di mezza età ai rilevatori europei. E se è vero che basta un "click" per imbattersi in questi commenti, rimane il fatto che le liste di ebrei e altri episodi di questo tipo destano una seria preoccupazione e impongono di essere guardinghi. Perché, come si vede, nell'era del web, in cui lo spazio fisico non ha più significato, l'antisemitismo si diffonde al di là di qualsiasi confine geografico, raggiungendo anche Israele.

(Mosaico, 3 gennaio 2014)


Da Miglionico a Betlemme in tre per insegnare come si può fare il pane

di Giacomo Amati

Pane di Miglionico
MIGLIONICO (MT) - Missione volontariato a Betlemme per tre panificatori, Carlo Antonio Guidotti e i cugini Antonio Centonze e Antonio Centonze. Il prossimo 23 febbraio si recheranno a Betlemme, in Israele, ove resteranno per tre giorni, fino al 26, per svelare i segreti della loro professione: l'arte della panificazione. L'obiettivo è nobile: dovranno insegnare a fare il pane, le focacce, i biscotti e tante altre bontà gastronomiche ai giovani israeliani, per dare da mangiare ai bambini profughi, rinchiusi negli orfanotrofi e ai tanti poveri che non hanno cibo e che, a volte, muoiono di fame.
Le linee guida del progetto "Pane Nostro" sono state illustrate nella serata di venerdì da Rosita Stella Brienza, presidente dell'associazione materana "Alt", nel corso di una conferenza stampa, che s'è svolta nell'auditorium del castello del Malconsiglio. Presenti , tra gli altri, l'assessore regionale all'Agricoltura uscente, Nicola Benedetto, l'assessore provinciale alla Formazione, Michele Grieco, la dott.ssa Elena Iacoviello, funzionario della Regione, l'attore pugliese Uccio De Santis, testimonial del progetto, unitamente a Renzo Arbore, e il sindaco Angelo Buono (Pd).
Il progetto, che è sostenuto anche dal vice presidente del Parlamento europeo, Gianni Pittella, è nato da un'idea dello scrittore serbo croato Predrag Matzejevic.
«Il pane è un simbolo di sacralità e vuole rappresentare il valore della pace tra i popoli», ha spiegato la relatrice Stella Brienza, che ha osservato anche come il progetto si inserisca nell'ambito della manifestazione dedicata al grano duro lo scorso mese di luglio, con la messa in scena del "Teatro d'aia", ove furono rappresentati i momenti più significativi della mietitura e della trebbiatura, così come avvenivano nel secolo scorso.
«Il momento più importante del progetto - ha precisato il sindaco Buono - si verificherà il 25 febbraio 2014, quando a Betlemme ci sarà il gemellaggio per la pace tra i forni lucani e quello dei religiosi Salesiani».
Da parte sua, Rosita Stella Brienza ha raccontato che il panificio di Betlemme «distribuisce gratuitamente pane ai bambini che, già alle quattro del mattino, fanno la fila per avere qualcosa da mangiare.
Per di più, il panificio, quotidianamente, distribuisce pane alle famiglie più povere».
La presenza dei panificatori lucani, ha sottolineato l'assessore Benedetto aggiungerà valore ad una significativa opera umanitaria.
Infine, l'assessore Grieco ha riconosciuto al progetto "Pane Nostro" una «valenza di fratellanza e un messaggio di speranza tra tutti i popoli del mondo».

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 3 gennaio 2014)


Divieto d’ingresso in Israele per un parlamentare di Berna

BERNA - Un divieto di ingresso nello stato di Israele è stato emesso nei confronti del consigliere nazionale Geri Müller (Verdi/AG) a causa del suo impegno presso l'organizzazione belga Council for European Palestinian Relations (CEPR), dichiarata illegale dal ministero della difesa israeliano. La notizia - pubblicata questa settimana dal giornale "Haaretz" - è stata confermata all'ats dallo stesso Müller.
La CEPR organizza viaggi nei territori palestinesi per parlamentari europei, ha indicato l'ecologista commentando notizie pubblicate oggi dai quotidiani "Aargauer Zeitung" e "Südostschweiz", che si rifanno al giornale israeliano. Müller ha precisato di aver appreso dalla stampa del divieto emesso da Israele nei confronti della CEPR e delle persone che vi collaborano.
In caso di ingresso in territorio ebraico Müller rischierebbe di essere arrestato. Per il consigliere nazionale argoviese, la decisione israeliana è un "atto disperato di un paese che attira sempre più critiche a livello internazionale". Se le autorità di Tel Aviv emettessero davvero un divieto d'ingresso nei confronti dei parlamentari europei, ciò costituirebbe una violazione del diritto internazionale, sottolinea Müller.
Geri Müller è consigliere nazionale dal 2003 e fa parte della Commissione di politica estera. È stato fortemente criticato da Israele dopo che nel gennaio 2012 aveva posato accanto a membri di Hamas nella Sala dei Passi Perduti, a Palazzo federale. Lo scorso marzo è stato eletto sindaco di Baden (AG).

(TicinOnline.ch, 3 gennaio 2014)


Il tenente colonnello Oshrat Bachar
Israele - Il primo comandante di battaglione donna

Le Forze di Difesa israeliane hanno nominato il loro primo comandante di battaglione donna: la tenente colonnello Oshrat Bachar sarà a capo di un battaglione di Combat Intelligence inquadrato nel Comando Sud, lungo il confine con l'Egitto, con il compito di monitorare le attività terroristiche ostili nella penisola del Sinai.

(israele.net, 3 gennaio 2014)


Il cantico di Anna

Allora Anna pregò e disse:
«Il mio cuore esulta nell'Eterno,
la mia forza s'innalza nell'Eterno,
la mia bocca s'apre contro i miei nemici
poiché gioisco nella tua salvezza.
Non v'è alcuno che sia santo come l'Eterno,
poiché non v'è altro Dio fuori di te;
né v'è ròcca pari all'Iddio nostro.
Non parlate più con tanto orgoglio;
né esca più arroganza dalla vostra bocca;
poiché l'Eterno è un Dio che sa tutto,
e da lui sono pesate le azioni dell'uomo.
L'arco dei potenti è spezzato,
e i deboli son cinti di vigore.
Quelli ch'eran satolli s'allogano per aver del pane,
e quelli che soffrivano la fame non la soffrono più;
anche la sterile partorisce sette volte,
e quella che aveva molti figli s'infiacchisce.
L'Eterno fa morire e fa vivere;
fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire.
L'Eterno rende poveri e fa ricchi,
egli abbassa ed innalza.
Rileva il misero dalla polvere
e trae su il povero dal letame,
per farli sedere coi principi,
e farli eredi di un trono di gloria;
poiché le colonne della terra son dell'Eterno,
e sopra queste Egli ha posato il mondo.
Egli veglierà sui passi dei suoi fedeli,
ma gli empi periranno nelle tenebre;
poiché l'uomo non prevarrà con la sua forza.
Gli avversari dell'Eterno saranno frantumati.
Egli tuonerà dal cielo contro di loro;
l'Eterno giudicherà gli estremi confini della terra,
darà forza al suo re, farà grande la potenza del suo unto».

I Samuele, cap. 2







 
Il cantico di Maria

E Maria disse:
«L'anima mia magnifica il Signore,
e lo spirito mio esulta in Dio mio Salvatore,
poich'egli ha riguardato alla bassezza della sua serva.
Ed ecco, d'ora in poi tutte le età mi chiameranno beata,
poiché il Potente m'ha fatto grandi cose.
Santo è il suo nome;
e la sua misericordia è d'età in età
per quelli che lo temono.
Egli ha operato potentemente col suo braccio;
ha disperso quelli ch'eran superbi nei pensieri del cuor loro;
ha tratto giù dai troni i potenti ed ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi.
Ha soccorso Israele, suo servitore,
ricordandosi della misericordia
di cui avea parlato ai nostri padri,
verso Abraamo e verso la sua progenie in perpetuo».

Vangelo di Luca, cap. 1








 


Nella terra di Israele con Guy Cohen

Le diverse sfumature della terra di Israele nel bianco e nero di Guy Cohen

   
Fotogalleria
Dall'orizzonte dell'alta Galilea affollato dalla migrazione delle gru, alle ombre che percorrono la popolosa Tel Aviv, o si addensano dentro e fuori la basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, il portfolio di Guy Cohen viaggia al ritmo delle sfumature nella terra di Israele.
I flussi primordiali del paradiso terrestre dell'Hula Valley, a sud dal Mar di Galilea e a nord d'Israele, in volo con 500 milioni di uccelli, a passeggio con i 40.000 abitanti della zona rurale, che ha preso il posto di gran parte del lago prosciugato.
Un mondo di ombre e silhouette oscure che danzano in sincronia con il ciclo vitale della natura, i ritmi urbani della città moderna e i gli afflati ancestrali della città vecchia, sin dentro la basilica del Santo Sepolcro, conosciuta anche come chiesa della Resurrezione di Gesù, al termine della Via Dolorosa di Gerusalemme, al centro di di studi, riti antichi e restauri moderni.
Un vero caleidoscopio di sfumature, anche quando si concentra sul bianco e nero, fotografato da Guy Cohen con i diversi obiettivi della sua Nikon D80 e Nikon D7000, e la stessa passione per la fotografia, nata 7 anni fa durante un viaggio attraverso l'Europa.

(clickblog, 3 gennaio 2014)


Dopo l'Albania ci prova anche Israele: stop alla caccia

La proposta voluta dal Ministro dell'Ambiente. Il 72% dell'opinione pubblica favorevole alla chiusura dell'attività venatoria.

E' attualmente in discussione presso il Parlamento israeliano, la proposta di legge voluta dal Ministro della Protezione Ambientale Amir Perets, che propone l'abolizione della caccia. Un provvedimento che riguarderebbe l'attività cosiddetta "ricreativa" dei circa 2400 cacciatori israeliani.
Attualmente la proposta è in discussione presso la Commissione per gli Affari Interni e per l'Ambiente del Parlamento.
La proposta del Ministro ha gia superato, sebbene nel 2011, la votazione in prima lettura e ora lo stesso Dicastero ha chiesto alla Commissione competente di continuare i lavori propedeutici alla seconda e terza lettura. Si tratterebbe in quest'ultimo caso della votazione finale.
Secondo il quotidiano The Jerusalem Post, presso la stessa Commissione sono stati presentati i risultati di una pubblico sondaggio che attesta al 72% dell'opinione pubblica contraria alla caccia. Il sondaggio, commissionato dalla Società di protezione della natura, riporta un potenziale errore statistico pari al 4,4%. Un dato, pertanto, che difficilmente potrebbe compromettere l'alto gradimento registrato in favore della chiusura dell'attività venatoria. Del resto, la società che ha eseguito il sondaggio ha dichiarato una affidabilità statistica pari al 95%.
Dunque un nuovo paese, oltre all'Albania (vedi articolo GeaPress) si appresta su iniziativa governativa a ridurre o chiudere del tutto l'attività venatoria. Così come nel caso dell'Albania, dove il Ministro dell'Ambiente proponente ha mostrato interesse per altre questioni ambientali (taglio dei boschi e maggiore tutela dei Parchi) anche in Israele i promotori del sondaggio si sono augurati che il Governo fornisca al più presto agli enti gestori delle aree protette, maggiori strumenti per la difesa della natura.

(GeaPress, 2 gennaio 2014)


Finanza ed ebraismo, un coacervo di luoghi comuni

di Andrea Telara

Sono molti gli stereotipi sul rapporto tra la cultura giudaica il mondo della finanza. A partire da quello legato al prestito di denaro. Tutti strettamente connessi alle attività economiche di questa comunità, anziché alla sua religione
È la frase che il grande economista Milton Friedman pronunciò durante una conferenza all'Università di Chicago nel lontano 1976, poco dopo essere stato insignito del Premio Nobel per le sue celebri teorie sulla moneta, le stesse che poi hanno ispirato il pensiero neo-liberista dei successivi 30 anni. Fu nel corso di quella conferenza che Friedman, nato a Brooklyn nel 1912 da una famiglia ebrea poverissima, emigrata negli Stati Uniti dall'Europa Orientale, analizzò il complesso rapporto che lega lo spirito dell'economia moderna all'etica e alle tradizioni di un popolo (quello ebraico, appunto) capace di dare un contributo fondamentale alla cultura dell'intero Occidente. Secondo il celebre sociologo tedesco Werner Sombart, per esempio, l'etica ebraica ha addirittura posto le basi per la nascita del capitalismo moderno, favorendo nel corso dei secoli l'affermazione della libertà individuale nello svolgimento delle attività economiche (un ruolo che Max Weber, amico e "collega" di Sombart, attribuiva, invece, al cristianesimo protestante). Nella sua conferenza, Friedman ribaltò di fatto il ragionamento di Sombart: non è il capitalismo a essere debitore degli ebrei, ma è il popolo ebraico a essere debito-e del capitalismo. Per quale ragione? Perché, sottolineò Friedman, la moderna economia capitalista si fonda sempre sulla concorrenza e sul mercato che, a differenza dei monopoli, non fanno mai distinzioni tra razze, colori della pelle o convinzioni religiose. Se c'è vera concorrenza, infatti, i consumatori acquistano un determinato prodotto soltanto perché lo ritengono migliore degli altri, indipendentemente da chi lo vende o da chi lo produce, sia esso un ebreo, un bianco, un nero, un cinese o un americano. È proprio grazie all'economia di mercato, dunque, che molti ebrei hanno potuto affermarsi nella società, in diverse epoche, nonostante il ruolo di perseguitati assegnato dal destino ai figli d'Israele.

I CONCETTI CHIAVE
Zedakah - È una parola ebraica che significa giustizia ma che viene comunemente usata anche per indicare la carità. Secondo il medico e giurista ebreo Maimonide, la forma più alta di Zedaqah consiste nel fare donazioni, ma anche prestiti che rendano i destinatari indipendenti economicamente, in modo da non dover più chiedere l'elemosina. Concorrenza - Nella tradizione ebraica è sempre stata considerata come un elemento positivo. Le fonti rabbiniche, per esempio, hanno sempre promosso la concorrenza anche nell'insegnamento delle sacre scritture.
Damim - Questo termine che in ebraico significa denaro, è il plurale della parola dam, che significa anche sangue. Il valore (vitale) del denaro, come per il sangue, consiste nella sua capacità di circolare nel modo giusto. Nell'etica ebraica, c'è però una condanna dell'uso sbagliato del denaro, della cupidigia, mentre la parsimonia e l'oculatezza hanno un valore positivo. Interessi - Nonostante i luoghi comuni sulla figura dell'ebreo-usuraio, la concessione di soldi in prestito in cambio di interessi viene condannata in diverse parti del Vecchio Testamento (nell'Esodo, nel Levitico e anche del Deuteronomio). Le attività bancarie cui si dedicarono con successo gli ebrei, sin dal Medioevo, hanno origine piuttosto dal fatto che ai membri della comunità giudaiche era vietato l'esercizio di altre professioni.

IL NODO DELL'USURA
Ragioni storiche, più che affinità etiche, hanno spinto dunque l'ebraismo e la comunità degli affari a trovare spesso molti punti di contatto, nel corso dei secoli. Fin dal Medioevo, per esempio, gli ebrei erano gli unici a poter esercitare legalmente la pratica dell'usura, che invece era vietata ai cristiani. Molti membri delle comunità giudaiche divennero, infatti, degli usurai soltanto perché, contemporaneamente, si vedevano precluso l'accesso ad altre attività economiche: non potevano ad esempio effettuare lavori agricoli, né far parte di alcuna corporazione, mentre una bolla del 1205 di papa Innocenzo III (Etsi Iudaeos) li aveva posti nella condizione di «perpetua servitù». Alle comunità giudaiche medievali, dunque, restavano ben poche scelte: o si dedicavano ad alcune forme di artigianato e di commercio oppure svolgevano quella che era per loro un'attività lecita, proibita ai cristiani, cioè la concessione di denaro in prestito. Come ha ricordato il biblista Pietro Stefani (nel saggio Gli Ebrei, Edizioni il Mulino, 2006) i membri delle comunità giudaiche non furono però gli unici a praticare l'usura: erano piuttosto i soli a farlo alla luce del sole, cioè in maniera pubblica e regolata delle autorità civili, mentre alcuni cristiani vi si dedicavano clandestinamente. Nonostante questo "dettaglio" tutt'altro che trascurabile, nel corso della storia si è affermato comunque uno stereotipo che ha dato vita a non poche farneticazioni antisemite. È lo stereotipo dell'ebreo-strozzino, avido di ricchezze, che trova spazio persino nella letteratura di William Shakespeare, con il personaggio di Shylock, il ricco usuraio giudeo disprezzato dai cristiani, che è uno dei protagonisti de Il Mercante di Venezia.

L'ETICA DEGLI AFFARI
A ben guardare, anche nell'etica ebraica, la pratica dell'usura ha suscitato non poche discussioni teologiche. Nell'Antico Testamento, c'è infatti un passo importante che afferma: «Allo straniero potrai dare denaro in prestito, ma non a tuo fratello» (Deuteronomio 23,20). Fu così che nel XII secolo, come ricorda Stefani nella sua opera, una delle più importanti autorità rabbiniche francesi, Rabbenu Tam, si appellò a questo principio per giustificare la pratica dell'usura da parte degli ebrei, visto che la loro condizione di minorità sociale impediva appunto l'esercizio di altre professioni. In questo filone, si inserisce anche il pensiero del medico e giurista ebreo spagnolo Maimonide, che definiva la concessione di denaro in prestito o il dare un lavoro a un povero come la forma migliore di assistenza, ancor più dell'elemosina. Tra gli studiosi, c'è chi attribuisce a queste interpretazioni dei testi sacri la genesi di una spiccata propensione della comunità ebraica per gli affari e la finanza. Analizzando il passo biblico sopra citato, però, emerge comunque che anche nella tradizione religiosa ebraica, almeno in quella delle origini, l'usura non viene vista particolarmente di buon occhio. Anzi, è considerata addirittura una pratica peccaminosa, se viene praticata tra fratelli e non è giustificata da particolari ragioni e da determinate circostanze storiche, come appunto le persecuzioni.

LE PERSECUZIONI E IL COMMERCIO
Sono dunque le persecuzioni contro le comunità giudaiche nel corso dei millenni, che spiegano il perché vi siano così tanti punti di contatto tra gli ebrei e le attività finanziarie e commerciali. Si tratta di un aspetto messo in evidenza anche dall'economista Alberto Heimler, studioso della concorrenza, il quale ha sottolineato le notevoli differenze esistenti tra le comunità ebraiche sefardite della penisola iberica e quelle sviluppatesi invece nell'Europa centrale. I sefarditi - scacciati dalla Spagna nel 1492 dalle persecuzioni di Isabella di Castiglia e dell'Inquisizione - ebbero un ruolo importantissimo nel commercio internazionale e svilupparono, secondo Heimler, una doppia identità: un forte attaccamento alla loro tradizione e alle loro comunità di origine, ma anche un senso di appartenenza ai Paesi che li avevano accolti e integrati, soprattutto quelli dell'Impero Ottomano di fede musulmana. Questa fitta rete di relazioni tra ebrei e non ebrei, fu un terreno fertile per la nascita di un ricco tessuto di scambi commerciali e per la genesi di uno spirito proto-capitalistico, che sta alla base dell'economia moderna. Al contrario dei sefarditi, invece, le comunità ebraiche dell'Europa centrale vissero isolate fino quasi al '700, facendo propria la tradizione di alcuni scritti rabbinici dei secoli precedenti (in particolare del '500 e del '600), che disprezzavano l'accumulo di ricchezze e persino il lavoro, subordinandoli entrambi allo studio dei testi sacri. Heimler (che ha messo in evidenza questa differenza storica nel Dizionario di economia e finanza edito da Treccani), ricorda per esempio che lo stesso giurista Maimonide consigliava agli uomini di dedicare al lavoro ben dodici ore al giorno, di cui solo tre avevano però come scopo le esigenze materiali, cioè il sostentamento personale, mentre le altre nove dovevano essere destinate all'interpretazione delle sacre scritture. Fu così che fino al XVIII secolo, mentre i sefarditi facevano affari nel Mediterraneo, le attività economiche degli ebrei centro-europei rimasero molto circoscritte (anche per volontà del potere politico) e si limitarono al commercio di stracci e di bestiame, oltre che all'erogazione di credito. Per analizzare in maniera approfondita il rapporto tra l'ebraismo e le vicende dell'economia o della finanza, dunque, bisogna studiare bene le storie delle diverse comunità israelitiche nel mondo ed evitare di sposare molti luoghi comuni, che guardano alla storia ebraica come un corpo unico e indistinto. Sono gli stessi luoghi comuni che anche Friedman, nella conferenza di Chicago del n1976 cercò di smentire citando un episodio della sua carriera. Una volta, invitato a parlare di fronte a un consesso di banchieri e top manager finanziari di tutto il mondo, il celebre premio Nobel fece un rapido sondaggio e appurò che soltanto una persona su cento, tra le quelle che lo ascoltavano, era di origine ebraica. Stando ai risultati di quella brevissima indagine, dunque, ha torto chi ritiene che la finanzia mondiale sia da sempre in mano, del tutto o in parte, a una lobby ebraica.

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Finanza ebraica: solo a sentirla nominare, mi sento a disagio

Haim Baharier ci racconta il suo punto di vista sulla finanza ebraica

 
Haim Baharier
«Quando sento parlare di jewish banking, un'espressione con cui vengono definiti in inglese il modo di fare banca degli ebrei e la cosiddetta finanza ebraica, mi viene subito un senso di non sopportazione». Parola di Haim Baharier, 66 anni, noto studioso di ermeneutica biblica e di sacre scritture, allievo di celebri pensatori come Léon Askenazi ed Emmanuel Lévinas.

- Dunque, professore, non esiste nessuna finanza ebraica?
  Guardi, mi faccia dire innanzitutto una cosa: io non sono mai stato interessato a quelle statistiche che ci dicono quanti sono i premi Nobel assegnati nella storia agli ebrei o quanti top manager e banchieri di origine ebraica ci sono oggi.

- Per quale ragione?
  Perché quella dell'ebraismo resta per me l'etica della claudicanza, di chi è consapevole dei propri limiti e sa rimpicciolirsi, senza diminuirsi.

- Dunque?
  Allora è bene sottolineare che il jewish banking non esiste. Esiste piuttosto un jewish being, cioè l'essere ebreo, ossia un'etica condivisa che naturalmente si traduce in un fare. Io sono ebreo nel mio fare.

- Anche nelle attività economiche...
  Certo. È chiaro che un individuo sarà ebreo anche nel suo fare banca. Ma non ci sono delle leggi e delle regole di comportamento in quest'ambito. C'è piuttosto una predisposizione di spirito.

- C'è chi vede nell'etica ebraica le radici del moderno capitalismo. Cosa ne pensa?
  Di certo, nell'etica ebraica la libera concorrenza viene considerata in maniera positiva. Va ricordato, però, anche un aspetto importante: nel pensiero ebraico si parla di economia di giustizia, più che di economia giusta.
  
- In che senso?
  Le rispondo con una domanda: chi decide gli elementi che consentono di definire un'economia giusta? Tutto è relativo e dipende sempre dal contesto politico e sociale: un'economia considerata giusta in un determinato contesto, può non esserlo invece in un altro. La tradizione talmudica dice, invece, che esistono dei valori di giustizia definiti a priori, che hanno poi dei risvolti nella vita pratica. In altre parole, un ebreo si deve interrogare sempre su come questi principi di giustizia possono trovare applicazione nell'attività economica.

- Che rapporto c'è tra l'etica ebraica e il denaro?
  Direi un rapporto molto complesso, che invece nel mondo esterno viene percepito in maniera monolitica. Nel linguaggio del Talmud, il denaro è chiamato Damim, che ha contemporaneamente due significati diversi.

- Quali?
  Denaro e sangue. Al pari del sangue, i soldi sono conduttori di vita, ma soltanto se circolano nel modo giusto. Altrimenti, il denaro porta alla morte. In altre parole, quando i soldi diventano un idolo e vengono utilizzati in maniera sbagliata, hanno un effetto letale.

(BusinessPeople, 2 gennaio 2014)


Ariel Sharon si è molto aggravato oggi

 
Da quasi otto anni in coma, l'ex premier israeliano Ariel Sharon (86 anni) sembra essere ora in punto di morte. Le sue condizioni sono improvvisamente peggiorate, hanno riferito nel pomeriggio diversi media israeliani. La notizia è stata confermata dal Centro medico Tel ha-Shomer di Tel Aviv, dove quello che è stato uno dei giganti della storia israeliana è attualmente ricoverato. Le sue condizioni si sono andate aggravando negli ultimi giorni, hanno fatto sapere i medici, aggiungendo che Sharon soffre in particolare di gravi disfunzioni renali, seguite a un intervento chirurgico. A quanto pare, afferma la televisione commerciale Canale 10, gli restano uno o due giorni di vita. Sharon era stato colpito il 18 dicembre 2005 da un lieve ictus da cui si era rapidamente ripreso. In quei mesi era impegnato a lanciare il nuovo partito centrista Kadima e ad avviare la propaganda elettorale in vista delle politiche del gennaio 2006.
  Ma il 4 gennaio 2006 era stato colpito da un secondo ictus, molto più devastante, mentre si trovava nel proprio ranch nel Neghev: all'ospedale Hadassah di Gerusalemme arrivò in uno stato di coma dal quale non si è più ripreso. In questi anni Sharon è stato assistito dai due figli, Ghilad e Omri, che hanno deciso di tenerlo in vita con una continua assistenza medica. Ma in tutto questo tempo non ha dato alcun segno di risveglio. L'ex generale, che fu per decenni protagonista di primo piano della scena politica regionale, è da ormai quasi otto anni immobilizzato in una stanza di ospedale davanti allo schermo di un televisore sintonizzato sul National Geographic. Nel tentativo di aiutarlo ad uscire dal coma i figli avevano pensato anni fa di farlo trasferire nel ranch familiare del Neghev, ma il progetto si era rivelato irrealizzabile.
  Due mesi fa Sharon è stato sottoposto ad un intervento chirurgico che a quanto pare non è riuscito. Da allora, riferisce Canale 10, le disfunzioni si sono moltiplicate e i medici sembrano ormai impotenti e rassegnati. Da un mese era stato trasferito in rianimazione e sembrava che le sue condizioni si fossero stabilizzate. Ora però la situazione sta precipitando. Al capezzale di Sharon in serata è arrivato il figlio Ghilad che ha confermato alla stampa la gravità della situazione. Sharon è stato in prima linea in tutti i conflitti dello Stato ebraico: nel 1956, nel 1967 e nel 1973 quando riuscì a bloccare nel Sinai l'offensiva egiziana. Nello stesso anno fu tra i fondatori del partito Likud, iniziando un'ascesa politica che fu temporaneamente bloccata nel 1982 quando, da ministro della Difesa, decise l'invasione del Libano e fu considerato «indirettamente» responsabile delle stragi di Sabra e Shatila compiute dai falangisti delle milizie cristiane.
  Ricostruita con pazienza la sua forza politica, si venne a trovare di nuovo nell'occhio nel ciclone nel settembre 2000 quando, dopo una «passeggiata» nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme, cominciò l'Intifada palestinese a cui reagì con durezza, ordinando l'isolamento dal resto del mondo del presidente palestinese Yasser Arafat. Poi però cominciò a modificare l'atteggiamento di totale chiusura e nel 2005 portò avanti e vinse la sua più importante battaglia politica: il ritiro dalla Striscia di Gaza, con lo sgombero forzato di migliaia di coloni ebrei. Lo sgretolamento conseguente del Likud lo portò a fondare un nuovo partito, il centrista Kadima, con il quale avrebbe dovuto partecipare alle elezioni del 2006. L'ictus del 4 gennaio lo ha fermato.

(Il Messaggero, 2 gennaio 2014)


Israele: su Gaza dall'ambasciata palestinese in Italia solo menzogne

L'ambasciata di Israele in Italia risponde alle accuse di Mai al-Kaila

Mai al-Kaila
ROMA, 2 gen - L'ambasciata di Israele a Roma risponde alle affermazioni dell'ambasciatore palestinese in Italia, signora Mai al-Kaila, fatte in occasione del lancio della campagna umanitaria 'Una coperta per Gaza', definendole 'menzogne'.
"Le recenti accuse dell'ambasciatore palestinese, Mai al-Kaila, contro Israele in merito alla carenza di medicinali e di aiuti umanitari a Gaza, rappresentano unicamente delle menzogne - afferma un comunicato dell'ambasciata - Al contrario di quanto dichiarato dall'Ambasciatore, infatti, da Israele entrano quotidianamente nella Striscia di Gaza cibo, medicinali e altri beni di sostegno alla popolazione. Israele, inoltre, si è detto disponibile a inviare materiale umanitario in una quantità superiore a quella che viene richiesta dalle autorità di Gaza". "Durante e dopo la recente tempesta invernale, quindi, Israele ha intensificato l'aiuto umanitario aumentando la quantità di materiale inviato all'interno della Striscia - prosegue la nota - La grave emergenza sviluppatasi, purtroppo, è il frutto dell'incapacità del Governo di Hamas di prendersi cura dei suoi cittadini. Hamas, come noto, sceglie volontariamente di investire i soldi in suo possesso in corruzione e contrabbando di armi, piuttosto che destinare queste somme alla popolazione locale".
"Infine - conclude il comunicato - per quanto concerne le accuse ad Israele di aver distrutto delle dighe a Gaza al fine di provocare delle inondazioni, denunciamo queste infamie come delle sciocchezze prive di senso. Quella che l'Ambasciatore al-Kaila sta conducendo, perciò, è solamente una politica volta ad usare la popolazione di Gaza per sollevare una nuova campagna di odio nei confronti di Israele. Dispiace, quindi, che questa nuova campagna di odio stia avvenendo nello stesso periodo in cui il Segretario di Stato americano John Kerry si trova in Medioriente per promuovere il negoziato di pace fra israeliani e palestinesi".

(ANSAmed, 2 gennaio 2014)


"Una storia poco nota": non una "lista di Schindler" ma il timbro tondo del comune di Larino

di Claudio De Luca

LARINO (CB) - C'è una storia, pochissimo nota, che è bella da raccontare perché commovente e verìdica. Racconta di 73 giovani Ebrei e di un timbro tondo (falsificato nel 1943) del Comune di Larino. La vicenda riguarda alcune decine di ragazzi del Centro-Europa, condotti in Jugoslavia da Recha Freier, una patriòta che - per conto di un'associazione che si occupava di assistere i profughi israeliti - procurava loro trasporti clandestini e sostentamento. La cosa durò sinché i Tedeschi aggredirono la Jugoslavia. Da allora in poi quegli esuli furono condotti a Lubiana, nella Slovenia controllata dall'Esercito italiano, dove potettero dimorare per un anno.
Più tardi, nel 1942, furono trasportati in Italia, ospiti di "Villa Emma" in Nonantola (46 stanze, ma in condizioni precarie). Qui, dapprincipio, dormirono su giacigli improvvisati. Poi la situazione mutò in meglio perché i terreni attorno alla villa permisero di attendere ai lavori agricoli, sinché - da Genova - venne trasferito, nella soffitta del caseggiato, un magazzino assistenziale per gli Ebrei. Da qui venivano spediti pacchi di generi alimentari agli oltre 6.000 internati nelle varie località che li avevano accolti. Dopo l'8 settembre 1943, quei giovani si sentirono in pericolo; perciò, dopo una prima sistemazione nel Seminario della vicina Abbazia, si pensò alla Svizzera; ma occorrevano documenti per agevolarne l'espatrio. L'opera di contraffazione fu opera del Parroco di Rubbiana mentre le carte d'identità venivano fornite da un impiegato comunale e presentavano il timbro a secco del Comune di Larino, senza l'ala ma con cinque fasce verticali ed una centrale, più marcata. Fu ricavato da un bullone da un provetto artigiano che collaborava con l'organizzazione. Portata a termine la falsificazione, un medico del luogo prese a sottoscrivere i documenti, adoperandosi - assieme al Parroco - affinché i ragazzi di "Villa Emma" potessero raggiungere al più presto la frontiera svizzera in treno.
Con molta fortuna, essi riuscirono ad attraversare il confine e fu loro concesso asilo politico in quel territorio neutrale. Oggi il timbro a secco del Comune larinese è esposto nel Museo storico della Resistenza di Modena. Successivamente fu utilizzato ancora per altri documenti Ebrei e partigiani. Era stato lavorato in ferro poiché quelli in gomma venivano esaminati con sospetto dai Tedeschi da quando una circolare aveva imposto ai laboratori tipografici l'obbligo di registrare il nome di chi avesse avuto ad ordinarli. Probabilmente la ragione per cui si ritenne di dovere scegliere il timbro tondo dell'ente frentano dovette essere l'impossibilità di controllare il luogo di provenienza degli Ebrei (essendo stato il Molise già occupato dai soldati anglo-americani).
Il divulgatore larinese Giuseppe Mammarella azzarda un'altra ipotesi. La decisione, maturata nel periodo in cui i ragazzi avevano trovato ospitalità nell'Abbazia, dovette essere assunta ben sapendo che il Seminario diocesano frentano era stato il primo della cristianità, per essere stato istituito subito dopo il Concilio di Trento. "Sul finire degli Anni '20 - spiega l'Autore, che ora sta dando alle stampe proprio un libro sull'argomento, èdito da "Città nuova" e già recensito da "L'Osservatore romano" - era giunto nel Basso Molise don Alberto Pellesi, già seminarista a Nonantola che, nel '31, divenne Parroco di Montemitro per rientrare a Modena nel '34 dove sicuramente poté incontrare il sacerdote nonantolese che aveva salvato i ragazzi suggerendo il nome di Larino per falsificare il timbro". Dal 2004, a "Villa Emma" è stata dedicata una "fondazione" per ricordare quella vicenda di solidarietà che aveva portato la comunità di Nonantola ad accogliere ed a dare soccorso a quei 73 ragazzi con l'aiuto del Comune frentano.

(TermoliOnline, 2 gennaio 2014)


Dopo Assad, ancora Assad. Perché in Siria sono rimasti solo i fondamentalisti

di Massimo Ragnedda

 
Alma e Bashar Assad
L'Occidente, nel nome della Realpolitik, ha accettato l'idea che la soluzione migliore per la Siria, e per il mondo occidentale, sia ancora Assad. Questo non significa che Assad sia un santo o che all'improvviso sia diventato un presidente democratico, ma semplicemente che Assad è il male minore. D'altronde l'Occidente accetta e sostiene dittature molto più feroci e temibili di quella siriana: penso alle petromonarchie e in particolare all'Arabia Saudita, senza ombra di dubbio una delle società più chiuse e antidemocratiche al mondo.
  In Siria l'opposizione laica non esiste quasi più, il Comandante dell'Esercito libero siriano, il generale Salim Idris, è fuggito dopo che gli integralisti islamici hanno preso il controllo delle sue basi ai confini della Turchia, e sul campo di battaglia ci sono quasi esclusivamente miliziani islamici giunti da tutto il mondo per combattere la loro guerra santa. Guerra santa che niente ha a che fare con la giusta battaglia per la libertà e per i diritti per i quali, all'inizio, i ribelli lottavano. I fondamentalisti sunniti che combattono in Siria, lottano con l'obiettivo di trasformare la Siria in un califfato. Combattono una guerra confessionale per arginare l'ascesa dello sciismo iraniano e contenere l'influenza di Teheran in Medio Oriente. Perché in fondo la vera battaglia è quella.
  Il regime saudita usa tutta la sua influenza politica, economica e militare per arginare l'Iran, paese di ben altro calibro intellettuale, culturale e sociale. La cultura millenaria persiana non è nemmeno lontanamente paragonabile a quel tribale e medioevale paese che è l'Arabia Saudita e l'Occidente dovrebbe avere il coraggio di aprirsi un po' di più all'Iran e chiudersi, invece, all'Arabia Saudita. I sauditi sono in primissima fila nel finanziare i gruppi più estremisti e fondamentalisti un po' ovunque: dalla Somalia alla Tunisia, dall'Egitto alla Siria. Il regime saudita che ha stretto accordi con Israele per un potenziale attacco all'Iran. Cooperazione tra sauditi e israeliani che non si limita solo a pianificare una guerra contro l'Iran, ma anche a fornire addestramento (Israele) e armi (Arabia Saudita) ai terroristi che, in particolare in Libano, combattono contro gli Hezbollah (controllati dall'Iran e molto attivi in Siria al fianco di Assad). È da leggersi in questa ottica l'attentato all'ambasciata iraniana a Beirut (costato la vita a 23 persone oltre al ferimento di altre 146) avvenuto il giorno prima della ripresa dei negoziati sul nucleare, a Ginevra, tra l'Iran e le sei potenze mondiali.
  Israele e Arabia Saudita hanno paura che gli Stati Uniti ridisegnino le loro alleanze in Medio Oriente e che l'Iran possa tornare ad essere uno dei pilastri di riferimento degli Stati Uniti come lo era prima del 1979. Per questo i sauditi sono così impegnati a fornire armi e sostegno logistico ai terroristi che combattono in Siria. Altri appoggi arrivano dal Qatar (da qui la propaganda di Al Jaazera) e dalla Turchia, il cui confine con la Siria è interamente in mano a gruppi di Al qaedisti. Secondo Thomas Hegghammer, del "Norwegian Defense Research Establishment", sono circa 1200 gli europei mussulmani che combattono in Siria, ovvero il più grande numero di combattenti islamici europei della storia recente. La presenza di questi terroristi è da sempre un campanello di allarme per i governi europei. Miliziani con passaporto europeo che al loro rientro nel vecchio continente costituiranno un gravissimo problema per la sicurezza. Migliaia di fanatici ben addestrati, e ancora più radicali, pronti a portare la loro guerra santa anche nelle nostre città. E noi Occidente, tramite la Turchia e i sauditi, abbiamo fornito loro armi e logistica. Ancora una volta, come successo in Afganistan, alleviamo il ragno nel buco. Ragno pronto a pungere non appena sarà possibile.
  La caduta "democratica" di Assad era auspicabile all'inizio della cosiddetta rivoluzione, ma ora è evidente a tutti, anche agli inglesi e agli americani, che la guerra contro Assad non può essere vinta e che la sua caduta sarebbe la soluzione meno gradita. Non esiste una soluzione militare alla crisi siriana. Non esiste perché il sostegno della popolazione è ancora alto, i ribelli laici hanno abbandonato il campo di battaglia e per quanto odino Assad lo trovano un male minore rispetto ai tagliagola giunti da mezzo mondo. Quella che combattono gli alqadeisti non è la guerra laica e democratica auspicata in principio dai ribelli che chiedevano maggiori diritti e maggiore libertà. La guerra in Siria ha perso, da tempo, la sua impronta laica e democratica e ora con la disfatta dell'Esercito libero Siriano (FSA in inglese) restano sul campo solo integralisti islamici. Continuare ad armarli e sostenerli sarebbe un errore imperdonabile.
  Lo stesso generale Idris, prima della sua fuga, aveva offerto di unire le sue forze (stimati all'inizio in 120mila e ora circa 40mila) con il regime di Assad per combattere contro i terroristi islamici. E questo la dice lunga sull'aria che si respira in Siria che ha fatto, sino ad oggi, più di 100 mila morti e milioni di profughi. Ma questo, alle potenze straniere che combattono a distanza in Siria, sembra non interessare minimamente.

(tiscali-socialnews, 2 gennaio 2014)


C'è un futuro per l'ebraismo del vecchio continente?

C'è un'indubbia debolezza demografica: gli ebrei non sono più la principale minoranza religiosa non cristiana.

di Melissa Sonnino

Interrogarsi sul futuro è un esercizio mentale complesso. lnterrogarsi sul futuro dell'ebraismo europeo poi, può rivelarsi un vero e proprio rompicapo. Il XXI secolo sta vedendo l'Europa navigare in un mare di incertezze, dove le condizioni politiche, sociali ed economiche appaiono sempre più dubbie e precarie. In egual misura l'ebraismo sta attraversando un periodo fatto di realtà intricate: l'attuale polarizzazione tra ortodossi e laici, l'eterogeneità delle identità ebraiche, il sempre più vivo dibattito sul tema delle conversioni e dei matrimoni misti.
In Europa, gli ebrei non sono più la principale minoranza religiosa non cristiana. Questa debolezza demografica sta forse condannando l'ebraismo a giocare un ruolo minore rispetto alle altre minoranze etniche e religiose? L'Europa continuerà ad influenzare il mondo? Cosa vorrà dire essere ebreo in Europa?
Questi e molti altri ancora gli interrogativi a cui esperti del calibro, tra gli altri, di Dominique Moisi, geopolitico francese di fama internazionale, la storica Diana Pinto e lo specialista in demografia Sergio della Pergola hanno provato a dare risposta in occasione del primo forum di esperti organizzato ad Oxford dal JDC - International Cetnet for Community Development (Centro Internazionale per lo Sviluppo Comunitario) con lo scopo di analizzare il presente ed il futuro dell'ebraismo in Europa.
Se le prossime elezioni europee rappresentano il primo grande punto interrogativo per il futuro della nostra Europa, il Prof. Dominique Moisi ci rassicura, sostenendo che almeno tre buone ragioni terranno l'Europa unita per un buon numero di anni ancora. Prima fra tutte, una ragione di natura puramente demografica: l'Europa ha bisogno di rimanere unita per non divenire ridicolmente "piccola". Basta pensare all'Asia e all'Africa per comprendere la misura in cui, presi singolarmente, gli stati europei siano insignificanti. Inoltre viviamo un'epoca in cui gli Stati Uniti sono sempre meno interessati alle vicende europee. L'idea che il futuro sia in Asia e i problemi in Medioriente rischiano di far sparire l'Europa dalla scena, figuriamoci un'Europa divisa in tanti statarelli! Infine è innegabile che l'Europa faccia ancora sognare i non europei. La sensazione che l'Europa sia un posto civilizzato è ancora ampiamente diffusa cosi come la voglia di diventare europei.
Se l'Europa è troppo piccola nel mondo, in egual misura gli ebrei sono troppo piccoli in Europa! Tuttavia l'ebraismo europeo, cosi come l'Europa, ha ancora delle carte da giocare.
Indubbiamente le sfide per la leadership ebraica europea sono molteplici, prime fra tutte riconoscere ed apprezzare la crescente diversità presente all'interno e all'esterno delle nostre comunità. Il volto dell'ebraismo europeo sta cambiando. L'identità ebraica non è l'unica identità che possediamo e non è prevalente in egual misura tra tutti i membri di una comunità. Una maggiore diversità implica un maggiore sforzo per i centri comunitari, che probabilmente dovranno rivedere nei prossimi anni la loro "offerta". Il successo dei festival di cultura ebraica organizzati per le strade delle principali città dell'Est Europa sono il segnale che esistono modi diversi per raggiungere i cosiddetti ebrei lontani, che sempre più spesso preferiscono scegliere democraticamente i mezzi per riavvicinarsi all'ebraismo.
Seppure i contorni del futuro dell'ebraismo europeo siano ancora molto sfocati, l'ebraismo ha ancora molto da offire in Europa. Nonostante la presenza di minacce concrete come l'antisemitismo e il preoccupante calo demografico, la sensazione comune è che finchè l'Europa avrà vita, esisterà anche un ebraismo europeo.

(Shalom, dicembre 2013)


Siria: sono centotrentamila le vittime della guerra civile

Oltre undicimila morti tra donne e bambini

Il bilancio della guerra civile in Siria è salito ad almeno 130.433 vittime, più di un terzo delle quali sono civili. A segnalarlo è l'Osservatorio per i diritti umani, secondo il quale negli scontri sono rimasti uccisi 11.709 tra donne e bambini. I ribelli caduti sono 29.083, mentre fra le forze governativi e i miliziani filo-Assad si contano 52.290 morti: 262 sono del movimento sciita libanese di Hezbollah e 286 di altri gruppi sciiti non siriani.

(TGCOM24, 31 dicembre 2013)


In Reverse, mostra di Ron Arad

Torino, visitabile fino al 30 marzo 2014

Ron Arad è nato a Tel Aviv nel 1951. Ha studiato presso la Jerusalem Academy of Art e l'Architectural Association di Londra. Nel 1981 fondò con Caroline Thorman lo studio di design e produzione One Off, che divenne poi Ron Arad Associates e Ron Arad Architects. La costante sperimentazione di Arad con i materiali e il suo modo radicalmente nuovo di concepire forma e struttura lo hanno posto all'avanguardia dell'arte e del design contemporanei. I progetti recenti includono il Design Museum di Holon in Israele, Mediacite in Belgio, Singapore Freeport e Vortex a Seoul. L'estate 2011 ha assistito al lancio di Curtain Call, la più recente "scultura" di Arad realizzata con barre di silicio per creare una tela per film, spettacoli dal vivo e una fusione tra arte e pubblico. Nel 2011 è stato insignito della 2011 London Design Medal per il suo pluriennale contributo al design e alla città.
La Pinacoteca Agnelli ospita In Reverse, la mostra dell'artista, designer e architetto di fama internazionale Ron Arad.
In Reverse si concentra su un importante nuovo progetto, presentato per la prima volta quest'anno al Design Museum di Holon, iconico edificio progettato da Arad a Tel Aviv, che, attraverso esperimenti fisici e simulazioni digitali, esplora il modo in cui le carrozzerie delle automobili, soprattutto Fiat 500, si comportano sotto compressione.
Sulle pareti bianche degli spazi disegnati da Renzo Piano al 4o piano della Pinacoteca Agnelli, Arad installerà "Pressed Flowers" (2013): sei Fiat 500 schiacciate e appiattite in modo da togliere il senso della profondità come in un cartone animato o nel disegno di un bambino. I veicoli schiacciati circonderanno un telaio di formatura in legno ricurvo, uno stampo utilizzato per sagomare e adattare i pannelli metallici della 500, realizzato nel 1956 da Dante Giacosa e i suoi artigiani, preso in prestito dall'Archivio e Museo Fiat.
A fianco, Arad presenterà "Roddy Giacosa (2013)", una nuova scultura creata posizionando centinaia di barre in acciaio inox lucido su un'armatura metallica con la forma di una Fiat 500. Ogni sezione sagomata riprende la linea dei pannelli della vettura e i componenti si integrano per formarne la carrozzeria. In mostra anche Blame the Tools, lo "stampo" reticolato in acciaio inox tagliato a laser utilizzato per quest'opera.
Lungo le pareti che espongono Le "Fiat schiacciate" , si potrà ammirare un gruppo di opere di Arad. Si tratta principalmente di sedie in acciaio, che mostrano il suo percorso di sperimentazione con questo materiale dai suoi primi lavori negli anni '80, di numerosi oggetti schiacciati, come un'automobilina della polizia che trovò quarant'anni fa in una strada di Tel Aviv, e di altri studi e prove, compreso un portabottiglie appiattito da un rullo compressore.
In mostra anche "Slow Outburst (2013)", la simulazione digitale di Arad del processo di schiacciamento del modello più recente della Fiat 500, così come una scultura ricavata da un fotogramma del film "Drop (2013)" realizzato con una tecnica di stampa in 3D. Stampe digitali su carta ("Lets Drop It, OK? (2013)") catturano i risultati di compressioni digitali simulate di Roddy Giacosa.

(professione architetto, 1 gennaio 2014)


La Siria non rispetta la scadenza per l’evacuazione dell’arsenale chimico

  
Video
Appuntamento mancato. La Siria, come previsto, non è riuscita a rispettare la scadenza del 31 dicembre per evacuare dal Paese tutto l'arsenale chimico.
Due navi militari, una fregata norvegese e una danese coinvolte nel processo di smantellamento e trasporto dei materiali chimici, sono rientrate a Cipro. Non è ancora prevista una data per la nuova partenza verso la Siria.
"Comprendiamo che numerosi fattori hanno impedito alle autorità siriane di rispettare la scadenza del 31 dicembre, a partire dalle condizioni climatiche avverse in diverse regioni della Siria e dalla mancanza di condizioni di sicurezza adeguate" ha detto Chirstian Chartier, portavoce dell'Organizzazione per il Divieto delle Armi Chimiche.
Il piano approvato dalle Nazioni Unite per azzerare l'arsenale chimico del regime di Damasco prevede che la totalità delle armi di distruzione di massa siriane siano distrutte entro il 30 giugno 2014. Un processo che procede a rilento soprattutto a causa delle condizioni critiche sul terreno.
È stato in particolare l'attacco chimico del 21 agosto scorso ad accelerare la ricerca di una soluzione che evitasse un intervento armato internazionale a guida Usa nel Paese.

(euronews, 1 gennaio 2014)


Netanyahu: "La pace non dipende solo da noi"

La pace arriverà solo quando saranno garantiti i vitali "interessi di sicurezza e di insediamento" d'Israele. Lo ha detto martedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu intervenendo a Tiberiade in un convegno sullo sviluppo in Galilea. Ed ha aggiunto: "Noi vogliamo arrivare a una pace vera: pace e sicurezza. Mi auguro che questo sia possibile, ma la pace non dipende solo da noi: dipende anche dai nostri vicini". Netanyahu ha detto che "l'essenza della differenza" tra Israele e palestinesi appare evidente nelle immagini di lunedì sera della scarcerazione di detenuti condannati per terrorismo. "Mentre noi siamo disposti a prendere misure estremamente difficili e dolorose pur di arrivare alla fine del conflitto - ha sottolineato - vedo i festeggiamenti che fanno i nostri vicini, a partire dalla loro massima dirigenza. Gli assassini non sono eroi, e non è questo il modo di educare alla pace, non è così che si può fare la pace. La pace potrà esistere solo quando cesserà l'indottrinamento e l'istigazione all'odio e alla violenza".

(israele.net, 1 gennaio 2014)


Test medici per Netanyahu

TEL AVIV - Il premier israeliano Benyamin Netanyahu (64) e' stato ricoverato per esami medici in un ospedale di Gerusalemme oggi per alcune ore. Al termine dei controlli (centrati sul sistema intestinale) Netanyahu ha ripreso le proprie attivita'. Secondo la radio israeliana, si e' trattato di una visita di routine necessaria per redigere un rapporto completo sulle condizioni fisiche del primo ministro che, a quanto pare, sono soddisfacenti.

(ANSA, 1 gennaio 2014)


"Dizionario innamorato dell'ebraismo"

di Jacques Attali

Il poliedrico Attali (economista, giornalista, consigliere di stato con Mitterrand, consulente economico di Hollande, che proprio da lui fu convinto a iscriversi al Partito socialista, primo presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) nacque ad Algeri da genitori ebrei assieme a un gemello, il primo novembre di settant'anni fa, e cioè ventiquattro ore dopo il ristabilimento di quel decreto che nel 1870 aveva accordato la cittadinanza a tutti gli ebrei di Algeria, e che nell'ottobre 1940 era stato revocato dal governo di Vichy. Il padre era "rabbino per cultura se non per professione", ricorda, mentre la madre "insegnava l'ebraico e la Bibbia agli allievi di una scuola dell'Alleanza israelitica universale ad Algeri". Discendenti di sefarditi fuggiti in nord Africa dalla Spagna, "entrambi traducevano l'ebraico in francese passando per l'arabo, lingua nella quale, per quindici secoli, quasi sessanta generazioni di ebrei hanno commentato la Bibbia". Ma nel 1956 anche loro avrebbero dovuto di nuovo emigrare, dirigendosi nella Francia metropolitana. Della città natale, Attali ricorda che la sua "essenza ebraica - così vibrante, calorosa e intensa - è da allora totalmente scomparsa". In un primo momento, all'offerta di contribuire con questo testo a una popolare collana francese dedicata ai "dizionari innamorati", Attali aveva reagito con perplessità: "Io leggo l'ebraico, ma lo parlo male, e il giudaismo non è che una delle dimensioni della mia cultura, della mia storia e della mia visione del mondo", avrebbe risposto. In cambio, si offrì di scrivere un dizionario "innamorato del futuro". Ma poi, "ripensandoci - spiega - ho realizzato che quella era in fondo la migliore definizione del giudaismo: il giudaismo è innamorato del futuro. E allora ho accettato", ne sono uscite quasi novanta voci. "Naturalmente l'ordine alfabetico proprio di ogni dizionario non è, in alcun modo, il più logico. Tuttavia, poiché il popolo ebraico adora i giochi di parole e i giochi di lettere, non è affatto per caso che questo libro comincia con Aronne, il primo gran sacerdote, e finisce con Zohar, il grande libro della Qabbalah: bisogna cominciare con il purificarsi per andare, di voce in voce, fino al più grande mistero". Nella versione italiana, rispetto all'originale francese l'inizio si è spostato su Abele. Che peraltro, secondo il traduttore, offre anch'esso "significati interessanti" per "i lettori amanti dei giochi di parole e di lettere". Non si tratta di un'enciclopedia aridamente nozionistica, ma del tentativo di interpretare e vivificare un'eredità personale e culturale dalla portata globale. Quello di Attali è un ebraismo dubbioso, essenziale: "Nomadi, gli ebrei adorano viaggiare leggeri, perciò amano la sintesi". Che può essere una lingua, o un libro, o una teologia, o una pratica, o un modo di pensare, ma soprattutto una storia. Una storia millenaria, in primo luogo mitologica, segnata dall'enigma storico di come sia riuscito a sopravvivere ai millenni e alle più tremende avversità, ma anche dal confronto e dallo scambio con le altre civiltà. E che diventa oggi, in forza della sua spiccata singolarità, un baluardo della resistenza a una certa globalizzazione in cui "tutte le comunità, tutte le culture, tutte le religioni, tutti i particolarismi sono minacciati dalla stessa dissoluzione". "Conoscete i sei ebrei che hanno cambiato la storia del mondo?", chiede a un certo punto Attali, che confessa la sua predilezione molto ebraica per storielle e apologhi. "Mosè, perché ha detto: 'Tutto è Legge'. Gesù, perché ha detto: 'Tutto è Amore'. Spinoza, perché ha detto: 'Tutto è Natura'. Marx, perché ha detto: 'Tutto è Denaro'. Freud, perché ha detto: 'Tutto è Sesso'. Infine Einstein, perché ha detto: 'Tutto è relativo'".

(Il Foglio, 1 gennaio 2014)


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