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Notizie gennaio 2014
Intercettato da Israele un missile diretto contro Eilat
GERUSALEMME, 31 gen. - Il sistema antimissili israeliano ha intercettato e distrutto un missile diretto contro la localita' balneare sul Mar Rosso di Eilat. Lo ha reso noto la polizia spiegando che l'operazione non ha causato danni ne' a cose ne' a persone. Lo scorso 20 gennaio due missili sono stati sparati sempre contro Eilaty e il lancio e' stato rivendicato da un gruppo terrorista.
(AGI, 31 gennaio 2014)
Matilde Sarano non dimentica
La scrittrice ebrea salvata con i familiari a Mombaroccio nel '43, rimane legata ai luoghi ed alle famiglie che l'aiutarono da bambina.
di Maria Luisa Moscati Benigni
MOMBAROCCIO (PU) - Ciò che accadde a Mombaroccio nei racconti di Matilde Sarano.
La mattina del 26 giugno 2000 c'è alla stazione di Pesaro un vecchio signore in attesa: è Aharon Cohen, il primo shaliach (inviato) del Bené Akiva, che già negli anni '50 veniva in Italia per organizzare i campeggi estivi dei giovani ebrei. All'epoca aveva conosciuto a Milano Matilde Sarano, si erano sposati e l'aveva condotta in Israele.
Questa volta però era in Italia per organizzare un viaggio dono che la nipotina Tova Vida, dodicenne, aveva chiesto in occasione del suo bath-mizwà, la Maggiorità religiosa. Desiderava visitare i luoghi di cui tante volte la nonna Matilde, diventata scrittrice e poetessa molto nota in Israele, le aveva narrato, a viva voce e nei suoi scritti... i luoghi della salvezza.
Alla fermata del treno dunque, Aharon accoglie la figlia Liora, le due nipotine Tova Vida e Avigail Diana e il genero rabbino Avraham Kelman che spinge il passeggino con l'ultimo nato Baruch Lev. Tutti provenienti da Israele.
La nonna Matilde, per ragioni di salute, non ha potuto partecipare, ma Tova Vida conosce bene la storia.
Stipati in un taxi raggiungono Mombaroccio e all'albergatore chiedono per prima cosa le indicazioni necessarie per rintracciare la mai dimenticata famiglia di Igino Ciaffoni. Questi nel settembre del '43 aveva affittato alla famiglia Sarano un cascinale, poco più di un granaio, e lì erano rimasti sino all'agosto del '44. Mesi durissimi, fatti di fame e di stenti, senza acqua né luce né servizi, ma confortati dall'affetto della famiglia Ciaffoni, dalla premura di un'impiegata comunale che aveva ottenuto per loro la tessera per il grano, e dalle visite giornaliere del prezioso lattaio Dante Perazzini e il figlio Ermete che ogni giorno portava loro un alimento così prezioso in una famiglia con vecchi e bambini.
Erano gli unici, oltre a padre Sante Raffaelli, superiore del vicino convento del Beato Sante, a conoscere la vera identità dei Sarano. Tutti seppero tacere per non mettere a repentaglio le vite di quei sette ebrei in disperata fuga, nonché le proprie, vista la crudezza delle Leggi razziali.
La famiglia Sarano, in un primo momento solo le donne, aveva lasciato Milano rimanendo sei mesi a Pesaro, poi, proprio nel giorno di Rosh a-shanà, il capodanno ebraico, dopo l'8 settembre, caricate su un biroccio, mandato dai Ciaffoni, le cose più care portate da Milano, aveva raggiunto Mombaroccio. Oltre ai genitori Alfredo e Diana Sarano con le due figliolette Matilde e Vittorina, c'erano i nonni Moshé e Allegra Sarano e uno zio, Arturo. Quando nel freddo inverno la nonna li aveva lasciati, la sepoltura ebraica sarebbe stato un problema, che però padre Raffaelli seppe risolvere esibendo documenti da cui risultava che era turca musulmana (dopo la guerra verrà trasferita al cimitero ebraico di Milano).
I visitatori dunque incontrano nell'aia il figlio di Igino e con lui raggiungono il granaio che era stato la "casa rifugio" dei Sarano per dodici lunghi mesi. La moglie di Igino, con i capelli candidi e i passi lenti, li accoglie commossa poiché ricordava benissimo Diana e le sue due bimbe chiacchierine e le angosce di tutta la famiglia per il continuo terrore dei tedeschi. Il pericolo maggiore incombeva su Alfredo che, nella sua qualità di segretario della Comunità ebraica di Milano, conosceva nomi e indirizzi degli ebrei milanesi e sarebbe stato estremamente pericoloso se fosse stato catturato.
La visita al convento del Beato Sante non può mancare in questa sorta di pellegrinaggio nei luoghi della salvezza e lì apprendono che uno dei tedeschi, il comandante Erich Eder, era al corrente della presenza di una famiglia di ebrei, ma evidentemente non contagiato dal paganesimo ideologico nazista, era rimasto un cattolico credente e non li aveva denunciati alle SS che pure erano presenti in loco per organizzare la difesa sulla linea gotica.
Matilde, che all'epoca aveva solo quattro anni, aveva raccontato in modo così vivo la notte del 25 agosto '44, che a tutti loro sembrò di riviverla: la corsa sotto le bombe in braccio ai genitori, i bagliori che accendevano il cielo e la discesa nel rifugio nei sotterranei del convento dove padre Raffaelli li aveva accolti insieme ai paesani e a decine di sfollati.
Padre Sante Raffaelli nell'iniziare le preghiere aveva lasciato che Alfredo aprisse con le parole dello Shemà Israel... mentre Diana si stringeva devotamente al petto la mezuzà che aveva portato dalla casa di Milano e che in tante occasioni li aveva salvati.
Il bombardamento era stato violentissimo, ma più terrificanti erano le voci dei tedeschi che impartivano ordini concitati, ma al mattino, come sempre dopo una tempesta, tutto era diventato sereno. Nel giro di ventiquattr'ore tutto era cambiato: i tedeschi in fuga, i canadesi in arrivo, finalmente salvi. Una gioia immensa che nulla riusciva a smorzare, neppure il constatare che nella notte, la loro "casa" era stata completamente svaligiata.
Portati a Pesaro dagli Alleati, con indicibile commozione, incontrarono i giovani della First Camonflage, ebrei palestinesi della Brigata Ebraica che poi ricostruiranno il ponte a loro recentemente dedicato; questi risalivano la penisola agli ordini del generale Alexander combattendo sotto quella bandiera che sarà poi la bandiera di Israele.
Saranno loro a condurre l'intera famiglia Sarano a Roma dove si stavano raccogliendo gli ebrei scampati alle deportazioni. Solo nel '45 potranno tornare a Milano, ma, in attesa che fosse loro restituita la casa, vissero in un alloggio di fortuna dove a turno la notte, dovevano proteggere Miriam, appena nata, dall'assalto dei topi.
Ad Evelina e Iride Ciaffoni venne conferito un Certificato di benemerenza, ma forse il regalo più bello era il sorriso che il piccolo Baruch Lev dispensava a tutti dal suo passeggino, quasi a ringraziare l'intero paese... senza tanta solidarietà lui, le sue sorelline e la loro mamma Liora non sarebbero mai nati.
(Quotidiano.Net, 31 gennaio 2014)
Richiesto alla procura di Augusta lelenco delle opere trovate in casa di Cornelius Gurlitt
Molte opere d'arte sottratte dai nazisti agli ebrei
BERLINO - La giustizia tedesca ha imposto alla procura di Augusta, in Baviera, di fornire alla stampa una lista completa del cosiddetto "tesoro nazista", circa 1.400 opere d'arte, fra le quali anche dei Matisse e Chagall, ritrovate a Monaco nel 2012 presso l'abitazione di un collezionista ottantenne, Cornelius Gurlitt.
Il quotidiano tedesco Bild si era rivolto al tribunale amministrativo di Augusta sostenendo che la procura non aveva alcun obbligo di imporre il segreto su queste opere d'arte, una buona parte delle quali era stato rubato dai nazisti agli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Il tribunale ha quindi chiesto alla procura di fornire una "descrizione dettagliata delle opere" ai giornalisti. La procura dovrà anche precisare per quali oggetti sono stati già individuati o contattati i proprietari, senza rivelare i loro nomi. La procura ha già detto che farà appello contro questa decisione.
(TMNews, 31 gennaio 2014)
Roma - Preso l'autore del pacco ignobile
Pacifici: "Grazie alla Questura e agli uomini della Sicurezza della Cer (Comunità Ebraica di Roma)"
"La Comunità Ebraica di Roma ringrazia le forze dell'ordine per aver identificato il presunto autore del pacco ignobile che è stato spedito nella nostra sede, in quella dell'Ambasciata d'Israele in Italia e in quella del Museo di Trastevere dove è in corso una mostra sulla Memoria. La prontezza e la velocità d'intervento dimostrano ancora una volta l'attenzione della Questura ai fenomeni criminosi che si verificano a Roma. Al dottor Massimo Maria Mazza, al dottor Diego Parente della Digos e ai loro uomini vanno i nostri complimenti per l'ottimo lavoro svolto. Un ringraziamento particolare anche agli organi di sicurezza interni allaComunità Ebraica di Roma che, seguendo le procedure standard, hanno saputo affrontare con professionalità questa spiacevole vicenda".
Lo dichiara il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.
(Comunità Ebraica di Roma, 31 gennaio 2014)
Iran: Il numero delle esecuzioni è arrivato a 83 dal 6 al 30 Gennaio
Esecuzione clandestina e collettiva di sei prigionieri nella prigione di Urumiyah
Il disumano regime teocratico ha impiccato clandestinamente sei prigionieri nella prigione centrale di Urumiyah il 30 Gennaio. Inoltre il giorno prima, l'intelligence dei mullah hanno portato la notizia dell'esecuzione di due prigionieri politici alle loro famiglie.
Finora, queste esecuzioni hanno portato il numero di quelle registrate a Gennaio a 83. E questo mentre il loro numero a Gennaio 2013 era di 46, il che dimostra un aumento di circa il 90%.
In un altro episodio, martedi 28 Gennaio, gli aguzzini del regime hanno messo sotto pressione sette prigionieri del Kurdistan nella sezione 350 della prigione di Evin perché collaborassero con il regime. Sono stati minacciati che, nel caso si fossero rifiutati, il tribunale supremo del regime li avrebbe rapidamente condannati a morte con le accuse di Moharebeh e "propaganda contro il sistema" e che le sentenze sarebbero state eseguite.
Il trend in crescita costante delle esecuzioni, utilizzate per amplificare l'atmosfera di terrore nella società, tradisce la paura dei mullah per il diffondersi del malcontento popolare causato dalle dimensioni crescenti della repressione e dal catastrofico andamento del tasso di povertà e disoccupazione, nonché dalla distruzione di tutte le infrastrutture economiche e produttive del paese.
(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. 31 gennaio 2014)
Anche Scarlett Johansson vittima dell'odio antisemita
L'attrice costretta a lasciare l'incarico di ambasciatrice dell'ong Oxfam che si autodefinisce «grande confederazione basata sulla democrazia».
di Giuseppe Pollicelli
Una organizzazione non governativa che operi delle discriminazioni è di per sé una stranezza, quasi una contraddizione in termini. O almeno dovrebbe esserlo. Soprattutto se, sul proprio sito, l'ong in questione si definisce «un grande network internazionale di organizzazioni di Paesi diversi per ottenere un maggior impatto nella lotta globale contro la povertà e l'ingiustizia. Una grande confederazione basata sulla democrazia e la partecipazione come strumenti di governance interna ed esterna». È questa la descrizione che di se stessa fa la Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief), una confederazione di ong nata in Inghilterra nel 1942 e impegnata a combattere la povertà a livello mondiale. Sul sito italiano della Oxfam si legge anche: «Per sradicare povertà, ingiustizia e le loro cause è necessario operare a 3600 nel nord e nel sud del mondo». A 3600 ma, a quanto pare, con qualche eccezione.
Che poi è un'eccezione soltanto, la solita eccezione: lo Stato d'Israele. E a far le spese di tale eccezione è stata, questa volta, perfino una superstar di Hollywood come Scarlett Johansson, la bella attrice newyorchese che dal 2005 figurava tra gli ambasciatori della Oxfam. Incarico che Scarlett ha ora deciso di lasciare, dopo che sul suo capo sono piovute dure critiche da parte della Oxfam stessa. Di quale colpa si è macchiata, Scarlett? La seguente: interpretare uno spot pubblicitario della SodaStream, azienda che produce apparecchi per realizzare in casa bibite gasate. Dov'è lo scandalo? Semplice: la SodaStream è una ditta israeliana e, fatto ancor più imperdonabile per la Oxfam, tra i suoi 25 stabilimenti ce n'è uno situato a Maaleh Adumim, un enorme insediamento ebraico in Cisgiordania. Tanto è bastato perché l'ong rilasciasse dichiarazioni di questo tenore: «Oxfam ritiene che le aziende come SodaStream, che operano in insediamenti, aggravano ulteriormente la povertà e negano il diritto delle comunità palestinesi per cui lavoriamo».
Punto di vista con cui non sembrano concordare i tanti palestinesi che, al fianco di lavoratori ebrei, sono impiegati presso la SodaStream. Una pacifica convivenza che ha indotto l'amministratore delegato del colosso israeliano, Daniel Birnbaum, a far notare come «l'unicità della SodaStream è proprio nella sede che si trova in Cisgiordania, nell'area C. Siamo in grado di assumere persone di ogni tipo: palestinesi al fianco di arabi israeliani ed ebrei israeliani. Lavorano insieme. Abbiamo circa 1200-1300 persone che lavorano in questo stabilimento, in pace e armonia, e siamo molto orgogliosi di essere stati in grado di venire qui e di contribuire a nostro modo alla coesistenza e, speriamo, alla pace di questa regione».
Parole che non hanno scalfito l'oltranzismo anti israeliano della Oxfam, che non ha fatto una piega di fronte al commiato di un'esasperata Scarlett Johansson: «Il ruolo della signora Johansson nel promuovere l'azienda SodaStream», ha fatto sapere l'ong, «è incompatibile con il suo incarico di ambasciatrice nel mondo». Malgrado lo sbandierato sostegno alla democrazia e alla partecipazione, e nonostante l'auspicio che si operi a 360 gradi per combattere povertà e ingiustizie, la concreta azione di avvicinamento tra israeliani e palestinesi realizzata dalla SodaStrearn attraverso l'offerta di posti di lavoro è considerata dalla Oxfam un fatto estremamente negativo, meritevole di condanna.
Spulciando nella lista degli ambasciatori della ong, si apprende peraltro che del gruppo fa parte l'82enne Desmond Tutu, arcivescovo sudafricano della Chiesa anglicana (Nobel per la pace nel 1984), il quale da tempo paragona la politica di Israele all'apartheid, ha detto che il sionismo ha molti punti in comune con il razzismo e, durante un incontro di alcuni anni fa con l'ambasciatore israeliano in Sudafrica, si rifiutò di nominare Israele usando sempre e solo la parola Palestina. Performance che, a quanto par di capire, non mettono affatto in pericolo il suo ruolo di ambasciatore della Oxfam. E allora ditelo.
(Libero, 31 gennaio 2014)
Avigdor Lieberman loda il coraggio di Scarlett Johansson
GERUSALEMME, 31 gen - "Il nostro premio Oscar va a Scarlett": così il Ministro israeliano degli Esteri Avigdor Lieberman ha commentato la vicenda della star cinematografica Scarlett Johansson che si e' schierata contro il boicottaggio di un'azienda israeliana di bibite, la SodaStream, che ha uno stabilimento in Giudea-Samaria, in un grande insediamento di ebrei israeliani.
L'attrice, secondo Lieberman, "ha dato prova di coraggio di fronte all'ipocrisia e all'ottusità". "Il tentativo di organizzazioni filo-palestinesi di attaccarla non è riuscito a piegare l'attrice, né l'ha indotta a scusarsi. Ella ha anzi preferito attenersi ai propri principi in maniera chiara di fronte a chi, accampando argomentazioni infondate, porta avanti l'antisemitismo classico con metodi diversi", ha sostenuto Lieberman. Parole di congratulazioni sono giunte anche dalla negoziatrice israeliana, la ministra centrista Tzipi Livni, che nella sua pagina Facebook scrive: "Tanto di cappello a Scarlett", che "è molto in gamba, bella e coraggiosa".
L'attrice e coloro che ne difendono la decisione di accettare il ruolo di testimonial per la SodaStream fanno notare che l'azienda impiega in Cisgiordania dipendenti sia israeliani sia palestinesi.
(Fonte: ANSA, 31 gennaio 2014)
Quegli ebrei venuti dalla Germania per imparare a lavorare la terra
Duecento giovani, fra cui anche alcune donne, fino al 1938 frequentarono il podere "Ricavo" a Castellina
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MATRIMONI DI CONVENIENZA
Alcuni si sposarono per amore e altri perche' cosi' riuscivano ad ottenere il permesso per l'immigrazione.
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LA SCOPERTA
«Ho ritrovato alcuni discendenti di quei giovani e il rabbino ha scoperto che il padre, Leo Levi, era tra i protagonisti della storia».
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LA CERIMONIA CON IL PREFETTO
Il caso della 'ascharà di ricavo', ricostruito da Paola Giovanna Morelli, e' stato presentato ieri matiina anche alle scuole.
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IL VIAGGIO
Dopo le leggi razziali furono costretti a partire per la Palestina.
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Ci sono pezzi di storia destinati a rimanere nascosti e dimenticati oppure a volte, per puro caso, riportati alla luce grazie a un passaparola che si tramanda da anni ma che molti non conoscono più. E' il caso della 'ascharà di Ricavo', ricostruita dall'archivista Paola Giovanna Morelli e presentata ieri a Castellina in Chianti, in una cerimonia particolare del Giorno della memoria. Una storia diversa, che non parla di Shoah e che è stata raccontata ieri alla presenza del prefetto Renato Saccone, del rabbino di Firenze Rav Yosef Levi, del professor Giuliano Catoni, del sindaco Marcello Bonechi, delle autorità locali e di alcune scolaresche.
«Tutto è nato per caso - racconta Morelli - un'amica mi chiese se fossi a conoscenza della 'ascharà di Ricavo', di qualcosa dove si impara, dove si fa apprendistato e in questo caso avrebbe dovuto essere a Ricavo, Castellina. Non ne sapevo nulla, mi sono messa a cercare ma non ho trovato nulla, ho chiesto in paese ma nulla. Stavo per abbandonare quando mi è venuta in mente la tradizione orale e sono andata alla casa di riposo dove un anziano mi ha detto: «Certo che mi ricordo! Quel poggio accanto a casa tua si chiama poggio degli ebrei perché lo hanno dissodato loro». Di lì sono partite le ricerche tra Italia e Israele, archivi di Stato, chiacchierate, finché ho trovato Vittorio Luttazzi, italiano che era partito da Israele con la stessa ricerca. Nel 2001 abbiamo iniziato la ricerca e nel 2005 abbiamo presentato la mostra ad Haifa. Oggi, a 80 anni da quella storia, siamo tornati dove è nata». Il risultato è sorprendente, mentre prosegue il racconto. «Nel 1934 un'organizzazione tedesca avviava i sionisti religiosi di quel Paese alle professioni e mandò 200 giovani - tra questi anche donne - a Castellina, nel podere del Ricavo, affidandoli ai mezzadri: i ragazzi avrebbero imparato a lavorare la terra, all'epoca arida e simile a quella della Palestina e in cambio loro avrebbero comunque lavorato, dando una mano. Una storia durata fino al 1938, con l'arrivo delle leggi razziali e l'espulsione dei giovani ebrei. Quattordici i matrimoni celebrati a Castellina, alcuni veri, altri di convenienza per avere il diritto al permesso di immigrazione verso la Palestina. Nel mio lavoro ho ritrovato alcuni discendenti di quei giovani. E il rabbino ha scoperto che il padre, Leo Levi, era tra i protagonisti di questa stona». r.d.s.
LA RICERCA
«Nel 2001 sono iniziate le ricerche e nel 2005 c'è stata la mostra ad Haifa, A 80 anni da questa storia siamo tornati dov' è nata».
ANCHE IN ISRAELE
«Sono seguite indagini tra Italia e Israele, archivi di Stato, chiacchierate, finché ho trovato Vittorio Luttazzi».
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TRADIZIONE ORALE
«Alla casa di riposo locale un anziano mi ha detto: 'Certo che mi ricordo! C'è il poggio degli ebrei, l'hanno dissodato loro».
LA CERIMONIA
Un modo diverso per celebrare la Giornata della Memoria quello scelto ieri a Castellina in Chianti, recuperando una storia molto bella e particolare avvenuta in questo angolo di provincia.
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(La Nazione, 31 gennaio 2014)
Yaalon: non tollereremo il lancio di razzi su Israele
TEL AVIV, |
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