Notizie febbraio 2014
"La Giordania è araba!": il grido di guerra dei Fratelli Musulmani
Dopo la sconfitta politica subita con la caduta di Mahmud Morsi in Egitto, i Fratelli Musulmani giordani riscoprono la causa palestinese come cavallo di battaglia: tutti ad Amman per contestare la stretta alleanza del regno hashemita con Washington, l'Europa, l'Occidente.
di Maurizio Molinari
Venerdì, ore 12.30, Grande Moschea Husseini. E' il momento della settimana scelto dai Fratelli Musulmani per manifestare contro tutto ciò che avversano di più: l'America, Israele, la monarchia hashemita e lo stile di vita occidentale. Le foto che pubblichiamo descrivono quanto avviene. Appena la preghiera finisce, la polizia di schiera. E' in assetto anti-sommossa ma l'approccio è pacifico. Punta sulla deterrenza. I Fratelli Musulmani alzano una bandiera giordana, impugnano un megafono e iniziano a ritmare il grido: "La Giordania è araba, la Giordania è araba". E' una maniera per contestare la stretta alleanza del regno hashemita con Washington, l'Europa, l'Occidente. Il gruppo di militanti islamici diventa una piccola folla. Arriva fino a 500, forse 600 persone. Circondati dalla polizia ma anche dai reporter di tv, radio e siti Internet arabi. E' una donna la portavoce che, kefia palestinese sulle spalle, parla per tutti: "Siamo qui per la Palestina, Gerusalemme deve essere liberata".
Dopo la sconfitta politica subita con la caduta di Mahmud Morsi in Egitto, i Fratelli Musulmani giordani riscoprono la causa palestinese come cavallo di battaglia. Anche perché la maggioranza di loro, qui in Giordania, è di origine palestinese. Gli agenti giordani, caschi e giubbotti anti-proiettile, guardano i manifestanti da pochi metri di distanza. Poi parte il grido "Re Abdallah ascolta Allah" ovvero l'appello al re a seguire la via islamica. E' incalzante. Alcuni militanti salgono sulle spalle di altri per arringare la folla, guidare il ritmo. E gli agenti si avvicinano ancora ma senza mostrare nervosismo. Ora a fianco dei poliziotti ci sono anche alcuni militari. Si tratta di ufficiali. Sono loro a guidare, muovendo solo gli occhi, in rigoroso silenzio, l'operazione che disperde i manifestanti. Gli agenti si muovono tutti assieme ma con calma, dividono i Fratelli Musulmani in due gruppi e poi li portano ad avvicinarsi sempre più fino al marciapiede, dove sono le bancarelle ed i negozi ad obbligarli a disperdersi. Il metodo perentorio ma senza alcun accenno di violenza degli agenti giordani ricorda da vicino quella con cui i Bobbys londinesi mantengono l'ordine senza fare uso - o mettere in mostra - armi. Mezz'ora dopo l'inizio della manifestazione, il piazzale davanti alla moschea è di nuovo libero. Si torna a vendere tè, tuniche e hijab. I militanti islamici sono scomparsi nelle vie dei mercati adiacenti. La deterrenza in stile britannico della "Royal Police" ha vinto un nuovo round. In attesa del prossimo venerdì, quando i Fratelli Musulmani torneranno in piazza dopo la preghiera.
(La Stampa, 28 febbraio 2014)
Uno sguardo sul pericolo per gli ebrei in Ucraina
di Elisa Gianni
L'imporsi degli Euromaiden è andato di pari passo con i timori di un'escalation di allarmismo antisemita.
A dare adito a queste paure è innanzitutto la presenza, nel maxi-gruppo anti-governativo, di gruppi di estrema destra quali Pravy Sektor (Settore Destro) e il partito neo-nazista Svoboda che vanta ben 36 rappresentanti seduti tra i 450 seggi del parlamento ucraino e di cui farebbe parte poco meno di un terzo dei manifestanti che, negli ultimi mesi, hanno combattuto per le strade di Kiev contro l'ormai deposto presidente Yanukovich.
Poi ci sono alcune notizie. Ad esempio, quella battuta dall'agenzia JTA (Jewish Telegraphic Agency) che nei giorni scorsi ha parlato dell'attacco molotov alla sinagoga della cittadina Zaporizhia, nell'area sud-Occidentale dell'Ucraina. Oppure il vandalismo ai danni di altri luoghi di culto della religione ebraica, a Kiev, che si aggiunge a un più generico "aumento negli attacchi agli ebrei, che raramente è stato notato nel racconto più ampio della rivoluzione in Piazza Indipendenza", denunciato da Haaretz - che pure riporta le parole del rabbino che ha invitato gli ebrei ucraini a lasciare il Paese.
Ma la situazione non è così netta ed è difficile fare chiarezza sul rischio reale o meno della popolazione ebraica in Ucraina (circa 250mila - la metà di questi residenti nella capitale Kiev, secondo le cifre date da un ministro israeliano).
Sono infatti gli stessi rabbini a tentare di gettare acqua sul fuoco. Tra i primi c'è stato quello che, di fronte alla folla di piazza Maiden, ha chiamato all'unità nazionale di tutti gli ucraini. Poi ci sono quelli che hanno accusato chi invitava gli ebrei ad andarsene di fare il gioco della Russia. La paura infatti è che il presunto allarme sia orchestrato ad arte dal Cremlino per gettare discredito su Euromaiden - che da parte sua rigetta le accuse di antisemitismo.
Il Jerusalem Post tenta di dare il giusto peso all'allarmismo, riportando le parole del rabbino capo Yaakov Bleich che ha chiarito che al momento "non si hanno notizie di ebrei presi di mira, ma un pericolo esiste", oltre a quelle di chi ricorda che in Piazza Indipendenza è scorso sì il sangue degli ebrei, ma come d'altronde è scorso il sangue degli ucraini.
Nel clima di incertezza vissuto dalla comunità ebraica di Kiev, ciò che tuttavia pare essere indubbio è il passato "pre-rivoluzionario", per dirla con Gawker, del Paese. Un passato che ha portato a mal concepire l'idea che si possa essere "ucraini e ebrei". Tuttavia, si sottolinea ancora nell'articolo, "la rivoluzione in sé non è una rivoluzione nazista, né i difensori della precedente oligarchia sono propriamente amici della minoranza. Nessuna fazione è particolarmente amichevole con gli ebrei o qualunque altra minoranza religiosa, etnica o sessuale, perché questa è l'Ucraina".
(Squer.it, 28 febbraio 2014)
Maratona di Tel Aviv: vittoria di Eziel Koech
Un keniano stabilisce il record della manifestazione
TEL AVIV - Il keniano Eziel Koech ha vinto la maratona di Tel Aviv stabilendo il nuovo record del percorso in 2h14'40''. L'evento, al quale hanno partecipato 40mila concorrenti, ha bloccato la città con fermi del traffico, uffici e scuole chiuse. L'anno scorso ci fu un morto per il caldo e per questo motivo in molti chiesero la cancellazione della gara, che si svolgeva a marzo, a partire da quest'anno, richiesta non accolta.
Oggi non ci sono stati problemi tranne alcune persone colte da lievi malori.
(ANSA, 28 febbraio 2014)
Sondaggio: la destra moderata appoggia la pace e Netanyahu
Cresce la volontà per un'ntesa: almeno il 63% a favore di un accordo
In Israele sembra crescere la volontà di pace da parte della destra moderata. Secondo un sondaggio pubblicato oggi da Haaretz, circa il 63% degli israeliani che parlano ebraico è in via di principio a favore di un accordo nella regione, anche senza conoscere i contenuti precisi della possibile intesa.
Inoltre il 73% del campione appoggerebbe il premier Benyamin Netanyahu nell'intesa e, in vista di questa, il 56% voterebbe per lui se dovesse fondare un nuovo partito.
La percentuale a favore di un'intesa con i palestinesi arriva al 76% se gli intervistati vengono messi al corrente di quelli che potrebbero essere i possibili dettagli dell'accordo, basato sull'iniziativa del segretario di stato John Kerry e sulla interpretazione di quella della Lega Araba. Ovvero, il "pieno riconoscimento e normali relazioni" con Israele da parte di 53 Stati arabi e musulmani in cambio di "un globale accordo di pace" con i palestinesi.
Per quanto riguarda la composizione politica del campione del sondaggio - commissionato dal 'Gruppo israeliano per l'iniziativa di pace' - il 28% di questo si è descritto "di destra estrema", il 24% di "destra moderata", il 28% di "centro", il 16% di "sinistra moderata" o "estrema". Il Gruppo ha sottolineato che in base ai risultati dell'inchiesta "diventa chiaro che c'è un significativo aumento nella volontà della destra moderata di accettare concessioni e sostenere sia un accordo sia Netanyahu, dovesse il premier guidare questo processo".
(ANSAmed, 28 febbraio 2014)
Haredim in piazza contro l'obbligo della divisa
Un'onda di persone si riverserà domenica lungo le strade di Gerusalemme. Un'onda di protesta che confluirà da tutto il paese all'ingresso della città e nella zona della Knesset, il parlamento israeliano. "Noi abbiamo scelto la Torah", reciteranno alcuni cartelli imbracciati dalle migliaia di manifestanti. Non ci saranno discorsi o soliloqui dal palco di Jaffa Street, dove il mondo ultraortodosso israeliano domenica si riunirà per protestare contro la legge sull'obbligo di leva. I rabbini leggeranno delle preghiere, perché hanno scelto la Torah e non vogliono vedere i loro studenti costretti a vestire la divisa verde dell'Idf (Israel Defence Force). Un privilegio, evitare il servizio militare, a lungo concesso agli studenti delle yeshivot (scuole religiose) ma che ora sarà in parte revocato: una legge, ancora al vaglio del parlamento, vuole introdurre una quota di leva da raggiungere annualmente per i ragazzi haredim. La pena prevista per i disertori sarebbe la detenzione.
La proposta di legge è stata fortemente osteggiata dal mondo ultraortodosso, culminando negli ultimi mesi in diverse proteste per le strade (con casi di scontri fra manifestanti e polizia). Quella di domenica sarà l'ultima in ordine cronologico e probabilmente la più partecipata essendo stata indetta dai consigli rabbinici di Degel HaTorah, Agudat Yisrael e Shas, i tre principali movimenti haredim di Israele. "La protesta di massa per pregare e gridare contro il sopruso su chi studia la Torah", il lungo titolo scelto per la manifestazione che richiamerà ultraortodossi da tutto il paese. Una realtà che costituisce oltre il 10% della popolazione israeliana, percepita dal mondo laico come distante, autoemarginata e detentrice di privilegi ingiustificati. L'esenzione dall'obbligo di leva per gli studenti delle yeshivot così come i sussidi di stato sono il principale bersaglio delle polemiche che piovono sui haredim. Secondo il ministro delle Finanze Yair Lapid, il servizio militare sarebbe uno strumento per superare queste problematiche, una chiave per l'integrazione. "Il 91% degli ultraortodossi che si sono arruolati nell'esercito dopo hanno scelto di entrare nel mercato del lavoro", ha dichiarato recentemente Lapid, toccando un altro punto nodale della questione, la disoccupazione diffusa del mondo ultraortodosso, che ha portato buona parte di questo spaccato sociale sotto la soglia della povertà. "Il nostro lavoro come Stato è di aiutarli a fare questo tipo di passaggio. È giusto e necessario e la classe media non può più, e in ogni caso non dovrebbe mai, pagare i conti degli altri", affermava il ministro, riferendosi ai sussidi elargiti dallo Stato ai haredim. E proprio Lapid è uno dei bersagli della manifestazione di domenica, a cui si contesta il tentativo di criminalizzare (con la previsione della pena della detenzione) una parte della società israeliana. "Tutti i rabbini che parteciperanno a questo storico incontro sono dell'opinione che il malvagio governo di Lapid e Netanyahu vuole sradicare l'ebraismo haredi, fermare la sua espansione (secondo i calcoli del noto demografo Sergio Della Pergola " fra 30 o 40 anni il 50% dei bambini di questo paese saranno figli di famiglie ultraortodosse") e finché l'opinione condivisa sarà non fare l'esercito per nessun motivo né condizione, l'opzione di emigrare cresce, con tutto il dolore che lasciare Israel vorrebbe dire", scrive il giornale HaMahane HaHaredi. Prese di posizioni dure che non aiutano a trovare una soluzione condivisa a un problema che potrebbe aumentare ulteriormente il solco tra società civile e mondo haredi.
(moked, 28 febbraio 2014)
Trentino e Israele uniti nella ricerca industriale
Con una delibera del presidente Ugo Rossi sono stati approvati oggi gli esiti del processo di valutazione del bando sui progetti congiunti di ricerca applicata "tra imprese operanti in Provincia di Trento e nello Stato di Israele".
Il Bando, lanciato nel febbraio 2013 a seguito dell'importante accordo internazionale (il primo firmato da Israele con un'entità regionale/territoriale europea) tra la Provincia autonoma di Trento e il Governo di Tel Aviv,
Per i trentini, cercare la sede del governo d'Israele a Tel Aviv sarebbe come, per gli israeliani, cercare la sede della provincia di Trento a Rovereto. è finalizzato a sostenere progetti di ricerca applicata realizzati da imprese trentine in partnership con imprese operanti sul territorio israeliano e realizzati con il supporto di soggetti della ricerca di entrambe le realtà.
Questo prima edizione del bando ha visto la presentazione di undici proposte progettuali congiunte, delle quali sei sono state autorizzate ad accedere alla seconda fase del bando. Due i progetti ammessi oggi al finanziamento finale. La valutazione - affidata ad un Comitato congiunto coadiuvato dai rispettivi organi per la valutazione della ricerca - è stata informata in primo luogo da una accurata e severa disamina circa le potenzialità di mercato dei progetti di ricerca presentati dalle imprese.
L'opportunità offerta alle aziende trentine è stata quella di poter sottoporre le proprie idee di innovazione industriale agli esperti-valutatori del più avanzato paese al mondo in termini di innovazione industriale. Le imprese trentine e israeliane ammesse a finanziamento potranno quindi ora avviare il proprio lavoro di cooperazione con il conforto di un processo di valutazione assai selettivo che le ha viste giungere al traguardo finale: ora si aspettano i risultati.
(la Voce del Trentino, 28 febbraio 2014)
Università di Udine - Gestione automatizzata dell'irrigazione in vigneto
Al via il progetto italo-israeliano "Irrigate", ricerca dell'Università di Udine sostenuta dai ministeri degli Esteri di Roma e dell'Industria di Gerusalemme.
Sarà realizzato un sistema "intelligente" di erogazione automatica dell'acqua per mitigare la siccità e ottimizzare produttività della vite e la qualità delle uve.
Sviluppare un programma di gestione automatizza dell'irrigazione in vigneto attraverso sensori che controllano clima, piante e suolo per gestire l'impatto della siccità sulla produttività della vite e sulla qualità delle uve.
È l'obiettivo del progetto di ricerca biennale italo-israeliano "Irrigate", coordinato dall'Università di Udine e sostenuto dai ministeri degli Affari esteri italiano e dell'Industria, Commercio e Lavoro israeliano. Partner del progetto sono il dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell'Ateneo friulano e IGA Technology services di Udine, e, per parte israeliana, l'istituto di Biotecnologia e Agricoltura delle zone aride dell'Università Ben Gurion nel Negev e la società Netafim.
Il progetto dell'Università di Udine prevede innanzitutto lo studio dei meccanismi fisiologici che regolano la risposta della vite in situazioni di carenza idrica per limitarne gli effetti negativi su qualità e quantità delle produzioni. Contemporaneamente sarà realizzato un programma "intelligente" e automatico di controllo dell'irrigazione nei vigneti che permetta di applicare quantitativi ottimali di acqua per salvaguardare le rese e ottimizzare la qualità delle produzioni nei periodi siccitosi. Contemporaneamente si.
«Il progetto - spiega il coordinatore Enrico Peterlunger, ddell'Università di Udine -, creato con i partner israeliani, un'eccellenza mondiale nel settore dell'irrigazione e delle tecnologie anti siccità, nasce dalla constatazione che, in questi anni, la coltivazione della vite è sottoposta a nuove minacce legate a condizioni climatiche sempre più sfavorevoli».
«Nelle ultime annate - sottolinea Peterlunger dell'Università di Udine - sono intensificati i periodi di siccità, anche in territori caratterizzati da disponibilità idriche non limitanti per la sua coltivazione, come il Friuli Venezia Giulia, dove negli ultimi anni la siccità estiva ha portato a un significativo calo delle produzioni con ripercussioni talvolta negative sulla qualità dei vini. Questo studio beneficerà direttamente sia la viticoltura friulana che israeliana, e avrà ricadute positive anche nelle altre zone vitate mediterranee».
"Irrigate - Automated irrigation management via integrated climate-plant-soil sensing to prevente water shortage's impact on grape yeld and quality" rientra nell'Accordo di cooperazione nel campo della ricerca e dello sviluppo industriale, scientifico e tecnologico tra Italia e Israele.
(Controcampus.it, 28 febbraio 2014)
Esplode una bomba davanti alla chiesa cattolica di Gaza
«Fatto grave ma non ci facciamo intimidire». Nella Striscia, governata dai terroristi di Hamas, i circa tremila cristiani vengono spesso presi di mira.
Assalitori ignoti hanno fatto esplodere una bomba nel cortile della chiesa cattolica latina di Gaza, nel quartiere meridionale di Zeitun. La notizia è stata riportata dal Centro palestinese per i diritti umani (Pchr), che ha condannato quanto avvenuto.
BOMBA DAVANTI ALLA CHIESA - Secondo Pchr, la bomba è stata posta sotto l'autobus di proprietà della parrocchia nella notte tra il 26 e il 27 febbraio. Arrivata sul posto, la polizia ha trovato scritte ingiuriose contro i cristiani sui muri della chiesa.
«Il fatto è grave - dichiara a Fides il vescovo William Shomali, vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme - ma il parroco e i suoi collaboratori continueranno a operare al servizio della popolazione di Gaza, senza farsi intimidire».
GAZA ISLAMISTA - La Striscia di Gaza è nelle mani dell'organizzazione terrorista Hamas dal 2007, che la sta lentamente trasformando in un Stato islamico. Mentre il Consiglio legislativo ha proposto di adottare la sharia, a scuola si insegna a odiare e combattere Israele.
I cristiani sono meno di tremila a Gaza e spesso vengono presi di mira dalla maggioranza islamica. Nel 2011 una bomba è stata lanciata contro il direttore del locale ospedale anglicano, rimasto fortunatamente illeso.
(Tempi, 28 febbraio 2014)
Obama e Ue in pressing su Netanyahu
Cresce la pressione internazionale su Benjamin Netanyahu a tre giorni dall'incontro alla Casa Bianca voluto da Barack Obama per rompere lo stallo nel negoziato con i palestinesi. Sono tre i fronti d'attacco sul premier israeliano. Sui diritti umani «Amnesty International» pubblica il rapporto intitolato «Grilletto facile» nel quale accusa l'esercito israeliano della morte di 45 palestinesi in Cisgiordania, fra il 2011 e il 2013, spingendosi ad ipotizzare «crimini di guerra» frutto dell'«impunità con cui i soldati possono agire». Sull'economia protagonisti sono alcuni Paesi Ue, accentuando le critiche agli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Infine c'è il negoziato, dove i palestinesi di Abu Mazen rifiutano l'ipotesi israeliana di un prolungamento delle trattative - dopo la scadenza di primavera - chiedendo un'intesa sui contenziosi e minacciando in caso di disaccordo di «tornare all'opzione del ricorso alla rivolta». L'intento comune è di mettere Netanyahu alle strette per obbligarlo alle concessioni suggeritegli da Washington: rinuncia alla sovranità sulla Valle del Giordano e smantellamento di parte degli insediamenti. Obama spera di ottenere passi indietro da Netanyahu prima della presentazione delle «proposte quadro» preannunciate dal Segretario di Stato John Kerry, per poi passare a premere per ottenere concessioni da Abu Mazen, negli Usa il 17 marzo. Netanyahu non ha grandi ma rgini di manovra. I sondaggi suggeriscono che la maggioranza degli israeliani non si fida di Abu Mazen e teme che un ritiro dalla Cisgiordania porterebbe terroristi e missili a un tiro da Tel Aviv. Dentro la coalizione prevale la sfiducia nei confronti di Kerry, fino al punto da far emergere altri leader - da Naftali Bennet a Moshe Yaalon e Avigdor Lieberman - come possibili successori di Netanyahu. E dall'establishment militare viene una richiesta di prudenza in ragione dell'instabilità della regione. Stretto fra pressioni esterne e interne, Netanyahu gioca in attacco: accusa Amnesty di «razzismo» per un rapporto che «ignora l'aumento della violenza contro di noi», trova nella cooperazione hi-tech un terreno per rilanciare il legame con l'Ue e fa sapere ad Abu Mazen che dovrà rinunciare al diritto al ritorno dei profughi del 1948, accettando Israele come «Stato Ebraico». L'incontro alla Casa Bianca si presenta tutto in salita .
(La Stampa, 28 febbraio 2014)
Arabi volontari nel servizio civile, agitatori arabi contro ogni "israelizzazione"
La nozione stessa di integrazione è anatema per quei politici arabi israeliani che fanno a gara nell'attizzare odio e suscitare conflitti.
Sempre più numerose le ragazze arabe che optando per il servizio civile volontario nelle loro comunità
Circa 700 arabi israeliani volontari nel servizio civile si sono riuniti martedì scorso in un auditorium di Karmiel (nord Israele ) per un evento volto a manifestare apprezzamento verso di loro. All'interno regnava un'atmosfera festosa, allegra e commossa: tanto affetto e tante congratulazioni venivano riversati sui coraggiosi volontari che, pur di svolgere il servizio civile all'interno delle loro comunità, fanno fronte a un'impudente azione di mobbing agitata contro di loro. Nonostante le smodate manifestazioni di ostilità di cui sono circondati, questi giovani arabi israeliani prendono parte a un programma volontario concepito per essere parallelo al servizio militare o civile che è obbligatorio per i cittadini ebrei....
(israele.net, 28 febbraio 2014)
Ritrovati manoscritti biblici eccezionali
Ritrovati nel famoso sito archeologico di Qumran, in Cisgiordania, tre astucci contenenti nove manoscritti biblici: l'eccezionale scoperta è stata fatta dall'archeologo Yonatan Adler.
Dopo i celeberrimi "rotoli del Mar Morto", a Qumran, in Cisgiordania, è avvenuto un nuovo, eccezionale ritrovamento. Lavorando su materiali di scavi archeologici degli anni '50, l'archeologo Yonatan Adler ha scoperto tre filatteri, vale a dire astucci che contengono piccoli rotoli manoscritti con testo biblico, che risalirebbero a circa 2000 anni fa. I manoscritti sono in tutto nove: sono stati individuati dalla Israel Antiquities Authority grazie a una particolare tecnologia (la cosiddetta "multispectral imaging") che consente di scattare speciali fotografie.
La scoperta è stata rivelata durante il IV Convegno Internazionale Terra Sancta, dedicato a "Qumran e la regione del Mar Morto", che ha riunito a Lugano 65 tra i massimi esperti mondiali di Qumran, sito archeologico diventato famoso a metà del secolo scorso, quando furono ritrovati i 900 documenti che compongono i rotoli del Mar Morto o manoscritti di Qumran, datati tra il 150 a.C. e il 70 d.C..
I tre filatteri provengono dalle grotte 4 e 5, scavate nel 1952 dall'archeologo Roland de Vaux. "Non capita ogni giorno di poter scoprire nuovi manoscritti - ha dichiarato Adler -, è stata una grande emozione". Soddisfazione anche per la Israel Antiquities Authority: Pnina Shor, che all'interno dell'agenzia governativa si occupa del laboratorio per la conservazione dei rotoli, ha affermato: "Sono molto orgogliosa del fatto che, impiegando le tecnologie più avanzate, possiamo contribuire a ricostruire la storia di 2000 anni fa".
(ArticoloTre, 27 febbraio 2014)
Convegno sulle malattie rare
Di Segni: "Esiste un obbligo fondamentale di solidarietà"
"Esiste un obbligo fondamentale di solidarietà, non possiamo rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza", e l'investimento nella ricerca, ancorché sulle "malattie rare", è "comunque un arricchimento per tutta la società". Lo ha detto questo pomeriggio a Roma Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, prendendo per primo la parola alla tavola rotonda "Il dialogo interculturale e interreligioso con i malati rari" in corso nell'ambito della Giornata "Insieme per un'assistenza migliore", promossa dall'Ospedale pediatrico Bambino Gesù con Telethon, Uniamo (Federazione italiana delle malattie rare), Istituto superiore di sanità, e Omar (Osservatorio sulle malattie rare), alla vigilia della Giornata mondiale che ricorre domani. Nel richiamare i "grandi dibattiti bioetici, che ormai fanno scuola, sulla necessità e sulla misura dell'intervento", Di Segni ha riconosciuto che "lavorare su una malattia rara comporta una ricerca dei cui risultai potrà godere solo una fascia limitata di popolazione, e una spesa per cure e farmaci rari il cui onere appare a volte insostenibile per la società". Ma, chiarisce, la questione "è mal posta": non si tratta di contrapporre il singolo alla collettività, ma di chiedersi se le risorse siano utilizzate in maniera corretta. Con una sottolineatura: "la mancata cura di un singolo reca danno a tutta la società".
Israele, accordo per accedere a iHub in California
Nel suo viaggio negli Usa della prossima settima, il primo ministro Netanyahu farà tappa nella Silicon Valley dove incontrerà i responsabili di grandi aziende hi-tech. Previsto l'accordo per l'accesso a iHub, programma governativo per l'innovazione. Anche il presidente francese Hollande si era recato in California nel corso della sua visita ufficiale in America.
Nel suo viaggio negli Usa della prossima settimana, il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, nella tappa nella Silicon Valley incontrerà i responsabili di grandi imprese del hi-tech, a cominciare dal cofondatore di Whatsapp Jan Koume, neo milionario dopo l'acquisizione dell'azienda da parte di Facebook per 19 miliardi.
Un viaggio, quello di Netanyahu, che oltre alla politica - il 3 marzo è atteso alla Casa Bianca per una riunione con il presidente Barack Obama - ha come fine, secondo il suo ufficio, la firma di accordi di cooperazione.
- Accesso a iHub
Tra questi un accordo - come terzo Paese al mondo - con il governatore della California, Jerry Brown, per promuovere i legami tra Israele e lo stato Usa: l'intesa consentirà alle compagnie israeliane l'accesso a iHub, il programma innovativo del governo californiano incentrato su 16 specifici terminali di ricerca in tutto lo stato.
iHub si occupa di "incubatori" di tecnologie, università e laboratori federali e fornisce "una piattaforma innovativa" per compagnie di startup, organizzazioni di sviluppo economico, gruppi di affari.
- Promuovere hi-tech
Netanyahu avrà incontri anche con i capi di Apple, Flextronics, Linkedin, Ebay e il fondo Sequoia Venture Capital e il fine è di quello di promuovere l'hi-tech israeliano ma soprattutto di trasformare Israele in un paese dalla cyber sicurezza assoluta
(RaiNews, 27 febbraio 2014)
A Tel Aviv appuntamento con Leonardo da Vinci
ROMA - Dopo il successo della mostra Van Gogh Alive svoltasi nel 2013, ecco un altro importante appuntamento con l'arte. La nuova mostra Da Vinci Alive in corso di svolgimento presso il Padiglione Maxidome dell'Israel Trade Fairs Center di Tel Aviv racconta un'esperienza interattiva che condurrà i visitatori alla scoperta dello splendore senza tempo dell'arte di Leonardo Da Vinci. La mostra Da Vinci Alive racconta la genialità di Leonardo come inventore, artista, studioso di anatomia, scultore, ingegnere, musicista e architetto. Gli ospiti potranno fruire di oltre 200 pezzi unici, tra cui 75 invenzioni di macchine a grandezza naturale, rendering tridimensionali di alcune delle opere rinascimentali più importanti e la possibilità di compiere una analisi approfondita di quella che è l'opera più famosa di Leonardo, la splendida Monna Lisa. Grazie a tutte le nuove tecnologie messe a disposizione dal sistema SENSORY4, i visitatori saranno in grado di interagire con l'arte di Leonardo potendo così avere anche un'idea dei principi scientifici posti alla base della realizzazione di molte delle opere del genio toscano. Creata attraverso l'ausilio ed il supporto di esperti provenienti da Italia e Francia Da Vinci Alive celebra una delle menti più originali e dinamiche di tutti i tempi. La mostra presenta 13 aree tematiche relative al lavoro di Leonardo offrendo ai visitatori uno sguardo senza precedenti della versatilità della mente di un uomo del Rinascimento che ha gettato le basi per alcune delle invenzioni di maggior impatto sulla società moderna, come l'elicottero, l'aeroplano, l'automobile, il sottomarino, il paracadute e la bicicletta. Tutte le invenzioni visibili all'interno della mostra Da Vinci Alive sono state realizzate da artigiani italiani, molte con le stesse tecniche e materiali di epoca rinascimentale, decifrando gli indizi spesso nascosti nelle oltre 6.000 pagine dei codici personali di Leonardo, derivando gli indizi anche attraverso la lettura di quella scrittura speculare che Leonardo utilizzava, forse per preservare le riservatezza delle sue intuizioni.
(Prima Pagina News, 27 febbraio 2014)
Marocco: una 'carovana' celebra la cultura giudaico-marocchina
di Virginia Di Marco
ROMA, 27 feb - Una 'carovana' per ricordare le tradizioni degli ebrei del Marocco attraverso un itinerario terminato ieri, con l'arrivo a Casablanca: la 'Carovana del Patrimonio giudaico-marocchino' ha concluso qui il suo quarto viaggio. L'iniziativa, che ha toccato anche Ifrane e Fès, puntava a celebrare storia e tradizioni di una delle comunità ebraiche più antiche del mondo. Se oggi sono circa 8.000, prima della nascita dello Stato d'Israele gli ebrei marocchini erano tra i 250mila e i 350mila. A 'guidare la carovana' ci ha pensato l'associazione marocchina Mimouna, fondata nel 2007 da due studenti musulmani e presente oggi in numerose città del Paese. Già il nome dell'associazione è una dichiarazione d'intenti: si chiama infatti 'mimuna' la festa degli ebrei marocchini che cade il giorno dopo Pesah (la Pasqua ebraica), con la quale si festeggia il ritorno al cibo lievitato, proibito durante la settimana pasquale. Ma la commemorazione della cultura giudaico-marocchina rappresenta solo la metà di quello che Mimouna si propone.
L'altro obiettivo, il più importante, è accrescere la tolleranza, soprattutto tra le nuove generazioni, ricordando che il Marocco ha "un'identità plurale" e che il Paese deve essere "fiero e forte delle diversità che lo compongono". Lo ha sottolineato El Mehdi Boudra, presidente di Mimouna, che è stato aiutato nell'organizzazione della carovana dalla comunità ebraica di Fès, dal museo giudaico di Casablanca e dall'università d'Ifrane. Anche il ministro della Cultura, Mohammed Amine Sbihi, ha applaudito l'iniziativa, sottolineando la necessità di promuovere e valorizzare il patrimonio giudaico-marocchino.
Scopo a cui, di recente, si sono dedicati diversi intelletuali, accademici e registi. Tra di loro c'è il docente di storia Kamal Hachkar, marocchino naturalizzato francese, che tornando nel villaggio berbero della sua famiglia ha scoperto tracce di una comunità ebraica, ancora presente nei ricordi dei più anziani, ma completante misconosciuta ai giovani. Ne è venuto fuori, nel 2013, un documentario: 'Tinghir-Gerusalemme, gli echi della mellah', che ricostruisce sia le dinamiche di convivenza nel villaggio prima della partenza degli ebrei, sia la vita degli ebrei dopo il loro progressivo trasferimento di massa in Israele tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sulla spinta di uno slancio sionista e degli incoraggiamenti dell'Agenzia ebraica. E qui la storia si intreccia, suo malgrado, con la politica.
Hachkar e gli altri che, come lui, puntano a recuperare la storia degli ebrei del Marocco e devono fare fronte all'accusa di voler 'normalizzare' i rapporti con lo Stato ebraico.
"Ma il conflitto arabo-israeliano non c'entra con il mio film - ha dichiarato il professore-regista ad ANSAmed in occasione della presentazione del suo film in Italia -, se gli ebrei di Tinghir si fossero stabiliti in Papuasia, sarei andato in Papuasia. Certi attacchi sono strumentali e vengono mossi da panarabisti e islamisti che, di fatto, per i palestinesi non hanno mai alzato un dito".
(ANSAmed, 27 febbraio 2014)
Ghetto, uno spettacolo che vale
di Giuseppe Pennisi
Ghetto di Mario Piazza su musiche Klezmer rielaborate da Goran Bregovic è uno di quegli spettacoli che vale la pena vedere non solo perché è bello ma perché aiuta a comprendere una cultura: quella degli ebrei in quella parte del Medio Oriente che va dalla Turchia all'Egitto. E' a Roma, al Teatro Nazionale nell'ambito della programmazione del Teatro dell'Opera, per poche sere dopo ben 500 repliche in Europa e Nord America Il lavoro è il risultato di un percorso fatto nell'affrontare argomenti come la ghettizzazione, l'identità culturale, l'emarginazione.
Da qui l'esigenza di continuare questa ricerca legata ai temi che ruotano attorno all'idea del ghetto. Il Ghetto è anche un luogo di ritrovo dove approdano, si rifugiano, sognano quelli che sono lontani dalla propria terra d'origine e si confondono con chi vive accanto ai propri cari. Il Ghetto come isola di approdo, un teatro delle genti, un luogo dove vivono e si esprimono le esperienze delle persone che si incontrano, in cui le storie di tutti si fondono in un'unica storia dell'umanità. Non un lavoro triste. E' un lavoro lieto in cui il Ghetto è visto come un accogliente rifugio che diventa casa, un porto sicuro, un luogo di appartenenza. Gli incontri tra le persone ci daranno l'idea delle diffidenze, e allo stesso tempo del bisogno di comunicare e di relazionarsi l'un l'altro. Un bisogno impellente di umanità.
Il Ghetto è un contenitore di emozioni e una tra le più forti che lo animano è la nostalgia che si esprime con un legame che resta nella memoria e nel cuore con un attaccamento viscerale alle proprie radici. La nostalgia è uno dei nodi cruciali delle migrazioni che si intreccia con il desiderio di adattamento alla nuova condizione e alla difficoltà di integrazione, alla perdita delle radici, e al timore di assimilarsi perdendo il proprio patrimonio culturale, sociale e religioso.
Rinasce il ricordo di ciò che è accaduto in un azione che inizia il giorno del matrimonio di David e Sara, vivono a ritroso le memorie di quel giorno felice, circondati dall'affetto dei propri cari e dalla solidarietà della gente della comunità. Una storia d'amore nata nel Ghetto che attraversa momenti di grande gioia e dolore.
La storia di una comunità solidale abituata a convivere con rispetto e tolleranza insieme alle altre comunità religiose.
La Tikvah (personaggio che sembra una citazione di Chagall) accompagna evocando e raccontando la vita e la storia ebraica. Sarà lei a incontrare personaggi poetici e complessi come David e Sarah, gli amici, la gente del Ghetto, la famiglia, il Rabbino e gli altri precettori.
Una lettura del Ghetto interpretata dai danzatori, come espressione dell'energia fisica e mentale. Il tessuto musicale del progetto è basato sulla musica Klezmer, patrimonio di musicisti che per scelta e costruzione sono in continuo movimento quasi a simboleggiare il sogno di libertà che accomuna le genti. La musica Klezmer nasce all'interno delle comunità khassidiche e il frutto del lavoro coreutico ad essa legato nasce dall'inevitabile bisogno di esprimere una identità soffocata in un grido liberatorio che esorcizza il male e ci porta alla positiva volontà di esistere. In un momento in cui tutti dovremmo essere impegnati ad abbattere le barriere sorte dalla paura, dall'egoismo e dalla diffidenza, è nata l'idea di affrontare un argomento come quello della segregazione culturale, sociale e religiosa.
Ghetto non è uno spettacolo narrativo, basato su una drammaturgia che ci riporta semplicemente alla storia dei ghetti, bensì si intende evocare l'atmosfera culturale, psicologica ed umana delle genti zingare, ebree, nere e definite in qualche modo diverse.
"Ghetto" è stato realizzato al Teatro dell'Opera di Sofia, in seguito al Premio per le Performing Arts attribuito a Mario Piazza dall'European Association for Jewish Culture con sede a Londra.
Al Nazionale la Tikvah, figura con chiare citazioni al pittore Marc Chagall, è interpretata dall'étoile Gaia Straccamore, in alternanza con la prima ballerina Alessandra Amato. E' lei ad evocare personaggi poetici e complessi come i giovani Sarah (Sara Loro in alternanza con Alessia Gay ) e David (Claudio Cocino in alternanza Alessio Rezza, che simboleggiano il futuro. Guida spirituale che anima il ghetto è invece il Rabbino capo, interpretato da Manuel Paruccini che si alterna nel ruolo con Antonello Mastrangelo e Giuseppe Schiavone
Oltre a Gelem, Gelem, sono previste ampie citazioni tratte da Underground del compositore bosniaco Goran Bregovi . Anna Biagiotti firma costumi.
(formiche.net, 27 febbraio 2014)
Israele dona a Tokyo nuove copie del "Diario di Anna Frank
L'iniziativa dopo atti vandalici su 250 copie in Giappone
TOKYO - Ha fatto il giro del mondo la notizia delle centinaia di copie del "Diario" di Anna Frank danneggiate (nei giorni scorsi in Giappone. Per riaffermare l'amicizia fra Tokyo e Tel Aviv, aldilà degli episodi vandalici, l'ambasciatore israeliano in Giappone a Tokyo ha donato alla cittadinanza centinaia di copie nuove di zecca del "Diario"."Siamo rimasti molto sorpresi in Israele - ha dichiarato il diplomatico Peleg Lewi - le relazioni col Giappone sono molto buone. Tutti hanno capito che si è trattato di un gesto individuale".Un gesto, invece quello di Israele, che ha messo a tacere le tensioni e le critiche rivoltealle autorità giapponesi per alcune dichiarazioni ritenute"revisioniste" sul passato militarista del Paese, in particolarecon l'arrivo alla guida del governo del nazionalista econservatore Shinzo Abe.Comunque sia nuove copie del Diario sono arrivate nelle biblioteche dove erano state danneggiate."Ecco le abbiamo messe qui, vicino alle casse in modo che tutti possano vederle - ha detto il direttore della biblioteca di Shinjuku - Alcune copie del Diario erano nella sezione cultura, altre in quella dei bambini, altri libri legati all'argomento erano sparsi un po' ovunque. Ciò - ha concluso - significa che l'autore di questo gesto aveva un piano ben preciso".
(TMNews, 27 febbraio 2014)
«Amnesty non tiene conto delle violenze palestinesi»
ROMA - L'esercito israeliano ha replicato alle pesanti accuse contenute nell'ultimo rapporto di Amnesty International, sostenendo che non tiene conto del ''sostanziale incremento della violenza palestinese iniziato lo scorso anno'', durante il quale almeno 132 israeliani sono rimasti feriti dal lancio di pietre da parte dei palestinesi. ''Nel 2013'', sostiene l'esercito di Tel Aviv, ''ci sono stati 66 attentati terroristici per mezzo di ordigni e il rapimento e l'uccisione di un soldato''. Il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano ha aggiunto che il ''trucco'' messo in atto dall'organizzazione non governativa ''e' quello di impedirci di rispondere. Non vogliono delle risposte, ma solo privare Israele della possibilita' di partecipare alla discussione''.
(ASCA, 27 febbraio 2014)
Bimba di cinque mesi affetta dal rarissimo morbo di "Krabble". Da Israele una speranza
di Fabrizio Tenerelli
BORDIGHERA - Da un centro di ricerca di Israele, situato nei pressi di Tel Aviv, giunge ora la speranza di salvarla, grazie a una terapia sperimentale, che si basa sul trapianto di cellule staminali
Si chiama Rossana Canale e malgrado la tenerissima età - compirà cinque mesi l'8 marzo, fatalità alla Festa della Donna - è affetta da una rarissima malattia, che le ha già segnato il destino. Si tratta del morbo di "Krabble", una patologia ereditaria degenerativa che affligge il sistema nervoso e, in particolare, la guaina mielinica.
Da un centro di ricerca di Israele, situato nei pressi di Tel Aviv, giunge ora la speranza di salvarla, grazie a una terapia sperimentale, che si basa sul trapianto di cellule staminali.
Tuttavia, si tratta di un intervento assai costoso che la mamma, Barbara Gagliano e il papà, Massimo Canale, due impiegati trentottenni, di Bordighera, non possono sostenere da soli. Per questo motivo è nata l'Associazione "Forza Rossanina", che si prefigge di raccogliere fondi a sostegno della famiglia e della bambina.
(Riviera24.it, 27 febbraio 2014)
A.N.P., stipendio fisso per gli atti terroristici
di Cristofaro Sola
Lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto sapendo di dire la verità. Ora finalmente possiamo mostrare le prove sull'utilizzo che le autorità palestinesi fanno del denaro pubblico: esse sostengono economicamente i loro compatrioti detenuti per reati di terrorismo compiuti contro la sicurezza di Israele.
Quando abbiamo messo in discussione la gestione a dir poco opaca delle risorse europee destinate all'Autorità Nazionale Palestinese (Anp), come pure abbiamo dubitato della vera natura di quello strano assegno da 60 milioni di euro staccato dal Governo italiano, lo scorso anno, sempre a beneficio della Anp, siamo stati ricoperti di insulti. Pazienza! Ci sta anche questo, quando si ha l'ardire di porre domande scomode. È di gran lunga più facile accusarci di offendere "l'onore del glorioso popolo palestinese", piuttosto che prendersi il disturbo di spiegare come stia realmente la questione della gestione degli aiuti finanziari che da tutte le parti del mondo sorvolano le teste dello sventurato popolo palestinese, per atterrare nella tasche dei suoi ambigui dirigenti politici. Ma veniamo ai fatti.
Sull'edizione del Times of Israel dello scorso 16 febbraio, è apparso un rapporto della polizia israeliana che raccoglieva la deposizione di Husni Najjar, terrorista palestinese già condannato per aver attentato alla sicurezza d'Israele. Nella deposizione, Najjar confessava di aver progettato un secondo atto terroristico col fine, una volta scoperto e incarcerato, di ricevere dall'Autorità Palestinese uno stipendio fisso. In realtà la sconvolgente dichiarazione era già apparsa alcuni mesi prima sul Palestinian Media Watch. In quella circostanza, Najjar era stato ancora più esplicito: "A causa della mia difficile situazione finanziaria ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni, perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall'Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio". Najjar ha proseguito dicendo di aver ricevuto per il primo periodo di detenzione 45mila shekel (9.400 euro), ma sperava, con la seconda iniziativa criminale, di farci su almeno altri 135mila shekel (28mila euro). La cosa folle è che il secondo piano terroristico di Najjar era finto, era solo una tragicomica messa in scena che aveva come unico scopo quello di farsi arrestare dallo Shabak (il servizio di sicurezza generale israeliano). La detenzione avrebbe fatto scattare la solidarietà economica del ministero dell'Anp per gli Affari dei detenuti palestinesi.
Come ha rivelato Najjar, il bizzarro welfare state dell'Autorità palestinese funziona così: se hai sparso sangue innocente israeliano, hai diritto al sostegno pubblico con un'indennità mensile di 4mila shekel (830 euro) per l'intero periodo di detenzione e poi a una sorta di salario di reinserimento di pari importo per i successivi tre anni dalla fine della carcerazione. Mi domando come vengano appostate queste spese nel bilancio dell'Anp: oneri sociali o incentivi al terrorismo? D'altro canto i dirigenti dell'Autorità Nazionale Palestinese, che sfruttano la disperazione della povera gente per stimolare l'azione terroristica contro una popolazione civile innocente, non sono poi così originali come vorrebbero far credere. Il sistema della protezione sociale ai detenuti appartententi alle associazioni malavitose è un modello in uso dalle nostre parti da tempo immemore, perché è quello praticato dall'organizzazione camorristica per assicurarsi la fedeltà della propria manovalanza.
Da sempre, e tutte le indagini criminolgiche lo spiegano, la prima voce di costo per la struttura criminale, dopo il pagamento della materia prima, è il mantenimento delle famiglie dei propri gregari detenuti. Già! Perché anche la camorra ha sempre avuto la sua Inps per l'assistenza sociale delle famiglie dell'anti-Stato, che ha funzionato e funziona molto meglio di quella ufficiale che fa capo allo Stato. Ma bando all'ironia, perché da queste rivelazioni non emerge nulla che possa indurre a scherzarci sopra. La questione è davvero seria e preoccupante. Il signor Najjar nel rivelare che esiste una specie di programma che potremmo chiamare "Money for blood", ci pone di fronte a due certezze, entrambe che contrastano l'impianto etico-valoriale della civiltà Occidentale. La prima riguarda lo scarso senso di lealtà che la componente palestinese mostra nel perseverare in un atteggiamento ambiguo rispetto alla domanda di chiarezza nella volontà di portare in fondo il negoziato di pace con Israele. È di tutta evidenza che incentivare la propria popolazione a compiere crimini contro gli "irriducibili nemici", blandendola attraverso la speranza alimentata in ogni palestinese frustrato dal bisogno di conquistare un reddito, stride con qualsiasi dichiarazione pacificatrice che convinca della buona fede dei leader palestinesi nel dirsi disponibili a riconoscere, mediante un accordo, il diritto all'esistenza dello Stato ebraico.
La seconda riguarda la sostenibilità finanziaria di questo modello assistenziale. Sebbene sia del tutto comprensibile che l'Anp abbia il diritto sovrano di foraggiare la propria popolazione nel modo che ritenga più appropriato, per quanto questo modo ci possa apparire disgustoso e malvagio, tuttavia, per evitare che esso si trasformi in arbitrio, è indispensabile che il diritto medesimo sia temperato dal consenso dei contributori esterni circa l'utilizzo delle risorse concesse. Questo è il caso dell'Unione Europea che eroga fondi consistenti all'Anp. Ma i palestinesi non la intendono così; non amano essere sindacati nel loro disinvolto impiego delle risorse finanziarie. Eppure quei denari tanto generosamente, e improvvidamente, elargiti dalle autorità di Bruxelles all'Anp sono anche soldi italiani, visto quanto ci costa contribuire a tenere su il baraccone europeo.
Ora, non so voi, ma per quel che ci riguarda non abbiamo autorizzato i nostri governanti e men che meno i burocrati dell'Ue a dissipare le nostre risorse finanziando assassini e stragisti. È uno scandalo che questa Europa vecchia e marcescente, malata cronica di antisemitismo, possa ancora oggi pensare di pagare qualcuno perché continui a fare fuori gli ebrei. Non sono bastati quelli già liquidati nei campi di sterminio?
(L'Opinione, 27 febbraio 2014)
Il fotovoltaico, la risposta di Gaza alla crisi energetica
Pannelli solari installati nelle case e negli ospedali
GAZA - L'energia che viene dal Sole per alimentare case e ospedali. Nella Striscia di Gaza il fotovoltaico è la risposta a una cronica carenza di elettricità: gli abitanti si sono ingegnati per sopperire alla mancanza di carburante e ai generatori hanno sostituito i pannelli solari, più sicuri e meno rumorosi."In passato avevamo la luce solo otto ore al giorno, ma di notte no, e io avevo paura del buio. Da quando mio papà ha montato i pannelli abbiamo sempre la luce" racconta Rola. L'ospedale Al-Nasir di Gaza City ha adottato la stessa soluzione per alimentare macchinari salvavita come le incubatrici dei neonati."A volte manca la corrente per 12, 18 ore: usiamo il fotovoltaico per generare elettricità per 24 ore nella nursery" spiega il direttore Nabeel Albaraqoni. L'energia solare è strategica anche dal punto di vista politico: l'obiettivo del governo è produrre così il 20% dell'elettricità consumata nel territorio della Striscia entro il 2020. La difficoltà sta nel procurare il materiale necessario a fabbricare gli impianti: gran parte arriva di contrabbando dall'Egitto, ma il commercio ha subito un'interruzione con la chiusura dei tunnel tra i due Paesi.
(TMNews, 26 febbraio 2014)
Stamina - Centro israeliano blocca i nuovi ricoveri
Non vengono accettati pazienti a causa di "discussioni" col ministero
Un centro medico israeliano, noto per i suoi interventi attraverso l'infusione di cellule staminali, ha sospeso il ricovero di pazienti provenienti dall'Italia e da tutto il mondo. "Ci sono problemi con il ministero della Sanità locale", ha spiegato Ruth Grunbaum, coordinatrice del Ctci Center del professor Shimon Slavin, che opera a Tel Aviv. "Per ora non accettiamo nuovi malati", ha concluso.
"Discussioni col ministero della Sanità" - Il blocco delle cure riguarda tutti i pazienti e non solo quelli italiani: secondo quanto reso noto nelle scorse settimane dallo stesso Centro dovevano essere 11 i malati in arrivo dall'Italia. ''Siamo impegnati tutto il giorno - ha aggiunto Grunbaum - in discussioni con il ministero della Sanità e per il momento ci viene impedito di ricevere altri pazienti. Speriamo che la cosa si risolva ma potrebbe essere questione di settimane''. Grunbaum ha poi detto che ''chi si sente rifiutato esprime grande delusione, visto che non ci sono altri istituti del genere al mondo''. ''Al momento - ha concluso - non ci sono a Tel Aviv malati arrivati dall'Italia''.
(TGCOM24, 26 febbraio 2014)
*
Stamina - Malati: il blocco di Israele ci fa sentire in trappola
ROMA - "Ci sentiamo in trappola, braccati. Ogni volta che tentiamo di fare terapie con le staminali le bloccano". Così Pietro Crisafulli, presidente di Sicilia Risvegli Onlus, commenta la notizia del blocco da parte del ministero della Salute israeliano delle infusioni di staminali mesenchimali effettuate dal professor Shimon Slavin presso il Ctci Center di Tel Aviv, a cui avrebbero dovuto accedere nei giorni scorsi 12 malati italiani.
"A sette di loro hanno fatto un prelievo e poi più nulla, altre famiglie ancora hanno perso i soldi di albergo, volo e anticipo in denaro per le terapie, che Slavin in caso il blocco fosse confermato si e' impegnato a restituire". "Ci stiamo guardando nuovamente intorno, in altri Stati, cercando di individuare altre opzioni terapeutiche a base di staminali" conclude Crisafulli.
(ANSA, 26 febbraio 2014)
Incontro con il primo diplomatico beduino nella storia di Israele
La sezione di Udine di Italia-Israele, in collaborazione con Edipi (Evangelici d'Italia per Israele) promuove un evento unico per la nostra città: l'incontro con il diplomatico israeliano Ishmael Khaldi.
di Anna Rosso
La sezione di Udine di Italia-Israele, in collaborazione con Edipi (Evangelici d'Italia per Israele) promuove un evento unico per la nostra città: l'incontro con il diplomatico israeliano Ishmael Khaldi, figlio di una famiglia di pastori beduini che, dopo un'eccezionale carriera, oggi è consigliere politico all'Ambasciata di Israele a Londra.
L'appuntamento è per il primo di marzo alle 18.30 all'hotel Astoria. Prima, alle 18, Khaldi incontrerà il sindaco Furio Honsell e l'assessore alla cultura Federico Pirone a palazzo D'Aronco.
Ishmael Khaldi è nato nel 1971 nel villaggio di Khawali, nel deserto, nella Galilea occidentale in Israele. È il primo diplomatico beduino nella storia di Israele, anche se alcuni gli dicevano che era impossibile. Ma, per lui, è solo la sua vita. Anzi, sostiene che il suo lavoro è in linea con le sue origini, perché appunto «un diplomatico è un nomade per antonomasia».
Dopo essersi laureato in scienze politiche all'università di Haifa e aver conseguito un master in relazioni internazionali a Tel Aviv, Khaldi è stato un membro dell'esercito nelle forze di sicurezza israeliane e ha lavorato per il Ministero della Difesa e la polizia israeliana, prima di essere chiamato a far parte del Ministero degli Esteri nel 2004.
Per il Ministero della Difesa è stato impegnato nel ruolo di portavoce riguardo al ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza. E' stato poi eletto vice console generale al consolato israeliano di San Francisco. E' quindi tornato a far parte del Ministero degli Esteri a Gerusalemme, divenendo un consigliere e analista politico. Infine, dal 201, Ishmael lavora al l'ambasciata israeliana a Londra.
Khaldi, come spiegano gli organizzatori, «per la prima volta in Italia parlerà di minoranze non ebree nel moderno Stato ebraico». «Come dimostra il mio percorso personale - spiegherà Khaldi durante la conferenza -, Israele non è solo lo stato ebraico per definizione, ma è anche uno straordinario melting-pot, dove culture diverse possono fiorire, covivere in pace e armonia e, insieme, costruire un futuro migliore».
La vita di Ishmael dimostra come si possa essere al tempo stesso beduino, israeliano, musulmano, arabo, pastore, accademico e diplomatico di Israele. «Fin da quando ero piccolo vivo tra il mondo musulmano e l'ebraico, tra occidente e oriente, tra il moderno e il tradizionale, tra il laico e il religioso».
Un percorso non senza difficoltà. Da ragazzino Khaldi doveva fare sei chilometri a piedi per andare a scuola. Il padre, possessore dell'unica tv del villaggio anche se azionata con la dinamo della jeep perché non c'era elettricità, gli diceva però che doveva andare all'università per poter poi «visitare la Casa Bianca». Quando poi andò davvero la prima volta a New York, al ritorno la nonna gli chiese se anche gli abitanti della Grande Mela «avessero pecore».
Per ulteriori informazioni è possibile visitare i siti www.edipi.net e www.ishmaelkhaldi.com.
(Messaggero Veneto, 26 febbraio 2014)
Giordania: il Parlamento chiede l'espulsione dell'ambasciatore di Israele
AMMAN - Il Parlamento giordano ha approvato oggi una mozione che chiede l'espulsione dell'ambasciatore israeliano in segno di protesta per la politica dello Stato ebraico rispetto ai luoghi santi musulmani di Gerusalemme. Una decisione che tuttavia secondo gli osservatori sembra destinata a rimanere un atto simbolico. Per diventare operativa, infatti, la proposta dovrebbe essere approvata anche dal Senato, fedelissimo di Re Abdallah, che difficilmente potra' dare il suo assenso.
La Giordania teme che il Parlamento israeliano possa approvare una legge che metta fine ai diritti di sovranita' del regno hashemita sui luoghi santi di Gerusalemme, sanciti dal trattato di Wadi Araba tra i due Paesi del 1994. Amman, inoltre, protesta per la prosecuzione di lavori di costruzione intorno alla moschea di Al Aqsa e l'accesso dei militari israeliani al luogo santo. La Giordania, alleato degli Stati Uniti, e' stato il secondo Paese arabo dopo l'Egitto ad avere firmato un trattato di pace con Israele.
(ANSAmed, 26 febbraio 2014)
Libia: giustiziati sette copti a Bengasi
La milizia islamista fissa una taglia: seimila euro a chi consegna un cristiano.
Un manipolo di uomini è entrato la notte del 23 febbraio in un appartamento di un complesso abitativo di Garoutha, sobborgo di Bengasi. Ha chiesto ai residenti chi fosse cristiano e ha prelevato sette egiziani della chiesa copto-ortodossa. Il giorno dopo i loro corpi sono stati trovati dalle forze di sicurezza libiche morti a est della città, tutti con un colpo di pistola alla tesa o al petto: «Sono stati giustiziati».
SANGUE INNOCENTE - L'attacco è stato organizzato con tutta probabilità dalla milizia di estremisti islamici Ansar Al Sharia e come dichiarato a Fides dal vicario apostolico di Tripoli monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, «non si capisce bene cosa vogliano questi fondamentalisti. Sicuramente vogliono mettersi in evidenza spargendo il sangue di vittime innocenti. I copti ortodossi sono da tempo il loro bersaglio, soprattutto in Cirenaica».
COPTI PERSEGUITATI - Non è la prima volta che cristiani egiziani copti vengono uccisi in Libia, dove molti si recano per lavoro. Nel 2013, due cristiani sono stati derubati e uccisi nel nord-est del paese per essersi rifiutati di convertirsi. Soprattutto nell'est della Libia, in Cirenaica, dove lo Stato centrale non ha più autorità, le milizie islamiste che hanno contribuito a rovesciare Gheddafi fanno il bello e il cattivo tempo e cercano di eliminare ogni traccia della presenza cristiana.
A marzo decine di copti sono stati arrestati a Bengasi, accusati di proselitismo. Inoltre una chiesa è stata assaltata e incendiata a marzo mentre un'altra è stata attaccata da uomini armati a febbraio.
TAGLIA SUI CRISTIANI - La Ong egiziana che lavora in Libia "Nations Without Borders" ha diramato dettagli inquietanti sull'esecuzione degli ultimi sette copti. I guerriglieri islamici, infatti, dopo essere passati nell'edificio e in altri alla ricerca di cristiani, hanno realizzato scritte sui muri dei palazzi promettendo 10 mila dinari libici (quasi seimila euro) per ogni cristiano consegnato nelle mani della milizia.
LIBERTÀ RELIGIOSA - La libertà religiosa è fortemente a rischio in Libia. Il Parlamento ha approvato a dicembre la sharia come fonte di tutte le leggi e ora una commissione dovrà valutare che le norme esistenti nel paese siano in linea con i dettami della legge islamica.
(Tempi, 26 febbraio 2014)
A Gerusalemme apre "Cinema-City". Rabbini in allarme
Gli amanti del cinema hanno fatto festa ieri a Gerusalemme con la attesa inaugurazione del maestoso Cinema City: un edificio di otto piani che dispone di 19 sale cinematografiche, con tremila posti complessivi, la cui realizzazione è costata 250 milioni di shekel (circa 50 milioni di euro).
L'apertura è stata accompagnata da una manifestazione di attivisti laici, alcune centinaia in tutto, secondo cui l'edificio dovrebbe essere aperto anche di sabato, ossia nel giorno che secondo la religione ebraica deve essere destinato al riposo assoluto. Questa prospettiva mette già in allarme gli ambienti ortodossi della città che mettono in guardia da una "guerra di cultura".
«Di certo non resteremo zitti» ha preannunciato oggi a loro nome il vicesindaco Yossi Deitsch. «Siamo pronti ad inscenare manifestazioni tutti i sabati. La città ne avrebbe gravi danni economici». "Cinema City" è stato edificato su un terreno demaniale, in una zona di uffici governativi fra cui il ministero degli esteri.
Nelle immediate vicinanze non ci sono rioni abitati e dunque le proiezioni di sabato non dovrebbero disturbare alcuno. Ma a distanza di due incroci stradali iniziano i primi sobborghi ortodossi che potrebbero ribollire, se i rabbini lo ordinassero. La questione sarà presto discussa dalla Corte Suprema di Gerusalemme, situata proprio di fronte all'ingresso di Cinema City.
(Il Secolo XIX, 26 febbraio 2014)
Elia Dalla Costa ''Giusto fra le Nazioni''
Salvò centinaia di ebrei fiorentini e non solo dalla persecuzione nazista, esplosa dopo l'occupazione dell'Italia nel settembre 1943. Ed ora Israele gli consegna la medaglia alla memoria di "Giusto fra le Nazioni". È il cardinale arcivescovo Elia Dalla Costa, scomparso nel 1961 dopo aver retto, dal 1933 fino all'anno della sua morte, la diocesi di Firenze. Questa mattina, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, l'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Zion Evrony lo ha insignito alla memoria con la medaglia dei Giusti consegnata nelle mani di un nipote che porta il suo stesso nome. Alla cerimonia erano presenti, tra gli altri, l'assessora all'educazione Cristina Giachi, il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, la presidente della comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli e il rabbino di Firenze Rav YosefLevi .
«Personaggi come Elia Dalla Costa sono veri e propri fari che ci indicano la strada da seguire - ha sottolineato l'assessora Giachi nel suo saluto - il suo nome è scolpito nel cuore della memoria dolorosa della Shoa ed è scolpito come un punto di luce, uno dei tanti, che costellano il 'Muro dei Giusti'. Questo ci riempie di orgoglio ma anche di responsabilità, soprattutto nei confronti dei più giovani. Dobbiamo essere all'altezza di figure come quella del cardinale Dalla Costa che hanno reso grande la nostra città».
«Sono onorata e grata - ha proseguito - che Firenze possa essere protagonista con una storia luminosa come quella di Elia Dalla Costa, una storia luminosa nel buio dei valori che, in quegli anni, attraversava tutto il nostro continente. Grazie a uomini come lui, al loro coraggio e alla loro generosità è stato possibile non lasciare l'ultima parola al male, alla furia gratuita cieca che pure ci aveva sovrastati. Il suo esempio ci indica una strada chiara da seguire».
Il cardinale Dalla Costa organizzò una vera e propria rete clandestina di salvataggio della quale faceva parte anche Gino Bartali, il fuoriclasse che in quegli anni faceva da staffetta tra Firenze e Assisi, dove una tipografia stampava documenti falsi che nascondeva nella canna della bicicletta. Dopo il rastrellamento nel ghetto di Roma, il 16 ottobre del 1943, e la deportazione di 1.021 ebrei nei campi di sterminio (tornarono in 17), il vice del capitano Theodor Dannecker, Alvin Eisenkolb, aveva organizzato altri due rastrellamenti a Firenze, il 6 e il 26 novembre del '43. Fu allora che il cardinale Dalla Costa incaricò il parroco di Varlungo, don Leto Casini, e il padre domenicano Cipriano Ricotti di coadiuvare il Comitato di assistenza ebraico (che agiva da terminale degli aiuti internazionali forniti dalla 'Delegazione per l'assistenza degli emigranti ebrei, la Delasem') per mettere al sicuro i profughi ebrei nei vari monasteri e istituti religiosi della diocesi. Dell'organizzazione, tra gli altri, facevano parte anche monsignor Giacomo Meneghello, Gino Bartali e, dalla parte ebraica, Raffaele Cantoni, Giuliano Treves e Matilde Cassin. A Firenze e dintorni, su ordine diretto dell'arcivescovo, si aprirono le porte di almeno ventuno conventi e istituti religiosi, più varie le parrocchie, per nascondere centinaia di ebrei braccati dai nazisti.
(fonte: Ufficio Stampa del Comune di Firenze, 26 febbraio 2014)
Israele - Nuove tensioni da nord
"La nostra politica è chiara. Non parlerò di cosa è stato rivendicato e cosa no. In ogni caso, faremo tutto ciò che è necessario per difendere la sicurezza dei nostri cittadini". Non ha dato conferme il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sul presunto attacco da parte dell'areonautica militare israeliana ai danni di un convoglio di Hezbollah nella regione di Baalbek (sul confine tra Siria e Libano). Se sul punto Netanyahu, interrogato ieri da un giornalista durante la conferenza stampa bilaterale con il cancelliere Angela Merkel, è dunque rimasto vago nonostante il sottotesto sia chiaro: pugno duro contro i nemici di Israele. Oggi, invece, è arrivata la conferma del raid ai danni di Hezbollah, il gruppo terroristico che opera nel sud del Libano. L'obiettivo, un convoglio che stava portando dalla Siria al Libano dei missili da mettere a disposizione dell'organizzazione terroristica. Una mossa, quella israeliana, che vuole indebolire uno dei nemici storici di Israele e che, secondo fonti israeliane, starebbe preparando da tempo una reazione.
Di "conflitto invisibile" parla Amos Harel, analista militare di Haaretz, che sottolinea come il silenzio di Hezbollah sia sintomo di un tentativo di riorganizzarsi del gruppo, indebolito dal conflitto siriano. Noti infatti sono i rapporti tra Hezbollah e il presidente siriano Bashar Al Assad, da anni impegnato assieme all'Iran a finanziare il gruppo terroristico in funzione anti-israeliana. Di converso, gli stessi miliziani di Hezbollah si sono impegnati nel conflitto che sta lacerando la Siria al fianco del dittatore Assad. Secondo il Wall Street Journal, il passaggio di armamenti - come nel caso del convoglio colpito dai caccia israeliani - tra il confine siro libanese è in atto da tempo, anche per evitare che di queste armi entrino in possesso i ribelli. La situazione è dunque molto intricata e Israele continua con la politica degli attacchi mirati non volendo d'altra parte essere coinvolta nella polveriera siriana. Ora l'Idf attende una reazione da Hezbollah dopo il raid di lunedì. Reazione promessa dagli stessi miliziani dalle pagine del giornale Al-Manar, "la resistenza sceglierà momento e luogo giusto per vendicare l'offensiva israeliana". Nell'operazione della scorsa notte sono morti anche quattro esponenti dell'organizzazione terroristica.
(moked, 26 febbraio 2014)
Quel giorno azzurro ad Auschwitz
di Alessandro Catapano
ROMA - L'emozione, palpabile perfino attraverso il video, sta negli occhi lucidi di Federico Balzaretti, commosso pure quando, a distanza di mesi, ricorda quella giornata; o nelle parole di Cesare Prandelli, ancora sgomento: «Lì trovammo il senso della vita». Lì è il campo di concentramento di Auschwitz e il campo di sterminio di Birkenau, i simboli della ferocia nazista, i luoghi della «soluzione finale», dove la Nazionale azzurra impegnata agli Europei fece tappa il 6 giugno 2012. Oggi, dopo mille sforzi, quella «straordinaria giornata di educazione e memoria», come la definisce il presidente federale Abete, è diventata un toccante dvd, intitolato «I campioni ricordano», realizzato da Robert Hassan e in vendita fino a fine mese abbinato a Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport.
SPIAZZANTE - «Toccante, sì spiega Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma e padrone di casa nel museo che ospita la presentazione , anche perché i calciatori furono accompagnati da tre ebrei italiani sopravvissuti a quella tragedia, Samuel Modiano, Piero Terracina e Hanna Kugler Weiss. L'immagine di questi ragazzi seduti sui binari della morte ad ascoltare in silenzio, vale più di mille parole». E per capire l'emozione che quel giorno spiazzò gli azzurri, basta ascoltare il ricordo di Daniele De Rossi: «Mi sentivo preparato, pensavo che mi sarebbe bastato quello che avevo letto sui libri di storia, e invece...».
MONITO - Fa una certa impressione, oggi, parlare di questa iniziativa in una fase decadente del calcio italiano, dei suoi usi e costumi. «Per questo ammonisce Riccardo Pacifici, che non nasconde le sue simpatie romaniste dobbiamo sfruttare queste iniziative per fare fronte comune contro gli spacciatori d'odio e i razzisti da stadio. I calciatori non siano più indifferenti ai cori che si ascoltano negli stadi, gli arbitri fermino le partite e le curve vengano svuotate dei facinorosi. Nessuna tolleranza di fronte alla discriminazione territoriale: se non viene fermata rischia di diventare qualcosa di più. E l'Italia ha già scoperto il razzismo contro gli ebrei e i terroni». Parole sante.
(Gazzetta dello Sport, 26 febbraio 2014)
«Necessario il raid contro Hezbollah»
Netanyahu: l'azione in Libano per «difendere la sicurezza». Arrestati in Gran Bretagna quattro siriani sospettati di preparare attacchi terroristici.
GERUSALEMME - Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha implicitamente confermato ieri i raid israeliani contro postazioni di Hezbollah in Libano, di cui avevano dato notizia lunedì fonti della sicurezza di Beirut. «Stiamo facendo tutto ciò che è necessario per difendere la sicurezza di Israele», ha dichiarato in una conferenza stampa a Gerusalemme. I due raid aerei notturni israeliani hanno preso di mira una zona montuosa vicino al villaggio libanese di Nabi Sheet, un bastione di Hezbollah che ospita un campo di addestramento e un arsenale dei guerriglieri sciiti. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani l'obiettivo era «una base missilistica di Hezbollah, non lontano dal confine con Israele e con la Siria. Lo scorso anno i caccia israeliani avevano attaccato in territorio siriano convogli con armi dirette a Hezbollah, i cui miliziani combattono al fianco del regime di Assad. Nelle settimane scorse era filtrata la notizia secondo cui i caccia israeliani avrebbero attaccato una base aerea siriana a Latakia.
Sempre ieri la polizia britannica ha arrestato 4 persone nell'area di Birmingham sospettate di terrorismo in relazione al conflitto siriano. Secondo l'accusa, un uomo di 45 anni avrebbe partecipato a un corso in un campo di addestramento terroristico, mentre gli altri tre, una donna di 36 anni, una di 44 e suo figlio ventenne sono sospettati di favoreggiamento per azioni terroristiche all'estero. Le autorità britanniche sono sempre più preoccupate per fi numero crescente di connazionali che partono alla volta della Siria per combattere nelle file dei ribelli contro Assad. II timore è che vengano in contatto con estremisti islamici e si radicalizzino, ponendo una minaccia una volta rientrati in patria. Solo quest'anno sono già 16 le persone arrestate dalla polizia britannica con accuse di terrorismo in Siria, furono 24 gli arresti nel 2013.
(Avvenire, 26 febbraio 2014)
Fiera del Levante: Patroni Griffi in Israele, incontrerà Eilat
BARI - La città di Eilat in Israele potrebbe essere interessata a progetti di cooperazione con la Puglia e con la Fiera del Levante.
Il vice sindaco della città, Eli Lankri, infatti ritiene che con l'Ente barese possano germogliare proficui accordi di collaborazione attraverso i quali dar vita a grandi opportunità di business.
Queste dichiarazioni non hanno lasciato indifferente il presidente della Fiera, Ugo Patroni Griffi che tra un paio di settimane volerà in Israele per partecipare a un Meeting nella ONO Academic College, e ne approfitterà per incontrare il vice sindaco Lankri, del quale condivide il pensiero: "sarà un piacere invitare il sindaco di Eliat a Bari. Una occasione per fargli visitare la città insieme alla nostra Fiera e mettere a punto un progetto fieristico di reciproco interesse. Intanto, mi auguro di poter annoverare Eilat tra le partecipazioni ufficiali della prossima Campionaria internazionale in programma dal 13 al 21 settembre e per la quale siamo già al lavoro".
(Giornale di Puglia, 26 febbraio 2014)
Israele discute la piena libertà per gli ebrei di entrare nella spianata delle moschee
di Aldo Baquis
GERUSALEMME
In relazione a un argomento che parla di Gerusalemme ed è stato discusso a Gerusalemme, la nota inizia scrivendo TEL AVIV. Un fatto vergognoso, anche per lestensore della nota se è daccordo. Abbiamo corretto.
- Un acceso dibattito ideologico tenuto ieri alla Knesset (il Parlamento a Gerusalemme) su iniziativa di un deputato del Likud, determinato ad ottenere il libero accesso degli ebrei sulla Spianata delle Moschee, ha messo in allarme l'intero mondo arabo, secondo cui e' adesso in pericolo lo status quo mantenuto da Israele in quel Luogo sacro dal 1967, dopo la Guerra dei sei giorni.
Gia' nella mattinata di ieri nella Spianata si sono verificati scontri fra fedeli islamici, armati di sassi e di oggetti contundenti, e reparti della polizia, che hanno fatto ricorso a manganelli e a granate assordanti. Decine di persone sono rimaste contuse. Messaggi di apprensione sono giunti nella giornata dalla Giordania e dall'Egitto, due Paesi che hanno firmato accordi di pace con Israele. Hamas, da Gaza, ha invocato una riunione urgente della Lega araba. Gli Hezbollah, dal Libano, hanno incitato i palestinesi a respingere "gli attacchi israeliani". E La Fondazione islamica al-Aqsa ha messo in guardia dal "pericolo che gli ebrei cerchino di assumere il controllo sulla Moschea al-Aqsa".
Ad imporre a tutti il dibattito sulla effettiva sovranita' israeliana sulla Spianata e' stato il deputato Moshe Feiglin (Likud) secondo cui il Monte del Tempio - questo e' il nome ebraico della Spianata - rappresenta la "ragione d'essere" profonda dello Stato ebraico. "Senza di esso, non abbiamo alcuna giustificazione di essere qua, siamo alla stregua di crociati", ha detto. Per due ore deputati nazionalisti e laici hanno contrapposto le proprie concezioni dello Stato d'Israele, mentre i deputati arabi (un decimo della Knesset) hanno boicottato il dibattito, in segno di protesta.
Nel 1967 l'allora ministro della Difesa Moshe Dayan (esponente del sionismo laico e laburista) aveva volentieri ceduto la gestione della contesa Spianata al Qaqf (l'ente giordano per la protezione dei beni islamici) osservando con distacco: "Che bisogno abbiamo di questa specie di Vaticano?".
Oggi Feiglin ha trascinato la Knesset intera a misurarsi di nuovo con quella domanda, proponendo la risposta opposta. Due volte, in quella Spianata, gli ebrei hanno eretto un Tempio: il primo fu distrutto dai babilonesi, il secondo dai romani. "E' inconcepibile - ha concluso - che in quell'area ci sia impedito di pregare, perfino di portare la kippà", il copricapo ebraico.
Diversi deputati nazionalisti hanno dunque chiesto al governo israeliano di introdurre nella Spianata nuove procedure, simili a quelle in vigore nella Tomba dei Patriarchi di Hebron (Cisgiordania): ossia di consentirvi le preghiere oltre che ai musulmani anche - da adesso - agli ebrei. Questi interventi hanno destato reazioni molto allarmate fra i banchi della sinistra. Lo status della Spianata, e' stato risposto, va deciso mediante negoziati di pace, non con iniziative "provocatorie".
"Quello e' come un barile di esplosivo! - ha avvertito il laburista Nahman Shay. - Dobbiamo stare ben attenti a non scuotere l'intero mondo islamico". E anche deputati ortodossi gli hanno dato ragione: perche' quella zona di Gerusalemme (dove secondo la tradizione avvenne il sacrificio di Isacco) e' "talmente sacra" agli ebrei hanno detto - che l'ingresso deve restare loro vietato. Il dibattito si e' concluso senza decisioni operative. La presidente della Commissione Affari interi (Miri Regev, Likud) ha tuttavia preannunciato che tornera' a discutere l'argomento, nell'intento di assicurare agli ebrei libero accesso alla Spianata, mentre adesso e' limitato a tre ore al giorno. Parole che rischiano di accendere nuove tensioni a Gerusalemme est: in particolar modo il mese prossimo, quando si celebrera' la Pasqua ebraica.
(ANSAmed, 26 febbraio 2014)
Moshe Dayan: "Che bisogno abbiamo di questa specie di Vaticano?" Frase che segna l'inizio della fine del borioso sionismo laico che s'illude di poter difendere la terra d'Israele senza tener conto del Dio d'Israele. M.C.
|
Proclamate questo fra le nazioni!
Preparate la guerra!
Fate sorgere i prodi!
S'accostino e salgano
tutti gli uomini di guerra!
Fabbricate spade coi vostri vomeri,
e lance con le vostre roncole!
Dica il debole: «Son forte!»
Affrettatevi, venite, nazioni d'ogn'intorno,
e radunatevi!
Là, o Eterno, fa' scendere i tuoi prodi!
Si muovano e salgan le nazioni
alla valle di Giosafat!
Poiché là io mi siederò
a giudicar le nazioni d'ogn'intorno.
Mettete mano alla falce,
poiché la mèsse è matura!
Venite, calcate,
poiché lo strettoio è pieno,
i tini traboccano;
poiché grande è la loro malvagità.
Moltitudini! moltitudini! nella valle del Giudizio!
Poiché il giorno dell'Eterno è vicino,
nella valle del Giudizio.
Il sole e la luna s'oscurano,
e le stelle ritirano il loro splendore.
L'Eterno ruggirà da Sion,
farà risonar la sua voce da Gerusalemme,
e i cieli e la terra tremeranno;
ma l'Eterno sarà un rifugio per il suo popolo,
una fortezza per i figli d'Israele.
E voi saprete che io sono l'Eterno, il vostro Dio,
che dimora in Sion, mio monte santo;
e Gerusalemme sarà santa,
e gli stranieri non vi passeranno più.
Dal libro del profeta Gioele, cap.3
|
|
Senato: il discorso di Grasso, "Giovanni Spadolini, la questione ebraica e lo stato d'Israele"
ROMA - «Cari amici, gentili ospiti, è con vivo piacere che oggi ospitiamo la cerimonia di presentazione del libro di Valentino Baldacci "Giovanni Spadolini: la questione ebraica e lo stato d'Israele", edito nella collana "Nuova Antologia" della Fondazione Spadolini diretta dal Presidente Cosimo Ciccuti, che saluto e ringrazio. L'opera presenta un excursus accurato dell'articolata posizione di Spadolini nei confronti della questione ebraica, consentendo di ripercorrere il percorso del giornalista, dello storico, del politico e dello statista, uno dei protagonisti indiscussi della storia delle nostre Istituzioni. I legami tra Spadolini e il mondo ebraico furono intensi e costanti nel tempo, al punto che lo Stato di Israele gli intitolò un bosco e che gli furono concesse due lauree honoris causa in filosofia, dall'Università di Tel Aviv nel 1987 e dall'Università di Gerusalemme nel 1992, due anni prima della sua scomparsa. Un forte legame intellettuale che passò attraverso l'amicizia con Shimon Peres, e una coerenza politica che spesso lo portò in contrasto con vasta parte dell'opinione pubblica del nostro Paese e dei suoi più autorevoli esponenti politici del tempo. La posizione di Spadolini nei riguardi del sionismo e della questione ebraica era frutto di un approccio culturale maturato negli anni. Il suo pensiero assunse diverse sfumature, articolandosi su più dimensioni: storica, etica e di politica internazionale. La sua fine sensibilità di storico lo indusse a individuare un parallelismo tra il Risorgimento italiano e quello ebraico, sottolineando le affinità che legavano i nostri "padri della patria", Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo, e il "padre di Israele", Theodor Herzl. Egli vedeva nella formazione dello Stato d'Israele l'incarnazione di principi etici che devono guidare l'azione politica, quali lo spirito di libertà e di tolleranza universali. La sua visione di politica internazionale fu coerente nel corso degli anni e in costanza dei numerosi incarichi istituzionali che egli ricoprì. Come Ministro, in varie occasioni, come Presidente del Consiglio dei Ministri e infine come Presidente del Senato e Senatore a vita rimase sempre fedele alle sue opinioni, anche in momenti cruciali che lo misero alla prova. In occasione dell'attentato alla Sinagoga di Roma, nel 1982, fu l'unico politico italiano ammesso dalla comunità ebraica al funerale del bambino Stefano Taché. Nello stesso anno, da Presidente del Consiglio, rifiutò di ricevere Arafat a Palazzo Chigi e le fece solo nel 1990, da Presidente del Senato, in seguito alla Dichiarazione di Algeri del 1988 con cui l'Olp accettò le risoluzioni delle Nazioni Unite, riconoscendo così il diritto all'esistenza per tutti gli Stati della regione, compreso Israele. Fu uno dei protagonisti della crisi di Sigonella nel 1986 e dissentì dalla linea tenuta dal Presidente del Consiglio Craxi e dal Ministro degli Affari esteri Andreotti. Mi piace ricordare che una parte rilevante dello straordinario percorso politico e istituzionale di Spadolini si è svolta proprio qui, fra Palazzo Giustiniani e Palazzo Madama. Come Presidente del Senato, dal 1987 al 1994, si fece portavoce di una visione più ampia, riflettendo sui problemi dell'ebraismo e dell'antisemitismo in generale come nella sua prefazione al volume edito dal Senato della Repubblica nel 1998 "L'abrogazione delle leggi razziali in Italia". Voglio chiudere ricordando il discorso che pronunciò ad Auschwitz il 27 gennaio del 1994 pochi mesi prima della sua scomparsa, un vero testamento spirituale, un invito a coltivare la memoria del passato ed assumere il dovere del futuro. Il libro che presentiamo ha il grande merito di mostrare il lascito di Giovanni Spadolini: l'ampiezza del suo orizzonte culturale, l'onestà intellettuale e la coerenza. Alla sua vita e alla sua opera guardiamo con ammirazione. Grazie.»
(AgenParl, 25 febbraio 2014)
Nigeria, la strage degli studenti cristiani
L'attacco dei terroristi di Boko Haram nel nord-est del Paese: 43 i ragazzi uccisi, "colpevoli" di voler studiare qualcosa di diverso dal Corano. Il Paese sotto choc.
Gli integralisti islamici dell'organizzazione terroristica Boko Haram hanno colpito di nuovo, ancora una volta nel nord-est della Nigeria, ancora una volta giovani inermi condannati perché «colpevoli» di voler studiare qualcosa di diverso dal Corano.
Nel liceo federale di Bani Yadi i dormitori erano immersi nel buio. Alle 2 di notte tutti gli studenti dormivano nel silenzio delle camerate dove ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 18 anni sono alloggiati, lontani dalle loro famiglie proprio per poter avere una educazione «all'occidentale». La banda di assassini ha attaccato in piena notte, ha lanciato bombe a mano, sparato raffiche a ripetizione contro i giovani che tentavano di fuggire, finito i feriti con i machete e a coltellate. Poi ha dato alle fiamme l'edificio e si sono dileguati nel buio trafitto dalle urla dei sopravvissuti.
Sono 43 i giovani ammazzati, quasi tutti maschi, decine i feriti, alcuni dei quali sono stati mutilati. Le ambulanze hanno continuato a fare la spola tra il collegio-scuola e gli ospedali di Damaturu e Buni Yadi per tutta la notte, all'alba i soccorritori stavano ancora cercando eventuali feriti sopravvissuti all'incendio. «Nell'obitorio abbiamo 43 cadaveri», ha detto nel primo pomeriggio un responsabile dell'ospedale di Damaturu, capoluogo dello stato di Yobe teatro dell'eccidio. Fuori, a decine, i familiari degli iscritti alla scuola presa d'assalto premevano per entrare e cercare traccia dei loro figli. Per riprendere il controllo della situazione è stato costretto a intervenire l'esercito, che è riuscito a riportare la calma, fortunatamente senza ulteriore spargimento di sangue.
Dall'inizio dell'insurrezione, nel 2009, contro il governo del presidente Goodluck Jonathan (cristiano, originario della Nigeria meridionale), i Boko Haram hanno già compiuto eccidi di questo genere in numerose scuole del Paese. Tra l'altro Boko Haram significa proprio «l'educazione occidentale è proibita» ed è questo uno degli slogan più urlati per costringere la popolazione a sottostare alla legge islamica (la Sharia).
L'anno scorso, in settembre, almeno 40 studenti erano stati massacrati in un collegio-scuola di agraria nella città di Gujba, sempre nello Stato di Yobe, dopo che in precedenza più volte avevano sparato contro le finestre dei dormitori. Intimidazioni poi sfociate nella strage.
Yobe è uno degli Stati della Nigeria settentrionale maggiormente colpiti dalla «guerra santa» dei Boko Haram che hanno causato in meno di cinque anni migliaia di morti. Dallo scorso maggio il governo centrale ha decretato lo stato d'emergenza e l'esercito sta portando avanti un'offensiva senza precedenti contro i miliziani integralisti. Senza però registrare successi definitivi.
Solo dieci giorni fa, il 15 febbraio, un attacco attribuito sempre ai Boko Haram aveva lasciato 106 morti nelle strade e nelle case devastate di Izghe, villaggio nello Stato di Borno, confinante con Yobe e terra d'origine del movimento fondamentalista. Qui la popolazione è a maggioranza islamica, ma sono molti a non voler seguire la Sharia e anche questi musulmani sono diventati un obiettivo per la sanguinaria campagna dei Boko Haram.
(La Stampa, 25 febbraio 2014)
Il segreto del boom economico di Israele
Orfana di Stanley Fisher, il mitico governatore che dopo tanti anni di servizio ha lasciato l'istituto di emissione di Gerusalemme per prestare servizio presso la Federal Reserve di Janet Yellen; a sorpresa la Banca d'Israele ha tagliato ieri «il tasso d'interesse principale dall'1% allo 0,75%, a causa di dati relativi all'inflazione inferiori alle attese e di una crescita economica fiacca». Questo è lo scarno comunicato di ADN Kronos diffuso ieri.
"Crescita economica fiacca". Ad avercela noi, quella crescita. Dal 2002 al 2011 il PIL del piccolo stato ebraico - la superficie complessiva è analoga a quella di una regione italiana come la Puglia - è più che raddoppiato, passando da 113 a 258 miliardi di dollari correnti. Un boom economico vero e proprio, che fa impallidire anche le performance economiche delle economie emergenti; adesso peraltro visibilmente ingessate....
(Il Borghesino, 25 febbraio 2014)
La comunità ebraica di Salonicco cita la Germania
Chiede la restituzione del riscatto pagato per la liberazione di circa novemila ebrei.
ATENE, 25 feb - La comunità ebraica della città greca di Salonicco ha deciso di citare in giudizio lo stato tedesco per ottenere la restituzione di un'ingente cifra pagata durante l'occupazione nazista della Grecia nel secondo conflitto mondiale come riscatto per la liberazione di circa 9.000 ebrei.
La documentazione relativa all'atto di citazione, come ha reso noto David Saltiel, presidente della comunità ebraica di Salonicco, è stata depositata venerdì presso la Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo.
Dopo un'inutile battaglia legale durata 20 anni nelle aule dei tribunali greci, compresa la Corte Suprema, i quali hanno stabilito che la Germania è protetta dall'immunità internazionale per gli Stati sancita da un'apposita convenzione Ue, la comunità ebraica ha finalmente deciso di rivolgersi alla Corte europea per cercare di ribaltare la sentenza.
"È la conclusione di un lungo processo. Abbiamo finito con i tribunali greci ed ora speriamo che la Corte dei diritti dell'uomo possa aiutarci ad ottenere la restituzione del riscatto all'epoca versato alla Germania dalla comunità ebraica", ha detto Saltiel come riferito dal sito GreekReporter.
La somma pagata dagli ebrei di Salonicco agli occupanti tedeschi sarebbe dovuta servire a liberare circa 9.000 uomini ebrei tra i 18 e i 45 anni che erano stati fatti prigionieri e rinchiusi nei campi di lavoro nel 1942, dopo che i nazisti ebbero presero il controllo della città. In cambio della loro liberazione, Max Merten, l'allora amministratore civile tedesco di Salonicco, avrebbe chiesto alla comunità ebraica una somma di circa 2,5 miliardi di dracme in contanti, oro e gioielli.
Secondo Saltiel, quegli uomini erano in gran parte ammalati e stavano morendo di fame così la comunità cominciò a raccogliere il denaro per pagare il loro riscatto. Merten, comunque, non mantenne la promessa e quando i primi gruppi di ebrei di Salonicco cominciarono a partire per i campi di concentramento nazisti, la comunità ebraica aveva già versato 1,9 miliardi di dracme, pari al cambio attuale a circa 70 milioni di dollari.
Prima della seconda guerra mondiale a Salonicco, che era nota come "la Gerusalemme dei Balcani", vivevano circa 50.000 ebrei.
Di essi, meno di 2.000 sopravvissero alla Shoah.
(ANSAmed, 25 febbraio 2014)
Iran - Pastore cristiano detenuto in precarie condizioni di salute: urge il rilascio
TEHERAN - Il Pastore cristiano evangelico e cittadino iraniano Behnam Irani - detenuto dal 2011 dopo una condanna per "azioni contro lo stato" - è in precarie condizioni di salute che potrebbero comprometterne la sopravvivenza. Per questo urge rilasciarlo: lo chiede, in una nota inviata a Fides, l'Ong "Christian Solidarity Worldwide" (CSW), ricordando che, "anche se condannato con accuse di tipo politico, in realtà il Pastore è in carcere a causa della sua fede, in flagrante violazione della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici". Il Pastore ha subito un intervento chirurgico il 22 febbraio ed è ora ricoverato nel Shahid Madani Hospital a Karaj. Behnam Irani soffriva di gravi emorragie a causa di ulcere allo stomaco e complicazioni intestinali. Secondo fonti dei CSW, l'operazione ha avuto successo e il Pastore tornerà nei prossimi giorni nella prigione di Ghezal Hesar.
Il Pastore Irani, cittadino iraniano convertitosi al cristianesimo, era divenuto capo della "Chiesa dell'Iran" con sede a Karaj. Avendo organizzato riunioni di preghiera "non autorizzate", è stato condannato nel 2011 a sei anni di reclusione. Nei primi mesi della sua prigionia all'istituto penale di Ghezal Hesar, il Pastore Irani è tenuto in isolamento in una piccola cella, dove le guardie ripetutamente lo svegliavano durante il sonno, come forma di tortura psicologica. E' stato poi spostato in una stanza angusta dove i detenuti non potevano sdraiarsi a dormire, in seguito trasferito in una cella sporca a sovraffollata che condivide con 40 detenuti. E' stato sottoposto a pressioni fisiche e psicologiche per convincerlo a riconvertirsi all'islam. Le autorità iraniane, infatti, sono particolarmente sensibili e ritengono "un esempio pericoloso" gli iraniani che si convertono dall'islam alla fede cristiana.
Nella nota inviata a Fides, Mervyn Thomas, Direttore esecutivo di CSW, dichiara: "E' inaccettabile lasciare che le condizioni di salute di un detenuto possano deteriorarsi a tal punto. Continuiamo a chiedere il rilascio del Pastore, imprigionato solo perchè cristiano".
(Agenzia Fides, 25 febbraio 2014)
La Banca d'Israele taglia i tassi a sorpresa
La Banca centrale d'Israele ha abbassato a sorpresa i tassi d'interesse di 25 punti base, portandoli allo 0,75%. L'ultimo taglio era stato fatto cinque mesi fa. La governatrice Karnit Flug ha dichiarato che la decisione è stata presa a causa dell'inflazione più bassa delle attese, del pessimismo dei consumatori e dei "deludenti" dati macro degli Stati Uniti. Il rendimento del titolo di Stato decennale è sceso al minimo record del 3,35%, mentre lo shekel è rimasto stabile a 3,5191 per dollaro.
"Non siamo ancora vicini alla recessione, ma ci stiamo muovendo in quella direzione", ha dichiarato Rafi Melnick, membro del comitato di politica monetaria della banca centrale d'Israele. L'obiettivo di inflazione fissato dalla banca centrale è fra l'1 e il 3%. A gennaio l'indice è sceso all'1,3% e a febbraio è previsto in ulteriore calo all'1%. Sempre a gennaio, il pil è cresciuto meno delle attese, del 2,3%. Di certo la Banca d'Israele ha un atteggiamento diverso rispetto alla Bce, che di fronte a una crescita del pil di Eurolandia del 2,3% alzerebbe sicuramente i tassi.
(tiscali, 25 febbraio 2014)
"Ebrei, lasciate l'Ucraina"
Uno dei due rabbini capi invita la sua gente ad abbandonare la capitale e il Paese, "ormai ci sono avvertimenti costanti sull'intenzione di attaccarci".
Uno dei due rabbini capi dell'Ucraina, Moshe Reuven Azman, ha invitato gli ebrei di Kiev a lasciare la città e se possibile anche il Paese, temendo che gli ebrei della città siano perseguitati nel caos che è seguito agli scontri di piazza: lo riferisce il quotidiano israeliano "Maariv".
"Ho esortato la mia congregazione a lasciare il centro della città o Kiev tutti insieme e, se possibile, ad abbandonare anche l'Ucraina", racconta il rabbino Azman. "Io non voglio sfidare il destino", ha aggiunto, "e ormai ci sono avvertimenti costanti sulle reali intenzioni di attaccare le istituzioni ebraiche".
Secondo il rapporto del giornale, Azman ha chiuso le scuole della comunità ebraica, ma guida ancora tre preghiere quotidiane. Anche l'ambasciata israeliana ha raccomandato ai membri della comunità ebraica di limitare al massimo le uscite dalle loro case .
Edward Dolinsky, capo della organizzazione degli ebrei dell'Ucraina, ha descritto la situazione a Kiev come pericolosa. E aggiunge: "Abbiamo contattato il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman perché chieda che ci aiutino a garantire la sicurezza delle nostre comunità."
Sabato scorso i manifestanti nella capitale ucraina - ha detto - hanno preso il pieno controllo della città dopo la firma di un accordo di pace mediato dall'Occidente e volto a porre fine a tre mesi di crisi politica della nazione. Il presidente Viktor Yanukovich è ancora in Ucraina, una fonte della sicurezza ha detto che da sabato la sua residenza è vuota e incustodita, e suoi uffici a Kiev nelle mani dei manifestanti .
(globalist, 25 febbraio 2014)
*
Ucraina: gli ebrei chiedono aiuti ad Israele
ROMA - Una richiesta urgente di aiuti rivolta al premier israeliano Benyamin Netanyahu e al ministro della Difesa Moshe Yaalon è stata inviata oggi dal direttore generale dell'Associazione delle organizzazioni ebraiche in Europa, il rabbino Menachem Margolin, in seguito al moltiplicarsi di episodi di antisemitismo in Ucraina. In particolare, riferiscono i media israeliani, viene richiesto l'invio urgente in Ucraina di guardie di protezione. In parallelo il rabbino Margolin ha chiesto all'Unione europea di insistere con gli attuali responsabili della sicurezza a Kiev affinché impediscano gli attacchi contro la minoranza ebraica. Secondo il rabbino Margolin nelle ultime 48 ore si sono moltiplicati in varie località dell'Ucraina gli episodi di carattere antisemita.
Fra questi: il lancio di una bottiglia incendiaria contro una sinagoga (che ha provocato danni circoscritti); scritte minacciose sui muri; e anche il tentativo di intimidazione di un rabbino a cui è stato chiesto di lasciare la sua città (Kriverog, secondo la traslitterazione ebraica, Kryvyi Rih nella parte sud occidentale) "entro 72 ore". In Ucraina, conclude il rabbino Margolin, per gli ebrei "si è creata una situazione di emergenza". Finora nè Netanyahu, nè Yaalon si sono espressi in materia. Nei giorni scorsi tuttavia la parastatale Agenzia ebraica ha stanziato una cifra iniziale di 150 mila dollari per rafforzare la protezione degli ebrei in Ucraina. Secondo le sue stime, la comunità ebraica è composta da almeno 200 mila persone (nel 1933 erano almeno 5,5 milioni).
(blitz quotidiano, 25 febbraio 2014)
*
E Israele invia un team in soccorso degli ebrei
Aiuteranno a valutare i rischi per la sicurezza. Previsto un piano di fuga dal paese
di Maurizio Molinari
Israele teme il rafforzamento dell'estrema destra in Ucraina e invia a Kiev dei «team di emergenza» il cui compito è di aiutare le locali comunità ebraiche a valutare i «rischi per la sicurezza» e adottare le necessarie contromisure, inclusa l'emigrazione. Per comprendere l'entità dei timori che circolano nello Stato ebraico bisogna entrare nel pub «Putin» su Jafo Street, nel centro della città, dove la maggioranza degli avventori sono di origine russa e condividono l'allarme lanciato da Inna Rogatchi, una ricercatrice sull'«Olocausto nei tempi moderni» che ha soggiornato a Kiev negli ultimi due mesi arrivando alla conclusione che «il partito neonazista Svoboda è un incubo per l'Europa» ed è uscito rafforzato dal rovesciamento del presidente filo-russo Viktor Yanukovich.
Sebbene il governo Netanyahu eviti dichiarazioni ufficiali in merito, le preoccupazioni di Gerusalemme riguardano il fatto che «Svoboda» (Libertà) oltre ad avere il 10 per cento dei seggi nel Parlamento ha alle spalle una ventina di formazioni di estrema destra che, nel complesso, arrivano a rappresentare circa il 20 per cento di una popolazione di 46 milioni di abitanti. Da qui la decisione di Nathan Sharansky, presidente dell'Agenzia Ebraica, di iniziare un'operazione di «assistenza di emergenza» per la comunità ebraica ucraina stimata in 200 mila anime rispetto alle 70 mila di cui parlano le statistiche di Kiev. La maggior parte degli ebrei ucraini vive nella capitale, a Odessa, Lvov e Dnepropetrovsk ed è qui che Sharanky - ex leader dell'emigrazione ebraica dall'Urss - ha ordinato di inviare dei «team di emergenza» la cui missione è contattare istituzioni, sinagoghe e centri comunitari per assisterle nel «fronteggiare eventuali pericoli» e, se necessario, aiutare a emigrare in Israele chi volesse farlo. Tale forma di «intervento di emergenza» è stato creato dall'Agenzia Ebraica dopo l'attacco terroristico alla sinagoga di Tolosa nel marzo 2012 - morirono un insegnate e tre alunni - e ha poi contribuito a soccorrere comunità in situazioni di pericolo dalla Grecia all'Argentina ma, come Sharansky ammette, la crisi ucraina ha dimensioni maggiori: «Stiamo parlando di una delle comunità ebraiche più grandi del mondo».
(La Stampa, 25 febbraio 2014)
In Italia le eccellenze israeliane
Dopo Milano e Torino, si apre a Roma il terzo appuntamento dell'Israel University Day, incontro di orientamento per gli studenti italiani sul mondo accademico israeliano promosso dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane insieme a Masa, programma che offre ai giovani borse di studio per trascorrere un periodo in Israele. Dall'Università ebraica di Gerusalemme al Technion di Haifa, sette prestigiose realtà universitarie in queste ore si raccontano ai ragazzi della scuola ebraica di Roma Renzo Levi, illustrando programmi, opportunità, strutture. Ad aprire l'incontro, diviso in due sessioni - la prima dedicata a una presentazione di ciascuna università, la seconda con colloqui personalizzati per ciascuno studente - gli interventi Ruth Dureghello, assessore alle scuole della Comunità ebraica di Roma, Alessandro Luzon, consigliere dell'Unione e coordinatore della Commissione UCEI ai rapporti con Israele e l'Aliyah, Daniela Pavoncello, consigliere dell'Unione e coordinatore della Commissione UCEI Scuola, Educazione e Giovani. A presentare l'iniziativa il presidente dell'Associazione amici del Technion, Piero Abbina. Domani a Firenze, l'ultimo dei quattro incontri organizzati con i rappresentati delle università israeliane.
"Come UCEI teniamo moltissimo ad occasioni come queste e a far sì che i nostri giovani possano fare un'esperienza di studio o tirocinio in Israele", ha affermato il consigliere Alessandro Luzon, ricordando i diversi progetti portati avanti dall'Unione per la formazione degli studenti delle realtà ebraica italiane: in primis, l'University day, nato nel 2010 su iniziativa di Claudia De Benedetti, allora assessore ai Giovani dell'UCEI assieme a Piero Abbina; dal 2012 è on-line israeluni.it, il portale che contiene informazioni e contatti delle principali università israeliane; da quest'anno, poi, un altro grande risultato è stato ottenuto con la traduzione per la prima volta dello psicometrico, il test che permette di accedere alle università israeliane, in italiano e con la possibilità di sostenere l'esame a Milano e Roma. 250 sono gli studenti iscrittisi per sostenere lo psicometrico, a dimostrazione del successo dell'iniziativa portata avanti dall'Unione e in particolare dalla Commissione Israele ed Alyà.
"Israele oggi offre l'eccellenza in molti campi, offre prospettive per chi ha delle idee e delle capacità", ha sottolineato Luzon, per questo la strada accademica israeliana si prospetta come un'ottima opportunità per gli studenti italiani. "Ascoltate le vostre passioni e i vostri desideri", ha consigliato ai ragazzi Daniela Pavoncello, consigliera UCEI, mentre Ruth Deganello, assessore della Comunità di Roma, ha ricordato come la scuola ebraica di Roma abbia iniziato cinque anni fa questo percorso di formazione che ha portato molti studenti a scegliere Israele come opportunità di studio. "Il 25% dei diplomati lo scorso anno ha scelto l'estero, la maggior parte Israele", ha affermato Deganello, sintomo della volontà dei giovani di guardare oltre le frontiere nazionali.
Ha espresso invece la sua soddisfazione per la grande partecipazione nelle tre comunità ad oggi incontrate, Gilad Peled, shaliach e rappresentante in Italia del programma Masa.
(moked, 24 febbraio 2014)
Netanyahu invita Renzi in Israele
Il premier Benyamin Netanyahu ha invitato il neo primo ministro italiano Matteo Renzi a visitare Israele. Il leader israeliano - nel corso di un telefonata di ieri sera con Renzi - ha rilevato, secondo il suo ufficio, che l'Italia "svolge un ruolo importante a livello internazionale", apprezzando il suo sostegno "contro il boicottaggio di Israele".
(ANSA, 24 febbraio 2014)
Un Hassid ebreo a Maidan
di Marco Tosatti
Un berretto invece della Kippah, il giovane "potrebbe passare per un docente di una Yeshivah" (una scuola religiosa ebraica). Ma invece è uno dei leader della difesa dei manifestanti a via Hrushevsky (Hrushevskoho). Chiede di mantenere l'anonimato. Dice di essere venuto a Maidan nei primi giorni. "Quello che ho visto mi ha colpito: tutto era così disorganizzato. Mancanza di leaders, di una strategia chiara e così via. Allora, con mia sorpresa, cominciai a organizzare, anche se all'inizio non la consideravo la 'mia guerra'. Ho organizzato l'auto-difesa, la costruzione delle barricate, e poi sono diventato un leader dell'unità di protezione".
Il religioso che ha fatto il servizio militare nell'esercito israeliano, si è reso conto che non era possibile prendere l'iniziativa contro i Berkut a Maidan. "Ho capito che ci sarebbe stato molto sangue. Ho contato le persone sulle barricate, mi sono reso conto che l'equilibrio delle forze era assolutamente inaccettabile per un azione offensiva e li ho convinti a rinforzare il ridotto, e a prendere una posizione difensiva". Ed è suo il merito di aver ottenuto che duecento soldati e poliziotti sgomberassero la Casa Ukraina, dove erano asserragliati, con 1500 manifestanti intorno pronti all'attacco, e la crisi si risolvesse senza la minima violenza.
L'interlocutore ha spiegato a Voices of Ukriane cche "ci sono altri quattro israeliani con un'esperienza di combattimento come la mia nella mia unità. Come me, sono venuti a Maidan per aiutare a evitare che ci siano delle perdite umane non necessarie. Chiamerei il nostro gruppo 'elmetti blu' , in analogia alle forze di pace dell'Onu.
Alla domanda se in quei giorni ha visto elementi di antisemitismo fra i manifestanti, ha risposto: "Non c'è stato neanche un accenno a quel genere di comportamento. Sono stato in contatto con attivisiti di 'Pravy Sector', (Settore di Destra, un gruppo militante di estrema destra) UNA-UNKSO (Autodifesa del Popolo Ucraino, anch'esso di destra) . Mi sono sempre presentato come un ebreo, e religioso, per di più. Ho decine di guardie della resistenza georgiani, azeri, ameni e russi che non cercano neanche di parlare ucraino e non siamo stati mai intolleranti gli uni con gli altri. Sono tutti rispettosi verso la mia fede, sanno già quello che posso e non posso mangiare, e non c'è nessuna ostilità".
(La Stampa, 24 febbraio 2014)
Israele-Germania, vertice altamente simbolico a Gerusalemme
Merkel e il governo tedesco in visita di 24 ore per il piu' grande incontro intergovernativo mai organizzato tra i due Paesi.
GERUSALEMME - Berlino apre i propri consolati agli israeliani. E' questo uno degli accordi più importanti e simbolici che Israele e Germania firmeranno domani a Gerusalemme, dove si terrà il più grande incontro intergovernativo mai organizzato tra i due Paesi in vista delle celebrazioni del 2015 per il cinquantenario delle relazioni diplomatiche. Relazioni che vengono definite "eccellenti" da entrambe le parti, malgrado la pesantezza del fardello storico che le caratterizza. La Merkel sarà accompagnata da 14 ministri per una visita di 24 ore durante la quale saranno firmati accordi che confermano l'intensità raggiunta nei rapporti bilaterali. Fra questi spicca appunto la possibilità per gli israeliani di ottenere servizi consolari dalle rappresentanze della Germania in Paesi che non intrattengono relazioni con lo Stato ebraico (ad esempio in Indonesia e Malesia, dove cresce la presenza di uomini d'affari israeliani); e la concessione quasi automatica di permessi temporanei di lavoro per i giovani israeliani in visita in Germania, e viceversa. "Angela Merkel giunge qua da amica, con un seguito considerevole", ha osservato il premier Benyamin Netanyahu nella odierna seduta di governo. Si rende conto da un lato che la Germania resta per Israele uno dei puntelli più importanti in Europa (come dimostrano le forniture di sofisticati sottomarini) ma anche che Berlino ha una serie di attese politiche la cui enunciazione, negli ultimi tempi, ha provocato tensioni fra i due statisti. Uno dei punti costanti di frizione è rappresentato dalla questione palestinese e dalla colonizzazione ebraica nei Territori. In un intervento su Yediot Ahronot, il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha ribadito che il suo Paese sostiene con determinazione le trattative mediate dal Segretario di stato John Kerry e "sprona Israele a prendere in merito decisioni difficili, ma necessarie". Da parte sua Netanyahu ha rilevato che nel contesto delle trattative fra l'Iran e i Paesi del '5+1' la Germania ha un ruolo importante da giocare: "Occorre smantellare la capacità di Teheran di produrre e lanciare ordigni atomici. Spero che la Germania e gli altri Paesi del 5+1 insisteranno su queste richieste per impedire all'Iran di raggiungere la 'soglia nucleare' ". Finora l'andamento delle trattative, invece, lo "preoccupa". Da parte sua, anticipa Steinmeier, la Germania si sente in dovere di rassicurare gli israeliani che si impegnerà contro ogni tentativo di mettere in questione la legittimità del loro Stato. "Non siete soli", ha ribadito ai lettori israeliani il ministro tedesco a nome della Merkel. Martedì il capo dello Stato Shimon Peres conferirà alla Merkel una Medaglia di Distinzione che rappresenta l'onorificenza più elevata dello Stato ebraico. "Merkel - ha notato Peres - è una leader eccezionale, con profonde convinzioni morali e con alti ideali, distintasi per le relazioni calorose verso Israele e il popolo ebraico". Peres ha elogiato fra l'altro "il suo splendido esempio nell'educazione delle nuove generazioni contro l'antisemitismo, il razzismo e l'odio". Grazie alla sua leadership, ha concluso, le relazioni bilaterali hanno toccato nuove vette.
(Notiziario Italiano, 24 febbraio 2014)
Morta a centodieci anni la più anziana sopravvissuta alla Shoah
LONDRA - Si chiamava Alice Herz-Sommer e a 110 anni era la piu' anziana sopravvissuta all'Olocausto. Nota concertista si apprestava a diventare ancora piu' famosa per il film-documentario di 38 minuti sulla sua vita candidato all'Oscar il prossimo 2 marzo: "The lady in number 6: music saved my life". Nata in una famiglia dell'upper class ebraica a Praga, e' cresciuta frequentando come amici di famiglia "zio Franz" Kafka e Gustav Mahler. Pianista di grandissimo talenti si vide stroncare la carriera dai nazisti. Ma alla musica deve la sua salvezza, inizialmente quella del marito (che poi mori') e del figlioletto di sei anni, quando nel 1943 venne trasferita a Theresienstadt: la fortezza-ghetto a 50 km da Praga che la propaganda di Hitler spacciava come "il regalo del Führer agli ebrei". Qui pero' c'era un teatro ed un'orchestra, che consentirono a Alice di sopravvivere alla fine della II Guerra Mondiale. Da Praga si trasferire nel neonato Stato di Israele dove ha vissuto a lungo e ripreso la carriera da concertista. Qui visse 37 anni per poi trasferirsi a Londra in un appartamento al "number 6" (lo stesso del titolo) di un edifico del centro.
(AGI, 24 febbraio 2014)
Cruyff apre un campo di calcio per ebrei e arabi ad Akko
Johan Cruyff aprira' un suo secondo 'Campo di calcio' per ebrei e arabi ad Akko (S.Giovanni d'Acri), nel nord del paese. Lo ha annunciato lui stesso in un incontro avuto oggi con il presidente israeliano Shimon Peres a Gerusalemme. Uno di questi campi - ce ne sono 150 in tutto il mondo ad iniziativa dell'ex calciatore e manager - e' attivo gia' a Giaffa. La Fondazione Cruyff - che lavora in stretta cooperazione con il Centro per la pace fondato da Peres - ha come obiettivo di portare campi di calcio nei sobborghi delle citta' con l'intento di accrescere la coesistenza e l'accettazione. ''Non siete solo un giocatore da leggenda - ha detto Peres a Cruyff accompagnato dal figlio Jordi attualmente manager della squadra Maccabi Tel Aviv - ma anche un modello da seguire per gli altri''.
(la Repubblica, 24 febbraio 2014)
Oltremare - HaPalmach
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
Ottavo: Tzàbar si diventa
Nono: tutti in prima linea
Decimo: un castello sulla sabbia
Sei quel che mangi
Avventure templari
Il tempo a Tel Aviv
Il centro del mondo
Kaveret, significa alveare ma è una band
Shabbat & The City
Tempo di Festival
Rosh haShanah e i venti di guerra
Tashlich
Yom Kippur su due o più ruote
Benedetto autunno
Politiche del guardaroba
Suoni italiani
Autunno
Niente applausi per Bethlehem
La terra trema
Cartina in mano
Ode al navigatore
La bolla
Il verde
Il rosa
Il bianco
Il blu
Il rosso
L'arancione
Il nero
L'azzurro
Il giallo
Il grigio
Reality
Ivn Gviròl
Sheinkin
|
di Daniela Fubini, Tel Aviv
I miei primi mesi israeliani, a inizio 2008 a Gerusalemme, sono stati un viaggio nel tempo avanti e indietro senza sosta fra la guerra d'Indipendenza del '48 e il ripasso delle 12 tribù d'Israele: Naftali, Efraim, Reuven, Gad, eccetera. Ogni mattina mi alzavo presto nell'appartamento di Rehov Nili, spesso scendevo su Rehov HaPalmach dove c'è l'unico bar pasticceria del circondario che serve caffè espresso e ottimi dolci; faceva freddo, era inverno e l'inverno a Gerusalemme può essere gelido. Poi prendevo strade diverse, tutte quasi parallele, per arrivare all'ulpan su Rehov Gad, e rimanerci tutta la mattina e un bel pezzo di pomeriggio. Lezioni di ebraico per cinque ore, pranzo, compiti. Vita dura, quella dello studente adulto.
Al ritorno, tutta salita. E quasi senza accorgermene, lasciata la zona delle tribù verso quella che snocciola a ogni incrocio un pezzetto di storia delle rivolte contro Ottomani ed Inglesi (Lehi, Buli, Nili, Tel Hai), cominciavo a canticchiare. Spesso, una marcetta imparata chissà quando, da ragazzina, probabilmente all'Hashomer Hatzair: "Misaviv yehum hasa'ar - Ach roshenu lo yishach - Lifkuda tamid anachnu tamid - Anu, anu Hapalmach!"
Ero convinta che fosse un quasi inno nazionale, senza nulla togliere alla amatissima e melodica Hatikva, e invece ho scoperto allora che è una specie di reperto storico-musicale. Non la conoscono tutti, è forse paragonabile alle nostre canzoni dei partigiani, che a casa mia erano colonna sonora principale, ma ho imparato negli anni che se mi parte in testa una "Brigata Garibaldi" o una "Siamo i ribelli della montagna" è ben probabile che io sia l'unica persona della mia generazione a saperne le parole.
Così anche per la marcetta del Palmach, mini-esercito attivo per pochi anni, prima dell'annessione alla Hagana e poi all'Esercito regolare israeliano. Peccato, era una gran bella marcetta. Per fortuna invece i combattenti del Palmach sopravvissuti al terribile anno 1947-48 sono poi diventati in buona parte leader politici o alti intellettuali nello Stato neonato. Yigal Allon, Yehuda Amichai e Yitzhak Rabin fra gli altri, non sono relegati ad un ritornello che vale solo per chi per caso lo sa ancora.
(moked, 24 febbraio 2014)
Idea di Hamas: privatizzare la frontiera di Gaza per frenare il crollo dell'economia
di Luca Pistone
Il movimento di resistenza islamico Hamas, che governa a Gaza, vuole privatizzare la gestione dei valichi di frontiera con Israele ed Egitto per far fronte alla critica situazione economica che interessa la Striscia, sotto l'assedio dell'esercito israeliano dal 2007.
Secondo gli analisti, si tratta di una misura di difficile attuazione. E questo almeno fino a quando non si materializzerà la riconciliazione delle fazione palestinesi, in fase di stallo dal 2012 e che negli ultimi mesi sia Hamas che l'Autorità Nazionale palestinese (Anp) cercano di rilanciare, senza particolare successo.
In dichiarazioni alla stampa locale, Alla Rafati, ministro dell'Economia del governo di Hamas, ha spiegato che l'obiettivo è quello di passare la manutenzione e l'amministrazione dei valichi agli imprenditori di Gaza, mentre l'esecutivo si limiterà a legiferare e monitorare il corretto funzionamento del processo.
"Gestire i valichi sarà compito di imprese private, e l'unica cosa che farà il governo sarà legiferare e creare l'atmosfera necessaria per una gestione appropriata (
) Vogliamo evitare che la politica interferisca nella gestione dei valichi di frontiera e impedire che questi siano ancora utilizzati come scusa per esasperare le già dure condizioni di vita" dei circa due milioni di abitanti della Striscia, ha detto Rafati, citato dall'agenzia di stampa palestinese Ma'an.
Il ministro ha aggiunto che i piani sono "a buon punto" e di aver già parlato con vari membri del settore privato per studiare e attuare il "passaggio di consegne".
I funzionari dell'Anp - al contrario di quanto affermato da Rafati - assicurano di non essere stati messi a conoscenza del progetto che, per essere messo in marcia, dovrà contare dell'approvazione di Israele ed Egitto. La gestione dei valichi di frontiera, sottolineano, "ricade sotto la responsabilità dell'Anp".
Di fatto, l'Anp è l'unica ad avere le capacità per coordinare con le autorità israeliane l'entrata e l'uscita dei prodotto di base attraverso il valico di Kerem Shalom, che l'esercito israeliano controlla nel sud della Striscia.
Hamas controlla i valichi nella Striscia, ma non ha alcuna relazione diretta con Israele, stato che non riconosce e che reputa nemico.
La Striscia è sottoposta allo stretto controllo dell'esercito israeliano dal 2007, anno in cui le milizie di Hamas e dell'Anp si erano scontrarono in una sanguinosa battaglia.
Anche se dal 2010 l'assedio è stato lievemente sollevato, Hamas lamenta che Israele consente solo il transito del 40 per cento dei prodotti di base di cui ha bisogno la popolazione e mantiene limitato l'ingresso di materiali da costruzione e materie prime per l'industria.
Con l'imposizione del blocco, gli abitanti di Gaza si sono visti costretti a scavare decine di tunnel, soprattuto al confine con l'Egitto, che per anni sono stati utilizzati per la movimentazione di merci e persone, ma anche per il contrabbando di armi.
La decisione adottata la scorsa estate dall'Egitto di distruggere oltre il 90 per cento di questi tunnel ha causato gravi danni economici alla Striscia e deteriorato ulteriormente la già delicata situazione umanitaria.
(Atlas, 24 febbraio 2014)
Roma - Ciclo di incontri di etica medica ebraica
a cura di Rav Roberto della Rocca e di Fabio Gaj
La medicina e la biologia, sviluppatesi mollo rapidamente negli ultimi anni hanno risvegliato un gran numero di problemi morali ed etici. Sebbene molle questioni non siano necessariamente nuove, si presentano con sempre maggior frequenza e in contesti che necessitano un'urgente richiesta di soluzioni. Cio' è emerso da quella che sta rapidamente diventando una nuova disciplina accademica, I. "bioetica", un'indagine interdisciplinare che coinvolge esperti nei diversi campi della filosofia, della religione, della medicina, del diritto, della psicologia e della scienza, i quali si sforzano di formulare risposte alle domande che vengono sollevate attualmente.
Le questioni riguardanti la bioetica toccano la vita, la salute e m definitiva, la condizione sociopsicologica di ognuno degli appartenenti la società. Quindi i problemi m discussione non sono solo di interesse teorico astratto: sono di importanza e di immediata applicabilità.
Ecco che la bioetica per la tradizione ebraica rappresenta la fusione della teoria e della pratica. E' una materia in cui le astrazioni si concretizzano e in cui l'ebraismo cerca di offrire delle risposte ai dilemmi etici della vita quotidiana. Per gli ebrei tutte queste domande sono ricerche non applicabili semplicemente ai principi utilitaristici ma devono necessariamente cercare risposte negli insegnamenti della Toràh e nei suoi insegnamenti. L'ebreo deve sforzarsi di trovare la possibile applicazione pratica di concetti fondamentali del pensiero ebraico alla realtà quotidiana della vita moderna,
li dibattito che ne segue attinge alle fonti talmudiche, le decisioni sono ali interno, nei vari codici delle leggi ebraiche e le successive risposte nella letteratura Questo perché è all'interno della tradizione come spiegata e trasmessa di generazione in generazione che il Creatore ha trasmesso il Suo volere ali 'uomo. Lo studioso di questi problemi deve avere consapevolezza dei potenziali pericoli e delle insidie connesse alla compilazione di una risposta definitiva.
La Toràh parla nel linguaggio degli uomini e pertanto costituisce un insegnamento vivo e non una reliquia del passato dando voce a pproblemiperenni, e in tal modo è cultura dell'uomo moderno animandolo di un pensiero che è sempre attuale, impegnato nella ricerca di risposte che pongano l'esistenza all'insegna dei valori ppiù alti dell'umanità.
In quest'ottica la scienza ppuò diventare lo strumento per l'uomo per esercitare il dominio sulla natura un dominio che non solo è legittimo, ma risponde a un preciso dovere (''riempite la terra e conquistatela." Genesi,1 ;28).
Se l'uomo con questo è stato innalzato al rango di immagine divina e continuatore dell'opera della creazione, non deve tuttavia dimenticare che comunque non può, né deve per questo sostituirsi al suo Creatore,
Allo scopo di riflettere su questi interrogativi vi proponiamo un ciclo di incontri di studio durante i quali verranno affrontati da alcuni nostri Maestri temi e problemi di grande interesse e attualità.
Programma
(Comunità Ebraica di Roma, 24 febbraio 2014)
Il terrorismo paga. Letteralmente
Ecco come il denaro dei contribuenti occidentali alimenta il terrorismo e allontana la pace.
Husni Najjar, un palestinese di Hebron già condannato per attività terroristiche, ha rivelato alla polizia d'aver progettato un secondo attentato, fittizio, contro israeliani perché sapeva che, una volta incarcerato, avrebbe ricevuto un cospicuo stipendio dall'Autorità Palestinese. La confessione firmata dal palestinese lo scorso agosto è stata diffusa domenica da Palestinian Media Watch. "A causa della mia difficile situazione finanziaria - afferma Najjar - ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall'Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio"....
(israele.net, 24 febbraio 2014)
Marijuana libera per i malati in Israele
di Davide Frattini
GERUSALEMME Per sostenere le sue battaglie politiche cita sempre i Libri sacri. Che debba proclamare il diritto degli ebrei a insediarsi in Cisgiordania |