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Notizie febbraio 2014


"La Giordania è araba!": il grido di guerra dei Fratelli Musulmani

Dopo la sconfitta politica subita con la caduta di Mahmud Morsi in Egitto, i Fratelli Musulmani giordani riscoprono la causa palestinese come cavallo di battaglia: tutti ad Amman per contestare la stretta alleanza del regno hashemita con Washington, l'Europa, l'Occidente.

di Maurizio Molinari

Un momento della manifestazione nella capitale della Giordania
Venerdì, ore 12.30, Grande Moschea Husseini. E' il momento della settimana scelto dai Fratelli Musulmani per manifestare contro tutto ciò che avversano di più: l'America, Israele, la monarchia hashemita e lo stile di vita occidentale. Le foto che pubblichiamo descrivono quanto avviene. Appena la preghiera finisce, la polizia di schiera. E' in assetto anti-sommossa ma l'approccio è pacifico. Punta sulla deterrenza. I Fratelli Musulmani alzano una bandiera giordana, impugnano un megafono e iniziano a ritmare il grido: "La Giordania è araba, la Giordania è araba". E' una maniera per contestare la stretta alleanza del regno hashemita con Washington, l'Europa, l'Occidente. Il gruppo di militanti islamici diventa una piccola folla. Arriva fino a 500, forse 600 persone. Circondati dalla polizia ma anche dai reporter di tv, radio e siti Internet arabi. E' una donna la portavoce che, kefia palestinese sulle spalle, parla per tutti: "Siamo qui per la Palestina, Gerusalemme deve essere liberata".
Dopo la sconfitta politica subita con la caduta di Mahmud Morsi in Egitto, i Fratelli Musulmani giordani riscoprono la causa palestinese come cavallo di battaglia. Anche perché la maggioranza di loro, qui in Giordania, è di origine palestinese. Gli agenti giordani, caschi e giubbotti anti-proiettile, guardano i manifestanti da pochi metri di distanza. Poi parte il grido "Re Abdallah ascolta Allah" ovvero l'appello al re a seguire la via islamica. E' incalzante. Alcuni militanti salgono sulle spalle di altri per arringare la folla, guidare il ritmo. E gli agenti si avvicinano ancora ma senza mostrare nervosismo. Ora a fianco dei poliziotti ci sono anche alcuni militari. Si tratta di ufficiali. Sono loro a guidare, muovendo solo gli occhi, in rigoroso silenzio, l'operazione che disperde i manifestanti. Gli agenti si muovono tutti assieme ma con calma, dividono i Fratelli Musulmani in due gruppi e poi li portano ad avvicinarsi sempre più fino al marciapiede, dove sono le bancarelle ed i negozi ad obbligarli a disperdersi. Il metodo perentorio ma senza alcun accenno di violenza degli agenti giordani ricorda da vicino quella con cui i Bobbys londinesi mantengono l'ordine senza fare uso - o mettere in mostra - armi. Mezz'ora dopo l'inizio della manifestazione, il piazzale davanti alla moschea è di nuovo libero. Si torna a vendere tè, tuniche e hijab. I militanti islamici sono scomparsi nelle vie dei mercati adiacenti. La deterrenza in stile britannico della "Royal Police" ha vinto un nuovo round. In attesa del prossimo venerdì, quando i Fratelli Musulmani torneranno in piazza dopo la preghiera.

(La Stampa, 28 febbraio 2014)


Uno sguardo sul pericolo per gli ebrei in Ucraina

di Elisa Gianni

L'imporsi degli Euromaiden è andato di pari passo con i timori di un'escalation di allarmismo antisemita.
A dare adito a queste paure è innanzitutto la presenza, nel maxi-gruppo anti-governativo, di gruppi di estrema destra quali Pravy Sektor (Settore Destro) e il partito neo-nazista Svoboda che vanta ben 36 rappresentanti seduti tra i 450 seggi del parlamento ucraino e di cui farebbe parte poco meno di un terzo dei manifestanti che, negli ultimi mesi, hanno combattuto per le strade di Kiev contro l'ormai deposto presidente Yanukovich.
Poi ci sono alcune notizie. Ad esempio, quella battuta dall'agenzia JTA (Jewish Telegraphic Agency) che nei giorni scorsi ha parlato dell'attacco molotov alla sinagoga della cittadina Zaporizhia, nell'area sud-Occidentale dell'Ucraina. Oppure il vandalismo ai danni di altri luoghi di culto della religione ebraica, a Kiev, che si aggiunge a un più generico "aumento negli attacchi agli ebrei, che raramente è stato notato nel racconto più ampio della rivoluzione in Piazza Indipendenza", denunciato da Haaretz - che pure riporta le parole del rabbino che ha invitato gli ebrei ucraini a lasciare il Paese.
Ma la situazione non è così netta ed è difficile fare chiarezza sul rischio reale o meno della popolazione ebraica in Ucraina (circa 250mila - la metà di questi residenti nella capitale Kiev, secondo le cifre date da un ministro israeliano).
Sono infatti gli stessi rabbini a tentare di gettare acqua sul fuoco. Tra i primi c'è stato quello che, di fronte alla folla di piazza Maiden, ha chiamato all'unità nazionale di tutti gli ucraini. Poi ci sono quelli che hanno accusato chi invitava gli ebrei ad andarsene di fare il gioco della Russia. La paura infatti è che il presunto allarme sia orchestrato ad arte dal Cremlino per gettare discredito su Euromaiden - che da parte sua rigetta le accuse di antisemitismo.
Il Jerusalem Post tenta di dare il giusto peso all'allarmismo, riportando le parole del rabbino capo Yaakov Bleich che ha chiarito che al momento "non si hanno notizie di ebrei presi di mira, ma un pericolo esiste", oltre a quelle di chi ricorda che in Piazza Indipendenza è scorso sì il sangue degli ebrei, ma come d'altronde è scorso il sangue degli ucraini.
Nel clima di incertezza vissuto dalla comunità ebraica di Kiev, ciò che tuttavia pare essere indubbio è il passato "pre-rivoluzionario", per dirla con Gawker, del Paese. Un passato che ha portato a mal concepire l'idea che si possa essere "ucraini e ebrei". Tuttavia, si sottolinea ancora nell'articolo, "la rivoluzione in sé non è una rivoluzione nazista, né i difensori della precedente oligarchia sono propriamente amici della minoranza. Nessuna fazione è particolarmente amichevole con gli ebrei o qualunque altra minoranza religiosa, etnica o sessuale, perché questa è l'Ucraina".

(Squer.it, 28 febbraio 2014)


Maratona di Tel Aviv: vittoria di Eziel Koech

Un keniano stabilisce il record della manifestazione

TEL AVIV - Il keniano Eziel Koech ha vinto la maratona di Tel Aviv stabilendo il nuovo record del percorso in 2h14'40''. L'evento, al quale hanno partecipato 40mila concorrenti, ha bloccato la città con fermi del traffico, uffici e scuole chiuse. L'anno scorso ci fu un morto per il caldo e per questo motivo in molti chiesero la cancellazione della gara, che si svolgeva a marzo, a partire da quest'anno, richiesta non accolta.
Oggi non ci sono stati problemi tranne alcune persone colte da lievi malori.

(ANSA, 28 febbraio 2014)


Sondaggio: la destra moderata appoggia la pace e Netanyahu

Cresce la volontà per un'ntesa: almeno il 63% a favore di un accordo

In Israele sembra crescere la volontà di pace da parte della destra moderata. Secondo un sondaggio pubblicato oggi da Haaretz, circa il 63% degli israeliani che parlano ebraico è in via di principio a favore di un accordo nella regione, anche senza conoscere i contenuti precisi della possibile intesa.
Inoltre il 73% del campione appoggerebbe il premier Benyamin Netanyahu nell'intesa e, in vista di questa, il 56% voterebbe per lui se dovesse fondare un nuovo partito.
La percentuale a favore di un'intesa con i palestinesi arriva al 76% se gli intervistati vengono messi al corrente di quelli che potrebbero essere i possibili dettagli dell'accordo, basato sull'iniziativa del segretario di stato John Kerry e sulla interpretazione di quella della Lega Araba. Ovvero, il "pieno riconoscimento e normali relazioni" con Israele da parte di 53 Stati arabi e musulmani in cambio di "un globale accordo di pace" con i palestinesi.
Per quanto riguarda la composizione politica del campione del sondaggio - commissionato dal 'Gruppo israeliano per l'iniziativa di pace' - il 28% di questo si è descritto "di destra estrema", il 24% di "destra moderata", il 28% di "centro", il 16% di "sinistra moderata" o "estrema". Il Gruppo ha sottolineato che in base ai risultati dell'inchiesta "diventa chiaro che c'è un significativo aumento nella volontà della destra moderata di accettare concessioni e sostenere sia un accordo sia Netanyahu, dovesse il premier guidare questo processo".

(ANSAmed, 28 febbraio 2014)


Haredim in piazza contro l'obbligo della divisa

 
Un'onda di persone si riverserà domenica lungo le strade di Gerusalemme. Un'onda di protesta che confluirà da tutto il paese all'ingresso della città e nella zona della Knesset, il parlamento israeliano. "Noi abbiamo scelto la Torah", reciteranno alcuni cartelli imbracciati dalle migliaia di manifestanti. Non ci saranno discorsi o soliloqui dal palco di Jaffa Street, dove il mondo ultraortodosso israeliano domenica si riunirà per protestare contro la legge sull'obbligo di leva. I rabbini leggeranno delle preghiere, perché hanno scelto la Torah e non vogliono vedere i loro studenti costretti a vestire la divisa verde dell'Idf (Israel Defence Force). Un privilegio, evitare il servizio militare, a lungo concesso agli studenti delle yeshivot (scuole religiose) ma che ora sarà in parte revocato: una legge, ancora al vaglio del parlamento, vuole introdurre una quota di leva da raggiungere annualmente per i ragazzi haredim. La pena prevista per i disertori sarebbe la detenzione.
   La proposta di legge è stata fortemente osteggiata dal mondo ultraortodosso, culminando negli ultimi mesi in diverse proteste per le strade (con casi di scontri fra manifestanti e polizia). Quella di domenica sarà l'ultima in ordine cronologico e probabilmente la più partecipata essendo stata indetta dai consigli rabbinici di Degel HaTorah, Agudat Yisrael e Shas, i tre principali movimenti haredim di Israele. "La protesta di massa per pregare e gridare contro il sopruso su chi studia la Torah", il lungo titolo scelto per la manifestazione che richiamerà ultraortodossi da tutto il paese. Una realtà che costituisce oltre il 10% della popolazione israeliana, percepita dal mondo laico come distante, autoemarginata e detentrice di privilegi ingiustificati. L'esenzione dall'obbligo di leva per gli studenti delle yeshivot così come i sussidi di stato sono il principale bersaglio delle polemiche che piovono sui haredim. Secondo il ministro delle Finanze Yair Lapid, il servizio militare sarebbe uno strumento per superare queste problematiche, una chiave per l'integrazione. "Il 91% degli ultraortodossi che si sono arruolati nell'esercito dopo hanno scelto di entrare nel mercato del lavoro", ha dichiarato recentemente Lapid, toccando un altro punto nodale della questione, la disoccupazione diffusa del mondo ultraortodosso, che ha portato buona parte di questo spaccato sociale sotto la soglia della povertà. "Il nostro lavoro come Stato è di aiutarli a fare questo tipo di passaggio. È giusto e necessario e la classe media non può più, e in ogni caso non dovrebbe mai, pagare i conti degli altri", affermava il ministro, riferendosi ai sussidi elargiti dallo Stato ai haredim. E proprio Lapid è uno dei bersagli della manifestazione di domenica, a cui si contesta il tentativo di criminalizzare (con la previsione della pena della detenzione) una parte della società israeliana. "Tutti i rabbini che parteciperanno a questo storico incontro sono dell'opinione che il malvagio governo di Lapid e Netanyahu vuole sradicare l'ebraismo haredi, fermare la sua espansione (secondo i calcoli del noto demografo Sergio Della Pergola " fra 30 o 40 anni il 50% dei bambini di questo paese saranno figli di famiglie ultraortodosse") e finché l'opinione condivisa sarà non fare l'esercito per nessun motivo né condizione, l'opzione di emigrare cresce, con tutto il dolore che lasciare Israel vorrebbe dire", scrive il giornale HaMahane HaHaredi. Prese di posizioni dure che non aiutano a trovare una soluzione condivisa a un problema che potrebbe aumentare ulteriormente il solco tra società civile e mondo haredi.

(moked, 28 febbraio 2014)


Trentino e Israele uniti nella ricerca industriale

Con una delibera del presidente Ugo Rossi sono stati approvati oggi gli esiti del processo di valutazione del bando sui progetti congiunti di ricerca applicata "tra imprese operanti in Provincia di Trento e nello Stato di Israele".
Il Bando, lanciato nel febbraio 2013 a seguito dell'importante accordo internazionale (il primo firmato da Israele con un'entità regionale/territoriale europea) tra la Provincia autonoma di Trento e il Governo di Tel Aviv,
Per i trentini, cercare la sede del governo d'Israele a Tel Aviv sarebbe come, per gli israeliani, cercare la sede della provincia di Trento a Rovereto.
è finalizzato a sostenere progetti di ricerca applicata realizzati da imprese trentine in partnership con imprese operanti sul territorio israeliano e realizzati con il supporto di soggetti della ricerca di entrambe le realtà.
Questo prima edizione del bando ha visto la presentazione di undici proposte progettuali congiunte, delle quali sei sono state autorizzate ad accedere alla seconda fase del bando. Due i progetti ammessi oggi al finanziamento finale. La valutazione - affidata ad un Comitato congiunto coadiuvato dai rispettivi organi per la valutazione della ricerca - è stata informata in primo luogo da una accurata e severa disamina circa le potenzialità di mercato dei progetti di ricerca presentati dalle imprese.
L'opportunità offerta alle aziende trentine è stata quella di poter sottoporre le proprie idee di innovazione industriale agli esperti-valutatori del più avanzato paese al mondo in termini di innovazione industriale. Le imprese trentine e israeliane ammesse a finanziamento potranno quindi ora avviare il proprio lavoro di cooperazione con il conforto di un processo di valutazione assai selettivo che le ha viste giungere al traguardo finale: ora si aspettano i risultati.

(la Voce del Trentino, 28 febbraio 2014)


Università di Udine - Gestione automatizzata dell'irrigazione in vigneto

Al via il progetto italo-israeliano "Irrigate", ricerca dell'Università di Udine sostenuta dai ministeri degli Esteri di Roma e dell'Industria di Gerusalemme.

Gestione automatizzata dell'irrigazione nei vigneti: al via il progetto italo-israeliano "Irrigate"
Sarà realizzato un sistema "intelligente" di erogazione automatica dell'acqua per mitigare la siccità e ottimizzare produttività della vite e la qualità delle uve.
Sviluppare un programma di gestione automatizza dell'irrigazione in vigneto attraverso sensori che controllano clima, piante e suolo per gestire l'impatto della siccità sulla produttività della vite e sulla qualità delle uve.
È l'obiettivo del progetto di ricerca biennale italo-israeliano "Irrigate", coordinato dall'Università di Udine e sostenuto dai ministeri degli Affari esteri italiano e dell'Industria, Commercio e Lavoro israeliano. Partner del progetto sono il dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell'Ateneo friulano e IGA Technology services di Udine, e, per parte israeliana, l'istituto di Biotecnologia e Agricoltura delle zone aride dell'Università Ben Gurion nel Negev e la società Netafim.
Il progetto dell'Università di Udine prevede innanzitutto lo studio dei meccanismi fisiologici che regolano la risposta della vite in situazioni di carenza idrica per limitarne gli effetti negativi su qualità e quantità delle produzioni. Contemporaneamente sarà realizzato un programma "intelligente" e automatico di controllo dell'irrigazione nei vigneti che permetta di applicare quantitativi ottimali di acqua per salvaguardare le rese e ottimizzare la qualità delle produzioni nei periodi siccitosi. Contemporaneamente si.
«Il progetto - spiega il coordinatore Enrico Peterlunger, ddell'Università di Udine -, creato con i partner israeliani, un'eccellenza mondiale nel settore dell'irrigazione e delle tecnologie anti siccità, nasce dalla constatazione che, in questi anni, la coltivazione della vite è sottoposta a nuove minacce legate a condizioni climatiche sempre più sfavorevoli».
«Nelle ultime annate - sottolinea Peterlunger dell'Università di Udine - sono intensificati i periodi di siccità, anche in territori caratterizzati da disponibilità idriche non limitanti per la sua coltivazione, come il Friuli Venezia Giulia, dove negli ultimi anni la siccità estiva ha portato a un significativo calo delle produzioni con ripercussioni talvolta negative sulla qualità dei vini. Questo studio beneficerà direttamente sia la viticoltura friulana che israeliana, e avrà ricadute positive anche nelle altre zone vitate mediterranee».
"Irrigate - Automated irrigation management via integrated climate-plant-soil sensing to prevente water shortage's impact on grape yeld and quality" rientra nell'Accordo di cooperazione nel campo della ricerca e dello sviluppo industriale, scientifico e tecnologico tra Italia e Israele.

(Controcampus.it, 28 febbraio 2014)


Esplode una bomba davanti alla chiesa cattolica di Gaza

«Fatto grave ma non ci facciamo intimidire». Nella Striscia, governata dai terroristi di Hamas, i circa tremila cristiani vengono spesso presi di mira.

Assalitori ignoti hanno fatto esplodere una bomba nel cortile della chiesa cattolica latina di Gaza, nel quartiere meridionale di Zeitun. La notizia è stata riportata dal Centro palestinese per i diritti umani (Pchr), che ha condannato quanto avvenuto.
BOMBA DAVANTI ALLA CHIESA - Secondo Pchr, la bomba è stata posta sotto l'autobus di proprietà della parrocchia nella notte tra il 26 e il 27 febbraio. Arrivata sul posto, la polizia ha trovato scritte ingiuriose contro i cristiani sui muri della chiesa.
«Il fatto è grave - dichiara a Fides il vescovo William Shomali, vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme - ma il parroco e i suoi collaboratori continueranno a operare al servizio della popolazione di Gaza, senza farsi intimidire».
GAZA ISLAMISTA - La Striscia di Gaza è nelle mani dell'organizzazione terrorista Hamas dal 2007, che la sta lentamente trasformando in un Stato islamico. Mentre il Consiglio legislativo ha proposto di adottare la sharia, a scuola si insegna a odiare e combattere Israele.
I cristiani sono meno di tremila a Gaza e spesso vengono presi di mira dalla maggioranza islamica. Nel 2011 una bomba è stata lanciata contro il direttore del locale ospedale anglicano, rimasto fortunatamente illeso.

(Tempi, 28 febbraio 2014)


Obama e Ue in pressing su Netanyahu

 
... il camino è spento
Cresce la pressione internazionale su Benjamin Netanyahu a tre giorni dall'incontro alla Casa Bianca voluto da Barack Obama per rompere lo stallo nel negoziato con i palestinesi. Sono tre i fronti d'attacco sul premier israeliano. Sui diritti umani «Amnesty International» pubblica il rapporto intitolato «Grilletto facile» nel quale accusa l'esercito israeliano della morte di 45 palestinesi in Cisgiordania, fra il 2011 e il 2013, spingendosi ad ipotizzare «crimini di guerra» frutto dell'«impunità con cui i soldati possono agire». Sull'economia protagonisti sono alcuni Paesi Ue, accentuando le critiche agli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Infine c'è il negoziato, dove i palestinesi di Abu Mazen rifiutano l'ipotesi israeliana di un prolungamento delle trattative - dopo la scadenza di primavera - chiedendo un'intesa sui contenziosi e minacciando in caso di disaccordo di «tornare all'opzione del ricorso alla rivolta». L'intento comune è di mettere Netanyahu alle strette per obbligarlo alle concessioni suggeritegli da Washington: rinuncia alla sovranità sulla Valle del Giordano e smantellamento di parte degli insediamenti. Obama spera di ottenere passi indietro da Netanyahu prima della presentazione delle «proposte quadro» preannunciate dal Segretario di Stato John Kerry, per poi passare a premere per ottenere concessioni da Abu Mazen, negli Usa il 17 marzo. Netanyahu non ha grandi ma rgini di manovra. I sondaggi suggeriscono che la maggioranza degli israeliani non si fida di Abu Mazen e teme che un ritiro dalla Cisgiordania porterebbe terroristi e missili a un tiro da Tel Aviv. Dentro la coalizione prevale la sfiducia nei confronti di Kerry, fino al punto da far emergere altri leader - da Naftali Bennet a Moshe Yaalon e Avigdor Lieberman - come possibili successori di Netanyahu. E dall'establishment militare viene una richiesta di prudenza in ragione dell'instabilità della regione. Stretto fra pressioni esterne e interne, Netanyahu gioca in attacco: accusa Amnesty di «razzismo» per un rapporto che «ignora l'aumento della violenza contro di noi», trova nella cooperazione hi-tech un terreno per rilanciare il legame con l'Ue e fa sapere ad Abu Mazen che dovrà rinunciare al diritto al ritorno dei profughi del 1948, accettando Israele come «Stato Ebraico». L'incontro alla Casa Bianca si presenta tutto in salita .

(La Stampa, 28 febbraio 2014)


Arabi volontari nel servizio civile, agitatori arabi contro ogni "israelizzazione"

La nozione stessa di integrazione è anatema per quei politici arabi israeliani che fanno a gara nell'attizzare odio e suscitare conflitti.

Sempre più numerose le ragazze arabe che optando per il servizio civile volontario nelle loro comunità
Circa 700 arabi israeliani volontari nel servizio civile si sono riuniti martedì scorso in un auditorium di Karmiel (nord Israele ) per un evento volto a manifestare apprezzamento verso di loro. All'interno regnava un'atmosfera festosa, allegra e commossa: tanto affetto e tante congratulazioni venivano riversati sui coraggiosi volontari che, pur di svolgere il servizio civile all'interno delle loro comunità, fanno fronte a un'impudente azione di mobbing agitata contro di loro. Nonostante le smodate manifestazioni di ostilità di cui sono circondati, questi giovani arabi israeliani prendono parte a un programma volontario concepito per essere parallelo al servizio militare o civile che è obbligatorio per i cittadini ebrei....

(israele.net, 28 febbraio 2014)


Ritrovati manoscritti biblici eccezionali

Ritrovati nel famoso sito archeologico di Qumran, in Cisgiordania, tre astucci contenenti nove manoscritti biblici: l'eccezionale scoperta è stata fatta dall'archeologo Yonatan Adler.

 
L'archeologo Yonatan Adler
Dopo i celeberrimi "rotoli del Mar Morto", a Qumran, in Cisgiordania, è avvenuto un nuovo, eccezionale ritrovamento. Lavorando su materiali di scavi archeologici degli anni '50, l'archeologo Yonatan Adler ha scoperto tre filatteri, vale a dire astucci che contengono piccoli rotoli manoscritti con testo biblico, che risalirebbero a circa 2000 anni fa. I manoscritti sono in tutto nove: sono stati individuati dalla Israel Antiquities Authority grazie a una particolare tecnologia (la cosiddetta "multispectral imaging") che consente di scattare speciali fotografie.
La scoperta è stata rivelata durante il IV Convegno Internazionale Terra Sancta, dedicato a "Qumran e la regione del Mar Morto", che ha riunito a Lugano 65 tra i massimi esperti mondiali di Qumran, sito archeologico diventato famoso a metà del secolo scorso, quando furono ritrovati i 900 documenti che compongono i rotoli del Mar Morto o manoscritti di Qumran, datati tra il 150 a.C. e il 70 d.C..
I tre filatteri provengono dalle grotte 4 e 5, scavate nel 1952 dall'archeologo Roland de Vaux. "Non capita ogni giorno di poter scoprire nuovi manoscritti - ha dichiarato Adler -, è stata una grande emozione". Soddisfazione anche per la Israel Antiquities Authority: Pnina Shor, che all'interno dell'agenzia governativa si occupa del laboratorio per la conservazione dei rotoli, ha affermato: "Sono molto orgogliosa del fatto che, impiegando le tecnologie più avanzate, possiamo contribuire a ricostruire la storia di 2000 anni fa".

(ArticoloTre, 27 febbraio 2014)


Convegno sulle malattie rare

Di Segni: "Esiste un obbligo fondamentale di solidarietà"

"Esiste un obbligo fondamentale di solidarietà, non possiamo rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza", e l'investimento nella ricerca, ancorché sulle "malattie rare", è "comunque un arricchimento per tutta la società". Lo ha detto questo pomeriggio a Roma Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, prendendo per primo la parola alla tavola rotonda "Il dialogo interculturale e interreligioso con i malati rari" in corso nell'ambito della Giornata "Insieme per un'assistenza migliore", promossa dall'Ospedale pediatrico Bambino Gesù con Telethon, Uniamo (Federazione italiana delle malattie rare), Istituto superiore di sanità, e Omar (Osservatorio sulle malattie rare), alla vigilia della Giornata mondiale che ricorre domani. Nel richiamare i "grandi dibattiti bioetici, che ormai fanno scuola, sulla necessità e sulla misura dell'intervento", Di Segni ha riconosciuto che "lavorare su una malattia rara comporta una ricerca dei cui risultai potrà godere solo una fascia limitata di popolazione, e una spesa per cure e farmaci rari il cui onere appare a volte insostenibile per la società". Ma, chiarisce, la questione "è mal posta": non si tratta di contrapporre il singolo alla collettività, ma di chiedersi se le risorse siano utilizzate in maniera corretta. Con una sottolineatura: "la mancata cura di un singolo reca danno a tutta la società".


Israele, accordo per accedere a iHub in California

Nel suo viaggio negli Usa della prossima settima, il primo ministro Netanyahu farà tappa nella Silicon Valley dove incontrerà i responsabili di grandi aziende hi-tech. Previsto l'accordo per l'accesso a iHub, programma governativo per l'innovazione. Anche il presidente francese Hollande si era recato in California nel corso della sua visita ufficiale in America.

Nel suo viaggio negli Usa della prossima settimana, il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, nella tappa nella Silicon Valley incontrerà i responsabili di grandi imprese del hi-tech, a cominciare dal cofondatore di Whatsapp Jan Koume, neo milionario dopo l'acquisizione dell'azienda da parte di Facebook per 19 miliardi.
Un viaggio, quello di Netanyahu, che oltre alla politica - il 3 marzo è atteso alla Casa Bianca per una riunione con il presidente Barack Obama - ha come fine, secondo il suo ufficio, la firma di accordi di cooperazione.

- Accesso a iHub
  Tra questi un accordo - come terzo Paese al mondo - con il governatore della California, Jerry Brown, per promuovere i legami tra Israele e lo stato Usa: l'intesa consentirà alle compagnie israeliane l'accesso a iHub, il programma innovativo del governo californiano incentrato su 16 specifici terminali di ricerca in tutto lo stato.
iHub si occupa di "incubatori" di tecnologie, università e laboratori federali e fornisce "una piattaforma innovativa" per compagnie di startup, organizzazioni di sviluppo economico, gruppi di affari.

- Promuovere hi-tech
  Netanyahu avrà incontri anche con i capi di Apple, Flextronics, Linkedin, Ebay e il fondo Sequoia Venture Capital e il fine è di quello di promuovere l'hi-tech israeliano ma soprattutto di trasformare Israele in un paese dalla cyber sicurezza assoluta

(RaiNews, 27 febbraio 2014)


A Tel Aviv appuntamento con Leonardo da Vinci

L'interno della mostra Da Vinci Alive
ROMA - Dopo il successo della mostra Van Gogh Alive svoltasi nel 2013, ecco un altro importante appuntamento con l'arte. La nuova mostra Da Vinci Alive in corso di svolgimento presso il Padiglione Maxidome dell'Israel Trade Fairs Center di Tel Aviv racconta un'esperienza interattiva che condurrà i visitatori alla scoperta dello splendore senza tempo dell'arte di Leonardo Da Vinci. La mostra Da Vinci Alive racconta la genialità di Leonardo come inventore, artista, studioso di anatomia, scultore, ingegnere, musicista e architetto. Gli ospiti potranno fruire di oltre 200 pezzi unici, tra cui 75 invenzioni di macchine a grandezza naturale, rendering tridimensionali di alcune delle opere rinascimentali più importanti e la possibilità di compiere una analisi approfondita di quella che è l'opera più famosa di Leonardo, la splendida Monna Lisa. Grazie a tutte le nuove tecnologie messe a disposizione dal sistema SENSORY4, i visitatori saranno in grado di interagire con l'arte di Leonardo potendo così avere anche un'idea dei principi scientifici posti alla base della realizzazione di molte delle opere del genio toscano. Creata attraverso l'ausilio ed il supporto di esperti provenienti da Italia e Francia Da Vinci Alive celebra una delle menti più originali e dinamiche di tutti i tempi. La mostra presenta 13 aree tematiche relative al lavoro di Leonardo offrendo ai visitatori uno sguardo senza precedenti della versatilità della mente di un uomo del Rinascimento che ha gettato le basi per alcune delle invenzioni di maggior impatto sulla società moderna, come l'elicottero, l'aeroplano, l'automobile, il sottomarino, il paracadute e la bicicletta. Tutte le invenzioni visibili all'interno della mostra Da Vinci Alive sono state realizzate da artigiani italiani, molte con le stesse tecniche e materiali di epoca rinascimentale, decifrando gli indizi spesso nascosti nelle oltre 6.000 pagine dei codici personali di Leonardo, derivando gli indizi anche attraverso la lettura di quella scrittura speculare che Leonardo utilizzava, forse per preservare le riservatezza delle sue intuizioni.

(Prima Pagina News, 27 febbraio 2014)


Marocco: una 'carovana' celebra la cultura giudaico-marocchina

di Virginia Di Marco

ROMA, 27 feb - Una 'carovana' per ricordare le tradizioni degli ebrei del Marocco attraverso un itinerario terminato ieri, con l'arrivo a Casablanca: la 'Carovana del Patrimonio giudaico-marocchino' ha concluso qui il suo quarto viaggio. L'iniziativa, che ha toccato anche Ifrane e Fès, puntava a celebrare storia e tradizioni di una delle comunità ebraiche più antiche del mondo. Se oggi sono circa 8.000, prima della nascita dello Stato d'Israele gli ebrei marocchini erano tra i 250mila e i 350mila. A 'guidare la carovana' ci ha pensato l'associazione marocchina Mimouna, fondata nel 2007 da due studenti musulmani e presente oggi in numerose città del Paese. Già il nome dell'associazione è una dichiarazione d'intenti: si chiama infatti 'mimuna' la festa degli ebrei marocchini che cade il giorno dopo Pesah (la Pasqua ebraica), con la quale si festeggia il ritorno al cibo lievitato, proibito durante la settimana pasquale. Ma la commemorazione della cultura giudaico-marocchina rappresenta solo la metà di quello che Mimouna si propone.
L'altro obiettivo, il più importante, è accrescere la tolleranza, soprattutto tra le nuove generazioni, ricordando che il Marocco ha "un'identità plurale" e che il Paese deve essere "fiero e forte delle diversità che lo compongono". Lo ha sottolineato El Mehdi Boudra, presidente di Mimouna, che è stato aiutato nell'organizzazione della carovana dalla comunità ebraica di Fès, dal museo giudaico di Casablanca e dall'università d'Ifrane. Anche il ministro della Cultura, Mohammed Amine Sbihi, ha applaudito l'iniziativa, sottolineando la necessità di promuovere e valorizzare il patrimonio giudaico-marocchino.
Scopo a cui, di recente, si sono dedicati diversi intelletuali, accademici e registi. Tra di loro c'è il docente di storia Kamal Hachkar, marocchino naturalizzato francese, che tornando nel villaggio berbero della sua famiglia ha scoperto tracce di una comunità ebraica, ancora presente nei ricordi dei più anziani, ma completante misconosciuta ai giovani. Ne è venuto fuori, nel 2013, un documentario: 'Tinghir-Gerusalemme, gli echi della mellah', che ricostruisce sia le dinamiche di convivenza nel villaggio prima della partenza degli ebrei, sia la vita degli ebrei dopo il loro progressivo trasferimento di massa in Israele tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sulla spinta di uno slancio sionista e degli incoraggiamenti dell'Agenzia ebraica. E qui la storia si intreccia, suo malgrado, con la politica.
Hachkar e gli altri che, come lui, puntano a recuperare la storia degli ebrei del Marocco e devono fare fronte all'accusa di voler 'normalizzare' i rapporti con lo Stato ebraico.
"Ma il conflitto arabo-israeliano non c'entra con il mio film - ha dichiarato il professore-regista ad ANSAmed in occasione della presentazione del suo film in Italia -, se gli ebrei di Tinghir si fossero stabiliti in Papuasia, sarei andato in Papuasia. Certi attacchi sono strumentali e vengono mossi da panarabisti e islamisti che, di fatto, per i palestinesi non hanno mai alzato un dito".

(ANSAmed, 27 febbraio 2014)


Ghetto, uno spettacolo che vale

di Giuseppe Pennisi

Ghetto
Ghetto di Mario Piazza su musiche Klezmer rielaborate da Goran Bregovic è uno di quegli spettacoli che vale la pena vedere non solo perché è bello ma perché aiuta a comprendere una cultura: quella degli ebrei in quella parte del Medio Oriente che va dalla Turchia all'Egitto. E' a Roma, al Teatro Nazionale nell'ambito della programmazione del Teatro dell'Opera, per poche sere dopo ben 500 repliche in Europa e Nord America Il lavoro è il risultato di un percorso fatto nell'affrontare argomenti come la ghettizzazione, l'identità culturale, l'emarginazione.
Da qui l'esigenza di continuare questa ricerca legata ai temi che ruotano attorno all'idea del ghetto. Il Ghetto è anche un luogo di ritrovo dove approdano, si rifugiano, sognano quelli che sono lontani dalla propria terra d'origine e si confondono con chi vive accanto ai propri cari. Il Ghetto come isola di approdo, un teatro delle genti, un luogo dove vivono e si esprimono le esperienze delle persone che si incontrano, in cui le storie di tutti si fondono in un'unica storia dell'umanità. Non un lavoro triste. E' un lavoro lieto in cui il Ghetto è visto come un accogliente rifugio che diventa casa, un porto sicuro, un luogo di appartenenza. Gli incontri tra le persone ci daranno l'idea delle diffidenze, e allo stesso tempo del bisogno di comunicare e di relazionarsi l'un l'altro. Un bisogno impellente di umanità.
Il Ghetto è un contenitore di emozioni e una tra le più forti che lo animano è la nostalgia che si esprime con un legame che resta nella memoria e nel cuore con un attaccamento viscerale alle proprie radici. La nostalgia è uno dei nodi cruciali delle migrazioni che si intreccia con il desiderio di adattamento alla nuova condizione e alla difficoltà di integrazione, alla perdita delle radici, e al timore di assimilarsi perdendo il proprio patrimonio culturale, sociale e religioso.
Rinasce il ricordo di ciò che è accaduto in un azione che inizia il giorno del matrimonio di David e Sara, vivono a ritroso le memorie di quel giorno felice, circondati dall'affetto dei propri cari e dalla solidarietà della gente della comunità. Una storia d'amore nata nel Ghetto che attraversa momenti di grande gioia e dolore.
La storia di una comunità solidale abituata a convivere con rispetto e tolleranza insieme alle altre comunità religiose.
La Tikvah (personaggio che sembra una citazione di Chagall) accompagna evocando e raccontando la vita e la storia ebraica. Sarà lei a incontrare personaggi poetici e complessi come David e Sarah, gli amici, la gente del Ghetto, la famiglia, il Rabbino e gli altri precettori.
Una lettura del Ghetto interpretata dai danzatori, come espressione dell'energia fisica e mentale. Il tessuto musicale del progetto è basato sulla musica Klezmer, patrimonio di musicisti che per scelta e costruzione sono in continuo movimento quasi a simboleggiare il sogno di libertà che accomuna le genti. La musica Klezmer nasce all'interno delle comunità khassidiche e il frutto del lavoro coreutico ad essa legato nasce dall'inevitabile bisogno di esprimere una identità soffocata in un grido liberatorio che esorcizza il male e ci porta alla positiva volontà di esistere. In un momento in cui tutti dovremmo essere impegnati ad abbattere le barriere sorte dalla paura, dall'egoismo e dalla diffidenza, è nata l'idea di affrontare un argomento come quello della segregazione culturale, sociale e religiosa.
Ghetto non è uno spettacolo narrativo, basato su una drammaturgia che ci riporta semplicemente alla storia dei ghetti, bensì si intende evocare l'atmosfera culturale, psicologica ed umana delle genti zingare, ebree, nere e definite in qualche modo diverse.
"Ghetto" è stato realizzato al Teatro dell'Opera di Sofia, in seguito al Premio per le Performing Arts attribuito a Mario Piazza dall'European Association for Jewish Culture con sede a Londra.
Al Nazionale la Tikvah, figura con chiare citazioni al pittore Marc Chagall, è interpretata dall'étoile Gaia Straccamore, in alternanza con la prima ballerina Alessandra Amato. E' lei ad evocare personaggi poetici e complessi come i giovani Sarah (Sara Loro in alternanza con Alessia Gay ) e David (Claudio Cocino in alternanza Alessio Rezza, che simboleggiano il futuro. Guida spirituale che anima il ghetto è invece il Rabbino capo, interpretato da Manuel Paruccini che si alterna nel ruolo con Antonello Mastrangelo e Giuseppe Schiavone
Oltre a Gelem, Gelem, sono previste ampie citazioni tratte da Underground del compositore bosniaco Goran Bregovi . Anna Biagiotti firma costumi.

(formiche.net, 27 febbraio 2014)


Israele dona a Tokyo nuove copie del "Diario” di Anna Frank

L'iniziativa dopo atti vandalici su 250 copie in Giappone

 
L'ambasciatore di Israele dona alla cittadinanza nuove copie del "Diario" di Anna Frank 
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TOKYO - Ha fatto il giro del mondo la notizia delle centinaia di copie del "Diario" di Anna Frank danneggiate (nei giorni scorsi in Giappone. Per riaffermare l'amicizia fra Tokyo e Tel Aviv, aldilà degli episodi vandalici, l'ambasciatore israeliano in Giappone a Tokyo ha donato alla cittadinanza centinaia di copie nuove di zecca del "Diario"."Siamo rimasti molto sorpresi in Israele - ha dichiarato il diplomatico Peleg Lewi - le relazioni col Giappone sono molto buone. Tutti hanno capito che si è trattato di un gesto individuale".Un gesto, invece quello di Israele, che ha messo a tacere le tensioni e le critiche rivoltealle autorità giapponesi per alcune dichiarazioni ritenute"revisioniste" sul passato militarista del Paese, in particolarecon l'arrivo alla guida del governo del nazionalista econservatore Shinzo Abe.Comunque sia nuove copie del Diario sono arrivate nelle biblioteche dove erano state danneggiate."Ecco le abbiamo messe qui, vicino alle casse in modo che tutti possano vederle - ha detto il direttore della biblioteca di Shinjuku - Alcune copie del Diario erano nella sezione cultura, altre in quella dei bambini, altri libri legati all'argomento erano sparsi un po' ovunque. Ciò - ha concluso - significa che l'autore di questo gesto aveva un piano ben preciso".

(TMNews, 27 febbraio 2014)


«Amnesty non tiene conto delle violenze palestinesi»

ROMA - L'esercito israeliano ha replicato alle pesanti accuse contenute nell'ultimo rapporto di Amnesty International, sostenendo che non tiene conto del ''sostanziale incremento della violenza palestinese iniziato lo scorso anno'', durante il quale almeno 132 israeliani sono rimasti feriti dal lancio di pietre da parte dei palestinesi. ''Nel 2013'', sostiene l'esercito di Tel Aviv, ''ci sono stati 66 attentati terroristici per mezzo di ordigni e il rapimento e l'uccisione di un soldato''. Il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano ha aggiunto che il ''trucco'' messo in atto dall'organizzazione non governativa ''e' quello di impedirci di rispondere. Non vogliono delle risposte, ma solo privare Israele della possibilita' di partecipare alla discussione''.

(ASCA, 27 febbraio 2014)


Bimba di cinque mesi affetta dal rarissimo morbo di "Krabble". Da Israele una speranza

di Fabrizio Tenerelli

Massimo Canale e Barbara Gagliano con la piccola Rossana
BORDIGHERA - Da un centro di ricerca di Israele, situato nei pressi di Tel Aviv, giunge ora la speranza di salvarla, grazie a una terapia sperimentale, che si basa sul trapianto di cellule staminali
Si chiama Rossana Canale e malgrado la tenerissima età - compirà cinque mesi l'8 marzo, fatalità alla Festa della Donna - è affetta da una rarissima malattia, che le ha già segnato il destino. Si tratta del morbo di "Krabble", una patologia ereditaria degenerativa che affligge il sistema nervoso e, in particolare, la guaina mielinica.
Da un centro di ricerca di Israele, situato nei pressi di Tel Aviv, giunge ora la speranza di salvarla, grazie a una terapia sperimentale, che si basa sul trapianto di cellule staminali.
Tuttavia, si tratta di un intervento assai costoso che la mamma, Barbara Gagliano e il papà, Massimo Canale, due impiegati trentottenni, di Bordighera, non possono sostenere da soli. Per questo motivo è nata l'Associazione "Forza Rossanina", che si prefigge di raccogliere fondi a sostegno della famiglia e della bambina.

(Riviera24.it, 27 febbraio 2014)


A.N.P., stipendio fisso per gli atti terroristici

di Cristofaro Sola

Lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto sapendo di dire la verità. Ora finalmente possiamo mostrare le prove sull'utilizzo che le autorità palestinesi fanno del denaro pubblico: esse sostengono economicamente i loro compatrioti detenuti per reati di terrorismo compiuti contro la sicurezza di Israele.
   Quando abbiamo messo in discussione la gestione a dir poco opaca delle risorse europee destinate all'Autorità Nazionale Palestinese (Anp), come pure abbiamo dubitato della vera natura di quello strano assegno da 60 milioni di euro staccato dal Governo italiano, lo scorso anno, sempre a beneficio della Anp, siamo stati ricoperti di insulti. Pazienza! Ci sta anche questo, quando si ha l'ardire di porre domande scomode. È di gran lunga più facile accusarci di offendere "l'onore del glorioso popolo palestinese", piuttosto che prendersi il disturbo di spiegare come stia realmente la questione della gestione degli aiuti finanziari che da tutte le parti del mondo sorvolano le teste dello sventurato popolo palestinese, per atterrare nella tasche dei suoi ambigui dirigenti politici. Ma veniamo ai fatti.
   Sull'edizione del Times of Israel dello scorso 16 febbraio, è apparso un rapporto della polizia israeliana che raccoglieva la deposizione di Husni Najjar, terrorista palestinese già condannato per aver attentato alla sicurezza d'Israele. Nella deposizione, Najjar confessava di aver progettato un secondo atto terroristico col fine, una volta scoperto e incarcerato, di ricevere dall'Autorità Palestinese uno stipendio fisso. In realtà la sconvolgente dichiarazione era già apparsa alcuni mesi prima sul Palestinian Media Watch. In quella circostanza, Najjar era stato ancora più esplicito: "A causa della mia difficile situazione finanziaria ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni, perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall'Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio". Najjar ha proseguito dicendo di aver ricevuto per il primo periodo di detenzione 45mila shekel (9.400 euro), ma sperava, con la seconda iniziativa criminale, di farci su almeno altri 135mila shekel (28mila euro). La cosa folle è che il secondo piano terroristico di Najjar era finto, era solo una tragicomica messa in scena che aveva come unico scopo quello di farsi arrestare dallo Shabak (il servizio di sicurezza generale israeliano). La detenzione avrebbe fatto scattare la solidarietà economica del ministero dell'Anp per gli Affari dei detenuti palestinesi.
   Come ha rivelato Najjar, il bizzarro welfare state dell'Autorità palestinese funziona così: se hai sparso sangue innocente israeliano, hai diritto al sostegno pubblico con un'indennità mensile di 4mila shekel (830 euro) per l'intero periodo di detenzione e poi a una sorta di salario di reinserimento di pari importo per i successivi tre anni dalla fine della carcerazione. Mi domando come vengano appostate queste spese nel bilancio dell'Anp: oneri sociali o incentivi al terrorismo? D'altro canto i dirigenti dell'Autorità Nazionale Palestinese, che sfruttano la disperazione della povera gente per stimolare l'azione terroristica contro una popolazione civile innocente, non sono poi così originali come vorrebbero far credere. Il sistema della protezione sociale ai detenuti appartententi alle associazioni malavitose è un modello in uso dalle nostre parti da tempo immemore, perché è quello praticato dall'organizzazione camorristica per assicurarsi la fedeltà della propria manovalanza.
   Da sempre, e tutte le indagini criminolgiche lo spiegano, la prima voce di costo per la struttura criminale, dopo il pagamento della materia prima, è il mantenimento delle famiglie dei propri gregari detenuti. Già! Perché anche la camorra ha sempre avuto la sua Inps per l'assistenza sociale delle famiglie dell'anti-Stato, che ha funzionato e funziona molto meglio di quella ufficiale che fa capo allo Stato. Ma bando all'ironia, perché da queste rivelazioni non emerge nulla che possa indurre a scherzarci sopra. La questione è davvero seria e preoccupante. Il signor Najjar nel rivelare che esiste una specie di programma che potremmo chiamare "Money for blood", ci pone di fronte a due certezze, entrambe che contrastano l'impianto etico-valoriale della civiltà Occidentale. La prima riguarda lo scarso senso di lealtà che la componente palestinese mostra nel perseverare in un atteggiamento ambiguo rispetto alla domanda di chiarezza nella volontà di portare in fondo il negoziato di pace con Israele. È di tutta evidenza che incentivare la propria popolazione a compiere crimini contro gli "irriducibili nemici", blandendola attraverso la speranza alimentata in ogni palestinese frustrato dal bisogno di conquistare un reddito, stride con qualsiasi dichiarazione pacificatrice che convinca della buona fede dei leader palestinesi nel dirsi disponibili a riconoscere, mediante un accordo, il diritto all'esistenza dello Stato ebraico.
   La seconda riguarda la sostenibilità finanziaria di questo modello assistenziale. Sebbene sia del tutto comprensibile che l'Anp abbia il diritto sovrano di foraggiare la propria popolazione nel modo che ritenga più appropriato, per quanto questo modo ci possa apparire disgustoso e malvagio, tuttavia, per evitare che esso si trasformi in arbitrio, è indispensabile che il diritto medesimo sia temperato dal consenso dei contributori esterni circa l'utilizzo delle risorse concesse. Questo è il caso dell'Unione Europea che eroga fondi consistenti all'Anp. Ma i palestinesi non la intendono così; non amano essere sindacati nel loro disinvolto impiego delle risorse finanziarie. Eppure quei denari tanto generosamente, e improvvidamente, elargiti dalle autorità di Bruxelles all'Anp sono anche soldi italiani, visto quanto ci costa contribuire a tenere su il baraccone europeo.
   Ora, non so voi, ma per quel che ci riguarda non abbiamo autorizzato i nostri governanti e men che meno i burocrati dell'Ue a dissipare le nostre risorse finanziando assassini e stragisti. È uno scandalo che questa Europa vecchia e marcescente, malata cronica di antisemitismo, possa ancora oggi pensare di pagare qualcuno perché continui a fare fuori gli ebrei. Non sono bastati quelli già liquidati nei campi di sterminio?

(L'Opinione, 27 febbraio 2014)


Il fotovoltaico, la risposta di Gaza alla crisi energetica

Pannelli solari installati nelle case e negli ospedali

  
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GAZA - L'energia che viene dal Sole per alimentare case e ospedali. Nella Striscia di Gaza il fotovoltaico è la risposta a una cronica carenza di elettricità: gli abitanti si sono ingegnati per sopperire alla mancanza di carburante e ai generatori hanno sostituito i pannelli solari, più sicuri e meno rumorosi."In passato avevamo la luce solo otto ore al giorno, ma di notte no, e io avevo paura del buio. Da quando mio papà ha montato i pannelli abbiamo sempre la luce" racconta Rola. L'ospedale Al-Nasir di Gaza City ha adottato la stessa soluzione per alimentare macchinari salvavita come le incubatrici dei neonati."A volte manca la corrente per 12, 18 ore: usiamo il fotovoltaico per generare elettricità per 24 ore nella nursery" spiega il direttore Nabeel Albaraqoni. L'energia solare è strategica anche dal punto di vista politico: l'obiettivo del governo è produrre così il 20% dell'elettricità consumata nel territorio della Striscia entro il 2020. La difficoltà sta nel procurare il materiale necessario a fabbricare gli impianti: gran parte arriva di contrabbando dall'Egitto, ma il commercio ha subito un'interruzione con la chiusura dei tunnel tra i due Paesi.

(TMNews, 26 febbraio 2014)


Stamina - Centro israeliano blocca i nuovi ricoveri

Non vengono accettati pazienti a causa di "discussioni" col ministero

Un centro medico israeliano, noto per i suoi interventi attraverso l'infusione di cellule staminali, ha sospeso il ricovero di pazienti provenienti dall'Italia e da tutto il mondo. "Ci sono problemi con il ministero della Sanità locale", ha spiegato Ruth Grunbaum, coordinatrice del Ctci Center del professor Shimon Slavin, che opera a Tel Aviv. "Per ora non accettiamo nuovi malati", ha concluso.
"Discussioni col ministero della Sanità" - Il blocco delle cure riguarda tutti i pazienti e non solo quelli italiani: secondo quanto reso noto nelle scorse settimane dallo stesso Centro dovevano essere 11 i malati in arrivo dall'Italia. ''Siamo impegnati tutto il giorno - ha aggiunto Grunbaum - in discussioni con il ministero della Sanità e per il momento ci viene impedito di ricevere altri pazienti. Speriamo che la cosa si risolva ma potrebbe essere questione di settimane''. Grunbaum ha poi detto che ''chi si sente rifiutato esprime grande delusione, visto che non ci sono altri istituti del genere al mondo''. ''Al momento - ha concluso - non ci sono a Tel Aviv malati arrivati dall'Italia''.

(TGCOM24, 26 febbraio 2014)

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Stamina - Malati: il blocco di Israele ci fa sentire in trappola

ROMA - "Ci sentiamo in trappola, braccati. Ogni volta che tentiamo di fare terapie con le staminali le bloccano". Così Pietro Crisafulli, presidente di Sicilia Risvegli Onlus, commenta la notizia del blocco da parte del ministero della Salute israeliano delle infusioni di staminali mesenchimali effettuate dal professor Shimon Slavin presso il Ctci Center di Tel Aviv, a cui avrebbero dovuto accedere nei giorni scorsi 12 malati italiani.
"A sette di loro hanno fatto un prelievo e poi più nulla, altre famiglie ancora hanno perso i soldi di albergo, volo e anticipo in denaro per le terapie, che Slavin in caso il blocco fosse confermato si e' impegnato a restituire". "Ci stiamo guardando nuovamente intorno, in altri Stati, cercando di individuare altre opzioni terapeutiche a base di staminali" conclude Crisafulli.

(ANSA, 26 febbraio 2014)


Incontro con il primo diplomatico beduino nella storia di Israele

La sezione di Udine di Italia-Israele, in collaborazione con Edipi (Evangelici d'Italia per Israele) promuove un evento unico per la nostra città: l'incontro con il diplomatico israeliano Ishmael Khaldi.

di Anna Rosso

Ishmael Khaldi
La sezione di Udine di Italia-Israele, in collaborazione con Edipi (Evangelici d'Italia per Israele) promuove un evento unico per la nostra città: l'incontro con il diplomatico israeliano Ishmael Khaldi, figlio di una famiglia di pastori beduini che, dopo un'eccezionale carriera, oggi è consigliere politico all'Ambasciata di Israele a Londra.
L'appuntamento è per il primo di marzo alle 18.30 all'hotel Astoria. Prima, alle 18, Khaldi incontrerà il sindaco Furio Honsell e l'assessore alla cultura Federico Pirone a palazzo D'Aronco.
Ishmael Khaldi è nato nel 1971 nel villaggio di Khawali, nel deserto, nella Galilea occidentale in Israele. È il primo diplomatico beduino nella storia di Israele, anche se alcuni gli dicevano che era impossibile. Ma, per lui, è solo la sua vita. Anzi, sostiene che il suo lavoro è in linea con le sue origini, perché appunto «un diplomatico è un nomade per antonomasia».
Dopo essersi laureato in scienze politiche all'università di Haifa e aver conseguito un master in relazioni internazionali a Tel Aviv, Khaldi è stato un membro dell'esercito nelle forze di sicurezza israeliane e ha lavorato per il Ministero della Difesa e la polizia israeliana, prima di essere chiamato a far parte del Ministero degli Esteri nel 2004.
Per il Ministero della Difesa è stato impegnato nel ruolo di portavoce riguardo al ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza. E' stato poi eletto vice console generale al consolato israeliano di San Francisco. E' quindi tornato a far parte del Ministero degli Esteri a Gerusalemme, divenendo un consigliere e analista politico. Infine, dal 201, Ishmael lavora al l'ambasciata israeliana a Londra.
Khaldi, come spiegano gli organizzatori, «per la prima volta in Italia parlerà di minoranze non ebree nel moderno Stato ebraico». «Come dimostra il mio percorso personale - spiegherà Khaldi durante la conferenza -, Israele non è solo lo stato ebraico per definizione, ma è anche uno straordinario melting-pot, dove culture diverse possono fiorire, covivere in pace e armonia e, insieme, costruire un futuro migliore».
La vita di Ishmael dimostra come si possa essere al tempo stesso beduino, israeliano, musulmano, arabo, pastore, accademico e diplomatico di Israele. «Fin da quando ero piccolo vivo tra il mondo musulmano e l'ebraico, tra occidente e oriente, tra il moderno e il tradizionale, tra il laico e il religioso».
Un percorso non senza difficoltà. Da ragazzino Khaldi doveva fare sei chilometri a piedi per andare a scuola. Il padre, possessore dell'unica tv del villaggio anche se azionata con la dinamo della jeep perché non c'era elettricità, gli diceva però che doveva andare all'università per poter poi «visitare la Casa Bianca». Quando poi andò davvero la prima volta a New York, al ritorno la nonna gli chiese se anche gli abitanti della Grande Mela «avessero pecore».
Per ulteriori informazioni è possibile visitare i siti www.edipi.net e www.ishmaelkhaldi.com.

(Messaggero Veneto, 26 febbraio 2014)


Giordania: il Parlamento chiede l'espulsione dell'ambasciatore di Israele

AMMAN - Il Parlamento giordano ha approvato oggi una mozione che chiede l'espulsione dell'ambasciatore israeliano in segno di protesta per la politica dello Stato ebraico rispetto ai luoghi santi musulmani di Gerusalemme. Una decisione che tuttavia secondo gli osservatori sembra destinata a rimanere un atto simbolico. Per diventare operativa, infatti, la proposta dovrebbe essere approvata anche dal Senato, fedelissimo di Re Abdallah, che difficilmente potra' dare il suo assenso.
La Giordania teme che il Parlamento israeliano possa approvare una legge che metta fine ai diritti di sovranita' del regno hashemita sui luoghi santi di Gerusalemme, sanciti dal trattato di Wadi Araba tra i due Paesi del 1994. Amman, inoltre, protesta per la prosecuzione di lavori di costruzione intorno alla moschea di Al Aqsa e l'accesso dei militari israeliani al luogo santo. La Giordania, alleato degli Stati Uniti, e' stato il secondo Paese arabo dopo l'Egitto ad avere firmato un trattato di pace con Israele.

(ANSAmed, 26 febbraio 2014)


Libia: giustiziati sette copti a Bengasi

La milizia islamista fissa una taglia: seimila euro a chi consegna un cristiano.

Un manipolo di uomini è entrato la notte del 23 febbraio in un appartamento di un complesso abitativo di Garoutha, sobborgo di Bengasi. Ha chiesto ai residenti chi fosse cristiano e ha prelevato sette egiziani della chiesa copto-ortodossa. Il giorno dopo i loro corpi sono stati trovati dalle forze di sicurezza libiche morti a est della città, tutti con un colpo di pistola alla tesa o al petto: «Sono stati giustiziati».

SANGUE INNOCENTE - L'attacco è stato organizzato con tutta probabilità dalla milizia di estremisti islamici Ansar Al Sharia e come dichiarato a Fides dal vicario apostolico di Tripoli monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, «non si capisce bene cosa vogliano questi fondamentalisti. Sicuramente vogliono mettersi in evidenza spargendo il sangue di vittime innocenti. I copti ortodossi sono da tempo il loro bersaglio, soprattutto in Cirenaica».

COPTI PERSEGUITATI - Non è la prima volta che cristiani egiziani copti vengono uccisi in Libia, dove molti si recano per lavoro. Nel 2013, due cristiani sono stati derubati e uccisi nel nord-est del paese per essersi rifiutati di convertirsi. Soprattutto nell'est della Libia, in Cirenaica, dove lo Stato centrale non ha più autorità, le milizie islamiste che hanno contribuito a rovesciare Gheddafi fanno il bello e il cattivo tempo e cercano di eliminare ogni traccia della presenza cristiana.
A marzo decine di copti sono stati arrestati a Bengasi, accusati di proselitismo. Inoltre una chiesa è stata assaltata e incendiata a marzo mentre un'altra è stata attaccata da uomini armati a febbraio.

TAGLIA SUI CRISTIANI - La Ong egiziana che lavora in Libia "Nations Without Borders" ha diramato dettagli inquietanti sull'esecuzione degli ultimi sette copti. I guerriglieri islamici, infatti, dopo essere passati nell'edificio e in altri alla ricerca di cristiani, hanno realizzato scritte sui muri dei palazzi promettendo 10 mila dinari libici (quasi seimila euro) per ogni cristiano consegnato nelle mani della milizia.

LIBERTÀ RELIGIOSA - La libertà religiosa è fortemente a rischio in Libia. Il Parlamento ha approvato a dicembre la sharia come fonte di tutte le leggi e ora una commissione dovrà valutare che le norme esistenti nel paese siano in linea con i dettami della legge islamica.

(Tempi, 26 febbraio 2014)


A Gerusalemme apre "Cinema-City". Rabbini in allarme

 
Studenti israeliani manifestano contro la chiusura del cinema di sabato
Gli amanti del cinema hanno fatto festa ieri a Gerusalemme con la attesa inaugurazione del maestoso Cinema City: un edificio di otto piani che dispone di 19 sale cinematografiche, con tremila posti complessivi, la cui realizzazione è costata 250 milioni di shekel (circa 50 milioni di euro).
L'apertura è stata accompagnata da una manifestazione di attivisti laici, alcune centinaia in tutto, secondo cui l'edificio dovrebbe essere aperto anche di sabato, ossia nel giorno che secondo la religione ebraica deve essere destinato al riposo assoluto. Questa prospettiva mette già in allarme gli ambienti ortodossi della città che mettono in guardia da una "guerra di cultura".
«Di certo non resteremo zitti» ha preannunciato oggi a loro nome il vicesindaco Yossi Deitsch. «Siamo pronti ad inscenare manifestazioni tutti i sabati. La città ne avrebbe gravi danni economici». "Cinema City" è stato edificato su un terreno demaniale, in una zona di uffici governativi fra cui il ministero degli esteri.
Nelle immediate vicinanze non ci sono rioni abitati e dunque le proiezioni di sabato non dovrebbero disturbare alcuno. Ma a distanza di due incroci stradali iniziano i primi sobborghi ortodossi che potrebbero ribollire, se i rabbini lo ordinassero. La questione sarà presto discussa dalla Corte Suprema di Gerusalemme, situata proprio di fronte all'ingresso di Cinema City.

(Il Secolo XIX, 26 febbraio 2014)


Elia Dalla Costa ''Giusto fra le Nazioni''

Salvò centinaia di ebrei fiorentini e non solo dalla persecuzione nazista, esplosa dopo l'occupazione dell'Italia nel settembre 1943. Ed ora Israele gli consegna la medaglia alla memoria di "Giusto fra le Nazioni". È il cardinale arcivescovo Elia Dalla Costa, scomparso nel 1961 dopo aver retto, dal 1933 fino all'anno della sua morte, la diocesi di Firenze. Questa mattina, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, l'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Zion Evrony lo ha insignito alla memoria con la medaglia dei Giusti consegnata nelle mani di un nipote che porta il suo stesso nome. Alla cerimonia erano presenti, tra gli altri, l'assessora all'educazione Cristina Giachi, il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, la presidente della comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli e il rabbino di Firenze Rav YosefLevi .
«Personaggi come Elia Dalla Costa sono veri e propri fari che ci indicano la strada da seguire - ha sottolineato l'assessora Giachi nel suo saluto - il suo nome è scolpito nel cuore della memoria dolorosa della Shoa ed è scolpito come un punto di luce, uno dei tanti, che costellano il 'Muro dei Giusti'. Questo ci riempie di orgoglio ma anche di responsabilità, soprattutto nei confronti dei più giovani. Dobbiamo essere all'altezza di figure come quella del cardinale Dalla Costa che hanno reso grande la nostra città».
«Sono onorata e grata - ha proseguito - che Firenze possa essere protagonista con una storia luminosa come quella di Elia Dalla Costa, una storia luminosa nel buio dei valori che, in quegli anni, attraversava tutto il nostro continente. Grazie a uomini come lui, al loro coraggio e alla loro generosità è stato possibile non lasciare l'ultima parola al male, alla furia gratuita cieca che pure ci aveva sovrastati. Il suo esempio ci indica una strada chiara da seguire».
Il cardinale Dalla Costa organizzò una vera e propria rete clandestina di salvataggio della quale faceva parte anche Gino Bartali, il fuoriclasse che in quegli anni faceva da staffetta tra Firenze e Assisi, dove una tipografia stampava documenti falsi che nascondeva nella canna della bicicletta. Dopo il rastrellamento nel ghetto di Roma, il 16 ottobre del 1943, e la deportazione di 1.021 ebrei nei campi di sterminio (tornarono in 17), il vice del capitano Theodor Dannecker, Alvin Eisenkolb, aveva organizzato altri due rastrellamenti a Firenze, il 6 e il 26 novembre del '43. Fu allora che il cardinale Dalla Costa incaricò il parroco di Varlungo, don Leto Casini, e il padre domenicano Cipriano Ricotti di coadiuvare il Comitato di assistenza ebraico (che agiva da terminale degli aiuti internazionali forniti dalla 'Delegazione per l'assistenza degli emigranti ebrei, la Delasem') per mettere al sicuro i profughi ebrei nei vari monasteri e istituti religiosi della diocesi. Dell'organizzazione, tra gli altri, facevano parte anche monsignor Giacomo Meneghello, Gino Bartali e, dalla parte ebraica, Raffaele Cantoni, Giuliano Treves e Matilde Cassin. A Firenze e dintorni, su ordine diretto dell'arcivescovo, si aprirono le porte di almeno ventuno conventi e istituti religiosi, più varie le parrocchie, per nascondere centinaia di ebrei braccati dai nazisti.

(fonte: Ufficio Stampa del Comune di Firenze, 26 febbraio 2014)


Israele - Nuove tensioni da nord

"La nostra politica è chiara. Non parlerò di cosa è stato rivendicato e cosa no. In ogni caso, faremo tutto ciò che è necessario per difendere la sicurezza dei nostri cittadini". Non ha dato conferme il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sul presunto attacco da parte dell'areonautica militare israeliana ai danni di un convoglio di Hezbollah nella regione di Baalbek (sul confine tra Siria e Libano). Se sul punto Netanyahu, interrogato ieri da un giornalista durante la conferenza stampa bilaterale con il cancelliere Angela Merkel, è dunque rimasto vago nonostante il sottotesto sia chiaro: pugno duro contro i nemici di Israele. Oggi, invece, è arrivata la conferma del raid ai danni di Hezbollah, il gruppo terroristico che opera nel sud del Libano. L'obiettivo, un convoglio che stava portando dalla Siria al Libano dei missili da mettere a disposizione dell'organizzazione terroristica. Una mossa, quella israeliana, che vuole indebolire uno dei nemici storici di Israele e che, secondo fonti israeliane, starebbe preparando da tempo una reazione.
Di "conflitto invisibile" parla Amos Harel, analista militare di Haaretz, che sottolinea come il silenzio di Hezbollah sia sintomo di un tentativo di riorganizzarsi del gruppo, indebolito dal conflitto siriano. Noti infatti sono i rapporti tra Hezbollah e il presidente siriano Bashar Al Assad, da anni impegnato assieme all'Iran a finanziare il gruppo terroristico in funzione anti-israeliana. Di converso, gli stessi miliziani di Hezbollah si sono impegnati nel conflitto che sta lacerando la Siria al fianco del dittatore Assad. Secondo il Wall Street Journal, il passaggio di armamenti - come nel caso del convoglio colpito dai caccia israeliani - tra il confine siro libanese è in atto da tempo, anche per evitare che di queste armi entrino in possesso i ribelli. La situazione è dunque molto intricata e Israele continua con la politica degli attacchi mirati non volendo d'altra parte essere coinvolta nella polveriera siriana. Ora l'Idf attende una reazione da Hezbollah dopo il raid di lunedì. Reazione promessa dagli stessi miliziani dalle pagine del giornale Al-Manar, "la resistenza sceglierà momento e luogo giusto per vendicare l'offensiva israeliana". Nell'operazione della scorsa notte sono morti anche quattro esponenti dell'organizzazione terroristica.

(moked, 26 febbraio 2014)


Quel giorno azzurro ad Auschwitz

di Alessandro Catapano

ROMA - L'emozione, palpabile perfino attraverso il video, sta negli occhi lucidi di Federico Balzaretti, commosso pure quando, a distanza di mesi, ricorda quella giornata; o nelle parole di Cesare Prandelli, ancora sgomento: «Lì trovammo il senso della vita». Lì è il campo di concentramento di Auschwitz e il campo di sterminio di Birkenau, i simboli della ferocia nazista, i luoghi della «soluzione finale», dove la Nazionale azzurra impegnata agli Europei fece tappa il 6 giugno 2012. Oggi, dopo mille sforzi, quella «straordinaria giornata di educazione e memoria», come la definisce il presidente federale Abete, è diventata un toccante dvd, intitolato «I campioni ricordano», realizzato da Robert Hassan e in vendita fino a fine mese abbinato a Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport.

SPIAZZANTE - «Toccante, sì — spiega Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma e padrone di casa nel museo che ospita la presentazione —, anche perché i calciatori furono accompagnati da tre ebrei italiani sopravvissuti a quella tragedia, Samuel Modiano, Piero Terracina e Hanna Kugler Weiss. L'immagine di questi ragazzi seduti sui binari della morte ad ascoltare in silenzio, vale più di mille parole». E per capire l'emozione che quel giorno spiazzò gli azzurri, basta ascoltare il ricordo di Daniele De Rossi: «Mi sentivo preparato, pensavo che mi sarebbe bastato quello che avevo letto sui libri di storia, e invece...».

MONITO - Fa una certa impressione, oggi, parlare di questa iniziativa in una fase decadente del calcio italiano, dei suoi usi e costumi. «Per questo — ammonisce Riccardo Pacifici, che non nasconde le sue simpatie romaniste — dobbiamo sfruttare queste iniziative per fare fronte comune contro gli spacciatori d'odio e i razzisti da stadio. I calciatori non siano più indifferenti ai cori che si ascoltano negli stadi, gli arbitri fermino le partite e le curve vengano svuotate dei facinorosi. Nessuna tolleranza di fronte alla discriminazione territoriale: se non viene fermata rischia di diventare qualcosa di più. E l'Italia ha già scoperto il razzismo contro gli ebrei e i terroni». Parole sante.

(Gazzetta dello Sport, 26 febbraio 2014)


«Necessario il raid contro Hezbollah»

Netanyahu: l'azione in Libano per «difendere la sicurezza». Arrestati in Gran Bretagna quattro siriani sospettati di preparare attacchi terroristici.

GERUSALEMME - Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha implicitamente confermato ieri i raid israeliani contro postazioni di Hezbollah in Libano, di cui avevano dato notizia lunedì fonti della sicurezza di Beirut. «Stiamo facendo tutto ciò che è necessario per difendere la sicurezza di Israele», ha dichiarato in una conferenza stampa a Gerusalemme. I due raid aerei notturni israeliani hanno preso di mira una zona montuosa vicino al villaggio libanese di Nabi Sheet, un bastione di Hezbollah che ospita un campo di addestramento e un arsenale dei guerriglieri sciiti. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani l'obiettivo era «una base missilistica di Hezbollah, non lontano dal confine con Israele e con la Siria. Lo scorso anno i caccia israeliani avevano attaccato in territorio siriano convogli con armi dirette a Hezbollah, i cui miliziani combattono al fianco del regime di Assad. Nelle settimane scorse era filtrata la notizia secondo cui i caccia israeliani avrebbero attaccato una base aerea siriana a Latakia.
Sempre ieri la polizia britannica ha arrestato 4 persone nell'area di Birmingham sospettate di terrorismo in relazione al conflitto siriano. Secondo l'accusa, un uomo di 45 anni avrebbe partecipato a un corso in un campo di addestramento terroristico, mentre gli altri tre, una donna di 36 anni, una di 44 e suo figlio ventenne sono sospettati di favoreggiamento per azioni terroristiche all'estero. Le autorità britanniche sono sempre più preoccupate per fi numero crescente di connazionali che partono alla volta della Siria per combattere nelle file dei ribelli contro Assad. II timore è che vengano in contatto con estremisti islamici e si radicalizzino, ponendo una minaccia una volta rientrati in patria. Solo quest'anno sono già 16 le persone arrestate dalla polizia britannica con accuse di terrorismo in Siria, furono 24 gli arresti nel 2013.

(Avvenire, 26 febbraio 2014)


Fiera del Levante: Patroni Griffi in Israele, incontrerà Eilat

BARI - La città di Eilat in Israele potrebbe essere interessata a progetti di cooperazione con la Puglia e con la Fiera del Levante.
Il vice sindaco della città, Eli Lankri, infatti ritiene che con l'Ente barese possano germogliare proficui accordi di collaborazione attraverso i quali dar vita a grandi opportunità di business.
Queste dichiarazioni non hanno lasciato indifferente il presidente della Fiera, Ugo Patroni Griffi che tra un paio di settimane volerà in Israele per partecipare a un Meeting nella ONO Academic College, e ne approfitterà per incontrare il vice sindaco Lankri, del quale condivide il pensiero: "sarà un piacere invitare il sindaco di Eliat a Bari. Una occasione per fargli visitare la città insieme alla nostra Fiera e mettere a punto un progetto fieristico di reciproco interesse. Intanto, mi auguro di poter annoverare Eilat tra le partecipazioni ufficiali della prossima Campionaria internazionale in programma dal 13 al 21 settembre e per la quale siamo già al lavoro".

(Giornale di Puglia, 26 febbraio 2014)


Israele discute la piena libertà per gli ebrei di entrare nella spianata delle moschee

di Aldo Baquis

 
L'edificio che in origine si trovava sul posto oggi chiamato "spianata delle moschee"
GERUSALEMME
In relazione a un argomento che parla di Gerusalemme ed è stato discusso a Gerusalemme, la nota inizia scrivendo TEL AVIV. Un fatto vergognoso, anche per l’estensore della nota se è d’accordo. Abbiamo corretto.
- Un acceso dibattito ideologico tenuto ieri alla Knesset (il Parlamento a Gerusalemme) su iniziativa di un deputato del Likud, determinato ad ottenere il libero accesso degli ebrei sulla Spianata delle Moschee, ha messo in allarme l'intero mondo arabo, secondo cui e' adesso in pericolo lo status quo mantenuto da Israele in quel Luogo sacro dal 1967, dopo la Guerra dei sei giorni.
Gia' nella mattinata di ieri nella Spianata si sono verificati scontri fra fedeli islamici, armati di sassi e di oggetti contundenti, e reparti della polizia, che hanno fatto ricorso a manganelli e a granate assordanti. Decine di persone sono rimaste contuse. Messaggi di apprensione sono giunti nella giornata dalla Giordania e dall'Egitto, due Paesi che hanno firmato accordi di pace con Israele. Hamas, da Gaza, ha invocato una riunione urgente della Lega araba. Gli Hezbollah, dal Libano, hanno incitato i palestinesi a respingere "gli attacchi israeliani". E La Fondazione islamica al-Aqsa ha messo in guardia dal "pericolo che gli ebrei cerchino di assumere il controllo sulla Moschea al-Aqsa".
Ad imporre a tutti il dibattito sulla effettiva sovranita' israeliana sulla Spianata e' stato il deputato Moshe Feiglin (Likud) secondo cui il Monte del Tempio - questo e' il nome ebraico della Spianata - rappresenta la "ragione d'essere" profonda dello Stato ebraico. "Senza di esso, non abbiamo alcuna giustificazione di essere qua, siamo alla stregua di crociati", ha detto. Per due ore deputati nazionalisti e laici hanno contrapposto le proprie concezioni dello Stato d'Israele, mentre i deputati arabi (un decimo della Knesset) hanno boicottato il dibattito, in segno di protesta.
Nel 1967 l'allora ministro della Difesa Moshe Dayan (esponente del sionismo laico e laburista) aveva volentieri ceduto la gestione della contesa Spianata al Qaqf (l'ente giordano per la protezione dei beni islamici) osservando con distacco: "Che bisogno abbiamo di questa specie di Vaticano?".
Oggi Feiglin ha trascinato la Knesset intera a misurarsi di nuovo con quella domanda, proponendo la risposta opposta. Due volte, in quella Spianata, gli ebrei hanno eretto un Tempio: il primo fu distrutto dai babilonesi, il secondo dai romani. "E' inconcepibile - ha concluso - che in quell'area ci sia impedito di pregare, perfino di portare la kippà", il copricapo ebraico.
Diversi deputati nazionalisti hanno dunque chiesto al governo israeliano di introdurre nella Spianata nuove procedure, simili a quelle in vigore nella Tomba dei Patriarchi di Hebron (Cisgiordania): ossia di consentirvi le preghiere oltre che ai musulmani anche - da adesso - agli ebrei. Questi interventi hanno destato reazioni molto allarmate fra i banchi della sinistra. Lo status della Spianata, e' stato risposto, va deciso mediante negoziati di pace, non con iniziative "provocatorie".
"Quello e' come un barile di esplosivo! - ha avvertito il laburista Nahman Shay. - Dobbiamo stare ben attenti a non scuotere l'intero mondo islamico". E anche deputati ortodossi gli hanno dato ragione: perche' quella zona di Gerusalemme (dove secondo la tradizione avvenne il sacrificio di Isacco) e' "talmente sacra" agli ebrei hanno detto - che l'ingresso deve restare loro vietato. Il dibattito si e' concluso senza decisioni operative. La presidente della Commissione Affari interi (Miri Regev, Likud) ha tuttavia preannunciato che tornera' a discutere l'argomento, nell'intento di assicurare agli ebrei libero accesso alla Spianata, mentre adesso e' limitato a tre ore al giorno. Parole che rischiano di accendere nuove tensioni a Gerusalemme est: in particolar modo il mese prossimo, quando si celebrera' la Pasqua ebraica.

(ANSAmed, 26 febbraio 2014)


Moshe Dayan: "Che bisogno abbiamo di questa specie di Vaticano?" Frase che segna l'inizio della fine del borioso sionismo laico che s'illude di poter difendere la terra d'Israele senza tener conto del Dio d'Israele. M.C.


          Proclamate questo fra le nazioni!
          Preparate la guerra!
          Fate sorgere i prodi!
          S'accostino e salgano
          tutti gli uomini di guerra!
          Fabbricate spade coi vostri vomeri,
          e lance con le vostre roncole!
          Dica il debole: «Son forte!»
          Affrettatevi, venite, nazioni d'ogn'intorno,
          e radunatevi!
          Là, o Eterno, fa' scendere i tuoi prodi!
          Si muovano e salgan le nazioni
          alla valle di Giosafat!
          Poiché là io mi siederò
          a giudicar le nazioni d'ogn'intorno.
          Mettete mano alla falce,
          poiché la mèsse è matura!
          Venite, calcate,
          poiché lo strettoio è pieno,
          i tini traboccano;
          poiché grande è la loro malvagità.
          Moltitudini! moltitudini! nella valle del Giudizio!
          Poiché il giorno dell'Eterno è vicino,
          nella valle del Giudizio.
          Il sole e la luna s'oscurano,
          e le stelle ritirano il loro splendore.
          L'Eterno ruggirà da Sion,
          farà risonar la sua voce da Gerusalemme,
          e i cieli e la terra tremeranno;
          ma l'Eterno sarà un rifugio per il suo popolo,
          una fortezza per i figli d'Israele.
          E voi saprete che io sono l'Eterno, il vostro Dio,
          che dimora in Sion, mio monte santo;
          e Gerusalemme sarà santa,
          e gli stranieri non vi passeranno più.

                             Dal libro del profeta Gioele, cap.3







 

Senato: il discorso di Grasso, "Giovanni Spadolini, la questione ebraica e lo stato d'Israele"

ROMA - «Cari amici, gentili ospiti, è con vivo piacere che oggi ospitiamo la cerimonia di presentazione del libro di Valentino Baldacci "Giovanni Spadolini: la questione ebraica e lo stato d'Israele", edito nella collana "Nuova Antologia" della Fondazione Spadolini diretta dal Presidente Cosimo Ciccuti, che saluto e ringrazio. L'opera presenta un excursus accurato dell'articolata posizione di Spadolini nei confronti della questione ebraica, consentendo di ripercorrere il percorso del giornalista, dello storico, del politico e dello statista, uno dei protagonisti indiscussi della storia delle nostre Istituzioni. I legami tra Spadolini e il mondo ebraico furono intensi e costanti nel tempo, al punto che lo Stato di Israele gli intitolò un bosco e che gli furono concesse due lauree honoris causa in filosofia, dall'Università di Tel Aviv nel 1987 e dall'Università di Gerusalemme nel 1992, due anni prima della sua scomparsa. Un forte legame intellettuale che passò attraverso l'amicizia con Shimon Peres, e una coerenza politica che spesso lo portò in contrasto con vasta parte dell'opinione pubblica del nostro Paese e dei suoi più autorevoli esponenti politici del tempo. La posizione di Spadolini nei riguardi del sionismo e della questione ebraica era frutto di un approccio culturale maturato negli anni. Il suo pensiero assunse diverse sfumature, articolandosi su più dimensioni: storica, etica e di politica internazionale. La sua fine sensibilità di storico lo indusse a individuare un parallelismo tra il Risorgimento italiano e quello ebraico, sottolineando le affinità che legavano i nostri "padri della patria", Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo, e il "padre di Israele", Theodor Herzl. Egli vedeva nella formazione dello Stato d'Israele l'incarnazione di principi etici che devono guidare l'azione politica, quali lo spirito di libertà e di tolleranza universali. La sua visione di politica internazionale fu coerente nel corso degli anni e in costanza dei numerosi incarichi istituzionali che egli ricoprì. Come Ministro, in varie occasioni, come Presidente del Consiglio dei Ministri e infine come Presidente del Senato e Senatore a vita rimase sempre fedele alle sue opinioni, anche in momenti cruciali che lo misero alla prova. In occasione dell'attentato alla Sinagoga di Roma, nel 1982, fu l'unico politico italiano ammesso dalla comunità ebraica al funerale del bambino Stefano Taché. Nello stesso anno, da Presidente del Consiglio, rifiutò di ricevere Arafat a Palazzo Chigi e le fece solo nel 1990, da Presidente del Senato, in seguito alla Dichiarazione di Algeri del 1988 con cui l'Olp accettò le risoluzioni delle Nazioni Unite, riconoscendo così il diritto all'esistenza per tutti gli Stati della regione, compreso Israele. Fu uno dei protagonisti della crisi di Sigonella nel 1986 e dissentì dalla linea tenuta dal Presidente del Consiglio Craxi e dal Ministro degli Affari esteri Andreotti. Mi piace ricordare che una parte rilevante dello straordinario percorso politico e istituzionale di Spadolini si è svolta proprio qui, fra Palazzo Giustiniani e Palazzo Madama. Come Presidente del Senato, dal 1987 al 1994, si fece portavoce di una visione più ampia, riflettendo sui problemi dell'ebraismo e dell'antisemitismo in generale come nella sua prefazione al volume edito dal Senato della Repubblica nel 1998 "L'abrogazione delle leggi razziali in Italia". Voglio chiudere ricordando il discorso che pronunciò ad Auschwitz il 27 gennaio del 1994 pochi mesi prima della sua scomparsa, un vero testamento spirituale, un invito a coltivare la memoria del passato ed assumere il dovere del futuro. Il libro che presentiamo ha il grande merito di mostrare il lascito di Giovanni Spadolini: l'ampiezza del suo orizzonte culturale, l'onestà intellettuale e la coerenza. Alla sua vita e alla sua opera guardiamo con ammirazione. Grazie.»

(AgenParl, 25 febbraio 2014)


Nigeria, la strage degli studenti cristiani

L'attacco dei terroristi di Boko Haram nel nord-est del Paese: 43 i ragazzi uccisi, "colpevoli" di voler studiare qualcosa di diverso dal Corano. Il Paese sotto choc.

I dormitori del liceo dopo l'attacco
Gli integralisti islamici dell'organizzazione terroristica Boko Haram hanno colpito di nuovo, ancora una volta nel nord-est della Nigeria, ancora una volta giovani inermi condannati perché «colpevoli» di voler studiare qualcosa di diverso dal Corano.
Nel liceo federale di Bani Yadi i dormitori erano immersi nel buio. Alle 2 di notte tutti gli studenti dormivano nel silenzio delle camerate dove ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 18 anni sono alloggiati, lontani dalle loro famiglie proprio per poter avere una educazione «all'occidentale». La banda di assassini ha attaccato in piena notte, ha lanciato bombe a mano, sparato raffiche a ripetizione contro i giovani che tentavano di fuggire, finito i feriti con i machete e a coltellate. Poi ha dato alle fiamme l'edificio e si sono dileguati nel buio trafitto dalle urla dei sopravvissuti.
Sono 43 i giovani ammazzati, quasi tutti maschi, decine i feriti, alcuni dei quali sono stati mutilati. Le ambulanze hanno continuato a fare la spola tra il collegio-scuola e gli ospedali di Damaturu e Buni Yadi per tutta la notte, all'alba i soccorritori stavano ancora cercando eventuali feriti sopravvissuti all'incendio. «Nell'obitorio abbiamo 43 cadaveri», ha detto nel primo pomeriggio un responsabile dell'ospedale di Damaturu, capoluogo dello stato di Yobe teatro dell'eccidio. Fuori, a decine, i familiari degli iscritti alla scuola presa d'assalto premevano per entrare e cercare traccia dei loro figli. Per riprendere il controllo della situazione è stato costretto a intervenire l'esercito, che è riuscito a riportare la calma, fortunatamente senza ulteriore spargimento di sangue.
Dall'inizio dell'insurrezione, nel 2009, contro il governo del presidente Goodluck Jonathan (cristiano, originario della Nigeria meridionale), i Boko Haram hanno già compiuto eccidi di questo genere in numerose scuole del Paese. Tra l'altro Boko Haram significa proprio «l'educazione occidentale è proibita» ed è questo uno degli slogan più urlati per costringere la popolazione a sottostare alla legge islamica (la Sharia).
L'anno scorso, in settembre, almeno 40 studenti erano stati massacrati in un collegio-scuola di agraria nella città di Gujba, sempre nello Stato di Yobe, dopo che in precedenza più volte avevano sparato contro le finestre dei dormitori. Intimidazioni poi sfociate nella strage.
Yobe è uno degli Stati della Nigeria settentrionale maggiormente colpiti dalla «guerra santa» dei Boko Haram che hanno causato in meno di cinque anni migliaia di morti. Dallo scorso maggio il governo centrale ha decretato lo stato d'emergenza e l'esercito sta portando avanti un'offensiva senza precedenti contro i miliziani integralisti. Senza però registrare successi definitivi.
Solo dieci giorni fa, il 15 febbraio, un attacco attribuito sempre ai Boko Haram aveva lasciato 106 morti nelle strade e nelle case devastate di Izghe, villaggio nello Stato di Borno, confinante con Yobe e terra d'origine del movimento fondamentalista. Qui la popolazione è a maggioranza islamica, ma sono molti a non voler seguire la Sharia e anche questi musulmani sono diventati un obiettivo per la sanguinaria campagna dei Boko Haram.

(La Stampa, 25 febbraio 2014)


Il segreto del boom economico di Israele

Orfana di Stanley Fisher, il mitico governatore che dopo tanti anni di servizio ha lasciato l'istituto di emissione di Gerusalemme per prestare servizio presso la Federal Reserve di Janet Yellen; a sorpresa la Banca d'Israele ha tagliato ieri «il tasso d'interesse principale dall'1% allo 0,75%, a causa di dati relativi all'inflazione inferiori alle attese e di una crescita economica fiacca». Questo è lo scarno comunicato di ADN Kronos diffuso ieri.
"Crescita economica fiacca". Ad avercela noi, quella crescita. Dal 2002 al 2011 il PIL del piccolo stato ebraico - la superficie complessiva è analoga a quella di una regione italiana come la Puglia - è più che raddoppiato, passando da 113 a 258 miliardi di dollari correnti. Un boom economico vero e proprio, che fa impallidire anche le performance economiche delle economie emergenti; adesso peraltro visibilmente ingessate....

(Il Borghesino, 25 febbraio 2014)


La comunità ebraica di Salonicco cita la Germania

Chiede la restituzione del riscatto pagato per la liberazione di circa novemila ebrei.

ATENE, 25 feb - La comunità ebraica della città greca di Salonicco ha deciso di citare in giudizio lo stato tedesco per ottenere la restituzione di un'ingente cifra pagata durante l'occupazione nazista della Grecia nel secondo conflitto mondiale come riscatto per la liberazione di circa 9.000 ebrei.
La documentazione relativa all'atto di citazione, come ha reso noto David Saltiel, presidente della comunità ebraica di Salonicco, è stata depositata venerdì presso la Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo.
Dopo un'inutile battaglia legale durata 20 anni nelle aule dei tribunali greci, compresa la Corte Suprema, i quali hanno stabilito che la Germania è protetta dall'immunità internazionale per gli Stati sancita da un'apposita convenzione Ue, la comunità ebraica ha finalmente deciso di rivolgersi alla Corte europea per cercare di ribaltare la sentenza.
"È la conclusione di un lungo processo. Abbiamo finito con i tribunali greci ed ora speriamo che la Corte dei diritti dell'uomo possa aiutarci ad ottenere la restituzione del riscatto all'epoca versato alla Germania dalla comunità ebraica", ha detto Saltiel come riferito dal sito GreekReporter.
La somma pagata dagli ebrei di Salonicco agli occupanti tedeschi sarebbe dovuta servire a liberare circa 9.000 uomini ebrei tra i 18 e i 45 anni che erano stati fatti prigionieri e rinchiusi nei campi di lavoro nel 1942, dopo che i nazisti ebbero presero il controllo della città. In cambio della loro liberazione, Max Merten, l'allora amministratore civile tedesco di Salonicco, avrebbe chiesto alla comunità ebraica una somma di circa 2,5 miliardi di dracme in contanti, oro e gioielli.
Secondo Saltiel, quegli uomini erano in gran parte ammalati e stavano morendo di fame così la comunità cominciò a raccogliere il denaro per pagare il loro riscatto. Merten, comunque, non mantenne la promessa e quando i primi gruppi di ebrei di Salonicco cominciarono a partire per i campi di concentramento nazisti, la comunità ebraica aveva già versato 1,9 miliardi di dracme, pari al cambio attuale a circa 70 milioni di dollari.
Prima della seconda guerra mondiale a Salonicco, che era nota come "la Gerusalemme dei Balcani", vivevano circa 50.000 ebrei.
Di essi, meno di 2.000 sopravvissero alla Shoah.

(ANSAmed, 25 febbraio 2014)


Iran - Pastore cristiano detenuto in precarie condizioni di salute: urge il rilascio

 
Il Pastore cristiano evangelico Behnam Irani
TEHERAN - Il Pastore cristiano evangelico e cittadino iraniano Behnam Irani - detenuto dal 2011 dopo una condanna per "azioni contro lo stato" - è in precarie condizioni di salute che potrebbero comprometterne la sopravvivenza. Per questo urge rilasciarlo: lo chiede, in una nota inviata a Fides, l'Ong "Christian Solidarity Worldwide" (CSW), ricordando che, "anche se condannato con accuse di tipo politico, in realtà il Pastore è in carcere a causa della sua fede, in flagrante violazione della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici". Il Pastore ha subito un intervento chirurgico il 22 febbraio ed è ora ricoverato nel Shahid Madani Hospital a Karaj. Behnam Irani soffriva di gravi emorragie a causa di ulcere allo stomaco e complicazioni intestinali. Secondo fonti dei CSW, l'operazione ha avuto successo e il Pastore tornerà nei prossimi giorni nella prigione di Ghezal Hesar.
Il Pastore Irani, cittadino iraniano convertitosi al cristianesimo, era divenuto capo della "Chiesa dell'Iran" con sede a Karaj. Avendo organizzato riunioni di preghiera "non autorizzate", è stato condannato nel 2011 a sei anni di reclusione. Nei primi mesi della sua prigionia all'istituto penale di Ghezal Hesar, il Pastore Irani è tenuto in isolamento in una piccola cella, dove le guardie ripetutamente lo svegliavano durante il sonno, come forma di tortura psicologica. E' stato poi spostato in una stanza angusta dove i detenuti non potevano sdraiarsi a dormire, in seguito trasferito in una cella sporca a sovraffollata che condivide con 40 detenuti. E' stato sottoposto a pressioni fisiche e psicologiche per convincerlo a riconvertirsi all'islam. Le autorità iraniane, infatti, sono particolarmente sensibili e ritengono "un esempio pericoloso" gli iraniani che si convertono dall'islam alla fede cristiana.
Nella nota inviata a Fides, Mervyn Thomas, Direttore esecutivo di CSW, dichiara: "E' inaccettabile lasciare che le condizioni di salute di un detenuto possano deteriorarsi a tal punto. Continuiamo a chiedere il rilascio del Pastore, imprigionato solo perchè cristiano".

(Agenzia Fides, 25 febbraio 2014)


La Banca d'Israele taglia i tassi a sorpresa

La Banca centrale d'Israele ha abbassato a sorpresa i tassi d'interesse di 25 punti base, portandoli allo 0,75%. L'ultimo taglio era stato fatto cinque mesi fa. La governatrice Karnit Flug ha dichiarato che la decisione è stata presa a causa dell'inflazione più bassa delle attese, del pessimismo dei consumatori e dei "deludenti" dati macro degli Stati Uniti. Il rendimento del titolo di Stato decennale è sceso al minimo record del 3,35%, mentre lo shekel è rimasto stabile a 3,5191 per dollaro.
"Non siamo ancora vicini alla recessione, ma ci stiamo muovendo in quella direzione", ha dichiarato Rafi Melnick, membro del comitato di politica monetaria della banca centrale d'Israele. L'obiettivo di inflazione fissato dalla banca centrale è fra l'1 e il 3%. A gennaio l'indice è sceso all'1,3% e a febbraio è previsto in ulteriore calo all'1%. Sempre a gennaio, il pil è cresciuto meno delle attese, del 2,3%. Di certo la Banca d'Israele ha un atteggiamento diverso rispetto alla Bce, che di fronte a una crescita del pil di Eurolandia del 2,3% alzerebbe sicuramente i tassi.

(tiscali, 25 febbraio 2014)


"Ebrei, lasciate l'Ucraina"

Uno dei due rabbini capi invita la sua gente ad abbandonare la capitale e il Paese, "ormai ci sono avvertimenti costanti sull'intenzione di attaccarci".

Rav Moshe Reuven Azman
Uno dei due rabbini capi dell'Ucraina, Moshe Reuven Azman, ha invitato gli ebrei di Kiev a lasciare la città e se possibile anche il Paese, temendo che gli ebrei della città siano perseguitati nel caos che è seguito agli scontri di piazza: lo riferisce il quotidiano israeliano "Maariv".
"Ho esortato la mia congregazione a lasciare il centro della città o Kiev tutti insieme e, se possibile, ad abbandonare anche l'Ucraina", racconta il rabbino Azman. "Io non voglio sfidare il destino", ha aggiunto, "e ormai ci sono avvertimenti costanti sulle reali intenzioni di attaccare le istituzioni ebraiche".
Secondo il rapporto del giornale, Azman ha chiuso le scuole della comunità ebraica, ma guida ancora tre preghiere quotidiane. Anche l'ambasciata israeliana ha raccomandato ai membri della comunità ebraica di limitare al massimo le uscite dalle loro case .
Edward Dolinsky, capo della organizzazione degli ebrei dell'Ucraina, ha descritto la situazione a Kiev come pericolosa. E aggiunge: "Abbiamo contattato il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman perché chieda che ci aiutino a garantire la sicurezza delle nostre comunità."
Sabato scorso i manifestanti nella capitale ucraina - ha detto - hanno preso il pieno controllo della città dopo la firma di un accordo di pace mediato dall'Occidente e volto a porre fine a tre mesi di crisi politica della nazione. Il presidente Viktor Yanukovich è ancora in Ucraina, una fonte della sicurezza ha detto che da sabato la sua residenza è vuota e incustodita, e suoi uffici a Kiev nelle mani dei manifestanti .

(globalist, 25 febbraio 2014)

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Ucraina: gli ebrei chiedono aiuti ad Israele

ROMA - Una richiesta urgente di aiuti rivolta al premier israeliano Benyamin Netanyahu e al ministro della Difesa Moshe Yaalon è stata inviata oggi dal direttore generale dell'Associazione delle organizzazioni ebraiche in Europa, il rabbino Menachem Margolin, in seguito al moltiplicarsi di episodi di antisemitismo in Ucraina. In particolare, riferiscono i media israeliani, viene richiesto l'invio urgente in Ucraina di guardie di protezione. In parallelo il rabbino Margolin ha chiesto all'Unione europea di insistere con gli attuali responsabili della sicurezza a Kiev affinché impediscano gli attacchi contro la minoranza ebraica. Secondo il rabbino Margolin nelle ultime 48 ore si sono moltiplicati in varie località dell'Ucraina gli episodi di carattere antisemita.
Fra questi: il lancio di una bottiglia incendiaria contro una sinagoga (che ha provocato danni circoscritti); scritte minacciose sui muri; e anche il tentativo di intimidazione di un rabbino a cui è stato chiesto di lasciare la sua città (Kriverog, secondo la traslitterazione ebraica, Kryvyi Rih nella parte sud occidentale) "entro 72 ore". In Ucraina, conclude il rabbino Margolin, per gli ebrei "si è creata una situazione di emergenza". Finora nè Netanyahu, nè Yaalon si sono espressi in materia. Nei giorni scorsi tuttavia la parastatale Agenzia ebraica ha stanziato una cifra iniziale di 150 mila dollari per rafforzare la protezione degli ebrei in Ucraina. Secondo le sue stime, la comunità ebraica è composta da almeno 200 mila persone (nel 1933 erano almeno 5,5 milioni).

(blitz quotidiano, 25 febbraio 2014)

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E Israele invia un team in soccorso degli ebrei

Aiuteranno a valutare i rischi per la sicurezza. Previsto un piano di fuga dal paese

di Maurizio Molinari

Israele teme il rafforzamento dell'estrema destra in Ucraina e invia a Kiev dei «team di emergenza» il cui compito è di aiutare le locali comunità ebraiche a valutare i «rischi per la sicurezza» e adottare le necessarie contromisure, inclusa l'emigrazione. Per comprendere l'entità dei timori che circolano nello Stato ebraico bisogna entrare nel pub «Putin» su Jafo Street, nel centro della città, dove la maggioranza degli avventori sono di origine russa e condividono l'allarme lanciato da Inna Rogatchi, una ricercatrice sull'«Olocausto nei tempi moderni» che ha soggiornato a Kiev negli ultimi due mesi arrivando alla conclusione che «il partito neonazista Svoboda è un incubo per l'Europa» ed è uscito rafforzato dal rovesciamento del presidente filo-russo Viktor Yanukovich.
   Sebbene il governo Netanyahu eviti dichiarazioni ufficiali in merito, le preoccupazioni di Gerusalemme riguardano il fatto che «Svoboda» (Libertà) oltre ad avere il 10 per cento dei seggi nel Parlamento ha alle spalle una ventina di formazioni di estrema destra che, nel complesso, arrivano a rappresentare circa il 20 per cento di una popolazione di 46 milioni di abitanti. Da qui la decisione di Nathan Sharansky, presidente dell'Agenzia Ebraica, di iniziare un'operazione di «assistenza di emergenza» per la comunità ebraica ucraina stimata in 200 mila anime rispetto alle 70 mila di cui parlano le statistiche di Kiev. La maggior parte degli ebrei ucraini vive nella capitale, a Odessa, Lvov e Dnepropetrovsk ed è qui che Sharanky - ex leader dell'emigrazione ebraica dall'Urss - ha ordinato di inviare dei «team di emergenza» la cui missione è contattare istituzioni, sinagoghe e centri comunitari per assisterle nel «fronteggiare eventuali pericoli» e, se necessario, aiutare a emigrare in Israele chi volesse farlo. Tale forma di «intervento di emergenza» è stato creato dall'Agenzia Ebraica dopo l'attacco terroristico alla sinagoga di Tolosa nel marzo 2012 - morirono un insegnate e tre alunni - e ha poi contribuito a soccorrere comunità in situazioni di pericolo dalla Grecia all'Argentina ma, come Sharansky ammette, la crisi ucraina ha dimensioni maggiori: «Stiamo parlando di una delle comunità ebraiche più grandi del mondo».

(La Stampa, 25 febbraio 2014)


In Italia le eccellenze israeliane

 
Dopo Milano e Torino, si apre a Roma il terzo appuntamento dell'Israel University Day, incontro di orientamento per gli studenti italiani sul mondo accademico israeliano promosso dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane insieme a Masa, programma che offre ai giovani borse di studio per trascorrere un periodo in Israele. Dall'Università ebraica di Gerusalemme al Technion di Haifa, sette prestigiose realtà universitarie in queste ore si raccontano ai ragazzi della scuola ebraica di Roma Renzo Levi, illustrando programmi, opportunità, strutture. Ad aprire l'incontro, diviso in due sessioni - la prima dedicata a una presentazione di ciascuna università, la seconda con colloqui personalizzati per ciascuno studente - gli interventi Ruth Dureghello, assessore alle scuole della Comunità ebraica di Roma, Alessandro Luzon, consigliere dell'Unione e coordinatore della Commissione UCEI ai rapporti con Israele e l'Aliyah, Daniela Pavoncello, consigliere dell'Unione e coordinatore della Commissione UCEI Scuola, Educazione e Giovani. A presentare l'iniziativa il presidente dell'Associazione amici del Technion, Piero Abbina. Domani a Firenze, l'ultimo dei quattro incontri organizzati con i rappresentati delle università israeliane.
"Come UCEI teniamo moltissimo ad occasioni come queste e a far sì che i nostri giovani possano fare un'esperienza di studio o tirocinio in Israele", ha affermato il consigliere Alessandro Luzon, ricordando i diversi progetti portati avanti dall'Unione per la formazione degli studenti delle realtà ebraica italiane: in primis, l'University day, nato nel 2010 su iniziativa di Claudia De Benedetti, allora assessore ai Giovani dell'UCEI assieme a Piero Abbina; dal 2012 è on-line israeluni.it, il portale che contiene informazioni e contatti delle principali università israeliane; da quest'anno, poi, un altro grande risultato è stato ottenuto con la traduzione per la prima volta dello psicometrico, il test che permette di accedere alle università israeliane, in italiano e con la possibilità di sostenere l'esame a Milano e Roma. 250 sono gli studenti iscrittisi per sostenere lo psicometrico, a dimostrazione del successo dell'iniziativa portata avanti dall'Unione e in particolare dalla Commissione Israele ed Alyà.
"Israele oggi offre l'eccellenza in molti campi, offre prospettive per chi ha delle idee e delle capacità", ha sottolineato Luzon, per questo la strada accademica israeliana si prospetta come un'ottima opportunità per gli studenti italiani. "Ascoltate le vostre passioni e i vostri desideri", ha consigliato ai ragazzi Daniela Pavoncello, consigliera UCEI, mentre Ruth Deganello, assessore della Comunità di Roma, ha ricordato come la scuola ebraica di Roma abbia iniziato cinque anni fa questo percorso di formazione che ha portato molti studenti a scegliere Israele come opportunità di studio. "Il 25% dei diplomati lo scorso anno ha scelto l'estero, la maggior parte Israele", ha affermato Deganello, sintomo della volontà dei giovani di guardare oltre le frontiere nazionali.
Ha espresso invece la sua soddisfazione per la grande partecipazione nelle tre comunità ad oggi incontrate, Gilad Peled, shaliach e rappresentante in Italia del programma Masa.

(moked, 24 febbraio 2014)


Netanyahu invita Renzi in Israele

Il premier Benyamin Netanyahu ha invitato il neo primo ministro italiano Matteo Renzi a visitare Israele. Il leader israeliano - nel corso di un telefonata di ieri sera con Renzi - ha rilevato, secondo il suo ufficio, che l'Italia "svolge un ruolo importante a livello internazionale", apprezzando il suo sostegno "contro il boicottaggio di Israele".

(ANSA, 24 febbraio 2014)


Un Hassid ebreo a Maidan

di Marco Tosatti

Un berretto invece della Kippah, il giovane "potrebbe passare per un docente di una Yeshivah" (una scuola religiosa ebraica). Ma invece è uno dei leader della difesa dei manifestanti a via Hrushevsky (Hrushevskoho). Chiede di mantenere l'anonimato. Dice di essere venuto a Maidan nei primi giorni. "Quello che ho visto mi ha colpito: tutto era così disorganizzato. Mancanza di leaders, di una strategia chiara e così via. Allora, con mia sorpresa, cominciai a organizzare, anche se all'inizio non la consideravo la 'mia guerra'. Ho organizzato l'auto-difesa, la costruzione delle barricate, e poi sono diventato un leader dell'unità di protezione".
Il religioso che ha fatto il servizio militare nell'esercito israeliano, si è reso conto che non era possibile prendere l'iniziativa contro i Berkut a Maidan. "Ho capito che ci sarebbe stato molto sangue. Ho contato le persone sulle barricate, mi sono reso conto che l'equilibrio delle forze era assolutamente inaccettabile per un azione offensiva e li ho convinti a rinforzare il ridotto, e a prendere una posizione difensiva". Ed è suo il merito di aver ottenuto che duecento soldati e poliziotti sgomberassero la Casa Ukraina, dove erano asserragliati, con 1500 manifestanti intorno pronti all'attacco, e la crisi si risolvesse senza la minima violenza.
L'interlocutore ha spiegato a Voices of Ukriane cche "ci sono altri quattro israeliani con un'esperienza di combattimento come la mia nella mia unità. Come me, sono venuti a Maidan per aiutare a evitare che ci siano delle perdite umane non necessarie. Chiamerei il nostro gruppo 'elmetti blu' , in analogia alle forze di pace dell'Onu.
Alla domanda se in quei giorni ha visto elementi di antisemitismo fra i manifestanti, ha risposto: "Non c'è stato neanche un accenno a quel genere di comportamento. Sono stato in contatto con attivisiti di 'Pravy Sector', (Settore di Destra, un gruppo militante di estrema destra) UNA-UNKSO (Autodifesa del Popolo Ucraino, anch'esso di destra) . Mi sono sempre presentato come un ebreo, e religioso, per di più. Ho decine di guardie della resistenza georgiani, azeri, ameni e russi che non cercano neanche di parlare ucraino e non siamo stati mai intolleranti gli uni con gli altri. Sono tutti rispettosi verso la mia fede, sanno già quello che posso e non posso mangiare, e non c'è nessuna ostilità".

(La Stampa, 24 febbraio 2014)


Israele-Germania, vertice altamente simbolico a Gerusalemme

Merkel e il governo tedesco in visita di 24 ore per il piu' grande incontro intergovernativo mai organizzato tra i due Paesi.

GERUSALEMME - Berlino apre i propri consolati agli israeliani. E' questo uno degli accordi più importanti e simbolici che Israele e Germania firmeranno domani a Gerusalemme, dove si terrà il più grande incontro intergovernativo mai organizzato tra i due Paesi in vista delle celebrazioni del 2015 per il cinquantenario delle relazioni diplomatiche. Relazioni che vengono definite "eccellenti" da entrambe le parti, malgrado la pesantezza del fardello storico che le caratterizza. La Merkel sarà accompagnata da 14 ministri per una visita di 24 ore durante la quale saranno firmati accordi che confermano l'intensità raggiunta nei rapporti bilaterali. Fra questi spicca appunto la possibilità per gli israeliani di ottenere servizi consolari dalle rappresentanze della Germania in Paesi che non intrattengono relazioni con lo Stato ebraico (ad esempio in Indonesia e Malesia, dove cresce la presenza di uomini d'affari israeliani); e la concessione quasi automatica di permessi temporanei di lavoro per i giovani israeliani in visita in Germania, e viceversa. "Angela Merkel giunge qua da amica, con un seguito considerevole", ha osservato il premier Benyamin Netanyahu nella odierna seduta di governo. Si rende conto da un lato che la Germania resta per Israele uno dei puntelli più importanti in Europa (come dimostrano le forniture di sofisticati sottomarini) ma anche che Berlino ha una serie di attese politiche la cui enunciazione, negli ultimi tempi, ha provocato tensioni fra i due statisti. Uno dei punti costanti di frizione è rappresentato dalla questione palestinese e dalla colonizzazione ebraica nei Territori. In un intervento su Yediot Ahronot, il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha ribadito che il suo Paese sostiene con determinazione le trattative mediate dal Segretario di stato John Kerry e "sprona Israele a prendere in merito decisioni difficili, ma necessarie". Da parte sua Netanyahu ha rilevato che nel contesto delle trattative fra l'Iran e i Paesi del '5+1' la Germania ha un ruolo importante da giocare: "Occorre smantellare la capacità di Teheran di produrre e lanciare ordigni atomici. Spero che la Germania e gli altri Paesi del 5+1 insisteranno su queste richieste per impedire all'Iran di raggiungere la 'soglia nucleare' ". Finora l'andamento delle trattative, invece, lo "preoccupa". Da parte sua, anticipa Steinmeier, la Germania si sente in dovere di rassicurare gli israeliani che si impegnerà contro ogni tentativo di mettere in questione la legittimità del loro Stato. "Non siete soli", ha ribadito ai lettori israeliani il ministro tedesco a nome della Merkel. Martedì il capo dello Stato Shimon Peres conferirà alla Merkel una Medaglia di Distinzione che rappresenta l'onorificenza più elevata dello Stato ebraico. "Merkel - ha notato Peres - è una leader eccezionale, con profonde convinzioni morali e con alti ideali, distintasi per le relazioni calorose verso Israele e il popolo ebraico". Peres ha elogiato fra l'altro "il suo splendido esempio nell'educazione delle nuove generazioni contro l'antisemitismo, il razzismo e l'odio". Grazie alla sua leadership, ha concluso, le relazioni bilaterali hanno toccato nuove vette.

(Notiziario Italiano, 24 febbraio 2014)


Morta a centodieci anni la più anziana sopravvissuta alla Shoah

 
Alice Herz-Sommer
LONDRA - Si chiamava Alice Herz-Sommer e a 110 anni era la piu' anziana sopravvissuta all'Olocausto. Nota concertista si apprestava a diventare ancora piu' famosa per il film-documentario di 38 minuti sulla sua vita candidato all'Oscar il prossimo 2 marzo: "The lady in number 6: music saved my life". Nata in una famiglia dell'upper class ebraica a Praga, e' cresciuta frequentando come amici di famiglia "zio Franz" Kafka e Gustav Mahler. Pianista di grandissimo talenti si vide stroncare la carriera dai nazisti. Ma alla musica deve la sua salvezza, inizialmente quella del marito (che poi mori') e del figlioletto di sei anni, quando nel 1943 venne trasferita a Theresienstadt: la fortezza-ghetto a 50 km da Praga che la propaganda di Hitler spacciava come "il regalo del Führer agli ebrei". Qui pero' c'era un teatro ed un'orchestra, che consentirono a Alice di sopravvivere alla fine della II Guerra Mondiale. Da Praga si trasferire nel neonato Stato di Israele dove ha vissuto a lungo e ripreso la carriera da concertista. Qui visse 37 anni per poi trasferirsi a Londra in un appartamento al "number 6" (lo stesso del titolo) di un edifico del centro.

(AGI, 24 febbraio 2014)


Cruyff apre un campo di calcio per ebrei e arabi ad Akko

Johan Cruyff aprira' un suo secondo 'Campo di calcio' per ebrei e arabi ad Akko (S.Giovanni d'Acri), nel nord del paese. Lo ha annunciato lui stesso in un incontro avuto oggi con il presidente israeliano Shimon Peres a Gerusalemme. Uno di questi campi - ce ne sono 150 in tutto il mondo ad iniziativa dell'ex calciatore e manager - e' attivo gia' a Giaffa. La Fondazione Cruyff - che lavora in stretta cooperazione con il Centro per la pace fondato da Peres - ha come obiettivo di portare campi di calcio nei sobborghi delle citta' con l'intento di accrescere la coesistenza e l'accettazione. ''Non siete solo un giocatore da leggenda - ha detto Peres a Cruyff accompagnato dal figlio Jordi attualmente manager della squadra Maccabi Tel Aviv - ma anche un modello da seguire per gli altri''.

(la Repubblica, 24 febbraio 2014)


Oltremare - HaPalmach
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

I miei primi mesi israeliani, a inizio 2008 a Gerusalemme, sono stati un viaggio nel tempo avanti e indietro senza sosta fra la guerra d'Indipendenza del '48 e il ripasso delle 12 tribù d'Israele: Naftali, Efraim, Reuven, Gad, eccetera. Ogni mattina mi alzavo presto nell'appartamento di Rehov Nili, spesso scendevo su Rehov HaPalmach dove c'è l'unico bar pasticceria del circondario che serve caffè espresso e ottimi dolci; faceva freddo, era inverno e l'inverno a Gerusalemme può essere gelido. Poi prendevo strade diverse, tutte quasi parallele, per arrivare all'ulpan su Rehov Gad, e rimanerci tutta la mattina e un bel pezzo di pomeriggio. Lezioni di ebraico per cinque ore, pranzo, compiti. Vita dura, quella dello studente adulto.
Al ritorno, tutta salita. E quasi senza accorgermene, lasciata la zona delle tribù verso quella che snocciola a ogni incrocio un pezzetto di storia delle rivolte contro Ottomani ed Inglesi (Lehi, Buli, Nili, Tel Hai), cominciavo a canticchiare. Spesso, una marcetta imparata chissà quando, da ragazzina, probabilmente all'Hashomer Hatzair: "Misaviv yehum hasa'ar - Ach roshenu lo yishach - Lifkuda tamid anachnu tamid - Anu, anu Hapalmach!"
Ero convinta che fosse un quasi inno nazionale, senza nulla togliere alla amatissima e melodica Hatikva, e invece ho scoperto allora che è una specie di reperto storico-musicale. Non la conoscono tutti, è forse paragonabile alle nostre canzoni dei partigiani, che a casa mia erano colonna sonora principale, ma ho imparato negli anni che se mi parte in testa una "Brigata Garibaldi" o una "Siamo i ribelli della montagna" è ben probabile che io sia l'unica persona della mia generazione a saperne le parole.
Così anche per la marcetta del Palmach, mini-esercito attivo per pochi anni, prima dell'annessione alla Hagana e poi all'Esercito regolare israeliano. Peccato, era una gran bella marcetta. Per fortuna invece i combattenti del Palmach sopravvissuti al terribile anno 1947-48 sono poi diventati in buona parte leader politici o alti intellettuali nello Stato neonato. Yigal Allon, Yehuda Amichai e Yitzhak Rabin fra gli altri, non sono relegati ad un ritornello che vale solo per chi per caso lo sa ancora.

(moked, 24 febbraio 2014)


Idea di Hamas: privatizzare la frontiera di Gaza per frenare il crollo dell'economia

di Luca Pistone

Il movimento di resistenza islamico Hamas, che governa a Gaza, vuole privatizzare la gestione dei valichi di frontiera con Israele ed Egitto per far fronte alla critica situazione economica che interessa la Striscia, sotto l'assedio dell'esercito israeliano dal 2007.
Secondo gli analisti, si tratta di una misura di difficile attuazione. E questo almeno fino a quando non si materializzerà la riconciliazione delle fazione palestinesi, in fase di stallo dal 2012 e che negli ultimi mesi sia Hamas che l'Autorità Nazionale palestinese (Anp) cercano di rilanciare, senza particolare successo.
In dichiarazioni alla stampa locale, Alla Rafati, ministro dell'Economia del governo di Hamas, ha spiegato che l'obiettivo è quello di passare la manutenzione e l'amministrazione dei valichi agli imprenditori di Gaza, mentre l'esecutivo si limiterà a legiferare e monitorare il corretto funzionamento del processo.
"Gestire i valichi sarà compito di imprese private, e l'unica cosa che farà il governo sarà legiferare e creare l'atmosfera necessaria per una gestione appropriata (…) Vogliamo evitare che la politica interferisca nella gestione dei valichi di frontiera e impedire che questi siano ancora utilizzati come scusa per esasperare le già dure condizioni di vita" dei circa due milioni di abitanti della Striscia, ha detto Rafati, citato dall'agenzia di stampa palestinese Ma'an.
Il ministro ha aggiunto che i piani sono "a buon punto" e di aver già parlato con vari membri del settore privato per studiare e attuare il "passaggio di consegne".
I funzionari dell'Anp - al contrario di quanto affermato da Rafati - assicurano di non essere stati messi a conoscenza del progetto che, per essere messo in marcia, dovrà contare dell'approvazione di Israele ed Egitto. La gestione dei valichi di frontiera, sottolineano, "ricade sotto la responsabilità dell'Anp".
Di fatto, l'Anp è l'unica ad avere le capacità per coordinare con le autorità israeliane l'entrata e l'uscita dei prodotto di base attraverso il valico di Kerem Shalom, che l'esercito israeliano controlla nel sud della Striscia.
Hamas controlla i valichi nella Striscia, ma non ha alcuna relazione diretta con Israele, stato che non riconosce e che reputa nemico.
La Striscia è sottoposta allo stretto controllo dell'esercito israeliano dal 2007, anno in cui le milizie di Hamas e dell'Anp si erano scontrarono in una sanguinosa battaglia.
Anche se dal 2010 l'assedio è stato lievemente sollevato, Hamas lamenta che Israele consente solo il transito del 40 per cento dei prodotti di base di cui ha bisogno la popolazione e mantiene limitato l'ingresso di materiali da costruzione e materie prime per l'industria.
Con l'imposizione del blocco, gli abitanti di Gaza si sono visti costretti a scavare decine di tunnel, soprattuto al confine con l'Egitto, che per anni sono stati utilizzati per la movimentazione di merci e persone, ma anche per il contrabbando di armi.
La decisione adottata la scorsa estate dall'Egitto di distruggere oltre il 90 per cento di questi tunnel ha causato gravi danni economici alla Striscia e deteriorato ulteriormente la già delicata situazione umanitaria.

(Atlas, 24 febbraio 2014)


Roma - Ciclo di incontri di etica medica ebraica

a cura di Rav Roberto della Rocca e di Fabio Gaj

 
Gli incontri avranno inizio alle ore 20:00  
Presso i Locali del Tempio dei Giovani (Isola Tiberina)  
La medicina e la biologia, sviluppatesi mollo rapidamente negli ultimi anni hanno risvegliato un gran numero di problemi morali ed etici. Sebbene molle questioni non siano necessariamente nuove, si presentano con sempre maggior frequenza e in contesti che necessitano un'urgente richiesta di soluzioni. Cio' è emerso da quella che sta rapidamente diventando una nuova disciplina accademica, I. "bioetica", un'indagine interdisciplinare che coinvolge esperti nei diversi campi della filosofia, della religione, della medicina, del diritto, della psicologia e della scienza, i quali si sforzano di formulare risposte alle domande che vengono sollevate attualmente.
Le questioni riguardanti la bioetica toccano la vita, la salute e m definitiva, la condizione sociopsicologica di ognuno degli appartenenti la società. Quindi i problemi m discussione non sono solo di interesse teorico astratto: sono di importanza e di immediata applicabilità.
Ecco che la bioetica per la tradizione ebraica rappresenta la fusione della teoria e della pratica. E' una materia in cui le astrazioni si concretizzano e in cui l'ebraismo cerca di offrire delle risposte ai dilemmi etici della vita quotidiana. Per gli ebrei tutte queste domande sono ricerche non applicabili semplicemente ai principi utilitaristici ma devono necessariamente cercare risposte negli insegnamenti della Toràh e nei suoi insegnamenti. L'ebreo deve sforzarsi di trovare la possibile applicazione pratica di concetti fondamentali del pensiero ebraico alla realtà quotidiana della vita moderna,
li dibattito che ne segue attinge alle fonti talmudiche, le decisioni sono ali interno, nei vari codici delle leggi ebraiche e le successive risposte nella letteratura Questo perché è all'interno della tradizione come spiegata e trasmessa di generazione in generazione che il Creatore ha trasmesso il Suo volere ali 'uomo. Lo studioso di questi problemi deve avere consapevolezza dei potenziali pericoli e delle insidie connesse alla compilazione di una risposta definitiva.
La Toràh parla nel linguaggio degli uomini e pertanto costituisce un insegnamento vivo e non una reliquia del passato dando voce a pproblemiperenni, e in tal modo è cultura dell'uomo moderno animandolo di un pensiero che è sempre attuale, impegnato nella ricerca di risposte che pongano l'esistenza all'insegna dei valori ppiù alti dell'umanità.
In quest'ottica la scienza ppuò diventare lo strumento per l'uomo per esercitare il dominio sulla natura un dominio che non solo è legittimo, ma risponde a un preciso dovere (''riempite la terra e conquistatela." Genesi,1 ;28).
Se l'uomo con questo è stato innalzato al rango di immagine divina e continuatore dell'opera della creazione, non deve tuttavia dimenticare che comunque non può, né deve per questo sostituirsi al suo Creatore,
Allo scopo di riflettere su questi interrogativi vi proponiamo un ciclo di incontri di studio durante i quali verranno affrontati da alcuni nostri Maestri temi e problemi di grande interesse e attualità.
Programma

(Comunità Ebraica di Roma, 24 febbraio 2014)


Il terrorismo paga. Letteralmente

Ecco come il denaro dei contribuenti occidentali alimenta il terrorismo e allontana la pace.

Husni Najjar, un palestinese di Hebron già condannato per attività terroristiche, ha rivelato alla polizia d'aver progettato un secondo attentato, fittizio, contro israeliani perché sapeva che, una volta incarcerato, avrebbe ricevuto un cospicuo stipendio dall'Autorità Palestinese. La confessione firmata dal palestinese lo scorso agosto è stata diffusa domenica da Palestinian Media Watch. "A causa della mia difficile situazione finanziaria - afferma Najjar - ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall'Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio"....

(israele.net, 24 febbraio 2014)


Marijuana libera per i malati in Israele

di Davide Frattini

Moshe Feiglin, da un anno deputato del Likud
La coltivazione di marijuana in una delle serre autorizzate nel nord d'Israele
GERUSALEMME — Per sostenere le sue battaglie politiche cita sempre i Libri sacri. Che debba proclamare il diritto degli ebrei a insediarsi in Cisgiordania o che voglia propugnare la diffusione della marijuana terapeutica.
Le posizioni di Moshe Feiglin verso i palestinesi sono così estremiste che per anni è rimasto troppo indietro perfino nella lista del Likud per il parlamento e nel 2008 la Gran Bretagna lo ha bandito «perché le sue idee fomentano la violenza».
Eppure da neo-deputato si è concentrato su un solo progetto di legge: rendere disponibile l'erba a tutti i malati che la richiedano. Senza passare attraverso la burocrazia del ministero della Sanità (cinque settimane per ottenere il via libera, solo ventuno medici hanno la licenza per compilare la ricetta). Il ministro Yael German è preoccupata dalla crescita delle prescrizioni (più 30 per cento nel 2013) ma promette «chi ne ha bisogno potrà riceverla».
Già adesso con 13 mila pazienti autorizzati Israele è il secondo Paese al mondo per distribuzione (400 chili al mese) dopo gli Stati Uniti. Per Feiglin non è abbastanza. Pochi giorni fa è intervenuto su Facebook per difendere i dottori «minacciati dal governo» per aver prescritto i fiori di Cannabis senza permesso. «Dio ci ha dato la marijuana — ha scritto in un commento sul quotidiano Yedioth Ahronoth , il più venduto — ed è lui a detenere il brevetto. Le grandi case farmaceutiche non vogliono intromissioni nei mercati che dominano e limitano la nostra libertà. Noi siamo schiavi solo verso Dio».
Nel dibattito sulla deregolamentazione la sinistra in parlamento si ritrova alleata con l'uomo che ha sempre bollato come un pericoloso ultranazionalista. Feiglin vive nella colonia di Karnei Shomron. Il suo progetto per porre fine al conflitto israelo-palestinese prevede l'annessione di tutte le terre conquistate nel 1967 durante la guerra dei Sei giorni e l'offerta di incentivi economici agli arabi perché emigrino in altri Paesi. Ripete di essere un libertario e precisa di non aver mai usato sostanze stupefacenti. «Quando ho mal di testa non prendo neppure un'aspirina, bevo un bicchiere d'acqua», ha detto alla Jewish Telegraphic Agency .
Ottenere la marijuana terapeutica per tutti rappresenta anche una sfida personale. La moglie di Feiglin è affetta dal morbo di Parkinson e ne fa uso a casa. «Ho visto i benefici, la aiuta. Le leggi attuali impediscono ai malati come lei di stare meglio».

(Corriere della Sera, 24 febbraio 2014)


Egitto: Morsi accusato di aver svelato segreti di Stato all'Iran

IL CAIRO, 23 feb. - Il deposto presidente egiziano Mohamed Morsi e' stato accusato di aver svelato segreti di Stato ai Guardiani della Rivoluzione iraniani. Nella seconda udienza al Cairo del processo per spionaggio a Morsi e ad altri 35 esponenti dei Fratelli musulmani, i procuratori hanno ribadito l'accusa ai vertici del movimento islamista di aver cospirato con potenze straniere e con il movimento palestinese Hamas. "Furono consegnati a Paesi stranieri segreti militari di Stato e furono forniti ai Guardiani della Rivoluzione iraniani rapporti sulla sicurezza per destabilizzare il Paese", ha denunciato il pubblico ministero una dichiarazione letta in aula in cui non si precisa quali siano questi Paesi stranieri. Secondo i procuratori, tra il 2005 e l'agosto del 2013 Morsi e gli altri imputati hanno condotto attivita' di spionaggio per conto "dell'internazionale dei Fratelli musulmani e di Hamas con l'obiettivo di sferrare attacchi terroristici nel Paese per seminare il caos e rovesciare le istituzioni statali".
Nell'anno in cui Morsi era stato presidente aveva rafforzato i legami tra Il Cairo e Hamas, l'organizzazione palestinese che governa Gaza. Il deposto presidente egiziano era presente in aula, all'interno di una gabbia con vetri che la isolavano acusticamente, in modo da evitare interruzioni e proclami durante l'udienza. Gli imputati hanno scandito "nullo, nullo", quando gli e' stato chiesto se si dichiarassero colpevoli rispetto alle accuse mosse loro.

(AGI, 24 febbraio 2014)


Netanyahu: l'Iran a un passo dal nucleare

GERUSALEMME - Il premier israeliano Benyamin Netanyahu teme che, malgrado gli sforzi della comunità internazionale, l'Iran riuscirà in definitiva ad imporsi come Paese ''sulla soglia nucleare... con la capacità di arricchire (l'uranio, ndr) e di sviluppare missili intercontinentali''. Nelle trattative con i Paesi del 5+1 ''l'Iran riceverà tutto, senza dare alcunché in cambio''. Il premier ha fatto queste osservazioni durante la seduta del Consiglio dei ministri.

(ANSA, 23 febbraio 2014)


Pacifici: "Auguri a Renzi, ora pensiamo ad aiutare le fasce deboli"

 
"La Comunità Ebraica di Roma si congratula con Matteo Renzi e tutta la sua squadra di governo formulando auguri di buon lavoro alla guida del nostro Paese. Il dinamismo del neo-Presidente del Consiglio rappresenta una importante risorsa al servizio di un programma di governo ambizioso, nel solco della meritoria opera svolta dal Premier uscente, Enrico Letta, che cogliamo l'occasione per ringraziare dei risultati conquistati in questi mesi a Palazzo Chigi.
Ciò che ispira l'opera di chi guida le nostre Comunità è l'ascolto delle fasce deboli del Paese, proviamo e proveremo ancora a essere partecipi del dibattito nella società civile affinché vengano date a loro delle risposte. Ci sono persone che non arrivano alla fine del mese o, peggio ancora, che il mese neanche lo cominciano. La battaglia per la ripresa economica e la costruzione di nuovi posti di lavoro è la migliore risposta ai proclami antieuropeisti traboccanti demagogia di cui sono portatrici alcune forze politiche xenofobe e razziste che covano odio in tutta l'Europa. Per questo abbiamo una grande responsabilità, fiduciosi che i ministri e i consiglieri all'interno dello staff di Renzi sapranno affrontare queste sfide. Non ultima quella che passa per il rafforzamento della nostra identità di italiani, nelle diverse articolazioni rappresentate anche da minoranze religiose, etniche e culturali. Ed è la scuola il miglior luogo non solo per formare i cittadini del futuro ma anche per dare accoglienza e coesione a un'Italia che nella somma di queste minoranze e maggioranze non può che arricchirsi.
Rimane, inoltre, ancora impressa nel nostro cuore la coraggiosa posizione assunta dal neo-Premier sulle politiche del Medio Oriente in uno storico confronto televisivo con Pierluigi Bersani durante le primarie Pd del dicembre 2012, quando, con realpolitik, si oppose ad un voto italiano all'ONU per il riconoscimento unilaterale dello stato di Palestina senza un complessivo accordo di pace con Israele. Una posizione che, se mantenuta, sarebbe la prima in questa direzione da parte di un Presidente del Consiglio del centrosinistra, nel solco però di altri importanti leader coraggiosi all'interno della sinistra italiana".
Lo dichiara il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.

(Comunità Ebraica di Roma, 23 febbraio 2014)


I consolati tedeschi assisteranno gli israeliani nel mondo

Angela Merkel domani a Gerusalemme con tutto il governo

GERUSALEMME
La Merkel andrà a Gerusalemme, ma anche qui la nota d’agenzia continua a scrivere imperterrita: TEL AVIV. Abbiamo corretto.
- La Germania e' disposta ad offrire i propri servizi consolari agli israeliani nei Paesi che non intrattengono relazioni diplomatiche con Israele: questo, secondo anticipazioni stampa, uno degli accordi bilaterali che saranno sottoscritti nel corso di una visita di 24 ore di Angela Merkel a Gerusalemme. La cancelliera tedesca giungera' domani sera accompagnata dall'intero governo.
La visita della Merkel giunge mentre le sue relazioni personali con il premier Benyamin Netanyahu attraversano una fase delicata, in particolare per screzi sulla politica israeliana verso i palestinesi. In un articolo su Yediot Ahronot il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier assicura che la Germania ritiene che occorra impedire all'Iran di dotarsi di armi atomiche. Il suo Paese sostiene inoltre ''con determinazione'' i negoziati israelo-palestinesi e ''incoraggia Israele a prendere decisioni difficili, ma necessarie''. Non su tutte le questioni, ammette Steinmeier, Israele e Germania concordano. ''Ma Israele e i suoi cittadini - ribadisce - sono per noi molto importanti''. ''Israele - conclude - non e' solo''.

(ANSA, 23 febbraio 2014)


Storie dal Ghetto, storie di vita

Dopo una lunga attesa "Ghetto", il commovente balletto sulla storia degli ebrei d'Europa che il coreografo Mario Piazza ha portato nei più prestigiosi contesti internazionali, sbarca finalmente in Italia e a Roma. L'appuntamento è al Teatro dell'Opera per una settimana di programmazione (25 febbraio- 2 marzo) rivolta al grande pubblico e in particolare a chi, spiega l'artista, "vuole conoscere più da vicino il mondo ebraico, le sue storie, le sue passioni, la sua normalità".
La performance di Piazza - premiata con uno dei più importanti riconoscimenti per le Performing Arts dalla European Association for Jewish Culture - si ispira direttamente alla vita e ai paesaggi del vecchio ghetto di Roma. Un legame fortissimo con le proprie origini che l'artista ha sviluppato con l'idea di fare del suo Ghetto "un'isola di approdo delle genti, un luogo dove abitano e si esprimono le esperienze delle tante persone che vi si incontrano e in cui le storie di tutti si fondono in un'unica storia dell'umanità".

"Ghetto" - Mario Piazza
Ghetto è stato premiato con uno dei più importanti riconoscimenti per le Performing Arts dalla European Association for Jewish Culture a Londra e patrocinato, tra gli altri, dall'Ambasciata d'Israele a Sofia (Bulgaria). Il lavoro è il risultato di un percorso a confronto con temi come la ghettizzazione, l'emarginazione e l'identità culturale. Il ghetto è anche è un luogo di ritrovo dove approdano, si rifugiano, sognano quelli che sono lontani dalla propria terra d'origine e si confondono con chi vive accanto ai propri cari. Il ghetto come isola di approdo di un teatro delle genti, un luogo dove abitano e si esprimono le esperienze delle tante persone che vi si incontrano e in cui le storie di tutti si fondono in un'unica storia dell'umanità. Traggo ispirazione dall'antico ghetto di Roma per sviluppare questo cammino attraverso il completamento e l'approfondimento dei temi che ne fanno un luogo speciale. A Roma, grazie alle pietre d'inciampo, ogni passante può leggere sulle stesse il nome delle persone che sono state deportate, lasciando un segno indelebile nella memoria. La musica e i cori dei bambini che riempiono l'aria di magia, mistero e gioia, sembrano far pensare che sia sempre stato un luogo di pace. Ogni angolo del ghetto è un posto sicuro e una casa da difendere. Gli incontri tra le persone ci daranno l'idea delle diffidenze, e allo stesso tempo del bisogno di comunicare e di relazionarsi l'un l'altro. Un bisogno impellente di umanità.
  Il ghetto è un contenitore di emozioni e una tra le emozioni più forti che lo animano è la nostalgia che si esprime con un legame che resta nella memoria e nel cuore con un attaccamento viscerale alle proprie radici. La nostalgia, ancora, è uno dei nodi cruciali delle migrazioni che in questi luoghi si intreccia con il desiderio di adattamento alla nuova condizione e alla difficoltà di integrazione, alla perdita delle radici e al timore di assimilarsi smarrendo il proprio patrimonio culturale, sociale e religioso. Rinasce il ricordo di ciò che è accaduto in un'azione che inizia il giorno del matrimonio di David e Sarah. I due vivono a ritroso le memorie di quel momento felice, circondati dall'affetto dei propri cari e della comunità. Una storia d'amore nata nel ghetto che attraversa momenti di grande gioia e dolore. La storia di una comunità solidale, abituata a convivere con rispetto e tolleranza insieme alle altre realtà religiose. Si passa attraverso le persecuzioni razziste, il martirio, la solidarietà e le feste con gli amici con estrema leggerezza, aleggia il sentimento della danza e delle citazioni letterarie. zzxLa memoria dei parenti cari e delle tradizioni vive e permea ogni gesto quotidiano, dove tradizione e cultura si fondono per essere tramandati dai saggi. La famiglia si stringe attorno ai giovani e ne segue la crescita e la formazione. Gravi fatti esterni, inoltre, vanno a colpire l'operosa comunità creando lacrime i cui echi di dolore dal passato giungono fino a noi. La Hatikvah (personaggio che sembra una citazione di Chagall) accompagna il tutto evocando la vita e la storia ebraica. Sarà lei a incontrare personaggi poetici e complessi come David e Sarah, gli amici, la gente del ghetto, la famiglia, il rabbino e gli altri precettori.
  Siamo andati alla ricerca del senso più profondo del tema dell'esilio espresso dalle genti dei ghetti e quindi della più profonda e disperata emarginazione che si evince attraverso i canti zingari, che accomunano questo ebraico sentire dell'eterno errare degli uomini tra muri inespugnabili e infinitamente invisibili. Se il voler vivere e sopravvivere significa esprimersi, abbiamo cercato le ragioni del sorriso, le radici da cui riesce a fiorire una creatività che nessuna coercizione è in grado di reprimere.
  La storia dei ghetti è piena di umano interesse, con i suoi vertici di eroismo, i suoi miracolosi racconti di scampo, i suoi deprimenti abissi di pathos ed esasperazione. Un concentrato della natura umana che rivela i vari e sottili motivi che spingono gli uomini ad agire in un determinato modo. Lo spettacolo vuole dare una lettura del ghetto interpretata dai danzatori, come espressione dell'energia fisica e mentale. Il tessuto musicale del progetto è basato sulla musica klezmer. In contrasto con l'idea originale del ghetto come luogo chiuso e circoscritto, il klezmer è patrimonio di musicisti che per scelta e costruzione sono in continuo movimento quasi a simboleggiare il sogno di libertà che accomuna le genti.
  Questo tipo di musica nasce all'interno delle comunità chassidiche e il frutto del lavoro coreutico ad essa legato ha origine dall'inevitabile bisogno di esprimere una identità soffocata in un grido liberatorio che esorcizza il male e ci porta alla positiva volontà di esistere. In un momento in cui tutti dovremmo essere impegnati ad abbattere le barriere sorte dalla paura dall'egoismo e dalla diffidenza, si è sviluppata l'idea di affrontare un argomento come quello della segregazione. Ghetto non vuole essere uno spettacolo narrativo, basato su una drammaturgia che ci riporta semplicemente alla storia dei ghetti. Intendiamo invece evocare l'atmosfera culturale, psicologica e umana delle genti zingare, ebree, nere e definite in qualche modo diverse. Partendo dalla banalità del quotidiano ed esaltando il senso di ribellione dell'essere umano per affermare l'inalienabile diritto di ciascuno alla vita.

(moked, 23 febbraio 2014)


La Rosa Bianca e la resistenza tedesca al nazismo: per "una nuova Europa dello spirito"

di Francesco De Palma

 
Poco più di 60 anni fa, il 22 febbraio 1943, vennero processati e condannati a morte tre giovani del gruppo di resistenza tedesco "La Rosa Bianca". Sophie Scholl, Hans Scholl e Christoph Probst furono ghigliottinati appena qualche ora dopo aver ascoltato la sentenza.
   Studenti di Monaco, la loro colpa era stata quella di aver scritto e diffuso sei volantini antinazisti. Con quei testi, segnati da una forte impronta idealistica e morale, i tre giovani speravano di risvegliare delle coscienze intossicate dal più che decennale virus del nazismo. Tanto più che era ormai evidente come le sorti della guerra avessero volto a sfavore della Germania, ed era ancor fresca nella memoria di tutti l'immagine della catastrofe di Stalingrado.
   In realtà fu proprio l'esigenza di reagire a Stalingrado che determinò la velocità con cui, dopo appena quattro giorni dei detenzione e quattro ore di processo, gli Scholl e Probst vennero condannati a morte per decapitazione. Negli stessi giorni, per l'esattezza il 18 febbraio, Goebbels aveva chiamato il popolo tedesco, nel suo famoso discorso allo Sportpalast di Berlino, all'esigenza della guerra totale: "Credete voi col Führer nella vittoria finale e totale della Germania? Siete disposti a lavorare agli ordini del Führer 10, 12, perfino 14 ore al giorno, e dare tutto per la vittoria? Volete voi la guerra totale? Volete voi, se necessario, una Guerra ancor più totale e radicale di quanto possiate immaginare oggi?".
   A queste parole si contrappongono quelle, tanto più nobili e umane, che leggiamo nel sesto volantino composto dalla Rosa Bianca, quel volantino che fu la causa dell'arresto degli Scholl e di Probst:
    "Il nostro popolo resta sgomento dinanzi all'ecatombe di Stalingrado. La geniale strategia del caporale della guerra mondiale ha condotto alla morte ed alla rovina 300.000 tedeschi, in modo folle ed irresponsabile. […] Il giorno della resa dei conti è venuto […]. In nome di tutto il popolo tedesco reclamiamo […] la restituzione della libertà personale, il bene più prezioso dei tedeschi. […] Libertà e onore! Per dieci lunghi anni, Hitler e i suoi complici hanno […] distorto fino alla nausea queste due magnifiche parole tedesche […]. Cosa significava per loro libertà e onore lo hanno sufficientemente dimostrato in dieci anni di distruzione di […] ogni valore morale del popolo tedesco. L'orribile bagno di sangue e il massacro che, in nome della libertà e dell'onore, hanno causato in tutta Europa e che ogni giorno rinnovano ha aperto gli occhi anche al più stupido tra i tedeschi. Il nome tedesco resterà infamato per sempre se la gioventù tedesca alla fine non si solleverà, non si vendicherà, non espierà, non sgretolerà i suoi oppressori e non darà origine ad una nuova Europa dello spirito".
(Notizie/Italia/News, 23 febbraio 2014)


Turchia: violenze da regime nazi-islamico. E l'Europa tace

Ormai è evidente a tutti, in Turchia c'è un regime nazi-islamico che reprime con violenza qualsiasi manifestazione pacifica di dissenso, che nelle ultime settimane ha censurato internet, ha messo il bavaglio alla magistratura che indagava su uno scandalo di corruzione che implicava le più alte sfere del regime, compreso Erdogan, e che ormai di laico ha ben poco....

(Right Reporters, 23 febbraio 2014)


Grande musica con la bacchetta della Israeli Chamber Orchestra

TORINO - Il valore musicale e il valore simbolico, il piacere di suonare insieme e la capacità di trasformare in pochissimi giorni un gruppo di sessanta ragazzi che non si conoscevano in un'orchestra che la stessa giovanissima direttrice - Bar Avni, assistant director della Israeli Chamber Orchestra, che ha iniziato a lavorare con loro all'inizio della settimana, quando si sono incontrati per la prima volta - definisce "magica, una delle esperienze per cui vale la pena di fare questo lavoro".
La sala messa a disposizione dal centro culturale Sermig di Torino era piena di un pubblico orgoglioso: dalle famiglie dei giovani musicisti ai loro insegnanti, tutti provenienti dalle scuole piemontesi di Mirè, la rete che raggruppa alcune decine di medie a indirizzo musicale, fino alle famiglie della comunità ebraica di Torino che hanno ospitato i giovani israeliani portati in città dalla Youth & Music Israel. Ma non è stato solo l'orgoglio a far applaudire i presenti: il programma, che alcuni temevano per la complessità di alcuni brani e per la scelta di suonare insieme musiche non arrangiate, originali, difficili, ha messo in evidenza come al di là del valore simbolico sia del tutto legittimo dire che è nata una nuova orchestra, composta da bravissimi giovani musicisti, che hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco, e hanno vinto.
In questi giorni di lavoro intensissimo c'è stato anche tempo per conoscersi, per chiacchierare, per divertirsi, e sono nate amicizie e progetti per il futuro. Il gruppo organizzatore sta già lavorando per una prossima edizione, sognando di portare i ragazzi a suonare insieme a Gerusalemme, come tanti dei bravissimi giovani musicisti hanno chiesto.

(moked, 23 febbraio 2014)


Israele affitta i campi in Perù

LIMA - Il presidente Ollanta Humala ha invitato gli imprenditori israeliani a investire in Perù, mostrando le prospettive promettenti per gli investimenti e lo sviluppo commerciale delle nazioni andine offerte.
Fonte Andina News. La proposta è stata fatta in un business forum tenutosi a Gerusalemme, dove il capo dello Stato peruviano si è incontrato con i leader e i rappresentanti delle maggiori imprese di Israele per discutere le iniziative volte a promuovere il commercio investimenti tra i due paesi e di innescare la crescita economica. A questo proposito Humala ha dichiarato che l'apertura di un ufficio commerciale del governo nella nazione del Medio Oriente è in corso con l'obiettivo di favorire scambi commerciali dei due Paesi. Allo stesso modo, ha annunciato la creazione di un consiglio aziendale peruviano-israeliano che ha come compito primario di raggiungere un accordo di protezione degli investimenti. Durante il suo intervento, il capo dello Stato peruviano ha parlato della più importante infrastruttura di grandi opere in corso di esecuzione nel paese come il progetto Majes Siguas II. «Il progetto di irrigazione massiccia permetterà di aprire 38.500 ettari di terreni agricoli e di due centrali elettriche che sono previsti per fornire 500 MW la produzione di energia», ha detto Humala.

(AGCcommunication, 22 febbraio 2014)


Senato: martedì prossimo la presentazione del libro su Spadolini e Israele

ROMA, 22 feb 2014 - Sara' il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ad aprire l'incontro dedicato alla presentazione del libro di Valentino Baldacci ''Giovanni Spadolini: la questione ebraica e lo Stato d'Israele - Una lunga coerenza'', in programma martedi' 25 febbraio, alle ore 17, presso la Biblioteca del Senato che prende il nome proprio dall'ex Presidente di Palazzo Madama. Interverranno l'Autore, il senatore Luigi Compagna, Stefano Folli, il Presidente dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, il Presidente dell'ABI Antonio Patuelli, il Consigliere dell'Ambasciata di Israele Amit Zarouk. L'incontro sara' coordinato da Cosimo Ceccuti, Presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia.

(ASCA, 22 febbraio 2014)


L’amicizia turco-iraniana è strategica

  
TEHERAN - Iran e Turchia sono paesi importanti e influenti nella regione mediorientale e la loro cooperazione è molto importante per risolvere i problemi dei paesi musulmani.
Così si è espresso, Ali Larijani in un incontro con il Presidente dell'Assemblea Nazionale della Turchia, Cemil Cicek, riporta l'agenzia di stampa iraniana Irna. Lo sviluppo delle relazioni bilaterali tra Iran e Turchia, questioni regionali e internazionali sono state al centro della riunione che si è svolta nell'ambito della nona sessione della Unione interparlamentare dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica a Teheran, il 18 e il 19 febbraio, cui hanno partecipato le delegazioni di 47 paesi.
Turchia e Iran sono paesi amici, ha detto Larijani, «L'espansione della cooperazione e organizzazione di consultazioni tra Iran e Turchia su questioni regionali e questioni bilaterali è molto importante», ha poi aggiunto. Cicek a sua volta, ha aggiunto che lo sviluppo globale delle relazioni con l'Iran è una priorità della politica estera turca. Sottolineando che la regione ha una situazione molto complessa, Cicek ha sottolineato l'importanza di tenere consultazioni per trovare soluzioni ai problemi esistenti.

(AGCcommunication, 22 febbraio 2014)


Expo2015, Israele e il suo padiglione altamente tecnologico

Abbiamo più volte riportato articoli sul padiglione israeliano di Expo 2015 a Milano e forse qualcuno dirà che non è il caso di ripetersi. Crediamo invece che sia proprio il caso di ripetersi. I denigratori di Israele non si stancano di ripetere sempre le medesime calunnie, nella maggior parte dei casi false. Se c’è quindi qualcosa di buono e vero in quello che fa Israele non basta dirlo una volta sola: bisogna continuare a ripeterlo. (NsI)

di Michele Laganà

La data del 1 maggio 2015 è sempre più vicina, manca circa un'anno all'appuntamento più importante per l'Italia, l'Expo 2015. L'argomento proposto per questa edizione è Nutrire il pianeta, energia per la vita, e si presenta come un punto di discussione su come poter migliorare l'approccio che abbiamo con la terra, rispettandola e cercando di sviluppare ancora di più l'utilizzo delle risorse naturali.
Fra i padiglioni presenti durante l'evento milanese, ci sarà anche quello israeliano. La nazione leader nelle start-up si presenta sul mercato con un'offerta informativa ricca. Grazie al progetto architettonico di David Knafo i visitatori potranno viaggiare all'interno delle realtà tecnologiche israeliane ma non solo.
"Mostrare il vero carattere di Israele e non quello che di norma appare sui giornali", così ha commentato Elazar Cohen, Incaricato del Ministero degli Esteri israeliano per sovrintendere i lavori di Expo 2015, sintetizzando l'obiettivo del Padiglione dello Stato di Israele.
Fra le peculiarità di questa imponente struttura, parliamo di 2400 metri quadri in totale, troviamo il giardino verticale il quale riveste tutta una parete dell'imponente struttura. Una metà della struttura sarà completamente dedicata alla parte verde d'Israele.
Tra le tante idea innovative e tecnologicamente avanzate d'Israele, c'è la tecnica di irrigazione a goccia, fra le start-up israeliane riconosciute nel mondo c'è Netafim. Nato come un piccolo progetto ora è una pratica riconosciuta in tutto il mondo.
Israele è anche fra le realtà che hanno permesso a molte delle applicazioni che utilizziamo quotidianamente di diventare famose nel mondo, fra queste la più famosa è Waze. E' già online il video di presentazione del padiglione israeliano, vi consigliamo di guardarlo per capire l'importante lavoro e le tecnologie utilizzate.
L’abbiamo già presentato più di una volta, ma per chi non l’avesse ancora visto... Video


(Geekissimo, 21 febbraio 2014)


Da Israele, per suonare insieme

di Ada Treves

Fotogalleria
TORINO - "Questa è energia pura, ed è divertente" sono le prime parole di Bar Avni, la giovanissima direttrice d'orchestra israeliana che sta in queste ore dirigendo l'orchestra del progetto Music for peace and friendship a Torino. Una pausa minima, dieci minuti che permettono ai suoi musicisti di affollarsi intorno a un grande tavolo per una merenda, scambiare due parole, eppure molti di loro restano insieme nella sala dove stanno provando, e continuano a fare musica insieme, per il puro piacere di suonare. "Questa formazione non è neppure giovanissima, è neonata! I ragazzi non si conoscevano, non hanno mai suonato insieme, e ora, a quattro giorni dal loro primo incontro, sono un'orchestra, un'orchestra vera. Non sono due gruppi distinti, sono perfettamente integrati, sono bravissimi".
Una notevole differenza dai professionisti con cui è abituata a lavorare, musicisti della Israeli Chamber Orchestra, che "certo, sono professionisti, sono bravissimi, preparati, rispettosi, ma è un'alta cosa, è lavoro… questo è divertimento, questi ragazzi sono la cosa per cui vale la pena di impegnarsi, ti danno un'idea di futuro". È sinceramente ammirata, Bar Avni, sia per la qualità che per la serietà dei giovanissimi che dall'inizio della settimana passano le loro giornate immersi nella musica. "E si divertono, è evidente, e si sente da come suonano… non c'è modo migliore di fare musica". La rete Mirè, che raggruppa alcune decine di scuole medie a indirizzo musicale, insieme alla scuola ebraica e con il patrocinio del comune, ha lavorato incessantemente per portare in Italia 13 giovanissimi israeliani, e permettere loro di suonare insieme a una cinquantina di ragazzi, in media un poco più grandi, che li ospitano nelle loro case. Bar Avni, giovane ma già affermata direttrice, ha un evidente carisma e i ragazzi oltre a essere concentratissimi la riconoscono come una persona che li ascolta, che li capisce. Ospitati dalle famiglie italiane, i ragazzi sono entusiasti dell'esperienza, dell'ospitalità, dell'opportunità di scoprire cose nuove. "Ospito a casa mia un sassofonista, ha la mia età… stiamo bene insieme, suoniamo, chiacchieriamo, ho scoperto un fracco di cose sulla sua cultura", racconta con evidente entusiasmo uno dei violinisti. Una sua collega, violoncellista, è impressionata più dalla sensazione di essere cambiata, e con un poco di imbarazzo racconta di come si sente cresciuta, non solo come musicista.
La responsabile di Youth & Music Israel, Avital Rapoport, la sua collaboratrice Mai Dagan e Valeria Fantino e Alberto Delle Piane, preside e professore dell'istituto comprensivo di Trofarello compongono un gruppo organizzatore estremamente affiatato, capace a far fronte alle mille esigenze, senza però far mancare lo spazio per una passeggiata per la città, una cena tutti insieme o - così, quasi per caso - la programmazione del prossimo appuntamento, forse la primavera prossima.
Il concerto di sabato sera, al Sermig, è solo l'inizio, non la fine dell'avventura.

(moked, 21 febbraio 2014)


Tre serate con un "beduino, musulmano, diplomatico israeliano"

COMUNICATO EDIPI
 
La prossima settimana, dal 27 febbraio al 1o marzo, sono in programma 3 conferenze, organizzate da EDIPI con l'Associazione Italia-Israele all'insegna di un aspetto dello Stato di Israele che né la TV e né tantomeno i giornali italiani mettono in evidenza.
Se da un lato il piatto forte sarà il Convegno Regionale EDIPI-Veneto a Treviso del 1o marzo con il titolo "Scoppierà la pace a Gerusalemme, ma l'ONU non lo sa!" (www.edipi.net), il contorno con le tre serate assieme a Ishmael Khaldi sarà quanto mai stuzzicante.
Tre serate aperte al pubblico dal 27 febbraio al 1o marzo, per domande, dibattiti e contributi a Padova, Treviso e Udine con Ishmael che è il primo beduino, di origine musulmana, consigliere politico dell'Ambasciata di Israele a Londra.
Testimonierà della sua esperienza singolare che lo ha portato a scoprire una pace socio-economica in un contesto belligerante e di chiara ostilità contro lo Stato di Israele.
Di seguito l'abstract che Ishmael Khaldi ci ha mandato:
    UN BEDUINO, MUSULMANO, DIPLOMATICO ISRAELIANO
    La presentazione che avro' il privilegio e l'onore di fare per la prima volta in Italia di fronte a persone desiderose di conoscere Israele avra' come tema le minoranze non ebree nel moderno Stato Ebraico.
    Infatti, come dimostra in pieno il mio percorso personale, Israele non e' solo lo Stato ebraico per definizione, ma e' anche un immenso e straordinario melting-pot, dove culture diverse possono fiorire, convivere in pace e armonia e, insieme, costruire un futuro migliore. In particolare, parte del tempo sara' dedicata alla situazione generale in cui vivono i beduini presenti in Israele, soffermandomi sulla loro condizione sociale, la quale e' legata fortemente alla tradizione nonostante sia sempre piu' inserita in un contesto dinamico e moderno come il panorama israeliano. In veste di cittadino arabo musulmano e diplomatico israeliano, il mio augurio e' che la mia esperienza possa portare conoscenza e rispetto per la cultura beduina, sensibilizzare l'opinione pubblica su varie tematiche, anche problematiche, in cui vivono diversi arabi israeliani, ma, infine, dimostrare la pace ed il grande amore per Israele in cui, anche per gente come me, è evidente la sua grande e chiara espressione.
Locandina

(EDIPI, 21 febbraio 2014)


La "I" sul nostro caccia sta per Israele

di Franco Iacch

F-16I 'Sufa'
Dieci anni fa, l'aviazione israeliana ha introdotto la lettera "I" sul famoso F-16 Falcon, divenuto l'F-16I. Conosciuto anche come 'Sufa' (tempesta in ebraico), il velivolo è stato costruito negli Stati Uniti, ma pesantemente modificato secondo le specifiche esigenze dell'IDF con sistemi avanzati progettati e costruiti in Israele.
Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, secondo precise direttive dei servizi segreti.
Ma cosa c'è di così speciale nell' F-16 israeliano? In effetti, esistono migliaia di F-16 in quasi ogni forza aerea occidentale. L'F-16I 'Sufa' tuttavia, è molto diverso.
Intanto la 'I' sta per Israele. Il caccia è stato pesantemente modificato per adattarsi alle specifiche esigenze dell'Israel Air Force.
L'F-16I è equipaggiato con sistema di armi all'avanguardia, un radar appositamente costruito e una tecnologia implementata nel casco che consente al pilota di inquadrare il nemico con "il semplice sguardo".
    Queste le caratteristiche del 'Sufa'
  • Conformal Fuel Tanks (CFT) - Questi serbatoi sono realizzati dalle "Israel Aircraft Industries" e aumentano la capacità del carburante interno del velivolo del 50 %.
  • AGP-68(V)X Radar - Il radar ad apertura sintetica (SAR), permette il tracciamento di bersagli terrestri con qualsiasi condizione meteo. Il radar consente il targeting automatico anziché manuale, risparmiando così tempo prezioso.
  • Helmet Mounted Cueing System - Sul casco dei piloti e dei navigatori sono proiettate varie informazioni come altezza, velocità ed equipaggiamento. Il casco è collegato al sistema di mira e consente al pilota di inquadrare e lanciare un missile su un bersaglio nemico usando solo la vista.
  • Dorsal spine Avionics Compartment - Parte dei sistemi avanzati sono stati installati secondo le specifiche della IAF. L'F-16I è dotato di sistemi di guerra elettronica avanzati sviluppati in Israele.
  • Comunicazione satellitare - L'F-16I incorpora due nuovi dispositivi di comunicazione prodotti da Elta e Rafael, tra cui una radio UHF con nuovi metodi di codifica e capacità di relè a lunga distanza.
  • Serbatoi alari 600 galloni.
La pubblicazione dell'IDF, al di là delle note informazioni sul caccia, andrebbe letta in un'altra chiave. L'approfondimento infatti, è un inno patriottico (così come avviene ormai negli Usa, in Inghilterra, Francia, Germania, Svezia ed adesso anche in Russia, ma non in Italia) tipico di Israele. Chiamare un caccia con la prima lettera del proprio paese, lo eleva a difensore assoluto della nazione.

(teleradiosciacca, 21 febbraio 2014)


Israele Expo 2015, l'avanguardia tecnologica per l'agricoltura e l'irrigazione

di Diletta Funaro

 
 
Fervono i preparativi per l'EXPO 2015 di Milano e Israele ha già da tempo provveduto alla sottoscrizione degli accordi di partecipazione portando in fiera tutte le innovazioni in ambito tecnologico ai fini di migliorare le tecniche agricole e di irrigazione.
Come si legge dal blog ufficale dell'EXPO, la sfida dell'Esposizione Universale di Milano 2015 si apre con un quesito: è possibile assicurare a tutta l'umanità un'alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile?
L'obiettivo della partecipazione da parte di Israele è quello di condividere e mostrare le competenze israeliane per cercare di risolvere i più gravi problemi ambientali ed alimentari che affliggono l'intero pianeta. Giuseppe Sala, Amministratore Delegato di Expo 2015, ha spiegato:
    Le eccezionali competenze di Israele in materia d'innovazione, di microirrigazione e tecnologia per la coltivazione delle zone aride rappresentano senza dubbio un grande valore aggiunto per lo sviluppo del tema preposto.
Israele nel corso degli anni ha maturato un patrimonio di conoscenza ricchissimo che, come affermano molti esperti, se fosse diffuso in tutto il globo si risolverebbe il problema della denutrizione. Israele, proprio per le notevoli esperienze che possiede, tra le quali va menzionata "l'irrigazione goccia a goccia", si è guadagnata un posto d'onore. Avrà a disposizione 2.370 mq in uno spazio confinante con il Padiglione italiano.
Il progetto architettonico è affidato David Knafo e la sua peculiarità prevede una parete verticale lunga 70 m e alta 12 completamente rivestita da piante, che cambieranno i loro colori e i fiori con il susseguirsi delle stagioni.
La metà della struttura sarà completamente verde a testimonianza dei temi di fondo dell'Esposizione, che saranno: agricoltura, sostenibilità, alimentazione. Tra le caratteristiche, si annovera un percorso in una sala buia illuminata da "statue di luce" che rappresenteranno ognuna un elemento dell'agricoltura.
Il nome scelto per il padiglione è Fields of Tomorrow (Campi di domani), con il quale Israele si prefigge l'obiettivo di coinvolgere il visitatore in un'esperienza senza precedenti, raccontando ciò di cui gli israeliani sono da sempre più orgogliosi: 120 anni di ricerca agricola, scoperte, impianti idrici e lotta alla desertificazione.

(Mondo Eco, 21 febbraio 2014)


L'ultra-ortodossa che si occupa dei diritti delle donne. La prossima presidente d'Israele?

Adina Bar Shalom, famosa attivista per i diritti delle donne potrebbe diventare il prossimo presidente d'Israele.

di Anna Momigliano

Adina Bar Shalom
Adina Bar Shalom non ha frequentato l'università perché gliel'ha proibito il marito. Si era sposata giovanissima, avrebbe voluto studiare psicologia, ma lui le ha detto che non poteva, che l'università non era un posto per donne. Quando di anni ne aveva 14, Adina avrebbe voluto frequentare l'equivalente israeliano del liceo classico: per impedirglielo suo padre, il controverso rabbino ultra-ortodosso Ovadia Yosef, l'ha chiusa, letteralmente, in casa nel giorno del test d'ingresso, poi l'ha spedita a studiare cucito.
Oggi Adina Bar Shalom ha 68 anni, è una famosa attivista per i diritti delle donne e, stando alle indiscrezioni apparse sulla stampa israeliana, a breve potrebbe diventare il prossimo presidente d'Israele.
Il mandato dell'attuale presidente, Shimon Peres, scade a giugno. Peres, che ha quasi 91 anni ed è il più anziano capo di Stato del mondo, certamente si ritirerà a vita privata e a quel punto la Knesset, il parlamento israeliano, eleggerà un nuovo presidente. Adina Bar Shalom ha dichiarato di essere interessata a candidarsi per il partito fondato da suo padre, lo Shas: la notizia è stata prima diffusa dal quotidiano israeliano Maariv, per poi essere confermata dalla stessa Bar Shalom al quotidiano ebraico americano Jewish Daily Forward.
La sua candidatura deve essere ancora formalizzata. Inoltre il suo partito, lo Shas, non è attualmente al governo, e, con appena 11 seggi, è il secondo partito di opposizione dopo i laburisti. Eppure pensare a Bar Shalom come prossimo presidente di Israele non è poi così assurdo, se si tiene conto del momento di profonda tensione - tra destra e sinistra, laici e religiosi, nonché tra "ultra-ortodossi" e i cosiddetti "ortodossi moderni" - che sta attraversando il paese. Infatti, nonostante sia la figlia di un rabbino decisamente schierato a destra, Adina Bar Shalom è una delle poche figure pubbliche che godono di una discreta popolarità trasversale, che uniscono anziché dividere.
Sarebbe, inoltre, il primo presidente donna nella storia di Israele (il paese ha già avuto due primi ministri femmina, Golda Meir negli anni Settanta, e Tzipi Livni, che ha ricoperto il ruolo di premier ad interim nel 2006). Nonché il primo presidente ultra-ortodosso, o "haredì", nella storia del paese.
Avere un esponente del mondo ultra-ortodosso in una posizione chiave potrebbe tornare utile al governo di Benjamin Netanyahu, in questa delicatissima fase storica. Per anni i "haredì" hanno goduto di una sorta di statuto speciale all'interno della società israeliana: a lungo esentati dal servizio militare (che è obbligatorio per tutti gli altri ebrei israeliani, femmine incluse), sono anche poco presenti nella forza lavoro. Molti uomini infatti dedicano tutto il tempo allo studio dei testi sacri, mentre il compito di mantenere le famiglie, spesso numerosissime, tocca alle donne, che però raramente riescono a racimolare da sole il necessario: il risultato è che molte famiglie religiose vivono sotto la soglia della povertà e per tirare a campare devono ricorrere agli aiuti governativi.
Adesso il governo sta tentando di includere maggiormente gli ultra-ortodossi nella vita politica, economica e sociale del resto del paese. È stata recentemente passata una riforma che rende obbligatorio il servizio di leva anche per i maschi haredì: si tratta di una transizione estremamente delicata, che ha fatto infuriare alcuni rabbini, anche se a dire il vero altri la sostengono.
Contemporaneamente, si sta cercando di includere maggiormente gli ultra-ortodossi - uomini e donne - nel mondo del lavoro: questo è esattamente il campo di Adina Bar Shalom, che nel 2001 ha fondato la prima università "haredì" del paese. Pur andando fiera dei suoi valori e delle sue tradizioni ultra-ortodossi, infatti, Adina non ha mai fatto mistero di ritenere preoccupante un sistema in cui un vasto numero di famiglie deve ricorrere agli aiuti di Stato per nutrire i propri figli.
Anche sulla questione palestinese, Bar Shalom ha dimostrato un punto di vista coraggioso e inusuale: nonostante suo padre, Ovadia Yossef, fosse famoso per le sue frasi molto dure contro gli arabi, lei ha insistito per visitare personalmente la Cisgiordania: è stata ricevuta da Abu Mazen in persona.
Senza mai rinnegare né criticare apertamente l'ultra-ortodossia, da anni Adina si rivolge alle giovani coppie spiegando loro che bisogna trovare il modo di coniugare la tradizione e le esigenze spirituali con l'indipendenza economica, che anche l'istruzione "laica" e "moderna" è una cosa importante. Che il mondo ultra-ortodosso va riformato, dal suo interno, interagendo col mondo laico ma senza per forza imitarlo.
A ben vedere, il punto di forza di Adina Bar Shalom sta proprio in questo, nell'essersi battuta per i diritti delle donne, per l'istruzione dei giovani senza mai avere ripudiato le sue origini. Nell'avere dimostrato, in piccolo, con la sua università, che ebrei laici e ultra-ortodossi possono lavorare insieme, con tutte le loro università. Forse è proprio di questo che Israele ha bisogno.

(Panorama, 21 febbraio 2014)


Movida a Ramallah

Locali alla moda. Gastro-bar in stile occidentale. Serate di salsa. Anche nei Territori palestinesi c'è vita notturna. Ma soltanto per un'élite.

di Michele Monni

  
Vita notturna a Ramallah
Auto di grossa cilindrata parcheggiate. Vestiti alla moda. Guardie di sicurezza all'ingresso. E una lingua che è un misto di americano e arabo. Non ci si mette molto a capire che gli avventori non sono palestinesi comuni. E Arjouan, uno dei locali più in voga di quella che viene definita "la bolla" dei Territori occupati pa lestinesi: Ramallah.
   Per chi legasse ancora la Cisgiordania solo a militanza politica e occupazione israeliana (non che non si senta), è tempo di ricredersi. Da metà anni Duemila la città palestinese ha visto, oltre a un'incontrollabile speculazione edilizia e a un'ondata di lavoratori impiegati dall'Autorità palestinese (Anp) provenienti da altre località -come Nablus e Hebron - un aumento esponenziale di caffè, hotel e locali in stile occidentale. Complice la presenza di moltissimi stranieri - uffici delle agenzie umanitarie, ong e rappresentanze politiche da tutto il mondo - Ramallah non ha molto da invidiare alla vita notturna di altre città, dalla vivacissima Tel Aviv a Gerusalemme che, a causa delle componenti conservatrici ebraiche e islamiche la vede anzi sempre più mortificata.
   Cristiana dalla fondazione, Ramallah è stata inglobata dalla (musulmana) vicina Al-Birch. La presenza cristiana (ortodossa e cattolica) è invece confinata nella downtown (tachta in arabo), dove la densità di negozi di liquori è alta persino per gli standard europei. La serata principale è il giovedì, prima del venerdì di preghiera e giorno di riposo, oltre alla domenica, anche per i lavoratori cristiani. E se Arjouan è punto di ritrovo dei rampolli della élite cristiana di Ramallah, il vicino Beit Anisa (la casa di Anisa) è uno dei bar più frequentati della città, con deejay e musica dal vivo.
   Al Fuego, inoltre, gastro-bar con due pittoresche terrazze in stile sudamericano, è possibile gustare burritos ed enchiladas e sorseggiare ottimi margaritas. Mentre al Martini il Centro ispano-palestinese organizza serate di salsa e merengue. La lista continua con Baramil (Il Barile), cocktail bar a poca distanza da al-Manara. Laween, nello stesso edificio dell'unico cinema di Ramallah, e Almond, situato nell'esclusivo quartiere al-Masyoun. Per chi apprezza invece atmosfere più rilassate, non ha che da scegliere tra le dozzine di caffè come Zaman e Jasmine, dove i musulmani abbienti più osservanti trascorrono le serate tra cappuccini, caffè freddi e narghilè. Per chi non può fare a meno dell'espresso (che costa due euro circa) basta recarsi al nuovo caffè "iralian style" aperto da Segafredo in zona alMasyoun.
   Questi posti hanno in comune due cose: i prezzi e l'inaccessibilità per la maggior parte dei giovani palestinesi. Lo stipendio medio, infatti, si aggira tra i 1500-2mila shekels (300/400 euro). Per chi un lavoro ce l'ha: la disoccupazione ha toccato il 40 per cento nei Territori palestinesi. I prezzi sono simili a quelli europei,e spesso li superano: cocktail tra i sette e gli orto curo, birra tra i quattro e i cinque e quando si arriva ai superalcolici, come whisky e rum, c'è chi rimpiange il Vecchio Continente. Accedere a questi luoghi non è solo questione di denaro, ma l'affermazione di uno stato sociale. E infatti le scene di gruppi di "shehab" (ragazzi) rifiutati con maniere brusche all'ingresso dei locali sono ormai all'ordine del giorno.

(l'Espresso, 21 febbraio 2014)


Io ho udito gli insulti di Moab
e gli oltraggi dei figli di Ammon,
che hanno insultato il mio popolo
e si sono ingranditi invadendo i suoi confini.
Perciò, com'è vero ch'io vivo,
dice l'Eterno degli eserciti, Dio d'Israele,
Moab sarà come Sodoma,
e i figli di Ammon come Gomorra,
una selva d'ortiche, una salina,
una desolazione in perpetuo.
Il resto del mio popolo li saccheggerà,
e il residuo della mia nazione li possederà.
Questo avverrà per il loro orgoglio,
perché hanno insultato e trattato con insolenza
il popolo dell'Eterno degli eserciti.
L'Eterno sarà terribile contro di loro;
perché annienterà tutti gli dèi della terra;
e tutte le isole delle nazioni lo adoreranno,
ciascuno dal luogo ove si trova.

                   Dal libro del profeta Sofonia, cap.2







 

Svastiche a Leno e a Manerbio, denunciati tre giovanissimi

Blitz della Digos di Brescia nelle loro abitazioni di Ghedi e Leno: svastiche e bandiere, libri e volantini, manganelli e tirapugni. Tre ragazzi giovanissimi (tra i 20 e i 30 anni) che sarebbero gli autori delle scritte nazi dello scorso gennaio.

Sono stati identificati e denunciati i tre 'criptonazisti' autori di quegli striscioni antisemiti e antistorici apparsi proprio in occasione della Giornata della Memoria in territorio di Leno: prima a scuola, all'istituto Capirola (con "L'Olocausto con esiste"), poi sulla Provinciale, appeso ad un cavalcavia: "La Shoah è una truffa". Il tutto corredato di svastiche, e a cui aveva fatto seguito pochi giorni più tardi anche una rivendicazione, da parte del gruppo degli Autonomi della Bassa Bresciana. Gli stessi, probabilmente, che qualche giorno più tardi si erano fatti vivi a Manerbio, e qualche mese dopo pure a Brescia.
Sono stati 'intercettati' e colti in flagranza di reato, seppur di ritardo, nelle loro abitazioni di Ghedi e Leno: tre ragazzi, tutti giovanissimi (il più 'vecchio' ha meno di 30 anni) ma che non sarebbero in alcun modo legati ad organizzazioni di estrema destra più conosciute e radicate.
Avrebbero agito da soli, ricreando questa piccola e fantomatica cellula autodefinitasi 'Autonomi'. In casa gli uomini della Digos di Brescia hanno trovato di tutto: manganelli e tirapugni, volantini e libri di propaganda nazista, bandiere con svastiche e croci celtiche.
Oltre che, in bella vista, i ritagli degli articoli di giornali che qualche mese fa parlavano di loro.

(BresciaToday, 21 febbraio 2014)


Banche e fondi pensione, ecco come l'Europa sta isolando Israele

Netanyahu: "Una volta si boicottavano i negozi ebraici, ora lo stato ebraico". I casi Deutsche Bank, Danske, Nordea e Pggm.

di Giulio Meotti

ROMA - Una settimana fa il ministro israeliano dell'Economia, Naftali Bennett, aveva abbandonato l'Aula della Knesset dopo l'attacco portato allo stato ebraico dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Un compagno di partito di Bennett, il ministro Uri Orbach, ha detto di trovare insopportabile "sentire menzogne alla Knesset, e per giunta in lingua tedesca".
Si alza rapidamente la posta in gioco del boicottaggio economico a Israele, dopo che Deutsche Bank, la più grande banca tedesca, ha incluso la Poalim Bank israeliana in una lista di compagnie riguardo le quali gli investimenti sollevano "questioni etiche". Deutsche Bank non è un caso isolato. Numerose banche d'affari europee e istituti finanziari stanno voltando le spalle agli israeliani, lanciando una moratoria dei loro istituti di credito. Anche la più grande banca danese, la Danske Bank, ha posto la Hapoalim nella sua black list. Poi è arrivata la banca svedese Nordea, che ha messo sotto scrutinio le israeliane Leumi e Mizrahi-Tehafot per la loro presenza nei Territori.
Il più grande fondo pensione olandese, Pggm, ha ritirato gli investimenti da cinque istituti finanziari dello stato ebraico. Pggm ha venduto titoli di Bank Hapoalim, Bank Leumi, Bank Mizrahi-Tefahot, First International Bank of Israel e Israel Discount Bank perché hanno filiali in Cisgiordania (Giudea e Samaria per Israele) e perché coinvolte nel finanziamento della costruzione degli insediamenti. Pggm ha 150 miliardi di euro in portafoglio. Dall'Inghilterra l'agenzia UK Trade and Investment ha "scoraggiato" le compagnie inglesi dal fare affari con aziende israeliane coinvolte in insediamenti.
Era il 1991 quando una controllata della Thames Water Plc., la società britannica che fornisce servizi idrici e fognari per la maggior parte di Londra, rifiutò di avere rapporti commerciali con Israele, per non perdere i "numerosi e preziosi clienti arabi". Fu il primo colpo della guerra economica a Israele. Anche Abp, il terzo fondo pensione più importante al mondo, medita di ritirarsi dal mercato israeliano. Il Financial Times parla poi dell'"esodo dei fondi pensione norvegesi da Israele". Il Government Pension Fund Global, che vale ottanta miliardi di dollari, ha ritirato gli investimenti da due importanti compagnie ebraiche: Africa Israel Investments e Danya Cebus. Nelle scorse settimane la Vitens, azienda olandese leader dell'erogazione dell'acqua, ha tagliato con l'omologa israeliana Mekorot. "E' strano che questa compagnia olandese boicotti Israele per un progetto della Banca mondiale e che include giordani e palestinesi", ha detto Yigal Palmor dal ministero degli Esteri di Gerusalemme.
Ventidue ong, tra cui Christian Aid, Ireland's Trócaire, la Chiesa metodista in Gran Bretagna, la Chiesa di Svezia, Terre Solidaire de France e l'Internazionale Medica tedesca, hanno invitato l'Unione europea a vietare i "prodotti realizzati dai coloni israeliani nei territori occupati". In Norvegia, due fra i principali importatori di verdure, Bama e Coop, hanno sottoscritto un accordo con i propri fornitori in Israele in cui precisano che non riforniranno più frutta e verdura prodotte negli insediamenti. La Unilever, che produce prodotti casalinghi come lo shampoo Sunsilk e la vaselina, ha venduto la sua quota del 51 per cento nelle fabbriche degli insediamenti.
Commentando le notizie delle banche europee, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto: "La cosa più riprovevole è di vedere persone sul suolo dell'Europa parlare del boicottaggio di ebrei. In passato gli antisemiti boicottavano esercizi di proprietà ebraica, adesso invocano il boicottaggio dello stato ebraico, e del solo stato ebraico".

(Il Foglio, 21 febbraio 2014)


Approvata la leva degli ortodossi

Il ministro delle Finanze israeliano: «Curata una ferita al cuore del Paese».

Un nuovo passo in avanti è stato compiuto per la riforma della leva in Israele: la commissione parlamentare ha approvato le linee guida di revisione che impongono l'arruolamento nelle forze armate anche agli ortodossi.
PROPOSTA ATTESA IN AULA - Nonostante la proposta sia attesa al vaglio del dibattito in Aula, il ministro delle Finanze Yair Lapid, tra i più convinti sostenitori del progetto, ha definito l'approvazione «una cura a una ferita al cuore della società israeliana». Il ministro ha poi respinto le critiche alla legge apparse il 20 febbraio sulla stampa, secondo cui per vedere gli effetti del provvedimento si dovranno attendere ancora tre o quattro anni.
PROTESTE CONTRO LA LEGGE - Ogni giovane dovrebbe cominciare a ricevere l'avviso di leva «a partire da aprile», ha dichiarato Lapid. Sul piede di guerra invece i gruppi degli ortodossi che hanno minacciato di scendere in piazza contro la legge: sostengono di obbedire già allo Stato servendo Dio con la preghiera e lo studio.

(Lettera 43, 20 febbraio 2014)


Il caso Marwan, quando le immagini tradiscono la verità

di Maria Elena Zanini

Spesso è sufficiente un avverbio per trasformare la realtà e creare una notizia. Aggiungerlo o toglierlo al punto giusto. E così è successo per la foto del bimbo siriano pubblicata nei giorni scorsi su molti giornali cartacei e online. L'immagine originale proveniva da un tweet di Andrew Harper, rappresentante dell'UNHCR per la Giordania (che si trovava lì per controllare il passaggio dei profughi siriani) ed era a disposizione di tutti, giornalisti compresi. Controllare la fonte avrebbe voluto dire verificare anche la didascalia della foto in questione che riportava "ecco un'immagine di Marwan, 4 anni, temporaneamente separato dalla sua famiglia, che viene assistito dallo staff dell'UNHCR per passare in Giordania".

 
Nemmeno il successivo tentativo di chiarimento di Harper è servito a contestualizzare adeguatamente la foto (che rimane comunque testimonianza di un dramma). È bastato omettere un "temporary", per rendere orfano quel bambino su molti mezzi di comunicazione. Tra il 17 e il 18 febbraio, Harper ha diffuso altre foto che mostravano come Marwan non fosse affatto da solo, nel passare il confine, ma era rimasto solo un po' indietro rispetto alla sua famiglia.

La distinzione tra reale e virtuale diventa importante da definire, specialmente quando la rappresentazione della realtà si forma sulla base di immagini o video che possono influenzare l'opinione pubblica, in positivo o in negativo, attribuendo al virtuale il significato del reale. Come per Marwan, molte le immagini, soprattutto di bambini, sono state strumentalizzate e vincolate a significati che non appartengono loro: più le immagini sono forti più scatenano reazioni e accendono guerre non solo mediatiche.

Il 30 settembre 2000 a Neztarim nella striscia di Gaza, ci sono scontri tra l'esercito israeliano e i dimostranti palestinesi. C'è una forte tensione dato che due giorni prima Ariel Sharon, allora capo dell'opposizione nel Parlamento israeliano aveva provocatoriamente fatto una "passeggiata" alla Spianata
 
delle Moschee scatenando, di fatto, la Seconda Intifada. In questo contesto un cameraman della Tv francese France 2, filma la scena di un bambino palestinese di dodici anni ucciso da colpi di arma da fuoco, nonostante i tentativi del padre di proteggerlo col proprio corpo. Sessantaquattro secondi che fanno immediatamente il giro del mondo, scatenano l'indignazione generale e diventano il simbolo di quella battaglia. I palestinesi ne fanno il simbolo della propaganda anti israeliana e si sentono "giustificati"a catturare e fare a pezzi due riservisti della Israel Defense Force, sconfinati per sbaglio a Ramallah il 12 ottobre 2000. Dei dubbi sul filmato vennero sollevati immediatamente, il video venne giudicato confuso: niente sangue, il bambino si muove e non si capisce da dove partano gli spari. Dopo le scuse iniziali, il governo israeliano ha aperto un'inchiesta ufficiale e attualmente rimangono sei i processi in corso per stabilire la verità. Charles Enderlin, giornalista autore del servizio ha scritto anche un libro sulla vicenda.

La foto a lato venne diffusa nel febbraio del 2012 da un utente Facebook, Wesley Muhammad e diventa virale in poco tempo, prima che vengano fatte le dovute verifiche. Le didascalie parlano di un soldato israeliano che calpesta una bambina palestinese. I primi dubbi emergono proprio dagli utenti Facebook che cominciano a passare in esame l'armamentario in dotazione al soldato, dal fucile agli scarponi. Anche il giornale israeliano Haarez, voce critica del proprio governo, si dice scettico: l'uniforme non è quella dell'esercito israeliano, meno che mai la bandiera che il soldato ha sul petto, che sembra fatta a mano. E soprattutto il fucile, un AK-47s non è quello che usano i militari di Tel Aviv. Omar Dakhane, blogger arabo, scrive: "Questa foto è stata scattata in Bahrain nel 2009, durante uno spettacolo teatrale di strada" e mostra sul suo blog la foto senza zoom. Nel frattempo ormai l'immagine aveva fatto il giro del mondo.

Un bambino salta sopra decine di cadaveri avvolti in sacchi banchi. La foto riportata qui sopra è quella pubblicata dalla BBC il 27 maggio del 2012. Nella didascalia si legge: "Si ritiene che questa immagine
 
mostri i corpi dei bambini di Houla in attesa della sepoltura". Il 26 maggio nella cittadina di Houla in Siria, l'esercito aveva sferrato un attacco uccidendo circa un centinaio di persone, di cui la maggior parte civili. La foto, secondo la BBC, è la testimonianza dell'orrore (innegabile) della strage. Ma poco dopo la pubblicazione il fotografo italiano Marco Di Lauro ha pubblicato sulla sua pagina Facebook la stessa foto: "qualcuno sta usando illegalmente una delle mie immagini per la propaganda antisiriana sulla homepage della BBC". L'immagine era stata scattata dallo stesso Di Lauro il 27 marzo 2003 in Iraq a Al Musayyib, 40 km a sud di Baghdad. I corpi, ritrovati in una fossa comune fuori dalla città, sono probabilmente di ribelli sciiti uccisi durante una repressione del regime di Saddam Hussein dopo la Guerra del Golfo nel 1991.

(Corriere della Sera - I blog, 21 febbraio 2014)


L'esercito israeliano arruola 'Rain Man'

In 'Unità 9900' giovani autistici con grandi capacità

di Massimo Lomonaco

'Rain man' fa il militare: l'esercito israeliano ha deciso di continuare nell'arruolamento di giovani autistici in modo da avvalersi della straordinaria capacità visiva di alcuni di loro nell'individuare il più impercettibile cambiamento nelle immagini. La destinazione per queste giovani reclute è la prestigiosa 'Unità 9900', corpo di elite (e superspecializzato) dell'intelligence militare. Il suo compito, in base ai dati e alle immagini trasmesse dai satelliti israeliani in orbita attorno alla terra, è quello di fornire informazioni dettagliate e sensibili ai comandanti sul campo in modo da prendere le decisioni più appropriate. Il programma - nell'ambito appunto di un piano di inserimento nella società dei giovani autistici - è stato messo a punto dal Centro accademico Ono (Tel Aviv) con il coinvolgimento dell'esercito e dopo aver ottenuto il parere positivo del capo del Mossad Tamir Pardo. Sono già quattro anni che Tzahal (l'esercito) va avanti sulla strada di arruolare giovani autistici: il primo di loro è stato Zohar Peer, 21 anni, che nel 2010 fu il primo ad indossare la divisa, con grande gioia sua e della famiglia, ricordarono allora i media. Ma risale allo scorso novembre - racconta un'inchiesta della tv Canale 10 - la scelta di impiegare alcuni di questi giovani nell'Unità 9900: questo grazie alla loro ineguagliabile capacità di analisti delle immagini, nonostante siano "in un punto elevato nello spettro della scala dell'autismo". I risultati - ha assicurato la tv - non sono tardati ad arrivare, dando così ragione ad una delle massime dello stratega e storico militare inglese sir Basil Liddel Hartel, secondo cui "la più profonda verità sulla guerra è che l'esito delle battaglie è deciso dalle menti degli opposti comandanti e non dai corpi dei rispettivi soldati".
Il lavoro dei giovani 'Rain man' in divisa (titolo di un celebre film con Dustin Hoffman autistico dalla prodigiosa memoria matematica) consiste nello scandagliare immagini satellitari di strutture, zone, obiettivi, passate su un computer: il più delle volte le stesse ma con angolazioni e momenti diversi. E loro hanno mostrato di essere in grado di cogliere il più piccolo cambiamento che sarebbe sfuggito invece ad altri commilitoni. "In questo modo - ha affermato il loro comandante - salvano vite umane", visto che così le forze combattenti hanno in mano informazioni molto più precise e decisive.
Nel corso dell'addestramento - della durata di alcuni mesi - alle giovani reclute viene insegnato come spostarsi in maniera indipendente tra la base e la casa in modo da farli sentire il più possibile autonomi e acquistare una maggiore fiducia nelle proprie possibilità. Un progetto che - a detta di Canale 2 - sembra accontentare molti: le reclute, che non si sentono più emarginate; le loro famiglie, che lottano contro la discriminazione sociale; l'esercito, che così ha acquistato elementi decisivi e i responsabili del centro accademico Ono, che vedono realizzate sul terreno quelle che prima erano solo teorie ed ipotesi.

(ANSAmed, 20 febbraio 2014)


Due israeliani arrestati per vendita armamenti a Teheran

TEL AVIV, 20 feb. - Due israeliani sono stati arrestati con l'accusa di aver venduto parti di aerei militari all'Iran. Lo ha riferito la televisione israeliana Channel 2. Sia la polizia che il ministero della difesa israeliano hanno aperto un'inchiesta sui due uomini, Avihai Weinstein ed Eli Cohen.
La notizia dell'arresto giunge pochi giorni dopo che il quotidiano greco Ekathimerini aveva riferito di due mercanti d'armi israeliani che avevano cercato di vendere a Teheran parti di ricambio di aerei militari Phantom-4. Un'indagine greco americana, scriveva il giornale, aveva scoperto che il carico era stato inviato da Tel Aviv ad Atene. Ma all'indirizzo indicato vi era una società fantasma e la vera destinazione dei pezzi di ricambio era Teheran.
A quanto riferisce Channel 2, Cohen è stato arrestato varie volte negli ultimi 12 anni, ma ogni volta le autorità israeliane non sono state in grado di provare la vendita di armamenti a Teheran. Israele è uno dei più decisi sostenitori di uno stretto regime di sanzioni contro l'Iran.

(Adnkronos, 20 febbraio 2014)


Europei cadetti e giovani di scherma: quarantotto azzurri in pedana in Israele

  
GERUSALEMME - Inizierà domenica 23 febbraio la corsa al titolo continentale per gli atleti under17 e under20. Sono in programma infatti a Gerusalemme i Campionati Europei Cadetti e Giovani, che si concluderanno il prossimo 4 marzo.
Sulle pedane israeliane, ci saranno anche 48 atleti azzurri che saranno chiamati a rappresentare l'Italia in tutte le gare in programma. Si inizierà coi titoli riservati ai Cadetti, per i quali concorreranno i fiorettisti Guillaume Bianchi, Sebastiano Bicego, Riccardo Di Tommaso, Andrea Funaro, le fiorettiste Elisabetta Bianchin, Claudia Borella, Eleonora Dini, Elena Tangherlini; per la spada in pedana ci saranno Cosimo Martini, Lorenzo Salemi, Davide Timo, Federico Vismara, lessandra Bozza, Beatrice Cagnin, Eleonora De Marchi e Federica Isola, mentre la sciabola italiana sarà rappresentata da Gherardo Caranti, Dario Cavaliere, Leonardo Dreossi, Federico Riccardi, Michela Battiston, Chiara Pascazio, Sara Del Prete ed Eloisa Passaro.
Da venerdi 28 marzo, le pedane accoglieranno le prove riservate ai Giovani. Le speranze azzurre saranno quindi tutte riversate su Tommaso Ciuti, Lorenzo Francella, Francesco Ingargiola, Damiano Rosatelli, Matilde Biagiotti, Erica Cipressa, Camilla Mancini e Francesca Palumbo per quanto riguarda il fioretto, mentre le gare di spada vedranno impegnati Lorenzo Buzzi, Gabriele Cimini, Davide Amodio Maisto, Tomaso Melocchi e Alice Clerici, Roberta Marzani, Giorgia Pometti ed Alberta Santuccio. Nella sciabola, invece, le lame azzurre saranno Leonardo Affede, Francesco Bonsanto, Luca Curatoli, Francesco D'Armiento, Sofia Ciaraglia, Martina Criscio, Camilla Fondi e Flaminia Prearo.
Le delegazione al seguito degli azzurri sarà guidata, oltre che dal presidente federale, Giorgio Scarso, anche dai capidelegazione Elisa Uga, che seguirà gli atleti Cadetti, e Luigi Campofreda che avrà invece la responsabilità degli under20.
Lo staff tecnico, invece, sarà composto dai maestri Guido Marzari e Francesco Leonardi, per la spada, dall'olimpionica Francesca Bortolozzi e Guido Di Bartolomeo per quanto concerne il fioretto, mentre gli atleti di sciabola saranno seguiti a fondo pedana da Fabio Di Lauro e dal plurititolato Gigi Tarantino.
I tecnici delle armi saranno Giulio Ceci e Damiano Valerio, mentre lo staff medico sarà composto dal dottor David Luzon e dai fisioterapisti Giuseppe Di Segni e Marco Sciunnacche.

(Italpress, 20 febbraio 2014)


Legge ebraica e informazione - Potenzialità e insidie dei social network

di Ada Treves

È stata la lezione di rav Benedetto Carucci Viterbi ad aprire la seconda giornata del seminario "Legge ebraica e problemi dell'informazione", organizzato dalla redazione del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche e del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it in collaborazione con il Collegio Rabbinico Italiano. L'argomento, "Potenzialità, insidie e distorsioni dei social network. Le nuove generazioni e l'informazione elettronica", è stato scelto dal rav insieme a Guido Vitale, direttore di Pagine Ebraiche e coordinatore dei dipartimenti informazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha annunciato come in redazione si stia ragionando in questi giorni su come approfondire e presentare ai lettori il tema della "demenza digitale". Secondo numerosi studiosi l'uso massiccio delle tecnologie di consumo sta trasformando il modo in cui usiamo il nostro cervello in maniera radicale, e alcuni autori hanno lanciando l'allarme: usare continuamente computer o smartphone ostacola lo sviluppo o il mantenimento di capacità come la memoria, l'autocontrollo, la concentrazione, la socialità, che possono rafforzarsi solo interagendo con il mondo reale. Molti studi dimostrano che l'introduzione a scuola di computer, tablet o lavagne elettroniche non porta a un miglioramento nelle competenze degli studenti. L'idea di utilizzare i media digitali anche per l'educazione e l'intrattenimento di bambini in età prescolare può modificare il loro sviluppo cerebrale, che passa attraverso la manualità, i giochi collettivi, l'attività fisica, il canto e il disegno.
Rav Carucci, che ha utilizzato un tablet per la lezione ed è un utente competente e appassionato delle nuove tecnologie (nella scuola che presiede gli allievi hanno i tablet come strumento di studio), ha elencato i problemi posti dall'uso di internet e dei social network mostrando la grande modernità dell'ebraismo. Le motivazioni delle resistenze o del divieto di utilizzare internet sono molte, e il rav le ha passate in rassegna motivando e illuminando ogni passaggio. Dallo spiegare perché in un pronunciamento formale sia vietato l'uso di facebook in quanto "luogo immodesto", a sottolineare come oltre alla preoccupazione per la distrazione e lo spreco di tempo sia però anche effettivamente possibile che l'essere costantemente connessi abbia permesso di sviluppare intelligenze diverse, ogni ragionamento ha portato i presenti a ragionare sulle alterazioni dello stato mentale causati dall'uso costante delle tecnologie digitali.
È importante mantenere lucidità e chiedersi perché sia necessario essere sempre aggiornati, riuscire a cercare la tranquillità resistendo alla fretta, alla tentazione di reagire immediatamente e rispondere subito come succede normalmente nei social network, dove le modalità di utilizzo del linguaggio sono molto più vicine all'oralità che alle modalità della parola scritta.
Rav Carucci, rivolgendosi specialmente ai suoi allievi, presenti nell'aula magna della scuola ebraica dove si è tenuta la lezione, ha suggerito come una risposta possa essere il darsi delle regole e seguirle con coerenza e onestà, per essere sicuri di gestire quegli strumenti che hanno potenzialità positive immense, e non rischiare di esserne gestiti.

(moked, 20 febbraio 2014)


Brescia - Scritte antisemite a scuola e non solo: perquisizioni della Digos

Blitz all'alba della questura

Avevano esposto striscioni con scritte antisemite proprio il 27 gennaio scorso, uno schiaffo alla giornata mondiale della memoria, dedicata al genocidio ebraico. Ma adesso dovranno pagare il conto. Sono scattate all'alba le perquisizioni degli agenti della Digos, che a questa vicenda insieme agli inquirenti hanno dedicato la massima attenzione, nella Bassa bresciana — coordinati dalla procura di Brescia — in tre appartamenti di altrettanti ragazzi, che sarebbero riconducibili agli ambienti di estrema destra bresciana. Sequestrati computer, documenti, bandiere naziste, manganelli. Tre gli episodi registrati nella Bassa, rivendicati dal movimento Autonomia Bassa Bresciana.
LENO - Uno striscione nazista era stato affisso fuori dalla scuola. «L'Olocausto non esiste», riportava a caratteri cubitali sulle pareti dell'istituto Capirola, accanto a una svastica.
MANERBIO - Su una delle finestre al piano terra del Comune, la scritta «Sei milioni di bugie» era stata riprodotta su un lenzuolo.
GHEDI - Un cartellone con la scritta «La Shoah è una truffa» era stato appeso anche su un cavalcavia che attraversa la statale lenese 668, quasi all'altezza di Ghedi.

(Corriere della Sera, 20 febbraio 2014)


La guerra di Israele al deserto

Tecniche di irrigazione e bonifica dal paese di Davide

di Robert Hassan

Video
Far conoscere lo sviluppo della tecnologia agricola e l'utilizzo di soluzioni innovative per l'irrigazione e la gestione delle risorse idriche e per la coltivazione nelle zone poco fertili e in serra intensiva. È l'obiettivo della partecipazione israeliana a Expo 2015, in cui le aziende vogliono dare prova della propria esperienza in un Paese dove la maggior parte del territorio è arido. Attraverso opere di bonifica dei terreni e programmi di irrigazione che hanno reso produttivi territori prima inutilizzabili, Israele ha ottenuto infatti importanti successi nella lotta alla desertificazione, nel nord del Paese, fino alle zone aride del Sud. Questi progetti, oltre a quello per lo sviluppo di nuove varietà di semi e dell'agricoltura biologica, verranno presentati a Expo 2015 in quattro aree che permetteranno così ai visitatori di passare da una sala improntata sul tema dell'high tech a un filmato che li proietterà in una foresta piantata dal Kkl, l'associazione che si occupa del rimboschimento nel Paese. In un'altra sala buia, illuminata solo da statue di luci, sarà ancora l'agricoltura ad essere protagonista, mentre nella quarta e ultima sala il tema sarà quello culinario e permetterà di conoscere una cucina che riflette le mille immigrazioni ebraiche che compongono Israele. Ampio spazio, infine, sarà dedicato al turismo attraverso esibizioni e incontri. Sarà un grande investimento, visto che il governo israeliano ha varato fondi pari a 11 milioni di euro per l'evento. Il padiglione di Israele all'Expo 2015 sarà delimitato da una lunga parete di verde rappresentativa della produzione agricola del Paese mediorientale. Il progetto dell'architetto David Knafo, realizzato secondo le regole dell'architettura verde con il 100% dei materiali riciclati, si estenderà su un'area confinante con il Padiglione Italia di 2.370 metri quadrati. A presentare il Padiglione israeliano è stato il commissario d'Israele e responsabile del progetto, Elazar Cohen. «La vicinanza dei padiglioni israeliani e italiani è un'ottima occasione per sviluppare relazioni bilaterali che sono già intense. Vorremmo anche organizzare eventi culturali, per esempio promuovendo dei corsi di formazione per il grande pubblico sulla tradizione israeliana e sulla cucina ebraica», afferma Elazar Cohen. Un settore su cui Israele punta a sviluppare le relazioni con l'Italia dunque è quello della tecnologia in ambito agricolo: in Israele ci sono poche risorse naturali e la piovosità annuale è significativamente inferiore alla media europea. Questi aspetti hanno portato a sviluppare metodi e tecnologie efficaci. Il segreto del successo dell'agricoltura israeliana sta anche nella stretta cooperazione tra coltivatori e ricercatori nell'applicare metodi sofisticati in tutti i settori dell'agricoltura, come ad esempio l'attrezzatura agromeccanica di avanguardia. Da quando Israele ha raggiunto l'indipendenza (1948) la superficie totale coltivata è infatti cresciuta sempre di più, soprattutto negli ultimi anni.

(ItaliaOggi, 20 febbraio 2014)


Minorenni palestinesi arrestati: i dati che i mass-media non riportano

Intanto un ex-detenuto racconta alla tv dell'Autorità Palestinese la "terribile" giornata-tipo nel carcere israeliano

In un'intervista esclusiva, il procuratore capo delle Forze di Difesa israeliane in Cisgiordania, Maurice Hirsch, ha fornito al Jerusalem Post statistiche ufficiali che smentiscono la generica accusa di massicce violazioni dei diritti dei minorenni palestinesi da parte dei militari israeliani.
Uno dei dati più notevoli che emerge dalle statistiche di Hirsch è che nel 2013 i pubblici ministeri militari hanno archiviato di propria iniziativa circa il 15% dei casi di minorenni palestinesi arrestati con l'accusa d'aver commesso un crimine, vale a dire circa 100 su 660. I dati di Hirsch dunque smentiscono l'accusa spesso ripetuta secondo cui le Forze di Difesa israeliane procederebbero con arresti massicci e indiscriminati, addirittura fino a 200 al mese (che significherebbe la cifra totalmente infondata di 2.400 all'anno), e che i pubblici ministeri militari procederebbero contro i minorenni come schiacciasassi senza valutare minimamente le circostanze di ogni singolo caso. È vero il contrario, afferma Hirsch, il che spiega il numero molto contenuto di reclami inoltrati per conto di minorenni arrestati: solo 30 su 1.000. Dati che contrastano con l'immagine delle Forze di Difesa israeliane diffusa da molti accusatori, basata unicamente su elementi aneddotici, secondo cui un grandissimo numero di minorenni palestinesi avanzerebbe ricorsi contro le inchieste dei pubblici ministeri israeliani....

(israele.net, 20 febbraio 2014)


Ashrawi: "Temo che la mediazione di Kerry fallira"

RAMALLAH - ''Allo stato attuale delle cose l'accordo di massima che il segretario di stato Usa John Kerry si appresta a presentare alle parti, come noi lo conosciamo, molto probabilmente fallirà''. Lo ha detto Hanan Ashrawi, dirigente dell'Olp ed ex negoziatrice palestinese, in una conferenza stampa a Ramallah indicando nel 24 aprile la data in cui Kerry dovrebbe avanzare ufficialmente la sua proposta. Secondo l'esponente palestinese, ''ogni futuro accordo con Israele dovrà essere inteso all'interno della legge internazionale: e noi non la violeremo.
Vogliamo solo che Israele rispetti i trattati internazionali che sta ripetutamente infrangendo''. Per Ashrawi la richiesta di Israele di essere riconosciuto da parte palestinese come 'stato ebraico' e' ''uno degli ostacoli imposti da Netanyahu per prendere tempo''. ''Un elemento ideologico - lo ha definito - inteso a riscrivere la storia della Palestina storica. La Palestina - ha spiegato - ''è da sempre stata composta da cristiani, ebrei e musulmani.
Accettare questa richiesta significa accettare la narrativa sionista''. Ashrawi ha quindi definito ''sinceri e lodevoli'' gli sforzi di Kerry anche se ha ribadito il suo pessimismo sull'esito finale. ''Riserve sull'accordo - ha aggiunto - sono già state espresse da entrambe le parti: il problema della sicurezza da parte israeliana, che potrebbe includere la presenza Nato nella valle del Giordano per cinque anni fino al ritiro delle truppe israeliane, e la questione dei rifugiati e di Gerusalemme da parte palestinese''.

(ANSAmed, 19 febbraio 2014)


Come volevasi dimostrare. L’obiettivo più o meno consapevole di questi interminabili conversari diplomatici è di farli arrivare al definiivo fallimento al fine di addebbitarne poi la causa ad Israele ed avere qualche motivo in più per istigare il mondo contro di lui. Lo “Stato ebraico” è la pietra di inciampo fondamentale. Un’altra conferma che oggigiorno l’ebreo del mondo è lo Stato d’Israele. M.C.


Online la versione in ebraico del sito di easyJet

 
easyJet ha lanciato la versione del suo sito web in lingua ebraica: http://www.easyjet.com/il. I clienti che visiteranno la nuova homepage potranno usufruire dei contenuti e delle informazioni su easyJet tradotti in ebraico e potranno acquistare i voli nelle dieci valute disponibili, inclusi euro e dollaro.
Questo mese la compagnia ha raggiunto il traguardo di oltre 1 milione di passeggeri trasportati da e per Israele da quando è stato lanciato il primo volo nel 2009. Dall'Italia easyJet collega Tel Aviv con 2 voli settimanali da Roma Fiumicino e da Marzo opererà inoltre con 4 voli settimanali da Milano Malpensa.
"Più di mezzo milione di passeggeri voleranno da e per Israele quest'anno e questa nuova homepage faciliterà moltissimo i viaggi di molte persone che potranno approfittare delle nostre tariffe accessibili e del nostro servizio friendly. Il nostro obiettivo è di crescere ulteriormente in Israele anche grazie ai nuovi collegamenti da Milano e Londra che saranno presto operativi", ha commentato Frances Ouseley, direttore di easyJet per l'Italia.
easyJet ha iniziato a operare in Israele nel 2009 dall'aeroporto di Londra Luton. Tel Aviv è una destinazione attualmente servita dagli aeroporti di Luton, Manchester, Basilea, Ginevra, Roma e Berlino. All'inizio di febbraio easyJet ha inaugurato il nuovo volo da Berlino a Tel Aviv, oltre ai collegamenti che verranno attivati prossimamente da Milano Malpensa a Marzo e da Londra Gatwick ad aprile. In primavera quindi easyJet opererà ben 34 voli a settimana da Tel Aviv verso sette città europee.

(Travelnostop, 20 febbraio 2014)


Palestinesi: un popolo inventato

«La storia del popolo palestinese risale fino al...». A questo punto gli storici arabi non trovano l'accordo: alcuni sostengono che il "popolo palestinese" vanta 4.000 anni di storia; altri si spingono fino a 10.000 anni, c'è chi parla di 30.000 anni e non manca chi spara addirittura 100.000 anni di storia: il che renderebbe l'uomo di Neanderthals piuttosto giovanile a confronto dell'"uomo palestinese". Ma sebbene gli storici arabi non concordino sulla data di nascita del palestinese, su un aspetto sono unanimi: è comparso sulla Terra molto prima degli ebrei, dei romani o dei greci. C'è solo un problema: di tutta questa millenaria storia, non si trova alcuna traccia....

(Il Borghesino, 19 febbraio 2014)


Biglietti su smartphone alla Sinagoga e al Museo Ebraico di Firenze

La sperimentazione di mobile ticketing potrà essere estesa anche ad altri contesti e spazi culturali con l'obiettivo di rendere più veloce e accogliente la fruizione del patrimonio della città.

di Giulia Sili

FIRENZE - Si chiama Mobile Ticketing ed è la nuova proposta della Sinagoga e del Museo Ebraico di Firenze per l'acquisto dei biglietti.
Dal prossimo 2 febbraio sarà infatti possibile acquistare il biglietto d'ingresso direttamente con il proprio smartphone anche il giorno stesso della visita grazie a questo servizio predisposto da Coopculture. Con la semplice scansione di un QR-code i visitatori avranno la possibilità di accedere ad una pagina web dedicata e predisposta per dispositivi mobili; una volta poi ricevuta sul cellulare la conferma dell'avvenuta transazione ed il biglietto elettronico, sarà possibile recarsi direttamente all'ingresso senza dover stampare una conferma o farsi consegnare un biglietto cartaceo. "Introdurre il mobile ticketing alla Sinagoga ed al Museo Ebraico di Firenze è un importante passo avanti per rendere il sito ancor più fruibile e perfettamente rispondente alle esigenze del visitatore odierno. - dice Sara Cividalli, presidente della Comunità Ebraica di Firenze - Con pochi click e da qualsiasi parte del mondo sarà possibile informarsi, pianificare il proprio viaggio e premunirsi del titolo d'accesso e visita alla Sinagoga in modo da pregustarne la bellezza prima di goderne lo spettacolo dal vivo. Un progetto che ci allinea alle più grandi realtà museali nazionali e internazionali e che sarà presto strumento per la promozione di un circuito di beni culturali ebraici italiani".
Questa soluzione ha già riscosso successo al Colosseo, al Foro Romano e al Palatino dove la stanno utilizzando da qualche mese. Per Firenze il servizio di Mobile Ticketing costituisce una sperimentazione che potrà essere estesa anche ad altri contesti e spazi culturali, con l'obiettivo di rendere più veloce e accogliente la fruizione del patrimonio culturale della città.
"La sperimentazione del mobile ticketing a Firenze rappresenta una soluzione di fruizione dell'intero circuito ebraico di Firenze e non solo - spiega Giovanna Barni, presidente di Coopculture- il mobile sarà esteso, infatti, anche alla Sinagoga di Siena in una logica di fruizione esperienziale di un itinerario territoriale e tematico".
Il prossimo 19 febbraio il Mobile Ticketing per la Sinagoga e il Museo Ebraico sarà presentato a Palazzo Vecchio nel Salone dei Cinquecento, all'interno della sessione "Mobilizing the Smart Cities" . I partecipanti al convegno potranno usufruire in anteprima e gratuitamente dell'applicazione, riceveranno infatti il Qr-code attraverso il quale potranno prenotare il proprio ingresso alla Sinagoga il 19, il 20 o il 21 febbraio.

(la Repubblica, 19 febbraio 2014)


Attentato in Egitto, il retroscena: Israele nel mirino

Il pullman di pellegrini saltato in aria nel Sinai certifica non solo l'insicurezza in Egitto ma alimenta anche i timori (giustificati) di Tel Aviv.

di Luciano Tirinnanzi

  
Emergono nuovi fatti - se possibile ancor più inquietanti - legati all'attentato del 16 febbraio nel Sinai, in Egitto, che è costato la vita a tre turisti sudcoreani e al loro autista egiziano (e nel quale sono rimaste ferite anche altre 14 persone). Che sia stato un kamikaze a farsi esplodere sul pullman nell'area di Taba, al confine con Israele, è ormai un fatto acclarato: il gesto, infatti, è stato rivendicato dal gruppo jihadista Ansar al-Bayt Maqdis, che non è nuovo ad attentati - anche eclatanti - sia contro le forze di sicurezza egiziane che pattugliano l'area del Sinai sia contro obiettivi israeliani. Motivo per cui il gruppo terroristico è descritto a ragione come il maggiore nella regione.
Uno tra i principali elementi al vaglio degli investigatori è ovviamente la dinamica dell'attentato. La versione ufficiale racconta al momento che il terrorista è salito a bordo del mezzo durante uno stop lungo la strada, quando gli altri passeggeri erano scesi a terra per prendere i bagagli o una boccata d'aria. Quindi, l'uomo ha tolto l'innesco all'ordigno che aveva con sé e, saliti tre gradini del pullman, si è fatto esplodere.
Fonti israeliane ben informate affermano però che il vero obiettivo stavolta non fossero né il Sinai né l'Egitto e che, dunque, dietro all'attentato non ci sarebbe propriamente una ritorsione contro il regime militare di Al Sisi né una dimostrazione di forza in solidarietà con il deposto presidente Mohammed Morsi (al Cairo, domenica 16 si è aperto uno dei processi in cui il leader dei Fratelli Musulmani è accusato di spionaggio e cospirazione finalizzati al terrorismo).
Il vero obiettivo dei terroristi
Piuttosto, secondo tali fonti, l'esplosione sarebbe dovuta avvenire una volta che il pullman fosse giunto in territorio israeliano e precisamente nel centro di Eilat, distante pochi minuti dal confine. Qui, infatti, una detonazione avrebbe amplificato notevolmente il bilancio delle vittime. Solo una fatalità - il meccanismo di temporizzazione era apparentemente difettoso e avrebbe fatto esplodere la bomba quando ancora l'autobus era sul lato egiziano del confine - avrebbe impedito dunque una più ingente strage, facendo anche vittime israeliane.
Il pullman, è bene ricordarlo, aveva condotto un gruppo di pellegrini sudcoreani al celebre monastero di Santa Caterina, nei pressi del monte Sinai, in territorio egiziano, ed è stato colpito giusto poco prima di entrare in Israele, dove era in programma una visita ai luoghi santi.
L'azione diretta contro Israele si spiegherebbe con la volontà di punire Tel Aviv per il sostegno e la cooperazione del governo al regime dei militari in Egitto. Una politica che, nonostante le ben note divergenze tra i due Paesi, vede collaborare le rispettive forze di sicurezza e d'intelligence - pur se con scarsi risultati - nel tentativo di frenare le minacce eversive provenienti dal Sinai e dalla Striscia di Gaza. Tali operazioni sono oggi concentrate nel monitoraggio delle attività sia di Hamas sia delle numerose cellule jihadiste e qaediste che imperversano in quest'area.
A conferma di ciò, poche ore fa è giunto il comunicato di Ansar Bayt al-Maqdis, che riferisce: "Ansar Bayt al-Maqdis ha sacrificato con successo uno dei suoi eroi per far esplodere il bus diretto verso i sionisti. Ciò rientra nella nostra guerra economica contro questo regime di traditori".
Chi sono i terroristi di Ansar al-Bayt Maqdis
Ansar al-Bayt Maqdis ("i sostenitori di Gerusalemme") è il principale gruppo terroristico attivo nella Penisola del Sinai e viene associato alla maggior parte degli attentati che hanno sconvolto l'Egitto a seguito della messa al bando dei Fratelli Musulmani. La formazione, di chiara matrice salafita, è emersa nel 2011 ma dopo la destituzione di Morsi e la messa al bando dei Fratelli Musulmani ha intensificato le proprie azioni e ha iniziato a colpire indifferentemente forze dell'ordine sia egiziane che israeliane, così come ha prodotto numerosi attentati contro gasdotti e oleodotti. Inoltre, i membri della formazione terroristica filo-qaedista sono i diretti responsabili di attacchi contro il ministero dell'interno egiziano, dell'abbattimento di un elicottero militare nel Sinai e del lancio di razzi contro lo Stato d'Israele, più volte intercettati dal sistema missilistico di difesa Iron Dome.
Anche se nell'ultimo comunicato Ansar al-Bayt Maqdis afferma di non voler colpire i civili - ma solo se questi non scenderanno in piazza a sostegno della polizia e dell'esercito - e invita la popolazione egiziana a chiudersi in casa nei prossimi giorni, il gruppo mette in guardia anche poliziotti e militari, accusati di combattere "chi tenta di applicare la legge islamica unendo le forze con i liberali e gli atei". A ciascuno di loro viene chiesto infatti "di non sostenere l'apostasia e l'ingiustizia" e di lasciare il proprio lavoro per salvare la vita e "onorare la religione".
Il 23 febbraio prossimo al Cairo si terrà una nuova seduta del processo contro il deposto presidente Morsi, il più pericoloso che l'Egitto si sia trovato ad affrontare negli ultimi anni. Il rischio di nuovi gesti clamorosi di matrice terroristica in questa occasione e lungo tutta la durata del processo è dietro l'angolo. Così come Israele ha tutte le ragioni per sentirsi un po' meno sicuro di prima.

(Panorama, 19 febbraio 2014)


Informazione - L'unicità della tradizione ebraica e l'esperienza israeliana

Rav Yuval Cherlow
Informazione come pilastro fondamentale della società. La particolare sensibilità della tradizione ebraica, che pone in primo piano la consapevolezza del potere delle parole e dei terribili effetti che esse possono provocare sugli individui, l'attenzione all'aspetto umano. Ma anche il monito a far sì che questa sensibilità non si traduca nel garantire al malvagio la segretezza del suo agire. Ha tenuto a sottolineare la crucialità del bilanciamento fra queste due esigenze il rabbino Yuval Cherlow, membro dell'Israel Press Council e tra i fondatori dell'organizzazione rabbinica ortodossa progressista Tzohar, importante voce del dibattito pubblico dello Stato ebraico, intervenendo al seminario "Etica ebraica e problemi dell'informazione" organizzato dalla redazione del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche e del Portale www.moked.it in collaborazione con il Collegio Rabbinico Italiano. Un intervento che è stato anche occasione per spiegare in che modo i principi della tradizione ebraica trovano collocazione dell'esperienza israeliana.
Rav Cherlow ha illustrato alcuni passaggi fondamentali dei Testi correlati al tema dell'informazione, e in particolare l'ammonimento da un lato a non andare in giro a raccontare storie seguito da quello a non rimanere inerte di fronte al sangue del tuo prossimo. Un passaggio che secondo la maggior parte dei commentatori va interpretato proprio nel senso di bilanciare i due aspetti. Un punto di partenza su cui si sviluppa poi anche la legge israeliana in materia, che parla di requisiti di verità, pubblico interesse e di non provocare danni oltre il necessario. "Ora nessuno può affermare che sia facile stabilire cosa è necessario e cosa no, dove passa il confine del pubblico interesse, dove quello degli effetti che vanno oltre i benefici. Però è importante riconoscere l'attenzione al tema della tutela dell'uomo e dell'informazione".
L'incontro è stata occasione anche per parlare del lavoro dell'Israel Press Council, un organo costituito su base volontaria dagli operatori del settore che si occupa innanzitutto, ha spiegato il rav, di tutelare la libertà di espressione dei soggetti più deboli, e di monitorare e correggere eventuali abusi commessi a mezzo stampa. "Anche se è uno strumento dai poteri limitati, negli ultimi anni ha ricevuto sempre più attenzione, e la stessa Corte suprema israeliana ha utilizzato i nostri pareri nelle sue decisioni".
Una sfida complessa dunque, che parte dal presupposto dell'importanza dell'informazione nelle dinamiche della società.

(moked, 19 febbraio 2014)


Luterani, mea culpa su Hitler

Fin dall'inizio vi fu un sostegno di gran parte delle Chiese evangeliche al regime nazista, anche sulla base degli scritti antisemiti di Lutero; ora prende il via un serio esame di coscienza. Parla Stephan Linck, lo storico incaricato della prima ricerca sul tema.

di Andrea Galli

 
La Chiesa Nazionale - Lettera ai cristiani tedeschi:
«Cristo, il nemico mortale dell'ebraismo!»
E' un mea culpa poco spettacolare quanto radicale e in fieri quello che sta compiendo da alcuni anni la Chiesa evangelica del Nord della Germania - una delle 22 Chiese regionali che compongono la Chiesa evangelica tedesca - per la sua compromissione con il nazismo. Una delle ultime iniziative è stata l'incarico allo storico Stephan link di indagare cosa lasciò nel dopoguerra l'appoggio al regime hitleriano. Linck, che si era già occupato degli anni "caldi", dalla Repubblica di Weimar al 1945, ha da poco dato alle stampe Nuovo inizio? Il rapporto della Chiesa evangelica con il suo passato nazista e con l'ebraismo. Le Chiese regionali a nord dell'Elba,1945-1965, primo di due volumi previsti, pubblicato dall'editrice ufficiale della Chiesa regionale del Nord.

- Professor Lindo, da dove nasce questa volontà di trasparenza storica?
  «Quando nel 1998 il Sinodo della Chiesa evangelica della Germania del Nord pubblicò una dichiarazione-chiarimento nel 50o della Notte dei Cristalli, si voleva sapere anche quali provvedimenti antiebraici erano stati emessi dalle Chiese di Lubecca, Eutin, Schleswig-Holstein e Amburgo. Una risposta certa non c'era, per cui si dovette commissionare una ricerca. Di fronte a questo vuoto di conoscenza molti rimasero esterrefatti e si decise perciò di realizzare anche una mostra che tra il 2001 e il 2007 è stata allestita in vari luoghi e ha portato a una profonda discussione, facendo conoscere la complicità della Chiesa evangelica nella persecuzione degli ebrei. Si volle dunque sapere com'era cambiata la Chiesa evangelica dopo il nazismo e com'era stato possibile che nel corso di decenni il tema non fosse mai stato affrontato criticamente; perciò fu deciso di avviare un progetto di ricerca».

- L'ideologia nazista era imbevuta di neopaganesimo: com'è stato possibile tenere Insieme il Vangelo e la mitologia ariana?
  «Agli inizi del regime il supporto protestante a Hitler era massiccio, perché egli aveva rimosso la Repubblica che era vista come un'entità irreligiosa. I nazisti propagandavano un "cristianesimo positivo", rivolto in negativo solo contro gli ebrei, e questo incontrò il favore dei luterani. L'elemento neopagano fu rifiutato dalla maggioranza dei fedeli».

- Gli scritti contro gli ebrei di Lutero hanno un ruolo nella «sintonia» con l'antisemitismo nazista?
  «Le radici profonde dell'antisemitismo della Chiesa evangelica affondavano nel nazionalismo tedesco; tuttavia sì, molti protestanti facevano riferimento agli scritti contro gli ebrei di Lutero per dimostrare che erano loro gli antisemiti "originali": in fondo Lutero aveva già incitato a cacciare gli ebrei e a distruggere con il fuoco le sinagoghe».

- I nazisti hanno goduto del favore dei protestanti più al nord che nel resto della Germania?
  «Prima del 1933 il Partito nazionalsocialista godeva di grande favore nell'elettorato protestante in generale. A differenza dei cattolici, i protestanti durante la Repubblica di Weimar non avevano un partito confessionale di riferimento. Furono in particolare i luterani a rifiutare la Repubblica, perché questa aveva portato alle dimissioni del Kaiser e re di Prussia, che era visto come l'autorità luterana».

- Una curiosità: la Lutherkircke di Lubecca fu costruita orientata a nord. Quanto l'ideologia nazista ha influenzato l'architettura sacra?
  «L'architettura delle chiese fu decisa dalle singole comunità e non ci fu un progetto comune. Nella Lutherkirche di Lubecca predicavano appartenenti all'Alleanza per la Chiesa tedesca (Bund für deutsche Klrche), una piccola minoranza della Chiesa evangelica. Costoro rifiutavano l'Antico Testamento, troppo ebraico, e identificavano il Dio padre della Bibbia con il nordico "Padre di tutti" (Allvater, appellativo di Odino, ndr). Per questo si doveva pregare verso nord e non verso est, cioè verso Gerusalemme. Un'altra chiesa dedicata a Lutero ad Amburgo, nel quartiere di Wellingsbüttel, fu costruita orientata a nord. L'Alleanza per la Chiesa tedesca fu fondata nel 1919, ma solo durante l'egemonia nazista ebbe grande influsso. L'esponente più acceso dei cosiddetti "Cristiani Tedeschi" nello Schleswig-Holstein, Propst Ernst Szymanowski, divenne a tal punto estremista da uscire dalla Chiesa e diventare un ufficiale delle Ss. A capo di un Einsatzkommando fu responsabile dell'uccisione di migliaia di russi e fu condannato al processo di Norimberga».

- Quali sono state le omissioni della Chiesa evangelica che nel suo studio l'hanno più colpita?
  «Dopo il 1945 la grande maggioranza dei luterani non si è confrontata con il proprio filo-nazismo. Venivano piuttosto criticate le "forze di occupazione" e la "giustizia dei vincitori". Nella Germania distrutta, in cui affluirono milioni di profughi dai territori perduti a est, non si voleva ammettere che quella condizione era stata causata dai tedeschi stessi, che avevano peraltro inflitto sofferenze peggiori alle altre popolazioni. Nella Chiesa luterana il sentimento collettivo dei fedeli ebbe un maggior peso rispetto alla necessità di giudicare il proprio passato. È triste quanto in ritardo sia iniziata un'analisi critica. Ed è amaro constatare come anche le ricerche sulla storia della Chiesa in ambito universitario si siano occupate molto poco delle responsabilità della Chiesa evangelica durante il nazismo. Mi è stato particolarmente chiaro quando ho avuto modo di parlare con protestanti di origine ebraica: hanno aspettato per decenni un mea culpa della Chiesa. Una di queste figure era la figlia di un pastore della Chiesa dello Schleswig-Holstein, al quale nel 1939 fu proibito di esercitare il suo ministero perché si era rifiutato di separarsi dalla moglie - un'ebrea che si era battezzata. Il padre nel 1945 aveva fatto richiesta di essere riammesso in servizio come pastore, ma la famiglia aspettò invano le scuse da parte della Chiesa Quando portai a conoscenza il caso, in quella che era stata la sua chiesa fu posta una targa. La donna morì tre mesi dopo: aveva fatto appena in tempo a ricevere la richiesta di perdono così a lungo attesa».

(Avvenire, 19 febbraio 2014)


La Giornata europea dei Giusti

di Andrée Ruth Shammah

Andrée Ruth Shammah
Fermo restando che non c'è niente di paragonabile a ciò che è stata la Shoah, con la Giornata europea dei Giusti il 6 marzo si vuole ricordare chi ha saputo cercare il bene con la scelta di difendere la dignità umana nei momenti bui.
Più si ricorda il bene e più si diventa consapevoli di ciò che l'essere umano può fare per ottenerlo. Per prevenire altri genocidi (pesa su tutti noi il silenzio su Siria e l'indifferenza del mondo rispetto a Rwuanda e Cambogia.) La parola «mai più» diventa purtroppo solo retorica. I Giusti insegnano a prevenire i genocidi nel tempo presente. Ricordando i Giusti si insegna alla gente che è possibile pensare con la propria testa, partendo dalla propria coscienza. I giusti hanno salvato il mondo attraverso gesti semplici e concreti.
Non sono gli altri a decidere il nostro futuro. Ognuno di noi può contare sulle proprie forze e sulla forza delle proprie convinzioni contro qualsiasi leggi ingiuste.
Il valore dei giusti della Shoah è un valore universale perché l'esempio della Shoah non ha toccato solo gli ebrei ma ha colpito il mondo intero, distruggendolo. Aprire la mente al concetto del bene è importante,oggi più che mai. Non è un caso che in Armenia, come in Ruanda o in Bosnia siano nati dei giardini dei Giusti per ricordare i soccorritori di quei genocidi.
L'agire secondo giustizia appartiene a tutto il pensiero umano dalla filosofia classica dei greci all'ebraismo, come all'Islam e al cristianesimo.
La presa di posizione di Gabriele Nissim, come ebreo, scrittore e presidente di Gariwo, ha un significato specifico e importante. Significa dire che quello che è successo agli ebrei non deve accadere a nessun altro uomo. Significa dire che gli ebrei dopo quella terrificante esperienza si aprono agli altri e si mettono al servizio di tutto ciò che possa nel futuro e nel presente impedire tali atrocità.
È un successo straordinario che proprio un ebreo sia riuscito ad ottenere la ricorrenza per tutti i Giusti nel parlamento europeo e che questa idea sia diventata patrimonio culturale per tante esperienze diverse.
La memoria diventa universale. Questa idea ha suscitato una forte adesione in tante scuole, città, fra persone diverse.Tutti se ne sentono toccati.
È sempre auspicabile restare all'ascolto di altre tragedie, ognuna di diversa natura e portata ma tutte con un comune denominatore che le unisce: quello della violenza dell'uomo sull'uomo, senza ritegno.
Noi ebrei apparteniamo all'umanità e se anche da secoli alcuni popoli hanno cercato di negarlo, noi continuiamo ad esistere ,a fare parte dell'umanità e a dare spazio al bene, al giusto e infine ai Giusti di tutto il mondo. Con riconoscenza.

(Corriere della Sera, 19 febbraio 2014)


Deutsche Bank risveglia i fantasmi antisemiti

di Fiamma Nirenstein

Quando uno legge che una banca talmente tedesca da chiamarsi Deutsche Bank mette una delle banche più popolari di Israele, la Bank ha Poalim, che vuol dire Banca dei Lavoratori, in una lista di sedici compagnie 'problematiche' e quindi su cui si potrebbe attuare il disinvestimento e il boicottaggio (BDS è la formula classica) la reazione istintiva è: ecco la nuova strada per distruggere il mondo ebraico. Perchè la Bank ha Poalim sta entrando nella lista nera di una delle maggiori banche tedesche? Perchè avrebbe delle attività in Cisgiordania. E quale banca israeliana non ce l'ha? In un Paese tanto piccolo, tutte le attività sono intrecciate, la gente corre dal nord al sud perchè l'attività economica ferve e funziona. Figurano nella lista la Lockheed Martin, Nothtrop, Nissan... ma bisognerà vedere come se la caveranno i boicottatori quando cominceranno a apparire nella lista anche istituzioni e centri scentifici che producono medicine, scoperte scientifiche, high tech indispensabili a tre quarti del genere umano, e magari Premio Nobel.
   La linea del boicottaggio e del disinvestimento, in auge presso una quantita di Ngo finanziate dall'Unione Europea, è stata brevettata definitivamente dall'Ue stessa quando nel luglio del 2013 ha promulgato le 'guidelines' che stabiliscono che dall'Europa nessuno può investire denaro in alcunché abbia a che fare con i Territori disputati, qui definiti occupati, che oggi sono l'oggetto dei colloqui di pace. Le guidelines conferiscono alla baronessa Ashton lo strano potere di decidere in anticipo quali saranno i confini che le due parti, israeliana e palestinese, stabiliranno. Poiché supermarkets, banche, farmacie, università, ospedali, centri di ricerca dentro la linea verde hanno a che fare con i territori occupati, il boicottaggio rischia di diventare uno strumento teso alla cancellazione di Israele, e non dei Territori Occupati.
   In Germania prima arrivò il falò dei libri, poi il boicottaggio di tutto il lavoro ebraico, poi ci fu la Kristallnacht e la violenza infine culminò nella Shoah. Quanto al boicottaggio, in un Paese con un'economia che fa invidia a tutto il mondo, non esiste la possibilità che lo rovini economicamente. Ma certo, quando un branco di dementi inglesi interrompe lo spettacolo della Filarmonica di Israele, o Roger Waters chiede ai cantanti di tutto il mondo di non esibirsi in Israele, o nelle università si fanno liste di proscrizione per scienziati e letterati, non si può fare a meno di pensare che le orchestre naziste misero fuori dei loro programmi Mahler e Schonberg.
   Ha detto il giornalista (di sinistra) Roger Cohen sul New York Times che il BDS sotto il pretesto di far cessare l'occupazione e richiedendo il 'diritto al ritorno' dei profughi paletinesi (di terza e quarta generazione) mira alla fine di Israele come Stato del popolo ebraico.

(il Giornale, 19 febbraio 2014)


Agosto in Israele

  
Questa interessante proposta arriva dal BMW Motorrad Club Catania, sempre molto attivo, che propone, per l'estate 2014, un tour di Israele con partenza in aeroplano da Milano (le moto vengono preventivamente trasferite).
BMW Motorrad Club Catania come meta per i propri viaggi ha sempre prediletto luoghi affascinanti ed avventurosi, oltre all'Europa abbiamo visitato la Russia, l'Ucraina ed ancora dal Mar Nero con Georgia, Armenia al Mar Caspio con l'Azerbaijan ed inoltre la Turchia per spingersi sino in Siria e Giordania ed ancora l'Africa, con parecchie spedizioni in Libia e Marocco e la Tunisia, paese facile da raggiungere, da noi visitato oltre 60 volte negli ultimi 25 anni .
Tutto questo con le nostre moto partendo da ogni parte d'Italia, ognuno dalla propria città, percorrendo migliaia di km su asfalto e attraversando paesi diversi tra loro con dogane interminabili e snervanti. Abbiamo utilizzato, quando necessario, anche traghetti con gruppi di oltre 40 moto e 60 persone, insieme e uniti anche per più di 20 giorni per raggiungere la destinazione prefissata.
Per Il viaggio estivo del 2014 andremo in Israele, destinazione oggi complicata o addirittura impossibile da raggiungere su strada con la propria moto.
Per questo motivo si è pensato di organizzare il Tour con la spedizione delle moto, mentre i conduttori e i passeggeri raggiungeranno il paese con un volo aereo. Tutto questo comporta un vantaggio sui costi del viaggio e soprattutto sui tempi. I km totali che percorreremo in moto durante il Tour saranno poco più di mille distribuiti in 13 giorni. Un viaggio rilassante che ci permetterà di visitare l'Israele in modo approfondito e ci darà la possibilità di fare un tuffo nei tre mari che la circonda.
L'Israele racchiude fascino, avventura, cultura e sacralità. Un paese dai diversi volti e dai diversi paesaggi dove si viaggerà dalla costa mediterranea alle Alture del Golan, dai laghi alla Valle di Hula, dal Mar Morto al Mar Rosso, al Deserto del Negev.
Ovviamente non verranno trascurati i luoghi più sacri della Terra come Betlemme, Nazareth e Gerusalemme.
Le moto dovranno essere consegnate a Milano circa 15 giorni prima della partenza prefissata. Un'azienda specializzata avrà cura delle nostre moto che verranno ingabbiate, messe in un container e spedite per la destinazione. A richiesta del partecipante daremo la possibilità del ritiro e consegna del mezzo sino alla propria residenza.
I partecipanti si ritroveranno il 3 agosto a Milano per raggiungere con volo diretto Tel Aviv.

In sintesi queste saranno le città dove si pernotterà:

3 e 4 agosto Tel Aviv
5 e 6 agosto Haifa
7 e 8 agosto Gerusalemme
9 e 10 agosto Mar Morto
11 e 12 agosto Mar Rosso
13 e 14 agosto Tel Aviv
15 agosto si partirà da Tel Aviv con un volo diretto sino a Milano.

Al più presto il programma dettagliato con le quote di partecipazione.
Si consiglia a tutti coloro che fossero interessati al Tour, senza alcuno impegno d'iscrizione e partecipazione, di inviare una e-mail per rimanere aggiornati sull'evoluzione del programma e sulle ultime novità.

(BMW moto, 19 febbraio 2014)


La visita dell'ambasciatore di Israele alla Comunità Ebraica di Torino. Correzione

In merito alla visita effettuata ieri dall'ambasciatore Gilon alla Comunità Ebraica di Torino , riceviamo questa correzione del Vicepresidente della Comunità che volentieri pubblichiamo.

Avendo personalmente ospitato l'Ambasciatore israeliano in visita a Torino, segnalo che, a differenza di quanto pubblicato da altri siti, l'Ambasciatore non ha incontrato il sindaco Fassino, impegnato in missione all'estero.
Mi compiaccio con questo sito che, a differenza di altri, ha scelto di pubblicare la correzione della notizia.
Emanuel Segre Amar
Vice presidente
Comunità Ebraica di Torino

(Notizie su Israele, 19 febbraio 2014)


Israele-Ue, sinergie europee per progetti di salute

Israele e l'Europa hanno un forte interesse reciproco ad accrescere le relazioni commerciali bilaterali e l'integrazione dei loro mercati per promuovere ulteriormente l'innovazione, soprattutto nel settore della salute.

di Cinzia Boschiero

Da sinistra: prof. Giorgio Maria Calori, Presidente di ESTROT e primario Istituto Ortopedico GAETANO PINI; la direttrice generale dell'ospedale di Alyn, dottssa Mauritt Beeri, e il prof. Giannoudis, Università di Leeds a Milano.
Ci sono fondi per progetti europei relativi alla salute e di cooperazione tra Unione europea e Israele. Diversi anche i progetti congiunti di ricerca per la cooperazione scientifica e tecnologica tra Italia e Israele. Israele è una delle economie più competitive al mondo e, come nel caso dell'UE, uno dei suoi principali punti forti consiste nella sua capacità di innovazione che la situa tra le economie di punta. Per tale motivo, Israele e l'UE hanno un forte interesse reciproco ad accrescere le relazioni commerciali bilaterali e l'integrazione dei loro mercati per promuovere ulteriormente l'innovazione, dare impulso alla crescita sostenibile e creare posti di lavoro.
   L'Unione europea e Israele condividono una lunga storia comune, contrassegnata da un'interdipendenza e da una cooperazione crescenti. Entrambi condividono gli stessi valori di democrazia, rispetto della libertà e stato di diritto e sono impegnati a portare avanti un sistema economico internazionale aperto basato sul principio di un'economia di mercato "Siamo lieti," dice il prof. Giorgio Maria Calori, primario dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini e nella fattispecie nella veste di Presidente di ESTROT, la società scientifica europea per lo studio della rigenerazione tissutale nel campo della Ortopedia e della Traumatologia, authority riconosciuta dalla federazione europea EFORT,"di essere al fianco dell'Alyn Hospital, in quanto riconosciuto Centro clinico di ricerca di altissimo profilo scientifico, dotato di operatori specializzati che lavorano con amore e passione."
   Alyn Hospital è un'eccellenza nel panorama sanitario internazionale, perché è unico esempio in Medio Oriente di struttura di cura riabilitativa per casi particolarmente gravi. La Dr. Maurit Beeri, Direttore generale di Alyn evidenzia che la riabilitazione pediatrica è un impegno complesso e che richiedere sinergie ed esperti di varie discipline che lavorino in team ed ha visitato di recente l'Istituto Ortopedico Gaetano Pini che è aperto ad collaborazioni medico-scientifiche e ha avviato contatti con ASA, Associazione nazionale per la Sindrome di Asperger che ha sede presso la Società Umanitaria. Si è svolta di recente poi a Milano l'iniziativa Infant Eyes , una manifestazione culturale ed artistica a supporto dell'ospedale di Alyn con sede a Gerusalemme, patrocinata dal Comune di Milano, da ESTROT (European Society Tissue Regeneration in Orthopaedies Traumatology) dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini, dalla Associazione Nazionale Sindrome di Asperger e dall'Ordine provinciale dei medici chirurghi e odontoiatri (OMCEO), da Comunità ebraica e da AME, Associazione Medica Ebraica.
   L'iniziativa è stata organizzata da Rosana Rosatti, che fa parte della associazione Amici di Alyn. Il direttore artistico Ivan Bert ha proposto durante la serata una diversa visione della disabilità, "attraverso un cambio di prospettiva", ci spiega, "da piccolo a grande, dal punto di vista di un bambino a quello di un adulto, tra lontano e vicino, tra invisibile e quasi insormontabile. Così ci piace raccontare Alyn: un luogo dove anche il piccolo diventa grande". I protagonisti della serata hanno sviluppato un percorso tra musica, prosa e danza traendo ispirazione dai quadri di tre artisti contemporanei: Nicola Bolaffi, Barbara Nahmad, Tobia Ravà. Lo storico dell'arte Philippe Daverio ha consegnato al pubblico la chiave interpretativa di tre quadri messi a disposizione dagli autori tramite la Ermanno Tedeschi Gallery. Il ricavato della vendita delle opere e l'incasso della serata sono stati interamente devoluti a favore di Alyn Hospital di Gerusalemme che si distingue a livello internazionale nella riabilitazione, nella cura ortopedica, reumatologica, assistenziale di bambini affetti da gravi disabilità motorie, cognitive e comportamentali, di origine genetica e da traumi.

(affaritaliani, 19 febbraio 2014)


Israeliani volevano vendere armi all'Iran. Realtà romanzesca

Trafficanti israeliani di armi hanno tentato di inviare in Iran pezzi di ricambio per caccia F-4 Phantom facendoli transitare attraverso la Grecia. Non solo in piena violazione dell'embargo sulla fornitura di armamenti a Teheran, ma soprattutto facendo affari con un Paese che ha più volte dichiarato di voler veder e lo Stato ebraico cancellato dalla faccia della Terra.
Ne dà notizia il quotidiano ateniese Kathimerini citando documenti che fanno parte di un'indagine del Dipartimento americano per la sicurezza interna. In base alle carte visionate dal giornale greco, l'operazione per intecettare il carico clandestino è stata effettuata in due fasi, la prima nel dicembre 2012 e la seconda nell'aprile 2013. In entrambi i casi, gli inquirenti hanno trovato in territorio greco diversi container pieni di pezzi di ricambio per gli F-4. Sa successive indagini è emerso che i carichi erano stati inviati tramite corriere dalla località israeliana di Binyamina Giv'at Ada, pochi chilometri a sud del porto di Haifa, con destinazione Iran. La spedizione avveniva tramite una società greca fittizia, che era in realtà inesistente e intestata a un cittadino britannico residente a Salonicco di cui non si è trovata traccia.

(il Giornale, 19 febbraio 2014)


Foscarini illumina l'orientaleggiante ristorante Taizu

Un ottimo esempio di design applicato alle strutture ricettive è l'incontro, al Taizu Restaurant di Tel Aviv, di stili e materiali dell'Estremo Oriente con le lampade Made in Italy di Foscarini.

 
Il mondo in un ristorante. È quello che si può dire per il nuovo concept restaurant Taizu, che sorge a Tel Aviv, si ispira nello stile all'Estremo Oriente e si arricchisce di lampade Made in Italy. Un'occasione per entrare in contatto con il design di terre lontane e dall'alta cifra creativa.
Taizu è stato progettato dall'architetto israeliano Pitsou Kedem, in passato vincitore di cinque premi della Israeli Design Award Competition.
La sua firma, come dimostra anche il ristorante Taizu, è caratterizzata da un
linguaggio sofisticato e armonioso, ispirato alla filosofia cinese: quest'ultima, infatti, annovera cinque elementi fondamentali tutti utilizzati da Kedem vale a dire il fuoco, l'acqua, il metallo, il legno e la terra.
In questo ambito orientaleggiante, armonioso e sofisticato insieme si inseriscono le lampade di Foscarini, delle collezioni Allegro e Allegretto, scelte per le sale comuni e la cantina dei vini. Gli elementi in alluminio e acciaio laccato che compongono le sospensioni dei lampadari, disegnate da Atelier Oì, si intrecciano tra loro creando un delicato equilibrio e producendo un suono metallico in presenza di un'oscillazione.
Una vera e propria sinestesia, un lampadario in grado di attivare tutti i sensi umani. Non è stato infatti scelto a caso il nome di queste due creazioni di Foscarini: è proprio la "musicalità" che ha ispirato la denominazione delle tre versioni di Allegro, Ritmico, Vivace ed Allegro Assai, diverse tra loro per dimensione e colori. Allegretto è invece una sorta di riduzione e rivisitazione dei volumi di Allegro.
Le due collezioni Foscarini nascono per il settore contract ma la loro eleganza e i loro materiali delicati ne fanno esemplari perfetti per un ambiente dalla forte connotazione orientale come il Taizu Restaurant di Tel Aviv. L'Asia, peraltro, è anche filo conduttore della progettazione dei menu e della scelta dei materiali. Lo chef Yuval Ben Neria ha infatti in questo senso reinterpretato il tradizionale cibo locale, mentre le interior designer Sigal Baranowitz e Gali Amit hanno utilizzato la foglia di banano nei pannelli divisori che scandiscono la suddivisione del locale. Il tutto adeguatamente illuminato dai lampadari Allegro e Allegretto di Foscarini.

(La Stampa, 19 febbraio 2014)


Quella legge spagnola che ripara un misfatto

di Adriano Prosperi

Da un Mediterraneo dove la convivenza dei popoli è minacciata ogni giorno da una ferocia inestinguibile arriva una notizia soffusa di delicate tonalità. Il governo spagnolo si prepara a offrire per legge la cittadinanza ai discendenti degli ebrei cacciati nel 1492.
   La notizia ha suscitato una grande emozione in Israele. Matthew Kalman corrispondente del Financial Times da Tel Aviv scrive che l'ambasciata spagnola è assediata dai potenziali aspiranti a questo privilegio. Bisogna riconoscere però che questa offerta di risarcimento postumo per un grave errore storico possiede un valore simbolico più ampio: o almeno che pone interrogativi e suscita riflessioni che vanno al di là dell'episodio. Anche perché nel 1492 non fu solo la Spagna a cercare nella pulizia religioso/etnica il fondamento della nazione imperiale che stava prendendo corpo. La vicenda spagnola fu certo la più imponente. Ma altreespulsioni totalidiebrei sieranogiàavvicendate in Inghilterra e in Francia, mentre uno stillicidio di accuse infamanti macchiava di sangue ebraico i patiboli dell'Europa intera. In Germania le chiese esibivano immagini di scrofe allattanti barbe di rabbini e l'antiebraismo stava per trovare nella penna di Lutero le sue espressioni più violente. ll caso spagnolo fu la punta più alta toccata da un'ondata generale. Il decreto di Ferdinando d'Aragona datato 31 marzo 1492 dette tre mesi di tempo agli ebrei per andarsene: e cosi ruppe una convivenza delle tre religioni monoteiste sullo stesso suolo che durava da tempo immemorabile.
   Cominciò un esodo di massa: furono un numero grandissimo gli ebrei che rifiutarono il battesimo e si misero in cammino abbandonando "Sefarad", la terra incantata d'Occidente che doveva vivere da allora in poi nelle memorie degli esuli. Che furono quasi la metà dei circa 200.000 delle comunità ebraiche spagnole. Se ne andarono verso il Portogallo e si accalcarono nei porti, anche in quello dove Cristoforo Colombo stava armando le sue navi. Ma il caso spagnolo non fu importante solo per le sue dimensioni numeriche: con quell'atto il re Ferdinando d'Aragona fondò un modello di nazione imperiale unita dal vincolo di una religione guerriera e instillò in ogni spagnolo il mito di un'appartenenza sacrale, con l'ansia connessa di tutelare la purezza del popolo cristiano. Lo minacciava la macchia dello sporco sangue ebraico. Già, il sangue: perché l'ossessione dell'impurità si spostò allora dalla religione come convinzione soggettiva, dato di cultura, al sangue ereditario come dato di natura.
   C'è dunque uno speciale significato e un valore attuale nell'offerta spagnola di questi giorni: vi si esprime una (tardiva) volontà di cancellare la macchia che gravò da allora sull'intera Europa cristiana, ossessionata dalla volontà di costruire compatte identità collettive di fedeli e di sudditi. Dall'Europa quella sindrome di purezza e di sopraffazione si spostò ai domini coloniali. E prima ancora riflul come una malattia epidemica nella stessa Spagna, alimentando una insaziabile caccia al "cristiano nuevo", l'erede di ebrei: l'acqua del battesimo si rivelò incapace di purificare una sporcizia connaturata al sangue. L'antiebraismo del 1492 anticipava l'antisemitismo e la "soluzione finale" della Shoah.
   Cosi bisogna ammettere che la legge in gestazione in Spagna potrebbe avere un significato non solo simbolico. L'offesa di allora non potrà mai essere cancellata. Primo Levi parlò della natura insanabile dell'offesa, del suo dilagare come un contagio. E disse che «è stolto pensare che la giustizia umana lo estingua». Ma intanto il ricordo del 1492 potrebbe valere come promemoria, risuonare come avvertimento in quella parte del Mediterraneo dove oggi si è spostata l'intolleranza religiosa e il diritto di cittadinanza viene negato non solo con le leggi ma con muri di segregazione e con le armi. È là che la vecchia Europa potrebbe — come fanno i vecchi — dare buoni consigli non potendo più dare cattivi esempi. Se non fosse che ben altro è chiamata a fare essa stessa davanti all'ondata crescente di un populismo aggressivo che vuole ancora oggi legare il diritto di cittadinanza al sangue.

(la Repubblica, 19 febbraio 2014)


Confisca, l'arma più potente nelle mani dell'Inquisizione

Non fu solo con metodi violenti che la Chiesa cattolica sconfisse gli eretici. Nei meccanismi che regolavano il credito e il commercio la detenzione di una pubblica fama di ortodossia religiosa giocava sicuramente un ruolo determinante. Ma poteva capitare che il Sant'Officio aiutasse gli ebrei.

di Paolo Mieli

Papa Innocenzo III (1198-1216)
Per capire il modo in cui sono andate davvero le cose bisogna osservare come si sono mossi i soldi. Un principio che, secondo Germano Maifreda, ben si applica all'inquisizione, una storia svìluppatasi per due secoli e mezzo: dalla nascita della Congregazione del Sant'Officio (1542) alla fine del Settecento. E che ora fa da spina dorsale al libro originale e intelligente di Maifreda, I denari dell'inquisitore. Affari e giustizia di fede nell'Italia moderna, che esce oggi per Einaudi. Quante persone sono state coinvolte in questo non breve percorso? Andrea Del Col, ne L'Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo (Mondadori), ha stimato che i processi di cui qui stiamo parlando furono tra i 50 e i 75 mila. E gli imputati tra i 200 e i 300 mila. Le loro storie, se ben passate al setaccio, ci svelano aspetti inediti (o, comunque, fin qui mai analizzati in sé) dell'entrata di Chiesa ed Europa nella modernità. Tanto più che, come scrive Maifreda, le confische e le altre pene pecuniarie furono, per gli inquisitori, «ben più che una fonte di denaro». Anzitutto «esse costituirono un agile strumento di amplificazione del potere della giustizia di fede, la quale, deprivando persone di tutti i ceti sociali delle proprie sostanze e spezzando la trasmissione ereditaria di casate di grande prestigio e visibilità, sanciva tangibilmente la propria supremazia su alcune delle più antiche e prestigiose istituzioni sociali dell'Antico Regime: la persìstenza del cognome, la conservazione unitaria e la trasmissione intatta del patrimonio alle generazioni successive». Oltre tutto la «confisca dava agli inquisitori l'opportunità di procurarsi informazioni non emerse nell'ambito del processo già concluso e aprire, così, nuove procedure offensive».
   Le pene pecuniarie costituirono, dunque, «un cruciale strumento di alleanza e di dialogo - anche, ma non solo, nei termini della contesa - fra tribunali ecclesiastici e autorità secolari», che si occupavano materialmente dell'incameramento dei beni. Chiusa la fase del processo inquisitoriale, condotto da autorità ecclesiastiche sotto un manto di segretezza difficilmente penetrabile, la giustizia di fede, al momento della confisca, «si schiudeva alla piena visibilità sociale e dialogava compiutamente con le autorità secolari, sviluppando un linguaggio politico e un progetto repressivo comuni. Laddove si comprende che tutto ciò rappresentò per il Sant'Officio non solo una rilevànte fonte di entrata, ma anche (e soprattutto) un'occasione di negoziazione politica con i governi locali. Il tutto in un'epoca assai particolare. L'epoca in cui nacque la Congregazione del Sant'Officio e in cui si consolidò la gestione economica della sua rete territoriale, scrive Maifreda, «fu la stessa che vide - a fronte di una demografia in crescita, dell'aumento dei consumi e dei prezzi e di un'espansione dei commerci infra e interregionali, non accompagnata da un adeguamento dell'offerta di credito bancario in senso proprio - un crescente numero di persone e istituzioni familiarizzarsi con tecniche finanziarie anche sofisticate e procedere a concessioni di denaro a prestito». Si stabilì in tal modo «un tessuto connettivo di crediti minuti e diffusi, che funzionava in base a meccanismi sociali di fidelizzazione reciproca e di circolazione di informazioni e garanzie reputazìonalì fra prestatori e debitori.... Meccanismi entro cui la detenzione di una pubblica fama di ortodossia religiosa giocava sicuramente un ruolo determinante».
  La preistoria dell'Inquisizione ha inizio da un momento indeterminato, tra la fine del XII e la metà del XIII secolo, quando si formò una struttura sovrannazionale di governo ecclesiastico. È la conseguenza dell'opera di due papi: Gregorio VII (1073-1085) e, soprattutto, Innocenzo III (1198-1216). Pontefici che sancirono non solo la superiorità del vescovo di Roma sull'imperatore in tema di nomina e deposizione dei principi e dei vescovi feudatari, ma anche il potere di governare gerarchicamente tutta la cristianità occidentale. La struttura inquisitoriale della Chiesa agli inizi del secondo millennio operava in modi rudimentali, per delega diretta del Papa e grazie ai membri dei nuovi ordini mendicanti: domenicano e francescano. Le aree di influenza di questi agenti, che si dedicavano a combattere le eresie, furono prevalentemente la penisola Italiana, la Francia del sud e l'Aragona. In terra franco-tedesca le potenti Chiese episcopali fecero da sé. Fin dal Medioevo i giudici di fede inflissero ai loro condannati pene pecuniarie, talvolta in cambio dell'attenuazione di castighi fisici o spirituali. E si segnalarono quasi subito casi di malversazione.
  A mettere ordine in questa complicata situazione provvide la creazione delle tre Inquisizioni mediterranee: la spagnola (1478), la portoghese (1536) e, ultima, quella romana (1542). Le prime due nacquero, secondo l'autore, come «frutto di una connessione istituzionale tra giurisdizione ecclesiastica 'e potere statale». E fu proprio la natura di tribunale ecclesiastico controllato dallo Stato, sostiene Maìfreda, «a farne uno strumento repressivo di grande duttilità e potenza, in grado di superare le norme canoniche medievali per procedere con la notoria durezza e con grande libertà d'azione». Tutti gli ufficiali dell'Inquisizione spagnola avevano il rango di ministri del re e come tali erano pagati dal sovrano. I pontefici si riservavano un forte potere di intervento, finché entrarono con loro in aperto conflitto. Urto che portò alla decisione di Leone X, nel 1520, di imporre le dimissioni di massa di tutti i suoi ufficiali, con l'unica eccezione dell'inquisitore generale Adriano di Utrecht. E allo smantellamento dell'intera struttura spagnola. Anche stavolta al Papa si poneva il problema di reagire ad accuse di malversazioni che venivano dal reggente di Castiglia, Francisco Iiménez Cisneros, il quale aveva rimproverato agli inquisitori di essersi dedicati a «vender la fe' catolica». Ma non fu soltanto per ovviare a questo genere di problemi (i quali, anzi, si sarebbero riproposti) che Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, nel 1542 - più o meno all'epoca in cui convocò il Concilio di Trento - creò quella che presto avrebbe preso il nome di Congregazione del Sant'Offìcio, A fargli prendere la decisione di compiere questo passo era stato il governatore della Milano spagnola, il marchese del Vasto che, considerando insufficiente l'impegno dell'inquisitore locale nel combattere la diffusione delle dottrine protestanti, invocò un intervento della Curia romana.
  Paolo III, nel concistoro del 15 luglio 1541, assegnò ai cardinali Gian Pietro Carafa de Girolamo Aleandro «la cura universale della Inquìsitìone», concedendo loro «i poteri di nominare liberamente, inviare e coordinare l'azione di nuovi giudici di fede in tutta la cristianità». Il disegno di Paolo III e ancor più quello dei suoi successori (Carafa in primo luogo, che, in segno di continuità con il Farnese, prese il nome di Paolo IV), era quello di fronteggiare l'eresia luterana, restituendo alla Chiesa di Roma una centralità indiscussa. Centralità che determinò una rivoluzione economica. La redistribuzione delle risorse che, tra Cinque e Seicento, i pontefici attuarono a vantaggio dell'Inquisizione e a danno delle diocesi costituì, secondo Maifreda, «un momento importante e fino a ora poco indagato del rafforzamento del centralismo romano». È la tesi già sostenuta da Rudolf Lill ne Il potere dei papi dall'età moderna a oggi (Laterza). Dopo il Concilio di Trento si pose il problema di far capire quanto contasse davvero il Papa. Tutto quel che avvenne in seguito, scrive Maifreda, faceva parte di «una strategia volta a riequilibrare i poteri che il Concilio aveva conferito ai vescovi, affiancando loro i membri degli ordini vecchi e nuovi, ritenuti meno condizionabili dalle pressioni dei ceti aristocratici e dai potentati locali».
  Ma con il pontificato di Paolo IV Carafa (1555-1559) si ha anche un fondamentale momento di discontinuità nella storia dell'Inquisizione moderna. Tutto era iniziato a Bergamo, dove dal 1550 frate Michele Ghisleri (futuro papa Pio V) aveva indagato in segreto sull'ortodossia del vescovo Vittore Soranzo, subendone un'aggressione armata che lo costrinse addirittura a fuggire a cavallo dal convento. Non prima però che avesse messo in salvo l'incartamento processuale contro l'ordinario. Dopo che Soranzo nel 1554 ebbe la meglio, la diocesi fu di fatto commissariata dal Sant'Officio e questo non fu che il caso più eclatante del conflitto, incoraggiato da numerosi papi, tra inquisitori e vescovi. Di qui inizia un fenomeno che si protrarrà a lungo e sarà detto della «renitenza vescovìle». Nel 1594 il vescovo di Vercelli fece addirittura sequestrare le entrate beneficiarie delllnquisizione locale. Conflitti del genere si ebbero poi lungo il corso di tutto il Seicento: a Rovigo, Gubbio, Imola.
  Lo storico poi si sofferma sulla confisca, da intendersi come una forma di «cancellazione del passato». Confisca che, quando nel 1542 nacque l'Inquisizione romana, aveva alle spalle una storia millenaria che affondava le proprie radici nel diritto di Roma antica. Pochi, scrive Maifreda, «oggi ricordano che l'istituto giuridico della confisca dei beni dei condannati, che riguarda soprattutto chi riceva la pena di morte, praticato fin dall'epoca romana e poi per tutto il Medioevo e l'età moderna, fu al centro di un acceso dibattito nell'età dei Lumi, principalmente per le implicazioni morali e filosofiche che gli erano intrinseche». Mise ben a fuoco il tema Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene (1764). Osservò, Beccaria, che confiscare i beni legittimamente accumulati da un individuo equivaleva a estenderne la pena ai collaterali e discendenti, sebbene fossero giuridicamente innocenti: «Ciò, oltre che moralmente ingiusto ... rappresenta una condanna a morte di fatto, con il troncamento di ogni suo legame con il consorzio civile, e la cancellazione non solo del suo presente e del suo futuro, ma anche del suo passato». La confisca «turbava in misura irreparabile gli assetti sociali e fiduciari che spingevano gli attori a stipulare dei contratti - compravendite, prestiti, affittanze, lasciti e quant'altro - contando sulla continuità della garanzia dei diritti di proprietà e dei legami informali». Sicché i circuiti economici animati in Italia da mercanti provenienti da aree europee a preminenza religiosa riformata, o da colleghi peninsulari che periodicamente soggiornavano o avevano dimorato a lungo in tali aree fino aquando ciò fu consentito - vale a dire la fine del Cinquecento - vedevano, in questo quadro, il più alto rischio che i loro protagonisti rimanessero impigliati nelle maglie dell'Inquisizione romana. Ciò che creava sui mercati italiani un clima di incertezza generalizzato anche se, ammette Maifreda, è impossibile dire in che misura tutto questo avvenisse.
  In ogni caso, però, con la confisca l'Inquisizione si diffondeva nella società «moltiplicando le dignità, gli uffici e i soggetti che con essa collaboravano e, in ultima istanza, la sua visibilità e la sua forza». Donne e uomini «che mai si sarebbero inoltrati volontariamente nei meandri delle procedure d'Inquisizione furono mobilitati da autorità pubbliche e religiose, le quali convocandoli, interrogandoli, nominandoli forzatamente loro rappresentanti, intaccandone direttamente o indirettamente i diritti patrimoniali, li precipitarono nel gorgo della repressione del dissenso religioso». Essi furono così trasformati in «testimonianze viventi, in mano ai tribunali confessionali, del potere superiore» di «disarticolare alcuni fondamenti morali del sistema sociale, tra cui la certezza dei diritti di proprietà, la perpetuazione del sistema successorio e il legame tra unitarietà patrimoniale e identità familiare, che una grave condanna poteva spezzare per sempre».
  Ma la situazione che si venne a creare nel mondo che ebbe al centro l'Inquisizione è ancora più complicata. Valga per far comprendere la portata dell'intreccio una vicenda della seconda metà del Cinquecento. L'autore ricorda il caso di un inquisitore di Milano il quale, nel corso di una confisca, scoprì che l'eretico Bernardino Appiani di Pallanza - medico studioso di teologia e scienze occulte fuggito dal carcere nel 1571 e successivamente arso in effigie - vantava un credito di quasi duemila scudi d'oro nei confronti del conte Giorgio Costa della Trinità, capitano generale della tragica spedizione militare voluta nel 1560 da Emanuele Filiberto di Savoia contro le valli valdesi. Il grande dissidente si scopriva così essere stato finanziatore di una crociata contro gli eretici.
  Gli inquisitori romani di età moderna, scrive Maifreda, «non furono, come potrebbe lasciar intendere una letteratura storiografica tutta schiacciata sulla dimensione processuale, oscuri teologi claustrali, periodicamente affioranti da buie aule conventuali per castigare crudelmente delitti di fede e tornare, subito dopo, a una vita di erudizione e contemplazione, in attesa di perseguire una nuova vittima». Essi furono invece «costantemente immersi in un fluire vitale di relazioni politiche e sociali, nello sforzo di gestire attività economiche la cui cura richiedeva un impegno prosaico, puntuale e continuo». Gradualmente, «gli inquisitori impararono a trasformarsi in amministratori di patrimoni accumulati dai loro predecessori tramite confische, multe, compravendite, prestiti di denaro, lasciti ereditari e diverse altre forme di investimento». E in ciò «manifestarono una vitalità che, seppur entro i limiti e la vigilanza stabilita da Roma, li avvicinò a possidenti privati e li fece entrare entro segmenti rilevanti dei circuiti commerciali e creditizi dell'Antico Regime». Le principali sedi peninsulari del Sant'Officio manifestarono, lungo tutta la loro storia, una intraprendenza finanziaria e patrimoniale «per certi aspetti sorprendente». Per gli inquisitori, che così attentamente amministravano il patrimonio dei tribunali locali, rappresentare l'Inquisizione poteva costituire un significativo vantaggio sul «mercato» del credito, degli immobili e dei contratti agrari.
  Ma ci fu anche dell'altro. All'inizio del Seicento si ebbero alcune situazioni che testimoniano un'evidente «sovrapposizione fra giurisdizione inquisitoriale, intrecci politici e interessi materiali». Ranuccio Farnese, duca di Parma e Piacenza, istruì e condusse personalmente un imponente processo per stregoneria dopo aver ottenuto da diversi nobili locali la «confessione» di aver preso parte ad una fantasiosa congiura contro alcuni sovrani della penisola, 18 cardinali e lo stesso Papa. Processo che si concluse nel maggio del 1612 con la decapitazione e l'impiccagione di dieci persone nella piazza principale di Parma, nel corso di una lugubre cerimonia che durò oltre tre ore. In agosto poi furono impiccati due prelati. Successivamente il Farnese si impadronì di terre e beni dei condannati a morte. Qualcosa di analogo - anche se di segno diverso - accadde nella Torino dei Savoia. Qui, nel 1634, una «posseduta», la nobile decaduta Margherita Roera, esorcizzata da un frate domenicano, accusò il plenipotenziario ducale Lelio Cauda di aver ammaliato Vittorio Amedeo I. Venne inscenata anche una finta possessione. Ma fu subito evidente il tentativo dell'inquisitore, Girolamo Robiolo, di screditare Cauda per mandare in frantumi il suo sistema di potere. Vittorio Amedeo reagì e riuscì a ottenere l'arresto dell'inquisitore da parte del provinciale domenicano. E dal Sant'Officio venne una condanna esemplare di coloro che avevano partecipato al complotto.
  Contemporaneamente, in epoca «immediatamente successiva alla chiusura della fase più acuta della repressione antiluterana» si ebbe, poi, quella che può essere definita una «specializzazione antiebraica» dei tribunali inquisitoriali. Siamo qui, ha scritto Adriano Prosperi «nel cuore dell'antiebraismo cattolico, cioè di quella lunga guerra di posizione condotta dal cattolicesimo nei confronti di una presenza tollerata ma certamente non amata». «Specializzazione antìebraìca» o forse «specializzazione ebraica» (tema ben approfondito in alcuni studi da Marina Caffiero), che diede una forte caratterizzazione al Sant'Officio. Quantomeno fino al 1769, quando papa Clemente XIV trasferì dall'Inquisizione, che la deteneva dal 1581, al vicariato di Roma, la giurisdizione su tutte le cause non religiose o commerciali in cui fosse implicata la locale comunità israelitica. Ma, attenzione, le cose andarono in modo diverso da come le si è percepite. Colpiscono i numerosi casi in cui il Sant'Officio romano nel Sei e nel Settecento, fu capace di respingere le cause intentate dai negozianti cristiani i quali, per difendere i loro monopoli sui mercati cittadini, inventavano ogni genere di accuse contro i concorrenti israeliti. Marina Caffiero e Angela Groppi hanno individuato molti casi in cui il Sant'Officio «si fece garante degli ebrei» nei confronti dei gentili che miravano a Iimitarne la presenza fuori dai ghetti, «minacciando o rompendo monopoli commerciali di cui i cristiani godevano da secoli». C'erano stati, è vero, episodi terribili come quello dei roghi degli ebrei anconetani di metà Cinquecento, in cui anche l'Inquisizione ebbe una parte non di secondo piano. Orrori finalizzati ad appropriarsi dei beni degli ebrei. Ma, afferma lo storico, «allo stato attuale degli studi non pare tuttavia possibile scorgere entro il sistema dei tribunali centrale e locali italiani di metà e secondo XVI secolo una sistematica opera di incameramento dei beni di persone coinvolte in processi inquisitoriali, né un'integrazione fra procedura di fede ordinaria e indagini patrimoniali paragonabili a quelle evidenziate dagli studi inerenti il caso spagnolo».
  E restiamo nelle Marche. Nell'agosto del 1624 l'inquisitore di Ancona ricevette una richiesta d'aiuto da parte della comunità ebraica locale, che si riteneva molestata dal neofito Giovan Giorgio Aldobrandino. E interessante notare come gli ebrei preferissero rivolgersi all'Inquisizione piuttosto che al vescovo. Ritenevano evidentemente che il tribunale del Sant'Officio «fornisse loro maggiori garanzie di correttezza procedurale rispetto all'asserita rapacità di quello vescovile». E infatti l'autorità diede loro ragione. Con l'inquisitore che denunciava come le cause del Sant'Officio alla corte episcopale di Ancona si facessero «malissimo, perché non vi è segretezza et ogni cosa è venale, et in cambio di trattarle santamente servono per fare estorsioni de' denari (che se nella corte episcopale si facessero le cause del Santo Officio gratis, et pro Deo amore, come in questo santo tribunale, non sarebbono così solleciti in procurare dette cause con dare anco buona mano o stipendio a denuncianti)» . E si riconosceva il torto di un altro neofito, Paolo Savello, che aveva accusato un ebreo per stupro ad esclusivo scopo di lucro. Savello, secondo l'inquisitore, aveva fatto «questa inventione diabolica per cavarli (all'ebreo, ndr) danari dalle mani, fingendo che ne sia accusato all'Inquisitione». Per merito dell'Inquisizione venivano alla luce personaggi all'interno delle corti episcopali, specializzati in pratiche quali «coprirsi del Santo Officio e sotto il suo nome con false iniuntioni rubbare li denari alli poveri hebreì». Il caso di Ancona, secondo Maifreda, «da un lato richiama la consumata abilità degli israeliti, frutto di plurisecolare necessità, nello scivolare tra le maglie giurisdizionali dei tribunali ecclesiastici e fra questi e le corti e magistrature secolari, a scopo autodifensivo; dall'altro dimostra però che i rapporti fra Inquisizione e comunità ebraiche furono più plastici di quanto non evidenzi l'analisi dei processi fondati su aspetti strettamente religiosi».
  Già Grado Giovanni Merlo ne Il cristianesimo medievale in Occidente (Laterza) ha fatto notare come il ricorso agli strumenti di coercizione violenta non sia stato determinante nella vittoria della Chiesa romana sugli eretici. Per quanto «il pubblico non specialista, come già in passato eruditi mossi da, espressi o sottaciuti, intenti polemici» avverte Maifreda «possa inevitabilmente essere sedotto dalla miscela di attrazione e repulsione suscitata dalla dimensione cruenta dell'operato inquisitoriale, è oramai da ritenersi superata un'impostazione del discorso sull'Inquisizione imperniata sulla contrapposizione fra apologetica e Leyenda negra». Lo storico, però, poi mette le mani avanti: la sua «lettura aperta del funzionamento dei tribunali dell'Inquisizione non si propone assolutamente di schiacciare il loro operato sulla mera dimensione economica, ciò che sarebbe scorretto sotto il profilo epistemologico oltre che, allo stato attuale della documentazione e delle ricerche, rigorosamente indimostrabile». Tale modo di guardare all'Inquisizione, però, «può consentirci di dischiudere l'interpretazione dell'operato dei tribunali di fede a una pluralità di variabili e a una circolarità di decisioni e funzioni, i cui molteplici presupposti e conseguenze sono da vagliare caso per caso». E, talvolta, sezionando anche il singolo caso. Meritoriamente.

(Corriere della Sera, 18 febbraio 2014)


Deutsche Bank esclude una banca israeliana da investimenti etici

La più grande banca tedesca ha incluso la Poalim Bank israeliana in una lista di compagnie riguardo le quali gli investimenti sollevano questioni etiche.

BERLINO - Deutsche Bank, la più grande banca tedesca, ha incluso la Poalim Bank israeliana in una lista di compagnie riguardo le quali gli investimenti sollevano questioni etiche. Lo riferisce il quotidiano Maariv secondo cui l'istituto israeliano si trova in una lista di sedici compagnie, fra cui alcune impegnate in traffici di armi. Ieri il premier Benyamin Netanyahu ha affermato che il boicottaggio economico di Israele è una forma di antisemitismo.
Maariv precisa che la Poalim Bank è stata inclusa nella 'lista nera' - compilata da una società esterna alla Deutsche Bank - a causa delle sue attività in Cisgiordania. Fra le compagnie per le quali sussistono questioni etiche figurano peraltro in quella lista, secondo Maariv, anche Lockheed Martin, Northtrop, e Nissan. La Poalim Bank non ha finora espresso commenti.
Ieri, incontrando a Gerusalemme dirigenti di organizzazioni ebraiche statunitensi, Netanyahu ha affermato: "La cosa più riprovevole è di vedere persone sul suolo dell'Europa parlare del boicottaggio di ebrei. È un fenomeno oltraggioso... In passato gli antisemiti boicottavano esercizi di proprietà ebraica, adesso invocano il boicottaggio dello Stato ebraico, e del solo Stato ebraico". Netanyahu ha diretto in particolare le sue critiche contro i membri del movimento Bds (che sostiene il disinvestimento in Israele) definendoli "antisemiti con panni moderni".

(Ticinonline, 18 febbraio 2014)


Legge ebraica e informazione

di Ada Treves

Il seminario tenuto dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni presso la sede dell'Associazione Romana della Stampa.
Grande successo per il primo appuntamento del seminario "Legge ebraica e problemi dell'informazione" organizzato dalla redazione del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche e del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it in collaborazione con il Collegio Rabbinico Italiano. L'intervento inaugurale della seconda edizione del seminario, tenuto dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, si è svolto presso la sede dell'Associazione Romana della Stampa. E' stato il suo presidente, Paolo Butturini, a dare in apertura il benvenuto ai giornalisti che affollavano la sala, sottolineando l'importanza di un genere di incontri che portino i professionisti dell'informazione a confrontarsi con posizioni e punti di vista spesso poco noti, che permettano uno sguardo ancorato su basi etiche e morali forti. Guido Vitale, direttore di Pagine Ebraiche e coordinatore dei dipartimenti informazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha spiegato che uno dei grossi problemi dell'ebraismo italiano, che la stampa ebraica e i giornalisti ebrei devono impegnarsi a correggere, non è certo dato da un mancanza di visibilità. Sarebbe invece importante impegnarsi per fare giornali diversi che sappiano raccontare la minoranza ebraica italiana - che è presente sui media in maniera regolare e a volte eccessiva - in maniera più corrispondente alla realtà, senza quei problemi di percezione che invece a volte sono evidenti.
   Il rabbino capo di Roma ha immediatamente conquistato la simpatia dei presenti ammettendo un poco di preoccupazione all'idea di proporre un ragionamento sull'etica dell'informazione a coloro che dell'informazione sono professionisti e hanno leggi e codici deontologici in proposito. In una società in cui è grande la curiosità per i temi etici manca del tutto la consapevolezza che le diverse religioni non solo raramente hanno una visione univoca, ma possono avere posizioni non solo diverse, ma anche diametralmente opposte nei confronti dei grandi temi. Il pregiudizio teologico dovuto alla cultura e alla formazione di ognuno è capace di guidare l'analisi dei fatti ed è dunque necessario smontare ogni schema precostituito e partire da una informazione adeguata. Il rav ha ricordato ai presenti come per l'ebraismo, cultura dell'udito e non della vista, la parola abbia un grandissimo potere: le parole possono creare il mondo e possono distruggerlo, e il modo in cui vengono usate è fondamentale. Da un esempio biblico all'altro, passando dalla storia di Giuseppe a quella di Miriam per mostrare come già nella Torah si affrontino in maniera dettagliata alcuni problemi dell'informazione molto attuali, come la selezione delle informazioni, l'attenzione alla riservatezza ("parola italiana valida almeno quanto l'abusata versione inglese"), il rav ha saputo mostrare tutta l'attualità dell'ebraismo, in cui i diritti non sono trattati in maniera diretta ma discendono dai divieti. Norme già presenti nella Torah, codificazioni successive, ragionamenti di grandi pensatori di tutte le epoche hanno costruito una grande mole di regole che hanno permesso di ragionare in maniera quanto mai attuale sulla diffamazione, su come sia importante sapere la finalità con cui si scrive, conoscere le proprie motivazioni, ed essere consapevoli che anche il modo in cui le notizie vengono divulgate, come, e quando ha un suo peso. Questioni importanti, su cui i professionisti dell'informazione non possono non soffermarsi, e che la tradizione ebraica può informare con punti di vista diversi, stimolando un ragionamento che percorre strade inconsuete e forse, per questo più stimolanti. I presenti in sala, fra cui il consigliere UCEI Anselmo Calò, molti rappresentanti delle principali testate italiane e diversi giovani, hanno colto l'occasione per rivolgere al rav Di Segni varie domande partendo da come viene raccontata la questione mediorientale. Il rav ha fatto presente come esista uno evidente sbilanciamento dell'informazione, che riserva a Israele una attenzione spesso sproporzionata, ma ha poi risposto chiaramente che criticare il governo israeliano è un dovere, come lo è criticare qualsiasi altro governo. La critica deve però essere documentata, e la coscienza morale di ognuno deve essere coerente, e non portare a reagire in modo differente a seconda dell'argomento trattato. E, ha aggiunto con bonaria ironia il rav in chiusura, a volte sarebbe utile fare un po' di psicoanalisi e ragionare sulla propria formazione intellettuale. La grande curiosità dei presenti ha trovato in rav Di Segni totale disponibilità ad affrontare gli argomenti più diversi, e non solo quell'etica dell'informazione che sarà il centro degli incontri previsti per oggi pomeriggio e per la giornata di domani, mostrando come sia grande la volontà di incontrarsi, confrontarsi e capirsi.

(moked, 18 febbraio 2014)


Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono, che diceva: Ecco la dimora di Dio con gli uomini; ed Egli dimorerà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci sarà più cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate.
Dal libro dell'Apocalisse, cap. 21







 

In Danimarca vietata la macellazione kosher e halal degli animali

In Danimarca è stata promulgata una legge che vieta la macellazione gli animali senza stordimento da scosse elettriche. L'innovazione è del Ministro dell'Agricoltura e dell'Industria Alimentare di Danimarca Dan Jørgensen che ha detto che la macellazione degli animali senza sofferenza è più importante di ogni usanza religiosa. Lo stesso ministro ha ammesso che in Danimarca vi è domanda per la macellazione di animali nei modi prescritti dalle tradizioni delle religioni ebraica e musulmana, ma ha ugualmente fatto ogni sforzo per lavorare alla approvazione della legge.
In precedenza, una legge simile che vieta la macellazione rituale senza stordimento, è stata adottata dalle autorità di Svezia e Norvegia.

(La Voce della Russia, 18 febbraio 2014)


Dopo gli ebrei, anche i moriscos chiedono il riconoscimento alla Spagna

 
L'alcazar di Siviglia, un gioiello architettonico del periodo islamico in Andalusia
MADRID - Dopo il 'risarcimento storico' da parte della Spagna nei confronti degli ebrei sefarditi, con la concessione della nazionalità ai discendenti di quanti furono espulsi dai Re Cattolici nel 1492, ora anche i discendenti dei moriscos, i musulmani costretti a lasciare la penisola iberica nel XVII secolo, reclamano un riconoscimento.
Sono centinaia le famiglie che furono accolte nelle città marocchine di Tetuan, Rabat e Fez, che ancora conservano i cognomi di origini spagnole: Loubaris, da Olivares, Bargachi, da Vegas, Buano da Bueno, Sordo, Denia, Lucas e molti altri. "Lo Stato spagnolo dovrebbe riconoscere loro stesso diritto, perché in caso contrario la sua decisione sarebbe selettiva, per non dire razzista", ha assicurato in dichiarazioni ai media Bayib Loubaris, presidente dell'Associazione Memoria degli Andalusi, il nome che fu dato in Marocco ai discendenti dei circa 300.000 musulmani espulsi. Il governo spagnolo ha annunciato lo scorso 7 febbraio una modifica del Codice Civile per concedere la nazionalità a tutti gli ebrei sefarditi in grado di provare la propria discendenza.
Si stima siano circa tre milioni di persone, residenti principalmente in Israele, Francia, Stati Uniti, Turchia, Messico, Argentina o Cile, discendenti dagli ebrei espulsi quando, dopo aver strappato Granada dai musulmani, i Re Cattolici pubblicarono alla fine del '400 un editto di conversione al cattolicesimo: chi non si convertiva doveva emigrare; ma solo all'inizio del '600 cacciarono tutti gli islamici. Gli esuli si insediarono in molti paesi del Mediterraneo, mantenendo i costumi e la lingua di origine. Loubaris plaude alla 'riparazione storica' nei confronti dei sefarditi, che ha già scatenato in Israele una corsa ad ambasciate e consolati spagnoli, per chiedere la nazionalità. E ha spiegato che quest'ultima non è la priorità delle rivendicazioni dell'Associazione Memoria degli Andalusi, anche se alcuni dei membri hanno già in passato inviato lettere al re Juan Carlos per sollecitarla. Ma rivendica un "gesto di riparazione" anche nei confronti dei moriscos, che sebbene a differenza dei sefarditi non abbiano conservato la lingua spagnola, continuano a preservare in Marocco architettura, indumenti, gastronomia e musica che rimandano alla Spagna.

(ANSAmed, 18 febbraio 2014)


Israele viola la Convenzione di Ginevra?

di Michael Curtis

Una visita al Museo della Scienza e dell'Industria di Chicago suscita alcune riflessioni circa le accuse di crimini di guerra mosse da certi ambienti ad Israele, ritenuto reo di violare le Convenzioni Internazionali di Ginevra del 1929 e del 1949. Il museo ospita l'U Boat 505, di fabbricazione tedesca: il sottomarino che dava la caccia alle imbarcazioni americane e alleate nei mari dell'Africa Occidentale durante la II Guerra Mondiale. L'U Boat fu l'unico sottomarino catturato dalla flotta navale americana: intercettato dall'USS Chatelain nel Giugno 1944, fu rimorchiato verso Bermuda.
L'aspetto rilevante è che la Marina americana catturò non solo l'intero equipaggio, ma sequestrò anche due apparecchiatura Enigma: lo strumento che consentiva di decrittare i messaggi in codice tedeschi. Comprendendo la rilevanza di Enigma, l'ammiraglio Ernest J. King, responsabile delle operazioni navali e Comandante in Capo della flotta americana, emise un ordine che rese segreta la cattura dell'U Boat 505. Egli non voleva che i nazisti comprendessero che il loro sistema di codifica fosse entrato in mano al nemico, rendendo così necessario il suo accantonamento. King sapeva che questa condotta violata la Terza Convenzione di Ginevra, relativa al trattamento dei prigionieri, e stilata il 27 luglio 1929. I suoi ordini comportarono che la Croca Rossa non fu informata della cattura e delle identità dei tedeschi arrestati....

(Il Borghesino, 18 febbraio 2014)


L'ambasciatore di Israele incontra la Comunità Ebraica di Torino

TORINO - Visita ufficiale a Torino per l'ambasciatore di Israele a Roma Naor Gilon. In mattinata l'incontro con il sindaco Piero Fassino e con alcuni imprenditori piemontesi. Al termine degli incontri l'ambasciatore ha visitato le scuole ebraiche intrattenendosi con insegnanti e studenti. A riceverlo in Comunità il presidente Beppe Segre e i vicepresidenti Emanuel Segre Amar e David Sorani.
Al termine della mattinata colazione di lavoro nel ristorante Alef di Torino assieme, tra gli altri, anche al vicepresidente UCEI Giulio Disegni, al consigliere UCEI Claudia De Benedetti e a numerosi consiglieri e membri della Comunità torinese.

(moked, 18 febbraio 2014)


New York, la sinagoga nel grattacielo

L'imprenditore immobiliare che ha fatto discutere New York per il controverso progetto di realizzare un centro di culto islamico a pochi metri dal World Trade Center, vorrebbe demolire una sinagoga per realizzare un nuovo grattacielo di lusso nel cuore della Grande Mela. Ma promette: "Le troverò un posto ancora migliore".

di Francesco Semprini

NEW YORK - Dopo la moschea della discordia, la sinagoga della pacificazione. Sharif el-Gamal, l'imprenditore immobiliare che ha fatto discutere New York e non solo per il controverso progetto di realizzare un centro di culto islamico a pochi metri dal World Trade Center, ora ci riprova. Questa volta el-Gamal, e la sua società SoHo Properties, vorrebbero demolire una sinagoga per realizzare un nuovo grattacielo di lusso nel cuore della Grande Mela.
Questa volta tuttavia la questione non è prettamente religiosa e civica come per «Park 51», la moschea che sarebbe dovuta sorgere a «Lower Manhattan» nei pressi di Ground Zero. Un piano che il «developer» è stato costretto ad abbandonare per le proteste della popolazione e di non pochi politici che gridavano alla vergogna. Sarebbe stato un affronto, erigere un centro islamico a pochi passi da dove si è consumato il più grave attacco terroristico della storia moderna, per mano proprio di estremisti islamici.
La questione è diversa, ovvero SoHo Partners ha acquistato in cordata con un altro operatore, Murray Hill Properties, una proprietà nei pressi di Times Square, dalla Parsons, la scuola di design di New York, per 61,5 milioni. Si tratta di un palazzo che fra l'altro ospita anche una sinagoga, per 80 anni punto di riferimento degli ebrei della zona. L'immobile è inoltre in uno degli ultimi angoli della Piazza dalle mille luci che non è stato toccato dai lavori di trasformazione che hanno mutato il cuore di New York in questi ultimi anni. Un affare ghiottissimo per el-Gamal e i suoi soci pronti a finalizzare l'accordo ad ogni costo. Per questo si sono detti disposti a fare una donazione alla sinagoga per una sistemazione temporanea, e poi trovare nuovamente posto all'interno del nuovo immobile una volta completato.
Insomma il luogo di culto rimarrebbe nello stesso posto, ma in una nuova veste, in un palazzo modernissimo accanto a negozi e centri per turisti. Questa volta però anziché sollevare polemiche e discordia, il progetto ha raccolto l'approvazione dei leader del centro di culto ebraico, che sembrano assai soddisfatti della proposta, nonostante l'associazione di idee tra el-Gamal e Park 51, comune all'opinione pubblica, deporrebbe a sfavore. Ma il pragmatismo ha sembra aver prevalso. «Abbiamo un accordo eccellente, blindato direi - avverte il co-presidente della sinagoga - Del resto a queste condizioni anche se l'investitore fosse stato Malcolm X, sarebbe stato lui il nostro proprietario».

(La Stampa, 17 febbraio 2014)


La password racchiusa in un suono

Google ha acquistato la startup SlickLogin, specializzata in password 'sonore', più sicure perché a doppia verifica. La società di Tel Aviv rende nota l'operazione sul suo sito senza specificarne i dettagli finanziari.

di Celia Guimaraes

Nata in Israele, SlickLogin ha sviluppato una tecnologia che consente ai siti web di identificare gli utenti dalle onde sonore generate dagli altoparlanti del proprio device. "Google - scrive SlickLogin sul suo sito web - è stata la prima compagnia ad offrire a tutti, gratuitamente, un sistema di identificazione a due fattori e sta lavorando ad alcune idee grandiose che renderanno internet più sicuro per tutti. Non potremmo essere più contenti di unirci ai loro sforzi".
Il sistema ideato dalla start up funziona in questo modo: visitando il sito web nel quale si desidera effettuare l'accesso, gli altoparlanti del computer producono un suono univoco, quasi impercettibile all'orecchio dell'uomo, che viene intercettato da un'applicazione ad hoc sullo smartphone.
L'app analizza le onde sonore e invia conferma dell'utente. Molti siti web, come Google ma anche siti di servizi finanziari, hanno introdotto negli ultimi anni un sistema di verifica a doppia autenticazione: oltre a nome utente e password bisogna inserire anche un token, codice numerico inviato di volta in volta al proprio smartphone o generato da appositi dispositivi.

(RaiNews24, 17 febbraio 2014)


Video
Succede in Israele: i dribbling del gallo

Nel match di prima divisione israeliana tra Hapoel Tel Aviv e Bnei Yehuda, il gioco viene interrotto da un'insolita invasione di campo. Un gallo fa il suo ingresso sul manto erboso e dimostra di non avere alcuna intenzione di uscire. Gli steward provano ad afferrarlo, ma il pollo li evita uno ad uno in slalom. Lo stadio si trasforma in una corrida del gallo, con il pubblico divertito che incita il pennuto. L'uccello sfugge alla sicurezza e alla fine decide di abbandonare da solo il campo.

(la Repubblica, 17 febbraio 2014)


Israele proiettato verso i duecentomila italiani

Con 173 mila 500 italiani ospitati nel 2013 e una crescita pari al 2%, Israele guarda avanti: «Quest'anno - commenta il direttore dell'ufficio nazionale israeliano del turismo in Italia, Tzvi Lotan-, il mio target potrebbe essere quello di raggiungere finalmente i 200 mila ospiti dall'Italia. In verità il mio mandato terminerà alla fine di luglio e da agosto si insedierà la nuova direttrice, per cui penso che un obiettivo già soddisfacente sarebbe quello dei 185 mila italiani. A livello globale, lo scorso anno Israele ha ospitato 3 milioni 550 mila turisti, con un incremento del 6% sul 2012». Fra i motori della crescita sul mercato italiano, sicuramente i nuovi collegamenti aerei operati da diverse compagnie come El Al, easyJet, Meridiana, Arkia. A questi potrebbe da aprile aggiungersi anche Ryanair. «Il mio obiettivo resta quello di ampliare la rete dei to che vendono Israele; da quest'anno si aggiungerà anche Phone&Go, con quattro prodotti tematici per week end a Gerusalemme o Tel Aviv o per la classica settimana culturale».

(Travel Quotidiano, 17 febbraio 2014)


Efficienza italiana per dare energia agli ospedali d'Israele

di Enrico Netti

L'appuntamento è per il 20 marzo. Entro quella data la joint venture tra la milanese Prima Vera e il gruppo israeliano Tadiran presenterà il progetto per la gestione e l'effic i e ntamento energetico di undici ospedali in Israele. Una gara in cui la joint venture paritetica si misurerà con tre o quattro competitor per aggiudicarsi un contratto da circa 680 milioni di euro distribuiti nell'arco di 17 anni. In autunno si saprà il nome dell'impresa vincente.
Tadiran ci ha scelti come partner tecnologici, per le nostre competenze e il livello di specializzazione nell'ottimizzazione del fabbisogno energetico - spiega Domenico Catanese, presidente dell'azienda -. Per Prima Vera questa opportunità rappresenta il primo passo del suo processo d'internazionalizzazione».
L'obiettivo del Governo israeliano è di tagliare i consumi energetici delle proprie strutture, partendo dagli ospedali. In questo piano di ottimizzazione energetica sono richiesti le capacità d'investimento e innovazione e la garanzia di riuscire a raggiungere i risparmi energetici indicati. «Da parte nostra forniremo il modello organizzativo, la capacità e il know how necessario per valutare le ricadute degli interventi di efficientamento». Il partner israeliano avrà la responsabilità della parte energetica, oltre alla gestione diretta degli impianti. La spesa energetica sarà certificata e il fornitore del servizio dovrà migliorare la quota di risparmio per migliorare i propri margini. Un quinto dei risparmi ottenuti andrà alle stesse strutture ospedaliere.
Il cuore della soluzione che sarà utilizzata nasce nel centro di ricerca e sviluppo di Prima Vera: è un modello predittivo dei consumi, «un modello matematico interamente studiato e realizzato in Italia». In caso di vittoria i primi sei mesi di attività serviranno per certificare il livello di spesa storica. I successivi sei per progettare effettivamente gli interventi proposti in fase di gara. Nel secondo anno saranno effettuati gli interventi sugli impianti e le altre opere e potrebbero esserci positive ricadute per il made in Italy. «Non ci sono preclusioni all'impiego di tecnologie e macchinari italiani» sottolinea Catanese.
Oltre a Israele, la prossima tappa dell'internazionalizzazione della joint venture guarderà al mercato russo. «Abbiamo avviato colloqui con investitori locali che vogliono operare nel rinnovamento delle reti termiche urbane e nel teleriscaldamento, alimentato anche da fonti alternative». E nella seconda metà dell'anno Catanese punterà al mercato nordamericano, per l'efficientamento energetico non solo delle strutture sanitarie ma anche delle grandi catene alberghiere.

(Il Sole 24 Ore, 17 febbraio 2014)


Oltremare - Sheinkin
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Rehov Sheinkin è stata una tremenda delusione. Uno arriva a Tel Aviv, e, soprattutto se come me con un ingombrante passaggio newyorchese alle spalle, gli dicono subito "vai su Shenkin, ti sentirai come nel Village". Nel senso della zona di Greenwich Village a Manhattan. No, davvero, da dove escono e dove vanno quei gggiovani vestiti orrendamente e in modo inutilmente scoordinato? Shenkin non ha granchè del sonnambulo diurno, del post-intellettuale snob simpatico ed artistico del Village.
A guardar bene però, anche il buon Menachem Sheinkin non sarebbe stato un grande bohemien. Nel 1910, ancora in mezzo a dune di sabbia chiamate temporaneamente Achuzat Bayit: "Propongo il nome Tel Aviv, versione in ebraico del titolo "Alteneue Land" di Theodor Herzl", perchè il suono della parola è vicino all'arabo (?) e quindi i "locali" si sarebbero abituati subito al nome. Bontà sua. Sheinkin era anche quello che predicava l'arrivo di artigiani nel non-ancora-stato, per evitare che la parola ebreo finisse per indicare proprio in Erez Israel straccione e contadino. E tante grazie al movimento kibbutzista, all'ebreo che riprende a lavorare la terra, e via dicendo. Sheinkin cittadino per eccellenza, e così è la sua strada.
Su Rehov Sheinkin fra l'altro, al mio arrivo anni fa mancava anche la vegetazione: adesso hanno finito di rifare tutto il manto stradale, hanno ricavato una sottiletta di pista ciclabile e degli alberelli in fasce che avranno senso forse fra tre o quattro anni. Perciò all'epoca ho lasciato i negozietti e le boutique e sono passata oltre, arrivando fino a Sderot Rothschild, dove ho ritrovato il verde.
Su Rothschild, come su ogni Boulevard o Sderà, mi son sentita subito a casa. E' emersa la torinese che è in me, che ama il viale largo e alberato con il corso centrale (qui nell'interpretazione pro-pedoni, è la zona pedonale e ciclabile), ai lati i controviali, e due belle file di alberi alti e rigogliosi. Si aggiunga un concertino jazz improvvisato su di un angolo di marciapiede all'ombra. E chi ci ritorna, alla stretta Sheinkin?

(moked, 17 febbraio 2014)



Legge ebraica e informazione

ROMA - La Legge dell'ebraismo, la morale della tradizione ebraica e i problemi dell'Informazione che tutti i giornalisti si trovano quotidianamente ad affrontare. Una prospettiva diversa e meno conosciuta, quella della più antica comunità minoritaria, presente in Italia da oltre due millenni, per analizzare interrogativi e problemi che riguardano l'insieme della società.
Il seminario organizzato dalla redazione del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche e del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it in collaborazione con il Collegio Rabbinico Italiano si apre per la prima volta alla partecipazione di tutti i colleghi interessati a questi temi proprio per condividere gli interrogativi e per operare insieme nel mondo dell'informazione in maniera più consapevole.
L'intervento inaugurale di questa edizione del seminario sarà tenuto domani alle ore 10 nella sede dell'Associazione Romana della Stampa (piazza della Torretta 36 - Roma) dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni con una lezione cui potrà seguire un confronto con i giornalisti presenti. Un confronto aperto fra rabbini e giornalisti che la redazione giornalistica dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane conduce abitualmente in quello spirito di attenzione per i valori dell'ebraismo, ma anche di pratica quotidiana del libero dibattito fra idee ed esperienze diverse.
I lavori proseguiranno, sempre a porte aperte per tutti i colleghi giornalisti che desiderano partecipare, nel pomeriggio dello stesso giorno e per tutta la giornata seguente, mercoledì 19 febbraio, nelle sedi dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, del Centro Bibliografico UCEI e della Scuola ebraica di Roma.
Sono previsti fra gli altri gli interventi del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, del rav Yuval Cherlov (Università Bar Ilan di Tel Aviv), del rav Benedetto Carucci Viterbi (Scuola ebraica di Roma), del rav Alberto Moshe Somekh (Torino) e di Daniel Sacker (direttore della Comunicazione all'Ufficio del rabbino capo del Commonwealth - Londra).

(moked, 17 febbraio 2014)


Fabrizio: «Così a 44 anni ho scoperto di essere ebreo»

A 44 anni, la scoperta. «Sei ebreo». È l'inizio del viaggio di Fabrizio Candoni alla scoperta delle proprie radici, tenute a lui nascoste dai genitori. Tutto inizia il Giorno della memoria, quando a scuola sua figlia ascolta la testimonianza di Liliana Segre.

di Paola D'Amico

  
Fabrizio Candoni
Un uomo scopre, per caso, a 44 anni di essere ebreo. E inizia un viaggio a ritroso nel tempo per ritrovare le proprie radici. Tutto comincia nel Giorno della Memoria, quando la sua secondogenita incontra alla scuola Morosini una testimone della Shoah d'eccezione, Liliana Segre con il direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli. Non possono le parole di Liliana non lasciare il segno sulla bambina, che riporta a casa l'emozione di quel tragico racconto. E come un'eco quel racconto rimbalza fino alle Dolomiti, dove i genitori del nostro protagonista, Fabrizio Candoni, hanno deciso di vivere da qualche anno. Un fine settimana, la famigliola va a trovare i nonni e lì Fabrizio fa la cronistoria dell'incontro di Sophie con la testimone Liliana. L'anziana mamma, Jeannette, ascolta il figlio, la nipotina, la storia delle deportazioni su carri merci dal Binario 21 ai campi di concentramento nazisti. Poi dice a Fabrizio: «Ti devo raccontare una cosa...». «Pensavo dicesse che anche lei aveva fatto le scuole elementari alla Morosini. Invece no». Prende per mano quel figlio ormai cresciuto e lo porta in cantina. Apre un baule, fruga tra le carte ed estrae una pergamena ingiallita dal tempo: «Vedi, il mio cognome vero era Levy, non Charpiot. I miei genitori erano ebrei, lo sono lo e lo sei tu». Fabrizio rimane senza parole. «Difficile descrivere l'intensità dell'emozione che ho provato. Non è facile capacitarsi di come mia madre sia stata capace di custodire così gelosamente un segreto. E anche mio padre, Bruno, che ho interrogato, ovviamente, e mi ha detto di essere a conoscenza di tutto. Ho provato ad insistere. Papà, perché non me ne hai mai parlato? E lui: se non lo faceva la mamma, perché avrei dovuto farlo io?».
   Dopo la sorpresa, Fabrizio, manager di multinazionali, da 20 anni sempre in giro per il mondo, è rimasto affascinato dall'idea di riscoprire le proprie origini. «Sono cresciuto in una famiglia laica, con un papà scienziato, professore di fisica, non sono stato battezzato, ero esentato dalle lezioni di religione. Ora mi dico, sono ebreo. Ma non basta. Mia madre è nata a Nancy e ora voglio andare a scoprire qualcosa di più sulle sue origini e sulla storia della sua famiglia. Nancy è il capoluogo della Lorena, che segna il confine con la Germania. «Il suo certificato di nascita dice che è nata il 2 febbraio del 1935 come Jeannette Levy». Due giorni dopo, il 4 febbraio, un altro documento che Jeannette ha custodito per 78 anni, dice che viene affidata ai coniugi Lucien e Sara Charpiot. «Adottata, dunque. Questo è il secondo dato famigliare su cui voglio indagare. E stato un po' choccante scoprire che Lucien e Sara erano nonni adottivi. Erano molto benestanti, una famiglia conservatrice, tra loro si davano del 'voi'. Erano molto anziani e sono morti quando ero piccolo, avevo 9 anni. Abitavano in un grande attico a Nancy lo ricordo bene. La mamma, invece, a 22 anni venne in Italia e qui conobbe papà». Un tarlo assilla Fabrizio Candoni. «Mi sono domandato, se Sophie non avesse incontrato Liliana Segre e tutti assieme non avessimo raccontato la giornata della Memoria ai nonni, forse non avrei mai conosciuto le mie origini». Quella valigia sepolta in cantina, poteva non essere mai aperta. E certo, invece, di riuscire a riscrivere la storia della famiglia, risalire lungo l'albero genealogico materno. «Conto sulla burocrazia francese, ho visto come custodiscono gli atti e come sono meticolosi».
   Il manager, che tra l'altro ha inventato un microchip che verifica la sicurezza sui cantieri, è in partenza per Mosca. Al rientro scriverà il secondo capitolo della sua storia.

(Corriere della Sera, 17 febbraio 2014)


Quel paradiso diventato teatro di guerra

di Fiamma Nirenstein

Un attacco al passaggio di Taba con quattro morti e decine di feriti è un bel risultato per l'organizzazione Ansar Bait al Maqdis, senza dimenticare il bus di turisti cristiani che va da Santa Caterina in Egitto ai luoghi santi di Gerusalemme. L'autobus è scoppiato nei pochi metri che dividono Egitto e Israele, il primo ormai nelle mani del generale Sisi, il peggior nemico della Fratellanza Musulmana, il secondo l'odiata roccaforte degli ebrei, i nemici della Umma Islamica: la bomba collocata sotto il sedile del guidatore è scoppiata dove i sionisti avvertissero bene la minaccia. La strage è stata rivendicata dalla stessa organizzazione che qualche giorno fa ha lanciato due missili su Eilat, cittadina israeliana. I simboli non mancano: ieri è ripreso il processo a Morsi, il presidente estromesso, e la Fratellanza vuole proseguire la guerra. Ma al di là dei simboli la realtà parla di una inusitata violenza islamista in tutta l'aria mediorientale, dall'Iraq alla Siria, al Sinai, a Gaza, la Striscia dominata da Hamas, dove si approvigionano gruppi misti, beduini compiacenti, pendolari del terrore, inviati da Al Qaida, reclutatori delle organizzazioni con base in Iraq e in Siria, tutti uniti oggi contro l'Egitto ma anche contro Israele e il mondo cristiano. L'Egitto non sta a a guardare: chi parla di«assedio» israeliano a Gaza, ignora che l'Egitto sta costruendo una zona cuscinetto, che in un giorno solo distrugge 17 case e inonda di acqua sporca i tunnel da cui entrano e escono armi e rifornimenti vari, arresta sospetti a dozzine, distrugge uliveti, uccide in scontri a fuoco. Ieri Israele ha offerto subito le sue ambulanze per ricoverare i feriti negli ospedali israeliani. Il Sinai è ormai teatro di guerra: dal luglio vi hanno avuto luogo circa 300 attacchi jihadisti, e le violenze raggiungono il Cairo. Il gruppo che ieri ha compiuto l'attentato (Ansar Beit al Maqdis vuol dire «Sostegno di Gerusalemme») esiste dal 2011, è nato a Gaza. È curiosa la gaffe contenuta nel nome dell'associazione qaidista: Al Maqdis vuol dire Ha Migdash, Beit ha Migdash è l'antico nome del Tempio Ebraico che per primo sorse a Gerusalemme. Ansar ha compiuto un attacco in cui sono stati uccisi 8 israeliani e ha abbattuto un elicottero militare egiziano. Certi affermano che sia l'ala militare della Fratellanza, usa i canali ufficiali di Al Qaida (come il Fajr Madia Center) e il leaderdi Al Qaida Ayman Al Zawahiri la loda spesso. Nella penisola del Sinai, un tempo luogo di bellissime vacanze fra il blu del mare e il rosso delle montagne desertiche, ormai si aggirano, si alleano, si dividono molti altri gruppi determinati alla violenza contro cristiani, musulmani traditori, ebrei. Hanno soldi, armi, uno scopo: distruggere chiunque impedisca la creazione del Califfato mondiale.

(il Giornale, 17 febbraio 2014)


Balagan Café Orkestar, il Klezmer dei giovani fiorentini

Il fenomeno Klezmer formatosi a Firenze nel 2012 si racconta a Simon Says 101. Una chiacchierata con Eugenio Bacchini e Tamar Levi alla scoperta di uno dei generi musicali più affascinanti della storia.

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A volte capita che grandi personalità vantino illustri antenati. Allo stesso modo, anche alcuni generi musicali sono prole di generi più antichi e importanti. Il risultato è un albero genealogico tutt'altro che silenzioso.
Oggi parliamo di Klezmer, un genere musicale che viene spesso definito il "nonno" del jazz: musica tradizionale ebraica originaria dell'Europa orientale, nata negli shtetl, sviluppatasi nei ghetti, trasportata a bordo dei transatlantici e sopravvissuta fino ad oggi grazie al ruolo avuto nella nascita del jazz in America.
Violino, clarinetto, tromba, piccole percussioni, tutti strumenti facilmente trasportabili di villaggio in villaggio, elementi tipici di uno stile di vita spesso nomade a causa dei frequenti scoppi di violenza e intolleranza da parte delle popolazioni circostanti. Poi, col tempo, il Klezmer si è stabilizzato, ed ecco entrare in scena violoncelli, chitarre, sassofoni, magari anche qualche mandolino.
Proprio come la secolare storia ebraica, anche il Klezmer non si smentisce, e più passano gli anni, più persone cominciano a riscoprirlo, a far vivere nuovamente la magia di una musica coinvolgente, istintiva, carica di energia, improvvisazione e spontaneità. Il Klezmer non tralascia nulla: ora è gioioso, entusiasta, scatenato, ora è posato, lugubre, forse addirittura in lutto.
Il Klezmer suona con tale intensità da farsi sentire da migliaia di appassionati in giro per il mondo. Tra questi, anche a Firenze, in Italia, esiste da un paio di anni un gruppo, nato nella comunità ebraica locale, che ha subito catturato l'attenzione di molti all'interno della scena culturale del capoluogo toscano: mi riferisco alla Balagan Café Orkestar, un piccolo complesso Klezmer la cui forza sta nell'eterogeneità dei suoi componenti, in primis la larga fascia d'età.
A lanciare il progetto è stato un appassionato di musica Klezmer, Eugenio Bacchini, con il supporto del celebre musicista Enrico Fink; a dar vita all'idea sono stati poi alcuni giovani, tra cui anche la talentuosa quattordicenne Tamar Levi. Ho avuto la fortuna di chiacchierare per telefono sia con Eugenio che con Tamar, che mi hanno raccontato, da due punti di vista molto differenti, la storia della Balagan Café Orkestar.
"Due anni fa, in occasione di una festa di Purim nella comunità ebraica di Firenze, si è tenuto un seminario di musica e danze Klezmer con Enrico Fink e Steve Weintraub, coreografo di danze ebraiche", mi spiega Bacchini. "A me piace tantissimo la musica Klezmer, così mi sono detto, perché non organizziamo un progetto con i ragazzi?".
In quel momento, la giovane Tamar, violoncellista, si trovava a Boston, dove ha svolto un anno di studi presso una scuola media locale. Solo una volta tornata dal soggiorno ha sentito parlare del progetto e ha deciso di prenderne parte: "Sono entrata di botto", scherza. "All'inizio non sapevo nulla di questo genere musicale. Non avevo idea di cosa aspettarmi". Le ci vuole poco però per comprendere il ritmo di base suonato dal violoncello nel Klezmer e per cominciare ad interessarsi ad un genere di musica completamente nuovo per lei, abituata soprattutto alla musica classica.
Le chiedo com'è stata la transizione tra due generi così diversi. "Chiunque venga da un ambiente di musica classica" dice, "sa che il metodo e l'approccio al pezzo sono composti e impostati Invece nel gruppo Klezmer c'è spazio anche per libertà e improvvisazione. Si mantiene l'essenziale della melodia, ma ognuno può rendere suo il pezzo da suonare".
Sarebbe erroneo però pensare che l'esperienza Klezmer si limiti alla performance di qualche strumento. "La presenza delle radici ebraiche nella musica Klezmer emerge a livello intuitivo. I ragazzi suonano e cominciano a interessarsi a questo genere di musica e alla sua storia, cominciata nell'est europeo, allargatasi poi agli Stati Uniti", precisa Bacchini.
Oggi i componenti della Balagan Café Orkestar sono Enrico Fink (direttore e flautista), Eugenio Bacchini (chitarra), Orlando Cialli (sassofono), Andrea Guidotti (clarinetto), Camillo Levi (chitarra), Jacopo Nocchi (violoncello), Bill Shackman (bouzouki) e Tamar Levi (violoncello). Sono numerosi gli eventi a cui hanno partecipato: oltre a quelli organizzati dalla comunità ebraica di Firenze, hanno svolto anche concerti per la Giornata della Memoria, per l'Independence Day americano e recentemente hanno anche suonato come accompagnamento per un pezzo teatrale.
Ciò che rende il gruppo speciale è la presenza predominante di giovani musicisti, su cui sono puntati tutti i riflettori, tanto che Bacchini stesso cerca di incaricare e responsabilizzare: "Cerco sempre di fare in modo che siano i giovani a fare le proposte e a gestire il progetto. La nostra è una dinamica tranquilla e rilassata". Il gap generazionale c'è e si sente: i ragazzi a volte si scatenano un po', ma ciò su cui Bacchini preme è che "la musica è un modo di stare insieme senza prevaricarsi l'un l'altro". In altre parole, un metodo educativo molto efficace per insegnare il valore della tolleranza.
Tamar Levi dichiara di essere rimasta affascinata dall'eterogeneità dei membri dell'Orkestar fin dal primo istante in cui è entrata a farne parte. "Ognuno viene da un contesto differente. Ciò che ci unisce è lo scopo comune di suonare musica Klezmer e l'importante è che tutto l'insieme funzioni. La nostra eterogeneità ci ha permesso di sviluppare una tolleranza artistica che altrimenti non avrei conosciuto".
Prima di terminare la conversazione telefonica con Eugenio Bacchini, questo confessa: "Imparo molto dai ragazzi, dal loro entusiasmo".
In che modo?, chiedo.
"Noi adulti tendiamo ad irrigidirci. Loro fanno tornare la voglia di sognare".

(Kolot, 17 febbraio 2014)


Egitto e Israele uniti contro Al-Qaida nel Sinai

L'attentato al bus turistico al valico di Taba (Mar Rosso) conferma che i gruppi filo al-Qaida attivi nel Sinai ricercano sempre più spesso obiettivi legati ad Israele. Questa volta la deflagrazione è avvenuta a 100 metri dal confine con lo Stato ebraico e non ha provocato vittime israeliane. Ma l'episodio poteva avere un altro epilogo perchè nella minuscola enclave alberghiera di Taba - a differenza dal resto del Sinai egiziano - gli israeliani hanno libero accesso e non necessitano visti. L'attacco odierno, afferma un analista israeliano, è stato condotto con tutta probabilità da Ansar Beit al-Maqdes: una formazione islamica della galassia di al-Qaida che negli ultimi mesi ha dato filo da torcere sia ad Israele (con alcuni lanci di razzi verso la città turistica di Eilat, Mar Rosso), sia all'esercito egiziano dislocato nel Sinai, sia sferrando attacchi nella stessa capitale dell'Egitto. In questo contesto, aggiunge l'analista (un ex ufficiale dell'intelligence militare), l'obiettivo dell'attacco terroristico è pure significativo: un torpedone di turisti, la cui distruzione comporta necessariamente clamore internazionale e rischia di arrecare ulteriori danni all'industria turistica egiziana. Qualcuno ha ipotizzato che l'ordigno sia stato collocato sotto al sedile dell'autista nel tentativo di provocare l'esplosione poco dopo, una volta che il veicolo fosse entrato in Israele. Ma la pratica impone ai passeggeri di attraversare a piedi il valico di Taba: ciò anche per impedire il passaggio di ordigni. Da mesi l'esercito egiziano è impegnato nel Sinai in quella che viene descritta come la sua più grande operazione militare in quell'area dalla guerra del Kippur (1973). Di fronte alla minaccia jihadista, dice l'analista israeliano, la cooperazione fra i due eserciti è molto stretta: non solo sul piano tattico, ma anche nello scambio di informazioni di intelligence. E nell'equazione rientra anche Gaza che - si sospetta - funge da retrovia per i gruppi islamici attivi nel Sinai. Hamas nega strenuamente di essere coinvolto nella lotta gestita da costoro contro l'esercito di Abdel Fatah al-Sisi. Ma a quanto pare le informazioni di intelligence sono diverse. Da Gaza si apprende che l'esercito egiziano sta approntando una 'Zona cuscinettò larga fra 300 e 500 metri lungo il confine con la Striscia di Gaza. Lo scopo è di impedire il transito sotterraneo di armi e di miliziani fra Gaza e il Sinai. Ottocento tunnel di contrabbando sono già stati neutralizzati finora, e le ruspe egiziane avanzano ancora. Ieri nel settore egiziano di Rafah alcune palazzine di confine sono state rase al suolo e altri tunnel sono stati distrutti: un messaggio implicito alla leadership di Hamas che la pressione anche nei suoi confronti è destinata a proseguire.

(Online News, 16 febbraio 2014)


Affare da 2,6 miliardi: Shanghai vuole il gruppo agroalimentare israeliano

Bright Food, il gigante agroalimentare in mano al governo provinciale di Shanghai, sta perfezionando l'acquisto di Tnuva, il maggior gruppo israeliano nel settore. L'affare è affidato alla mediazione della banca internazionale Citigroup e segnerebbe l'ingresso in forze dei cinesi in Israele in questo campo. Il costo dell'operazione è valutato in 9 miliardi di shekel, circa 2,6 miliardi di dollari. Tnuva possiede sette dei dieci marchi di prodotti alimentari più conosciuti in Israele e ha una fetta del14% del giro d'affari dei supermercati nel Paese. Bright Food si sta espandendo all'estero per assicurare rifornimenti alimentari a Shanghai e alla Cina.

(La Stampa, 16 febbraio 2014)


Esplosione su un bus di turisti nel Sinai al confine con Israele

IL CAIRO, 16 feb. - Un'esplosione e' avvenuta su un bus turistico nel Sinai, vicino al confine con Israele. Lo ha riferito il canale televisivo di Stato egiziano. Un primo bilancio delle vittime consiste di quattro feriti. Il governo israeliano sta inviando dei medici vero il luogo dell'esplosione, avvenuta nei pressi dell'Hilton a Taba. "Si vede una colonna di fumo provenire dalla linea di frontiera", ha detto un testimone ad Ynetnews.

(AGI, 16 febbraio 2014)


Hamas non riconosce l'accordo di pace tra Israele e Palestina

Il 15 febbraio, il leader di Hamas nella striscia di Gaza, Ismail Haniyeh, ha affermato che Hamas non riconoscerà alcun accordo quadro di pace tra l'Autorità Nazionale Palestinese e Israele.
Lo stesso giorno, Haniyeh ha comunicato ai media che l'organizzazione si oppone da sempre al nuovo giro di colloqui tra Palestina e Israele, promosso dagli Usa. Hamas non rinuncerà al territorio perso, e s'impegnerà sempre per il completo ritorno dei rifugiati palestinesi.

(CRI on line, 16 febbraio 2014)


Come gli ebrei, sulla Terra siamo tutti stranieri residenti

Un saggio di Donatella Di Cesare sui fondamenti "filosofici" di Israele: nel sionismo si esprime la comune condizione umana.

 
Al di là dei destini che pure si incontrano e si confrontano, al di là dei punti fermi dentro fedi diverse per quanto scaturite dalla medesima radice, la distanza tra civiltà ebraica e Occidente fondato su cristianesimo e classicità si misura anche, e forse soprattutto, in termini di logica. La ragione d'Israele, che pure ha le sue regole e le sue - financo rigide - modalità, è ignara di quel principio di non contraddizione su cui invece si fonda, anzi che impregna l'Occidente. E non è cosa da poco, questa distanza. E, piuttosto, il motivo fondamentale per cui l'ebraismo, che pure è innestato nella civiltà europea almeno da quando questa esiste, risulta in una certa misura irriducibile. Inafferrabile nei suoi principi, nel suo approccio alla realtà. Prima e accanto alle divergenze di ordine teologico.
   Questa distanza tra una civiltà che ha il principio di non contraddizione come suo perno logico e un'altra che gli è completamente estranea rappresenta in fondo la chiave di lettura per molte cose. Anche del saggio di Donatella Di Cesare, professore di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma e attenta studiosa, intitolato Israele. Terra, ritorno, anarchia (Bollati Boringhieri, pp. 105, 12.50). E una riflessione sui canoni moderni del pensiero ebraico che ruota intorno al sionismo. E chiarisce in modo esemplare come mai la questione di Israele, del suo destino di popolo e nazione, sia tanto cruciale in questo presente. Ben al di là della pura politica o territorialità, della spartizione di un suolo conteso, del conflitto etnico e religioso.
   «Da un canto il sionismo è l'esito della modernità politica e filosofica; ne assume i valori e li realizza fondando uno Stato-nazione. Dall'altro è ripudiato dalla stessa modernità che, retta da criteri nazionalistici e individualistici, respinge il popolo ebraico, lo confina a una sorta di no man's land, fuori dai ranghi dell'Occidente democratico. Il sionismo diventa a sua volta un paria della modernità. Nonostante ogni sforzo per essere accettati, il termine sionista sarà destinato a essere un insulto».
   Mentre proprio in questa sua duplice natura che coniuga nazionalismo moderno (simile a tanti altri risorgimenti dell'epoca) e richiamo archetipico, il sionismo esprime una condizione che non è soltanto ebraica. Che racconta in fondo di un inevitabile rapporto tra storia e geografia anche quando, come nella maggior parte dei casi se non sempre, esse paiono inconciliabili. «La delegittimazione del luogo diventa rifiuto radicale del diritto a esistere. La questione non riguarda la geografia, bensì la storia. Cif!) che si nega, quando si contesta il ritorno del popolo ebraico, è la sua storia, cioè il filo narrativo di cui è intessuta la sua identità».
   Per questo le riflessioni di Di Cesare vanno ben al di là della questione specifica, di una definizione del sionismo e del posto che il popolo ebraico occupa nel mondo e in terra d'Israele. Perché chiama in causa il rapporto tra storia, geografia, identità, diritti. Non a caso, una delle tante - e stimolanti - direzioni in cui il discorso procede è il rifiuto della «normalizzazione». Che riguarda qui certo il destino e l'approccio al presente del popolo ebraico, nella sua duplice (perché estranea al principio di non contraddizione!) presenza di Diaspora e autonomia nazionale. Ma che coinvolge in termini ben più ampi la condizione umana tout-court, di cui quella ebraica diventa paradigma. Il popolo ebraico ricorda insomma «a sé e agli altri che sulla terra tutti sono ospiti temporanei, stranieri residenti». Non si tratta dunque di negare all'ebraismo ciò cui le altre civiltà hanno diritto, bensì di constatare che questa dinamica tra territorio e memoria, tra presente e passato, tra dimensione politica (cui la civiltà ebraica è stata sempre strettamente legata, malgrado la privazione della terra) e irriducibile erranza è la cifra di una condizione comune. Sostanza dell'umano, insomma. Proprio nel suo conciliare l'inconciliabile, nel lasciare in sospeso il nodo della contraddizione.
   E' un discorso complesso, fitto di riferimenti. Di Cesare procede ragionando su etica, politica, storia. Spesso risale a presupposti biblici: remoti, certo, ma ancora pienamente fondativi. Certamente emerge chiara da queste pagine una verità tanto profonda quanto evidente - così come risulta dall'attualità politica, dalla prevalenza mediatica del conflitto israelo-palestinese: quella, cioè, che la questione va ben oltre la politica e la belligeranza, oltre una rivendicazione territoriale tutta rivolta al presente o tutt'al più al passato prossimo.

(La Stampa, 16 febbraio 2014)



Nell'ultima pagina di copertina del libro sopra citato si trova scritto:
    «Può una critica anarchica all'ordine statocentrico del mondo passare per Israele? Laboratorio della globalizzazione, lo Stato di Israele non è uno stato come gli altri; al desiderio di normalizzazione viene opposta la vocazione all'estraneità che ha guidato nei secoli il popolo ebraico. Donatella Di Cesare rovescia così l'accusa di aver occupato la terra altrui e legge in modo inedito il tema del ritorno. La promessa assume un valore teologico-politico: la terra-madre è soppiantata da una terra-sposa dove Israele è chiamato a testimoniare la possibilità di un nuovo abitare, ricordando a sé e agli altri che nessuno è autoctono. La condizione di «stranieri residenti», a cui non sfuggono i palestinesi, dischiude la nuova prospettiva da cui guardare il conflitto mediorientale. Ha allora senso la «soluzione dei due stati»?».
Essendo da tempo interessato a tutto ciò che riguarda l'attuale Stato d'Israele, ho acquistato e letto il libro, ma una risposta esplicita a quest'ultima domanda non l'ho trovata. Si può comunque suppore che la risposta implicita sia "no", anche perché una risposta diversa sarebbe stata troppo poco filosofica. Un accenno di risposta si potrebbe trovare nell'ultimo paragrafo del libro, intitolato "Per una pace anarchica", che comincia così:
    «La novità nel pensare la pace sta nel non collocarla - come ha fatto tutta la tradizione filosofica occidentale - alla fine della guerra. La pace non è la cessazione dei combattimenti, per l'estinzione dei combattenti, o la sconfitta degli uni, la vittoria degli altri. La pace non è la pace perpetua dei morti, fondata sui cimiteri, eretta dai futuri imperi globali. La pace non è di là da venire, ma è al di là della guerra.»
E termina così:
    «Come a dire che la pace non può essere se non pace messianica - e per converso il tratto distintivo del tempo messianico è la fine della violenza politica e dell'ingiustizia sociale. Proprio perché il tempo messianico è intrastorico, e non metastorico, è il tempo della storia che irrompe nella storia trasformandola, dove la pace viene in luce come non mai nella relazione con l'altro che assume i contorni di una attenzione non-indifferente verso l'altro inteso come colui che soffre ingiustamente.
    La torsione su di sé dell'io che dicendo io si rivolge all'altro: è questo il messianismo nel suo incondizionato valore. E la rottura non si dà in un punto estremo; resta possibile in ogni istante. I giorni del Messia sono l'interruzione imprevista e imprevedibile, l'irruzione traumatica, al limite del sé, della trascendenza dell'altro. Questo evento che giunge da un altrove è il compimento dell'obbligo in cui si raccoglie tutta la Torà: «non ucciderai» - lo tirzàch - לא תרצח»
Mentre mi affannavo nel tentativo di rendere esplicita questa risposta implicita, mi è ritornata in mente - chissà perché - una poesia "seria" dell'umorista Ettore Petrolini: "La canzone delle cose morte". M.C.


Il no danese al Kosher scatena l'ira di Israele

di Maurizio Molinari

La Danimarca proibisce la macellazione rituale ebraica della carne e Israele reagisce parlando di «antisemitismo dilagante in Europa» anche perché tale vicenda coincide con «l'ostilità nei confronti degli ebrei nella vita pubblica in Ungheria». Sono i notiziari radio del mattino, il più seguito mezzo di informazione dagli israeliani, a dare la temperatura di quanto sta avvenendo. Tanto «Reshet Bet» che «Gaalei Zahal» aprono le edizioni del mattino parlando di «atmosfera antisemita in Europa». Il focus è sulla Danimarca perché il governo di Copenhagen ha deciso di mettere al bando, da lunedì, la «shechità» - la macellazione rituale ebraica - giudicandola «contraria ai diritti degli animali». È il ministro dell'Agricoltura Dan Jorgensen a spiegare che «i diritti degli animali vengono prima della religione» e dunque la comunità ebraica locale - 6000 anime - non potrà avere la carne kosher, ovvero ritualmente consentita, fino a quando «la pratica non sarà modificata ». Per Copenhagen è l'occasione di riaffermare il rispetto dei diritti degli animali dopo le polemiche seguite all'uccisione di un cucciolo di giraffa nello zoo locale, ma Finn Schwarz, presidente della comunità ebraica danese, parla di «violazione dei diritti di una minoranza che non ha il potere politico per difendersi». Menachem Margolin, presidente dell'Associazione ebraica europea, ha telefonato alla premier danese Helle Thorning-Schmidt per chiedere una marcia indietro.
Si tratta di una vicenda assai più estesa della Danimarca: Polonia, Svezia, Olanda e Svizzera hanno già bandito, in forme differenti, la macellazione ebraica (e musulmana), mentre in Belgio sono state trasmesse pubblicità che paragonano le bestie uccise agli ebrei sterminati dai nazisti e altrove, dalla Germania alla Norvegia, il movimento anti-«shechità» prende piede. «È un antisemitismo che mostra il suo vero volto e si rafforza dentro le istituzioni europee» afferma Eli Ben-Dahan, vice ministro degli Affari Religiosi parlando a nome del governo e Naftali Bennet, ministro dell'Economia e importante alleato del premier Netanyahu, preannuncia: «Ci batteremo ovunque a fianco delle comunità ebraiche affinché i loro diritti vengano rispettati».
I contenuti della replica di Gerusalemme sono affidati a David Lau, rabbino capo di Israele: «Le pratiche della macellazione kosher sono fra le più umane, la decisione danese è un affronto alla religione ebraica». La polemica è destinata a complicare il rapporto fra Europa e Israele perché si sovrappone alle posizioni presenti nell'Ue favorevoli al boicottaggio dei prodotti «made in Israel» provenienti dalla Cisgiordania. Ad accrescere il sospetto israeliano che qualcosa in Europa stia andando nel verso sbagliato è la frequenza di toni e termini antiebraici nella vita pubblica in Ungheria, al punto da spingere il ministero degli Esteri a convocare l'ambasciatore magiaro per esprimere «forte preoccupazione».

(La Stampa, 15 febbraio 2014)


Israele presenterà l'innovativo sistema antiaereo laser "Iron Beam"

La società statale di difesa israeliana Rafael ha riferito che i piani per implementare nuovo sistema di difesa missilistico laser stanno iniziando a prendere forma.
Rafael terrà la presentazione di "Iron Beam" ("raggio di ferro") questa settimana al Singapore Airshow.
"E' esattamente come nel film "Star Wars", - ha affermato un membro della società. - Si può vedere come i raggi laser salgano verso l'alto e come un fulmine colpiscano il target".
"Iron Beam" è stato progettato per abbattere piccoli droni, missili e colpi di mortaio.

(La Voce della Russia, 15 febbraio 2014)


Le calunnie di Schulz nella Terra di Israele

di Cristofaro Sola

L'ottimo signor Schulz, il rozzo presidente del Parlamento Europeo, ne ha combinato un'altra delle sue. Con il tocco di classe che lo contraddistingue, questo gentiluomo d'altri tempi ha pensato bene di andare fino a Gerusalemme a offendere e calunniare il popolo ebraico.
  Con tutta l'arroganza dei toni da sfida, Martin Schulz ha accusato gli israeliani di praticare una politica di apartheid, attuata mediante la restrizione della somministrazione dell'acqua ai villaggi e alle città popolate dai palestinesi. Egli ha esclamato nel suo discorso alla Knesset: "Un giovane palestinese mi ha chiesto perché gli israeliani possono utilizzare 70 litri di acqua e i palestinesi solo 17. Non ho controllato i dati, ma vi chiedo: è giusto?". Capite? Ha lanciato un'accusa gravissima senza neppure prendersi il disturbo di controllare se i dati in suo possesso fossero veri. Non l'ha fatto e lo ha placidamente ammesso, come se fosse la cosa più normale di questo mondo accusare qualcuno di un comportamento di cui non si ha prova e condannarlo sulla base di un pregiudizio. Viene da pensare che ci si trovi di fronte all'ennesimo caso di doppiopesismo di cui l'Unione Europea pare essere divenuta maestra. Quello che dicono i palestinesi è oro colato, mentre ogni dichiarazione resa dalle autorità israeliane è, per definizione, inattendibile. Ci chiediamo: perché?
  Se dessimo ascolto all'alto rappresentantante della politica estera e di sicurezza della Ue, la signora Catherine Ashton, sapremmo che Israele in quanto potenza militare occupante in modo illegittimo i territori palestinesi non può ricevere alcun credito. Se invece ponessimo l'orecchio a terra, come facevano gli indiani d'America, riusciremmo ad avvertire sotterranee vibrazioni antisemite che, come gli eventi sismici, non hanno mai smesso di martoriare la nostra vecchia Europa. Questa volta però le parole ingiuste del rozzo Schulz hanno avuto un effetto ancor diverso, e se possibile un tantino raccapricciante. Lo ha spiegato con chiarezza Naftali Bennett, leader di Bayit Yehudi, partito della destra israeliana, che per spiegare la sua irritazione e la successiva decisione di abbandonare l'aula, ha dichiarato al Jerusalem Post dello scorso 12 febbraio: "Quando Schulz ha detto che i palestinesi ricevono 17 litri di acqua per abitante e gli israeliani 70 ha detto una panzana. È assurdo. Tutti i ministri erano perplessi. All'inizio me ne sono stato tranquillo, ma poi ha attaccato il blocco israeliano su Gaza dicendo che causa sofferenze negli abitanti. Deve essersi dimenticato che noi abbiamo sgomberato tutti gli 8mila ebrei che vivevano a Gaza. Anche questa settimana mi sono occupato di come aiutare quegli sfollati. E deve essersi dimenticato delle migliaia di razzi sparati contro di noi dalla striscia di Gaza. C'è da stupirsi se abbiamo abbandonato l'aula? Era in gioco la nostra dignità nazionale come Stato d'Israele, non quella mia o dei ministri. Non intendo stare seduto alla Knesset a sentire un europeo che calunnia Israele, e certamente non uno che lo fa in tedesco".
  A ragione da vendere Bennett, deve fare un certo effetto sentire un signore che in tedesco si mette ad accusare gli ebrei di essere razzisti mentre avrebbe fatto meglio a pensare di scusarsi una volta di più per quello che i suoi connazionali hanno combinato appena settant'anni fa. Il mondo fa fatica a elaborare il lutto per quella mostruosità, il mondo intero tranne Schulz al quale la memoria deve far proprio difetto. Per amor di verità serva solo precisare che fonti ufficiali israeliane documentano che attualmente la popolazione d'Israele è di 7,2 milioni di abitanti mentre quella della West Bank si attesta a 1,4 milioni di abitanti. Israele controlla circa 1200 milioni di litri di acqua dolce naturale disponibile, contro i 220 milioni gestiti dai palestinesi. Ne consegue che, facendo le debite proporzioni, le erogazioni medie di acqua disponibile sono alla pari, cioè 160 metri cubi pro capite per consumo annuo a ogni israeliano e altrettanti metri cubi a ogni palestinese.
  La realtà, però, è che la percezione riguardo ai consumi sia significativamente diversa. In effetti agli israeliani le tecniche di trattamento e di riciclaggio delle acque reflue fruttano una maggiorazione di circa 800 milioni di metri cubi che si aggiungono alla dotazione annuale ordinaria. I palestinesi, invece, disperdono circa il 95% dei 56 milioni di metri cubi d'acqua destinati al consumo. In agricoltura, i palestinesi sovrairrigano i loro campi perché adottano metodi di coltivazione ancora molto arretrati. Inoltre, essi non hanno mai considerato la possibilità di mettere mano alla ricostruzione della fatiscente rete idrica,la quale causa notevoli perdite d'acqua disponibile, nonostante i molti fondi internazionali pervenuti all'Autorità Nazionale Palestinese per interventi infrastrutturali sul territorio. In Cisgiordania è operativo un solo impianto di depurazione. Ciò spiega del perché ogni anno 17 milioni di metri cubi di liquami palestinesi finiscano in territorio israeliano. Tocca agli israeliani farsi carico di trattare anche la quota palestinese dei liquami, per evitare il rischio di inquinamento delle falde.
  A proposito delle falde, la politica di cieco sfruttamento delle risorse idriche attuata dalla dirigenza palestinese ha condotto alla perforazione non concordata di oltre 250 pozzi da cui vengono estratti 15 milioni di metri cubi d'acqua all'anno. Di questo passo se le autorità palestinesi non affronteranno seriamente il problema del recupero delle acque reflue rischiano, nell'arco di breve tempo, di prosciugare le falde e restare a secco. Allora cosa diranno? Sono gli oppressori ebrei che ci tolgono l'acqua. Potranno dirlo anche se è una sfacciata menzogna. Tanto, troveranno sempre qualche Schulz di turno disposto a credergli. Una qualsiasi altra persona dotata di buon senso e di un po'd'onestà, al posto di Schulz, avrebbe promesso all'assemblea parlamentare israeliana una stagione di maggiori controlli e verifiche sull'effettivo impiego delle ingenti risorse finanziarie che l'Unione Europea fa cadere sulle teste dei palestinesi come manna dal cielo. Perché la verità è ben altra da quella raccontata da Schulz. Come ha dichiarato Haim Gvirtzman, dell'Istituto di Scienze della Terra presso l'Università di Gerusalemme: "La dura verità dietro tutta la propaganda anti-israeliana è che l'uso dell'acqua e la gestione degli scarichi da parte dell'Autorità Palestinese non sono né assennati né collaborativi".
  A ben riflettere, domandiamoci perché dovremmo poi meravigliarci del comportamento del signor Schulz. Abbiamo forse dimenticato noi italiani chi è costui? È quello stesso che, nella seduta del Parlamento Europeo del 1 luglio del 2003, si beccò da un frastornato Berlusconi l'invito a girare un film sui campi di sterminio nazisti per interpretarvi la parte del "Kapo". Allora, apriti cieli! Quale insulto, quale offesa pronunciata contro questo campione di democrazia nell'alta sede del Parlamento Europeo. I suoi sodali, stracciandosi le vesti, pretendevano che il nostro Premier si scusasse per le offese arrecategli. Tutti contro quel "mafioso" italiano. Nessuno però si preoccupò di soffermarsi su ciò che l'onesto Schulz aveva detto poco prima a proposito degli italiani e dei loro rappresentanti. Nessuno lo ricorda, io sì. Prese a sfottere la rappresentanza italiana per intero. Li citò tutti: Frattini, Buttiglione, Fini dicendo: temevo che Berlusconi nominasse pure Maldini e Del Piero, Garibaldi e Cavour. Poi continuò: "Lei signor Presidente non è responsabile del quoziente d'intelligenza dei suoi ministri, però è responsabile di quello che dicono". Ricordo perfettamente il carico di sarcasmo e di cattiveria che il simpatico Schulz aveva messo nel parlare dei politici italiani. Ricordo il suo sguardo. Per questo non faccio fatica a immaginare quanti brividi siano passati sulla pelle dei parlamentari israeliani che, increduli, sentivano darsi degli aguzzini a casa loro, da un tedesco in lingua tedesca.
  Mi sa che quel film sulle SS a cui Berlusconi voleva candidarlo, il rozzo Schulz poi sia andato a girarlo.

(L'Opinione, 15 febbraio 2014)


Il polacco che denunciò la Shoah nel fumetto dei siciliani

di Manuela Modica

Galleria
La vita incredibile dell'uomo che per primo raccontò l'orrore e non fu creduto. La storia di Jan Karski l'uomo che scoprì l'olocausto (edito da Rizzoli Lizard) è adesso raccontata attraverso schizzi rossi, sorrisi diabolici, sguardi disumani dalla matita del fumettista siciliano Lelio Bonaccorso che stavolta disegna le viscere più grigie dell'umanità. Lo fa seguendo la sapiente narrazione di Marco Rizzo, autore dei testi. Siciliani entrambi, con un sodalizio artistico ormai sedimentato, tornano in libreria con la singolare vicenda di Jan Karski che rivela un risvolto della Storia ancor più inquietante: "Questo olocausto è noto. Le informative dei servizi sono piuttosto vaghe ma una cosa è certa. Un'eventuale emergenza profughi, profughi ebrei, sarebbe un cataclisma che le forze in guerra non possono reggere". Le ragioni della guerra "prima della giustizia". Questo dicono i due narratori siciliani, dopo aver raccontato per parole e immagini Peppino Impastato, un giullare contro la mafia, Que viva el Che Guevara e Gli ultimi giorni di Marco Pantani. Ora, dalla Sicilia, in libreria con una storia polacca che narra l'umanità intera.

(la Repubblica - Palermo, 15 febbraio 2014)


Vercelli - "La cinematografia è l'arma più forte"

Domenica 16 febbraio
alle ore 16.00 in Sala Foa, via Foa 70 Vercelli
incontro con
Marco Reis, Giornalista e Docente dell'Università di Torino
e
Emanuel Segre Amari, Vice Presidente della Comunità Ebraica di Torino

Locandina


Breaking bread, la pace dello stomaco in Israele e Palestina

Una palestinese e un israeliana hanno inaugurato i Breaking Bread Journeys, dei viaggi nel segno della pace e del pane tra Israele e i Territori palestinesi. Il concetto turistico sperimentale è sponsorizzato dalla the United States Agency for International Development.

È stato presentato questo febbraio al New York Times Travel Show di New York, il nuovo progetto turistico Breaking Bread Journeys. A darne l'annuncio è un comunicato sul sito ufficiale che racconta come Christina Samara, palestinese e proprietaria del tour operator Samara Tourist and Travel Agency e Elisa Moed, israeliana e proprietaria del tour operator Travelujah, si siano unite per un sperimentare una collaborazione turistiche, alla scoperta dei due Paesi. Il Breaking Bread Journeys ha per vocazione lo sviluppo economico, incluso il turismo, come una soluzione verso "la pace e la stabilità" ed ha ricevuto l'aiuto dell' United States Agency for International Development under the Compete Project in the West Bank.
Rispettivamente di origine ebraiche e cristiane, Elisa e Christina pronpongono dei viaggi a tematica spirituale, alla scoperta dei principali luoghi sacri delle due religioni, ma anche un approccio più culturale, incentrato sulla cucina locale dei due Paesi.

Easy Viaggio, 15 febbraio 2014)


Chi sono gli operatori dell'unità speciale "Eilat"?

   
L'unità antiterrorismo "Lotar Eilat"
L'unità antiterrorismo "Eilat" prende il nome dalla città turistica a sud di Israele, sulle rive del Mar Rosso. I membri del team non vanno lì per rilassarsi e divertirsi, ma sono preparati per qualsiasi scenario di emergenza, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento.
Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, secondo precise direttive dei servizi segreti.
Nel giro di pochi minuti, gli elementi provenienti dall'unità di riserva antiterrorismo "Lotar Eilat", si trasformano da normali cittadini israeliani in teste di cuoio pronte a combattere il terrorismo. Sanno che non c'è scelta: non importa dove sono quando chiamati. Sia con le loro mogli al supermercato o in visita ai genitori o mentre leggono una fiaba ai propri figli, devono compiere la loro missione: proteggere la città di Eilat.
Grazie alla sua popolarità tra i turisti, la sua posizione e per l'aeroporto, Eilat è piena di minacce. Ci prepariamo per molti scenari simultaneamente - dice il tenente colonnello T, comandante dell'unità - siamo in grado di salvare ostaggi da veicoli, alberghi, navi, autobus ed aerei. Ovunque essi si trovino.
L'unità si addestra in ogni grande edificio di Eilat
L'unità antiterrorismo "Eilat" conduce esercitazioni in ogni edificio della città aperto al pubblico. La familiarità con la struttura dell'edificio dà ai soldati un vantaggio significativo e impedisce loro di sentirsi spaesati o come fossero in un labirinto. L'obiettivo è trovare la massima affinità con gli edifici in modo che gli operatori possano sapere come lavorare in caso di emergenza.

(Teleradiosciacca, 15 febbraio 2014)


Hamas blocca i libri di scuola sui diritti umani

GAZA - Il ministero dell'istruzione di Hamas a Gaza ha bloccato l'utilizzazione di testi di studio sui diritti umani messi a punto per gli allievi delle medie dell'Unrwa, l'agenzia Onu per i profughi palestinesi. Hamas, scrive la stampa, ritiene che quei testi ''minimizzavano'' la questione dei profughi palestinesi. Prima che l'argomento sia portato in classe i docenti dovranno essere preparati a presentare i diritti umani ''nel rispetto della cultura palestinese ed islamica''.

(ANSA, 14 febbraio 2014)


Esiste qualche ONG che si preoccupa di far conoscere al mondo quali sono i diritti umani difesi da Hamas "nel rispetto della cultura palestinese ed islamica"?


Cipro e Israele, hub energetici per il nord Europa del futuro

Sotto il mar Mediterraneo c'è un vero e proprio tesoro di petrolio e gas naturale. Cipro e Israele si sono accordati per lo sfruttamento e anche l'Europa plaude all'accordo.

di Mariella Colonna

E' pace fatta tra Cipro ed Israele dopo 40 anni di negoziati sotto l'egida Onu conclusisi sempre con un nulla di fatto. Sembra che questa volta ci siamo. Lo zampino ce lo ha messo Washington spedendo a Nicosia Victoria Nuland, assistente segretario di Stato per gli affari europei ed euroasiatici dopo la scoperta nel Mediterraneo orientale di giacimenti gasiferi (14 siti offshore) che ad occhio e croce rappresenterebbero le più grandi riserve di gas naturale degli ultimi anni, pari al doppio di quelle a disposizione del Regno Unito nel Mar del Nord.
   Si tratta - secondo le stime 2010 dello U.S. Geological Survey - di riserve pari a 3.453 miliardi di m3 di gas naturale e 1,7 miliardi di barili di petrolio. Contesi da Egitto, Turchia, Cipro, Israele e Libano, questi siti danno non pochi grattacapi alle parti coinvolte. Le possibili tensioni potrebbero cambiare radicalmente il panorama geopolitico e di contro fornire l'indipendenza energetica a quei Paesi che, come Cipro e Israele, importano energia dall'Europa.
Israele e Cipro, distanti tra loro soltanto 260 miglia, in rispetto del diritto internazionale hanno definito una linea di demarcazione marittima di loro pertinenza. Così è stato tra loro e l'Egitto. Israele ha tracciato unilateralmente una linea di demarcazione con la Striscia di Gaza. Tra Libano e Turchia l'intesa sembra più difficile: Beirut intende sensibilizzare l'ONU su questo caso e chiedere una sua mediazione sperando di prevenire una crisi diplomatica. Mentre intricata appare la controversia tra Israele/Cipro e Turchia e la parte turca dell'isola cipriota, diretta proiezione degli interessi di Ankara nei siti del Mar del Levante. La Turchia infatti è molto interessata al gas naturale del Bacino del Levante sia come cliente sia come Paese di transito dei gasdotti e oleodotti verso i mercati europei. La preccupazione turca è che gli accordi tra Cipro e Israele la marginalizzino dal business del gas offshore e aumentino la dipendenza dalle importazioni di energia che - al momento - incidono per il 10% del PIL nazionale. Dal report "World Energy 2011" della BP si evince che il consumo di gas naturale in Turchia è aumentato da 14,6miliardi di m3 del 2000 ai 39miliardi di m3 del 2010, la maggior parte di questi importati.
   In sostanza, il tentativo di controllo dei giacimenti offshore da parte israeliano/cipriota si inserisce in una strategia di ridimensionamento della Turchia e di garanzia per l'Europa di approvvigionamento energetico attraverso una rete di gasdotti e pipeline realizzati nell'isola mediterranea e in Grecia.
   Lo sfruttamento dei siti in questione oltre a soddisfare le esigenze energetiche interne concederebbe ai due Paesi incredibili opportunità di vendita di gas verso i mercati europei ed asiatici. Si stima che Israele e Cipro coprirebbero consumi interni annui di gas pari rispettivamente a 5/10 miliardi di m3 e di un miliardo di m3. Nel contempo, entrambi riuscirebbero ad esportare - tramite pipelines e terminals di gnl - quantità annue superiori rispettivamente a 60miliardi di m3 e a 20miliardi di m3.
   Israele, dal canto suo, fino a oggi rifornito dal gas egiziano (40% del consumo totale) investe nelle esplorazioni sottomarine perchè vuolsi connotare quale vettore terrestre strategico a livello internazionale puntando a future cooperazioni energetiche anche con Cina e India. Queste relazioni nei prossimi mesi avranno una grande importanza negli equilibri del Medio Oriente e della stessa Europa.
   Insomma, questi scenari rappresentano una speranza per l'economia di Cipro che attraversa la crisi economica più importante degli ultimi decenni aggravata dalla forte esposizione delle banche cipriote sulla Grecia.
   Anche il nostro Paese trarrebbe i suoi vantaggi. L'Eni ha al suo attivo un recente accordo con le autorità cipriote di 'Exploration and Production Sharing' per i blocchi 2, 3 e 9 situati nelle acque profonde del Bacino del Levantino per una superficie complessiva di 12.530 chilometri quadrati. Rappresenterebbe l'alternativa per smarcarsi dal monopolio energetico russo il cui preferenziale rapporto si è trasformato in un cappio. Vi ricordate quando durante l'inverno ci viene suggerito di evitare gli sprechi energetici perché si rischia che l'erogazione del gas che riscalda le nostre abitazioni, i nostri ospedali, le scuole materne, le nostre fabbriche, proveniente dalla Russia, potrebbe subire flessioni per la notevole domanda? Come ho già scritto non molto tempo fa, le cose non stanno proprio in questi termini. Quelli sono segnali che ci mettono in guardia da alzate di testa di tipo economico-politico che potremmo pagare anche con la vita! Di freddo si può pure morire.

(affaritaliani, 14 febbraio 2014)


Soldati iperconnessi, cellulari vietati. I vertici di Tzahal corrono ai ripari

Diventano più rigidi i divieti già esistenti. L'uso improprio dello smartphone rappresenta una violazione dei valori più importanti dell'esercito israeliano.

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Le giovani reclute che entrano nelle forze armate israeliane "sono attaccate ai cellulari 24 ore al giorno" e ciò obbliga a irrigidire i divieti esistenti, impedendone del tutto l'uso durante i corsi di addestramento ovvero nei primi mesi di servizio militare. "Un soldato non può stare al cellulare quando si trova in un poligono, mentre è di guardia ad una postazione o segue una lezione" recita un comunicato delle forze armate israeliane, spiegando che "tali episodi sono avvenuti in passato perché le reclute non sapevano cosa fosse consentito o meno" ma ora "la situazione è cambiata perché il divieto è totale durante il periodo iniziale di addestramento" al fine di consentire alle reclute di impossessarsi delle nozioni fondamentali per diventare dei soldati a tutti gli effetti.
A stabilire le nuove direttive è stato il colonnello Oren Avraham, comandante responsabile della disciplina nell'intero esercito, secondo la quale "sono frutto del coordinamento con consulenti legali in materia di privacy e diritti". Il risultato è la "proibizione totale dell'uso dei cellulari durante le ore attive di servizio, indicate dal comandante dell'unità, durante la fase di addestramento". Se i soldati si troveranno in luoghi dove "è impossibile designare un luogo per conservare i cellulari" sarà loro possibile "tenerli nelle tasche completamente spenti ed a condizione che non mettano a rischio la sicurezza di dati digitali".
Se fino a questo momento tali direttive non esistevano è perché "le reclute non avevano in passato una tale dipendenza dai cellulari" a conferma di una modifica dei costumi dei giovani che li vede sempre più vivere in simbiosi con i telefonini. Proprio l'assenza di tali direttive ha causato recentemente degli "incidenti incresciosi" ammette il colonnello Avraham, citando "soldati che hanno scattato foto inappropriate mentre erano in uniformi e portavano delle armi" come avvenuto nel caso di alcune militari che si sono fotografati nudi con un fucile, spedendosi poi le immagini l'un l'altro. "L'uso inappropriato dei telefoni rappresenta una violazione dei valori più importanti dell'esercito israeliano e della dignità umana" recita il testo ufficiale, riferendosi a "diffusione di informazioni segrete, violazione delle regole di disciplina e danni alla capacità dei soldati di svolgere le proprie mansioni". L'unica eccezione prevista al nuovo divieto riguarda "situazioni di immediata emergenza" legate a "motivi strettamente famigliari".

(La Stampa, 15 febbraio 2014)


Il vero crimine nazista secondo Hamas? Aver fatto nascere Israele

In questi giorni in cui si parla di processo di pace in Medio Oriente nel quale, secondo le menti di chi lo porta vanti, Israeliani e palestinesi dovrebbero vivere in due stati separati ma in pace tra loro e reciprocamente riconosciuti, è bene fare mente locale su come la pensino i palestinesi in merito a Israele perché questo ci porterà immancabilmente a ragionare sul perché da tanti anni si cerchi senza riuscirci di di arrivare a un accordo di pace definitivo e, soprattutto, di chi è la colpa.
Per capire il pensiero palestinese non dobbiamo andare molto lontano, basta leggere l'editoriale di Khalid Amayreh su Al-Qassam nel quale il famoso giornalista palestinese vomita veleno sull'olocausto ma soprattutto ritiene che il vero crimine nazista non sia stato uccidere milioni di ebrei ma, proprio a causa di questo, favorire la nascita dello Stato di Israele....

(Right Reporters, 15 febbraio 2014)


Israele e il futuro dell'economia

Naftali Bennett sul New York Times: "Mettiamoci tutti al lavoro"

di Rossella Tercatin

 
Naftali Bennett
"Come soldati dell'esercito di Israele, uno dei più duri esercizi di addestramento che dovevano affrontare era una lunga marcia trasportando un compagno sulla barella. Oggi quelle lunghe camminate mi tornano in mente mentre il governo lavora per alleggerire il fardello della 'barella nazionale' che grava sulla società israeliana, dove sempre meno cittadini si trovano a sopportare un carico sempre maggiore".
Naftali Bennett, ministro israeliano del Commercio e leader di Habayit Hayehudì, partito di ispirazione nazional-religiosa collocato nettamente a destra, ha scelto il New York Times, uno dei più autorevoli quotidiani al mondo, ma di area decisamente liberal, per intervenire su uno dei temi che più stanno a cuore al popolo d'Israele: il patto sociale per garantire la futura sostenibilità dell'economia.
Individuati da Bennett nell'editoriale pubblicato stamattina nella pagina delle Opinioni sono non soltanto gli ebrei haredim, attualmente al centro del dibattito politico e mediatico per la proposta di introdurne l'arruolamento, ma anche le donne arabe.
"Con una partecipazione al mercato del lavoro estremamente bassa, gli ebrei ultraortodossi e le donne arabe israeliane sono sfortunatamente scivolati verso una situazione di povertà e necessità di assistenza. Per gli uomini ultraortodossi, questo deriva dal rifiuto di servire nell'esercito e scegliere invece gli studi religiosi nelle yeshivot. Per le donne arabe è stata la mancanza di educazione e una cultura in cui ci si aspetta che rimangano a casa".
Con parole accorate, il ministro descrive l'impossibilità per la pur vibrante economia israeliana di sostenere lo status quo nel futuro, ricorda il prezzo politico pagato da lui e dal suo partito per la scelta di rompere con i tradizionali alleati haredim e difende la riforma su cui la Knesset sta lavorando. Poi delinea un piano per raddoppiare la percentuale delle donne arabe che scelgono di lavorare, attualmente poco oltre il 25 per cento: centri in cui verranno loro offerte possibilità di formazione al lavoro e miniprestiti, asili per facilitare le scelte delle madri, la possibilità per alcune società di ricevere dallo Stato un sussidio pari al 37 per cento dei salari delle lavoratrici.
Bennett è conosciuto in campo internazionale soprattutto per le sue durissime contestazioni ai negoziati di pace con i palestinesi condotti dal Segretario di Stato americano John Kerry e per il sostegno agli insediamenti nei Territori. Per questo il suo intervento sul New York Times e la diversità dei toni che lo contraddistingue, divengono probabilmente ancora più significativi.
"L'economia israeliana appartiene sia ai suoi cittadini ebrei sia ai suoi cittadini arabi - ha sottolineato - Oltre che alleggerire il carico su chi oggi lo sopporta e diffondere prosperità, queste nuove iniziative avranno un impatto ancora più grande e profondo sull'identità nazionale di Israele. Nella mia precedente carriera come direttore di società high-tech ho sperimentato in prima persona le infinite possibilità che si creano quando persone di diverso background lavorano insieme".
Uomini e donne, arabi ed ebrei, ultraortodossi, religiosi e laici, fianco a fianco per portare avanti l'economia e l'intero paese. Così il leader di Habayt Hayehudi si immagina il posto di lavoro del futuro. Una strada in salita, ammette. "Ma se tutti diamo il nostro contributo, ce la faremo".

(moked, 14 febbraio 2014)


La pistola di Saddam in Israele

La pistola con la dedica di Saddam
Un mistero al momento senza una traccia di soluzione. Come è finita nelle mani di un ragazzino palestinese di 17 anni una pistola firmata con dedica da Saddam Hussein? Su questo stanno lavorando gli investigatori della Special Branch israeliana da una settimana. Tutto è nato da un banale controllo di un'auto nei pressi della cittadina arabo-israeliana Kafr Qasem, che si trova pochi chilometri a nord di Tel Aviv. La polizia ha chiesto al conducente di accostare ma questi ha tentato di proseguire cercando una fuga improbabile. L'auto alla fine è stata bloccata dagli agenti, sembrava un caso di un giovane senza patente alla guida di un'auto. Ma dopo una perquisizione attenta della macchina gli agenti hanno trovato una pistola carica. Trasferito il ragazzo al più vicino commissariato è saltata fuori la sorpresa maggiore quando la polizia ha scoperto che sull'arma è incisa in arabo la frase: "Dono del presidente dell'Iraq Saddam Hussein per chi ha difeso la patria".
Il ragazzo, che ha 17 anni, ha detto alla polizia di non avere idea a chi sia appartenuta la pistola. Secondo gli investigatori sembra che la pistola sembra sia stata effettivamente fatta circolare dal dittatore iracheno, giustiziato nel 2006 in Iraq dopo la seconda Guerra del Golfo. Ma su come sia arrivata nel villaggio e come il giovane l'abbia avuta, non è per nulla chiaro. Durante l'indagine è emerso che il padre del ragazzo è residente a Gaza. L'arma potrebbe essere stata trafugata dall'Egitto, ma come possa essere uscita dalla Striscia è un altro mistero da chiarire. Ogni persona o oggetto che esce dalla Striscia verso Israele è attentamente controllato dalla polizia di frontiera e dall'Esercito israeliano.

(la Repubblica, 14 febbraio 2014)


Le indagini sul raid antisemita al teatro Donizetti di Bergamo

Caccia agli anarchici di sinistra

Si stringe il cerchio attorno ai due autori del raid antisemita al teatro Donizetti di due settimane fa quando, all'indomani della «Giornata della memoria» erano comparse scritte antisemite sui muri esterni dell'edificio, facendo rabbrividire e indignare la città.
Le indagini della polizia hanno permesso, proprio sulla base del contenuto delle scritte, di accertare almeno l'area di appartenenza degli autori: si tratterebbe degli anarchici di sinistra.
Tra le scritte comparivano diverse Stelle di David paragonate alle svastiche, seppure disegnate al contrario, oltre a «Bergamo ama (con il simbolo del cuore) la Palestina» e «Israele boia». Proprio contenuti delle scritte e le successive indagini della digos hanno consentito di circoscrivere l'area di appartenenza degli autori, che non sono però ancora stati identificati.
Il cerchio attorno a loro si sta però inevitabilmente stringendo, benché dalle riprese video delle telecamere della sorveglianza comunale le loro facce non fossero riprese nei dettagli, visto che i due autori del raid avevano preso tutte le precauzioni possibili per rendersi irriconoscibili, ben consci della presenza delle videocamere in tutta la zona.
Gli inquirenti hanno indagato in tutti gli ambienti e le correnti: dall'estrema destra all'estrema sinistra, dagli antagonisti ai centri sociali, fino agli anarchici. E proprio quest'ultima area sarebbe stata individuata come quella di appartenenza dei due autori del raid. Due settimane fa, quando erano comparse le scritte, l'intera città si era detta indignata: le scritte erano state cancellate nella mattinata di mercoledì, ventiquattr'ore dopo la loro comparsa sui muri del Donizetti.

(L'Eco di Bergamo, 14 febbraio 2014)


Mosca, un museo da non perdere

di Laura Salmon, slavista

Ieri sera, a Mosca, avevo un paio di ore libere e sono corsa al Museo ebraico. Ne avevo tanto sentito parlare da quando era stato inaugurato (nel maggio del 2011). Sono rimasta senza parole: per un percorso così straordinario, con un'interattività avveniristica e al tempo stesso ben dosata, per una così ricca ricostruzione della Moderna Storia dell'Impero russo e dell'Unione Sovietica, sarebbero servite due settimane, non due ore! Ma, che potevo fare? Alle dieci di sera chiudeva (niente male, direte voi) ed erano già le otto e mezza. Sono quindi volata da una sala all'altra, da un pannello altro, per darmi almeno la sensazione di cogliere l'insieme (acchiappando al volo, alla libreria ricca di rarità editoriali, l'introvabile opera omnia di ?abotinskij in russo). Infatti, non potevo assolutamente perdere un'inattesa mostra temporanea ospitata dal Museo: "I dieci ebrei del XX secolo" di Andy Warhol (già esposti a New York nel 2008). Si tratta di dieci straordinari ritratti fotografici, rivisitati, nel suo stile inconfondibile, dalla venerata e discussa icona della pop-art. Sigmund Freud, Sarah Bernhardt, Albert Einstein, Franz Kafka, Gertrude Stein, i fratelli Marx, Martin Buber, George Gershwin, Golda Meir, Louis Brandeis: dieci quadri in tutto, ho pensato, mezzora mi basterà… E invece le mie due ore sarebbero servite a malapena solo per quella mostra. Per ogni quadro e ogni personaggio, infatti, il Museo aveva allestito (dietro un divisorio) una mini-esposizione interattiva: con apposite cuffie ho ascoltato la vera voce di Freud nell'unica registrazione esistente (un'intervista del '38 alla BBC) e le rivoluzionarie innovazioni musicali di Gershwin; cliccando poi su piccoli schermi ho visto brani di repertorio di Sarah Berhardt, poi ho ammirato i libri di Buber in varie lingue, nonché l'incipit in originale della "Lettera al padre" di Kafka e varie entusiasmanti fotografie. Alle dieci e cinque ho dovuto andarmene a malincuore, tallonata fino al guardaroba da un seccatissimo sorvegliante russo, nei cui occhi già baluginava comprensibilmente un guizzo di astio antisemita. Insomma, che dire? Ha perfettamente ragione un recensore moscovita che ha scritto su internet che il Museo ebraico di Mosca è il luogo da cui dovrebbero partire tutte le visite della città, aggiungendo, per meglio rendere l'idea: "quando arrivate al Museo ebraico, vi sentite come una vecchia servetta abituata a uno scopino di saggina a cui abbiano regalato un aspirapolvere".

(moked, 14 febbraio 2014)


Inaugurazione del Museo ebraico di Mosca nel novembre 2012


Questo boicottaggio è immorale

di Alan Dershowitz

Alan Dershowitz
Essendo un convinto sostenitore della soluzione a due stati, e un critico delle politiche degli insediamenti di Israele, sono particolarmente scioccato dagli sforzi di imporre disinvestimenti, boicottaggi e sanzioni contro Israele, e solo contro Israele, dato che il movimento che promuove il Boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (da ora in poi abbreviato Bds, ndr) rende più difficile raggiungere una risoluzione pacifica del conflitto mediorientale, che richiede compromessi da ogni parte. Il movimento di Bds è altamente immorale, minaccia il processo di pace e scoraggia i palestinesi dall'accettare qualsiasi ragionevole proposta di pace. Ecco dieci motivi inconfutabili per i quali il movimento Bds è immorale e incompatibile con gli attuali sforzi di arrivare a un compromesso di pace.
  1. 1. Il movimento Bds impone immoralmente solo agli israeliani l'intera colpa dell'occupazione di Israele e della politica degli insediamenti. Rifiuta di riconoscere la realtà storica - in almeno tre occasioni Israele ha offerto di sospendere l'occupazione e in ciascuna di queste tre volte i leader palestinesi, sostenuti dal loro popolo, hanno rifiutato di accettare tali offerte. Nel 1967, ho avuto un piccolo ruolo nella preparazione della Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu n. 242, che stabiliva la formula per mettere fine all'occupazione in cambio del riconoscimento del diritto di Israele a esistere in pace. Israele aveva accettato la risoluzione, mentre i palestinesi, così come le altre nazioni arabe, si sono riuniti a Khartoum e hanno emesso i famosi "tre no": no alla pace, no al negoziato, no al riconoscimento. Non ci fu alcuno sforzo per il boicottaggio, per imporre sanzioni o disinvestimenti da parte di chi fra gli arabi diceva "no". Nel 2000-2001, il primo ministro israeliano, il liberale Ehud Barak, assieme al presidente americano Bill Clinton, offrì ai palestinesi lo status di nazione, e la fine dell'occupazione. Yasser Arafat rifiutò quest'offerta - un rifiuto che molti leader arabi considerarono un crimine contro il popolo palestinese. Nel 2007, il primo ministro israeliano Ehud Olmert offrì ai palestinesi un accordo ancora migliore, un'offerta alla quale però essi non risposero. E anche allora non vi fu alcuna minaccia di Bds contro quelli che avevano rifiutato le offerte di pace di Israele. Ora ci sono in atto negoziazioni di pace nelle quali entrambe le parti stanno facendo offerte e imponendo condizioni: in queste circostanze è immorale dare la colpa esclusivamente a Israele, e dirigere il movimento Bds solo contro lo stato nazione del popolo ebreo, che ha per tre volte offerto di interrompere l'occupazione in cambio della pace.
  2. L'attuale movimento Bds, specialmente in Europa e in alcuni campus universitari americani, dà più forza ai palestinesi per rifiutare le soluzioni di compromesso al conflitto. Alcuni fra i leader palestinesi mi hanno detto che più a lungo si opporranno alla pace, più potente diverrà il movimento Bds contro Israele. Quindi perché non aspettare che il Bds rafforzi le sue posizioni nella contrattazione, in modo da non dover scendere a compromessi, abbandonando il diritto al ritorno, accettando uno stato demilitarizzato e facendo altre concessioni che sono necessarie per raggiungere la pace ma che sono anche troppo difficili da accettare per alcuni palestinesi? Il movimento Bds sta effettivamente rendendo più difficile il raggiungimento di una soluzione pacifica.
  3. Il movimento Bds è immorale perché i suoi leader non saranno mai soddisfatti dal tipo di soluzione a due stati che è accettabile per Israele. Molti dei suoi leader non credono nel concetto di Israele come stato nazione del popolo ebreo (il principale leader del movimento Bds, Omar Barghouti, ha ripetutamente espresso la sua opposizione al diritto di Israele di esistere come stato nazione del popolo ebreo persino all'interno dei confini del 1967). Alla fin fine, quindi, i leader del movimento Bds non si oppongono solo all'occupazione dei territori da parte di Israele e alla sua politica di insediamenti, ma all'esistenza stessa di Israele.
  4. Il movimento Bds è immorale perché viola il principio fondante dei diritti umani, cioè "il peggio per primo". Israele è fra le nazioni più libere e democratiche al mondo. E' certamente la nazione più libera e più democratica in tutto il medio oriente. I suoi cittadini arabi godono di più diritti di qualsiasi altro arabo in qualsiasi altra parte del mondo. Lavorano alla Knesset, nel sistema giudiziario, nei servizi esteri, nel mondo dell'istruzione e in quello degli affari. Sono liberi di criticare Israele e di sostenere i suoi nemici. Le università israeliane sono focolai di retorica, patrocinio, persino di insegnamenti anti israeliani. Israele ha un record superbo per ciò che riguarda i diritti delle donne, i diritti dei gay, la difesa dell'ambiente e altri diritti che a malapena esistono in gran parte del resto del mondo. Inoltre, il modo in cui Israele riesce a evitare feriti fra i civili, mentre combatte nemici che nascondono i loro soldati proprio fra i civili, è senza paragoni nel mondo attuale. La situazione in Cisgiordania è ovviamente diversa a causa dell'occupazione, eppure persino gli arabi di Ramallah, Betlemme e Tulkarm hanno più diritti umani e politici della stragrande maggioranza degli arabi nel mondo d'oggi. Inoltre, chiunque - ebreo, musulmano o cristiano - sia insoddisfatto dalle azioni di Israele può esprimere il suo scontento nei tribunali e sui media, in patria e all'estero. Questa libertà non esiste in nessun paese arabo, e neppure in molti stati non arabi. Eppure Israele è l'unica nazione al mondo attualmente minacciata dal Bds. Quando una sanzione è diretta esclusivamente contro uno stato, che è anche uno stato con uno fra i migliori record in materia di diritti umani, e capita che tale stato sia anche lo stato del popolo ebraico, allora deve essere preso in considerazione qualche sospetto di estremismo.
  5. Il movimento Bds è immorale perché colpisce le persone sbagliate. Colpirebbe infatti i lavoratori palestinesi che perderebbero il loro lavoro in caso di sanzioni economiche dirette contro le aziende che li impiegano. Colpirebbe gli artisti e le accademie, molti dei quali sono le voci più forti a invocare la pace e la fine delle occupazioni. Colpirebbe coloro che sono malati in tutto il mondo, e che sarebbero invece aiutati dalla sanità israeliana e dalla collaborazione fra gli scienziati israeliani e altri scienziati. Colpirebbe l'industria tecnologica di tutto il mondo, dato che Israele contribuisce in modo enormemente maggiore di altri allo sviluppo delle tecnologie atte al miglioramento della vita.
  6. Il movimento Bds è immorale perché incoraggerebbe l'Iran - il maggior finanziatore del terrorismo al mondo - a scatenare i suoi scagnozzi, come Hezbollah e Hamas, contro Israele, sperando che in caso di risposta israeliana agli attacchi aerei, la pressione in favore del movimento Bds contro Israele aumenterebbe.
  7. Il movimento Bds è immorale perché diverge l'attenzione del mondo da quelle che sono ingiustizie molto più gravi, inclusi i genocidi. Concentrandosi in modo sproporzionato su Israele, la comunità a favore dei diritti umani presta un'attenzione sproporzionatamente inferiore alle altre occupazioni, come quelle da parte di Cina, Russia e Turchia, e ad altri disastri umanitari come quelli che stanno avvenendo in Siria.
  8. Il movimento Bds è immorale perché promuove false rappresentazioni dello stato nazione del popolo ebreo, esagera le sue pecche e di conseguenza promuove semplicemente il più vecchio pregiudizio del mondo - quello antisemita - solo in un'altra formula. Non sorprende quindi che il movimento Bds sia promosso su siti internet neonazisti, che negano l'Olocausto, o su altri siti in ogni modo apertamente antisemiti, o che sia promosso da alcuni fra i più famigerati hater al mondo, come David Duke.
  9. Il movimento Bds è immorale perché riflette e incoraggia un doppio standard di giudizio e di risposta alla violazione dei diritti umani. Domandando di più a Israele, lo stato nazione del popolo ebreo, si aspetta di meno dagli altri stati, popoli, culture e religioni, reificando una sorta di razzismo coloniale e di estremismo inverso, che va a colpire le vittime di violazioni dei diritti umani inflitte da altri.
  10. l movimento Bds non raggiungerà mai i suoi scopi. Né il governo israeliano né il popolo israeliano capitoleranno mai ai metodi estorsivi impliciti al Bds. Non prenderanno, e non dovrebbero prendere, decisioni importanti riguardo la sicurezza nazionale e la sicurezza dei loro cittadini sulla base di minacce immorali. Inoltre, se Israele dovesse compromettere la propria sicurezza di fronte a tali minacce, si otterrebbero solo più guerre, più morti e più sofferenze. Tutte le persone rispettabili che cercano la pace in medio oriente dovrebbero unirsi nell'opposizione all'immorale movimento Bds. Usate le vostre voci per pretendere che sia il governo israeliano che l'Autorità palestinese accettino un compromesso di pace che assicuri la sicurezza di Israele e la fattibilità di uno stato palestinese pacifico e democratico. Il modo per raggiungere tale scopo non è attraverso immorali minacce estorsive che fanno più male che bene, è piuttosto attraverso il negoziato, il compromesso e la buona volontà.
(Il Foglio, 14 febbraio 2014)


Immorale fin dall'inizio è la proposta della soluzione dei due stati. Le successive immoralità non ne sono che l'inevitabile conseguenza. M.C.


Studio israeliano: l'allattamento al seno aiuta a prevenire il cancro.

Studio israeliano: l'allattamento al seno aiuta a prevenire il cancro. Ricerca condotta presso l'Università di Haifa conclude che tale prassi diminuisce le probabilità per i bambini di sviluppare il cancro del 60%.
L'allattamento al seno può aumentare le possibilità di prevenzione del cancro.


Un'importante scoperta di una nuova ricerca israeliana condotta presso l'Università di Haifa, ha concluso che i bambini che sono stati allattati al seno rispetto ai bambini che non lo avevano fatto hanno diminuito le probabilità di sviluppare cancro addirittura del 60%. Lo studio ha considerato anche i bambini che erano esclusivamente allattati al seno fino all'età di almeno quattro mesi, o in aggiunta avevano un alimentazione complementare per almeno un anno, confrontandoli con i bambini che avevano smesso di essere allattati al seno prima dell'età di quattro mesi.
La probabilità di ammalarsi di cancro tra coloro che erano esclusivamente allattati al seno era inferiore al 40%. Lo studio è stato finanziato dalle associazioni anticancro d'Israele. I ricercatori - Dr Lital Keinan Boker, vice direttore del centro del Ministero della sanità per il controllo delle malattia ed Efrat Amitai - hanno preso in esame 190 donne i cui figli avevano sviluppato leucemia o linfoma alle età da uno a 19 anni, nonché 348 madri di bambini sani che sono stati selezionati dalle zone circostanti rispetto ai pazienti.
Ad esse é stato chiesto il tipo di allattamento, nutrizione, esposizione ad animali domestici a detergenti, ecc., ed il risultato é stato quello evidenziato. Per Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", al di là della sorprendete statistica evidenziata dal sorprendete studio in questione, si aggiunge comunque un importante tassello alla certezza, più volte evidenziata dalla nostra associazione, che il latte materno sia un elemento importante per la salute e la crescita dei propri bambini.

(infoOGGI, 14 febbraio 2014)


Ecco quanto ci costano le Nazioni Unite

Solo per la missione in Libano spesi oltre 2 miliardi

di Fausto Biloslavo

Quanto ci costano l'Onu e le missioni in suo nome? L'Italia è il settimo Paese contributore del carrozzone internazionale e nel mondo partecipiamo a 7 missioni con 1378 caschi blu, che ci sono costate oltre 2 miliardi di euro solo negli ultimi sette anni.

 
Ban Ki Moon
Per il bilancio del Palazzo di Vetro, 2013-2014, sborsiamo 90 milioni di euro secondo fonti della Farnesina.
A questa cifra vanno aggiunti altri 282,5 milioni come contributo per le missioni di pace delle Nazioni Unite comprese quelle che non ci coinvolgono direttamente. E il segretario dell'Onu Ban Ki Moon si permette di far spallucce sul caso marò. Ieri sembrava aver inforcato la retromarcia dicendosi preoccupato, ma se così non fosse ritiriamoci immediatamente dalle missioni dell'Onu e cominciamo a chiudere i rubinetti al carrozzone delle Nazioni Unite. Su 21 missioni all'estero italiane, un terzo è targata Onu. La più consistente è quella in Libano, che schiera 1351 uomini dove abbiamo il comando con il generale degli alpini Paolo Serra. Ai suoi ordini c'è pure un battaglione di caschi blu indiani. L'obiettivo è mantenere una volatile pace fra Israele e gli Hezbollah in Libano. Nel 2006 siamo sbarcati nel Paese dei cedri con l'operazione Leonte ed in soli tre mesi, da settembre a dicembre, abbiamo tirato fuori quasi 187 milioni di euro, secondo i documenti sul sito della Difesa. Queste cifre non conteggiano gli stipendi base dei militari, ma solo le diarie di missione. In sette anni abbiamo fatto di tutto: consegnato mezzi all'esercito libanese per milioni di euro, dispiegato navi ed elicotteri e attuato interventi di cooperazione civile-militare per la popolazione.
La cifra totale del costo italiano della missione Onu, fino a dicembre 2012, era di oltre 1,8 miliardi di euro. Se aggiungiamo il costo medio degli ultimi anni per il 2013 arriviamo quasi ai 2 miliardi autorizzati dal Parlamento. In tempi di ristrettezza economiche non è male, soprattutto se l'Onu ci prende per il naso sui marò. Le altre missioni impiegano pochi uomini, ma sono sempre sotto la bandiera dei caschi blu e in alcuni casi durano da mezzo secolo. A Nicosia, la capitale cipriota, abbiamo ancora 4 militari che devono «supervisionare le linee del cessate il fuoco» del conflitto oramai sopito con i turchi del 1974. Dal 2006 l'Unficyp ci è costata poco meno di 2 milioni di euro. Grazie all'Onu una piccola botta l'abbiamo presa con l'Unamid, per il Darfur, quando fra il 2008 e 2009 mandammo oltre 100 paracadutisti. Ora sono rimasti 7 militari, ma la missione ci è costata oltre 17 milioni. I nostri soldati con il basco blu sono dispiegati dal 1991 anche nel Sahara occidentale per il cessate il fuoco fra Marocco e Fronte Polisario (292mila euro all'anno calcolando un costo giornaliero per militare indicato dalla Difesa). Nel Sud Sudan, l'ultimo Stato indipendente, già sprofondato nella guerra civile, abbiamo un solo uomo per l'Onu (58.400 euro all'anno). Nella storica missione Unmogip, fra India e Pakistan, che dura dal 1959, spendiamo per 4 caschi blu 220mila euro all'anno. E per 7 uomini fra Egitto, Israele, Siria e Giordania il costo è di 390mila euro all'anno, ma ci siamo dal 1958. Non solo: l'Italia è il settimo contributore Onu e solo dal primo gennaio 2013 siamo stati superati dalla Cina. Garantiamo il 4,4% del bilancio, su 193 Paesi, secondo fonti della Farnesina. Ban Ki Moon farebbe bene a tenerne conto prima di aprir bocca sui nostri marò.

(il Giornale, 14 febbraio 2014)


L’Onu è l’espressione istituzionale dell’illegalità rispetto al diritto internazionale. E’ il luogo in cui si legalizzano le le prevaricazioni e si dà dignità formale alle menzogne. E per tutto questo continua a chiedere soldi. M.C.


Gerusalemme investe sul mercato italiano

«Il mercato italiano per noi ha un potenziale enorme, tant'è che negli ultimi tre anni è passato da un incremento percentuale del numero di turisti del +6% al +10%». Sono le parole di Ilanit Melchior, direttore del turismo dell'Ente di Gerusalemme, a conferma dell'importanza della Bit 2014 per la destinazione israeliana. «L'Italia per noi è il quarto mercato di riferimento, dietro solo a Stati Uniti, Russia e Germania - conclude Melchior -. Stiamo investendo molto sul mercato italiano e ci aspettiamo una crescita del +15% per il 2014».

(Travel Quotidiano, 13 febbraio 2014)


Lions Club per la Sinagoga di Alessandria e il Fai

Due iniziative del Lions Club Alessandria Marengo in favore della conservazione del patrimonio storico-artistico cittadino dedicate al Fai e alla Comunità Ebraica alessandrina.

La Sinagoga di Alessandria
ALESSANDRIA - Il Lions Club Alessandria Marengo ha dedicato due Service a favore della cultura e della conservazione del patrimonio storico-artistico cittadino.
Carla Cattaneo, Presidente del Lions Club Alessandria Marengo, ha consegnato due contributi: uno alla Comunità Ebraica alessandrina, per promuovere i restauri della Sinagoga di Alessandria, ed un destinato al Fai di Alessandria a beneficio degli interventi in città.
I contributi dei Service sono stati consegnati da Carla Cattaneo a Paola Vitale, responsabile della Sezione di Alessandria della Comunità ebraica di Torino, e a Ileana Spriano, responsabile della delegazione Fai (Fondo per l'Ambiente Italiano) di Alessandria.
La cerimonia si è svolta l'11 febbraio ad Alessandria, durante un incontro conviviale del Lions Club Alessandria Marengo e della conferenza sul tema "Antisemitismo e razzismo. Cenni sulla storia della presenza della Comunità ebraica in Alessandria", organizzata da Club in occasione delle celebrazioni della "Giornata della Memoria".
All'incontro, svoltosi presso il ristorante "Alli Due Buoi Rossi", hanno partecipato, quali relatori alla conferenza, il professor Alberto Cavaglion, storico, ricercatore, docente del corso sull'ebraismo presso l'Università di Firenze, l'architetto Andrea Milanese, incaricato del restauro della Sinagoga di Alessandria, e il professor Aldo Perosino, studioso della Comunità ebraica di Alessandria. La Comunità ebraica di Alessandria è una delle più antiche d'Italia, e la sua presenza in città risale alla fine del 1400. La Sinagoga di Alessandria fu costruita a metà del 1700: l'edificio fu soggetto nel tempo a successive ristrutturazioni e, nella sua struttura attuale, fu ufficialmente inaugurato nel 1871.
Ad oggi la Sinagoga alessandrina è bisognosa di interventi di recupero. Il Lions Club Alessandria Marengo ha quindi devoluto un Service che è destinato all'allestimento di una mostra fotografica finalizzata a promuovere i restauri della Sinagoga. La mostra, a cura della Comunità ebraica alessandrina, sarà inaugurata nella sede della Singoga alla fine di aprile, e presenterà i numerosi oggetti antichi e di pregio da restaurare, alcuni databili tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, tra i quali, in particolae, un organo, la "macchina del pane azzimo", libri sacri, e altri oggetti che illustrano la vita quotidiana e religiosa della Comunità ebraica nell'arco di un secolo.
La mostra è realizzata da due giovani alessandrini: Emiliano Bottacco e Lara Ceresa, della cooperativa "CoopCulture".

(novionline, 13 febbraio 2014)


Israele replica a Schulz e dà i suoi dati sul consumo dell'acqua

183 litri Israele (2012), 103 in Cisgiordania(2011)

Il consumo urbano di acqua in Israele nel 2012 e' stato di 183 litri al giorno a testa (66.8 metri cubici all'anno), mentre in Cisgiordania - secondo dati del 2011 dell'Autorita' palestinese per le acque - e' stato di 103 litri al giorno a testa (37.6 metri cubici all'anno). Lo sostiene il portavoce dell'Autorità delle acque israeliana Uri Schor dopo le polemiche sorte a seguito dell'intervento del Presidente del parlamento europeo Martin Schulz alla Knesset.
Schulz aveva chiesto se fosse vero che ''un giovane palestinese può usare 70 litri cubici di acqua e un palestinese 17''. ''Ai fini di un paragone - ha aggiunto Schorr - il consumo domestico in Germania e' di circa 122 litri a testa al giorno, secondo il rapporto del 2009 del ministero tedesco dell'ambiente''.
Israele - ha poi detto Schor - ha accettato una ''richiesta dell'Autorita' nazionale palestinese e fornisce 56 milioni di metri cubi invece dei 31 che Israele era previsto dovesse fornire in base agli accordi ad interim''. Nel 2013 - ha insistito Schor - il consumo di acqua nei Territori e' stato di circa ''196 milioni metri cubici di acqua: 140 derivanti dall'auto estrazione, più i 56 forniti da Israele''. ''Attualmente - ha proseguito - il 95,2% della Cisgiordania e' connesso ad una rete d'acqua secondo un rapporto emesso nel 2013 dall'Anp. Ed e' stato lo stato di Israele a installare la maggior parte della rete della popolazione palestinese''.

(ANSAmed, 13 febbraio 2014)


70/17       = 7,17 invenzione palestinese creduta dall’Unione Europea nella persona del suo presidente
183/103   = 1,78 dato reale esposto dagli israeliani
7,17/1,78 = 4,03 indice di menzogna sulla sofferenza dei palestinesi


Natalie Portman contestata in Israele

Problemi per il suo esordio alla regia. La comunita' ultra ortodossa di Gerusalemme disturba le riprese di "A Tale of Love and Darkness"..

di Mattia Pasquini

 
Natalie Portman
E' dall'inizio di febbraio che Natalie Portman sta girando nella sua nazione d'origine il suo attesissimo film d'esordio come regista, A Tale of Love and Darkness. Ma questo sembra disturbare i rappresentati della comunita' residente nella zona di Nahlaot scelta dall'attrice e produttrice di origine israeliana, i quali hanno inviato una lettera di protesta al vicesindaco della citta' di Gerusalemme lamentandosi dell'invasione del set e dei costumi degli attori. Una "Invasione straniera" come recitano delle scritte sui muri apparse in questi giorni, come riportato dal giornale 'Times of Israel'.
"Le riprese del film sono previste in molte strade importanti vicino a sinagoghe e yeshivot, e le scene che saranno girate dovranno essere esaminate preventivamente per assicurarci che non offendano la sensibilita' di nessuno" sono le parole della lettera che continua lamentando il comportamento delle autorita' che non avrebbero avvisato - senza consultarla - la comunita' del permesso concesso alla troupe, lasciata troppo libera. La replica non si e' fatta attendere, salomonica, con la certezza che "l'attrattiva della citta', la sua architettura unica e gli sforzi dell'industria cinematografica trionferanno", nonostante "la costante tensione tra il desiderio di celebrare una Gerusalemme diversa e interessante e i tentativi di gruppi estremisti di prevenirlo".
"La crescita cinematografica vista in Gerusalemme negli ultimi anni continuera' a fiorire, gia' da domani con Natalie Portman a Nahlaot" ha concluso il vicesindaco, confortando la regista di A Tale of Love and Darkness (film prodotto dalla stessa casa di produzione della Portman, la Handsomecharlie Films, grazie anche a 450.000 dollari della Jerusalem Development Authority proprio per girare il film nella capitale israeliana).
Questo primo progetto da regista - escludendo i cortometraggi Eve, presentato a Venezia nel 2008, e l'episodio di New York, I Love You del 2009 - nasce dall'adattamento delle memorie dello scrittore israeliano Amos Oz sulla sua infanzia a Gerusalemme verso la fine degli anni '40, con la fine del mandato britannico in Palestina, e della sua crescita in parallelo con le questioni dei due stati. E dopo averne tanto parlato ed essersi dedicata alla produzione di documentari (come annunciato in occasione della presentazione di Thor: The Dark World), sarebbe un peccato che qualcosa la ostacolasse proprio in dirittura di arrivo di un film tanto desiderato, e che dovrebbe vederla partecipare in un piccolo ruolo, quello della madre di Oz, il protagonista.

(Film.it, 13 febbraio 2014)


Coniugi modenesi nominati 'Giusti tra le nazioni'

MODENA - Per quasi due anni, tra il 1943 ed il 1945, nascosero in casa una famiglia ebrea di Bologna. Luigi Succi e Maria Pini, due coniugi di Verica di Pavullo, nel Modenese, sono stati nominati dallo Stato di Israele "Giusti tra le nazioni" per indicare i non ebrei che durante la Shoah rischiarono la propria vita per salvare ebrei dalla persecuzione nazista. I nomi dei due coniugi saranno iscritti nel Viale dei Giusti allo Yad Vashem, museo memoriale della Shoah a Gerusalemme. "E' un riconoscimento - hanno commentato il presidente della Provincia di Modena, Emilio Sabattini e il presidente del consiglio provinciale Demos Malavasi - che ci onora come rappresentanti della comunita' modenese e di cui siamo grati". Con la recente nomina i 'Giusti' modenesi sono diventati dieci: oltre ai coniugi Succi ci sono Odoardo Focherini, don Dante Sala, don Arrigo Beccari, Giuseppe Moreali, i coniugi Sisto e Albertina Gianaroli, Antonio Lorenzini e don Benedetto Richeldi.

(AGI, 13 febbraio 2014)


Convegno Regionale EDIPI-Veneto

Treviso, 28 febbraio e 1o marzo

Dopo dodici Raduni Nazionali e due Convegni Internazionali in varie parti d'Italia, EDIPI approda in Veneto, quasi a sfidare il motto che "nessuno è profeta in patria"; il presidente Ivan Basana, padovano d'adozione ma veneziano di nascita, ha riservato per questa occasione qualcosa di speciale. Per la prima volta in Italia è stato invitato Ishmael Khaldi, primo e unico beduino a far parte del corpo diplomatico dello Stato di Israele. Racconterà della sua incredibile vicenda personale che lo ha portato, da un villaggio beduino del deserto, fin ad assumere il ruolo di consigliere politico dell'Ambasciata di Israele a Londra. Un esempio di pace sociale tra realtà diverse (Ishmael è israeliano, ma non ebreo) che solo lo stato democratico di Israele può realizzare in Medio Oriente.
Di un'altra pace parlerà invece il dr. Mark Surey, anch'esso da Londra, che approfondirà come la sua ebraicità si sia pienamente realizzata nella rivelazione di Gesù, Messia di Israele.
Altri interventi non meno importanti saranno quelli del prof. Marcello Cicchese, dell'arch. Gabriella Morabito e dei pastori Ebo Simons e Ivan Basana.
Un simpatico fuori programma è previsto per domenica mattina 2 marzo con una visita guidata al Ghetto di Venezia, di cui ricorrà il 500o anniversario fra due anni (Io Ghetto al mondo).
L'appuntamento è a Treviso per venerdì 28 febbraio e sabato 1o Marzo, presso il Centro Congressi del Crystal Hotel a Preganziol di Treviso, via Baratta Nuova, 1 (laterale via Terraglio) - tel. 0422.630813.
Programma

(Edipi, febbraio 2014)


Processo d'Appello Stormfront, confermato l'impianto accusatorio

Nota di Fabio Perugia
portavoce della Comunità Ebraica di Roma

"La Comunità Ebraica di Roma esprime piena soddisfazione per la sentenza della Corte di Appello di Roma nel processo Stormfront. La Corte ha decretato la conferma di tutto l'impianto accusatorio nella sentenza di primo grado ivi compreso il reato associativo, con un lieve sconto sulla pena inflitta ai quattro condannati. E' stato così sancito il principio per cui la Rete non è il luogo delle impunità ma è il luogo delle responsabilità. E' il segno di una strada tracciata, dove i propagatori di odio sono perseguiti dalla legge e lo saranno ancor di più quando il Parlamento italiano compirà il decisivo passo nella direzione del reato di Negazionismo della Shoah e del Cybercrime. Un ringraziamento particolare va alla Magistratura, alle forze dell'ordine e all'Avvocato Roberto De Vita che in sede di processo ha difeso la Comunità Ebraica di Roma costituitasi parte civile, nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero dell'Interno anch'essi parte civile. In un momento in cui il pericolo della xenofobia, del razzismo e dell'antisemitismo riaffiorano con becere manifestazioni di singoli o di gruppi, questa è la migliore risposta che l'Italia può dare a un fenomeno che merita di essere debellato".

(Comunità Ebraica di Roma, 13 febbraio 2014)


È tempo di investimenti

L'economia sta migliorando, ci avvisano gli esperti. Gli Stati Uniti procedono al galoppo, l'Europa sta faticosamente uscendo dalla recessione, e la Cina non preoccupa più di tanto. Merito soprattutto della ripresa degli investimenti, favoriti dai bassi tassi di interesse e dalla abbondante liquidità.
Insomma, bisogna avere fiducia e investire, per uscire dalla crisi; è il monito corale degli economisti. È anche per questo che l'autorità palestinese ha deciso di aumentare gli stanziamenti a favore dei terroristi rilasciati in tempi diversi dalle carceri israeliane, in ossequio ai negoziati di pace che però si sono risolti in gesti di buona volontà soltanto unilateralmente....

(Il Borghesino, 13 febbraio 2014)


Viaggio tra i cristiani nell'esercito con la Stella di David

di Massimo De Angelis.

 
ROMA - Padre Gabriel Nadaf, sacerdote cristiano-ortodosso israeliano, ha fondato, circa un anno fa, l'Israeli Christians Recruitment Forum, per sostenere la partecipazione dei cristiani di Israele al servizio militare nell'esercito della Stella di David. L'iniziativa, già in questo breve tempo, ha coinciso con un apprezzabile aumento percentuale di arruolamenti tra i cristiani. E in parallelo, come era inevitabile, con l'esplosione di un vulcano di emozioni. Ne ha fatto le spese lo stesso sacerdote - come egli stesso ha raccontato in un intenso incontro con una delegazione di parlamentari italiani avvenuto alcuni giorni fa a Gerusalemme. Egli stesso è stato sottoposto a contestazioni e minacce all'interno della sua comunità, mentre suo figlio è stato brutalmente percosso.
   Che cosa rende l'iniziativa di questo coraggioso sacerdote particolarmente significativa? Essa esprime una spinta, da tempo presente non solo tra gli ortodossi ma anche presso altri gruppi cristiani, a prendere atto con chiarezza di una realtà incontrovertibile e decisiva: Israele è l'unico paese dell'area dove i cristiani possono professare la loro fede e vivere relativamente al sicuro, dove vige un effettivo pluralismo religioso; non è allora logico che i cristiani di Israele facciano la loro parte per difendere lo stato che offre loro libertà e protezione? Come è ovvio in una realtà costantemente sotto attacco come è Israele, compiere il servizio militare è il primo gesto, e il più tangibile, di lealtà e adesione a esso.
   La questione, d'altra parte, suscita innumerevoli polemiche. Basti guardare alle corpose manifestazioni di resistenza dei giorni scorsi, da parte degli ebrei più tradizionalisti, al disegno di legge della Knesset che impone anche a loro la coscrizione obbligatoria. La leva obbligatoria è riservata solo ai cittadini ebrei e drusi e dura due anni. Poi si rimane sino all'anzianità riservisti e si è spesso richiamati. Tutti gli altri cittadini possono aderire su base volontaria. I beduini musulmani, ad esempio, già da tempo costituiscono un nucleo prezioso e specializzato nelle Forze armate anche a elevati gradi gerarchici. La questione si porta dietro molti problemi e, per il suo significato simbolico, va a toccare un punto nevralgico della stessa identità dei cristiani di laggiù. Essi sono arabi per l'80 per cento e vivono in città e paesi a maggioranza araba musulmana. Svolgere il servizio militare (che viene remunerato) significa rompere con meccanismi, anche obliqui, di solidarietà. Significa aver paura. E scontrarsi, anche, con una genuina opzione antimilitarista presente nelle proprie comunità. Non è semplice dunque.
   Qualcosa però si muove nel fondo delle coscienze. Si assiste infatti al declino del panarabismo come fattore di identità. Esso è stato un collante formidabile per tutto il Novecento. Il nuovo secolo, però, col 2001, ha portato, come sappiamo, qualcosa di radicalmente nuovo. E' ora il jihad, è l'islamismo il nuovo collante dei musulmani. Questo cambia drasticamente le cose anche per i cristiani. E' difficile ancora vedere con chiarezza tutte le conseguenze di questo fenomeno. E' però chiaro che i cristiani di quell'area, anche gli arabo-cristiani, si sentono più soli e più minacciati. Quel che i cristiani israeliani sanno è che oggi la cittadinanza israeliana è l'unico fattore che consente loro di vivere in relativa libertà, dignità e tranquillità rispetto a tutti gli altri cristiani del medio oriente.
   La proposta del Forum si inserisce in questo contesto e mira a dare un segno emblematico verso lo stato in cui vivono. A tal proposito va ancora considerato che, se i cristiani entrassero più decisamente a far parte dello stato di Israele, potrebbero favorire l'evoluzione di questo verso una identità fondata storicamente sull'ebraismo ma sempre più compiutamente laica, multietnica e multireligiosa. C'è, in tutta questa vicenda - lo ha sottolineato padre Nadaf - un grande problema di leadership nelle comunità cristiane litigiose e divise. Servirebbe una salda leadership, un punto di riferimento in grado di rappresentare, oltre le intangibili differenze, il comune sentire, su alcuni temi di fondo, dell'insieme della comunità cristiana. Anche oltre la questione del servizio militare e innanzitutto sul tema della tolleranza e del pluralismo. In Israele ma anche altrove in medio oriente. La cosa riguarda innanzitutto i cristiani di laggiù. Non esclusivamente loro però. Senza mettere a rischio la sicurezza di chi lì abita ma anche senza indulgere a "silenzi" miopi, anche le chiese cristiane del resto del mondo dovrebbero con più forza farsi carico di una vicenda così complessa . E' ben chiaro che se segnali più forti a sostegno del pluralismo religioso in tutti i paesi dell'area e di plauso per quanto fa in tal senso Israele venissero dai cristiani europei, tanti si sentirebbero incoraggiati. Forse non solo tra i cristiani.
   Qui si colloca il grande tema del dialogo interreligioso e in esso dello spostamento dal tema, forse un po' fumoso, dell'"incontro tra le fedi", a quello, assai più concreto, della difesa della libertà religiosa; secondo quanto già insegnò a noi cattolici Paolo VI in particolare attraverso l'importantissimo documento conciliare della Dignitatis humanae, la quale fissò con chiarezza e irreversibilmente un nesso strettissimo tra libertà religiosa e dignità della persona, e invitò i cattolici a battersi ovunque e innanzitutto, oltre ogni integralismo, per la libertà di ogni uomo di professare in ogni angolo del mondo la propria fede. Un grande tema, decisivo oggi più che mai in medio oriente. E non solo in quell'area, purtroppo, ma ancora nella maggior parte del pianeta. La libertà religiosa come fonte e cartina di tornasole del rispetto di ogni altra libertà delle persone: ecco qualcosa che è nel codice genetico d'Europa ma che l'Europa quasi non rammemora più. Sarebbe davvero bello se, nel prossimo viaggio a maggio in Terrasanta, Papa Francesco, proprio sulla scia del suo predecessore che lì fece un viaggio di importanza storica, suonasse, su questo tema, una grande e vitale sveglia.

(Il Foglio, 13 febbraio 2014)


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Schulz mente alla Knesset: che eurogaffe

di Fiamma Nirenstein

"Insopportabile sentir pronunciare menzogne alla Knesset e per giunta in tedesco". Questo il commento del Ministro israeliano Uri Orbach alle parole del Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz (qui nella foto) in visita in Israele.
Sei europeo? Allora su Israele ormai sai soltanto bugie, e le ripeti, senza verificarle, a chi ti capita, così, tanto per chiaccherare. Ne ha dato un esempio ieri alla Knesset il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz. Ha detto dal podio che un giovane palestinese (ha detto così) gli ha riferito che i palestinesi usufruiscono di 17 litri di acqua al giorno e i soliti israeliani di 70. Ma non aveva verificato, e l'ha detto. E allora perché sprecare un'occasione preziosa per dimostrare l'amicizia dell'Europa all'unico Paese democratico e minacciato di morte in Medio Oriente, un'isola di stabilità in un mare di terrorismo? I dati sono sbagliati: un palestinese riceve 110mila litri d'acqua all'anno, e un israeliano intorno ai 160mila. Schulz dice che un israeliano riceve 4,12 volte più acqua di un palestinese, ma il conto vero è ben lontano: una volta e mezzo. E ragionevole pensare che la cura dell'acqua in tanta siccità sia tutto frutto di lavoro israeliano. Inoltre, anche nei momenti in cui il sangue israeliano scorreva per tutte le strade di Gerusalemme, mai l'acqua ha cessato di arrivare ai rubinetti palestinesi. Schultz ha anche accusato Israele di assediare Gaza, forse non ricorda che Israele l'ha lasciata nel 2005 e da allora Hamas lo bombarda di missili e promesse di distruzione. Schulz desidera che i terroristi siedano ai bar di Tel Aviv? Alcuni membri del parlamento sono usciti dall'aula, non è bello trovarsi in casa un ospite malevolente e bugiardo.

(il Giornale, 13 febbraio 2014)


il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz ha agito secondo l’uso consolidato degli antisemiti: una notizia che comunica una cattiveria degli ebrei
non si dica che qui si parla di Israele e non di ebrei,
perché è la stessa cosa
non ha bisogno di essere dimostrata: è per sua natura vera. Dipende dalla natura degli ebrei, notoriamente cattiva. Come per esempio diceva Adolf Hitler, non ha nessuna importanza chiedersi se “I protocolli dei savi anziani di Sion” siano autentici o no, perché in ogni caso presentano una verità: che gli ebrei sono malvagi e vogliono dominare il mondo. Quanti sono quelli che pensano la stessa cosa? M.C.


"Prossima fermata: Auschwitz. Gli ebrei possono scendere e fare una doccia"

Grave episodio di antisemitismo sul treno che collega Namur a Bruxelles, in Belgio. Le autorità stanno cercando di ricostruire l'accaduto: forse un gruppo di adolescenti è riuscito a impossessarsi delle chiavi del conduttore per intrufolarsi nella saletta da dove è possibile fare gli annunci con l'altoparlante.

di Maurizio Molinari

Israele è una nazione abituata a riflettere con amarezza sugli episodi di antisemitismo che avvengono in Europa e c'è un diffuso sentimento di sfiducia sulla possibilità di estirpare il razzismo da città come Parigi e Londra. Dunque, raramente l'intolleranza contro gli ebrei in Europa attira l'attenzione del grande pubblico. A fare eccezione arriva però quanto avvenuto lo scorso 31 gennaio su treno Snbc in viaggio da Namur a Bruxelles, in Belgio.
A diffondere la ricostruzione è stata la stazione radio RTL secondo la quale verso le 17 uno dei passeggeri ha parlato nell'altoparlante del treno dicendo: "Gentili signore e signori, ci stiamo avvicinando ad Auschwitz, a tutti gli ebrei è richiesto di scendere e fare una breve doccia". Viviane Teitelbaum, deputata nel Parlamento della regione di Bruxelles, afferma di aver saputo da un testimone diretto che sarebbe stato un gruppo di adolescenti ad impossessarsi delle chiavi del conduttore per intrufolarsi nella saletta da dove è possibile fare gli annunci. Il sospetto inoltre è che si tratti di un gruppo di giovani che già lo scorso anno fecero qualcosa di simile, salendo sullo stesso treno per poi annunciare dai microfoni "il treno arriva a Auschwitz, tutti gli ebrei scendano a Buchenwald". Resta da vedere se ora le autorità belghe riusciranno ad individuare gli autori del gesto razzismo, punendoli in maniera tale da fare breccia nel pessimismo israeliano sulla capacità europea di reagire al ripetersi di tali episodi.

(La Stampa, 13 febbraio 2014)


I malati italiani di Stamina adesso partono per Israele

Il dottor Slavin: "Vannoni? Non so chi sia. Io curo chi non vuol morire"

di Maurizio Molinari

 
Il dottor Shimon Slavin è un pioniere dei trapianti di midollo osseo
Al ventesimo piano del grattacielo Top Ichilov i pazienti italiani si susseguono con una certa frequenza chiedendo di essere ricevuti da Shimon Slavin. L'«International Center for Cell Therapy & Cancer Immunotherapy» ha aperto i battenti cinque anni fa quando Slavin, internista di trapianti del midollo osseo ed ex capo del centro di ricerca sulle cellule staminali all'ospedale Hadassa di Gerusalemme, decise di sviluppare quella che definisce «l'unica versione esistente di medicina personalizzata».
   È una scommessa che lo ha portato, a 72 anni d'età, ad essere il punto di arrivo per pazienti, israeliani, arabi ed europei, che vedono nelle terapie con le cellule staminali una strada da tentare per «evitare la morte» come riassume Slavin. Il tono perché è quasi remissivo: precisando che «non faccio pubblicità nè pubbliche relazioni perché nella mia attività ciò che contano sono solo gli studi scientifici che vengono pubblicati». La provenienza dei pazienti è descritta dalle lingue parlate dal suo staff di dottori, specialisti, infermiere e segretarie: arabo, ebraico, francese, inglese, italiano, romeno, russo, spagnolo e svizzero-tedesco. Gli italiani che chiamano chiedendo appuntamenti e visite sono un fenomeno iniziato, quasi all'improvviso, circa un anno fa. «Il ritmo adesso è di una media di cinque nuovi pazienti al mese» spiega Ruth, la sua segretaria sfoggiando un ottimo italiano. «Non ho idea del perché abbiano iniziato a venire qui da noi, l'unica maniera per conoscere ciò che facciamo è partecipare a convegni scientifici o leggere pubblicazioni mediche» sottolinea Slavin, sposato con tre figli e continuamente in viaggio da una capitale all'altra.
   L'arrivo degli italiani è un risultato delle polemiche nel nostro Paese sul metodo «Stamina» promosso da Davide Vannoni. «Non so davvero chi sia costui, non l'ho mai incontrato e non ho idea se sia o meno autore di pubblicazioni di tipo scientifico - assicura Slavin - ma se non ne ha fatte allora appartiene alla categoria dei ciarlatani». Forte della credibilità sui trapianti di midollo osseo di cui gode in Israele, Slavin è un convinto assertore della possibilità di curare con cellule staminali. È tanto liquidatorio nei confronti di Vannoni quanto invece mostra attenzione per i pazienti che bussano alla porta del suo studio: «Si tratta di persone che vogliono vivere e per questo meritano ogni possibile attenzione». Crede nell'efficacia delle terapie con le cellule staminali ma sceglie la prudenza nel sostenerlo: «L'esito non è garantito ma i successi avvengono». Come dire, si tratta ancora di una situazione di bilico. Difende a spada tratta il metodo scientifico di prelevare cellule staminale adulte, coltivarle e adoperarle per rispondere a gravi malattie ma esita a sbilanciarsi sui risultati. «Le cellule staminali possono essere l'unica soluzione a malattie a tutt'oggi incurabili che ci affliggono come il diabete, il morbo di Parkinson e la sclerosi ma lo sviluppo delle terapie relative - ammette - sta attraversando una fase di difficoltà perché cresce da parte delle autorità regolatorie in tutto il mondo la pressione tesa a classificare le cellule staminali come se fossero dei farmaci di tipo tradizionale».
   È una tendenza che viene dagli Stati Uniti dove la «Food and Drug Administration», l'Ente che veglia su cibi e medicinali, si sta muovendo in questa direzione «con il conseguente allineamento di molti altri governi, incluso quello di Israele dove il ministro della Sanità ha iniziato a farci delle difficoltà». Slavin non crede alla trasformazione delle cellule staminali in nuovi farmaci da acquistare in farmacia per due motivi convergenti. Primo: «Per loro natura le cellule staminali sono personalizzate, ogni essere umano ha le proprie, sono diverse da quelle degli altri, e non possono dunque essere trasformate in prodotti standard validi per tutti». Secondo: «Per realizzare un farmaco di questo tipo servono almeno 1-1,2 miliardi di dollari di investimenti e dieci anni di ricerche, i soldi possono certamente metterli le società farmaceutiche sempre alla ricerca di buoni affari ma il tempo di attesa è troppo lungo per essere accettabile da pazienti che sono alle prese con malattie ancora senza risposta e vogliono continuare a vivere». Riguardo alle terapie, di cui si considera un «pioniere», Simon Slavin spiega che «ve ne possono essere diverse in più Paesi perché devono rispettare i regolamenti in vigore». Anche per questo viaggia in continuazione, al fine di seguire pazienti che si trovano lontano da Tel Aviv.

(La Stampa, 13 febbraio 2014)


Israele, vacanza per l'anima e il corpo

di Carolina De Lucchi

Fedelissimo alla Bit fin dalla sua prima edizione, Israele conta quest'anno la sua XXIX presenza alla Borsa del Turismo di Milano e chiude in positivo il 2013 con una crescita del 2%.
L'anno scorso 173mila italiani lo hanno scelto per trascorrere una vacanza che da sola riesce a coniugare divertimento, natura, benessere, spiritualità e storia.
«Siamo cresciuti molto anche nel concept - spiega Tzvi Lotan, direttore dell'Ufficio Nazionale israeliano del turismo -; la nostra idea di proporre una destinazione che sia, come di fatto è Israele, una meta per l'anima e per il corpo, è stata vincente e ha aumentato l'interesse degli operatori che hanno attivato collaborazioni e promozioni con noi. E anche la comunicazione avrà una veste grafica nuova e accattivante».
A cambiare è anche il modo di visitare il Paese. La formula city break piace sempre di più e vede Tel Aviv e Gerusalemme protagoniste di lunghi weekend dedicati al divertimento o allo spirito. Animata e frizzante a qualsiasi ora del giorno e della notte, Tel Aviv è ricca di locali, grandi hotel, passeggiate e ristoranti. Il suo fascino è nel miscelare Occidente e Medioriente, modernità e tradizione. A cominciare dall'enogastronomia, settore in crescita in tutto il Paese grazie alla costante ricerca agroalimentare e all'eccellenza dei prodotti.
Una cena da Herbert Samuel o presso il famoso ristorante Berti permette di gustare piatti eccellenti presentati con tocchi di autentico goloso «design». Durante una passeggiata nell'antica Jaffa fino al vecchio porto, può capitare di imbattersi in uno dei coloratissimi mercati, dal celeberrimo Shuka Karmel al raffinato Farmer Market, dove è facile incontrare la famosa Michal Ansky, giudice del Masterchef israeliano. E poi ci sono gli eventi come la Notte Bianca il 26 giugno, con locali aperti tutta la notte e concerti in spiaggia, o l'Hot Dance Festival a luglio e agosto a cui partecipano ballerini di tutto il mondo. Uguale e contraria a Tel Aviv, Gerusalemme è oggi una città che si propone in modo nuovo. Da sempre tempio della spiritualità, in questi ultimi anni ha intensificato la propria attività culturale attraverso l'organizzazione di eventi eccezionali, come l'appena conclusa mostra di Erode il Grande o la mostra dedicata al Libro dei Libri attualmente in corso al Museo delle Terre della Bibbia. E offre esperienze uniche, come l'emozione di correre tra le pietre che raccontano la storia di secoli, durante la IV edizione della Maratona di Gerusalemme, in programma il prossimo 21 marzo con la partecipazione di Nir Barkat, sindaco della città, uno dei più grandi sostenitori dell'evento e ideatore della manifestazione.
Tra i prossimi appuntamenti, a giugno continua la tradizione del grande festival lirico all'aperto organizzato dall'Opera di Israele con la Traviata, di Verdi, presentata alle pendici di Masada, di fronte al Mar Morto e il Don Giovanni, di Mozart, ad Akko, sul Mediterraneo. Eventi da non perdere perché raggiungere Israele oggi è più facile: Easyjet apre l'era del low cost nella destinazione, mentre El Al e Alitalia propongono nuovi collegamenti da Venezia. Per scoprire di più: da oggi in Bit, Padiglione 4, stand B11-C20, 13-15, www.goisrael.it.

(il Giornale, 13 febbraio 2014)


Benedetto Croce, unica voce di dissenso attivo contro le leggi razziali del 1938

di Angelo Martino

I migliori intellettuali italiani del periodo fascista presero posizione a favore delle leggi razziali fasciste del 1938, e molti di loro rappresentarono l'avanguardia di tale propaganda.
Come contraltare si levò il coraggioso dissenso di Benedetto Croce che non ebbe esitazioni a denunciare in Italia la riprovazione verso il Manifesto della Razza.
Al disaccordo espresso dal Croce si unì quello di altri intellettuali, ma esuli in Francia, e di Ernesta Bittanti, vedova di Cesare Battisti, un giornalista e soldato patriota di Trento, condannato a morte dal tribunale militare austriaco con l'accusa di tradimento il 12 luglio 1916.
Come scrivono Mario Avagliano e Marco Palmieri nel loro ultimo lavoro Di pura razza italiana, i casi di Benedetto Croce e di Ernesta Bittanti si mostrano delle eccezioni in quanto per gli "antifascisti che vivono in Italia, nella maggior parte dei casi il dissenso verso la politica antiebraica del regime rimane confinato nella sfera privata."
Invece Benedetto Croce accolse l'appello promosso dal rettore dell'Università cattolica in favore degli ebrei tedeschi perseguitati, rispondendo con una lettera del 5 agosto, quindi a pochi giorni dalla pubblicazione del Manifesto della Razza, esprimendo "ribrezzo" per quanto aveva messo in atto Hitler, e mostrandosi molto preoccupato per la decisione di Mussolini di seguire il suo alleato.
"Disgraziatamente, ora anche in Italia è stata, a un tratto, iniziata un'azione razzistica e antiebraica, che non si sa ancora quali forme assumerà, ma che voglio augurarmi che non sia per essere duratura. In Italia non vi è stato mai antisemitismo, e l'elemento ebraico cooperò per la sua parte al Risorgimento nazionale".
La coraggiosa lettera di Benedetto Croce fu pubblicata sul "Palestine Post" e, come era prevedibile, appena la notizia arrivò in Italia, si scatenò nei confronti del filosofo e storico italiano una durissima reazione da parte della stampa di regime, attribuendogli l'appellativo di "giudeo onorario", o ironicamente di essere un "chassidista", mettendo all'indice il suo "pietismo".
Croce continuò senza farsi intimidire e, quando l'atteggiamento antisemita iniziò a degenerare in forme di "atroci delitti", lo scrisse senza remore, rimarcando che gli ebrei erano "nostri concittadini, nostri compagni, nostri amici, che per l'Italia lavoravano e l'Italia amavano né più né meno di ogni altro di noi".
Non esitò a dedicare alcune delle sue pubblicazioni a personalità del panorama letterario di religione ebraica. Su La Critica, omaggiò un critico letterario dell'Ottocento, un eroe del Risorgimento quale Tullo Massarani, che manifestò tutta la sua ideale appartenenza ai sogni degli eroi risorgimentali, parlando degli italiani come " il popolo nostro".
Inoltre nel 1939 pubblicò la terza edizione de La storia come pensiero e come azione, integrandola con un capitolo in cui dimostrò l'inconsistenza teorica ed etica del concetto di razza.
Con la sua attività cercò di impedire che i testi ebraici fossero banditi dal regime fascista e a tal proposito scrisse una lettera in difesa della sua casa editrice Laterza refrattaria al volere del regime.
Benedetto Croce fu certo un raro esempio di uomo e di intellettuale che ebbe il coraggio di esprimere attivamente tutto il suo disaccordo alle atrocità del fascismo, in un triste momento storico in cui tanti giornalisti, scrittori, scienziati, medici, uomini del mondo cattolico mostrarono per esso non solo il sostegno, ma anche un vergognoso entusiasmo.

(ComuneDiPignataro.it, 12 febbraio 2014)


Gli italoamericani e l'emigrazione ebraica italiana negli Usa

Fraser Ottanelli, professore di Storia alla University of South Florida, invita a ripensare a una storia quasi sconosciuta

di Gianna Pontecorboli

NEW YORK - Il Giorno della Memoria come spunto di riflessione per andare piu' lontano e ridefinire molte pagine della storia degli italo-americani?
Questa e' la sfida che Fraser Ottanelli ha lanciato al Calandra Institute della City University di New York durante uno degli eventi newyorkesi dedicati al ricordo della Shoah.
Ottanelli, professore al College of Arts and Science della University of South Florida , specializzato in storia delle migrazioni e dei movimenti sindacali, autore di due libri e di numerosi articoli, e' sicuramente uno degli studiosi americani che conoscono meglio la realta' dell'immigrazione italiana negli Stati Uniti. . E adesso, al Calandra Institute, ha richiamato l'attenzione di un pubblico particolarmente interessato ad un angolo finora quasi sconosciuto di questa complessa vicenda, quello degli ebrei italiani che trovarono rifugio negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali volute dal Fascismo nel 1938 .
Il loro numero era piccolo, si tratta molto probabilmente di meno di duemila persone , ma tra di loro vi furono fisici come Emilio Segre' e Bruno Rossi, economisti come Franco Modigliani, musicisti come Mario Castelnuovo-Tedesco. A renderli fino a adesso ''invisibili'', ha fatto notare Ottanelli, e' stata soprattutto la mancanza di fonti attendibili. I documenti tradizionalmente consultati dagli storici, come la stampa etnica italo americana o quella sindacale, non ne fanno cenno. Nel Casellario Politico Centrale, in cui il regime mussoliniano teneva d'occhio 160.000 '' sovversivi'', e che e' ora a disposizione degli studiosi all'Archivio di Stato a Roma, la religione dei sorvegliati veniva raramente citata e solo di sfuggita. Perfino Umberto Caradossi, l'abile agente dell'OVRA che controllava i fuoriusciti con l'incarico ufficiale di viceconsole a New York, raramente citava nei suoi puntigliosi rapporti a Roma il credo religioso degli antifascisti che sorvegliava , anche se tra di loro c'erano Max Ascoli, Piero Sraffa o i fratelli Nello e Carlo Rosselli.
Adesso, ha fatto osservare Fraser Ottanelli al Calandra Institute, e' pero'venuto il momento di dedicare a quel piccolo gruppo di professori e professionisti molto di piu' di un'attenzione distratta.
''Credo'', ha detto,'' che dedicare una specifica attenzione ai rifugiati ebrei italiani negli Stati Uniti offra un punto di osservazione da cui partire per capire l'intricata interazione tra come i migranti italiani furono ricevuti e le forme della loro incorporazione nella societa' americana con la definizione dell'identita' italo-americana''.
Un esame degli ostacoli che gli ebrei italiani incontrarono nel loro tentativo di essere ammessi negli Stati Uniti, per esempio, racconta una storia che riguarda tutti gli immigranti. Certamente, fa osservare lo studioso ,'' l'esperienza degli ebrei italiani mette in dubbio l'immagine degli Stati Uniti come ''terra promessa''.
Nel paese in cui gli esuli cercano di entrare, l'antisemitismo e' diffuso e raggiunge i livelli piu' alti del dipartimento di Stato . L'ostilita' che fa chiudere le frontiere e rende rigido il restrittivo sistema delle quote, pero', non riguarda soltanto gli ebrei, ma anche tutti gli altri immigranti dall'Europa del Sud e dell'Est.
''Per ogni ebreo, italiano o da altre parti dell'Europa, che trovo' rifugio negli Stati Uniti ve ne furono molti di piu' che furono abbandonati al loro destino...,'' ha spiegato Ottanelli,'' Alla fine, l'esperienza dei rifugiati ebrei italiani mette in luce la mancanza di volonta' delle autorita' americane di adottare misure tese a salvare gli oppressi'' . Una sfida morale, insomma, che gli Stati Uniti perdono e che racconta una storia amara di chiusura nei confronti di chi ha bisogno.
Anche per quanto riguarda la comunita' italo-americana del tempo, pero', restano delle domande che vale la pena di porsi. L'integrazione e la ricerca di un'identita' degli immigrati nella loro nuova patria, ha ricordato Ottonelli, non e' stata facile ed e' stata complicata dall'ostilita' dei grandi sindacati e dalla frammentazione delle organizzazioni dei lavoratori su basi etniche. ''L'antisemitismo non faceva parte del bagaglio culturale della maggior parte degli italiani che attraversarono l'Atlantico negli anni dell'emigrazione di massa, '' ha spiegato lo studioso,'' ma e' stato qualcosa a cui sono stati esposti come parte della loro esperienza di lavoratori immigrati''. Con l' arrivo del fascismo, molti italoamericani abbandonano il sogno della solidarieta' della classe operaia e abbracciano i concetti di '' razza'' e di ''italianita''' proposti dalla propaganda fascista e dai giornali della comunita' locale. La ricerca di un'identita' non lascia spazio agli ebrei, anche se sono nati nello stesso angolo di mondo.
Una storia, insomma, tutta da esplorare e che combina, passando attraverso il dramma degli ebrei italiani, l'ostilita' del'America nei confronti degli immigranti e il difficile tentativo degli italo-americani di costruirsi un'immagine di se'.

(Lettera22, 12 febbraio 2014)


A Viadana la sinagoga che dovette nascondersi

Un libro di Marida Brignani ricostruisce in un libro l'affascinante e misteriosa storia della sinagoga di Viadana, al centro di una disputa con le autrorità ecclesiastiche del XIX secolo.

 
  La sinagoga incompiuta di Viadana 
MANTOVA - A Viadana fu costruita una bellissima sinagoga, che però non fu mai utilizzata per i riti ebraici. La sua storia, avvolta nel mistero, è stata svelata da Marida Brignani, che domani (giovedì 13 febbraio) presenterà il suo libro "La sinagoga incompiuta. Storia di un contrastato luogo di culto degli ebrei viadanesi" alle 17 al Centro Baratta di corso Garibaldi a Mantova, nella sala delle Colonne, insieme ai coautori Ermanno Finzi e Cristina Piazzi. Interverranno Cristiana Facchini, Università di Bologna, Maurizio Bertolotti, Istituto mantovano di storia contemporanea e Giuseppe Flisi, Società Storica Viadanese.
   I ricchi ebrei di Viadana - ricostruisce Brignani - decidono nel 1839 di erigere una nuova sinagoga e ne affidano il progetto all'affermato architetto Carlo Visioli, attivissimo nella provincia e città di Cremona, progettista di importanti chiese, e membro della commissione dell'ornato. Il suo progetto prefigura un ardito tempio dalle classiche fattezze che si affaccia sulla pubblica via, vicinissimo all'oratorio di San Filippo. La cupola svetta ben visibile sopra i tetti delle circostanti abitazioni del Ghetto.
   La Deputazione comunale lo approva, ma viene fieramente avversato dall'arciprete Angelo Aroldi e dal vescovo di Cremona Bartolomeo Casati. Questi si appellano all'imperial regio delegato provinciale ricordando come la "pubblicità" del culto sia riservata alla religione dominante, cioè alla cattolica. I ricorrenti vincono e gli ebrei ripiegano su un tempio discosto dall'oratorio, il cui ingresso non si apre sulla pubblica via e la cui cupola resta celata dai tetti dei modesti edifici contigui. Neppure così, meno visibile, il nuovo tempio viene inaugurato; per motivi non noti, la sinagoga resta incompiuta, ma la parte costruita, che lascia immaginare un'opera di grande bellezza, si può ancora ammirare in Viadana. Proprietaria è Licia Marcheselli, che abita a Milano, ma nella casa abita sua zia Maria Marcheselli.
   «Una signora stupenda - racconta Marida Brignani - ha più di 90 anni, ma sale tre piani di scale e gentilmente acconsente ad aprire la sinagoga. Il presidente della comunità ebraica di Mantova Emanuele Colorni ha ricevuto richieste di visitarla da parte di gruppi anche da fuori».
   La vicenda è portata alla luce da Marida Brignani nel suo libro "La sinagoga incompiuta", pubblicato per i "Quaderni della Società Storica Viadanese" (5o volume, Viadana, 2013). Brignani resta affascinata e incuriosita, durante una visita compiuta nel 2012, dal sontuoso e semicelato relitto dell'audace progetto di Visioli. Intraprende così un'indagine accurata negli archivi civili ed ecclesiastici di Mantova e di Cremona, raccogliendo una ricca documentazione. Può così ricostruire la vicenda complessa e istruttiva della sinagoga incompiuta, e di inquadrarla nella più ampia storia degli insediamenti ebraici a Viadana a partire dal Quattrocento. Se a tal fine si avvale delle ricerche sugli ebrei di Viadana di Ermanno Finzi (già autore del libro "Rivarolo, culla dei Finzi", in cui parla della locale sinagoga)i, per l'esame del progetto di Visioli - che riserva notevoli sorprese - l'autrice si giova degli studi che all'architetto cremonese ha dedicato Cristina Piazz.
   La ricerca di Marida Brignani offre un contributo rilevante alla conoscenza dei rapporti tra ebrei e non ebrei nel Mantovano a metà dell'Ottocento. Il progetto di una nuova "visibile" sinagoga riflette la forza economica, il prestigio sociale, la sicurezza di sé a cui alla fine degli anni Trenta gli ebrei viadanesi erano pervenuti (non va dimenticata la libertà d'azione che i Gonzaga oncessero agli ebrei loro sudditi).
   Quanto all'opposizione dell'arciprete e del vescovo, appare una reazione di insofferenza, nella tradizione dell'antigiudaismo cattolico, verso le inaudite novità dell'epoca: norme parificatrici che, introdotte dall'imperatore austriaco Giuseppe II, furono riconfermate dopo la restaurazione. Non contemplavano però la parità dei culti, sicché l'opposizione alla sinagoga alla fine poté trionfare. Quella mega sinagoga dimostra anche la possente ascesa economica e sociale degli ebrei locali e la loro crescente visibilità nel tessuto della città. Probabilmente poi molti ebrei emigrarono in città più importanti e la comunità si ridusse fino a non consentire più la presenza di una sinagoga.
Il vescovo di Cremona accusava l'architetto Visioli di aver «prostituito la sua professione» ponendosi al servizio dei «nemici del nome cristiano». Erano dunque ormai integrate l'élite ebraica e la borghesia non ebraica, di cui Visioli era un esponente importante. L'unica sinagoga attiva nel Mantovano è rimasta quella di Mantova, ma è visitabile quella di Sabbioneta, e su consenso dei proprietari quelle di Rivarolo e di Viadana.

(Gazzetta di Mantova, 12 febbraio 2014)


Flavia e il calvario del figlio Andrea

"Lo hanno salvato in Israele, qui ci impedivano di curarlo"

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CATANIA - La cura con le cellule staminali ha salvato la vita del suo bambino. A raccontare la storia del piccolo Andrea di 4 anni, affetto da leucodistrofia di Krabbe, è la mamma Flavia Lecci.
«Il 14 ottobre siamo andati in Israele ed abbiamo fatto la prima infusione con cellule staminali mesenchimali adulte del Professor Slavin. Io posso dire che per Andrea è stata quasi miracolosa, dopo appena un mese ha iniziato a deglutire ed a masticare. Oggi addirittura mangia la pasta al forno e le lasagne, insomma ha riacquistato ciò che mi dicevano fosse impossibile». Sono queste le parole della mamma coraggio a La Spia. La donna racconta di come in Italia le cure con le staminali siano state negate al suo piccolo e di come invece in Israele è stato salvato.
Flavia è una delle tante mamme che ha chiesto ricorsi ai magistrati per le cure Vannoni. Anche quello per il piccolo Andrea fu negato e così temendo per la vita di suo figlio ha affrontato il viaggio e le cure in Israele. «La strada di Israele è la più vicina al metodo del Professor Vannoni per tante ragioni, innanzitutto perché l'infusione non viene fatta per endovena, come nella maggior parte degli altri Paesi al mondo, bensì con la puntura spinale. Per la prima infusione abbiamo pagato 32 mila dollari, ma nessun costo è troppo elevato per la salute di mio figlio».
Ora a maggio il piccolo dovrebbe fare un secondo viaggio per un'altra infusione: «Non si può rifare l'infusione prima di sei mesi e i medici dicono che le cellule abbiano efficacia per quasi un anno. Noi a maggio vorremmo ritornare. Nel caso della seconda infusione, il costo scende dai 32 mila dollari, ai 28 mila».
Infine la denuncia della donna: «Sono in possesso dei certificati che attestano che mio figlio non masticava, non deglutiva neanche l'acqua. Oggi i medici hanno preso atto dei suoi miglioramenti ma non si spiegano il perché, non volendo riconoscere che la cura con le staminali funzioni».

(Leggo, 12 febbraio 2014)


Un patriota per il sionismo

ROMA - Alcuni decenni prima del moderno ideale sionista sviluppato da Theodor Herzl vi fu chi, nell'Italia pre-unitaria, contribuì a delineare una rinascita nazionale ebraica in Terra di Israele. Grande protagonista del Risorgimento, il patriota calabrese Benedetto Musolino si prodigò infatti per dare forza a questa idea lasciandone una traccia particolareggiata nel suo scritto più significativo, "Gerusalemme ed il popolo ebreo", dato alle stampe mentre nel Meridione infuriava ancora l'arretratezza borbonica e a Roma persisteva l'infamia del Ghetto antiebraico. Un'opera commovente e coraggiosa, pubblicata una prima volta nel 1951 dall'allora Unione delle Comunità Israelitiche e oggi nuovamente in circolazione grazie alla casa editrice Libriliberi e a David Meghnagi, autore di un saggio introduttivo che definisce gli orizzonti e la singolarità di un impegno politico influenzato dai più autentici valori liberali che tanta presa ebbero nella vita di Musolino. A presentare l'opera, nella sala Mercede della Camera dei deputati, sono stati tra gli altri lo stesso Meghnagi e il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, autori in gioventù - in occasione della comune militanza nei movimenti giovanili ebraici - di numerose ricerche volte a valorizzare una figura straordinaria ma di cui è scarsa la consapevolezza nell'opinione pubblica. Già nel 1951, con parole struggenti, Dante Lattes sottolineava sulla Rassegna Mensile di Israel il debito di gratitudine degli ebrei italiani verso Musolino. "L'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane - scriveva l'autorevole rabbino e pensatore - ha riparato all'oblio delle generazioni passate. Spetta ora a Israele risorto rendere omaggio di gratitudine al patriota italiano, intitolando al suo nome una di quelle strade delle città d'Israele dove vibra la fede rinnovata nei destini della nazione e nell'avvenire pacifico e sereno degli uomini". Apprezzamento per la ristampa è stato espresso dall'ambasciatore di Israele a Roma Naor Gilon e dal sindaco Ignazio Marino, che ha inviato un messaggio agli organizzatori. Sponsor dell'iniziativa l'Università Roma Tre (Master Internazionale di II livello in Didattica della Shoah), la Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania e la onlus Europa Ricerca.

(moked, 12 febbraio 2014)


Israele-Yemen: ponti di note

  
 
È israeliano, ebreo, canta in arabo ed è una star assoluta a Sanaa. Zion Golan nello Yemen non ci può entrare, ma la sua voce riempie le strade della capitale: negozi, supermercati, bar, macchine, taxi, suonerie dei cellulari, ovunque. Bootleg, Cd pirata, Mp3: i suoi album e i suoi pezzi vengono scaricati in continuazione e circolano dove lui, figlio di padre e madre yemenita, non ha mai potuto mettere piede: Israele e il Paese arabo - tra i più conservatori del mondo musulmano - non hanno rapporti diplomatici.
I suoi genitori arrivarono nello Stato ebraico con l'operazione segreta Magic Carpet: tra il giugno del 1949 e il settembre del 1950, 49mila ebrei yemeniti (dei 55mila residenti nel Paese) vennero aviotrasportati nel nuovo Stato di Israele. E nel nuovo Stato di Israele, ad Ashkelon, nacque pochi anni dopo Zion.
Qualcosa di quel Paese mai visto deve essergli rimasto nel sangue. Perché ha cominciato a mettere insieme i racconti dei suoi e melodie lontane e a scrivere canzoni, in tipico stile arabo yemenita, che hanno attraversato confini e barriere culturali. Nello Yemen è conosciuto come Ziyan Joulan, ma tutti sono al corrente delle sue origini e forse lo apprezzano proprio per quella spinta romantica che lo porta a guardare verso una penisola lontana, costruendo ponti di note fra due Paesi che non si parlano. È a quota 22 album, anche se per la sua musica in Yemen non prende nulla: niente royalties. Gli sta bene lo stesso. E cova un sogno: di poterci andare, un giorno. «Shalom, Sanaa».

(Avvenire, 12 febbraio 2014)


Araba, cristiana, israeliana, fiera di difendere il suo paese e la sua casa

In aumento il numero di cittadini arabi cristiani che si arruolano volontari nelle Forze di Difesa israeliane.

Monna Liza, questo il suo nome, è un ufficiale arabo-cristiana delle Forze di Difesa israeliane, originaria di Haifa, che ha recentemente pubblicato un video su YouTube dove esprime la sua posizione a favore degli arabi che prestano servizio nelle forze israeliane. "Mi sono arruolata - dice - perché io sono una parte inseparabile d'Israele. Sono venuta qui per servire il mio paese e la mia casa. Sarei disposta a sacrificare la vita per difendere lo Stato di Israele e i suoi cittadini". Liza è molto fiera del suo lavoro all'interno delle Forze di Difesa israeliane: "Il mio compito è quello di prevenire attacchi terroristici, operazioni di contrabbando e ingressi illegali nel paese. Penso che se riesco a impedire l'introduzione di droga nel paese, io proteggo non solo la popolazione ebraica ma anche gli arabi: io difendo ogni bambino nello Stato di Israele dall'essere esposto alla droga. Se tornassi indietro di tre anni fa sceglierei la stessa unità, ma mi impegnerei per fare molto di più"....

(israele.net, 12 febbraio 2014)


I nemici di Israele sono più deboli, ma la sicurezza dello Stato ebraico non è aumentata

L'equilibrio che si è stabilito non è quello della calma ma dell'anarchia sanguinosa.

di Ugo Volli

Guardando alla superficie dei fatti, questo è un periodo di grande tranquillità, prosperità e sicurezza per Israele, forse il migliore della sua storia. L'ultima guerra combattuta sul terreno, comunque piuttosto limitata, è l'Operazione Piombo Fuso, che risale a cinque anni fa; "Pilastro di Difesa" dell'autunno 2012 è stata combattuta soprattutto nell'aria, coi lanci di razzi da parte di Hamas contrastati dall'aeronautica. Il grande disordine delle rivolte arabe si è sostanzialmente fermato ai confini di Israele, con qualche colpo di mortaio sul Golan, gli attentati al gasdotto con l'Egitto e poco più. I governi più ostili, come quello della Siria e la Fratellanza Musulmana in Egitto sono stati abbattuti o sono impegnati a difendere la loro sopravvivenza. I movimenti terroristi più vicini, sono isolati come Hamas o impegnati in altre guerre come Hezbollah.
   Quelli più lontani, come le varianti mesopotamiche, siriane ed egiziane di Al Qaeda sono impegnate a loro volta in guerre civili e difficilmente riescono a mettere sotto tiro il territorio israeliano. Insomma, il grande disordine del Medio Oriente ha finora disarticolato gli schieramenti nemici, tolto energie agli eserciti minacciosi, reso più difficile l'esplosione di un conflitto frontale. Contemporaneamente l'industria ad alta tecnologia fiorisce, nuove prospettive si aprono con l'inizio dello sfruttamento dei giacimenti marini di gas, il governo è riuscito a pilotare l'economia nella grande crisi mondiale di questi anni evitando danni gravi.
Ci sono dunque molte ragioni d'ottimismo. D'altro canto è vero che l'Autorità Palestinese favorisce un terrorismo a bassa intensità, che colpisce quotidianamente un po' dappertutto il territorio controllato da Israele, con accoltellamenti, molotov, sassi sulle macchine, qualche sparo, aggressioni alle persone e alla cose, razzi usati soprattutto per generare allarme e insicurezza. Sarebbe sbagliato giudicare semplicemente fastidioso questo stillicidio, perché purtroppo i morti vittime di quest'ondata di violenza ci sono stati e l'insicurezza di tutti è molto aumentata. Ma è evidente che si tratta di azioni di disturbo e, per il momento almeno, non di un tentativo di conquistare il controllo del territorio e di rendere la vita impossibile agli israeliani come nelle ondate terroristiche degli anni Ottanta e poi del 2000- 2004. La convivenza civile non è seriamente minacciata da questo terrorismo a bassa intensità, tanto meno lo è la sicurezza militare vera e propria del paese.
   Si può essere tranquilli, allora? Si può pensare che finalmente stia arrivando il momento in cui Israele diventi un paese normale, come diceva Ben Gurion, cioè un posto come l'Italia o il Canada, che nessuno minaccia di distruggere, dove certo i pericoli non mancano, ma riguardano l'economia, la salute, la sicurezza stradale, magari i terremoti, non la volontà umana di sterminio e di distruzione? Purtroppo pensarlo sarebbe cedere a un'illusione. La configurazione delle forze che ha reso più deboli i nemici di Israele nel suo vicinato non deriva dal prevalere di sentimenti pacifici o anche solo realistici, ma dall'autodistruttività, dall'incapacità di moderare il conflitto interno che caratterizza il mondo arabo fin dai tempi di Maometto e dei suoi successori; l'equilibrio che si è stabilito non è quello della calma ma dell'anarchia sanguinosa, da cui potrebbe emergere un potere forte e temprato nella guerra civile che decidesse di legittimarsi attaccando quel nemico comune dei popoli islamici che resta Israele.
   Questa è del resto la logica che spiega lo strano schieramento di ex alleati di Israele, come la Persia e la Turchia sono stati a lungo, contro lo stato ebraico, il loro impegno per la sua distruzione. Si tratta di paesi del "secondo cerchio", secondo la vecchia dottrina strategica israeliana, avversari naturali e storici del "primo cerchio" dei paesi arabi che circondano Israele; non ci sono conflitti territoriali con loro e sarebbe interesse comune impedire che si formi un potere imperiale arabo, come voleva essere quello di Saddam Hussein. Ma contro questa logica degli interessi prevale da tempo quella ideologica dell'odio razziale contro gli ebrei, possibile legittimazione di quella pretesa all'egemonia del mondo musulmano cercata sia dall'Iran che dalla Turchia islamista. E queste pretese si nutrono anche di costruzioni di forza militare il cui esempio più preoccupante (ma non l'unico) è l'armamento nucleare iraniano.
   Questa situazione è stabile da decenni (per quanto riguarda l'Iran) e sta peggiorando da parecchi anni (per la Turchia), e potrebbe forse portare a un'alleanza tattica fra Israele e alcuni dei vicini che sono anch'essi nemici dei candidati "sultani" del mondo islamico, cioè l'Egitto e soprattutto l'Arabia Saudita, che teme molto l'Iran. Ma queste alleanze non possono che essere passeggere e segrete, perché vanno contro l'ideologia antisemita fondamentale di questi paesi, inculcata fin dalle scuole elementari e continuamente ribadita dai media, oggi per nulla facile da ammorbidire. Quel che rende particolarmente preoccupante la prospettiva è però il comportamento dei tradizionali alleati di Israele nel "terzo cerchio", cioè fra i grandi poteri mondiali. Russia e Cina hanno ereditato dai tempi della guerra fredda un'ideologia, ma soprattutto un sistema di alleanze "antimperialistiche", difficilissimo anch'esso da superare, nonostante il grande pragmatismo dei loro governanti; l'India non è uscita da una dimensione di influenza regionale e certo non vuole farlo per impelagarsi nei conflitti mediorientali. Restano i tradizionali alleati dell'Europa Occidentale e degli Stati Uniti.
   E' qui, soprattutto nell'atteggiamento americano, che negli ultimi anni è avvenuta una brusca trasformazione. Mentre Israele ha avuto per molto tempo lo status di essere il solo paese fra Africa e Asia ad avere un sistema politico-sociale pienamente occidentale, con libere elezioni, separazione dei poteri, libertà economica e politica, dimensioni e cultura non troppo diversa da quelle di uno stato europeo, essendo riconosciuto così parte di un "noi" occidentale che bisognava difendere e tutelare, oggi questo status è quasi scomparso. L'ideologia terzomondista è diventata dominante nelle élites europee e in seguito anche americane, Israele è trattato come il capro espiatorio di tutte le colpe della storia dei paesi occidentali nei confronti degli "indigeni". Allo stesso tempo riaffiora un antisemitismo antico che nega al popolo ebraico il diritto al suo Stato, alla sua indipendenza, alla piena espansione della sua cultura. Il risultato è una politica che salvo eccezioni marginali (la repubblica ceca in Europa e anche l'Italia finché era amministrata da Berlusconi, il Canada, l'Australia) sta diventando violentemente antisraeliana. In questa analisi di prospettiva non importa indicare il nocciolo antisemita di questa ostilità, né mostrare il doppio standard, la demonizzazione, la delegittimazione che la caratterizzano e non importa neanche indicare i nomi di chi ha determinato queste politiche, magari limitandosi a citare Obama e la sua disastrosa illusione di un Islam "moderato" da sostenere.
 
   Chi governa Israele deve tener conto di un fatto semplice e veramente terrificante: che i potenti del mondo sono d'accordo nel cercare di depotenziare e punire, se non proprio di distruggere Israele. Naturalmente non lo ammettono; ma la politica di quelli che contano a Washington e in Europa ha questo senso preciso: stringere con mille pretesti una morsa alla gola di Israele. La richiesta di eliminare gli insediamenti oltre la linea verde significa questo: destrutturare Israele come sarebbe per l'Italia il compito di fare pulizia etnica di tutta il Triveneto e la Lombardia per restituirli "etnicamente puri" all'impero asburgico. Aggiungeteci l'idea di costruire uno stato ostile a dieci chilometri dalla zona economicamente più produttiva del paese, il tentativo di impedire l'autodifesa di fronte agli attacchi terroristici (qualunque cosa Israele faccia è sempre sbagliata e "sproporzionata" se non proprio un "crimine di guerra"). E la grottesca pretesa di far sorvegliare i confini a forze dell'Onu (o di altri organismi internazionali) che di fronte agli attacchi a Israele si sono sempre scansati (in Libano e sul Golan oggi; sul Sinai e sul Mar Rosso nelle guerre passate).
   Il fatto è che Obama silenziosamente ma con determinazione ha deciso un rovesciamento delle alleanze degli Usa, da Israele ai suoi avversari: prima ha cercato di sostenere al potere in Egitto la Fratellanza Musulmana (di cui Hamas è una costola). Dopo il fallimento di questa ipotesi ha saldato un'alleanza con l'Iran che ormai nei suoi piani dovrà essere la potenza dominante del Medio Oriente. E' ovvio che ciò richieda, se non proprio la nuova Shoà che vorrebbero gli ayatollah, un deciso ridimensionamento strategico di Israele. E' a questo che servono le "trattative di pace" condotte da Kerry, solo così si spiega l'apparente dilettantismo o irrealismo con cui sono condotte. Il senso è di sottoporre a Israele l'alternativa del diavolo: o acconsente alle richieste dell'Autorità Palestinese e si distrugge da solo, oppure non lo fa e diventa ufficialmente un nemico della pace e dunque dell'America. Questo è il problema strategico cui deve far fronte il Governo di Israele. La situazione tattica è buona, come ho detto all'inizio; quella strategica pericolosissima. Ci vorrà una straordinaria bravura diplomatica, militare e anche comunicativa per uscirne senza le ossa rotte. È il compito di Netanyahu, quello che potrà fare di lui il politico che ha salvato Israele dalla sfida più difficile, se ci riuscirà; o il contrario, che non voglio neppure nominare.

(Shalom, febbraio 2014)


Quel vizietto di manipolare la realtà

La propaganda anti-israeliana spesso è talmente assurda da assumere contorni grotteschi, deformati, ridicoli. Come quando si addossano ai "perfidi ebrei" tutte le possibili nefandezze mondiali: il buco nell'ozono, terremoti e maremoti, AIDS e tumori, sono tutti creati in laboratorio dai soliti sionisti; che non hanno di meglio da fare che attentare alla vita altrui. C'è da dire che non di rado queste accuse risultano logiche e coerenti da parte di menti facilmente manipolabili o comunque particolarmente vulnerabili: come quando si ripropone l'accusa ancestrale di impastare il pane con il sangue dei cristiani....

(Il Borghesino, 12 febbraio 2014)


La Natura e l'Ebraismo

Un progetto di Marco Post Morello, tra fotografia e testi sacri.

di Mauro Villone

Un'iniziativa interessante al Centro Culturale Valdese di Torre Pellice, s'inaugura giovedì 13 p.v. alle ore 18.00. Organizzata da As.S.E.T. e patrocinata dal Turin Photo Festival. Fotografie di Natura dialogano con scritti, in questo caso estratti dalla Bibbia e dal Talmud.
Al di là dei lavori fotografici di pregio è interessante notare come le stesse immagini di reportage naturalistico si armonizzino con scritti antichissimi, tratti dai Salmi, dalla Mishnà, dal Pentateuco. La sensazione è che sia le immagini che i testi facciano riferimento a qualcosa di ben più nascosto, raggiungendo archetipi che hanno a che fare con la nostra natura più profonda. La neve, la pioggia, il mare, gli animali, un bosco non sono solo elementi naturali, bensì anche simboli di una realtà più profonda che rimane misteriosa, potendone l'essere umano percepirne solo una frazione. Testi sacri e antichi, facenti parte di tradizioni millenarie possono indicare una strada per scoprire relazioni insospettate nell'osservare un'immagine. Gli stessi scritti mostrano come in realtà gli elementi naturali non siano altro che "simboli" di qualcosa di più profondo ed enormemente antico, che in qualche modo cerca di "parlare" all'Uomo. Il fotografo-artista, lo scrittore, chi seleziona i testi tradizionali, diventano come uno staff creativo che accompagna lo spettatore in un mondo antico e incontaminato, che ha a che fare con la natura dell'uomo stesso.
Un lavoro interessante che consiglierei di andare a vedere comunque, anche se non ci fossero, tra le altre, alcune mie foto e la curatela di un amico come Marco Post Morello.
Marco Barone, Luca Biolcati Rinaldi, Alvin Crea, marco Post Morello, alfonso Quaglia, Massimiliano Sticca e me stesso i fotografi coinvolti. Commenti selezionati da Avraham de Wolff, Leah de Wolff-Daniel, Shemuel Lampronti, Alberto Somech, Alessandra Somech, Chiara Vangelista.
La mostra sarà aperta fino al 30 aprile con orario 15-18, giovedì, sabato e domenica.
Giorni feriali su appuntamento. Info: 0121-932179

(La Stampa, 11 febbraio 2014)


Bevete acqua israeliana

di Giulio Meotti

Servono gesti significativi. Come quando in risposta al boicottaggio degli atenei israeliani da parte di docenti, medici, giornalisti, architetti e anglicani di Gran Bretagna, il premio Nobel della fisica, Steven Weinberg, rispedì al mittente l'invito per una conferenza all'Imperial College di Londra. Adesso è il momento di acquistare e sostenere prodotti della Sodastream. Non per fare un favore a un'azienda lanciatissima sul mercato. Ma per rispondere al boicottaggio antiebraico appena sbarcato in Italia (sul Foglio si racconta di come a Trieste l'azienda israeliana, per fare un esempio, abbia perso mercato a causa di una efficace campagna antisraeliana). Questi dementi antisraeliani hanno boicottato persino il pompelmo israeliano, sebbene la frutta che viene da Israele e che troviamo nei nostri supermercati sia per la maggior parte raccolta da arabi palestinesi che si recano attraverso i valichi in Israele per lavorare. C'è diritto al dissenso, ma il boicottaggio, l'intolleranza dei simboli e del sangue, il rogo delle bandiere, ci porta a un livello di rottura delle convenzioni polemiche, e di odio, che non devono essere sopportate. Il gran rifiuto di Scarlett Johansson vale molto di più dell'indignazione di un grillino d'accatto. Bevete dunque acqua israeliana. Io ho già ordinato un kit della Sodastream al rivenditore più vicino.

(Il Foglio, 11 febbraio 2014)


Tzahal verso la riforma

di Daniel Reichel

Cambiamenti all'orizzonte per Tzhal, l'esercito israeliano. Una commissione parlamentare sta infatti lavorando su un progetto di riforma che potrebbe portare a delle importanti modifiche nel sistema militare del paese. Punti nodali del disegno di legge, il tentativo di trovare una soluzione per l'arruolamento dei giovani haredim e la diminuzione del tempo di leva per gli uomini (deciso lunedì dalla commissione e passato da 36 a 32 mesi) a fronte della proposta di aumentarlo per le donne. Entrambe le questioni potrebbero incidere significativamente sulla società israeliana e per questo il dibattito, in primis alla Knesset, ha assunto toni molto accesi.
Cambiamenti all'orizzonte per Tzhal, l'esercito israeliano. Una commissione parlamentare sta infatti lavorando su un progetto di riforma che potrebbe portare a delle importanti modifiche nel sistema militare del paese. Punti nodali del disegno di legge, il tentativo di trovare una soluzione per l'arruolamento dei giovani haredim e la diminuzione del tempo di leva per gli uomini a fronte della proposta di aumentarlo per le donne. Entrambe le questioni potrebbero incidere significativamente sulla società israeliana e per questo il dibattito, in primis alla Knesset, ha assunto toni molto accesi. Nell'obbligo di leva, il ministro alle Finanze Yair Lapid vede lo strumento per integrare il mondo ultraortodosso nella realtà israeliana (argomento questo cavallo di battaglia della suo partito, Yesh Atid, durante l'ultima campagna elettorale). Lapid incarna le istanze di quella classe media che chiede la fine delle sovvenzioni statali ai haredim, percepiti non solo come corpi estranei alla società ma anche come beneficiari di ingiusti privilegi. Agli ultraortodossi non è perdonata l'esenzione dalla leva militare, passaggio obbligato per tutti gli israeliani, così come l'attribuzione dei citati sussidi che di fatto ingenera un ulteriore cortocircuito, ovvero permette a molte famiglie haredi di non entrare nel mondo del lavoro. "Il 91% degli ultraortodossi che si sono arruolati nell'esercito dopo hanno scelto di entrare nel mercato del lavoro. Il nostro lavoro come Stato è di aiutarli a fare questo tipo di passaggio. È giusto e necessario e la classe media non può più, e in ogni caso non dovrebbe mai, pagare i conti degli altri", ha dichiarato Lapid. Se sul principio all'interno della coalizione di governo sono tutti d'accordo, sul metodo meno e la Commissione che sta valutando la riforma, guidata da Ayelet Shaked di HaBayt HaYeudì, sta cercando di trovare un compromesso. Gli uomini di Lapid infatti vogliono inserire delle sanzioni penali per evitare diserzioni da parte dei giovani ultraortodossi; più morbidi gli esponenti di HaBayt HaYeudì.
Tutti intanto hanno votato la diminuzione del periodo di leva per gli uomini, passato da 36 a 32. Le stime dell'Idf affermano che questa decisione causerà un deficit nelle fila dell'esercito di 9,300 soldati. Da Tzahal avevano già presentato le proprie obiezioni di fronte alla proposta, o meglio era stato chiesto di controbilanciare questa diminuzione con tre soluzioni: estendere di quattro mesi il servizio delle donne (idea bocciata dalla commissione), far entrare un numero signifiativo di haredim nell'esercito, allungare il servizio prestato dai hesder yeshivah, studenti per cui è combinato lo studio nella yeshiva con la partecipazione nelle file dell'esercito (il programma dura cinque anni ma meno di 18 mesi è il tempo che gli studenti passano nell'esercito).

(moked, 11 febbraio 2014)


La movida di Tel Aviv parte dal porto Namal

  
Il porto di Tel Aviv di notte
Anche Israele ha un occhio particolare verso il Sud d'Italia e ci è stato anticipato dal Direttore dell'ufficio stampa e p.r. dell'Ufficio nazionale israeliano del turismo (www.goisrael.it), Mariagrazia Falcone, incontrata nel corso del workshop stampa dell'Adutei di Roma, che da maggio partirà il volo dell'Alitalia da Brindisi destinazione Tel Aviv».
Tra gli itinerari proposti: "gli itinerari d'azione", alla ricerca di avventura alla scoperta di Israele in bicicletta e in kayak; gli itinerari culinari per scoprire il Paese attraverso i gusti e gli odori; gli itinerari per disabili; gli itinerari "Donne nel Vecchio e nel Nuovo Testamento" e quelli archeologici. E a maggio si prevede grande affluenza per l'arrivo del Papa, che visiterà Amman, Betlemme e Gerusalemme.
In questi giorni si è svolto presso il Convention Center di Tel Aviv la 20a edizione della fiera professionale per il turismo in Israele, l'IMTM, considerata luogo di incontro per l' industria turistica nel Mediterraneo orientale. Tra gli argomenti trattati l' eco-turismo, il benessere e il turismo culturale, soggiorni di mare o in città, facendo leva su numerosi pacchetti di viaggio su misura.
Andare a Tel Aviv farà scoprire il porto ("Namal" in ebraico). Il tortuoso deck in legno (la cui forma s'ispira alle dune di sabbia del posto) si estende per oltre un chilometro e mezzo lungo uno dei più bei litorali del Mediterraneo. Un porticciolo turistico, un frangiflutti e la foce del fiume Yarkon completano lo scenario di questo luogo, meta ambitissima per chi pratica jogging o va in bicicletta, per chiunque abbia voglia di divertirsi. Il namal fu creato nel 1936, durante il tumultuoso periodo del mandato britannico. Nel 1956 il traffico commerciale marittimo fu spostato nel nuovo magnifico porto di Ashdod, 30 chilometri a sud di Tel Aviv, e le strutture portuali caddero in rovina. La rinascita del porto e la sua graduale trasformazione in centro della movida sono iniziate negli anni '90.
Per il popolo della notte c'è la zona delle discoteche e si può ascoltare a tutte le ore jazz israeliano contemporaneo. Le strade acciottolate del porto ospitano spesso festival ed eventi, come il mercato settimanale dell'antiquariato e fiere di collezionismo e d'arte ogni sabato.
Il porto si trova all'estremità occidentale del vasto Parco Yarkon, che è la risposta di Tel Aviv al Central Park. E' dotato di ampi parcheggi ed è facilmente raggiungibile a piedi, in taxi o in auto dagli hotel che sono sul lungomare o nel centro della città.

(Corriere Informazione.it, 11 febbraio 2014)


Spagna: passaporto comunitario, per gli ebrei sefarditi la strada è in discesa

di Luca Pistone

BARCELLONA - I discendenti degli ebrei sefarditi residenti in Israele hanno accolto con grande entusiasmo l'ultima proposta del governo di Madrid, che prevede per essi un iter burocratico più snello per l'ottenimento della cittadinanza spagnola. Nello stato ebraico si stima che siano più di tre milioni, su un totale di otto milioni di abitanti.
Il ministro della Giustizia spagnolo, Alberto Ruiz-Gallardón, ha annunciato che la nuova modifica alla legislazione in materia di immigrazione, che da oltre un anno già consente ai sefarditi di ottenere il passaporto spagnolo, "ammorbidirà" i requisiti per la cittadinanza. Dovranno dimostrare di avere radici nelle penisola iberica attraverso lingua, cognome e cultura.
Inoltre, a differenza del passato, gli ebrei safarditi, sia di Israele che di qualunque altro paese, potranno mantenere la precedente nazionalità, e dunque avere la doppia cittadinanza.
Gli ebrei di origine safardita che erano stati espulsi dalla Spagna cinquecento anni fa, si sparsero in vari paesi del Mediterraneo come Marocco, Turchia e Grecia, arrivando fino in Siria e Iraq. La maggior parte di essi ha conservato una lingua propria, un mix di spagnolo arcaico ed ebraico.

(Atlas, 11 febbraio 2014)


I neonazisti alla Giudea di Fondi: quartiere ebraico tappezzato da scritte antisemite

di Mirko Macaro

Scritte antisemite
In sfregio alla Storia. Ancora un oltraggio antisemita, a Fondi: l'antico quartiere ebraico è stato tappezzato di scritte e simboli neonazisti. Via Olmo Perino, via dell'Aquila, l'ingresso di quella che fu la sinagoga, quello della Giudea. Anche i ruderi delle Benedettine e via San Benedetto, appena all'esterno.
Svastiche in quantità, qualche 'raus' d'ordinanza. Addirittura il simbolo runico delle famigerate SS. Gli idioti si sono accaniti finanche sul cartello della pizzeria che porta il nome comune del quartiere. Da rimanere esterrefatti.
Lo scempio si è parato davanti gli occhi dei cittadini martedì mattina. Gli autori, che restano ignoti, hanno agito nell'arco di tempo che va dalle 4 - prima non c'erano - alle 6 del mattino, in un orario in cui l'area è solitamente deserta.
E a giudicare dai colori utilizzati - rosso e nero - sono gli stessi che nella notte tra domenica e lunedì si erano accaniti con scritte negazioniste sulla facciata dell'Auditorium di San Domenico, dall'altra parte del centro storico.
Ora, l'odiosa replica a stretto giro di posta.
"Siamo già al lavoro ma ci vorranno giorni per rimuovere queste scritte indegne, che sono indizi non tanto dell'antisemitismo dei miserabili artefici ma della loro miseria culturale", ha commentato il sindaco Salvatore De Meo.
"Abbiamo prontamente segnalato alle forze dell'ordine questi nuovi inqualificabili oltraggi, con l'auspicio che i responsabili possano essere al più presto identificati e puniti, e presentato una ulteriore denuncia contro ignoti alla Procura della Repubblica e alla Prefettura di Latina. Condanniamo nuovamente e senza esitazione o tentennamenti a nome dell'amministrazione comunale e di tutta la città di Fondi questo nuovo inqualificabile gesto compiuto da qualche imbecille che vuole infangare il buon nome di tutta la comunità cittadina, di cui sono storicamente noti lo spirito di accoglienza e di convivenza e il profondo rispetto di tutte le culture e di tutti i credi religiosi".
"Non voglio enfatizzare queste azioni ignobili - ha continuato il primo cittadino - perché il civismo e i nobili sentimenti di solidarietà di decine di migliaia di fondani le fanno apparire per quello che sono: gesti spregevoli ma isolati, che non hanno un radicamento cittadino, ma non posso nascondere un profondo rammarico perché amministriamo questa splendida città impegnandoci quotidianamente a farne emergere la parte migliore. Sia chiaro che la città di Fondi è e sarà sempre contro ogni forma di discriminazione e a favore della convivenza e non sarà mai timida o indifferente nei confronti di tali manifestazioni di ignoranza e di offesa".

(h24notizie, 11 febbraio 2014)


E se gli ebrei vanno a vivere in Palestina?

di Daniel Pipes

 
L'insediamento di Gush Etzion
Di recente in Israele è scoppiato un bel trambusto per una questione del tutto teorica: agli israeliani che ora vivono in Cisgiordania potrebbe essere concesso di vivere sotto il governo palestinese? Questo dibattito ha focalizzato utilmente l'attenzione su una delle questioni più delicate e profonde del conflitto arabo-israeliano, e pertanto merita una certa attenzione.
   Il premier israeliano Benyamin Netanyahu è stato il primo a lanciare un sasso nello stagno, il 24 gennaio, dichiarando: "Non intendo rimuovere alcun insediamento [ebraico] in Cisgiordania. Non intendo spostare alcun israeliano". Commentando questa dichiarazione, un anonimo funzionario del gabinetto del premier ha spiegato che "proprio come Israele ha una minoranza araba, il primo ministro non vede perché la Palestina non possa avere una minoranza ebraica. Gli ebrei che vivono in Cisgiordania dovrebbero poter scegliere se rimanere o no". Questo collaboratore ha definito tale proposito come una posizione assunta da "lunga data" da Netanyahu.
   Qualcuno nell'ala nazionalista si è infuriato. Il leader di Habayit Hayehudi Naftali Bennett, ministro dell'attuale governo, ha stroncato le parole del premier perché rispecchiano "un'irrazionalità dei valori" e una "follia sul piano etico". Secondo Bennett, i sionisti "non hanno fatto ritorno nella terra di Israele dopo duemila anni col desiderio di vivere sotto il governo di Mahmoud Abbas. Chiunque sostenga l'idea di una presenza ebraica in Israele sotto il governo palestinese mina la nostra capacità di stabilirci a Tel Aviv".
   Altri sono d'accordo: "Non abbandoneremo gli insediamenti dietro le linee nemiche", ha detto il viceministro della Difesa Danny Danon. Tali idee violano "l'ethos sionista" ha osservato il viceministro degli Esteri Ze'ev Elkin. "Assurdo" è stato l'aggettivo scelto dal viceministro Ofir Akunis, alleato del premier.
   Quando un altro funzionario anonimo del gabinetto del primo ministro ha lasciato intendere che i membri del governo possono dare le dimissioni in caso di disaccordo col premier, Bennett ha rincarato la dose, ricordando gli omicidi degli ebrei per mano dei palestinesi e arguendo che "la sovranità è l'essenza del sionismo. Senza sovranità non c'è sionismo".
   Il gabinetto del premier ha poi replicato chiedendo le scuse o le dimissioni di Bennett, e quest'ultimo ha risposto dicendo: "Non era mia intenzione offendere il primo ministro", rivendicando però il diritto di "criticarlo quando la situazione lo richiede. Questo è il mio compito". L'incidente si è concluso tirando fuori vecchie interviste, a dimostrazione che in passato Netanyahu e il partito di Bennett avevano espresso e condiviso il punto di vista dell'altro, e ingarbugliando così le cose.
   Che conclusione trarre da questa settimana di dibattito? Chi ha ragione e chi ha torto? Pur condividendo le opinioni di Bennett e dei suoi alleati, stavolta Netanyahu ha ragione, e per molti motivi.
   La vergogna, il trauma e la futilità della rimozione di 8000 israeliani da Gaza voluta nel 2005 dall'allora premier Ariel Sharon - una mossa senza precedenti per una democrazia - sottolinea la necessità per il governo israeliano di stabilire il principio inviolabile secondo il quale mai più esso rimuoverà i propri cittadini da un territorio. L'esperienza di Gaza ha dimostrato come sarebbe più disastroso reiterare questo processo in Cisgiordania dove la popolazione israeliana è quaranta volte più numerosa. Che Netanyahu abbia fortemente contestato la decisione di Sharon (rassegnando all'epoca le dimissioni dal governo in segno di protesta) evidenzia la sua encomiabile coerenza.
   In secondo luogo, perché mai il governo di Israele dovrebbe esaudire il desiderio dei palestinesi di una Cisgiordania Judenrein?
   In terzo luogo, permettere agli ebrei di vivere sotto l'Autorità palestinese è una soluzione del tutto pratica. La bandiera israeliana non può seguire ogni ebreo e renderlo un'isola di sovranità sionista. Molti ebrei di tutto il mondo e anche alcuni in Medio Oriente vivono fuori dai confini dello Stato di Israele. E perché non in Cisgiordania?
   In quarto luogo, la dichiarazione del gabinetto del premier straccia astutamente la campagna di delegittimazione lanciata contro gli ebrei che risiedono in Cisgiordania. Se gli ebrei possono vivere in Cisgiordania sotto il governo palestinese, essi non possono più essere considerati un ostacolo alla risoluzione del conflitto arabo-israeliano, privando così di qualsiasi rilevanza l'intera questione degli "insediamenti".
   E infine, questa posizione di Netanyahu cambia i termini del dibattito. Permette a Gerusalemme di sostenere che la vera risoluzione del conflitto richiede che gli israeliani siano in grado di risiedere pacificamente in uno Stato palestinese. Il conflitto avrà veramente fine, come da oltre dieci anni sostengo, "quando gli ebrei che vivono a Hebron avranno bisogno di poca sicurezza come gli arabi che vivono a Nazareth". Una tale prospettiva ovviamente è molto remota, ma accettare il principio che gli ebrei vivano in "Palestina", permette ai sionisti di accettare in linea teorica la soluzione a due Stati, ritardando legittimamente la sua attuazione per generazioni, forse per sempre.
   Bennett e i suoi sostenitori dovrebbero calmarsi e apprezzare il diplomatico colpo di genio di Netanyahu.

(Archivio italiano di Daniel Pipes, 11 febbraio 2014 - trad. Angelita La Spada)


La guerra continua

di Marcello Cicchese

Il seguente articolo è stato pubblicato su "Notizie su Israele 309" del 24 agosto 2005, pochi giorni dopo l'avvenuto "sgombero" della striscia di Gaza dai "coloni" ebrei. Lo ripresentiamo oggi perché si inserisce bene nel discorso sulla proposta di concedere a una parte degli israeliani che si trovano nei territori contesi di continuare a vivere come cittadini del futuro stato palestinese. Il semplice fatto che questa proposta sia stata presentata dovrebbe far capire che la questione della costruzione di case di "coloni" in territori "occupati" è un falso problema che non avrebbe mai dovuto essere messo sul tavolo per primo. Prima di ogni altra cosa gli aspiranti a uno "stato palestinese" avrebbero dovuto garantire, allora come oggi, l'impegno a costituire uno stato di diritto, entro il cui quadro legislativo tutti possano vivere, e in modo particolare possano continuarci a vivere gli ebrei che lì già si trovano e con il loro lavoro hanno contribuito alla prosperità di quella terra.

E' fatta! I territori "occupati" dagli insediamenti ebraici sono stati sgomberati. I "coloni" si sono lasciati "trasferire" più velocemente e più pacificamente del previsto. La comunità internazionale ha applaudito, i potenti della terra si sono congratulati con i capi d'Israele per la relativa calma con cui il tutto è avvenuto. «E' un avanzamento verso la pace», hanno detto, mentre in realtà è un arretramento del fronte in una situazione di guerra. Ed è una guerra feroce, quella che conducono gli arabi, simile a quella che Hitler scatenò contro la Russia. Una guerra in cui non è in gioco la terra, ma le persone. E' guerra contro un tipo umano, non contro una nazione. Proprio la calma in cui il "trasferimento" è avvenuto dovrebbe far riflettere e provocare forse qualche problema di coscienza, soprattutto negli spettatori internazionali che hanno guardato e applaudito lo spettacolo. I prepotenti "coloni" erano dunque gente tranquilla, a quel che sembra. Perché se ne sono dovuti andare? Perché il prodotto di anni di lavoro, case, aziende, piantagioni, tutti beni di cui anche altri avrebbero potuto godere, hanno dovuto essere distrutti? Si conosce la risposta: perché su quella terra deve nascere il futuro stato palestinese, il quale, dopo le dovute "prove di buona volontà" da parte dei vicini ebrei, vivrà in pace con l'attuale stato israeliano. E perché mai in uno stato arabo che vivrebbe in pace con lo stato ebraico non potrebbe vivere una piccola minoranza di ebrei, quando nel vicino stato ebraico vivono da anni centinaia di migliaia di arabi? Sembra che per far nascere uno stato palestinese sia assolutamente indispensabile che sulla sua terra non si trovi traccia di ebrei. E la cosa sembra ragionevole, anche a molti ebrei. Ma è questo il significato della parola "pace"? Vivere in pace per gli arabi significa non essere disturbati dalla presenza di ebrei? Si dirà che i "coloni" volevano il grande Israele, e che occupavano illegittimamente un territorio non loro. Potrebbe anche essere, ma quanto alle intenzioni, sarebbe stato sufficiente far sapere loro che erano desideri destinati ad essere vanificati; e quanto alla legittimità della loro presenza su quella terra, era una cosa che poteva e doveva essere verificata soltanto dopo avere costituito uno stato di diritto, e non prima. Su questo avrebbe dovuto esercitare la sorveglianza la comunità internazionale: avrebbe dovuto esigere che prima di tutto su quella terra si costituisca uno stato di diritto, in cui l'autorizzazione a vivere in certe zone sia stabilita dalla legge, e non dagli attentati terroristici. I capi delle nazioni avrebbero dovuto dire: «Nascerà uno stato palestinese soltanto quando gli arabi avranno dato prova di saper accettare sulla loro terra anche la presenza di ebrei, e non solo come turisti, ma anche come cittadini dello stato o come cittadini stranieri che hanno dei possedimenti in una nazione estera, come accade in tutte le parti del mondo.» Avrebbe dovuto essere questa la "prova di buona volontà" da richiedere ai palestinesi. Ma questo non è stato fatto. «Prima di tutto gli ebrei se ne devono andare, poi si potrà parlare», questa è la filosofia vincente.
La guerra continua. Nessuno s'illuda.
E la guerra, infatti, è continuata.


(Notizie su Israele, 24 agosto 2005)


Il capo del Mossad torna a scuola. "Mai stato bravo in matematica"

Ephraim Halevy, 79 anni, ha da poco completato il primo corso di analisi finanziaria e ora inizia quello seguente: "Devo colmare la carenza di comprensione dei documenti di bilancio di grandi aziende"

di Maurizio Molinari

  
Ephraim Halevy
Trovarsi seduti in classe assieme ad un ex capo del Mossad non è un'esperienza frequente ma questo è successo agli studenti della Facoltà di Amministrazione d'Affari dell'Università di Tel Aviv. Ephraim Halevy, 79 anni, ha infatti completato il primo corso di analisi finanziaria ed ora inizia quello seguente al fine di sopperire ad una mancanza che lo infastidisce: "La carenza di comprensione dei documenti di bilancio di grandi aziende". L'ex 007 infatti, una volta andato in pensione, ha iniziato a lavorare in importanti imprese pubbliche, facendo parte di consigli di amministrazione e dunque scontrandosi con un difetto di cui ha sempre conosciuto l'origine: "Il problema viene da quando andavo a scuola, perché non capivo nulla di matematica".
Durante 28 anni di carriera nel Mossad - inclusa la guida dal 1998 al 2002 - è stata una lacuna che non gli ha creato troppi fastidi: non essere a proprio agio con i numeri non gli ha impedito di diventare uno degli artefici del Trattato di pace con la Giordania di re Hussein nel 1994 nè di guidare il consiglio di sicurezza nazionale di Benjamin Nethanyau nel 2002. Ma adesso tutto cambia: "Ho una responsabilità nei confronti dell'azienda e degli azionisti, devo farvi fronte e dunque ho bisogno di tutti gli strumenti possibili" a cominciare dalla comprensione dei copiosi volumi dei bilanci d'impresa, disseminati di numeri, dati e grafici. "Ciò che più conta per me - ha confessato in un'intervista al quotidiano Haaretz - è comprendere le basi, essere in grado di analizzare i dati e dunque poter meglio tutelare i miei interessi". Tornare fra i banchi e sedersi a fianco degli studenti alla soglia degli 80 anni è qualcosa che sembra divertirlo molto: "In classe c'è gente di ogni tipo ed età, dagli studenti ai giovani che lavorano nel governo fino ad avvocati, uomini d'affari e persone come me che vogliono essere in grado di gestire i bilanci aziendali".
Ma ciò che più conta è la possibilità di studiare numeri, analisi e matematica "mantenendo in esercizio il cervello, sfidandolo, non solo con nuove informazioni ma con nuovi metodi di lavoro". Ironia della sorte ha voluto che proprio durante una delle settimane più intense di frequenza all'ateneo di Tel Aviv la nipote, che ha 10 anni, gli ha chiesto di parlare alla propria classe sul tema "Perché è necessario spiare?". "Devo ammettere che per me si è trattato di un compito assai difficile - confessa l'ex capo del Mossad - perché ho temuto di non essere all'altezza della situazione, con il risultato di deludere mia nipote". Ma i bambini di età elementare si sono comportati bene "sono stati in silenzio, hanno ascoltato, formulato le domande a turno" e dunque il veterano degli 007 israeliani si è convinto di aver superato "una delle prove più difficili".

(La Stampa, 11 febbraio 2014)


BDS: un movimento globale antisemita e nazista

Da oggi parte una operazione verità (a puntate perché la faccenda è lunga e complessa) su quello che si nasconde dietro al BDS, cioè Boycott, Divestment and Sanctions Movement che è esattamente quello che dice di essere, un movimento globale che mira deliberatamente a boicottare Israele in quanto tale adducendo pretesti solo all'apparenza umanitari quali i "diritti dei palestinesi", la presunta "apartheid" da parte di Israele nei confronti dei palestinesi ecc. ecc. ma che in realtà celano pochissimo (o nullo) interesse per i palestinesi e i loro Diritti mentre invece puntano direttamente all'annientamento di Israele....

(Right Reporters, 11 febbraio 2014)


Il ministro Carrozza in Israele: sistema educativo selettivo e positivo

Il ministro Maria Chiara Carrozza
"Una delle mie visite più interessanti all'estero. Anche per il sistema educativo del Paese: selettivo e positivo, fondato sulla meritocrazia". Così parla, da Gerusaleme, il ministro Maria Chiara Carrozza, facendo il punto della sua visita in Israele.
"Ho incontrato ricercatori, scienziati, startupers, tra cui Yossi Vardi, guru del settore. Una comunità tutta quanta - ha detto il ministro ai giornalisti - molto interessata alla collaborazione con l'Italia".
Carrozza oggi ha visto sia il ministro dell'educazione Shai Piron sia quella della scienza Yaacov Perry: con il primo ha discusso, in base all'esperienza israeliane, di educazione all'imprenditoria: "una materia che mi piacerebbe inserire nei programmi italiani per la scuola secondaria, l'università e anche per i dottorati". Con Perry invece si è parlato del programma congiunto di ricerca individuando - ha spiegato - nuovi interessi come quelli per le malattie neurovegetative e per l'Alzheimer.
Per quanto riguarda la 'scuola digitale' - in cui gli israeliani sono molto avanti - Carrozza, che ha ricordato quanto possa essere importante anche per l'Italia, ha riferito che su questo aspetto sarà presto organizzato a Gerusalemme un workshop, mentre a Roma se ne terrà un altro sulla scuola tecnico professionale italiana "a cui gli israeliani si sono mostrati molto interessati".
Infine il ministro si è detta "ottimista sulle vicende dell'esecutivo Letta In Italia. Il Paese - ha sottolineato - ha bisogno di gestire una transizione e per questo ci vuole un governo stabile".
Carrozza visiterà anche Ramallah, in Cisgiordania, dove avrà un incontro bilaterale con i responsabili palestinesi.

(Tuttoscuola.com, 10 febbraio 2014)


In Israele è caccia all'antenato spagnolo: il passaporto fa gola

 
In Israele dilaga la 'febbre spagnola'. A innescarla e' stato il via libera del governo di Madrid a un disegno di legge che prevede la concessione della nazionalità spagnola ai discendenti degli ebrei sefarditi espulsi nel 1492. E nelle famiglie sefardite d'Israele si e' scatenata la 'caccia all'avo' spagnolo dimenticato, alla scoperta di un legame anche labile con la storica 'Sefarad': la Spagna, in ebraico.
Una caricatura di Haaretz mostra l'ambasciata spagnola a Tel Aviv stretta in un pacifico assedio di israeliani: dalle magliette variopinte si intuisce che l'improvviso entusiasmo verso la penisola iberica si basa più che altro sulla passione per le sue prestigiose squadre di calcio. Ieri, domenica, l'ambasciata era chiusa. Oggi gli uffici consolari hanno raccolto la prima ondata di chiamate.
Sulla stampa si moltiplicano già i servizi sul fenomeno.
Supera tutti il tabloid Yediot Ahronot che dedica una pagina intera di consigli pratici su come realizzare il sogno del passaporto spagnolo, anche se la legge sarà votata solo fra alcuni mesi. In diversi commenti il gesto delle autorità spagnole viene comunque accreditato come un'apertura significativa verso il popolo ebraico, a chiusura del trauma legato alla sua espulsione di cinque secoli fa e alla conversione forzata di quanti restarono.
Secondo alcune stime i discendenti degli ebrei sefarditi di allora dovrebbero essere oltre tre milioni di persone, sparsi soprattutto fra Israele, Turchia, Stati Uniti, Francia e America Latina. Se le autorità spagnole fissassero criteri selettivi (vincolati ai nomi di famiglia originali dell'epoca o alle registrazioni in comunità ebraiche in territorio spagnolo) il numero complessivo si ridurrebbe tuttavia ad alcune centinaia di migliaia di persone.
Oltre l'aspetto di riappacificazione storica fra la Spagna e il mondo ebraico, qualcuno trova tuttavia fuori luogo la proposta di elargire passaporti spagnoli a cittadini israeliani.
In passato polemiche analoghe si ebbero anche quando Germania, Polonia e Romania offrirono la naturalizzazione ai discendenti di ebrei originari di quei Paesi. ''E' triste la vista di questi israeliani che sembrano cercare solo un'occasione per fuggire da qua: perfino in Paesi che nella Storia si sono dati da fare per far scomparire gli ebrei dalla faccia della terra'', deplora una commentatrice di Maariv. La corsa all' 'avo spagnolo', aggiunge, la rattrista: perché sottintende che chi vi si impegna vede in Israele ''solo una stazione temporanea di passaggio''.

(ANSAmed, 10 febbraio 2014)


Oltremare - Ivn Gviròl
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Quando si va a vivere in una nuova città, ancor più in un nuovo paese, una delle cose quotidiane che cambiano intorno a noi sono i nomi delle strade e dei quartieri. In Italia, le vie del centro sono intitolate agli eroi del Risorgimento, ai caduti della patria e a date - a volte del tutto decontestualizzate, come Corso XXII Marzo, mai saputo intitolato a cosa; oppure a santi, martiri e papi. Forse a Roma più papi e a Torino più Risorgimento, ma son questioni di campanilismo. Comunque, la storia d'Italia almeno dall'Impero Romano in qua è di una certa utilità per mettere una faccia o almeno fulgide gesta ai nomi messi agli angoli delle strade.
A Tel Aviv, la spina dorsale della mia vita quotidiana è Rehov Ivn Gviròl (o Ibn Gabiròl, secondo la dizione meno vicina all'ebraico parlato). E fino a pochi giorni fa non mi ero mai domandata chi fosse. Avevo un vago ricordo di qualcosa di poetico riguardante quel nome, ma non avendo studiato in una scuola israeliana dalla prima elementare all'università, non avevo mai dovuto occuparmi di chi fosse stato. Perché gli sia stata intitolata una delle strade principali del centro della prima città ebraica d'Israele, questo Ivn Gviròl sarà pur stato un pezzo grosso.
Dunque per iniziare, se wikipedia è una fonte attendibile, si chiamava Solomon di primo nome. Poeta (fulgido) e filosofo (illuminato, considerato il traghettatore del Neoplatonismo al mondo ebraico), era andaluso ed ha vissuto fra il 1021 e il 1058 fra Malaga e Valencia. Ha scritto fra l'altro una grammatica ebraica in versi, che formano un acrostico, nella quale sgrida i contemporanei per aver abbandonato l'uso dell'ebraico. Insomma Ivn Gviròl era un eroe della linguistica, paladino della nostra lingua.
Adesso so perché è stato messo parallelo a Rehov Ben Yehuda, dedicata all'inventore dell'ebraico moderno. Con in mezzo Rehov Dizengoff, in onore al maximo sindaco di Tel Aviv, Ivn Gvirol e Ben Yehuda si allungano per tutta la città, dialogando da sud a nord, e probabilmente discutono dell'ebraico povero e semplificato che ascoltano.
E certo ridono dei nostri "Tov, yalla, bye!", misti di ebraico-arabo-inglese con i quali ci salutiamo, passeggiando sui loro marciapiedi.

(moked, 10 febbraio 2014)



Ha senso in generale parlare di "filosofia ebraica"?

di Paolo Sciunnach, insegnante

Il termine "filosofia ebraica" non è universalmente accettato nel mondo ebraico ortodosso e si preferisce usare il termine di "pensiero ebraico". I due termini non sono sinonimi e ne considereremo qui le differenti implicazioni. È un argomento che richiede un'attenta analisi, ed un'accurata definizione e spiegazione dei termini.
Cosa si intende per "filosofia ebraica"?
La "filosofia ebraica" nasce dall'incontro tra la Filosofia greca e il mondo ebraico in epoca ellenistica. È un tentativo di fondere insieme gli insegnamenti della Filosofia Classica con quelli del Giudaismo, una forma relativamente moderna di razionalizzazione del pensiero ebraico. Ci riferiamo a una tradizione che si è definita chiaramente in questo modo partendo da Filone d'Alessandria e proseguendo per Spinoza, Mendelsohn, fino ai grandi nomi del Novecento. Una filosofia fatta da ebrei, ma non necessariamente ebraica.
Cosa si intende per "pensiero ebraico"?
L'Ebraismo ha prodotto un suo pensiero vero e proprio, dotato di proprie categorie specifiche, che è presente nel Tanach nel Talmud e nella letteratura rabbinica. L'Ebraismo è un confronto con la Torah e un pensiero ebraico deve essere un confronto con il pensiero della Torah. La Torah è il modo di pensare ebraico.
Il Talmud, il libro più importante della tradizione ebraica, è composto praticamente da una serie continua di discussioni tra due o più Maestri, tra due o più scuole, tra due o più correnti di pensiero, spesso in netta opposizione tra di loro. La tradizione ci insegna che tutte le opinioni sono lecite, e quando c'è anche un conflitto tra scuole di pensiero si dice che entrambe sono espressione del D-o vivente; un'espressione classica per dire che i Maestri, quando parlano o quando insegnano, sono parte della Torah. A volte i Maestri si incontrano per affrontare delle discussioni del tutto ipotetiche, ma lo fanno con lo scopo di stabilire comunque dei principi.
L'ebraismo è allo stesso tempo un modo di agire e un modo di pensare, si occupa nel medesimo tempo di idee ed eventi. In questo contesto ha quindi più senso parlare di "pensiero ebraico" intendendo "ebraico" come soggetto (es.: "il pensiero di Kant").
Il pensiero ebraico tradizionale ha una visione della realtà completamente diversa dalla Filosofia. Il loro modo di essere non è lo stesso. Israele e la Grecia non hanno soltanto sviluppato dottrine divergenti; esse hanno anche operato entro categorie diverse. La Torah, al pari della filosofia di Aristotele, rappresenta un modo di pensare. Il pensiero ebraico, il pensare ebraicamente, disegna itinerari altri rispetto alla Filosofia. La Torah indica un modo di comprendere il mondo dal punto di vista del D-o vivente. Essa non si occupa dell'essere in quanto essere, ma dell'essere in quanto creazione. Il suo interesse non è nell'ontologia o nella metafisica ma nella storia e nella metastoria; il suo interesse è nel tempo piuttosto che nello spazio (Heschel). Come non è possibile studiare la Filosofia per mezzo della Torah, così non è possibile comprendere la Torah per mezzo del discorso filosofico. Ecco perché il ruolo del pensiero ebraico è quello di costituire una sfida alla filosofia, e non semplicemente un suo oggetto di verifica.
Il "pensiero ebraico" (o "pensiero di Israele") è concepito solo come "filosofia del Giudaismo" in cui il Giudaismo è il soggetto. Il Giudaismo qui è inteso come la sorgente delle idee che si cerca di illustrare. Il Giudaismo è la fonte.

(moked, 10 febbraio 2014)


Ungheria: a due mesi dalle politiche comunità ebraica contro il governo

Alla berlina la storiografia revisionista

  
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Nuovi problemi per il premier ungherese Viktor Orban. La più grande organizzazione ebraica del Paese ha deciso di boicottare le commemorazioni in ricordo dell'olocausto nazista. Nel giugno del 1944 quasi mezzo milione di persone vennero deportate nei campi di sterminio o uccise nel ghetto di Budapest.
Il governo mostra l'Ungheria come una vittima quando in realtà, all'epoca, a Budapest molti vedevano con simpatia i nazisti e il loro piano di pulizia etnica. Un fatto che secondo la comunità ebraica non è ricordato abbastanza. "I miei genitori non vennero messi nei vagoni piombati dai tedeschi, ma da volenterosi ungheresi", dice un sopravvissuto dell'epoca, "nessuno vuole riscrivere la storia, ma la gente deve sapere come andarono le cose".
L'organizzazione ebraica si oppone a un monumento e a un centro studi ebraico, ma anche alla scelta di un direttore dello stesso che tenderebbe, pare, a perdonare la compiacenza ungherese verso i nazisti dell'epoca. Ad Aprile in Ungheria si vota e l'opposizione di una comunità importante come quella ebraica rischia di costare cara al premier Viktor Orban e al suo partito.
"Il caso della statua che dovrebbe essere messa sulla piazza della libertà rischia di essere una spina nel fianco per l'esecutivo", afferma la nostra corrispondente. "Perché lo scandalo attorno a questo monumento rischia di diventare uno dei temi della prossima campagna elettorale.

(euronews, 10 febbraio 2014)


Il governo israeliano prepara contromisure al boicottaggio

Le contromisure a cui Israele potrebbe ricorrere per fronteggiare il rischio emergente del boicottaggio economico nei suoi confronti in caso di fallimento dei negoziati di pace con i palestinesi sono state discusse la scorsa notte in una consultazione convocata dal premier Benyamin Netanyahu in quella che la stampa locale caratterizza come "un'atmosfera di segretezza". Alla consultazione, secondo Maariv, hanno preso parte i ministri Avigdor Lieberman (Esteri), Naftali Bennett (Economia) e Yuval Steinitz (Questioni strategiche), nonchè esponenti dello Shin Bet (Sicurezza interna) e del Mossad.
Maariv aggiunge che Steinitz ha chiesto un finanziamento straordinario di 100 milioni di shekel (circa 20 milioni di euro) per potersi misurare con il fenomeno, che è per ora di dimensioni contenute. Il giornale rileva che dopo una fase di passività Israele sembra aver deciso adesso di ricorrere ad un approccio più "aggressivo".

(ANSAmed, 10 febbraio 2014)


Il casoncello kosher che vede la luce a Gottolengo

di Roberto Ragazzi

Leonardo Salvini e Dario Perotti
La piccola impastatrice con i sigilli posti dal rabbino della comunità ebraica di Milano si trova in un angolo del reparto ripieni di Tradizioni Padane srl. Viene utilizzata solo due/tre giorni alla settimana, quando il religioso è fisicamente presente nel pastificio di Gottolengo per benedire la produzione dei tortelli kosher.
Kosher è il termine ebraico che caratterizza tutti quei prodotti ed alimenti conformi alla religione ebraica. Ed è questo il nuovo, promettente, business del pastificio di Gottolengo, diventato negli ultimi anni leader nell'esportazione di prodotti di pasta fresca di alta gamma. Una nicchia planetaria che potrebbe, se ben gestita, far fare un salto di qualità all'azienda della Bassa che nel 2013 ha fatturato intorno ai 4 milioni di euro ed esportato più dell'80% delle proprie produzioni.
Kosher nel mondo sta diventando un vero e proprio fenomeno; negli Stati Uniti sono ci sono 20 milioni di consumatori che acquistano regolarmente i prodotti con il sigillo della comunità ebraica, e tra questi consumatori c'è anche la famiglia del presidente Obama. Il motivo? Sono considerati più affidabili, controllati e di qualità migliore; vengono scelti anche dai vegani che non vogliono trovare tracce di ingredienti animali in formaggi, prodotti da forno, dolci, piatti pronti.
«La certificazione di questi prodotti è molto complessa - ci spiegano Leonardo Salvini e Dario Perotti, soci insieme alle famiglie Rivetti e Gastaldi della srl di Gottolengo -. Il bollino viene dato solo dopo fitti controlli da parte di rabbini specializzati che verificano il rispetto delle regole igieniche, la provenienza di ogni ingrediente, l'uso solo di materie prime a loro volta certificate. Un po' come per il cibo biologico, le certificazioni sono tante, fatte dalle comunità religiose con codici di condotta molto restrittivi, nazionali, internazionali, locali».
Non possono essere ingredienti kosher ad esempio il maiale, i pesci senza squame, i crostacei, ma anche tutte quelle ricette di piatti che mixano i derivati del latte e la carne. Ma da oggi sono kosher i tortelli tipici della Bassa Bresciana. Tutti realizzati con prodotti selezionati la cui filiera viene monitorata e certificata dai rabbini.
«Il primo problema da risolvere è stato recuperare le materie prime - spiega Salvini -. Bisognava trovare l'azienda agricola che produce la ricotta certificata kosher; la farina kosher e così via». In certi casi è stato proprio Salvini a contribuire a costruire la filiera. Riuscendo a convincere piccoli imprenditori agricoli a partecipare alla scommessa. «Per i ravioli al ripieno di zucca ci serviva ad esempio la mostarda: abbiamo convinto la Andrini di Gottolengo a produrre l'unica mostrada autorizzata al mondo».
I primi due quintali di confezioni di casoncelli «certificati» sono stati spediti alle comunità ebraiche di Milano. Da qui la voce si è sparsa, lotti sono stati in tutta Italia e Francia, un primo container è partito per Israele. Ma l'obiettivo è conquistare il ricco mercato del Nord America. Con la cucina kosher e non solo. Nei laboratori di Gottolengo da alcuni mesi sono iniziate anche le produzioni di pasta fresca con farina monoccocco, la più antica varietà di grano coltivata che si differenzia dalle moderne coltivazioni per l'elevato contenuto di proteine, vitamine e composti antiossidanti. Un prodotto che sta suscitando notevole interesse da parte dei nutrizionisti.

(Giornale di Brescia, 9 febbraio 2014)


Fatah e Hamas riprenderanno i colloqui

Hamas, il partito al governo nella Striscia di Gaza, ha accettato nel weekend di intensificare i colloqui con Fatah nel tentativo di promuovere la riconciliazione tra i due gruppi palestinesi.
A seguito di una visita di una delegazione di Fatah a Gaza, riportano i media locali, i leader dei due movimenti hanno annunciato che lavoreranno insieme per preparare un accordo di riconciliazione che metterà fine a sette anni di divisioni politiche.
La fine delle divergenze, assicurano i rappresentanti della delegazione di Fatah, porterà alla formazione di un governo di unità nazionale e a "giuste" elezioni.
Fatah e Hamas hanno raggiunto due accordi di riconciliazione sotto l'egida dell'Egitto e del Qatar nel 2011 e 2012. Ma in entrambi i casi non sono stati attuati a causa di marcate divergenze sulla sicurezza e sulla ristrutturazione dell'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), guidata da Fatah.
Da parte di Hamas, "c'è massima disponibilità per il raggiungimento dell'obiettivo dell'unità nazionale", dicono i suoi rappresentanti.

(Atlas, 10 febbraio 2014)


Se le cose stanno così, che senso hanno le conversazioni fin qui fatte tra Abu Mazen e John Kerry? Domanda semplice, molto semplice, troppo semplice per le orecchie americane.
Disse John


I nemici di Israele a Roma

di Giulio Meotti

Il successo del movimento contro Israele lascia intendere che le cose potranno solo peggiorare anche da noi. Il fuoco odioso del boicottaggio contro lo stato ebraico è arrivato da tempo anche in Italia, dove ad esempio si è cercato di impedire che la voce di Israele e dei suoi scrittori si facesse sentire alta e viva alla Fiera del Libro di Torino. Adesso a Roma, dove gli antisionisti del movimento di Beppe Grillo si stanno dando da fare, si vuole impedire che ci arrivi e circoli l'acqua israeliana. Se durante la Guerra Fredda gli ordini provenivano da Damasco, dov'era la sede della Lega Araba, oggi il virus del boicottaggio antisemita si sta diffondendo nei fondi pensione europei, supermercati, società commerciali, sindacati, cooperative alimentari e industrie. Questa lista nera del boicottaggio non solo nega la convivenza in Medio Oriente, ma fomenta la rinascita del razzismo contro gli ebrei nel mondo. Il defunto, grande storico Raul Hilberg aveva spiegato che il boicottaggio economico degli ebrei nel mondo degli affari e del lavoro era stato il primo passo verso la Shoah, la distruzione fisica degli ebrei. Oggi l'obiettivo è l'indebolimento, la messa in mora e infine l'esautorazione dalla storia del piccolo, meraviglioso stato degli ebrei.

(Il Foglio, 10 febbraio 2014)


Video
L'Apollo di Gaza emerso dalle acque

Perduta per secoli poi misteriosamente riapparsa nella Striscia di Gaza, forse ritrovata in mare, forse sulla spiaggia, la statua del dio Apollo continua a tormentare gli archeologi che possono vederla solo in foto. Sequestrata dalla polizia, adesso si sono perse le sue tracce. Il pericolo è che possa essere venduta all'estero. Alta poco meno di due metri, di bronzo, ha un valore tra i 30 e i 40 milioni di dollari.

(RaiNews24, 9 febbraio 2014)


Il senatore Giacobbe approva l'accordo Italia-Israele sulla previdenza sociale

"Ho accolto con favore e positività la ratifica dell'Accordo fra Italia ed Israele sulla previdenza sociale approvata dal Consiglio dei Ministri su proposta del ministro Emma Bonino". Così Francesco Giacobbe, senatore del Partito Democratico eletto nella ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide. L'accordo, fatto a Gerusalemme il 2 febbraio 2010, regola i rapporti tra i due Paesi per quanto riguarda l'individuazione della legislazione applicabile e le pensioni. Elemento centrale è la tutela dei lavoratori al seguito delle imprese e la totalizzazione e trasferibilità delle pensioni. "Un argomento di fondamentale importanza - ha aggiunto - sul quale in passato mi ero interessato in prima persona sollecitando l'intervento del ministero degli Esteri". Alla base dell'Accordo la volontà di garantire ai cittadini italiani che hanno lavorato in Italia prima di trasferirsi in Israele la possibilità di percepire, direttamente in Israele, un trattamento pensionistico in linea con i contributi versati in Italia. Diversamente i cittadini italiani residenti in Israele percepirebbero solamente una pensione equivalente agli anni di contributi versati una volta trasferitisi nello Stato ebraico, senza possibilità di recuperare i contributi italiani.

(il Velino, 10 febbraio 2014)


A Tel Aviv dormire al cinema si può: è un hotel

di Elisabetta Rosaspina

 
Il grande schermo che accoglie gli ospiti al check-in dell'Hotel Esther
 
Sulle pareti una foto degli antichi proprietari del cinema, Esther e Moses Nathanie
 
Un antico proiettore arreda la hall dell'albergo ex cinema
 
La hall dell'Hotel Esther con lo schermo che mostra storici film comici in bianco e nero
Dormire al cinema può capitare. Ma per dormire al Cinema Esther, uno degli alberghi più originali di Tel Aviv, bisogna essere inguaribili celluloide-dipendenti. L'odore di pop corn che si sprigiona nella hall, dai cartocci che accompagnano il check-in, è il primo avvertimento: questo palazzo bianco di quattro piani costruito alla fine degli anni '30, sull'onda lunga dell'entusiasmo Bauhaus, si è adattato negli ultimi vent'anni a diventare un grazioso hotel, ma conserva la sua anima e, soprattutto, l'orgoglio dei suoi trascorsi hollywoodiani.
Proiettati su una parete dell'atrio semi circolare, Charlie Chaplin o Stanlio e Olio accolgono gli ospiti con le loro mute evoluzioni in bianco e nero. Grosse "pizze" appoggiate ai muri o montate su un gigantesco proiettore, alla base delle scalinata (originale), e il grande quadro di interruttori che un tempo accendeva il mondo dei sogni, rivendicano silenziosamente il loro primato e i loro diritti su questi luoghi. Sono qui dalla prima metà del secolo scorso e, anche se pensionati, sono ancora gli indiscussi proprietari del posto, con il loro corredo di sedili in legno, locandine, manifesti, foto di scena, cineprese, biglietti d'ingresso, il 45 giri della colonna sonora di A noi le inglesine, il 33 giri di Quella sporca dozzina, carteggi e altre memorabilia rigorosamente coeve. Come la targa originale della piazza in cui fu costruito il locale, Zina Circus, oggi Meir Dizengoff, il primo sindaco della città.
Qui si riuniva l'alta società di Tel Aviv anche per assistere a commedie teatrali, conferenze, raduni sionisti e perfino incontri di boxe, ben prima che David Ben Gurion proclamasse il moderno Stato di Israele, nel 1948. Tre dei proiettori più all'avanguardia dell'epoca permettevano ai mille spettatori, per sessione, di assistere ai film senza interruzioni e, per di più, al riparo dalla calura estiva nella prima sala con aria condizionata della città. Il nome, Esther, era stato dato al cinema in onore della sua co-fondatrice, Esther Nathaniel che, con il marito Moses, aprì nel 1939 il settimo cinematografo di Tel Aviv, per proiettarvi il meglio della produzione statunitense ed europea.
La coppia veniva da lontano: da Aden, nell'attuale Yemen, ma al tempo colonia della corona britannica, sotto la Presidenza di Bombay, ed era emigrata in Israele nel 1924. Uniti da un notevole senso degli affari, Moses ed Esther avevano avviato fabbriche di maglieria, una piantagione di orchidee e un albergo a Tiberiade, prima di investire buona parte delle loro risorse nell'avventura cinematografica. Forse perché anche la loro vita e la loro storia sentimentale sarebbe stata materia da film: lui era nato in una famiglia modesta, ma era riuscito a diventare un manager nella società commerciale e immobiliare, soprannominata la "Rothschild dell'Est" di proprietà della famiglia di lei. Una famiglia tradizionalista, i cui veti Esther aggirava studiando clandestinamente nella scuola delle missionarie e mantenendo segreta la sua relazione con Moses per ben sei anni. Durante i quali si scrivevano lettere d'amore in codice. Si sposarono due anni dopo essere sbarcati a Tel Aviv, nel 1926.
Nel 1992, quando Moses avrebbe compiuto cento anni, il cinema ha chiuso a causa delle difficoltà finanziarie. Ma, sperando nel processo di pace, i figli hanno deciso di non venderlo per convertirlo un giorno in un hotel, conservando la facciata e la scalinata. Tra il 1998 e il 2000, la trasformazione definitiva. Pazienza. In fondo, chi sale quelle scale è ancora diretto al mondo dei sogni.
Video

(Corriere della Sera, 9 febbraio 2014)


Nucleare, nuovo accordo Iran-Aiea sulle ispezioni

TEHERAN - Dopo l'intesa di novembre, Iran e Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) si sono accordati su altre sette "misure pratiche" da applicare entro il 15 maggio nei controlli sul controverso programma nucleare iraniano, sospettato di nascondere una dimensione militare.
L'annuncio è stato dato da fonti ufficiali di Teheran e dell'Aiea, con sede a Vienna, al termine di due giorni di negoziati svoltisi nella capitale iraniana. Questa nuova intesa trimestrale è stata raggiunta su un tavolo «tecnico», parallelo a quello più «politico» aperto con le potenze del «5+1» e che tornerà a riunirsi il 18 febbraio a Vienna.
L'obiettivo è di raggiungere un accordo definitivo, dopo quello provvisorio semestrale stipulato a Ginevra il 24 novembre e la cui attuazione è iniziata il mese scorso. Il tutto per assicurare che il programma nucleare iraniano, come giurato da Teheran sui valori dell'Islam, sia esclusivamente pacifico, e scongiurare quindi la minaccia di un attacco militare israeliano contro gli impianti nucleari iraniani, con imprevedibili ripercussioni belliche e ambientali (che lo stato ebraico ritiene meno gravi della minaccia di un Iran dotato della bomba atomica).
Le nuove «misure» appena concordate riguardano ispezioni alla miniera di uranio di Saghand nei pressi di Yazd, alla fabbrica di concentrato d'uranio (il cosiddetto «yellow cake») situata ad Ardakan e a un "Laser center" situato a Lashkar Ab'ad.
Due punti riguardano ancora una volta, con la richiesta di informazioni aggiornate sulla sua costruzione, l'impianto ad acqua pesante di Arak (la cosiddetta «via al plutonio» verso la bomba). Un altro punto - fra l'altro - prende di mira «l'estrazione di uranio da fosfati» e l'ultimo concerne lo sviluppo di detonatori (gli Exploding Bridge Wire detonators).
L'Aiea, nella nota che dettaglia la nuova intesa, ha confermato che «l'Iran ha applicato le misure pratiche iniziali che erano state previste» nell'accordo dell'11 novembre. Fra i sei punti di quella prima «roadmap» ci sono state ispezioni, l'8 dicembre, ad Arak e, il 29 gennaio, alla miniera di uranio di Gachin.
Nel nuovo accordo trimestrale non si parla di nuove ispezioni a Parchin, il complesso militare a sud-est di Teheran dove l'Aiea ritiene che possano essersi svolti test sospetti di esplosioni convenzionali applicabili all'innesco di ordigni atomici, ipotesi che l'Iran esclude. Cinque edifici della base specializzata nello sviluppo di munizioni ed esplosivi erano già stati ispezionati dall'Aiea per due volte nel 2005, senza risultati significativi.
Per timori di attività spionistiche, l'Iran ha sempre respinto dal 2012 nuove richieste di sopralluogo. Circa Arak, che assieme alla riduzione delle scorte di uranio arricchito al 5%, è uno degli scogli sulla via di un accordo definitivo fra Iran e 5+1 (atteso non prima dell'estate), Teheran questo mese ha prospettato la possibilità di modifiche all'impianto, per venire incontro ai timori occidentali.

(Il Secolo XIX, 9 febbraio 2014)


L'antica sinagoga a Bova Marina

 
Parte del mosaico della sinagoga di Bova Marina
Nei locali della Sovrintendenza Archivistica di Reggio Calabria, si è riunita l'assemblea dei soci dell'Associazione Amici degli Archivi e delle Biblioteche.
La riunione è stata aperta dalla dott.ssa Donatella Rizzi che ha relazionato sul suo recente lavoro in corso di stampa per Gangemi editore, "L'antica sinagoga a Bova Marina. Luogo e comunità".
La dott.ssa Rizzi ha esordito: "Il sito archeologico ebraico di Bova Marina del IV sec. d.C. instilla nel visitatore incanto, suggestione, stupore. L'incanto di una sinagoga, allo stato attuale delle ricerche la più antica d'Occidente dopo quella di Ostia Antica; una sinagoga della quale resta uno splendido mosaico pavimentale che con pochi simboli racconta tutta la millenaria storia del popolo ebraico: lo shofar, i rami di palma e cedro, la menorah.
La suggestione di un sito scoperto casualmente, come tante altre sinagoghe del bacino mediterraneo arricchite da splendidi tappeti musivi o affrescati, che già al tempo della loro scoperta posero rilevanti interrogativi agli storici dell'arte. Queste ricche raffigurazioni dovevano essere interpretate come eterodosse deroghe al divieto biblico di rappresentare qualsiasi essere vivente sulla terra, sotto terra o nel mare, o piuttosto come la risultante delle continue relazioni tra gli ebrei e altre popolazioni mediterranee che avevano una tradizione figurativa iconica, o infine come strumenti di propaganda del dissenso politico?"
E ancora: le sinagoghe sono una creazione preesilica, luoghi che affiancavano il Tempio nell'esercizio del culto, o postesilica, centri di studio, preghiera, incontro assemblale, giudizio, ospitalità per i pellegrini, che sostituivano per gli ebrei esuli le funzioni svolte dal Tempio?
E infine gli ebrei si stanziavano in luoghi designati biblicamente o scelti per la loro posizione strategica favorevole per i commerci?
Lo stupore nasce infine dalla scoperta di un mondo sincretico nel quale si fondevano armonicamente principi e dottrine filosofiche e religiose molto diverse in un sistema pan culturale.
La scoperta della sinagoga di Bova Marina passa attraverso questo remoto percorso nella storia dell'arte, dell'architettura, delle pratiche insediative, per arrivare alle peculiarità suggestive del territorio di Bova Marina, isola alloglotta dove, insieme ad altri comuni aspro montani, si parla ancora il greco. Per questo affascinante territorio, per le sue tradizioni artigiane, linguistiche, culturali, è stata proposta la candidatura nelle liste del Patrimonio Culturale Immateriale dell'UNESCO.

(Strill.it, 9 febbraio 2014)


Giordania: no allo Stato ebraico israeliano

L'8 febbraio il Parlamento giordano ha rilasciato una dichiarazione, secondo la quale rifiuta di riconoscere lo "Stato ebraico israeliano", sottolinea che la posizione della Giordania sul problema palestinese è risoluta, ossia il paese sostiene fermamente i legittimi diritti della nazione palestinese, e rifiuta di riconoscere lo stato israeliano degli ebrei.
Secondo la dichiarazione rilasciata lo stesso giorno dal Parlamento giordano, la soluzione definitiva del problema palestinese riguarda necessariamente la soluzione dei problemi dei rifugiati, dell'appartenenza di Gerusalemme, della sicurezza, dei confini, degli insediamenti ebraici, e risorse idriche, il che ha stretto rapporto con i maggiori interessi della Giordania. Se non trattati correttamente, questi problemi eserciteranno un'influenza negativa sulla sicurezza e sull'integrità territoriale della Giordania.

(CRI online, 9 febbraio 2014)


Iron Dome in India

GERUSALEMME - Israele collaborerà con l'India, uno dei suoi principali acquirenti di armi, per sviluppare un sistema missilistico integrato di difesa destinato principalmente a contrastare missili nucleari e convenzionali cinesi.
Stando alla Defense News il programma, approvato dal ministero della Difesa indiano, coinvolge la statale Israel Aerospace Industries e la Rafael Defense Advanced Systems da un lato e l'indiana Defense Research and Development Organization, di proprietà della statale Bharat Dynamics Ltd e della Bharat Electronics Ltd. Sembra essere un programma molto simile allo scudo di difesa antimissile a quattro livelli che lo Stato ebraico ha sviluppato nel corso degli ultimi anni, programma accelerato dalla guerra del 2006 con Hezbollah, durante la quale nord di Israele fu colpito per 34 giorni da quasi 4mila razzi.
Secondo il settimanale statunitense, il sistema integrerebbe il sistema missilistico indiano di difesa aerea a lungo raggio Prithvi, pronto per il 2015, con il sistema radar mobile sviluppato da Bel in collaborazione con Iai. La Drdo India lavorerà con Iai e Rafael sul programma. L'India sta espandendo e migliorando le proprie forze armate ed è uno dei maggiori importatori di armi al mondo.
La Iai, attraverso finanziamenti degli Stati Uniti, ha sviluppato il sistema anti-balistico Arrow, distribuito nel 2000. Oggi ha quasi finito di testare la variante Arrow -3, sviluppata con la Boeing. Arrow-3 è progettato per intercettare i missili iraniani Shehab-3 e Sejjil-2 al di fuori dell'atmosfera terrestre; dovrebbe diventare operativo nel 2016. Arrow-2, attualmente "in servizio", opera a bassa quota e verrà utilizzato come back- up per Arrow-3 per intercettare eventuali missili ostili che non vengano intercettati da Arrow-3. Rafael costruisce il sistema mobile Iron Dome, sistema antimissili a corto raggio come quelli utilizzati dai militanti palestinesi nella Striscia di Gaza contro Israele. Iron Dome, il cui sistema informatico è in grado di distinguere tra razzi che colpiranno aree popolate e campagnia, secondo il dato ufficiale israeliano ha distrutto l'84,2 % dei razzi con i suoi intercettori Tamir, da quando è stato impiegato all'inizio del 2011; si tratta del gradino più basso della difesa missilistica che gli israeliani stanno costruendo. Rafael sta sviluppando anche un altro sistema noto come David Sling, per intercettare missili a medio raggio. Secondo Defense News la Rafael si è offerta di costruire in India un sistema C4I capace di integrarsi con il sistema di difesa missilistico indiano. Il nuovo programma comune non ha ancora un nome, ma il contratto dovrebbe essere firmato entro sei mesi. L'India in passato aveva manifestato interesse ad acquisire sia il sistema Arrow che Iron Dome ma dal momento che gli Usa sono coinvolti nello sviluppo di questi programmi e ne condividono la tecnologia, il Pentagono potrebbe bloccarne le esportazioni per salvaguardarne le tecnologie. L'India prevede di spendere oltre 150 miliardi di dollari per modernizzare il proprio esercito nel prossimo decennio, preparandosi ad affrontare la crescente potenza militare della Cina.

(agc, 9 febbraio 2014)


Teheran invia navi alla frontiera marittima Usa

di Guido Keller

Il governo di Teheran ha fatto sapere oggi attraverso alcuni media di aver inviato alcune navi verso la frontiera marittima degli Usa per, a come riferisce l'ammiraglio Rezayee Haddad, comandante della flotta settentrionale della Marina iraniana, "inviare un messaggio". I media parlano di risposta dell'Iran alla "maggiore presenza della Marina statunitense nel Golfo Persico", ma, a ben vedere, di navi statunitensi in quell'area ce ne sono davvero poche a causa non del calo delle tensioni fra i due paesi, bensì dei tagli alla spesa previsti dall'entrata in vigore del "fiscal cliff". Difatti, delle due portaerei previste nell'area, si ha notizia solo del gruppo navale della Harry Truman, per altro in questi giorni data nel Mare Arabico.

(Notizie Geopolitiche, 8 febbraio 2014)


I quadri segreti di Eva Fischer pittrice tenace

Eva Fisher
Da piccola disegnavo ovunque: sui muri di casa, sulle tende, sull'asse di legno dove mia madre impastava... Un giorno la mamma partì per Budapest con qualche mio lavoro in borsa per chiedere al direttore dell'Accademia se vedeva del talento. E lui disse: sì, deve andare avanti!». A 93 anni, la pittrice Eva Fischer parla con voce fresca, soave, colorata. Matita e pennello fanno parte di lei da sempre, e i suoi ricordi scorrono come la pittura a olio sulle sue tele. E l'ultima rappresentante della scuola romana di Mario Mafai, i suoi amici erano Guttuso{ Cagli, Emilio Greco. E ha da raccontare. E nata nel 1920 a Daruvar, ex Jugoslavia, da famiglia ebraica ungherese, e ha sofferto il buio dell'era nazista. Più di trenta suoi parenti sono stati massacrati nei lager, tra loro, suo padre Leopold, rabbino capo e noto talmudista. Eva è più fortunata. Dopo la guerra si stabilisce a Roma e dipinge, dipinge... La sua fama cresce, espone in tutto il mondo. E' una colorista e lavora a fasi tematiche: biciclette, mercati, Mediterraneo, paesaggi, nature morte, ritratti, voli. Poi c'è Ennio Morricone. Sono amici dalla fine degli anni Cinquanta: «Abitavamo nello stesso palazzo. Eravamo tutt'e due poverissimi. Lo sentivo che suonava tutto il giorno, dalle 6 del mattino». Lei ha tradotto quelle note in 38 dipinti; lui le ha dedicato un album con 12 pezzi, intitolato Eva Fischer pittore. Ma c'è anche un soggetto che Eva Fischer ha tenuto segreto molto a lungo: dal 1946 al 1989 ha fatto quadri sulla Shoah e nessuno poteva vederli, neppure suo marito o suo figlio. «Comprensibile ritegno a mostrare la parte più profonda del suo animo», ha scritto a questo proposito Elio Toaff. A Roma in questi giorni, e fino al 30 marzo, alcune di queste opere compongono una mostra sull'Olocausto presso l'Accademia di Ungheria (un buon segno, visti gli echi di nostalgie barbare che arrivano da quella nazione). Complessivamente, tra oli, incisioni, disegni, litografie, Eva Fischer ha realizzato quasi mille lavori, compresi quattro francobolli italiani e le vetrate del Museo Ebraico di Roma. L'ultimo dipinto è del 2007: una tela di 2 metri per 1,40 della serie Scuole di ballo. «Però, qualche disegno, lo faccio. E davanti al letto ho cavalletto e colori, perché nella mia testa dipingo ancora. Quadri veri, ma soltanto per me».

(Corriere della Sera, 9 febbraio 2014)


Meno sanzioni, Iran più aggressivo

Il premier israeliano Netanyahu: "La politica di Teheran non si è moderata".

GERUSALEMME - "Mentre la comunità internazionale ha ridotto le sanzioni, l'Iran ha a sua volta accresciuto la propria aggressività internazionale": lo ha affermato oggi Benyamin Netanyahu. Aprendo la seduta del Consiglio dei ministri il premier israeliano ha espresso queste considerazioni prendendo lo spunto dalle notizie relative all'invio nell'Oceano Atlantico di navi da guerra iraniane.
Secondo Netanyahu, "l'allentamento delle sanzioni non ha affatto moderato" la politica dell'Iran. "Anzi, è accaduto l'opposto". In merito il premier israeliano ha elencato: "un incontro fra il ministro degli esteri iraniano e il leader della Jihad islamica palestinese; la fornitura continua di armi micidiali ad organizzazioni terroristiche; la prosecuzione dei massacri in Siria; un duro attacco verbale del leader iraniano agli Stati Uniti; e l'invio di navi da guerra iraniane nell'Oceano Atlantico".

(Corriere del Ticino, 9 febbraio 2014)


La spia che salvò Dreyfus

Tutti sanno chi era Alfred Dreyfus, l'ufficiale ebreo dell'esercito francese accusato nell'ottobre 1894 di passare informazioni ai tedeschi e per questo processato, ritenuto colpevole, degradato e condannato all'ergastolo a vita nell'isola del Diavolo, nelle Antille francesi. Le accuse erano inconsistenti e basate su una prova falsa e, come venne messo in evidenza da tutti i giornali innocentisti, a cominciare dall'"Aurore" su cui lancio' il suo j'accuse Emile Zola, nell'accusa e nella condanna del capitano aveva giocato un ruolo fondamentale il pregiudizio antisemita.
L'uomo che più di ogni altro contribuì a scagionare Dreyfus, unico ufficiale ebreo nel comando supremo francese, era il maggiore, poi tenente colonnello Georges Picquart, un ufficiale che partecipava del pregiudizio antisemita tanto diffuso all'epoca, al punto che quando vennero tolti i gradi e strappate le mostrine dalla divisa di Dreyfus avrebbe detto a un amico: non dimenticarti che Dreyfus è un ebreo e l'unica cosa che sta valutando in questo momento è quanto pesa l'oro di quelle mostrine. Picquart era tuttavia un uomo corretto e già durante il processo, che seguiva per conto dello Stato maggiore, aveva avvertito i suoi superiori che a suo avviso non c'erano prove sufficienti per una condanna. Nominato a capo del controspionaggio, Picquart venne in possesso di un foglietto che una donna delle pulizie che lavorava all'ambasciata tedesca aveva recuperato dal cestino dell'attache' militare colonnello Maximilian Schwartzkoppen. Il foglietto, firmato dal maggiore zigare Ferdinando Walzsin Esterhazy, un nobile decaduto pieno di debiti, rivelava una grafia identica a quella di Dreyfus. Era la prova che il processo si poteva rifare.
Tuttavia all'inizio Picquart venne osteggiato e allontanato da Parigi e poi dall'esercito. Finché Picquart non si decise a chiedere e ottenere l'appoggio di Georges Clemenceau. Dreyfus venne riabilitato e Picquart diventò ministro della guerra in un governo Clemenceau.
Picquart morì nell'ottobre 2014 per le conseguenze di una caduta da cavallo. Aveva 59 anni. Era scapolo e senza figli. Lasciò dei diari che ora sono stati utilizzati da Robert Harris per il romanzo storico appena uscito in inglese, "An officer and a Spy" (Alfred Knopf editore, pagine 429, 27,95 dollari).

(Corriere della Sera, 8 febbraio 2014)


Israele, guerra fra le star della musica

La laica Noa riesce a impedire l'assegnazione di un prestigioso premio all'ortodosso Zielber: "E' un estremista di destra, contro i gay e gli arabi". Ma il ministro degli Esteri Lieberman lo difende: "Campagna bolscevica contro di lui".

 
Ariel Zilber
La cantante più laica contro la star degli ortodossi: la musica israeliana precipita al centro di un duello che spinge molti ministri del governo a schierarsi. La scintilla arriva con la decisione dell'Associazione dei compositori, autori ed editori (Acum) di assegnare il premio "Lifetime Award" ad Ariel Zilber, l'ex cattivo ragazzo della musica pop israeliana che negli ultimi dieci anni è diventato ortodosso, sposando molte battaglie della destra israeliana, a cominciare dal sostegno per gli insediamenti.
Tenace oppositore del ritiro dalla Striscia di Gaza, ordinato dall'ex premier Ariel Sharon nel 2005, Zilber si è spinto con le sue liriche fino ad attaccare la comunità gay, a sostenere l'espulsione degli arabi israeliani e ad invocare la liberazione di Yigal Amir - l'assassino del premier Yitzhak Rabin - perché "se scarceriamo i terroristi palestinesi possiamo rimettere in libertà anche lui". Il comitato dell'Acum nell'assegnargli il premio ha fatto prevalere "il valore della sua musica", unanimemente apprezzata, ma la popolare cantante Noa è andata all'attacco: "Se non fate marcia indietro, non parteciperò alle vostre manifestazioni nè ritirerò i vostri premi". "Premiare Ariel Zilber con un riconoscimento per la sua intera vita significa essere degli irresponsabili" ha scritto Noa sulla propria pagina di Facebook, trovando il consenso di Dalia Rabin - che fa parte del consiglio dell'Acum - secondo la quale "sebbene Zilber è un artista di talento le sue posizioni contro le minoranze, i gay e i diritti individuali sono problematiche".
L'Associazione dei compositori ha così fatto marcia indietro, cambiando la denominazione del premio in favore di un più generico "contributo alla musica israeliana" che accoglie le proteste del fronte laico guidato da Noa e Dalia Rabin. Ma ad insorgere a questo punto sono stati più ministri della coalizione del governo di centrodestra di Benjamin Netanyahu, a cominciare dal titolare degli Esteri, Avigdor Lieberman, che ha tuonato: "Si tratta di una decisione pericolosa perché si tratta di una resa culturale all'estremismo di sinistra". "Le stesse persone che si battono per consentire ad un insegnante di liceo di sindacare la moralità delle truppe, in nome della libertà di espressione, sono ora impegnate a far tacere un artista il cui genio musicale è fuori discussione" afferma Lieberman, trovando il consenso del ministro dell'Economia Naftali Bennett, leader del partito "Habayt Hayehudi", secondo cui "la crociata contro Zilber è condotta dagli stessi intellettuali che rifiutarono la cattedra onoraria a Haifa a Robert Aumann" a cui nel 2005 è stato assegnato il Premio Nobel per l'Economia.

(La Stampa, 8 febbraio 2014)


Grecia, ira del Congresso Ebraico: "Syriza ritiri il candidato antisemita in Macedonia"

La denuncia del World jewish congress. Sulla pagina Facebook di Theodoros Karypidis un attacco al premier e alla sua visita alla sinagoga di Salonicco.

ATENE - L'accusa è quella di aver scelto un candidato antisemita come governatore della Macedonia. Per questo il World jewish congress, il Congresso mondiale ebraico, chiede alla Coalizione della sinistra radicale greca Syriza di togliere il nome di Theodoros Karypidis dalle sue liste. Karypidis è accusato di aver fatto dichiarazioni antisemite sul premier greco Antonis Samaras. Una notizia che arriva proprio in piena campagna elettorale per Alexis Tsipras, il leader di Syriza candidato presidente della Commissione Ue per la Sinistra europea (Se) alle Europee.
"La candidatura di Theodoros Karypidis va ritirata perché il suo odio e le sue teorie non possono avere spazio nella più antica democrazia del mondo - ha detto il presidente del il World jewish congress - . Ci uniamo alla comunità ebraica greca nella richiesta del ritiro di Karypidis dalla lista di Syriza e anche dal partito. Sfortunatamente comportamenti di questo tipo non si trovano solo all'interno dei partiti di estrema destra. Syriza in quanto partito democratico deve condannarli"
Syriza è il principale partito di opposizione in Grecia. Nella sua pagina Facebook Karypidis averebbe enunciato una teoria su un complotto antisemita. Secondo lui il premier ha stretto un patto con la nuova rete televisiva pubblica Nerit. Sulla sua pagina Facebook avrebbe scritto che Nerit deriva dalla parola candela, in ebraico "ner", collegata alla festa ebraica di Hanukkah. Una celebrazione della guerra dei Maccabei contro i Greci. "Nella sua visita alla sinagoga di Salonicco, Samaras ha acceso le candele nel candelabro ebraico e buttato fiamme sulla Grecia - ha scritto Karypidis secondo l'agenzia di stampa Jewish Telegraphic Agency - . Sta organizzando una nuova festa di Hannukka"
La visita del premier Samaras alla sinagoga di Salonicco risale al mese di marzo del 2013. Un incontro per ricordare la deportazione di 50.000 ebrei nei campi di sterminio dei Nazisti nel 1943. Era la prima visita di questo tipo di un premier greco negli ultimi 100 anni.

(la Repubblica, 8 febbraio 2014)


L'arrivo dei primi cammelli domestici in Israele

di Leonardo Debbia

Cammelli nel deserto del Negev
I cammelli vengono citati come animali da soma negli eventi biblici di Abramo, Giuseppe e Giacobbe. Gli archeologi, hanno dimostrato, tuttavia, che i cammelli sono stati addomesticati in Israele secoli dopo l'Età dei Patriarchi (2000-1500 a.C.).
Ora, Erez Ben-Yosef e Lidar Sapir-Hen, ricercatori del Dipartimento di Archeologia e Culture del Vicino Oriente dell'Università di Tel Aviv, hanno usato la datazione al radiocarbonio per individuare il periodo in cui i cammelli domestici giunsero nel Levante meridionale - l'odierna regione compresa tra la Mesopotamia e il Mediterraneo - modificando la stima dal 12o al 9o secolo a.C. I risultati sono stati pubblicati sul Tel Aviv Journal.
"L'introduzione del cammello ha rappresentato per la nostra regione un importante sviluppo economico e sociale" assicura Ben-Yosef. "Analizzando testimonianze archeologiche dai siti di produzione del rame della Valle di Aravah, siamo stati in grado di datare questo evento in termini di decenni piuttosto che secoli".
Gli archeologi ritengono che i cammelli venissero probabilmente addomesticati nella Penisola Arabica, utilizzandoli come animali da soma, fino verso la fine del 2o millennio a.C.
Nel Sud del Levante, dove si trova Israele, le più antiche ossa di cammelli domestici vengono dalla Valle di Aravah, che si estende dal Mar Morto al Mar Rosso, lungo il confine israelo-giordano, antico luogo di produzione del rame.
In uno scavo del 2009, Ben-Yosef datò un'area di fusione del rame, nella Valle di Aravah, dove furono trovate ossa di cammello domestico appartenenti all'undicesimo-nono secolo a.C.
Per determinare più esattamente quando i cammelli domestici comparvero nel Levante meridionale, i due studiosi hanno utilizzato - tra le altre tecniche - la datazione al radiocarbonio nell'analisi dei resti degli scavi fatti nella valle.
Sono state individuate ossa di cammelli in tutti gli scavi, quasi esclusivamente in strati archeologici risalenti alla fine del 10o secolo a.C. o più tardi - alcuni secoli dopo il periodo dei patriarchi 'biblici' e decenni dopo il Regno di David.
Le scarse ossa di cammelli rinvenute in precedenti strati archeologici probabilmente appartenevano a cammelli selvatici, che gli archeologi ritengono siano vissuti nel Levante meridionale dal Neolitico, se non addirittura ancora prima.
In particolare, tutti i siti attivi nel 9o secolo nella Valle di Aravah presentavano ossa di cammello, assenti invece in tutti i siti che erano stati attivi in precedenza.
La comparsa di animali addomesticati nella Valle di Aravah sembra coincidere con i cambiamenti nel funzionamento delle locali miniere di rame, molte delle quali furono chiuse insieme alle fonderie e quelle rimaste attive furono riorganizzate, centralizzandole e usando tecnologie più sofisticate, secondo le scoperte archeologiche.
I ricercatori sostengono che questi cambiamenti, assieme all'introduzione di cammelli addomesticati, potrebbero essere stati imposti dagli antichi Egizi, dopo la conquista della regione mediante la campagna militare menzionata sia da fonti bibliche che egiziane.
L'origine del cammello addomesticato è probabilmente la Penisola Arabica, che confina, ad ovest, con la Valle di Aravah e sarebbe stato il punto più logico per l'ingresso dei cammelli addomesticati nel Levante meridionale.
Per i due studiosi, i primi cammelli addomesticati che lasciarono la Penisola Arabica ora potrebbero essere sepolti nella Valle di Aravah.
L'arrivo di cammelli addomesticati promosse gli scambi tra Israele e luoghi esotici, irraggiungibili prima - secondo i ricercatori - dato che i cammelli potevano percorrere distanze molto più lunghe rispetto agli asini e ai muli utilizzati fino ad allora.
Dal VII secolo a.C. furono tracciate rotte commerciali, note come 'vie dell'incenso', dall'Africa verso l'India attraverso Israele.
Ai cammelli si deve l'apertura di Israele al mondo al di là dei vasti deserti, che cambiò decisamente la sua storia economica e sociale.

(Gaianews.it, 8 febbraio 2014)


Stamina: dodici malati in Israele per infusioni

ROMA, 8 FEB - Dodici malati, sette adulti e cinque bambini, partiranno il 13 febbraio alla volta di Israele, per effettuare delle infusioni di cellule staminali presso il Ctci Center, dove opera il dottor Shimon Slavin. E' quanto annuncia il vicepresidente del movimento Vite Sospese Pietro Crisafulli, a margine di una riunione programmatica del coordinamento nazionale cure compassionevoli a Roma, nonostante la posizione critica di Davide Vannoni. La decisione, che Crisafulli aveva già annunciato sul proprio profilo Facebook qualche giorno fa e ' stata ribadita oggi, all'indomani del rinvio a giudizio di Vannoni per tentata truffa da parte della Procura di Torino. "Ci siamo informati sulla metodica di Slavin, utilizza cellule staminali mesenchimali autologhe, come Vannoni - spiega Crisafulli - sappiamo della contrarietà del presidente di Stamina Foundation ma si tratta per lo più di famiglie che in Italia continuano a perdere i ricorsi in Tribunale, che sono stufe di aspettare e che non vogliono vedere un proprio familiare morire: nessuno può impedire loro di provare a fare qualcosa". Vannoni ha detto all'Ansa di "comprendere a pieno la situazione nella quale si trovano le famiglie, ciò che le spinge a provare di tutto, compreso il fatto di andare all'estero, per tentare di fare stare meglio i propri malati" ma aveva ribadito di non trovare eticamente giusto far pagare loro "30mila euro a infusione". "C'è chi mi ha annunciato che sarà costretto a vendere la casa - aveva spiegato Vannoni - se si considera che i costi per la preparazione dell'infusione sono pari ai nostri, circa 5000 euro, mi sembra che vogliano guadagnarci troppo". Ma una parte dei rappresentanti dei malati non ci sta e contesta le cifre, quasi a voler evidenziare una spaccatura con il presidente di Stamina: "La prima infusione non costa 30mila euro, bensì 23.600- precisa infatti Crisafulli - per la seconda si scende a 15mila e non e' richiesto di farle ogni 40 giorni come nel metodo Vannoni bensì ogni sei mesi".

(ANSA, 8 febbraio 2014)


Or avvenne che, mentre egli si trovava in una di quelle città, ecco un uomo tutto coperto di lebbra che, veduto Gesù, si prostrò con la faccia a terra e lo pregò, dicendo: «Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi». Allora egli, distesa la mano, lo toccò dicendo: «Sì, lo voglio, sii purificato». E subito la lebbra lo lasciò. E Gesù gli comandò: «Non dirlo a nessuno; ma va', mostrati al sacerdote e fa' un'offerta per la tua purificazione, come ha prescritto Mosè, affinché ciò serva loro di testimonianza».

Dal Vangelo di Luca, cap. 5







 

La Danimarca occupata dai nazisti si oppose, con il re in testa, alla deportazione dei suoi ebrei

di Diego Gabutti

Re Cristiano X di Danimarca
Non è vero - a raccontarlo è lo storico e giornalista danese Bo Lidegaard nel suo Il popolo che disse no. La storia mai raccontata di come una nazione sfidò Hitler e salvò i suoi compatrioti ebrei, Garzanti 2014, pp. 341, 28,00 euro - che Re Cristiano X di Danimarca cavalcò «nelle strade di Copenaghen portando la stella gialla in segno di sfida alla richiesta dei nazisti che gli ebrei la portassero». Hitler e le sue bestie bionde evitarono d'avanzare questa richiesta: non avevano nessuna intenzione d'impegnare truppe preziose in Danimarca forzando i danesi, che per il momento collaboravano obtorto collo con le forze d'occupazione, alla disobbedienza civile e alla resistenza armata.
Cristiano X non ostentò la stella gialla sul bavero della giacca. Ma minacciò di farlo. Quando Thorvald Stauning, il primo ministro danese, «chiese: «Cosa faremo, Vostra Maestà, se anche i nostri ebrei dovessero indossare la stella gialla?» il re ripose: «Allora probabilmente la indosseremo tutti». Bastò per scoraggiare i nazisti, almeno per un po'. Con Hitler alle porte, poi con la Gestapo e le SS dentro casa, il parlamento danese votò una legge che «vietò di fatto la propaganda antisemita in Danimarca non soltanto fino all'invasione tedesca ma anche durante l'occupazione».
In Danimarca - un'isola di civiltà antitotalitaria negli oceani in tempesta del secolo breve - non c'era un problema ebraico. Gli ebrei danesi, sia quelli presenti in Danimarca da generazioni sia quelli emigrati di recente, cercando scampo dai progrom russi e polacchi, erano perfettamente integrati.
Nessuno li perseguitava prima dell'occupazione, e a nessuno fu permesso di braccarli dopo l'occupazione. Quando Hitler, alla fine, stabilì che anche i «giudei» danesi, con o senza la stella gialla, dovevano essere deportati nei campi di lavoro e di sterminio, i nazisti riuscirono a rastrellare soltanto trecento ebrei su circa settemila. Tutti gli altri fuggirono in Svezia o trovarono rifugio presso i danesi «ariani»: il vicino di casa col quale ci si scambiava a malapena un «buongiorno, buonasera», il datore di lavoro, il dipendente, l'ex compagno di scuola, l'amico dell'amico, il conoscente casuale, tutti si mobilitarono per nascondere, assistere e proteggere gli ebrei.
Non ci fu, a quanto risulta, una sola denuncia, se non da parte di qualche nazista isolato: l'intera popolazione si schierò con gli ebrei (che per lo più appartenevano alla classe operaia e che dunque non si potevano permettere delle costose fughe via mare, a differenza delle famiglie di medici, professionisti, imprenditori di cui Lidegaard, nel suo appassionato libro, esplora i diari).
Erano gli anni abominevoli in cui la destra francese (e quella italiana, ahinoi, come raccontano Mario Avagliano e Marco Palmieri in un saggio di cui abbiamo parlato di recente, Di pura razza italiana, Baldini e Castoldi 2013) si mostravano zelanti con gli assassini e s'univano con entusiasmo alla caccia all'ebreo.
Non fu il caso della Danimarca, dove Hitler non reclutò torturatori nè potè mai contare su un governo collaborazionista.
È vero che gli alti ufficiali tedeschi che guidavano le scarse truppe d'occupazione non cercavano guai. È vero che vista la mala parata, mentre la sconfitta tedesca si profilava sempre più nettamente sull'orizzonte della guerra, costoro cercavano benemerenze e lasciarono che gli ebrei si squagliassero, tranne i pochi che non avevano avuto notizia dei rastrellamenti. Almeno uno di questi alti ufficiali
faceva parte dei gruppi clandestini dell'opposizione militare a Hitler e non era un antisemita. Ma l'esempio danese resta memorabile. Fu un atto d'enorme dignità, oltre che di grande coraggio: la protezione che i danesi, nemici in massa del nazismo, assicurarono agli ebrei è uno dei capitoli più consolanti (e meno conosciuti) della guerra. Lidegaard racconta una di quelle storie che più del vincolo di bilancio potrebbe essere posta a fondamento dell'Europa.

(ItaliaOggi, 8 febbraio 2014)


Da Gerusalemme a New York

L'orchestra a fiati del Conservatorio Hassadna invitata alla Carnegie Hall

L'orchestra a fiati del Conservatorio di Gerusalemme è stata selezionata, insieme ad altre cinque orchestre, per partecipare al New York Wind Orchestra Festival: la Wind Orchestra del Jerusalem Conservatory Hassadna suonerà nello storico Isaac Stern Auditorium alla Carnegie Hall di New York dal 1o al 5 marzo. The Hassadna Wind Orchestra, con la direzione artistica di Sagit Mazoz, è stata fondata nel 2006 ed è attualmente composta da 45 musicisti tra i 13 e i 18 anni.

(giornaledellamusica.it, 7 febbraio 2014)


Un mix architettonico di vecchio e nuovo per la città che non dorme mai

Intervista a Orly Erel, direttrice del piano urbanistico di Tel Aviv

A cura di Daniel Coen

Tel Aviv
Passeggiando per Tel Aviv non si può far a meno di notare come è cambiata architettonicamente negli ultimi anni, come si trovi sempre qualche palazzo o infrastruttura nuova. Ma qual è il segreto? Per scoprirlo Shalom ha incontrato la direttrice del piano urbanistico di Tel Aviv, Orly Erel, laureata alla Hebrew University con studi in urbanistica regionale.

- In cosa consiste il ruolo di direttore del piano regolatore di Tel Aviv?
  In qualità di direttore del Piano Regolatore di Tel Aviv Yafo ho il piacere di lavorare nella metropoli più eccitante del paese circondata da persone di grande talento che mi permettono di guidare questo dipartimento con un occhio al futuro della città ed alle sfide che ci attenderanno.
li ruolo del direttore del Piano Regolatore di Tel Aviv consiste nel deflnire la politica di pianificazione della città e la gestione giornaliera al fine di controllare l'applicazione dello stesso.
Il che significa guidare la più grande municipalità di Israele (con uno staff di circa 85 dipendenti), supervisionandone la progettazione, fornendo consulenza e orientamento ai cittadini, ai costruttori, agli architetti ed agli altri uffici comunali.
li mio ruolo consiste anche nel partecipare ai comitati di programmazione, di rappresentare il reparto ingegneristlco della città all'interno delle varie commissioni e nelle comparizioni in tribunale, cosi come promuovere lo sviluppo futuro della città a livello statale e locale con un elevato standard di progettazione. Per quest'ultimo motivo è anche necessario fornire continui aggiornamenti professionali.

- Quale è la differenza tra l'architettura di Tel Aviv Yafo e tutte le altre città israeliane?
  In sostanza Tel Aviv Yafo funge da centro nazionale per il commercio e la cultura da cui il numero di icone architettoniche che sono state costruite negli ultimi anni così come quelle che risalgono ai primi anni della sua fondazione, oltre un secolo fa. La città vanta il maggior numero di edifici alti, e aTel Aviv, come anche in altre città, vi è un mix di costruzione di nuovi edifici in vecchi quartieri mescolando il vecchio con il nuovo. Il centro storico della città è stato dichiarato patrimonio dall'UNESCO rendendo perciò la pianificazione molto più interessante ma al tempo stesso impegnativa da tutti i punti di vista.

- Quali sono le maggiori caratteristiche del piano regolatore di Tel Aviv?
  Rafforzare ed applicare un incremento costante del numero di alloggi in città, in particolare lo sviluppo delle zone sud ed est della città, che necessitano di maggiore artenzìone. Inoltre, definire un piano trasporti cittadino che tenga conto di future modalità e itinerari di transito di massa. Circoscrivere delle zone con limiti di altezza per le nuove costruzioni e rafforzare Tel Aviv come la spina dorsale culturale e commerciale di Israele.

- Quale è il più grande e difficile progetto per ora realizzato?
  Il Museo di Tel Aviv Yafo è stata una complessa e riuscita impresa
di progettazione ed architettura. Rothschild 30, un edificio a torre ad uso misto che domina e ingloba un edificio storico al suo interno è stata un'opera di progettazione e di ingegneria molto complessa. Ulterìorì importanti progetti di ingegneria riguardante opere elettriche e fognature su larga scala sono attualmente in corso. In sostanza, tutti i progetti realizzati ed in corso di realizzazione sono difficili da realizzare.

- Quale è il progetto di maggior successo e che le ha dato più soddisfazione?
  
Tra i molti progetti in itinere e realizzati in questi ultimi anni, forse il lungomare Tel Aviv, che è la quintessenza della immagine della città. La passeggiata ha subito una profonda revisione ed è stata resa più accessibile mettendo in evidenza tutto il suo fascino. Come è cambiata l'architettura di Tel Aviv negli ultimi anni? Negli ultimi anni Tel Aviv Yafo ha visto un drastico cambiamento
nelle sue arterie principali, nelle infrastrutture, nonché nelle tipologie edilizie. Il profilo della città è elegantemente scandito da grattacieli che offrono soluzioni residenziali e per il business. Attraverso l'introduzione del Listed Buìlding PIan (approvato nel 2003) sono stati individuati circa 100 edifici che hanno visto diversi livelli di restauro recuperando l'originale dignità architettonica.
Grande lungimiranza è stata messa nella progettazione e costruzione di spazi pubblici aperti di buona qualità. Sono spazi per il tempo libero e parchi sparsi per tutta la città, utilizzabili dai residenti, lavoratori e visitatori. Fra tutti, vorrei ricordare piazza Givon, piazza Rabin, piazza Bialik e piazza Sefer.

- Quali sono i progetti per il futuro e che rapporto avete con le archistar internazionali?
  Dobbiamo dire che abbiamo speso grandi energie per il Piano Regolatore presentato recentemente per l'approvazione. Questi progetti così come la naturale evoluzione della città rappresentano una sfida che può essere accolta da tutti i professionisti del settore anche di altre nazionalità, e gli architetti non fanno eccezìone, La città ha visto in questi ultimi anni l'apporto di architetti di fama internazi.onale quali Ron Arad, Richard Meier, Daniel Libeskind e I.M. Pei per citarne solo alcuni.

- Come l'architettura di Tel Aviv si approccia al problema ambiente?
  I progettisti di Tel Aviv sono in prima linea per le sfide ambientali. Lavorando all'interno di un clima di cambiamento globale la municipalità si è fatta carico di sviluppare il primo edificio comunale "verde" che rispetti i requisiti edilizi richiesti dalla legislazione nazionale riguardante la bioedilizia. Il comitato di pianificazione della città ha stabilito norme avanzate di bioedilizia come in nessun altra città nel paese e forse all'estero. Le strade della città vedono sempre maggior numero di alberi piantati in conformità con la carta di Conservazione Ambientale, una dìscìplìna rigorosa per la Conservazione Costiera e rigidi requisiti per la riduzione dell'inquinamento atmosferico.

(Shalom, gennaio 2014)


Gerusalemme incontra il mercato turistico italiano

Parte da Milano il tour dal titolo la "Gerusalemme che non ti aspetti", con focus su city-break, ospitalità a cinque stelle ed eventi di rilievo durante tutto l'anno.

 
Ilanit Melchior
Gerusalemme incontra il mercato turistico italiano. Il 13 febbraio alle ore 19.30, la Jerusalem Development Authority festeggerà il suo secondo anniversario di rappresentanza in Italia con un evento dedicato a stampa e partner trade, tra cui tour operator e compagnie aeree, presso l'Hotel Milano Scala.
Tra le novità che saranno presentate, la più imminente è senza dubbio l'apertura del Waldorf Astoria Jerusalem, che accoglierà i suoi primi visitatori a partire da marzo 2014.
Saranno presenti alla serata Ilanit Melchior, padrona di casa che darà il benvenuto agli ospiti e aprirà ufficialmente la visita della Jda in Italia, l'ente del Turismo Israeliano e Arie Sommer, direttore dell'associazione alberghiera di Gerusalemme.
Il tour di presentazione della città di Gerusalemme, dal titolo la "Gerusalemme che non ti aspetti" con focus su city-break, ospitalità a cinque stelle ed eventi di rilievo durante tutto l'anno, continuerà dopo la Bit di Milano con soste nelle città di Modena (17 febbraio), Brescia (18 febbraio) e Genova (19 febbraio). In queste tre città, gli operatori del settore avranno l'opportunità di approfittare di momenti di presentazione dedicati interamente alla destinazione.

(Guida Viaggi, 8 febbraio 2014)


La Spagna dà il via libera alla cittadinanza per i discendenti degli ebrei espulsi

Circa tre milioni di persone, pronipoti dei sefarditi del 1492

MADRID, 7 feb - Il governo spagnolo ha dato oggi il via libera al disegno di legge per concedere la nazionalità spagnola ai discendenti degli ebrei sefarditi espulsi dalla Spagna nel 1492, che potranno avere doppia nazionalità. La riforma del codice civile prevista dalla normativa è stata annunciata oggi dalla vicepremier e portavoce dell'esecutivo Soraya Sanz de Santamaria. Finora la Spagna concedeva la nazionalità ai sefarditi su richiesta individuale, ma la futura legge consentirà di concedere la naturalizzazione a circa tre milioni di persone, residenti principalmente in Israele, Francia, Stati Uniti, Turchia, Messico, Argentina o Cile. Dopo aver recuperato Granada dai musulmani, nel 1492 i Re Cattolici pubblicarono un editto di conversione al cattolicesimo o di espulsione dalla Spagna di musulmani ed ebrei e gli esuli si insediarono in molti paesi del Mediterraneo, mantenendo i costumi e la lingua di origine. "Il progetto di legge approvato oggi ha un significato storico profondo - ha spiegato il ministro di Giustizia, Alberto Ruiz Gallardon - non solo perché deriva da un fatto storico del quale ovviamente non ci sentiamo orgogliosi, come l'editto di espulsione degli ebrei del 1492, ma perché riflette una realtà della società spagnola aperta e plurale", ha aggiunto. La nazionalità sarà riconosciuta a tutti coloro che dimostreranno, con un certificato della federazione delle comunità ebree in Spagna o dell'autorità rabbinica riconosciuta nel proprio paese, la propria condizione di sefarditi per cognome, lingua, parentela o vincoli speciali con la cultura sefardita. "Molti di loro, come avviene nel bazar di Istanbul, ancora conservano le chiavi delle case delle quali furono espulsi", ha ricordato Gallardon, secondo il quale la normativa "culmina un processo di re-incontro, cominciato nel XIX secolo".
Il riconoscimento della nazionalità era stato annunciato dal ministro di giustizia nel novembre 2012, che all'epoca citò alcuni studi che stimavano l'esistenza di 250.000 parlanti la lingua sefardita, ebraico-spagnola.

(ANSAmed, 7 febbraio 2014)


Un'altra sconfitta per i boicottatori di Israele

Non avrà la stessa eco della sconfitta del movimento BDS ad opera della bellissima Scarlett Johannson, ma rappresenta un nuovo trionfo della giustizia e della ragione nei confronti dell'odio superficialmente definibile "anti-israeliano".
I fatti risalgono a più di tre anni fa...

(Il Borghesino, 7 febbraio 2014)


Mauro Terranova va in Israele per le infusioni di staminali

Il 24enne affetto da atassia spino cerebellare si recherà dal prossimo giugno in una struttura attrezzata di Tel Aviv

di Antonio Di Raimondo

Dovranno spostarsi fino in Israele Mauro Terranova e la sua famiglia per continuare le infusioni di staminali. Il 24enne affetto da atassia spino cerebellare si recherà dal prossimo giugno in una struttura attrezzata di Tel Aviv dove si pratica una cura alternativa, e molto costosa, rispetto al metodo «Stamina» degli Spedali di Brescia. Ogni infusione costa difatti 32mila dollari, circa 28mila euro. «Considerato che in Italia non è stata fornita a Mauro la possibilità di curarsi per tenersi aggrappato alla vita - dice la famiglia Terranova - andremo a Tel Aviv, per affidarci ad una struttura specializzata». «Sarebbe preferibile l'ospedale in Italia - dice la mamma di Mauro, Anna Carta, che qualche settimana fa tentò il suicidio per sensibilizzare le istituzioni sulla sorte del figlio - ma questa è l‘unica strada da percorrere al momento, visto che non esistono alternative e il tempo stringe».
Con Mauro dovrebbe partire anche una quindicina di persone, tra bambini e adulti, dalla Sicilia e dalla Calabria. Gli interessati sperano di poter ottenere quanto prima dalle istituzioni sanitarie un rimborso anche parziale delle costose spese che si dovranno sostenere.

(Corriere di Ragusa, 7 febbraio 2014)


Nella Striscia di Gaza, dove non si vede la luce in fondo al tunnel

Quasi tutti i passaggi sotterranei per il contrabbando di merci e persone sono stati chiusi dall'Egitto di al-Sisi. L'economia dell'area è entrata in crisi e tra le file di Hamas cresce la corrente dei moderati in cerca di dialogo.

di Lorenzo Cremonesi

Tunnel di contrabbando a Rafah, tra l'Egitto e il sud della Striscia di Gaza
Tunnel di contrabbando a Rafah, tra l'Egitto e il sud della Striscia di Gaza
Tunnel di contrabbando a Rafah, tra l'Egitto e il sud della Striscia di Gaza
Tra i cumuli di terra smossa di Rafah, nella Striscia di Gaza, si ode solo il brusio discreto di un paio di generatori. Impera una calma irreale. Qui fino a pochi mesi fa dal sottosuolo si diffondeva il fracasso vibrante di un gigantesco cantiere a pieno regime. Tre camioncini semivuoti stanno fermi in attesa da ore nel grande parcheggio coperto per impedire che i droni israeliani possano individuare la qualità del carico. Poche sentinelle armate sbadigliano presso cumuli di immondizia, cartoni sventrati, cani randagi e depositi abbandonati. Il senso di noia, questa strana quiete, sono il riflesso evidente della grave crisi economica e dell'isolamento politico di Hamas, il movimento islamico palestinese legato ai Fratelli musulmani, che da quasi otto anni governa la Striscia di Gaza. Una crisi che crea divisioni all'interno del fronte islamico, caratterizzate dalla crescita di una corrente relativamente moderata, che vorrebbe aprire al dialogo con l'Autorità Palestinese e il vecchio Olp del presidente Abu Mazen. Una volta, decine di automezzi sostavano in questa landa desolata soltanto pochi minuti prima di essere riempiti di merce: cemento, benzina, ricambi per auto, batterie, cibi di ogni tipo, elettrodomestici, qualche volta armi ed esplosivo. Ma oggi i lavoratori se la prendono con calma Sono pochissimi sotto i tendoni semiabbandonati. Prima li vedevi giorno e notte, indaffarati a scavare, portare carichi, stanchi e impolverati. Sino a 10.000 uomini per turno. Non li scoraggiarono neppure i bombardamenti israeliani dell'operazione "Piombo Fuso" nel gennaio 2009. Il suolo mostra ancora le devastazioni degli ordigni. I crateri causati dal missili ad alta capacità penetrante, mirati a distruggere i tunnel trenta metri sottoterra, sono diventati gigantesche pozzanghere melmose dopo le piogge degli ultimi giorni. Allora furono sufficienti un paio di settimane per rimettere tutto in funzione. Ora non più.

L'EFFETTO DELLA CADUTA DI MORSI
La catastrofe per Hamas è arrivata dopo il colpo di stato militare in Egitto all'inizio del luglio 2013 e l'arresto del presidente dello Stato e leader dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi.Poco dopo, il capo della giunta militare (e ora candidato alla preldenza) generale Abdel Fatah al-Sisi ordinava alle unità scelte del suo esercito la distruzione metodica dei tunnel per Gaza. Si calcola fossero un migliaio. Fu il blocco della linfa vitale di Hamas. Pare ne siano rimasti funzionanti, a singhiozzo, una decina e pratlcamente tutti controllati dal gruppo islamico. «È finita. Siamo in crisi totale. Non lavoriamo più. Eravamo I ricchi della Striscia di Gaza. Ma se continua così diventeremo I più poveri, costrettl a elemosinare un lavoro qualsiasi», dice Hamdi Basblr, trentenne proprietario di uno del tunnel. Il suo dramma è quello di una larga parte della popolazione residente nella cittadina di Rafah, a ridosso del confine con il Slnai egiziano. «l tunnel impiegavano 30.000 persone, con stipendi molto più alti della media. Un bravo lavoratore può portare a casa giornalmente sino a 120 shequel, quasi 25 euro. Sono somme che invidiano in tutta Gaza e ancora di più in Egitto. Il mio reddito personale sfiorava i 3.000 euro mensili. Da agosto però non vedo più un soldo. Avevo 50 dipendenti, ne ho tenuti 6 per la guardia e la manutenzione. Presto dovrò disfarmi anche di loro», aggiunge. Girando tra l'accampamento di tendoni divelti è facile trovare gruppetti di giovani intenti a calarsi nel tunnel per I lavori di pulizia e ricambio delle travi marce. Le gallerie sono lunghe in media 650 metri. Corre voce che se si riesce ad allungarle oltre il chilometro è possibile superare l'accerchiamento egiziano. Lo scavo costa però sui 15.000 euro. «Ci sto provando anch'io. Ma sono scettico. La parte egiziana pullula di spie. Prima era facile pagare il loro silenzio. Nell'anno di governo di Morsi oltretutto trionfò la politica del tunnel aperti, senza limiti, non serviva neppure pagare le bustarelle agli agenti perché chiudessero un occhio. Però ora Sisi ha posizionato le sue unità più fedeli della Terza Armata, molto meno corruttibili della solita polizia locale», spiega Bashir.

L'INDEBOLIMENTO DELL'ALA DURA
La conseguenza è il risentimento popolare nei confronti di Hamas. «Non abbiamo reddito, però il loro governo ci fa pagare le tasse. L'Olp non le ha mai chieste», dicono i padroni dei tunnel. Le loro poslzionl cambiano con Il mutare degli interessi. Ai tempi di Morsi erano felici che Hamas favorisse la politica dei "tunnel aperti".
«Eravamo con l'Olp, ma votavamo Hamas», ammettono. Ora vorrebbero che l'Olp aiutasse a facilitare i rapporti con Sisi. È un'altra delle profonde contraddizioni che attraversano l'universo palestinese, in Cisgiordania come a Gaza: Hamas sta con Morsi, l'Olp guarda con più simpatia a Sisi. Non è strano che, specie nei campi profughi in Cisgiordania, Libano e Giordania, stiano crescendo "comitati popolari" spinti dal sogno di superare i due partiti che storicamente dominano la scena politica palestinese con la speranza di esprimere nuovi leader In grado di creare un rinnovato movimento unitario. Ma per Il momento è solo un sogno di poche avanguardie isolate, tra la maggioranza regnano delusione, rassegnazione e disorientamento. Un sentimento alimentato dalle recenti incertezze nelle piazze palestinesi di fronte al caos violento innescato dal degenerare delle "primavere arabe in tutta la regione. «La confusione regna. In Siria una volta stavamo con Assad, poi le nostre simpatie sono andate ai ribelli. Con la comparsa di Al Qaeda però non sappiamo più che pesci prendere. In Iraq non capiamo se siano peggio il presidente sciita Nouri al Maiki o le milizie sunnite qaedlste», spiegano i giornalisti Iocali. Ma anche tra i dirigenti di Hamas le divergenze crescono. La chiusura dei tunnel verso l'Egitto e il fatto di dipendere interamente da Israele per i rapporti con l'esterno incrementano gli attriti. Beni di prima necessità come cemento e ferro in pochi mesi hanno visto i prezz! crescere fino a 10 volte, la loro disponibilità per l'attività edilizia (che pure è tuttora fiorente grazie agli aiuti provenienti da Turchia, Qatar, Indonesia, Arabia Saudlta e Unione europea) resta alla mercé del governo Netanyahu. Da questa situazione traggono vantaggio i moderati legati al leader masslmo di Harnas, Khaled Mashal. Questi, dopo aver lasciato nel 2012 l'esllio di Damasco in aperta polemica con la violenza della repressione voluta da Bashar Assad contro la sua gente in rivolta, sl ètrasferito in Qatar e perora la causa del dialogo con l'Olp. Ma contro di lui si schierano i fautori dell'ala "militarista" facente capo a Mahmoud Zahar, tra i leader fondatori di Hamas e ministro degli Esteri ombra, Il quale non nasconde le simpatie per l'Iran e continua a condannare con durezza Abu Mazen. «Il gruppo dirigente di Ramallah resta schlavo degli errori della politica americana asservita a Israele», ci dice Zahar durante un incontro nella sua abitazione.

UNA 23ENNE AL VERTICE DI HAMAS
E tutto ciò mentre a Gaza la popolazione si è ritrovata a essere consapevole che le proprie condizioni di vita sono oggi migllori di quelle di tanti arabi sprofondati nella destabilizzazione dei loro Paesi. Gaza non è più l'unico inferno del Medio Oriente, ci sono ora luoghi molto peggiori. «Se non fossimo chiusi in questa grande prigione a cielo aperto, se non ci fossero il blocco israeilano ai nostri confini orientali e quello egiziano dal lato di Rafah, potremmo quasi dire di stare bene rispetto a tanti in Egitto e certamente in Siria», ammette Asma Al Ghoul, nota blogger locale trentenne che in passato si è scontrata con i radicali islamici della Strisda contestando le restrizioni imposte contro le donne e i giovani. Per questo occorre aprirsi al mondo. A Gaza più di ogni altra cosa il milione e mezzo di abitanti chiede la possibilltà di movimento, di confini aperti, di libero transito delle merci. Si spiega anche così la scelta del gruppo dirigente moderato di Hamas di avere come portavoce Isra Almodala, una 23enne divorziata che ha studiato quattro anni in Inghilterra, non esita a criticare gli errori dei suoi capi e perora la necessità di «cambiare corso al più presto». «Siamo di fronte a sfide radicali. Israele si è ritirata da Gaza nel 2005. Ma li suo controllo sui nostri conflnl e sulle nostre esistenze è più serrato di prima», cl dice lei nel suo ufficio. «lo credo che i palestlnesi debbano creare un fronte unico. II rischio è quello di precipitare nelle mani degli estremisti».

(Corriere della Sera, 7 febbraio 2014)


Tutto il mondo dentro. La scalata della cucina ebraica

Il successo dello stile kosher, di culto a Manhattan. Ma cambia la formula: tradizione non vuole dire trascuratezza. Così si cucina la dolce treccia «trasformista».

di Angela Frenda

Menachem Senderowicz e Henry Stimler
«Da Jezebel la novità (vera) è che si può mangiare kosher senza sentirsi tristi». Parola di Menachem Senderowicz, uno dei proprietari del nuovo ristorante kosher di culto a Manhattan, zona Soho. Lui e l'altro socio, Henry Stimler, entrambi un lavoro nella finanza ed entrambi osservanti, sono arrivati pochi anni fa a New York dopo aver vissuto a lungo in diverse città europee (da Parigi a Berlino). «E ovunque riuscivamo a trovare un luogo che conciliasse il piacere degli occhi con la necessità di mangiare kosher». Per questo, sbarcati a New York, hanno deciso di aprire Jezebel , celebrato dal Nyt come locale della nouvelle vague di cucina ebraica.
Un segnale di un fenomeno che sta allargandosi sempre più e che racconta un mondo che vuole affrancarsi dal binomio: tradizione uguale trascuratezza. Insomma, da Jezebel troverete sì un quadro di Gesù, ma con la faccia di Woody Allen.
Resta in dubbio se si tratta di ironia su Woody Allen o su Gesù. Ci sono state contestazioni? Si è provato a fare qualcosa di simile con la figura di Maometto?
O Barbra Streisand, ma reinterpretata in chiave Ragazza con l'orecchino di perla. E poi arredamento più da bistrot parigino che da ristorante yiddish. Perché sono soprattutto i giovani a volere una nuova cucina ebraica. Che in parte vede il suo simbolo in Yotam Ottolenghi, lo chef britannico di origine israeliana, osannato dagli inglesi come il massimo rappresentante di questa ondata. Ma che vede nascere un po' dappertutto iniziative per diffondere questo tipo di cucina. È per questo che a Londra il Mishkin's , fondato nel 1931 da Ezra Mishkin, ha visto nuova luce nel 2011 con una mission: cucina non kosher (nè stile Katz's Delicatessen, forse il ristorante di cucina ebraica più famoso del mondo), ma il Jewish comfort food. Fatto di pochi, ma fondamentali, ingredienti: prodotti di altissima qualità, ricette leggere rifinite con tocchi tradizionali. E, soprattutto, la giocosità. Quindi via libera a cocktail, musica e arredamento hipster. Della serie: qui siamo allegri. I piatti? Sarebbero piaciuti tanto a Nora Ephron. Polpettone, schnitzel di tacchino, pastrami con Swiss e Russian dressing...
   E poi, la challah, che si pronuncia hallah (con l'aspirazione). È il tipico pane dello shabbat, cioè il venerdì sera, che è un momento della settimana molto speciale per gli ebrei. All'inizio di shabbat, subito dopo il tramonto del sole, gli ebrei recitano una preghiera, il kiddush, in cui si rende grazie a Dio di aver creato il mondo e di essersi riposato nel settimo giorno; durante il kiddush si benedicono il vino e il pane, la challah appunto. Ne esistono tante versioni. E molte le racconta Benedetta Jasmine Guetta, 25 anni, milanese, nel suo blog «Labna». Oltre 4mila contatti al giorno, è già un piccolo caso. E, grazie anche alla sua età, rappresenta un simbolo in Italia di un rinnovato interesse per una cucina ebraica comfort che non vuole rimanere ancorata al passato, ma muoversi. Rinnovarsi.
   Racconta Benedetta: «Labna è nato nel 2009. L'ho aperto con il mio migliore amico, con il quale al tempo facevamo corsi di cucina. Sul sito facciamo un po' di tutto, ma siamo gli unici in Italia specializzati in cucina ebraica. Però in corrispondenza delle feste principali mettiamo ricette tradizionali». Ma esiste una nuova cucina ebraica? «Quella con più novità è quella americana, che a sua volta è influenzata da quella israeliana. Un mega mix di tutte le culture. E quindi alla fine è molto tradizionale. Assorbe le ispirazioni da molti paesi. In realtà quella che faccio io è essenzialmente cucina tradizionale. Ma certo, con leggerezza». Ad esempio lo schmalz , il grasso di oca, ora si usa meno...
   Il perché però del grande interesse per la nuova cucina ebraica è forse da ricondurre anche alla fama della cucina kosher, considerata da sempre molto salutista e igienica. «La gente — spiega sempre Benedetta — è convinta ad esempio di mangiare carne meravigliosa ma in realtà è solo trattata in modo diverso. Sicuramente però piace la cura per gli ingredienti. E poi il fatto che raccontano una lunga storia. La nostra».

(Corriere della Sera, 7 febbraio 2014)


Israele: la pace dei missili

Altri due missili sono stati lanciati ieri sera da Gaza verso Israele. Dall'inizio della settimana sono ormai 14 i missili piovuti sullo Stato ebraico, il tutto mentre da dietro una comoda scrivania John Kerry vorrebbe imporre il suo piano di pace a Israele senza che tale piano tenga nella minima considerazione né la sicurezza dello stesso Israele né delle minacce che incombono sull'unica democrazia del Medio Oriente.
Ed è proprio il tema delle minacce quello che il Segretario di Stato americano sembra voler volontariamente e piuttosto allegramente sorvolare. E quando le minacce si chiamano Hamas e Jihad Islamica non c'è tanto da stare allegri....

(Right Reporters, 7 febbraio 2014)


Unità 8200, l'Nsa israeliana che sforna milionari hi-tech

Gli ex soldati cibernetici conquistano la Silicon Valley

di Maurizio Molinari

 
Una società israeliana anti-attacchi di pirati informatici
È la più numerosa unità dell'esercito israeliano ma il nome del comandante è segreto, ha la base in un'installazione del Negev di cui esistono poche immagini, combatte la guerra cibernetica e sforna tycoon dell'hi-tech: stiamo parlando della task force 8200, l'equivalente della National Security Agency (Nsa) americana, da cui proviene un numero crescente di Ceo degli start up protagonisti del boom digitale dello Stato ebraico.
   Creata in maniera rudimentale nel 1952, grazie ad alcune attrezzature che avanzavano all'esercito americano, l'«unità per la raccolta dati» dell'intelligence israeliana resta un segreto fino al 2010 quando Amos Yadlin, capo dei servizi segreti militari, ne svela l'esistenza in anticipo di qualche mese sulle ammissioni iraniane sui virus Stuxnet e Stars che aggrediscono gli impianti nucleari di Teheran causando gravi danni e ritardi che saranno attribuiti dal «New York Time» alla cooperazione fra Nsa e unità 8200. Da quel momento le informazioni filtrano con il contagocce: la base di 8200 si trova nel deserto del Negev, i suoi compiti sono protezione dagli attacchi cibernetici, blitz digitali contro i nemici e raccolta di megadati.
   Da qui la curiosità per la moltiplicazione dei veterani che si affermano nel settore dell'hi-tech, le cui esportazioni annuali ammontano a 25 miliardi di dollari ovvero un quarto del totale. Si tratta di un universo di oltre cinquemila aziende e circa 230 mila dipendenti fra i quali spiccano nomi come quello di Yair Cohen, l'ex generale che è stato comandante dell'unità 8200 e ora guida l'intelligence cibernetica di Elbit System, uno dei giganti della Difesa.
   Fra i suoi ex commilitoni ci sono Yehuda e Zonhar Zisapel, che hanno creato e venduto dozzine di start up per centinaia di milioni di dollari, così come Aharon Zeevi Farkash, anch'egli ex capo della 8200, che lasciata la divisa ha fondato Fts21, lo start up mirato a seguire i gusti degli adolescenti. Yossi Vardi, che creò nel 1969 la prima azienda di software in Israele, afferma che «l'unità 8200 ha creato più milionari nell'hi-tech di qualsiasi università israeliana». Aziende digitali come Nice, Converse e Check Point sono state fondate da veterani della 8200 grazie all'esperienza maturata nella gestione della più avveniristica tecnologia. I giganti globali cercano di assicurarsi prodotti e cervelli frutto dell'unità 8200, come ha fatto Ibm acquistando per oltre 800 milioni di dollari Trusteer, un provider di cybersicurezza cloud per istituzioni finanziarie.
   Il segreto di Trusteer è un software capace di identificare sofisticate minacce alla sicurezza consentendo alla clientela di operare in maniera analoga alla protezione delle infrastrutture strategiche - trasporti, energia e banche - dal cyberterrorismo. Micky Boodaei, ceo di Trusteer, riconosce all'unità 8200 di essere divenuta un «incubatore di start up di qualità» e per Farkas ciò si spiega con il fatto che «il modello organizzativo dell'intelligence cibernetica incoraggia a pensare con la propria testa, innovando in continuazione».
   Per Yuval Diskin, ex capo della sicurezza interna di Israele, «la necessità di sviluppare la cybersicurezza nasce dal fatto che non ci possiamo permettere di aspettare il domani in quanto le minacce più sofisticate battono alle nostre porte». E le potenzialità cibernetiche «rientrano nella dottrina militare israeliana - conclude - basata su attacchi preventivi e tentare di combattere in territorio nemico».

(La Stampa, 7 febbraio 2014)


Inaugurata a Firenze la mostra "Dall'ebreo errante alle leggi razziali"

È stata inaugurata martedì 28 gennaio alla biblioteca Marucelliana, in via Cavour 43 a Firenze, la mostra "Dall'ebreo errante alle leggi razziali, immagini e documenti in Marucelliana": rimarrà aperta al pubblico tutto il mese di febbraio dal lunedì al venerdì, dalle 8,30 alle 18. "Per non dimenticare come è potuto accadere che il compagno di banco, il collega, l'amico di sempre siano diventati da un giorno all'altro un pericolo incombente per la nazione - ricorda Monica Maria Angeli, direttrice della biblioteca Marucelliana -": la mostra è stata promossa e organizzata, in occasione della Giornata di Studi "Matite Razziste", da Fondazione Ambron Castiglioni con la collaborazione di Archivio di Stato e Biblioteca Marucelliana. Ai visitatori sarà così data occasione per conoscere il settecentesco palazzo di proprietà dell'abate Francesco Marucelli poi, donato per mano del nipote, allo stato italiano affinché fosse usato come biblioteca, luogo di studio per i meno abbienti della città di Firenze fino a quell'ora sguarnita. Ruolo che, a trecento anni dalla sua nascita, la biblioteca Marucelliana assolve appieno grazie anche alle centinaia di studenti e ricercatori che ogni giorno affollano il bellissimo salone monumentale - con gli arredi tutti ancora in originale - e la sala manoscritti e rari.

(gonews.it, 6 febbraio 2014)


A Milano la settima edizione della rassegna del Nuovo Cinema Israeliano

Presso la Sala Alda Merini - Spazio Oberdan della Provincia di Milano, dal 22 al 27 febbraio 2014, Fondazione CDEC Onlus (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) e Fondazione Cineteca Italiana in collaborazione con il Centro culturale Pitigliani di Roma, organizzano la settima edizione della rassegna Nuovo Cinema Israeliano, a cura di Nanette Hayon e Paola Mortara della Fondazione CDEC. La direzione artistica è affidata anche quest'anno a Dan Muggia, docente di cinematografia all'Università di Sapir in Israele, che introdurrà le proiezioni, e Ariela Piattelli, giornalista freelance, specializzata in arte e cultura israeliana. Si tratta di un appuntamento ormai consueto per il pubblico milanese, che si caratterizza per il suo taglio culturale oltre che cinematografico.
Durante i cinque giorni di programmazione sono previsti, a corollario delle proiezioni del Pitigliani Kolno'a Festival, incontri e presentazioni di libri, occasioni per un dibattito e un confronto sugli spunti tematici offerti dai film.
La rassegna Nuovo Cinema Israeliano è infatti un evento rivolto a un pubblico amante della filmografia di qualità, ma anche interessato a conoscere meglio la realtà di Israele, paese multiforme connotato da contraddizioni, sempre capace di mettersi in discussione. Gli incontri iniziano con un dialogo a due voci tra Dan Muggia e il professor Giorgio Mangini che metterà in luce alcune figure di spicco della famiglia Muggia. Saranno poi ospiti il giornalista Gabriele Eschenazi e il regista Matteo Bellinelli, autore di "Birobidzhan: Terra Promessa?", che racconterà il suo straordinario viaggio all'altro capo del mondo alla scoperta di una storia molto particolare. E ancora, Bruno Contini, Alessandra Minerbi e Michele Sarfatti presenteranno il libro: "Nino Contini (1906-1944). Quel ragazzo in gamba di nostro padre. Diari dal confino e da Napoli liberata", a cura di Bruno e Leo Contini. A concludere la rassegna il regista Ruggero Gabbai e Sara Ferrari, docente di letteratura e cinematografia israeliana alla Università Statale di Milano, illustreranno la specificità della cinematografia israeliana di oggi.

(cinemaitaliano.info, 6 febbraio 2014)


Haredim tra sussidi e leva militare

Sospendere i fondi destinati agli studenti delle yeshivot che non hanno risposto all'obbligo di leva. Martedì scorso l'Alta Corte di Giustizia israeliana ha intimato alle autorità statali di fermare il versamento dei sussidi destinati a circa 3mila ragazzi ultraortodossi (classe '94, '95 e in parte '96) perché manca una copertura legale che giustifichi questi finanziamenti. Cancellata la legge Tal, che fino all'estate 2012 garantiva agli studenti delle yeshivot (scuole religiose) di evitare il servizio militare per motivi di studio, il parlamento israeliano in questi due anni avrebbe dovuto trovare una soluzione alla questione della leva obbligatoria e alle esenzioni concesse al mondo ultraortodosso. Esenzioni considerate dalla maggior parte della società israeliana come dei privilegi intollerabili e per questo l'opinione pubblica ha salutato con un certo favore la decisione dell'Alta Corte che ha imposto alla Knesset di approvare entro marzo una legge che regolamenti la questione in modo definitivo.
Fino ad ora, in questa situazione di incertezza, il ministro della Difesa Moshe Yaalon ha deciso di rinviare l'arruolamento di migliaia di studenti delle yeshivot in età di leva. Ora però con la decisione della Corte, presa con il favore di otto giudici su nove, le acque dovranno necessariamente muoversi. E si fa sentire anche Yair Lapid, ministro delle Finanze che aveva fatto della coscrizione militare degli ultraortodossi uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale: Lapid ha, infatti, minacciato di lasciare la coalizione di governo se non verrà approvata finalmente una legge. Non solo, Yesh Atid, il partito di Lapid, considera necessaria la previsione nella norma di una sanzione penale per gli eventuali disertori. Più garantista Habayt Hayehudi che dalle pagine del Jerusalem Post sottolinea la sua posizione. "Questo tipo di sanzioni non porteranno nemmeno un soldato haredi in più nell'Idf (Israeli defence force) - ha affermato una fonte al vicina al partito guidato da Naftali Bennet - da solo al mondo haredi un motivo per combattere contro il servizio militare. L'unico modo per incentivare gli ultraortodossi a servire l'esercito è legata alla povertà. Nessun ultimatum è utile".

(moked, 6 febbraio 2014)


Collegi rabbinici ortodossi in piazza contro la leva

di Aldo Baquis

Migliaia di studenti di collegi rabbinici ortodossi si sono duramente scontrati oggi in cinque città israeliane con reparti della polizia, mentre il Parlamento si accinge ad approvare una legge relativa alla loro graduale coscrizione, dopo decenni di esoneri in massa dall'esercito. La scintilla della protesta è stata l'arresto, avvenuto oggi, di uno studente di un collegio rabbinico che per ragioni ideologiche aveva ignorato la cartolina di richiamo nel centro reclute.
Il leader della frangia massimalista degli ebrei ortodossi, il rabbino Shalom Auerbach, ha subito interrotto le lezioni e i suoi discepoli hanno invaso importanti incroci stradali a Gerusalemme, Ashdod, Benè Braq e Beit Shemesh e a Moddin Illit, in Cisgiordania. All'ingresso di Gerusalemme, sotto al celebre ponte di Calatrava, gruppi di facinorosi si sono duramente scontrati con la polizia, che per disperderli ha fatto ricorso a cannoni ad acqua. Ma sotto i getti di acqua i seminaristi, ormai grondanti, hanno improvvisato una surreale danza hassidica di massa, invitando gli stessi agenti a unirsi ai caroselli. Molto più tesa la manifestazione di Ashdod, dove una volante della polizia è stata data alle fiamme dai dimostranti, decine dei quali sono stati fermati.
Queste manifestazioni seguono la decisione della Corte suprema di sospendere per il momento i finanziamenti ai collegi rabbinici i cui allievi si rifiutano per principio di servire nell'esercito israeliano. In realtà viene offerto loro un ingresso molto graduale nelle forze armate, che terrebbe conto delle loro condizioni particolari. A vent'anni spesso gli ortodossi sono già sposati e cominciano a mettere al mondo figli; di conseguenza riceverebbero agevolazioni e sussidi. Ma in uno dei comizi di protesta sono state usate parole molto forti. L'oratore, il rabbino David Zicherman, ha accusato il governo israeliano di voler perpetrare un "Olocausto spirituale" ai danni dei seminaristi che, a suo parere, rischiano di perdere la loro identità religiosa durante la naja. "Piuttosto che arruolarci - ha avvertito - preferiamo entrare in carcere a migliaia". L'atteggiamento militante del rabbino Auerbach non è tuttavia condiviso da tutti gli ortodossi. Un altro autorevole rabbino, Steineman, sembra aver compreso che sia preferibile per il mondo ortodosso cercare un compromesso con le forze laiche nel governo di Benyamin Netanyahu, secondo cui è giunto il momento che la comunità ortodossa (circa il 10% della popolazione di Israele) dia il proprio contributo al Paese: cominciando ad arruolarsi nell'esercito ed entrando attivamente nel mondo del lavoro.

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(ANSAmed, 6 febbraio 2014)


Shimon Peres maestro da Guinness dei primati

Il presidente israeliano ha tenuto una lezione a 6.500 allievi collegati alla sede della Cisco. E' record.

Il presidente israeliano Shimon Peres, 91 anni, ha tenuto una lezione di educazione civica a 6.500 allievi ebrei e arabi collegati agli uffici centrali della Cisco in Israele, a Natanya, mediante computer sparsi in 215 classi scolastiche in tutto il Paese. Si è trattato della lezione di educazione civica più 'affollata' mai tenuta ed è stata pertanto iscritta nel Libro dei record Guinness.
Ai giovanissimi studenti Peres ha detto di sentirsi molto emozionato nella veste di maestro. ''Per tutta la vita sono stato piuttosto un allievo, e adesso provo invidia verso di voi che siete appunto allievi'', ha aggiunto. Infine ha voluto dare loro un consiglio pratico: ''Il sapere è più importante che fare soldi. Perché i soldi vanno e vengono mentre le conoscenze restano''. Negli uffici della Cisco si trovava il vicepresidente della Guinness Marco Frigatti che ha controllato la entità reale dell'audience e, al termine della lezione di un'ora, ha confermato che Peres aveva in effetti stabilito un record.

(ANSA, 6 febbraio 2014)


La Fondazione Spadolini Nuova Antologia
ha il piacere di invitarLa alla presentazione del volume di
Valentino Baldacci

Giovanni Spadolini: La questione ebraica e lo Stato d'Israele. Una lunga coerenza

Biblioteca della Nuova Antologia - Edizioni Polistampa, Firenze

ne parleranno con l'autore
Sen. Luigi Compagna, Dott. Stefano Folli, Avv. Renzo Gattegna, On. Antonio Patuelli

coordina l'incontro
Prof. Cosimo Ceccuti

porterà il suo saluto la Sen. Rosa Maria Di Giorgi, Ufficio di Presidenza del Senato

porterà il saluto di S.E. Naor Gilon, Ambasciatore dello Stato d'Israele in Italia,
il Consigliere Amit Zarouk

Martedì 25 febbraio 2014, ore 17,00
Biblioteca del Senato "Giovanni Spadolini", Sala degli Atti parlamentari
Piazza della Minerva, 38 - Roma

R.S.V.P. a Fondazione Spadolini Nuova Antologia 055-687521; nuovaantologia@cosimoceccuti.191.it;
(Per gli uomini è d'obbligo indossare giacca e cravatta)


Sussidiari e fucili: i bambini di Gaza a scuola di guerra

di Fabio Scuto

Fotogalleria
GAZA - Aspira nervosamente dalla sua sigaretta il comandante Abu Yusuf mentre, seduto su una sgangherata sedia di un chiosco sulla spiaggia di Khan Younis, guarda con un occhio le onde azzurre del Mediterraneo e con l'altro il viavai sulla strada costiera che percorre tutta la Striscia. L'atteggiamento teso e guardingo di chi sa di essere nel mirino perché i Droni degli israeliani raramente mancano un bersaglio di questo livello. Ma sorride quando parla della settimana di addestramento militare per i ragazzi delle scuole, dove i miliziani delle Brigate Ezzedin al Qassam — il braccio armato di Hamas — hanno vestito i panni degli istruttori. Hanno insegnato a 13.000 liceali della Striscia come si spara, con le pistole e con i kalashnikov, come si prepara una "Ied", una trappola esplosiva sulla strada; hanno dato lezioni sui metodi di combattimento, di autodifesa e qualche nozione di medicina d'emergenza. «Ragazzi in gamba, volenterosi, decisi», dice senza emozioni, «ne faremo bravi combattenti, pronti al martirio se necessario, per difendere Gaza dagli attacchi futuri».
   Hamas non perde il suo tempo e, insieme all'approfondimento della conoscenza dell'Islam e della Storia sui nuovi libri di testo introdotti lo scorso ottobre — che non riconoscono l'esistenza di Israele e che hanno cancellato gli accordi di pace di Oslo — sta introducendo nel programma anche la preparazione militare. È la generazione del missile, del contrabbando dai tunnel, educata nell'odio, a cui adesso vengono imposti i valori del jihad, del martirio che deve essere "plasmata" e asservita allo scopo. Giovani reclute che nell'infanzia hanno già vissuto tre guerre (2007, 2009, 2012) e da cui gli addestratori di Hamas sperano adesso di tirar fuori dei guerriglieri desiderosi di offrire se stessi nella lotta contro Israele.
   La manipolazione dei giovani comincia sui nuovi libri redatti da una speciale Commissione, dove i ragazzini delle elementari imparano che la Palestina va dal Giordano al Mediterraneo. Gli adolescenti di Gaza imparano che il sionismo è un movimento razzista i cui obiettivi sono la guida degli Arabi, dal Nilo all'Eufrate. Un elenco delle città palestinesi include quelle israeliane di Haifa, Akko e Beersheva. Per la storia più recente c'è il racconto "onirico" dell'Operazione Colonne di nuvole del novembre 2012 dove i missili spaegizianorati da Hamas «hanno costretto 3 milioni di israeliani nei rifugi per otto giorni, e quelli sparati sulla Knesset (il Parlamento israeliano) hanno spinto Israele a mendicare un cessate il fuoco». Hamas ha fabbricato una sua "verità" e ora l'impone ai ragazzi nelle scuole. Anche sul fronte interno la storia palestinese è riscritta: lo sceicco Yassin (il fondatore di Hamas ucciso da un missile israeliano) e il padre della causa palestinese, Yasser Arafat, nel libro hanno lo stesso spazio. Scelte bastevoli per definirle non solo propaganda,ma anche di bassa lega.
   Hamas tira dritto verso il suo jihad e finge di non vedere che la Striscia è allo stremo, sull'orlo di una gravissima crisi umanitaria. Oltre 1 milione di abitanti senza l'aiuto alimentare dell'Unrwa (l'agenzia Onu per i profughi) non riuscirebbe a mangiare due volte al giorno, le farmacie degli ospedali sono vuote e l'elettricità c'è solo 8 ore al giorno, la disoccupazione è appena sotto il 50% e l'economia basata sui tunnel del contrabbando è crollata per l'intervento dell'Esercito che ha sigillato il confine dopo gli attentati nel Sinai. Da quei tunnel Hamas ricavava 243 milioni di dollari al mese in tasse sui beni contrabbandati (dal frigo alle automobili), e alimentava la sua Santabarbara con importanti armamenti provenienti dall'arsenale libico.
   Corano e fucile, questo il credo dei padroni della Striscia. Hamas ha già vietato l'alcol, alle donne di fumare in pubblico il narghilè, di andare in moto anche se con il marito (è sconveniente per una donna stare a cavalcioni di qualcosa), i tagli a caschetto dal parrucchiere, la passeggiata in strada se non accompagnata da un parente maschio; l'hijab è obbligatorio negli uffici pubblici, scuole e università, abolite le classi miste nelle scuole sopra i 9 anni. Per i ragazzi niente tagli di capelli strani, niente gel o pantaloni a vita bassa, «perché abbassano il tasso di mascolinità». La "special branch" della Polizia, "Comitato per la promozione della Virtù e la repressione del Vizio", controlla con le pattuglie in borghese le Università per verificare che non ci sia fraternizzazione fra ragazzi e ragazze, che adesso hanno ingressi separati in tutti i campus. Hamas monitora anche il traffico Internet. Considerando che il 48% dei due milioni di palestinesiche abita nella Striscia ha meno di 18 anni, è una mole di lavoro impressionante.
   Dopo l'islamizzazione forzata e i libri di testo "falsi", per chiudere il cerchio sulladevastazione delle menti delle generazioni future è arrivato l'addestramento militare. La Striscia è la patria di 465.000 studenti, 250 scuole primarie sono gestite dall'Unrwa e altre 400 sono controllate dal governo di Hamas dove è stata introdotta la nuova "materia" di studio. Per i più giovani prove di ardimento, salti nel fuoco, corse a ostacoli e armi di legno. Per i più adulti pistole e Ak-47 veri, esplosivi e walkietalkie. «L'obiettivo è di formare la prossima generazione di combattenti», spiega il ministro dell'Educazione di Hamas, Osama al-Mazini. Il ministro degli Interni di Hamas, Fathi Hamad sgombra il campo alla sua maniera: «L'obiettivo del programma è di prepararsi alla prossima fase della liberazione di tutte le terre palestinesi occupate e liberare Gaza dall'assedio. Il posto dei giovani è sul fronte di guerra». La scuola "Amir Al Mansi" — intitolata dal premier Ismail Haniyeh a questo "martire" di Hamas — nel quartiere Yarmuk di Gaza City è uno dei 40 istituti dove è iniziato l'addestramento militare, i ragazzi fermi sul marciapiede all'uscita non sembrano d'accordo sui loro destini futuri. Ma non possono dirlo a voce alta: hanno paura.

(la Repubblica, 6 febbraio 2014)


Iran: un prigioniero fatto sfilare nella città di Rasht

 
Le forze di sicurezza di Stato del regime iraniano (polizia) hanno fatto sfilare un uomo nella città settentrionale di Rasht, il giorno dopo il suo arresto. L'uomo, identificato con le sue iniziali A.B. era stato accusato di "minaccia all'ordine pubblico".
Il capo della polizia della città, Mehrdad Mehregan, ha detto che l'uomo era stato arrestato il giorno prima ed era stato fatto sfilare la domenica in una delle strade principali della città, in base ad un ordine dei funzionari della magistratura.
Tali pene degradanti vengono sistematicamente utilizzate dalla polizia in Iran per "crimini" lievi, allo scopo di imbarazzare ed umiliare i giovani nel loro quartiere.
Solitamente le vittime vengono fatte sfilare con un cartello appeso al collo.
Lo scorso Aprile, tre ragazzi erano stati fatti sfilare in abiti femminili nella città iraniana di Mehran dopo essere stati accusati di furto e spaccio di droga.
Un gruppo di donne aveva protestato per "l'offensiva" decisione presa dal giudice, dicendo che questa condanna era degradante per le donne e in particolare per le donne curde, dato che un prigioniero era stato costretto ad indossare l'abito tradizionale curdo per sfilare in una città curda.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, 6 febbraio 2014)


Siria - Ancora vuote le navi dei veleni

Neanche il 5% delle armi chimiche è uscito dal Paese Damasco: «Troppo pericoloso, ci dovete scortare».

di Fabio Morabito

IL DISARMO
Neanche il cinque per cento del formidabile arsenale chimico della Siria ha lasciato il paese. La diplomazia occidentale si interroga ora con preoccupazione se l'accordo, che ha evitato i bombardamenti statunitensi, stia funzionando. Il carico che avrebbe dovuto dirigersi via mare a Gioia Tauro, in Calabria «non è ancora partito», e anzi le navi - una danese e una norvegese - che devono trasportarle, «non sono state ancora caricate» ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino, ieri in visita in Libano. Il ministro ha fatto tappa a Beirut e nel sud del Paese (presidiato dal contingente Unifil, dove l'Italia è impegnata in forze) per discutere - anche - di Siria e del dramma dei rifugiati in fuga dalla guerra civile. Emma Bonino si è associata agli Stati Uniti, che hanno definito «inaccettabile» il ritardo del regime nel trasportare gli agenti chimici via terra da Homs al porto di Latakia, dal quale il carico deve partire. Damasco sostiene che il trasporto non è sicuro e chiede aiuti per la sicurezza. Gli statunitensi hanno già replicato stizziti, parlando di «lista dei desideri non necessaria». Damasco ha chiesto mezzi blindati, e pare quindi ambire a trasportare i gas con convogli internazionali il che potrebbe apparire come una legittimazione. «Alcuni sostengono che il regime frena, altri che la strada non è sicura. Io credo siano entrambe le cose» commenta Emma Bonino. Solo la Russia minimizza i ritardi, mentre il segretario di Stato americano, Il ministro Bonino, dal Libano, denuncia: «Non possono cominciare il viaggio perché non sono state caricate» John Kerry, ha già minacciato «conseguenze». Fatto è che a tutt'oggi sarebbe dovuto essere consegnato oltre il 90% dell'arsenale (1.200 tonnellate su un totale di 1.300), ma così, appunto, non è.

L'ACCORDO
L'accordo prevedeva che 500 tonnellate di "categoria due" (quelle meno pericolose) dovevano raggiungere il porto di Latakia entro ieri. Mentre 700 tonnellate di "categoria uno" (le più micidiali) avrebbero già dovuto lasciare il paese. Tutto procede così lentamente che anche Danimarca e Norvegia sono irritate per i costi che sta avendo l'operazione e che vede impegnate le loro navi. Mentre dalla Calabria Renato Belloflore, sindaco di Gioia Tauro (il porto dove dovrà avvenire il trasbordo) si è già sfogato senza chiaroscuri: «Scelta scellerata», «se succede qualcosa la gente mi viene a prendere con il forcone». Ma i veleni (che peraltro sono sostanze primarie, che diventano pericolose una volta miscelate) raggiunto il porto, nel piano concordato non toccheranno terra. E entro 48 ore verranno trasferiti sulla Cape Ray, nave-laboratorio statunitense che è attrezzata per neutralizzarli sciogliendoli in acqua e idrossido di sodio.

IL FALLIMENTO DI GINEVRA
L'accordo sul disarmo dell'arsenale chimico fermò un'escalation di tensione che stava diventando scomoda per tutti, anche per lo stesso presidente americano Ba-rack Obama che aveva preannunciato un attacco missilistico per punire il regime dopo un attacco chimico l'agosto scorso nella periferia della capitale, del quale il dittatore Assad si è sempre dichiarato innocente. L'attacco è stato evitato, ma la guerra civile, feroce, prosegue incessante. Dai fallimentari negoziati di Ginevra perla pace altre milleduecento persone sono state uccise.

(Il Messaggero, 6 febbraio 2014)


I fiori del male

Salutista, paladino degli animali, guru del biologico, autore di fiabe Ecco Himmler, l'assassino più politicamente corretto della storia.

di Giulio Meotti

La famiglia di Himmler
Lettera di Himmler alla moglie Margaret
"Sei un ebreo?", chiede Heinrich Himmler a un prigioniero durante una visita nel fronte orientale del 1941. "Sì". "Entrambi i genitori sono ebrei?". "Sì", continua il ragazzo. "Hai antenati che non fossero ebrei?". "No". "Allora non posso aiutarti". Il giovane viene fucilato sotto gli occhi del gerarca nazista. Questo era Heinrich Himmler.
   Di Hitler si dice che fosse "magnetico". Di Göring che fosse un valoroso pilota. Di Goebbels che fosse un demagogo straordinario. Di Heydrich che fosse un provetto schermidore, un eccellente pilota e un ottimo musicista. Nessuno è mai riuscito a trovare niente di speciale in Himmler, non un solo momento di carisma e umanità in tutta la sua esistenza. Fra i grandi capi nazisti è il più efferato e il più anonimo. L'uomo che vanta un curriculum di delitti senza precedenti non mostra segni caratteristici. Basso, flaccido, calvo, grassoccio, occhi acquosi, mento sfuggente, stretta di mano molle, Himmler era uno come tanti, monotono e pedante. Solo che il suo ufficio era il comando delle SS e della polizia nazista, il suo compito realizzare il più spaventoso massacro della storia.
   I suoi lineamenti sono talmente banali che nel maggio del 1945 non viene identificato dai sovietici che lo fanno prigioniero e dagli inglesi che lo prendono in custodia. Non si è nemmeno camuffato: a Himmler è bastato togliersi i pince-nez. Senza quelli, non è più lui. Come in una gag, Himmler era i suoi occhiali. Dietro non c'è nulla. Fino a oggi.
   "Vado ad Auschwitz. Baci, il tuo Heini", scrive Himmler alla moglie Margaret. E ancora: "Nei prossimi giorni sarò a Lublino, Zamosch, Auschwitz, Lemberg e poi nella nuova sede. Sono curioso di vedere se e come funzionerà il telefono. Saluti e baci! Il tuo Pappi". Pochi giorni dopo parte per un sopralluogo di due giorni ad Auschwitz per vedere con i suoi occhi che cosa accade a un trasporto di ebrei sottoposti all'azione del pesticida Zyklon B. I cadaveri gonfi che si colorano di blu, i forni crematori. Himmler dà il via libera alla distruzione su vasta scala del popolo ebraico.
   Queste sono soltanto due delle straordinarie lettere ritrovate in Israele e pubblicate in questi giorni dal quotidiano tedesco Die Welt. Documenti, corrispondenza e fotografie dell'architetto dell'Olocausto. Leggendo queste lettere, vedendo queste immagini, i giornali hanno sottolineato la "normalità" del boia del Terzo Reich, il capo delle SS, del programma eutanasia e dell'annientamento del popolo ebraico.
   Le lettere ci rivelano un Himmler attento alle spese personali, che vive senza lussi, a differenza di quasi tutti gli altri gerarchi, specie Göring. Dalle lettere ne esce un Himmler "sobrio esecutore di una visione del mondo", come dice lo storico Michael Wildt. Ai suoi occhi l'omicidio di massa era un passo necessario per compiere la missione del Terzo Reich. "Sarò in un centro di esecuzioni per testare nuovi e interessanti metodi di fucilazione", scrive il gerarca alla moglie. Come commenta lo Spiegel, "Himmler non aveva nulla di banale, era intelligente, possedeva una energia radiante, e una fantasia capace di attuare l'ideologia del nazionalsocialismo in azione". Le lettere confermano che Himmler non era un mostro, non aveva nulla di demoniaco, né di sadico, non traeva piacere nella sofferenza altrui (si sentì spesso male di fronte alle carneficine). Aveva una missione, invece, e una ideologia ben precisa. Pagana, salutista, eugenetica, ecologista, darwiniana, ultra moderna e iper illuministica.
   Queste ultime scoperte ci parlano di un uomo che concepiva se stesso, nelle parole di Joachim Fest, "non come un assassino, ma come un patrono della scienza". E fu proprio quella moglie, l'infermiera Margaret, appassionata di omeopatia e mesmerismo, a introdurlo alla scienza del biologico. Una fotografia li ritrae a raccogliere erbe mediche sul lago di Tegernsee, dove la moglie e la figlia Gudrun lo aspettavano. Era il giugno 1941. Questo materiale incredibile si trova a Tel Aviv, in un caveau di proprietà della regista Vanessa Lapa, che ha realizzato un documentario su Himmler la cui proiezione in anteprima è in programma alla prossima Berlinale.
   Emerge l'Himmler pioniere dell'alimentazione biologica e della battaglia contro il "Gm Food", il cibo geneticamente modificato, da combattere a favore di una "agricoltura in accordo con le leggi della vita". "L'artificiale è ovunque", scriveva Himmler. "Ovunque c'è cibo adulterato, pieno di ingredienti che lo rendono longevo e più bello".
   Himmler era un avido lettore di Max Bircher-Benner e Ragnar Berg, i due principali sostenitori del cibo biologico, il primo addirittura inventore del famoso Muesli. Himmler si distinse come uno zelota della lotta agli additivi, ai conservanti, ai coloranti, e vietò l'uso dello zucchero bianco raffinato e del miele artificiale. Grande sostenitore dei rimedi naturali, il capo delle SS fu anche un acerrimo nemico della vivisezione e promosse campagne per la tutela dell'ambiente e di specie sotto minaccia di estinzione, come la balena. Secondo Himmler, si doveva bandire la vivisezione con l'obiettivo di "risvegliare e rafforzare lo spirito di compassione in quanto uno dei più alti valori morali del popolo tedesco". Un Himmler orgoglioso di definire questo popolo "l'unico al mondo ad avere un'attitudine decente verso gli animali".
   Il più zelante assassino di bambini della storia scrisse persino un libro di fiabe, in cui i topi scovati nelle case dei tedeschi non vengono uccisi, ma portati in tribunale per essere processati, "trattati con umanità". Su volontà di Himmler furono approvate direttive per il trasporto degli animali, furono ospitate a Berlino conferenze internazionali sulla protezione degli animali e promulgata una regolamentazione della macellazione dei pesci e di altri animali a sangue freddo. Una volta Himmler chiese al suo medico, noto cacciatore: "Come puoi, tu, dottor Kersten, gioire sparando, da un riparo, a delle creature indifese, che vagano per la foresta, incapaci di proteggere se stesse e prive di ogni sospetto? E' un vero delitto. La natura è tremendamente bella e ogni animale ha il diritto di vivere". Intanto gli ascari di Himmler inseguivano e abbattevano gli ebrei nelle foreste della Polonia e dell'Ucraina.
   Un saggio di due ricercatori americani, Arnold Arluke della Northeastern University di Boston e Boria Sax della Pace University di New York, è arrivato addirittura alla conclusione che "l'Olocausto è stato causato dalla paura della contaminazione genetica del popolo tedesco che i nazisti consideravano unico anche per il suo rapporto privilegiato e simpatetico con gli animali". Himmler decise anche di bandire la macellazione rituale ebraica che non permette di anestetizzare la bestia. Stigmatizzava la tradizione kasher perché si poneva "contro la raffinata sensibilità della società tedesca" e addirittura come "una sofferenza inutile".
   Salutista, Himmler aveva in odio il tabacco, che definiva "una masturbazione polmonare". Il Reichsführer che incitava i suoi soldati a non avere pietà di una colonna di donne e bambini da fucilare, bandì il fumo non soltanto fra le sue SS, ma anche in molti luoghi di lavoro, negli uffici governativi, negli ospedali e sui treni e autobus delle città. Nessuno fumava mai in presenza del sovrano dei campi di concentramento.
   Himmler raccomandava colazioni a base di porri crudi e acqua minerale, e dedicò parte della sua attività al "problema delle patate lesse", finanziando persino delle ricerche sul tema. Emerge anche una passione per i bagni nel fieno d'avena. Himmler aveva messo a punto anche uno speciale menu da sottoporre al popolo tedesco: il caffè del mattino era sostituito da latte e poltiglia di cereali; a tavola, al posto di vino o birra, si doveva bere acqua minerale; i pasti erano da calcolare minuziosamente sui computi delle vitamine e delle calorie prescritte dagli eugenisti a lui vicini. Himmler amava i cerbiatti e definiva la caccia "un delitto a sangue freddo contro esseri innocenti". E' la stessa persona che sponsorizza nei campi di sterminio i medici criminali e gli esperimenti sulle cavie umane.
   Il capo delle SS era prima di tutto un allevatore di polli. Un destino che condivise con altri genieri della "soluzione finale": Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, aveva un negozio di macelleria; Willi Mentz, guardiano a Treblinka, aveva fatto il mungitore di vacche; Kurt Franz, ultimo comandante di Treblinka, era stato macellaio come Karl Frenzel, "fuochista" prima a Hadamar poi a Sobibor.
   A Waldtrudering gli Himmler si stabiliscono con il cane, i polli, i conigli e un maiale. "Le galline depongono male", scrive Margaret a Himmler. "Appena due uova al giorno". La famiglia Himmler, alla fine della guerra, sognava di aprire una grande industria di allevamento di uova biologiche. Lo stratega dello sterminio stravedeva per i tramonti, ma soprattutto per i fiori. E giunse così a ordinare la produzione di erbe medicinali e miele organico nel campo di concentramento di Dachau, dove il dottor Fahrenkamp diresse una sorta di paradiso verde in mezzo al lager.
   L'Istituto tedesco per la nutrizione e il cibo organizzò una rete di coltivazioni all'interno dei campi di concentramento in Polonia e Cecoslovacchia. A Dachau la piantagione era diretta dal botanista austriaco Emmerich Zederbauer, che coordinava un gruppo di medici, farmacisti e tecnici di laboratorio. Ad Auschwitz, invece, Himmler aveva ordinato di coltivare una speciale pianta dell'est, la kok-saghyz, che riteneva avesse speciali poteri curativi. Nella rete di venti campi di concentramento, Himmler organizzò la più grande coltivazione europea di erbe medicinali.
   Himmler paragonava spesso il suo lavoro di selezionatore di gruppi etnici, disabili ed ebrei, a quello di un botanico: "L'affrontammo come un vivaista che tenta di riprodurre una vecchia varietà che è stata adulterata e svilita. Partimmo dai criteri di selezione delle piante e quindi procedemmo, con molta determinazione, a eliminare gli uomini che ritenevamo di non poter utilizzare".
   Una speciale squadra agli ordini di Himmler lanciò una guerra contro la impatiens parviflora, un fiore boschivo giudicato "alieno" nelle campagne tedesche. Il capo delle SS sognava poi di "creare una immensa zona naturale di flora e fauna in Polonia". Aveva persino proibito di usare fiori artificiali ai funerali e fu fiero di fare della Germania il primo paese europeo con delle riserve naturali. Le lettere di Himmler alla moglie sono piene di riferimenti ai fiori, una sua ossessione. In una missiva, Himmler racconta di averle spedito 150 tulipani dall'Olanda: "Di un colore, di due colori, non ne trovi così in Germania". I suoi ordini di annientamento di villaggi e popolazioni, il Reichsführer li firmava rigorosamente con dei lapis naturali. Di legno, mica di plastica.

(Il Foglio, 3 febbraio 2014)


Non solo Berlino: ecco tutti i muri del mondo

C'è il contestatissimo muro in Israele, ma anche quello tra Stati Uniti e Messico, oltre a molte altre barriere, spesso sconosciute. Eccole in una mappa.

di Eleonora Lorusso

 
I muri nel mondo
Il più famoso è il muro di Berlino, ma il mondo è pieno di barricate che dividono Stati e territori. Se quello di cui si parla maggiormente, per le critiche internazionali, è quello israeliano, esistono però numerosissime altre "frontiere" erette quasi tutte dopo la creazione del muro tedesco, che fino al 9 novembre 1989 separava la zona est della Germania, sotto controllo sovietico, da quella ovest, di influenza occidentale. Si va infatti dal muro che separa Stati Uniti e Messico, costruito in funzione anti-immigrazione clandestina, a quello che protegge l'enclave spagnola di Ceuta nel territorio marocchino. Ecco poi il muro che divide Corea del Nord e Corea del Sud, o ancora l'Oman dagli Emirati Arabi.
La lista dei muri, che si sono aggiunti o hanno "sostituito" quello da 155 metri appunto a Berlino è lunghissima, a testimoniare come le barriere storiche non solo non sono cadute, ma sono persino aumentare dopo la Seconda Guerra mondiale. A censire tutte le costruzioni erette dall'uomo a protezione dei propri territori e Stati sovrani è stata l'associazione UQAM, Chaire Raoul Dandurand en études stratégiques et diplomatiques dell'Università del Quebec a Montreal , che ha realizzato una mappa.
Al tema, lo scorso anno, era stata dedicata una conferenza dal titolo significativo: "Le buone barriere rendono buoni i rapporti di vicinato?". Partendo dal primo muro eretto nella storia moderna, la muraglia cinese, a difesa del proprio territorio contro le invasioni dei mongoli, gli studiosi hanno passato al setaccio tutte le "separazioni" (costituite da filo spinato o mattoni e cemento) che si trovano sparse nel mondo. Il risultato è sorprendente, perché se oggi in molti si battono per salvaguardare l'unico tratto del muro di Berlino rimasto , a futura memoria delle divisioni che non dovrebbero più sorgere, ecco che invece si scopre che la maggior parte dei muri esistenti è stata realizzata proprio nel giro degli ultimi decenni.
E' il caso - forse il più noto - del muro costruito dagli israeliani lungo il confine con la Cisgiordania. La barriera, che nel progetto originale dell'allora ministro dell'Edilizia Sharon doveva essere di 790 chilometri, rappresenta uno dei muri più grandi, ma soprattutto contestati al mondo. A separare gli Stati Uniti dal Messico è invece un muro di 3.140 km, costruito a partire dal 1994 lungo la frontiera di confine. Tra Corea del Nord e Corea del Sud esiste poi un altro muro, che si aggiunge ad una zona di separazione, demilitarizzata, monitorata in modo costante anche grazie a sofisticatissimi apparecchi, come il Kinect: secondo il giornale coreano Hankooki, infatti, questo dispositivo è in grado di distinguere persone, animali e oggetti, grazie alla rilevazione di battiti cardiaci e fonti di calore.
Sempre in Asia c'è un'altra "barricata" poco nota, che separa Thailandia da Malaysia (ex Malesia), edificata dalla prima per impedire ai terroristi islamici di raggiungere il proprio territorio. Tra Zimbawe e Botswana, in Africa, c'è invece una barriera elettrificata che corre lungo la frontiera tra i due paesi. In questo caso, il motivo ufficiale è quello di impedire che gli animali selvatici passino da un Paese all'altro, ma in realtà fa comodo al Botswana per arginare l'immigrazione di profughi in arrivo dallo Zimbawe.
Tra India e Pakistan è stato costruito un muro lungo 3.300 km, lungo la frontiera contesa tra i due Stati, mentre poco lontano c'è anche un muro che separa il Pakistan dall'Afghanistan, lungo 2.400 km. Quello al confine tra Uzbekistan e Tagikistan è dotato di sensori e videosorveglianza e serve a impedire il passaggio di migranti, così come quello tra Yemen e Arabia Saudita, che se ne è dotata contro l'immigrazione clandestina, nonostante sia tra i principali oppositori al muro israeliano. Anche tra Oman ed Emirati Arabi Uniti esiste una "frontiera cementificata", così come tra Kuwait e Iraq (215 km, rinforzati dopo la guerra del Golfo) e tra la Turchia e Cipro, per delimitare i territori rivendicati da Ankara.
Nel bacino del Mediterraneo esistono, poi, la barriera elettrificata costruita dalla Spagna (e costantemente vigilata) che marca il confine tra l'enclave spagnola di Ceuta e il Marocco, e la "cintura di sicurezza" di 2.700 km nel Sahara, voluta dal Marocco per proteggersi dalle incursioni dei terroristi del Fronte Polisario. Le cose non cambiano, poi, se ci si sposta nel nord Europa e precisamente nell'Irlanda del Nord: sono molti qui i muri che separano cattolici da protestanti, non solo nella "calda" Belfast.

(Panorama, 5 febbraio 2014)


«Aiutateci ad abbattere tutti i muri del mondo»


Donne da vicino - Méléha

di Claudia De Benedetti
Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

 
Méléha
Video
Alle lezioni di cultura ebraica nell'accogliente sinagoga di Rue Nicolo a Parigi Patricia Ouazan, in arte Méléha, è tra le allieve più assidue e preparate. Per descrivere questa brillante cantante dai profondi occhi scuri occorre spiegare che tutta la sua vita ruota attorno alla Teshuvah, al percorso che ha intrapreso una decina d'anni fa per ricercare la sua vera indole. Ebrea sefardita lionese, giovanissima accompagna orchestre jazz. Il produttore francese di origini armene Andre Manoukian la scopre e lancia i suoi brani d'esordio, con Gino Vannelli produce originali e intensi duetti. Il successo non tarda ad arrivare: diventa un volto noto del panorama musicale francese, si sposa con un calciatore, nascono due figli. La svolta della sua vita avviene dopo un periodo di studio con il rabbino Samuel Gurewitz: Méléha decide di mettere la sua voce al servizio della Torah e di seguire l'Halakhah, la norma codificata dall'ebraismo, secondo cui a una donna è consentito cantare in presenza di un pubblico esclusivamente femminile. Quello che avrebbe potuto apparire un improvviso ridimensionamento della carriera diventa una nuova incredibile opportunità da sfruttare per offrire canzoni e spettacoli a un pubblico speciale. Grazie al sodalizio con il compositore Sydney El Ancry in rapida successione escono brani dai titoli marcatamente evocativi come Imma, Shabbat Shalom, Bar Mitsvah, Adon Olam e Constantina in cui ripropone in chiave moderna le musiche ancestrali giudaico-andaluse. Méléha racconta l'emozione che ha provato durante le tappe cinesi del suo recente tour. Dedica letteralmente anima e corpo alle celebrazioni per le maggiori età delle ragazze, alle feste per l'immersione della sposa nelle acque del Mikvé, il bagno rituale, e alle Hilluloth, pellegrinaggi annuali che vengono compiuti dagli ebrei marocchini sulle tombe dei giusti. Con un sorriso sognante conclude l'intervista ricordando alle amiche stonate che melodie e canti conducono il cuore dell'uomo verso il Signore.

(Pagine ebraiche, febbraio 2014)


Imperia: incontro dedicato ad Israele

di Carlo Alessi

Lunedì prossimo, presso l'agenzia del Touring Club Italiano di Imperia, si svolgerà un incontro dedicato ad Israele. Un professionista esperto del Medio Oriente illustrerà a tutti i presenti le caratterische di questa terra ricca di fascino e contrasti, rispondendo ad eventuali domande e curiosità.
L'appuntamento in agenzia è alle 19 ed è completamente gratuito.
Per informazioni sull'evento contattare l'agenzia al Tel.0183-764042
oppure all'indirizzo e-mail: tci.imperia(at)email.it.

(Sanremo News, 5 febbraio 2014)


Il Times of Israel parla arabo

di Daniel Reichel

È una scommessa, un azzardo editoriale, una possibilità per aprirsi a un nuovo bacino di lettori. A due anni dal suo arrivo on-line, dopo aver raggiunto le due milioni di visite, il quotidiano Times of Israel prova a rimescolare ancora le carte dell'informazione e lancia la versione in arabo del suo giornale. Da ieri infatti è in rete il Times of Israel Arabic, "il nostro nuovo sito che offre ai lettori in lingua araba una diretta interazione con Israele - spiega direttore nonché fondatore della testata David Horovitz - una finestra nella complessa realtà israeliana, approfondimenti su come Israele vede i loro paesi e la possibilità di intervenire sulle nostre pagine".
Come sarà ricevuto è un'incognita a cui lo stesso Horowitz, nell'editoriale di presentazione della nuova versione, non sa dare risposta. Le preoccupazioni per un possibile insuccesso sono inevitabili ma anche il lancio dell'edizione originale, in inglese, era avvolta dai medesimi timori. Lanciato on-line il 14 febbraio 2012, il Times of Israel (che annovera nel suo consiglio redazionale l'ex direttore del Mossad Efraim Halevy) si è gradualmente affermato come uno dei punti di riferimento nel panorama dell'informazione su Israele. Apprezzato dai lettori per la sua indipendenza, il quotidiano dichiara di "non avere affiliazioni politiche. Vuole presentare le notizie in modo imparziale e offrire un ampio raggio di analisi e opinioni". "Ora - scrive Horowitz, già redattore del Jerusalem Post e del Jerusalem Report - vogliamo portare il nostro impergno verso un giornalismo imparziale nel mondo arabo, e la trasperenza di questo tentativo inizia dal nome: The Times of Israel Arabic […] I nostri lettori in lingua araba sapranno dal taglio alto della Homepage fino alla fin cosa proponiamo - il nostro massimo impegno per raccontargli cosa succede, di buono e di cattivo. Giornalismo indipendente senza adesioni partigiane".
Dopo il confronto con il Jerusalem Post, Ynet e Haaretz in inglese, ora la sfida è lanciata sia ai quotidiano israeliani in lingua araba ( tra i più noti Al-Ittihad, basato a Haifa e legato al partito di ispirazione comunista Maki e Kul al-Arab, edito a Nazareth e, nella defizione della BBC, famoso per essere un giornale cristiano) sia ai pesci grossi dell'informazione dei paesi arabi, tra cui Al Jazeera. Un tentativo interessante per presentare Israele con una prospettiva diversa da quella abitualmente diffusa nel mondo arabo, per dare accesso a un'intera parte del mondo a notizie a cui probabilmente prima non avevano accesso. Secondo la direttrice del Times of Israel Arabic Suha Halifa il portale da ai lettori di lingua araba una diretta interazione con Israele. "Da un volto umano a Israele, focalizzandosi sulla vita quotidiana. Illumina la democrazia israeliana in tutte le sue complesse sfaccettature, non solo in merito ai temi senza fine del conflito con i palestinesi e la sfida posta dall'Iran, ma anche sulle difficoltà degli arabi israeliani, sul ruolo e lo status della religione, i diritti degli omossessuali, il ruolo delle donne", afferma Halifa, concludendo che "il nostro nuovo sito da al mondo arabo un'indicazione di come Israele veda la regione, la prospettiva israeliana rispetto ai loro paesi".

(moked, 5 febbraio 2014)


Urban resort con vista mare. Apre il primo Hotel Ritz-Carlton in Israele

Un nuovo albergo di lusso nella marina di Herzliya che guarda sul Mediterraneo e offre la comodità di un soggiorno tra il mare e le architetture Bauhaus di Tel Aviv.

  
Fotogalleria
Il Ritz Carlton di Herzliya, località alla moda nella parte nord di Tel Aviv, è il primo albergo di lusso dell'omonima catena in Israele. Il suo scopo è quello di offrire un "Urban Resort", ovvero un luogo che combina la bellezza naturale del Mediterraneo con una zona Spa e un ristorante kosher di livello mondiale. E' particolarmente impattante la piscina ubicata in cima all'edificio, un Roof Top Pool da dove si gode la vista del mare a 360 gradi.
Tale esperienza è poca distanza da Tel Aviv e dalla sua "White City". Una vacanza fra relax e architettura per tutti gli amanti della cura del corpo e degli edifici Bauhaus.

(Floornature, 5 febbraio 2014)


Israele - Il caso del professor Verete

La denuncia di una studentessa contro un docente reo di aver contestato le azioni dell'esercito ha aperto il dibattito sulla sinistra e la libertà di critica in Israele

di Andrea Pira

Alla fine di due settimane di polemiche e discussioni sulla libertà di pensiero e di critica, Adam Verete ha mantenuto il suo incarico di docente in una scuola superiore israeliana. Il caso che l'ha visto rischiare il proprio lavoro per aver messo in discussione in classe le azioni dell'esercito israeliano ha aperto un dibattito sulla sinistra in Israele e su quali siano i temi sensibili su cui esprimere le proprie opinioni. "Mine culturali", le ha definite il ministro dell'Istruzione, Shai Piron, esponente del movimento centrista e liberale del giornalista Yair Lapid, nel governo guidato dalla destra conservatrice del Likud del premier Benjamin Netanyahu. Vale a dire i temi che occorre trattare con cautela perché potenzialmente causa di tensioni. Tra queste oltre alla religione c'è proprio la legittimità delle azioni condotte dalla Forze di difesa israeliane, che, sottolinea il ministro, tutelano il diritto dello stato a esistere. Un approccio che Verete, in un'intervista ad Haaretz, paragona al clima e all'atmosfera di 1984 di George Orwell.
Proprio sul tavolo del ministro Piron, un paio di settimane fa, era arrivata la lettera di una studentessa dell'ultimo anno di superiori dell'istituto della rete Ort a Kiryat Tivon, nel nord del Paese, in cui Verete insegna, che denunciava le posizioni di "estrema sinistra" del docente. La studentessa accusava Verete di avere definito l'Idf una forza che agisce con inaudita brutalità e violenza. Inoltre, quando la ragazza ha ribattuto alle frasi dell'insegnante, si sarebbe sentita rispondere che quello che lei voleva era "uccidere tutti gli arabi".
Dalle scrivanie del ministero il testo è finito sulla bacheca Facebook dell'ex parlamentare Michael Ben Ari, esponente dell'estrema destra israeliana. Ed è sul social network, nota Dahlia Scheindlin su sito 972mag, che il tono del dibattito è stato indirizzato come un attacco contro la sinistra, o meglio contro quelli che sono considerati i modi con cui "la sinistra antisionista sta avvelenando il sistema educativo". Della vicenda si è occupato il comitato per l'istruzione della Knesset, il parlamento israeliano. È stata in questa sede che Svi Peleg, direttore della rete Ort Israel, ha avanzato la minaccia di licenziare il docente.
Dal canto suo Verete, minacciato anche di morte in queste settimane, ha negato di essersi rivolto in modo rude contro la studentessa. Ha però rivendicato il suo essere di sinistra e il diritto a esprimere le proprie opinioni, trovando anche il sostegno di centinaia di studenti, molti dei quali finito l'anno scolastico partiranno per la leva, che hanno manifestato in suo favore. "È importante discutere della moralità dell'Idf, lo dico con alle spalle una carriera militare di 30 anni. L'Idf commette anche azioni immorali, e lo dico con l'affetto che provo per l'esercito", ha sottolineato lo stesso presidente del comitato parlamentare per l'istruzione, Amram Mitzna, già laburista, ora nel centrista Hatenua, secondo cui "tutti i temi possono essere affrontati da docenti preparati".
Intanto, il ministro Piron ha annunciato l'istituzione di un comitato per discutere del rapporto tra politica e istruzione. Il caso Verete come un'opportunità, l'ha definito il titolare del dicastero, pur nell'ammettere di non condividere le frasi dell'insegnante sull'esercito. Le dichiarazioni di Piron, ribatte tuttavia il docente sono "problematiche". Includere la messa in discussione della presunta moralità dell'Idf tra i temi di cui sarebbe meglio non parlare equivale a sviare l'attenzione dall'analisi dei comportamenti e delle azioni dei militari israeliani.

(Lettera22, 4 febbraio 2014)


Localizzata a Ur, in Iraq, la casa natale di Abramo

Grazie alla combinazione tra scavi archeologici e immagini satellitari un team di ricercatori dell'Università di Manchester afferma di aver trovato il luogo dove nacque Abramo. Si tratta di uno spazio dove circa 4000 anni fa sorgevano alcuni rudimentali edifici, nei pressi della città numera di Ur, nel Sud dell'odierno Iraq. I satelliti hanno consentito di ricostruire la distribuzione delle stanze attorno a un grande cortile che serviva come luogo di incontro. Jane Moon, direttore degli scavi, afferma che il complesso ha una superficie di 80 metri quadrati, risale a circa il 2000 a. C. ed è distante 40 chilometri dalle rovine di Ur Ziggurat. Sono elementi che coincidono con le informazioni disponibili sulle origini del padre del monoteismo. Moon assicura che «non sarebbe stato possibile arrivare a identificarlo senza l'aiuto della tecnologia che non era disponibile negli Anni Ottanta», all'epoca degli ultimi scavi condotti in Iraq. Ora gli archeologi sono all'opera per cercare nel terreno prove su quanto avvenne 4000 anni fa. [M.MO.]

(La Stampa, 5 febbraio 2014)


SodaStream. Che senso ha boicottare un'azienda se dà lavoro a centinaia di palestinesi?

Se il boicottaggio avesse successo «potremmo semplicemente trasferire la produzione in un'altra fabbrica», spiega l'ad dell'azienda pubblicizzata da Scarlett Johansson.

 
La SodaStream di Mishor Adumim
Davvero per migliorare le condizioni del popolo palestinese bisognerebbe boicottare SodaStream e le imprese che, come l'azienda pubblicizzata da Scarlett Johansson e finita nel mirino dei detrattori di Israele, hanno stabilimenti nelle colonie israeliane in Cisgiordania?
Quello che è certo è che SodaStream dà lavoro a centinaia di palestinesi e li paga in base agli standard israeliani. Secondo l'amministratore delegato, Daniel Birnbaum l'azienda delle bibite gassate fatte in casa «è il più grande datore privato di lavoro per i palestinesi in Cisgiordania». E sarebbero soltanto i lavoratori palestinesi a doversi preoccupare, non l'azienda, se la campagna di boicottaggio costringesse SodaStream a lasciare l'insediamento di Mishor Adumim.

PIÙ FABBRICHE COME SODASTREAM - Mentre infuriano le polemiche politiche, «i palestinesi che lavorano nella fabbrica cercano soltanto di vivere in pace», ricorda l'International Business Times. All'indomani della querelle fra Scarlett Johansson e l'ong filo-palestinese Oxfam, il quotidiano web ha intervistato alcuni lavoratori dello stabilimento di SodaStream in Cisgiordania. Come era facile immaginare, i lavoratori palestinesi non sono affatto scontenti del loro lavoro nell'insediamento ebraico. Yasmin Abu Markhia - giovane donna che si descrive come «orgogliosamente palestinese» - ha assicurato di non aver mai assistito a una lite sul posto di lavoro nella fabbrica di SodaStream. Questo perché, ha spiegato all'International Business Times, «siamo pagati bene e il lavoro è buono». Dello stesso parere è anche il palestinese Nabil Basharat. L'intervistato vive in un villaggio vicino a Ramallah e ha lavorato in SodaStream per quattro anni prima di diventare un manager. Al quotidiano online ha spiegato che grazie al suo stipendio è riuscito a mantenere sua moglie e sei bambini «con un tenore di vita elevato secondo gli standard sia palestinesi sia israeliani». All'Internationa Business Times ha detto di comprendere le ragioni di chi boicotta le aziende che hanno una fabbrica nelle colonie israeliane, ma allo stesso tempo chiede loro di «capire che l'azienda dà lavoro ai palestinesi, come fanno moltissime altre fabbriche nell'area».

ESEMPIO PER LA PACE - Della vicenda si è occupato anche il Christian Science Monitor. «All'ingresso della fabbrica SodaStream - ha scritto ieri il quotidiano statunitense - si erge una statua con inciso un versetto di Isaia: "Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra"». La statua fu commissionata da SodaStream quando l'azienda decise di acquistare l'edificio nell'insediamento di Mishor Adumim, che un tempo era sede di una fabbrica per munizioni. «Qui le donne in hijab lavorano fianco a fianco con gli immigrati russi ebrei, mentre giovani palestinesi lavorano sulle linee di montaggio che mettono a punto le macchine per la soda fai-da-te», scrive il Christian Science Monitor, che ha sottolineato come «nonostante l'Autorità Palestinese abbia fatto una legge nel 2010 contro i lavoratori negli insediamenti israeliani, i dipendenti di SodaStream sono solo una minima parte rispetto ai 22.000 palestinesi che ignorano il divieto».

IL BOICOTTAGGIO - I sostenitori del boicottaggio volto a porre fine all'occupazione israeliana della Cisgiordania, chiedono ai consumatori di non acquistare prodotti da aziende come SodaStream. E dalla scorsa primavera, alcuni membri dell'Unione europea hanno adottato una serie di misure contro le aziende con stabilimenti nelle colonie israeliane. Ma cosa accadrebbe se, come vogliono i sostenitori del boicottaggio, SodaStream lasciasse l'insediamento ebraico? «Non me ne preoccuperei molto dal punto di vista di SodaStream», ha spiegato ai media, l'ad dell'azienda, Daniel Birnbaum. «Potremmo semplicemente trasferire la produzione in un'altra fabbrica». SodaStream ha impianti di produzione non solo in Israele e in Cisgiordania, ma anche in Germania, Svezia, Stati Uniti, Australia, Cina e Sud Africa. Birnbaun ha osservato sarcasticamente, sull'International Business Time, che «i mercati come la Svezia, la Finlandia, la Danimarca e la Norvegia, dove si è deciso di boicottare i prodotti fatti negli insediamenti ebraici, continuano a essere aperti a quelli provenienti dalla "madre dei diritti umani", la Cina».

(Tempi.it, 4 febbraio 2014)


Le novità di Israele ed El Al nei workshop organizzati con TTG

Si accorciano le distanze tra Venezia e Tel Aviv grazie all'apertura della nuova tratta aerea operata dal vettore di bandiera El Al.
L'Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo si prepara così ad accogliere nuovi flussi di viaggiatori in arrivo dal Veneto pronti a scoprire la dinamicità di Tel Aviv, la vitalità di Gerusalemme, insieme ad un ampio ventaglio di proposte per soggiorni benessere, sportivi, culturali, vacanze gourmet oppure di totale immersione nella natura, a sole tre ore e mezza di volo.
Tutto questo sarà oggetto degli eventi organizzati in collaborazione con TTG Italia il 5 e 6 marzo prossimi.
Il primo appuntamento da annotare in agenda si svolgerà a Verona, mentre la seconda giornata di lavori si terrà a Padova.
Agenti di viaggi e professionisti del settore interessati a conoscere tutte le informazioni utili alla vendita del nuovo volo e a scoprire tutte le novità sulla destinazione, possono iscriversi gratuitamente su www.ttgroadshow.it

(TTGItalia, 5 febbraio 2014)


Panella: «Il sessantesimo piano americano di pace non ha alcuna possibilità di riuscita»

Carlo Panella, firma del Foglio ed esperto di Medio Oriente, a tempi.it: «Non c'è alcun interlocutore palestinese a cui Israele si può rivolgere. Hamas non accetterà mai uno Stato ebraico».

di Francesco Amicone

A gennaio i colloqui di pace Israele-Palestina stavano «facendo progressi» secondo il segretario di Stato americano John Kerry. Sono passati due mesi da allora e la trattativa per un accordo definitivo fra governo israeliano e Autorità palestinese non sembra aver prodotto alcun risultato. Ieri Kerry ha avvertito Israele che una rottura dei negoziati rischierebbe di favorire i boicottaggi commerciali nei suoi confronti. In risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito i tentativi di boicottaggio «immorali e ingiusti», altri esponenti del governo hanno liquidato le parole di Kerry come attacchi «offensivi» e «intollerabili».
«Queste parole lasciano presagire poco di buono», spiega a tempi.it Carlo Panella, firma del Foglio ed esperto di Medio Oriente. «I colloqui sono in stallo perenne e il sessantesimo piano americano di pace, voluto dall'amministrazione Obama, non ha alcuna possibilità di riuscita».

- Le tre questioni sul tavolo dei negoziati sono: confini, status dei rifugiati palestinesi e sovranità su Gerusalemme. Perché non si riesce ad arrivare a una posizione di compromesso?
  C'è un problema che viene ancora prima della capacità di arrivare a un compromesso. I colloqui non produrranno nessun risultato perché non c'è alcun interlocutore palestinese a cui Israele si può rivolgere. Il campo palestinese è diviso in due: da una parte l'Autorità nazionale palestinese presieduta da Abu Mazen, che controlla la Cisgiordania, dall'altra Hamas, che controlla Gaza. Attualmente la trattativa avviene fra Anp e Israele. Abu Mazen, anche se può essere definito un politico capace, non è un'autorità valida politicamente. Non ha il sostegno dei palestinesi e se andasse alle elezioni quasi certamente le perderebbe. Allo stato attuale non è possibile sanare la guerra civile fra Hamas e l'Olp, il partito di Abu Mazen. E anche se così non fosse non avrebbe senso firmare un accordo con Ramallah, per la Cisgiordania, che non riguarda l'intera Palestina, compresa Gaza.

- Oltre a questa divisione interna tra palestinesi cosa pregiudica il raggiungimento di un accordo?
  Uno dei problemi è la folle pretesa palestinese, avallata dall'Onu, che ritornino non solo i profughi delle guerre di Israele ma anche i parenti. Il secondo è il riconoscimento dello Stato di carattere ebraico chiesta ai palestinesi e basato sulla divisione dei due Stati: uno palestinese, uno ebraico, come prevedeva il meccanismo inglese del 1948. Questo non si può fare perché mai Hamas, con la sua ideologia intrisa di fanatismo religioso, potrà accettare che la terza città santa dell'Islam sia sotto sovranità di uno Stato ebraico.

- Rimane aperta la trattativa sugli scambi territoriali.
  Un problema estremamente delicato. Si intende farla nel rispetto dei cosiddetti confini del 1967. Però quelli non sono mai stati veri confini, ma soltanto delle linee arbitrarie d'armistizio create dopo la guerra dei Sei giorni. Nei fatti non c'è mai stato un confine interno a Israele. Volersi legare a quella separazione è una pretesa ardita che non ha pregnanza nel diritto internazionale. Inoltre costringere gli ebrei a lasciare le proprie case nel territorio palestinese peggiorerà solo la situazione.

- In che senso?
  Un esempio è fornito da un episodio recente che ha coinvolto l'attrice Scarlett Johansson. Lei ha difeso una sua collaborazione con una ditta israeliana, la Soda Stream, che ha una fabbrica nei territori palestinesi ed ora è vittima del boicottaggio anti-israeliano. Quell'azienda dà lavoro a centinaia di palestinesi e fornisce uno stipendio "occidentale". Se dovesse andarsene da lì, nessun arabo sarebbe disposto a investire sul territorio con un capitale in grado di sostituire quello israeliano. Lo ha dimostrato il ritiro dei coloni da Gaza, otto anni fa. Fino al 2006 la "Striscia" aveva un tasso di crescita superiore al 10 per cento all'anno. Da quando gli ebrei se ne sono andati, cosa ha prodotto Gaza? Soltanto terrorismo.

(Tempi.it, 4 febbraio 2014)


Viaggio nei sotterranei della Sinagoga di Asti

di Manuela Zoccola

 
I sotterranei della Sinagoga di Asti
Riprende il nostro viaggio alla scoperta delle bellezze e delle particolarità di Asti sotterranea: un mondo per così dire parallelo al nostro, che vive dell'inesauribile fascino dei misteri e dei "gioielli," che custodisce da secoli. In occasione della recente Giornata della Memoria, la nostra "esplorazione" si è focalizzata sui locali sottostanti la Sinagoga di via Ottolenghi, uno dei luoghi simbolo, per eccellenza, di quella che un tempo era la comunità ebraica astigiana. Ancora una volta a guidarci è stato l'architetto Roberto Nivolo. Carichi di una forza suggestiva in grado di comunicare forti emozioni, i locali in questione sono in parte preesistenze, rispetto alla Singoga attuale, nati come cantinati.
  Dal punto di vista strutturale, rispondevano all'esigenza di portare alla quota rialzata di via Ottolenghi l'intero edificio, durante la sua ristrutturazione nel 1889, per iniziativa e a spese di Jacob Ottolenghi e del fratello Leonetto, autore del progetto posto in opera dal geometra Carlo Benzi. L'iniziativa era finalizzata all'abbellimento e all'ampliamneto della struttura precedente. "Nello specifico - spiega l'architetto Nivolo - nel cortile sottostante la Sinagoga, dalla parte di corso Alfieri, c'era l'ingresso verso questi locali, raggiungibili anche dall'interno dell'edificio stesso. I sotterranei ospitavano, tra gli altri spazi, la cosiddetta stanza delle azzime con il forno, tuttora visibile, dove veniva cotto il pane senza lievito, e la sala adiacente con il tavolo da lavoro, utilizzata per gli impasti e le relative preparazioni."
  Com'è risaputo, il pane azzimo è il più antico del mondo, ottenuto semplicemente dall'impasto di farina di cereali e acqua, senza l'aggiunta di sale né di lievito, e consumato dagli ebrei, come alimento rituale, durante la loro Pasqua, per celebrare la fuga dall'Egitto." Un'altra delle stanze sotterranee, collegate da corridoi, comprende la caldaia ad aria, che scaldava, da sotto il pavimento, la Sinagoga. Più in generale, i sottolocali furono utilizzati come magazzini, ad esempio per i viveri, delle famiglie che abitavano nelle vicinanze. "Nel giorno in cui ci fossero i finanziamenti - afferma Nivolo - si potrebbero riutilizzare questi spazi sotterranei, per illustrare ai visitatori una parte della vita quotidiana degli abrei e i loro riti. Ad esempio, si potrebbe recuperare lo stampo usato per realizzare il pane, ripristinare le stanze un tempo appositamente preposte e rimettere in funzione il forno, come è già stato fatto in una Sinagoga toscana, del comune di Pitigliano, in Maremma."
  Durante il secondo conflitto mondiale, inoltre, presso la Sinagoga di Asti trovò rifugio, nella parte però soprastante, una famiglia di ebrei sfollati da Torino. Più in generale, gli astigiani si mostrarono spesso solidali nei confronti dei concittadini ebrei, dando loro aiuto. Come attesta la storia del dottor Elio Arleri, classe 1921, grande personaggio del mondo paliofilo locale e storico, ex farmacista di professione, che all'epoca, con i suoi familiari, nascose per oltre un anno, fino al termine della guerra, presso l'abitazione in via XX Settembre, una famiglia ebrea in fuga, proveniente dall'estero, salvandola così dalla persecuzione nazista. Per il loro gesto coraggioso e altruista, il dottor Arleri e la sua famiglia sono stati insigniti, qualche anno fa, del riconoscimento di "Giusti tra le nazioni," consegnato dallo Stato di Israele.
  Oltre alla Sinagoga e ai suoi locali sotterranei, sono tanti i luoghi e le testimonianze, alla luce del sole, legati alla presenza, nei secoli, della comunità ebraica ad Asti e su cui ci si può soffermare semplicemente
Gli spazi sottostanti la Sinagoga di Asti
passeggiando per la città. Così, percorrendo dalla stazione via Cavour, si scorge, all'angolo con via Brofferio, il palazzetto Artom, con il suo giardino interno e la lapide di Isacco (1829 -1900), che la città volle dedicargli. Volontario nella guerra d'indipendenza del 1848, fu segretario del conte Cavour e poi segretario generale del Ministero degli Esteri a Roma. Proseguendo la passeggiata, ci si imbatte nel busto di pietra, presso i Giardini Pubblici, di Alessandro Artom (1867 -1927), inventore del radiogoniometro e collaboratore di Marconi. Da qui, si può raggiungere il cortile del vecchio ospedale, dove troviamo un altro busto, quello del professore Cesare Artom (1879 -1934), naturalista che aveva lasciato parte del proprio patrimonio al nosocomio civile di Asti.
  Spostandoci in corso Alfieri, all'angolo con quello che era detto il palazzo degli spagnoli, si può vedere, da uno slargo, il teatro Alfieri, voluto e costruito da Zaccaria Ottolenghi (cui a metà 800 era ancora stato negato il diritto di acquistare un palco nel teatro dei nobili). Risalendo un tratto di corso Alfieri e imboccando via Della Valle, ecco la targa in memoria della scienza di Salvatore Ottolenghi (1861-1934). Superando piazza Medici, ci si trova davanti alle costruzioni moderne di via Massimo d'Azeglio: in quella zona, oltre via Antica Zecca, c'era il vecchio cimitero degli ebrei di Asti. L'astigiano Stefano Incisa (1742 -1819), religioso, storico e cronista italiano, parla di questo terreno, chiamato "Prato degli Ebrei," dove si dava loro sepoltura.
  Nel 1810, fu sostituito dall'attuale cimitero ebraico in via dei Martiri Israeliti (in prossimità di via Lamarmora): oggi visitabile, continua ad accogliere la sepoltura di ebrei defunti di origine astigiana. Poco giorni fa, in occasione del Giorno della Memoria, il muro del cimitero è stato imbrattato da una scritta antisemita. Continuando il nostro itinerario, poco distante si erge la scuola media "Olga e Leopodo Jona," deportati nei campi di sterminio, da cui non sono tornati. Riprendendo corso Alfieri e imboccando via Incisa, ci si ritrova nel cosiddetto ghetto, di cui facevano parte le odierne vie Aliberti e Ottolenghi, per poi approdare in piazza Roma, così voluta e ampliata da Leonetto Ottolenghi (1846 -1904). A conclusione del nostro itinerario, risalendo ancora lungo corso Alfieri, si può ammirare palazzo Ottolenghi, acquistato da Zaccaria a metà 800 e poi restaurato dal figlio, il conte Leonetto. Quest'ultimo, nel 1901, comprò anche palazzo Alfieri. Gli Ottolenghi lasciarono al Comune entrambi gli immobili.

(La Nuova Provincia, 4 febbraio 2014)


Hamas ripristina la forza anti-razzi al confine con Israele

GAZA, 4 feb. - Due giorni dopo averla ritirata, Hamas ha annunciato il ridispiegamento nella Striscia di Gaza della forza speciale incaricata d'impedire il lancio di razzi contro il territorio israeliano, circa seicento uomini che erano stati in origine schierati lungo la piccola enclave palestinese il 21 gennaio scorso. Il contingente era stato richiamato in segno di protesta contro quattro recenti raid aerei notturni contro installazioni di addestramento del gruppo radicale.

(AGI, 4 febbraio 2014)


Israele - Kasherut verso la riforma

 
Eli Ben Dahan, Naftali Bennet e rav David Lau
Rivoluzionare il sistema israeliano di controllo della kasherut, le regole alimentari legate alla normativa ebraica. Questo l'obiettivo della riforma annunciata dal ministro per i Servizi religiosi Naftali Bennet, assieme al suo vice Eli Ben Dahan e al rabbino capo ashkenazita rav David Lau. "Lo scopo ultimo è di restituire al pubblico la fiducia nel controllo della kashrut, regolarizzando i rapporti di lavoro, eliminando gli interessi esterni e aggiornando la supervisione con nuove e trasparenti tecnologie", ha affermato Eli Ben Dahan. Indipendenza, autonomia, trasparenza e qualità: le richieste che si vorrebbero soddisfare con il nuovo sistema che, tra le altre cose, prevede la creazione di un organismo terzo da cui dipenderanno migliaia di ispettori della kasherut sparsi per il paese. Così facendo, si spezzerebbe quel rapporto, non privo di criticità, tra controllore e controllato: fino ad oggi infatti erano i proprietari delle attività a retribuire direttamente gli ispettori per il proprio servizio con un evidente conflitto di interessi e con il pericolo di inquinare l'autonomia di giudizio degli ispettori stessi.
Le certificazioni kasher nel sistema israeliano sono affidate a organi locali, commissioni legate al rabbinato centrale. Agli ispettori è affidata la verifica del rispetto delle regole alimentari, che toccano diversi ambiti dalla preparazione dei cibi, ai metodi seguiti, all'organizzazione delle cucine. A fianco di queste figure ne sono sorte altre legate al mondo ultraortodosso israeliano, note come commissioni Badatz, che si occupano delle certificazioni per proprie comunità. E ancora ne sono nati altri enti di controllo laici, o comunque non legati al rabbinato centrale. Organo, quest'ultimo, che vedrà fortemente rafforzato il suo ruolo, fatto che ha sollevato alcune critiche. Tra le voci contrarie ad esempio, Sahar Ilan, vicedirettore dell'organizzazione Hiddush, che ha parlato di prosecuzione del monopolio del rabbinato centrale sul sistema della kasherut a scapito di un apertura al libero mercato. "Questa non è una rivoluzione ma un passo indietro - ha affermato Ilan - invece che far cessare l'intervento diretto dello stato e il suo coinvolgimento nella supervisione della kasherut per lasciarli la posizione di regolatore, saranno assunti nelle sua fila migliaia di ispettori". Secondo i critici questo aspetto non genererà un abbassamento dei prezzi che invece sarebbe favorito, nella loro visione, da una liberalizzazione del mercato: più enti a cui affidarsi per ottenere la certificazione, più concorrenza sarebbe la soluzione auspicata da chi si dice contrario alla nuova formula.
Tra i favorevoli, Tzohar, organizzazione Modern Orthodox progressista, che ha parlato di "un'importante riforma che aumenterà la trasparenza nel mondo della kashut e permetterà più ebrei di seguire le regole alimentari ebraiche. Tutti speriamo che presto venga rafforzata".
Nel progetto di riforma svelato lunedì anche la previsione di tre livello di certificazione che potranno essere rilasciati dai consigli religiosi: kosher, kosher meadrim e kosker lemeahadrin min hamehadrin che saranno rappresentate rispettivamente da una, due, tre stelle di David.

(moked, 4 febbraio 2014)


Diabete, allo studio l'insulina in capsule

La notizia arriva da Israele. L'azienda farmaceutica Oramed sostiene di avere testato positivamente una capsula a base di insulina su 30 pazienti malati di diabete del tipo 2.
Finalmente i malati di diabete potranno essere liberi dalla schiavitù dell'iniezione di insulina?
La notizia sarebbe sorprendente visto che la somministrazione dell'insulina per via orale cozza col fatto che la molecola viene distrutta dagli enzimi della digestione.
Ebbene sembrerebbe che la casa farmaceutica israeliana abbia inventato una tecnologia, ribattezzata POD (Proteine oral delivery ), che consente alla capsula di insuline di superare indenne i succhi gastrici e di disperdere il proprio contenuto solo nell'intestino tenue dove viene assorbita.
Seguiranno altre sperimentazioni, anche su pazienti affetti da diabete del tipo 1.
Nel caso in cui vengano confermati i risultati positivi, si inizierà la commercializzazione.

(Giaden, 4 febbraio 2014)


La fabbrica della vera pace che infastidisce chi odia Israele

Alla Soda Stream, nei Territori occupati, ebrei e palestinesi lavorano fianco a fianco senza attriti

di Fiamma Nirenstein

 
La Soda Stream
GERUSALEMME - Sabbia e pietre, una fila di palme al vento e là nel mezzo la domanda (i territori occupati) e la risposta (il rispetto e l'amicizia fra israeliani e palestinesi) che insieme si presentano sotto forma di una fabbrica di macchinette per l'acqua gassata, arricchita di sapori da bambini: fragola, arancia, mela.
   Ma la storia non è per bambini: nasce infatti da «un'ossessione antisraeliana», come ha detto il ministro canadese Jason Kenney, che è venuta in piena luce perché l'attrice Scarlett Johansson ha rifiutato di cedere all'aggressione al vetriolo per aver fatto la reclame a questa fabbrica, Soda Stream, nei Territori occupati. Scarlett ha spiegato che in quella fabbrica si fanno passi verso una vera pace perché vi lavorano alla pari, nel rispetto, palestinesi e israeliani. Un gran coraggio che l'ha portata alle dimissioni da Oxfam, l'organizzazione «per i diritti umani» che ora si dimostra un centro di boicottaggio antisraeliano, di cui per otto anni è stata ambasciatrice.
   L'attacco a Soda Stream ci insegna molte cose sul boicottaggio contro Israele, sul suo cinismo. Il suo nemico non sembra essere l'occupazione quanto il buon rapporto fra palestinesi e israeliani, il suo obiettivo non la pace ma l'incitamento, e se ci vanno di mezzo i lavoratori palestinesi, che importa. In fabbrica a Mishor Adumim l'ambiente è vasto e pulito, popolato di operai in tuta che avvitano, spostano, caricano. A un certo punto li trovi tutti a un tavolone a montare pezzi, il brusio è fitto, in arabo, in ebraico. Il miracolo della fabbrica del demonio: là, nei territori, l'uno a due centimetri dall'altro, ebrei e palestinesi si passano i pezzi da controllare e chiacchierano contenti. Stesso guadagno, stessa mensa, la mattina tutti in pulmino, tutti con l'assicurazione e la pensione. Il rifiuto di Scarlett Johansson di attenersi alla versione codina e conformista della campagna di boicottaggio, ha fatto emergere una realtà insopportabile per chi punta tutto sulla malvagità dell'occupazione: al di là della diplomazia, dell'aggressione politica, dell'incitamento palestinese, quando i lavoratori sono rispettati, pagati, assicurati, accuditi fanno una cosa incredibile: la pace.
   In questa fabbrica (ne ha 8 in Israele) Soda Stream ha 1200 lavoratori di cui 500 arabi israeliani, 450 palestinesi, 150 vari, 300 israeliani. Parlano animatamente l'uno con l'altro, fanno un po' di scena per la stampa e per la delegazione di parlamentari italiani in visita? Può darsi, ma esistono molte situazioni analoghe, per esempio nella zona industriale di Barkan. Ventimila palestinesi lavorano nei Territori e se a causa del boicottaggio anche solo Soda Stream chiudesse, a patire la fame sarebbero 5000 persone. Nel '67 (quando questa zona era giordana) qui c'era una vecchia fabbrica di armi. «Soda Stream» che è una compagnia quotata al Nasdaq e che esiste da 107 anni, mentre costruiva altri 8 siti, mise in piedi la struttura secondo una visione logica e invisa a chi odia Israele: siamo fra palestinesi e israeliani, lavoriamo insieme. Qui non ci sono minacce né violenza, dicono i capireparto che sono sia arabi che israeliani. «La politica resta fuori - dice Ahmad Nasser, 28 anni, 2 bambini - questo è un ponte di pace. Lavorando qui mantengo al mio villaggio, Jabaar, 8 persone, molti miei colleghi ne mantengono 10. Quante ne vuole mettere per la strada Oxfam?».
   Durante il pranzo alla mensa quando il direttore Daniel Birnbaum ha ricordato che Scarlett ha preferito dimettersi da Oxfam piuttosto che abbandonare Soda Stream, fra gli operai è scoppiato un grande applauso. Gli Ahmad e i Muhammad qui guadagnano fra tre e quattro volte di più dei loro compatrioti, cioè fra i 2200 e i 1200 dollari. «E da noi c'è il 30 per cento di disoccupazione». Ahmad spiega che gli ebrei sono suoi amici, che sono venuti al suo matrimonio, che il quarantenne dirigente è arabo, un mondo nuovo. Ma la battaglia per la vita contro le campagne di boicottaggio è continua: avvocati, ricorsi, perdite di tempo, anche se la stazza internazionale di Soda Stream (ha succursali in tutto il mondo) la protegge. Ma c'è voluta santa Scarlett per spalancare la grande domanda: i gruppi di boicottaggio sono contro o a favore dei palestinesi?

(il Giornale, 4 febbraio 2014)


L'odio antiebraico ha sempre avuto bisogno di una presentazione in forma morale. In altre parole, è per amore del bene che ci si muove contro gli ebrei: è bene farlo ed è male non farlo. Così si pensa e si dice. La forma attuale suona così: gli ebrei israeliani fanno del male agli arabi palestinesi rubando la loro terra, e quindi è altamente morale esprimere il proprio dissenso boicottando i loro commerci in quelle terre. E' tutto falso. I cosiddetti "territori occupati" non sono terre rubate, ma terre liberate dall'illegale occupazione giordana. Gli ebrei israeliani non fanno del male agli arabi perché la loro presenza su quella terra ha innalzato il benessere di tutti, arabi compresi. E' immorale nascondere il proprio odio verso gli ebrei presentandolo come amore per la giustizia, quando invece è insensibilità verso quelle stesse persone che dalla loro moraleggiante finzione invece di essere beneficate sono danneggiate. A coloro che adducono motivi morali per sostenere il boicottaggio a Israele bisognerebbe dire anzitutto: "Vergognatevi!" M.C.


Lieberman: sappiamo come affrontare i boicottaggi

Il Ministero degli Esteri israeliano risponde al monito del segretario di Stato Usa Kerry.

GERUSALEMME
Sembra proprio che all’Ansa abbiano definitivamente imparato che la capitale di Israele è Gerusalemme.
- ''Lo Stato di Israele e il popolo ebraico si sono misurati con boicottaggi lungo tutta la loro storia. Gia' 100 anni fa c'e' stato un boicottaggio arabo, poi un embargo francese. I boicottaggi non sono una novita': li abbiamo affrontati nella storia e anche in questi giorni operiamo per contrastarli'': lo ha affermato il ministro israeliano degli Esteri Avigdor Lieberman, commentando un recente monito in merito giunto dal segretario di Stato John Kerry.
In una conversazione con la stampa locale Lieberman ha polemizzato con un anonimo funzionario del proprio ministero, citato dai giornali, secondo il quale ''non e' possibile fermare i boicottaggi contro Israele'' e secondo cui i dirigenti politici non sarebbero all'altezza della situazione. Questo funzionario, ha detto Lieberman, e' stato individuato ed isolato da diversi giorni.
''Il ministero degli esteri israeliano - ha proseguito Lieberman - ha messo a punto un piano chiaro e preciso su come misurarsi con il fenomeno''. Fra i diversi ministeri ''c'e' pieno coordinamento'' ha assicurato. ''Non minimizziamo la questione, ma nemmeno ci facciamo prendere dall'isteria. Entro un mese tutti vedranno il nostro approccio''.
Sabato a Monaco (Baviera) Kerry aveva avvertito Israele che se i negoziati di pace con i palestinesi dovessero fallire esiste il rischio che i boicottaggi nei suoi confronti si estendano.

(ANSAmed, 4 febbraio 2014)


Rappresentanti Chabad alle manifestazioni per la Giornata della Memoria

Fotogalleria
Per le celebrazioni della Giornata della Memoria sono stati invitati, da diversi Comuni ed associazioni, anche dei rabbini del movimento Chabad in Italia: Rav Moshe Lazar in Provincia di Cosenza, Rav Shalom Hazan dal Comune di Montesilvano (PE), e Rav Menachem Lazar dal Municipio II di Roma Capitale.
La Giornata della Memoria è una ricorrenza celebrata in tutta Italia, come si legge nel testo della legge: "La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati".
Nel corso di uno spettacolo teatrale, che si è tenuto presso l'Aula Magna dell'università La Sapienza, venerdì 24 gennaio, dei ragazzi delle classi III della scuola secondaria di I grado "Vittorio Alfieri" hanno raccontato la storia delle vittime dell'Olocausto con precisione e passione. Ospite di questo evento, invitato dal Municipio II, è stato Rav Menachem Lazar.
Lunedì 27 gennaio, Rav Shalom Hazan, si è recato a Montesilvano, su invito del sindaco Attilio Di Mattia, dove ha tenuto una conferenza nell'Aula Magna del Liceo scientifico "D'Ascanio", davanti ai ragazzi di due classi dell'Itis "Alessandrini" e in diretta streaming con tutte le classi del "D'Ascanio".
Martedì 28 gennaio, Rav Menachem Lazar ha partecipato ed è intervenuto alla proiezione del documentario "Ferramonti: Un campo sospeso" organizzato dalla sezione ANPI Nomentano Italia di Roma.
La stessa sera, Rav Moshe Lazar ha iniziato un tour nella provincia cosentina organizzato dall'"Opera Nomadi", iniziando a Cittadella del Capo (CS) con l'inaugurazione della sezione ANPI del Tirreno Cosentino.
Il 29 gennaio, a Ferramonti, Rav Moshe Lazar ha ritrovato tracce dell'imprigionamento del cugino Ernesto Lazar, che ha celebrato il suo 100o compleanno e vive a Roma, tramite la foto del suo matrimonio avvenuto quando era internato a Ferramonti.
La mattina del 30 Gennaio, Rav Moshe Lazar ha partecipato a una conferenza organizzata dal Comune di Mendicino, per il locale Istituto Comprensivo, al Parco degli Enotri, poi nel pomeriggio ha partecipato alla fiaccolata nel quartiere ebraico di Cosenza, con la partecipazione delle scuole locali, seguita da una conferenza nel Salone degli Specchi della Provincia, con l'intervento del Presidente On. Mario Oliverio.

(Chabad.Italia, 4 febbraio 2014)


Le accuse infamanti del passato che alimentano ancora l'antisemitismo

di Dino Messina

Il dipinto della fine del XVII secolo esposto a Sandomierz, in Polonia, che documenta la credenza dell'omicidio rituale
Il mese scorso durante una cerimonia a Glatigny, paese nel nord est della Francia, è stata riabilitata la memoria di un umile commerciante ebreo: Raphael Levy nel 1670 venne processato e condannato al rogo con l'accusa di aver ucciso il piccolo Didier Le Moyne, un bambino di tre anni i cui resti vennero ritrovati in un bosco sbranati dalle fiere. Alla fine del Seicento, dunque in epoca preilluministica, si ripeteva l'accusa infamante rivolta contro gli ebrei, dell'omicidio rituale. La stessa levata a Trento contro la comunità giudaica per la scomparsa nel 1475 del piccolo Simonino, venerato come santo nei secoli successivi.
La pratica dell'omicidio dei piccoli cristiani non è mai esistita, soprattutto perché contraria alla religione ebraica; era un falso mito e non un rito come spiegò, tra gli altri,Carlo Ginzburg nel 2008 durante la disputa storiografica suscitata dalla prima versione del saggio di Ariel Toaff, "Pasque di sangue" (il Mulino). Ma il sospetto e l'accusa infamante non sono ancora morti se, come ha rilevato ieri sul "Wall street journal" Edmund Levin, produttore della rete televisiva americana Abc e autore di un saggio sulla vita degli ebrei nella Russia zarista "A Child of Christian Blood"), secondo un recente sondaggio il 13 per cento dei polacchi ancora crede che gli ebrei nel Medioevo «usavano il sangue dei cristiani per le loro cerimonie rituali». È questa una prova che l'antisemitismo continua a far proseliti in Europa (la percentuale di quanti risposero positivamente alla stessa domanda nel 2009 era del 3 per cento) e anche nel mondo islamico (nel novembre 2013 il predicatore musulmano Ra'ad Salah è stato processato in Israele per istigazione alla violenza poiché diffondeva come veritiera l'accusa di omicidio rituale).
La riabilitazione di Raphael Levy, basata su documenti d'archivio, acquista un significato culturale e politico così come la decisione, presa insieme dalle comunità ebraica e cattolica di esporre al pubblico il dipinto «Omicidio rituale» realizzato nel XVIII secolo nella città polacca di Sandomierz e nel secondo dopoguerra nascosto da un telo. Una targa avverte che quel dipinto è il documento di una diffusa e infamante falsa credenza.

(Corriere della Sera, 4 febbraio 2014)


Il questore Giusto

 
La scultura "La Giustizia"
PISA - "Angelo de Fiore, con la sua testimonianza di vita, il suo spirito di servizio e i suoi valori etici e morali che portò con coerenza fino in fondo costituisce un esempio e un modello per tutti noi in quanto esseri umani. E può sicuramente essere una figura di riferimento anche per tutti noi servitori dello Stato di oggi, sia qui in Italia sia da noi in Israele, in particolare per tutti i componenti, responsabili e non, delle forze dell'ordine e delle forze armate, per l'importante e oneroso servizio che hanno scelto di svolgere". Lo ha affermato l'ambasciatore d'Israele a Roma Naor Gilon rendendo omaggio ad Angelo de Fiore, ex questore di Pisa che lo Yad Vashem ha voluto riconoscere come Giusto tra le Nazioni per il suo impegno nel salvataggio di numerosi ebrei nei mesi in cui a Roma infiurò la persecuzione nazifascista. Tra i suoi meriti quello di aver alterato gli schedari e i registri della deportazione permettendo a molte persone di mettersi in salvo.
Ieri, nella questura pisana, la scopertura di una targa commemorativa in suo ricordo. E a seguire, all'aeroporto cittadino, la piantumazione di un ulivo e l'inaugurazione di una scultura ("La Giustizia") dell'artista Rolando Stefanucci. Ad intervenire, tra gli altri, il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza, il questore Gianfranco Bernabei, il sindaco Marco Filippeschi, il capo della Polizia Alessandro Pansa e il prefetto Francesco Tagliente.
"Sono fiera di questa commemorazione. Durante il semestre europeo a guida italiana - ha affermato il ministro Carrozza - porteremo avanti iniziative per far sì che anche il resto d'Europa coltivi la memoria contro ogni rigurgito antisemita e di razzismo". Commovente la testimonianza del figlio Paolo de Fiore, già presidente del Tribunale di Roma. "Mio padre - ha spiegato - era un uomo di forti principi morali. I suoi valori erano la dedizione al lavoro, allo studio e l'amore per la famiglia".

(moked, 4 febbraio 2014)


Dal Qatar ventimila permessi di lavoro per i palestinesi

di Michele Monni

RAMALLAH - Il Qatar ha deciso di destinare circa 20mila permessi di lavoro per i cittadini palestinesi, riaprendo i rapporti in tema di impiego tra l'Autorità nazionale palestinese (Anp) e l'emirato del Golfo dopo circa otto anni di stallo. "E' un'iniziativa importantissima - ha commentato con l'ANSA Ihab Bazeeso, portavoce dell'Anp - Ogni anno le università palestinesi sfornano migliaia di ingegneri, dottori e tecnici informatici, ma per la penuria di lavoro (la disoccupazione giovanile in Cisgiordania, secondo dati recenti, sfiora il 40%) sono costretti ad accettare qualsiasi cosa". I permessi, ha detto Munir Ghannam, ambasciatore palestinese in Qatar che ne ha parlato con l'agenzia Doha News, "sono una diretta risposta ad una richiesta fatta dal primo ministro Rami Hamdallah" durante una visita in Qatar alla fine dell'anno scorso. I primi permessi, secondo Ghannam, dovrebbero essere rilasciati questa settimana e consentirebbero a chi è in possesso di documenti d'identità palestinesi - anche quelli privi di passaporto - di lavorare in Qatar, dove già migliaia di palestinesi vivono da anni. Molte nazioni del Golfo applicano quote sul numero di lavoratori stranieri, in Qatar, ha spiegato Ghannan, la quota prevista per i palestinesi era finora rimasta a zero.
Per facilitare il processo di candidatura, i rispettivi ministeri del lavoro stanno creando un database che possa permettere ai palestinesi di caricare il proprio curriculum vitae, in modo da essere visto da dirigenti d'azienda in Qatar. Eleggibili per il permesso di lavoro, secondo Ghannam, sono tutti i cittadini della Cisgiordania e di Gaza ma non è ancora chiaro se i permessi possano includere i famigliari dei lavoratori.
I legami tra il Qatar e l'Anp negli ultimi due anni sono migliorati sensibilmente: nel novembre scorso l'emirato ha donato circa 150 milioni di dollari per sostenere l'operatività del governo del presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas) ed è stato tra gli investitori nel progetto di Rawabi, la nuova città palestinese nata da un'idea di Bashar al-Masri, nipote di Munib, il miliardario palestinese di Nablus. L'emirato negli ultimi due anni si è fatto inoltre sponsor attivo per la riunificazione delle due fazioni palestinesi (al-Fatah e Hamas) con, nel 2012, una dichiarazione d'intenti firmata da Abbas e da Khaled Meshal proprio nella capitale qatariota.

(ANSAmed, 3 febbraio 2014)


Comics&Jews - Rutu Modan ancora al vertice

di Ada Treves

Rutu Modan
Dopo il prestigioso Gran Guinigi ricevuto a Lucca Comics lo scorso novembre, il graphic novel "La proprietà" dell'israeliana Rutu Modan ha conquistato anche la quarantunesima edizione del Festival Internazionale del Fumetto di Angoulême. La storia, che a una prima lettura racconta il viaggio di una nonna e di una nipote a Varsavia, sulle tracce di un appartamento abbandonato durante la guerra, concentra in sé numerosi temi complessi, dal modo in cui la seconda e terza generazione - figli e nipoti dei sopravvissuti - si confrontano con gli anni bui del nazismo, al rapporto degli israeliani con l'Europa, e con il passato. Senza sconti, ma senza mai appesantire la storia, Rutu Modan lascia che siano i fatti, le azioni dei personaggi a raccontare, a suggerire, a far pensare e a portare al successo questo suo ultimo lavoro.
Durante la manifestazione, come sempre ricchissima di eventi, un pubblico fittissimo e appassionato ha visitato le numerose mostre, e assisstito agli incontri con autori provenienti da tutto il mondo. Uno dei protagonisti è stato Quino, il creatore di Mafalda fresca cinquantenne, e nonostante qualche polemica sulle nuove regole per l'attribuzione del Grand Prix, considerate da alcuni più aperte e democratiche e da altri invece solo confuse e vagamente populiste, il concorso ufficiale ha premiato grandi autori.
Il Grand Prix de la ville d'Angouleme 2014 è andato a Bill Watterson, il creatore di Calvin & Hobbes, che sarà quindi presidente dell'edizione 2015 (ma sarà difficile che l'autore americano, da anni lontano dalle scene, partecipi veramente) mentre il palmarès delle opere in concorso ha assegnato il Fauve d'or per il Migliore album a "Come prima" di Alfred, che uscirà da noi a maggio e racconta il viaggio di due fratelli nell'Italia degli anni Sessanta.
Il premio speciale della giuria, invece, è andato a Rutu Modan, l'autrice israeliana cui Pagine Ebraiche ha dedicato spazio a novembre sia con la grande intervista che nel dossier dedicato al rapporto fra il fumetto e la cultura ebraica, quel Comics&Jews che esce tutti gli anni a novembre, in concomitanza con Lucca Comics&Games. E a Lucca proprio Rutu Modan, due giorni prima di vincere il Gran Guinigi è stata protagonista di una intervista doppia a cura della redazione di Pagine Ebraiche insieme a Guy Delisle, il canadese che fra le sue tante opere di graphic journalism ha dedicato un volume a Gerusalemme.

(moked, 3 febbraio 2014)


Kerry accusato di utilizzare minacce contro Israele

Due ministri israeliani hanno accusato il segretario di stato americano John Kerry di utilizzare le minacce di boicottaggio di Israele nel mondo per ottenere concessioni israeliane nei negoziati con i palestinesi.

GERUSALEMME - Due ministri israeliani hanno accusato il segretario di stato americano John Kerry di utilizzare le minacce di boicottaggio di Israele nel mondo per ottenere concessioni israeliane nei negoziati con i palestinesi. I ministri del gabinetto di Benjamin Netanyahu hanno in pratica accusato Kerry di fare sue le proposte «antisemitiche» per indurre Israele a un atteggiamento più accondiscendente.
«E' un peccato constatare che l'amministrazione americana non capisce la realtà del Medio Oriente ed esercita pressioni sul lato sbagliato del conflitto israelo-palestinese», ha affermato il ministro Gilad Erdan, molto vicino a Netanyahu. «Avrei preferito che Kerry spiegasse ad Abu Mazen ciò che gli potrebbe accadere se continuerà a rifiutare la pace», ha aggiunto Erdan intervistato alla radio pubblica.
Parlando dalla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Kerry aveva detto che «i rischi sono molto alti per Israele» poiché la «gente comincia a parlare di boicottaggio. Che si intensificherà in caso di fallimento» dei negoziati.

(TMNews, 3 febbraio 2014)


Israele: il programma nucleare dell'Iran ha una finalità militare

Israele non ha dubbi che il programma nucleare dell'Iran abbia finalità militari, a dichiararlo è stato il ministro israeliano della difesa Moshe Yaalon alla Conferenza sulla Politica di sicurezza a Monaco di Baviera.
"Siamo sicuri che l'Iran ha intenzione di avere armi nucleari", ha sottolineato il ministro.
Yaalon ha esortato i partecipanti della conferenza a non illudersi e capire che ora Teheran è al tavolo delle trattative solo grazie alla difficile situazione economica nel Paese.
"La nostra politica è perfettamente precisa: in Iran deve essere terminato il programma nucleare militare", ha concluso il ministro.

(La Voce della Russia, 3 febbraio 2014)


Oltremare - Reality
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Chiunque mi conosca sa quanta poca pazienza ho per i reality, in ogni loro declinazione e manifestazione. Non ho visto una sola puntata di grandi fratelli e altre inutilità selezionatorie assortite, spettacoli di cui sarebbe fierissimo Nerone, produzioni mastodontiche e carissime e partecipanti pronti a ogni cosa pur di allungare la propria vita sullo schermo - in questo, davvero novelli gladiatori.
In Israele non si scampa ai reality, prova inconfutabile che il vecchio ed abusato "voi ebrei siete tutti intelligenti" è puro antisemitismo. Cinque minuti davanti a un Ach Hagadol (Grande Fratello versione israeliana) tolgono ogni dubbio, e si va a dormire sereni sapendo che anche noi abbiamo la nostra bella quota di ignoranti, cretini e buzzurri. Metterei un accento sui buzzurri.
Però questo sano snobismo va in crisi quando mi si fa notare che per entrare davvero nella testa degli israeliani, per capire i dialoghi fra colleghi e amici, un po' di reality bisogna guardarli. Soprattutto, mi si continua a dire, quelli che girano intorno al cibo: i Masterchef e compagnia bella.
Non è difficile, basta accendere la tivù praticamente su qualsiasi canale quasi ogni sera della settimana e un reality gastronomico comparirà. Siamo circondati da israeliani che vorrebbero aprire il proprio ristorante, e che hanno storie strappalacrime da dispensare ad ogni portata.
Ho tentato, e a parte la noia mortale delle storie tutte ugualmente commoventi o emozionanti, a parte il disordine e l'aspetto poco curato dei partecipanti (uno si aspetta che almeno per andare in televisione si passi prima dal parucchiere), ho trovato un buon motivo per l'esistenza di questi spettacoli in Israele: sono vere e proprie ribalte del faticoso melting pot locale. Quegli studi televisivi si sono trasformati nella forse unica arena in cui ebrei regligiosi e non, sefarditi, ashkenaziti, yemeniti, etiopi, arabi israeliani, nuovi immigrati da ogni dove, si incontrano, dialogano, si imparano a vicenda, in breve convivono. In modo forse coatto, di certo con l'unico scopo di fare audience. E pazienza. Viva i reality culinari (che continuerò a non guardare).

(moked, 3 febbraio 2014)



Al via l'Imtm l'11-12 febbraio a Tel Aviv

L'Imtm, esposizione internazionale dedicata al turismo giunta alla sua ventesima edizione, avrà luogo nelle giornate dell'11 e 12 febbraio presso il Convention Center di Tel Aviv. La fiera
sarà aperta al mercato trade al mattino e al pomeriggio anche il pubblico avrà la possibilità di partecipare. L'edizione del IMTM 2013 ha ospitato i rappresentanti di 39 Paesi, mille 225 espositori e circa 21 mila 900 visitatori, tra visitatori professionali, provenienti dall'industria del turismo locale, agenti di viaggio provenienti dall'estero e pubblico. Imtm 2014 mira a raggiungere una maggiore affluenza con i rappresentanti di Paesi come Nepal , Ecuador, Repubblica Dominicana, Montenegro, Estonia e Albania.

(Travel Quotidiano, 3 febbraio 2014)


La «stecca» di Noa la star

Achinoam Nini, detta Noa, è famosa in tutto il mondo per le sue incredibili doti canore, per la colonna sonora del film di Benigni «La vita è bella-e anche per aver cantato davanti al Papa, all'Onu, ad Assisi, in tutte le circostanze in cui poteva dimostrare il suo pacifismo. Fin qui tutto bene. Quello che colpisce è che da quel cuore pacifico sia spuntata una spada autoritaria per cui se non la pensi come me ti disprezzo, ti denuncio, non voglio avere niente a che fare con te. È così che Noa ha rifiutato un prestigioso premio canoro da un' associazione israeliana Acum che protegge il lavoro degli artisti. Lo ha rifiutato perché Acum mentre le dedicava il premio per la promozione della musica israeliana, attribuiva a un altro meno famoso cantante, Ariel Zilber, il premio alla carriera. Zilber va per i settanta, ha la barba bianca, è un uomo di rock e di fede e ha il difetto, per Noa, di essere di destra, poco propenso a concessioni territoriali. Così Noa ha annunciato di rinunciare per «ragioni ideologiche»: e mentre riafferma la sua militanza per i diritti umani, delegittima come artista indegno uno che non la pensa come lei. Ma la delegittimazione è un gesto razzista, e Noa, una star internazionale, sa che il suo gesto aiuta quelli che pensano che in Israele ci sono da una parte alcuni buoni come Noa e poi molti orribili cattivi che non vogliono la pace. Sabato Kerry, parlando del processo di pace ha minacciato solo Israele di rovina economica se esso fallirà. Ne ha delegittimato la volontà di pace senza ricordare che i palestinesi ogni giorno minacciano la rottura. Ok: è la politica, stupido. Ma la delegittimazione dovrebbe ignorare almeno il pentagramma.

(il Giornale, 3 febbraio 2014)


Alture del Golan, nell'ospedale segreto israeliano si curano i feriti della Siria

Il secondo canale della TV israeliana ha dato il servizio sull'ospedale segreto, situato sulle Alture del Golan, dove si curano i siriani, feriti durante la guerra civile.
In ospedale, dove lavorano i medici militari israeliani da meno di un anno, hanno avuto aiuto medico oltre 700 persone. Gli israeliani curano tutti i siriani, senza dipendenza dei loro principi politici o religiosi.
Secondo la testimonianza del personale, i feriti che giungono hanno le idee fantastiche e assurde su Israele. Molti erano convinti che gli israeliani sono figli del diavolo e alcuni speravano di vedere le code tra le gambe.

(La Voce della Russia, 3 febbraio 2014)


La Francia in piazza. In migliaia sfilano contro le nozze gay

La Francia conservatrice in piazza contro i matrimoni e le adozioni gay, la procreazione assistita per le coppie lesbiche, le «madri in affitto». In difesa della famiglia tradizionale, ma soprattutto contro Hollande. Decine di migliaia di persone - 80mila secondo la polizia, 500mila secondo gli organizzatori - ieri hanno manifestato a Parigi e 20mila a Lione (40 mila, secondo gli organizzatori) rispondendo alla convocazione di «Manif pour tous» («Una manifestazione per tutti»). Un enorme corteo unito, tra l'altro, dallo slogan «no alla teoria di genere», attribuita al governo che, secondo i manifestanti, vorrebbe negare le differenze di genere e promuovere l'omosessualita con un'educazione sessuale «deviante» nelle scuole. Nel corteo parigino, lungo sei chilomentri, la singolare convergenza di cattolici tradizionalisti e musulmani conservatori che hanno detto di condividere valori comuni. «Una mobilitazione notevole», ha commentato Ludovine de la Rochere, presidente di «Manif pour tous», chiedendo al governo di rispondere alle «questioni sollevate dai manifestanti» che sventolavano bandiere con le immagini di una famiglia tipo: padre, madre e due figli, un maschio e una femmina. E alle quali ha risposto la portavoce del governo Najat Vallaud: «Ci sono persone che non accettano l'uguaglianza donna-uomo, la liberazione delle donne, che sostengono un modello familiare unico». Non ci sono stati incidenti, anche se la polizia ha fermato nel primo pomeriggio - e poi rilasciato - alcuni membri di un gruppuscolo di estrema destra che si apprestava a unirsi al corteo.

(La Gazzetta dello Sport, 3 febbraio 2014)


Non avrai relazioni carnali con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei.
Non darai i tuoi figli perché vengano offerti a Moloc; e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono l'Eterno.
Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole.
Non ti accoppierai con nessuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si prostituirà a una bestia: è una mostruosità.
Non vi contaminate con nessuna di queste cose; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per cacciare davanti a voi. Il paese ne è stato contaminato; per questo io punirò la sua iniquità; il paese vomiterà i suoi abitanti. Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, e non commetterete nessuna di queste cose abominevoli: né colui che è nativo del paese, né lo straniero che abita in mezzo a voi. Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi, e il paese ne è stato contaminato. Badate che, se contaminate il paese, esso non vi vomiti come ha vomitato le nazioni che vi stavano prima di voi. Poiché tutti quelli che commetteranno qualcuna di queste cose abominevoli saranno tolti via dal mezzo del loro popolo. Osserverete dunque i miei ordini e non seguirete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati seguiti prima di voi, e non vi contaminerete con essi. Io sono l'Eterno, l'Iddio vostro.

Dal libro del Levitico, cap.18







 

Israele offre venti milioni di dollari alle vittime di Mavi Marmara

Ma nessun accordo sarà concluso prima di voto in Turchia

GERUSALEMME, 3 feb. - Israele ha offerto 20 milioni di dollari di risarcimento alle famiglie dei nove attivisti turchi uccisi nel 2010 dall'esercito israeliano durante l'assalto contro la nave Mavi Marmara al largo della Striscia di Gaza.
Citando fonti diplomatiche occidentali, il giornale ha aggiunto che le discussioni tra i due paesi hanno fatto passi in avanti, ma che nessun accordo è stato ancora concluso. Secondo il quotidiano, le trattative sono riprese a dicembre con la visita ad Ankara di una delegazione israeliana.
In questa occasione i responsabili turchi hanno chiesto 30 milioni di dollari di indennizzo, mentre Israele ne proponeva 15, non versati direttamente alle famiglie, ma depositati su un fondo umanitario e suddivisi tra le vittime e le loro famiglie sulla base di criteri ben definiti.
Secondo alcuni responabili israeliani, comunque, nessun accordo sarà comunque siglato prima delle elezioni in Turchia, previste il 30 marzo.

(TMNews, 3 febbraio 2014)


Insonnia? Lo smartphone può aiutarci a combatterla

Registra il sonno e suggerisce un piano del buon riposo

ROMA - Altro che pillole, a combattere meglio insonnia e disturbi del sonno da oggi può aiutarci lo smartphone. Scaricando una app chiamata Sleeprate, realizzata dal dipartimento di fisica medica dell'università di Tel Aviv, sapremo come abbiamo dormito e quali sono le regole più "adatte" al nostro stile vita che possono farci riuscire a riposare al meglio.
La app funziona utilizzando gli stessi parametri che vengono monitorati solitamente nei laboratori del sonno (sonno, battito cardiaco e respirazione) e ha il vantaggio di poter essere utilizzata da casa, dormendo nel proprio letto anziché in quello del laboratorio. Il funzionamento e' basato sull'analisi di cinque notti di sonno, che va effettuata andando a letto con accanto il proprio smartphone e la app attivata, oltre che un sensore che rileva i battiti cardiaci (come ad esempio un holter pressorio).
Al termine avremo il nostro "diario del sonno", dal quale potremo rilevare quanto impieghiamo a raggiungere un sonno stabile, quante volte ci svegliamo e quanto durano le nostre sessioni di sonno. Il microfono dle telefono registrerà anche i rumori ambientali, rilevando quelli che sono in grado di svegliarci. Infine, otterremo un piano personalizzato per un buon riposo, nel quale saremo guidati a scegliere l'orario migliore per dormire e per svegliarci, ci verranno suggeriti degli esercizi per rilassarci prima di andare a letto e delle attività distensive, come fare il bagno, ascoltare musica e leggere (non i thriller ovviamente).

(ANSA, 3 febbraio 2014)


Pioggia di razzi da Gaza su Israele: Tzahal minaccia di reagire duramente

Torna a livelli di guardia il conflitto tra Israele e Gaza. Dalla Striscia - dopo un anno di relativa calma, seguita al cessate il fuoco tra le parti dopo il novembre del 2012 - l'esercito israeliano ha denunciato un aumento drammatico del lancio di razzi. Solo in questo mese - ha elencato in un rapporto - sono stati 28 i razzi piovuti dalla Striscia: 14 di questi caduti nel sud di Israele, cui 5 diretti verso aree abitate di Ashkelon e intercettati dal sistema antimissili Iron Dome. Per questo, il ministro della Difesa Moshe Yaalon è tornato ad ammonire Hamas, la fazione islamica palestinese al potere nell'enclave, ritenuta da Israele responsabile ultima del controllo nella Striscia, che lo Stato ebraico non tollererà oltre. «L'esercito - ha detto Yaalon - continuerà a colpire coloro che sparano verso Israele o tentano attacchi terroristici». Un atteggiamento che si riverbera anche in Cisgiordania dove nelle ultime settimane si ripetono incidenti: almeno 15 dimostranti palestinesi sono stati feriti dal fuoco dell'esercito durante una manifestazione divampata nel campo profughi di Jelazun (Ramallah) per i funerali di un ragazzo ucciso giovedì. Da Gaza, frattanto, l'ultimo lancio di razzi verso il territorio israeliano è avvenuto solo poche ore fa. Ed è scattata la reazione dell'aviazione dello Stato ebraico. Raid aerei hanno centrato tre obiettivi di Hamas (un sito di attività terroristiche, una fabbrica e un deposito di armi) nel sud e nel nord della Striscia. Nel bilancio pubblicato dall'esercito si ricordano anche le tre esplosioni nei pressi del linea di demarcazioni che hanno lambito pattuglie di Tzahal (e forze armate israeliane).

(Secolo d'Italia, 2 febbraio 2014)


Netanyahu respinge le minacce di boicottaggio

GERUSALEMME - ''Le minacce di boicottaggio contro Israele non otterranno il loro fine'': lo ha detto il premier Netanyahu riferendosi anche al monito espresso a Monaco da John Kerry. ''I tentativi di imporre un boicottaggio ad Israele non sono morali e non sono giustificati', ha aggiunto. Ieri il segretario di stato ha parlato di una ''campagna crescente di delegittimazione'' di Israele. ''Si parla di boicottaggi e di altre cose''. ''Lo status quo attuale, ha detto, cambierà in caso di fallimento".

(ANSA, 2 febbraio 2014)


Visitare la Grande Sinagoga di Budapest con le guide in italiano

La Grande Sinagoga, un ponte tra ebraismo e cristianesimo

  
La Grande Sinagoga di Budapest
Non è stata l'attrazione più bella visitata durante il mio ultimo viaggio a Budapest, ma di certo quella che più mi ha sorpreso; quella che mi ha lasciato il segno più vivido, qualche mese dopo che ci ritorno con la memoria: la Sinagoga Grande di Budapest.
E ripensandoci, molto è dipeso dalle aspettative, le mie, e dalla bravura della guida, in italiano, che ci ha condotto alla scoperta della Sinagoga Grande di Budapest. Per cui il mio consiglio è, visitatela, ma con una guida (o preparatevi bene).
L'aspettativa era bassa, perché mi dicevo (probabilmente a torto) che le sinagoghe alla fine si somigliano tutte, perché devono rispettare stretti canoni religiosi, come quello che non permette le rappresentazioni umane al loro interno.
Ma questa Sinagoga è diversa, perché è il tentativo di creare un ponte tra ebraismo e cristianesimo. Un obiettivo apertamente dichiarato dalla facciata (due torri che ricordano i campanili), ripreso anche all'interno.
Non aspettatevi affreschi o statue, ma già vedere gli spazi divisi in tre navate ed un abside, fa un certo effetto. Un'ora per visitare gli interni, il cimitero, testimone degli orrori e dei deliri del nazismo, e un parco della memoria, dove potete lasciare un sasso agli ebrei uccisi durante la guerra, ed uno anche ai giusti, tra i quali anche l'italiano Perlasca.

(travelblog, 2 febbraio 2014)


Prepararsi all'esame psicometrico

Al via a Milano i corsi di preparazione all'esame psicometrico per l'accesso alle università israeliane che da quest'anno, grazie a un recente accordo siglato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con Nite (l'Istituto Israeliano per la Verifica e la Valutazione), sarà per la prima volta possibile sostenere anche in lingua italiana. L'incontro odierno, primo di una serie di quattro appuntamenti finalizzati ad arricchire la preparazione dei partecipanti in vista del test, è stato introdotto da un intervento dell'assessore alle scuole UCEI Raffaele Turiel. Docente di giornata è stato invece Giacomo Sassun. Oltre cinquanta gli studenti ritrovatisi nella scuola ebraica milanese, mentre sono stati alcune decine i partecipanti collegati online da tutta Italia e Israele. Notevole l'interesse suscitato dall'iniziativa: nelle ultime settimane infatti lo staff dell'Unione si è trovato a gestire oltre 900 richieste di informazioni, ha raccolto e coordinato più di 280 iscrizioni, organizzato i pagamenti in quattro sedi (Roma, Milano, Gerusalemme e Tel Aviv), oltre all'impegno legato alla traduzione in lingua italiana del test psicometrico di luglio 2013. Tra le tante iniziative, il team di lavoro UCEI ha inoltre organizzato numerose lezioni di preparazione su Roma, Milano e Gerusalemme.

(Notiziario Ucei, 2 febbraio 2014)


La presa in giro di Ginevra costa 1900 morti alla Siria

Un trionfo per Assad: la conferenza sulla Siria "Ginevra 2" non ha conseguito nessun risultato, nessuna pacificazione tra le parti e non ha avviato una road map per obbligarlo a lasciare il potere. Per triste ammissione dello stesso mediatore dell'Onu Lakhdar Brahimi, non è neanche servita per l'obiettivo minimo di aprire un corridoio umanitario limitato alla città di Homs. All'opposto, ha fornito ad Assad piena legittimità, gli è servita come comodo podio per spiegare al mondo le sue pessime ragioni e ha sancito un fatto inaudito: gli Usa, l'Onu e l'Europa stanno in silenzio e impotenti - per scelta - ad ascoltare le sue più tracotanti e offensive dichiarazioni di macellaio che intende continuare a macellare il suo popolo, come ha impunemente detto il suo emissario a Ginevra, il ministro degli Esteri Muallem.
Tutto questo, mentre - durante Ginevra 2 - altri 1.900 siriani sono stati maciullati dalle sue truppe e dai suoi bombardamenti aerei (solo ieri 46 persone di cui 13 bambini). Ma non basta, mentre tutta l'attenzione del mondo e dei media era rivolta al palcoscenico offerto al dittatore da Barack Obama e dall'Onu, è passata sotto silenzio una notizia bomba: Assad non ha minimamente dato corso al disarmo chimico, ha fatto uscire dalla Siria solo il 4% delle sue armi chimiche e non ha rispettato le scadenze della loro consegna agli ispettori dell'Onu. Né, d'altronde, aveva e avrà ragione di farlo: ha infatti fatto tesoro della arrendevolezza di Obama che ha ampiamente dimostrato di non avere nessuna intenzione di punirlo per i suoi delitti, tantomeno per non aver mantenuto la parola sulla distruzione delle armi chimiche, né di fare alcunché per impedirgli di continuare a massacrare siriani (tra poco le vittime saranno 140.000). Sigillo della vittoria politica di Assad sono le parole del suo principale alleato, la Russia, che attraverso il suo ministro degli Esteri Lavrov ha ieri definito il nulla di fatto di Ginevra 2 "un grande successo".
Specularmente, l'opposizione siriana esce doppiamente sconfitta. Il "laico" Consiglio Nazionale Siriano (Cns), l'unica organizzazione di oppositori siriani che ha accettato (su pressioni di Usa e Turchia) di presentarsi alle trattative, ha infatti dimostrato di non sapere buttare sul tavolo una sufficiente forza contrattuale, di non potere minacciare di ritorsioni Assad e di non avere la forza per obbligarlo a concessioni. La ragione è molto semplice: il Cns è debolissimo, ha ormai pochi uomini sul terreno e per di più è diviso politicamente. L'insuccesso di Ginevra 2 era peraltro obbligato da quando si è verificato che non si sarebbero presentati a trattare con Assad né la più forte organizzazione sul terreno, il Fronte Islamico (60.000 miliziani) appoggiato dall'Arabia Saudita, né gli jihadisti dell'Isil (che controllano il Nord est della Siria e anche parte dell'Anbar, la regione sunnita dell'Iraq) e i qaidisti di al Nusra (30-40.000 miliziani nel complesso). Peraltro, questo spaventoso numero di milizie qaidiste e islamiste (che includono 4-500 europei, tra i quali francesi, inglesi e italiani) dimostra che la Siria è diventata una polveriera di estremismo islamico che minaccia tutto il Mediterraneo. Ma dimostra anche la responsabilità di Obama e dell'Ue nell'avere non solo permesso, ma addirittura "costruito" questo focolaio jihadista. Nel 2012 i jihadisti in Siria erano solo 2-3.000, mentre il Cns con la sua Free Syrian Army composta da disertori dell'esercito di Assad era egemone sul terreno e molto appoggiata dalla popolazione. Ma Obama e la Ue, per timore che finissero in mano ai jihadisti, si rifiutarono di consegnar le poche armi pesanti che avrebbero permesso a loro di abbattere Assad, e hanno puntato tutto sulle trattative - ora fallite - di Ginevra. Risultato: il Cns è ora quasi scomparso, mentre jihadisti e i qaidisti sono diventati un esercito. E ora si replica: a giorni Obama, Onu e Ue riprenderanno le trattative sul nucleare con il fondamentale alleato della Siria, l'Iran. Verificata l'ignavia degli Usa di Obama, è prevedibile che gli iraniani si comporteranno come Assad.

(Libero, 2 febbraio 2014)


Accordo nucleare iraniano: l'unica a guadagnarci è Teheran

di Daniele Toscano

Luca La Bella, Senior Analyst Desk Asia al Centro Studi Internazionali
L'accordo sul programma nucleare iraniano del 24 novembre scorso tra Teheran e il cosiddetto gruppo dei 5+1 (USA, Russia, Regno Unito, Cina, Francia e Germania) ha lasciato molte perplessità. Su questo argomento si è svolta la tavola rotonda «Un nuovo Iran? Cosa si nasconde dietro la "charm diplomacy" iraniana», organizzato dalla Fondazione Magna Carta. Dopo i saluti iniziali del Presidente della Commissione Esteri della Camera Fabrizio Cicchitto, sono intervenuti esperti relatori, moderati da Emanuele Ottolenghi, Senior Fellow alla Foundation for defence of democracy di Washington. Questi ha illustrato i reali vantaggi ottenuti dall'Iran con l'alleggerimento delle sanzioni: assai limitati saranno i profitti per i privati, mentre a fruirne saranno i settori petrolchimico, automobilistico e dell'aviazione, dietro i quali si celano i poteri forti del Paese, con società controllate dalla Guida Suprema, l'ayatollah Khamenei, o dai Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, le categorie che in Iran di fatto detengono anche il potere politico. A Ginevra, altri due elementi che fungevano da deterrenti sono venuti meno: il timore di un rovesciamento del regime e la minaccia militare, per un atteggiamento dell'Occidente percepito a Teheran come una sostanziale acquiescenza, ha concluso Ottolenghi.
  Luca La Bella, Senior Analyst Desk Asia al Centro Studi Internazionali, si è soffermato ancora sugli equilibri economici e sulle competenze politiche dei diversi organi: i Pasdaran, già forti dei guadagni ottenuti anche negli anni delle sanzioni grazie alla gestione dell'economia sommersa, si sono così garantiti ulteriori profitti. Contrariamente alle Guardie della Rivoluzione e a Khamenei, al Presidente spettano invece poteri assai limitati, tanto più nel caso di Rouhani, che si presenta appoggiato da una delle fazioni più deboli. Per questi motivi, anche secondo La Bella, l'accordo di Ginevra non è stato il migliore degli accordi possibili né un vero e proprio "rapprochement" tra Iran e Stati Uniti. L'intervento di Fiamma Nirenstein, giornalista esperta di Medio Oriente ed ex parlamentare, si è basato sugli scenari futuri. A Ginevra non si è vietato all'Iran l'arricchimento dell'uranio, né si è intervenuti sulle quantità già arricchite. Con questo trattato, inoltre, si è elusa la maggiore ampiezza della questione iraniana, non legata esclusivamente al problema del nucleare: si tratta di uno Stato che ha minacciato la distruzione di un altro Paese, esporta terrorismo, lapida le donne, incarcera gli oppositori politici, sottopone a persecuzioni le minoranze. Il gesto di Obama, dunque, basato sulla buonafede e finalizzato al raggiungimento della pace, rischia di sortire l'effetto opposto, generando ulteriori spaccature in un Medio Oriente già instabile dove i movimenti estremisti, da al Qaeda ai salafiti, si stanno rafforzando.
  Proprio alle minoranze ha rivolto la propria attenzione il ricercatore curdo iraniano Alan Salehzadeh: l'Iran continua a diffondere un'ideologia anti-israeliana ed una propaganda contro i diritti umani e la democrazia; in questo quadro, i diritti per le minoranze, circa il 50% della popolazione, non vengono rispettati: arabi, curdi, azeri, balusci sono infatti considerati cittadini di seconda classe.
  Emiliano Stornelli, Senior Fellow del Comitato Atlantico, ha ravvisato nelle esigenze economiche l'incentivo dell'Iran a negoziare con l'Occidente, proponendo un'analogia con il 1989, quando, all'indomani della guerra con l'Iraq, si iniziò una svolta moderata con Rafsanjani, con lo scopo di acquisire credibilità e soprattutto di attrarre investimenti dall'estero.
  Non mancano i buoni auspici: come ha fatto notare l'Ambasciatore Guido Lenzi, intervenuto dal pubblico, l'Iran è oggi tornato ad essere un membro effettivo della Comunità internazionale e potrà essere messo di fronte alle proprie responsabilità. Sperando che questo non sia, come ha replicato Fiamma Nirenstein, un vantaggio troppo piccolo.

(Shalom, gennaio 2014)


Allarme al museo ebraico di Roma

Sacchetti di sabbia per difendere manoscritti e paramenti

Hanno atteso che finisse il riposo rituale dello shabat, e alle 18 in quaranta hanno messo in sicurezza con sacchi di sabbia e teIoni i tesori del museo accanto alla sinagoga. Quaranta volontari della sicurezza della comunità ebraica, guidati dal segretario della Cer, Emanuele Di Porto, hanno lavorato per ore: «C'era il rischio - dice Fabio Perugia, portavoce della comunità - che i tombini esplodessero o addirittura che il Tevere esondasse. Così siamo intervenuti preventivamente per salvaguardare reperti importanti come i manoscritti del 1300 e i preziosi paramenti».

(la Repubblica, 2 febbraio 2014)


Perciò, avendo noi questo ministero in virtù della misericordia che ci è stata fatta, non ci perdiamo d'animo; al contrario, abbiamo rifiutato gli intrighi vergognosi e non ci comportiamo con astuzia né falsifichiamo la parola di Dio, ma rendendo pubblica la verità, raccomandiamo noi stessi alla coscienza di ogni uomo davanti a Dio. Se il nostro vangelo è ancora velato, è velato per quelli che sono sulla via della perdizione, per gli increduli, ai quali il dio di questo mondo ha accecato le menti, affinché non risplenda loro la luce del vangelo della gloria di Cristo, che è l'immagine di Dio. Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù quale Signore, e quanto a noi ci dichiariamo vostri servi per amore di Gesù; perché il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo.

Dalla seconda lettera dell’aposto Paolo ai Corinzi, cap. 4







 

Sinagoghe lombarde

La fede religiosa vive di testi, di riti, di emozioni condivise. Ma anche di spazi, che accolgono e proteggono. Attraverso i luoghi si svela il passato di una comunità, se ne misura il presente, ci si sporge sulla balaustra del suo futuro.
Anche nel giudaismo di diaspora - così mobile, fluttuante, portatile - mura e pietre costruiscono identità. All'inquietudine dell'esilio fanno da contrappeso ambienti carichi di significato simbolico. Sinagoghe stipate di arredi, di libri di preghiera e di memorie, e cimiteri, irti di lapidi e abitati da rammarico e speranza.
Il censimento dei beni architettonici ebraici in Lombardia, promosso dall'Università degli Studi di Milano e sostenuto dal Centro di Judaica Goren-Goldstein, non è solo un atlante della presenza giudaica nella Regione. È anche un esempio, ben riuscito, di eloquenza spaziale.
Si scorrano le immagini dei molti templi e oratori sparsi per Milano, e le si confrontino con le illustrazioni dei luoghi di culto di Mantova e del mantovano. Si avrà subito un'idea delle diverse atmosfere e della storia che ha scavato con solchi differenti. Tutto moderno, teso e attivo l'ebraismo milanese; carico di secoli e di fasti, ora sbiaditi, quello dei vecchi possedimenti gonzagheschi. Con alcune perle, come la perfetta e straniata sinagoga incompiuta di Viadana, nascosta dentro un viluppo di ambienti profani, o - all'altro capo del tempo - la casa di preghiera progettata da Daniel Libeskind per il Beit Chabad - Milan Jewish Center, e non ancora costruita.
Avrà la forma dello shofar, lo stentoreo corno d'ariete che si suona in occasioni particolari, come il capo d'anno e il giorno dell'espiazione. Una comunità che fa rumore, tutta da realizzare, è l'augurio appropriato per l'ebraismo lombardo della prossima generazione.

(Il Sole 24 Ore, 2 febbraio 2014)


Offese la Comunità ebraica, scuse e duemila euro

Il capogruppo della Lega in Provincia Paolo Polidori ha patteggiato la pena. «Mi dispiace, dovevo chiarire prima».

di Corrado Barbacini

  
TRIESTE - Tante scuse alla comunità ebraica e una pena equivalente a duemila euro.
Si è chiusa con un patteggiamento la vicenda di Paolo Polidori, capogruppo della Lega Nord in Provincia che due anni fa durante un incontro pubblico avvenuto all'hotel Savoia aveva detto: «Ribadisco che il potere finanziario mondiale è in mano al sistema giudaico massonico». Era stato accusato di violazione della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
Ieri mattina il difensore di Polidori, l'avvocato Davor Blaskovic subentrato al collega Giuseppe Turco, il quale era a sua volta subentrato al collega Livio Bernot, ha formalizzato l'accordo di patteggiamento davanti al giudice Laura Barresi. La pena pecuniaria è appunto di duemila euro. Ma quello che conta sono state le scuse formali. «Mi sono reso conto - ha scritto Polidori - di aver fatto un uso sconsiderato dell'espressione "sistema giudaico massone", perché diretta a favorire la diffusione di idee sbagliate, perché fondate su un notorio falso storico, che possono fomentare atti di discriminazione razziale o religiosa nei confronti del Popolo ebraico. Mi dispiace di quanto accaduto - continua la lettera del capogruppo del Carroccio - e porgo le mie sentite e sincere scuse a tutte le Comunità ebraiche e a tutti gli appartenenti al Popolo ebraico. Colgo l'occasione per manifestare il rispetto e la stima che ho sempre avuto nei confronti del Popolo ebraico e confido che questa spiacevole vicenda possa così concludersi».
Polidori durante l'udienza ha fatto di più. Con gli occhi bassi e con comprensibile imbarazzo rivolto al giudice Laura Barresi ma anche all'avvocato Maria Genovese che ha rappresentato il collega Alberto Kostoris legale della Comunità, come parte civile a nome appunto della stessa Comunità ebraica di Trieste, di Padova, dell'associazione Italia Israele e di decine di singole persone che si erano ritenute offese, ha più volte detto «Scusatemi».
Poi ha aggiunto: «Mi dispiace di non essere stato capace di chiarirmi prima». Insomma, ha prevalso il buon senso. E il giudice, d'intesa con il pm Antonio Miggiani, ha accolto l'istanza dell'esponente del movimento un tempo guidato da Umberto Bossi.
L'episodio che ha innescato la vicenda porta la data del 15 aprile di due anni fa. Polidori intervenendo al congresso della Lega aveva aveva affermato che «il presidente del Consiglio Mario Monti e il governo in carica sono espressioni del potere giudaico - massone». Il 17 aprile, dopo che la notizia della singolare affermazione era stata pubblicata sul Piccolo, Paolo Polidori - si legge nella denuncia dell'avvocato Kostoris, «anziché scusarsi per le proprie asserzioni replicava alle critiche della Comunità ebraica e ribadiva consapevolmente che il potere finanziario mondiale è in mano a un sistema giudaico massone». Nell'occasione aveva rincarato la dose sostenendo che «sia il presidente del Consiglio italiano, sia quello greco, sono uomini di Goldman-Sachs, una banca - sempre secondo il pensiero dell'esponente leghista - di proprietà ebraica». Secondo Polidori questa banca mira a togliere progressivamente la sovranità ai singoli governi nazionali e «persegue l'obiettivo di creare un nuovo ordine mondiale».
Alla vicenda si è aggiunto un capitolo - sempre sulla stessa linea - nel novembre scorso quando l'allora difensore dell'esponente leghista, l'avvocato udinese Giuseppe Turco nell'aula del Tribunale, riferendosi a Kostoris aveva detto: «L'ebreo non ha firmato la querela». «L'ebreo dice nella querela che è orgoglioso di essere ebreo». Aveva insomma pronunciato frasi dispregiative che sembravano prese pari pari da un verbale di un processo celebrato durante il nazismo. Sono passati meno di due mesi e il capogruppo in consiglio provinciale ieri ufficialmente ci ha ripensato. «Porgo le mie scuse a tutte le comunità ebraiche». Mi sono sbagliato.

(Il Piccolo, 1 febbraio 2014)


«Ginevra 2», il fiasco completo dei pacifisti

di Fiamma Nirenstein

Lakhdar Brahimi, inviato Onu per la Siria
Tutto, ma proprio tutto, è andato storto con la Siria. È andato male l'accordo sponsorizzato dalla Russia per cui Obama, rinunciando a intervenire militarmente dopo che la sua «linea rossa» era stata violata, aveva ottenuto lo smantellamento delle armi chimiche di Assad. È andata male la conferenza di pace di Ginevra, che ha preteso di ignorare l'odio per l'oceano di lutto inflitto a due parti (130mila morti) che sono ancora ambedue bene armate, che hanno amici forti, che sono in possesso di città e villaggi... A Ginevra l'hybris pacifista ha voluto mettere insieme l'inconciliabile: alawiti protetti da sciiti protetti dai russi di fronte a sunniti sempre più attratti nell'orbita qaidista; ambedue convinti di lottare per la gloria di Allah e la propria vita contro il nemico terrorista; ambedue decisi a non guardarsi negli occhi e a non rivolgere la parola altro che a Lakhdar Brahimi, l'inviato dell'Onu.
Brahimi ha ottenuto come unico risultato quello di riconvocare la conferenza per il 10 febbraio, mentre falliva una missione fatale: fare entrare nella città di Homs circondata dalle truppe di Assad qualche camion di aiuti alimentari e medici che salvi i circa 3000 disgraziati, donne e bambini, ormai alla morte per fame. I guardiani della città, a quel che leggiamo, hanno però insistito nell'impedire l'accesso a chi secondo loro stava forse fornendo aiuto ai «terroristi». Ma il fallimento peggiore, che promette nuove stragi e ricatti, è quello della mancata consegna delle armi di distruzione di massa che stavano per causare l'intervento armato americano. Anche durante il discorso sullo stato dell'Unione Obama si è vantato di avere schivato la guerra e di aver ottenuto la consegna delle armi.
Ma la verità è che Assad sta usando come una forma di ricatto modulato e velenoso il patto siglato. Infatti entro pochi giorni il regime avrebbe dovuto aver trasportato al porto di Latakia tutto l'insieme delle riserve chimiche, e invece solo il 4 per cento delle armi possedute dal regime sono state consegnate e solo due cargo hanno lasciato il porto con circa 15 tonnellate di materiale. La portavoce del Dipartimento di Stato Jen Psaki ha dichiarato che gli Usa sono molto preoccupati, e che il regime siriano non ha scuse per il ritardo, perché durante la guerra ha mosso più volte le sue riserve. Il ministro della difesa Chuck Hagel si è chiesto pubblicamente se non consegnano il materiale per incompetenza o per altri motivi. Si può scommettere che Assad sa che finchè tiene in mano i gas, ha una presa venefica sul potere. Il ritardo potrebbe anche essere portato al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ma la Siria ha dalla sua la Russia. Lindsey Graham, senatore repubblicano, ha detto che chiederle di fare pressione su Assad è come chiedere a Mussolini di disarmare Hitler.
Obama non sta facendo una bella figura, ma ci è talmente abituato: forse si allena per quella che farà quando sarà chiaro che anche l'Iran è fatto di quella stoffa per cui le promesse fatte all'Occidente sono solo un'arma per batterlo.

(il Giornale, 1 febbraio 2014)


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