Inizio - Attualità »
Presentazione »
Approfondimenti »
Notizie archiviate »
Notiziari »
Arretrati »
Selezione in PDF »
Articoli vari»
Testimonianze »
Riflessioni »
Testi audio »
Libri »
Questionario »
Scrivici »
Notizie luglio 2014


La vera voce del popolo di Gaza. Un video che i media non vi mostreranno mai

Hamas è bravissimo nella propaganda, questo bisogna ammetterlo. E' bravo soprattutto a far passare quei messaggi che descrivono la guerra di Gaza come un attacco israeliano contro i civili ed è per questo che, come abbiamo raccontato qualche giorno fa, ha distribuito un preciso vademecum ai giornalisti e agli attivisti di tutto il mondo.
Tuttavia ogni tanto qualcosa sfugge al rigido controllo di Hamas e la gente manifesta apertamente il proprio disgusto diretto soprattutto verso la leadership del gruppo terrorista, al sicuro nei rifugi dorati del Qatar o nei bunker super blindati posizionati sotto luoghi sicuri, ospedali e scuole....

(Right Reporters, 31 luglio 2014)


Ebrei e cristiani uniti nella persecuzione

di Emanuel Segre Amar

Vorrei ricordare - oltre al fatto che Israele è il solo paese del medio oriente in cui le comunità cristiane, non solo non sono minacciate, ma godono di completa libertà religiosa e sono cresciute in numero - oltre ai continui assalti jihadisti ai cristiani, ora che di Ebrei da perseguitare non ne hanno piò, in tutti i paesi musulmani del medio oriente e dell'Africa - vorrei ricordarvi un fatto che fu distorto dai media italiani, che non considerano "politicamente corretto" chiamare terrorista chi a mano armata attacca chiese e prende in ostaggio dei frati - vorrei ricordarvi l'assalto a mano armata dei terroristi arabi alla Chiesa della Natività, il 2 Aprile 2002, dove i terroristi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un gruppo marxista cosiddetto "laico", rimasero asserragliati con i frati in ostaggio per 39 giorni (frati che, come poi confermò Padre Pizzaballa, il Custode di Terrasanta, erano ostaggi). La chiesa fu dissacrata, urinarono e defecarono ovunque, compreso sul sacrario e cosparsero i muri di scritte in Arabo che dicevano "Prima [ci occupiamo de] il Popolo del Sabato, poi [di] quelli della Domenica", un proverbio molto diffuso in medio oriente…di cui i media italiani in genere "si dimenticarono" di riferire.
Il nostro pensiero va anche al Sacerdote gesuita Paolo Dall'Oglio, che da circa trent'anni viveva in Siria, da cui fu espulso nel 2012 da Assad per aver parlato con dei ribelli, ma vi fece ritorno nella zona controllata dai terroristi islamici e fu rapito il 29 Luglio 2013. Da allora non se ne hanno piò notizie. Proprio ieri era un anno dal suo rapimento.
Una sorte migliore, visto che è vivo e libero, toccò al giornalista de La Stampa Domenico Quirico, rapito dai terroristi islamici il 9 Aprile 2013. Fu "trattato come un animale", secondo le sue stesse parole
Il conflitto siriano ha da tempo superato i 200.000 morti e molte comunità cristiane sono state eliminate con pulizia etnica e massacri. Gli Ebrei li avevano già eliminati negli anni '50-'60-'70.
riportate dai media soprattutto stranieri e fu poi liberato l'8 Settembre 2013. Da allora si dedica a sensibilizzare sulla questione dell'islamismo e sulle minacce al mondo occidentale da esso provenienti, ancora una volta nel quasi totale silenzio mediatico italiano.
Il conflitto siriano ha da tempo superato i 200.000 morti e molte comunità cristiane sono state eliminate con pulizia etnica e massacri. Gli Ebrei li avevano già eliminati negli anni '50-'60-'70.
Il conflitto iracheno di morti ne ha fatti oltre un milione e anche lí le comunità cristiane sopravvivono quasi solo nella zona curda. Gli Ebrei, oltre 150.000, li avevano già eliminati negli anni '50.
Recentemente, anche la millenaria comunità di Ninive, città del Profeta Giona a Mosul, è stata ripulita e la moschea dov'era la tomba di Giona è stata fatta saltare in aria dalle forze del califfato, che considerano da distruggere tutti i segni di ogni civiltà che preceda l'Islam, poihhé per loro si tratta del tempo della Jahiliyyah: cioè il tempo dell'ignoranza del vero insegnamento divino, cioè TUTTO ciò che precede l'Islam... stessa ragione per cui hanno distrutto le sculture mesopotamiche in Iraq, la sinagoga plurimillenaria con la tomba del Profeta Elia in Siria, e in Afghanistan avevano distrutto ogni segno di altra religione che li precedeva, cosí come in Terra d'Israele, sin dal 1996, hanno ripetutamente distrutto la Tomba di Giuseppe, il figlio di Giacobbe, a Shchem (conosciuta in Italia col nome arabo Nablus) e hanno distrutto - in barba agli accordi di Oslo che ne prevedevano la conservazione e il libero accesso, mai garantito de facto, agli Ebrei - la piò antica sinagoga al mondo, quella di Gerico, coi suoi preziosi mosaici.
Israele non è che la prima linea di questo fronte anti-jihadista e combatte per tutti noi.
Oggi bisogna veramente suonare l'allarme e reagire, soprattutto visto che molti imam, in lingue che troppi di noi ignorano, ammaestrano - anche in Europa - i giovani musulmani ad odiare gli "infedeli" (cioè in pratica ebrei e cristiani). Non dimentichiamo che persino in occasione della tanto celebrata "riunione di preghiera" nei giardini vaticani, l'imam lí presente lesse al microfono davanti a tutti parti della fine della Seconda Sura, la Sura Al Bàqara, Aya (linea 286), del Corano, che dice (il video non censurato di al Arabiya ne è testimone, "Perdonaci, abbi pietà di noi, tu che sei il nostro guardiano e dacci la forza di sconfiggere gli infedeli", messaggio ben compreso da ogni musulmano. Altro che pace! Era un aperto richiamo al Jihad, per chiunque volesse capirlo… Come sempre, in Inglese parlano di pace per gli occidentali creduloni, mentre in Arabo fanno appello al loro dio che li aiuti nel Jihad, come fanno da secoli in occasione di ogni battaglia.
Ma le mire espansioniste dell'islam coinvolgono direttamente anche noi italiani: Roma è detta essere la quarta città santa dell'islam, perché le armate musulmane furono fermate alle sue porte quando tentarono di conquistarla; buona parte del meridione, la Sicilia e la Sardegna sono considerate terra islamica, così come lo sono Francia e Spagna. Ma tutte queste informazioni le troviamo nei paesi islamici, ma non le leggiamo nei nostri giornali, non le ascoltiamo nelle nostre televisioni.

(Il Foglio, 31 luglio 2014)


L'obiettivo sporco della stampa sottomessa

Per Hamas e per gli altri terroristi lo "spettacolo" della morte è comunque vincente

Per i terroristi la morte di bambini innocenti è irrilevante. In una società che esalta il martirio come il più nobile degli obiettivi, la morte degli innocenti può essere vista come una manna nei rapporti con l'opinione pubblica.
"L'intero conflitto - mi dice il giornalista straniero seduto al caffè - è uno spettacolo da prima serata: i palestinesi ci forniscono la parte romantica della storia". Il terrorismo è uno show, con i suoi produttori e i suoi distributori. Senza una certa connivenza dei mass-media internazionali, il terrorismo non sarebbe così efficace e potrebbe addirittura scomparire. Mentre Hamas fa piovere razzi e missili sulla popolazione civile in Israele e in cambio subisce grandi distruzioni e centinaia di morti come "danni collaterali", bisogna chiedersi: a che scopo? La stessa domanda vale per il terrorismo suicida. Il vero obiettivo sembra quello di suscitare simpatie (in certi ambienti) e terrorizzare il nemico, raggiungendo gli spettatori su una quantità innumerevole di canali multimediali....

(israele.net, 31 luglio 2014)


Repellente appropriazione ideologica dei bambini di Gaza, e indebita

La civiltà progressista occidentale promuove una sua crociata Unicef a favore dei bambini di Gaza, e figuriamoci se non sia lodevole la buona intenzione umanitaria, lo dico sul serio, ma ho delle domande.

di Giuliano Ferrara

La civiltà progressista occidentale promuove una sua crociata Unicef a favore dei bambini di Gaza, e figuriamoci se non sia lodevole la buona intenzione umanitaria, lo dico sul serio, ma ho delle domande. Siete o non siete gli stessi che i bambini abortiti, un miliardo e più in trent'anni, fanno bensì preoccupare (dico i migliori tra di voi) ma non fino al punto di promuovere politiche pubbliche contro l'aborto, non fino al punto di imporre una tregua al clash of absolutes, mettendo a discutere su come evitare gli aborti e la
Siete o non siete gli stessi che chiudono un occhio o tutti e due quando si parli su larga scala asiatica di selezione per sesso dei bambini nascituri, con esclusione commerciale delle femmine?
mentalità antinatalista i capi della pianificazione riproduttiva e demografica, annidati anche loro in cose tipo Unicef, e quelli che resistono nel mondo su una posizione pro life? Siete o non siete gli stessi che in nome della liberale fecondazione eterologa sono pronti a negare, nel caso delle madri single, una linea di paternità ai bambini? E a raddoppiare bizzarramente la loro paternità o maternità nel caso delle fecondazioni dentro coppie gay? Siete o non siete gli stessi che scambiano la maternità biologica, per quanto essa valga e forse qualcosa vale, con l'utero in affitto di una povera che cerca di fare reddito producendo quel che può? Siete o non siete gli stessi che chiudono un occhio o tutti e due quando si parli su larga scala asiatica di selezione per sesso dei bambini nascituri, con esclusione commerciale delle femmine? Siete o non siete gli stessi che sono disponibili ai sogni realistici dei piccoli dottori Faustus che vogliono usare i bambini come farmaco o come magazzino di pezzi di ricambio? Gli stessi che voltano le spalle di fronte al fenomeno dell'esclusione di bambini down o semplicemente non-biondi nella linea di produzione à la carte che deve sostituire l'attesa di una vita come prodotto d'amore?
   Siccome siete gli stessi, consentitemi di non credere alle vostre raccolte di fondi per i bambini di Gaza. Ho troppo vivo il ricordo dei sassi, delle bottiglie, delle bombe carta e delle uova che mi avete tirato, con le mie compagne e i miei compagni antiabortisti, quando appena qualche anno fa i bambini erano l'oggetto di una lista autonoma e autofinanziata per la Camera dei deputati e di un'idea politica di riscatto del diritto alla nascita con una moratoria sugli aborti che non era carcere per le donne o interruzione clandestina delle gravidanze ma progetto liberale di sradicamento della cultura dell'aborto. Tra i linciatori a Bologna abbondavano ubriachi e portatori insani di kefiah, qualcuno di loro si sarà imbarcato per rompere l'embargo ad Hamas, ma l'embargo ai concepiti aspirati o resecati non è mai cessato, furoreggia come testimonianza di libertà femminile e di prepotere maschile. Anche nella chiesa cattolica, del tutto estranea alla mia crociata laica e dei miei, progredisce l'idea che gli atti d'amore, tra cui la fede, possano restare senza conseguenze. E voi festeggiate questa svolta nel momento in cui affettate una straordinaria preoccupazione per i bambini di Gaza. Che sono angeli, è appena ovvio, finiti stretti e ammazzati dietro lo scudo al terrorismo come vittime di guerra, ma non sono davvero i vostri beniamini più di quanto non siano i miei, e l'appropriazione ideologica ha qualcosa di repellente anche se con il timbro delle Nazioni Unite.

(Il Foglio, 27 luglio 2014)


L'autore ha dimenticato un'altra domanda che meriterebbe una risposta: siete non siete gli stessi che non dicono niente quando sentono madri palestinesi dire orgogliosamente che sarebbero fiere di vedere immolato un loro bambino ad Allah, cioè vederlo saltare in aria insieme a tanti cattivi ebrei? E' tempo di chiudere la bocca a quei tanti ipocriti che mimetizzano il loro odio antiebraico sotto i travestimenti della moralità umanitaria. M.C.


"I tunnel vanno neutralizzati"

La necessità assoluta di compiere la missione. È ciò che ha messo in luce il primo ministro Benjamin Netanyahu aprendo la riunione di governo nella sede del Ministero della Difesa a Tel Aviv. Impossibile lasciare intatta la minaccia dei tunnel che da Gaza arrivano in territorio israeliano. "Non accetteremo alcun accordo che non consenta alle nostre forze di completare questa operazione necessaria alla nostra sicurezza - ha dichiarato Netanyahu - Hamas avrebbe potuto usare queste infrastrutture per rapire o uccidere soldati e civili. Ora ci stiamo occupando di neutralizzarle". Già decine i tunnel distrutti, ma ancora grande il lavoro da compiere, mentre dopo una notte di relativa quiete è ripreso in mattinata il lancio dei razzi, in particolare verso il sud del paese (nella cittadina di Sderot, sul confine, tre persone sono rimaste ferite in modo lieve dai detriti e diverse sono state ricoverate in stato di shock).
Sono passati 24 giorni dall'inizio dell'Operazione Margine Protettivo, che supera così la durata della crisi del 2008-2009 (Piombo fuso) e di quella del 2012 (Pilastro di Difesa). Sono 56 i soldati israeliani che hanno perso la vita dallo scorso 8 luglio, e oltre 2800 i razzi piovuti su Israele nello stesso periodo. Tsahal ha inoltre annunciato il richiamo di 16mila riservisti per consentire il ricambio delle truppe al fronte, portando il totale dei riservisti coinvolti a 86mila.
Sono in programma oggi pomeriggio i funerali dei tre soldati caduti ieri: tutti tra i 20 e i 21 anni, sono rimasti vittima di una trappola esplosiva piazzata in un edificio della zona di Khan Yunis che nascondeva l'ingresso di un tunnel, oltre a un ambulatorio delle Nazioni Unite, come ha rivelato l'esercito israeliano, mettendo ancora in luce come Hamas, che governa la Striscia, prosegua nel nascondere postazioni militari tra la popolazione civile, esponendola al rischio di rimanere coinvolta o facendosene scudo (secondo i dati del Ministero della Sanità di Gaza, sono oltre 1300 i palestinesi che hanno perso la vita in queste settimane).

(moked, 31 luglio 2014)


Israele tira dritto

Hamas rompe l'ennesima tregua. Bombe su un mercato e una scuola. Colpito un altro edificio dell'Unrwa. Gerusalemme accusa i militanti palestinesi. L'Onu aveva appena scoperto un arsenale di armi e missili in un altro istituto.

di Michael Sfaradi

 
Il 23o giorno dell'operazione "Zuk Eitan" si è aperto con una denuncia dell'UNRWA che per la terza volta in pochi giorni ha trovato armi ed esplosivi in una sua scuola. Il responsabile ha fatto sapere che i missili non saranno restituiti ad Hamas ma rottamati dagli esperti dell'ONU. Dopo la denuncia un'altra scuola dell'UNRWA è stata colpita da un missile e da alcune bombe e nelle esplosioni hanno perso la vita almeno 15 civili. All'interno dell'edificio c'erano persone che avevano cercato rifugio dopo la richiesta israeliana di lasciare la zona occidentale di Han Junes. Visto che i tiri sono stati precisi, Israele, che nega responsabilità, sospetta che questa strage sia stata voluta da Hamas per avvertire all'UNRWA a non denunciare ulteriori ritrovamenti di materiale bellico e per punire coloro che si erano spostati dopo l'avvertimento israeliano. Nel pomeriggio, almeno altre 17 persone sono morte e 160 sono rimaste ferite in un attacco israeliano su un mercato, nel martoriato quartiere di Shejaya. Il raid è avvenuto durante la tregua di umanitaria di 4 ore dichiarata dall'esercito israeliano a partire dalle 14 ora italiana e puntualmente infranta dal lancio di missili dalla Striscia di Gaza.
Israele è venuto in possesso di una mappa plastificata dei tunnel che portano verso il territorio israeliano: era nelle tasche di un militante di Hamas fatto prigioniero.
Israele è venuto in possesso di una mappa plastificata dei tunnel che portano verso il territorio israeliano: era nelle tasche di un militante di Hamas fatto prigioniero. II ritrovamento è considerato molto prezioso dalle forze di Israele che puntano alla totale distruzione dei tunnel. Durante la notte tra martedì e mercoledì 46 obbiettivi di Hamas e 37 della Jiad Islamica sono stati colpiti, fra questi alcune moschee trasformate in depositi di armi. La maggior parte degli obbiettivi ospitava proprio le entrate di tunnel primari e secondari: i primari sono quelli che portano verso Israele e sono usati per gli attacchi a sorpresa mentre i secondari vanno verso magazzini sotterranei dove sono conservati missili a lunga gittata. Ad oggi solo poco più della metà delle gallerie scoperte è stata neutralizzata, e secondo l'esercito serviranno almeno altre tre settimane per completare la bonifica.
Proprio durante la ricerca di una di queste entrate l'esplosione di una bomba messa nell'intercapedine di uno dei muri di un'abitazione privata, ha ucciso tre militari e ne ha feriti 12. La televisione di Hamas ha invece mandato in onda il filmato in cui 5 soldati israeliani vengono uccisi: si vedono gli scontri a fuoco e anche il numero di serie di un mitragliatore TAVOR sottratto a uno dei caduti. Per rispetto alle famiglie dei caduti il video è stato censurato dalla televisione israeliana, ma Al Jazira lo ha più volte trasmesso con uno share altissimo.
Il portavoce dell'esercito ha dichiarato che alla mezzanotte di ieri erano 2670 i razzi lanciati verso Israele dall'inizio delle ostilità, 440 di questi, per errori di lancio o malfunzionamento, sono caduti nella Striscia causando danni e vittime. Sul piano diplomatico la situazione, se possibile, è ancora più confusa. Mentre Hamas e la Jiad Islamica non riescono neanche a mettersi d'accordo su chi mandare al Cairo per trattare la tregua, Hillary Clinton, probabile candidata alle elezioni presidenziali USA per il Partito Democratico, durante un'intervista nel programma "America with Jorge Ramos" su FUSION, un canale via cavo e via satellite, affermava che Hamas conserva missili e le armi nelle abitazioni civili e nelle scuole perché Gaza è piccola e non ci sono molti spazi.   Amir Mousavi, consigliere del ministro della difesa iraniano, ha annunciato che l'Iran invierà missili nella West Bank allo scopo di aprire una altro fronte e ha aggiunto che non serviranno quelli a lungo raggio visto che la distanza tra le citta palestinesi e quelle israeliane è minore. Considerando che alcuni giorni fa missili di questo tipo erano stati intercettati su una barca che aveva attraversato il Mar Morto, questa dichiarazione più che una minaccia è un'ammissione di paternità da parte di chi ha sempre fatto di tutto per far degenerare la regione nel caos più completo. Anche il Vaticano muove la sua diplomazia per la fine delle ostilità a Gaza e la ricerca di una pacificazione. La Segreteria di Stato ha inviato alle ambasciate accreditate presso la Santa Sede una «Nota verbale» per richiamare i recenti appelli sul Medio Oriente rivolti dal Papa dopo gli ultimi Angelus.

(Libero, 31 luglio 2014)


Hamas. Scontro sui razzi tra fondamentalisti

Il gruppo ha perso consensi tra la popolazione e dimostra sempre meno potere sulle frange più estreme.

di Susan Dabbous

Depositi clandestini di razzi sotto le scuole di Gaza. E questa la choccante denuncia dell'Unrwa, agenzia Onu per i profughi, che ha fatto ieri dopo aver condannato genericamente «il gruppo, o i gruppi, che hanno messo in pericolo i civili piazzando quelle munizioni in una nostra scuola», ha affermato il portavoce Chris Gunness. Risalgono a metà luglio le prime notizie relative al ritrovamento di una ventina di razzi nascosti in una scuola della Striscia L'Unrwa si era limitata a far sapere che stava «indagando». Ma intanto durante l'operazione "Margine di difesa", l'esercito israeliano non ha esitato a bombardare, almeno in due occasioni, gli edifici scolastici dell'Onu. L'ultimo raid, avvenuto ieri ha provocato almeno 23 morti.
La mancata tregua con Israele sarebbe da attribuire alle pressioni dei gruppi armati su Hamas, a cui non è stato perdonato il riavvicinamento al partito di Abu Mazen.
L'esitazione da parte dell'Unrwa nell'indicare chi usa le scuole come nascondigli per le armi, è da attribuire alla mancanza di chiarezza su chi possiede i razzi a Gaza. Se da un lato si dà per scontato che parte dell'arsenale missilistico sia nella mani del braccio armato di Hamas, le Brigate al-Qassam, dall'altro è noto il possesso di razzi da parte delle sigle jihadiste presenti nella Striscia non è direttamente sotto il comando del partito islamista. Difficile stare al passo con la formazione e lo scioglimento delle diverse brigate ma dal 2008, operano sicuramente: Jund Ansar Allah (Soldati ausiliari di Allah) di Abdal Latif Mussa, Tawhid wal Jihad (Monoteismo e Jihad), i gaedisti di Ansar al-Sunna, filiazione dell'omonima cellula irachena e la Jihad islamica finanziata da Iran e Siria. Con alcuni di questi gruppi Hamas in passato è arrivata addirittura allo scontro diretto. Secondo alcune ricostruzioni la mancata tregua con Israele sarebbe da attribuire proprio alle pressioni dei gruppi armati sull'establishment politica di Hamas a cui non è stato perdonato il riavvicinamento ai «corrotti» del partito di Abu Mazen, Fatah. Eppure senza una vittoria totale di Israele, sarà Hamas a uscire vincitrice dal conflitto, senza menzionare gli altri gruppi, proclamandosi tale per il semplice fatto di essere sopravvissuto all'attacco, secondo uno schema propagandistico già adottato in passato. Propaganda che però, stavolta potrebbe non attecchire sugli esasperati abitanti di Gaza, soprattutto tra le migliaia di famiglie rimaste senza casa. Come confermerebbe l'accusa di Israele di aver, nei giorni scorsi, bagnato con il sangue le proteste contro il movimento.

(Avvenire, 31 luglio 2014)


La sicurezza di Hamas scricchiola, Israele mobilita 16 mila riservisti per l'assalto finale

Oggi attesa al Cairo una delegazione palestinese per trattare sulla tregua

Fawzi Barhoum, portavoce di Hamas
L'esercito israeliano ha mobilitato 16 mila riservisti "per permettere alle truppe sul terreno di riprendersi, portando il totale dei riservisti effettivi a 86 mila", come riportato da un portavoce dell'esercito israeliano. L'aumento delle truppe di terra, decisione presa all'unanimità dal gabinetto di Sicurezza, si è reso necessario, sia per permettere un minimo turnover alle truppe, sia soprattutto per tentare di dare l'assalto decisivo ad Hamas e individuare e distruggere gli ultimi tunnel che dalla Striscia conducono in territorio israeliano.
In mattinata Hamas ha ripreso con il lancio di diversi missili verso Israele, che ha risposto con le forze di terra, (il bilancio riportato da Ashraf al-Qedra all'agenzia di stampa Dpa è di 1.363 morti e oltre 7 mila feriti), ma inizia a scricchiolare la sicurezza dimostrata sino ad ora dal gruppo terroristico: "Ci sono alcuni paesi arabi che complottano contro il nostro gruppo e la resistenza palestinese - ha dichiarato il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, intervistato dall'emittente al Jazeera - in seguito faremo i nomi dei paesi arabi che complottano contro di noi. Si tratta di paesi che non solidarizzano con la gente di Gaza per quanto sta subendo e al contrario aiutano Israele".
Intanto è previsto per oggi in tarda mattinata l'arrivo di una delegazione palestinese al Cairo per discutere di una tregua a Gaza. Oltre ai nomi già noti dei membri di questa delegazione, come Azzam al Ahmad di Fatah, Musa Abu Marzouq di Hamas, il capo dei servizi segreti palestinesi Majed Faraj e Ziyad al Nakhala della Jihad islamica, e'' prevista la presenza di altri due dirigenti di Hamas come Imad al Ilmi e Khalil al Haya. L''Egitto ieri ha chiesto al presidente palestinese Mahmoud Abbas di spingere le fazioni ad accettare la tregua umanitaria annunciata da Israele.

(Il Foglio, 31 luglio 2014)


Io, israeliana non riesco più a sorridere

Tutti raccontano della paura di chi vive a Gaza. Ecco l'altro punto di vista: la figlia del presidente della comunità ebraica milanese Walker Meghnagi vive a Tel Aviv.

di Alessandra Meghnani

Ogni sera piango. Non c'è sera in cui arrivo seduta sul divano con un sorriso e ormai è così da 20 giorni. Solo che all'inizio mi dicevo di stare tranquilla e continuavo a pensare che tutto sarebbe finito velocemente e che non ci sarebbero state vittime. Speravo che tutti i soldati sarebbero tornati a casa dalle proprie madri e nessuna madre avrebbe dovuto seppellire il proprio figlio. Poi entrarono a Gaza e cominciai a capire che la situazione non era così semplice e che dovevo smetterla di pensarla ingenuamente. Ho avuto paura che le sirene suonassero quando ero fuori casa, ogni suono sembrava assomigliare a una sirena e invece era tutto frutto della mia immaginazione. Col passare delle settimane ho smesso di temere le sirene, perché le istruzioni sono chiare, ovunque tu sia, corri e trova un posto al riparo. Il suono della sirena, quei 90 secondi che sembrano infiniti, bloccano il cuore e il respiro, la gente spinge e cerca di mettere se stesso e i propri figli al sicuro e quando sentiamo i botti dei missili esplosi sopra le nostre teste tutti tirano un sospiro di sollievo. Ogni cosa che fai durante la giornata ti fa sentire in colpa, come se stessi sbagliando ad andare al mare in un normale giorno di luglio, perché ragazzi più giovani di me sono al fronte a proteggere me e i miei cari. Ho pensato di andarmene da Israele per paura, ma ogni volta che provavo a prenotare un biglietto di sola andata, avevo un ripensamento: non me ne voglio andare da qui. Ogni notte provo ad addormentarmi e ho paura di svegliarmi il mattino seguente e guardare il mio cellulare. Ogni mattino leggo «IDF soldier killed in Gaza» ed è così da 2 settimane. Non auguro a nessuno di vivere quello che stiamo vivendo, mi auguro solo che tutto questo finisca presto, che non ci siano più feriti né morti; che finalmente Israele smetta di essere il problema di tutti e che tutti capiscano che la causa dei loro problemi è un'altra.

(il Giornale, 31 luglio 2014)


L’aspetto gradevole di Roma-Real Madrid 1-0

Abbiamo scritto ieri che la partita amichevole tra Roma e Real Madrid, disputatasi a Dallas, ha avuto un aspetto gradevole e uno sgradevole. Il filmato accluso però presentava soltanto l’aspetto sgradevole, cioè l’entrata in campo di un tifoso con la bandiera della Palestina. Vogliamo far vedere allora anche l’aspetto gradevole: il gol di Francesco Totti.

(Notizie su Israele, 31 luglio 2014)


Sostegno assoluto a Israele del famoso attore Robert De Niro

 
Robert De Niro
E' diventata una moda tra le celebrità francesi e americane di prendere apertamente posizione contro Israele sui social network, o cancellare visite programmate da molto tempo.
Quasi ovunque folle di manifestanti in tutto il mondo sostengono il gruppo terroristico di Hamas, anche quando piovono razzi sulle città israeliane.
Fortunatamente, molti attori famosi e politici hanno espresso il loro sostegno a Israele e alle sue operazioni militari per fermare gli attacchi di Hamas contro i civili.
Il celebre attore hollywoodiano Robert De Niro ha recentemente preso posizione a favore di Israele e ha sostenuto il suo assoluto diritto di difendere i propri cittadini contro i terroristi di Gaza.
Secondo Mad World News, De Niro ha affrontato la questione in un discorso alla Conferenza del Presidente, nella città di Gerusalemme.
La star di "Padrino" ha detto: "Mi piace sempre venire in Israele. Gli israeliani sono caldi e pieni di energia. Franchi. Molto intelligenti. Mi piacciono le persone intelligenti. Sono gente in gamba, sapete. Sono aggressivi, e io rispetto questa aggressività, perché ne hanno bisogno nella loro situazione".
Un sostegno certamente apprezzato, proveniente da uno degli attori americani più rispettati. Israele sta combattendo per il diritto di esistere, sia come nazione sia persone, contro un gruppo di terroristi che odiano e sono una minaccia per il mondo.

(Jerusalem Plus, 24 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Tutti i dilemmi d'Israele

Il consulente di Netanyahu ci spiega la lunga guerra d'attrito a Gaza

di Giulio Meotti

C'è una espressione che riassume la strategia di Israele a Gaza: "Tagliare l'erba". Quando il nemico si fa aggressivo, si taglia l'erba. Quando ricresce si torna a tagliarla. "E' la 'long war strategy' di Israele", ci dice Efraim Inbar, stratega fra i più ascoltati, capo del Besa Center e consulente ufficioso del premier Benjamin Netanyahu.
   Ieri Israele ha accettato una nuova tregua umanitaria, mentre aggiungeva altri tre soldati alla conta dei propri caduti. Fra Hamas e Israele rimbalzano le accuse per una bomba in un mercato a Shejaiya (quindici i morti palestinesi).
   "Hamas, Jihad islamico e salafiti vedono Israele come un'aberrazione teologica", ci dice Inbar. "Il fanatismo di questi gruppi, l'ideologia radicale e la loro strategia a lungo termine della violenza porta a un conflitto irrisolvibile. E' impossibile distruggere Hamas, come è impossibile distruggere i Talebani in Afghanistan. Puoi infliggergli un colpo durissimo, ma sono parte della popolazione. Basta un trenta per cento di fedeli per creare un regime omicida come quello di Gaza". Che fare allora?
Il governo sta pensando a occupare parti strategiche della Striscia senza per questo prendersi in carico la vita dei palestinesi.
La domanda sta dividendo il gabinetto di sicurezza di Netanyahu e l'Idf, l'esercito israeliano. Ieri, sulla stampa in lingua ebraica sono uscite le critiche di alti ufficiali a Netanyahu. "O andiamo avanti o dobbiamo ritirarci". Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, quello dell'Economia Naftali Bennett e dell'Interno Gideon Saar chiedono al premier di andare fino in fondo, fino a Jabalya, il cuore del potere di Hamas. "Non dobbiamo togliere il piede dal gas", dicono gli ambienti vicini al capo della diplomazia israeliana. Efraim Inbar non è d'accordo. "Israele non ha una strategia, ma soltanto tattiche. Hamas ha pagato un prezzo sufficiente? Se sì e il regime islamico resta in piedi, Israele deve basarsi sulla deterrenza. Il governo sta pensando a occupare parti strategiche della Striscia senza per questo prendersi in carico la vita dei palestinesi. Potrebbe essere una soluzione. E se decide di andare fino in fondo, sarà in gioco la vita di tanti soldati, l'amicizia con l'America, l'opinione pubblica interna".
   E' il dilemma di Netanyahu. "Il successo di Israele finora è stato il suo sistema di difesa missilistico, che ha permesso al fronte interno di mantenere la normalità. Israele ha mostrato determinazione per le operazioni a terra, nonostante le vittime. La maggioranza della popolazione sa che non possiamo abbandonare i kibbutz del sud. E che questa, come altre, è una guerra senza scelta". Hamas non sta sanguinando abbastanza. "Israele ha distrutto la sua prima linea di difesa, i tunnel. Ma gli uomini, le armi pesanti e i macchinari per fabbricare i missili sono tutti nel nord. La vera battaglia per Gaza deve ancora iniziare e forse non inizierà. Perché è un conflitto irrisolvibile e prolungato. Non c'è soluzione politica".
   Hamas può essere rovesciato, ma le alternative sono peggiori: "Il controllo israeliano, gruppi più radicali, o il caos. Nessuna delle tre è una alternativa. Il governo ha saggiamente definito obiettivi politici e militari limitati per l'offensiva. Nel lungo termine si tratta di logorare le capacità del nemico. Distruggere i tunnel era un obiettivo militare raggiungibile".
   La storia sembra dare ragione a Inbar. Da quando ha lasciato Gaza nel 2005, Israele ha già condotto tre operazioni militari limitate. "E' la strategia militare che è cambiata". Fino a dieci anni fa, Israele non aveva misure difensive, oggi è sotto gli occhi di tutti il successo della barriera "Iron Dome". Inoltre oggi l'aviazione, come ha detto il suo comandante Amir Eshel, "è in grado di colpire in meno di 24 ore gli stessi obiettivi che nel 2006 distrusse in trentatré giorni".
   Come Inbar la pensa il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, che giorni fa derideva il "soluzionismo" degli Stati Uniti. Il paradosso è che la sinistra militare, guidata dall'ex capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, e dal generale Amos Yadlin, spinge per distruggere Hamas e salvare il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen, e con lui la soluzione a due stati. "Ma il presidente dell'Anp non metterebbe mai piede a Gaza, verrebbe impiccato al primo palo", ci dice Inbar. "E' l'utopia della sinistra, come quando riportarono Arafat da Tunisi a Gaza pensando di avere in cambio la pace. Il pensiero occidentale è orientato alla soluzione. Ciò spiega parte della mancanza di comprensione per ciò che Israele sta facendo. Una guerra di logoramento contro Hamas è probabilmente il destino di Israele per il lungo termine. Lo scenario più probabile è un periodo di calma, Hamas che si riarma, ricalibra la sua strategia e attacca di nuovo Israele. E noi tagliamo l'erba".

(Il Foglio, 31 luglio 2014)


«E' stata Hamas a volere la guerra, Israele si è solo difesa»

di Katia Ippaso

Il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane commenta la situazione in Medio Oriente e le manifestazioni anti-semite in tutta Europa. Uno spiraglio di pace si annuncia nel ruolo che può giocare l'Egitto.

Renzo Gattegna
La mattina, in questa tranquilla parte di mondo, ci sveglia l'eco del terrore. Il computo dei morti si staglia come un requiem accelerato. Numeri che crescono ora dopo ora, dietro i sipari di tregue fantasma. A Gaza scorrono immagini di bambini seppelliti nella sabbia, svanite dietro il cono d'ombra di un'altalena. L'uccisione dei tre adolescenti israeliani che ha fatto da detonatore all'ultimo teatro di guerra provoca altrettanta indignazione. A meno che non vivi la cosa come una specie di paradossale, mostruosa tifoseria. Spaventa la recrudescenza di manifestazioni antisemite in tutta Europa. L'incubo del Novecento fa la sua comparsa dietro sfilacciate narrazioni. E cerchi di capire perché. Assieme a coloro che, per posizione e storia, sono in prima linea. Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei), ha ovviamente la sua idea sul conflitto e la sua idea per la pace, considerando che, secondo lui, «la questione, più che offensiva, è difensiva».

- Gattegna, come legge questi ultimi atti di guerra?
  Se Israele non avesse un sistema antimissile chiamato Iron Dome staremmo parlando con toni e stati d'animo molto diversi da quelli che stiamo adottando oggi. Mai come questa volta è stato chiaro che Israele ha subito un attacco premeditato da Hamas nel territorio israeliano. Stiamo parlando di centinaia di ordigni, in parte missili, in parte razzi che sono stati lanciati da Gaza per tutti i mesi che hanno preceduto questa deriva totale delle ultime tre settimane. Io mi sono fatto l'idea che Hamas avesse premeditato quest'attacco. Tant'è vero che stanno uscendo fuori dei giganteschi arsenali nascosti nel sottosuolo di Gaza che forse sono stati una sorpresa anche per Israele. Israele sta subendo delle perdite che per un paese così piccolo sono gravi, più di cinquanta persone. Le perdite palestinesi che stanno subendo, soprattutto civili, a Gaza, sono ancora più importanti e dolorose...

- Ma nessuno sembra interessato a interrompere questa escalation di violenza.
  C'è una riflessione che riguarda insieme Medio Oriente, Europa, Africa e Asia. Per quello che riguarda Asia e Africa, stiamo assistendo anche una gravissima aggressione da parte delle forze integraliste islamiche contro le comunità cristiane. Non possiamo dimenticare che solo due mesi fa abbiamo assistito al rapimento di duecento ragazze cristiane, colpevoli solo di appartenere ad una fede diversa... I conflitti sono molteplici e non riguardano solo lo Stato d'Israele.

- Nell'editoriale dell'ultimo numero di "Pagine ebraiche", si identificano "i nemici della pace" e si fa appello all'unità: «Unità nell'affermare il diritto di Israele a difendere la popolazione civile... Unità nell'estremo tentativo di proteggere la popolazione civile palestinese ostaggio dei signori del terrore». Al di là delle dichiarazioni, la realtà a Gaza è molto differente.
  Un tentativo che alla prova dei fatti non sta riuscendo in pieno, è quello di avvisare le popolazioni civili prima che si scatenino dei bombardamenti o delle azioni militari più violente. Dati i territori molto circoscritti e data la densità della popolazioni, sono sistemi che non stanno raggiungendo risultati soddisfacenti. D'altra parte bisogna tenere presente, ripeto, che Israele sta esercitando un diritto di legittima difesa. Io mi auguro che la guerra possa finire in tempi brevi, nella maniera meno dolorosa possibile.

- Vede spiragli di pace? Sembra che tutta la diplomazia internazionale in realtà stia ruotando attorno a se stessa.
  Gli organismi internazionali dimostrano una grande impotenza. Paesi confinanti che gravitano nella stessa zona potrebbero invece influire positivamente. Se veramente lo volessero. L'Egitto si sta impegnando nel tentare di stabilire le condizioni per un cessate il fuoco. Ma il fatto è che in tanti paesi del Medio Oriente si vive una instabilità molto difficile da interpretare.

- Parigi e Roma sono state, assieme ad altre civilissime città europee, teatro di recenti manifestazioni antisemite.
  Per un verso, sono collegate ai fatti d'Israele, ma non bisogna dimenticare che delle forze estremiste nei vari Paesi europei erano già emerse prima che scoppiasse questo conflitto.

- E' in contatto con rappresentanti del mondo palestinese?
  Siamo in rapporto con organizzazioni palestinesi e islamiche. Ci troviamo a combattere sullo stesso fronte per vincere il pregiudizio e l'ostilità preconcetta, lavorando su progetti culturali. Mi auguro che possa allargarsi questa tendenza, e non quella estremista.

(Garantista, 31 luglio 2014)


Ex viceministro israeliano: 'Obama ha urlato a Netanyahu, lo ha trattato come un talebano'

di Gisella Ruccia

"Obama ha urlato contro Netanyahu. Non è stata una conversazione piacevole e il presidente degli Stati Uniti non stava parlando con un leader talebano". E' lo sfogo di Danny Danon, parlamentare del Likud ed ex viceministro della Difesa di Netanyahu, ai microfoni della trasmissione "Steve Malzberg Show", in onda sull'emittente americana Newsmax Tv. Il primo ministro israeliano, secondo il racconto di Danon, avrebbe avuto un tesissimo colloquio telefonico con Obama, che "urlava e diceva al primo ministro cosa fare e cosa non fare". "Ve lo dico in tutta sincerità" - continua il parlamentare - "abbiamo un rapporto molto stretto con gli Stati Uniti, l'alleato più forte di Israele. Ma questo non è il modo di trattare il leader di un Paese alleato. E' un insulto il modo in cui il presidente Obama sta trattando Israele. Abbiamo bisogno di sostegno e supporto da parte degli USA. Purtroppo ora non li abbiamo". E aggiunge: "Io incoraggio il primo Ministro Netanyahu e i miei amici al governo ad essere forti adesso e di fare qualunque cosa sia positiva per Israele, anche se comporta dire al presidente Obama: 'No, non possiamo soddisfare i tuoi desideri o le tue pressioni a firmare un "Cessate il fuoco"', il che sarebbe negativo per Israele ora. La richiesta di un 'cessate il fuoco' è inaccettabile".

(il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2014)


La strage dei bimbi nel parco giochi è stata colpa di un razzo di Hamas e non di Israele

«Lo confermo ora che sono fuori da Gaza: la strage di bambini a Shati non è colpa di Israele». A scriverlo, con un tweet che in pochi minuti è stato fatto rimbalzare oltre 200 volte nella Rete, è Gabriele Barbati, giornalista italiano, corrispondente dalla striscia di Gaza di TgCom24. Dopo la morte dei bimbi sulla giostra a Gaza sono arrivati tipi di Hamas o di altra fazione a ripulire i detriti del razzo impazzito.

- Il massacro di Shati
  La strage di bambini a cui si riferisce è quella "del parco giochi": nove piccoli uccisi il 28 luglio nel campo profughi di Shati mentre giocavano nei pressi di una giostra (altri hanno parlato di un'altalena). Il messaggio del giornalista contiene due informazioni. La prima, la più esplicita, è la conferma di quanto denunciato da Israele subito dopo la diffusione della notizia: quei nove morti non sono colpa dei bombardamenti di Israele, bensì di un razzo "impazzito" di Hamas. La seconda informazione riguarda invece lo stesso reporter e la gestione dei media a Gaza: finché Barbati si è trovato all'interno della Striscia non ha potuto twittare la verità. Da più parti sono arrivate denunce circa il controllo e le pressioni che Hamas esercita su chi da dentro Gaza raccoglie e diffonde notizie nel mondo. E' di questi giorni la notizia del giornalista francese di Liberation cacciato da Hamas
Ma ecco il tweet completo di Gabriele:


Insomma un'altra verità rispetto a quella diffusa ieri da quasi tutti i media italiani.
Ma Barbati non è solo. Sempre su Twitter il giornalista del Wall Street Journal, El-Ghobashy ha scritto che le lesioni al muro esterno dell'ospedale di Shati suggeriscono l'ipotesi di "un razzo impazzito" di Hamas. Il tweet, poco dopo la pubblicazione è stato rimosso.

(Il Messaggero, 30 luglio 2014)


Colpita a Gaza una scuola dell'Onu. Razzi nascosti nella sua sede

Durante la notte tra il 29 e il 30 luglio gli attacchi aerei israeliani hanno colpito una scuola dell'Onu, dove si erano rifugiati molti civili palestinesi, nonostante Israele avesse avvertito che quel quartiere sarebbe stato bombardato. Sono morte 20 persone. Nei giorni scorsi è accaduto che Hamas contrastasse le evacuazioni, inducendo la gente a restare nelle proprie case. Israele ha del resto più volte accusato l'organizzazione terroristica palestinese di usare la popolazione come scudo umano.
I raid dell'aviazione di Tel Aviv sono proseguiti fino all'alba. Al momento si contano 43 morti. Contemporaneamente sono proseguiti i lanci di missili su Israele. Da fonti delle Nazioni Unite arriva una denuncia contro Hamas: ha nascosto parecchi razzi all'interno delle scuole Onu aperte a Gaza, violandone la neutralità.

(Leonardo.it, 30 luglio 2014)


Ospedale e campo palestinese sono stati colpiti dai razzi della Jihad Islamica

I terroristi palestinesi a Gaza lanciano razzi dalle aree civili e colpiscono la loro popolazione

Foto aeree su cui sono indicati i luoghi dove sono stati lanciati e quelli dove si sono abbattuti i razzi palestinesi, lunedì scorso, intorno alle 16.58 (ora locale) - cliccare sull'immagine per ingrandire
L'ospedale Shifa e il campo palestinese di Al-Shati nella striscia di Gaza sono stati colpiti lunedì scorso da razzi palestinesi che le organizzazioni terroristiche avevano lanciato verso Israele, ma che sono ricaduti in territorio palestinese.
Lo ha ribadito Yoav Mordechai, Coordinatore delle attività governative israeliane nei territori, parlando all'agenzia di stampa palestinese Ma'an. Yoav Mordechai ha confermato che la morte dei bambini nel campo di Al-Shati e i danni all'ospedale Shifa sono stati causati da falliti attacchi missilistici della Jihad Islamica contro Israele, spiegando che i razzi sono stati sparati dalla direzione di Tel al-Hawa, a Gaza.
In particolare un razzo Fajr-5 con testata da 100 kg di esplosivo, lanciato da un parco giochi all'esterno dell'ospedale Shifa perché andasse ad abbattersi sul centro di Israele, è esploso anticipatamente causando vittime.
Hamas e Jihad Islamica si erano precipitate ad accusare Israele, automaticamente riprese senza verifiche da social network e stampa internazionale....

(israele.net, 30 luglio 2014)


I bambini di serie B che muoiono in Ucraina

Cadono anche loro maciullati dalle schegge o mentre cercano un rifugio impossibile. Ma nessuno ne parla come i piccoli di Gaza. E un motivo c'è.

di Fausto Biloslavo

 
La bambina di un anno è morta per le schegge fra le braccia dei familiari. Da domenica un intenso fuoco di artiglieria ha spazzato via 19 civili compresi 5 bambini.
   Può sembrare il tragico bollettino di guerra dalla striscia di Gaza, che ogni giorno nei minimi particolari viene diffuso a tamburo battente dai media di tutto il mondo. In realtà è la scarna contabilità di un altro conflitto, dimenticato anche se insanguina il cuore del'Europa. I bimbi dei palestinesi, forse perché sono vittime dei «cattivi» israeliani, fanno più notizia della guerra senza quartiere nell'est dell'Ucraina dei «buoni» di Kiev contro i ribelli filo russi. Peccato che di mezzo, come a Gaza, ci finiscano i bambini che almeno da morti dovrebbero «pesare» allo stesso modo agli occhi del mondo. Invece non è così. Delle vittime innocenti palestinesi sappiamo
Delle vittime innocenti palestinesi sappiamo tutto fino all'ultimo secondo. Dei loro coetanei fra Donetsk e Lugansk ugualmente maciullati dalla guerra sappiamo poco o niente.
tutto fino all'ultimo secondo: giocavano a pallone sulla spiaggia, si nascondevano in un asilo, sono stati colpiti in maniera barbara. Dei loro coetanei fra Donetsk e Lugansk ugualmente maciullati dalla guerra sappiamo poco o niente. Quasi non valesse la pena raccontare in prima pagina la fine di Ira, una teenager uccisa il 16 luglio ad un pugno di chilometri da Donetsk mentre cercava inutilmente riparo dai bombardamenti. Neppure quando le storie sono strappalacrime come quella di Bogdan, 4 anni, che ha perso la madre, ma si è salvato per miracolo sotto le macerie di una casa sbriciolata dall'artiglieria.
   Sembrano quasi morti di serie B, ancora più dimenticati dopo la denuncia di Human right watch che ha accusato le forze ucraine di usare i potenti, ma imprecisi razzi Grad in zone densamente popolate. Pure i separatisti filo russi non vanno per il sottile, ma la spina sanguinante nel cuore d'Europa è emersa dall'oblio solo con la tragedia dell'aereo passeggeri precipitato. Un crimine di guerra da punire duramente, anche se fosse un tragico sbaglio, ma il sangue degli 80 bambini a bordo non è l'unico tributo di innocenti nel conflitto in Ucraina.
   Lunedì le Nazioni Unite hanno sciorinato la tragica realtà dei numeri puntando alle stime più basse: 1129 morti da fino aprile e 3500 feriti. Numeri dettati secondo l'Onu «dall'aumento dei bombardamenti di zone residenziali». A Gaza, seppure in poche settimane, la cifra delle vittime, compresi i miliziani palestinesi, è pressapoco la stessa. I bambini sarebbero 270 e assieme ai piccoli morti del Boeing piovuti dal cielo dell'Ucraina sono vittime di serie A. Almeno rispetto ai loro coetanei fra Donetsk e Lugansk, che hanno la sfortuna di vivere dalla parte sbagliata della barricata. A Luganks nelle ultime settimane sono state registrati 250 morti. I bombardamenti non hanno risparmiato neppure una casa di riposo, ma nessuno ci racconterà all'ora di punta del Tg come sono stati uccisi cinque disgraziati intrappolati all'interno. Solo al numero 14 di via Lenin nel piccolo centro di Snizhne sono morti 11 civili in un colpo solo. Human right watch rivela nel suo ultimo rapporto, che i governativi il 12 e 21 luglio hanno lanciato una valanga di missili Grad su tre quartieri zeppi di civili di Donetsk, la «capitale» dei separatisti semi circondata.
   Niente di nuovo sul fronte orientale, ma la denuncia è passata sotto silenzio a differenza delle quotidiane proteste internazionali per Gaza. Le forze ucraine negano di usare gli imprecisi Grad, ma ammettono che oramai si sta precipitando «in un conflitto senza pietà». E volutamente dimenticato a cominciare dalle vittime più piccole ed indifese, che dovrebbero essere sempre uguali ed innocenti a tutte le latitudini e da qualunque lato della barricata.

(il Giornale, 30 luglio 2014)


Chi rimprovera agli ebrei qualcosa che non rimprovera ai non ebrei, è un antisemita.


Manipolazione

di Francesco Lucrezi

La massiccia, scientifica, sistematica manipolazione dei dati relativi alla guerra di Gaza da parte della grande maggioranza dei media mondiali è stata reiteratamente denunciata, su queste e altre pagine, e non è il caso di richiamarla ancora, tanto sono evidenti la falsità e la malafede che grondano da tanti mezzi di informazione, su carta, web, radio e televisione. Strettamente collegata a tale distorsione è quella che emerge da molti, moltissimi dei commenti (anche in questo caso, la grande maggioranza) dedicati alla situazione da 'esperti' di vario tipo.
   Pur nella difficoltà di ridurre a sintesi una quantità tanto vasta e variegata di opinioni (che, ovviamente, possiamo conoscere direttamente solo in piccola parte), vorremmo sottolineare il carattere palesemente ambiguo e maligno dei numerosi ragionamenti che sono stati fatti, in questi giorni, sul rapporto tra il conflitto in corso e l'impressionante rigurgito, in tutto il mondo, di manifestazioni di violento antisemitismo.
   Al riguardo, molti commentatori si soffermano sulla vecchia, trita e noiosissima distinzione tra antisionismo e antisemitismo, sovente auspicando che le legittime critiche a Israele o al suo attuale governo non degenerino in indiscriminati attacchi agli ebrei "tout court". Bruciare bandiere di Israele è una cosa, picchiare scolari con la kippà un'altra, lanciare contro le Ambasciate israeliane bambole insanguinate ha un significato, auspicare la riapertura dei campi di concentramento ne ha un altro, aggredire calciatori israeliani è diverso da urlare "Hamas, Hamas, ebrei al gas" ecc. ecc.
   Dobbiamo ringraziare tutti i dotti commentatori che, in tempi così chiassosi e confusi, ci aiutano, con i loro paletti e parametri, a fare le debite distinzioni, a non fare di ogni erba un fascio.
   Ma quasi tutti, pur nella varietà dei giudizi e delle argomentazioni, sottolineano il fatto che l'insieme di questi fenomeni (sia quelli legittimi sia quelli 'deviati') sono in ogni caso da considerare una reazione alle operazioni militari condotte da Israele, il quale ne porterebbe quindi comunque (in modo esclusivo o concorrente, a titolo doloso o colposo) la responsabilità. Quasi tutti (pur dando valutazioni diverse del comportamento del governo di Gerusalemme, giudicato criminale, esagerato, o anche, talvolta, comprensibile) concordano nel notare come l'operazione "scudo difensivo" abbia provocato, come effetto collaterale, questa prevedibile reazione antiebraica, che, senza l'intervento di Tsahal, si sarebbe potuto evitare. E' vero - ricorda qualcuno - che l'antisemitismo c'era anche prima, ma certamente è cresciuto, e di molto, senza la guerra ciò non sarebbe accaduto. Sarebbe bastato che gli israeliani avessero continuato a prendersi i loro razzi, buoni buoni, come noi prendiamo la tintarella, e il problema non sarebbe sorto.
   Riguardo a tali considerazioni, faccio solo tre piccole osservazioni.
   La prima. Considerare l'antisemitismo come un fenomeno reattivo, come un'allergia, e non come un qualcosa di autonomo, di autogeno, significa non averne capito nulla, ma proprio nulla.
   La seconda. E' vero che l'antisemitismo può accendersi per alcuni fatti, o alcuni pretesti, come la benzina si accende per un cerino. Ma ciò non vuol dire che prima, apparentemente 'spento', esso non ci fosse. Nessun cerino può accendere una tanica vuota, o piena d'acqua. Prima dell'affare Dreyfus, in Francia, c'era esattamente lo stesso livello di antisemitismo di dopo, solo che era nascosto.
   La terza. Se c'è un collegamento tra i fatti di Israele e l'antisemitismo, è proprio sicuro che esso sia sempre e soltanto a senso unico, e che il rapporto di causa-effetto sia unilaterale? E' strano, anche in natura, che il vento spiri sempre e soltanto in una sola direzione. Possibile che nessuno si chieda mai se l'antisemitismo mondiale non giochi un qualche ruolo in questa guerra, come in tutte le altre guerre di quell'area? Che nessuno si chieda, per esempio, se Hamas non possa sentirsi incoraggiata e supportata - prima del lancio dei missili, non solo dopo - dallo sfegatato tifo di quelli che la appoggiano, da tanto lontano, al grido di "morte agli ebrei"?
   Eppure sarebbe una domanda così facile, con una risposta così facile. Per questo, forse, nessuno se la pone.
Esatto. E’ quello che abbiamo ripetuto diverse volte. I cripto-antisemiti (la maggior parte) detestano le domande semplici come questa. E se qualcuno gliele fa, tacciono un momento, poi riprendono il discorso che stavano facendo prima e ti chiedono se sei d’accordo. E se non lo sei... beh, allora, vedi: lì sta il problema.


(moked, 30 luglio 2014)


Il mistero della sopravvivenza di Israele
    "Ricordati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo; io ti ho formato, tu sei il mio servo, Israele, tu non sarai da me dimenticato" (Isaia 44:21).
In questo versetto ci sono tre indicativi e un imperativo. I tre indicativi sono: io ti ho formato (passato), tu sei il mio servo (presente), tu non sarai da me dimenticato (futuro). E' in conseguenza di questi fatti che Dio rivolge a Israele l'imperativo: Ricordati di queste cose! "Ricordati di quello che ti ho detto - sembra dire il Signore - perché sono cose che ho detto a te e non ad altri, e queste parole sono per te un incarico da svolgere. Sappi comunque che il tuo presente di servizio è rinserrato tra un passato e un futuro che non dipendono da te. Io ti ho formato, io non ti dimenticherò.
"Io non ti dimenticherò", questa è la spiegazione del mistero della sopravvivenza del popolo ebraico. E' la memoria di Dio che mantiene in vita il popolo ebraico per il semplice fatto che è dalla memoria di Dio che il popolo è nato. Ad Abraamo Dio aveva promesso: "Io farò di te una grande nazione" (Genesi 12:2), ma in tutto il tempo dei patriarchi questa nazione non si è vista. La nazione si è formata nel periodo della schiavitù d'Egitto, in un periodo di quattrocento anni trascorso senza profeti e senza rivelazioni, in cui gli ebrei avevano certamente fatto in tempo a dimenticare la storia dei loro antenati. Il mistero della sopravvivenza del popolo ebraico era già presente. Ma la sua spiegazione non è difficile:
    "Durante quel tempo, che fu lungo, il re d'Egitto morì. I figli d'Israele gemevano a causa della schiavitù e alzavano delle grida; e le grida che la schiavitù strappava loro salirono a Dio. Dio udì i loro gemiti. Dio si ricordò del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe. Dio vide i figli d'Israele e ne ebbe compassione" (Esodo 2:23-25).
Il Signore si ricordò del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe, e tra le doglie delle dieci piaghe d'Egitto e con Mosè come levatrice il Signore portò alla luce la nazione d'Israele. Perché meravigliarsi allora della sopravvivenza del popolo ebraico? Ci sarebbe da sorprendersi del contrario. Dio ha memoria ed è fedele, cioè non solo si ricorda delle promesse che ha fatto, ma anche le mantiene.
Se dunque la ragione ultima della sopravvivenza del popolo ebraico sta nell'indefettibile volontà di Dio, la radice profonda dell'antisemitismo non può che trovarsi nella resistenza tenace a questa volontà. E' una resistenza che naturalmente non esce dall'ambito creaturale, ma neppure resta nell'ambito esclusivamente umano, perché i nemici di Dio, e quindi del Suo popolo, sono anche spirituali.


I lettori interessati possono ricevere in dono una copia gratuita del libro "Dio ha scelto Israele".
Come forma di "pagamento" si richiede soltanto di fare un'offerta di almeno 10 euro a un ente di soccorso israeliano, come per esempio Magen David Adom o Yad Eliezer.
L'impegno è esclusivamente morale, quindi non è necessario darcene conferma.
Per ricevere il libro è sufficiente scriverci indicando come oggetto LIBRO e come testo nome, cognome e indirizzo del destinatario.




 

La guerra di Israele per la sopravvivenza, anche dei cristiani

di Elleci

Se Hamas deponesse le armi, la guerra finirebbe immediatamente. Se Israele deponesse le armi, Israele finirebbe immediatamente.
Non solo Israele è l'unico posto al mondo dove uno sporco ebreo è semplicemente un ebreo che si lava poco. Israele è l'unico posto al mondo in cui i cristiani, invece di diminuire aumentano.
Nel mondo occidentale il vertiginoso calo delle vocazioni e dei fedeli nelle Chiese è dettato da ragioni culturali che, per quanto lascino perplessi, derivano comunque da una libera scelta dell'individuo.
Al contrario, in tutto il mondo islamico, il numero dei fedeli cristiani, ossia cattolici, protestanti, ortodossi, ecc. è falcidiato da persecuzioni, stermini di massa, espulsioni.
Basta vedere cosa succede in Nigeria, in Iraq, in Siria e nella stessa Gaza dove i cristiani stanno scomparendo lasciandosi dietro una scia di sangue, crocifissioni, linciaggi, violenze di ogni genere. Le stesse che, negli ultimi secoli, hanno annientato, nel mondo arabo e islamico, le millenarie comunità di ebrei, ormai estinti in queste terre.
Come dicono i Fratelli Musulmani: dopo sabato, viene domenica. Ossia dopo la mattanza degli ebrei nel loro giorno più sacro, ora tocca ai cristiani.
Ritengo, pertanto, che Israele non solo abbia il diritto di difendersi contro i terroristi ma che quando lotta difende anche noi cristiani.

(Giustizia Giusta, 30 luglio 2014)


Se Israele deponesse le armi

di Marcello Cicchese

"Se Hamas deponesse le armi, la guerra finirebbe immediatamente. Se Israele deponesse le armi, Israele finirebbe immediatamente."
Le cose stanno proprio così, e lo conferma un video di Hamas che sta girando in questi giorni in rete ed è commentato con piacere dagli odiatori di Israele. Ecco come ne parla uno di quei siti "neutrali" che mettono sempre in cattiva luce Israele (e che non citiamo per non farne pubblicità):
    "La sequenza presenta una sortita-lampo che scorre in meno di quattro minuti. Si vedono gli atletici combattenti palestinesi uscire da un tunnel scavato fin oltre il confine di Gaza, a pochi passi da una piccola guarnigione con la stella di David, una delle tante che punteggiano l'orribile Muro israeliano. In pochi minuti il manipolo - grazie a un effetto sorpresa da manuale - riesce a sopraffare i giovani militari dell'IDF. Si vedono le azioni, si sentono gli spari, la lotta corpo a corpo con gli israeliani in svantaggio."
E' evidente l'ammirazione dello scrittore per "gli atletici combattenti palestinesi", e l'intima soddisfazione per la riuscita dell'azione che è presentata come "ribellione fra gli umiliati di Gaza". Nella notizia si dice anche che i soldati israeliani uccisi sono dieci, e nel filmato si vede un terrorista che mostra trionfalmente il mitra del nemico ucciso. Non sappiamo quanto siano vere e precise queste informazioni, ma in ogni caso questo conferma che i tunnel sono un'arma di guerra, e in tutte le guerre ci sono scontri che si vincono e si perdono. Ma se è guerra, allora è importante vedere chi alla fine vince. E una cosa è chiara: se la dovessero perdere gli israeliani, la questione umanitaria perderebbe ogni importanza agli occhi dei vincitori e del mondo che assiste. Quindi Israele fa bene a dire che prima di ogni altra cosa bisogna distruggere quei tunnel. E' guerra, certo, con tutto quello che significa di morti, lutti e sofferenze, ma Israele non può perderla. Non ha altra scelta.

(Notizie su Israele, 30 luglio 2014)


Tutti alla veglia questa sera

Roma, lungotevere Raffaello Sanzio 8/c, dalle 21 alle 24, torce, sedie e testimonianze.

Questa sera dalle 21 alle 24 il Foglio organizza una veglia per Israele e i cristiani perseguitati in tutto il mondo. L'appuntamento è davanti alla redazione romana del giornale, in Lungotevere Raffaello Sanzio 8/c, tra piazza Trilussa e viale Trastevere.
  Con il direttore Giuliano Ferrara, la redazione del Foglio, gli amici e i lettori che vorranno condividere con noi queste ore, ci saranno l'ambasciatore israeliano a Roma Naor Gilon, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, la comunità ebraica di Roma rappresentata dal suo presidente Riccardo Pacifici, Yohanna Arbib Perugia (ex presidente del Keren Hayesod), Raffaele Sassun (presidente del Keren Kayemeth), rappresentanti della comunità ebraica di Torino, Gianluca Pontecorvo di Progetto Dreyfus, il giornalista cattolico Antonio Socci e il senatore liberale Luigi Compagna. E' stato invitato anche il premier Matteo Renzi.
  Oggi alle ore 20, presso la chiesa di San Gregorio Nazianzeno (Vicolo Valdina) a Roma si terrà, su iniziativa di Pier Ferdinando Casini e Paola Binetti in rappresentanza di Senato e Camera, la Santa Messa in segno di solidarietà nei confronti dei cristiani di Mosul. Dopo la messa, Pierferdinando Casini e gli altri parlamentari raggiungeranno la sede del Foglio per partecipare e intervenire alla veglia. Ieri anche Bill Kristol sul Weekly Standard ha invitato tutti i lettori del magazine americano nei pressi di Roma a partecipare alla veglia.
  "Si dice che Israele abbia tantissimi amici. Ma poi nel momento del bisogno li puoi contare sulle dita di una mano", dice, intervistato oggi sul Foglio, Jochen Feilcke, ex Bundestag nelle fila della Cdu. Vero, ecco perché questa sera scenderemo in strada a Roma. "Pochi o molti che saremo - ha scritto ieri l'Elefantino - saremo quelli che hanno espresso questo rifiuto, che non vogliono confusione ideologica e maleducazione intellettuale". Qualcuno, anche da lontano, ci sarà, a giudicare dalle tante adesioni arrivate via email e sui social network, di cui diamo conto qui. "Siamo ancora troppo pochi", ci scrive Sharon Nizza sul Foglio oggi. Intanto ci siamo, e sappiamo che si può e si deve reagire.

(Il Foglio, 30 luglio 2014)


Israele intercetta nella notte razzi da Gaza su Tel Aviv

Il sistema di difesa missilistica israeliano Iron Dome è entrato in funzione nella notte intercettando nei cieli di Tel Aviv due razzi lanciati dalla Striscia di Gaza.
Intanto la campagna militare dello Stato Ebraico è proseguita ieri mantenendo l'obiettivo già esplicitamente dichiarato dal Premier Benjamin Netanyauh: demilitarizzare la Striscia. Prima tappa, la distruzione dei tunnel, operazione di cui l'esercito stesso ha diffuso ieri delle immagini.
Le incursioni dei militari israeliani all'interno della Striscia di Gaza sono finalizzate proprio ad individuare le entrate e distruggere i tunnel utilizzati da Hamas, con l'impiego di robot inviati nelle cavità prima che i militari vi accedano.
L'altro obiettivo prioritario è quello di isolare e smantellare le postazioni da cui i militanti palestinesi sparano i razzi Grad e Katyusa con i quali Hamas penetra sempre più a fondo nel territorio israeliano.
Una guerra dai costi spropositati per la popolazione palestinese, ma che potrebbe incrinare in parte anche l'appoggio israeliano: sono ormai 53 i soldati dello Stato Ebraico morti dall'inizio delle operazioni, in appena tre settimane.

(euronews, 30 luglio 2014)


Una domanda che è anche una proposta: esiste la possibilità di fare modelli virtuali di quello che avrebbe provocato un razzo se non fosse stato interecettato? La rappresentazione simulata di quello che sarebbe successo potrebbe far riflettere qualcuno.


Ma tu, Israele, mio servo, Giacobbe che io ho scelto, progenie di Abraamo, l'amico mio, tu che ho preso dalle estremità della terra, che ho chiamato dalle parti più remote di essa e a cui ho detto: 'Tu sei il mio servo; ti ho scelto e non ti ho reietto', tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia. Ecco, tutti quelli che si sono infiammati contro di te saranno svergognati e confusi; i tuoi avversari saranno ridotti a nulla e periranno. Tu li cercherai e non troverai più quelli che contendevano con te. Quelli che ti facevano guerra saranno come nulla, come cosa che non è più; perché io, l'Eterno, il tuo Dio, sono colui che ti prende per la mano destra e ti dico: 'Non temere, io t'aiuto!'
dal libro del profeta Isaia, cap. 41







 

Scrittori e altra bella gente scatenata contro Israele e "il popolo eletto"

di Giulio Meotti

Il giornale è il Mundo, che ha contribuito a modellare la storia recente della Spagna, il secondo quotidiano del paese, il secondo sito internet in Europa, il primo al mondo in lingua spagnola. L'autore è Antonio Gala, venerato maestro delle lettere iberiche, classe 1920, premio León Felipe per la democrazia. Il titolo dell'articolo è "Los elegidos?". Gli eletti?
   Siamo a livelli di rottura insopportabili delle convenzioni polemiche. Parlando di Gaza, lo scrittore Gala prende di mira il popolo ebraico tout court e dice che ha meritato l'espulsione dalla Spagna del 1492. "Non è strano che siano stati espulsi così di frequente", scrive Gala degli ebrei. "Ciò che sorprende è che persistano. O essi non sono buoni, oppure qualcosa li avvelena. (…) Adesso devi soffrire i loro abusi a Gaza". L'autore di "Petra regalada" spiega che "il popolo ebraico avrebbe potuto fare del bene all'umanità", ma "non sono fatti per coesistere". Gala evoca, a dimostrazione della presenza di una lobby ebraica mondiale, anche "una invisibile comunità di sangue". L'editoriale di Gala fa parte di una impressionante campagna di delegittimazione di Israele che da settimane domina sulla grande stampa europea. In una lettera al Mundo, il presidente della comunità ebraica di Madrid, David Hatchwell, ha detto che ricorrerà alle azioni legali per "proteggerci con vigore".
   Intanto, registi blasonati come Mike Leigh e Ken Loach e sei premi Nobel (Desmond Tutu, Betty Williams, Jody Williams, Adolfo Pérez Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberta Menchò) invitano a boicottare Israele come venne fatto con l'apartheid. Lo spagnolo Almodovar denuncia il "genocidio" israeliano a Gaza. Appelli contro lo stato ebraico sono promossi da scrittori come l'autrice del best-seller "Il colore viola" Alice Walker, il premio Pulitzer Chris Hedges, l'ex direttore generale dell'Unesco Federico Mayor Zaragoza, la regista Mira Nair e il filosofo Slavoj Zizek, nichilista sloveno che si porta bene nell'alta società.
   Al Fringe Festival di Edimburgo non andranno i ballerini israeliani della Ben Gurion University nel Negev. Quel Negev bersagliato dai missili di Hamas. Non ci andranno perché sono arrivate richieste di boicottare l'evento "in segno di protesta contro l'offensiva militare israeliana a Gaza". E il boicottaggio ha vinto. La scorsa settimana, una lettera aperta firmata da oltre cinquanta personalità della cultura, tra cui la poetessa nazionale di Scozia, Liz Lochhead, ha chiesto e ottenuto che un altro show, "The City", prodotto sempre da una compagnia israeliana, venisse annullato. Particolarmente virulento l'attacco a Israele da parte dello scrittore americano Lawrence Weschler, per vent'anni redattore del New Yorker. Weschler attacca gli israeliani che "confinano 1,8 milioni di abitanti di Gaza all'interno di quello che potrebbe essere descritto come un campo di concentramento". Weschler paragona Gaza alla città sudafricana di Soweto, il ghetto nero costruito dagli architetti dell'apartheid e simbolo della rivolta contro il regime razzista del Sudafrica. O peggio, "a Dachau e Theresienstadt".
   Accostamenti fra il sionismo e il nazismo non si contano sui media del mainstream europeo.
Guardian: "Israele sta razionando tutto ciò che entra a Gaza, dalle calorie alla letteratura. Questa non è una guerra, ma una spedizione punitiva"
Anche il giornale inglese Guardian ha pubblicato un appello per boicottare Israele: "Israele sta razionando tutto ciò che entra a Gaza, dalle calorie alla letteratura. Questa non è una guerra, ma una spedizione punitiva, l'attacco di un potente stato militare, armato e sostenuto dall'occidente, contro dei poveri, assediati e sfollati. Dobbiamo intensificare il nostro boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, in una campagna internazionale per porre fine all'impunità di Israele". Il celebre scrittore Iain Banks di recente ha annunciato che i suoi romanzi non saranno più pubblicati in Israele. E' una guerra culturale ai fondamenti dello stato ebraico.
   Sul quotidiano francese Libération, lo scrittore e filosofo Michael Smadja ieri giustificava così il terrorismo di Hamas: "Se fossi nato Gaza, avrei fatto parte di Hamas. E senza dubbio, sarei disposto a fare qualsiasi cosa per fermare quella che mi sembrerebbe una cieca oppressione".
   Sta destando scandalo negli ambienti politici britannici il messaggio di un parlamentare liberal-democratico in coalizione con i Tory di David Cameron, David Ward, che ha scritto: "La grande domanda, se io vivessi a Gaza, è se sparerei un razzo. Probabilmente sì". Intanto Tesco, la principale catena di supermercati del Regno Unito, da ieri non venderà più prodotti israeliani dei Territori. "Servizio clienti Tesco. Se state chiamando per informazioni sui prodotti da Israele, siete pregati di digitare 1". Così accoglie i clienti il risponditore automatico del gigante inglese. Riecheggia il vecchio motto "Kauft nicht bei Juden". Non comprate dagli ebrei.
   Fra le promotrici del boicottaggio la drammaturga inglese Caryl Churchill, una presenza fissa al Royal Court Theater di Londra, nella cui pièce "Sette bambini ebrei" mette in bocca queste parole a un israeliano: "Dille che non m'importa se li abbiamo spazzati via. Dille che noi sappiamo odiare meglio. Dille che siamo il popolo eletto". Los elegidos. Il marchio dell'odio.

(Il Foglio, 30 luglio 2014)


Roma-Real Madrid 1-0

La partita amichevole Roma-Real Madrid, disputatasi a Dallas, ha avuto un aspetto gradevole e uno sgradevole. L’aspetto gradevole è che la Roma ha vinto. Quello sgradevole, ma anche ameno, è che alcuni ragazzotti, maschi e femmine, hanno voluto divertirsi un po’ provando a sfidare le forze dell’ordine nel tentativo (riuscito) di entrare in campo, e uno di loro ha voluto farlo in una forma un po’ alla moda sventolando una bandiera palestinese.

(Notizie su Israele, 30 luglio 2014)


Le parole tra noi pesanti

Distinguere tra il vocabolario umanitario e le vittime di guerra

di Giuliano Ferrara

Strage, carneficina, massacro, sterminio, ecatombe, olocausto: ovunque muoiano per mano violenta esseri umani, e tra di essi i bambini, è lutto e dolore inestinguibili (si nascondono nel tempo che passa, ma restano per sempre al nostro fianco). C'è però un problema serio di nomenclatura. I nomi non sono neutrali. Possono essere più che imprecisi, tendenziosi, magari senza neanche saperlo. Propagano ideologia, falsa coscienza. A leggere i giornali italiani nel loro registro medio, la notizia di cui si fa commercio legittimo per milioni di lettori; a guardare immagini e ascoltare corrispondenze televisive, news di ogni orientamento, di tutti gli editori, in tutte le lingue: bene, davanti a tutto questo sfoggio di termini umanitari o sacrificali o variamente apocalittici per raccontare le guerre cui Israele è costretta per difendersi, da ultima questa di Gaza, uno pensa che sarebbe più serio e più giusto e più responsabile parlare di "vittime di guerra".
Cento cristiani uccisi in Nigeria: è una strage o carneficina. Famiglie colpite, annientate o scacciate dai vari Califfi del medio oriente: è un olocausto. Il martirio non è primo né secondo in una vicenda tragica umana che non sopporta classifiche. Ma è cosa precisa. A Gaza invece è in atto, dichiarata, una guerra al terrorismo, su un fazzoletto di terra superpopolato, caduto in mano a una banda di predoni terroristi che predicano e cercano di realizzare a colpi di razzi e rapimenti e infrastrutture d'attacco l'annientamento del vicino, un piccolo paese, certo ricco e tecnologicamente prospero e potente regionalmente, ma un piccolo paese condannato all'autodifesa, alle barriere, ai muri, da una inimicizia mortale che minaccia di diventare esistenziale in una situazione prenucleare ben segnalata dalla furia omicida dell'ayatollah Khamenei espressa ieri con parole dolosamente chiare.
Date i nomi veri alle cose. Le vittime di guerra provocano lo sconcerto di sempre, e le loro immagini piangono da sole. Ma non sono stragi le conseguenze della guerra, non nel senso "umanitario" che dà a esse un'informazione profondamente tendenziosa e confusa. Le guerre hanno dei responsabili e delle cause, sono fatte in offesa agli altri popoli e agli altri credo oppure in difesa del proprio diritto di esistere in pace. C'è una differenza, e le parole non possono cancellarla.

(Il Foglio, 30 luglio 2014)


Giornalista palestinese di Liberation cacciato dalla Striscia di Gaza su ordine di Hamas

Hamas ha ordinato al giornalista nativo di Gaza Radjaa Abou Dagga, corrispondente dalla Striscia per il giornale francese Ouest France e collaboratore di Liberation di lasciare Gaza immediatamente . Lo denuncia lo stesso giornalista dalle colonne di Liberation in un articolo dal titolo "Le pressioni di Hamas sulla stampa". Il cronista afferma di aver ricevuto l'ordine senza aver avuto nessuna spiegazione. Ma Dagga è conosciuto per il suo spirito critico.
Qualche giorno fa il reporter è stato convocato da membri del servizio di sicurezza del movimento islamista nei locali dell'ospedale Al Shifa, nel centro di Gaza. Il giornalista ha subìto un interrogatorio in piena regola a pochi metri dai feriti che affluivano nella struttura. I militanti che lo hanno sequestrato per alcuni minuti erano giovanissimi e portavano una pistola nascosta nella cintura. «Sono rimasto sorpreso dal loro modo di fare - afferma il giornalista - quando mi hanno lasciato andare mi hanno lanciato un avvetimento ben chiaro: «Per il tuo bene faresti bene a lasciare Gaza il più presto possibile». Secondo l'associazione Reporters sans frontieres nei giorni scorsi militanti di Hamas avrebbero minacciato diversi altri giornalisti palestinesi e stranieri.

(Il Messaggero, 29 luglio 2014)


Germania - Bombe molotov lanciate contro una sinagoga: arrestato un palestinese

 
La Sinagoga di Wuppertal poche ore dopo l'attacco
Resti di una bomba molotov lanciata contro la Sinagoga
La guerra che infiamma il medioriente e uccide a Gaza innesca micce anche in Germania: la notte scorsa, diverse molotov sono state lanciate contro l'ingresso della sinagoga di Wuppertal, nel Nordreno-Vestfalia. Nessuno è rimasto ferito, e non ci sono stati danni al tempio religioso. Un giovane di 18 anni, che ha detto di essere palestinese, è stato arrestato, col sospetto di aver partecipato all'azione con altri due uomini riusciti a fuggire.
Lo sconcerto, il giorno dopo, è forte, nella comunità ebraica: il presidente del consiglio centrale degli ebrei in Germania, Dieter Graumann, si è detto «senza parole». Mentre la numero uno della comunità di Monaco, Charlotte Knobloch, ha lanciato un appello allarmato: «gli ebrei non si facciano individuare come ebrei, perchè rischiano in questo momento di essere vittime di attentati».
Non è la prima volta che gli eventi della Striscia di Gaza hanno forti ripercussioni sul suolo tedesco, dove il governo si è sempre schierato a favore della sicurezza di Israele, come parte dell'assunzione di responsabilità per l'olocausto nazista: una «ragione di Stato» per la Germania nelle parole di Angela Merkel, che comunque propende per una soluzione a due stati in medioriente. La Frankfurter Allgemeine Zeitung riporta, ad esempio, delle minacce ricevute dal rabbino di Francoforte: telefonate minatorie di un sedicente «palestinese che vive con la sua famiglia a Gaza». E «non si tratta di un fenomeno nuovo», secondo gli inquirenti. «La notizia sull'attacco alla sinagoga ci lascia tutti senza parole», ha detto Graumann. Ci sono state diverse minacce a istituzioni ebraiche, ha continuato parlando al Rheinische Post, secondo un'anticipazione, e la situazione va monitorata «con grande attenzione».
Toni anche più gravi nell'appello della Knobloch in un'intervista in uscita domani con il giornale Koelner Stadt Anzeiger: «Quello che viviamo al momento è il tempo più preoccupante e minaccioso dal 1945. Da noi i telefoni non tacciono. Ci troviamo a confronto con offese e parole di odio - ha denunciato - Che gli ebrei nel nostro paese vengano di nuovo offesi e attaccati, non dovremmo accettarlo mai. E quando le sinagoghe bruciano è il tempo di chiedere a chi ne ha la responsabilità: che dobbiamo fare per proteggere i concittadini ebrei?». Secondo la Knobloch, che è ex presidente del consiglio centrale «la campagna diffamatoria nei confronti degli ebrei ha raggiunto un nuovo livello di intensità nel nostro Paese. Sono molto preoccupata - ha concluso - perchè non vedo arrivare nulla dalla società, non sento il grido: Ora basta!».

(Il Messaggero, 29 luglio 2014)


Netanyahu: "Inaccettabile la minaccia dal cielo e dalla terra"

Un'infiltrazione in territorio israeliano, cinque soldati uccisi, tutti tra i 18 e i 21 anni. Con queste notizie si è chiusa una delle giornate più drammatiche dall'inizio del conflitto. Dopo ore di relativa quiete, in cui i combattimenti si erano fermati in occasione della giornata che segnava ieri la fine del Ramadan, pur senza una ufficiale dichiarazione di cessate il fuoco, la tensione è tornata a salire. Colpi di mortaio sparati da Gaza hanno ucciso quattro soldati nella regione di Eshkol. E pure da razzi sparati dalla stessa Striscia sono state causate le esplosioni all'ospedale Al Shifa e al campo profughi di Al Shati, dove sono rimaste uccise diverse persone fra cui bambini (a diffondere le fotografie aree dell'accaduto, lo stesso esercito israeliano).
In serata il premier Benjamin Netanyahu ha parlato alla nazione.
"Non completeremo la nostra missione senza prima aver neutralizzato i tunnel il cui unico obiettivo è l'annientamento del nostro popolo e l'uccisione dei nostri bambini. Questo è il chiaro obiettivo dello Stato di Israele" ha sottolineato, aggiungendo che non è possibile arrivare a una tregua senza la smilitarizzazione della Striscia e il disarmo di Hamas, un risultato che dovrebbe perseguire con forza anche la comunità internazionale. Comunità internazionale che il premier ha criticato per aver permesso che i fondi destinati a Gaza arrivassero nelle mani dell'organizzazione terrorista che li impiega per costruire i tunnel.
"La situazione deve cambiare. I cittadini di Israele non possono vivere sotto la minaccia dei razzi e delle infiltrazioni dai tunnel, con il pericolo mortale che arriva dal cielo e dalla terra" ha concluso.

(moked, 29 luglio 2014)


Quella richiesta di resa a senso unico che fa litigare Obama e Netanyahu

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - Dopo una giornata terribile, Netanyahu ha chiuso ogni possibilità di una tregua senza condizioni, e ha lasciato la porta aperta se includerà il disarmo di Hamas. Israele ha detto "non può accettare di vivere sotto una continua minaccia di morte", accetterà la richiesta internazionale distruggendo i tunnel. Lo ha detto mentre di nuovo sembra si sia infiltrato un commando cui si dà ancora la caccia, e anche dopo che i missili hanno falciato per la prima volta quattro civili ferendone 17 proprio dove abbiamo incontrato Chaim Yellin, il capo della regione di Eshkol. "Queste sono le tregue umanitarie di Hamas", ha detto Netanyahu, ricordando che le ha violate tutte. Israele aveva rispettato un tacito cessate il fuoco per onorare la festa musulmana di Id el Fitr, ma dopo decine di missili ha deciso di reagire. I palestinesi lamentano una cannonata all'ospedale di Shiba: si denunciano sette morti , ma tutto è incerto quando le notizie sono di fonte Hamas, l'esercito sostiene di non aver sparato su Shiba, anche se il sotterraneo è la casa della leadership di Hamas. D'altra parte si sa ormai che l'esercito israeliano non ha compiuto la strage nella scuola dell'UNRWA.
La tecnica di Hamas è questa: se riesci a uccidere i civili sei il più apprezzato terrorista dell'area. Se non ci riesci usi la tua popolazione come scudo umano e ottieni il sostegno internazionale
Ma la tecnica di Hamas è di quelle "win-win", vittoria sicura: se riesci a uccidere i civili sei il più apprezzato terrorista dell'area, ammirato dall'Iran e dagli Hezbollah. Se non ci riesci usi la tua popolazione come scudo umano e ottieni il sostegno internazionale. Obama su questa linea ha chiesto a Netanyahu una tregua immediata e senza condizioni. Una proposta stupefacente per ragioni pratiche e strategiche che subito Ban Ki-moon ha ripreso: ieri ha messo sullo stesso piano Israele e Hamas, che ha nella sua carta il genocidio di ebrei e cristiani; ha anche minacciato Israele di isolamento e accuse di crimini di guerra. Così facendo ha seguito Obama, l amentando la perdita di civili ma restando silente sulla violazione di tutte le leggi internazionali di chi bombarda un Paese intero. L'origine del diktat di Obama comincia a definirsi venerdì, quando, invece dello schema egiziano Kerry presenta al governo israeliano un documento che condanna Israele a lasciare che Hamas mantenga i missili, le gallerie, i soldi dal Qatar senza controllo. Il gabinetto ha rifiutato la proposta che Kerry aveva costruita coinvolgendo i poli attivi dei Fratelli Musulmani, la Turchia, governata da Erdogan, un isterico antisemita che paragona Israele a Hitler, e il Qatar che finanzia tutte le rivoluzioni più sanguinose. Così facendo, ha emarginato l'Egitto, Abu Mazen, l'Arabia Saudita, la Giordania, che disegnavano una pace di lunga prospettiva.
   Kerry se l'è presa per il rifiuto; qui Obama che ha chiamato Netanyahu per chiedergli la tregua immediata e senza condizioni, in cui non è previsto nè il disarmo dai missili, nè la distruzione dei tunnel destinati a portare mega attacchi terroristi fin dentro il territorio. In queste ore, poichè Netnayahu insiste per un accordo in cui sia incluso il disarmo di Hamas, Kerry starebbe cambiando il tono del discorso
Il piano di Hamas era un ingresso simultaneo da trenta-quaranta tunnel in altrettante comunità di Israele per una specie di 11 Settembre israeliano
americano, e segnalando disponibilità verso questo tema, mentre Obama l'aveva relegato a quando, fra qualche anno, un accordo finale sarà firmato. Troppi errori per la maggiore potenza mondiale, Per capire occorre guardare dentro la guerra, quando, in numerose case di Sujahie Israele scopre che ogni doccia, ogni cucina, ogni letto nasconde una botola verso decine di gallerie, alcune alte sei piani, altre adatte al passaggio di camion. Il piano di Hamas era un ingresso simultaneo da trenta-quaranta tunnel in altrettante comunità di Israele per una specie di 11 Settembre israeliano.
   In questo momento di enorme incertezza, mentre il 68 per cento degli israeliani chiede al governo di non abbandonare di nuovo la popolazione alla mercé dei missili e delle incursioni di Hamas, sembra che un commando tenti di penetrare per l'ennesima volta nei kibbutz. La guerra sembra iniziata ieri invece che tre settimane fa. Mai ci fu niente di più infiammatorio del cessate il fuoco.

(il Giornale, 29 luglio 2014)


E quando fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli cominciò con gioia a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi». Alcuni farisei fra la folla gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!». Ed egli, rispondendo, disse loro: «Io vi dico che se costoro si tacciono, le pietre grideranno». E come si fu avvicinato, vedendo la città, pianse su di lei, dicendo: «Oh, se tu avessi riconosciuto in questo giorno quello che occorre alla tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi.»

dal Vangelo di Luca, cap. 19







 

Pini: «Con Hamas non si dialoga. La sinistra è ideologica»

Il deputato leghista interviene sulla crisi in Medioriente e critica l'atteggiamento della sinistra: «Non bisogna offrire sponde ai fondamentalisti. Hanno provocato loro questo conflitto e vanno fermati».

di Alessandro Montanari

«Hamas va sradicata, serve una decisa risposta internazionale contro gli integralisti». L'appello è stato lanciato ieri mattina in aula dal deputato leghista Gianluca Pini che ha espresso «preoccupazione per il conflitto nella Striscia di Gaza», denunciando «un atteggiamento ideologico da parte della sinistra, da sempre sbilanciata a favore dei palestinesi, anche se assassini come Hamas». «Nel "brodo mediatico" ci si indigna a senso unico - continua Pini -, dimenticando troppo spesso i cristiani perseguitati e uccisi nel mondo per mano integralista».

- Onorevole Pini, qual è la sua opinione sulla guerra in atto a Gaza?
  «Innanzitutto ho il coraggio di dire quello che molti non osano fare, preferendo riempirsi la bocca di belle parole come "fermiamo l'escalation di violenza" e parteggiando aprioristicamente per le vittime di una sola parte. Dico che non bisogna offrire nessuna sponda di dialogo ai fondamentalisti di Hamas, che hanno provocato questo conflitto e vanno fermati. Hamas ha sviluppato chilometri di tunnel e sistemi offensivi sotterranei da cui partono razzi contro obiettivi civili israeliani. Gli israeliani sono stati indotti a reagire da parte di chi li ha materialmente provocati, ben conoscendo le conseguenze e la risposta che sarebbe arrivata. Ormai è provato che Hamas si fa scudo dei civili: scuole, mercati, ospedali sono usati per schermare il lancio di razzi. E' una strategia, ai danni del proprio popolo, che Hamas usa per scatenare l'opinione pubblica mondiale contro Israele. Nessuno lo dice ma, mentre i palestinesi muoiono sotto le bombe, i dirigenti di Hamas possiedono sontuose ville fuori dai territori dello scontro. Sorprende che certa sinistra non abbia compreso che il retroterra di Hamas non si alimenta certo di progressismo, bensì di fondamentalismo islamico, e stupisce che si abbandoni a certe visioni di parte».

(la Padania, 29 luglio 2014)


Veglia per Israele e i cristiani

Mercoledì sera, ore 21, davanti al Foglio, a Roma, finisce la pioggia, si accendono le torce.

di Giuliano Ferrara

 
Si può e si deve reagire. Israele, lo stato degli ebrei, è costretto alla guerra per difendersi, usa l'aviazione, l'artiglieria e il coraggio dei suoi ragazzi per tutelare il suo popolo dai missili. I suoi nemici di Hamas, organizzazione terrorista che ha in mano la Striscia di Gaza e predica l'annientamento dell'entità sionista, usano il loro popolo, e in particolare donne bambini vecchi e ammalati, per tutelare i tunnel e gli impianti missilistici e i depositi di armi negli ospedali e nelle scuole. E' una differenza morale, civile e politica che spiega molte cose. Non è umano e nemmeno umanitario cedere a questo ricatto infernale. La ricerca di un compromesso politico e militare, le richieste e le realizzazioni di tregue umanitarie, sono benvenute. Nel vasto e fosco orizzonte della politica mondiale, e del ruolo tragico in essa rivestito dalla questione israelo-palestinese, stanno molte emozioni e molte opinioni, anche di segno diverso e opposto: ma non si può accettare che il mondo, nell'ora in cui l'ordine mondiale è devastato dalla riluttanza e dal disimpegno del capo degli Stati Uniti d'America e dall'impotenza dell'Unione europea, si dichiari, come ha scritto nel suo libro Giulio Meotti, Judenmüde, stanco degli ebrei. Né si può accettare di rubricare come una serie di episodi locali la sequenza di stragi di cristiani, l'intolleranza violenta nei confronti della loro libertà di culto, il succedersi di rapimenti, stupri, assassinii di chi porta la croce come vessillo di umanità, di gioia e di pace.

(Il Foglio, 29 luglio 2014)


Bombe molotov contro una sinagoga in Germania

BERLINO - Attacco a una sinagoga a Wuppertal, in Germania. I media tedeschi riportano che tre uomini nella notte hanno lanciato bombe molotov contro l'ingresso dell'edificio religioso e sono poi fuggiti. Un 18enne è stato arrestato nei pressi dell'edificio di culto, mentre gli altri non sono stati individuati. Non è la prima volta che in Germania si verificano atti violenti contro la comunità ebraica, in relazione al conflitto in corso nella Striscia di Gaza.

(LaPresse, 29 luglio 2014)


Per riconoscere un antisemita

Per riconoscere un antisemita non ci vogliono grandi indagini.
  • Chi rimprovera agli ebrei qualcosa che non rimprovera ai non ebrei, è un antisemita.
  • Chi si scaglia contro gli "speculatori ebrei", ma non si indigna quando parla di speculatori non ebrei, è un antisemita.
  • Chi può osservare senza partecipazione emozionale lo spargimento di sangue in Siria, ma esce dal suo letargo soltanto quando sente dire al giornale radio che "Israele ha attaccato obiettivi nella striscia di Gaza", è un antisemita.
  • Chi dice, senza impaurirsi di se stesso, che in un paese libero si deve poter mettere in dubbio il diritto all'esistenza di Israele senza averne conseguenze non è soltanto un antisemita vecchio stampo, è uno che prepara verbalmente la prossima soluzione finale della questione ebraica. Ma questa volta in Medio Oriente. Anche l'antisemita ha bisogno di una prospettiva.
(da un articolo su "Die Welt", 29 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Israele contro tutti

Hamas attacca, Obama cala le braghe. Riprendono bombardamenti e raid. Il diktat di Barack per una tregua coi terroristi finisce in un fiasco.

di Carlo Panella

Ieri Hamas ha portato a segno una strage colpendo con un colpo di mortaio la città israeliana di Eshkol uccidendo 4 civili e ferendone 10. Contemporaneamente, razzi di Hamas hanno colpito un ospedale al Shifa di Gaza e un campo profughi uccidendo molti civili, tra cui una decina di bambini. Un commando di palestinesi è penetrato da un tunnel oltre il confine ma è stato distrutto dall'esercito israeliano.
   Nessuna tregua dunque, mentre si amplia la clamorosa rottura dell'Amministrazione Obama non solo con Israele, ma anche con l'Egitto e addirittura con l'Arabia Saudita. J.F. Kerry infatti deciso di abbandonare il Cairo e Ryad, storici pilastri dell'alleanza tra Stati Uniti e Paesi arabi e di sposare le tesi oltranziste del Qatar e del turco Erdogan, sponsor ufficiali di Hamas, presentando una proposta di tregua che assegnerebbe in toto la vittoria a quest'ultima, le permetterebbe di riprendere a lanciare razzi quando lo deciderà e lascerebbe Israele sotto la minaccia permanente di una aggressione. La proposta di Kerry ha dell'incredibile. Obbliga Israele a fermare subito la distruzione dei micidiali tunnel che nascondono l'arsenale di Hamas e permettono le infiltrazioni in Israele. Kerry peraltro non nomina mai Hamas e nemmeno l'Egitto. Una dimenticanza non casuale perché secondo la sua demenziale proposta non l'Egitto, ma il Qatar e la Turchia dovrebbero vigilare sul cessate il fuoco. Dunque, Erdogan, che ha paragonato Israele a Hitler e incita Hamas a proseguire la "sua giusta guerra" si vede riconoscere ora dal messo di Obama la possibilità di aiutare Hamas a riprendere il prima possibile le sue aggressioni. Il tutto, senza che nel documento di Kerry vi sia solo un vago cenno alla sicurezza di Israele.
   Come è ovvio, quando Obama ha telefonato a Netanyhau per perorare l'accettazione di questa capitolazione è stato trattato a male parole. Con tutta evidenza, infatti Kerry non ha agito da solo, ma ha concretizzato gli input di un Obama che pretende ora una tregua immediata, senza offrire nessuna garanzia a Israele perché rifiuta di comprendere la ragione di questa guerra. Questo, perché si rifiuta di vedere l'evidenza: Hamas rifiuta Israele non per ragioni di territorio, ma per antisemitismo su base religiosa. Perché vuole distruggerla. D'altronde Obama si rifiuta anche di prendere atto del fatto che il terrorismo ha radici nel fondamentalismo islamico e che non è costituito da bande criminali da contrastare solo - come ha fatto - con gli "omicidi mirati". Una cecità totale che peraltro distrugge il residuo prestigio degli Usa presso i governi del Cairo e Ryad. Minacciosi sono infatti i silenzi sul piano Kerry sia dell'Egitto - che spalleggia Israele distruggendo i tunnel di Hamas - sia dell'Arabia Saudita. Da due anni le relazioni tra Ryad e il Qatar sono pessime e ora i sauditi scoprono che Kerry ha deciso di fare asse proprio con il loro avversario del Qatar per fermare la guerra di Gaza. Proprio quel Qatar che ovunque appoggia e arma le peggiori formazioni oltranziste - non solo Hamas - come le milizie di Misurata che stanno mettendo a ferro e fuoco l'aeroporto di Tripoli in Libia e che fa da capofila di quei Fratelli Musulmani che i sauditi e gli egiziani considerano il principale avversario. Persino Abu Mazen si è scagliato contro la proposta di Kerry che elimina dalla scena i suoi sponsor dell'Egitto e Arabia Saudita, che rafforza la partnership tra Hamas Qatar e Turchia e che quindi lo indebolisce direttamente.
   Un capolavoro di scelte sbagliate che ha portato, come titola Haaretz, il quotidiano progressista israeliano pur molto critico nei confronti di Netanyhau, al «Fiasco di Kerry». È evidente peraltro che questa drammatica e folle "svolta" degli Usa non è attribuibile a Kerry ma è voluta da un Obama che ha fatto prprio domenica un assurdo documento dell'Onu che chiede a Israele di fermarsi, senza darle nulla in cambio. Durissimo Netanyhau anche contro l'Onu: «La dichiarazione non affronta il danno ai civili israeliani, né il fatto che Hamas trasforma i civili di Gaza in scudi umani. Hamas continua a sparare anche ora ai civili israeliani. Israele continuerà a occuparsi dei tunnel terroristici, un primo passo verso la demilitarizzazione. Israele ha accolto per tre volte le richieste Onu di una tregua umanitaria, ma Hamas le ha violate tutte».

(Libero, 29 luglio 2014)


La conta dei morti a Gaza non torna

Hamas e l'Onu danno le stesse cifre: due terzi di vittime "civili". Rapporti israeliani indipendenti le rovesciano. "I civili sono meno di un terzo". Intanto Gerusalemme si prepara per un "Goldstone 2".

di Giulio Meotti

Con le sue vittime civili e l'assedio a un sito umanitario, il bombardamento della scuola dell'Onu a Beit Hanun rimarrà una delle immagini simbolo dell'ultima guerra di Gaza. Ma una inchiesta, scriveva ieri il New York Times, avrebbe chiarito che a colpire la scuola non è stata l'artiglieria di Tsahal. Sarebbe stato, piuttosto, un missile di Hamas lanciato male. Sono già cento, infatti, i razzi "sbagliati" dei terroristi palestinesi caduti dentro la Striscia di Gaza. Secondo l'esercito israeliano, due di questi ieri sono caduti su un ospedale e su un campo profughi. Sempre ieri, quattro civili israeliani sono stati uccisi da un colpo di mortaio, nove le vittime tra i soldati. Eppure, come ha scritto ieri Alan Dershowitz, "i media adorano la conta dei cadaveri. E' molto più facile contare che spiegare. E Hamas lo sa. Ecco perché utilizza quella che è ormai nota coma 'la strategia del bambino morto'".
   Le statistiche fornite dalla dirigenza palestinese parlano di oltre mille vittime, di cui il 75 per cento civili. Il Palazzo di vetro concorda sulle proporzioni. Secondo lo UN's Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, domenica erano 999 i morti palestinesi, di cui 760 civili. E' sempre difficile fare una analisi delle vittime a conflitto in corso, specie in una guerra asimmetrica come quella di Gaza, dove i terroristi non hanno età, spesso nome e non indossano divise militari. Per "Piombo fuso" ci sono volute settimane prima di accertare che due terzi dei caduti palestinesi erano terroristi (Hamas aveva presentato cifre opposte). Ci ha provato però il Meir Amit Intelligence and Information Center, un ente indipendente israeliano. Al 23 luglio, i morti erano 775. Di questi "soltanto" 267 civili. "Molte delle cifre palestinesi, dell'Onu e di altre organizzazioni internazionali non valgono la carta su cui sono scritte", dice Reuven Erlich, direttore del Meit Amir. Più di due terzi delle vittime sono maschi adulti fra i diciotto e i sessant'anni. "I dati del ministero della Sanità di Gaza non spiegano chi viene considerato 'miliziano', 'terrorista' o 'civile'. Per sapere quante delle vittime erano terroristi e quante erano civili bisogna fare un lavoro molto approfondito". Nome per nome.
   Ci ha provato però il Meir Amit Intelligence and Information Center, un ente indipendente israeliano. Al 23 luglio, i morti erano 775. Di questi "soltanto" 267 civili. "Molte delle cifre palestinesi, dell'Onu e di altre organizzazioni internazionali non valgono la carta su cui sono scritte", dice Reuven Erlich, direttore del Meit Amir. Più di due terzi delle vittime sono maschi adulti fra i diciotto e i sessant'anni. "I dati del ministero della Sanità di Gaza non spiegano chi viene considerato 'miliziano', 'terrorista' o 'civile'. Per sapere quante delle vittime erano terroristi e quante erano civili bisogna fare un lavoro molto approfondito". Nome per nome.
   Uno studio del Committee for Accuracy in Middle East Reporting in America spiega invece che le donne costituiscono "soltanto" il dodici per cento delle vittime totali di Gaza. I maschi sotto i quindici anni, sebbene costituiscano metà della popolazione totale della Striscia, rappresentano il tredici per cento delle vittime dei bombardamenti israeliani. Dunque, rapporti israeliani indipendenti raccontano un'altra storia, composta da tragiche vittime civili, ma soprattutto da oltre due terzi di caduti che appartenevano alle organizzazioni terroristiche, Hamas e Jihad islamico in testa.
   Si apre, nel frattempo, il capitolo più delicato per Israele. La guerra legale all'Onu e alla Corte dell'Aia, dove i palestinesi sono da poco entrati. Si teme l'arrivo di un "Goldstone 2", dal nome del giudice sudafricano che nel 2009 accusò Israele di crimini di guerra paragonandolo a Hamas, salvo poi rimangiarsi l'accusa in una clamorosa rettifica sul Washington Post. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ieri ha parlato di una "kangaroo court" che a Ginevra si occuperà della guerra di Gaza, per accusare Gerusalemme.
   Ieri è uscita una nota del ministero dell'Interno di Hamas rivolta a ospedali, giornali, tv e social network: "Chiunque venga ucciso o martirizzato va chiamato 'civile', prima di qualsiasi status nel jihad. Non dimenticate di aggiungere 'civile innocente' nelle descrizioni di coloro che vengono uccisi dagli israeliani". E' in questa prestidigitazione della guerra, in cui verità e menzogna si confondono per sempre, che Israele sta perdendo la sua battaglia più importante, quella dell'opinione pubblica. Ieri ong europee lanciavano questo allarme, a dir poco sinistro: "Israele ha ucciso più bambini che terroristi".
   Le accuse del sangue contro il popolo ebraico, si sa, sono sempre state dure a morire.

(Il Foglio, 29 luglio 2014)


"I vostri attacchi su Gaza hanno distrutto i nostri piani"

In questi giorni circola in Israele una e-mail, naturalmente in ebraico, che riporta il racconto di un militare israeliano che sta combattendo a Gaza. La scrittice israeliana Naomi Ragen ne ha fatto girare una traduzione in inglese che qui traduciamo in italiano.

Io e i miei compagni avevamo catturato un certo numero di terroristi di Hamas. Quando li abbiamo interrogati, abbiamo chiesto loro: visto che avete costruito così tanti tunnel a 7/8 metri di profondità per entrare in Israele e raggiungere Beer Sheva, perché avete aspettato fino ad ora ad utilizzarli per i vostri attacchi terroristici e rapire o uccidere israeliani?
Questa è stata la loro risposta:
    "Abbiamo costruito queste gallerie per dodici anni e stavamo aspettando il momento giusto, quando saremmo stati addestrati e pronti. Avevamo deciso che il momento giusto sarebbe stato quest'anno a Rosh Hashanà, 2014. Abbiamo scelto Rosh Hashanà perché la maggior parte dei soldati in quell'occasione ottiene il permesso per tornare casa, non ci sono molti militari di guardia ed è una vacanza di due giorni. I miliziani di Hamas sarebbero passati attraverso i tunnel che abbiamo costruito in dodici anni e avrebbero attaccato Israele. In ogni tunnel avremmo inviato due, tre dozzine di miliziani per catturare e rapire civili, donne e bambini, e portarli a Gaza attraverso i tunnel. Israele allora non avrebbe potuto bombardare i tunnel, a causa di tutti i civili israeliani che erano al loro interno. In questo modo avremmo occupato l'intero paese, governato Israele e ucciso tutti i sionisti. Per anni abbiamo pianificato questo e la cosa sarebbe avvenuta fra due mesi. I vostri attacchi su Gaza hanno distrutto i nostri piani."
A queste parole una persona ha aggiunto: Dopo che i nostri tre ragazzi sono stati trovati morti, molte persone religiose si sono chieste: che ne è stato, di tutte le nostre preghiere? Adesso si vede quello che è successo. Dio ci ha ascoltati: con la morte di questi tre ragazzi martiri tutto Israele è stato salvato da un terribile massacro. Tutte le cose che abbiamo visto quest'estate sono un miracolo, uno dopo l'altro. Continuate a pregare e fortificatevi a vicenda. E rendete grazie a Dio che veglia sul popolo ebraico nella terra Egli ha promesso loro.

(Newsletter di Naomi Ragen, 28 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Quando l'antisemitismo si nasconde dietro all'antisionismo

Lettera al direttore di VareseNews

Quando lo Stato d'Israele è sotto attacco da forze terroristiche o da Stati canaglia emerge tutta una marmaglia di antisemiti. Questa accozzaglia di persone, improvvisamente, non riesce più a nascondere il proprio odio contro noi ebrei, non avendo però il coraggio di ammettere il proprio pregiudizio, tenta di nascondersi dietro improbabili distinzioni semantiche, purtroppo è stato sdoganato il fatto che ci si possa definire antisionista dicendo di non essere antisemita. Ma proprio in questi momenti diventa evidente quanto questo non corrisponda al vero: chi è antisionista è antisemita.
   Per un ebreo il proprio essere ebreo è inscindibile rispetto al legame che ha con lo Stato d'Israele e con Gerusalemme, la capitale. Questi odiatori, per giustificare il loro astio, tentando di tenere pulita la loro coscienza, argomentano le loro assurde tesi con il più becero negazionismo e con il più deprecabile dei razzismi. Quando poi si fa loro notare l'infondatezza delle argomentazioni hanno l' arroganza di definire se stessi "al di sopra delle parti", come se fosse possibile per un essere umano non avere un punto di vista. Ci dicono anche di avere amici ebrei che sostengono che Israele non ha diritto di difendersi, come se questo potesse legittimarne la posizione, come se fosse garanzia di neutralità ed equidistanza.
   Ma come si può essere al di sopra delle parti in una guerra tra terroristi ed uno Stato democratico, in una guerra in cui i terroristi usano i civili per proteggere i propri missili, mentre Israele utilizza il sistema anti missile per difendere i propri cittadini (ebrei, arabi o cristiani che siano)?
   Sappiamo tutti che ci sono, anche tra noi ebrei, alcuni (molto pochi per fortuna) che osteggiano il governo e lo stato d'Israele stesso, ma il popolo ebraico è come ogni altro popolo formato da persone, non è un super popolo, è solo un popolo che vuole sopravvivere, purtroppo come ovunque tra noi ci sono alcuni prezzolati "intellettuali" che per difendere il proprio portafoglio sono disposti a dire di tutto.
Oltre a quanto detto è bene ricordare alcuni elementi fondamentali della vicenda: il popolo palestinese è una invenzione della Lega Araba che costituì nel 1964 l'OLP, prima di tale data a nessuno interessava qualcosa degli arabi che abitavano nelle zone dell'ex mandato britannico. A nessun paese arabo venne mai in mente di costituire uno stato palestinese dopo la proclamazione dello Stato d'Israele del 1948, anzi dopo la guerra del 1948 i territori "palestinesi" furono suddivisi tra Egitto e Giordania. Poi si susseguirono altre guerre di aggressione dei paesi arabi contro Israele, che si difese e li sconfigette militarmente. Chi scatena una guerra se ne assume tutti i rischi e le responsabilità, quindi la perdita dei territori fu una delle conseguenze. Risulta quindi evidente che la situazione attuale è solo il frutto dell'odio che gli arabi hanno nei confronti di Israele e del fatto che non sono in grado di assumersi la responsabilità delle loro azioni.
   Ma torniamo agli antisemiti che emergono dalle fogne in questi momenti in cui Israele è sotto attacco. Questi loschi personaggi diffondono in questi giorni dati falsi sulla storia del popolo ebraico e della sua presenza in terra d'Israele, pubblicano foto false (prese dalla guerra civile siriana, di cui pochi parlano), legittimano oggettivamente una organizzazione terroristica come Hamas chiamandola resistenza, inventano notizie che puntualmente i fatti smentiscono.
   Sì, Israele è in guerra contro Hamas ma non contro i palestinesi. Chi qui in occidente, e non solo, si schiera con Hamas è oggettivamente complice del terrorismo e degli obbiettivi che questo si prefigge: l'eliminazione di tutti gli ebrei ed i cristiani. Praticamente chi non dice nulla e chi palesemente si schiera a favore di Hamas è come chi si schierò con il nazifascismo o comunque non disse nulla rispetto a quanto stava avvenendo.
   Una cosa deve essere chiara per tutti: non ci sarà più nessuna altra Masada e nessuna altra Shoah. Noi ebrei a prescindere dalle frottole a cui attingono coloro che ci odiano e ci vogliono uccidere non permetteremo il nostro annientamento. Il web è pieno di bugie a cui attingono gli antisemiti/antisionisti, ma la storia è altro non è il libro fantasy scritto da questi siti neonazisti e cospiratori. Questi siti internet sono la riedizione digitale dei protocolli dai savi di Sion, le frottole vengono sempre smascherate. Israele è la nostra terra, la nostra salvezza, la nostra speranza, la nostra promessa, negarci la possibilità di tornare significa negarci la possibilità di vivere, di esistere secondo le nostre millenarie tradizioni.
   Rammento che il gran muftì di Gerusalemme Muhammad Amīn al-Husaynī era alleato di Hitler durante il secondo conflitto mondiale, li univa evidentemente il comune odio per gli ebrei, oltre ad un modello sociale opposto a quello che noi abbiamo stabilito e desiderato per lo Stato d'Israele.
   Anche per questo motivo, In questi tragici momenti, in cui siamo ancora costretti a difenderci, rivolgo ai nemici d'Israele e faccio mie le parole che usò il patriota Sandro Pertini nei confronti dei nazifascisti: arrendersi o perire!
   Con il terrorismo ogni altra opzione è tempo perso, è energia buttata alle ortiche, viene vista come segno di debolezza o di resa. Il popolo d'Israele ha il diritto di difendersi, se necessario anche preventivamente, rispetto a chi lo vuole distruggere. Israele ha il diritto di vivere all'interno di confini stabili, sicuri e difendibili, e ha il diritto di difendere il proprio popolo.
   Cari odiatori avete provato a eliminarci con le camere a gas, ma la storia vi ha dato torto, noi non siamo l'agnello sacrificale che vi deresponsabilizza rispetto al vostro quotidiano, ricordatevelo ogni cosa che succede non è colpa degli ebrei, è colpa dell'umanità di cui forse fate parte anche voi. Quindi se volete cambiare la vostra vita, non dateci la colpa di ogni cosa, ma rimboccatevi le maniche e iniziate a lavorare, se invece continuate nel vostro odio e pregiudizio preparatevi a combattere e ad essere sconfitti dalla storia come i vostri predecessori
Demetrio Shlomo Yisrael Serraglia

(VareseNews, 28 luglio 2014)


Altro articolo/lettera da incorniciare, anzi, meglio, da diffondere il più possibile. Bisogna farlo perché a qualcuno servirà, ma purtroppo saranno una minoranza. Su questo argomento alla maggioranza delle persone non interessano documenti, analisi, riferimenti storici, argomentazioni logiche, perché sanno già come stanno le cose: gli ebrei (veramente dicono israeliani, ma in quel che segue pensano ebrei) hanno torto, come sempre, e gli ebrei devono essere puniti (solo puniti, dicono, perché loro non farebbero male a una mosca, ma se poi qualcuno li ammazza non si stracciano le vesti, anzi). Oggi dovrebbe essere più evidente che mai quello che con semplicie linearità dice l'autore della lettera: chi è antisionista è antisemita. M.C.


Il "silenzio umanitario" su Hamas

Studioso spiega come le ONG sfruttano ideologicamente il diritto internazionale per demonizzare Israele

di Giovanni Matteo Quer*

Al direttore - Le dichiarazioni delle ONG internazionali e italiane sul recente conflitto armato a Gaza contribuiscono alla demonizzazione di Israele attraverso la distorsione della realtà e l'uso politico del diritto per avanzare il boicottaggio anti-israeliano. L'ossessiva attenzione verso Israele e le false accuse di violazione del diritto internazionale umanitario sono accompagnate da un totale silenzio sulla condotta di Hamas, che viola i diritti umani dei palestinesi, sistematicamente usati come scudi umani, e sulla situazione della popolazione civile israeliana, oggetto di indiscriminati attacchi da Gaza
   Già prima dell'operazione militare israeliana "Protective Edge" lanciata l'8 luglio, le ONG hanno condannato l'intervento militare israeliano finalizzato al ritrovamento dei tre ragazzi israeliani rapiti e ritrovati morti, come "punizione collettiva". Secondo l'ONG "Nexus", legata alla CGIL, la distruzione di Hamas comporterebbe anche la distruzione "di ogni speranza di soluzione politica tra le parti". Sulla stessa linea anche Pax Christi Italia, associazione cattolica che sostiene di avanzare la pace, condannando Israele per presunte devastazioni e non esprimendosi sulle attività terroristiche di Hamas.
   Come dimostrano gli studi del centro di ricerca NGO Monitor, l'uso politico delle espressioni giuridiche è la tecnica più comune nella demonizzazione di Israele, che distorce i concetti del diritto internazionale, omettendo di evidenziare l'illegalità delle azioni compiute da Hamas e la legittimità degli attacchi a obiettivi civili usati a fini militari. Su una base ideologica anti-israeliana, le ONG politicizzate spesso formulano accuse di attacchi indiscriminati sui civili e sui luoghi di culto, ignorando che nel momento in cui Hamas li usa come basi di lancio di missili su Israele, divengono obiettivi militari legittimi. Al Mezan, ONG palestinese, B'Tselem, ONG israeliana estremamente politicizzata, accusano Israele di colpire obiettivi militari illegittimi; Amnesty International riporta una serie di accuse infondate su sistematiche violazioni del diritto internazionale umanitario; Human Rights Watch accusa Israele di gravi violazioni del diritto internazionale. Queste false accuse ignorano il diritto alla difesa di Israele così come il complicato processo decisionale dell'esercito, che nella pianificazione di un attacco include anche la consultazione di un esperto di diritto internazionale proprio sulla legittimità di un obiettivo
   Alle accuse rivolte a Israele segue il completo silenzio sulla condotta di Hamas, che viola sistematicamente le norme internazionali sui conflitti armati e i diritti dei palestinesi. Il lancio di missili da aree civili densamente popolate e l'uso dei civili come scudi umani sono gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra e dei diritti umani della popolazione palestinese, esposta alle controffensive militari israeliane, che le ONG non considerano. Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, esorta la popolazione a ignorare gli avvisi israeliani di un imminente attacco per impedirne le operazioni militari. Si ignora anche che gli incessanti attacchi missilistici costituiscono una chiara violazione delle norme sui conflitti armati
   La parzialità delle dichiarazioni delle ONG è palese considerando il completo silenzio sulla situazione israeliana. Da residente a Tel Aviv e recandomi al lavoro a Gerusalemme, vivo ogni giorno l'esperienza delle sirene che annunciano l'imminente arrivo di un missile da Gaza. Così come amici e colleghi che vivono nel sud di Israele, la zona più colpita, con ormai oltre 2000 missili lanciati in tre settimane. Ma la visione ideologica del conflitto spinge attivisti pro-palestinesi, come Samantha Comizzoli dell'International Solidarity Movement, a definire i razzi - "missili della resistenza" - e Israele - "un mostro nazista"
   Infine, il conflitto armato pare essere l'occasione per molte ONG di avanzare l'agenda politica del boicottaggio contro Israele. Molte organizzazioni firmatarie della campagna BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), come l'italiana "Un Ponte Per...", hanno lanciato un appello per imporre un embargo a Israele, invitando il governo italiano a ritirarsi dall'accordo militare con Israele che comprende la fornitura di sistemi militari all'aviazione israeliana, considerata una violazione degli accordi internazionali e della legislazione interna. Queste stesse ONG hanno esortato Israele a terminare l'embargo imposto a Gaza, il cui scopo è proprio impedire che Hamas si armi per attaccare le città israeliane. Definendo "l'occupazione" come la fonte principale della crisi umanitaria palestinese, nonostante Israele si sia ritirata da Gaza nel 2005, gli attivisti dei diritti umani omettono di ricordare che Israele, pur conducendo un'operazione militare a Gaza, non ha interrotto il flusso di aiuti umanitari in una zona "nemica"
   L'uso politico del diritto internazionale da parte delle ONG internazionali e italiane è funzionale all'avanzamento dell'agenda politica anti-israeliana che dipinge Israele come la causa del conflitto armato. Inoltre, dall'apparente neutralità dei diritti umani e della cooperazione internazionale, che sottace le violazioni di Hamas contro israeliani e palestinesi, emerge una chiara proiezione ideologica che demonizza e incita al boicottaggio di Israele. L'obiettivo politico delle ONG è di riportare all'adozione di un secondo "rapporto Goldstone", che nel 2009 ha falsamente accusato Israele di crimini di guerra, come dimostra la rettifica dello stesso giudice Goldstone allora presidente della commissione ONU. Il Consiglio dei Diritti Umani ha votato la settimana scorsa un'altra risoluzione per l'ennesima commissione di indagine che, esposta alla faziosità delle ONG, rischia di arrivare a conclusioni anti-israeliane
   La distorsione dei fatti, la falsificazione giuridica e l'omissione di una parte del conflitto testimoniano un invertimento del giudizio politico, che equipara la violenza di Hamas, volta a distruggere Israele come da sua carta costitutiva e come più volte dichiarato dai suoi leader, attaccando indiscriminatamente i cittadini israeliani, e il ricorso alla forza di Israele, che è l'esercizio dell'autodifesa e del dovere di difendere i propri cittadini volto a neutralizzare la forza militare di un'organizzazione terroristica
   Il governo italiano e l'Unione Europea pagano gran parte di questa propaganda, attraverso il finanziamento pubblico alle ONG politicizzate, il che conferma la necessità di fermare il flusso di denaro che finanzia la propaganda anti-israeliana.


* L'autore è fellow presso il centro di ricerca NGO Monitor e fellow al Forum Europa, Università Ebraica di
   Gerusalemme


(Il Foglio, 28 luglio 2014)


Scritte antisemite a Roma: volantini con svastiche pro Palestina

La capitale si è risvegliata con centinaia di slogan e volantini lasciati sui mure e sulle vetrine di alcuni punti vendita di proprietà di ebrei. Il presidente della Comunità ebraica, Pacifici: "E' come nel 1993, quando alcune stelle gialle furono attaccate all'entrata dei negozi".

Roma tappezzata da scritte antisemite. Dal quartiere Prati all'Appia fino a San Giovanni, quartiere dove numerose attività commerciali sono gestite da famiglie di ebrei. Sui muri e sulle vetrine di molti negozio questa mattina sono apparse più di 70 scritte e volantini contro Israele e pro Palestina affiancate da svastiche e celtiche. 'Anna Frank cantastorie', 'ogni palestinese è come un camera! Stesso nemico stessa barricata', si legge su un altro manifesto con accanto una celtica sono comparsi sui muri di via Cola di Rienzo. Altre minacce poi in via Ottaviano, via del Leoncino, via della Lupa.
"Questa mattina Roma si è svegliata nel peggiore dei modi. I suoi muri sono stati imbrattati da decine di scritte neonaziste inneggianti odio nei confronti degli ebrei. Dall'Appia fino in Prati, dal centro storico alla periferia, svastiche, insulti e minacce di morte hanno tappezzato le serrande dei commercianti. La mente corre al 1993, quando alcune stelle gialle furono attaccate all'entrata dei negozi di proprietà di ebrei - ha osservato il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici - Oggi Roma e l'Italia sono diverse, le Istituzioni sono con noi nel rispetto dei principi costituzionali. Ma non dobbiamo mai abbassare la guardia, per questo facciamo appello al sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, e al questore di Roma per individuare gli autori di questi gesti nella speranza che anche le attività di prevenzione possano arginare questa campagna di odio. Roma non può diventare come Parigi dove gli ebrei sono assaltati, le sinagoghe circondate e girare con la kippà in testa - il copricapo ebraico - è un pericolo concreto. Siamo fiduciosi che le forze di sicurezza e le autorità politiche prenderanno in considerazione ogni iniziativa volta a prevenire ciò che la Francia ha sottovalutato per troppi anni".
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha promesso: "Appena appresa la notizia ho chiesto la immediata cancellazione delle scritte. Mi auguro che siano al più presto individuati i responsabili di questo ignobile gesto che condanniamo con forza. Le scritte antisemite apparse oggi in diverse aree della città sono una vergogna e un'offesa a tutti i romani. Voglio dunque esprimere solidarietà e vicinanza alla comunità ebraica. Roma vuole e deve essere capitale del dialogo e della pace e non terreno di barbarie". [...]

(la Repubblica - Roma, 28 luglio 2014)


Abbiamo omesso, alla fine dell’articolo, varie rituali manifestazioni di solidarietà di uomini politici perché davvero non è il caso di riportarle. Non fanno notizia. Finché si continuerà a fare fini distinzioni fra antisionismo e antisemitismo, finché le prese di distanza da quelli che giustamente assumono le svastiche come simbolo del propalestinismo servono a proteggere dall’accusa di antisemitismo chi appoggia la fiera resistenza dei poveri palestinesi di Hamas contro il perfido Israele di Netanyahu, gli ebrei farebbero bene a respingere certe melliflue espressioni di solidarietà, e a chiedere che sia risparmiata loro almeno questa forma aggiuntiva di sofferenza. M.C.


28 luglio 1904. Viene inaugurata la sinagoga di Roma

di Enrico Gregori

ROMA - Viene inaugurata la Sinagoga, il Tempio Maggiore. All'interno l'edificio è diviso in due piani, uno sottoterra e l'altro a livello del terreno. Il piano posto sotto il livello del terreno ospita il ricco museo della comunità ebraica di Roma e una sala dove ha sede una piccola sinagoga, chiamata Tempio spagnolo, allestita con parte degli arredi provenienti dalla cinque scole (la Castigliana, la Catalana, la Siciliana, la Nova e l'Italiana) un tempo esistenti all'interno del ghetto. Nel museo ebraico sono visibili diversi indumenti della tradizione ebraica, un Aron Ha-Kodesh e un candelabro provenienti dagli arredi delle famose cinque scole.
Al piano terra ha sede la sinagoga grande. La sinagoga presenta una grande stanza centrale e due piccole navate laterali. In fondo alle due navate sono stati posizionati due piccoli Aron Ha-Kodesh provenienti dalle vecchie scole. Nella parete rivolta ad oriente è ben visibile l'imponente Aron Ha-Kodesh del Tempio Maggiore. Su tre lati del tempio (escluso quello dove ha sede l'Aron) in posizione rialzata, vi è la zona dedicata alle sole donne, il matroneo. Tutto l'interno della sinagoga, compresa la cupola, è riccamente decorato con motivi orientali.

(Il Messaggero, 28 luglio 2014)


L'ospedale dove si curano soldati e bimbi della Striscia

Medici arabi ed ebrei fianco a fianco. "Lavoriamo per tutti, e per la pace"

di Fiamma Nirenstein

 
TEL HASHOMER (Israele) - Più che un ospedale, quello di Tel Hashomer, è un microcosmo di Israele: ultratecnologico, 2000 pazienti in una città di padiglioni.
   Girando per le stanze si comprende perché in cambio di Gilad Shalit furono consegnati 1500 terroristi palestinesi. In Israele la vita non ha prezzo. Qui arrivano soldati feriti direttamente dal campo: ce n'è uno semisvenuto, 20enne pallido, bruno, in barella subito dopo l'operazione. Per arrivare alla sua stanza gli infermieri si fanno largo fra una folla diretta al terzo piano, dove sono ricoverati i soldati: ragazzine che portano panieri di biscotti, bambini con disegni, palloncini, anziane signore americane con «burekas» fatte in casa. Il ragazzo non capisce, non guarda, chissà quale granata, quale scheggia l'ha colpito, ha gli occhi rovesciati dell'anestesia. Lo seguono la madre, col padre che la tiene per mano.
   Un altro padre di guardia alla stanza del suo Roy, 21 anni, racconta: «È stato ferito di mattina, ha ricordato il numero della mamma, ci hanno fatto sentire la sua voce, poi ci hanno detto che aveva la mano e parte del braccio spappolato. È svenuto, 4 ore sotto i ferri. Noi vogliamo la pace, facciamo di tutto per risparmiare la vita della gente a Gaza, ma che ci possiamo fare se una banda cerca di ucciderci coi missili, usa le loro case per nascondere le gallerie, le armi, i terroristi?». Natan Mor, 20 anni, ora può essere trasportato dalla mamma sulla sedia a rotelle nel corridoio, lei sorride anche se il figlio è fasciato su gambe e braccia.
   A una persona di cultura europea fa impressione questo mondo di giovani, studenti, lavoratori, in cui la motivazione verso la difesa del proprio Paese è uguale a destra e a sinistra. «Siamo molto uniti, persino medici israeliani e arabi», dice il direttore generale dell'ospedale, Ari Shamis. «Questo è l'unico ospedale, sui quattro del centro, in cui i soldati vengono trasportati dal campo. Il tempo è fattore essenziale, da quando vengono soccorsi a quando scendono con l'elicottero. E noi siamo già pronti con trasfusioni, operazioni, assistenza ai genitori. Quando li chiamiamo cerchiamo di far sentire loro la voce del ragazzo, anche dalla camera operatoria. Abbiamo avuto 50 su 123 soldati feriti in guerra, ora qui ne abbiamo 29. No -sorride trionfante- non abbiamo perdite per ora.
   Stiamo curando con successo anche una famiglia palestinese evacuata da Gaza. Per noi non c'è nessuna differenza: ricoveriamo chi arriva e lo curiamo al massimo livello». Medici palestinesi, malati palestinesi, bambini di Gaza sono la prassi dell'ospedale: saliamo col professor Yoram Neumann al terzo piano, reparto oncologico pediatrico. In ogni stanza, in cui l'aria ha il filtro «luminar airflow», isolato e sterilizzato - «più che negli ospedali americani», dice Nemann - è ricoverato un bambino di Gaza insieme ai familiari che se ne occupano. Su 22 bimbi, 18 vengono dalla Striscia. Le mamme, col velo, siedono quiete. C'è chi fa la chemio, chi ha bisogno del trapianto di midollo, chi ha terminato la cura ma resta perché a casa non hanno gli strumenti necessari.
   In inglese la mamma Nevin mi parla di Aid, di un anno: «Sono qui da 4 mesi, penso che ci dovrò restare ancora 3». E il marito? «È a Gaza, molto pericoloso, sta bene, telefono, mi manca». Nevin dice che vuole la pace, «shalom» ripete. Non vuole dare il nome completo, Hamas può vendicarsi.
   Il padre di Mordechai, 22 anni, anche lui è stato avvertito delle ferite dalla voce del figlio prima che affrontasse cinque operazioni a viso, braccia, gambe. Non c'è ansia o angoscia nello sporgersi sull'orlo della morte alla sua età. Bisogna salvare il Paese.
   Dice il professor Zeev Rostein, presidente dell'ospedale: «I soldati sono oggi meglio protetti sulla testa e sul petto, le ferite sono soprattutto agli arti. Li curiamo col massimo della tecnologia. Senza differenze coi palestinesi. È un investimento per la pace: pensi che choc, per una famiglia di Gaza, vedere che abbiamo con loro lo stesso rapporto che con i nostri malati, dopo tutto quello che gli hanno messo in testa».

(il Giornale, 28 luglio 2014)


Lettera ad un amico di Gaza

La jihad globale è nemica di Israele quanto della popolazione palestinese. Continuare ad auto-ingannarvi non vi porterà da nessuna parte.

Ciao, Fathi. Questa settimana, per pochi minuti, siamo riusciti a ristabilire un contatto. Mi hai parlato delle grandi sofferenze, dei bombardamenti, dei morti. Sono addolorato. Abbiamo conosciuto giorni migliori. Avevamo dei sogni.
Gli anni passano. Nel frattempo molte cose sono successe, nel mondo musulmano: in Somalia, in Nigeria, in Pakistan, in Siria, in Iraq. Questa è la regola, Fathi: ogni luogo in cui una delle estensioni della jihad acquista forza, diventa un centro di spargimenti di sangue. Talebani, Hamas, Boko Haram, al-Qaeda, ISIS, al-Shabab, separatamente e congiuntamente, non vi promettono altro che spargimenti di sangue e sofferenze....
E un'altra cosa, è successa: Hamas si è violentemente impadronita della striscia di Gaza. L'articolo 7 della Carta di Hamas parla di annientare gli ebrei. Niente di meno che annientare gli ebrei. Quando vediamo cosa stanno facendo i jihadisti nel mondo - ai musulmani, non agli ebrei - abbiamo tutto il diritto di avere paura. Coloro che hanno adottato una ideologia nazista non possono lamentarsi del fatto che gli altri cercano di sconfiggerli....

(israele.net, 28 luglio 2014)


Oltremare - Fronte unico
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Lo sanno tutti che gli ebrei si aiutano sempre tra di loro. E c'è qualcosa di sottilmente antisemita in questo assunto. Per fortuna è abbastanza vero, e gli israeliani sono anche peggio.
Come durante ogni crisi nel Sud o nel Nord, da settimane ormai sono scattati i sistemi di aiuto reciproco ad ogni livello della società. L'organizzazione dei Kibbutzim apre le porte dei kibbutzim in aree tranquille nel nord del paese, e ospita famiglie intere, o più spesso mogli e figli di uomini che devono restare al sud a occuparsi dei campi o delle fabbriche per non abbandonare a sè stessa la produzione. Ricevono all'arrivo letti dove dormire, lenzuola, vestiti se ne hanno bisogno, hanno una famiglia adottiva e occupano il tempo lavorando nel kibbutz ospitante.
Le "Nashot Tzav Shmone" sono le mogli dei militari in unità di combattimento, e intorno a loro si è autoprodotta una rete di aiuto pratico, dal babysitteraggio dei bambini alla condivisione dei lavori in casa, da parte di altre donne, spesso allertate da quegli stessi mariti che sono al fronte dentro Gaza. Lo sanno bene, loro, che le mogli non chiederebbero mai aiuto: il marito è al fronte, e loro sono forse da meno?
Lungo la strada diritta e bianca che porta da Beer Sheva alla zona intorno a Gaza, si moltiplicano stazioni di sosta improvvisate, simili a cucine da campo, brulicanti di volontari che fanno pollo alla griglia e riempiono panini, e assemblano pranzi nutrienti per i soldati di passaggio verso gli avamposti. Chiunque passi di là, se in divisa mangia gratis. Se in vestiti civili si ferma a aiutare.
Forse sono palliativi di un male molto profondo, il male di vivere nel paese che passa da una guerra all'altra senza quasi prendere fiato. Però adesso anche il supermercato sotto casa ha messo i cartelli di una associazione che distribuisce dolci e snack ai soldati, e almeno per shabbat è d'obbligo far loro arrivare un po' di sane calorie. Si deve fare fonte unico, e ognuno mette del suo.

(moked, 28 luglio 2014)


Salmo 129

Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
Lo dica pure Israele:
Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
eppure, non hanno potuto vincermi.
Aratori hanno arato sul mio dorso,
vi hanno tracciato i loro lunghi solchi.
L'Eterno è giusto;
Egli ha spezzato le funi degli empi.
Siano confusi e voltino le spalle
tutti quelli che odiano Sion!
Siano come l'erba dei tetti,
che secca prima di crescere!
Non se n'empie la mano il mietitore,
né le braccia chi lega i covoni;
e i passanti non dicono:
La benedizione dell'Eterno sia su di voi;
noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!

Non smetteremo mai di danzare








 

Vivere con le sirene

di Raphael Bark

Sono un cittadino italiano che vive in Israele e vorrei condividere con voi la mia esperienza di questi giorni in cui allarmi e bum entrano grottescamente a far parte della routine quotidiana, raccontandovi alcuni episodi emblematici e credo rappresentativi che mi sono accaduti.
   Mentre la mia piccola di quasi 18 mesi capisce poco di quello che sta succedendo, il "grande" di quattro anni e mezzo sta dimostrando una consapevolezza disarmante accompagnata da una curiosità tipica della sua ancora tenera età in cui è naturale il volere sapere tutto sparando raffiche di "perché?" Già nella guerra precedente Asher, il mio figlioletto che allora aveva poco meno di tre anni, aveva visto interrompersi all'improvviso il suo quotidiano sfogo energetico al parco giochi da un allarme che lo colse assolutamente impreparato. Strappatolo dalla parete del baby-snappling, in un battibaleno cercai riparo accovacciandomi su di lui dietro il muro rivolto a nord del palazzo più vicino, che avevo preventivamente scelto come meta già al nostro arrivo al giardino. Ebbene quella sirena se la ricorda ancora molto bene. In questi giorni noto in Asher una naturale turbolenza emotiva. Dice di avere paura di questo e di quell'altro, tutte cose assolutamente innocue che niente hanno a che vedere coi missili. Quelli, a suo dire, non lo spaventano. Chissà cosa frulla nella testa di questi ragazzini costretti a cercare un rifugio quando c'è l'allarme. In fondo anch'io alla sua età a Tripoli mi nascondevo con tutta la famiglia per evitare la folla inferocita contro l'odiato stato sionista eroicamente vittorioso sull'aggressore arabo che lo circondava da tutte le parti. Lo ricordo quasi come un gioco. Il fatto è che e' l'unico ricordo della mia infanzia tripolina. Tutto il resto è stato rimosso.
   Torniamo ai giorni nostri. Due-tre episodi e chiudo. Prima che scoppiasse questa guerra comprai due biglietti per un concerto. L'idea di uscire con mia moglie dopo mesi (o forse sono già anni?) barricati in casa per prenderci cura dei bimbi mi dava piacere. Tanto potevamo contare fiduciosi sul baby sitteraggio dei nonni. Poi i primi missili. Si va al concerto o non si va? Dopo un po' di titubanza decidiamo di non rinunciare. Usciamo. Telefoniamo per accertarci che il concerto non sia stato annullato. Tutto confermato. Primo allarme. Accosto con la macchina e ci precipitiamo verso la porta del palazzo più vicino per trovare riparo nel vano scale che, normalmente, come spiegato quasi ossessivamente sui media, ha i muri in cemento armato. Ma il portone è chiuso. Nel locale accanto, tutti i tavoli vuoti, un cameriere tranquillo con la sigaretta in mano, ci rivela il codice per aprire quella porta bloccata. Lui non entra. Finita la sirena bisogna apettare al riparo ancora qualche minuto (dicono dieci) perché potrebbero piovere dal cielo come micidiali frecce i detriti del missile eventualmente intercettato. Che si fa? Proseguiamo o rientriamo? Avanti! Ah! Avanziamo in macchina di pochi metri ed ecco un'altra sirena! Dietro front! Vogliamo abbracciare i nostri bambini e rilasciare i nonni.
   Mi è capitato una volta di sentire una sirena che non c'era e di entrare nel rifugio, ed un'altra volta di non sentire una sirena che c'era. Mi ero appena addormentato quando mi sono sentito strattonare da mia moglie che proclamava, senza panico per non spaventare i bimbi, "l'allarme!" Poi c'è la piscina pubblica. Di solito nuoto dalle 6 alle 6.30 tutte le mattine. A casa dormono ancora tutti a quell'ora. Quando sono in acqua c'e' l'isolamento acustico. E se suonasse ora? A che sponda vado? Come raggiungo il rifugio pubblico più vicino che mi ero già fatto prudentemente indicare dal bagnino? Prendo gli occhiali? L'asciugamano? Le ciabattine? Al diavolo tutto!
   Ovviamente il pensiero dell'allarme non ti abbandona neanche nelle situazioni più ordinarie ma non per questo facili da "sospendere": in doccia, durante il cambio di un pannolino, e così via. Ecco, questa è la nostra routine. E siamo a Tel Aviv. Abbiamo ben 90 secondi per trovare un rifugio dal momento in cui comincia a suonare l'allarme. Ci va di lusso rispetto ad Ashdod (solo 45 secondi), Ashkelon (30) o Yad Mordekhai (15). Lì ci vorrebbe lo scatto di Ben Johnson. O, cosa più plausibile, un rifugio ogni 50 metri, alle fermate degli autobus, in mezzo alle aiuole. Grazie a D-o che ci protegge benevolmente. Che protegga i soldati israeliani impegnati in una dura guerra porta a porta contro le vigliaccate di Hamas. Intanto torniamo alla routine, buongiorno.

(moked, 28 luglio 2014)


I crimini di guerra di Hamas

Monta l'indignazione per la condotta spregiudicata dell'organizzazione terroristica che con un colpo di stato ha assunto il potere a Gaza nel 2007. Non solo Hamas ha colpito le comunità dell'Israele meridionale, non solo l'ha fatto da aree densamente abitate; ma si è fatto scudo con il corpo di civili innocenti, messi in questo modo in serio pericolo. E mentre le autorità israeliane invitavano la popolazione civile a trovare riparo nei bunker antimissile, gli estremisti palestinesi inducevano la popolazione a fare da bersaglio; probabilmente perché i bunker erano interamente impiegati per nascondere missili, razzi e munizioni....

(Il Borghesino, 28 luglio 2014)


"La vita ha valore, ma non per noi. La vita è zero, la vita non ha valore"

Una giovane donna araba ha un figlio con un grave problema di cuore; lo porta in un ospedale israeliano dove viene adeguatamente curato e accudito da dottori e infermiere israeliani. A Gaza intanto infuriano i combattimenti dell'IDF contro i gruppi terroristici di Hamas. Un reporter rivolge alla giovane mamma araba alcune domande.


(Facebook, 23 luglio 2014)


L'87 per cento degli israeliani è contro la tregua

Hamas continua il lancio di razzi e non tutti i tunnel sono stati trovati

La pubblica opinione in Israele appare condividere fino ad ora la condotta del governo di Benyamin Netanyahu. Lo rivela un sondaggio - pubblicato sul Jerusalem Post - secondo cui l'87% del campione sostiene che Israele non può accettare un cessate il fuoco perché ''Hamas continua a tirare missili, non si è arresa, non sono stati trovati tutti i tunnel". Solo il 9,7% si e' espressa invece a favore poiché ''sono stati raggiunti i risultati, soldati sono morti ed è ora di fermarsi''.

(ANSA, 27 luglio 2014)


Episodi di antisemitismo in Europa

Violenze e minacce in Francia, Germania e Norvegia

PARIGI - Ha destato sgomento e preoccupazione in Francia quanto accaduto ieri a Bobigny, periferia di Parigi, dove un gruppo di giovani, forse una decina, ha aggredito e malmenato un ebreo di diciannove anni.
   Il ragazzo, membro della Ligue de défense juive, è stato fermato intorno alle quattro e mezza del pomeriggio. «Lo hanno colpito diverse volte alla gamba e sul fianco» ha riferito una fonte citata dalla stampa. Fuggito, il ragazzo si è quindi recato in ospedale per le ferite riportate e ha sporto denuncia alla polizia. L'unione degli studenti ebrei di Francia ha parlato esplicitamente di «un'aggressione antisemita». L'unione ha inoltre affermato che il giovane «era stato individuato su Internet» nelle scorse settimane e i suoi dati erano stati pubblicati su Facebook, con tanto di minacce e di insulti.
   Intanto, un altro presunto episodio di antisemitismo è stato denunciato in Germania. Un giovane con una kippah, il tradizionale copricapo ebraico, è stato aggredito nel centro di Berlino. Stando a quanto riferito dalla polizia, il giovane di i8 anni è stato attaccato da uno sconosciuto che lo ha colpito al volto e ha schiacciato coi piedi gli occhiali che gli erano caduti a terra. Il ragazzo si è poi rifugiato nella vicina sinagoga.
   Sempre di ieri si è diffusa la notizia che in Norvegia i musei ebraici sono rimasti chiusi dopo l'allarme lanciato dalle autorità del Paese che hanno messo in guardia sulla possibilità di «un imminente attacco terroristico da parte di individui provenienti dalla Siria». La comunità ebraica, rilevano le autorità norvegesi, potrebbe rientrare tra gli obiettivi.

(L'Osservatore Romano, 27 luglio 2014)


Nell'ora del dolore

di Rossella Tercatin

Niente auto militari, un semplice taxi civile. E abiti civili sono indossati anche dalla prima persona a scendere dalla macchina per verificare di aver individuato l'indirizzo giusto. Talvolta, se qualche dubbio persiste, viene chiamato il telefono di casa, per avere conferma, sentendo squillare l'apparecchio dalla parte opposta della porta, di essere davvero arrivati. È così che gli incaricati delle forze di difesa israeliane portano alle famiglie dei soldati caduti la notizia più terribile. Un percorso studiato nei minimi dettagli perché se non esiste al mondo la possibilità di rendere meno atroce la perdita, si tenta almeno di "ammorbidire il momento" come ha raccontato al Times of Israel un capitano che ha servito a lungo nel dipartimento incaricato di questo compito, fino al momento in cui ha realizzato di non avere più "l'immensa forza spirituale necessaria" per una mansione del genere.
Sono stati 43 fino alla mattina di domenica i caduti di Tzahal. Tanti giovani, 19, 20, 21 anni ma anche padri di famiglia, di leva e riservisti. Il numero di perdite registrato nell'operazione Margine Difensivo è il più alto dalla guerra contro Hezbollah nel 2006.
Quando un soldato rimane ucciso, la prima operazione necessaria è quella di raggiungere la certezza della sua identità. Poi viene preso contatto con l'ufficiale responsabile della città di provenienza, il quale avverte un gruppo di volontari "informatori", tutti riservisti, spesso passati attraverso l'esperienza di una perdita e dunque consapevoli dell'importanza del primo contatto con le famiglie. Tra loro solitamente c'è anche un medico.
Così si arriva davanti alla casa. "In quel momento c'è la consapevolezza che in pochi istanti la vita delle persone dall'altro lato della porta cambierà per sempre" spiega il capitano.
Quando qualcuno apre, si chiede di riunire la famiglia e si legge loro una nota preparata prima "fattuale, laconica, succinta". Niente spazio all'improvvisazione.
La squadra, composta da persone che parlano diverse lingue e conoscono le usanze del lutto nelle diverse tradizioni, assiste la famiglia in tutte la necessità fino alla celebrazione al funerale. Non oltre, "perché la famiglia assocerà sempre quegli ufficiali con il ricordo del momento in cui è stata comunicata loro la perdita". A occuparsi di seguirle dopo quel momento sono ufficiali diversi, quasi tutti donne, il cui incarico dura solitamente a lungo e le trasforma in un punto di riferimento.
"Il nostro compito è quello di rappresentare l'esercito presso le famiglie e le famiglie presso l'esercito" spiega il maggiore Aviv Marom, che si occupa di seguire i parenti dei soldati di Tzahal arabi, beduini e drusi, rimasti uccisi. Perché dolore della perdita di un proprio caro non conosce differenze di etnie, né di religione e Tzahal non lascia soli.

(moked, 27 luglio 2014)


La guida definitiva alla Guerra di Gaza. Tutte le verità che non vi dicono

Una premessa: in questi giorni moltissimi filo-palestinesi ci hanno accusati di essere di parte. Hanno ragione. Rights Reporter sta sempre con la democrazia e contro il terrorismo, sta sempre con gli abusati e contro chi abusa dei civili, sta sempre con chi difende la propria popolazione e contro chi usa la propria popolazione per difendersi. Quindi si, siamo di parte, siamo con Israele e contro Hamas. Ma probabilmente essendo contro Hamas difendiamo molto più noi la popolazione palestinese di Gaza di quanto non facciano certi "attivisti" spinti solo da odio anti-israeliano piuttosto che dall'idea di difendere i civili palestinesi. Detto questo, vorremmo spiegare alcune cose ai lettori onde dipanare la cortina fumogena alzata da certi media e dai soliti "attivisti per la pace" che tanto attivi per la pace non lo sono ma che, anzi, fomentano odio senza alcuna vergogna e ritegno....

(Right Reporters, 27 luglio 2014)


Ignobile: usano le foto di bambini ebrei assassinati per far credere in una carneficina a Gaza

 
Propaganda pro-palestinese
Com'era prevedibile, dopo che i pro-palestinesi hanno usato parole come "colonizzazione", "furto di un paese", "genocidio", "apartheid" per descrivere la situazione degli arabi di Gaza e della Giudea Samaria; dopo la manipolazione delle immagini del massacro di musulmani ad opera di musulmani in Siria e Iraq; dopo le false citazioni ultrarazziste di leader israeliani; dopo anni di incitamento all'odio, indottrinamento dei bambini contro gli ebrei e Israele; ecco la "perla" del momento: osano utilizzare le immagini della famiglia Fogel... Una famiglia sterminata a forza di coltellate da fedayn palestinesi, un'intera famiglia decimata: anche un bambino di tre mesi sgozzato tra le braccia di suo padre!
Com'è possibile usare foto di bambini ebrei brutalmente uccisi con un coltello per mettere in piedi un trucco che non si può dire umano al solo scopo di ricoprire ancora una volta di menzogne lo stato ebraico?

(JSS News, 25 luglio 2014) - trad. www.ilvangelo-israele.it


C'è anche un'Italia che odia gli ebrei

L'antisemitismo è ancora tra noi. Ricordo il silenzio dei miei concittadini di fronte alle deportazioni

di Giampaolo Pansa

All'inizio la questione sembrava molto semplice. Dei terroristi legati ad Hamas o arabi sequestrano tre adolescenti ebrei che escono da scuola e li ammazzano. Per ritorsione, un ebreo squilibrato cattura un giovane palestinese e lo uccide. Basta poco per innescare una guerra. Da Gaza le bande di Hamas cominciano a lanciare razzi contro le città di Israele. Sono missili carichi di esplosivo e un congegno ideato da Tel Aviv li distrugge prima che cadano. Ma la pioggia di bombe volanti s'intensifica. Sono sempre più potenti e con una gittata sempre più lunga. Possono colpire anche città molto lontane da Gaza e strutture vitali come l'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Risulta chiaro che, nella striscia di Gaza, Hamas nasconde le rampe di lancio dentro le case dei civili, le scuole, gli ospedali. E tratta gli abitanti da scudi umani.
   A questo punto come reagisce Israele? Come qualsiasi stato che veda a rischio l'incolumità della sua gente e la propria stessa esistenza. E costretto ad attaccare la roccaforte di Hamas, per individuare le rampe e i depositi dei missili. E scoprire i tunnel scavati dai terroristi palestinesi per infiltrarsi in territorio israeliano. Siamo di fronte a un'altra guerra che lo stato di Israele deve combattere per non essere annientato. Ma una parte dell'opinione pubblica mondiale non ammette che gli ebrei possano difendersi.

LO SPETTRO
Emerge un vecchio spettro: l'antisemitismo. Esplodono dimostrazioni di piazza, battaglie di strada, aggressioni individuali. Proclami allucinanti ricordano il dramma più nefando per la nostra civiltà: la politica razziale della Germania nazista e lo sterminio degli israeliti tedeschi e di molte altre nazioni, compresa l'Italia.
   Chi non ha vissuto o assistito, anche soltanto da bambino, alle deportazioni degli ebrei in tanti campi di morte, primo fra tutti Auschwitz, non può avvertire l'angoscia che provano gli italiani della mia generazione. Oggi in Italia non vediamo ancora i cortei che intossicano Paesi come la Francia, la Germania, l'Olanda. Mi auguro che il nostro Paese resti immune da questo virus disumano. Ma se debbo essere sincero non sono affatto sicuro che da noi non accada nulla. C'è anche un'Italia che odia gli ebrei o resta indifferente alla loro sorte. Esattamente come avvenne alla fine degli anni Trenta, nella fase terminale della dittatura fascista. Qui lo rammenterò in una sintesi estrema. Da bambino il mio mondo era la città dove ero nato e crescevo: Casale Monferrato. Anche qui esisteva un ghetto, la vecchia Contrada degli ebrei, e una sinagoga tra le più belle in Italia. La comunità israelitica era ben inserita nella società cittadina. Vantava commercianti, impiegati, professionisti, medici, insegnanti. Il fondatore della squadra di calcio, il Casale Fbc, i famosi nerostellati, era un professore ebreo che tutti stimavano. Le ragazze del ghetto erano famose per la loro bellezza e molto ricercate come mogli.
   Nel 1939 Mussolini varò le leggi razziali. Fu l'inizio della persecuzione. Gli ebrei che avevano incarichi pubblici, come il fondatore della quadra di calcio, vennero licenziati. I professori e gli studenti furono cacciati dalle scuole. Le famiglie che avevano colf o governanti ebree vennero obbligate a mandarle via. I negozi degli israeliti dovettero chiudere. Tanti anni dopo, quando decisi di ricostruire quel che era accaduto, mi resi conto che, a parte qualche caso isolato, la città dei cattolici non batté ciglio davanti a quel disastro.
   La mia famiglia viveva nel centro di Casale, in un grande appartamento di un palazzo nobiliare decaduto. Dopo la cena, venivano a trovarci parenti e amici. Gli adulti discutevano di tutto. Del fascismo, del socialismo, del comunismo, della guerra e in seguito dell'armistizio, della Repubblica sociale e dei partigiani. L'opinione più diffusa era vagamente socialista. Andavo per i dieci anni, ma restavo sveglio per ascoltare i grandi. Ebbene non ho mai sentito una parola su quanto accadeva agli ebrei della città.
   Quando vennero avviati al lavoro obbligatorio accadde di peggio. Le donne ebree furono mandate in un'industria cartotecnica di Casale. Qui incontrarono delle operaie che non volevano averle accanto. Ringhiavano: «Riportatele nel ghetto, non debbono restare qui con noi!». Andò meglio agli uomini inviati in un'azienda agricola della Cartiera Burgo. Erano quasi tutti signori anziani e venivano da professioni che non prevedevano l'uso della vanga e della pala. Ebbero la fortuna di incontrare dei capi operai comprensivi che tentarono di rendere meno pesante il lavoro.
   Ma il peggio lo si vide all'inizio del 1944, il giorno che cominciarono le catture e le deportazioni. In città tutti sapevano che cosa stava accadendo. Mia madre lo apprese dalla famosa Gigin, la portinaia di un casamento di fronte al ghetto. Era stata una ragazza ardente, pronta a passare da un amore all'altro. Da anziana aveva iniziato a lavorare da cartomante. L'unico lusso di mia madre era l'andare spesso da lei per farsi leggere il futuro sui tarocchi.
   La Gigin aveva già visto arrestare un'inquilina del palazzo, un'antiquaria molto conosciuta in città. E un paio di mesi dopo era presente quando i poliziotti del commissariato si portarono via la madre ottantenne della stessa signora. La cartomante ne avrà di certo parlato con mia madre, ma in casa nostra non si discusse mai di quelle catture.

L'INDIFFERENZA
E' possibile che i miei genitori abbiano deciso di non dire nulla in presenza dei due figli piccoli. Ma anni dopo mi resi conto che, tranne in pochi casi, l'arresto degli ebrei della città non suscitò reazioni. Dominò l'indifferenza. Il caso più clamoroso fu quello dei ferrovieri alla guida dei treni blindati che partivano dalla stazione di Carpi carichi di ebrei raccolti nel campo di Fossoli, in provincia di Modena.
   Sino alla frontiera del Brennero, il macchinista e il fuochista erano italiani. Scendevano dal treno al momento di entrare nel territorio del Reich e lo consegnavano ai ferrovieri tedeschi. Conoscevano di certo il carico che trasportavano: ebrei di ogni età, dagli ottantenni ai bambini e ai neonati, tutti destinati alle camere a gas. Ma la storia dello sterminio non ci consegna nessun gesto di rifiuto o di ribellione. L'unica attenuante era la condizione dell'Italia del centro e del nord: un Paese occupato dall'esercito di Hitler. Dove la minima opposizione poteva costare il carcere o la partenza verso il campo di sterminio. Dopo la fine della guerra, una volta ritornati in Italia, i pochi ebrei sopravvissuti si resero conto di essere stranieri in patria. Gli eroi di quell'epoca erano i partigiani. Dello sterminio non parlava quasi nessuno. L'indifferenza restava un muro difficile da scalfire. Il motivo poteva essere un gigantesco complesso di colpa per la morte di tanti italiani che professavano una religione diversa da quella cattolica?
   Mi piacerebbe pensare che fosse così. Ma temo che la causa di quel silenzio fosse l'egoismo che connota tutti gli esseri umani: mi sono salvato io e la tua morte non mi riguarda. Adesso i terroristi di Hamas vorrebbero trasformare Israele in una gigantesca Auschwitz. Tanti di noi stanno a guardare, in silenzio. È chiaro che la storia non ci ha insegnato niente. Prima o poi ne pagheremo lo scotto.

(Libero, 27 luglio 2014)


Le donne soldato di Israele. Per amore e non per guerra

Il lato rosa della divisa. Dalla "rockettara" alla madre di famiglia sono il 35% dei riservisti dell'esercito

di Fiamma Nirenstein

Soldatesse in Israele
GERUSALEMME - In genere suona il basso in una banda rock a Tel Aviv, ma, quando ci vuole, va alla guerra. È una delle molte donne che servono per circa un mese ogni anno, fino a 46 anni, nell'esercito israeliano.
I riservisti mobilitati nell'operazione contro Hamas «Margine di Difesa» sono 60mila. Rina Schogel, 28 anni, sergente di prima classe, è una di loro. L'immagine classica del riservista avvocato, scienziato, panettiere, dentista che molla tutto nel mezzo quando arriva la telefonata e corre al fronte è in genere quella di un maschio.
Ma le donne nell'esercito sono circa il 35 per cento, 92 per cento delle posizioni sono disponibili per le soldatesse compresa quella del pilota di F16. È passato un decennio e mezzo da quando la prima donna «ha preso le ali», come dicono qui con commozione, e adesso, anche se non lo si specifica si sa che le donne che non solo devono ma pretendono, persino, di servire come riserviste sono più del solito. «È una guerra senza scelta», spiega Rina, «ho lasciato i gruppi in cui suono e i miei amici anche se così ho perso molte serate di lavoro perché ciò che ho imparato nei miei due anni di militare è di utilità assoluta adesso, in una guerra in cui tutta la popolazione, e specialmente la parte più debole, è attaccata. Voi giornalisti non andate con le macchine da presa dagli etiopi e dai vecchi russi isolati: lo facciamo noi. Quando suona la sirena, quasi non sanno di cosa si tratta, nessuno gli parla...». E allora lei cosa fa? «Gli do spiegazioni nella loro lingua, mi addentro nei quartieri poveri, abbraccio e spiego ai bambini in stato di shock, gli insegno cosa devono fare quando arrivano i missili». Rina è specializzata nella definizione e nella conta dei danni, e sa fungere da nesso fra la gente che si trova, per esempio, in un crollo, e le organizzazioni addette al salvataggio; sa valutare e spiegare il danno, sa valutare secondo le condizioni (l'ora, il luogo, il tipo di abitanti) il danno alla popolazione.
   «Certi vecchietti ci vedono arrivare durante i bombardamenti e non capiscono bene: ci vogliono dare del cibo, persino del denaro. Penso che abbiamo tolto dall'isolamento tante persone, in particolare tanti Etiopi. Non avrei mai detto che tanti ancora non parlano la nostra lingua, che vivono dove non si sente la sirena». Ma Hamas li odia esattamente come odia Rina che è in divisa, solo perché sono ebrei, e Rina li guida per la mano e insegna loro come salvarsi. Ci sono donne che hanno insistito ad andare nel Miluim, le riserve, anche con la pancia, come Liat Bilinsky, un ufficiale, che spiega: «Quando arriva, tu vuoi esserne parte, aiutare il tuo popolo. Meglio adesso, quando ancora il bambino non c'è, dopo non so se avrei potuto». Altre, con i bambini piccoli, passano il ruolo materno al marito: «Meno male che c'è Gonen», dice Lee Betzer, graziosa capitano 36enne mentre, in questo giorno di tregua, porta Dana di 12 anni e Elà, di 4, a fare una passeggiata. La sera deve rientrare alla base: si accinge ad acquietare ancora una volta Elà che è sicura che la mamma morirà. Anzi, no, tornerà presto, e il papà comunque le farà le cotolette. «Vuole capire il mio compito? Glielo racconto alla rovescia: ieri mi sono trovata per la prima volta dall'altra parte della barricata. Ero con le bambine in macchina quando è suonata la sirena, siamo scese, la piccola piangeva, abbiamo invano cercato rifugio, ci siamo sdraiate per terra con le mani sulla testa, dovevo spiegare e tenerle tranquille. Erano in stato di choc. In quei casi occorre qualcuno dei miei soldati: noi aiutiamo la popolazione a fronteggiare la situazione, aiutiamo i civili in stato di panico. Noi entriamo nelle case il cui tetto è stato sfondato dai missili, nei giardini bruciati, nelle fabbriche distrutte. Lei non sa cosa voglia dire entrare in un pollaio industriale dove tutti gli animali sono stati uccisi da un missile: occorre raccoglierli, seppellirli. In genere la popolazione è protetta dai rifugi e dal sistema antimissili, ma il Paese soffre tanto». Per Lee non è facile lasciare la casa mentre le bambine sono in stato di choc: «Ma tutti i bambini lo sono, e io devo aiutare il mio popolo». Lee ha ancora pochi giorni di servizio e cerca di fare i turni di notte per scappare di giorno dalle bambine. «È stata bella questa giornata di tregua. Noi soldati non diamo giudizi politici ma dopo 18 anni nell'esercito adesso vorrei rivedere i miei compagni dopo un paio d'anni di pace». Rina non ci crede: «I nostri nemici non vogliono parlare, la loro è una guerra ideologica senza remissione.
   E ci aspetta a ogni angolo, non solo a Gaza» sospira pensando al lancio di sassi e agli spari dei giorni scorsi a Gerusalemme, dove è andata a trovare i genitori. «Non conosco un solo soldato, uno solo fra tutti i miei amici, che voglia fare del male, uccidere, fare la guerra. Spero sempre, invano, che dall'altra parte ci sia chi se ne rende conto».

(il Giornale, 27 luglio 2014)


Israele non cada nel tranello. Le «pause» allungano le guerre

Ipocrisia umanitaria

di Gianandrea Gaiani

L'ipocrisia della "tregua umanitaria" è un rito buonista che si ripete in ogni conflitto. A Gaza gli israeliani hanno accettato lo stop delle operazioni militari per 12 ore come il minore dei mali rispetto a una tregua prolungata che vanificherebbe gli sforzi compiuti finora e costati la vita a 40 militari di Tsahal e forse a un migliaio di palestinesi tra i quail è impossibile discriminare tra civili e combattenti. Vale la pena notare che la "tregua umanitaria" imposta a Gerusalemme dagli USA è stata in passato respinta proprio da Washington quando le sue truppe erano all'offensiva in Serbia, Afghanistan e Iraq con la giustificazione di non dare respiro all'avversario. Il paradosso della guerra che "risparmia" il nemico invece di annientarlo è una delle cause del crollo di credibilità militare dell'Occidente, incluso Israele.
   Per ridurre la pressione intemazionale lo Stato ebraico effettua addirittura "bombardamenti umanitari" avvisando con volantini, altoparlanti e persino sms la popolazione palestinese che determinate aree verranno attaccate. Svelando dove colpiranno gli israeliani rinunciano alla sorpresa e le milizie palestinesi hanno tutto il tempo di ritirarsi (mischiandosi ai civili utilizzati come scudi umani) lasciandosi dietro mine e trappole esplosive che sono la principale causa delle perdite israeliane. Quando le guerre si combattevano per davvero colpire la popolazione contribuiva a minare il morale del nemico e a demolire il consenso nei confronti dei regimi e delle leadership. Questo era lo scopo nel 1940-45 dei bombardamenti aerei su Coventry, Amburgo, Dresda, Tokyo. Prima di portarci democrazia, cioccolata, collant e swing gli anglo-americani bombardarono le città italiane mietendo decine di migliaia di vittime ma ciò nonostante li abbiamo accolti come "liberatori". Oggi che in Afghanistan usiamo i guanti di velluto continuiamo a venire percepiti come Invasori" per giunta inconcludenti dal momento che a fronte dei limitati danni collaterali non siamo riusciti a sconfiggere i talebani e dopo dodici anni ci ritiriamo con la coda tra le gambe.
   Le guerre di un tempo erano più sanguinose ma alla loro conclusione vincitori e vinti erano ben chiari. Aveva ragione Edward Luttwak quando nel saggio "Give war a chanche" accusava le cosiddette "missioni di pace" di impedire ai conflitti di concludersi prolungando all'infinito l'instabilità e del resto la cultura buonista applicata alla guerra ha fatto molti danni, al punto che agli attacchi nemici un tempo si replicava con la massima concentrazione di fuoco, o con la "risposta proporzionata". Se Israele non andrà fino in fondo, riconquistando la Striscia di Gaza e annientando le milizie palestinesi, le vittime registrate finora su entrambi i lati della barricata saranno state inutili e Hamas potrà ricostruire in breve tempo tunnel e arsenali di razzi prolungando all'infinito una guerra che potrebbe venire risolta in meno di una settimana con un uso più determinato della forza. Certo più sanguinoso ma risolutivo.
   Del resto le guerre combattute in punta di piedi non portano a vittorie durature. La rivolta contro gli americani nell'Iraq "liberato" da Saddam Hussein non sarebbe stata possibile nella Germania del 1945 per la semplice ragione che quasi tutti i tedeschi in età per combattere erano morti, feriti, prigionieri o invalidi. I tanti fans del raìs risparmiati dalla guerra "politicaily correct" del 2003 hanno dato una mano ai qaedisti a trasformare il nord dell'Iraq nel Califfato.

(Libero, 27 luglio 2014)


Buonismo in guerra. Una serie interessante di "riti buonisti" è descritta in una gustosa poesia del poeta romanesco Trilussa in cui si immagina un "Re umanitario" che sta per dichiarare guerra al suo vicino, ma vuole rassicurarlo elencandogli tutte le precauzioni che ha preso al fine di garantire il livello minimo di "civirtà moderna".
    La guerra, come vedi, è necessaria:
    ma, date l'esiggenze der progresso,
    bisognerà che unisca ar tempo istesso
    la civirtà moderna e la barbaria,
    in modo che l'assieme der macello
    me riesca più nobbile e più bello.

    D'accordo cor dottore pensai bene
    de fa' sterilizzà le bajonette
    perché er sordato venga fatto a fette
    a norma de le regole d'iggene,
    e a l'occasione ciabbia un lavativo
    pieno de subblimato corosivo.

    Pe' fa' in maniera ch'ogni schioppettata
    se porti appresso la disinfezzione
    ho fatto mette ne la munizzione
    un pezzo de bambace fenicata:
    così, cor necessario de la cura,
    la palla sbucia e la bambace attura.

Palestinesi: «Gli arabi ci hanno traditi. Ancora una volta»

Di tanto in tanto, i palestinesi si ricordano che molti arabi non si curano di essi e dei loro problemi. L'indifferenza araba e il silenzio nei confronti dell'attuale guerra fra Hamas e Israele ricorda ancora una volta ai palestinesi del disprezzo dei loro fratelli arabi.
Non che i palestinesi si aspettassero che gli stati arabi inviassero gli eserciti per combattere Israele, impedendo all'IDF l'invasione di terra della Striscia di Gaza. Ne' tantomeno i palestinesi si aspettavano che i governi arabi inviassero denaro e beni di prima necessità alle famiglie che abitano nella Striscia di Gaza....

(Il Borghesino, 26 luglio 2014)


A Gaza nei tunnel di Hamas. Scenari da incubo

Hamas voleva infiltrare in Neghev centinaia di terroristi

 
''Hamas avrebbe potuto far passare da questo tunnel scavato fin nel territorio israeliano decine di terroristi, forse anche centinaia, prima che ne avessimo trovato l'apertura. La sua scoperta ha sventato un attentato di grande portata'': Lo ha affermato un ufficiale dell'esercito israeliano, il colonnello Max, conducendo nelle vicinanze del Kibbutz di Nir-Am (Neghev occidentale) un pool di giornalisti stranieri all' interno di uno dei tunnel scavati da Hamas sotto ai reticolati di confine ai margini della Striscia di Gaza. ''Finora - ha proseguito l'ufficiale - Israele e' riuscito a scoprire oltre 30 tunnel, con 100 aperture diverse''. Secondo il quotidiano Maariv, Hamas progettava di lanciare una vasta offensiva alla fine di settembre, in occasione del Capodanno ebraico.
In quella circostanza centinaia di palestinesi armati sarebbero sbucati all'improvviso dal terreno, attaccando sei localita' israeliane di confine. Il loro compito era di seminare la morte e di catturare numerosi civili da portare come ostaggi nella Striscia. Una delle localita' che, secondo Maariv, sarebbero state attaccate da Hamas era appunto il kibbutz di Nir-Am, di fronte alla popolosa cittadina palestinese di Khan Yunes, nel Sud della Striscia. La scoperta dello sbocco del tunnel nel Neghev, ha spiegato il colonnello alla stampa estera, e' avvenuta due mesi fa, in seguito ad una intensa attività di intelligence.
Giorni fa militari israeliani entrati nella Striscia sono riusciti ad indentificarne anche il punto di partenza, a tre chilometri di distanza, in una serra di Khan Yunes. Il tunnel e' stato scavato ad una profondita' di 13 metri sotto terra. La sua altezza e' 1,75 metri, la larghezza di 70 centimetri: consente il rapido passaggio di un combattente armato. Le pareti sono coperte da lastre di cemento. Di cemento sono pure il pavimento ed il soffitto a forma di volta. Lungo le pareti corrono fili elettrici, mentre sul pavimento vi sono binari utilizzati per lo smaltimento del terriccio. Il suo costo e' stimato da Israele sui 3-4 milioni di shekel: 600-800 mila euro. ''Quando abbiamo scoperto questo tunnel - ha detto il col. Max - Hamas ci stava ancora lavorando''.
Erano arrivati a poco piu' di un chilometro da Nir-Am. Adesso l'esercito e' impegnato nella distruzione di questa rete di tunnel, ma si tratta di una operazione rischiosa che va condotta con circospezione. I soldati che nella striscia di Gaza cercano le aperture dei tunnel sono esposti al fuoco di cecchini, dell'artiglieria palestinese, di ordigni o di razzi anti-carro. All'interno dei tunnel, inoltre, potrebbero nascondersi ancora combattenti palestinesi; oppure potrebbero celarsi cariche esplosive. L'ufficiale ha spiegato che per Israele non e' sufficiente demolire le imboccature dei tunnel. Occorre invece distruggerne l'intero tragitto, senza pero' che vi entrino i soldati. Vengono cosi' compiute trivellazioni e dai fori viene introdotto il materiale esplosivo necessario. Dove possibile, i tunnel sono bombardati dall'aviazione. Finora solo sette sono stati messi fuori uso. Per neutralizzare i rimanenti, al ritmo attuale, occorrerà ancora una settimana.

(ANSA, 26 luglio 2014)


Israel aims to destroy vast Hamas tunnel network


Basta con quei bambini usati contro Israele

di Fabrizio Rondolino

Smettiamola con i bambini: i bambini in guerra muoiono come chiunque altro, perché la guerra è orrenda. Sono morti e muoiono dappertutto, i bambini: a Belgrado e in Kosovo, in Iraq e in Siria e ovunque si combatta una guerra. Ne sono morti molti anche a Dresda, sotto i bombardamenti alleati che hanno piegato Hitler, e a Hiroshima e Nagasaki, dove le atomiche americane hanno portato la pace nel Pacifico. Dunque il problema non è se muoiono i bambini, ma se è giusta la guerra.
   I media italiani sono quasi tutti totalmente subornati alla propaganda di Hamas, che sfrutta cinicamente le vittime civili - molte delle quali sono letteralmente costrette dai terroristi a restare nelle case o a salire sui tetti - per muovere a pietà l'Occidente.
   I nostri media ogni giorno si prestano alla pornografia della morte, ogni giorno titolano in prima pagina sui morti innocenti: così l'attenzione non è più sulle ragioni della guerra, sul terrorismo di Hamas, sull'offensiva fondamentalista islamica che da Mosul a Gaza ha come obiettivo i valori e le libertà dell'Occidente, ma sui bambini, decontestualizzati e angelicati nel pantheon delle emozioni mediatiche: e chi non inorridisce di fronte a un bimbo morto ammazzato?
   I nostri media non osano scrivere che Israele uccide senza scrupoli, ma probabilmente lo pensano e di sicuro vogliono farcelo credere. Giocano con i sentimenti e ricattano ogni giorno i lettori: da una parte ci sono i bambini morti, e dall'altra c'è - senza dirlo mai esplicitamente, per paura e vigliaccheria - un esercito spietato, un governo spietato, uno Stato e un popolo spietati.
   Israele non è spietato. Non è neanche guerrafondaio: non lo è mai stato. Tutte le guerre che Israele ha dovuto combattere dal 15 maggio 1948, cioè dal giorno della sua nascita, sono state e sono guerre di difesa. Ogni volta che Israele è stato costretto a prendere le armi e a versare il sangue dei suoi figli, è perché ha subito un attacco mortale. Questa guerra non è diversa: Hamas, attraverso i tunnel e con i razzi, ha colpito e colpisce Israele, e Israele non ha altra scelta che difendersi.
   Di tutto questo ai media italiani importa molto poco. La guerra è uno spettacolo, e più grande è l'orrore più il pubblico accorre. I bambini morti commuovono e lo sdegno assolve la coscienza: e che importa se Hamas ha scritto nel suo statuto che Israele va cancellato dalla carta geografica, o che nascondere i razzi nelle scuole e negli ospedali è un crimine contro l'umanità, o che i tunnel con aria condizionata costruiti per ammazzare i cittadini israeliani potrebbero accogliere i civili palestinesi durante i bombardamenti e ridurre a zero le vittime.
   Così monta nell'opinione pubblica un'ondata molto pericolosa, che comincia col distinguere dottamente fra gli ebrei - una specie di idea platonica da commemorare compunti nel Giorno della Memoria - e il governo di Israele, poi s'allarga allo Stato ebraico nel suo insieme, la cui stessa esistenza è considerata un'anomalia, e infine sfocia nell'antisemitismo esplicito, nell'assalto ad una sinagoga a Parigi o nelle botte ai calciatori del Maccabi Haifa in Austria. Di questo l'informazione porta una responsabilità pesante, di cui prima o poi dovrà rendere conto.
   Criticare Israele non è antisemitismo: lo fanno molti ebrei e lo fanno molti israeliani (non altrettanto si può dire dell'altra parte). Ma dipingere giorno dopo giorno Israele come un mostro, speculando sui sentimenti più elementari dell'opinione pubblica e rifiutandosi di illustrarne le molte ragioni, produce nel tempo un diffuso e pericoloso sentimento antiebraico, tanto più intollerabile quanto più è evidente che Israele, in questa come in tutte le altre guerre, è la vittima.
   Israele ha il diritto di continuare a combattere fino a che l'ultimo tunnel e l'ultimo razzo di Gaza non saranno annientati (o fino a quando Hamas non annuncerà il disarmo unilaterale), perché ha diritto ad esistere. Che altro dovrebbe fare, che altro potrebbe fare Israele per fermare la guerra? L'unica opzione che il terrorismo palestinese gli offre è scomparire. L'unica scelta che ha è difendersi. Chi non comprende a fondo questo punto, chi specula sui morti innocenti e si nasconde, naturalmente in nome della "pace", dietro un'ammiccante equidistanza, fa la parte dell'utile idiota di Hamas. E una scelta legittima, ma bisogna saperlo e assumersene la responsabilità.

(Europa, 26 luglio 2014)


Articolo magistrale sotto tutti i punti di vista. Dice in modo sintetico e chiaro ciò che dovrebbe essere ovvio a tutte le persone oneste e di buon senso, ma che così non è perché la semplice e onesta ovvietà oggi è merce rara, soprattutto quando si parla di Israele. Un sincero grazie all’autore e un invito a tutti a diffondere questo articolo in tutti i modi possibili. M.C.


"Siete peggio degli ebrei!"

Siete peggio degli ebrei!
"Siete peggio degli ebrei!" urla una donna palestinese agli sgherri di Hamas a Gaza che stanno bastonando a tutto spiano i presenti nella strada. Insulto gravissimo, tanto che un uomo vicino a lei esclama trasecolato: "Ma che dici? non dire che siamo ebrei!" Un altro però grida agli sgherri dalla porta: "Per questo siete pagati!"
Scene come queste si vedono in un sito in ebraico, segnalatoci poco fa, in cui si trova un video con sottotitoli e commento audio in tedesco. Si vedono sgherri di Hamas, come si sa movimento islamico molto pio, bastonare palestinesi nella strada perché si rifiutano di entrare nella moschea. "Le moschee sono vuote, muovetevi - dice un bastonatore incaricato da Hamas - prendete i vostri tappetini e entrate! Vi giuro che se non lo fate vi prenderò a bastonate tutti, uno per uno". Tutto questo perché Hamas ha vietato ai cittadini di pregare per la strada. Nel video si vedono invece islamici che eseguono i loro rituali di preghiera sul marciapiede. Non vogliono entrare in moschea perché evidentemente sanno benissimo che le moschee sono usate come deposito di armi e base di lanci e quindi sono obiettivo di attacchi da parte dell'esercito israeliano. Un palestinese arrabbiato dice che anche lui è un credente e che "siamo tutti uguali". Ma quelli che protestano come lui sono arrestati.
E quando una folla si raduna per protestare contro l'arresto di un uomo, i poliziotti - dice il commento audio - estraggono le armi e uccidono un certo numero di persone (dall’audio sembra che siano almeno otto). Il commentatore conclude: "Hamas ha raggiunto il punto più in basso della sua storia, tanto che molti palestinesi cominciano a chiedersi come può governare un movimento che per difendere il suo potere arriva ad uccidere altri palestinesi".
Questo è quello che si può ricavare dal video commentato, che a un certo punto si interrompe bruscamente. Se altri hanno notizie più precise in merito, saremmo ben lieti di venirle a conoscere e diffonderle. Questo è il link.

(Notizie su Israele, 26 luglio 2014)


Israele-Hamas, tregua limitata. Reggerà? Tsahal ammonisce: civili, via dalle case

Dalle 7 di mattina (le 8 in M.O.) cessate-il-fuoco umanitario di 12 ore, al termine di una nuova notte di scontri che registra altri ventitré palestinesi (4 bambini) e due militari israeliani morti. No di Netanyahu in serata alla proposta del segretario di Stato americano John Kerry di interrompere le ostilità per una settimana. Summit diplomatico a Parigi: con Fabius il ministro Federica Mogherini, Kerry, Catherine Ashton per l'Ue e i ministri degli Esteri britannico, tedesco, turco e del Qatar

GERUSALEMME - Due soldati israeliani sono stati uccisi ieri durante i combattimenti a Gaza. Lo ha annunciato oggi l'esercito di Gerusalemme. Il bilancio dei militari di Tsahal morti dall'inizio degli attacchi dell'operazione Margine Protettivo sale così a 37. E ventitré palestinesi, tra cui quattro bambini, e un operatore sanitario che stava aiutando le vittime delle bombe sono stati uccisi durante un raid aereo israeliano e in un cannoneggiamento di tank a Khan Younis, a sud della Striscia. Lo hanno riferito i soccorritori. In particolare, il fuoco dei carri armati di Tsahal ha annientato un'intera famiglia di diciotto persone, compresi quattro bambini, rimaste intrappolate nella loro abitazione a Khuzaa, villaggio alla periferia sud-orientale, situato nel settore meridionale dell'enclave a circa 500 metri dalla frontiera.
Una ventina di persone sono rimaste ferite nell'attacco, avvenuto poche ore prima dell'entrata in vigore di un cessate-il fuoco umanitario di 12 ore, dopo che il governo di Bibi Netanyahu ha accettato solo parzialmente la proposta di tregua di una settimana avanzata dal segretario di Stato americano John Kerry.
   Nella notte poi in altri scontri con l'esercito israeliano, sono deceduti due palestinesi di 16 e 18 anni, il primo in un villaggio a sud di Betlemme, l'altro ad un checkpoint a Jalama, in Cisgiordania. Lo hanno riferito fonti della sicurezza palestinese, e questo porta verso quota 900 il numero dei morti arabi nell'offensiva terrestre. E a Gerusalemme est le forze di sicurezza israeliane, documenta un fotografo dell' Afp, hanno aperto il fuoco rispondendo al lancio di sassi, bastoni e altri oggetti.
Dunque, da Betlemme ad Hebron a Gerusalemme, si sono replicate scene da nuova Intifada durante la notte immediatamente precedente all' annunciata tregua di 12 ore.
   Per quanto riguarda il ceasefire, in un comunicato, Idf cioè Tsahal, le forze armate israeliane, conferma la "finestra umanitaria nella Striscia di Gaza dalle 8 alle 20" di oggi, dettandone alcune condizioni. "I civili di Gaza ai quali è stato chiesto di lasciare le proprie case dovranno astenersi dal farvi ritorno", e "l' esercito risponderà se i terroristi tenteranno durante questo periodo di approfittarne per attaccare i soldati o sparare su civili israeliani". "Durante la tregua - aggiunge la nota - le attività operative per localizzare e neutralizzare i tunnel della Striscia di Gaza proseguiranno".

(RaiGiornaleradio, 26 luglio 2014)


Gal Gadot su Fb: "Israele, vinceremo!"

Il messaggio a sostegno dell'impresa militare di Netanyahu ha ricevuto 120mila "mi piace". Sulla bacheca della nuova star femminile di "Batman v Superman: Dawn of Justice": "Hamas si sta nascondendo come un codardo dietro donne e bambini".

Gal Gadot
Un post su Facebook in cui si schiera con forza per il suo Paese in relazione al conflitto nella Striscia di Gaza. Polemiche sull'attrice e modella israeliana Gal Gadot, futura Wonder woman nel prossimo film "Batman V Superman", a causa di un post sui social network in cui dichiarava apertamente la sua posizione nel conflitto israelo palestinese. "Mando il mio amore e le mie preghiere ai miei concittadini israeliani. Specialmente a tutti quei ragazzi e quelle ragazze che rischiano la loro vita proteggendo il mio Paese contro gli atti orrendi condotti da Hamas", si legge sulla bacheca della modella.
Nel post di Gal Gadot, l'attrice sottolinea che "Hamas si sta nascondendo come un codardo dietro donne e bambini. Dobbiamo vincere! Shabbat Shalom!", conclude il messaggio, che ha ricevuto in 16 ore quasi 120mila "mi piace"e oltre 2.600 condivisioni. Gal Gadot, nata nel 1985 in Israele, è nota non solo per i ruoli come attrice, ma anche per essere la modella per la principale catena di abbigliamento israeliana, Castro. Al cinema, ha avuto successo soprattutto per aver recitato in tre episodi della serie "Fast and furious", mentre interpreterà Wonder Woman in "Batman v Superman: Dawn of Justice" con Ben Affleck.

(il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2014)


Continua la vergogna del Comune di Palermo

La bandiera palestinese sventola a Palazzo delle Aquile

di Walter Giannò

Ci risiamo. Il Comune di Palermo ha deciso di rafforzare la propria posizione ideologica nel drammatico scontro tra Israele e Hamas con le bandiere palestinesi che sventolano a Palazzo delle Aquile, sede dell'amministrazione.
Il 9 luglio scorso, infatti, accusammo duramente il sindaco Leoluca Orlando per aver bollato come "massacro" l'operazione militare di Israele contro Hamas, senza esprimere la benché minima indignazione contro il lancio dei razzi del Movimento Islamico di Resistenza e l'utilizzo dei civili come "scudi umani".
E stamattina, quindi, Palermo s'è svegliata con le bandiere palestinesi nel palazzo più rappresentativo della città. Ergo, Israele è il cattivo.
Indignato, ho inviato un tweet all'assessore Giusto Catania, fervido difensore della causa palestinese, da cui è scaturito questo botta & risposta:
  • Giusto Catania: «#Palermo bandiera Palestina sulla facciata Palazzo di città. Con la popolazione di Gaza, con la Palestina nel cuore. pic.twitter.com/99C8umZsvd».
  • Io: «@GiustoCatania Non rappresentate me dal punto di vista politico ma amministrativo. Avete chiesto a tutti i palermitani se sono d'accordo?»
  • Giusto Catania: «@waltergianno pensi che ci siano palermitani d'accordo col massacro della popolazione civile di Gaza? Se ci sono non voglio rappresentarli»
  • Io: «@GiustoCatania "Massacro", Israele boia. Posizione ideologica. Perché mai una condanna dei razzi di Hamas? Solo perché non fanno morti?».
Stop. L'assessore non ha replicato.
Sì, perché è questo il punto.
Premesso che il Comune dovrebbe concentrarsi su come togliere l'immondizia dalle strade della città e trovare soluzioni alternative al traffico sempre più crescente per via dei cantieri, eccetera, eccetera, sarebbe stato più opportuno che Leoluca Orlando & CO. si fossero prodigati per la "PACE" senza essere né filopalestinesi né filoisraeliani ma magari fautori del più legittimo "Due Popoli, Due Stati, Una Capitale", facendo sventolare di conseguenza la bandiera con i colori dell'arcobaleno e non quella palestinese.
Invece, no. Il Comune ha deciso di sostenere le ragioni palestinesi e di condannare, senza se e senza ma (e nascondendo così le vere ragioni per cui Hamas sta fronteggiando Israele, che vanno al di là della difesa degli interessi dei "civili"), gli israeliani, arrogandosi il diritto di espandere il proprio pensiero a quello dell'intera città.
E in questo è senza dubbio aiutato dal fatto che in città è molto più forte la componente araba che quella ebraica (pressoché assente), potendo così contare sul beneplacito e la contentezza della prima (magari anche politica e elettorale).
Una vergogna che va sottolineata, diffusa e - perché no - comunicata ai destinatari delle implicite invettive dell'amministrazione comunale.

(CronoPolitica.it, 26 luglio 2014)


"Torno fra i Golani, i miei uomini"

di Ada Treves

 
Favorevoli all'indipendenza dello Stato di Israele sin dalla prima ora, i drusi servono regolarmente nell'esercito israeliano, ma il Colonnello Generale Rasan Alian è stato il primo a diventare comandante della Brigata Golani. Bisogna ricordare che la dottrina dei drusi è complessa e accoglie elementi dell'islamismo, dell'ebraismo, dell'induismo e del cattolicesimo, e il loro essere così anomali li ha resi vittime di numerosi periodi di persecuzioni, soprattutto da parte dei sunniti. Una vera e propria etnia, con numeri in diminuzione, che si incontra in Libano, nella Siria meridionale e in Israele, dove l'integrazione è totale. E che sia un druso a guidare la Brigata Golani, una delle unità di fanteria più decorate dell'esercito, è un segnale forte e bello di unità nazionale e di integrazione, prezioso in questi tempi cupi.
A colpire sono anche la determinazione e l'assoluta fermezza del Colonnello, che è stato ferito in azione. Ricoverato per qualche giorno, ha raccontato di essere stato ferito da una granata. "Un RPG, una granata con propulsione a razzo, è esplosa a pochi metri da me. Ma sto bene, sono solo pochi graffi". Graffi, forse, ma lo hanno obbligato ad abbandonare il campo e ad essere trasportato d'urgenza verso il primo ospedale da campo disponibile. Pochi giorni stava già fremendo: "Sono rimasto in contatto con i miei uomini, ovviamente, e tra pochissimo tornerò al comando delle mia divisione. Dobbiamo muoverci e arrivare il più rapidamente possibile a completare l'obiettivo."
"La Brigata che ho l'onore di comandare è formata da uomini coraggiosi, abbiamo uno spirito forte, e anche se ognuno di noi soffre per le ferite dei compagni non ci lasciamo fermare, né rallentare nella nostra lotta al terrorismo."
Distruggere i tunnel che hanno trasformato il sottosuolo di Gaza in una rete di cunicoli che permettono di arrivare in territorio israeliano per azioni terroristiche, e debellare Hamas: questi gli obiettivi dell'esercito israeliano, che quest'uomo tutto d'un pezzo ha fatto suoi. Nulla pare poterlo fermare e la sua priorità è tornare in battaglia. "Fra poche ore spero di essere di nuovo a Gaza, con i miei uomini", queste le parole di un uomo che è stato ferito ma non si arrende, parole del Colonnello Generale Rasan Alian, comandante della Brigata Golani, druso, israeliano.

(moked, 25 luglio 2014)


Sotto il lancio di razzi da Gaza, non si fermano gli aiuti umanitari israeliani

Comunque aperti i valichi di confine, allestito un ospedale da campo

In collaborazione con la Mezzaluna Rossa, le Forze di Difesa israeliane hanno aperto un ospedale da campo al valico di Erez, al confine con la striscia di Gaza, per curare i palestinesi feriti nella striscia di Gaza. L'ospedale da campo comprende pronto soccorso, laboratorio, farmacia, unità pediatrica, clinica ambulatoriale, unità ostetrico-ginecologica, unità di medicina interna ed è attrezzato per curare decine di pazienti, soprattutto donne, bambini e anziani. I feriti che richiedono cure ulteriori vengono trasferiti in ospedali all'interno di Israele....

(israele.net, 25 luglio 2014)


Non può morire qualche israeliano in più?

di Giulio Meotti

Manifestazioni antisraeliane in tutte le città d'Europa, assalti alle sinagoghe, interrogazioni parlamentari, titoli e immagini in prima pagina su giornali e telegiornali, appelli radio a sparare ai sionisti. Ormai è chiaro che all'opinione pubblica non interessa se un tank israeliano si ferma di fronte a un terrorista di Hamas con in braccio i suoi figli. Non gli interessano i video dei piloti israeliani che abortiscono una missione se sotto hanno dei civili (il generale inglese Kemp ha detto che nessuno al mondo ha standard etici così elevati in guerra come Israele). Non vuole sentir parlare di missili stipati nelle scuole con la bandiera dell'Onu. Non interessa sapere il numero di missili lanciati da Hamas, chi li paga, chi paga il cemento usato per i tunnel della morte, le ong subdole, la doppia morale, l'odio antisemita, l'islam politico. Per il mondo, Israele è il capro espiatorio. Gli ebrei sono semplicemente ingiusti. Non puoi placare questa follia. E' come un virus. Ed è un virus che ha contagiato anche giornalisti che pretendono di essere terzi. Allora mi viene un dubbio: non è che il mondo si sentirebbe meglio se un po' di israeliani in più si lasciassero uccidere, giusto per pareggiare i conti? Siamo sempre al vecchio mercante di Venezia di Shakespeare, Shylock che chiede "una libbra della vostra bella carne da tagliarsi e da prendersi in quella parte del vostro corpo che a me piacerà".

(Il Foglio, 25 luglio 2014)


“Allora mi viene un dubbio: non è che il mondo si sentirebbe meglio se un po' di israeliani in più si lasciassero uccidere, giusto per pareggiare i conti?”
La risposta è.... sì. Il mondo si sentirebbe meglio. O meglio, è convinto che starebbe meglio e per questo prova fin d’ora una sensazione di benessere al pensiero, per questo non si commuove, anzi interiomente si compiace di ogni ebreo morto in più, ma la realtà successiva sarebbe un’altra. È sempre stato così nella storia e sempre sarà così anche in seguito. L’ultima esperienza di importanza storica mondiale è quella dei tedeschi di Hitler, l’ultima di importanza politica regionale è quella dei palestinesi di Gaza. Si sentivano meglio quando riuscivano ad ammazzare qualche ebreo in più, e infatti si rallegravano e festeggiavano: adesso sperimentano che alla fine si sta peggio. Quello che sta avvenendo ai gazani è una parabola dal vivo che dovrebbe essere un avvertimento per il mondo, ma non sembra che sia così. “Io benedirò chi ti benedirà e maledirò chi ti maledirà” (Genesi 12:3). “Salvatevi da questa perversa generazione” (Atti 2:40). M.C.


Allarme in Norvegia, musei ebraici chiusi

Autorità mettono in guardia su possibile "imminente" attacco.

I musei ebraici in Norvegia sono rimasti chiusi oggi dopo l'allarme lanciato ieri dalle autorità del Paese che hanno messo in guardia sulla possibilità di un "imminente" attacco terroristico da parte di individui provenienti dalla Siria. La comunità ebraica potrebbe rientrare tra gli obiettivi dei militanti islamici radicali, anche alla luce dell'attacco avvenuto a maggio al museo ebraico di Bruxelles. I musei ebraici norvegesi riapriranno al pubblico da martedì.

(ANSA, 25 luglio 2014)


Hamas aveva progettato una grande strage

Secondo quando riferisce il sito web israeliano NRG, dagli interrogatori fatti dall'IDF ai terroristi di Hamas presi prigionieri sarebbe emerso un piano di Hamas davvero orribile: compiere una grande strage durante la festa del Rosh Hashanah, il capodanno ebraico.
Il piano era di far entrare in Israele attraverso i tunnel almeno 200 terroristi per ognuno dei tunnel. I miliziani di Hamas avrebbero dovuto approfittare della festa di Rosh Hashanah, durante la quale molti militari tornano a casa e la tensione è molto allentata, per introdursi nei kibbutz lungo la frontiera, uccidere decine di persone e rapire quante più persone possibili. Il piano è stato sventato dall'inizio della guerra e dalla conseguente distruzione dei tunnel....

(Right Reporters, 25 luglio 2014)


Onu e Stati canaglia contro Israele. I dubbi sulla strage della scuola

Anche l'Italia, astenendosi, si accoda alla stessa infame compagnia che nel 2009 a Durban attaccava Gerusalemme. Sull'istituto colpito responsabilità, diretta o indiretta, è solo di Hamas.

di Maria Giovanna Maglie

Navi Pillay
Perché l'Italia si è astenuta mentre l'ignobile commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la razzista sudafricana Navi Pillay, quella che ha fatto la scalata di incarichi con Durban II e pure III, accusava Israele di crimini di guerra? In che mani è la politica estera italiana? Renzi, Mogherini, Pistelli e compagni hanno capito il livello di rischio, qualcuno li ha infondati che un altro 11 Settembre è alle porte? Comprendono che l'operazione difensiva non può essere fermata finché Hamas non consegna i missili e libera i tunnel, perfino a costo di tomare nella striscia di Gaza che Ariel Sharon lasciò nel 2005 ai palestinesi? L'Italia che sapeva da che parte stare, nel 2009 a Durban, conferenza internazionale che aveva per unico scopo la condanna di Israele, non ci andò, lasciando a Francia, Germania, Inghilterra, la figuraccia di doversi alzare e lasciare la sala in cui Ahmadinejad, il tiranno ayatollah ospite d'onore, proclamava che l'Olocausto è una menzogna. Oggi quell'astensione ai proclami di una pazza che fra un mese per fortuna va a casa - ma al peggio non c'è fine quando si tratta di quel circo del terzomondismo che si chiama Nazioni Unite, e il rappresentante giordano appena nominato potrebbe riservare sorprese amare - pesa come un assenso.
   Con chi sta l'Italia? Hamas usa scuole, ospedali e abitazioni private come postazioni di lancio per i razzi diretti contro Israele, li inzeppa di armi di ogni genere, ci scava tunnel destinati a invadere Israele, soprattutto ci infila a forza civili in quantità, in testa bambini e donne, e aspetta che il bombardamento annunciato da Israele arrivi. E tanto triste, brutale, agghiacciante, quanto semplice da capire, non fosse che l'Occidente di spirito anti israeliano si è sempre nutrito fingendo che nulla abbia a che fare con l'antisemitismo che lo ispira e rinfocola. Ultimo episodio: le forze di sicurezza di Tsahal hanno bombardato una scuola delle Nazioni unite a Gaza adibita a rifugio dei profughi palestinesi. Non è neanche detto che il missile non sia di Hamas. Ma anche se a lanciarlo si dimostrasse che è stato l'esercito israeliano, chiamiamo le vittime in modo appropriato: "scudi umani" per intimorire Israele. Hamas combatte in aree urbane e ordina ai civili di non abbandonare le proprie case in questi giorni, ignorando gli avvisi delle forze israeliane, perché in questo modo trae vantaggio dall'aumento delle vittime innocenti e può sollevare una questione diplomatica sui metodi usati da Israele in guerra. Il progetto fila cosi liscio che pronto Il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite annuncia l'apertura di un'inchiesta contro Israele per crimini di guerra, dimenticando di inserire tra gli accusati quelli che usano la gente come scudi umani, ovvero Hamas, e di fatto il governo dell'Autorità di Abu Mazen, che ne è alleato.
   Navi Pillay, sudafricana di origine tamil, nata proprio a Durban, ha chiuso la sua indegna carriera con questa bella trovata contro Israele, e con una denuncia parallela delle «orribili violazioni dei diritti umani che si commettono negli Stati Uniti»; si, proprio cosi, e a Obama, che di questi terzo-mondisti si sente il pupillo, starebbe anche bene, non fosse che gente così gestisce un carrozzone micidialmente costoso, distribuisce denaro, orienta pubblica opinione. Non fosse che, come dice Walker Meghnagi, il capo della comunità ebraica di Milano, «l'Europa è il maggior sostenitore economico di Hamas che, se solo avesse usato i propri denari per i palestinesi, invece di spenderli in tunnel e missili, avrebbe garantito loro una vita migliore». Ma se quei denari vengono dall'Europa, siamo noi colpevoli allo stesso modo. Torniamo alla Pillay. Dal 2008 a oggi la sua agenda si è distinta solo per la crociata contro gli Stati Uniti, famosa la sua polemica contro l'uccisione di Osama bin laden, e contro Israele, unico Paese su 192 accusato di razzismo. Quando a Ginevra dove si tenne Durban II, i delegati europei si alzarono e se ne andarono per protesta contro il discorso di Ahmadinejad, lei non solo rimase tranquillamente al suo posto, ma le riprese della giornata la mostrano mentre guarda con disgusto gli Stati democratici, la immortalano mentre ringrazia caldamente l'Organizzazione per la Conferenza Islamica, quindi anche Ahmadinejad.
   La Pillay ha commissionato la tristemente nota commissione d'inchiesta Goldstone. Risultato: Israele colpisce sistematicamente e intenzionalmente obiettivi civili, Hamas si è pubblicamente impegnata al rispetto dei diritti e delle leggi umanitarie internazionali. Ha tentato di imporre i risultati della Goldstone al Consiglio di Sicurezza. Dopo una visita nel febbraio scorso in Israele, Gaza e West Bank, tiene una conferenza stampa di questo tono: A dimostrazione chiarissima della discriminazione istituzionale, non ho potuto incontrare un solo cittadino palestinese di Israele. Ma se numerosi arabi israeliani fanno parte del Parlamento, della Corte Suprema, dei ranghi diplomatici, davvero la signora non è riuscita a incontrarne uno? Come mai invece non una parola di condanna la Pillay ha espresso sul fatto che il governo di Hamas a Gaza, il governo di Hamas alleato di Abu Mazen, prevede nella sua carta costituente l'annichilimento di Israele?
   Che questo personaggio per sei anni sia stato nel ruolo che abbiamo visto è scandaloso. Che alle richieste infami del personaggio contro Israele l'Italia abbia opposto una vile astensione lo è altrettanto.

(Libero, 25 luglio 2014)


A Tel Aviv manifestazioni a sostegno dell'esercito

A Kfar Azar, in Israele, centinaia di persone hanno partecipato ai funerali di Daniel Pomerantz, uno dei 32 soldati israeliani morti nell'invasione di Gaza.
Il militare 20enne è rimasto ucciso - insieme ad altri 12 commilitoni - durante la strage di Shejaia del 20 luglio scorso che ha provocato la morte di oltre 70 palestinesi. Per il governo di Israele, Daniel è un eroe e per lui è stato riaperto il cimitero monumentale della città.
Altrove, a Tel Aviv, gli inviti alla pace lanciati dai familiari, dopo il rapimento e l'uccisione di quattro ragazzi, vengono cancellati dalle manifestazioni di solidarietà all'esercito israeliano.
"Siamo qui per sostenere l'azione delle nostre truppe che punta ad abolire totalmente i miliziani di Hamas - sostiene Guy, uno dei manifestanti - Con questa manifestazione vogliamo ribadire che siamo per la verità, per la difesa della moralità e per Israele".
Il gabinetto di sicurezza israeliano si riunirà nuovamente nelle prossime ore. Sul tavolo la proposta del segretario di Stato statunitense, John Kerry, di una settimana di tregua a partire da domenica.

(euronews, 25 luglio 2014)


E' in questo modo che i media "moderati" e "neutrali" fanno subdola propaganda anti-israeliana. Si presenta il funerale di un militare israeliano ucciso inserendovi il riferimento alla "strage di Shejaia che ha provocato la morte di oltre 70 palestinesi"; subito dopo si sottolinea che "per il governo di Israele Daniel è un eroe", come a dire che Israele chiama eroi quelli che fanno stragi di palestinesi; poi, senza nessun riferimento necessario all'accaduto che si sta descrivendo, si ricorda che i familiari dei "quattro ragazzi" uccisi dopo il rapimento avevano fatto inviti alla pace, ma che questi sono stati "cancellati dalle manifestazioni di solidarietà all'esercito israeliano". La morale implicita è completa: un militare israeliano è morto, e va bene; ne hanno fatto il commosso funerale, e anche questo va bene, perché gli ebrei morti sono sempre interessanti; il soldato morto aveva contribuito a compiere una "strage", quindi in fondo la morte se l'era meritata; il governo israeliano lo considera un eroe, quindi è dello Stato d'Israele la responsabilità primaria nella carognata compiuta dal semplice soldato sottoposto; la popolazione manifesta solidarietà all'esercito israeliano, e questo conferma che tutto Israele è un popolo di guerrafondai che rifiutano la pace. E' stupefacente vedere quante malevoli allusioni si possono fare in così poche parole. Ma contro Israele si riesce a fare questo ed altro. M.C.


L'antico veleno del pregiudizio

di Pierluigi Battista

In un'Europa dove a Berlino, attorno a una moschea, hanno gridato «viva Hitler» e In Francia militanti pro Ha-mas danno l'assalto a una sinagoga con lo slogan «Mort aux juifs», in quest'Europa fragile e intossicata bisogna almeno prestare ascolto all'Anti-Defamation League quando denuncia un ambasciatore europeo in pectore, reo di aver bollato gli ebrei come «agenti di Satana» e beneficiari dell'«industria dell'Olocausto». Péter Szentmlhàlyi Szabó, l'autore di queste dichiarazioni antisemite, sta infatti per occupare il ruolo di ambasciatore d'Ungheria in Italia. L'AntiDefamation League chiede alle autorità italiane, e in primo luogo al presidente della Repubblica, di bloccare la sua nomina. È un segnale dl allarme, non un'interferenza. La velocità con cui si stanno propagando i veleni dell'antisemitismo richiede risposte rapide, nitide, gravi quanto grave è il contesto che le giustifica.
   L'Italia non è immune da questo catastrofico degenerare della critica anti israeliana nella resa agli stereotipi antisemiti mascherati da antisionismo. Hanno imbrattato le mura della sinagoga di Vercelli con scritte in cui si accusano tout court «gli ebrei» di esser complici del massacro di Gaza. Ogni critica, anche la più feroce, alla politica dello Stato di Israele è legittima. Si può pensare tutto il male possibile di una protesta davanti alle ambasciate e al consolati israeliani: ma è libera contestazione di un governo, di una condotta bellica. Invece sembra che si sia sbriciolata la frontiera che divide la critica allo Stato di Israele e l'accusa indiscriminata agli «ebrei» sparsi nel mondo e in Europa in particolare. C'è qualcosa di mostruoso in un'Europa in cui le scuole ebraiche sono sotto il mirino dei terroristi, in cui i cortei sfociano negli assalti ai quartieri a forte insediamento ebraico (anche questo è accaduto a Parigi), in cui vengono minacciati e fatti bersaglio di raccapriccianti ingiurie i rabbini, come è successo in Olanda, in cui i pregiudizi del vecchio e repellente antisemitismo nazistoide si saldano con i nuovi pregiudizi «antisionisti», in cui è pericoloso indossare la kippah, in cui i bambini ebrei vanno a scuola con la paura disegnata sul volto dei genitori. I primi a denunciare questa spaventosa deriva antiebraica e giudeofobica dovrebbero proprio essere i sostenitori della causa palestinese, gli spiriti più critici nei confronti dello Stato di Israele e della sua invasione della Striscia di Gaza. Dovrebbero essere loro a tracciare una linea di demarcazione invalicabile, a cacciare dalle loro manifestazioni gli energumeni antisemiti, a non permettere che a Roma ancora oggi si possano immaginare assalti al Ghetto ebraico dove il r6 ottobre del '43 i nazisti deportarono uomini e donne sulla strada senza ritorno per Auschwitz. E invece tacciono. Fanno finta di non capire. Accettano commistioni intollerabili, si adeguano alla linea che non riconosce a Israele nemmeno il diritto di esistenza accanto a uno Stato palestinese, non spendono nemmeno una parola sui razzi sparati da Hamas per terrorizzare la popolazione civile delle città israeliane.
   E allora, dentro un'Europa di nuovo così ostile nei confronti degli ebrei, è bene che le autorità italiane prendano sul serio l'appello accorato dell'Anti-Defamation League e si uniscano alla protesta contro un ambasciatore che avrebbe definito gli ebrei «agenti di Satana». Un piccolo segnale. Per una battaglia che vale la pena combattere.

(Corriere della Sera, 25 luglio 2014)


Milano - La Comunità ebraica (e tanti amici) con Israele

 
 
Diverse centinaia di persone hanno preso parte, nel pomeriggio del 24 luglio a Milano, alla manifestazione a sostegno di Israele, in piazza S. Carlo, promossa dalla Comunità ebraica con l'Adi, Associazione amici di Israele. Protetti e racchiusi dalle transenne e da un cordone di polizia e carabinieri in tenuta antisommossa, i manifestanti sono stati fronteggiati, dall'altra parte del corso Vittorio Emanuele, da uno sparuto gruppo di contro-manifestanti (per lo più immigrati arabi) con le bandiere palestinesi. Al grido di "assassini…! assassini…!"hanno rivolto fischi, invettive e grida di odio, cui i manifestanti pro Israele non hanno replicato.
   Avvolti nelle bandiere israeliane, con cartelli e striscioni di condanna del terrorismo, in sostegno del processo di pace, i manifestanti hanno cercato di presentare le ragioni di Israele, l'impossibilità per un qualsiasi Stato di ignorare una pioggia incessante di missili indirizzati contro la propria popolazione civile.
   Non è stato pronunciato alcun discorso estremista né tantomeno violento. Solo, è stata espressa la consapevolezza che, in questo contesto, Israele non poteva fare altro che contrattaccare l'offensiva voluta da Hamas a Gaza, per difendere i suoi cittadini. Nessuno ha identificato Hamas con il popolo palestinese e tutti hanno auspicato che, eliminato il terrorismo, si arrivi a un accordo di pace fra Israele e i suoi vicini.
   Il Consigliere Comunale Ruggero Gabbai è intervenuto portando anche il saluto dei Sindaco Pisapia: "Vi porto i saluti del sindaco Giuliano Pisapia e del vicesindaco Lucia De Cesaris. - ha detto - Non è facile essere in politica in questo momento, perché sono sempre gli altri a ricordarti che prima sei ebreo e non è sempre importante a che partito appartieni, è importante però che ci siano degli ebrei come Emanuele Fiano, Daniele Nahum e il sottoscritto che non abbassano mai la testa alle provocazioni di questi giorni dentro e fuori dalle aule istituzionali.
   Siamo qui in tanti e rispecchiamo le molte anime e sensibilità politiche. Tutti noi vogliamo risolvere il conflitto con una pace duratura e vera. Noi rappresentiamo il pluralismo delle idee forti di una vera democrazia. Possiamo a volte essere divisi su come ottenere la pace ma non saremo mai divisi nell'affermare il diritto di Israele ad esistere e prosperare in pace e sicurezza. La maggior parte di noi è nata dopo 1948 e non può pensare di vivere in un mondo senza Israele.
   Oggi lancio un appello agli arabi musulmani moderati, che sono la maggioranza, di alzare la voce e di ribellarsi contro il regime di Hamas. Auspico che arrivi presto una tregua che possa essere il viatico per una reale trattativa di pace. Noi ebrei non possiamo coltivare la cultura dell'odio e del razzismo altrimenti ci abbasseremmo al livello di chi colpisce l'ebreo solo per il fatto di esserlo e questo sta succedendo non solo in Israele ma anche in Europa e in altre parti del mondo.
   Solo la cultura della pace ci permetterà di vivere senza l'angoscia che i nostri ragazzi soldati non tornino più a casa o che debbano andare in guerra a uccidere, oltre ai terroristi, anche vittime innocenti.
   Ricordiamoci sempre che noi siamo il popolo del libro e non del fucile.
   Voglio solo dire un'ultima cosa ai falsi pacifisti che tacciono quando in Siria ci sono 2700 profughi palestinesi e centosessantamila civili ammazzati nella guerra civile; a loro dico: che se Hamas gettasse le armi oggi in questo momento non ci sarebbe più la guerra ma se le armi le gettasse Israele non ci sarebbe più lo Stato ebraico. Nonostante ciò raccolgo lo slogan dell'Hashomer Hatzair che recita : "NON ESISTE VIA PER LA PACE, LA PACE E' LA VIA".

(Mosaico, 25 luglio 2014)


Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: 'Pace, pace', mentre pace non v'è.
Noi aspettavamo la pace, ma nessun bene giunge; aspettavamo un tempo di guarigione,
ed ecco il terrore!
Dal libro del profeta Geremia, cap. 8  


Una guerra vera e propria

E' chiaro che la neutralizzazione di tunnel e lanciarazzi dovrà essere prevista da un eventuale accordo di cessate il fuoco con Hamas.

Un soldato appena tornato da Gaza ha parlato mercoledì delle sue sensazioni di fronte alle scene che ha visto coi propri occhi e che trovava difficile tradurre in parole. Si parla di un'operazione, ha detto, ma sul campo c'è una guerra: bombe, missili anticarro e violentissimi scambi di colpi. È pericoloso entrare nelle case perché possono essere trappole di mine, e non è sicuro rimanere fuori a causa dei cecchini. Lo scontro è duro, ha detto, ma noi abbiamo dei limiti. Stiamo attenti a non colpire i civili, e dobbiamo stare attentissimi ai rapimenti. Ci hanno parlato un sacco di questi pericoli e di queste minacce prima di andare, ma niente ci ha veramente preparati a quello che ci attendeva laggiù....

(israele.net, 25 luglio 2014)


"C'è l'incubo dei coloni in ostaggio"

Yigal Caspi, ambasciatore israeliano in Svizzera, parla al Corriere del conflitto in corso con Gaza.

di Osvaldo Migotto

BERNA - Sull'ennesimo conflitto armato in atto in Palestina abbiamo sentito il parere di Yigal Caspi, ambasciatore israeliano in Svizzera.

- La rete di tunnel sotterranei a Gaza ha permesso ad Hamas di lanciare molti razzi contro il territorio israeliano. Crede che i servizi segreti israeliani fossero a conoscenza della vastità di questa rete di tunnel?
  «In questo momento in Israele vi è un dibattito sulla questione dei tunnel sotterranei. Non è la prima volta che vengono usati da Hamas. Il soldato israeliano Gilad Shalit (tornato recentemente in libertà n.d.r.) era stato rapito utilizzando un tunnel sotterraneo. Inoltre due postazioni israeliane lungo la frontiera erano state fatte saltare in aria da Hamas sempre usando i tunnel sotterranei. E ora scopriamo l'immenso reticolo di tunnel che esiste sotto la Striscia di Gaza. E come obiettivi di attacco Hamas non ha solo postazioni militari israeliane, ma anche Kibbutz. Immaginiamo in quale grave situazione verrebbe a trovarsi il Governo israeliano se un gruppo di terroristi invadesse un kibbutz prendendo in ostaggio civili e bambini. Sarebbe una catastrofe. Visto che non esistono strumenti tecnici per scoprire lo scavo di un tunnel, fatto a mano senza l'impego di macchinari, per noi è stata una sorpresa scoprire l'esistenza di una vasta rete di cunicoli».

- E quindi ora?
  «Ora bisogna distruggere questi tunnel, sia all'entrata che all'uscita. L'esercito deve eliminare sia i cunicoli che portano sul territorio israeliano sia quelli che sono usati per nascondere armi di ogni genere, razzi compresi. Ora ci accorgiamo quanti soldi sono stati investiti da Hamas, dopo l'ultima battaglia con Israele, e quanti progressi sono stati compiuti nella costruzione di tunnel sotterranei. Dobbiamo fare in modo che in futuro questo non avvenga più. Che lancino razzi contro di noi è grave, ma pensare alla possibilità che estremisti di Hamas entrino in un Kibbutz è prendano dei bambini in ostaggio sarebbe una catastrofe. La popolazione israeliana non accetterebbe una tale situazione. E il nostro Governo poi cosa dovrebbe fare? Eliminare Gaza? Per questo è fondamentale trovare ed eliminare tutti i cunicoli».

(Corriere del Ticino, 25 luglio 2014)


Un altro esempio di giornalismo tendenzioso e ignorante. Tendenzioso, perché parla di “coloni in ostaggio”, usando un termine falso e insultante per indicare ogni israeliano, dal momento che i kibbutz in pericolo di rapimenti non si trovano soltanto negli insediamenti; ignorante perché dice che Gilad è tornato “recentemente” in libertà, quando ormai sono passati quasi tre anni. M.C.


Autorità europea: sì ai voli su Tel Aviv

"Ma sorvegliare i rischi"

PARIGI - L'Agenzia europea per la sicurezza aerea (Aesa) ha ritirato oggi la raccomandazione alle compagnie aeree europee, diffusa ieri, di evitare l'aeroporto di Tel Aviv per i rischi legati al lancio di razzi dalla striscia di Gaza. L'Aesa invita comunque le compagnie a "sorvegliare attentamente i rischi relativi alla sicurezza dei voli".

(ANSAmed, 24 luglio 2014)


Washington: artisti sostengono Israele con razzi e avvisi

 
A Washington gli "Artisti per Israele" hanno creato una mostra di arte multimediale: "Essere al fianco dei nostri fratelli in Israele" che incute paura simulando quello che accade in tempo reale ai residenti del sud di Israele durante il "Red Alert": un modo molto originale per sostenere Israele.
Gli "Allarmi rossi" e i lunghi soggiorni in rifugi sono, purtroppo, da più di 10 anni la vita di tutti i giorni per gli israeliani che vivono nel sud dello Stato ebraico, regolarmente bombardati dalla Striscia di Gaza. Nelle ultime due settimane tutto Israele, da nord a sud, ha potuto provare quello che vivono i residenti del Sud, con massicci lanci di razzi da Gaza verso il paese.
Adesso però altre persone nel mondo hanno potuto vivere la stessa esperienza ... Sulla collina del Campidoglio, a Washington, gli americani hanno potuto, per una settimana e certamente per la prima volta nella loro vita, vivere e capire in tempo reale quello che provano gli israeliani durante il famoso Allarme rosso.
Degli "Artisti per Israele" hanno creato una copia esatta dei rifugi che si trovano nelle città di Israele, e hanno invitato i passanti a sentire questo allarme e a vivere l'esperienza dei lanci di razzi in Israele, in suoni e immagini.
Situato nel cuore della capitale degli Stati Uniti, non era scontato per "Artisti per Israele" accettare la sfida di interpellare cittadini americani solo per far capire loro quello che accade nella realtà alla popolazione civile israeliana, ma la scommessa è stata vinta.
In effetti, molti americani si sono prestati a fare questa insolita esperienza di vita e ne sono usciti scossi, arrivando infine a capire quello che hanno vissuto per tanti anni i residenti del sud di Israele.

(Le Monde Juif, 24 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


"Siamo affamati"

Oltre 150 terroristi di Hamas si sono arresi spontaneamente all'IDF. E' successo questa mattina nel nord della Striscia di Gaza. Lo rende noto Radio Israele.
I terroristi sarebbero usciti spontaneamente dai loro rifugi e si sarebbero avviati verso i soldati israeliani a braccia alzate. Immediatamente sono stati fatti spogliare per verificare che non nascondessero cinture esplosive. Si tratterebbe di 150 appartenenti alle Brigate Ezzeddin al Qassam, le unità d'elite di Hamas....

(Right Reporters, 24 luglio 2014)


Europei e Filistei unitevi

L'epopea di uno Stato autoproclamato, autoeletto ed automartirizzato

di Alan D. Baumann

Sempre pronti per scagliare missili ed accuse, palestinesi ed occidentali sostengono che Israele usi troppa potenza, ma si tratta di una scusa per gettare benzina sul fuoco dell'antisemitismo. Da oltre duemila anni gli ebrei devono difendersi. Non perché propaghino un'epidemia, certamente non perché accusati di proselitismo. Fino a qualche Papa fa, si accusavano i Fratelli Maggiori di deicidio e sempre grazie ad alcuni editti papali dal medio evo in poi, gli ebrei venivano tacciati di essere degli usurai. Anticamente il Re di Israele possedeva solo una fionda e con astuzia era riuscito a piegare il gigante filisteo. Oggi, dopo aver subito di continuo le minacce e gli attacchi, soprattutto stanco di tregue atte solo a rinforzare Hamas, l'invidiato paese occidentale in un mondo dove ci si fa scudo con i propri figli e ad una donna non si consente autonomia, reagisce per porre fine ad un gruppo sanguinario. La missione è anche quella di aiutare gli occidentali ed evitare altri 11 settembre, perché agli occidentali non bastano i milioni di dollari ufficialmente regalati al popolo sofferente, ma inviati a mo' di riscatto per sedare il terrorismo internazionale.
   Gli israeliani da accusare per una loro vena espansionistica sono molto pochi e grazie al cielo ve ne sono, perché nessuno è perfetto su questa Terra. Vi sono alcuni estremisti, ma soprattutto si tratta di gente esausta per il doversi svegliare quotidianamente al suono delle sirene e passare le intere giornate a correre rapidamente nei rifugi. Si parla di persone, non dello Stato.
   Se soltanto fossero stati un tantino più egoisti, negli accordi con Egitto e Giordania del 1978 e del 1994, gli israeliani non avrebbe permesso agli stati vicini di non riprendersi le terre della West Bank e di Gaza e non avrebbero restituito parte delle terre occupate dopo aver subito, ma vinto, la Guerra dei sei giorni nel 1967.
   Il previdente Egitto ha rivoluto il Sinai per tenere gli abitanti di Gaza più lontani, così come Israele che ha pur custodito alcune terre - immaginate la situazione siriana più vicina ad Israele, se alcune alture del Golan fossero state restituite -. "Sicurezza" è da sempre la parola più importante per l'intera cittadinanza israeliana: il nemico ha meno possibilità di uccidere se è maggiore la distanza dall'obbiettivo. Pensate a 11.000 missili pronti ad essere sguinzagliati in ogni direzione: alcuni verso Gerusalemme, città Santa anche per i mussulmani, altri che martellano le cittadelle nel sud di Israele, uno che ha ucciso un agricoltore di origine thailandese ed infine quelli che colpiscono una casa nella parte cisgiordana della Palestina (ovviamente di questi ultimi alcune testate giornalistiche non ne parlano). Vittoria è per Hamas l'isolamento aereo, economico e politico di Israele.
   Tanto per ripetersi ennesimamente, ricordiamo che fino alla rinascita dello Stato di Israele nel 1948, venivano chiamati palestinesi proprio gli ebrei: dalla Palestine Symphony Orchestra alla Brigata Palestinese che liberò l'Italia dal nazifascismo. La terra dei Filistei autoproclamatasi nazione, con grande soddisfazione dell'Eurabia e dell'Organizzazione Araba della Nazioni Unite, è composta da più parti, come la Francia ed i suoi possedimenti di Oltremare, oppure il Commonwealth.
   La parte essenziale dello stato è la West Bank, governata da Abu Mazen (Mahmud Abbas), per cui è valido il vecchio detto "mentre stringi la mano destra ad un arabo, ti accoltella con la sinistra": quest'anno da un lato ha definito la Shoah "Il crimine peggiore" - secondo alcuni si è trattato di una svolta -, d'altro canto ha voluto al governo i rappresentanti di Hamas. Nessuno oggi - neanche una disdetta ufficiale palestinese - parla della fuga della famiglia di Abu Mazen verso la Giordania, per motivi di sicurezza. Forse per non spiegare che i fratelli terroristi (così definiti anche da UE ed USA) hanno minacciato il leader e la sua famiglia. Certamente per non mostrare la crescente debolezza di Fatah (Al-Fath), il partito di Abbas. Nella West Bank sono stati uccisi i tre giovani studenti ebrei. Fortunatamente il muro di difesa costruito da Israele lungo il confine, evita da anni altri spargimenti di sangue. Muro triste come può esserlo un muro, ma senz'altro necessario. D'altronde uno stato può erigere quel che vuole al proprio confine; basti vedere quello appena ultimato che divide la Grecia alla Turchia, quello che non fa entrare in Marocco il popolo sahariano (sebbene sia anche lui di passaporto marocchino), oppure la doppia palizzata tra Messico e USA: barriere tutte queste per i quali nessuno in Occidente ha mai detto qualcosa contro.
   Nell'egiziana Gaza, che per libera votazione ha eletto rappresentante l'organizzazione paramilitare Hamas, Israele si è ritirata nel 2005, smantellando anche degli interi villaggi che vi si erano insediati dal 1967. Nel suo discorso, il premier Ariel Sharon (morto nel gennaio di quest'anno a 85 anni) disse:
   "Non possiamo stare a Gaza per sempre. Più di un milione di palestinesi vivono lì e il loro numero raddoppia ad ogni generazione. Vivono ammassati nei campi profughi in povertà e nella disperazione, in focolai di odio crescente senza speranze né orizzonti. È perché siamo forti, non perché siamo deboli, che facciamo questo passo.
   Abbiamo provato a trovare accordi con i palestinesi per portare i nostri popoli alla pace, ma i nostri tentativi si sono schiantati contro un muro di odio e fanatismo. Il piano di disimpegno unilaterale che ho annunciato due anni fa è la risposta israeliana a questa realtà. Questo piano farà il bene di Israele nel futuro. Noi riduciamo così gli scontri giornalieri e le vittime da entrambe le parti. L'esercito israeliano si riunirà di nuovo lungo le linee difensive dietro il recinto di sicurezza. Quelli che continueranno a combatterci, incontreranno la piena forza dell'esercito israeliano e delle sue forze di sicurezza.
   Ora tocca ai palestinesi. Loro devono combattere le organizzazioni terroristiche e smantellare la loro infrastruttura e mostrare intenzioni sincere per ottenere la pace e sedersi con noi al tavolo delle trattative. Il mondo aspetta la risposta palestinese, una mano tesa per la pace o il fuoco del terrore. A una mano tesa noi risponderemo con un ramo d'ulivo, ma risponderemo con durezza al fuoco con il fuoco".

A distanza di nove anni, nulla è cambiato nella striscia di Gaza. Nonostante i milioni di dollari ricevuti, quei filistei hanno mantenuto i campi profughi per commuovere e dare ai paesi occidentali il pretesto per inviare loro soldi. In gran parte delle scuole si insegna soprattutto ad odiare l'occupante, ma Israele se ne è andato da tempo e l'unico occupante è l'ideologia del massacro perpetrata da Hamas. I soldi sono serviti ad accumulare un'infinità di missili, che anche se definiti da certa stampa "armi fatte in casa", non costituiscono un valido pretesto per scagliarli di continuo sulla popolazione vicina. Restano oggetti pericolosi, atti ad uccidere chiunque: questo il loro unico scopo.
   Gli uomini di Hamas si celano nei numerosissimi cunicoli scavati dalle fondamenta delle loro scuole, ospedali, moschee. Come grossi roditori hanno scavato fin sotto alle terre israeliane. Israele sta tentando di stanarli prima che riescano ad entrare e minacciare la popolazione, accedendo nelle case o nei kibbutz, uccidendo donne e bambini, con unico scopo lo sterminio di ogni ebreo ed ogni cristiano ( discorso Gran Mufti , pubblicato dalla tv palestinese nel 2012). Per questo gran parte dei soldi dati a Hamas sono anche frutto di doni puramente antisemiti.
   In un'intervista rilasciata alla televisione araba Rai News24, la "Ambasciatrice" della Palestina ringrazia pubblicamente la giornalista Lucia Goracci ed alcune testate giornalistiche della televisione statale italiana. Una redazione Rai cambia addirittura nome: da TeleKabul a TeleGaza. Auguriamoci che se sarà dato un premio alla Goracci, si ricordi del proprio operatore e non come nell'amara storia del Premio Alpi che ha ricevuto nel 2011 per un servizio dalla Libia, quando si è dimenticata del "suo" cineoperatore Claudio Rubino, ferito gravemente per realizzare da lì un servizio proprio con lei.

E' sempre facile per gli occidentali (venditori di armi) prendersela con Israele e assaltare le sinagoghe. Da sempre si è visto come l'antisemitismo si muova anche istituzionalmente: in Svizzera la Croce Rossa accettò la Mezza Luna Rossa ma per sano razzismo non il Magen David Artom; da Ginevra le Nazioni Unite sono sempre pronte a colpevolizzare solo Israele; in Italia si sono svolti i giochi del Mediterraneo ed indovinate chi non era stato invitato (nemmeno si fosse geograficamente spostata)?
   Tante altre sono purtroppo le azioni ufficiali che hanno condannato la democrazia israeliana, spesso solo per celare i misfatti interni dei paesi europei. D'altronde si conosce l'impotenza del nostro paese nel combattere le mafie o i gruppi terroristici: se spesso non vi si riesce, ci si allea con essi. L'Europa resta piegata al potere del petrolio ed a Gheddafi si era fatto un baciamano ufficiale, per poi dire che ucciderlo è stato giusto, aspettando il rimpiazzo con uno più filo italiano o francese o tedesco. E' risaputo che non fa notizia se un arabo ammazza un arabo e per i media sembrano terminati gli scontri siriani. Ovviamente nessuno è al corrente degli inviti che Israele ha rivolto alla popolazione araba in fuga per curarsi, anche aprendo una frontiera chiusa da quasi 50 anni. Nessuno ricorda poi i soccorsi dati ai mussulmani bosniaci durante il drammatico sfascio jugoslavo, andando a prenderli e portandoli in Israele per curarli. Alcuni di loro non sono voluti rientrare e sono diventati cittadini israeliani.

Fra le due parti della Palestina c'è dal 1948 Israele, e Hamas vorrebbe che venga tolto quel che definiscono un assedio ma che non è che un rafforzamento della propria frontiera. Se Abu Mazen prega per "i fratelli della Palestina", allora l'ONU dovrebbe condannare assieme a Hamas ed i suoi roditori, anche Abu Mazen e la West Bank per crimini contro l'umanità, per il continuo lancio di missili e massacri perpetrati da infiltrati dai cunicoli. Se attaccato da uno Stato, Israele (non lo stato ebraico in quanto vi vivono per libera scelta anche degli arabi - cristiani e musulmani - spesso invidiati dai parenti vicini) non dovrebbe rispondere con una minuziosa azione di polizia e con gli avvertimenti alla popolazione, ma con uno stop alle forniture di acqua, luce, gas e alle quotidiane entrate di convogli umanitari (ovviamente mai citate dagli organi di stampa).
   "Ebbene si cari lettori, i palestinesi residenti in Giudea, in Samaria e nella Striscia di Gaza ricevono energia elettrica gratuita da Israele, dalla Israel Electric Corporation (IEC).
   Considerato che l'Autorità palestinese e la Striscia di Gaza non hanno centrali elettriche di alcun tipo, l'elettricità viene importata direttamente da Israele senza pagare un centesimo per i loro consumi "..." Ecco cari lettori come Israele calpesta i diritti umani dei palestinesi, regalando loro acqua potabile, curando gratuitamente i palestinesi presso gli ospedali di Israele e donando loro anche l'energia elettrica." (Gian Giacomo William Faillace , 1/03/2014 su "lacritica.org").

Lo Statuto di Hamas propone la cancellazione dello Stato di Israele e la sua sostituzione con uno Stato islamico palestinese. I roditori fanno parte del governo, ma nonostante ciò, gli israeliani difendono la popolazione palestinese, autoproclamata, autoeletta ed auto martoriata, rifornendola di prime necessità ed avvertendola che al di sotto del loro salone o del bagno, i loro rappresentanti hanno collocato una base lanciamissili. Ma loro dicono di non sapere, come per alcuni media cui importa solo il livello dell'audience, come per i tedeschi di settanta anni or sono, che non conoscevano l'esistenza della soluzione finale.

(L'ideale, 24 luglio 2014)


Una spettacolare produzione Pallywood!

Ho sempre pensato che i peggiori nemici dei palestinesi, siano i filo-palestinesi. Gli israeliani rispettano l'avversario, se ne prendono cura quando è ferito, gli danno lavoro, anche se non sono cittadini israeliani, e consentono l'accesso alle spiagge alla fine del Ramadan. È pacifico che non ci sarebbe guerra, se si aspettasse che fossero gli israeliani a scatenara, e a non subirla.
I filopalestinesi sono la razza peggiore. Fanatici, ottusi, maligni, falsi, calunniatori fino al grottesco. Bisogna riconoscere che non hanno fornito un grande aiuto alla cosiddetta "causa palestinese" con le tonnellate di foto spacciate per fresce, e invece rinvenienti da altri conflitti e altre latitudini. Anche la difesa d'ufficio di Hamas ha fatto venire molti mal di pancia a chi era sinceramente convinto delle ragioni dei palestinesi. Non pochi osservatori neutrali delle questioni mediorientali, in queste due settimane per la prima volta ha preso posizione, schierandosi dalla parte dello stato ebraico....

(Il Borghesino, 24 luglio 2014)


Maroni alla manifestazione di ebrei a Milano

MILANO, 24 lug. - Roberto Maroni ha partecipato a una manifestazione organizzata a Milano dall'associazione 'Amici di Israele' per protestare contro gli attacchi di Hamas e per chiedere che si arrivi alla pace tra lo Stato ebraico e il popolo palestinese. "Sono unilateralmente contro il terrorismo e unilateralmente contro Hamas", ha spiegato le motivazioni della sua presenza, a titolo personale, il governatore lombardo. "Il problema di questo conflitto e' Hamas, non sono i palestinesi: questa e' una manifestazione pacifica, perche' vogliamo che Israele esista, che il popolo israeliano esista in pace col popolo palestinese", ha chiarito, nel suo intervento, il presidente della comunita' ebraica, Walker Meghnagi.
Presenti all'evento, in piazza San Carlo, anche Daniela Santanche', Guido Podesta' e Alessandro Sallusti. Tenuti lontani, una quindicina di manifestanti, con le bandiere palestinesi, hanno contestato urlando 'Assassini' e 'Free Palestine'.

(AGI, 24 luglio 2014)


Comunità ebraica contro de Magistris: "Mai una parola sui missili di Hamas"

Il presidente Campagnano: "Lei, signor sindaco, dichiara di volere la pace, ma non ha mai detto nulla sul lancio di missili che si protrae da anni".

NAPOLI - "Lei dichiara di volere la pace, di volere due stati per due popoli e poi dichiara che Israele deve interrompere le azioni militari difensive nella striscia di Gaza. Lei non chiede nel contempo che venga definitivamente interrotta la pioggia di missili che ricadono sulle città israeliane". Lo scrivono, in una lettera aperta al sindaco di Napoli Luigi de Magistris, la Comunità ebraica della città, con il presidente Pierluigi Campagnano, e l'associazione Italia Israele, presieduta da Giuseppe Crimaldi.
"Lei - prosegue la nota - si è distinto nel non aver detto mai una parola su questo stillicidio di lancio di micidiali missili che si protrae da anni. Le vittime civili colpite nel territorio della striscia di Gaza sono volute da Hamas che si ostina ad usare come basi, tunnel sotterranei e rampe di missili poste a ridosso di ospedali, scuole e strutture civili. Tutti noi auspichiamo una pace lunga e duratura ma non a prezzo della distruzione dello stato di Israel.

(Repubblica - Napoli, 24 luglio 2014)


Oggi s'insedia in Israele il nuovo presidente Rivlin

Il nuovo presidente israeliano, Reuven Rivlin, presterà giuramento oggi alla Knesset con una cerimonia di basso profilo dato il conflitto in corso a Gaza. Accolto da una guardia d'onore davanti il parlamento israeliano, Rivlin presterà giuramento dopo aver ascoltato il discorso di commiato del suo predecessore, il premio Nobel per la pace Shimon Peres. Poi sarà il turno di Rivlin di prendere la parola in parlamento. Il tradizionale ricevimento è stato annullato.
"Mentre i soldati combattono e i cittadini d'Israele sono minacciati dai missili, riteniamo che l'evento debba essere modesto e di basso profilo", afferma un comunicato congiunto di Rivlin e del presidente della Knesset Yuli Edelstein. Sono stati invitati in parlamento diversi sindaci delle città meridionali, le più bersagliate dai missili, in segno di solidarietà.
Nato 74 anni fa a Gerusalemme, Rivlin è un esponente del partito Likud del primo ministro Benyamin Netanyahu, con il quale non ha però mai avuto buoni rapporti personali. Contrario ad una soluzione con due stati, ritiene che arabi ed ebrei dovrebbero convivere come cittadini di uno stato comune. Ha però detto che come presidente non intende intervenire nelle decisioni politiche, come i negoziati di pace, che spettano al parlamento. E come presidente della Knesset si è battuto per i diritti dei deputati arabo israeliani.

(Adnkronos, 24 luglio 2014)


In piazza per la pace con la comunità ebraica

Meghnagi: «Che cosa farebbe l'Italia se venisse bombardata Milano?»

di Sabrina Cottone

MILANO - Una manifestazione per la pace in Israele, organizzata dalla comunità ebraica questa sera alle 19 in piazza San Carlo. «Noi manifestiamo per la pace in Israele, per il diritto ad esistere e a vivere in serenità con i nostri amici, che sono l'Autorità palestinese e non Hamas. E' fuori dubbio che l'80 per cento dei palestinesi vuole la pace. Ma la verità è che Israele sta reagendo per difendere il proprio popolo da Hamas. E il mondo se n'è lavato le mani» dice Walker Meghnagi, presidente della comunità ebraica di Milano.
   In piazza sarà presente anche il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti. L'attesa della comunità ebraica è che «tanti milanesi e rappresentanti delle istituzioni si uniscano alla nostra richiesta di pace». In realtà su giornali e tv rimbalzano continuamente le immagini dei tanti bambini che muoiono sotto il fuoco israeliano a Gaza. Che cosa dice la comunità ebraica? «La morte di tante persone innocenti fa male a tutte le persone civili. Ma il mondo deve capire che cadono i missili sulle città! In pieno centro a Tel Aviv, ho sentito la sirena ed era la prima volta che succedeva nella mia vita durante il giorno: ho dovuto cercare un rifugio. Se cadessero missili a Milano, a Como, a Mantova, a Lecco, a Trezzano sul Naviglio, che cosafarebbe l'Italia?».
   La comunità ebraica scende in piazza per raccontare. Dice Meghnagi: «Vogliamo spiegare alla gente che se Israele usa i soldi per difendere il suo popolo, Hamas usa i soldi per distruggere il suo popolo. Gaza è il territorio che riceve più sostegno al mondo in proporzione alla popolazione. Se avessero usato i soldi per ospedali, industrie e abitazioni, invece che per missili e tunnel, il popolo non sarebbe stato così sofferente. Nel 2013 183mila palestinesi della Cisgiordania e di Gaza sono stati curati negli ospedali israeliani. La gente sa tutte queste cose? Io credo di no». Ma adesso la guerra infuria crudelissima. Come costruire la pace? «Con l'aiuto dei Paesi moderati, togliendo i missili a Hamas. E invece il mondo se n'è lavato lemani». A Milano intanto è stato annullato il concerto della cantante israeliana Noa: ha accusato il premier israeliano Netanyahu di non volere la pace, al contrario del palestinese Abu Mazen.
Tra artisti, letterati e sportivi
ci sono esempi di grandi capacità
che sanno dire con grande serietà
le più grandi stupidità.

Meghnagi approva: «Credo che abbiano fatto bene...».

(il Giornale, 24 luglio 2014)


"Con i tunnel a Gaza rischiamo un 11 settembre"

L'ambasciatore di Israele a Roma: non ci fermeremo, pronti a tutto per distruggerli.

di Gian Micalessin

«I tunnel scoperti a Gaza rappresentano ormai una vera minaccia esistenziale... attraverso quelle gallerie possono entrare a centinaia nei nostri villaggi...
   In Israele rischiamo qualcosa di simile a un 11 settembre. Per eliminare quei tunnel siamo pronti a tutto, anche a riprenderci Gaza. Oggi il 95 per cento della popolazione israeliana sta con il governo. Qualsiasi decisione venga presa gli israeliani l'accetteranno». L'ambasciatore israeliano Naor Gilon parla a Il Giornale poche ore prima dell'annuncio arrivato ieri sera di un possibile, imminente cessate il fuoco. Che però potrebbe durare assai poco se Hamas non accetterà un disarmo incondizionato.
   Almeno a giudicare dai toni e dagli argomenti esibiti dall'ambasciatore e dall'addetto militare Robi Regev durante l'incontro di ieri pomeriggio all'ambasciata d'Israele, durante il quale i due diplomatici parlano per oltre un'ora, proiettano filmati, spiegano perché quei tunnel capaci di traghettare i miliziani fondamentalisti nel cuore d'Israele siano una minaccia non più tollerabile. Una minaccia da cancellare a tutti i costi. Anche al costo di tornare sui propri passi, cancellare il ritiro da Gaza voluto da Ariel Sharon nel 2005 e tornare a riassumersi la responsabilità dei quasi due milioni di palestinesi della Striscia. Anche a costo di continuare a combattere per mesi e veder centinaia di soldati subire lo stesso destino degli oltre 30 già caduti dall'inizio dell'offensiva di terra.
   Per spiegartelo il Colonnello Kobi Regev, un ex pilota di F16, fa partire un filmato girato da un drone lunedì mattina. A prima vista la telecamera sembra seguire un gruppo di soldati israeliani diretto verso un centro abitato intorno a Gaza. Ma la realtà, spiega il colonnello Regev, è ben diversa. «Anche una nostra unità li ha scambiati per soldati israeliani. Avevano delle divise perfette, l'unica differenza erano i kalashnikov. Grazie a quel trucco sono riusciti a sbucare da un tunnel, muoversi liberamente per oltre un'ora sul nostro territorio e uccidere quattro nostri soldati che non si erano accorti di loro. Per fortuna siamo riusciti a trovarli e neutralizzarli poco prima che riuscissero ad entrare in un kibbutz».
   Quella documentata drammaticamente nel filmato è almeno la terza infiltrazione subita nel giro di pochi giorni da Israele. E proprio la temeraria pericolosità di questi raid rende Israele sempre più irremovibile. Per il governo di Gerusalemme e i suoi generali, quelle gallerie scavate nel sottosuolo di Gaza sono ormai incubo. Un incubo pericoloso quanto i missili perché capace di mettere a repentaglio l'incolumità di migliaia di Israeliani.
   Per questo, fanno capire l'Ambasciatore e l'addetto militare, l'operazione Margine Difensivo s'interromperà solo se e quando i mediatori internazionali riusciranno a convincere Hamas a distruggere tutti i tunnel e consegnare i missili.
   Altrimenti Israele continuerà a combattere fino all'eliminazione totale di quelle due minacce. Anche a rischio di perdere decine o centinaia si soldati. «Per noi questa è una guerra obbligata - spiega l'ambasciatore - non possiamo accettare di vivere a Tel Aviv mentre i missili piovono sulle nostre teste. Qui non è più questione di prezzo. Qui è in gioco la difesa di Israele, se non saremo pronti a tutto pur di garantirla domani ne sconteremo le conseguenze. E pagheremo un prezzo ancora più alto. Per questo la maggioranza degli israeliani chiede al governo di esser ancora più duro con chi ci minaccia».

(il Giornale, 24 luglio 2014)


Invito alla preghiera

Dal pastore di una chiesa messianica in Israele abbiamo ricevuto una circolare di cui traduciamo qui un lungo estratto.

Nelle ultime due settimane la nostra congregazione non ha potuto riunirsi di sabato perché in prossimità dell'edificio non c'è un rifugio antiaereo raggiungibile. Per questo adesso ci riuniamo in diverse case.
Ringraziamo Dio perché in conseguenza di questi attacchi siamo diventati più uniti. Ieri le persone sono arrivate numerose per la riunione di preghiera. Durante l'incontro, Dio ci ha dato di considerare i versi di Gioele 2:12-17: siamo chiamati a digiunare e pregare come sacerdoti dell'Altissimo, in primo luogo per noi stessi, per pentirci ed essere cambiati, poi per il nostro paese, la nostra nazione, affinché gli occhi siano aperti e si veda che la sicurezza e la protezione non vengono soltanto dalla cupola di ferro e dal forte esercito; Dio stesso è l'autore della nostra protezione e salvezza. Proclamiamo quindi il Salmo 91.
    Vogliamo udire la chiamata di Dio e restare in preghiera per la leadership del nostro paese. Stiamo pensando di farlo in modo collettivo e organizzato il 24 luglio [oggi]. Continuiamo a pregare anche per due membri della nostra congregazione che combattono adesso in questa guerra. Uno sta svolgendo il servizio militare obbligatorio, l'altro è stato richiamato come riservista.
    Le munizioni tenute da Hamas sono nulla in confronto a quello che tiene Hezbollah. L'attuale conflitto è una prova generale di quello che viene descritto nel libro di Zaccaria, il giorno di Gerusalemme. Questo è il motivo per cui adesso dobbiamo lasciar cadere conflitti e contrasti in famiglia, tra congregazioni (dottrine diverse) e come nazione (sinistra e destra). Dobbiamo anche smettere di litigare all'interno della congregazione e prepararci uniti per un'opera sacra di intercessione.
   Se volete unirvi a noi, saremmo felici se poteste pregare per questi soggetti:
  • Per la protezione dei soldati israeliani a Gaza, in particolare per i nostri due fratelli menzionati prima.
  • Per la protezione dei civili di entrambe le parti.
  • Per tutti i bambini che in questa guerra soffrono di perdite, trauma e paura.
  • Per la leadership della nostra nazione.
  • Per le opportunità di testimoniare la pace del Messia alla gente impaurita (Giovanni 14:27), in modo da essere una lettera vivente e una testimonianza della Sua pace e del perfetto amore che scaccia ogni paura.
  • Affinché possiamo di nuovo radunarci insieme e questa esperienza possa unirci e farci vivere come vivevano i credenti citati in Atti 2:43-47.
  • Per i credenti nel Messia che vivono a Gaza.
La pace non è la fine del conflitto. La pace è un frutto dello Spirito. L'albero è il Messia Gesù, il principe della pace. La vera pace arriverà solo quando ebrei e arabi invocheranno il principe della pace Yeshua il Messia! In piccola scala, questo microcosmo di pace è già iniziato.

(Notizie su Israele, 24 luglio 2014)


Nel silenzio si continua a morire in Siria

Nei combattimenti degli ultimi giorni uccise più di duecento persone

DAMASCO - Oscurata dal conflitto tra Hamas e Israele a Gaza, che sta catalizzando l'attenzione dei media, la guerra in Siria continua a mietere vittime. Più di duecento persone, tra cui una cinquantina di civili, sono state uccise negli ultimi giorni mentre i combattimenti, anche a causa del coinvolgimento dei miliziani dello Stato islamico provenienti dall'Iraq, si fanno sempre più cruenti.
   Secondo bilanci non ufficiali, in circa tre anni e mezzo di violenze, in Siria sono morte oltre 170.000 persone. Il Centro di documentazione delle violazioni in Siria (Vdc) riferisce che dalla fine di giugno 2014 a oggi 1.348 persone sono morte nel conflitto che oppone i ribelli alle truppe di Assad. La fonte, che si avvale di una fitta rete di ricercatori sul terreno e che dal 2011 documenta con precisione le vittime e le circostanze della loro morte, include nelle liste persone di entrambi gli schieramenti. Lo stesso bilancio di sangue è fornito dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), ente legato agli attivisti che dal 2007 denuncia le violazioni nel Paese grazie a una rete di fonti mediche presenti sul territorio.
   Nei combattimenti degli ultimi giorni — dice l'Ondus — sono state uccise, in diverse regioni della Siria, 198 persone, e nello specifico: 41 civili, 44 insorti anti-regime, 29 miliziani non siriani, 19 miliziani lealisti, 36 soldati dell'esercito regolare, 17 ribelli non identificati, due miliziani curdi, cinque qaedisti dello Stato islamico, cinque miliziani stranieri fedeli al regime di Damasco. Le zone più colpite sono state la periferia di Damasco con 28 uccisi (7 civili) e quella di Aleppo con 26 uccisi (5 civili).
   Dal canto suo l'agenzia ufficiale Sana — considerata dai media internazionali la voce del Governo del presidente Assad — ha riferito dell'uccisione, nell'ultima settimana, di cinque civili e del ferimento di altre 38 persone in vari episodi di violenza in diverse regioni del Paese. La Sana non fornisce le generalità delle vittime.
   Intanto, nuove atrocità si registrano anche tra ieri e oggi: sei bambini di una stessa famiglia sono rimasti uccisi in un bombardamento lanciato dall'esercito siriano sulla regione settentrionale di Aleppo, mentre tre minori sono morti in altre zone del Paese. I sei bambini della famiglia Moslem sono morti nell'attacco effettuato su un villaggio situato nel Nord della provincia di Aleppo, una zona in gran parte controllata dai ribelli.
   Ieri sera — riferisce l'Ondus — un ragazzo di 15 anni è stato ucciso in un bombardamento aereo compiuto nella provincia centrale di Hama, mentre una bambina di sette anni è morta durante i violenti scontri avvenuti nella provincia di Idlib. Nel territorio della provincia di Deir Ezzor, controllata dai miliziani jihadisti dello Stato islamico, una bambina di sei anni è morta in seguito a un raid compiuto dalle forze lealiste.

(L'Osservatore Romano, 24 luglio 2014)


170.000 morti in tre anni, 1348 morti solo in questo mese. Ma non sono morti interessanti, almeno per i media occidentali. Su questi non ci si può scandalizzare, non si fanno marce di protesta. Come mai? Inutile chiederlo. Molti non se lo chiedono, non vogliono chiederselo, si arrabbiano se glielo chiedi. M.C.


A Parigi la nuova "notte dei cristalli"

di Stefano Magni

 
Sinagoghe attaccate, negozi ebraici devastati, auto e proprietà date alle fiamme. Una vera notte dei cristalli, all'alba del 2014, è scoppiata in Francia, proprio nella sua capitale, al cuore dell'Europa occidentale. Nel sobborgo di Sarcelles, chiamato la "piccola Gerusalemme" per la sua numerosa comunità ebraica, decine di vandali, infiltrati in una manifestazione filo-palestinese, hanno iniziato a dar fuoco ai cestini della spazzatura, a distruggere auto parcheggiate e poi a lanciare razzi e bombe molotov, contro la polizia e le proprietà dei locali. Negozi di cibo kosher, ristoranti e una casa funeraria sono stati danneggiati e saccheggiati da scalmanati che insultavano Israele. "Non avevamo mai visto una violenza simile a Sarcelles - assicurava ieri il sindaco François Pupponi - questa mattina (ieri, ndr) la gente è stordita, la popolazione ebraica è intimorita". Non si tratta del primo caso. Sabato scorso, a Parigi, un'altra manifestazione per Gaza è andata fuori controllo ed è finita in scontri con la polizia. È sempre lo stesso copione dopo l'assalto dato alla sinagoga del quartiere Marais, il distretto ebraico di Parigi, lo scorso 13 luglio. In quella occasione, gli estremisti avevano attaccato di sabato, quando la sinagoga era piena di fedeli. Nello scontro che ne era seguito, tre ebrei erano rimasti feriti.
   La Francia è la nazione europea che ospita una delle più grandi comunità ebraiche e una delle più grandi comunità musulmane. Dunque sembra abbastanza logico che il conflitto mediorientale venga "esportato" anche nella repubblica d'oltralpe. Gli atti di violenza antisemita, stando a tutte le prove raccolte finora, sono tutte da ascriversi ad estremisti islamici, fieri della loro identità di immigrati di seconda e terza generazione. Tuttavia, il governo francese, non sembra riconoscere questa minaccia.
   Dopo il massacro di ebrei a Tolosa, commesso da uno jihadista con cittadinanza francese e il più recente massacro (sempre di ebrei) a Bruxelles, commesso da un altro jihadista con cittadinanza francese, questi scontri nei sobborghi di Parigi dovrebbero suonare come un campanello di allarme per tutto il Paese. C'è un nemico allevato in casa che cresce, si rafforza, diventa più sicuro di sé, almeno da tutti gli anni 2000. Eppure, la politica estera francese, per lo meno, pare non essersene neppure accorta. La linea è sempre quella di condanna dell'operato di Israele, come ha dichiarato il ministro degli Esteri Laurent Fabius il 22 luglio: "Niente giustifica il massacro" di civili palestinesi. Dei razzi palestinesi lanciati contro i civili israeliani? Importa meno: la risposta è "sproporzionata", dunque spetta a Israele il peso della colpa. Se lo stesso criterio venisse seguito anche in Francia, la polizia non dovrebbe neppure arrestare decine di "attivisti" filo-palestinesi (13 ieri e 18 domenica) "solo" perché distruggono proprietà di francesi di religione ebraica.
   Si tende sempre a sottovalutarlo, o a dimenticarlo, ma il problema della Francia, è ancora più profondo rispetto alla crisi mediorientale e alle sue fiammate improvvise. E non riguarda solo le comunità musulmana ed ebraica. Infatti, in Francia l'antisemitismo, rilevato dalla Anti Defamation League, è condiviso dal 37% della popolazione. Ben più di un terzo di tutti i francesi. Non si tratta di un fenomeno solo islamico: i musulmani di Francia sono, al massimo (nelle stime più inclusive e approssimate per eccesso) il 10% della popolazione. Ecco, gli antisemiti sono quasi 4 volte più numerosi dell'intera popolazione islamica francese. Si tratta di una delle maggiori diffusioni di antisemitismo dell'Unione Europea, caso unico in tutta l'Europa occidentale, inferiore solo alla Grecia (69%, uno dei Paesi più antisemiti del mondo), alla Polonia (45%), alla Bulgaria (44%) e all'Ungheria (41%).
   È un problema che troppo spesso non viene capito: in Francia, così come negli altri Paesi ad alto tasso di antisemitismo, l'oggetto dell'odio non è Israele, ma l'ebreo in sé. Israele e le sue numerose guerre sono solo un pretesto. Quel che maggiormente viene odiato, dell'ebreo, è la sua presunta infedeltà alla nazione europea di cui è cittadino, il suo presunto potere economico, finanziario e culturale, visto come causa della crisi economica di questi anni. Si respira la stessa aria della crisi di fine anni Venti, preludio del nazismo. Gli ebrei lo sentono e, nonostante il pericolo e la guerra cronica, dalla Francia fuggono in massa verso Israele. È dalla repubblica d'Oltralpe, infatti, che arriva la maggior parte dei nuovi "rientri" nello stato ebraico.

(L'Opinione, 24 luglio 2014)


Israele accusa: l'Onu fa il gioco di Hamas

L'ambasciatore a Roma, Naor Gilon: «Siamo sotto attacco, nessuno può toglierci il diritto di difenderci»,

di Brunella Bolloli

ROMA - Nel giorno in cui l'Onu chiede una corn-missione d'inchiesta sulle violazioni nella Striscia di Gaza, Israele reagisce con fermezza. «Una parodia», taglia corto il premier Benyamin Netanyahu, «bisognerebbe piuttosto investigare su Hamas». Per Israele ieri è stato un altro giorno di perdite militari: tre paracadutisti sono rimasti uccisi durante i combattimenti nella zona di Khan Yunis. Altri tre soldati sono rimasti feriti e dall'inizio dell'operazione di terra sono 32 i militari caduti. «Siamo sotto continuo attacco da parte di Hamas», ha spiegato Naor Gilon, ambasciatore d'Israele in Italia. «Abbiamo il diritto e il dovere di autodifenderci e siamo obbligati ad agire se la nostra gente è esposta alle minacce».
   Gilon ha illustrato la situazione di guerra nei Territori insieme al colonnello Koby Regev, addetto militare della sede diplomatica. Ha ammesso che Israele aveva sottovalutato le dimensioni e la pericolosità della rete di tunnel costruiti da Hamas e costati miliardi di dollari dirottati, forse, «dagli aiuti umanitari dell'Unione europea alla popolazione palestinese». Perché due sono le modalità con cui i miliziani stanno facendo la guerra: i razzi contro Israele (solo tra il 12 giugno e il 7 luglio ne sono stati lanciati circa 300, diretti ai civili e perfino contro l'aeroporto internazionale di Tel Aviv), e il sistema ramificato di tunnel invisibili, scavati sotto le fondamenta degli edifici. «Una vera città sotterranea da cui preparare altri attentati come l'11 settembre». Regev ha mostrato immagini captate dall'intelligence in cui si vedono uomini armati di kalashnikov uscire da questi cunicoli e penetrare nelle città israeliane al confine con Gaza. «Il nostro obiettivo è fermare i razzi e distruggere i tunnel. Ma non vogliamo massacrare i civili e non usiamo i bambini per proteggere le armi, come fanno loro. Noi vogliamo colpire i terroristi». Il messaggio da Israele è chiaro: «Questa è una guerra che ci è stata imposta, una guerra di difesa, appoggiata dalla stragrande maggioranza della popolazione». Nei riguardi dell'Ue l'ambasciatore si è limitato ad esprimere apprezzamento per la condanna dell'antisemitismo pronunciata dai ministri degli Esteri («Bruxelles sta cominciando a capire che il rischio c'è anche per l'Europa»). Mentre parole dure sono state usate nei confronti dell'Alto commissario per i Diritti Umani dell'Onu, Navi Pillay, che ha presieduto una riunione d'emergenza sulla crisi. «Ci sono due parti in corso», ha ricordato Gilon, «è inaccettabile tenere in considerazione le sofferenze solo di una. Hamas è due volte responsabile di crimini di guerra». La pace in Medio Oriente è dunque ancora, sempre di più, un'utopia, sebbene ieri sera il leader di Ha-mas, Khaled Meshaal, dal Qatar abbia fatto sapere che la sua organizzazione è «pronta ad accettare una tregua umanitaria, ma la condizione è la rimozione del blocco israeliano». Nei progetti futuri di Netanyahu c'è invece, piuttosto, la rioccupazione di Gaza, come era prima del ritiro voluto nel 2005 da Ariel Sharon. «Un'opzione, certo», ha confermato Gilon parlando con i cronisti italiani, «ma adesso dobbiamo sconfiggere il terrore».

(Libero, 24 luglio 2014)


Una notte dei cristalli

L'ambasciatore israeliano a Berlino denuncia: "E' come il 1938". Ovunque in Europa riecheggia il grido "morte agli ebrei". Salto di qualità dell'antisemitismo.

di Giulio Meotti

La vetrina di un negozio ebraico distrutta a Parigi durante una delle manifestazioni in favore di Gaza
L'ambasciatore israeliano a Berlino, Yakov Hadas-Handelsman, ieri ha scandito tre parole e quel numero fatale, così ingombrante: "E' come il 1938". Perché gli ebrei vengono attaccati e maltrattati nelle strade della Germania. Di nuovo. Slogan omicidi che risalgono ai giorni di Hitler, come "Hamas, Hamas, ebrei al gas", sono stati gridati durante manifestazioni pro palestinesi in tutta Europa. Così, mentre Israele lanciava l'operazione Zuk Eitan - margine di protezione - gli ebrei europei ripiombavano in uno stato di inferiorità e di paura, come è avvenuto per le generazioni passate. Ancora una volta è pericoloso essere ebrei in Europa.
   L'imam di una moschea di Berlino è sotto inchiesta per un sermone in cui ha detto: "Oh Allah, distruggi gli ebrei sionisti, contali e uccidili fino all'ultimo, falli soffrire terribilmente". Poster a Parigi hanno esortato i manifestanti contro Israele ad aderire a "un raid nel quartiere ebraico". Centinaia di giovani hanno marciato verso una sinagoga cantando "Mort aux juifs", come nei giorni del capitano Dreyfus. Prima che Beirut diventasse il centro di una guerra civile, era nota come "la Parigi del medio oriente". Oggi è Parigi che sembra essere diventata la Beirut d'Europa.
   In grandi agglomerati urbani come Sarcelles, Créteil, Sartrouville e Saint-Denis, dove la sinagoga e la moschea si abbracciano, la tensione è altissima. Nel Marais, storico quartiere ebraico della capitale francese, studenti ebrei sono attaccati se indossano i filatteri rituali. Il deputato Jacques Myard è stato aggredito proprio a Sarcelles al grido di "questa è terra araba, voi sionisti dovete andarvene". Intanto nella cittadina di Roubaix, la casa dell'autore della strage al museo ebraico di Bruxelles è diventata meta di pellegrinaggi islamisti. Non mancano slogan come "Merah max", che inneggiano al terrorista che fece stragi di bambini ebrei a Tolosa, due anni fa.
   L'antisemitismo è una vecchia "maladie française". Ma adesso, durante i giorni tragici del conflitto a Gaza, è stato compiuto un salto di qualità impressionante nell'Intifada a bassa intensità nelle strade francesi. Dieci anni fa, un milione di francesi scesero per strada contro l'ondata di antisemitismo al grido di "Synagogues brûlées, République en ranger". Oggi le stesse strade sono piene di odio per gli ebrei. E le sinagoghe sono prese di mira.
   Ad Amsterdam, la città di Spinoza, la casa del rabbino capo olandese, Benjamin Jacobs, è stata appena attaccata due volte in una settimana. Le aggressioni per strada, le spaventose misure di sicurezza attorno alle istituzioni ebraiche e le manifestazioni anti israeliane stanno impressionando un paese sul quale pesa il fardello della Seconda guerra mondiale, alla fine della quale, complice un'amministrazione ligia e asservita alla Germania nazista, sopravvisse solo la metà degli ebrei.
   A Milano, la comunità ebraica oggi prova a rispondere all'assedio con una manifestazione (ore 19, piazza San Carlo). Intanto, persino una sinagoga di Belfast è stata attaccata. Tutte le ultime indagini ci dicono che i peggiori antisemiti del mondo provengono dall'Europa occidentale. Nella lista nera dell'antisemitismo redatta dal Centro Simon Wiesenthal, sei su dieci sono in Europa. In testa alla classifica ci sono Francia e Regno Unito, i due paesi in cui nel 2013 e nei primi sei mesi del 2014 si è verificato il maggior numero di attacchi contro gli ebrei. Essere ebreo a Copenaghen nel 2013 è pericoloso quanto essere ebreo in un paese arabo. La scuola ebraica Carolineskolen di Copenaghen ha ricevuto una lettera in cui gli ebrei sono chiamati "ratti, serpenti, vampiri". E si sa, la mostrificazione è sentina dell'odio fisico. Nei dibattiti parlamentari in Europa si evocano le immagini degli ebrei vendicatori e si torna a imputare loro tutte le colpe, in cima quella di essere "una minaccia alla pace mondiale" (lo dice un sondaggio europeo).
   Mentre il capo del Consiglio dei diritti umani dell'Onu, dalla sua sede di Ginevra, accusa Israele di "crimini di guerra" a Gaza, i capi del mondo islamico si lasciano andare a proclami di odio osceni. Dal premier turco Recep Tayyip Erdogan, che indossando una kefiah paragona Netanyahu a Hitler, all'ex muftì malesiano, Mohd Asri Zainul Abidin, che scomoda l'imbianchino austriaco per spiegare che forse "ha fatto bene a sterminare gli ebrei".
   Una serie di premi Nobel (Desmond Tutu, Betty Williams, Federico Mayor Zaragoza, Jody Williams, Adolfo Pérez Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberta Menchò) invitano a boicottare Israele, paragonato al Sudafrica dell'apartheid, accostando il sionismo all'arianesimo afrikaner di triste memoria. Lo stato ebraico diventa così una "appendice", una entità estranea, coloniale, qualcosa da rimuovere. L'Europa sembra voler risolvere, una volta per tutte, il "péché originel d'Israel". Il peccato originale della creazione di Israele.
   L'isolamento di Israele è anche economico, soprattutto nel nord Europa. La più grande banca danese, la Danske Bank, ha posto l'israeliana Hapoalim nella sua black list. Poi è arrivata la decisione della banca svedese Nordea di mettere sotto scrutinio le israeliane Leumi e Tefahot per la loro presenza nei Territori. Il più grande fondo pensione olandese, Pggm, ha ritirato gli investimenti da cinque istituti finanziari di Gerusalemme. Anche Abp, il terzo fondo pensione più importante al mondo, si ritira dal mercato israeliano.
   Persino sul Washington Post, il premier Benjamin Netanyahu è ritratto mentre picchia un bambino palestinese. E così la degenerazione giornalistica dilaga, dall'Independent al Monde, giornali dove gli ebrei sono spesso rappresentati con l'immancabile nasone (l'ebreo "satana scarlatto dal naso adunco" di Joseph Goebbels). Opinionisti blasonati e direttori delle ong umanitarie paragonano Gaza a Guernica e la barriera di sicurezza al ghetto di Varsavia. E non è soltanto Gianni Vattimo a spararla grossa. Persino l'inviata della Cnn in Israele, Diana Magnay, è stata costretta a dimettersi dopo aver definito gli israeliani "scum": feccia.
   Una guerra accademica contro Israele è combattuta nelle migliori università europee e americane. La libertà di parola è concessa a tutti nelle università europee, compresi gli islamisti, ma non ai docenti israeliani, intimiditi, isolati, esecrati, spesso cacciati. Di recente, per citarne soltanto un esempio, una delle più gloriose e storiche associazioni accademiche statunitensi, l'American Studies Association, ha votato il boicottaggio di università e scuole superiori israeliane. La mossa porterà all'annullamento di ogni rapporto accademico e culturale con lo stato ebraico. Prevede che i professori cancellino ogni collaborazione con gli insegnanti e gli istituti israeliani.
   Asher Ben-Natan, primo ambasciatore di Israele in Germania, mentre teneva una conferenza all'Università di Monaco negli anni Sessanta fu interrotto violentemente da attivisti del boicottaggio. Su un poster appeso nell'auditorium si leggeva: "Solo quando le bombe esploderanno in cinquanta supermercati israeliani potrà esserci la pace". Sono trascorsi quarant'anni, il boicottaggio ha compiuto un feroce salto di qualità e missili, ogni giorno, cadono sul territorio d'Israele.
   Da allora, come ha scritto il giornalista olandese Paul Andersson Toussaint, "l'antisemitismo è tornato a essere salonfähig". Una parola tedesca che riecheggiò, per la prima volta, settant'anni fa. Significa accettabile nella buona società. Una pioggia acida è scesa sulle nostre teste. Intanto, sopra Tel Aviv, il cielo è stato chiuso. Non accadeva da trent'anni.

(Il Foglio, 24 luglio 2014)


Calcio - Rissa sfiorata per una bandiera palestinese

E' accaduto in Austria durante l'amichevole fra Lilla e israeliani del Maccabi Haifa

BISCHOFSHOFEN, 23 lug - L'amichevole disputata in Austria dai francesi del Lilla e dagli israeliani dal Maccabi Haifa è stata caratterizzata da un episodio che ha poco a che vedere con il calcio. A 5' dalla fine del match, un gruppo di persone ha invaso il campo, sventolando alcune bandiere palestinesi. Ne è nato un acceso faccia a faccia con i giocatori del Maccabi e si è sfiorata la rissa: l'arbitro ha fischiato la fine in anticipo.

(Rai Sport, 23 luglio 2014)


Nuova, vecchia guerra israelo-palestinese

di Paolo Visnoviz

Il 12 giugno scorso, in Cisgiordania, venivano rapiti tre ragazzi israeliani, ritrovati morti alla fine dello stesso mese. Quasi immediata la reazione di Tel Aviv, con raid aerei mirati su obiettivi militari della Jihad Islamica e del movimento islamico Hamas, raid che portarono, il 1 luglio, all'uccisione di un ragazzo palestinese di 18 anni. Già l'11 giugno però, da Gaza era iniziata una pioggia di razzi contro Israele.
Per quale motivo Hamas ha provocato una nuova guerra, ben sapendo di non poterla spuntare sul piano militare contro Israele? L'unica spiegazione razione possibile indica che per gli islamisti l'obiettivo di imporsi militarmente è secondario. Hamas non spera nemmeno lontanamente di sopraffare l'odiato nemico con le armi, ai palestinesi interessa l'esatto contrario: subire perdite, mostrare civili dilaniati al mondo, meglio se bambini, esibire macerie e devastazioni. Perdere militarmente per vincere politicamente, con ogni mezzo. Anche sparando razzi da ospedali, abitazioni civili, scuole; usando ambulanze, impedendo alla popolazione di mettersi al riparo.
Tutto ciò crea un riflesso condizionato nei media internazionali, compatta il mondo arabo, il fronte interno, e potrebbe provocare qualche risoluzione Onu contro Israele (anzi, mi sembrano in ritardo). Successivamente, quando gli israeliani si ritireranno da Gaza, partiranno gli aiuti internazionali che finiranno nelle tasche di Hamas e serviranno ad arricchire i leader del movimento e a finanziare la prossima intifada. È un ciclo economico di enorme portata, sulle spalle del loro stesso popolo.
Per vincere la guerra non bastano i carrarmati, serve l'opinione pubblica. Oggi vale più una straziante foto pallywoodiana di un bambino dilaniato su Facebook, che non un obiettivo centrato da un Kassam. Buona parte dell'Occidente - grasso, ignorante e distratto - parteggia con riflesso pavloviano per i deboli; figlio di una cultura decadente prende le difese in modo pressoché automatico per i perdenti.
Ma Hamas non sono dei perdenti, sono dei vili. Il loro leader, Khaled Mashal, vive in Qatar. E dal suo volontario esilio dorato decide di immolare scientemente il suo popolo, di sacrificarlo per rafforzarsi politicamente. Non si può giustificare chi rapisce, uccide, colpisce vittime civili, giunge a sacrificare i suoi stessi fratelli, manipola l'informazione per ergersi al ruolo di vittima sacrificale. Non sono vittime, sono codardi. Della peggior specie: terroristi.

(L'Opinione, 24 luglio 2014)


Quel soldato «rapito» e lo strazio di un Paese che piange i suoi figli

Il dolore vince sulla rabbia per l'uccisione di 27 ragazzi israeliani. Hamas rivendica il sequestro di un militare, ma potrebbe essere solo un bluff.

di Fiamma Nirenstein

 
Soldati israeliani della brigata di fanteria Golani sabato scorso prima della loro azione di guerra
GERUSALEMME - Un paese che nasce con 600mila abitanti nel 1948 e oggi ne ha poco più di sette milioni, considera ognuno dei suoi ragazzi un gioiello: averne perso circa23mila, esclusi gli attentati, racconta tutta la sua determinazione. In queste ore, le foto di 27 ragazzi che hanno lasciato per sempre le loro famiglie, le loro ragazze, i loro compagni, invadono i giomali e la mente. È di pochi minuti fa l'annuncio che un altro 21 enne, Eviatan Turgyman, è stato ucciso in battaglia. All'ospedale Soroka di Beersheba e anche in altri ospedali di Israele c'è un traffico da austostrada, le ambulanze portano senza tregua soldati feriti; si vedono, alte sulle barelle, le scarpe bianche di polvere di Gaza. Molti vengono curati, fasciati, steccati, mandati via. Altri vengono trasportati di corsa verso la sala operatoria. La folla dei parenti arriva trafelata, terrorizzata. Ilana, madre di Geva, lo trova in corsia, ferito ma con un piccolo sorriso dal letto dell'ospedale: «È nato di nuovo» dice pazza di gioia. Ha un altro figlio dentro Shajaya, un ufficiale che le ha spiegato che deve restare là con i suoi ragazzi, tanti baci a Geva. I feriti lievi si impuntano a tornare alla loro compagnia. Nei giorni scorsi un comandante dei Golani, Rassan Alian, ferito a un occhio, non ha lasciato in pace i medici finché, con la faccia piena di punti, non l'hanno rimandato dai suoi soldati a Gaza.
   Israele si morde le labbra e inghiotte le lacrime, le famiglie devono sostenere la peggiore di tutte le prove, i padri che seppelliscono i figli, i giovani ufficiali che lasciano spose disperate. Israele compie l'operazione di terra per evitare di bombardare dall'aria, e i giovani muoiono. Ieri il nemico ha mostrato una ghigna molto particolare: uno dei sette soldati di cui è stata annunciata la morte domenica, uccisi mentre impedivano l'ingresso di un gruppo di terroristi in un kibbutz, è stato rapito. I volti e i nomi di sei di loro sono apparsi sui giornali, cinque soldati di 20 anni e il loro ufficiale, Dolev Kedar, 38 anni. M aun altro ventenne, Oron Shaul, non era stato ritrovato. Già da domenica Hamas aveva annunciato di avere un soldato in mano, il portavoce Hussan Badran in Qatar ne ha detto il nome e il numero, 609206, senza specificare se il ragazzo è vivo, morto, ferito. Dopo due giorni di verifiche, si capisce che comunque è in mano a Hamas. Lo scopo del rapimento del ragazzo, o del suo corpo, è ricevere in cambio dei prigionieri. Potrebbe anche darsi - dicono fonti dell'esercito israeliano - che Hamas abbia in mano soltanto la piastrina col numero del soldato o dei residui di abiti e che su questo basi il suo ricatto. E quindi si studia la questione con la massima cautela.
   Il dolore è troppo grande per lasciare che la rabbia vinca, Israele piange ma seguita a combattere, ed è quasi incredibile che ai tempi nostri, mentre la società occidentale si spezza, la compattezza del compito costruisca la forza e il sorriso dei giovani. Le mamme dei ragazzi uccisi seguono a malapena i funerali, abbracciano la bara, dicono però parole di orgoglio.
   «Max decise divenire in Israele nel 2012 - ha detto la sua mamma americana arrivata da Los Angeles - e non c'è stato verso di toglierglielo dalla testa. Ora, il cimitero di Monte Herzl a Gerusalemme, quello degli eroi, è certo giusto per lui». Si sentono tante parole d'amore: «Il mio principe», «Tutta la mia vita». La moglie di Tzafrir Baror, 28 anni, Sivan, alla fine della gravidanza piange nelle braccia di Shimon Peres: «Avevamo promesso di proteggere il nostro bambino dalle guerre, di restare insieme per sempre e così sarà». Oz Mandelovich aveva parlato alla radio col padre per condividere la loro esperienza nella compagnia dei Golani. Il padre suggeriva un lavoro d'ufficio, e Oz rideva. La sua ragazza ha scritto su WhatsApp: «Per me tu sei il mio mondo». La mamma di Moshe Malko, 20 anni, ha coperto con grida le preghiere: «Moshiko, vita mia, siamo stati così fortunati ad averti». Gli amici raccontano del loro miglior campione, quel gran giocatore di pallanuoto, quell'ottimo musicista, quel volontario di ogni buona causa, quel soldato valoroso. La notte di lunedì al cimitero di Haifa è stato seppellito Sean Carmeli, 22 anni, un americano del Texas, uno dei 2000 «soldati soli» che decidono di venire a servire in Israele dall'estero. Sean era un morettino vivacissimo, tifoso del Maccabi Haifa. Su Face-book un suo amico, Rafael, ha postato l'orario del funerale: mezzanotte, per permettere alla famiglia di arrivare dagli Stati Uniti. Al cimitero di Haifa si sono presentate 20mila persone, con autobus, mezzi privati, di destra, di sinistra, ragazzi, vecchi. C'era la fascia verde del Maccabi Haifa e la bandiera bianca e celeste, gli sarebbepiaciuto.

(il Giornale, 23 luglio 2014)


Riflessioni di un israeliano in Italia

di Aron Fait

In una Verona che si addormenta non prendo sonno e ascolto forse il primo segnale di un cambiamento che potrebbe portare alla fine del conflitto "EU foreign ministers issue statement calling for disarmament of all terror groups in Gaza". Intanto i missili cadono sulle città di Israele alla cieca, come una roulette russa a decine. La gente vive tra l'aria e la stanza della guerra. I bambini, i miei figli, tremano ai rumori forti, ad un treno che passa, ad una c. di sirena che suona di nuovo e di nuovo e ancora un latrato che ti gela il sangue e ti blocca lo stomaco. Intanto a Gaza continua l'avanzata dell'esercito, soldati muoiono, civili muoiono, terroristi muoiono, e l'ignoranza impera nell'occidente. Cerco di non leggere giornali non guardare la tv, fa male pensare all'ignoranza ipocrita di chi si sveglia quando gli pare e spinto da un buonismo terzomondista e finto-pacifista urla Israele boia. Lo stesso che un mese fa con le migliaia di morti in Siria da tre anni ad oggi, se ne strafotteva, senza mostrare la minima misericordia per i civili siriani, trucidati a migliaia civili per lo più, nessuna manifestazione. Lo stesso che se ne stava in poltrona a piangere per le magagne d'Europa mentre nell'appena istituito califfato venivano decapitati infedeli. Che persona è questa? Che sinistra è questa? Che senso può avere un simile "impegno"? Quanta ignoranza ed ipocrisia e malafede può spiegare tutto questo improvviso impegno civile che scorre nelle citta' come caproni a scandire slogan senza contenuti. E si chiede ad Israele di smettere una guerra che non ha voluto, non vuole. Si chiede ad Israele di smettere... e poi? poi cosa? i missili continuano a cadere! Israele non può' accettare di essere violentemente preso in giro da un'organizzazione terroristica che, lontana dal rappresentare i Palestinesi, li usa, li violenta, li tiene in ostaggio, e manda i propri figli a morire per il loro potere. Un'organizzazione criminale che invece di costruire Gaza, compra missili sempre più potenti per terrorizzare il nemico irriconoscibile innominabile infedele. Stupidi. Non vedete se non quando vi vengono messe le immagini accuratamente selezionate per muovere la crosta di indifferenza accumulata, stupidi che non sapete se non quello che vi si propina alla televisione e non chiedete e non chiedete! Stupidi che sostenete chi vuole la distruzione delle due società perché solo così potrà arricchirsi, quelli che la pace la aborriscono perché significa la loro fine. Stupidi non conoscete nulla se non quello che titoleggia sulla prima pagina e vi arrogate il diritto di indignarvi di fronte ad una nazione che non accetta decine di missili sparati a caso sulle città, giornalmente da mesi e mesi e mesi. Una nazione che non perde il cervello nonostante la situazione, una nazione, UNA, fatta di ebrei e arabi israeliani. UNA nazione con le differenze di opinioni e le tensioni interne anche oggi, una nazione che riesce a non cadere nell'apatia, nel risentimento e nella violenza del razzismo etnico-religioso.

(Facebook, 23 luglio 2014 - segnalato da Deborah Fait)


«Eccezionale autocontrollo e abnegazione»

Stragrande maggioranza di vittime civili? Lecito dubitarne

"Durante la seconda guerra mondiale, l'esercito britannico risposte agli attacchi tedeschi con il bombardamento a tappeto delle città tedesche. Non ho alcuna intenzione di criticare il Regno Unito per averlo fatto, ma allo stesso tempo non intendo accettare, e nessuno dovrebbe accettare, che Israele venga calunniato mentre agisce con un autocontrollo che nessun esercito al mondo ha mai dimostrato". Lo ha detto martedì l'ambasciatore d'Israele negli Stati Uniti, Ron Dermer. "Soprattutto - ha continuato - non tollero accuse al mio paese in un momento in cui i soldati israeliani stanno letteralmente morendo per risparmiare vite di palestinesi innocenti. Israele avrebbe potuto evitare di mandare i suoi soldati in molti dei luoghi dove oggi stanno combattendo. Avremmo potuto dare alla gente il tempo di sgomberare quelle zone, cosa che in ogni caso abbiamo fatto, e poi bombardare a tappeto dall'aria tutti gli edifici utilizzati dai terroristi. Ma non l'abbiamo fatto. Come le altre volte, stiamo mandando i nostri soldati casa per casa, sin dentro quel nido di vipere del terrorismo palestinese, irto di mine e tunnel sotterranei....

(israele.net, 23 luglio 2014)


A Milano con gli ebrei, per Israele

di Giulio Meotti


Giovedi a Milano, alle ore 19 in piazza San Carlo, ci sarà una manifestazione organizzata dalla comunità ebraica. Un evento importante e da sostenere con la presenza, per lanciare un messaggio di solidarietà a Israele sotto attacco, soprattutto in un momento in cui anche in Europa gli ebrei sono travolti dall'intolleranza, esposti al pubblico ludibrio.
"Il messaggio della manifestazione è ribadire il diritto di Israele a esistere al fianco del popolo palestinese", ci spiega il presidente della comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi. "Hamas non rappresenta i palestinesi, anzi li sta uccidendo, e insieme vuole sterminare il popolo ebraico".
Tutti a Milano. Tutti per Israele.

(Il Foglio, 23 luglio 2014)


Sinagoghe, allerta dell'intelligence: «Pericolo attentati anche in Italia»

di Antonio Manzo

Sinagoghe e aeroporti, ma anche grandi vie di comunicazioni. La segnalazione che i servizi di sicurezza italiani, nelle ultime ore, hanno passato agli investigatori antiterrorismo riguarderebbe il rafforzamento delle misure di sicurezza tutt'intorno ad una Sinagoga di una grande città italiana e nei principali scali aerei italiani. «Potrebbe profilarsi una potenziale ripresa degli attentati, secondo lo schema Lockerbie (1988, bomba ad Heatrow)» dice un responsabile dell'intelligence italiana. Oltre vent'anni dopo, è questa l'analisi del contesto della minaccia, lo scenario del Mediterraneo in fiamme potrebbe far di nuovo convergere interessi dell'epoca ma con nuove matrici ispiratrici: dell'Iran, minacciata con Roma e tutta l'Europa dal califfo integralista al-Baghdadi, della Libia, senza governo e in mano a bande estremistiche e, non ultimo, della Siria in fiamme e, infine della Siria. Ma nello scenario della minaccia c'è l'attualità quotidiana della minaccia sulla finestra meridionale dell'Italia sul Mediterraneo.
  L'obiettivo sinagoghe è uno dei capitoli d'allarme: se ne contano a decine, sparse per l'Italia, dal Piemonte alla Sicilia. Proprio uno di questi luoghi italiani di culto ebraico sarebbe finito nel progetto di un'azione "dimostrativa" anti Israele nei giorni della guerra di Gaza. Dice un investigatore: «Sinagoghe, musei ebraici, si tratta di luoghi sempre super sorvegliati ma è bene alzare la soglia dei controlli, anzi in queste ore è urgente». Pur nella apparentemente scontata ipotesi di un possibile attacco terroristico a una sinagoga, gli uomini dell'Intelligence non sottovalutano il pur minimo indizio di un «riverbero pericoloso» sull'Italia della guerra israeliano-palestinese.
  Se fosse solo questa la minaccia, il raggio dei controlli sarebbe particolarmente limitato. Ma nelle ultime ore i rischi sono entrati «pesantemente», dice un vertice dell'intelligence italiana anche sui trasporti aerei, con il «monitoraggio attento» sulla sicurezza delle vie aeree. La preoccupazione del Viminale e dei servizi di sicurezza è che il teatro della minaccia è troppo vasto per poter definire coordinate preventive con un margine di attendibilità a brevissimo periodo. Di qui, l'urgenza della convocazione per questa mattina del Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica, su richiesta diretta del presidente Renzi. I dossier, predisposti dal sottosegretario ai servizi di sicurezza Marco Minniti, particolarmente esperto nelle analisi della sicurezza interna ed internazionale e dell'ambasciatore Giampiero Massolo, garantiranno ai ministri (Alfano, Mogherini, Orlando e Padoan) tutti gli elementi per fronteggiare gli eventuali pericoli che arrivano dal Mediterraneo in fiamme. Dossier che sono anche sulla scrivania del presidente Napolitano. Di qui la preoccupazione del capo dello Stato sull'Italia esposta «ai contraccolpi di tensioni e tragedie dell'area mediorientale».
  Quali cellule terroristiche collegate agli estremismi arabi operano in Italia? Non ci sono solo quelle di radice islamica di Al Qaeda, ora in minoranza, dopo la proclamazione dello Stato islamico con la nascita del Califfato che minaccia Roma e l'Europa. Ci sono cellule direttamente collegate alla Siria in fiamme. Ma non c'è solo la preoccupazione sulla instabilità del Nord Africa, nel novero delle minacce terroristiche. C'è un capitolo nuovo, entrato nei dossier di queste ore: è quello della minaccia che arriva dall'Africa sub sahariana, non nuovo ma, dicono gli 007, «inesplorata e soprattutto sottovalutata nel contesto della politica estera italiana». Di qui un monitoraggio sempre più attento e rigoroso dei flussi migratori. «Perché i terroristi potrebbero utilizzare la sponda italiana, attraversare il Paese e raggiungere tranquillamente qualsiasi capitale europea» dicono fonti dell'intelligence nella apparente ovvietà del transito ma sottintendendo il profilo inquietante di «soggetti sconosciuti ai quali bisogna credere, con il criterio della buona fede, nell'identità che dichiarano».
  L'ultimo capitolo del dossier sicurezza, quello relativo alla crisi ucraina, è stato chiuso ieri sera a Palazzo Chigi anche all'esito della riunione del consiglio dei ministri dell'Unione europea svoltosi ieri. «Il salto di qualità del terrorismo dell'Est impone una risposta che l'Italia dovrà garantire non con linguaggio di guerra fredda ma di nuovi rapporti tra l'Ue e la Russia di Putin», conferma una fonte istituzionale. La crisi ucraina ora viene letta non solo come una convenienza di rapporti per le forniture energetiche ma anche come fonte di destabilizzazione per tutta l'Europa.

(Il Gazzettino, 23 luglio 2014)


Notizie diffuse da Technion Italia

Cari Amici,
dal Technion riceviamo informazioni delle quali, spesso, non si hanno notizie e che è importante poter condividere con voi:

Come avrete saputo, l'esercito israeliano è impegnato nella ricerca e distruzione dei tunnel che sono di 3 tipi diversi:
  1. per contrabbandare materiale dall'Egitto, incluso quello bellico;
  2. per nascondere l'arsenale e come rifugio sicuro per i leader di Hamas;
  3. per entrare in Israele e compiere attacchi terroristici.
 
Snake robot
Tutti questi tunnel sono protetti da un sistema di trappole per colpire i militari israeliani quando entrano per esplorare e distruggere.
  Un professore della facoltà d'ingegneria meccanica del Technion ha inventato uno "snake robot" - serpente robot di varie dimensioni che viene immesso all'interno dei tunnel in avan scoperta per monitorare la situazione all'interno di questi siti e prendere i provvedimenti necessari. Questa tecnologia ha permesso di salvaguardare la vita dei nostri ragazzi e di ridurre al minimo le perdite umane derivanti da queste azioni terroristiche.
  Per vostra informazione, i tunnels realizzati a Gaza per conto di Hamas, costano 1 milione di US$ al kilometro e scorrono tra i 10 e i 20 metri sotto terra. Ogni tunnel ha circa 20 accessi diversi e si pensa che vi siano centinaia di tunnels attivi e sono difficile da identificare perché il terreno in superficie è molto accidentato. Per la loro costruzione sono stati utilizzati migliaia di tonnellate di cementi armato per impedire il crollo delle gallerie e chilometri .....cavi elettrici per fornire luce ed elettricità alle pompe per fornire ossigeno all'interno. Questo progetto mastodontico è costato centinaia di milioni di dollari che sono stati sotttratti alle esigenze umanitarie della popolazione.
I nostri ricercatori stanno lavorando ad un metodo per identificare più velocemente i tunnel dall'esterno, senza dover scavare ogni volta.
  Continueremo a diffondere e trasmettere tutte le informazioni che ci perverranno.
  Cordiali saluti.
  Piero Abbina
  Presidente Technion Italia

(Technion Italia, 23 luglio 2014 - segnalato da Emanuel Segre Amar)


Lunedi mattina un gruppo di terroristi di Gaza si è infiltrato in Israele attraverso un tunnel, a pochi metri da un kibbutz. Sono stati scoperti da un'unità di ricognizione israeliana e attaccati dall'Air Force che ne ha uccisi dieci. Video


La metropolitana di Gaza

Ieri sera per la prima volta RaiNews24 ha mandato in onda un servizio sulla Guerra a Gaza non fazioso, non il solito servizio di propaganda a favore di Hamas che ci propina od ogni ora Lucia Goracci. Ha mandato in onda una intervista a quello che senza dubbio è il miglior giornalista italiano in Medio Oriente, Maurizio Molinari.
Molinari, con la sua solita pacatezza, ha spiegato agli italiani quali sono gli obbiettivi israeliani, cioè la distruzione della vastissima rete di tunnel costruita da Hamas sotto Gaza, una rete lunga decine e decine di Km che molto spesso parte dall'interno delle case abitate, una rete di tunnel dotata di tutto, persino di aria condizionata. Molinari ha spiegato che c'è una rete di tunnel offensiva e una rete di tunnel difensiva. La prima parte da dentro Gaza e sbocca diversi Km all'interno del territorio israeliano. Serve ai terroristi per portare attacchi nelle retrovie israeliane ma, soprattutto, a rapire civili e soldati israeliani. La seconda, quella difensiva, serve a mantenere in sicurezza i terroristi ed è dotata di tutti i confort, compresa l'aria condizionata, riserve di cibo e tanto altro. Serve anche a nascondere i depositi di armi ed esplosivi, i missili e in alcuni casi le rampe di missili....

(Right Reporters, 23 luglio 2014)


La sceneggiata anti-Israele di Erdogan

Il leader islamico alza i toni in vista delle elezioni del 10 agosto

di Nicola Mirenzi

La retorica aveva superato il livello di guardia già nel fine settimana: «La barbarie di Israele - aveva detto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan - ha superato quella di Hitler». Ieri invece, davanti al parlamento, il capo del partito islamico per la giustizia e lo sviluppo ha aggiunto un tocco di folclore, presentandosi di fronte ai deputati indossando una kefiah, in segno di solidarietà al popolo palestinese e annunciando che Ankara osserverà tre giorni di lutto per le vittime di Gaza.
   Simboli, richiami d'appartenenza, slogan, che più che rivolgersi all'esterno, in uno sforzo per risolvere il conflitto tra Hamas e Israele (su cui Ankara potrebbe dire la sua) hanno l'obiettivo di mobilitare il sentimento anti-israeliano e pro-palestinese dell'elettorato turco, visto che domenica 10 agosto la Turchia andrà incontro a una delle elezioni più importanti della sua storia recente: quella per la scelta del presidente della repubblica, che per la prima volta verrà indicato direttamente dagli elettori (inutile dire che tra i suoi più decisi aspiranti c'è proprio il primo ministro Erdogan).
   Si spiega così la corsa di Erdogan ad alzare l'asticella delle accuse, strumentalizzando per un fine domestico il più antico conflitto della regione. Parlando di «una nuova alleanza di crociati» che sostiene Israele e criminalizzando i partiti d'opposizione che rimproverano a Erdogan un tono troppo partigiano in una vicenda che avrebbe bisogno di tutto fuorché di ulteriori tifosi schierati sulle tribune a sventolare bandiere.
   «Vorrebbero che noi facessimo i guardiani di Israele - ha insinuato Erdogan riferendosi ai suoi avversari politici - ma non faremo la guardia a stati crudeli», ha concluso. Proseguendo su una linea di dichiarazioni anti-israeliane che si è spinta sino ad alludere che il progetto di genocidio non è un piano dell'ultima ora, ma un progetto portato avanti sin dalla fondazione dello stato d'Israele. Mentre il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, sino a pochi anni fa lo stratega di una pacificazione dell'area mediorientale di cui Ankara doveva farsi promotrice, ha tenuto a rendere noto che «lavora giorno e notte per rimuovere i colonialisti» dalla regione.
   Parole. Parole. Parole. Che hanno avuto come risultato concreto quello di aumentare la diffidenza del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che si è detto preoccupato dalla retorica «anti-semita» di Erdogan. Proprio lui, Netanyahu, che alla fine del 2013 si era fatto convincere dal presidente americano Barack Obama a chiedere scusa alla Turchia per l'incidente della Mavi Marmara, che aveva fatto collassare le cruciali relazioni diplomatiche turco-israeliane nel 2010. E che ora erano sulla strada della completa restaurazione, tanto che Erdogan ad aprile aveva detto che «è solo questione di giorni, settimane» prima che le cose tornino alla normalità. Niente di tutto ciò è avvenuto. Il premier turco ha preferito giocare la carta della propaganda interna. Piuttosto che quella della mediazione internazionale.

(Europa, 23 luglio 2014)


Peres, triste addio fra le bombe per il guerriero della pace

L'ultimo dei padri fondatori domani passa le consegne al nuovo presidente Rivlin

di Maurizio Molinari

 
GERUSALEMME - Sarà una cerimonia sottotono a segnare domani nel «Beit Ha-Nasì» il passaggio della presidenza di Israele da Shimon Peres a Reuven Rivlin. Lo Stato Ebraico combatte un conflitto aspro a Gaza contro Hamas, i suoi soldati caduti o feriti segnano l'intera popolazione e ciò spiega la comune decisione di Peres e Rivlin di scegliere per la circostanza un profilo basso, essenziale, richiamandosi allo stile dei padri fondatori, David Ben Gurion e Menachem Begin.
  Gli ultimi gesti di Peres come i primi di Rivlin, saranno visitare i soldati feriti all'ospedale Soroka di Beersheva. Ma questa atmosfera non deve trarre in inganno sull'entità dell'evento che si sta per consumare. La conclusione del settennato di Peres indica la fine della parabola pubblica dell'ultimo fondatore dello Stato come l'inizio del mandato di Rivlin catapulta sotto i riflettori un personaggio per molti aspetti agli antipodi.
  Shimon Peres, nato nel 1923 come Szymon Perski in una cittadina della Polonia oggi in Bielorussia, è protagonista della parabola di Israele da quando nel 1947 David Ben Gurion lo sceglie come responsabile degli acquisti di armi dell'Haganà - da cui nascono l'anno seguente le forze armate israeliane - nominandolo nel 1953 direttore generale del ministero della Difesa. Peres ha 30 anni e in 36 mesi mette a segno il risultato che segna la vita dello Stato: la costruzione del reattore nucleare di Dimona, genesi dell'arsenale atomico. Nelle sue memorie Peres scrive «il mio contributo in quel drammatico periodo fu qualcosa di cui non posso ancora scrivere per ragioni di sicurezza, fu dopo la nomina di Moshe Dayan a ministro della Difesa che gli sottomisi una certa proposta, mirata a diventare un deterrente contro i Paesi arabi, affinché non ci attaccassero più». L'interlocutore è la Francia di De Gaulle, da cui il reattore viene acquistato trasformando Peres nel padre del programma atomico e della relativa politica che è lui stesso, nell'aprile 1963, a illustrate al presidente John F. Kennedy in un incontro nello Studio Ovale: «Israele non sarà la prima nazione, ma neanche la seconda, a introdurre armi nucleari in Medio Oriente». Due anni dopo il premier Levi Eshol trasforma queste parole nella politica nucleare dello Stato Ebraico basata su una voluta ambiguità, tesa a sconsigliare ai nemici confinanti di perseguire una nuova Shoà.
  Nello stesso periodo, Peres crea dal nulla l'«Israel Aerospace Industries» assieme all'imprenditore americano Al Schwimmer dando inizio a un approccio all'industria bellica basato sulla produzione di armi aeree nazionali, al fine di rispondere alle particolari esigenze di sicurezza. Il primo velivolo è lo Tzukit, protagonista della Guerra dei Sei Giorni, così come le versioni di F-15 e F-16 modificate «IAI» continuano a garantire la superiorità nei cieli, inclusa la possibilità di attaccare il nucleare iraniano.
  Il terzo risultato con cui Peres segna l'identità di Israele sono gli accordi di Oslo del 1993 con Yasser Arafat. Nelle vesti di ministro degli Esteri è lui che gestisce il negoziato segreto con l'Olp, spinge il premier Yitzhak Rabin a superare i dubbi e accompagna gli israeliani ad accettare la formula dei «due Stati per due popoli». Leader del partito laburista, allievo di Ben Gurion da cui ha appreso «mentire mai, osare sempre», più volte premier e ministro degli Esteri, Peres è tanto l'architetto del programma nucleare che della pace con i palestinesi. È lui stesso che, nel 1995, traccia un nesso fra i due risultati, rivolgendosi così ai leader arabi: «Il Medio Oriente è tutto in una frase, dateci la pace e rinunceremo a Dimona». La svolta di Oslo va ben oltre l'accordo con Arafat perché porta, nell'arco di 20 anni, la destra israeliana del Likud ad accettare - prima con Benjamin Netanyahu e poi con Ariel Sharon - la formula dei due Stati che aveva sempre respinto.
  La presidenza è solo l'ultimo tratto del percorso pubblico di Peres e si distingue non solo per l'impegno sullo sviluppo dell'hi-tech ma anche per la sovrapposizione con il governo Netanyahu. In apparenza in due leader sono avversari ma la realtà è più complessa: quando il 4 luglio del 1976 le forze speciali liberano 102 ostaggi nelle mani di un gruppo di terroristi a Entebbe, in Uganda, a ordinare il blitz è il ministro della Difesa Peres e dunque tocca a lui telefonare a Benzion Netanyahu per comunicargli la morte del figlio Yonatan, comandante del salvataggio. Una telefonata da cui nasce il legame stretto con i Netanyahu che continua con Benjamin, detto «Bibi», fratello di Yonatan. Ecco perché nel 1996, quando Peres viene beffato da «Bibi» nella corsa a premier, ne diventa consigliere informale. Ed ecco perché, nei sette anni di presidenza, Peres ogni venerdì ha ricevuto «Bibi», parlando da soli, anche per due ore, sulla sicurezza di Israele.
  Le esternazioni di Peres hanno tuttavia creato spesso imbarazzo al premier, soprattutto per i disaccordi sui negoziati con i palestinesi, come avvenuto in occasione della recente mediazione Usa. Tali sovrapposizioni difficilmente si ripeteranno con Reuven Rivlin, un leader coriaceo del Likud contrario ai «due Stati per due popoli». Ma chi conosce Rivlin assicura che sarà comunque un «osso duro» per «Bibi»: non sulla politica estera, dove eviterà di mettere in difficoltà il premier discostandosi da Peres, ma su quella interna per via della volontà di rafforzare la democrazia israeliana aumentando i diritti delle minoranze come arabi, drusi, beduini, cristiani. Senza contare che Rivlin è fra i politici più invisi a Sara, l'imprevedibile First Lady che gli rimprovera di non averle dato lustro quando lui presiedeva la Knesset.

(La Stampa, 23 luglio 2014)


Israele - Ventiduemila al funerale del soldato "solo"

di Maurizio Molinari

Oltre 22 mila persone si sono presentate al funerale di un soldato di 21 anni che gran parte di loro neanche conosceva. E' avvenuto a Haifa, nel Nord di Israele, in occasione delle esequie del sergente Nissim Sean Carmeli, 21 anni, uno dei 13 militari israeliani caduti in battaglia a Gaza nella giornata di domenica. Carmeli, nato a South Padre in Texas, era un "chaial boded" ovvero un soldato i cui parenti non vivono in Israele. Il padre israeliano anni fa si recò a lavorare in Texas ed è rimasto lì, da dove Nissim tornò nello Stato Ebraico a 16 anni, andando a studiare a Raanana. Gli unici due parenti di Nissim in Israele sono le sorelle che hanno avuto il timore di non raggiungere al funerale il numero di dieci presenze maschili, necessario per recitare il "kaddish", la preghiera per i defunti. E' così partita una catena di messaggi sui socialnetwork e What's up per trovare i "dieci uomini" entro le 23,30 di lunedì al Neve David Military Cemetery di Haifa. Quando le sorelle sono arrivate, assieme al padre, hanno avuto difficoltà a credere ai loro occhi: oltre 22 mila persone, in gran parte estranee, si sono presentate arrivando da ogni angolo di Israele inclusi 50 motocicisti della "Israeli Motorcycle Association". Uno di loro, Mike, a bordo di un'Harley-Davidson con una grande bandiera d'Israele ha detto "questo era il minimo che potevo fare".

(La Stampa, 22 luglio 2014)


Droni e "risorse umane", così Israele fa la guerra ai tunnel del terrore

Sospesi i voli internazionali verso Tel Aviv. Nessuna tregua concordata. Il segreto sul "mostro sotto Gaza".

di Giulio Meotti

Li chiamano "Aravim tovim". In ebraico: gli arabi buoni. Sono i collaboratori palestinesi di Israele. Sono l'arma più potente dello stato ebraico nella guerra di Gaza. Saranno loro a decidere il risultato del conflitto. Non soltanto l'high-tech, i droni o le più sofisticate armi di Gerusalemme. Ma gli informatori che Israele sta usando per distruggere l'immensa rete di tunnel costruita da Hamas per colpire gli israeliani, anche nel loro territorio. Dall'inizio della guerra, lo scorso 8 luglio, Hamas ha giustiziato quattro di questi "informatori".
   Mentre è salito a ventisette il numero di soldati israeliani uccisi dai terroristi e a 583 quello dei palestinesi, c'è una espressione che ieri è tornata a ossessionare Gerusalemme: "Missing in action". Un soldato, Oron Shaul, è dato per disperso. Hamas ne rivendica il rapimento (un nuovo caso Gilad Shalit) e in Israele si teme almeno la trafugazione del suo corpo, che i terroristi useranno certamente come baratto. La capacità missilistica di Hamas non sembra ancora intimidita: ieri altri missili sono stati lanciati sull'area di Tel Aviv, mentre molte compagnie aeree internazionali, a partire da quelle americani e francesi, hanno bloccato i voli verso Israele. Il cerchio ristretto della sicurezza del governo Netanyahu, intanto, discute su come e quanto andare avanti. Gilad Erdan, ministro delle Comunicazioni, ha lasciato intendere che Israele potrebbe mantenere una presenza militare nel nord della Striscia di Gaza. E ieri il ministro della Giustizia Tzipi Livni ha chiarito che "non ci sono opzioni per adesso per un cessate il fuoco". Israele è anche impegnata in una campagna per spiegare i tentativi di contenere il numero di vittime civili palestinesi. Un "bisturi mediatico". Ieri Ron Dermer, ambasciatore israeliano a Washington, ha detto che Gerusalemme "merita il premio Nobel per la Pace: soldati israeliani muoiono cosicché innocenti palestinesi possano vivere". L'esercito israeliano diffonde ogni giorno le fotografie delle rampe di lancio dei missili di Hamas dislocate in mezzo alla popolazione di Gaza.
   La Intelligence Newsletter scrive che a Gaza lo Shin Bet, il servizio segreto interno d'Israele, gestisce una "rete di centinaia di informatori". Tutti i grandi capi di Hamas - Ahmed Yassin, Saleh Shehada, Abd al Aziz al Rantisi e nel 2012 Ahmed Jaabari - sono stati eliminati grazie a questi "traditori". Israele la chiama "humint", gestione di risorse umane. Come fa Israele a individuare i tunnel di Hamas? Grazie agli informatori. Il caso più noto è quello di Masab Yusef, il figlio di Sheikh Hassan Yousef, uno dei fondatori del gruppo terroristico palestinese Hamas, che durante la Seconda Intifada prese a lavorare per i servizi israeliani, sventando molti attentati. Oggi vive in una località sicura in California, con una nuova identità. E' il "principe verde".

- Entrano nella mente del terrorista"
  Ogni tunnel di Gaza è coordinato da tutte le fazioni di Hamas. Sono divisi in quattro distretti: nord, Gaza City, il centro e il sud. C'è soltanto un terrorista a conoscere la dislocazione del tunnel. Per mantenere il segreto, il suo nome e la mappa del sottosuolo sono noti soltanto ai capi di Hamas. Scardinare questa rete, "un mostro del sottosuolo" come lo ha definito Yedioth Ahronoth, non è facile per Israele. Ha bisogno di occhi nelle strade di Gaza. Soprattutto dopo la direttiva di Hamas ai membri più anziani: "Niente cellulari", per evitare la localizzazione da parte degli israeliani.
   Alcuni informatori odiano l'islamismo che ha brutalizzato i palestinesi, specie paragonato al tenore di vita dei palestinesi della Cisgiordania. Altri sono semplicemente prezzolati, oppure sono accusati di crimini "immorali" nell'islam, quali l'omosessualità o il consumo di droghe. Durante la Prima Intifada (1988-1993), da 750 a 950 palestinesi sono stati uccisi da altri palestinesi perché sospettati di "collaborazionismo", secondo un rapporto del gruppo per la difesa dei diritti umani B'Tselem. E' stata definita "Intrafada", l'Intifada interna al mondo palestinese. Hamas di recente ha offerto la clemenza ai collaboratori di Israele in cambio di informazioni vitali sulla sicurezza dei suoi nemici. E promette: "Il destino della Palestina sarà deciso dalla resistenza, non dagli informatori".
   Il generale dei paracadutisti, Herzl Halevi, ha spiegato così l'importanza di queste risorse umane: "I collaboratori ci hanno fatto scoprire le case minate e gli alberi dove avevano piantato bombe". L'attuale ministro e già capo dello Shin Bet, Yaakov Peri, lo spiega invece così: "Non c'è sostituto alle risorse umane, una risorsa umana entra dentro le case, spesso entra nella mente del terrorista".

(Il Foglio, 23 luglio 2014)


Ban ki-Moon chiede dialogo, Netanyahu ribadisce il diritto di Israele a difendersi

Una "lunga tregua umanitaria" che per ora non incontra il favore delle parti in causa: è un tentativo molto difficile quello di Ban ki-Moon, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, che ha effettuato una tappa israeliana dopo aver incontrato in Egitto il Segretario di Stato americano John Kerry, e prima di recarsi a Ramallah:
"Troppe madri palestinesi e israeliane stanno seppellendo i loro figli. Il mio messaggio agli Israeliani e ai Palestinesi è lo stesso: smettete di combattere e cominciate a parlare, andate alle cause di fondo del conflitto, in modo da non doverci ritrovare nella stessa situazione tra sei mesi o un anno".
Poco prima il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, aveva accusato Hamas di aver respinto ogni offerta di tregua, e di aver voluto questi morti:
"Credo che lei capisca - ha detto rivolgendosi a Ban ki-Moon - che è diritto di ogni Stato difendersi, e Israele continuerà a fare il necessario per difendere la propria popolazione. Signor Segretario: non è solo nostro diritto, è nostro dovere".

(Fonte: euronews, 22 luglio 2014)


Israele ha tutte le ragioni di difendersi

Caro Direttore

Coloro che manifestano, in tutta Europa, contro Israele, chiedendo talvolta la morte di tutti gli ebrei ed elogiando Hitler, confondendo volutamente ebrei con israeliani, accomunando antisionismo con antisemitismo, bruciando negozi di ebrei, lordando sinagoghe, incendiando luoghi di ritrovo di ebrei dimenticano (volutamente ) due fatti sostanziali e determinanti:
  1. Hamas ha iniziato la guerra (perchè tale è quella tra Israele e Hamas) lanciando razzi su Israele provenienti da rampe situate in zone e in palazzi abitati da civili, usati come scudi. Più morti civili maggiore l'indignazione a senso unico degli antisemiti europei.
  2. Hamas non vuole alcuna forma di pace con Israele, avendo nel suo Statuto un articolo che indica come scopo principale della organizzazione terroristica la distruzione dello Stato di Israele..
Israele ha tutte le ragioni di difendersi. Gli ebrei non vogliono più essere compianti dopo un'altra Shoah ! Meglio essere vituperati dagli ipocriti che compianti !
La guerra è iniziata in seguito all'assassinio di tre giovani ebrei per mano di uomini di Hamas, che Hamas ben conosce ma si guarda bene dall'arrestare e condannare !
A questo fatto osceno ne è seguito un altro, altrettanto vile e osceno: l'assassinio di un giovane arabo per mano di alcuni ebrei ultraortodossi, dei criminali a tutti gli effetti. Israele si è affrettata ad arrestare questi delinquenti ed è sperabile che vengano condannato all'ergastolo, imprigionati e della loro cella si buttino via le chiavi.
Israele, a sua volta, si ritiri dalle colonie costruite in Cisgiordania e finisca una volta per tutte di creare insediamenti di coloni ultraconservatori in un territorio non suo, ma chiaramente palestinese.
NON E' VERO!    

Due popoli, due stati ! Parole sante, ma ciò sarà possibile solo quando Hamas cancellerà quell'articolo dal suo statuto e accetterà l'esistenza dello stato di Israele entro confini riconosciuti e rispettati.
Non si chiedono gli amici di Hamas come mai nessun stato arabo è intervenuto a difendere Hamas e gli abitanti delle striscia di Gaza ?
Cordiali Saluti
Dr Carlo Mario Passarotti - Gallarate

(VareseNews, 23 luglio 2014)


Oltre 1700 missili lanciati da Gaza prima dell'offensiva di terra

L'operazione in corso a Gaza "non è stata una scelta d'Israele" ma è una risposta ai lanci di missili da Gaza, ben 1700 prima dell'avvio dell'operazione di terra. E' quanto si legge in un documento diffuso dall'ufficio stampa dell'ambasciata d'Israele, nel quale si sottolinea che i lanci di missili da Gaza sono iniziati il 12 giugno con una escalation il 30 e un nuovo picco il 7 luglio, con 80 missili in un solo giorno. Nei 26 giorni fino al 7 luglio, alla vigilia dell'inizio dell'operazione Confine protettivo, sono stati lanciati circa 300 missili contro Israele.
Fra l'otto e il 17 luglio, quando è iniziata l'operazione di terra nella Striscia, sono stati lanciati 1.497 missili per un totale di 1.700 dal 12 luglio. Di questi, si legge ancora, 301 sono stati intercettati dal sistema di difesa Iron Dome, ma 1.093 hanno colpito il territorio israeliano. Sono missili che hanno preso di mira villaggi e città come Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa, Beersheva, Ashdod e Ashkelon.

(Adnkronos, 22 luglio 2014)


Israele si difende. I torti non sono sullo stesso piano

di Bernard-Henri Levy

 
Così dunque domenica scorsa, a Parigi, col pretesto di «difendere la Palestina», migliaia di uomini e donne se la sono presa di nuovo con gli ebrei. A questi imbecilli oltre che mascalzoni, o viceversa, ricordiamo, ad ogni buon conto, che mescolare ebrei e israeliani in una stessa riprovazione è il principio stesso di un antisemitismo che, in Francia, viene punito dalla legge.
  Ricordiamo che nessuna indignazione, nessuna solidarietà nei confronti di una qualsiasi causa può, non dico autorizzare, ma scusare il gesto virtualmente pogromista che è il saccheggio, a Sarcelles, di una «farmacia ebraica» o di una «drogheria ebraica». A tali mascalzoni oltre che imbecilli, o viceversa, che la settimana precedente se la prendevano con due sinagoghe e, otto giorni dopo, recitano un remake penoso, e grazie al cielo ancora in modo minore, della notte dei cristalli, ripetiamo che questo tipo di azioni non trova spazio né in Francia né in alcun altro Paese dell'Europa contemporanea. Segnaliamo loro, en passant, che riunirsi dietro a razzi Qassam in cartapesta riproducenti le granate lanciate, alla cieca, su donne, bambini, vecchi, insomma sui civili di Israele, non è un atto anodino, ma un gesto di appoggio a un'impresa terroristica. A coloro che, fra questi, avevano realmente a cuore la causa di Gaza e sfilavano con striscioni su cui si evocavano le decine di innocenti uccisi dall'inizio della controffensiva israeliana, non saremo così crudeli da chiedere perché non sono mai lì, mai, sullo stesso selciato parigino, per piangere, non le decine, ma le decine di migliaia di altri innocenti uccisi, da circa quattro anni, nell'altro Paese arabo che è la Siria.
  Facciamo notare che i responsabili di queste vittime, delle decine di donne, bambini, vecchi - che, se l'avanzata criminale di Hamas non viene bloccata, saranno, domani, centinaia - sono due, non uno: il pilota che, prendendo di mira una rampa di missili iraniani nascosta nel cortile di un edificio, colpisce per errore l'edificio vicino; ma anche, se non innanzitutto, i mostri di cinismo che, al messaggio del pilota che annuncia di essere sul punto di sparare e invita i vicini a lasciare il quartiere per mettersi al riparo, rispondono invariabilmente: «Che nessuno si muova; che ognuno resti al proprio posto; che 10, 10.000 martiri sono pronti a offrire il proprio sangue alla santa causa, iscritta nella nostra Carta, della distruzione dello Stato degli ebrei».
  Quanto agli altri, a coloro che ritengono tali comportamenti causati da eccitazioni febbrili condivise, quanto ai mass media che continuano a evocare la «aggressione» israeliana, o la «prigione» che Gaza è diventata, o la «spirale» delle «violenze» e delle «vendette» che alimenterebbero questa guerra senza fine, obiettiamo che: non c'è aggressione, ma contrattacco di Israele di fronte alla pioggia di missili che, ancora una volta, si abbattono sulle sue città e che nessuno Stato al mondo avrebbe tollerato così a lungo; che Gaza è, in effetti, una sorta di prigione ma, avendola gli israeliani evacuata ormai da quasi dieci anni, non si capisce come potrebbero esserne i carcerieri. Cosa pensare, invece, di Hamas che mantiene l'enclave sotto il giogo, che tratta i propri abitanti come ostaggi e che, mentre gli basterebbe una parola o, comunque, una mano tesa perché cessi l'incubo, preferisce andare fino in fondo alla sua follia criminale?
  Fra le violenze e le vendette che ci vengono presentate come «simmetriche», fra l'omicidio dei tre adolescenti ebrei rapiti e trovati morti vicino a Hebron e l'omicidio del giovane palestinese bruciato vivo, due giorni più tardi, da una gang di barbari che disonorano gli ideali di Israele, esiste una differenza che non cambia nulla, ahimè, al lutto delle quattro famiglie ma che, per chi ha la possibilità e, quindi, il dovere di mantenere la mente fredda, cambia tutto: le autorità politiche, giudiziarie e morali di Israele sono inorridite per il secondo omicidio, l'hanno condannato senza riserve e hanno fatto in modo che i suoi presunti colpevoli fossero braccati e arrestati; per il primo, i cui autori non sono ancora stati trovati, bisognava avere un udito assai fine per sentire non fosse che una parola nei ranghi palestinesi: sì, una frase si è udita, quella di Khaled Meshaal, capo di Hamas in esilio, «che si congratulava» per le «mani» che hanno «rapito» i tre adolescenti brutalmente riqualificati, per l'occasione, «coloni ebrei»...
  Dubito che queste osservazioni possano avere qualche effetto sui jihadisti della domenica, sempre gli stessi che, un giorno, deplorano che gli si impedisca di ridere con l'umorista Dieudonné; un altro che gli si vieti di esprimere rispetto per Mohamed Merah; e un altro che la diplomazia francese non si schieri come un sol uomo dietro agli «indignati» pro Hamas. Quanto al resto della Francia, agli uomini e alle donne di buona volontà, a coloro che non hanno rinunciato al sogno di vedere, un giorno, questa terra finalmente condivisa, vorremmo tanto che rompessero il cerchio della disinformazione e della pigrizia di pensiero! No, fra Israele e Hamas, i torti non sono distribuiti in parti uguali. Sì, Hamas è un'organizzazione islamo-fascista da cui è urgente liberare anche gli abitanti di Gaza. E quanto al capo dell'Autorità palestinese, Mahmud Abbas, egli si rivolge alle Nazioni Unite affinché facciano «pressione» su Israele: ma non sarebbe più logico, più degno e soprattutto più efficace che si rivolgesse ai folli di Dio, che da qualche settimana sono ridiventati i suoi partner di governo, per esigere e ottenere da loro che depongano, senza indugio, le armi? Gli abitanti di Gaza meritano di essere qualcosa di meglio che scudi umani. I popoli della regione, tutti i suoi popoli, sono stanchi della guerra e del suo strascico di orrori: diamo una chance alla pace.

( Corriere della Sera, 22 luglio 2014 - Trad. Daniela Maggioni)


"Ebrei investiti dall'odio"

Il presidente delle comunità israelitiche in Svizzera lancia l'allarme: "Si incita alla violenza"

Gli ebrei svizzeri sono preoccupati per il clima che si respira nei giorni dell'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. "L'odio ha raggiunto una nuova dimensione", ha scritto martedì sul Tages Anzeiger Herbert Winter, presidente della Federazione svizzera delle comunità israelitiche (FSCI).
"A differenza del passato, non siamo stati solo insultati", si legge nel contributo. Prima della manifestazione in favore del popolo palestinese svoltasi a Zurigo venerdì, ci sarebbe stato "chi ha incitato alla violenza contro gli ebrei. Decine di volte. Apertamente. Antisemiti hanno annunciato che avrebbero "rifatto i connotati ai sionisti' o "lapidato gli ebrei", ha precisato Winter sul quotidiano.
La FSCI ha informato le forze dell'ordine e ha invitato alla prudenza. "Dopo di che è partita veramente una tempesta. Ebrei preoccupati si sono chiesti se nel fine settimana dovessero rimanere in casa", ha aggiunto Winter nell'articolo.

(RSI News, 22 luglio 2014)


Odio antico

Quello che sta avvenendo oggi contro gli ebrei, nello Stato d'Israele e nel resto del mondo, ha gli stessi caratteri spirituali che hanno portato alla Shoah. Spiegazioni razionali soddisfacenti e, soprattutto, utili a contrastare in modo efficace e radicale il fenomeno, non ci sono. La sua vera natura ha un nome semplice: odio. Odio di chi colpisce con violenza gli ebrei, odio di chi non colpisce ma ammira chi lo fa, odio di chi fa lezioni di morale mostrando come esempio negativo gli ebrei, odio di chi aspetta con interesse che gli ebrei facciano "la fine che si meritano" per dire poi che lui però non era d'accordo. E l'odio (non l'amore) è cieco. E non ha nessuna intenzione di recuperare la vista: anzi, le argomentazioni critiche razionali contro di lui non servono: anzi lo disturbano, lo infastidiscono, aumentano il suo livore. Odio antico. Tanto antico che si trova già scritto nella Bibbia, un libro di migliaia di anni fa ma tuttora circolante. Ma chi ci crede alla Bibbia? Siamo pratici, cerchiamo di risolvere da soli i nostri problemi, dicono le persone in gamba. Ma forse anche loro, qualche volta, in certi momenti si chiedono incerti: ma ce la faremo? Non sarà che questo problema è irresolubile per noi, fuori della nostra portata? No, non è possibile, rispondono altri: quello che dobbiamo fare è impostare bene il problema, perché se è ben impostato, il problema deve avere una soluzione. Però, pensa qualcun altro, anche il problema della quadratura del cerchio era ben impostato, eppure per secoli e secoli ha resistito a innumerevoli tentativi di soluzione. E alla fine che cosa si è dimostrato? Si è dimostrato che era irresolubile. E come si è dimostrato? Non per tentativi, certamente, perché se un problema è risolubile, prima o poi si può trovarne la soluzione, ma se è irresolubile, quale tentativo sarà in grado di dimostrarne l'irresolubilità? I tentativi sono potenzialmente infiniti, e non si può aspettare l'esaurimento di tutti gli infiniti tentativi per arrivare a concludere che il problema è irresolubile. Infatti l'irresolubilità della quadratura del cerchio non è stata accertata per tentativi, ma attraverso una dimostrazione logica. Chi sa capirla, o comunque si fida di chi l'ha fatta, si ritiene convinto e smette di fare altri tentativi di soluzione. Chi invece non la sa capire, o non crede in chi l'ha fatta, si condanna da solo a provare e riprovare innumerevoli volte senza mai riuscire a ottenere niente. Ecco, qualcuno pensa che il problema mediorientale di cui il mondo continua ad occuparsi anche in questi giorni è irresolubile con i normali mezzi della politica internazionale, perché è di pertinenza diretta dell'Autore della Bibbia. La dimostrazione dell'irresolubilità si trova lì, insieme ad altre indicazioni su come affrontare quello ed altri problemi. Bisogna crederci per forza? No, è' soltanto la presentazione di una possibilità, non un'imposizione a crederci. Ma appunto per questo, anche le persone in gamba, o proprio perché tali sono, potrebbero sentire la spinta a verificare se effettivamente questa dimostrazione scritta esiste, e se è davvero convincente. M.C.

(Notizie su Israele, 22 luglio 2014)


Tel Aviv: manifestazione per sostenere i soldati israeliani

Manifestazione a Tel Aviv in appoggio all'offensiva di terra israeliana dell'operazione ''Margine Protettivo a Gaza, mentre a Jaffa, pochi chilometri a sud, si è svolto un altro raduno pro-palestinese. Per le strade della capitale amministrativa di Israele, decine di persone hanno inneggiato alle Forze di Difesa Israeliane.
''Stiamo qui per esprimere il nostro sostegno e la nostra solidarietà a tutti i soldati che stanno difendendo il nostro Paese. Stanno facendo il loro dovere e noi siamo qui per dire che li amiamo e per augurargli il meglio," ha detto un residente di Tel Aviv.
Netanyahu ha fatto visita alla 162esima divisione corazzata nel sud d'Israele. ''L'esercito sta avanzando secondo i piani. Siamo pronti a fare tutto quello che sarà necessario nella Striscia di Gaza per proteggere lo Stato di Israele'', ha detto il primo ministro israeliano. ''Siamo orgogliosi del coraggio dei nostri soldati e preghiamo per la loro salvezza," ha detto, inoltre, Netanyahu.
I soldati israeliani ieri mattina hanno ucciso almeno 10 combattenti di Hamas. Le immagini diffuse dall'esercito mostrano i miliziani
cioè terroristi
entrare in Israele passando attraverso un tunnel. Nascosti tra i cespugli, i soldati li hanno colpiti mentre cercavano di rientrare nella Striscia di Gaza.

(euronews, 22 luglio 2014)


Israeliani di tutto il mondo, unitevi!

Un paese costretto a uccidere per non essere ucciso. Le ragioni dell'inimicizia e del terrorismo sono le stesse a Gaza e a Mosul. Anche i cristiani dovrebbero unirsi, invece di fare sofismi di tipo umanitario.

di Giuliano Ferrara

Israeliani di tutto il mondo, unitevi! Avete un mondo da guadagnare e nient'altro che le vostre catene da perdere. Chiunque conosca e a qualunque titolo la storia degli ebrei, quella del sionismo e quella di Israele non deve avere dubbi su quale parte prendere nella guerra di Gaza. E quando infuriano le armi c'è un solo problema per le persone rette: da che parte stare. Chi si tira fuori parteggia senza dirlo, affetta un sentimento che è privo di vere basi etiche, insomma se la cava con poco e con poco si lava la coscienza. Se si guardi a Mosul e alla fuga funesta che una banda di predoni impone a una comunità perseguitata di "miscredenti", anche i cristiani di tutto il mondo, intesi non come credo cultuale ma come nazione occidentale, dovrebbero unirsi. E contro gli stessi identici nemici.
  E' vero che la sproporzione delle forze colpisce, intimidisce, favorisce la favola umanitaria. Israele è grande in confronto alla Striscia di Gaza, pur essendo un paese piccolo. E' più ricco, più popoloso, più attrezzato militarmente e tecnologicamente. Paga e ha pagato un prezzo alto al terrorismo, ma in confronto alle vittime di guerra palestinesi i suoi morti civili o in divisa, si contano sulle dita di due mani, per adesso. Se solo si abbia voglia di riflettere onestamente sulla realtà, però, tutto cambia. A parte gli accordi di Camp David, che hanno restituito agibilità politica e diplomatica al confronto statale di Israele con Egitto e Giordania, per tutto il resto Israele è un fazzoletto di terra accerchiato dall'inimicizia armata e dal terrorismo deliberato contro i civili, il vero collante di tutti i suoi vicini: inimicizia per la terra contesa, ma anche per il culto, che l'islam sunnita e sciita del nostro tempo non prevede possa sussistere in piena legittimazione fuori dai confini dell'islam stesso, e questo su basi profonde, che si rintracciano anche nel libro nella profezia coranica intoccabile, e anche per l'estraneità razziale (sono ebrei, una non entità, discendenti di scimmie e maiali).
  A guardarla bene, la sproporzione si rovescia come un guanto. Ma sono in pochi a voler guardare nella tragedia di un popolo, quello israeliano, costretto a difendersi con le unghie e con i denti, costretto a uccidere per non essere ucciso, a infierire contro organizzazioni armate parastatuali che fanno del loro popolo uno scudo umanitario permanente allo scopo di vincere, a colpi di bambini e vecchi massacrati, la battaglia decisiva dell'opinione pubblica internazionale. Israele protegge i suoi con i missili, come ha giustamente detto Edward Luttwak, mentre Hamas protegge i missili con i suoi. E' anche per questo che suonano vacue le perorazioni facili contro le barriere di difesa e contro i muri, quando vengono offerte in terra israeliana e palestinese. E' anche per questo che sono ingiuste le accuse contro il governo del destro Netanyahu, come furono ingiuste le accuse al socialista Rabin durante la dura repressione della Prima Intifada. E' anche per questo che risulta non solo fallimentare ma spietatamente ingiusta la riluttanza dell'Amministrazione americana a fare fronte alle proprie responsabilità nel governo dell'ordine mondiale, la tendenza a idealizzare una retorica politica senza conseguenze a favore di telecamere (comprese le gaffe di Kerry segretario di stato).
  Noi qui in Europa, affetti da nanismo etico e da impotenza politica, bravi solo a tutelare il valore commerciale delle materie prime di cui abbiamo bisogno per la nostra vita e il loro costo, facciamo un titolo al giorno in cui non si parla di vittime di guerra, ragionando sulle ragioni della guerra e sulle condizioni della pace, ma di strage, di massacro dei civili, di ecatombe dei bambini. E' comodo. E ci danno manforte tutti quegli israeliani, in particolare i testimoni di un mondo che non esiste, quello della reciproca fiducia e della generale benevolenza e della disponibilità universale alla pace, i quali si sottraggono al compito naturale di un cittadino: proteggere la propria comunità, aiutare chi lo fa in prima linea, capire che ci sono momenti in cui si discute e momenti in cui cessa ogni discussione.
  Non ci sono dall'altra parte testimoni capaci di sollevare l'indignazione pubblica. I resoconti dicono, anche quelli di organi di stampa ostili al governo israeliano del momento, che nella Striscia non si può criticare la pretesa di Hamas di essere insieme il puntello di un governo che tratta e la base logistica di un esercito di terroristi che ambisce a mettere sotto minaccia la popolazione civile della comunità vicina, perché tuttora non ne riconosce la legittimità e la vita. La voce della buona coscienza e delle anime belle non si sente al di là della barriera difensiva, al di là del santo muro che protegge le vite degli ebrei e degli altri che vivono entro i confini della democrazia israeliana. In Europa, a parte le dichiarazioni solenni e definizioni di Hamas come gruppo terroristico, non esistono boicottaggi della sua classe dirigente criminale, magari raccordati con una inesistente opinione pubblica. C'è solo l'infinita e comprensibile compassione per le popolazioni del formicaio colpite dalle durezze di guerra, ma senza mai specificare di chi siano le responsabilità strategiche della guerra. Comodo, molto comodo.

(Il Foglio, 22 luglio 2014)


I faziosi di centro

Fazioso non è colui che si schiera da una parte o dall'altra, fazioso è colui che fa questo per illegittimi interessi personali e non per motivi di giustizia. Se il fazioso di parte si schiera per motivi interessati per l'uno o per l'altro dei contendenti, il fazioso di centro, non avendo particolari interessi per l'una o l'altra parte, ha come unico interesse il desiderio di non essere coinvolto nella disputa e di essere lasciato in pace. Allora, con un elegante saltino, si mette al di sopra di tutti e impartisce lezioni di moralità a destra e a manca. Evita le fatiche della ricerca di giustizia, protegge la sua neutrale tranquillità e si compiace della sua superiorità morale. La sua faziosità sta in questo: che parteggia per se stesso. Di faziosi di questo tipo ce ne sono parecchi in giro, e con la loro pretesa di equanime superiorità morale inquinano l'aria dei luoghi in cui si ricerca la verità e la giustizia....

(Notizie su Israele, 22 luglio 2014)


Israele: sostegno a start-up Italia: Premiata la migliore App

di Elisa Pinna

ROMA - Israele, paese dell'innovazione tecnologica per eccellenza, prosegue nel suo sostegno alle giovani start-up italiane e premia, per il terzo anno consecutivo, l'impresa che ha presentato il migliore progetto per una nuova app. A vincere quest'anno la partecipazione al Tel Aviv bootcamp, uno delle più grandi 'fiere' tecnologiche del mondo in programma dal 14 al 19 settembre, è la Snapback, un team di giovanissimi guidato da Giuseppe Morlino, che ha ideato un'applicazione per trasformare l'interfaccia tra utente e smartphone, ipad etc.: anziché la vista e il tatto, si potranno usare la voce, i gesti, persino il soffio. La cerimonia di premiazione, nei saloni della Luiss Enlabs, co-sponsor dell'iniziativa, è avvenuta alla presenza dell'ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon. Il rapporto di collaborazione tra Israele e imprese innovative italiane si sta sempre più consolidando. Non a caso: Israele si è conquistata la fama di 'Nazione delle start-up', grazie a forti investimenti, il 5% del PIL, nel settore. Solo a Tel Aviv, città di circa un milione di persone, lavorano un migliaio di aziende di innovazione, la metà del totale di quelle presenti in Italia.
  Insieme alla Silicon Valley, Israele rappresenta un interlocutore imprescindibile - è stato notato durante la premiazione -per le start-up italiane. Il Paese del dinamismo, dell'energia e dell'inventiva imprenditoriale, del futuro tecnologico è l'altra faccia di una nazione impegnata adesso in una guerra contro Hamas e il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza. "La situazione di questi giorni nella mia regione è complicata e dolorosa per entrambe le popolazioni civili", ha ammesso Naor Gilon, riferendosi al conflitto. "Ma Israele , negli anni, ha sviluppato una serie di sistemi e apparati che ci permettono di poter proseguire, in maniera relativa, la nostra vita quotidiana. E questo è stato possibile anche proprio grazie alla ricerca e alla tecnologia", ha aggiunto. "Anche in momenti come questi, la creatività e l'operosità non si fermano", ha osservato, citando ad esempio la creazione recente di una App che informa, in tempo reale, sugli allarmi anti-missile.
  Il diplomatico spera che la guerra possa finire presto e che possa riprendere il dialogo con l'Anp di Abu Mazen. "Così che tutto questo enorme potenziale umano, queste energie, questi investimenti, questo know-how, possano essere condivisi - ha concluso - con tutti i popoli della regione, e possano servire sempre e soltanto al progresso e al benessere di tutti". La vittoria della "Snapback" al concorso del 2014 per lo ''Startup Tel Aviv boot-camp" è avvenuta sul filo di lana di fronte ad una agguerrita concorrenza tra le quattro finaliste, scelte tra centinaia di concorrenti di 'ottimo livello', ha sottolineato il presidente di LUISS Enlabs, Luigi Capello. Al secondo posto si è piazzata 'Le cicogne', una start up costituita solo da donne, che ha proposto un' App per connettere famiglie e baby-sitter. Al terzo posto è arrivata 'Alleantia' , con un progetto per connettere 'gli oggetti tra di loro'; al quarto infine l' 'Openmove', un team di giovani trentini che ha inventato un'app in grado di consentire il pagamento di tutti i servizi di trasporto via smart-phone.

(ANSAmed, 22 luglio 2014)


Ecco la missione seek and destroy contro i tunnel di Hamas

 
Una delle missioni principali dell'offensiva israeliana a Gaza, oltre alla distruzione delle basi missilistiche di Hamas, è quello di colpire i tunnel scavati dall'organizzazione islamista per penetrare in territorio nemico. Come mostra questo filmato diffuso dalle forze armate israeliane.Come ai tempi della guerra in Indocina a realizzare questo compito, complesso, pericoloso e difficile, sono le truppe d'élite che devono infilarsi nei cunicoli senza sapere che cosa li aspetta nel buio. L'autocontrollo fa parte dell'addestramento dei corpi speciali ma in questi casi la gola è sempre secca.Una volta esplorato e messo in sicurezza il tunnel, si tratta di piazzare le cariche esplosive per distruggere le gallerie. Subito dopo, la missione ricomincia.

(TMNews, 22 luglio 2014)


Turchia e Hamas, il gioco "sporco" di Erdogan e l'obiettivo del Califfato ottomano

di Giancarlo Elia Valori

Le mosse più recenti dell'Arabia Saudita mirano a colpire il Qatar, emirato legato, forse per un ricatto o per un contratto del tipo "vi finanziamo ma state fuori dai piedi", in collegamento con la Turchia, altro nemico giurato, da vecchio amico e alleato, di Riyadh.
Erdogan e il suo AKP (il Partito "Giustizia e Sviluppo" ) sono ormai espliciti sostenitori della Fratellanza Musulmana, e quindi del suo braccio armato a Gaza e nei Territori, Hamas.
Da "zero problemi con i vicini" , secondo la vecchia espressione del ministro degli esteri Ahmed Davutoglu, a una politica di destabilizzazione del Grande Medio Oriente tramite un gruppo designato ufficialmente come "terrorista" dall'ONU.
E stiamo parlando della seconda forza armata della NATO dopo gli USA e del dente strategico, la Turchia, contro la penetrazione sovietica in Asia Centrale e nel Mediterraneo, negli anni della guerra fredda.
Oggi, invece, Ankara è il ventre molle della Alleanza Atlantica e il cavallo di Troia della islamizzazione, radicale e non (ma l'una presuppone l'altra) di tutto il Medio Oriente e, in un prossimo futuro, dell'Europa Occidentale.
Khaled Meshaal, capo dell'Ufficio Politico di Hamas, e l'ex-presidente egiziano Morsi, due figure di spicco della Fratellanza Musulmana, sono stati invitati da Erdogan al congresso generale dell'AKP tenutosi nel settembre 2012, e probabilmente Erdogan tiene unito il suo partito con il mito islamista e jihadista, che potrebbe, nella sua mente, essere il veicolo di una nuova egemonia turca nell'area, come al tempo del Califfato ottomano.
Era accaduta l'undici settembre 1683 la sconfitta definitiva degli ottomani durante l'assedio di Vienna, sconfitta dovuta ai cavalieri polacchi, ed è l'undici settembre del 2001, con la distruzione delle Twin Towers che ricomincia il jihad antioccidentale. Coincidenza? No, perché nella psicologia islamista tutta la storia è un eterno presente.
L'Egitto dopo il golpe bianco di Al Sisi ha declassato la Turchia, e l'Iran sostiene in Siria gruppi contrari a quelli che vengono finanziati da Ankara.
La Turchia dell'AKP è il principale centro di "lavaggio" delle finanze di Hamas, e il mito islamista accende oggi le masse turche, con l'AKP che favorisce la jihadizzazione del proprio popolo.
L'idea di Erdogan è quella di espandere l'attuale Turchia fino a farle raggiungere la vecchia area di influenza dell'Impero Ottomano.
E' per questo che la famigerata fondazione IHH, quella della nave diretta a Gaza per portare aiuti ad Hamas, la Freedom Flotilla bloccata dalle forza di Israele, e che risulta una copertura di Hamas-Turchia, oggi finanzia la Università Islamica di Tirana e molte altre organizzazioni culturali nell'antico perimetro del sistema ottomano.
E non bisogna dimenticare che il Procuratore dello Stato turco, nel 2002, aveva chiesto alla Corte Costituzionale di Ankara di chiudere il partito AKP, mentre anche nel 2008 il procuratore capo di Ankara aveva chiesto alla Corte Suprema turca di chiudere l'AKP, per l'asserito "rifiuto di separare la politica e la religione", che è un obbligo costituzionale in quel Paese.
E questo sarebbe il Pillar della NATO nell'area più carda e destabilizzata del globo, oggi? Occorrerà ripensare anche il ruolo e la partecipazione turca nell'Alleanza.
L'Ankara di Erdogan e del suo partito, che si vende come "islam democratico", ha favorito una colossale oiperazione coperta con l'Iran, la oil for gold, che ha fatto guadagnare, tramite la piazza finanziaria turca 13 miliardi di usd a Teheran, proprio mentre era massima la tensione tra Iran e l'Occidente a causa del suo programma nucleare militare-civile.
Saleh Aruri, uno dei principali dirigenti di Hamas, risiede stabilmente ad Ankara, e risulta essere il responsabile delle operazioni finanziarie del gruppo terroristico.
Il governo di Erdogan ha spedito poi ben 47 tonnellate di armamenti ai ribelli siriani, mentre le reclute di Al Qaeda sono tenute nelle safe houses nella Turchia orientale e addestrate nelle provincie turche di Karaman, Osmaniye, Sanliurfa.
E, ripetiamo, si tratta di un importante membro della NATO.
Probabilmente il legame tra Turchia e denaro sporco da e verso Hamas è implicito nello stretto rapporto che lega Erdogan all'uomo d'affari saudita Abdullah Ezzedine Al Qadi, un personaggio fortemente sanzionato per le sue operazioni economiche dalle Nazioni Unite.
Ha probabilmente finanziato parte delle operazioni dell'Undici Settembre di Al Qaeda.
Il già citato Al Aruri è, si dice da fonti sicure, il capo delle operazioni di Hamas nella West Bank, ed ha gestito il finanziamento ufficiale e governativo turco di 300 milioni di usd del dicembre 2011.
Il "braccio civile" di alcuni ambienti dell'AKP. La già citata fondazione IHH, sostiene i miliziani sunniti operanti in Siria, compresi quelli, come Ahrar al Shan e l'ISIS, connessi o filiazioni di Al Qaeda.
Al -Suri, anch'egli residente pro tempore in Turchia, è il rappresentante ufficiale di Al Qaeda in Siria e riceve numerosi finanziamenti da ricchi sostenitori di Al Qaeda operanti in Qatar, e risiamo al Qatar, sede di fatto della "politica estera" di Hamas.
La Turchia di Erdogan è ormai, insieme al governo qatarino, il maggior finanziatore di Hamas, che legge sia come struttura militare dell'area di origine comune tra Hamas stessa e l'AKP, i Fratelli Musulmani, e come braccio armato esterno per raggiungere il suo obiettivo di Grand Strategy, il Grande Califfato, quello che fu sconfitto alla periferia di Vienna l'Undici Settembre.
E Koç, tra i maggiori businessmen turchi, ha pubblicamente accusato Erdogan di possedere una fortuna personale di oltre un miliardo di usd.

(Giornale dell'Umbria, 21 luglio 2014)


Nessun accordo tra Hamas e Anp sul cessate il fuoco a Gaza

Non è stato raggiunto un accordo tra il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, e il capo dell'ufficio politico di Hamas, Khaled Mashaal, sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Lo hanno riferito fonti palestinesi presenti alla riunione che si è tenuta a Doha, in Qatar, citate dall'agenzia d'informazione Dpa.
Secondo le fonti, Abbas ha sostenuto che il movimento islamico debba accettare la proposta egiziana di cessate il fuoco. Hamas, dal canto suo, ha respinto l'iniziativa chiedendo che vengano accettate alcune sue condizioni - come la fine del blocco nella Striscia - per sospendere i combattimenti.

(Adnkronos, 21 luglio 2014)


Dov’è lo “stato di Palestina” riconosciuto dall’Onu? Chi comanda in Palestina? Qual è il suo governo? Quali sono le autorità dello stato con cui Israele sta facendo la guerra e con cui dovrebbe fare la pace? Che razza di stato è la "Palestina"? M.C.


Oltremare - Paradiso in guerra
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Nell'ultimo fine settimana m'è preso un attimo di vera ribellione: alla faccia della tensione, delle sirene, e delle notizie che non fanno che peggiorare. Ho preso la sacca e sono scesa in spiaggia. Sulla porta il dubbio: ok la spiaggia, ma dove? Dove si va a fare un bagno, abbastanza vicini a un luogo sicuro?
E subito addio alla libertà: anche il momento di ribellione dipende dalla realtà assurda che ci portiamo dietro da settimane (e paiono mesi). Per fortuna, Tel Aviv è dotata di una fila di hotel sulla spiaggia, scoordinati e cacofonici quanto si vuole, ma parecchio vicini all'acqua. Ho fatto due conti e ho scelto il mio punto perfetto. Un po' di onde, nessuna medusa, pochissima gente, e zero matkot (racchettoni). Insomma il paradiso.
Il paradiso, a parte appunto il numero risicato di bagnanti, surreale in un weekend di metà luglio. E gli aerei da guerra che passavano proprio sopra il mio asciugamano e quasi potevo vederne l'ombra. E il pensiero latente che se la sirena suona devo afferrare la sacca e lasciare l'asciugamano, che non ha senso perdere un secondo prezioso per raccoglierlo. E il giornale del weekend nelle mani, errore originale dato dall'abitudine, con tutte le fotografie e i commenti sulla decisione di entrare in Gaza, e relativi rischi.
Il paradiso, certo; a parte la consapevolezza che mentre io mi prendevo due ore di sole dopo la lunga e tesa settimana all'ombra dell'ufficio e le serate con gli occhi appiccicati alla televisione, i nostri erano già entrati in Gaza a far saltare i tunnel di Hamas. E non esiste guerra senza che cadano soldati, per quanto ben armati e addestrati.
Viviamo in un tempo sospeso, fra il paradiso qui a portata di mano, e la realtà che oscilla in un limbo di immagini più o meno insopportabili, a seconda del volume del notiziario, dell'ora del giorno, e della conta dei caduti, tristemente già iniziata.

(moked, 21 luglio 2014)


Un italiano lancia il primo ristorante kosher di lusso a Parigi

Simone Zanoni, chef del Raphael. Obiettivo: una stella Michelin

PARIGI - E' un giovane cuoco italiano il fondatore del primo ristorante gastronomico kosher di alto livello di Parigi, il Raphael, nel XVII arrondissement.
Simone Zanoni, 38 anni, già chef del Trianon Palace di Versailles - a cui ha portato due stelle in un anno - e allievo della star dei fornelli Gordon Ramsay, anziché cimentarsi nell'ennesimo ristorante italiano si è lanciato in una nuova avventura: la rielaborazione in chiave moderna e lussuosa dei piatti della tradizione ebraica. "C'era una domanda, ma mancava l'offerta. Con il Raphael l'abbiamo creata", spiega Zanoni che si dichiara cattolico e per il quale cucina e religione non sono legati.
La grande sfida è produrre una cucina di alto livello rispettando le regole alimentari della religione ebraica, dalla scelta dei prodotti alla preparazione, come il divieto di consumare alcuni animali (il maiale, i crostacei e i molluschi), o quello di mescolare carne e latticini, oltre alla specifica procedura di macellazione rituale di mammiferi e uccelli. "Il mio motto - dice Zanoni - è restare semplice e dare il massimo di espressività ai prodotti".

(ANSA, 21 luglio 2014)


Israele e Palestina

Riportiamo di proposito una lettera al direttore di un giornale di provincia, scritta a difesa dei palestinesi da una normale persona "di buon senso", convinta di dire cose ovviamente giuste, che tutti dovrebbero capire.

SULMONA, 21 luglio.- Sig. Direttore, ma gli ebrei di Israele sono figli e nipoti di coloro che furono sterminati a milioni da Hitler? Cosa ha insegnato loro quel genocidio? Niente. Si vendicano, per quello che hanno sofferto, sul popolo palestinese, colpevole di vivere su quel territorio che fu loro duemila anni fa. Se per Hitler gli ebrei erano un problema razziale, i palestinesi lo sono per loro. Se tre adolescenti ebrei vengono uccisi, la responsabilità non è personale, non è degli assassini, da processare e condannare, come in tutti i paesi civili, ma della intera collettività palestinese. persino dei bambini in culla. Si deve fare terra bruciata, con le armi più sofisticate del mondo. Per definire la vita a Gaza non ci sono parole. Inferno? Lo era fino a ieri, oggi è un inferno nell'inferno. I media lo chiamano banalmente "conflitto in medio oriente". Ma è una guerra di sterminio, una guerra soprattutto contro i bambini. Nell'indifferenza del mondo. Cosa fa l'Onu? Quell'enorme struttura fra New York e Ginevra, zeppa di funzionari e generosa di appannaggi. Cosa fa l'Europa? Manca, forse, la Mogherini?
I media presentano la questione come un conflitto irrisolvibile tra due parti uguali. Ma non è così. Gli attacchi degli estremisti palestinesi contro civili innocenti devono essere fermati e severamente condannati, ma il conflitto nasce dall'espropriazione che subisce il popolo palestinese. Israele occupa, colonizza, e, ora, bombarda. Attacca una nazione legalmente libera, riconosciuta dalle Nazioni Unite, e ne controlla l'acqua, il commercio e i confini. Ha creato la prigione all'aperto più grande del mondo e l'ha isolata. Ora, mentre cadono le bombe, le famiglie non hanno letteralmente alcuna via di fuga.
Sono crimini di guerra. Non li accetteremmo in nessun'altra parte del mondo. Perché li accettiamo in Palestina? Per la prima volta un famoso intellettuale [Gianni Vattimo, ndr] ha il coraggio di sfidare l'omertà occidentale:"Israele è uno stato canaglia, stato nazista e fascista, peggio di Hitler. Andrei a Gaza a combattere a fianco di Hamas, direi che è il caso di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero, in Spagna non era niente in confronto a questo. E' un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista e ci vuole una resistenza. L'unica cosa seria è che ci vogliono le brigate internazionali". Ma le parole degli intellettuali finiscono nel nulla.
Ezio Pelino

(Corriere Peligno.it, 21 luglio 2014)


Che si può dire a una persona così? Da che parte si deve cominciare? Come si fa a contrastare un odio così ben nutrito dall'ignoranza da renderlo impermeabile agli argomenti della ragionevolezza? E il direttore del giornale non dice nulla.


Fermate i razzi sui bambini israeliani

Altra lettera al direttore, indirizzata ad un altro giornale di provincia

Egr. Sig. Direttore, da giorni e da più parti assisto quotidianamente o quasi a manifestazioni e/o a prese di posizione perché Israele cessi le operazioni militari contro Gaza e contro i Palestinesi.
   Giustissimo! Sacrosanto!!!!!
   Ma, mi chiedo, perché mai NESSUNO manifesta o abbia manifestato per chiedere lo stop da parte di Hammas al lancio di razzi contro le città israeliane????
   E' illuminante leggere quanto riferito dalla giornalista Fiammetta Nirenstein su come Israele vive questa guerra, e soprattutto sui perché di questa guerra…: "La pena più grande, in questa guerra, è quella dell' incomprensibile impossibilità del mondo di rendersi conto di quello che sta accadendo qui. I giornalisti e l'opinione pubblica che si sentono virtuosi quando denunciano la morte di alcuni bambini palestinesi, ignorano completamente le ragioni per cui questo accade, ragioni penose per Israele ma anche e soprattutto per i palestinesi. … Il punto è tuttavia che anche se i bambini israeliani sono l'oggetto dell'attacco spietato dei missili che a migliaia piovono su Israele, essi sono il tesoro di Israele che se prende una cura infinita, che, al contrario di ciò che fanno i palestinesi con i loro figli, li difende con rifugi, sorveglianza continua, orari prestabiliti di uscita, sistemi di difesa.
   Invece per Hamas è il contrario: si è avuta notizia da una denuncia dell'UNRWA (Nazioni Unite) del fatto che la sua scuola era stata trasformata in un deposito di missili. L'UNRWA l'ha denunciato, ma certo le scuole comunali o statali o quelle dei privati di Gaza non lo possono fare, hanno paura dei terroristi di Hamas: sono loro che danno gli ordini, e quindi sono moltissime le istituzioni, le case, le scuole, le moschee che Hamas ha trasformato in depositi di armi. E spesso quelle armi stanno per essere lanciate.
   Purtroppo (guarda caso!!!) le rampe missilistiche, i proiettili, le strutture militari di Hamas sono sparse PROPRIO in mezzo ai bambini, i bambini sono il loro scudo, anche il tragico missile che ha colpito quattro bambini che giocavano sulla spiaggia era diretto verso una struttura militare, forse una rampa di lancio pronta a lanciare il suo messaggio di morte su Israele. Israele deve continuamente distruggere strutture che stanno in mezzo alla gente, perchè esse stanno per sparare le migliaia di missili che ci fanno correre tutti continuamente nei rifugi, e che sono state appositamente nascoste fra i bambini.
   E' un dolore senza fine vedere la società di Gaza costretta a subire queste perdite, ma è il diritto alla vita stessa che impone l'operazione in corso. Se si pensa che sono stati distrutti per ora circa 2000 obiettivi militari sparsi fra la gente, si capisce quanto sia difficile difendere oltre ai nostri bambini, anche i loro. Vorrei tanto che la gente di Gaza lo facesse, in sfida a Hamas.
   Ed ancora, riferisce la Nirenstein, di quanto accade nel kibbutz di Ein ha Shlosha: "Abbiamo cercato di cooptare i nostri vicini palestinesi alla coltivazione di patate e pomodori. I kibbutz dell'Eshkol sono ottimi agricoltori, ma pare che preferiscano i razzi" dice sconsolato Chaim Yelin, il presidente della regione che ci accompagna fino a una casa fra le palme. … I "bum" si susseguono, un po' i cannoni di qua, un po' i missili di là. Qui ci sono solo 5 secondi per rifugiarsi, dato che la distanza è di 4 chilometri da Gaza da cui si vedono fumare gli obiettivi colpiti. Meno male che non era in casa alle 9 di sera l'84enne padrona di questa casetta fra le palme: il tetto è tutto un buco da cui pendono residui di soffitto, la libreria, il tavolo, gli oggetti... Tutto è a pezzi. (…)".
   Giusto e corretto che Israele cessi i suoi attacchi per distruggere le rampe di lancio che piovono sul suo territorio, ma ancora più giusto e corretto che Hammas cessi di lanciare missili contro i civili israeliani e, soprattutto, cessi di fare scudo a quelle stesse rampe con bambini innocenti i cui corpi martoriati sono poi destinati ad apparire sui telegiornali con il palese scopo di suscitare l'indignazione dell'occidente contro uno Stato, quello d'Israele, colpevole solo di difendere i propri cittadini e il proprio territorio.
   Shalom!
Bruno Paolillo

(VareseNews, 21 luglio 2014)


Netanyahu: "Sono triste per tutte le vittime civili. Ma stanno usando le foto di quei morti"

"Alcuni dei loro razzi hanno colpito le nostre scuole: avevamo il dovere di fermare tutto questo".

di Wolf Blitzer

- Una domanda veloce. Come pensa di uscire da Gaza?
Quando avremo raggiunto una serenità sostenibile. Voglio dire non desideravamo che la situazione si inasprisse in questo modo. Ci è stato imposto da Hamas. Hanno iniziato a lanciare missili sulle nostre città aumentando le ostilità a ritmo serrato. Avevo chiesto di ridimensionare i toni. Hanno rifiutato. Avevo accettato la proposta egiziana di un cessate il fuoco appoggiato dalla Lega araba e dall'Onu. Loro l'hanno rifiutata. Ho accettato un'interruzione umanitaria proposta dalle Nazioni Unite. L'hanno rifiutata. Interromperemo le operazioni militari quando potremo ridare serenità alla nostra gente.

- Alcuni ministri del suo gabinetto pensano che l'unico modo poterlo fare è di rioccupare Gaza Lei è a favore?
Sono a favore di qualsiasi intervento necessario a porre fine a questa folle situazione. Provi a immaginare cosa sta passando Israele. Immagini se il 75 per cento della popolazione degli Stati Uniti fosse a portata di missili nemici, e avesse 60-90 minuti di tempo per raggiungere i rifugi. Non dico solo New York, ma New York, Washington, Chicago, Detroit, San Francisco, Miami... scelga lei. È impossibile. Non si può vivere così. Penso che occorra ripristinare una serenità e una sicurezza sostenibili. E intraprenderemo qualsiasi azione sarà necessaria a raggiungerle.

- Quindi anche una possibile rioccupazione di Gaza? Perche molti suoi strateghi militari temono che si possa finire in un pantano, un pantano pericoloso.
Nessuno desidera spingersi troppo in là con le strategie, ma ciò che sta accadendo è eccessivo. Non stanno solo prendendo di mira le nostre città. Stanno deliberatamente lanciando migliaia di missili. Negli ultimi giorni ne hanno lanciato duemila sulle nostre città. E non solo: intendono uccidere il maggior numero possibile dei sei milioni di israeliani che vivono a portata dei loro missili. Non ci sono riusciti, e non per mancanza di volontà, ma perché noi, con l'aiuto degli americani, siamo migliorati. Sono grato al presidente Obamae al Congresso Usa per l'aiuto che ci hanno dato nello sviluppare questi Iron Dome: dei sistemi fantastici. Alcuni missili però riescono a oltrepassarli. E colpiscono le nostre scuole. Quindi dobbiamo porre un freno. Oltre ai missili hanno costruito anche dei nuovi tunnel del terrore all'interno delle abitazioni palestinesi di Gaza. Raggiungono il territorio israeliano dal sottosuolo. I terroristi spuntano tra di noi, tentano di uccidere i civili e rapire gli israeliani. Quindi ci stiamo dando da fare per neutralizzare quei tunnel. E protrarremo le operazioni per tutto il tempo che riterremo necessario.

- Si vedono però delle foto tristissime che ritraggono bambini e rifugiati palestinesi che fuggono a migliaia dalle loro case. Sono immagini orrende, strazianti Cosa prove nel vederle?
Proviamo tristezza per ogni civile che viene ucciso. Non è nelle nostre intenzioni. È questa la differenza tra noi e loro. Hamas prende deliberatamente di mira i civili e deliberatamente si nasconde tra la popolazione civile. Nascondono tra i civili i loro soldati, i loro missili e le altre armi. Che scelta ci resta? Dobbiamo proteggerci. Ecco perché cerchiamo di prendere di mira coloro che lanciano i missili, è chiaro. Non intendiamo colpire i civili, è Harnas che intende farceli colpire. Vogliono il maggior numero possibile di vittime civili, perché si dice che sfruttino - è orribile - che sfruttino la telegenicità dei morti palestinesi a favore della loro causa. Più ci sono morti e meglio è.

- Adesso però c'è una grande violenza.
Adesso è molto difficile, perché Hamas sta usando i palestinesi come scudi umani. Mentre noi usiamo sistemi antimissile per proteggere la nostra popolazione civile, loro usano i loro civili per proteggere i missili.

- Molti sono profondamente preoccupati da ciò che vedono in questa ondata - ridotta ma molto violenta e pericolosa - di estremismo israeliano in Israele.
Ecco dovè la differenza. Noi non glorifichiamo questi assassini. Noi li mettiamo - lo abbiamo preso tre giorni dopo quel tragico assassinio. Non li glorifichiamo. Non allestiamo campi suicidi per bambini.

(la Repubblica, 21 luglio 2014 - Cnn, trad. Marzia Porta)


L’intervista della CNN a Netanyahu è più lunga, ma Repubblica non ne fa tutta la traduzione. Presentiamo il video dell’intervista completa, purtroppo senza la traduzione (vorrà farla qualcuno?).


Civili come scudi umani. Così si arriva alla strage

Hamas si mescola ai cittadini impedendo di colpire gli arsenali. La gaffe di Kerry: "Altro che operazione di precisione".

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - Di nuovo e ancora di nuovo, quando Israele è costretta a combattere, la Bbc, la Cnn, Al Jazeera si affrettano a denunciare orribili stragi perpetrate contro cittadini innocenti dai pessimi soldati israeliani, per poi dovere, nel tempo, ammettere che invece si è trattato di una durissima battaglia su un terreno fitto di combattenti mescolati a cittadini nelle cui case sono state stipate le armi, le rampe di lancio, nelle cui cantine si trovano le imboccature delle gallerie che sono l'autostrada degli attentati terroristi.
   Proprio come a Jenin nel West Bank nell'aprile 2002 (dal posto testimoniammo la battaglia) dopo lo scontro i palestinesi con l'aiuto dell'ONU gridarono a una strage di 500 persone, per poi arrivare alla conclusione che erano stati uccisi 52 palestinesi e 23 soldati israeliani. Si era nel pieno della Seconda Intifada, quando gli autobus e i caffè saltavano per aria, Ariel Sharon lanciò «Scudo di Difesa» e fermò i terroristi suicidi.
Ieri a Sajaya, un enorme quartiere di Gaza, circa 80mila abitanti, si è verificata una situazione analoga in una battaglia per liberare Israele dall'assedio dei missili. Durante la notte, dopo avere ripetutamente chiesto alla popolazione di sgomberare la zona (e molti se ne sono andati), l'esercito israeliano ha attaccato. Gli obiettivi sono molto precisi: si devono trovare i depositi di armi, distruggere le rampe di lancio dei missili e i missili stessi, verificare se sono nascosti nelle case, nelle cantine, nelle scuole, negli ospedali. Sajaya è una delle principali fortezze di Hamas, con almeno dieci imbocchi di grandi gallerie, nascondigli di armi, manifatture di missili, centri organizzativi del terrorismo. I soldati sono dentro Gaza anche, e forse soprattutto, per scovare gli imbocchi delle gallerie (centinaia) che servono da rifugio e da passaggio per l' organizzazione integralista islamica che dall'interno di Gaza prepara attentati e rapimenti. Anche ieri ne è stata trovata una enorme sotto il kibbutz di Netiv Assarà.
   Anche nelle ultime ore i terroristi in Israele spuntano dalla terra presso il confine, seppure già una trentina di gallerie siano state eliminate. Se ieri il tentativo di prendere il kibbutz Ein ha Shlosha dalle gallerie fosse riuscito, ci sarebbero ora centinaia di morti e forse, questo valutano gli esperti, un rapimento di massa di bambini. Ieri a Sajaya è successo di nuovo quello che accade nelle guerre asimmetriche, dove i terroristi si mescolano con i cittadini, le case sono minate e saltano per aria se solo ci si entra, la gente diventa scudo umano. Dopo la battaglia si danno ora numeri fra i 60 e i 100 morti palestinesi, purtroppo sembra siano numerosi, lo si vede nelle immagini TV, anche donne e bambini feriti. Ma Israele non ha compiuto una strage, come ieri tutto il mondo arabo ha ripetuto: ha combattuto una durissima battaglia di sopravvivenza, in una casbah di viuzze minate e agguati. Oltre ai cinque morti militari e ai 55 feriti (tutti soldati) di venerdì, con vari agguati Hamas riusciva a uccidere, nella notte fra sabato e domenica, 13 soldati dell'unità dei Golani, la più popolare d'Israele, e a ferirne 22 fra cui 8 molto gravi. Sette soldati sono stati colpiti dentro il loro mezzo corazzato, gli altri presso una galleria, altri dentro una casa e in altre situazioni.
   Il comandante sul campo reagisce alle accuse di avere ucciso civili innocenti spiegando che i soldati hanno fatto di tutto per evitare di colpire persone non implicate nella battaglia, mentre Hamas fa di tutto per colpire i cittadini, e usa i suoi come scudo. Mentre le televisioni nel mondo trasmettevano invocazioni e immagini terribili denunciando una strage «come quella di Sabra e Chatila» la tv di Hamas si vantava di aver ucciso i soldati israeliani. Ma va notato che a Sajaya si è visto un esercito di guerriglieri disordinati mescolati cinicamente alla gente, fonti locali raccontano che alcuni correvano carichi di armi fra i civili. La richiesta che Hamas accetti il cessate il fuoco si sente, secondo fonti, fra la sua gente. John Kerry come Ban Ki Moon che è già in zona, è in arrivo. Alla tv ha dichiarato che Israele, dato che bombardano le sue città, ha il diritto e il dovere di fermarli. Peccato che nel suo stile da ragazzone disinvolto, si sia lasciato andare a microfono aperto a un commento che diceva: «altro che operazione di precisione, l'escalation è significativa, dobbiamo andare lì stasera stessa». Poi però ha precisato di nuovo che Israele ha diritto a difendersi. Anche Laurent Fabius, qui nei giorni scorsi, ha detto lo stesso, come Angela Merkel, e gli inglesi sono d'accordo. Aspettiamo che il nostro governo prenda posizione: non basta dire «cessate il fuoco». Ciò che è in giuoco è la guerra contro il terrorismo, e ci riguarda tutti.

(il Giornale, 21 luglio 2014)


"Israele costretta a essere crudele. Non ha scelta"

Appelfeld: viviamo chiusi in casa

di Alain Elkann

 
Aharon Appelfeld
Aharon Appelfeld vive quasi come un recluso nella sua casa, in un paesino vicino a Gerusalemme. Quando suona l'allarme scende in cantina con la moglie, come chiunque altro in Israele in questi giorni. «Tutti i ricordi della seconda guerra mondiale mi stanno ritornando in mente e sono sicuro che questo accada a tutti i sopravvissuti dell'Olocausto e a quelli della guerra dei sei giorni e di quella dello Yom Kippur. Non è facile vivere quando tutte le nostre città sono sotto l'attacco dei razzi. Generalmente si ha l'idea che Israele sia un Paese molto forte, armato bene. E nondimeno un piccolo gruppo di terroristi, forse 5000 o 7000, opposti a un Paese di più di 6 milioni di persone, hanno scavato e costruito un'altra città 30-40 metri sotto terra e hanno gallerie in grado di raggiungere il territorio israeliano. Questa gente continua a sparare razzi contro di noi. Combatterli sul terreno per Israele significa una battaglia casa per casa, sarà un confronto brutale e questo diventa un vero problema. Risolvere il problema significa che dobbiamo essere molto crudeli e questo moralmente non è facile da fare. E possibile che ci siano molti morti, da entrambe le parti. Ma che cosa fare contro terroristi che hanno una città sotterranea? E un terribile dilemma».

- Ci sono altre soluzioni?
  «La proposta di Israele è di smilitarizzare Gaza, ma dubito che i terroristi accettino». Com'è lo stato d'animo di un israelia no? «Sono molto forti, ma naturalmente soffrono ogni volta che c'è un nuovo allarme anche se sanno che i razzi vengono intercettati. Io stesso vivo chiuso in casa. Ogni cinque minuti suonano le sirene, soprattutto sulla costa, meno a Gerusalemme».

- Ma cosa ne pensa?
  «Pensavamo che venendo qui avremmo smesso di soffrire. Venire qui aveva una logica, è il Paese in cui gli ebrei, la loro cultura e la loro fede sono nate. All'inizio c'erano solo mezzo milione di ebrei, mezzo milione di arabi e il deserto. Ma per rispondere alla domanda, come si sentono gli israeliani, c'è una sorta di solidarietà tra le persone. In tempo di pace ci sono molti litigi ma improvvisamente diventano insignificanti di fronte alla guerra».

- Pensa che la guerra sia destinata a durare?
  «Non sarà breve, perché Israele non può lasciare un tale arsenale vicino alla frontiera. Solo per fare un esempio, pensiamo che tredici uomini ben armati sono sbucati da un tunnel nella notte per distruggere una piccola città israeliana. Questo vuol dire che i loro tunnel si spingono molto all'interno del territorio israeliano. Sono orripilato all'idea che tutti i soldi dati ai poveri palestinesi siano finiti così, nella costruzione dei tunnel».

- E gli altri Paesi arabi?
  «Siamo molto fortunati perché Hamas è diventato un nemico dell'Egitto. Siria e Iraq hanno altri problemi. Per fortuna abbiamo fatto la pace con l'Egitto e la Giordania».

- E l'America e l'Europa?
  «L'America si è indebolita, o forse dopo l'Afghanistan e l'Iraq e non sono pronti a investire denaro in altre guerre. Penso abbiano capito che Israele è una roccaforte in quest'area e quindi rafforzano costantemente il loro aiuto. Gli europei vogliono mantenersi in qualche modo neutrali».

- Ma non è terribile pensare che i bambini stanno morendo?
  «I terroristi proteggono se stessi, non la loro popolazione. La vita umana non conta. Muori e vai in Paradiso. Pare che per loro l'aldilà sia più importante».

(La Stampa, 21 luglio 2014)


Chi oggi, nell'attuale situazione, parla genericamente di pace e insiste a compiangere la morte dei piccoli bambini, è un ipocrita che vuole la distruzione di Israele. M.C.


I nemici di Israele sono nemici di Dio
    "O Dio, non restare silenzioso! Non rimanere impassibile e inerte, o Dio! Poiché, ecco, i tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa. Tramano insidie contro il tuo popolo e congiurano contro quelli che tu proteggi. Dicono: Venite, distruggiamoli come nazione e il nome d'Israele non sia più ricordato!" (Salmo 83:1-4).
Quando i Romani soffocarono nel sangue la rivolta ebraica del 134 d.C. capeggiata da Simone Bar Kokhba, l'imperatore Adriano non si limitò a distruggere Israele come nazione, ma cercò di cancellarne anche il ricordo dalla faccia della terra. Per questo decise di chiamare "Aelia Capitolina" la città di Gerusalemme e "Palestina" la terra di Israele. Prima di allora con il nome "Philistia" veniva indicata una fascia costiera più o meno corrispondente all'attuale striscia di Gaza, abitata nel periodo biblico dai filistei, un popolo indoeuropeo di origine non semita. Quindi l'attuale nome "Palestina", oltre a indicare una regione geografica, esprime anche una volontà: la volontà di far dimenticare il nome di "Israele". Le intenzioni dell'imperatore romano verso gli ebrei potrebbero essere ben espresse con le parole del salmo 83:
    "Venite, distruggiamoli come nazione e il nome d'Israele non sia più ricordato!"
Si può capire allora il profondo significato che ha avuto e continua ad avere il fatto che dopo diciotto secoli sia ricomparso, su quella terra calpestata dai gentili, uno Stato ebraico che ha come nome "Israele". Un fatto prodigioso, ma d'altra parte inevitabile, perché i violenti di cui si parla nel salmo 83 non sono nemici di Israele, ma di Dio: "I tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa". In tutto quello che accade a Israele è in gioco il nome di Dio, quindi non è possibile che gli uomini possano avere l'ultima parola. E tuttavia continuano a provarci.


I lettori interessati possono ricevere in dono una copia gratuita del libro "Dio ha scelto Israele".
Come forma di "pagamento" si richiede soltanto di fare un'offerta di almeno 10 euro a un ente di soccorso israeliano, come per esempio Magen David Adom o Yad Eliezer.
L'impegno è esclusivamente morale, quindi non è necessario darcene conferma.
Per ricevere il libro è sufficiente scriverci indicando come oggetto LIBRO e come testo nome, cognome e indirizzo del destinatario.




 

“Caro Papa Francesco, l'estremismo islamico non si combatte con la pace”

Ieri Papa Francesco ha lanciato il suo appello per la pace: «la violenza non si vince con la violenza, la violenza si vince con la pace» ha detto Papa Francesco all'angelus. Il Papa non può dire diversamente, è il concetto cristiano del "porgere l'altra guancia" che lo costringe a dire così. Poi però c'è la realtà....

(Right Reporters, 21 luglio 2014)


Il buonismo cristiano predicato dal papa in quel contesto e da quella sede non è bontà e non è cristiano. A questo proposito, e in relazione alle rinnovate offensive ecumeniche papali con incursioni anche in campo evangelico, rendiamo nota una recente dichiarazione pubblica fatta in ambito evangelico, con la quale concordiamo anche se non fa riferimento a Israele e alla questione ebraica. M.C.


Netanyahu: non abbiamo voluto questa guerra, ma continueremo fino alla fine

GERUSALEMME, 20 lug. - Benjamin Netanyahu ha ricordato che "Israele non ha scelto di fare questa guerra (nella Striscia di Gaza), ma continueremo a combattere fino a quando dovremo". Non solo. Le operazioni saranno allargate fino a quando non tornera' la calma in Israele. Cosi' il premier israliano in una conferenza stampa nel 12esimo giorno dall'inizio dell'offensiva in cui ha ribadito che "Israele non puo essere considerata responsabile dell'escalation. Noi piangiamo ogni vittima innocente, ma la colpa e' di Hamas", ricordando che Israele ha accetato tutte e tre le tregue offerte, saltate poi' per il continuo lancio di razzi da Gaza.
Sapevamo, ha aggiunto, che sarebbe potuta essere un'operazione a lungo termine ma "il popolo eterno" non si fa spaventare da un lungo viaggio. Netanyahu ha anche replicato duramente alle critiche dell'omologo turco Recep Tayyip Erdogan, secondo il quale gli israliani "hanno soprassato Hitler in barbarie": "Erdogan parla come l'Iran ed al Qaeda", le due entita' che da fronti diversi dell'Islam, secondo Israele puntano alla distruzione dello Stato ebraico. Da ultimo Netanyahu ha anche ringraziato Barack Obama per il sostegno degli Stati Uniti.

(AGI, 20 luglio 2014)


Nei tunnel di Hamas

Una rete di decine di chilometri per il contrabbando e la guerra I terroristi li usano come magazzini e rifugi antiaerei. Ma anche per assalire i militari nemici e poi dileguarsi. Perciò Israele li sta distruggendo.

di Michael Sfaradi

ASQUELON - Con l'inizio delle operazioni militari i media hanno portato all'attenzione il problema dei tunnel sotterranei costruiti dai miliziani di Hamas. Quello che non è stato ancora chiarito è la loro natura e come possono essere usati. I primi tunnel si trovavano lungo linea Philadelphia, come era chiamata fino al 2005 dall'esercito israeliano la terra di nessuno al confine fra l'Egitto e la Sui-scia di Gaza. Questi passaggi erano molto ampi e permettevano il contrabbando di beni voluminosi come automobili e animali di grossa taglia. Proprio attraverso di essi sono arrivati a Gaza i componenti dei missili a lunga gittata di fabbricazione iraniana che in questi giorni vengono lanciati contro le città israeliane. Quando erano operativi Hamas li usava gratuitamente e imponeva pesanti tasse sui beni che transitavano in entrata. Era uno dei modi con cui l'organizzazione terroristica si finanziava.

ECONOMIA
I tunnel sotto la linea Philadelphia sono stati operativi sia quando al Cairo governava il presidente Hosni Mubarak sia, e soprattutto, nel periodo in cui i fratelli musulmani erano al potere con il presidente Mohammed Morsi. In quegli anni l'aeronautica israeliana li ha spesso bombardad riuscendo solo a rallentarne l'attività, chi li ha definitivamente chiusi, nella seconda metà del 2013, è stato l'esercito egiziano subito dopo la presa del potere del presidente Abd al-Fattah Khalil al Sisi. Proprio la mancanza degli introiti derivanti dalle tasse sul contrabbando delle merci che transitavano in quei tunnel è stato uno dei motivi della mancanza di liquidità di Hamas. Le altre tipologie di tunnel oltre a essere di carattere squisitamente militare sono ora l'obiettivo primario delle operazioni che si svolgono in queste ore. Secondo alcuni rapporti dei servizi segreti la rete di tunnel sotterranei è di decine di kilometri e variano di profondità a seconda della natura del terreno nel quale sono stati scavati. Molte di queste gallerie hanno ambedue le entrate all'interno del territorio palestinese, spesso una è dentro case private, moschee o edifici civili, mentre l'altra è in campo aperto.

TRAPPOLE
Possono fungere da magazzini di anni e missili, da rifugi durante i bombardamenti dell'aeronautica e come trappole sul modello usato dai vietcong contro gli americani durante la guerra del Vietnam. Bastano pochi uomini armati che aspettano il nemico, attaccano di sorpresa e dopo brevi conflitti a fuoco si dileguano nei passaggi. Proprio questo tipo di guerriglia è l'incubo dei comandi militari israeliani durante questa avanzata. La terza tipologia di tunnel è sicuramente la più pericolosa. Si tratta di passaggi lunghi poche decine di metri e scavati sotto la rete di confine che divide il territorio israeliano dalla Striscia. Questi cunicoli sono già stati più volte utilizzati per portare attacchi sia ai militari di passaggio lungo la strada di confine che ai civili che abitano nei kibbutz o nei villaggi agricoli di frontiera.

CEMENTO
Durante la notte fra il 17 e il 18 luglio scorso e nella notte a seguire due di passaggi sotterranei sono stati utilizzati per portare degli assalti ai militari che pattugliano la linea di confine proprio per prevenire questo tipo di situazioni. Non è un caso che proprio uno dei materiali che il governo israeliano negli anni scorsi voleva razionare all'ingresso della Striscia fosse proprio il cemento che poteva avere, come poi è successo, anche un uso militare. Su pressioni internazionali Gerusalemme è stata costretta a cedere su questo punto e il risultato è stato che centinaia di tonnellate di cemento sono entrate a Gaza e finite nelle mani di Hamas che ne ha requisito oltre l'80% destinandolo sia alla costruzione delle bellissime ville dei capi, sia per rinforzare le gallerie sotterranee che ora, una ad una, dovranno essere scoperte e fatte saltare in aria dai genieri israeliani.

(Libero, 20 luglio 2014)


Il governo israeliano avverte la stampa straniera a Gaza

GAZA/GERUSALEMME, 20 lug. - L'ufficio del governo israeliano per le Relazioni con la stampa ha avvertito gli inviati e i corrispondenti internazionali che stano seguendo l'offensiva bellica israeliana dall'interno di Gaza che non si assume la responsabilità della loro sicurezza. L'allerta è coinciso con la decisione annunciata nella notte dall'esercito israeliano di ampliare la sua incursione terrestre nella Striscia, dove si sono intensificati i bombardamenti da terra e dall'aria.

(AGI, 20 luglio 2014)


Gaza, saltata subito la tregua. Kerry: Hamas usa i civili come scudi

Israele estende l'offensiva. Almeno 60 palestinesi morti nella notte. Emergenza sfollati. In Qatar summit Ban Ki-moon-Abu Mazen.

di Orlando Sacchelli

La tregua tra Israele e Hamas siglata per consentire di evacuare i morti dopo un pesante bombardamento nel quartiere di Shejaya, a Gaza City, è durata meno di un'ora.
Subito si è ripreso a combattere. L'esercito israeliano ha reso noto che i propri soldati hanno sparato "per rispondere al fuoco di Hamas"
L'esercito con la stella di David ha impresso una forte accelerazione alla guerra.
La fase terrestre dell'operazione "Margine di Protezione" si allarga: al tredicesimo giorno di conflitto, almeno 60 palestinesi sono morti e circa 400 sono rimasti ferite nei bombardamenti sul quartiere di Shejaia, nella parte orientale di Gaza City (fonti mediche palestinesi). Le immagini diffuse dalla televisione al-Aqsa di Hamas hanno mostrato vari civili, tra cui donne e bambini, stesi a terra. Intanto migliaia di persone fuggono dalla zona. Secondo i commentatori dell'emittente si tratta di una nuova "Sabra e Shatila", il massacro commesso nel 1982 nei due campi profughi palestinesi in Libano dai falangisti cristiani. Un comunicato diffuso dal ministero della Sanità a Gaza rende noto che tra le vittime ci sono i familiari di un noto dirigente del movimento islamista, morti in una casa obiettivo del bombardamento aereo. Sono circa cinquanta i militari feriti da ieri nei combattimenti a Gaza e ricoverati in Israele. Lo riferisce la tv commerciale Canale 10 secondo cui due di loro versano in condizioni gravi. L'esercito israeliano, riferiscono i suoi portavoce, ha avuto finora cinque morti.

Gli obiettivi centrati dai militari israeliani nell'ultima notte: distrutti 2 tunnel e attaccati 45 obiettivi, tra questi 10 lanciatori di razzi nascosti. Dall'inizio dell'operazione, secondo il portavoce militare i siti "del terrore" colpiti sono stati 2570. Intanto è salito a oltre 62.000 il numero degli sfollati a Gaza: lo ha comunicato l'Unrwa, l'agenzia per i rifugiati dell'Onu.
Le persone hanno trovato rifugio in 49 scuole dell'agenzia, che ha lanciato un appello per continuare a fornire loro cibo, cure mediche e aiuti d'emergenza come materassi, coperte e kit per igiene personale
L'Egitto intanto apre il valico di Rafah con la Striscia per una settimana, per consentire il passaggio dei feriti. Lo riferisce il sito israeliano Ynet.

- Kerry: Hamas usa i civili come scudi
  Molto duro il commento del segretario di Stato americano, John Kerry: "Hamas usa i civili come scudo e rifiuta ostinatamente un cessate il fuoco". Ha poi aggiunto che Israele "ha tutti i diritti del mondo di difendersi", sottolineando che nessuno paese sotto attacco resterebbe immobile. Kerry ritiene che il presidente americano, Barack Obama, gli chiederà di tornare in Medio Oriente a breve per lavorare a un cessate il fuoco.

- Abu Mazen e Ban Ki-moon in Qatar
  Ferventi lavori a livello diplomatico. Oggi il presidente palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), e il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, si incontrano in Qatar per discutere una possibile tregua a Gaza. A presiedere la riunione l'emiro del Qatar, Sheikh Tamim, che opera come canale di collegamento tra Hamas e la comunità internazionale. Sabato il Qatar ha consegnato all'Onu la lista con le condizioni poste dal gruppo islamico palestinese per una tregua. In Qatar vivono numerosi islamisti in esilio, tra cui Khaled Meshaal, il leader di Hamas. Secondo fonti qatariote, Abu Mazen, dopo l'incontro con Ban Ki-moon, incontrerà proprio Khaled Meshaal, che vive in Qatar da tre anni, dopo aver lasciato Damasco.

(il Giornale, 20 luglio 2014)


Lettera aperta a chi manifesta per la Palestina

Manifestare liberamente e pacificamente (e sottolineo pacificamente) è un Diritto di qualsiasi cittadino europeo. Come era ampiamente prevedibile e previsto al primo accenno di reazione israeliana il movimento pacivendolo si è scatenato un po' in tutta Europa riempiendo le piazze per manifestare solidarietà verso i palestinesi "aggrediti dagli israeliani cattivi" e spesso (molto spesso) odio verso Israele più che solidarietà verso i palestinesi. Quello che noi vorremmo chiedervi è: ma sapete per chi o per cosa manifestate?...

(Right Reporters, 20 luglio 2014)


L'Eterno vi disperderà fra i popoli, e non rimarrà di voi che un piccolo numero fra le nazioni dove l'Eterno vi condurrà. E là servirete dèi di legno e di pietra, fatti da mano d'uomo, che non vedono, non odono, non mangiano e non odorano. Ma di là cercherai l'Eterno, il tuo Dio; e lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima. Quando ti troverai nell'angoscia e ti saranno avvenute tutte queste cose, negli ultimi tempi, tornerai all'Eterno, il tuo Dio, e darai ascolto alla sua voce; poiché l'Eterno, il tuo Dio, è un Dio misericordioso; egli non ti abbandonerà e non ti distruggerà, e non dimenticherà il patto che giurò ai tuoi padri.
dal libro del Deuteronomio, cap. 4







 

Case a Gaza imbottite di esplosivo da Hamas

Durante i rastrellamenti a Gaza in cerca dei terroristi di Hamas, i militari israeliani hanno scoperto abitazioni imbottite di esplosivo.

(Video dell'esercito israeliano, 20 luglio 2014)


Hamas vuole armare anche i bambini

Supporto reciproco tra integralisti palestinesi e il califfato dell'Isis. Mediazione egiziana: più che nella pace al Sisi spera che Israele distrugga il suo nemico.

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - Hamas può gloriarsi di aver ucciso ieri due soldati israeliani, Amos Greenberg e Adar Bersana, emersi da un tunnel nel kibbutz dove ci trovavamo giovedì, Ein ha Shlosha. Amos e Adar hanno difeso la popolazione con il loro corpo, e hanno ucciso un terrorista.
   Tre soldati sono stati feriti nello scontro, altri 17 colpiti durante le battaglie dentro Gaza. I palestinesi hanno avuto una cinquantina fra feriti e qualche ucciso. Via via che scende la sera, i missili lanciati su Israele colpiscono per ogni dove. La guerra divampa, l'esercito è riuscito a distruggere 23 gallerie create per stivare le armi e fare incursioni. L'impresa di Ein ha Shlosha ha tenuto chiusi in casa per ore migliaia di cittadini dell'Eshkol. Nella città di Dimona un razzo ha centrato una famiglia di cittadini israeliani beduini, uccidendo un uomo e ferendo gravemente un bambino di tre mesi, più una donna e un altro bambino.
   L'esercito ottiene risultati importanti ma deve agire su un terreno fitto di missili e di basi dei terroristi dentro case, moschee, scuole. Se si pensa che i razzi sono stati circa 1500 e gli obiettivi militari circa 2300 in undici giorni, questo da la misura della capillarità di una guerra che purtroppo miete anche vite di bambini. I palestinesi della Striscia prigionieri del regime integralista islamico che ne fa scudi umani sono esausti, 50mila hanno cercato rifugio presso l'UNRWA, ma è difficile immaginare una protesta popolare, la pena sarebbe la morte. Hamas, nonostante sia alla fame, assetato, isolato, colpito anche nelle sue strutture strategiche, è in cerca di un risultato che dimostri che lo schieramento jihadista vince: «Manderemo i bambini armati a combattere contro il nemico sionista», ha annunciato ieri un portavoce. Da un lato dichiarano che alla fine la proposta dell'Egitto dovrà essere presa in considerazione, dall'altro Mohammed Deif, il durissimo capo militare, spinge verso un accordo mediato solo dalla sua parte, quella dei Fratelli Musulmani, che dovrebbe rifornire Hamas di denaro, e di Erdogan, il presidente turco che predica che Israele è «l'assassino di bambini numero uno». La venuta di Ban Ki Moon nell'area e l'avvento previsto di Kerry non promettono molte novità.
   Lo schieramento dei Fratelli Musulmani è nettamente contrapposto a quello Egiziano, dato che al Sisi nasce sull'espulsione di Morsi, ed è difficile mediare fra i due che si odiano come solo il Medio Oriente sa fare. Quando nel 2011 ebbe luogo una irruzione armata nel carcere in cui Morsi era rinchiuso, l'Egitto individuò fra i colpevoli anche membri di Hamas, e ormai il suo nome è identificato con quello di Ansar Bayt al Maqdis, colpevole di tutti gli attentati contro il ministro degli Interni, contro i Servizi di Sicurezza, contro i soldati egiziani e un elicottero egiziano abbattuto in Sinai. Per bloccare i movimenti di Hamas al Sisi ha distrutto dozzine di gallerie che da Gaza portano in Egitto. Ansar Bayt al Maqdis è l'ala militare della Fratellanza, e certo Deif non le è alieno. È difficile associare queste attività alla consueta idea della «causa palestinese». Hamas appartiene ormai a quella parte dello schieramento islamista che promuove il califfato universale, e si intreccia col movimento armato che spazza l'Iraq e la Siria e lo copre di sangue. In giugno una manifestazione pro Isis, ovvero l'organizzazione che anche ieri ha ucciso almeno 22 persone a Baghdad, ha avuto luogo a Gaza.
   Il giornale egiziano Masry Al Youm ha dato notizia di 15 terroristi arrestati che, preparati a Gaza, hanno cercato di entrare dal Sinai. Su un video di Youtube terroristi di Gaza promettono fedeltà all'Isis. Anche Al Qaeda usa Gaza come base di attività: con un video hanno annunciato da Gaza la loro guerra contro «infedeli, traditori, e crociati». Al Qaeda ha annunciato ufficialmente la sua presenza a Gaza nel febbraio di quest'anno, a Gaza hanno sede e, secondo fonti, fanno il loro training, Jaysh al Ummah, Daesh, Isis, e altri gruppi di integralisti. Il primo palestinese di Al Qaeda, Nabil Abu Okal, fu arrestato all'ingresso di Gaza nel 2000, spedito dall'Afghanistan per organizzare il gruppo. Ha avuto contatto con Gaza il terrorista Richard Reid, quello che cercò di far esplodere un aereo dell'American Airlines riempiendosi le scarpe di esplosivo. Yusuf Muhammed Hanif, il terrorista suicida di nazionalità inglese che si fece saltare per aria a Tel Aviv in un bar fu reclutato a Londra, spedito a Damasco per proseguire per Gaza, e ricevette la missione da un comandante militare locale.
   Molti altri episodi disegnano il nemico pubblico di Egitto, Arabia Saudita, Emirati, Giordania, di tutte le vittime moderate, e naturalmente di Israele. Abu Mazen, capo predestinato del fronte moderato, è andato in Turchia per bloccare i tentativi di Erdogan di boicottare la pace. E oggi a Doha, in Qatar, incontrerà il capo politico di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, per parlare di un'eventuale tregua a Gaza in grado di fermare l'azione militare di terra israeliana. Ma ci sono tre ostacoli: l'ostinazione dello schieramento estremista; il fatto che al Sisi più che fare la pace vorrebbe che Israele distruggesse il suo nemico. E infine, un paio di mesi fa Abu Mazen stesso ha formato un governo di coalizione con Hamas. E ora dovrebbe diventare il garante del mondo palestinese. Difficile.

(il Giornale, 20 luglio 2014)


La guerra immorale di Hamas

La guerra porta sempre con se' il suo carico di dolore, devastazioni e lutti; per cui sarebbe ingenuo o ipocrita credere che l'ultimo conflitto scatenato e perpetrato da Hamas , fosse diverso rispetto a quelli deflagrati in passato nell'area. Ciò non toglie che in tutte le guerre sia sempre stato rispettato un codice etico; una moralità che escludeva condotte palesemente ripugnanti, ancor prima che le stesse fossero censurate dal codice di guerra. Più volte Hamas in questi giorni sta violando senza scrupoli un codice non scritto ma rispettato da anni....

(Il Borghesino, 20 luglio 2014)


L'imam invoca davanti al Papa «La vittoria sui miscredenti»

All'incontro per la pace di Pentecoste, un invitato palestinese legge una preghiera che sa tanto di guerra santa. Il Vaticano censura il passaggio ma uno scrittore tedesco-egiziano scopre tutto.

di Andrea Morigi

 
Hamed Abdel-Samad, lo scrittore arabo-tedesco che ha confermato la trappola islamica tesa al Vaticano
Vatti a fidare dei musulmani palestinesi. Li inviti a pregare per la pace e loro ne approfittano per predicare la guerra santa. Quanto siano affidabili le loro proposte di tregua, nel conflitto annualmente in corso nella Striscia di Gaza, lo indica un episodio recente, avvenuto all'interno del territorio della Santa Sede, nientemeno che al cospetto del Vicario di Cristo.
   8 giugno, domenica di Pentecoste. Giardini vaticani. Sul capo dei presenti, invece delle «lingue come di fuoco» citate dagli Atti degli Apostoli, scende una minaccia sotto forma di preghiera: «Tu sei il nostro patrono, dacci la vittoria sui miscredenti». L'imam sunnita palestinese che la pronuncia sta recitando la parte conclusiva della Sura II del Corano, Al Baqara. Peccato che non sia il testo preventivamente concordato e comunicato agli organizzatori della giornata, promossa da Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Terrasanta.
   Lì per li, i dignitari delle tre religioni monoteiste non si scompongono. Quelli che conoscono l'arabo fanno finta di nulla, anche se le riprese filmate dell'evento li mostrano decisamente imbarazzati. Gli altri, compreso il Santo Padre che ospita l'incontro, verosimilmente non colgono l'entità dell'affronto. Tutti rimangono raccolti, come si addice alla solennità del momento.
   Solo qualche giorno più tardi saranno raggiunti da una diversa consapevolezza di quanto accaduto. L'incidente viene minimizzato, a livello ufficiale. Che se ne siano accorti, è indubitabile perché, nel video diffuso dai servizi d'informazione vaticani, quel passaggio è saltato in fase di montaggio. Successivamente, sarà padre Bernd Hagenkord, gesuita responsabile delle trasmissioni in tedesco della Radio Vaticana, a tentare di chiarire l'equivoco con una versione addomesticata del versetto. Il testo, per come lo hanno interpretato loro, suona così: «Tu sei il nostro protettnore, aiutaci contro il popolo dei non credenti» e potrebbe anche indicare una sorta di slancio missionario. Avevano pubblicato anche, il 10 giugno, una smentita nervosa ed eloquente sin dal titolo: «Nein, nein, nein», dove accusavano di «insensatezza» e «paranoia» quanti cercavano di indagare sull'accaduto. L'effetto era stato simile a quello di un boomerang. I testi messi a disposizione sul sito web della Radio Vaticana risultavano monchi proprio della parte incriminata. Ma chi aveva potuto seguire la cerimonia in diretta televisiva aveva sentito tutto. E le registrazioni rimangono a documentarlo, anche su Youtube. Uno scrittore arabo-tedesco, Hamed Abdel-Samad, ne traduce e diffonde la versione completa. E così si scopre definitivamente l'inganno.
   La prossima volta, magari, i dignitari ecclesiastici ci staranno più attenti, nelle occasioni di dialogo interreligioso. Ma chi ha quotidianamente a che fare con la taqiyya, cioè la tattica della dissimulazione praticata dai musulmani più scaltri, non si fida. Gli israeliani sanno che quando Hamas parla di hudna sarebbe un'ingenuità imperdonabile confonderla con una tregua: è soltanto una pausa del conflitto, che si sfrutta allo scopo di riarmarsi. Se n'era già servito Maometto nel 628 per conquistare la Mecca. Anche lui era uno che parlava di pace. Anche se intendeva quella successiva all'annientamento del nemico.

(Libero, 20 luglio 2014)


"Notizie su Israele" aveva informato di questo imbroglio più di un mese fa .


Noi ebrei italiani vediamo segnali inquietanti

di Gian Guido Vecchi

ROMA — Siete preoccupati?
«Anzitutto c'è una preoccupazione di fondo per quello che sta succedendo, la pena, la sofferenza, la tensione, i morti. E a tutto questo si somma la preoccupazione per cose già viste...».
Riccardo Di Segni è il rabbino capo di Roma; la più antica comunità della diaspora risale nella memoria ad oltre duemila anni, ma non occorre andare tanto lontano.

«Ogni volta che c'è un intensificarsi del conflitto nell'area del Vicino Oriente, c'è una ricaduta europea a espressione antiebraica. E già successo varie volte, con effetti sanguinosi».

- II presidente degli ebrei romani, Riccardo Pacifici, ha ricordato l'attentato alla sinagoga di Roma, nell'82, con la morte di Stefano Gaj Taché, un bimbo di due anni.
  «Sì, ciò che accadde nell'82 è chiaramente simbolico, nella sua minaccia. Ci si rivolge alla sinagoga come a un simbolo, si estende il conflitto all'Europa con uno slittamento dal piano politico a quello religioso. L'indicatore francese è angosciante. Alcune cose che sono poi successe in Italia hanno avuto sempre precedenti francesi, anche nell'82. E in Francia stanno succedendo fatti allarmanti, l'assalto alle due sinagoghe, i fedeli rimasti sequestrati nel tempio a Parigi...».

- E ora sulla sinagoga di Vercelli sono apparse scritte del tipo «Israele assassini». Cosa dicono episodi simili?
  «C'è un conflitto mediorientale che oppone israeliani e palestinesi. Una larga ma peraltro non esclusiva maggioranza degli ebrei sostiene le ragioni di Israele, per motivi storici, di vicinanza, per il fatto che molti hanno parenti e amici là. Ma che lo si voglia far diventare un conflitto tra ebrei e musulmani è qualcosa di aberrante. L'idea che una sinagoga diventi il bersaglio del conflitto nel Vicino Oriente è folle.
E’ certamente folle, ma questo è l’islam.
Lo si trasforma in una guerra di religione.
Per l’islam la guerra in corso non è stata “trasformata” in “guerra di religione” perché “è” una guerra di religione. Questo è folle, certo, ma non è saggio non tenerne conto ed esserne sorpresi.
E ci sono dei segnali...».

- Piano religioso. La sinagoga diventa un simbolo, con uno slittamento dal piano politico a quello religioso Ad esempio?
  «In Turchia il partito di Erdogan ha sollecitato il boicottaggio dei negozi degli ebrei, lo stesso Erdogan dice che gli ebrei si devono scusare. E di che cosa si dovrebbero scusare, gli ebrei turchi? A Zurigo c'è stata una manifestazione filo palestinese con striscioni che dicevano che un buon ebreo è un ebreo morto. Un ebreo, non un israeliano. Qui sta il passaggio angosciante»
.
- C'è chi rinfaccia agli ebrei il sostegno alle ragioni di Israele...
  «La differenza è nel fatto che noi non esportiamo il conflitto in Europa, non andiamo ad attaccare le moschee. Questo è il punto nodale: c'è un fondamentalismo che sta esportando il conflitto. E poi c'è anche un problema di informazione, di chi colpevolizza una parte facendo leva su sentimenti ancestrali». Il Talmud dice che «il mondo si regge sul respiro dei bambini». Lei, da uomo di fede, cosa sente davanti a tragedie come i bimbi di Gaza uccisi in spiaggia?
  «Sento un dolore, una pena infinita. Bisogna mantenere il livello di vigilanza del dolore, non abituarsi. E insieme analizzare. A distanza minima dalla Striscia sono in corso massacri che coinvolgono intere popolazioni civili, ad esempio in Siria, e la cosa non fa notizia. C'è da chiedersi perché».

- Ieri il Papa ha telefonato a Peres e Abu Mazen, quando li invitò in Vaticano disse: «Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento».
  «E giusto, ma a Peres scade il mandato e Abu Mazen controlla a stento la Cisgiordania e per nulla la Striscia. Si sta parlando a persone che purtroppo non hanno capacità di intervenire. Il fenomeno cui stiamo assistendo è un circolo vizioso di radicalizzazione, di estremismo. La buona volontà non manca. Ma c'è n'è tanta, di cattiva volontà».

(Corriere della Sera, 20 luglio 2014)


La Dolce Vita dei capi di Hamas

di Rossana Miranda

Dettagli sullo stile di vita non troppo uguale a quello della popolazione che si dice di difendere e informazioni su come questa disparità inizia ad essere criticata dagli stessi palestinesi...
Chi vede le foto di Gaza può rendersi conto che la maggior parte della popolazione vive nella povertà assoluta. Il 90% degli abitanti non hanno possibilità economica di pagare alimenti e servizi e il 65% è disoccupato. Secondo la Banca Mondiale la Striscia di Gaza è il terzo "Paese" arabo più povero dopo il Sudan e lo Yemen, anche questi colpiti da conflitti etnici e religiosi. Nel suo blog, l'attivista palestinese Raji Surani spiega che "la vita qui a Gaza è diventata catastrofica dal 2007", quando cominciò il cerchio israeliano nella zona sotto controllo di Hamas.

- Il lusso di Hamas
 
Uno dei capi di Hamas prende il sole in piscina in un albergo di lusso in Qatar
  Poche immagini però mostrano il lusso nel quale vivono i leader di Hamas, l'organizzazione terroristica palestinese. Uno dei capi, Khaled Meshaal, politico che appartiene alla fazione siriana dell'organizzazione, ha visto colpita la sua popolarità proprio per questo: i militanti non tollerano più il lusso nel quale vive e si chiedono da dove provengono i soldi con i quali si è arricchito negli ultimi anni.

- Le operazioni di Haniyeh
  Lo scontento dei palestinesi e del mondo arabo in generale è in aumento. La rivista egiziana Rose al-Yusuf ha denunciato che l'ex primo ministro Ismail Haniyeh, nato nel campo profughi di Shaty, ha pagato quattro milioni di dollari per una casa di 2500 metri quadri a Rimal, un quartiere di lusso sul mare a Gaza City. Per non dare nell'occhio le operazioni sono state fatte da un'altra persona di famiglia. Un altro suo figlio, invece, è stato fermato a Rafah con una valigia contenente un milione di dollari in contanti.

- I soldi egiziani
  Un altro fondatore di Hamas che non si risparmia quando si tratta del suo stile di vita è Ayman Taha. Nel 2011 è riuscito a comprare una villa di tre piani in centro a Gaza per 700mila dollari. I tunnel da Gaza a Israele e le mediazioni con il governo egiziano di Mohamed Morsi sono state decisive per guadagnare queste somme.

- La stampa araba
  Ora che gli israeliani hanno dato il via ad un'operazione di terra (partita ieri per chiudere alcuni tunnel) i palestinesi sono più indignati e lanciano critiche pesanti ai leader di Hamas attraverso i media arabi. Le accuse sul benessere in cui vivono, mentre a Gaza si muore di fame, arrivano non solo dai rivali storici ma anche da antichi alleati nella resistenza: l'Arabia Saudita, l'Egitto di Al-Sisi e i Fratelli musulmani.

- La rabbia della stampa egiziana
  La stampa ha fatto luce sulle condizioni in cui vive la leadership di Hamas. E così un giornalista egiziano sostenitore dei Fratelli Musulmani ha insistito che le forze armate in Egitto hanno problemi interni a cui fare fronte e non possono accogliere la loro richiesta di aiuto. La liberazione di Gerusalemme non è tra le priorità. Stessi commenti sono stati pubblicati dai principali media siriani.

- Gli alberghi di lusso in Qatar
  "Uscite dal vostro albergo in Qatar e venite a combattere a Gaza", ha scritto l'editorialista egiziano Jaled Mash'al. E ha aggiunto: "Dove è lo spirito eroico? Uscite dagli alberghi a Doha dove tanto avete goduto e scendete nel campo di battaglia a lottare contro il nemico sionista che uccide i frutti dei nostri alberi… Non moriremo di fame mentre voi assaggiate le delizie dei tavoli a Doha".

- Perdità della legittimità
  In un articolo intitolato "Gaza non è Hamas" pubblicato dal quotidiano Al-Gumhouriyya, l'analista Nagla Al-Sayyid spiega che Hamas sta perdendo la sua legittimità perché negozia con il sangue dei palestinesi e approfitta degli aiuti finanziari che raccoglie per promuovere interessi politici ed ideologici: "Che terribile è vedere bambini, donne e persone anziane vittime del nemico sionista che compie crimini contro l'umanità… Hamas ha danneggiato la causa palestinese e ha dimostrato essere un movimento di imbecilli e fallito".

- Strumento di odio
  Sul sito Elaph.com, lo scrittore e giornalista egiziano Kamal Gabriel compara Hamas ad Hitler, dicendo che ha creato danni alla causa del popolo palestinese, ferendolo più di Israele: "È un fatto tragico quando un dittatore o una banda di delinquenti si fa carico di un popolo e lo fa diventare ostaggio e strumento. Hitler in Germania e Saddam Hussein in Irak l'hanno fatto in passato; Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza lo fanno ora. I "Fratelli distruttivi" (Fratelli Musulmani, ndr) ci sono quasi riusciti in Egitto".

(formiche.net, 19 luglio 2014)


Vivere e morire nei tunnel di Gaza. Ora Hamas li usa per attaccare

A innescare l'operazione terrestre israeliana a Gaza è stato, in definitiva, un tunnel. nella notte fra mercoledì e giovedì 13 ombre sono uscite dalle viscere della terra, all'interno di israele, a un chilometro dai cancelli del kibbutz di sufa, nel neghev occidentale. se questo commando di hamas, armato fino ai denti, avesse raggiunto le case vicine, avrebbe potuto compiere un massacro e anche portare ostaggi nella vicinissima Gaza. avrebbe cioè impresso una svolta ancora più drammatica e sorprendente al conflitto in corso.
   Ma un drone israeliano, allertato da una vedetta, ha costretto i miliziani a rientrare nel tunnel da dove erano passati. in 20 secondi, con un prodigio di agilità, erano tutti di nuovo sotto terra. Cinque secondi dopo, l'imboccatura del tunnel (mezzo metro circa di diametro) è stata colpita da un razzo sganciato da un aereo. Quella dei tunnel scavati sotto ai recinti di confine, dice adesso il premier Benjamin Netanyahu, è — assieme con i lanci dei razzi — una delle minacce che hanno obbligato l'esercito israeliano a entrare a Gaza. Perché dal cielo non possono essere distrutti. Il tunnel sboccato a Sufa è lungo almeno due chilometri. La sua profondità media, si presume, è di 20 metri sotto al terreno. Al suo interno un uomo di media statura può muoversi eretto. Gli israeliani non hanno ancora potuto ispezionarlo. Un cane mandato in avanscoperta ha innescato un ordigno. Un soldato che gli era vicino è rimasto ferito.
   Dove sia l'altro capo del tunnel e se ci siano diramazioni nel suo tragitto, Israele può solo immaginarlo. Un altro cunicolo scavato da Gaza era stato fatto esplodere la settimana scorsa, pochi chilometri a sud, al valico di Kerem Shalom. Lungo il confine con Israele potrebbero esserci altri dieci?venti tunnel di attacco. Per neutralizzarli, occorre entrare nella Striscia e trovarne l'inizio. Realizzare un tunnel di due chilometri costa, presumbilmente, due milioni di dollari. Ma su questo fronte Hamas non bada a spese. Per i suoi comandanti militari ha approntato sotto Gaza un labirinto di bunker e di sale di comando, dotate di aria condizionata, e di scorte di cibo, dove possono agire e resistere settimane, e forse mesi.
   I tunnel di attacco sono invece più spartani. La loro realizzazione è' un progetto di almeno un anno di lavoro: lo ha dedotto l'intelligence di Israele avendo trovato abiti invernali in un tunnel scoperto d'estate. L'apertura (per non essere notata dai droni israeliani) e' sempre all'interno di una casa, o di una serra, o di un pollaio. Un posto qualsiasi che abbia un tetto e dove possano essere dissimulate le quantità di terra scavate. Il suo interno è largo un po' di mezzo metro. Le pareti sono tappezzate da lastre di cemento. Lungo il tragitto corrono i fili della corrente elettrica e delle comunicazioni. Sui muri sono tracciate con lo spray scritte in codice, che consentono a chi lo percorre di rendersi conto della propria posizione rispetto alla superficie.
   La rilevazione in israele degli sbocchi dei tunnel non ha ancora trovato una soluzione tecnologica adeguata. mesi fa un cunicolo fu scoperto fortuitamente dopo piogge torrenziali.
   Adesso gli abitanti della zona dicono all'esercito che non potranno dormire sogni tranquilli fintanto che l'intero confine con Gaza non sarà protetto — come in Europa si faceva già 500 anni fa — con un vallo molto profondo, pieno d'acqua.

(Quotidiano.net, 19 luglio 2014)


Per Israele, i tunnel che portano armi e nemici sono più pericolosi dei razzi

di Rolla Scolari

 
Tunnel a Gaza
MILANO - Il 25 giugno 2006, in un agguato di uomini armati appartenenti a Hamas a un gruppo di soldati israeliani lungo la frontiera della Striscia di Gaza, fu sequestrato il caporale Gilad Shalit. Il rapimento aprì un capitolo complicato per Israele, che si concluse cinque anni dopo, il 18 ottobre 2011, con lo scambio tra il giovane e 1.027 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Nel giorno dell'imboscata e del rapimento, il soldato Shalit fu ferito da un commando palestinese emerso da un tunnel sotterraneo. I miliziani lo rapirono e lo trascinarono nella galleria, oltre il confine. L'operazione di terra israeliana iniziata alle dieci di sera di giovedì avrebbe secondo i vertici militari un obiettivo tattico immediato: la distruzione di tunnel sotterranei utilizzati dai gruppi armati palestinesi di Gaza per infiltrarsi nel territorio israeliano da una parte e dall'altra per contrabbandare armi - ma anche far passare carburante e beni di consumo - lungo la frontiera con l'Egitto.
   Scrive il Wall Street Journal che secondo fonti della sicurezza israeliana le gallerie sotterranee di Hamas e di altri movimenti armati della Striscia sarebbero per Israele una minaccia più robusta perfino delle centinaia di razzi che da giorni cadono sul sud e sul centro del paese. Proprio un ultimo episodio, avvenuto giovedì, avrebbe spinto la dirigenza di Israele a decidere di dare il via a un'operazione di terra. Tsahal ha infatti sorpreso 13 membri di un commando palestinese mentre entravano in territorio israeliano attraverso una galleria sotterranea. Gli uomini sono stati respinti nel tunnel con l'intervento dell'aviazione.
   In cinque anni i militari avrebbero individuato l'esistenza di almeno cinque tunnel sotterranei che attraversano il confine tra Gaza e Israele. Nel 2013, le unità israeliane hanno scoperto una galleria sotterranea lunga quasi due chilometri, scavata 18 metri sottoterra e rafforzata con 500 tonnellate di cemento. Gili Cohen sul quotidiano israeliano Haaretz spiega che secondo l'intelligence militare il movimento islamista avrebbe addestrato unità speciali nella costruzione di queste gallerie, spesso dotate di luce elettrica e linee telefoniche, armate di cariche esplosive per provocarne il collasso in caso di emergenza, scavate a una profondità che arriva anche a 20 metri nel sottosuolo.
   I vertici militari israeliani, dopo dieci giorni di raid aerei che hanno fatto circa 260 vittime nella Striscia di Gaza, hanno deciso l'incursione di terra proprio per annientare la rete di tunnel. Per farlo, spiegano gli esperti militari, è necessaria la presenza di soldati sul campo, coperti dal fuoco dell'aviazione.
   La rete di gallerie scavate dai palestinesi di Gaza non rappresenta una minaccia soltanto per gli israeliani. L'esercito egiziano, allora guidato ancora dal futuro presidente Abdel Fattah al Sisi, a marzo annunciò di aver distrutto 1.370 gallerie sotteranee che attraversavano gli appena 12 chilometri di confine tra la Striscia e il Sinai egiziano. I tunnel sotto la cittadina frontaliera di Rafah rappresentano per i cittadini di Gaza un canale per ottenere carburante, prodotti alimentari e beni di ogni tipo soprattutto da quando al Cairo siedono i militari ostili a Hamas, costola della Fratellanza musulmana egiziana. La nuova leadership egiziana ha infatti ristretto quasi totalmente il passaggio attraverso il valico di confine, e in questo modo ha sigillato ancora di più il milione e mezzo di abitanti della Striscia in 360 chilometri quadrati di costa. I gruppi armati continuano però a usare le gallerie per il contrabbando di armi e per tenere vivi i contatti tra i movimenti della Striscia e i gruppi estremisti del Sinai egiziano.

(Il Foglio, 19 luglio 2014)


Memorandum relativo al conflitto in atto tra Israele e Gaza

Il Presidente della Federazione Associazioni Italia-Israele ci ha trasmesso un documento dell'«European Alliance for Israel», di cui anche la Federazione italiana fa parte, che è un appello ai ministri degli esteri europei a difesa della legittimità di una risposta militare di Israele agli attacchi terroristici di Hamas. Il documento è stato inviato al Ministro degli Esteri Federica Mogherini.

Le Associazioni di Amicizia con Israele rivolgono un appello ai loro Governi  
Il 29 novembre 2012, come diretta conseguenza del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite concedeva alla Palestina lo status di osservatore di Stato non membro. Con l'eccezione della Repubblica Ceca, tutti gli Stati europei avevano votato a favore o si erano astenuti. Un argomento spesso utilizzato a sostegno della decisione delle Nazioni Unite era che con lo status di osservatore riconosciuto allo Stato, l'ONU avrebbe potuto in futuro impedire alle fazioni palestinesi, in particolare ad Hamas, di attaccare Israele.
Quasi due anni dopo, si deve constatare che la posizione assunta dai Governi europei è stata utilizzata da Hamas. Se per i Governi l'obiettivo era davvero quello di condizionare Hamas ed il nuovo Governo di unità palestinese, essi hanno chiaramente fallito, come è stato dimostrato da Hamas con le azioni degli ultimi dieci giorni. Non si può passare sopra al fatto che da quando è stato dichiarato il cessate il fuoco, nel 2012, Hamas ha potuto aumentare massicciamente il proprio arsenale missilistico sotto gli occhi della comunità internazionale, ed ora lo sta utilizzando contro la popolazione civile israeliana, con oltre 900 attacchi sino ad oggi.
I Governi dei Paesi europei hanno più volte riconosciuto il diritto di Israele all'autodifesa. Ora Israele sta esercitando questo diritto. Le Associazioni di Amicizia con Israele, firmatarie della presente nota, si attendono che i Governi dei rispettivi Paesi riconoscano la legittimità di Israele di rispondere militarmente agli attacchi terroristici in corso da parte di Hamas.
    • Anglo-Israel Association
    • Česká Společnost Přátel Izraele
    • Cultural Friendship Association Romania-Israel
    • Dansk-Israelsk Selskab
    • Deutsch-Israelisch Gesellschaft (DIG)
    • Društvo srpsko-jevrejskog prijateljstva
    • Federazione delle Associazioni Italia-Israele
    • FRANCE-ISRAEL. Alliance Général KOENIG.
    • Genootschap Nederland Israel
    • Gesellschaft Schweiz Israel (GSI)
    • ICEJ Suomen osasto
    • Ireland Israel Friendship League
    • Irish 4 israel
    • Les amitiées Belgo-Israélienne
    • Magyar-Izraeli Baràti Tàrsasàgok és Körök Orszàgos Szövetsége
    • Med Israel for fred (Norway)
    • Österreichisch-Israelische Gesellschaft (ÖIG)
    • Samfundet Sverige-Israel
(Federazione delle Associazioni Italia-Israele, 19 luglio 2014)


Gli abitanti esasperati di Tel Aviv: «Sì all'attacco, liberiamoci dai razzi»

Alle sei del pomeriggio le sirene squarciano l'aria di Tel Aviv. Il sistema antimissile Iron Dome polverizza due razzi. Sono una piccola quota dei 50 lanciati da Gaza anche ieri, primo giorno dell'invasione di terra della Striscia. «Qui l'80-90 per cento dei cittadini — confida all'Ansa un noto giornalista israeliano — è d'accordo con Netanyahu, magari a malincuore. È una maggioranza silenziosa che non agita bandiere e non suona fanfare, ma è stufa di dover scendere in guerra contro Gaza ogni due o tre anni. Tutto questo deve essere fermato una volta per tutte». Dello stesso parere è un anarchico autore di programmi radio cult, che da un tavolino del bar Tamar dice: «Nessuno vuole conquistare Gaza. Vogliamo solo che la smetta con i missili e con i tunnel dai quali sbucano all'improvviso per mettere a segno gli attentati».

(Fonte: Quotidiano.net, 19 luglio 2014)


Red Alert
Per avere una pallida idea di quello che significa vivere sotto i razzi

Esiste già da un paio d'anni una App per iPhone e iPad, Red Alert, che avverte ogni volta che da Gaza viene sparato un razzo su Israele. L'abbiamo provata. Alla fine è snervante sentir suonare ogni pochi minuti una sirena d'allarme, ma non sarebbe male che diversi provassero quest'emozione e magari facessero sentire anche ad altri il suono ripetuto di quel lugubre avviso. Qualche pensiero potrebbe cambiare.

(Notizie su Israele, 19 luglio 2014)


Lettera aperta da Tel Aviv
Articolo segnalato da Chicca Scarabello


di Giulia Pula Machtey*

Salve, il mio nome è Giulia e abito a Tel Aviv. Ci abito adesso, perché io non sono nata qui. Io sono di Rimini, la bella Rimini, in Romagna.
   E' semplicemete capitato che sia venuta a vivere in questo paese, non l'avrei mai detto. Io mi sono solo innamorata di un timido ragazzo incontrato per caso sui banchi di scuola all'università, un ebreo e un israeliano. Sono ormai due anni che mi sono trasferita e sento di dover condividere in questo delicato momento il mio bollettino. Io qui non ci sono nata, e non sono nemmeno ebrea. Ho guardato un po' stupita , come spettatrice, questo mondo in cui mi trovo. E ho imparato. Ho imparato che gli israeliani sono un popolo forte. Più forte di quello che avrei potuto immaginare. E allora voglio spiegare un po' il perché. Tra una telefonata e un facetime a casa, nell'ultima settimana, mi sono ritrovata a dover correre alla disperata ricerca di un rifugio per me ed il mio piccolo bimbo di tre mesi, stretto stretto fra le mie braccia. E in questo momento e proprio da qui che sto scrivendo, dal bunker di cemento che hanno costruito dentro il mio appartamentino.
   Mi ero svegliata non da molto (si sa, con un bambino così piccolo le notti sono ancora lunghe). Ero sul terrazzo, sulla mia sedia a dondolo rossa comprata in uno dei nostri afosi venerdì di luglio, in un piccolo mercatino arabo. Il mio bimbo mi stava regalando uno dei suoi primi sorrisi del mattino, quando improvvisamente sento una sirena .
   Non riesco a descrivere cosa significhi ascoltarla. Fra pochi ISTANTI un missile cadrà qui vicino. I primi attimi sono sempre gli stessi. Non penso sia più di qualche secondo, ma inizialmente il mio cuore si ferma. Perde un battito. E mi chiedo se me lo stia immaginando, ancora. Perché da quando hanno cominciato a sparare i missili anche qui, io tutti i rumori li ascolto! Alcune volte al giorno, se lavo i piatti mi fermo e spengo l'acqua, e ascolto. Ascolto se quel rumore è l'inizio di una sirena oppure un altro treno che passa vicino a casa mia. Perché io non sono mica nata qui. Mi ci devo abituare. E questa volta davvero.
   E allora mi alzo subito dalla mia sedia a dondolo e trascino il mio cane, chiamo mio marito e la mia mamma, che mi è venuta a trovare per pochi giorni, per vedere il suo primo nipotino, e chiudo dietro di me la pesante porta del bunker. Appena mi siedo, sento il mio cuore battere dentro le mie orecchie e un "boom" rimbomba nella stanza. Poi un altro. E un altro ancora. E la porta, che nella fretta non avevo chiuso a chiave, si apre improvvisamente. Noi non parliamo, per qualche secondo. Non sappiamo cosa sia successo, non lo possiamo sapere. E aspettiamo, in silenzio. Forse è finita per ora. Usciamo. Che strana sensazione. Ho paura, ancora il cuore batte forte e il mio bimbo mi stringe il braccio, rannicchiato come un piccolo ranocchio. Eppure mi sento fortunata. Fortunata! Io ho fatto tutto questo forse in 45 secondi. La sirena mi dà un margine di al massimo un minuto e mezzo. A non più di 40 km da qui io forse non sopravviverei. Perché loro hanno 15 secondi. 15 SECONDI. Se avessi avuto un altro bimbo e una casa a due piani, non sarei nemmeno riuscita ad andare a prendere l'altro bambino per metterli al sicuro entrambi. E loro sono bombardati quasi senza tregua dal 2005, esattamente da quando l'esercito israeliano ha lasciato Gaza nella speranza di favorire un dialogo di pace.
   Però voglio dirvi qualcosa di chi sono io. Io sono una dottoressa. Ho studiato nella Bologna, La Rossa. E sono una ragazza normale, una piccola Romagnola. Sono cresciuta mangiando di gusto la piadina col prosciutto e andando alla spiaggia nelle affollate estati riminese. Sono anche cresciuta e stata educata in un ambente piuttosto di sinistra. Anche la mia mamma è una dottoressa, e la mia vita è stata sempre piuttosto tranquilla!
   Quando mio marito, medico anche lui, mi ha chiesto dopo essersi laureato di trasferirmi a Tel Aviv, almeno per la nostra specializzazione, perché proprio gli mancava tanto casa sua, io quasi immediatamente e spontaneamente ho detto "si!". Nessun rimpianto. E da quando sono venuta a vivere qui ho incontrato tante persone così diverse da me, e ho conosciuto. E ho imparato. E non è stato sempre facile. Ho imparato che gli israeliani sono difficili. Che sono cocciuti. Che sono orgogliosi.
   Ma ho anche imparato che gli israeliani sono persone buone. Che hanno un grande grande cuore. Che gli israeliani sono come una enorme, unica famiglia. Che sono solo 6 milioni. E che sono sognatori. E sanno combattere come nessun altro per i loro sogni. Ma non mi si deve credere sulla parola. Voi non mi conoscete. Sì deve venire. Tu, che controlli sdegnato gli aggiornamenti sul conflitto arabo-palestinese sul tuo giornale online. Tu che parli come se avessi la verità in mano, di quanto "gli israeliani potrebbero fare la pace con Hamas se solo veramente volessero". Tu che pubblichi su Facebook foto di cui non capisci minimamente il significato, VIENI QUA. Parla per la prima volta nella tua vita con un ebreo. E con un israeliano. Vieni a conoscerci. Prendi un biglietto, appena sarà di nuovo un po' più calmo, prima che Hamas decida di bombardarci ancora, e invece di andare in vacanza altrove, prenditi qualche giorno per stupirti. Non hai idea di quello che vedrai. Della civiltà meravigliosa e delle persone che incontrerai.
   Prima di concludere, dal momento che voglio andare a far compagnia a mio marito, che in quanto pediatra è tornato da un turno di 26 ore dove ha dovuto prendersi cura di bambini (sapete, anche noi abbiamo dei bimbi che amiamo) terrorizzati dagli allarmi. voglio scrivere questa ultima cosa. Io sono una specializzanda in Cardiochirurgia (chiedete pure quante donne sono chirurghe o addirittura cardiochirurghe in Italia) e nel mio ospedale almeno la metà della mia giornata lavorativa la passo in sala a operare bambini malati di patologie cardiache e provenienti da tanti Paesi in tutto il mondo. Questo è il risultato dell'enorme sforzo di una associazione israeliana , "save a child's heart" , il cui scopo è di identificare bambini con patologie al cuore e che non potrebbero sopravvivere senza una complessa operazione che i medici dei loro paesi non sanno eseguire. E allora grazie a donazioni di persone da tutto il mondo e di tantissimi israeliani, si riesce a portarli da noi, spesso con la loro mamma, dove vengono operati e curati.
   Il mio primario dr Sasson ne opera almeno due al giorno. Non si prende vacanze. Ritorna in ospedale a tutte le ore della notte. E solo perché lo sappiate, io questo non lo dico quasi mai, lo sapete da dove vengono la maggioranza dei bambini? Da Gaza. Io e con me tanti israeliani diamo i nostri risparmi per salvare il cuore e la vita di un bambino di Gaza. Quella stessa Gaza che adesso mi fa stare chiusa con il MIO bambino dentro questo bunker e minaccia di abbattere l'aereo che mia mamma potrebbe prendere nei prossimi giorni. E allora da qui dentro io voglio dire che nonostante i loro missili e le loro minacce, il mio cuore è pieno di forza, e che io posso solo essere orgogliosa di essere una cittadina di questo meraviglioso paese che è Israele.


* Medico al Wolfson Medical Center di Holon

(da Facebook, 12 luglio 2014)


«Qui, sotto i missili di Hamas la guerra è l'unica possibilità»

Voci dai kibbutz dove ancora cadono i razzi palestinesi: «Viviamo come topi nei rifugi e mandiamo i nostri ragazzi a morire per difendere il Paese dai terroristi».

di Fiamma Nirenstein

Da quando giovedì notte l'esercito ha lanciato la sua offensiva di terra, Israele è un altro mondo. Non c'è famiglia di questo piccolo Paese che non abbia figli, nipoti, fidanzati della figlia impegnati in guerra. La trepidazione è senza confini, lungo il confine di Gaza vediamo i ragazzi ammassati nelle tende e sulla strada, c'è chi torna e chi sta per entrare, il campo formicola intorno ai carrarmati. I soldati verificano le armi, stanno sovente ritti in cima alla torretta, la tv mostra le loro facce nel buio mentre l'uno mimetizza l'altro con colori della terra e nasconde i tratti di ragazzino. I giovani capi danno loro brevi viatici solenni prima di entrare: «Ecco, stiamo per fare quello per cui siamo qui, difendere il nostro Paese dai terroristi. Ci fidiamo di voi, forza e avanti».
   Il difficile scopo principale è quello di distruggere i tunnel con cui Hamas lancia attacchi terroristici su Israele. I telefoni dei giovani non funzionano, è impossibile conoscere la loro condizione, le famiglie tremano a ogni annuncio di feriti. C'è stato un primo soldato ucciso, Eitan Barak, 20 anni, e quattro feriti. Un'operazione di terra costa cara, Netanyahu ha riflettuto per 11 giorni prima di decidere che non ne poteva più fare a meno. La ragione risiede in buona parte qui, nell'Eshkol, su cui si riversa ieri la consueta scarica di missili nonostante l'ingresso delle truppe. E la zona più esposta, corre per 40 chilometri lungo Gaza, ed è proprio qui, al kibbutz Sufa, che 13 terroristi usciti giovedì dalle gallerie scavate da Gaza fin dentro Israele, hanno tentato una strage. L'impresa, benché fallita, ha fatto capire che le gallerie sono una fragilità intollerabile. Lo sanno bene questi 14mila cittadini di 32 comunità che oltre tutto corrono senza tregua nei rifugi. Kerem Shalom, un altro kibbutz della zona insieme a Sufa è stato attaccato dalle gallerie, e nel kibbutz di Ein ha Shlosha sono state scoperte due nuove imboccature. Buchetti nella polvere, che coprono a volte tunnel in cui può passare un camion. Ein ha Shlosha è un kibbutz verde: «Abbiamo cercato di cooptare i nostri vicini alla coltivazione di patate e pomodori. I kibbutz dell'Eshkol sono ottimi agricoltori, ma pare che preferiscano i razzi» dice sconsolato Chaim Yelin, il presidente della regione che ci accompagna fino a una casa fra le palme. E contento che l'ingresso di terra cerchi di porre fine al loro calvario, ma triste per la guerra che uccide. I bum si susseguono, un po' i cannoni di qua, un po' i missili di là. Qui ci sono solo 5 secondi per rifugiarsi, dato che la distanza è di 4 chilometri da Gaza da cui si vedono fumare gli obiettivi colpiti. Meno male che non era in casa alle 9 di sera l'84enne padrona di questa casetta fra le palme: il tetto è tutto un buco da cui pendono residui di soffitto, la libreria, il tavolo, gli oggetti, tutto è a pezzi. Dani, un membro del kibbutz, si ricorda quando 25 anni fa si andava a Gaza sulla spiaggia, e poi al mercato si comprava il pesce fresco, e poi... ognuno data il disastro in momenti diversi. Boaz Kretchner il responsabile dell'organizzazione dei 32 fra kibbutz e moshav (una forma più moderata di collettivismo) ricorda che dal suo kibbutz, Tzeelim si organizzavano tre autobus di bagnanti. Fino all'Intifada, e poi fino al 2006, quando Hamas ha preso il potere.
   Boaz non dorme da venti ore, scuotendo la coda di cavallo mi prega di ripararmi nei rifugi del Consiglio Regionale dell'Eshkol, dove ci incontriamo. Qui arrivano tutte le richieste, i bisogni, di un mondo sotto il fuoco. Se mancano il cibo o le medicine, Boaz spedisce ai kibbutz i camion fra un missile e l'altro. E mentre le case più prossime a Gaza sono munite, una a una, di una stanza blindata, ci sono kibbutz dove, spiega, «noi portiamo rifugi collettivi di cemento». Vede, dice, e la sua è soprattutto una domanda, che mondo strano, mentre qui dal passaggio Kerem Shalom lasciamo passare i camion per loro, Hamas li bombarda, così come hanno bombardato la centrale elettrica, e ora chi ci può andare ad accomodarla? All'orizzonte si alzano colonne di fumo, l'operazione di terra dell'esercito israeliano è molto cauta, coperta dagli F16 e da informazioni continue. E tuttavia quelle maledette gallerie le puoi far saltare per aria solo andando a infilarti là sotto. «Ci vuole pazienza, coraggio, le troveranno» dice il presidenre Yelin. In una stanza con molti computer due ragazzi ricevono tutte le richieste possibili: «Ma da 11 giorni le richieste sono crollate: i cittadini con la guerra sanno che i guai sono già tanti, inutile lamentarsi». Mai servizi sono attivi: vediamo un centro di assistenza per anziani, uno antitrauma. Il confine brucia: l'esercito, lentamente, cerca di smantellare le gallerie, ma gli aerei bombardano, i palestinesi parlano di 24 morti, Hamas non vuole mollare, deve dimostrare la sua forza anche all'Egitto. Hamas lo vede come il capo dello schieramento anti Fratellanza Musulmana di cui fa parte. E sparando punta al grande disastro.

(il Giornale, 19 luglio 2014)


I rifugi antibomba nella Striscia ci sono, ma non per i civili

Sotto Gaza ci sono più strutture di sicurezza che in ogni parte di Israele, ma Hamas le usa per tenere in salvo i missili e i suoi leader. Ampi stralci di un articolo di Jonathan S. Tobin apparso sulla rivista online Commentary.

 
Uno degli argomenti dei difensori di Hamas nel conflitto di questi giorni è che gli israeliani hanno rifugi antibomba e i palestinesi a Gaza no. L'assenza di rifugi è una delle ragioni della differenza di vittime tra le due parti del conflitto. Ma per qualche ragione nessuno dei mezzibusti della tv si è mai chiesto perché a Gaza i rifugi non ci sono. Israele sta usando misure senza precedenti per evitare l'uccisione di civili palestinesi quando attacca le postazioni missilistiche e i centri di comando di Hamas, ma nonostante questo i civili sono morti. Visto il numero degli strike israeliani, la cifra delle vittime palestinesi è piuttosto bassa. Ma ci sarebbero state meno vittime se i palestinesi avessero un posto dove rifugiarsi durante i bombardamenti.
   Si ritiene che la Striscia di Gaza sia troppo povera per potersi permettere la costruzione di rifugi antibomba per i suoi civili, e questo aumenta l'impressione che i palestinesi siano vittime inermi che meritano la simpatia se non l'aiuto del mondo nel respingere l'assalto di Israele all'arsenale di Hamas. Questa visione è falsa. I tiranni di Gaza hanno fondi e materiale in abbondanza per costruire rifugi antibomba. E in effetti ne hanno costruiti moltissimi - solo che non sono per il popolo di Gaza. Come è noto, Gaza è un alveare di strutture sotterranee da un lato all'altro della Striscia. Queste non sono solo i più di 1.400 tunnel che collegavano Gaza all'Egitto e attraverso cui passavano ogni sorta di beni (razzi, munizioni, materiale da costruzione e beni di consumo) fino a che il governo militare del Cairo non ha fermato i traffici. Il problema principale che le Forze di difesa israeliane devono affrontare in questa campagna è lo stesso che hanno incontrato nel 2008 e nel 2012: i leader e i guerriglieri di Hamas si tengono al sicuro in un labirinto di rifugi costruiti in profondità sotto Gaza. C'è anche un sacco di spazio per proteggere migliaia di razzi e altri armamenti. Questi rifugi sono collegati tra loro da tunnel che attraversano tutta la Striscia: se si considera la dimensione di queste installazioni, potrebbero esserci più rifugi per chilometro quadrato a Gaza che in qualsiasi altra regione di Israele.
   Se tutte queste strutture fossero aperte ai civili di Gaza, non c'è dubbio che il numero delle vittime diminuirebbe. Se i leader di Gaza e i loro sgherri armati emergessero dai loro sicuri rifugi sottoterra e lasciassero che i civili si mettessero al riparo allora forse mostrerebbero un po' di coraggio. Invece usano i civili come scudi, lanciando missili vicino alle scuole, ammucchiando munizioni nelle moschee, e incitando i civili a fare da scudi umani davanti alle roccheforti di Hamas.
   Il popolo di Gaza sta subendo le conseguenze della decisione cinica di Hamas di iniziare una guerra contro Israele. Gaza non ha rifugi antibomba. Ciò che ha è un movimento terrorista al potere che usa i civili come scudi umani. Gli abitanti di Gaza che tollerano questa situazione e gioiscono quando i loro governanti islamisti provocano il contrattacco di Israele lanciando missili sui civili israeliani non possono dare la colpa allo stato ebraico o al mondo per il loro destino. E qualsiasi cosa possiamo pensare della loro decisione di accettare questa situazione, l'assenza di rifugi a Gaza non può essere usata come argomento contro Israele che difende il suo popolo.

(Il Foglio, 17 luglio 2014)


Striscione di insulti contro Israele blocca l'entrata della sinagoga di Vercelli

«Stop Bombing Gaza, Israele assassini. Free Palestinese». Questo lo slogan scritto su uno striscione attaccato sul cancello di entrata della sinagoga di Vercelli, tempio di una delle più antiche comunità ebraiche italiane. Il cartello è stato legato in modo da impedire l'accesso ai fedeli in preghiera.
L'azione è stata commentata dal presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici
«Davanti all'entrata principale della Sinagoga di Vercelli è stato affisso un ignobile striscione. Un luogo sacro è stato violato con scritte che inneggiano all'odio. Certi metodi utilizzati da chi vuole la distruzione di Israele non possono essere accettati sul territorio italiano. Oggi siamo tutti vicini alla Comunità Ebraica di Vercelli e alla sua presidente Rossella Bottini Treves che deve affrontare un vero oltraggio al Tempio della sua città. Offese del genere, in un momento così delicato per Israele e per i civili palestinesi, alzano pericolosamente l'asticella della tensione. La mente corre indietro verso il 1982 quando davanti al Tempio Maggiore di Roma fu lasciata una bara in segno di protesta: pochi giorni dopo assistemmo all'attentato in cui morì il piccolo Stefano Gay Taché. Consapevoli del grande sforzo che le forze dell'ordine stanno già compiendo, chiediamo sia fatta al più presto luce su questa vicenda e che i responsabili del vergognoso striscione vengano individuati. Non è questo il tempo per sottovalutare alcuna protesta avanzata con violenza anche verbale».

(Il Messaggero, 18 luglio 2014)


Cosa pensa la gente comune

di Angelica Edna Calò Livne

Non abbiamo nessun motivo per sparare su Gaza.
Non abbiamo nessuna voglia di mettere in pericolo le nostre famiglie.
Non ne possiamo più di sirene, di ansia, di immagini terribili di dolore e paura.
Il mondo deve capire che Hamas è un'organizzazione terrorista che sta usando la sua povera gente per mettere in atto l'odio verso Israele e la sua distruzione.
Israele non è il problema del Medio Oriente.
Noi siamo ostaggi insieme alla povera gente di Gaza delle faide tra Sunniti e Sciiti, tra Siria e Iran per i predominio su questo soffio di terra!
Finché uomini di pensiero, cantanti, pacifisti, personaggi famosi, politici continueranno ad accusare Israele, le organizzazioni terroristiche continueranno ad usare i loro bambini e le le loro donne come scudi umani convincendoli del valore della morte come martirio ultimativo.
Vogliamo vivere in pace, in collaborazione con i nostri vicini. Siamo pronti a dare tutto pur di smettere questo scempio.
Basta tunnel scavati sulle spalle dei civili di Gaza e riempiti di arsenali di armi per distruggere Israele.
Basta sfruttamento di donne e bambini da vivi e da morti.
Basta cecità del mondo che non riesce a vedere.
Se sparassero tutti i giorni da Frascati su Roma, distruggendo case e creando il panico.
Se sparassero da Fiesole su Firenze.
Se sparassero su Parigi, su New York o Amburgo…dareste il diritto di difendersi?
Non è un video gioco.
Non è un film di Tarantino.
Se qualcuno ha la possibilità di mettere al servizio dell'umanità la sua fama che parli.
Per questi due popoli succubi del terrorismo!
Una madre di Israele

(moked, 18 luglio 2014)


Smart city, super funivia in arrivo per il trasporto urbano a Tel Aviv

Mobilità sostenibile, arriva la funivia urbana in orizzontale SkyTran che trasporterà passeggeri fino alla velocità di 240 km/h. Nel 2015 prima tratta a Tel Aviv, poi anche a Strasburgo, Kerala, Sn Francisco.

di Flavio Fabbri

 
Il traffico è ormai un problema per tutte le città del mondo: sono troppe le auto private in circolazione, inquinano pericolosamente e degradano seriamente la qualità della vita in ambiente urbano. Tra le diverse soluzioni che sono state proposte a livello globale, in termini di smart city, mobilità sostenibile e trasporti intelligenti (ITS), quella dell'americana Skytran appare come la più avveniristica ed efficace.
Una specie di funivia urbana uscita da un film di fantascienza che attraversa in orizzontale le strade di una città alla velocità massima di 240 km/h. La straordinaria infrastruttura (video), ideata e sviluppata da Skytran in un centro ricerche della NASA in California, si presenta come una rotaia a levitazione magnetica sospesa che correrà ai lati della strada, nei due sensi di marcia.
Nel 2015, in Israele, la città di Tel Aviv provvederà allo sviluppo del sistema di trasporto urbano, per persone e merci, con la costruzione di una prima tratta sperimentale di circa 500 metri all'interno del campus Israel Aerospace Industries.
In caso di successo, come sperano gli amministratori cittadini e Skytran, l'infrastruttura troverà un primo impiego nel collegare l'area Kiryat Atidim al porto di Tel Aviv Giaffa, per un percorso complessivo di circa 10 km. Un'ulteriore istallazione in programma è prevista a Netanya e attorno al Parco naturale Ariel Sharon (nato dalla riconversione della discarica di Hiriya).
Un sistema di trasporto assolutamente sostenibile, a basso impatto ambientale e alimentato da un mix di fonti energetiche tra cui il solare.
I veicoli sospesi (denominati hover) saranno da due e quattro posti, connessi alla rete WiFi e offriranno ai passeggeri servizi multimediali di infotainment. La prenotazione dei posti avverrà tramite apposita applicazione per smartphone. Per accedere al servizio si prevede un costo di 5 dollari.
Non alte, infine, le risorse economiche necessarie all'istallazione e alla manutenzione, 6 volte inferiori rispetto, ad esempio, a quanto richiesto per la costruzione di una linea del tram.
Sempre nel 2015, al più tardi nel 2016, Skytran potrebbe essere annunciata a cittadini e turisti anche nelle città di Strasburgo, San Francisco, Kerala (India) e Tolosa.

(Key4biz, 18 luglio 2014)


L'Onu smaschera Hamas: «Razzi nella nostra scuola»

di Carlo Panella

Hamas usa le scuole dell'Onu per condurre la sua aggressione a Israele. La notizia proviene proprio dalla Unrwa, l'Agenzia di aiuto ai rifugiati palestinesi delle Nazioni Unite: «Nel corso di una regolare ispezione alle sue sedi, l'Unrwa ha scoperto circa venti razzi nascosti in un edificio scolastico vuoto nella Striscia di Gaza, in flagrante violazione del diritto internazionale; condanniamo duramente il gruppo o i gruppi responsabili di aver messo le armi, fatto che mette a rischio la vita dei civili, incluso lo staff, e la missione vitale dell'Unrwa».Il fatto è di importanza cruciale, perché conferma quanto Israele afferma da tempo: Hamas e Jihad islamica non si fanno remore a usare non solo strutture Onu, ma anche scuole, ospedali, asili e moschee per la loro guerra. Una guerra sporca, condotta usando i civili palestinesi come scudi umani. La conseguenza è ovvia: Israele, per difendersi e impedire il continuo e massiccio lancio di razzi sulle sue città, è obbligata a colpire anche strutture apparentemente civili, provocando anche vittime civili - che comunque cerca di evitare avvertendo prima dell'azione, con Hamas che invece intima alla gente di restare in casa. Dunque, tutta l'indignazione che la propaganda filo-palestinese semina con successo nell'opinione pubblica araba e europea deve - dovrebbe - rivoltarsi invece contro Hamas, che viola le più elementari regole non solo del diritto internazionale, ma anche di umanità e civiltà.
   Una denuncia, quella dell'Unrwa, che segnala come il fenomeno sia sicuramente ben più diffuso del caso denunciato. L'Unrwa è da sempre apertamente e polemicamente schierata contro Israele, e se ha osato finalmente denunciare questo crimine palestinese lo ha fatto come segnale d'avvertimento, perché è al corrente di molti altri depositi di armi e razzi nelle sue strutture e non sopporta più di doverne pagare il prezzo.
   Pensare che, prima delle notizie serali, la giornata era iniziata con un moderato ottimismo, dopo che Israele aveva annunciato una tregua umanitaria unilaterale nei bombardamenti, iniziata ieri mattina, per permettere il soccorso ai feriti e alla popolazione civile. Ma subito dopo le cinque ore di stacco sono ripresi gli attacchi reciproci. Una mossa israeliana, quella della tregua, probabilmente collegata all'impatto negativo sull'opinione pubblica internazionale - e interna - dell'uccisione dei quattro 4 bambini palestinesi sulla spiaggia di Gaza. Uccisione per cui lo stesso presidente israeliano Shimon Peres si è scusato, aggiungendo: «L'Aeronautica di Israele presta la massima attenzione per non colpire i bambini, i nostri piloti hanno l'ordine di non condurre raid se vedono un solo bambino. È stato un incidente ma avevamo avvertito che quella zona sarebbe stata bombardata, c'erano troppe armi, i palestinesi non tengono lontani i bambini dalle zone in cui concentrano le loro armi».
   Nel corso della tregua mattutina si erano intensificati i colloqui indiretti (al Cairo, registi il presidente egiziano al Sissi e quello palestinese Abu Mazen) per una tregua definitiva. Alle 13.07 il flash d'agenzia: «Siglata la tregua». Ma poco dopo sia Israele sia Hamas (che però ammette «progressi nei negoziati») hanno smentito l'accordo. E, come detto, è così proseguito il lancio di razzi palestinesi (70), con l'allarme risuonato a Tel Aviv, e l'aviazione israeliana ha ripreso i suoi raid su Gaza. Il tentativo di Abu Mazen è chiaro: tenta di "comprare" l'assenso di Hamas - che però alza continuamente il prezzo - mettendo sul tavolo consistenti finanziamenti per Gaza, probabilmente dal Qatar e dalla Turchia, gli unici due Paesi islamici schierati apertamente con Hamas stessa.
   Hamas, sempre nella mattinata di ieri, ha poi subito una bruciante sconfitta. Sono stati intercettati 13 palestinesi che, passando da uno dei tanti tunnel scavati sotto la frontiera, si preparavano a attaccare il kibbutz Sufa. Gli israeliani hanno aperto il fuoco : i palestinesi parlano di nessuna vittima, gli israeliani assicurano l'annientamento del commando. In ogni caso ennesima prova delle basse capacità militari di Hamas, limitata al lancio di missili e razzi in cui brucia le decine di milioni di dollari che la comunità internazionale versa a Gaza (non meno di 500 milioni di dollari l'anno, anche dall'Europa) per tutt'altri scopi.

(Libero, 18 luglio 2014)


L'anno sabbatico del vigneto israeliano. Opportunità di mercato?

di Andrea Gabbrielli

In Israele l'annata 2014 di vino non ci sarà. Il motivo non è il conflitto di Gaza, ma una legge della Torah che blocca tutte le attività in vigna. Abbiamo sentito gli italiani specializzati in kasher per capire quali spazi ci sono e se oggi conviene cimentarsi con questo tipo di prodotto.

Shmitah, ovvero l'anno sabbatico delle viti israeliane, inizierà il prossimo 25 settembre 2014 e terminerà 13 settembre 2015. In questo lasso di tempo, essendo il settimo anno del ciclo agricolo di sette anni previsto dalla Torah, il vigneto verrà messo a riposo, non potrà essere potato e l'uva non potrà essere raccolta. La prescrizione ha valore in Israele mentre non tocca chi, in Italia, Francia o in altri Paesi, si cimenta con il vino kasher. Agli ebrei è consentito bere il vino a condizione che sia kasher (cioè adatto, permesso, idoneo) indipendentemente dalla sua origine geografica. Il vino impiegato nelle varie celebrazioni e festività, deve subire un controllo molto attento che non riguarda solo le sue caratteristiche organolettiche, ma tutto il percorso dal vigneto alla bottiglia. L'intera fase deve essere seguita da ebrei praticanti, rispettosi del Sabbat, e certificata da un Rabbino che garantisce l'osservazione della kasherut cioè delle varie regole rituali. Alla luce di tutto ciò, la conseguente penuria di vino kasher, provocata da Shmitah, potrebbe innescare un aumento della domanda cioè diventare un'opportunità, seppur di nicchia, per le aziende che hanno l'intenzione o già sono impegnate in questo tipo di produzione. Non a caso la questione, durante l'ultimo congresso dell'Assoenologi, è stata presa ad esempio della necessità non solo di conoscere genericamente le normative che regolano i mercati, ma anche di approfondirne le usanze e le tradizioni locali in modo di facilitare l'obiettivo di ampliare il nostro export. Ma sarà davvero un'opportunità da tener d'occhio?
  Attualmente il Governo israeliano, in considerazione di Shmitah, ha già predisposto un piano per risarcire economicamente le aziende e le cantine che rispetteranno l'anno sabbatico. Il mercato del vino in Israele ha un fatturato annuo stimato in oltre 180 milioni di dollari, di cui le importazioni costituiscono circa il 20%. Generalmente il 55% della produzione israeliana di vino viene esportata, soprattutto Francia, Regno Unito e Stati Uniti dove sono presenti forti comunità ebraiche. Tra i principali produttori di vino kasher, al di fuori di Israele, la Francia occupa un posto di primo piano. La tradizione iniziata con il baroneEdmond de Rothschild (1845-1934) si è poi allargata ai più importanti châteaux bordolesi: Mouton Rothschilde Pontet-Canet a Pauillac, Smith-Haut-Lafitte a Pessac-Léognan, Valandraud a Saint-Emilion, Giscours a Margaux, Guiraud e Coutet nel Sauternais e altri ancora. In Italia ormai da tempo diverse cantine si sono misurate con la produzione di vini kasher ma purtroppo non esistendo una rilevazione statistica è impossibile quantificare il fenomeno. Mosè Silvera, imprenditore e animatore di Supergal, società specializzata nella distribuzione di vini kasher, italiani ed esteri, conferma che "da parte di molte aziende italiane c'è stato un avvicinamento a questo tipo di produzione perché c'è la voglia di esplorare nuovi sbocchi di mercato. Per molti è un fiore all'occhiello ma è bene sapere che il mercato è limitato anche se ogni anno ci sono almeno due o tre cantine in più che offrono vini kasher". Silvera stima siano circa una trentina, suddivise nel territorio nazionale.
  Vediamo nel dettaglio chi sono i produttori italiani, qual è la loro esperienza e quali le prospettive. Stefano Cinelli Colombini, della Fattoria dei Barbi a Montalcino, ha fatto una prima esperienza nel 2011 con Il Poggialto, un Igt Toscana Rosso, ma per ora non ha replicato: "I costi di produzione sono elevati - tutte le lavorazioni con il rabbino sono molto costose- e ammortizzabili su quantità ridotte. Ho proposto, per limitare le spese, di automatizzare completamente la vinificazione evitando così dei passaggi". Il problema dei costi di produzione è posto con forza da Pietro Ferri, direttore della Cantina Sociale di Pitigliano che produce la linea Pitigliano La piccola Gerusalemme: "Sono quasi trent'anni che produciamo vino kasher - e anche l'Olio Extravergine Kasher Le Pesach - ma le quantità di uva lavorata sono drasticamente diminuite. Il mercato estero è difficilissimo e quello domestico lo è altrettanto perché la richiesta si basa soprattutto su prezzi molto bassi. La crisi poi, ha notevolmente influito sui volumi e oggi la domanda dei curiosi è maggiore di quella degli osservanti". Un aspetto che evidenzia anche Antonio Capaldodi Feudi San Gregorio. L'azienda irpina che si fregia per i propri prodotti (Fiano di Avellino Maryam e il Campania Igt Aglianico Rosh) della certificazione della Orthodox Union, esporta in Usa il 50% della produzione: "La distribuzione dei nostri kasher è la stessa di Feudi anche negli Usa e le e richieste, sia in Italia, sia all'estero, ci provengono anche da non ebrei. Il nostro prodotto d'altra parte è qualitativamente elevato ed è anche per questo che la curiosità si sta ampliando ad altre fasce di consumo". Andrea Pandolfo della Cantina Sant'Andrea di Terracina con 150.000 bottiglie all'anno è uno dei maggiori produttori italiani kasher. "Abbiamo iniziato nel 1999 con 20/30 mila bottiglie ora ci siamo stabilizzati sulle 150 mila. Il nostro Moscato è una varietà molto ricercata, ma il consumo locale è fermo. Le nostre difficoltà sono dovute soprattutto all'euro forte che ci rende poco competitivi in Israele e America". Dello stesso avviso Pierpaolo Chiasso, direttore di produzione della Falesco: "Non abbiamo avuto richieste particolari per l'anno prossimo quindi la produzione rimarrà sulle 20/22 mila bottiglie di vino kasher". Quanto a Shmitah Mosè Silvera dice di non prevedere "incrementi della domanda di vino italiano kasher, anche perché le cantine israeliane da tempo si sono premunite per ovviare alla mancanza di prodotto, aumentando i volumi in stoccaggio". A conferma di quanto detto sopra, c'è anche un'analisi di mercato americana - The Speciality Food Market in North America del 2012 - secondo cui solo il 15% dei consumatori kasher sono ebrei. La certificazione, infatti, da molti viene vista come un indice di genuinità. Un vissuto di mercato confermato anche da tutte le aziende italiane. Forse è lì che bisogna andare a pescare.

(Gambero Rosso, 18 luglio 2014)


Emergenza israele: viaggio EDIPI dal 7 al 26 agosto sotto "Iron Dome" in Israele

Una delegazione dell'Associazione Evangelici d'Italia per Israele accompagnata dal presidente EDIPI Ivan Basana si sta preparando per un viaggio in Israele che necessiterà di un'originale organizzazione logistica e di un fondamentale sostegno in preghiera da quanti si sentono spiritualmente coinvolti nel progetto. Si tratterà di un viaggio davvero particolare per portare una tangibile e pratica solidarietà al popolo di Israele nell'attuale terribile situazione, bersagliato com'è dai missili di Hamas.
  Sono già in programma incontri con le congregazioni messianiche più esposte: ad Ashdod da Israel Pochtar, a Beesheva dai coniugi Boskey, a Kiriat Gad da Angel Gerber oltre a Tifrah nel moshav Ama-Agri (dove si è realizzata "l'operazione carciofi") a pochi km. da Gaza in prossimità di Sderot.
  Un incontro speciale lo avremo al nostro arrivo con Avi e Chaya Mizrachi, prossimi relatori al XIII Raduno EDIPI di Catania a dicembre, in riferimento al 9 del mese di Av (Tisha B'Av 5774) da poco passato, data nefasta nella storia di Israele. Altro tema che affronteremo sarà quello dell'allineamento delle lune rosse con le congregazioni gemellate di Beit Natanel a Ein Kerem e Beit Emmanuel a Jaffa, con le implicazione profetiche che comportano.
  Crediamo che solidarizzare di persona con le famiglie che hanno figli e figlie nel IDF sia molto importante in questo momento; ricordiamo che i Lazarus, i Pochtar, i Boskey e anche i Segal hanno figli e figlie impegnati nell'esecito israeliano: in particolare Ariel Segal, figlio di Batja e Barry, è arruolato nel reparto di addestramento per le reclute.
  Sono in programma incontri con il presidente della Comunità ebraica italiana di Gerusalemme Vito Anav, il diplomatico Ofer Bavly, l'archeologo Dan Bahat e la giornalista Fiamma Nirenstein.
  Il resoconto completo del viaggio "EMERGENZA ISRAELE" verrà riportato nel 1o Convegno Regionale EDIPI-Lombardia del 13 e 14 settembre a Milano.

(Comunicato EDIPI, 18 luglio 2014)


I coloni e l'acqua calda

di Marcello Cicchese

Scrive Shlomo Avineri, su Ha'aretz:
     
    Shlomo Avineri
    «È importante interrogarsi sui motivi del fallimento del processo di pace che ebbe inizio ventun anni fa a Oslo. Non c'è dubbio che chi avviò quel processo credeva veramente che avrebbe portato a un compromesso storico tra noi e i palestinesi. I sostenitori del processo di Oslo vedevano questo conflitto come un conflitto tra due movimenti nazionali e credevano - come chi scrive - che negoziati diretti tra Israele e Olp potessero trovare una soluzione alle questioni territoriali e strategiche che stavano al centro della controversia. Non fu facile convincere gli israeliani, anche quelli del partito laburista, che dall'altra parte c'era un movimento nazionale: certamente un movimento con aspetti terroristici, ma che fondamentalmente aveva diritto, come il movimento sionista, di esercitare l'autodeterminazione nazionale.
    Sbagliavamo.»
Gli intellettuali di sinistra, come Shlomo Avineri che non per nulla scrive su Ha'aretz, hanno due caratteristiche fondamentali:
1) sanno elaborare con invidiabile acribia puntuali analisi del problema oggetto di discussione, indicandone senza esitazione l'inevitabile soluzione;
2) sbagliano sempre, ma, e qui sta la seconda caratteristica fondamentale, sanno spiegare in modo sublime e come nessun altro i motivi per cui hanno sbagliato.
E' quello che fa in questo caso anche Shlomo Avneri in un articolo riportato su israele.net.
Scrive ancora Avineri:
    «La verità è che nella narrativa palestinese gli ebrei non sono né un popolo né una nazione, ma solo una comunità religiosa e quindi non hanno alcun diritto a uno stato. Questo è anche il motivo dell'intransigente rifiuto palestinese di riconoscere Israele come "stato nazionale del popolo ebraico".
    Questa è la radice del conflitto: non i confini, non gli insediamenti e neanche Gerusalemme. Naturalmente, anche il rifiuto palestinese di rinunciare al principio del "diritto al ritorno" è legato a questo concetto.»
Non sembra una considerazione molto profonda: tra i famigerati "coloni" probabilmente ci sono persone che lo sanno da sempre. Ma per non dare l'impressione di essersi spostato troppo a destra, l'articolista sente il bisogno di dare una doverosa strigliatina al capo di governo:
    «Ci sono buone ragioni per criticare la condotta del governo Netanyahu durante i tentativi negoziali di Kerry, ma negare queste ragioni più profonde è disonestà intellettuale.»
E' chiaro, persone come Avineri avrebbero saputo fare molto meglio, su questo non ci può essere alcun dubbio. Ma dopo arriva il pezzo forte di tutto l'articolo:
    «Il Sionismo quando accettò il principio della spartizione, nel 1948, credeva, proprio come gli artefici di Oslo, che il movimento nazionale palestinese fosse l'immagine speculare del movimento sionista e che il loro fosse un conflitto tra due movimenti nazionali. In un conflitto di questo genere il compromesso è possibile. Se invece si pensa che il proprio movimento sia in lotta contro un'entità colonialista e imperialista, allora non vi è alcuna possibilità né alcuna giustificazione morale per il compromesso.»
Questo si chiama, in linguaggio popolare, "scoperta dell'acqua calda". L'autore in sostanza sta dicendo: noi artefici di Oslo non avevamo capito niente. Però sa dirlo in modo ineguagliabile, e questo probabilmente l'autorizza a dare una nuova ricetta. Prosegue infatti con la domanda: "Cosa si può fare?" A questo punto però non riportiamo più niente dell'articolo perché proprio non ne vale la pena. La risposta più semplice sarebbe: "Tacere e imparare".
Ma nell'acqua calda scoperta da Avineri c'è un punto che merita di essere sottolineato. I palestinesi pensano, e dicono a tutto il mondo in continuazione, di essere in lotta con un'entità colonialista e imperialista. E se è così, è ovvio che per loro non esiste alcuna possibilità di compromesso.
La conseguenza pratica è che il semplice chiamare "coloni" gli israeliani insediati in Giudea e Samaria è un avallo alla tesi palestinese e quindi contribuisce a rendere impossibile ogni speranza di accordo. Probabilmente questo i "colonni" lo sanno da sempre, senza fare lunghi discorsi. Ma gli intellettuali di   sinistra - bisogna capirli - fanno molta più fatica a capire certe cose. E qualche volta proprio non ci arrivano.

(Notizie su Israele, 18 luglio 2014)


Israele/Hamas. I fatti

Lettera inviata a "Giustizia Giusta"

Gent.mo direttore,
ritengo sia opportuno fare un po' di ordine per capire cosa sta accadendo in medioriente. Per questo cito solamente i fatti:
Hamas ha iniziato a lanciare una pioggia di razzi sulle città israeliane il giorno 8 luglio (fondamentalmente non ha mai smesso da quando Israele si è ritirato da Gaza).
Solo dopo, Israele ha risposto duramente colpendo le rampe di lancio e gli arsenali collocati, da Hamas, appositamente nelle zone piu' popolose.
Israele ha l'unico scopo di evitare che la popolazione israeliana, ebrea ed araba, sia colpita dai razzi di Hamas che invece ha come unico scopo, riportato nel suo statuto, quello di distruggere Israele ed eliminare gli ebrei.
Hamas in tutti questi anni ha usato l'immensa marea di miliardi delle donazioni internazionali per acquistare armi e missili, specialmente dall'Iran, invece di realizzare ospedali, scuole e servizi per i cittadini.
Hamas ha rifiutato la proposta di pace dell'Egitto mentre Israele l'ha accettata. Ripeto Egitto, no Usa.
Israele cesserà i raid aerei non appena Hamas finirà di lanciare missili sui centri abitati.
Forse, la pace in medioriente si avra' solo quando i palestinesi inizieranno ad amare i propri figli piu' di quanto odino i figli degli israeliani.
Grazie
Francesco

(Giustizia Giusta, 17 luglio 2014)


Ecco come Hamas manovra i media occidentali. Linee guida per i giornalisti

Molto interessante quanto scoperto da Memri in merito alle linee guida diffuse da Hamas ai giornalisti occidentali presenti nella Striscia di Gaza. E' una serie di "consigli" diffusa attraverso i social media, un video e supporti cartacei distribuiti agli stessi giornalisti. Ecco come si devono comportare i giornalisti e gli "attivisti" presenti a Gaza secondo il Ministero dell'Interno di Hamas in base al documento denominato "Be Aware - Social Media Activist Awareness Campaign"...

(Right Reporters, 18 luglio 2014)


La veglia degli ebrei al Pantheon

Gli ebrei romani sfilano al Pantheon. Solidarietà a Giuntella (Pd) per le minacce ricevute (Foto di Paolo Rizzo/Ag.Toiati)

«L'unico rifugio che chiede il popolo ebraico è la pace». Con questo slogan la comunità ebraica di Roma è scesa in piazza oggi nella Capitale.
E il loro presidente Riccardo Pacifici attacca: «Il nemico non sono i palestinesi ma Hamas. Speriamo che venga annientata e decapitata con ogni mezzo così come fecero le truppe alleate in Europa con il nazismo». Una manifestazione bipartisan, preceduta però da alcune minacce di morte, via Twitter, all'indirizzo del presidente del Pd Roma Tommaso Giuntella, 'colpevole' di aver aderito all'iniziativa.
Questa sera davanti al Pantheon sono in tanti in piazza per una «veglia di solidarietà per la situazione in Israele», una maratona oratoria «per chiedere con forza la pace». Una manifestazione bipartisan, come era nella volontà dei promotori. C'è chi è venuto avvolto nella bandiera d'Israele, chi invece mostrando cartelli con su scritto slogan come: 'Israele non occupa Gaza dal 2006. Ma la pace dov'è?'; 'Prima di condividere una foto pensa. Hamas usa foto false per incitare all'odio contro Israele'; 'Come si fa la pace con un nemico che ti vuole distruggere?'; 'Hamas e i palestinesi non sono la stessa cosa. Chi vuole la pace deve dire no al terrorismo'.
«Non vogliamo esprimere la rabbia - spiega Pacifici - ma condividere l'angoscia di quello che stanno provando oggi tante famiglie in Israele e soprattutto tanti bambini. Alla manifestazione sono arrivate adesioni trasversali dal mondo della politica e ci danno il polso di una voglia di essere vicini e comprendere questa guerra assurda e folle non voluta da Israele che invece sta subendo cercando di difendere i suoi bambini».
E in piazza per l'iniziativa anche diversi esponenti politici: da Renato Brunetta allo stesso Tommaso Giuntella, da Franco Carraro a Marco Pannella. Si dice dispiaciuto il presidente del Pd Roma per quanto accaduto: «Sono molto rattristato che la mia adesione abbia scatenato una serie di insulti e minacce di morte sulla mia persona. Ma soprattutto che ad una voglia di pace si risponda di nuovo con l'odio», dice mentre dalla comunità ebraica arriva una ferma condanna del gesto.
Intanto Pacifici lancia un messaggio chiaro: «Non ci sono due opposti estremismi ma solo uno che è quello di Hamas. Il nemico d'Israele non sono i palestinesi ma l'organizzazione terroristica di Hamas». E insiste: «Noi vorremo utilizzare questa serata anche per chiedere la liberazione della Palestina da Hamas. Israele non occupa un centimetro quadrato del territorio di Gaza e l'unica cosa che ha ricevuto ritirandosi sono missili, missili, missili».

(Il Messaggero, 17 luglio 2014)


Netanyahu ordina l’operazione di terra nella Striscia

GERUSALEMME - Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa israeliani, Moshe Yaalon, hanno ordinato alle forze di difesa di Israele di cominciare un'operazione di terra nella Striscia di Gaza. La notizia è stata confermata dall'esercito Israeliano che ha spiegato che l'operazione ha l'obiettivo " di distruggere infrastrutture terroristiche nella Striscia di Gaza".
Poco dopo l'avvio dell'attacco di terra, il governo israeliano ha diffuso una nota. "Il primo ministro e il ministro della Difesa - si legge - hanno ordinato alle forze di difesa di cominciare un'operazione di terra, per danneggiare i tunnel sotterranei terroristici costruiti a Gaza che portano nel territorio israeliano. Un simile tunnel è stato utilizzato questa mattina dai terroristi di Hamas per entrare nel territorio israeliano, con l'intenzione di causare ampi danni ai civili israeliani. Le forze di difesa israeliane hanno impedito con successo anche questo tentativo di terrorismo".
L'ordine di agire questa notte è stato approvato dal consiglio di sicurezza, "dopo che Israele ha accettato la proposta di cessate il fuoco egiziana che Hamas ha respinto e ha continuato a lanciare razzi verso Israele. Hamas non ha sostenuto il cessate il fuoco umanitario iniziato dalle Nazioni Unite, continuando invece a sparare verso Israele", spiega ancora il comunicato.
"Alla luce degli attacchi criminali senza fine di Hamas, e delle sue pericolose incursioni nel territorio israeliano, Israele è costretto a difendere i suoi cittadini. L'operazione Margine protettivo continuerà fino a quando raggiungerà il suo obbiettivo, riportare la tranquillità e la sicurezza per gli israeliani per un tempo lungo a venire, danneggiando significativamente l'infrastruttura di Hamas e di altri gruppi terroristici nella Striscia di Gaza", conclude il testo.

(LaPresse, 17 luglio 2014)


Zurigo : appelli ad uccidere gli ebrei prima di una manifestazione a sostegno di Gaza

La città di Zurigo ha dato il permesso per una manifestazione di sostegno agli abitanti della Striscia di Gaza, venerdì 18 luglio. Immediatamente incitamenti all'odio e ad uccidere gli ebrei sono dilagati sui social network. La comunità israelita in Svizzera si dice preoccupata.
"Un buon ebreo è un ebreo morto" o ancora "l'unica medicina contro gli ebrei era Adolf Hitler", oppure "dobbiamo sterminare gli ebrei".
La Federazione svizzera delle comunità israelite lancia l'allarme. "L'odio ha preso una dimensione inedita - commenta il segretario generale Jonathan Kreutner, citando le minacce che parlano di "lapidare ogni sionista nei loro quartieri". Kreutner auspica che le autorità facciano il necessario per garantire la sicurezza della popolazione ebrea di Zurigo.
La polizia controlla la situazione. E' al corrente delle minacce sui social network, spiega il portavoce Adrian Feubli, ricordando che durante la manifestazione non saranno permessi cortei e spostamenti dei manifestanti.

(TICINOlive, 17 luglio 2014)


L'ONU trova missili in una scuola per rifugiati a Gaza

Le Nazioni Unite hanno annunciato di aver trovato per la prima volta una ventina di razzi nascosti in una scuola dell'Agenzia ONU per i rifugiati, a Gaza.
I rappresentanti dell'agenzia hanno vivamente protestato per questa iniziativa che, hanno detto, mette in pericolo la missione ONU ed i civili che trovano rifugio nelle sue strutture.
Sono circa 20'000 gli sfollati palestinesi che in questi giorni hanno cercato scampo sotto le bandiere dell'ONU.

(euronews, 17 luglio 2014)


Media arabi attaccano Hamas: «Saccheggia la causa palestinese per i propri fini»

I dirigenti di Hamas «vivono al sicuro nei loro nascondigli, lasciando il popolo solo sotto i bombardamenti israeliani», accusa la stampa egiziana. Per i sauditi «il sangue degli abitanti di Gaza è diventata una merce di scambio».

Stampa e televisioni arabe ed egiziane accusano Hamas, l'organizzazione terroristica che controlla la striscia, di fare soltanto i propri interessi e non quelli dei palestinesi. In un report di Memri, istituto di ricerca sul Medio Oriente, sono riportati alcuni articoli, datati 9 - 14 luglio, che prendono di mira l'organizzazione, accusata di essere la causa, insieme a Israele, delle violenze subite dai palestinesi.

- L'esilio dorato del leader di Hamas
 
Khaled Mash'al
  La stampa egiziana, pur denunciando i massacri «sionisti», si accanisce su Hamas e sulla sua leadership, non solo per la sua alleanza con i Fratelli musulmani e la sua vicinanza all'Isis, ma anche per la sua ipocrisia. Su Al-Masri Al-Yawm (definito dai media come «il giornale più influente d'Egitto»), l'editorialista Hamdi Razaq prende di mira il leader politico di Hamas, Khaled Mash'al, che aveva accusato l'Egitto di non aiutare i palestinesi. «Siamo stanchi di difendere la causa palestinese che avete venduto per quattro soldi ai Fratelli musulmani», osserva Razaq. «Perché non dai tu, la tua vita, a Gaza?», «dov'è il tuo spirito d'eroismo, Mash'al?», chiede il giornalista egiziano, invitando il leader di Hamas a lasciare il suo esilio dorato in Qatar e ad abbracciare la morte in una trincea a Gaza. «Mentre tu vivi nel lusso in Qatar, mangiando prelibatezze, noi moriamo di fame perché ci manca il pane», scrive Razaq, riferendosi alla situazione in Egitto. «Mentre tu languisci nel tuo letto di Doha - continua il giornalista - il Comandante supremo dell'Esercito (Al Sisi, ndr) perde il sonno per salvare i bambini di Gaza!».

- Hamas come il nazismo
  Nagla Al-Sayyid, su Al-Gumhouriyya, rincara la dose denunciando il fatto che i funzionari del movimento terroristico usino la vita dei palestinesi per scopi politici. «Tutto quello che stanno facendo i capi di Hamas - scrive la giornalista - è raccogliere donazioni per la propria fazione politica». Al-Sayyd accusa i dirigenti Hamas di pavidità: «Vivono al sicuro nei loro nascondigli, lasciando il popolo solo sotto i bombardamenti israeliani», osserva.
«È davvero tragico quando un dittatore o una banda criminale prende il sopravvento su un popolo e lo rende ostaggio e strumento di antagonismo contro tutto il mondo», ha affermato lo scrittore egiziano Kamal Gabriel sul sito liberale elaph.com, paragonando Hamas e i Fratelli musulmani ai nazisti. Hamas, i Fratelli musulmani e gli jihadisti, scrive Gabriel, «saccheggiano la causa palestinese».

- Barattano il sangue dei palestinesi
  Salman Al-Dosari, direttore del quotidiano saudita Al-Sharq Al-Awsat, osserva che «nessun funzionario di Hamas si sta chiedendo se la perdita di vite palestinesi sia giustificata». «Hamas - prosegue il giornalista saudita - ritiene più importante gridare lo slogan della resistenza - bello, in apparenza - senza tenere conto delle sue conseguenze orribili».
Aziz Al-Hazzani, editorialista dello stesso giornale, accusa Hamas di sacrificare il popolo palestinese: «Il sangue degli abitanti di Gaza è diventata una merce di scambio nelle mani di Benjamin Netanyahu e di Khaled Mash'al».
Anche Nasser Al-Sarami, sul quotidiano saudita Al Jazirah, commenta con asprezza il comportamento dei dirigenti dei movimenti islamisti di Gaza: «Mentre le persone indifese e i poveri sono esposti a razzi e a carri armati, le leadership degli jihadisti e della Fratellanza fuggono nei loro rifugi fortificati. Senza parlare di quei movimenti che hanno sede centrale in paesi a centinaia di chilometri di distanza dalla zona di conflitto. «In questo modo - scrive Al-Sarami - si comportano i Fratelli musulmani, i leader di Hamas e delle organizzazioni jihadiste».

(Tempi, 17 luglio 2014)


Nobili (Pd): aderisco alla manifestazione della comunità ebraica in solidarietà a israele

di Diego Amicucci

ROMA, 17 lug - "Alle 19.30 sarò in Piazza del Pantheon per partecipare alla manifestazione 'L'unico rifugio che chiede il popolo ebraico è la pace' promossa dalla Comunità Ebraica di Roma" dichiara Luciano Nobili, vicesegretario romano del Partito Democratico "per testimoniare il mio dolore per tutte le vittime di un conflitto senza fine, per difendere - ancora una volta- il diritto ad esistere dello Stato di Israele, per fermare il terrorismo di Hamas e per ribadire la condanna inequivocabile dei crimini contro l'umanità compiuti in questi anni". "Al fianco, come sempre, dell'unica democrazia di quel quadrante per lavorare" conclude Nobili "nonostante tutto sembra scoraggiarlo, ad una soluzione politica che garantisca ai popoli dei due stati una convivenza possibile"

(AgenParl, 17 luglio 2014)


"I bimbi palestinesi sono vittime di Hamas, non di Israele e vi spiego perché"

"La differenza basilare tra Israele e Hamas è che Israele ha sviluppato il sistema di difesa Iron Dome per proteggere i bambini israeliani, Hamas usa i bambini per proteggere le sue armi".

di Francesco De Remigis

Così l'ambasciatore israeliano in Italia Naor Gilon, parlando da Israele dopo che quattro bambini sono rimasti uccisi in un'incursione aerea mentre si trovavano in spiaggia a Gaza City. E mentre l'esercito israeliano annuncia di aver aperto un'inchiesta, l'ambasciatore dice a Radio 24: "I bambini non sono stati colpiti da Israele, ma dall'esercito israeliano e provo a spiegare cosa significa e come possano succedere cose del genere: nelle operazioni militari siamo impegnati per evitare ogni coinvolgimento di civili, soprattutto di bambini. Ma Hamas li usa: ci sono video che mostrano come i bambini si trovino vicino alle postazioni di lancio di missili quando Hamas li spara contro Israele. Noi abbiamo tecniche per colpire automaticamente quello spazio da cui partono i missili. Se ci sono dei bambini nei pressi delle postazioni di lancio noi non li vediamo. Non siamo a pochi metri da loro, non li vediamo perché colpiamo da molto lontano e un obiettivo mirato, il target militare. In qualche caso si possono commettere degli errori. Spero che questo non accada. Ma di nuovo bisognerebbe capire che i bambini palestinesi non sono vittime di Israele, sono vittime di Hamas che non accetta un cessate il fuoco e continua i combattimenti. Ma noi vogliamo fermare questa guerra".

(Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2014)


Un tragico errore in un conflitto sempre più spietato

Intervista ad Abraham B. Yehoshua
   
di Maurizio Molinari

«I civili pagano un prezzo drammatico a Gaza come conseguenza della natura terribile del conflitto in corso».
Ad affermarlo è lo scrittore Abraham Yehoshua, secondo il quale la «tragica morte di quattro bambini causata da un errore israeliano» è «la conseguenza tragica della scelta compiuta da Hamas di celare le basi da dove lancia i razzi in zone urbane molto popolate».

- Quale è stata la sua reazione davanti alle notizie sui quattro bambini palestinesi uccisi su una spiaggia di Gaza da un proiettile sparato dalle forze armate israeliane?
  «È un evento tragico, drammatico, terribile. Si è trattato di un errore da parte israeliana, non certo di un fatto intenzionale. Se Israele avesse voluto uccidere civili nella Striscia di Gaza in nove giorni di operazioni militari non ne sarebbero morti 200 ma 2000. È lo stesso comportamento dei palestinesi a Gaza che descrive l'atteggiamento dell'esercito israeliano verso i civili».

- A che cosa fa riferimento in particolare?
  «Al fatto che molto spesso i palestinesi a Gaza salgono sui tetti delle case per evitare che vengano colpite dagli aerei israeliani. Sanno che l'esercito israeliano fa di tutto per evitare la morte di civili e dunque scelgono di avere un atteggiamento quasi suicida per scongiurare gli attacchi. Sfidando la sorte fino al punto da rischiare a volte di lasciarci la vita. È una dinamica che descrive il carattere terribile del conflitto in corso».

- Perché afferma che è la natura stessa del conflitto di Gaza a generare vittime civili?
  «Perché si tratta della natura del conflitto che Hamas ci ha imposto, posizionando le basi da cui lancia i razzi e i posti di comando in aree densamente popolate. È qualcosa di tragico e terribile. Hamas ha scelto di combattere una guerriglia con i razzi in un'area geograficamente ristretta dove vivono oltre 1,5 milioni di persone, lanciando attacchi a ripetizione contro i civili di uno Stato sovrano che è obbligato a difendersi. È una dinamica terribile, spietata, che tradisce il disprezzo di Hamas per le vite dei civili palestinesi che risiedono a Gaza».

- Eppure sono molti in Europa a imputare a Israele una eccessiva disinvoltura negli attacchi contro i civili, indicando nella morte dei bambini sulla spiaggia una conferma di tale approccio...
  «Ripeto, i bambini sono morti a seguito di un tragico errore che le forze armate vogliono appurare e punire con un'inchiesta interna. Israele non ha come politica l'uccisione di civili. È piuttosto Hamas che spara solo contro i civili. In Israele ci sono molti obiettivi militari ma i razzi che i miliziani di Hamas lanciano, ogni giorno, sono tutti diretti verso i centri abitati. Perché Hamas non tenta di colpire basi dell'esercito, campi di addestramento, porti militari e piste di atterraggio? La sua strategia è di colpire i civili israeliani e, al tempo stesso, di usare quelli palestinesi come degli scudi umani. Questo è il nemico che Israele si trova ad affrontare».

(La Stampa, 17 luglio 2014)


L'imperdonabile colpa di Israele: saper difendere la propria popolazione

La passione dei mass-media per la conta dei morti (con le cifre diffuse da Hamas) promuove la cinica strategia degli "scudi umani" utilizzata dai terroristi.

Ha scritto Raphael Ahren, su Times of Israel: «La verità è che il dato sul numero di vittime, e sulla percentuale di civili tra le vittime, proviene esclusivamente da fonti palestinesi. Israele pubblica il suo bilancio delle vittime, che risulta sempre nettamente inferiore a quello diffuso "in tempo reale" dalle fonti palestinesi, solo alcune settimane dopo la conclusione delle operazioni, e dopo attente verifiche. Nel frattempo, tutti hanno preso per buone le cifre palestinesi....

(israele.net, 17 luglio 2014)


Assalto alla sinagoga di Parigi, esulta il leader del Caim

di Enrico Silvestri

 
Gli attivisti filopalestinesi assaltano la sinagoga a Parigi e il garrulo Davide Piccardo batte le manine e grida tutto contento «È finita la pacchia».
   O meglio lo posta sul suo profilo facebook, una vera miniera di delicatezze di questo tono. Come la poesia sull'asinello ebreo o la foto del militante palestinese Qassam, nome dato poi ai missili lanciati su Israele. Non è un omonimia, bensì lo stesso Piccardo già candidato in consiglio comunale con la lista per Pisapia e interlocutore privilegiato del sindaco per le questioni musulmane.
   Figlio Roberto, un ligure diventato musulmano con il nome di Hamza che, come tutti i converti sente il dovere di mostrarsi più zelante nel sostenere le idee appena abbracciate. E suo figlio non gli è da meno. Esplode la crisi in Medio Oriente, gruppi di arabi tentano di incendiare la sinagoga di Parigi e lui bello come il sole mette il video degli scontri su facebook con un distaccato commento «finita la pacchia».
   E fin qui nulla da dire, qualunque squinternato è ormai libero di twittare o postare qualsiasi cosa. Il problema è che Davide Piccardo, 32 anni, non è uno «qualsiasi». Originario di Imperia, si laurea in Scienze politiche a Milano, dove rimane a vivere, e inizia a occuparsi di cooperazione internazionale. Molto attivo in tutte le cause e associazioni filo arabe, nel 2011 si candida in Comune con Sinistra ecologia e libertà, partito di riferimento di Giuliano Pisapia. Sorvolando sul fatto che l'immam di Segrate Ali Abu Shwaima inviti i fedeli a non votate per il Sel perché «la condotta del suo leader non rispecchia i valori dell'Islam». Piccardo non ce la fa, ma rimane interlocutore privilegiato del neo sindaco in quanto fondatore del Caim, coordinamento che riunisce le più importanti realtà islamiche milanesi.
   Una presenza che sembra non imbarazzare il sindaco nonostante il buon Davide, non dimostri certo di essere portatore di ramoscelli d'ulivo. Basta scorrere il suo profilo facebook per trovare un fiorelegio di amenità. Come la poesia «Il fascistello filoisraeliano» dove sciorina rime baciate tipo «Dice a tutti d'esser israelita e se lo contraddici sei un antisemita» per poi concludere con «Fa l'ebreo a tempo pieno ma si nutre sol di fieno. Ad un asino m'assomiglia, al diavolo chi se lo piglia!». Non propriamente da Nobel. Se poi ci fosse qualche dubbio sulla sua posizione nei confronti della crisi mediorientale, basta fermarsi sulla foto di un signore barbuto inserita due giorni fa dal nostro eroe. Insignificante ai più, si tratta invece nientemeno che di Izz al-Din al-Qassam, guerrigliero morto nel 1935 presso Jenin in uno scontro con le forze britanniche, considerato dai palestinesi come uno dei padri della resistenza. Tanto che il gruppo palestinese Hamas, gli dedica il suo braccio armato, «Brigate del martire al-Qassam» e i missili con cui martella le città israeliane. Classici messaggi di chi è impegnato per la pace e la cooperazione internazionale.

(il Giornale, 17 luglio 2014)


Tentativo notturno di infiltrazione da Gaza

Aspro combattimento quando una cellula terroristica di Gaza ha tentato di infiltrarsi in Israele attraverso un tunnel.

di Shalom Orso

La censura militare ha permesso la pubblicazione della seguente nota:
    Giovedi mattina, 17 luglio, tra le 4 e le cinque, una cellula di Gaza/Hamas, costituita da 13 terroristi, è uscita da un tunnel segreto aperto vicino a Nachal Oz e al Kibbutz Sufa, a est di Gaza.
    Grazie a Dio, alcuni soldati molto pronti dell'IDF hanno visto la cellula terroristica e hanno aperto il fuoco.
    La cellula terroristica, vistasi sotto il fuoco dell'IDF, ha cercato di scappare di nuovo nel tunnel. A quel punto l’artiglieria dell’IDF, carri armati e aviazione hanno cominciato a bombardare tunnel e terroristi.
    Nessun soldato israeliano è rimasto ferito durante l'attacco. Almeno 8 terroristi sono stati uccisi. Il tunnel è stato distrutto.
    Tra le armi trovate sui terroristi c'erano almeno 20 razzi lanciagranate RPG-7, come anche pistole, granate e altro ancora.
    Ore 7:15 - Tutte le città vicino a Gaza sono tornate allo stato normale ad eccezione di Sufa, Hulit, e Kerem Shalom, che sono ancora in allerta.
    Ore 9:30 - Tutto a posto per tutte le città.


All'inizio dell'operazione Margine di protezione, due grandi gallerie dei terroristi che uscivano all'interno del territorio israeliano sono state fatte saltare in aria.
Nello scorso anno, almeno quattro altri grandi tunnel da Gaza verso Israele sono stati scoperti e distrutti.
Si ritiene che Hamas abbia costruito numerose gallerie da Gaza verso Israele per fare rapimenti e attacchi terroristici.
Israele sta progettando di tenere un altro cessate il fuoco alle 10 di oggi, questa volta per supposti motivi "umanitari". Hamas ovviamente utilizzerà questo tempo per riorganizzarsi e attaccare di nuovo.

(The Jewish Press, 17 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Netanyahu perde punti tra i suoi, per la sinistra è un "eroe tragico"

di Rolla Scolari

"Milano. sraele continuerà a fare quello che è necessario per difendersi fino a che la calma e la pace saranno ristabilite", ha detto il premier israeliano parlando ieri da Gerusalemme accanto al ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini. Dopo il fallimento martedì di una tregua proposta dall'Egitto - accettata da Israele, rifiutata da Hamas - continuano i lanci di razzi palestinesi su Israele, che hanno ucciso finora un uomo, e i raid dell'aviazione israeliana sulla Striscia di Gaza - contro le case dei leader del movimento islamista Hamas, i quali però sono per lo più nascosti in gallerie sotterranee, secondo i militari israeliani - che hanno causato 220 vittime (fonti mediche palestinesi), di cui ieri quattro bambini, appartenenti alla stessa famiglia, uccisi sulla spiaggia vicino all'hotel dei giornalisti. Le Nazioni Unite hanno proposto ieri sera un cessate il fuoco umanitario della durata di sei ore che dovrebbe partire da questa mattina: Israele ha accettato, Hamas ancora non ha fatto sapere le sue intenzioni.
   E' il nono giorno di un conflitto che non trova un mediatore, che divide le fazioni palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e che spacca Israele, dando al premier alleati e rivali inattesi. "Benjamin Netanyahu ha preso la decisione giusta", "lo sosteniamo pienamente", ha detto a Wolf Blitzer della Cnn Isaac Herzog, leader della sinistra laburista. E proprio da quella sinistra lontana anni luce dal Likud, partito di governo, e dagli atteggiamenti di un premier definito "falco" è arrivato il sostegno di personaggi come Yossi Beilin e Gershon Baskin, che hanno riconosciuto nelle decisioni di Netanyahu "una relativa cautela". Haaretz, quotidiano della sinistra, definisce il premier "un eroe tragico" dell'operazione militare su Gaza: "Ha detto addio all'immagine del leader che gestisce il terrorismo con un pugno di ferro", almeno davanti al suo elettorato e di fronte ai suoi ministri. E' proprio in casa, nel suo partito e nel suo esecutivo, che Netanyahu sta combattendo un'altra battaglia. Ha licenziato il viceministro della Difesa Danny Danon dopo le critiche sulla gestione della crisi. Non può fare lo stesso con il responsabile degli Esteri, Avigdor Lieberman, che guardando alle prossime elezioni lo ha definito "esitante" e che prende le distanze dal premier chiedendo un'invasione di terra o addirittura la rioccupazione di Gaza. Il premier è stato lodato dal quotidiano Yedioth Ahronoth per aver accettato la tregua "contro i desideri dei propri sostenitori", ma ha attirato le critiche dei suoi ministri, come già accadde nel 2012 quando fu siglato un cessate il fuoco senza una vittoria chiara.
   Per ora, di tregua si parla soltanto. Alla corte del presidente egiziano-mediatore Abdel Fattah al Sisi, il grande assente è l'America. Secondo il quotidiano arabo Asharq al Awsat, Hamas cerca il coinvolgimento di Qatar e Turchia, paesi con cui ha un rapporto più diretto che con l'Egitto, e chiede in cambio di un prolungato periodo di calma la fine del blocco israeliano ed egiziano sulla Striscia e la liberazioni di 56 prigionieri palestinesi. Il rais della Cisgiordania Abu Mazen era atteso ieri in serata in Egitto, con un piano che vedrebbe il ritorno a Gaza di Fatah dopo la sconfitta militare del 2007: un cessate il fuoco che garantirebbe la riapertura del valico di Rafah con l'Egitto, a condizione che a gestirlo sia la sua Anp. Sisi lo incontrerà oggi, e parlerà anche con i leader di Hamas. A mediare, nel secondo viaggio in Egitto in pochi giorni, c'è anche l'ex premier britannico Tony Blair.

(Il Foglio, 17 luglio 2014)


Perché Hamas vuole la guerra?

di Daniel Pipes

In uno studio magistrale, dal titolo Le cause delle guerra, Geoffrey Blainey osserva che i politici iniziano le guerre quando sono ottimisti sulle prospettive di vincere, altrimenti eviterebbero di combattere.
   E allora perché Hamas ha provocato una guerra con Israele? Di punto in bianco, l'11 giugno è iniziato il lancio di razzi, che ha mandato in frantumi una quiete in vigore dal novembre 2012. Il mistero di questa esplosione di violenza ha spinto David Horowitz, direttore del Times of Israel, a rilevare che i combattimenti in corso "non sono minimamente giustificati". E perché la leadership israeliana ha risposto in modo irrisorio, cercando di evitare il combattimento? È così, anche se entrambe le parti sanno che le forze israeliane sono di gran lunga superiori a Hamas in ogni settore - raccolta di informazioni, comando e controllo, tecnologia, potenza di fuoco, dominio dello spazio aereo.
   Come si spiega questa inversione di ruoli? Gli islamisti sono così fanatici al punto che non gliene importa nulla di perdere? I sionisti hanno troppa paura di morire nei combattimenti?
   In realtà, i leader di Hamas sono abbastanza razionali. Periodicamente (è successo nel 2006, 2008, 2012), essi decidono di fare guerra a Israele ben sapendo di essere battuti sul campo di battaglia, ma ottimisti di vincere a livello politico. I leader israeliani, al contrario, ritengono di poter vincere a livello militare ma temono una sconfitta politica - critiche da parte della stampa, risoluzioni delle Nazioni Unite, e così via.
   Concentrarsi sulla politica rappresenta un cambiamento storico; nei primi venticinque anni di vita di Israele abbiamo assistito a ripetute sfide alla sua esistenza (soprattutto nel 1948-1949, 1967 e nel 1973) e non si sapeva come quelle guerre sarebbero andate a finire. Ricordo il primo giorno della guerra dei Sei giorni del 1967, quando gli egiziani proclamavano splendidi trionfi, mentre il totale silenzio della stampa israeliana faceva pensare a una catastrofe. È stato uno shock apprendere che Israele aveva ottenuto la più grande vittoria negli annali della guerra. Il punto è che le sorti della guerra furono decise in modo imprevedibile sul campo di battaglia.
   Non è più così: le sorti delle guerre arabo-israeliane degli ultimi quarant'anni sono state prevedibili; tutti sapevano che le forze israeliane avrebbero prevalso. È stato come giocare a guardie e ladri piuttosto che combattere una guerra. Paradossalmente, questa asimmetria sposta l'attenzione dalla vittoria e dalla sconfitta alle questioni etiche e politiche. I nemici di Israele lo provocano per uccidere civili, la cui morte arreca loro molteplici vantaggi.
   I quattro conflitti scoppiati dal 2006 hanno rinverdito la reputazione offuscata di Hamas di "movimento di resistenza", hanno costruito la solidarietà sul fronte interno, hanno fomentato il disaccordo fra arabi ed ebrei in Israele, hanno spronato i palestinesi e altri musulmani a diventare degli attentatori suicidi, hanno imbarazzato i leader arabi non-islamisti, hanno garantito nuove risoluzioni da parte delle Nazioni Unite a discapito di Israele, hanno indotto gli europei a imporre delle sanzioni più severe contro Israele, hanno aperto i rubinetti della critica corrosiva contro lo Stato ebraico da parte della sinistra internazionale e sono riusciti a ottenere un aiuto supplementare dalla Repubblica islamica dell'Iran.
   Il Santo Graal della guerra politica è riscuotere la simpatia della sinistra globale presentandosi come perdenti e vittime. (Va sottolineato che, da un punto di vista storico, questo è molto strano: tradizionalmente i combattenti hanno sempre cercato di spaventare il nemico mostrandosi come terribili e inarrestabili.)
   Le strategia di questa nuova guerra annovera una serie di espedienti come invocare l'appoggio di personaggi famosi, fare appello alle coscienze e l'utilizzo di semplici ma efficaci vignette politiche (i sostenitori di Israele tendono a eccellere in questo, ora come in passato). I palestinesi sono ancora più creativi, sviluppando due tecniche fraudolente: la "disinformazione attraverso le foto" e la cosiddetta "Pallywood" [secondo Wikipedia è un termine composto da "Palestinese" e "Hollywood, un neologismo utilizzato per indicare "la manipolazione dei media, la loro distorsione e la completa truffa da parte dei palestinesi col fine di vincere la guerra mediatica e della propaganda contro Israele", N.d.T.] utilizzata nei video. In passato, gli israeliani assecondavano la necessità di ciò che chiamano hasbara, ossia veicolare i messaggi [o fare propaganda], ma negli ultimi anni si sono maggiormente concentrati su questo.
   Nelle guerre civili in Siria e in Iraq, sono di estrema importanza le sommità delle colline, le città e le strade strategiche, mentre la moralità, la proporzionalità e la giustizia dominano le guerre arabo-israeliane. Come scrissi nel 2006 durante lo scontro diretto tra Israele e Hamas, "la solidarietà, la moralità, la lealtà e la comprensione sono l'acciaio, la gomma, il carburante e le armi dei nostri tempi". O nel 2012: "Gli op-ed hanno sostituito le pallottole, i social media hanno rimpiazzato i carri armati". Più in generale, questo fa parte del profondo cambiamento della guerra moderna quando le forze occidentali e non-occidentali combattono, come ad esempio nelle guerre condotte dagli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq. Come diceva lo stratega prussiano Carl von Clausewitz, l'opinione pubblica è il nuovo centro di gravità.
   Detto questo, come procede Hamas? Non bene. Le perdite subite sul campo di battaglia dall'8 luglio sembrano più ingenti del previsto e Israele non ha ancora fatto incetta di condanne internazionali. Anche i media arabi sono relativamente tranquilli. Se va avanti così, Hamas potrebbe arguire che lanciare razzi sulle case israeliane non è una buona idea. Anzi, per essere dissuasa dall'intento di lanciare un nuovo attacco nel giro di qualche anno, Hamas ha bisogno di subire una sconfitta molto pesante sul terreno politico e su quello militare.

(L'Opinione, 17 luglio 2014 - trad. Angelita La Spada)


Hamas non tollera i compromessi

di Pierluigi Magnaschi

Si scopre in modo evidentissimo, in Medio Oriente, un gioco politico-militare che peraltro era già molto chiaro. Hamas, che governa la Striscia di Gaza (che si trova a Sud di Israele e che confina anche con l'Egitto), ieri sembrava aver accettato la mediazione egiziana del cessate il fuoco. Senonché, dopo sei ore di sospensione nel lancio dei suoi missili su Israele, Hamas ha ricominciato a spararli.
   Il compromesso era basato su questa duplice e contemporanea intesa: da una parte, Hamas si impegnava a sospendere il lancio dei suoi missili su Israele. E, dall'altra, Israele sospendeva immediatamente i suoi bombardamenti sulla Striscia di Gaza. Non era la pace, certo, ma almeno era una sospensione dei combattimenti che consentiva, quanto meno, di evitare il suo contorno di vittime e di rilevanti danni materiali che finiscono per colpire quasi solo le due popolazioni coinvolte in questi combattimenti. Inoltre, vista la disparità della tecnologia militare, questi danni sono prevalentemente a danno della popolazione palestinese.
   Come mai allora Hamas ha detto di no alla mediazione egiziana e, riprendendo il lancio dei missili, si è esposto alla pesante risposta israeliana? I motivi sono ideologici, strategici e propagandistici. Hamas infatti teme, rinunciando al lancio dei suoi missili, di apparire sconfitto da Israele. Indubbiamente, sul piano dell'immagine, non ha torto. Questo conflitto è iniziato perché Hamas ha cominciato a sparare missili su Israele. Il governo di Gerusalemme ha allora risposto utilizzando la sua aviazione. Se adesso Hamas cessa di lanciare i suoi missili, vuol dire che ha accettato questa ipotesi solo perché è stato fiaccato/sconfitto dalla reazione bellica israeliana.
   Ecco perché Hamas (che, come tutti i movimenti fondamentalisti, è favorevole al «tanto, peggio, tanto meglio») ha ripreso a lanciare i suoi razzi su Israele, ricominciando così a subire le pesanti risposte di Gerusalemme. Anche se è triste constatarlo, per un movimento che si propone di annientare Israele «cancellandolo dalla faccia della terra», l'obiettivo non è tanto la sicurezza della sua popolazione quanto l'annientamento del nemico . Che, tra l'altro, è un obiettivo che Hamas non riesce a conseguire. Perciò, in attesa di annientare Israele, La Striscia di Gaza si annienta da sola.

(ItaliaOggi, 16 luglio 2014)


Ex generale di Israele: dobbiamo entrare a Gaza

"Meglio dei raid. Si evitano vittime civili e siamo più efficaci"

 
Tzvika Fogel
GERUSALEMME - "Un'operazione via terra è l'unico modo che abbiamo per colpire Hamas e non la popolazione di Gaza". Non ha dubbi, Tzvika Fogel. Questo generale di origini rumene, oggi in pensione, è stato in passato a capo del Comando meridionale: per anni i razzi sparati dalla Striscia palestinese e i tentativi d'infiltrazione di terroristi sono stati il suo pane quotidiano. A poche ore dal rifiuto del cessate-il-fuoco da parte di Hamas, l'opzione militare che resta sul tavolo, e che molti tra gli israeliani del sud invocano, è appunto l'ingresso dell'esercito nell'enclave palestinese. Uno scenario che gli Stati Uniti e la comunità internazionale sperano invece di evitare, nel timore che determini un aumento delle vittime civili. "In realtà - ribatte però Fogel - è con i bombardamenti dall'alto che distruzione di edifici civili e vittime tra la popolazione sono inevitabili. Per questo io dico: Israele dia il via all'invasione terrestre, che è decisamente più accurata.
   Inoltre, quando guardi gli occhi del nemico, e lui guarda i tuoi, c'è un potenziale di deterrenza maggiore". Ma entrare a Gaza significa mettere in conto la morte di alcune decine di soldati: un'eventualità che parte dell'opinione pubblica in Israele non sembra pronta ad accettare. E questo, secondo Fogel, spiega perché il governo non abbia ancora dato il suo ok. "Molti dei nostri decisori mancano di coraggio: pensano alla popolarità, alle elezioni. Da qualche anno è come se il sangue dei militari fosse più rosso di quello dei civili.
   Mettere a rischio la popolazione, bersagliata dagli ordigni sparati da Hamas, sembra diventato più accettabile rispetto alla possibilità di perdere un uomo sul campo di battaglia".
   Dal punto di vista geopolitico, poi, oggi c'è un ulteriore elemento da considerare: l'Egitto di al-Sisi. "Per Israele è una possibilità unica. Credo che al-Sisi ami Hamas anche meno di quanto l'amino gli israeliani. Abbiamo un partner, è la nostra occasione per colpire definitivamente il centro di potere militare di Hamas e vederlo collassare".

(ANSAmed, 16 luglio 2014)


Iraq, i miliziani Isis negano aiuti a cristiani e sciiti

Ai funzionari pubblici di Mosul è stato ordinato di sospendere forniture di cibo e gas.

I miliziani jihadisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isis), che dallo scorso 9 giugno controllano Mosul e hanno proclamato il califfato islamico, hanno ordinato ai funzionari pubblici di sospendere ogni fornitura di aiuti in cibo e bombole del gas agli sciiti, ai curdi e ai pochi cristiani rimasti nella seconda città dell'Iraq. Lo confermano all'agenzia Fides, citata anche dalla Radio Vaticana, fonti cristiane di Mosul, dopo che la notizia era stata rilanciata dal sito arabo www.ankawa.com.
Secondo quanto riferito dal funzionario locale Fadel Younis, i rappresentanti del califfato islamico hanno annunciato che ogni infrazione del divieto verrà punita sulla base di regole attribuite alla Sharia.
Nella città dell'Iraq settentrionale - confermano a Fides fonti del patriarcato caldeo - anche le case abbandonate dai battezzati vengono «segnalate» con la lettera «N», iniziale della parola araba Nazarat (cristiano), e in esse si insediano occupanti sunniti fiancheggiatori del califfato.

(Vatican Insider, 16 luglio 2014)


Brunetta: Domani parteciperò alla veglia di solidarietà della comunità ebraica

"Domani parteciperò con convinzione alla veglia di solidarietà per la drammatica situazione in Israele, organizzata a Roma dalla comunità ebraica e dal presidente degli ebrei romani, Riccardo Pacifici". Così Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia che spiega: " Condivido il messaggio di speranza con il quale è stata lanciata la manifestazione: 'L'unico rifugio che chiede il popolo ebraico è la pace'. Deve essere la pace l'obiettivo finale, la stella polare da seguire con determinazione. Domani sarò in piazza anche per questo, e per portare una testimonianza di solidarietà, a nome mio e di tutti i deputati di Forza Italia, ad un popolo, quello ebraico, da sempre amico dell'Italia e degli italiani".

(il Velino, 16 luglio 2014)


Veglia di ebrei romani al Pantheon

'Dalla parte di Israele e dei civili palestinesi'
E se risultasse che anche i civili palestinesi stanno contro Israele?


ROMA, 16 lug - Una "veglia di solidarietà per la situazione in Israele", organizzata dalla comunità ebraica romana, si svolgerà domani dalle 19.30 in piazza della Rotonda al Pantheon, a Roma. Lo ha reso noto il presidente degli ebrei romani Riccardo Pacifici. "L'unico rifugio che chiede il popolo ebraico è la pace", si legge sulla locandina della veglia diffusa sui social network. Davanti al Pantheon "si svolgerà una maratona oratoria sulla situazione in Israele e per chiedere con forza la pace - ha reso noto la comunità ebraica -. Ci saranno politici, mondo della cultura e società civile. Sarà una grande manifestazione dalla parte di Israele e dei civili palestinesi".

(ANSA, 16 luglio 2014)


La tregua che non c'era

Israele accetta il cessate il fuoco, Hamas no. Dov'è la sproporzione?

Gli egiziani hanno infine deciso di intervenire nel conflitto israelo-palestinese a Gaza, dopo aver tentennato a lungo, e per gli israeliani questa era una buona notizia. Tre anni di incertezze, di relazioni disastrate tra il
Noi usiamo i missili per difendere i nostri civili. Loro usano i civili per difendere i loro missili.
Netanyahu     
Cairo e Gerusalemme, e poi l'annuncio di un cessate il fuoco proposto dallo storico mediatore - con la faccia nuova del presidente Sisi: Israele ha accettato la tregua, e ha aspettato. Il premier, Benjamin Netanyahu, ha trattenuto i falchi del suo governo (no, non è lui il falco: ieri sera un viceministro alla Difesa se n'è andato perché non accetta più "l'approccio di sinistra" del premier), ha aspettato che Hamas facesse una dichiarazione, e ha anche accettato che cadessero alcuni razzi, capita sempre così, prima dei cessate il fuoco, il gruppo palestinese vuole avere "l'ultima parola".
   Poi il lancio di razzi s'è intensificato, l'ala radicale di Hamas, che per prima ha parlato rifiutando una tregua i cui dettagli ha conosciuto soltanto dai media ("sarebbe una resa"), è rimasta l'unica voce che s'è alzata da Gaza e così l'aviazione di Tsahal ha ricominciato a bombardare. Un uomo israeliano è stato colpito e ucciso dall'esplosione di un razzo, la prima vittima del conflitto contro i quasi 200 morti (secondo fonti palestinesi) a Gaza, e così è ricominciato il dibattito sulle sproporzioni, Hamas lancia razzi e non fa male a nessuno (ora la colpa di Israele è anche che sa difendersi) e Tsahal invece fa stragi. Lo schema lo conosciamo, è lo stesso per cui circolano fotografie per lo più taroccate di morti palestinesi ed è il motivo per cui Israele accetta la tregua e Hamas no, ma la colpa è comunque di Israele. Manca il tassello americano, questa volta, così fumoso da non sapere più se augurarsi l'arrivo di Kerry nella regione, oppure no.

(Il Foglio, 16 luglio 2014)


Hamas sfrutta le vittime dei bombardamenti con grande cinismo

La stanza di Mario Cervi

A seguito dei ripetuti avvisi delle Autorità d'Israele agli abitanti di alcune zone della Striscia di Gaza di allontanarsi dalle loro case perché saranno oggetto di attacchi aerei, arriva il perentorio invito di llamas a rimanervi, perché «non c'è alcun pericolo». La citata organizzazione evidentemente ha grande necessità di produrre martiri con spargimento di sangue offerto ad Allah. Tutto, con telecamere già belle e piazzate nei punti giusti, per offrire all'opinione pubblica mondiale evidenza di vittime a mucchi che dimostrerebbero cosa son capaci di fare quei biechi israeliani. Stupisce che le cosiddette organizzazioni internazionali, con il temporeggiatore Obama in testa, non se ne rendano tuttora conto.
Luigi Fassone

Caro Fassone, lei crede proprio che Obama e le organizzazioni internazionali non si rendano conto del cinismo di Hamas quando esorta la gente di Gaza a non allontanarsi dalle sue case sulle quali incombe la minaccia delle rappresaglie israeliane? Secondo me se ne rendono conto benissimo. Sanno che per l'estremismo islamico i morti innocenti sono un dono di Allah, consentono di usare quel sangue per attizzare l'odio arabo e per offrire argomenti ai pacifisti in buona o in cattiva fede. La manovra di Hamas è con tutta evidenza d'un cinismo ripugnante. Ma l'Europa e gli Stati Uniti sono pressoché impotenti nel contrastarla. Si trovano di fronte a un dilemma tragico. Se riconoscono che le intimazioni israeliane sono fondate - in risposta ad atti di infame crudeltà - verranno colpevolizzati dalle anime belle come complici di stragi e distruzioni. Se non lo riconoscono si associano al giuoco di morte architettato da Hamas. Alla guerriglia palestinese fa difetto ogni traccia di sentimento umano, ma non fa difetto una diabolica astuzia.

(il Giornale, 16 luglio 2014)


II vero nemico dei palestinesi è Hamas

Rifiuta la tregua e spara missili e bombe: ucciso un israeliano. Netanyahu ordina la ripresa dei raid.

di Carlo Panella

 
Hamas ha deciso di continuare a massacrare il popolo palestinese. La prova lampante si è avuta ieri, quando Bibi Netanyahu ha ordinato la sospensione immediata dei raid aerei sulla Striscia di Gaza dopo che il suo governo aveva accettato la proposta di tregua immediata dei combattimenti per aprire un rapido giro di negoziati con Hamas su proposta del presidente egiziano Fattah al Sisi. Ma Hamas ha rifiutato la tregua e ha continuato a tirare 50 razzi sul territorio israeliano, tutti intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. Lanci che avevano solo uno scopo: obbligare Israele a riprendere i bombardamenti delle rampe di Hamas nella Striscia. Così è stato e nel primo pomeriggio, dopo alcune ore di sosta, Netanyahu ha ordinato al ripresa dei raid aerei. Un israeliano, il primo, è stato ucciso al valico di Eretz, ma da un colpo di mortaio, non intercettabile. Le truppe di terra israeliane continuano a sostare a ridosso del confine. La ragione del demenziale rifiuto di Hamas è semplice: mentre la sua ala politica era disposta ad accettare la sospensione dei combattimenti, l'ala militare, le Brigate Ezzedine al Qassam si è ribellata, ha considerato la proposta «una capitolazione» e ha imposto la continuazione dei combattimenti. Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas ha dettato all'agenzia di stampa palestinese Maan un comunicato delirante: «Noi di Hamas non abbiamo saputo della proposta egiziana se non attraverso i media. Nessuno ci ha consultato sull'iniziativa, per questo è ovvio che non siamo tenuti al rispetto della tregua; l'obiettivo della nostra lotta è mettere fine all'oppressione contro la nostra gente in generale e la popolazione di Gaza in particolare e il cessate il fuoco non è il nostro obiettivo». Una mossa che spiazza le «anime belle» che imputano a Israele la responsabilità della guerra, che dimostra definitivamente che è solo Hamas a volerla per la semplice ragione che sa solo sparare razzi e che considera i danni ai civili solo uno strumento di propaganda. Spiazzato è anche Abu Mazen, che dimostra una volta di più di essere solo il «sindaco di Ramallah» - come è definito con spregio - e di non avere nessuna influenza su quella Hamas con cui si è alleato. Il governo «unitario» palestinese ha accettato la tregua, ma è irriso dalla sua componente di Hamas: il solito caos palestinese. Ugualmente irrisa dal rifiuto di Hamas è la Lega Araba, che aveva dato il suo avallo al piano egiziano.
   La mossa spiazza anche i governi europei che sanno solo darsi l'obiettivo di una tregua, senza porsi minimamente quello indispensabile del disarmo completo di Hamas e che ora non sanno più che fare e che dire. J.F. Kerry si è limitato a prendere atto del rifiuto di Hamas, ha negato di volersi recare al Cairo per colloqui con al Sisi, mostrando una volta di più che ormai l'Amministrazione Obama si tiene irresponsabilmente estranea alle crisi mediorientali. Sempre nella mattinata di ieri un episodio illustra meglio di ogni trattato come la popolazione di Gaza non ne possa più di Hamas: una folla inferocita di palestinesi di Gaza ha preso a lanci di uova e scarpe (il massimo dell'offesa per gli arabi) l'auto del ministro della Salute di Hamas Jawad Awad in vista ad un ospedale, al rientro da un comodo - e sicuro - soggiorno in Egitto. Awad è stato costretto a una rapida e ingloriosa fuga.

(Libero, 16 luglio 2014)


Le povere vittime

Ivan Basana ha ripescato e ci ha inviato una sintetica valutazione di Indro Montanelli sulla questione dei profughi palestinesi. E’ stata scritta più di quarant’anni fa, ma resta ancora valida.

di Indro Montanelli

Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d'Israele.
Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta.
Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsoclalista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo.
Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso.
(dal Corriere della Sera» del 16 settembre 1972)

(Notizie su Israele, 16 luglio 2014)


Senigallia - Un manifesto inneggia al combattimento tra palestinesi ed israeliani
Per l’esattezza, il manifesto il non invita al combattimento TRA palestinesi e israeliani, ma invita i PALESTINESI a combattere GLI israeliani e a ricercarli “in ogni punto della Terra”. Non è la stessa cosa.


di Sudani Scarpini

«I palestinesi attacchino Israele». E' questo il contenuto del manifesto sequestrato lunedì pomeriggio dai carabinieri della locale stazione a Senigallia.
Il manifesto, recante l'effigie del defunto leader palestinese Yasser Arafat e la scritta "Con la Palestina nel cuore" unitamente ad un foglio formato A4 con la dicitura 'Palestinesi è necessario ritornare in Patria a combattere contro gli assassini e ladri israeliani che stanno eliminando il popolo palestinese ... andateli a ricercare in ogni punto della Terra ed applicate la stessa loro legge dell'occhio per occhio …', era stato affisso all'interno di una bacheca per l'esposizione di locandine e di articoli di stampa lungo Corso 2 Giugno all'altezza di Piazza Saffi.
Pertanto i militari impegnati in un servizio di perlustrazione, come disposto dall'Autorità Giudiziaria competente, hanno forzato l'apertura della bacheca chiusa con un lucchetto e sequestrato il manifesto.
Sono ora in corso le indagini per risalire ai responsabili della bacheca ed a coloro che hanno affisso il materiale sottoposto a sequestro.

(Vivere Senigallia, 14 luglio 2014)


La notizia ci è stata segnalata da Ettore Coen, esponente della comunità ebraica senigalliese che già cinque anni fa era stato minacciato con una lettera anonima, come a suo tempo aveva riportato anche il nostro sito.


La guerra giusta di Israele

di Giulio Meotti

I militari israeliani interrompono le missioni militari contro Hamas quando scorgono nei radar la presenza di donne e bambini. I militari israeliani telefonano alle famiglie dei palestinesi vicine di casa di terroristi poco prima di lanciare un raid. I militari israeliani sgombrano intere aree palestinesi prima di una operazione, con le buone, non con il gas nervino, come Assad in Siria, o il fosforo, come gli americani in Iraq. I militari israeliani curano i palestinesi di Gaza nei propri ospedali.
    Persino fra i cosiddetti "amici di Israele" sulla stampa italiana ipocrita è difficile dirlo, ma lo stato ebraico sta conducendo una guerra giusta con mezzi giusti, proporzionati, perfino troppo consoni con la giurisprudenza internazionale che sancisce il diritto all'autodifesa.
    Nessun altro popolo del mondo è costretto a simili livelli di moralità nelle proprie guerre. Si dice che i palestinesi muoiano e che gli israeliani contino soltanto feriti. É vero, per adesso, perchè i terroristi usano i propri fratelli come scudi umani, perché spesso i palestinesi cercano il "martirio", perchè di Israele non si contano le generazioni di invalidi da terrorismo.
Israele sta conducendo una guerra perchè una entità fanatica, genocida e illegale, Hamas a Gaza, sta bombardando da giorni il territorio ebraico, fino a Nahariya, che chi scrive ha visitato tempo fa, incuneata nell'alta Galilea, sotto il Libano. Altro che razzetti, sono missili con una gittata di 200 km di fabbricazione siriana, iraniana e cinese. A oggi, i terroristi palestinesi hanno un arsenale di 10.000 missili.
    Dopo la caduta dei Talebani in Afghanistan, Gaza è diventato il primo stato terroristico al mondo. L'unica entità politica e territoriale al mondo che lavora per l'annientamento di un altro paese, così come l'Afghanistan dei Talebani era un campo di addestramento contro l'America. Assieme all'Area A della Cisgiordania, Gaza è anche il primo pezzo di "Palestina liberata". L'opinione pubblica occidentale ha sanzionato il diritto di Hamas di ingaggiare la guerra santa contro Israele. Così il New York Times li chiama "militants", non terroristi o jihadisti. Significa che è una guerra legittima. E' una operazione ideologico-semantica che sminuisce il crimine dei terroristi e la sofferenza delle vittime israeliane.
    Israele, l'unico pezzo di democrazia occidentale bombardata nel XXI secolo, ha diritto a questa guerra. Il mondo occidentale, che l'ultima guerra l'ha conosciuta settant'anni fa, non ha diritto a dare lezioni di morale ai figli e ai nipoti di chi venne abbandonato nei forni crematori.

(Il Foglio, 15 luglio 2014)


Il cimitero fantasma di Firenze

Sconosciuto ai più è stato recentemente recuperato: viaggio nel cimitero ebraico di viale Ariosto, ai confini dell'Oltrarno.

di Gianni Carpini

 
Era un cimitero fantasma, sconosciuto ai più, distrutto dal peso degli anni, ferito dai vandali e inglobato dalla vegetazione. Adesso ha iniziato a rivivere. Nel vecchio cimitero ebraico di Firenze, per ricomporre 150 lapidi andate in frantumi è arrivato anche un team di undici studenti israeliani. Armati di buona pazienza hanno ricomposto le pietre sepolcrali come in un puzzle fatto di marmo e scritte in ebraico da decifrare.

- Cippi e monumenti con la stella di David
  Ci sono voluti sette anni per completare la prima fase di recupero, tanto rimane da fare, ma i 235mila euro spesi per gli interventi nel cimitero monumentale ebraico di viale Aristo, poco fuori porta San Frediano, ai confini del Q4, hanno dato i primi risultati. "È irriconoscibile rispetto a com'era qualche anno fa", commentano i rappresentanti della comunità ebraica fiorentina che ricordano ancora i sopralluoghi prima del cantiere-laboratorio. "Le erbacce e le piante si erano mangiate tutto - raccontano - il tempo e i vandali avevano disfatto il resto". Adesso restano da svolgere lavori per 250mila euro e da installare un sistema di allarme per tenere alla larga i malintenzionati.

- Come visitare il vecchio cimitero ebraico di Firenze
  Da qualche anno l'area è visitabile, ma le persone che chiedono di varcare il cancello al civico 16 di viale Ariosto sono ancora poche. Le prenotazioni sono così rare che le visite, previste inizialmente una volta al mese, oggi sono si tengono solo su appuntamento. Il sogno della comunità ebraica è quello di far entrare questo vecchio cimitero, aperto nel 1777 e attivo per un secolo, nelle guide turistiche, trasformandolo in una meta che attragga turisti e fiorentini. "Un po' come succede per il cimitero ebraico di Praga", dice l'architetto Renzo Funaro che segue le attività di recupero.

- La piramide dell'Oltrarno
  Ci sono tante storie nascoste dietro a ogni sepoltura, 1.400 quelle catalogate dopo un lungo lavoro certosino. Come la vicenda della signora Fortunata Lusena sepolta qui nel 1944, quando il camposanto era già chiuso, perché era impossibile tumularla all'interno del nuovo cimitero ebraico nella zona occupata dai nazisti. E poi c'è una delle piramidi di Firenze: la tomba monumentale costruita nell'Ottocento in memoria del cavaliere David Levi e disegnata da Marco Treves, del gruppo di architetti che hanno firmato la sinagoga di Firenze.

- Il restauro
  Durante il primo lotto di lavori nel vecchio cimitero ebraico di Firenze, sono venute alla luce 450 lapidi, i monumenti funebri sono stati sistemati. La ricetta per riportare in vita le tombe in pietra serena? Un bell'impacco di carbonato di ammonio per fermare la formazione di muschio, un'aggiunta di sostanze protettive e resine per consolidare la struttura e per finire la stuccatura con polvere di pietra.

(il Reporter, 14 luglio 2014)


Nell'ospedale di Ashkelon

Mentre la diplomazia lavora ad un cessate il fuoco, continuano i bombardamenti israeliani sulla striscia di gaza, da cui partono razzi verso Israele. L'inviata di RaiNews24 Annamaria Esposito è andata a vedere la situazione in un ospedale della città israeliana di Ashkelon.

(RaiNews24, 15 luglio 2014)


Hamas respinge la tregua. Ripresa l'offensiva di Israele su Gaza

Israele aveva accettato il cessate fuoco.

ROMA - Israele ha ripreso le operazioni nella Striscia di Gaza dopo sei ore ''di attacchi unilaterali'' di Hamas che ha sparato ''47 razzi''. Lo afferma il portavoce militare.
Il governo israeliano aveva deciso di accettare l'iniziativa egiziana per un cessate il fuoco, con inizio da stamani alle 9 (le 8 in Italia).
Nonostante le pressioni di Egitto, Lega araba e Usa, invece, Hamas e il suo braccio armato - le Brigate Ezzedin al-Qassam - hanno rifiutato una tregua. "Se il contenuto di questa proposta è quel che sembra, si tratterebbe di una resa e noi la rigettiamo senza appello", hanno affermato le Brigate in un comunicato. "La nostra battaglia contro il nemico si intensificherà", hanno aggiunto.
Il presidente dell'Anp Abu Mazen - come riferito dall' agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa - sostiene la proposta egiziana per riportare la calma fra Israele e la striscia di Gaza. Abu Mazen, che domani sarà al Cairo per incontrare il presidente egiziano Sisi, ha lanciato un appello ''a tutte le parti'' affinche' assecondino gli sforzi egiziani, nell'intento di risparmiare ulteriori vittime al popolo palestinese e ''nel supremo interesse nazionale''.
Nella notte razzi sono stati sparati verso il territorio israeliano dal Sinai egiziano, dal Libano e dalla Siria.
L'attacco piu' grave e' stato diretto verso la citta' turistica israeliana di Eilat (mar Rosso), dove sono esplosi tre razzi che hanno ferito tre persone. Dal Libano due razzi sono stati sparati verso la Galilea occidentale e dalla Siria altri due razzi sono stati lanciati verso il Golan. Lo stato di allarme resta elevato nel Sud di Israele. Le sirene risuonano ad Ashqelon e in altre località vicine alla striscia di Gaza, mentre da Gaza proseguono sporadici lanci di razzi. Non si ha notizia di vittime. Intanto restano gravi le condizioni di una beduina israeliana di circa 12 anni, colpita ieri nel Neghev dal frammento di un razzo palestinese.

(ANSAmed, 15 luglio 2014)


Il nuovo rabbino di Trieste: «Custode delle regole e delle tradizioni»

Si è insediato Elizier Shai Di Martino: «Ma voglio guardare anche all'esterno del nostro mondo»

di Claudio Ernè

 
Rav Elizier Shai Di Martino
Ha gli occhi che sorridono e il volto giovane di chi vuole fare molte cose e ha anche il tempo per portarle a buon fine. Parla sei lingue, ama i libri e la musica e in questi giorni sta prendendo le misure a Trieste e alla nostra difficile storia di frontiera.
Rav Elizier Shai Di Martino, 36 anni, tre figlie, da un paio di settimane è il nuovo rabbino capo di Trieste e di tutto il Friuli Venezia Giulia. Nato a Roma da famiglia di origine napoletana, già rabbino capo di Lisbona, ha studiato per sei anni in Israele, ha lavorato per breve tempo in Colombia e dice di non «conoscere le mezze misure». Ama visceralmente il Sud e il Nord, Guastalla e Vico Equense, tanto per fare due esempi. «Parlo e leggo il portoghese, lo spagnolo-messicano, Paese d'origine di mia moglie Molka, l'ebraico, l'inglese, il francese. Conosco l'aramaico e qui a Trieste ho capito di dover imparare in fretta lo sloveno. Purtroppo non so il tedesco...»
Intanto in pochi giorni ha assimilato e fatte proprie alcune frasi del nostro dialetto. «Qua a Trieste xe pien de musati», sorride citando le zanzare che hanno punto più volte Nehama, sei anni, la più giovane delle sue figlie. Le altre, Simha e Jhoved, otto e sette anni, sono uscite indenni dall'attacco sferrato dagli insetti nell'abitazione di famiglia di via del Monte.
A Trieste in questi giorni sta facendo visita alle istituzioni della Comunità ebraica: in primo luogo agli anziani ospiti della Pia Casa Gentilomo di via Cologna. Poi al cimitero, mentre si ripromette di conoscere la Risiera e i binari della stazione centrale da cui negli anni dell'occupazione nazista partirono i "convogli" diretti ai campi di sterminio.
Rav Elizier Shai Di Martino usa invece i pomeriggi per conoscere le famiglie di quella che è diventata la sua comunità. «Non sono venuto allo sbaraglio. Voglio conoscere più profondamente i tratti peculiari delle persone per poter mettere in pratica le mie idee. Al primo posto nei miei pensieri ci sono la scuola, la comunità e la lingua che ha tenuto assieme noi ebrei per i duemila anni dell'esilio. Cercherò di essere il custode delle tradizioni e dell'osservanza delle regole. Voglio guardare anche all'esterno del mondo ebraico: al caffè San Marco ho conosciuto il sindaco Roberto Cosolini che in precedenza mi aveva inviato una lettera di benvenuto a Trieste. Gli farò visita in Municipio e spedirò un messaggio a tutti i rappresentanti delle più importanti comunità religiose presenti a Trieste».
  «Io non sono un sacerdote anche se i rabbini sono figure religiose. In sintesi non sono un mediatore tra la terra e il cielo come accade in altre culture: sono solo quello che nel passato veniva chiamato in ebraico "morè" e che in lingua italiana vuol dire maestro, insegnante, professore. Ecco perché sto cercando di conoscere in tempi brevissimi tutti gli iscritti alla nostra comunità. Nel meridione d'Italia, così come in Portogallo, negli anni bui dell'Inquisizione molti per salvare la vita hanno abbandonato formalmente l'ebraismo per farsi cristiani. Altri sono scappati. Lisbona di recente ha varato una legge che offre la cittadinanza portoghese agli eredi di quei perseguitati. Dai Paesi balcanici sono arrivate in Portogallo settemila richieste provenienti da famiglie saferdite. Mi piacerebbe che qualcosa di analogo accadesse in Italia: nel Meridione molti segni dell'antica cultura ebraica sono leggibili nelle traduzioni popolari. Questi segni sono sopravvissuti alle persecuzioni e all'inquisizione».

(Il Piccolo, 14 luglio 2014)


Sirene, nervi saldi e asciugamani

di Ada Treves

I migliori disegnatori israeliani continuano a mostrare nelle loro vignette come nonostante la pesantissima situazione il paese continui a vivere "normalmente". Ma i professionisti dell'illustrazione non sono i soli impegnati in questa piccola sfida dell'intelligenza e dell'ironia: tutti gli israeliani si stanno in queste ore mostrando maestri nel portare avanti la propria quotidianità cercando di continuare anche a sorridere.
Cogliere l'ironia delle situazioni più disparate, e collegarle a riferimenti noti e riconoscibili in tutto il mondo per far circolare un'immagine comunque positiva di Israele, e dei suoi cittadini, che non si fanno piegare. Un'operazione riuscita particolarmente bene agli autori di uno scatto postato su facebook nelle scorse ore, che ritrae un anziano signore - con indosso solo un grande asciugamano verde - che sorride di fianco a una ragazza "vestita" nello stesso modo.
Nulla di strano: i due sono vicini di casa, erano entrambi sotto la doccia quando è risuonato alto l'allarme delle sirene, e la fretta di raggiungere il rifugio antimissile non ha permesso di vestirsi. Ma chi ha pubblicato la foto, ha voluto anche fare un riferimento esplicito allo scrittore inglese Douglas Adams, sin dal nome dell'immagine: "Under Hamas Rocket-fire? Don't Forget Your Towel". Un riferimento non casuale.
Nella sua "Guida galattica per gli autostoppisti", la trilogia in cinque volumi notissima in tutto il mondo, una parte del terzo capitolo infatti è dedicata all'importanza di avere sempre con sé un asciugamano. "L'asciugamano - scrive Adams - è forse l'oggetto più utile che l'autostoppista galattico possa avere. In parte perché è una cosa pratica (…) Ma soprattutto, l'asciugamano ha una immensa utilità psicologica. Un uomo che abbia girato in lungo e in largo per la galassia in autostop, adattandosi a percorrerne i meandri nelle più disagevoli condizioni e a lottare contro terribili ostacoli vincendoli, e che dimostri alla fine di sapere dov'è il suo asciugamano, è chiaramente un uomo degno di considerazione."
Due settimane dopo la morte di Adams, il 25 maggio del 2001, è stato lanciato il World Towel Day (la Giornata mondiale dell'asciugamano), tutt'ora festeggiato in tutto il mondo dai fan della Guida. Appassionati che si riconoscono facilmente non solo quando parlano dell'importanza degli asciugamani, ma anche per il ricorrere di altre espressioni come "Don't panic!", quel "Non fatevi prendere dal panico!" che compare sulla copertina della Guida originale. Allora, forse, i due involontari protagonisti dell'immagine che riproduciamo anche sul portale dell'ebraismo italiano sono qualcosa di più di un semplice scherzo, ma un invito a non cedere, un sorridente incitamento a non perdere la speranza, in fondo abbiamo ancora con noi il nostro asciugamano.

(moked, 15 luglio 2014)


Alta tensione in Israele, Pacifici: «Paura per i nostri cari, mia moglie è a Tel Aviv»

«Tutte le comunità ebraiche guardano con grande apprensione a quanto sta accadendo in Medio Oriente. E non come semplici spettatori, perché in Israele ci sono i nostri cari, nostri amici che vinono lì da anni o che vi si sono trasferiti da poco». Lo afferma all'Adnkronos Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma in merito all'attuale situazione in Medio Oriente. «Io stesso ho un più di un contatto diretto - racconta Pacifici - Ho mia sorella che vive nel nord di Israele e un cognato che si trova vicino a Gerusalemme e tutti i giorni si reca al lavoro a Tel Aviv. La moglie porta a scuola i figli e li va a riprendere e capita che mentre si trova in auto scatti la sirena dei bombardamenti e le abbia solo pochi secondi per decidere in quale rifugio andare. Anche mia moglie in questo momento è in Israele per aiutare suo fratello e sua cognata».
Ma c'è di più: «Credo che Israele sia l'unico paese al mondo nel quale vi sia l'obbligo quando si costruisce una casa di creare anche una stanza blindata dove rifugiarsi in caso di attacchi non convenzionali, dove vi sono collegamenti con l'esterno e kit di emergenza e riserve alimentari». «Israele - prosegue Pacifici - è un paese che nonostante la guerra, nonostante i missili, nonostante la devastazione psicologica che quest'atmosfera provoca va avanti, non si ferma: uffici, scuole e negozi continuano a lavorare».

(Il Messaggero, 15 luglio 2014)


Parigi, manifestazione contro i raid israeliani: assaltata sinagoga, 200 ebrei in ostaggio per ore

 
Tentativo di assalto alla Sinagoga
Diverse migliaia di persone sono sfilate in Francia a sostegno dei palestinesi e contro i raid israeliani a Gaza. A Parigi non sono mancati momenti di tensione con scontri e tafferugli tra manifestanti e polizia.
A margine del corteo che si è svolto nella capitale «alcune persone hanno tentato un'intrusione all'interno di due sinagoghe - ha riferito il sindaco Anne Hidalgo in una nota - ma le forze dell'ordine sono riuscite a impedire che entrassero» nel tempio. Secondo la prefettura di Parigi non ci sono stati feriti ma solo sei persone fermate.
Video
Durante la manifestazione in supporto agli abitanti di Gaza centinaia di manifestanti avrebbero infatti attaccato la sinagoga della Roquette (10 arroundissement) lanciando pietre e urlando "morte agli ebrei". All'interno si trovavano circa duecento ebrei raccolti in preghiera per Israele, che sono letteralmente rimasti in ostaggio finché la polizia non è intervenuta con del gas contro i manifestanti e facendo uscire gli ostaggi.
Il presidente francese, Francois Hollande, ha dichiarato che il conflitto israelo-palestinese «non può essere importato» in Francia, commentando gli scontri a Parigi al termine della manifestazione in sostegno ai palestinesi e a Gaza. «Non voglio che ci siano conseguenze possibili in Francia. Il conflitto israelo-palestinese non può essere importato», ha detto il capo dello Stato in occasione della tradizionale intervista televisiva per la festa nazionale del 14 luglio. «Non ci possono essere derive, intrusioni o volontà di intrusione nei luoghi di culto, come le sinagoghe ieri, ma direi la stessa cosa per le moschee, le chiese, i templi», ha continuato il socialista, sottolineando che la Francia «è un Paese laico, le religioni vanno rispettate, tutte le religioni». E «non si può ricorrere all'antisemitismo perchè c'è un conflitto tra Israele e Palestina». «Non siamo nè filo-israeliani nè filo-palestinesi: siamo per la pace», ha insistito Hollande, tornando a chiedere un «immediato» cessate il fuoco in Medio Oriente.

(Il Messaggero, 15 luglio 2014)


Sì di Israele alla proposta egiziana di tregua. Ma Hamas rifiuta

Il governo israeliano ha accettato la proposta egiziana di cessate il fuoco, che deve entrare in vigore a partire dalle nove ora locale (le otto in Italia). Lo riferisce l'ufficio del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, citato dai media israeliani.
La decisione di accettare la tregua è stata raggiunta durante una riunione del gabinetto di sicurezza, convocata questa mattina da Netanyahu. La proposta egiziana è stata bocciata dai leader dei due partiti della destra nazionalista, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman di Yisrael Beitenou, e quello dell'Economia Naftali Bennett di Focolare Ebraico. Hanno invece votato a favore il primo ministro Netanyahu, il ministro della Difesa Moshe Yaalon, delle Finanze Yair Lapid, della Giustizia Tzipi Livni, del Fronte Interno Gilad Erdan e della sicurezza Interna Yitzhak Aharonovich. Il gabinetto di Sicurezza ha tuttavia stabilito che Israele reagirà se Hamas violerà il cessate il fuoco.
Le Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, hanno respinto la proposta egiziana di un cessate il fuoco con Israele a partire dalle otto di stamane. Il gruppo armato palestinese, tramite una nota pubblicata sul suo sito web, ha comunicato di non aver ricevuto il testo dell'accordo, precisando tuttavia che, stando agli stralci pubblicati dai media, accettarlo sarebbe un "atto di sottomissione". "La nostra battaglia contro il nemico - hanno minacciato le Brigate al-Qassam - si intensificherà".
Il presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, ha accolto positivamente la proposta egiziana di un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a partire da stamane. Abbas - riporta l'agenzia Wafa - ha invitato tutte le fazioni palestinesi ad accettare la tregua "così da fermare il bagno di sangue e proteggere gli interessi nazionali del popolo palestinese".

(Adnkronos, 15 luglio 2014)


Assedio a Israele
Ottimo articolo da leggere e diffondere


Droni da Gaza, missili da Siria e Libano. Rischio di allargamento del conflitto. Washington dice no all'intervento di terra ma dà via libera ai raid aerei.

di Carlo Panella

 
Carlo Panella
Hamas vuole che la popolazione civile sia vittima dei raid israeliani: la prova è il comunicato del Ministero degli Interni del governo di Gaza che da due giorni ingiunge agli abitanti del nord della Striscia di non seguire l'avviso diramato dalle Forze Armate di Israele che li ha invitati ad abbandonare le loro abitazioni che possono essere colpite dai raid dell'aviazione. Più di 10.000 palestinesi si sono quindi rifugiati in vari ricoveri e in altre zone della striscia ma la radio palestinese continua a intimare: «A tutti i figli del nostro popolo che hanno evacuato le loro case: tornate immediatamente e non lasciatele. Assicuratevi di seguire le istruzioni del ministero dell'Interno!». Esempio illuminante di una azione bellica cinica condotta dai palestinesi che dimostra che tutte le lamentele - che tanto fanno effetto sulle «anime belle in Europa» - circa la miseria a cui il blocco navale di Gaza condanna i palestinesi sono fandonie. Harnas invece di comprare alimenti, medicinali, sangue - che ora scarseggiano nei suoi ospedali - ha investito decine, centinaia di milioni di dollari per importare illegalmente migliaia di razzi e centinaia di missili di media portata, pagati a peso d'oro sul mercato clandestino degli armamenti. A questi si è aggiunto anche l'acquisto di costosi droni militari, tre dei quali sono stati lanciati ieri da Gaza, per essere pero subito intercettati dall'aviazione israeliana. Ciononostante la televisione di Hamas «al Aqsa» ha trasmesso ieri notiziari enfatici sulla disponibilità di queste nuove e costose armi (i droni sono approntati anche per «missioni suicide con cariche di dinamite») mentre dai minareti delle moschee venivano lanciate espressioni di giubilo. Hamas ha dunque investito in armamenti un vero e proprio patrimonio, ora bruciato dalle difese efficienti dell'Iron Dome israeliano. Un'enorme somma di denaro che avrebbe potuto garantire a tutti i palestinesi di Gaza un livello di vita più che eccellente.
   La quantità di razzi e missili entrati negli ultimi due anni a Gaza, peraltro, dimostra che il suo territorio è accessibile nonostante il blocco navale e la chiusura dei valichi con Israele e che quindi tutte le accuse palestinesi di «strangolamento» della Striscia sono ipocrite e fasulle. Ieri nel settimo giorno dall'inizio dell'operazione israeliana «Proctective Edge» sono emersi i primi allarmanti segni di un possibile allargamento del conflitto: dal Libano: due missili sono stati sparati sul nord della Galilea, mentre nel Sinai egiziano otto persone (un soldato, sette civili di cui due bambini) sono state uccise nel capoluogo amministrativo di al Arish - sede del governatorato egiziano - da colpi di mortaio, o di razzi lanciati dallo stesso Sinai. Dunque, Hezbollah da nord e i terroristi egiziani legati ai Fratelli Musulmani e ad Harnas si inseriscono nella crisi e puntano a allargarne il perimetro. Una strategia che denota il livello di avventurismo che guida la dirigenza di Hamas e dei Fratelli Musulmani egiziani. Avventurismo che peraltro può mettere in pericolo anche la stabilità della Giordania, che è governata da un saggio re Abdullah II, ma che ha una popolazione per il 70% di origine palestinese e che vede una non disprezzabile forza dei Fratelli Musulmani.
   La novità di questa crisi - lo ripetiamo - è che a differenza di tutte le precedenti il demenziale avventurismo di Harnas - che peraltro non riesce a provocare danni a Israele, che ha una superiorità tecnologica e militare assoluta - appare chiara anche ai governi arabi, in primis all'Egitto. II presidente Fattah al Sisi, che oggi incontra al Cairo il Segretario di Stato J. F. Kerry (è di ieri l'ok della Casa Bianca ai raid israeliani ma no all'intervento via terra) e che nei prossimi giorni riceverà anche il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini - secondo gli stessi media egiziani - non ha intenzione di fare nulla per impedire che Hamas subisca quella totale distruzione del suo arsenale militare che Israele si prefigge. Hamas, d'altronde intende avvalersi solo della mediazione del Qatar e della Turchia. Ma la trattativa non ha molte possibilità di avere luogo a causa delle folli pretese di Harnas che chiede, oltre alla fine dei raid, la fine del blocco di Gaza in vigore dal 2006, l'apertura del valico di Refah con l'Egitto (che non ha alcuna intenzione di riaprirlo) e la liberazione di tutti i suoi prigionieri in Israele. In sintesi: Hamas chiede di potersi riarmare senza nessuna difficoltà o ostacolo. Richieste che evidenziano che il suo avventurismo è anche al di fuori di ogni logica.

(Libero, 15 luglio 2014)


Hamas impedisce il transito verso Israele

Con un provvedimento a sorpresa, Hamas ha deciso di impedire da oggi il transito fra Gaza ed Israele attraverso il valico di Erez. La misura, afferma un comunicato, riguarda anche i giornalisti stranieri, nonché i malati palestinesi che progettavano oggi di sottoporsi a cure in Israele.

(TGCOM24, 15 luglio 2014)


Se la sfida di Hamas diventa hi-tech

di Gianandrea Gaiani

Lancio di un Patriot
Dopo i razzi a lunga gittata Hamas mette in campo i velivoli teleguidati uno dei quali è stato abbattuto ieri da un missile Patriot lanciato da una batteria israeliana schierata nei pressi di Ashdod. Le Brigate Ezzedine el-Qassam hanno annunciato di aver lanciato da Gaza «tre scaglioni di droni» per «missioni speciali» e che i decolli «proseguiranno nei prossimi giorni». Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon ha definito il velivolo teleguidato impiegato dai palestinesi «un esempio dei tentativi continui di colpirci in ogni modo possibile» ma ha aggiunto che il suo immediato abbattimento è un esempio della «prontezza di risposta delle forze armate». La missione del drone ha fatto scattare l'allarme aereo al più alto livello sulla città meridionale di Ashdod e, del resto, la minaccia rappresentata dall'impiego di droni come bombe volanti da parte di Hamas e dei miliziani libanesi di Hezbollah non è certo una novità ed è da tempo all'attenzione dei comandi militari israeliani.
   Già nel novembre 2012 un portavoce militare rese noto un video ripreso da un drone israeliano in cui si vedeva un velivolo teleguidato palestinese in rullaggio su una pista a Khan Younis, nella Striscia di Gaza. All'epoca le forze di Gerusalemme annunciarono di aver stroncato il tentativo di Hamas di costituire una flotta di droni ma nel marzo scorso il generale di divisione Shachar Shohat, comandante della difesa aerea, ha rinnovato l'allarme perle flotte di droni carichi di esplosivo di Hamas ed Hezbollah. «Dovremo far fronte a decine di veicoli aerei senza pilota, in entrambi i fronti Nord e Sud» disse il generale in una conferenza a Tel Aviv, configurando il rischio di attacchi in massa, per saturare le difese aeree, con decine di mini-droni con a bordo pochi chili di esplosivo fmo ai grandi droni con centinaia di chili di carico bellico. Fin dal confetto del2006 Hezbollah ha impiegato e perduto alcuni droni in volo sulla Galilea apparentemente con compiti di ricognizione e intercettati dai jet o dalla contraerea israeliana.
   La flotta della milizia libanese è stimata oggi dagli israeliani in 200 velivoli teleguidati di origine iraniana del tipo Ababil e Mohajer, gestiti da specialisti dei pasdaran iraniani, concepiti come velivoli da ricognizione e sorveglianza dotati di telecamere di cui almeno una parte modificati per imbarcare esplosivo. Nel marzo scorso il giornale saudita al-Watan riferì che gli Hezbollah avevano realizzato nella regione di Baalbek un aeroporto militare sul quale erano basati 44 droni iraniani. Hamas dispone di velivoli teleguidati del tipo Ababil, giunti nella Striscia di Gaza smontati e poi assemblati nelle officine clandestine delle Brigate Ezzedine el-Qassam che curano anche la realizzazione dei razzi rispetto ai quali i droni sono più lenti e vulnerabili ma molto più precisi perché vengono teleguidati sul bersaglio del quale sono in grado di trasmettere immagini fmo al momento dell'impatto.
   I sistemi di difesa aerea israeliani come Iron Dome e i Patriot sono in grado di intercettare i droni anche se con costi finanziari considerevoli. Entro un paio d'anni Israele schiererà anche un nuovo "scudo" basato su raggi laser, noto come Iron Beam, che dovrebbe costare mille dollari "a colpo" contro i 20mila di un missile Tamir dell'Iron Dome e un milione di dollari di costo minimo di un Patriot.

(Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2014)


Il disagio che cresce nella comunità ebraica. «Informazione distorta»

Il caso delle foto manipolate in rete

di Gian Guido Vecchi

ROMA — «Vede, quella che riteniamo vada chiarita, anzitutto, è la distinzione tra chi aggredisce e chi si difende: questa esplosione di violenza è nata da una pioggia di missili inviata con un crescendo impressionante sulle città israeliane...». Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, tira un lungo sospiro, non sono giorni facili neanche per gli ebrei della diaspora e l'aggressione alla sinagoga di Parigi non aiuta, «in Francia c'è una situazione di tensione più alta ma sappiamo che fatti incresciosi potrebbero accadere anche qui, da parte nostra si cercano di prendere tutte le precauzioni possibili...».
   Domenica il consiglio dell'Ucei si è riunito e ha discusso a lungo. Il mondo ebraico è variegato e complesso, il confronto di opinioni è la norma e non mancano talvolta scontri anche aspri. Così è significativo che sia stato approvato all'unanimità, in un'assemblea di 52 persone, un testo che «condanna con forza qualsiasi narrazione dei fatti che non riconosca a Israele il diritto alla difesa dei propri cittadini minacciati da nemici come Hamas, che propugnano nei loro atti ufficiali la sua distruzione». E condanna pure «chi, nel mondo dell'informazione, mistifica i diversi rapporti di causalità del conflitto, per offrire al pubblico un'immagine distorta di Israele».
   Ne hanno discusso con tre esponenti di primo piano della «comunità degli italkim», gli italiani di Israele. Collegati in video, c'erano il demografo Sergio Della Pergola, consigliere di Sharon quando nel 2004 decise il ritiro dalla Striscia di Gaza, il diplomatico Vittorio Dan Segre e Sergio Minerbi, già ambasciatore di Israele a Bruxelles, che faceva notare la «consecutio temporum» degli ultimi giorni, «una escalation di violenza iniziata dal lancio di razzi da Gaza», come riporta Pagine ebraiche: «Israele è rimasta tre giorni senza reagire e poi ha deciso di intervenire, quindi non dice il vero chi racconta che questo conflitto è iniziato per volontà israeliana». Considera il direttore del mensile, Guido Vitale: «La realtà è che gli avvenimenti di questi giorni, nel mondo ebraico, hanno creato un consenso generale sul fatto che il mondo occidentale sia troppo poco sensibile al logoramento di una popolazione civile bersagliata ogni giorno da razzi».
   A questo si aggiunge la consapevolezza di quanto sia ormai decisivo il «piano politico-mediatico» notava Dan Segre, fino a osservare: «Israele ha capito che le azioni terrestri sono inutili e politicamente perdenti». C'è una guerra che si combatte sui social network e basta un'occhiata all'hashtag #GazaUnderAttack, su Twitter, per vedere la strategia di «disinformazione in immagini» dimostrata dalla Bbc e dal francese Libération, quotidiano della sinistra francese mai tenero con Israele: foto di archivio dei massacri in Siria e Iraq, da Aleppo a Bagdad, spacciate come immagini di Gaza. «A questo punto i mezzi di comunicazione sono fondamentali in tutti questi conflitti» dice ancora Vitale: «Anche la vendetta repellente contro il ragazzo palestinese viene da mondi alimentati dalla "demenza digitale", persone che si lasciano strumentalizzare da social network pilotati: i deboli di mente sono facilmente manipolati». E poi c'è la «narrazione» del conflitto, riflette Renzo Gattegna: «Siamo rimasti sorpresi e impressionati dal fatto che su alcuni media italiani si tenda a parlare delle sofferenze della gente di Gaza senza spiegare che sono causate anzitutto da chi ha aggredito e usa la popolazione civile come scudo degli arsenali e delle rampe di missili, mentre i militanti stanno nei bunker». Durante il consiglio si è parlato delle telefonate dell'esercito israeliano ai civili palestinesi, «non si è mai vista al mondo una guerra condotta in questo modo, per tutelare gli innocenti», degli avvisi di evacuazione «mentre Hamas pubblica avvisi contrari perché il numero delle vittime cresca», l'opposto di quanto ha fatto Israele con Iron Dome.
   Resta la tragedia di due popoli e un disagio che nella comunita ebraica fa sfumare la distinzione tra conservatori e progressisti. «Parlare solo dei bombardamenti su Gaza e non delle centinaia di missili che piovono su Israele, da parte dei militanti di Gaza, vuol dire fomentare l'odio contro Israele e nascondere la verità» ha scritto all'inizio del conflitto Emanuele Fiano, già presidente della comunità ebraica milanese (il padre Nedo fu deportato con l'intera famiglia a Birkenau, di undici persone tornò solo lui) e oggi deputato del Pd: «Io sono un ebreo che ha sempre lavorato per la pace, conosco e ho criticato i limiti e gli errori dei governi di Israele, conosco e difendo i diritti dei palestinesi ad avere un loro Stato e di Israele a vivere in sicurezza, ma non tacerò mai quando la storia di quelle terre viene raccontata come se il male fosse tutto da una parte e il bene dall'altra. E quando il male viene identificato sempre e solo con Israele».

(Corriere della Sera, 15 luglio 2014)


«Che dramma i bimbi nel nostro mirino»

Intervista al generale dell'aviazione che colpì il reattore nucleare di Saddam Hussein: i piloti israeliani non sono assassini.

di Fiamma Nirenstein

Relik Shafir
Israel «Relik» Shafir, Generale dell'Aviazione nelle Riserve è uno degli otto piloti scelti nel 1981 per distruggere il reattore nucleare di Saddam Hussein nella missione di Osirak. Shafir è un uomo di incredibili avventure con 31 anni di esperienza nelle più audaci operazioni, e nessuno può rispondere meglio di lui alla domanda che tormenta tutto ilmondo da quando, in questi sette giorni, l'aviazione ha bombardato dall'alto la Striscia di Gaza con la perdita di più di 150 vite umane.

- Generale, Israele si pregia di avere l'esercito più morale del mondo. E allora perchè durante i vostri attacchi restano uccisi un numero di persone tale da suscitare proteste in tutto il mondo, 170 fino ad ora?
  «Provi a immaginare che un noto assassino si sia impadronito, portandosi dietro la famiglia, di un rifugio protetto da cui può sparare agli alunni di una scuola, e immagini che suo figlio sia uno di questi. L'assassino è dietro una finestra, e quindi la polizia aspetta sperando che si allontani dalla famiglia per fermarlo. Ma a un certo punto si avvicina alla finestra, impugna il fucile per sparare ai tuoi figli. La sua famiglia potrebbe essere accanto a lui, ma tu purtroppo non hai scelta: è tuo dovere fermarlo. Le armi di Hamas sono puntate sui nostri figli, intorno a una delle loro rampe di lancio che sta per sparare si affollano anche degli estranei, vuoi aspettare, ma il missile è già sulla rampa, devi fermare i terroristi. Il tuo popolo è sotto tiro, devi usare il tuo proiettile».

- Generale, l'Ue, l'Onu vi criticano, troppi morti, a volte si ha l'impressione che abbiate il grilletto facile.
  «È vero esattamente il contrario: il procedimento è enormemente lento, la guerra potrebbe essere finita il primo giorno. Pensi che cosa potrebbe fare la nostra aviazione se usasse solo parte della sua forza. Invece selezioniamo minuziosamente gli obiettivi, anche mentre la nostra gente soffre. La catena di decisione è molto complessa: si parte dai servizi segreti con le informazioni sulla dislocazione e l'importanza dell'obiettivo, poi ci sono 27 verifiche video che vengono mandate a un centro di verifica che le passa al comando che a sua volta investe il pilota del suo ordine operativo, se non ci sono pericoli per i civili».

- E a quel punto il pilota parte e non lo può fermare nessuno?
  «Tutto il contrario, di nuovo. Il comandante decide lui se l'obiettivo coinvolge individui estranei a Hamas, obiettivo dell'operazione, e decide se portare avanti l'operazione. Può sempre abortirla e cancellarla, o rimandarla. Inoltre, per 30 secondi, possiamo deviare il proiettile lanciato. È un nostro dovere, non solo una nostra scelta, abortire l' operazione se porta a vittime estranee al conflitto».

- Ma spesso l'operazione viene portata avanti lo stesso. «Molto raramente, e se le lo si fa è perchè si è difronte a un'occasione unica. In altre parole, perchè le armi, le rampe stanno per essere usate adesso, oppure quel personaggio di Hamas che devi colpire è una bomba ticchettante che non avremo altre occasioni di fermare».

- Lei si è trovato in queste situazioni?
  «Quasi tutti ci si trovano»

- E che cosa garantisce che facciate la scelta giusta?
  «Una selezione accuratissima dei piloti, che devono innanzitutto rispondere non a scelte tecniche, ma morali. Un pilota ammesso al corso deve dimostrare di avere il giusto sistema di valori: ogni vita umana è sacra, un intero mondo per sè stessa. Devi essere sicuro che chi compie difficilissime operazioni non prenda la vita di persone che non c'entrano».

- Ma la regola non sempre funziona. Quali sono i vostri sentimenti profondi quando questo avviene?
  «I sentimenti ... ognuno ha i suoi. Ma anche se hai una sensazione di sconfitta, devi subito tornare sul campo. Noi non abbiamo le pagine Gialle di Gaza, non sappiamo esattamente chi Hamas ha messo di guardia sulle armi a sua insaputa, magari solo loro lo sanno».

- Lei sostiene che la prudenza ha causato poca perdita di vite umane. Non lo pensa l'opinione pubblica internazionale ...
  «Pensi che sono più di mille i missili sparati sulla popolazione israeliana, e i morti sono circa 150 dopo che abbiamo colpito 1535 obiettivi, fra cui 33 basi sotterranee, 8 siti di produzione di armi, 4 quartier generali di Hamas»,

- Eppure la guerra non finisce. Lei entrerebbe con l'esercito?
  «A livello del tutto personale, le dico di no. Abbiamo già portato il loro livello militare a 20 anni fa, l'Egitto gli ha chiuso ogni fonte di rifornimento. Hamas vuole molti morti per richiamare l'attenzione, ma è in crisi: dobbiamo lasciare che abbia luogo il loro cessate il fuoco, e noi seguiremo».

- Perchè il mondo non vi capisce?
  «Guardi, io porto il nome di mio nonno che è morto in un campo di concentramento, come gli altri 80mila ebrei di Vilna. Non c'è mai stata molta simpatia per la nostra causa, si preferiscono i perseguitati dall'imperialismo, fra cuii palestinesi. Noi dobbiamo cercare la pace, e salvare il nostro popolo».

(il Giornale, 15 luglio 2014)


La tecnica israeliana di "bussare sul terrazzo"

Il modo con cui Israele avverte in anticipo gli abitanti di una casa che sta per essere bombardata.

Una prima granata non esplosiva è fatta deflagrare sul tetto, dando ulteriore tempo ai residenti di evacuare, prima che l'obiettivo militare sia colpito. Dopo circa 70 secondi sopraggiungono due strike, a breve distanza di tempo l'uno dall'altro.
Illesi gli edifici circostanti. In effetti chi ha memoria dei conflitti precedenti, non potrà non rilevare la differenza con l'operazione di lotta al terrorismo in atto a Gaza da una settimana. La guerra è sempre brutta, ma talvolta necessaria per difendersi. Per la prima volta, si evita il peggio: avessero avuto questa opportunità i 2300 palestinesi uccisi in Siria negli ultimi tre anni...

(Il Borghesino, 14 luglio 2014)


Parigi - Sinagoghe prese di mira

Una folla inferocita ha preso d'assolto una sinagoga di Parigi, nei pressi della Bastiglia. Il pretesto, contestare l'azione israeliana per porre fine al lancio di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza contro il paese. Intrappolate dentro al Tempio circa 200 persone, che hanno dovuto aspettare che i dimostranti, che si sono scontrati con le forze dell'ordine, fossero allontanati. "Sono scioccato e disgustato - ha dichiarato Joel Mergei, presidente del Concistoro centrale - Le aggressioni contro la comunità ebraica hanno preso una piega inaccettabile". Dentro allla sinagoga si stava svolgendo una cerimonia di commemorazione per i tre ragazzi israeliani rapiti e uccisi in Cisgiordania. Sei poliziotti e due membri della Comunità ebraica sono rimasti feriti. A condannare duramente l'accaduto è stato il primo ministro francese Manuel Valls. Nei giorni precedenti un'altra sinagoga era stata colpita da una bomba incendiaria. Non solo in Francia, sono stati numerosi gli episodi di antisemitismo registrati nelle ultime ore, da Boston a Casablanca.

(moked, 14 luglio 2014)


Da secoli esiste nel mondo una questione ebraica. In ogni tempo e ovunque si trovino, gli ebrei costituiscono un problema. Ed è un problema scivoloso, sfuggente, perché mentre davanti a un enigma normalmente ci si chiede "qual è la soluzione?" nel caso degli ebrei invece si è costretti a chiedersi "dov'è il problema?" E ogni volta che si crede di aver individuato la risposta, poco dopo l'enigma si ripresenta in forma nuova e inaspettata.





 

Tutte le armi di Hamas

Tra i missili, l'asse dell'azione di Hamas su Israele, ci sono oggi gli M-302 di fabbricazione siriana e di progettazione cinese, e nell'attuale fase dello scontro si calcola che il gruppo fondamentalista sunnita possa contare su oltre 10mila missili di varia gittata e potenza di fuoco.

di Giancarlo Elia Valori*

Circa 25mila dipendenti di Hamas lavorano, a Gaza, nei Servizi di Sicurezza, e l'accordo tra Al Fatah e Hamas del 23 Aprile scorso non menziona esplicitamente lo scioglimento delle "Brigate Izz'el Din Qassam", l'ala militare del gruppo fondamentalista sunnita.
   Le armi ora arrivano soprattutto dall'Iran, che vede nel sostegno al gruppo sunnita dei Fratelli Musulmani un modo di chiudere Israele da sud, il che si aggiunge alla pressione degli sciiti di Hezbollah presenti nel sud del Libano.
   Tra i missili, l'asse dell'azione di Hamas su Israele, ci sono oggi gli M-302 di fabbricazione siriana e di progettazione cinese, e nell'attuale fase dello scontro si calcola che il gruppo fondamentalista sunnita possa contare su oltre 10mila missili di varia gittata e potenza di fuoco.
   Hamas ha anche 100 missili Fajr iraniani, che hanno una gittata di 75 chilometri e, in effetti, il gruppo islamista vuol tenere sotto scacco non solo il meridione dello Stato Ebraico ma,in correlazione strategica con Hezbollah, anche il centro e il Nord di Israele.
   Gli arsenali vengono protetti da scudi umani, soprattutto bambini, arsenali che sono posti nelle aree maggiormente abitate e a maggiore impatto mediatico (scuole, ospedali, etc.) per creare, con la grande rete di mass-media favorevole agli islamisti e che ritiene Israele uno stato "militarista", il massimo risalto negativo alle operazioni militari dello Stato Ebraico.
   Il pubblico europeo, e non solo il pubblico, ma anche le cosiddette "classi dirigenti" della UE e dell'ONU, sono particolarmente sensibili ad azioni contro la popolazione civile, che in questo caso sono gestite direttamente da Hamas, ma, come accade a certi insetti, i dirigenti UE e dell'ONU, che Cossiga definiva "un ente inutile" vedono solo l'immagine finale e non conoscono le cause, e quindi non possono ragionevolmente attribuire le colpe.
   Ci sono poi le organizzazioni "per i diritti umani", che di solito polemizzano solo contro Israele, come è già successo per l'azione dell'IDF, le Forze Armate di Israele, che hanno scoperto nella West Bank moltissimi arsenali di armi di Hamas, alla fine di questo giugno.
   La tattica del gruppo terrorista sunnita è quella di colpire, quando lo ritiene più opportuno politicamente, civili israeliani, per rendere inevitabile l'azione delle Forze Armate dello Stato Ebraico.
   Le armi sono tenute, lo abbiamo già notato, presso scuole e ospedali, anche delle Nazioni Unite, le aree di addestramento sono ricavate spesso dalle zone ricreative e sportive dietro le moschee, il suo personale militare si camuffa spesso da medico o da infermiere, e moltissime delle forniture ai civili da parte dell'ONU sono state requisite o semplicemente rubate dalla rete di Hamas.
   In altri termini, l'organizzazione sunnita è preparata per una guerra di attrito di lunga durata, mentre Israele, pressato dalla pubblica opinione, spesso manipolata, a favore dei "palestinesi senza patria" può solo permettersi una reazione forte, precisa, ma limitata nel tempo e nello spazio.
   Come accade ad Hezbollah, Hamas fa la guerra ad Israele utilizzando molte tattiche che, nella tradizione militare, non sono definite né come guerra né come guerriglia.
   Non vi è separazione, in Hamas, tra militare e civile, tra impiegato pubblico e militare, tra guerra e guerriglia, mentre, come accade anche con Hezbollah, ogni azione di guerra di Hamas è unita anche a una operazione di guerra psicologica, e viceversa.
   Il popolo di Hamas viene poi soggiogato da una propaganda massiccia, tra fondamentalismo jihadista e vecchie tematiche antisraeliane tipiche dei vecchi regimi del Baath sirio-iraqeno e, soprattutto, dal fatto che la violenza paga. Paga con gli aiuti umanitari, soprattutto.
   La Conferenza di Sharm el Sheik del 2009 i donatori, soprattutto arabi, hanno fornito 4,481 miliardi di usd per sostenere l'economia palestinese e soprattutto la Striscia di Gaza, e normalmente Hamas ruba i finanziamenti per comprare armi e spesso colpisce i convogli di aiuti in beni di consumo diretti a Gaza, che poi vengono rivenduti all'asta.
   La reazione dell'UE e del resto del mondo per l'operazione israeliana Protective Edge ha spesso i toni dell'umorismo involontario: il Segretario dell'ONU, l'"ente inutile" bollato da Francesco Cossiga, ha "condannato le azioni militari" da entrambe le parti e ha chiesto un cessate il fuoco. San Filippo Neri, con qualche motivo in più, avrebbe detto: "state buoni, se potete".
   L'UE ha manifestato, una volta tanto, la sua solidarietà ai "cittadini" (e non al Governo, si noti bene) israeliani, che sono sotto una pioggia di razzi di vario potenziale distruttivo.
   L'Egitto condanna le violenze ma sta creando un contatto con Hamas e con la Giordania per arrivare a una tregua "che non metta in pericolo gli interessi dei Palestinesi". E quindi non intacchi sostanzialmente il potere di Hamas nella Striscia di Gaza. I turchi chiedono a Israele di fermare "le violenze a Gaza".
   Insomma, Hamas ha già vinto quando, nella comunicazione pubblica, viene messo sullo stesso piano di uno Stato Sovrano che è, da sempre, l'obiettivo di operazioni di guerriglia, lanci di razzi tutti i giorni, rapimenti di civili, assalti ai confini da parte di Hamas, l'organizzazione terroristica derivata dai "Fratelli Musulmani".


* Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de "La Centrale Finanziaria Generale Spa.

(formiche.net, 14 luglio 2014)


Legittima la reazione di Israele contro Hamas

Lettera di una lettrice del quotidiano “il Giornale”

Non sono né ebrea né israeliana e non ho il paraocchi. Sono migliaiai missili sparati da Ha-mas contro le città israeliane, ne cade uno ogni 7 minuti. Non uno di questi razzi è stato mirato da Hamas su un'installazionemilitare, ma tutti verso zone abitate, asili, supermercati, distributori di benzina, persino una centrale nucleare. Tutte tentate stragi di civili. Effetti limitati grazie al fatto che Israele dispone di misure difensive: rifugi, tetti corazzati, sistemi di avvistamento e di allarme, antimissili come l'Iron Dome, mentre Hamas, a Gaza, invece di costruire scuoleedospedali, ha speso imiliardi donati da tutto il mondo nell'acquisto di armi (prevalentemente forniti dall'Iran). Regolarmente quella di Israele è una reazione, ha interesse alla sicurezza dei suoi cittadini e non ha altre aspettative da Gaza che, ricordiamo, ha abbandonato sette anni fa e non ha alcuna voglia di riconquistare. Israele non ha interesse a fare la guerra con Hamas, il cui obiettivo, stabilito nel suo statuto e millev olte riconfermato, è quello di cancellare Israele e uccidere tutti gli ebrei. Infine: l'altro crimine di guerra posto in essere da Hamas è l'uso di civili palestinesi come scudi umani attorno alle postazioni missilistiche o presso le abitazioni dei comandanti di Hamas, gli unici veri obiettivi della reazionemilitare israeliana. Questi sono i fatti.
Patrizia Stella

(il Giornale, 14 luglio 2014)




Grazie per le vostre preghiere!

Seconda lettera circolare del pastore Avi Mizrachi e sua moglie Chaya. L'abbiamo tradotta quasi interamente, tralasciando soltanto notizie già presenti sulla nostra stampa.

Cari partners nella preghiera e sostenitori,
Nell'ultima settimana più di 1.000 razzi sono stati sparati dalla Striscia di Gaza verso Israele. La maggior parte sono caduti in campi aperti e circa 140 missili sono stati abbattuti da "Iron Dome", impedendo così di colpire aree civili. Alcuni razzi tuttavia sono riusciti a colpire un paio di case ed edifici in Israele. E 'solo per la grazia di Dio che in tutto questo nessuno è stato ucciso e pochissimi sono stati feriti. Siamo sorpresi dalla prontezza e dalla efficace risposta dei cittadini israeliani ogni volta che si sente il suono delle sirene. Anche dopo una settimana di ripetute raffiche di missili, protetti dall'efficace azione di Iron Dome, siamo pronti a correre subito verso la zona protetta più vicina e aspettiamo il momento che passi (circa dieci minuti). Ieri sera, decine di missili sono stati sparati verso Tel Aviv e il centro di Israele. Oltre a questo, alcuni razzi sono stati sparati verso Gerusalemme, Betlemme e la regione di Hebron. I razzi infatti non distinguono tra civili ebrei o arabi. Per la nostra gioia, nessuno è rimasto ferito, lode al Signore! La notte scorsa tre razzi sono stati sparati dal Libano meridionale verso la Galilea occidentale e la città di Neharyia. Grazie a Dio, nessuno è rimasto ferito. Preghiamo che Hezbollah non continui a sparare dal nord.
Nostra figlia Orel, insieme ad altri giovani credenti israeliani, sta aiutando a condurre un campo estivo per i credenti qui in Israele nella zona di Nehariya. Mentre si trovavano nel bel mezzo di una riunione di culto sono stati interrotti dal suono di una sirena Air Raid e sono stati costretti a correre verso il più vicino rifugio antiaereo. Qui in Israele il National Home Front Command dà indicazioni precise su quello che si deve fare quando suona la sirena. In alcuni luoghi (come Sedrot e Ofakim) hanno solo 15-20 secondi per arrivare a un rifugio antiaereo.
[...]
Come israeliani, non siamo contenti che oltre 160 palestinesi abbiano perso la vita questa settimana. Questo è il risultato di un'operazione di guerra non voluta, provocata dalla leadership terrorista a Gaza.
Fino ad oggi, circa 800 palestinesi che hanno un secondo passaporto sono stati autorizzati dal governo israeliano a volare all'estero dall'aeroporto Ben Gurion.
Ieri, nella nostra congregazione Adonai Roi di Tel Aviv, prima di cominciare i nostri servizi abbiamo dato istruzioni specifiche su dove si trovano i rifugi antiaerei e che cosa bisogna fare quando si sente una sirena. Poi abbiamo adorato, pregato, e letto il Salmo 91. Abbiamo pregato per il nostro Primo Ministro, il nostro Governo e il nostro Capo di Stato Maggiore. Abbiamo pregato per i nostri soldati, credenti e non credenti, e in particolare per i quattro soldati della nostra Congregazione R., L., C. e D.
Noi in Dugit, in collaborazione con altri ministri locali, abbiamo inviato un team guidato da Chaya con giocattoli e mobili per i bambini della regione meridionale, che vivono la loro vita quotidiana nei rifugi antiaerei. La squadra sarà composta da giovani credenti israeliani provenienti da tutto Israele, tra cui Sarah (la nostra figlia), che daranno volontariamente parte del loro tempo di lavoro o di studio per portare ai figli d'Israele un po' di giocattoli, come clown e altre divertenti imitazioni.
Per favore, continuate a pregare per noi qui in Israele!
Salmo 91:2 "Io dirò al Signore, Lui è il mio rifugio e mia fortezza, il mio Dio, in Lui io fiducia."
Benedizioni nel nostro Messia,
Avi & Chaya Mizrachi

(Notizie su Israele, 14 luglio 2014)


Cara amica ti scrivo…

Il conflitto israelo-palestinese dagli occhi di un italiano trasferitosi a Tel Aviv

David Di Tivoli è un italiano trasferitosi a Tel Aviv che scrive a un'amica in Italia per raccontarle il suo punto di vista su quanto accade in Israele. Un punto di vista partigiano, ma abbastanza realistico, su quanto accade tra Gaza e Israele, e sull'obiettivo vero di Hamas. Il pericolo della propaganda - in un senso o nell'altro - in questo momento è altissimo. In una fase importante della campagna di Hamas e del Jihad Islamico dalla Striscia su Israele, che dal 1o gennaio 2014 a ieri ha visto piovere su Tel Aviv e altre città del Paese oltre 1100 missili (700 solo negli ultimi cinque giorni), discernere il grano dal loglio è fondamentale per fornire tutti i punti di vista, utili a farsi un'opinione.
   David Di Tivoli è un italiano di religione ebraica di recente trasferitosi a Tel Aviv. È un professionista della comunicazione, twittarolo di prima categoria, usa il sarcasmo nei suoi post urticanti. Promotore del network ISayBlog, Di Tivoli è uno che sa raccontare e saprebbe raccontare anche le favole.
   Questa volta usa un espediente letterario - la missiva inviata a un'amica - per spiegare quanto avviene tra palestinesi di Gaza (in realtà tra Hamas e Jihad Islamica) e Israele, che è l'unico Stato integralmente democratico in tutta l'area, nonostante la presenza di partiti ortodossi ed estremisti, che però si devono adeguare al fatto il Paese è uno "stato di diritto". Lo ha dimostrato l'ultima volta nel caso del giovanissimo palestinese ucciso bruciato a Gerusalemme Est. Un delitto feroce che ha portato il lutto in una famiglia e il ribrezzo civico in quasi tutti gli israeliani, orripilati che alcuni di loro abbiano così barbaramente strappato la vita a un ragazzo inerme e incolpevole. Un agnello sacrificale alla barbarie.
   Ma per giudicare la fondatezza o meno della narrazione di David Di Tivoli occorre partire dai documenti. Il primo, al riguardo di quanto asserisce nella sua lettera (autentica o espediente letterario che sia non importa), è lo Statuto di Hamas, in cui non troverete il riferimento alla costituzione di uno Stato Palestinese: troverete invece l'obiettivo della costituzione di uno Stato Islamico retto dalla sharia, che comprende tutta l'area e che mira espressamente alla distruzione per debellatio (termine di diritto internazionale) di Israele.
   Certo, nella lettera di David c'è qualche imprecisione: dalla Savoia francese alla Campania non ci sono 120 chilometri in linea d'aria, ma il paragone è fondato lo stesso. Come reagirebbe il Piemonte all'azione missilistica di un ipotetico Gruppo Unionista Savoiardo a favore del ricongiungimento con la regione italiana? L'Italia come reagirebbe alla pioggia di ordigni?
   Il punto di vista di David Di Tivoli è fondato, illustra con fedeltà quel che avviene ed è avvenuto in Israele nel recente passato. Interessante da leggere e da commentare.
    Cara Amica (il nome è celato dall'autore per motivi di privacy),
    In queste ore drammatiche per il Medio Oriente, conoscendo la tua profonda sensibilità ed umanità, immagino che tu, come del resto anche me e la mia famiglia, sarai scossa dalle notizie e dalle immagini che ci arrivano attraverso i media.
    Da parecchio tempo ormai ho rinunciato al fatto che l'opinione pubblica possa avere una visione equilibrata delle vicende in corso e, più in generale, del conflitto arabo-israeliano ma, proprio per la stima e la considerazione che ho nei tuoi confronti, mi preme che almeno tu possa avere una visione chiara di ciò che sta avvenendo, che vada oltre le terribili immagini che vediamo.
    Ancora una volta lo Stato d'Israele è costretto dai suoi vicini non troppo pacifici e tolleranti (per usare un eufemismo…) ad intraprendere una guerra che costerà la vita, purtroppo, anche a tante persone innocenti, ma vorrei sottolineare alcuni punti:
    1. Lo Stato di Israele si è COMPLETAMENTE ritirato da Gaza nel 2005.
    2. Nel 2006 Hamas ha vinto le elezioni e ha formato un governo con l'appoggio del partito Fatah di Abu Mazen.
    3. Nel 2007 a seguito di violenti scontri tra Hamas e Fatah, il primo ha preso, con la forza ed un discreto spargimento di sangue, il controllo della Striscia di Gaza ed ha instaurato a Gaza un regime integralista islamico.
    Questi signori, invece di costruire il loro Stato e sviluppare la propria disastrata economia si sono preoccupati di rifornirsi di armi (attraverso tunnel sotterranei, essendo i confini presidiati da Israele ed Egitto) e di educare all'odio, anche e soprattutto nelle scuole di qualsiasi grado, le giovani generazioni.
    Sebbene non vi sia alcun contenzioso territoriale con Gaza, i signori di Hamas pensano bene di utilizzare la Striscia di Gaza come rampa di lancio per i loro attacchi ad Israele. Ma perché?
    La risposta è tanto drammatica quanto esplicita. Hamas (come ben espresso nelle dichiarazioni dei suoi leader e nel suo Statuto) si prefigge la DISTRUZIONE dello Stato di Israele e la costituzione di un regime islamico integralista in tutta la regione.
    Come puoi immaginare è difficile parlare con tali interlocutori di PACE, TRATTATIVE, NEGOZIATI!!!
    Hamas, avendo a disposizione (al momento) razzi con una gittata di circa 120 km, con i suoi lanci quotidiani mette a repentaglio la vita di milioni di persone che vivono in Israele.
    Per fare un esempio, è come se dalla Francia un gruppo che ha assunto con le elezioni e con la forza il controllo della Savoia sparasse quotidianamente razzi sulla popolazione civile mettendo a repentaglio la vita di 40 milioni di cittadini italiani (diciamo fino alla Campania?).
    In questo contesto, decine di giorni fa, Hamas ha deliberatamente iniziato il lancio di una pioggia di razzi in territorio israeliano senza precedenti.
    Che cosa si poteva fare? Cosa avrebbe fatto qualsiasi altro Stato? Cosa avresti fatto tu?
    Lo Stato di Israele ha deciso di rispondere agli attacchi tentando di indebolire Hamas colpendo militarmente le sue infrastrutture.
    Purtroppo, nonostante le attenzioni dell'Esercito di Israele, ad oggi, risulta ci siano delle vittime civili innocenti.
    Perché Israele riesce a limitare feriti e vittime, mentre Hamas no?
    Perché Israele ha investito sui sistemi di difesa (come l'Iron Dome, sofisticatissimo sistema che rintraccia ed abbatte missili in volo), mentre Hamas preferisce usare la sua popolazione come scudo.
    Nonostante i militanti di Hamas si nascondano tra la popolazione civile e nascondano i propri arsenali all'interno di edifici pubblici e nonostante che il teatro di guerra sia una delle zone maggiormente popolate della Terra, l'Esercito di Israele sta facendo quanto in suo potere per ridurre il coinvolgimento di civili innocenti. Di ieri è la notizia che Hamas chiede ai suoi cittadini di NON ABBANDONARE gli edifici (dove sono nascosti arsenali) quando gli israeliani (dopo aver avvertito) li buttano giù.
    Nonostante gli attacchi alle sue infrastrutture, Hamas non ha ancora interrotto il lancio di razzi contro le città di Israele.
    In considerazione della sua schiacciante superiorità militare, Israele avrebbe potuto costringere Hamas alla resa bombardando con maggiore intensità la Striscia di Gaza.
    (Tutti gli eserciti del mondo - che abbiano combattuto guerre giuste o sbagliate - per piegare i propri nemici non hanno mai esitato a utilizzare la propria superiorità militare anche a danno dei civili)
    Ma Israele, in queste ore, anche al fine di limitare il coinvolgimento di ulteriori civili palestinesi innocenti e di evitare catastrofi umanitarie, ha deciso di mettere a repentaglio la vita dei propri giovani avviando le operazioni via terra, per tentare di stanare, indebolire e possibilmente sradicare Hamas.
    Spero che anche tu capirai che la presenza nella Striscia di Gaza di una organizzazione estremista e fondamentalista come Hamas non solo preclude alla popolazione israeliana di vivere una vita normale ma, educando alla violenza e all'odio i propri giovani (ti invito a guardare questo video, preclude alla possibilità che anche in futuro si possa arrivare alla tanto auspicata pace tra israeliani e palestinesi.
    Malgrado il desiderio di tutte le persone equlibrate, civili e razionali del mondo, del Governo di Israele e della sua popolazione, malgrado le guerre siano sempre sporche ed ingiuste, Israele, purtroppo, DEVE fare quello che sta facendo. Lo deve ai suoi cittadini, minacciati quotidianamente dai razzi di Hamas. Lo deve alle future generazioni di entrambe le parti.
    Golda Meir (primo ministro di Israele negli anni '70) disse agli egiziani in seguito alla firma degli accordi di pace: "Vi perdoniamo (a voi egiziani) per aver ucciso i nostri figli ma non vi perdoniamo per averci costretto ad uccidere i vostri".
    Questa frase racchiude in se il dramma del Medio Oriente che Israele sta ancora una volta vivendo.
    Un abbraccio e a presto,
    David Di Tivoli
(The Horsemoon Post, 12 luglio 2014)


"Hamas si pentira' di aver dato il via a questa battaglia contro Israele"

GERUSALEMME - Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, ha detto che le incursioni israeliane su Gaza faranno 'pentire' Hamas di aver dato il via alla guerra. Il ministro in una riunione stamane con l'establishment militare, uomini dello Shin Bet e con il Coordinatore delle Attivita' di governo nei Territori. Yaalon si e'detto soddisfatto di come l'operazione sta progredendo e 'quando i capi di Hamas usciranno fuori dai nascondigli capiranno l'entita' dei danni e della distruzione portata e si pentiranno di essersi imbarcati in questa battaglia contro Israele'.

(la Repubblica, 14 luglio 2014)


I media italiani tifano Hamas più degli stessi palestinesi

Duro a morire il vecchio riflesso automatico caro alla sinistra. Così giornali e tv sono più schierati di quelli del mondo arabo. Si scambia il cinismo di una fazione con una lotta indipendentista.

di Gian Micalessin

Ci risiamo. Al grido di «Palestina Mon Amour» quotidiani e telegiornali del Belpaese si lasciano alle spalle il cronico disinteresse per il resto del mondo e si lanciano in una gara all'ultimo articolo per raccontarci l'ennesima guerra tra Hamas e Israele. Ma mentre i nostri mezzi d'informazione ci regalano fremiti d'indignazione per la tragedia di Gaza, una stampa internazionale, solitamente assai più attenta agli affari del mondo, ci dispensa cronache assai più misurate. La differenza la fanno la storia e la politica. Da noi la questione palestinese è stata per decenni il cavallo di battaglia di una sinistra pretestuosamente anti-israeliana. E di una stampa devotamente allineata. Vittima di una sorta di complesso pavloviano la nostra stampa persevera nelle vecchie abitudini nonostante il principale partito della sinistra sia ormai nelle mani di un Matteo Renzi che proverebbe, probabilmente, un sincero imbarazzo a stringere la mano ad un capo fondamentalista.
   La manifestazione più grave di questo cronico riflesso condizionato è l'incapacità, talvolta, di distinguere la causa palestinese da quella di Hamas ritrovandosi così al servizio della propaganda fondamentalista. A differenza dei giornali stranieri molte testate nostrane continuano a raccontarci un'inesistente guerra di Israele ai palestinesi anziché lo scontro con una fazione che ha fatto del terrorismo la sua principale arma. Una fazione che nel 2007 sbatté fuori da Gaza i «fratelli» dell'Anp eliminando a colpi di esecuzioni sommarie chi non s'allineava ai suoi diktat. Una formazione armata che ha brutalmente assassinato tre innocenti ragazzini israeliani. Un'organizzazione che il 7 luglio, mentre il governo israeliano invitava a rispondere «con calma alla calma», completava un tunnel per far penetrare un commando suicida dentro Israele e, scoperta, scatenava i missili per sopperire all'insuccesso. Sull'onda di queste sviste scompare dalle cronache nostrane anche qualsiasi riferimento all' intervista in cui il presidente palestinese Mahmoud Abbas, intervistato dalla televisione libanese Al Mayadeen, scarica su Hamas le responsabilità per le vittime di Gaza, condanna chi da «entrambe le parti» usa «la guerra per i propri interessi» e ricorda che «gli unici a rimetterci saranno i palestinesi».
   La posizione del presidente palestinese, qui da noi assai ignorata, fa il paio del resto con quella di gran parte dei Paesi arabi. Primo fra tutti quell'Egitto del presidente Abdel Fatah al-Sisi che non si limita a considerare Hamas, nato da una costola della Fratellanza Musulmana, alla stregua di un nemico, ma sigilla i tunnel usati per rifornire la Striscia e blocca al confine gli sfollati in fuga dalle aree attaccate dagli israeliani. Un atteggiamento largamente condiviso dai sauditi che in questi giorni non spendono una parola per Hamas e soci. E anche la decisione di convocare solo domani una Lega Araba riunita, in altri tempi, in tempi assai più rapidi è significativa della diffidenza che circonda ormai il regno fondamentalista di Gaza.
   Un regno dove donne e bambini continueranno a morire a centinaia a causa dell'inveterata consuetudine di usare i civili come scudi umani. Una consuetudine ampiamente documentata dal rapporto di Human Rights Watch che analizzando la morte dei 135 palestinesi uccisi da Israele durante le operazioni del 2012 a Gaza ricorda come Hamas metta a repentaglio le vite degli abitanti «lanciando ripetutamente razzi da aree densamente popolate nei pressi di abitazioni, centri d'affari e hotel». Conclusioni spesso accolte con distratta sufficienza da una stampa nostrana ancora incline, talvolta, a considerare la tragedia di Gaza una fiera battaglia per l'indipendenza anziché la cinica partita di un' organizzazione pronta a sacrificare i suoi stessi civili per riconquistare l'attenzione e la solidarietà internazionale.

(il Giornale, 14 luglio 2014)


Tra i bimbi e le bombe di Hamas

di Giulia Pula Machtey*

Erano le 8 e mi dondolavo sulla mia nuova sedia rossa, mentre il mio bimbo di tre mesi mi regalava uno dei suoi primi sorrisi del mattino. Improvvisamente la sirena. I primi attimi sono sempre gli stessi: il cuore si ferma, perde un battito. Forse lo sto immaginando ancora. Perché da quando hanno cominciato a sparare missili io i rumori li ascolto tutti. Non sono mica nata qui aTel Aviv. Mi devo abituare. Mi alzo dalla sedia e trascino il mio cane, chiamo mio marito e mia mamma, venuta a trovare per pochi giorni il suo primo nipote. Poi chiudo dietro di me la porta del bunker. Appena mi siedo un «boom» risuona nella stanza. Poi un altro. Un altro ancora. E la porta si apre improvvisamente. Non parliamo, per qualche secondo. Aspettiamo. In silenzio. Forse è finita, per ora. Usciamo. Ho paura e abbraccio il mio bimbo. Eppure mi sento fortunata! Avrò impiegato 45 secondi a scendere nel bunker. La sirena dà un margine di 1,5 minuti. A Sderot hanno 15 secondi per salvarsi: forse lì non sopravviverei. I
   Io a Tel Aviv sono venuta assieme a mio marito che è ebreo e israeliano. Sono una dottoressa. E sono una normale ragazza romagnola. La mia vita è stata sempre tranquilla. Ora sono spettatrice in un mondo diverso dal mio. Non è stato sempre facile. Ho imparato che gli israeliani sono difficili. Cocciuti. Orgogliosi. Ma che sono anche persone buone. Con un cuore grande. Sono sognatori. E sanno combattere come nessun altro per i loro sogni. Per capirlo bisogna solo venire in Israele. Sono specializzanda in Cardiochirurgia e almeno la metà della mia giornata lavorativa la passo in sala a operare bimbi con patologie cardiache e provenienti da tanti Paesi nel mondo. E' risultato dell'enorme sforzo di una associazione israeliana, "save a child's heart". Il mio primario, il dottor Lior Sasson, opera almeno due bimbi al giorno. Non si prende vacanze. Torna in ospedale a tutte le ore della notte. E lo sapete da dove vengono la maggior parte dei bambini? Da Gaza. Quella stessa che ora mi rinchiude con il mio bambino dentro questo bunker e minaccia di abbattere l'aereo che mia mamma prenderàoggi per tornare in Italia dopo essermi venuta a trovare. Nonostante i missili e le minacce, però, il mio cuore è pieno di forza, e posso solo essere orgogliosa di essere una cittadina di questo meraviglioso Paese che è Israele, capitale dell'Umanità, della Compassione e dell'Inventiva.

* Medico al Wolfson Medical Center di Holon

(Il Tempo, 14 luglio 2014)


Oltremare - Finali Mondiali
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

La notte del 9 luglio 2006 ero a Torino, e pareva che in Germania contro la Francia avessimo vinto una guerra, non una partita di calcio. La testata di Zidane che abbatté Materazzi, i rigori come al solito roulette russa di ogni calciatore. Il 10 luglio, ancora rintronata dai cori da stadio per le strade, salivo su un aereo diretto al Ben Gurion Airport con davanti esattamente sei settimane di pseudo-vacanza: lunghe mattine al Beit Ha'Am a Gerusalemme a studiare ebraico, e i pomeriggi a valutare se questo paese stranamente famigliare avrebbe potuto diventare casa mia. Neanche il tempo di sistemarmi, e il 12 luglio sono partita per Haifa a trovare amici italiani immigrati da poco. Che l'aria in Israele fosse tesa mi era chiaro già dalle news italiane, ma quando si parte per Israele serve un buon peso di fatalismo. L'autobus, un Egged verde fuori e dentro, e pieno di soldati in uniforme. Alle 18:00 l'autista alza il volume per far sentire a tutti le notizie. Silenzio teso. Simultaneamente succedono tre cose: il mio cellulare con scheda israeliana smette di avere ricezione; la radio pronuncia due parole a me comprensibili in mezzo all'ebraico allora ignoto ed ostico "Haifa" e "Katiusha"; e entriamo in Haifa. Quella stessa notte, dopo aver constatato che il rifugio del palazzo non era agibile, siamo ripartiti verso Gerusalemme, dove per fortuna ero ospite in un appartamento grande abbastanza per me più una famiglia con due bambini. Durante tutta quell'estate israeliana, la mia prima, e la mia prima guerra, Gerusalemme è rimasta fuori dai combattimenti, riempiendosi come un uovo di israeliani del nord e del sud che cercavano calma e silenzio. Mentre scrivo, si gioca la finale del mondiale del 2014, otto anni dopo. La guerra stavolta è iniziata da sud, ed è con noi da una settimana. Tre cose per me oggi sono diverse: sono israeliana, sono sotto il fuoco nemico, e vedo le news locali in diretta e senza traduzioni. Certo, in pace è meglio. Ma comunque meglio qui che altrove.

(moked, 14 luglio 2014)


Hamas scarica l'Egitto, per la mediazione punta sulla Turchia e sul Qatar

I palestinesi di Hamas avrebbero deciso di scaricare l'Egitto del nuovo presidente Abdel Fattah al-Sisi come mediatore per un cessate il fuoco con Israele. Lo ha riferito una fonte del movimento islamico al sito Middle East Eye (Mee), spiegando che d'ora in avanti Hamas considera solo Turchia e Qatar come possibili mediatori. Se questa voce fosse confermata, si tratterebbe di un duro colpo per l'Egitto, che da sempre riveste un ruolo chiave nelle dinamiche regionali e che ha mediato il cessate il fuoco nelle precedenti crisi a Gaza, nel 2009 e nel 2012.
Sarebbero varie le motivazioni che avrebbero spinto Hamas a mettere da parte l'Egitto, la cui nuova classe politica è impegnata in un braccio di ferro con i Fratelli Musulmani, di cui Hamas è espressione. Le fonti parlano di messaggi segreti trasmessi da alcuni intermediari egiziani alla vigilia dei primi raid israeliani, che dimostrano come il Cairo fosse al corrente della volontà dello Stato ebraico di "cancellare" un terzo della Striscia di Gaza.
Un'altra motivazione sarebbe la recente distruzione dei tunnel tra la Striscia e l'Egitto, con l'esercito del Cairo che pochi giorni fa ha annunciato di averne distrutti 29. Infine Hamas non avrebbe gradito i toni ostili usati in questi giorni nei suoi confronti dai media ufficiali egiziani.
Le fonti hanno aggiunto che Hamas avrebbe anche deciso di inasprire le sue condizioni per un cessate il fuoco. Chiederebbe infatti non la semplice fine dell'assedio alla Striscia, ma la riapertura dei suoi due porti e del suo aeroporto, per non dover più dipendere dai valichi di terra con Israele e con l'Egitto.
Secondo le fonti di Mee, inoltre, Hamas starebbe anche ripensando al recente accordo per un governo di unità con il movimento Fatah di Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese. Il movimento islamico sarebbe infatti indispettito dal modo in cui sia Abbas che il ministro degli Esteri del governo di unità, Riad al-Maliki hanno reagito alla nuova crisi con Israele. Giovedì Abbas ha affermato, pur senza nominare Hamas: "Cosa pensate di fare inviando razzi? Noi preferiamo combattere con il buon senso e con la politica".

(Adnkronos, 14 luglio 2014)


Drone da Gaza, abbattuto su Ashdod

Un drone partito dalla striscia di Gaza è arrivato nel sud di Israele ed e' stato abbattuto da un missile Patriot israeliano sui cieli di Ashdod. Lo ha detto il portavoce militare. E' la prima volta che da Gaza viene usato un metodo simile. Israele ha effettuato anche stamani raid e tiri di artiglieria sulla Striscia, al settimo giorno dell'offensiva contro Hamas. Colpiti in particolare alcune istallazioni delle brigate Ezzedine al-Qassam, ma senza provocare vittime.

(ANSA, 14 luglio 2014)


Missili sul nord di Israele. Grande fuga nella Striscia

Razzi sparati da Gaza raggiungono Haifa. Hamas cerca di fermare le migliaia di civili palestinesi che scappano temendo i bombardamenti.

di Fiamma Nirenstein

 
Resti di un razzo lanciato da Hamas su Israele
GERUSALEMME - Giornata di normali missili per Israele, sono caduti su tutto il terreno nazionale, con due brutte sorprese: il primo ferito molto grave a Ashkelon, un ragazzino di 16 anni, più una decina di feriti leggeri; e alcuni missili sul Nord estremo di Israele, vicino al confine.
   Anche ieri erano piombati due missili dal Libano, probabilmente lanciati da un'organizzazione palestinese locale. Ma stavolta gli R16 piovuti su Haifa, la capitale del Nord e su Nahariya, meno di dieci chilometri dal Libano, non sono regali locali. È stata Hamas a lanciarli, per ottenere, con i missili da duecento chilometri di gittata, un effetto spettacolare.
   Hamas sta cercando infatti di accumulare risultati che le consentano di proclamare la sua vittoria quando si arrivi a un qualche accordo fra le due parti. Ogni blitz è una carta da giocare in un eventuale trattativa, ma anche sul terreno interno, per dimostrare ai palestinesi che il potere è saldo, anche se un milione e 800mila cittadini soffrono dopo che è stato negato loro ogni sviluppo per 7 anni in nome di una scelta furiosamente bellicistica. Tuttavia ieri quando Israele ha diffuso tramite volantini e telefonate la richiesta agli abitanti della zona di Beith Lahia, 60mila abitanti nel Nord della Striscia, di lasciare le loro case perché alle 12 Israele avrebbe bombardato, qualcosa si è mosso. Il bombardamento, spiegava il volantino, era dovuto alla presenza nell'area di pericolose rampe di lancio e missili. Hamas aveva già ordinato nei giorni scorsi alla popolazione di non lasciare le case, in alcuni casi anche di salire sui tetti per dimostrare la resistenza del popolo palestinese, diceva. In realtà per difendere coi loro corpi, da veri scudi umani, le riserve belliche, le strutture di Hamas e i loro capi militari. Ma a sorpresa almeno 4.000 persone si sono rifugiatienelle scuole che l'Unrwa ha aperto per ricevere i fuggitivi. Nei termini della disciplina dell'organizzazione, molto pervasiva e minacciosa, non sono poche. I messaggi informavano che gli attacchi sarebbero stati brevi e che era intenzione dell'esercito solo attaccare le infrastrutture di Hamas.
   L'aviazione israeliana ha poi attaccato verso le sei, ma la garnde fuga si è intensificata (si stimano ventimila civili diretti verso i rifugi) dopo l'annuncio di nuovi raid israeliani.
   Israele nella notte fra sabato e domenica aveva utilizzato unità speciali che erano penetrate a piedi nel Sud della Striscia e avevano distrutto, riportando quattro feriti, un'importante postazione missilistica, individuata come origine del 10 per cento dei lanci. Sembra questa la tecnica del primo ministro Benjamin Netanyahu, cercare di evitare un'operazione molto costosa dal punto di vista delle perdite umane e dell'opinione pubblica internazionale, che di ora in ora, come al solito, si scalda in condanne umanitarie contro Israele, mentre il presidente dell'Anp Abu Mazen arriva a chiedere all'Onu «protezione internazionale per la Palestina».
   Se per caso Hamas dovesse riuscire in uno dei suoi tentativi di compiere una strage o con un attacco terroristico o con un missile, allora Bibi dovrebbe fermare i missili in ogni modo e subito. Fidando sul sistema «Kipat Barzel» e sulla rete di rifugi che salva vite umane senza sosta, il governo al momento seguiterà con azioni dall'aria, mentre cerca una soluzione senza equivoci e con una ragionevole prospettiva temporale di quiete. Si ripete l'idea che Hamas potrebbe consegnare i suoi missili a un terzo attore, 2000 sono stati distrutti, 700 sono stati usati, e ne restano nella mani di Hamas la bellezza di diecimila, fra cui 200 di lunga gittata. Un obiettivo che mette l'asta della pace molto alta. Comunque, da Tony Blair al Qatar, tutti cercano un posto al sole di qualche accordo, mentre l'Egitto con l'aria di darsi da fare in realtà aspetta che Israele distrugga il suo nemico Hamas.
   Tutti danno volenterosi segnali di preferire la pace alla guerra, fuorchè il partner più naturale, gli Stati Uniti. Obama dichiara di essere molto concerned, preoccupato, ma non si sa di nessuna iniziativa che coinvolga un'America sempre più indifferente e assente dalle svolte importanti del mondo.

(il Giornale, 14 luglio 2014)


Israele-Gaza, l'Iron Dome e la guerra asimmetrica nelle vittime

La "Cupola di ferro" protegge Israele dal lancio dei missili

di Massimo Lomonaco

Saranno in molti in Israele a ringraziare con il pensiero Amir Peretz, il tanto vituperato ex ministro laburista della difesa, a cui si deve l'introduzione del sistema antimissili 'Iron Dome' che sta proteggendo molte vite in Israele. Si deve proprio a lui - sbeffeggiato da una foto che lo mostrava con i tappi protettivi al cannocchiale mentre osservava le manovre militari - lo sviluppo di questa barriera protettiva nata dopo la guerra dell'estate del 2006 tra Israele e gli Hezbollah libanesi. Un conflitto nel quale lo stato ebraico fu pesantemente colpito da migliaia di razzi sparati dagli Hezbollah. E che il ministro giuro' non si sarebbe mai piu' ripetuto. Ora quella promessa e' una efficiente realta' militare entrata gia' in azione nel precedente conflitto con Gaza del novembre 2012 durante l'operazione 'Colonna di nuvola'.
   Proprio oggi una vignetta pubblicata su Haaretz mostra Peretz - confluito ora nel partito centrista di Tizpi Livni - che dorme placidamente sul divano mentre fuori la 'sua' Cupola protegge Israele dai razzi anche a lunga gittata di Hamas e Jihad islamica. 'Kippat Barzel' - come e' chiamata in ebraico - finora ha retto l'urto degli oltre 800 razzi sparati da Gaza e ha reso la guerra - come e' stato osservato da molti analisti - 'asimmetrica' come numero di vittime tra Israele e la Striscia.
   Proprio pochi giorni fa e' stato sottolineato un paradosso: piu' l'Iron Dome funziona, piu' Israele perde la guerra nell'opinione pubblica internazionale [risalto aggiunto, ndr] riguardo alle vittime sul campo. Secondo i dati forniti da militari, la Cupola ha intercettato finora 147 razzi, una percentuale considerata alta dalla difesa. Il sistema infatti e' in grado, attraverso una raffinata tecnologia, di avvistare e distruggere in volo con un missile intercettore i razzi che minacciano aree abitate, facendo invece passare quelli che non costituiscono una minaccia. In genere dopo le sirene di allarme, si avverte uno scoppio in aria dovuto appunto all'intercettazione del razzo da parte della 'Cupola'. Gran parte degli Iron Dome sono stati schierati dall'esercito in punti strategici, a ridosso delle zone piu' intensamente abitate. Nello sviluppo del sistema - brevetto 'Made in Israel' della Rafael - lo stato ebraico ha investito somme ingentissime partendo dal principio che la difesa prioritaria e' quella della popolazione civile. Anche oggi il premier Benyamin Netanyahu ha rivendicato questa ''differenza'': ''noi - ha detto - usiamo sistemi di difesa contro i missili in modo da proteggere i residenti di Israele, Hamas usa gli abitanti di Gaza per proteggere gli arsenali di missili''. Nel web sono già moltissime le invocazioni da parte degli israeliani nei confronti della 'Cupola': chi progetta di chiamare il proprio figlio 'Iron Dome' e chi vuole addirittura sposarlo. Oggi su Haaretz, una delle migliori firme del giornale, Jack Khoury - sottolineando la ritualita' dello scontro in atto - si e' domandato ''perche' fare la pace se Israele ha l'Iron Dome?''.

(ANSA, 13 luglio 2014)


"Piu' l'Iron Dome funziona,
piu' Israele perde la guerra
nell'opinione pubblica internazionale"
In modo più chiaro e sintetico di così non si poteva dire. L'opinione pubblica internazionale non sopporta che Israele riesca ad impedire che i suoi cittadini siano uccisi. L'opinione pubblica internazionale vuole vedere il sangue degli ebrei israeliani bagnare la terra e scorrere a fiumi su di essa. L'opinione pubblica internazionale vuole poter continuare ad elogiare gli ebrei buoni, cioè quelli morti. E tra i vivi, solo quelli disposti a raggiungere nel modo più mite il grande numero degli ebrei buoni: cioè quelli che pacificamente si lasciano ammazzare. M.C.


Gaza, evacuano in diecimila. Unwra: "Li stiamo mettendo nelle nostre scuole"

(il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2014)


E lo “Stato di Palestina”, governato dalla coalizione Hamas-Fatah, di cui è presidente Mahomoud Abbas, continua a inviare razzi contro lo Stato d’Israele chiedendo alla popolazione palestinese di non abbandonare le loro case pur sapendo che Israele ha avvisato che saranno bombardate. Di chi è la colpa delle morti che avvengono a Gaza? M.C.


Storia di Idit, figlia di sopravvissuti all'Olocausto.

Cresciuta in un ebraismo di morte e dolore, è rinata dentro un kibbutz

di Angelica Calò Livné

Idit Pintel-Ginsberg inizia a parlare con un sorriso: «Sono nata a Parigi. Quando avevo 10 anni mio fratello mi regalò un libro di storie ebraiche, Contes et Légendes d'Israèl. Amavo molto quel libro misterioso che mi affascinava e che non riuscivo a capire. Si narrava di uomini pii che vedevano apparire il nome di D-o avvolto nelle fiamme. Della verga di Abramo che aveva il potere di dare origine all'albero della vita. Uno dei racconti si chiamava "Il luogo dove fu costruito il Beit HaMikdash" (il Tempio di Gerusalemme, ndr). Era la storia di due fratelli: uno viveva solo nella sua casetta e l'altro aveva moglie e figli.
   «Quando il padre morì lasciò loro un campo. I due uomini lavorarono alacremente per ottenere un bel raccolto ed ecco, alla Festa delle Pentecoste giunse l'ora di raccogliere i frutti della loro fatica. Dopo il primo giorno di lavoro, durante la notte il fratello sposato disse a sua moglie: "Non riesco ad addormentarmi, penso a mio fratello, da solo nella sua casa vuota, non c'è chi si curi di lui, chi lo accolga al ritorno dai campi. Noi abbiamo tutto ciò che desideriamo: abbiamo la famiglia!". Così si levò nella notte, andò nel campo, raccolse dei covoni e li poggiò sul carro del fratello, che nello stesso tempo si girava e si rigirava nel suo letto pensando: "Come posso dormire tranquillo e ricevere lo stesso raccolto di mio fratello? Io che sono solo mentre lui deve preoccuparsi di sua moglie e dei suoi figli…". Si alzò e andò a portare una parte dei suoi covoni sul carro del fratello. Andò avanti così per alcuni giorni, ed essi ricevevano lo stesso raccolto ogni giorno. Finché una notte si incontrarono, scoppiarono in un pianto dirotto di emozione e si abbracciarono.
   «Quel luogo fu scelto dal Signore per costruirvi il grande Tempio di Gerusalemme. Perché D-o scelse proprio questo luogo per costruire la Sua casa? Cosa aveva di speciale? Ebbene: quello era il luogo in cui l'Uomo si era chiesto cosa mancasse all'altro. Non cosa possedesse più di lui, ma di cosa l'altro avesse bisogno! Ecco, questo è per me il kibbutz. Questa è l'idea, la visione del kibbutz, un luogo dove l'essere umano pensa: "Come posso aiutare l'altro, il mio vicino?". Certo, anche qui puoi trovare persone più o meno sensibili alle esigenze degli altri. Ma l'essenza del kibbutz è una vera e propria "comunione di santità" dove gli uomini, che sono stati creati a Sua immagine, si comportano con sacralità profonda, aiutandosi, rispettandosi, proteggendosi e continuando la Sua creazione».

- Il Talmud nel sangue
  Idit fa una breve pausa, come assorta nella ricerca delle parole giuste per descrivere la fusione perfetta tra il suo modo di vivere e la sua visione della vita. È figlia di sopravvissuti alla Shoah. Tutta la famiglia di
sua madre fu sterminata dai nazisti. Sua madre fu l'unica superstite. Suo padre era soldato nell'esercito francese. Idit crebbe in una casa triste dove la parola ebraismo significava colpa, morte, odio e dolore. A dieci anni fu affidata all'Hashomer Hatzair, un movimento giovanile sionista che all'epoca raccoglieva ragazzi ebrei da tutta l'Europa e li portava nel giovane Stato d'Israele. A 12 anni arrivò al Kibbutz Sasa e crebbe con gli altri bambini, figli dei primi pionieri. Dopo il servizio militare, al momento di iscriversi all'università, vide che c'era un corso di filosofia ebraica e le tornò in mente il libro di storie che le aveva regalato suo fratello. Idit iniziò quindi a studiare.
   Era affascinata da tutto: filosofia indiana, cinese, giapponese, esistenzialista… solo alla filosofia ebraica non riusciva a "legarsi". Studiava le leggi, le regole. L'intelletto capiva ma non assorbiva. «Fino al corso di Talmud», riprende a raccontare: «Il professore iniziò a leggere il capitolo che avremmo studiato e accadde qualcosa di indescrivibile: la sua voce, quel "canto", quella musica io la conoscevo da sempre, quella "lingua" mi era familiare. Era la mia lingua, i suoni che avevo perduto. Era la voce di mio padre, era il mio ebraismo dimenticato, allontanato, nascosto in qualche angolo recondito insieme al vecchio libro di leggende. La mia mente aveva perfettamente elaborato fino ad allora i testi di Platone, di Aristotele… Ora stava succedendo qualcosa: sembrava che il sangue scorresse vorticosamente in tutta me stessa. Ero rimasta appassionatamente, sorprendentemente coinvolta nell'incanto del Talmud».
   Da quel momento Idit si sente a casa. Trova risposte a tante domande. Trova l'Uomo. L'essere umano. Incontra i conflitti dell'ebraismo e vede lo sforzo impiegato dal suo popolo per mantenere i propri valori e il proprio spirito. Diviene un'esperta di pensiero ebraico e Kabbalah, la mistica ebraica. Ciò che più l'affascina è il senso della vita, dell'energia positiva e inesauribile che sente nascere in sé. Lei che era cresciuta in un ebraismo di morte, di ricordo, di tristezza e di nostalgia, nel corso degli studi incontra il dinamismo senza limiti di questo popolo che sopravvive da una distruzione all'altra, da un genocidio all'altro, e si risolleva per merito della sua fede, della sua forza morale, della sua fiducia nell'uomo, per ricominciare ogni volta, con responsabilità. Ci si ricrea attraverso lo studio, l'intelletto, lo spirito e si continua a studiare la Torah. Con gli occhi scintillanti Idit mi racconta: «Una volta, su uno degli scaffali all'università ho trovato una Bibbia stampata a Vilnius nel 1940. Capisci? Nel pieno della follia nazista, nel ghetto si stampavano Bibbie!».
   Idit torna a parlare della sua scelta di vivere in kibbutz e spiega che l'essenza dell'ebraismo è esattamente in questa forma di vita, creata da giovani che provenivano da famiglie religiose. L'ideale del kibbutz si fonda sui principali motivi umani e religiosi della religione. L'assistenza, l'aiuto all'altro e il rispetto non scaturiscono da un senso di buonismo ma sono leggi ben definite della morale ebraica. Dopo la distruzione del secondo Tempio per mano dei romani nel 70 dopo Cristo, le comunità ebraiche scacciate e sparse per il mondo risorsero perché il precetto voleva che i più forti si raccogliessero intorno alle vedove, agli orfani, ai bisognosi e li sostenessero. Si fecero garanti l'uno dell'altro con responsabilità, determinazione e naturalezza, perché questi valori fanno parte di un retaggio antico. «A mio avviso il kibbutz è nato esattamente con questo spirito: è una comunità di esseri umani con una grande responsabilità», continua Idit. «Non nasce per motivi economici. Non è l'idea di Marx. È una comunità umana dove ognuno mette a disposizione degli altri le sue capacità, e dove ognuno viene accolto e riconosciuto per ciò che è».

- La fatica di rimanere
  Mentre Idit parla penso a quei momenti difficili in cui vorresti sparire perché vivere in una comunità di 80 famiglie con 400 idee diverse può dare origine a conflitti insostenibili. «Sasa ha vissuto momenti difficili. Il kibbutz sorge in un luogo difficile, anche geograficamente, sul confine, su un terreno ostico. È stato faticoso, molti hanno lasciato e chi è rimasto ha compiuto una scelta. E non è vero che sono rimasti perché è comodo vivere qui: non è comodo affatto! In città, dopo il lavoro, se vuoi, vai a dare un contributo alla comunità; qui tutti abbiamo i turni di sabato, le commissioni per la cultura, per l'educazione, per il lavoro. Siamo una comunità dove ognuno si preoccupa dell'altro. Noi siamo un kibbutz comunitario, dove i beni sono condivisi, ma anche nei kibbutz ormai "privatizzati" la gente è rimasta. Non ha abbandonato».
   Idit è una bella persona e incontra continuamente belle storie. Quando hai intorno a te una luce positiva, anche chi ti è vicino si illumina di quella luce. Vede il buono e il bello che altri non vedono. Paul, suo marito, è arrivato da Long Island una trentina di anni fa. È ingegnere forestale. In Israele sono stati piantati nel corso di 60 anni oltre 21 milioni di alberi. Quando chiedo a Idit di raccontarmi cosa vede di tanto bello intorno a sé sorride e dice: «Cosa c'è di più bello di una comunità di uomini che piantano alberi, che si preoccupano della terra, del futuro, del verde, dell'acqua? Vuoi che ti racconti di ciò che vedo all'università di Haifa dove insegno? Dove ogni anno aumentano le donne arabe che si iscrivono agli studi? Dove incoraggiamo gli studenti ad approfondire le proprie radici culturali?».

- Non basta il Manifesto comunista
  Avrebbe tante altre storie da raccontare, Idit. Tanti altri esempi positivi. Per superare la crisi profonda nella quale il mondo si sta perdendo c'è bisogno di insegnare a volgere lo sguardo verso il bello. Verso il positivo. Siamo aggrediti da serie tv e da scene politiche dove regnano tipi volgari, violenti, negativi e corrotti che spesso vengono presi come modello da emulare. «A volte - conclude Idit - le persone mi dicono: "Non puoi vedere tutto perfetto, non puoi fingere di non vedere le persone che anche nel kibbutz si comportano egoisticamente e in maniera anti-sociale". Ma è proprio qui che vedo la grandezza di questo luogo, dove non si viene con i paraocchi seguendo il Manifesto comunista ma dove giorno dopo giorno si discute, si affrontano i problemi, si cresce e ci si confronta per cercare la strada migliore per vivere insieme».
   Ci lasciamo quando ormai è notte fonda con la parola "tikkun", riparazione, un'espressione classica della Kabbalah di cui Idit è maestra. «Nel tikkun - spiega - l'uomo cerca l'aspetto positivo di ogni cosa perché si può sempre trovare qualcosa di positivo. Il compito dell'uomo è guardarsi e chiedersi se ha lasciato un mondo migliore di quello in cui è giunto, e se qui nel nostro kibbutz abbiamo creato una scuola dove studiano ragazzi da tutta la zona, se abbiamo piantato alberi, se abbiamo cresciuto figli che amano la vita e l'uomo, allora abbiamo assolto al nostro compito».

(Tempi, 13 luglio 2014)


Shimon Peres: "Non può esistere compromesso con il terrore"

di Rossella Tercatin

Una contabilità che non si arresta. I razzi da Gaza continuano a essere sparati contro le città israeliane, le sirene suonano, per avvertire la popolazione di mettersi al riparo nei rifugi, e prosegue senza sosta l'opera di Iron Dome per neutralizzare la minaccia. Solo nelle ultime ore, tra le altre, Sderot, Ashkelon, Ashdod, Tel Aviv mentre nella notte alcuni razzi sono stati sparati anche dal Libano contro il nord di Israele. Ad Ashkelon, un ragazzino israeliano di 16 anni è rimasto ferito da razzo ed è in condizioni critiche secondo quanto riferisce la stampa israeliana.
"I terroristi di Hamas puntano a uccidere e ferire il maggior numero possibile di israeliani innocenti. Non vogliamo fare del male ai civili - ha sottolineato il presidente Shimon Peres -Una realtà in cui cinque milioni di persone, incluse donne e bambini, sono costretti a correre nei rifugi, è intollerabile. Non possiamo permettere al terrorismo di costringere i nostri cittadini nei rifugi. Non ci può essere un compromesso con il terrore". Peres ha ricordato anche come Gaza sia stata lasciata da Israele. "Avrebbe potuto prosperare e invece è diventata una base di terrore. Gaza potrà essere davvero libera quando romperà le catene dell'organizzazione terrorista".
Nella Striscia, l'esercito di difesa israeliano prosegue l'Operazione Protective Edge contro gli obiettivi legati al gruppo terroristico di Hamas. Nella notte un'incursione israeliana ha distrutto una base di lancio di missili a lungo raggio, secondo quanto confermato dallo stesso Idf, che riporta anche la notizia di quattro soldati feriti in modo lieve nello scontro a fuoco, che però sono tornati tutti a casa senza problemi, mentre prosegue l'offensiva area e navale e si registrano vittime anche tra i civili.
In previsione dell'inizio di una massiccia operazione di terra, in migliaia nel nord della Striscia starebbero lasciando le proprie case, seguendo l'invito di Tzahal per evitare al massimo il coinvolgimento della popolazione nei combattimenti, nonostante l'invito di Hamas a ignorare gli avvertimenti israeliani.
Se l'ingresso dell'Idf a Gaza non è, per ora iniziato, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha però ammonito che Protective Edge potrebbe durare a lungo, fino a che non sarà "riportata la quiete".

(moked, 13 luglio 2014)

Netanyahu, patto con la Cina

Affari sempre più in crescita con l'Oriente. Non c'è più bisogno di aiuti europei o americani.

di Anna Guaita

 
NEW YORK - Quando la Cina e Israele strinsero per la prima volta rapporti diplomatici, nel 1992, i loro scambi commerciali arrivavano annualmente appena a 50 milioni di dollari. L'anno scorso hanno superato gli 11 miliardi di dollari. È una cifra ancora piccola se paragonata a quelle che la Cina realizza con altri partner della regione, come ad esempio la Turchia.
   Ma la crescita è andata accelerando proprio negli ultimi anni: più Israele ha problemi con i suoi alleati tradizionali, più i rapporti economici con la Cina crescono. Non si può certo sostenere che questa sia la sola causa, ma vari esperti pensano che la rigidità dimostrata da Netanyahu davanti alle pressioni internazionali si deve almeno in parte alla consapevolezza che non deve più solo affidarsi agli Stati Uniti e all'Europa. La Cina ormai è il secondo importatore di prodotti israeliani dopo gli Usa, ed è un secondo posto molto ravvicinato.
   I rapporti economici fra i due Paesi si allargano in tutti i settori: dalle industrie pesanti alle infrastrutture, dall'agrochimica all'alta tecnologia, fino alla collaborazione scientifico-accademica. C'è anche un megaprogetto sui trasporti che dovrebbe rendere Israele ancora più appetibile per i mercati asiatici: la costruzione di una linea ferroviaria dal Mar Rosso al Mediterraneo. È unvecchio sogno di Bibi Netanyahu, riportato a galla proprio grazie a un impegno finanziario della Cina: la linea ad alta velocità diventerebbe alternativa al Canale di Suez, unendo il porto di Eilat nel Mar Rosso a quello di Ashdod nel Mediterraneo. Nonostante i dubbi degli ambientalisti e i malumori americani ed egiziani sull'ipotesi di un'aperta concorrenza contro Suez, il progetto è in dirittura di arrivo, e la Cina si è anche impegnata per l'allargamento e la modernizzazione del porto di Eilat.
   Lo scorso dicembre il ministro degli Esteri cinese Wan Yi è andato in visita in Israele e Netanyahu lo ha accolto con parole in genere riservate all'alleato americano: «I nostri punti di forza si completano a vicenda. La Cina ha una industria forte e la capacità di raggiungere ogni angolo del globo. Noi israeliani abbiamo il know-how della tecnologia avanzata». Resta tuttavia dubbio che questo sposalizio di interessi possa ingigantirsi troppo. Israele potrà non rispondere alle pressioni di Washington, ma certo non è pronto a troncare i rapporti con lo storico alleato. E la Cina dal canto suo ha giganteschi e vitali interessi nelle economie dei più grandi nemici di Israele, a cominciare dall'Iran. Ultima, ma non trascurabile circostanza, la Cina ha un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dove ha diritto di veto.

(Il Mattino, 13 luglio 2014)


Orfanatrofio colpito e bimbi morti'. Non è vero

di Michael Sfaradi

SDEROT - Per capire com'è una città che si trova sulla linea del fronte bisogna vedere Sderot. Strade deserte, negozi chiusi, la popolazione rintanata nei rifugi. E il posto dove non ci si può muovere se si è su una sedia a rotelle o si ha un bambino in braccio, in 15 secondi bisogna essere al sicuro. In questo centro del sud d'Israele anche le fermate degli autobus sono di cemento armato. I rifugi sono mostruosi cubi, anche questi di cemento armato, che possono ospitare fino a dieci persone, poggiati sui marciapiede a quindici secondi di distanza uno dall'altro. La gente di Sderot vive così da almeno 14 anni, quella di Gaza è da 9 anni sotto il tallone della dittatura islamica di Hamas. La fine di questo regime porterebbe a tutti benessere e libertà.
   Ma la guerra continua e siamo costretti ad aggiornare il conto del sangue. Secondo fonti palestinesi i morti sono saliti a 135, tra loro diversi capi di Hamas (fra i quali due nipoti di Ismail Haniyeh, che di Hamas è il leader politico), i feriti nell'ordine di diverse centinaia, i più gravi vengono trasportati in Israele attraverso il valico di Kerem Shalom. Impossibile sapere quale sia, all'interno della tragica statistica, la percentuale dei "veri" civili. Il ministero della Difesa israeliano ha rilasciato diversi filmati e foto scattate dai droni dove si vede che i lanci dei missili palestinesi vengono effettuati dai tetti dei palazzi civili o dalle strade vicine a scuole o moschee. Proprio ieri un razzo lanciato vicino a uno dei magazzini della Unrwa, l'ente dell'Onu che si occupa dei profughi palestinesi, ha colpito lo stesso magazzino, incendiandolo e distruggendolo. Il denso fumo nero era visibile a chilometri di distanza. Il portavoce di Hamas ha dichiarato durante una conferenza stampa che sono 570 i missili lanciati verso Israele negli ultimi tre giorni, e i lanci continueranno con la stessa intensità. «Stasera colpiremo Tel Aviv», ha annunciato. E ieri sera hanno risuonato esplosioni in città, le sirene come impazzite. Cosi anche a Gerusalemme.
   In Israele oltre gli ingenti danni si contano diversi feriti, alcuni anche gravi. Un uomo ad Ashdod è morto d'infarto durante un allarme, una donna ha perso la vita caduta dalle scale mentre correva nel rifugio. In molti richiedono assistenza psicologica, soprattutto per i bambini che sono terrorizzati proprio dal suono delle sirene e dalle esplosioni che si susseguono a ritmo intenso, per ogni missile lanciato la deflagrazione si somma a quella del razzo intercettore Iron Dome.
   E poi c'è la guerra mediatica. Nel primo pomeriggio s'era diffusa - per la verità più che altrove in Italia - la notizia, subito ripresa dai siti di pressoché tutte le più importanti testate italiane, che alcune bombe lanciate dai jet israeliani avessero colpito un orfanotrofio a Beit Lahiya, nel nord della Striscia, e che nell'esplosione fossero morti anche dei bambini. Questa notizia, nella sua tragicità, è stata col passar delle ore ridimensionata, non era un orfanotrofio ma un centro per disabili, non si contano bambini fra le vittime anche se sfortunatamente due donne hanno perso la vita. E però resta la diffusione di una notizia che è rimbalzata per tutto il giorno condita con elementi non veri. Il portavoce dell'Idf ha fatto sapere che gli esperti analizzeranno i filmati e solo dopo commenterà l'accaduto.
   Peraltro, secondo voci non confermate, commando dell'esercito israeliano sarebbero entrati nella notte all'interno della Striscia di Gaza, distruggendo alcune postazioni palestinesi di frontiera. E forse anche preparando l'ingresso dei mezzi corrazzati: l'avanzata di terra potrebbe davvero essere ormai questione di ore.
   E poi la diplomazia. Tony Blair al Cairo che prepara una bozza per il cessate il fuoco insieme con il presidente egiziano Al Sissi, il vertice America-Europa in programma oggi. Potrebbe essere tardi: sulla strada per Gaza intenso è il traffico degli autotreni che trasportano i carri armati Merkava, e in serata il lancio di razzi su Israele è notevolmente aumentato.

(Libero, 13 luglio 2014)


Gaza: ultimatum di Israele. Hamas alla popolazione: "Non lasciate le case"

Volantini e tweet dell'esercito israeliano danno un ordine preciso, ma fonti ufficiali palestinesi riportano l'ordine contrario. Hamas invita la popolazione a non lasciare le proprie abitazioni, ma in molti sono in fuga.

Alle minacce israeliane è seguita la fuga di una parte della popolazione. Un volantino dell'esercito di Tel Aviv spiega tutto: "Nell'area est di Al-Atatra e Al-Salatin St. e nell'area ovest e nord di Ma'bscar e Jabalya i palestinesi devono abbandonare le abitazioni entro le 12 (11 italiane, ndr)". Quei rioni di Gaza saranno terreno - così è annunciato - di combattimento, "un combattimento breve e rivolto ai terroristi e ai loro siti".
Intanto l'Unrwa, l'Agenzia delle Nazioni unite per i profughi, fa sapere che sono già 4 mila i palestinesi che hanno abbandonato la casa per chiedere ospitalità nei rifugi della Striscia di Gaza, dopo l'ultimatum lanciato da Israele.
Volantini e tweet dell'esercito israeliano danno un ordine preciso, ma fonti ufficiali palestinesi riportano l'ordine contrario. Hamas invita la popolazione a non lasciare le proprie abitazioni. Ma i palestinesi con passaporto straniero, quasi ad ultimatum scaduto, hanno iniziato a lasciare la Striscia di Gaza attraverso il valico di Erez. Israele, che collabora all'evacuazione, ha riferito che tra gli 800 palestinesi con cittadinanza straniera che stanno lasciando il territorio palestinese ci sono australiani, britannici e statunitensi.
Fermo il premier Benjamin Netanyahu: "Israele continuerà ad operare a Gaza per ristabilire la tranquillità". "Non sappiamo quando l'operazione finirà, potrebbe volerci del tempo".

(Rai News 13 luglio 2014)


La strategia di Harnas

Lettera al quotidiano "Libero"

I componenti del Consiglio di sicurezza con a capo Ban IG-moon, insieme ad altri che criticano Israele, dovrebbero specificare quale sia una risposta equa quando si viene attaccati con migliaia di missili da 9 anni lanciati da Gaza contro Israele. A tutte le nazioni è consentito rispondere militarmente in caso di attacco, ma non ad Israele, oppure secondo la prassi filo Hamas dovrebbe aspettare che un missile faccia una strage, ed allora che numero di morti dovrebbe esserci per autorizzare gli israeliani a rispondere? Cosa dovrebbe fare Netanyahu, dare un buffetto sulle loro guance barbute? Israele è uno Stato sovrano ed essendo stato attaccato ha tutto il diritto di rispondere come crede, senza se o ma, per tutelare la propria popolazione, e devo dire che lo sta facendo con parsimonia al contrario di come dovrebbe. I palestinesi hanno tirato troppo la cinghia ed è colpa dei terroristi di Ha-mas se tra le vittime ci sono anche dei bambini, a cui, debbo dire, non tengono molto allevandoli con l'idea di quanto sia bello suicidarsi. La strategia barbara di Hamas e dei vari gruppi jihadisti è fare stragi e poi chiedere aiuto ai cretini occidentali, i quali dovrebbero capire che i tumori vanno estirpati, essendo i terroristi di Hamas i tumori della civiltà.
Carlo Ferrazza

(Libero, 13 luglio 2014)


Quando la morte cala dal cielo. «Noi, abbracciati contro Hamas»

di Aldo Baquis

TEL AVIV - Per arrivare alla batteria di antiaerea Iron Dome, alla periferia di Tel Aviv, bisogna fare la coda. In un sabato estivo, tutta la città ha voluto abbracciare questi militari, che hanno saputo intercettare i razzi di Hamas. Grazie alla loro abilità, non si sono avute finora vittime. Allora ecco dunque comparire le pentole con i cibi di casa confezionati dalle 'yiddische mame': le mamme ebree sempre intente a infarcire i figli di cibo, nel timore atavico che non siano mai sazi. I soldati si schermiscono. «No grazie, abbiamo già mangiato». Fanno cenno con la mano che nella loro pancia c'è il tutto esaurito. Ma l'amore della popolazione non ammette deroghe e su di loro si riversano tavolette di cioccolata e dolciumi. Poi il prezzo da pagare: «Vogliamo un selfie con la batteria dei missili», dicono tutti. Ma l'agente di polizia spiega che è vietato. Tel Aviv è nota in Israele come la 'Buà': una sfera urbana che rifiuta di vedersi parte del Vicino Oriente, e preferisce sintonizzarsi sulle onde culturali occidentali.
Nei chioschi dei giornali occhieggia l'ultima edizione di Time Out, la 'Bibbia' per chi desidera svagarsi. «Cosa è successo ai leader del movimento degli Indignati?», è il primo articolo. Seguono aggiornamenti su un nuovo ristorante, e gli ultimi preparativi per il concerto di Neil Young.
Che Hamas possa aver disturbato questo idillio è fastidioso. Al suono dell'allarme gli abitanti corrono disciplinatamente nei luoghi di riparo. Ma la sensazione è che ancora non sia una cosa seria. Passato l'allarme, chi può si lancia sui detriti dei razzi per un 'selfie' d'obbligo da mettere al volo su Facebook. Anche l'umorismo aiuta: a Tel Aviv i razzi non possono cadere, si spiega, «perché i parcheggi qua sono sempre pieni».
Quindici anni fa molto diversa era l'atmosfera quando nelle strade si facevano esplodere i kamikaze e gli autobus rischiavano di essere trappole di morte. Per il momento, invece, si distingue al massimo un leggero velo di preoccupazione. Nel litorale di Tel Aviv c'erano ieri un po' meno bagnanti del solito. Alcuni erano giunti dal Sud di Israele: «Vengo — ha detto uno — da Beersheba: dovendo scegliere fra 15 allarmi al giorno, e due o tre qua, preferisco Tel Aviv. Un vero paradiso».

  • 01
  • 02
  • 03
  • 04
  • 05
  • 06
  • 07
  • 08
  • 09
  • 10
  • 11
  • 12
Tel Aviv - La gente cerca riparo al suono delle sirene

A SESSANTA chilometri di distanza, Gerusalemme ha trascorso ieri una giornata di calma. Mentre Tel Aviv vive alla giornata, nella capitale la popolazione è più incline alla meditazione e alla preghiera. Entrambe hanno a loro difesa una batteria di Iron Dome (la 'Cupola di ferro') . Ma negli ambienti religiosi di Gerusalemme c'è chi ritiene che sopra a essa — che pure ha fatto cose egregie finora — ci sia una altra Cupola, metafisica, che protegge dal Cielo il popolo d'Israele.
Per i religiosi, per i timorati, per gli ultraortodossi quello di ieri è stato un riposo sabbatico molto diverso dal solito: per alcuni versi, memorabile. Nel giorno del riposo è di norma vietato accendere apparecchi elettrici. Ma in situazioni di emergenza occorre dar prova di elasticità. Ecco così che fin dal venerdì i religiosi hanno avuto ordine di sintonizzare i loro apparecchi su una stazione radio che non trasmette assolutamente niente. Entrerà in azione — è stato spiegato — solo in caso di allarme, quando allora comincerà a sciorinare codici.

NELLE SINAGOGHE, questo sabato, hanno fatto la prima comparsa anche i telefoni cellulari. Anch'essi (sistemati sul vibrato) per avvertire la congregazione di possibili lanci di razzi nella loro direzione. Le scene delle persone che si lanciano nei rifugi nell'udire le sirene hanno angustiato il rabbino capo ashkenazita David Lau. Cosa ne sarebbe degli anziani se nel cuore delle preghiera fosse necessario sgomberare subito il tempio? Lau ha stabilito che era meglio esonerarli del tutto, lasciare che pregassero nelle loro abitazioni. Strade tranquille, sinagoghe affollate, letture di Salmi per rasserenare i bambini, e un clima di misticismo sospeso a mezz'aria: così Gerusalemme ha affrontato il nuovo pericolo incombente da Gaza. Solo in serata la calma è stata incrinata da una nuova sirena di allarme. Dopo dieci minuti la polizia ha riferito che nessun razzo era caduto sulla città due ordigni erano caduti più a sud, in Cisgiordania, fra Betlemme e Hebron.
Su Gerusalemme veglia comunque Nir Barkat, un ex uomo di affari laico, specializzato in high-tech, che mantiene sempre e comunque i piedi saldamente a terra. I servizi di emergenza del municipio, ha assicurato, sono ben oleati, funzionano bene. Alla popolazione non si chiede altro che rispetti disciplinatamente gli ordini del Comando delle retrovie. «Vedrete, andrà tutto bene», ha assicurato alla stampa.

(Il Giorno, 13 luglio 2014)


Prima breve operazione di terra contro Hamas

Il blitz sarebbe stato effettuato da un commando d'elite della marina

Una breve operazione di terra è stata lanciata nella notte contro un sito di lancio di missili di Hamas nel nord della striscia di Gaza. L'esercito israeliano dà notizia di quattro soldati leggermente feriti, senza aggiungere ulteriori dettagli. Nella notte si sono susseguiti anche alcuni raid aerei, con vittime palestinesi. Secondo la polizia di Gaza, 17 raid avrebbero colpito la regione tra le 4 e le 5 ora locale.
Secondo la radio pubblica israeliana, il blitz è stato effettuato da un commando d'elite della marina. Il braccio armato di Hamas ha confermato che un contingente israeliano ha tentato di sbarcare su una spiaggia e che c'è stato uno scontro a fuoco con combattenti palestinesi. Si tratta della prima incursione terrestre dall'inizio dell'offensiva israeliana.

(TGCOM24, 13 luglio 2014)


Algeria: riaprono le sinagoghe

L'Algeria il 7 luglio per voce del nuovo ministro per gli Affari religiosi, Mohamed Aissa, ha dichiarato che riaprirà le sinagoghe.

ALGERI - Il neo ministro in carica dal 5 maggio 2014, ha rilasciato questa dichiarazione a Oran ed è in netto contrasto con quelle del predecessore Bouabdallah Ghlamallah. A Oran il ministro ha detto: «riaprono le porte i luoghi di culto per gli ebrei». «Riaprire gli spazi per la preghiera per gli ebrei è una prova evidente che l'Algeria non è contro di loro», ha aggiunto il ministro.
Una dichiarazione che conferma la sua apertura religiosa e rilasciata pochi giorni prima del Forum organizzato dal quotidiano nazionale Liberté . «Il mio programma mira a migliorare la pratica religiosa rituale. E non solo musulmana», ha sostenuto il ministro il Lunedi 1o luglio. Affermando la presenza "di una comunità ebraica", che "ha il diritto di esistere", ha detto che farà riaprire le sinagoghe, ma non può essere fatto subito, perché «dobbiamo prima garantire il luogo di culto prima di consegnare ai fedeli»
I luoghi di culto della piccola comunità ebraica 'di Algeria, i cui membri sarebbero oggi "un pugno", come ha dichiarato lo storico Benjamin Stora, erano state chiuse nel 1990, nel bel mezzo della guerra civile, per la sicurezza.

(AGC communication, 13 luglio 2014)


Hamas resiste sotto le bombe: così vince la guerra mediatica

di Fiamma Nirenstein

Almeno 70 missili lanciati da Gaza fino alle 6 del pomeriggio. Di nuovo, certo, hanno coperto tutto il terreno nazionale, di nuovo la cronista ha dovuto correre in una stanza di cemento mentre scriveva il pezzo e i gerusalemitani afferravano i bambini correndo verso i rifugi più vicini.
   E poi alle 9 un attacco preannunciato ha colpito Tel Aviv, il centro e il sud, per dimostrare che Hamas può arrivare dappertutto, e che gli israeliani corrono nei bunker ai suoi ordini. Eppure 70 missili nel corso di una intera giornata sono pochi rispetto alle centinaia caduti nei primi cinque giorni. Il loro numero è un messaggio, un avviso. Il messaggio è chiaro: Hamas prosegue, ma frena. Qualcosa succede. Le sue tv proclamano la vittoria, maledicono l'aggressore sionista, lodano l'eroismo dei palestinesi che affrontano gli F16 senza i rifugi. Quelli, li usano solo i capi. Ma frenando un pò Hamas facilita, si dice, movimenti diplomatici sotterranei che coinvolgono, oltre a Israele, anche l'Egitto, tradizionale mediatore, anche se nemico della Fratellanza Musulmana di cui Hamas è parte, e il Qatar, l'amico più fidato. Anche Abu Mazen è mobilitato. Sembra che Tony Blair parli con tutti, e sia il jolly della situazione.
   È una guerra difficile da concludere, tuttavia, per ambedue le parti. Ognuno dei due vuole dichiarare vittoria. Per farlo, Israele vuole garantirsi, oltre al cessate il fuoco, un margine per cui Hamas debba cessare per un periodo ragionevole dagli attacchi terroristi e dal bombardamento a tappeto come nel 2009, nel 2012 e adesso. Per avere un gesto significativo Israele potrebbe puntare alla consegna dei missili a un terzo attore, o al passaggio del potere di Gaza a Abu Mazen. Sogni? Si, anche se Hamas ha avuto già 127 morti e più di mille obiettivi militari sono stati colpiti dall'aviazione, 158 solo nelle ultime 24 ore, mentre Israele con «Kipat Barzel» e la rete di rifugi onnipresenti non ha avuto perdite. Eppure Hamas dichiara la vittoria, e anzi cerca un gesto clamoroso come l'attacco, sventato, dei suoi uomini rana al kibbutz Zikim, o il tentativo di compiere un grande attacco terrorista usando una delle gallerie di Gaza. E' una potente rete che rappresenta un forte deterrente all'ingresso di terra che Israele minaccia: un'autentica città sotterranea, ossigenata e munita di elettricità, profonda fino a trenta metri, dove sono accumulati missili forniti dall'Iran e dagli Hezbollah, protagonisti, con i loro ingegneri, della costruzione dei cunicoli, degli uffici, delle abitazioni, dei depositi sotterranei. Fu da uno di quei tunnel che uscì nel 2006 il commando che rapì Gilad Shalit, centinaia di attentati arrivano in Israele tramite le gallerie. In questi giorni Israele ne ha distrutte 100, ma siamo lontani da risultati strategici. Hamas vuole resistere quanto può per ripristinare la sua importanza e il suo «appeal» antisraeliano. Soprattutto, ha bisogno che dopo l'abbandono dell'Egitto, il Qatar ripristini le donazioni che le consentivano di arrivare al budget di 4miliardi e 600milioni che le permette di mantenere i suoi 70mila dipendenti e che oggi è sprofondato. La disoccupazione a Gaza è del 38, 5 per cento: il denaro è uno dei nomi del gioco. Ma il punto vero per cui Hamas resiste e un altro: ogni minuto di più le fotografie provenienti da Gaza toccano le corde politiche della stampa internazionale: Hamas vince una guerra di opinione che la rende la star del momento nel mondo che ama odiare Israele. Le dimostrazioni ormai punteggiano l'Europa, i titoli dei giornali dimenticano che la popolazione israliana è nei bunker, e che i palestinesi nascondono le rampe, i missili, i terroristi, in mezzo alla popolazione. Guida la danza il «New York times», che assicura il suo pubblico che mentre Israele attacca con gli aerei, Hamas, innocente, si limita a rispondere a un atteggiamento crudele e incurante della vita umana. La Bbc promuove la bugia che addirittura Israele prenda di mira i civili a Gaza, e ignora del tutto il fatto, unico al mondo, che mentre Israele copre di telefonate, volantini, messaggi email i palestinesi per invitarli a uscire da casa quando attacca un sito di importanza strategica o un comandante di Hamas, i cittadini ricevono da Khaled Mashaal o da altri l'ordine di restare a casa o addirittura di salire sui tetti. Le organizzazioni internazionali, come il Consiglio dell'Onu mettono in moto il consueto meccanismo di condanna contro Israele. Ogni giorno in più che Hamas lancerà i missili sui civili israeliani, sarà un giorno a suo favore e di condanna di Israele.

(il Giornale, 13 luglio 2014)


Lettera da Tel Aviv

Ci sono poi quei momenti in cui il tuo sguardo va nel vuoto, e perso nel vuoto pensi. Vittime di scelte altrui, quelli che cambiano la tua "daily routine". Leggi le news su internet, le confronti tra una testata e l'altra. Ci passi quasi la giornata, e nonostante questo gli amici ti mandano i loro link. Sai alla perfezione quanti razzi sono caduti su Sderot, a Beer Sheva, e non solo. Sai perfettamente quanti razzi sono stati intercettati dal sistema antimissile. Sai quant'è fastidioso il suono di quella sirena che se sei fortunato dura 90 secondi, se sei sfortunato dura 15 secondi. Il pensiero si perde nelle giornate pensando a coloro che a sud di Israele devono raccogliere i propri figli, raccogliere i bambini dalle scuole, i malati, gli anziani, e correre al riparo.
Sono "fortunato". A Tel Aviv ce la "spassiamo" confronto altri posti. La nostra "daily routine" non è cambiata. Penso anche a chi sta nella Striscia. Penso a tanta gente che con Hamas non ha niente a che fare, ma ne è vittima e schiavo. Penso a queste persone che non possono ribellarsi, che sono vittime di un sistema malato da decenni e che il loro futuro è cosi annebbiato che forse, un po', capisco la loro rassegnazione. Non dobbiamo essere vittime di questi soggetti che vogliono imporre il loro terrore, lanciando centinaia di razzi su Israele, e nonostante continui avvertimenti, hanno creato la condizione di questi ultimi giorni. Ma chi trae vantaggio da tutto questo ? La cosa certa è che vedere colleghi che vengono richiamati alle armi, salutare le proprie famiglie e andare al "fronte" non è bello: lo scopri il giorno dopo, quando vedi la loro scrivania vuota ed il collega ti avvisa.
La vita va avanti, sarebbe bello se andasse avanti in pace. In Siria si uccidono, ma non interessa a nessuno. Non parliamo di Iraq e Iran, dell'Egitto e del Libano con Hezbollah. Vivo davvero nel giardino dell'Eden.
Gabriele Bauer

(Corriere della Sera - blog di Beppe Severgnini, 12 luglio 2014)


Israele è solo

di Andrea Seibel

 
Andrea Seibel
In tedesco Andrea è un nome di donna. Il corrispondente maschile è Andreas
Negli ultimi anni, paradossalmente, per Israele è stato un vantaggio che in alcuni paesi del mondo arabo si siano avute sollevazioni. L'attenzione del mondo si era concentrata su Egitto, Libia, Siria, Iran, e oggi sull'Iraq. Il conflitto che da decenni si svolge in Medio Oriente, confrontato con queste atrocità si è rivelato per quello che è: non una conflagrazione mondiale. Ma adesso escono fuori dal cassetto vecchie cose ben conosciute. Hamas spara razzi di enorme portata sulle città israeliane, e anche Hezbollah manda i suoi saluti di morte dal Libano. E' come se si fosse accesa una gara per conquistare l'attenzione internazionale e vedere chi è il peggiore e il più cattivo.
   Riusciranno di nuovo a evocare la catastrofe? Forse ancora no, almeno nella misura voluta. E tuttavia colpisce la legge ferrea: anche se sono loro gli aggressori, sono sempre i palestinesi ad essere visti come vittime. Col passar degli anni, la forza e la singolarità di Israele gli sono state rivolte contro come accusa. Dal momento che i palestinesi sono deboli, hanno tutti i diritti. Tutto quello che il governo israeliano fa in sua difesa viene interpretato come rappresaglia. Ma dovranno lasciarsi piovere razzi in testa senza reagire? Questa asimmetria ha lasciato nel corso degli anni ferite e cicatrici. Chi viene continuamente attaccato fa anche degli errori, la sua popolazione perde l'ottimismo e i nervi, reagisce in modo rassegnato o indurito. Anche se la forza di tensione culturale ed economica di Israele è enorme, vale la pena di chiedersi: che cosa potrebbe irradiare questo paese se potesse svilupparsi in pace e tranquillità?
   Settori della società, in modo particolare le menti pragmatiche e disilluse, perdono la speranza davanti alla diminuzione e alla vanificazione di possbilità e di futuro, davanti a un avversario che continua a voler essere soltanto avversario e chiaramente si rifiuta di essere un partner. I palestinesi non riescono ad uscire dalle trincee della loro storia e ad osare un nuovo inizio, come per esempio è riuscito ai curdi nel nord dell'Iraq. E così il più grande nemico dei palestinesi è costituito dai palestinesi stessi. La loro incapacità di liberarsi dal dominio del terrorista Hamas può essere detta tragica. Perché anche la loro società avrebbe delle potenzialità, come dimostra la diaspora.
   Il mancato accordo con i palestinesi ha lasciato in Israele un solo desiderio: mantenere lo status quo a tempo indeterminato. Noli me tangere. Perché la convivenza è molto di più di un cessate il fuoco che è sulla carta ma non agisce nei cuori e nelle menti di coloro che ne sono coinvolti. E poi, le armi ormai raramente tacciono; mediatori si sono stancati; anche gli americani non sono riusciti ad ottenere niente, e sul piano mondiale sono più deboli che mai: un'altra componente tragica.
   Israele è un grande paese, ma è anche un povero paese. Oggi è più incompreso che mai. Ed è più solo che mai.

(Die Welt, 12 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


E quando fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli cominciò con gioia a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi». Alcuni farisei fra la folla gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!». Ed egli, rispondendo, disse loro: «Io vi dico che se costoro si tacciono, le pietre grideranno». E come si fu avvicinato, vedendo la città, pianse su di lei, dicendo: «Oh, se tu avessi riconosciuto in questo giorno quello che occorre alla tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi.»

dal Vangelo di Luca, cap. 19







 

Venti di guerra in Medio Oriente

di Giuliano Cazzola

Israele si batte per continuare ad esistere, per difendere la patria di un popolo che continua a subire discriminazioni, anche nel cuore dell'Europa, dove i cascami dell'antisemitismo (ben più antico della Shoah) si sono riciclati attraverso l'immigrazione musulmana. Troppo sovente la solidarietà con il popolo ebraico, in Europa, si ferma al 1945. Ma non è consentito essere contemporaneamente contro l'antisemitismo e nemici di Israele. In sostanza non si può essere solidali soltanto con gli ebrei perseguitati, derubati e cremati, e cessare di esserlo quando hanno imparato a difendersi dai loro mortali nemici, se necessario, anche con le armi in pugno.

(ItaliaOggi, 12 luglio 2014)


Parla un riservista: «Io, da Roma alla frontiera richiamato per la guerra»

di Federico Tagliacozzo

Shai
Tra i quarantamila riservisti israeliani richiamati in questi giorni c'è anche un soldato di origine italiana. Si chiama Shai, padre di Anversa e madre romana doc trasferitasi a Gerusalemme dopo il liceo. Ha 24 anni, è uno studente di Economia e psicologia all'Università di Tel Aviv, il servizio militare per lui è finito due anni e mezzo fa ma la cartolina di richiamo gli è appena arrivata. Molti suoi compagni di naja hanno ripreso le armi e sono entrati in servizio. Per lui, invece, ancora non sono arrivare istruzioni.

  «Mi  hanno richiamato, ma ancora non ho notizie precise su quando dovrò partire e su dove sarò mandato - spiega in un italiano fluente perfezionato nelle estati passate in vacanza a Fregene dalla nonna materna -. Mi sono dovuto sottoporre a un piccolo intervento chirurgico e sto recuperando. I miei compagni sono già partiti. Non so ancora bene quando dovrò seguirli».

- C'è la possibilità che lei sia mandato a Gaza nel caso si decidesse di effettuare un intervento via terra?
  «In genere le missioni importanti vengono compiute dai soldati di leva. I riservisti vengono spesso richiamati per sostituire i soldati di leva di pattuglia nei confini. Immagino che sarò mandato a guardia di una delle frontiere».

- Nell'esercito che mansione ha?
  «Sono carrista. In pratica guido i carri armati. Per tre anni è stato il mio lavoro di tutti i giorni. Confesso che dopo due anni e mezzo di vita civile potrei aver dimenticato qualcosa».

- Parlando di Gaza, dalla Striscia centinaia di razzi sono stati sparati sul territorio israeliano. Missili sono stati intercettati mentre erano diretti verso Gerusalemme e Tel Aviv. L'aviazione israeliana nei suoi raid ha ucciso decine di palestinesi.
  «Quando nelle nostre città risuonano le sirene che ci avvertono di un attacco, noi cerchiamo di ripararci in un rifugio appena possibile. Questo nella Striscia non succede. Purtroppo molte vittime sono state centrate perché erano usate come scudi umani sui tetti degli edifici utilizzati da Hamas. I dirigenti dell'organizzazione terroristica islamica nei loro media incitano la popolazione a salire sugli edifici per evitare che i nostri mezzi li colpiscano. Quello che affermo non è un segreto, è la loro strategia. Il nostro esercito prima di compiere un attacco avverte la popolazione civile di evacuare i siti che saranno colpiti. Non penso di essere poco obiettivo quando dico che il nostro è un esercito dal volto umano anche per questo motivo».

- In Israele c'è chi teme che la situazione possa degenerare?
  «Non c'è un unico Israele. Il Paese è costituito da zone, città, popolazioni con storie e sensibilità diverse. Chi è a Tel Aviv ad esempio vive con meno ansia la situazione, mentre chi abita a ridosso della Striscia corre rischi veri ogni giorno. Per non parlare degli ebrei che vivono in altre parti del mondo: mia nonna che vive a Roma e che ha tutta la sua famiglia in Israele è sicuramente più preoccupata di quanto lo sia io».

(Il Messaggero, 12 luglio 2014)


«Io nella città sotto le bombe. Ogni minuto arriva un razzo»

Bersaglio da dieci anni di attacchi indiscriminati dei palestinesi gli abitanti giurano: li faremo smettere, siamo noi i più forti.

di Fiamma Nirenstein

 
In attesa della guerra i militari israeliani si divertono come tutti i ragazzi
Cosa fa una guerra a un uomo? Cosa creano dentro tutti questi missili che ci inseguono ogni cinque minuti mentre viaggiamo lungo il confine con Gaza? Che ritroveremo la sera a Tel Aviv, a Gerusalemme? Paura? Tensione? No, a ogni bum, a ogni sirena, gli israeliani di Sderot, dei kibbutz di confine, ma anche i ragazzi disinvolti di Tel Aviv, o i quieti giovani gerusalemitani esprimono determinazione, resistenza indefinita, rabbia, vogliono farli smettere, «quegli idioti che marciano verso la loro distruzione, noi siamo più forti» dice Zafrir mentre corriamo insieme verso un bunker.
   Ma soprattutto questa guerra (lo stesso nemico, le stesse modalità, la stessa insensata sordità internazionale) non ti fa paura: ti spezza il cuore, ti fa tristezza. Non finirà mai il rifiuto arabo verso questo piccolo Stato, sospira Maria, una mamma argentina di Ashkelon. La sera del venerdì, vigilia del Sabato, i carrarmati sono allineati in numero inconsueto. Presso Gaza, i soldati religiosi nell'esercito coinvolgono anche i laici nel loro abbraccio di solidarietà ballando in cerchio. Sono insieme nello stesso senso di missione, la loro vita è in ballo se arriverà l'ordine che ormai si aspetta di minuto in minuto almeno per alcune unità speciali: fra poche ore il buio di Gaza, un milione e 800mila abitanti, che guarda da vicino, potrebbe inghiottire i passi dei soldati che devono fermare la pioggia di missili che ha bloccato la vita di una nazione. Hamas seguita a bombardare da quella città-belva selvaggia e ferita che vediamo dall'altro lato del confine oltre la sabbia; una città moderna, con i suoi grattacieli, i suoi vicoli dove ci siamo avventurati tante volte per intervistare degli speciali, particolari protagonisti dell'era moderna, i terroristi. Gli aerei israeliani ruggiscono e bombardano la loro risposta, il numero dei feriti e dei morti si moltiplica. Gaza non produce oggi, come tutto il mondo sperò con lo sgombero nel 2005, agricoltori, scienziati, non esperti di tecnologia, ma soprattutto missili e integralisti islamici, una produzione speciale addobbata di nero e verde, con cappucci, mitra, scuole che insegnano ai ragazzini terrorismo suicida. La proposta di Obama di mediare, insieme alla poca voglia dell'esercito e di Netanyahu di infilarsi più a fondo in un'avventura che può costare la solita criminalizzazione internazionale non ha spostato Hamas: «non è interessata a nessuna mediazione», la vita deve essere dedicata a distruggere Israele, uccidere gli ebrei, odiare cristiani, non accettare patti né oggi né mai.
   La logica di questi missili che ci cadono intorno ad ogni minuto, lo svuotamento progressivo delle loro riserve di Kassam, Grad, Katiusha uno dopo l'altro lo si capisce solo come la politica di un vinto che cerca attenzione, alleati, denaro, dopo che l'Egitto li ha abbandonati. Guardando quelle case, dispiace per gli abitanti schiavi di un sistema dittatoriale che non ammette defezioni. Là in mezzo sono piantate le rampe di lancio e le basi dei terroristi cui Israele dà la caccia: proprio ieri uno dei più importanti leader, Khaled Mashaal, ha intimato di non lasciare le case come invece richiedono con telefonate e volantini gli israeliani ogni volta prima di mirare. L'ordine di essere scudi umani arriva fino alla pretesa che la gente salga sui tetti.
   Scendiamo verso il sud di Israele costeggiando la Striscia che fu sgomberata nel 2005 lasciando Gaza nelle mani di Hamas: la radio recita tutto il rosario dei nomi più strani e di quelli più importanti, da Gan Yavne a Tel Aviv. Più si scende verso Gaza più risuonano i nomi di Beersheba, Ashkelon, Ashdod, Sderot, i razzi ti inseguono a ogni passo. Se c'è la sirena e viaggi il Fronte Interno chiede di scendere dall'auto e sdraiarti per terra, altrimenti addossarsi a un muro. A pochi metri di distanza sulla strada può cadere una bestia bruciante che crea un cratere di morte. Ma la gente si salva perché ci sono rifugi ovunque, perché ubbidisce senza discutere agli ordini. La sirena suona forte davanti alla fabbrica di Sderot «Denver» che dopo la distruzione totale il 28 giugno, ha già ricominciato fra le rovine nere e il puzzo a produrre allegri, paradossali bidoni di blu, verde, viola. Due missili proprio davanti agli occhi abituati del padrone Baruch Kogen vengono verso di noi, inseguiti dal sistema «cupola di ferro» il cavaliere salvatore di Israele, che tutti lodano. Ecco due nastri bianchi nel cielo, «cupola di ferro» prende il razzo per la coda, lo insegue, lo distrugge. Il secondo invece arriva con un bum a pochi metri da noi. Kogen ha costruito anche una grande scatola di ferro blindata dentro la fabbrica: nel giro di dieci anni Sderot è stata colpita da 8700 missili.
   Noam Bedein, un giovane abitante del luogo, spiega che la città è blindata casa per casa con una spesa di milioni di dollari da quando un bambino è stato ucciso quando la sua mamma ha dovuto scegliere quale dei due figli estrarre dall'auto al suono della sirena. Da allora i rifugi stanno nel cuore della casa, ammobiliati, con letti in cui dormono tutti insieme genitori e figli, le rovine punteggiano la città, una delle guide che ci porta a vedere la città vuole che notiamo come è pulita, fiorita, e piange quando siamo costretti per l'ennesima volta a rifugiarci. La sua non è paura, è tristezza, telefona alla sua bambina al kibbutz Mefalsim, gioca in un rifugio sotto terra. A Sderot a centinaia in un enorme spazio sotterraneo, colorati, rumorosi rimbombano piccoli bambini che si arrampicano, si dondolano, commentano: «Non ho paura, ma mia sorella mi tira le spinte nel rifugio di notte»; «Sì lo so chi ci spara, Gaza, ma presto finisce, dice la mamma». Il luogo è colorato, allegro, tragico, gli psicologi curano i bambini che soffrono di disturbi postraumatici, tanti. Sotto terra incontro il sindaco Alon Davidi, tutti gli uffici sono là sotto; è un giovane uomo, usciamo, da una collina a un passo Gaza, si infuria: «Eccone un altro... questa città vuole solo cose buone, i cittadini là invece hanno scelto Hamas, li consideriamo responsabili del nostro e del loro destino». Ad Ashkelon le donne seguitano a partorire nell'ospedale non blindato. I medici restano vicino alle partorienti,la dottoressa Avidan dice che non le passa per la testa di rifugiarsi quando c'è la sirena, è così bello veder nascere un bambino.

(il Giornale, 12 luglio 2014)


Netanyahu: "Aumenteremo i nostri attacchi"

(la Repubblica, 11 luglio 2014)


Il Califfato è una potenza petrolifera da un milione di dollari al giorno

Lo Stato islamico ha una strategia per restare, conquista giacimenti e vende greggio iracheno. Primo cliente Assad.

Lo Stato islamico guadagna un milione di dollari al giorno dalla vendita di contrabbando di greggio estratto dai territori conquistati in Iraq, scrive l'Iraq Oil Report, e il conflitto tra il gruppo terroristico e il governo di Baghdad assomiglia sempre di più a una guerra per le risorse. Secondo un report pubblicato il 9 luglio, lo Stato islamico ha iniziato a estrarre autonomamente greggio da uno o due giacimenti a sud di Kirkuk, nel nord-est del paese. I due pozzi si trovano sui monti Hamrin, ai confini della regione a dominio curdo, e hanno dimensioni ridotte, ma sono sufficienti per produrre circa 16-20 mila barili al giorno, quotati sul mercato nero a 55 dollari l'uno. Secondo l'Iraq Oil Report, il greggio è trafugato dai monti Hamrin verso il Kurdistan su autocisterne da 160 barili l'una. Le autocisterne passano per Tuz Khurmatu, una cittadina con un'ampia minoranza turcomanna che negli scorsi anni è stata al centro di tensioni etniche. Il sindaco di Tuz Khurmatu, Shallal Abdul Baban, da giorni denuncia il passaggio del petrolio dello Stato islamico attraverso la sua città: "Isis ha iniziato il trasporto di 100 autocisterne piene di greggio", diceva una settimana fa in un comunicato ai media locali. Secondo il sindaco lo Stato islamico vende il contenuto delle autocisterne a 12-14 mila dollari ciascuna, una cifra che conferma le stime fatte dall'Iraq Oil Report. Da Tuz Khurmatu, le autocisterne si dirigono verso la raffineria di Sulaimaniya, nella regione del Kurdistan, e da lì il prodotto finito è venduto sul mercato nero a circa 108 dollari al barile. Da settimane le autorità curde danno la caccia ai contrabbandieri che cercano di fare uscire le autocisterne di petrolio raffinato dai confini del paese, ma il margine di guadagno è tale da invogliare gli autisti a correre il rischio.
   Lo Stato islamico non è nuovo al commercio illegale di petrolio. La strada verso il Califfato, la cui istituzione è stata annunciata una settimana fa dal capo del gruppo terroristico Abu Bakr al Baghdadi durante un sermone nella moschea di Mosul, la seconda città più grande del paese, passa anche per un'attenta gestione finanziaria. Dopo la conquista di Mosul lo Stato islamico si è impossessato della Banca centrale della città e si è appropriato di lingotti e di circa 425 milioni di dollari in contanti. Questo basterebbe per trasformarlo in uno dei gruppi terroristici più ricchi del mondo (e l'unico in grado di autofinanziarsi per intero), ma il vero business è il petrolio. In Siria, dove si è sviluppato e ha affinato le sue strategie di guerra e di finanziamento, lo Stato islamico controlla le zone petrolifere di Raqqa e di Deir al Zor, e all'inizio di luglio ha conquistato il giacimento di al Omar, il più grande del paese. Tra i maggiori compratori del petrolio di al Baghdadi (lo sostiene l'Amministrazione americana), c'è il regime di Damasco di Bashar el Assad, contro cui lo Stato islamico dovrebbe essere in guerra - da tempo tuttavia i ribelli dell'Esercito libero accusano il regime di risparmiare lo Stato islamico dai bombardamenti più feroci e di aiutarne l'ascesa per potersi presentare all'opinione pubblica internazionale come l'unica alternativa all'estremismo jihadista. L'Iraq Oil Report non dice chi sono i compratori del petrolio contrabbandato dall'Iraq, ma secondo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius il destinatario potrebbe essere ancora Assad: "Abbiamo prove che lo Stato islamico si è impossessato del petrolio (iracheno, ndr) e lo ha venduto al regime di Assad", ha detto qualche giorno fa.
   Il petrolio che lo Stato islamico estrae in Siria e in Iraq passa per la regione a nord controllata dai curdi, che in Iraq hanno siglato con il governo della Turchia un accordo per vendere autonomamente il petrolio estratto nelle loro regioni. Ieri la delegazione curda al Parlamento di Baghdad si è ritirata dal governo del premier iracheno Nouri al Maliki, mentre a nord del paese i peshmerga si impossessavano di alcuni giacimenti a Kirkuk e a Bai Hassan.

- Il pilastro economico del Califfato
  La conquista dei pozzi petroliferi da parte dello Stato islamico in Iraq e Siria fa parte di una strategia precisa per la fondazione delle basi economiche del Califfato. Nel suo movimento di espansione il gruppo mira esplicitamente ai giacimenti e alle infrastrutture petrolifere, e sul sito del Washington Post Ariel Ahram nota che il gruppo si sta impossessando anche delle risorse d'acqua e delle infrastrutture idriche. Questo sta trasformando il conflitto in Iraq in una guerra (anche) per le risorse. In Siria il gruppo domina e gestisce con efficienza giacimenti di gas naturale e risorse minerarie, e sta assumendo la struttura di un'entità statale. E' un indizio del fatto che lo Stato islamico si sta preparando a restare.

(Il Foglio, 12 luglio 2014)


Canzone dei giovani israeliani per superare la paura dei "Red Code"

di Luca Lampugnani

Tra Israele e Hamas è ormai guerra aperta, e da una parte e dall'altra della Striscia di Gaza a soffrire sono sempre i civili. In particolar modo giovani e giovanissimi: basti pensare in questo senso a cosa ha dato il la a quest'ennesimo ritorno alla violenza tra Tel Aviv e la Palestina, dal rapimento dei tre ragazzi israeliani e al loro omicidio, all'assassinio, come segno di vendetta, di un giovane palestinese.
Ma il conflitto non colpisce solo, in tutte le sue forme, nelle strade di Gaza e dei territori contesi tra le due autorità. Visto il peggiorare della situazione, una canzoncina per i piccoli delle scuole dell'infanzia di Israele, studiata e messa a punto per i giovani scolari di Sderot (un solo chilometro dalla Striscia) nel 2008, sta tornando molto in voga. In sostanza il motivo, accompagnato da parole e gesti che dovrebbero aiutare a superare la paura dei razzi e delle esplosioni, è stato studiato come risposta psicologica ai 'Tzeva Adom', i codici rossi da allarme bomba che vengono diffusi durante il lancio di razzi verso i territori israeliani.
Secondo uno studio, il 90% dei bambini con un'età compresa trai 4 e i 18 anni che vivono nelle vicinanze della Striscia di Gaza soffre e mostra sintomi della sindrome da stress post-traumatico.
Di seguito, il video e il testo in italiano di "The Code Red (Tzeva Adom) Song". Il filmato, caricato su Youtube nel 2012, è diventato virale con il peggiorarsi della crisi israelo-palestinese di questi giorni: solo venerdì mattina, ha totalizzato oltre 43 mila visite

               Presto, presto, presto, raggiungi una zona sicura
               Presto, presto perché ora è un po' pericoloso
               Il mio cuore batte, boom, boom, boom, boom, boom
               Il mio corpo trema, doom, doom, doom, doom
               Ma io sto vincendo [la paura]
               Perché sono un po' diverso
               Cade giù - boom
               Ora possiamo alzarci
               Scuotiamo il nostro corpo, scuotiamo, scuotiamo, scuotiamo, scuotiamo
               Sciogliamo le nostre gambe, sciogliamo, sciogliamo, sciogliamo, sciogliamo
               Un respiro profondo, espiriamo lontano
               Un respiro profondo, ora possiamo ridere
               E' tutto finito e io ne sono felice - Si!"

(International Business Times, 11 luglio 2014)


Operazione Margine Protettivo: alcuni punti da tenere ben chiari

di Fiamma Nirenstein

1) L'intervento dell'aviazione israeliana su Gaza non ha assolutamente niente a che fare con il rapimento dei tre ragazzi purtroppo uccisi barbaramente. La polizia ricerca gli assassini, l'esercito cercò i ragazzi nella zona di Hevron, che non ha niente a che fare con Gaza, quando si pensava che fossero ancora vivi. Non c'è nessun "ciclo della violenza", ma un perdurante attacco missilistico da Gaza che Israele deve fermare per difendere i suoi cittadini. Non si tratta di nessuna "vendetta" o"rappresaglia" come seguitano a suggerire alcuni giornalisti e politici, inducendo un'analisi completamente falsata. SI tratta invece del tentativo di Israele di bloccare il lancio dicentinaiadi missili sulla sua popolazione civile, ovvero di difenderne la vita. E' questo il compito essenziale di ogni Stati, difendere i suoi cittadini da attacchi mortali.
2) Immaginiamo che 35 milioni di italiani debbano correre nei rifugi per attacchi missilistici provenienti da una qualunque dei Paesi confinanti. Che cosa farebbe l'Italia, essendo uno stato normale? Cercherebbe in tutti i modi di fermare i missili.
3) E' vero che purtroppo capita che negli attacchi dall'aria ai terroristi e alle strutture di Hamas degli innocenti, anche dei bambini, vengano coinvolti e talora uccisi. Ma Israele non prende di mira i civili, al contrario prende di mira solo le strutture militari e i leader di Hamas. Cioè, tutto quello che è legato al lancio di missili. Ma Hamas piazza i missili e i suoi uomini quanto più intrecciati possibile con le case dei disgraziati palestinesi di Gaza, li usa quindi come scudi umani. Dunque Israele non ha scelta in questa guerra asimmetrica: o agisce per fermare i missili, o si lascia bombardare su tutto il territorio nazionale, ponendo fine alla sua vita normale, dato che tutti corrono di continuo (di continuo, ve lo dico per esperienza diretta) nei rifugi, el'economia, la cultura, il lavoro, le scuole etc non possono funzionare.
4) Israele seguita a fornire servizi umanitari e beni essenziali a Gaza per i malati e chiunque necessiti medicine e assistenza. Anche l'elettricità, l'acqua, la benzina seguitano a raggiungere la striscia. Si parla di crisi umanitaria, e certo essa esiste. Non si può tuttavia fare a meno di pensare, giudicando dal numero e dal tipo dei razzi, delle Katiushe, dei Kassam etc lanciati su Israele che i soldi degli aiuti internazionali, miliardi, siano andati per la gran parte in armamenti ad uso terroristico. Cibo per una prossima riflessione sull'uso del denaro pubblico.
5) Lo scopo di Israele è fermare i missili, quello di Hamas di uccidere quanti più ebrei possibili, e distruggere lo Stato d'Israele. Hamas non ha mai accettato le condizioni del Quartetto, il riconoscimento di Israele, la rinuncia al terrorismo, gli accordi raggiunti. E' un'organizzazione terrorista estremista islamica, parte della fratellanza musulmana che insiste nel dare fuoco alle polveri per suscitareentusiasmodi tutti gli estremisti sunniti tagliateste che vediamo in azione in Siria e in Iraq, e anche per riceverel'aiuto dell'Iran e del Qatar, che infatti lo sostengono.
6) Israele sta facendo di tutto per evitare di entrare a piedi dentro Gaza, questo le costerebbe disapprovazione e anche criminalizzazione internazionale e vite dei soldati, e certamente esclude di occupare di nuovo la Striscia. Ma le si pone il problema di fermare Hamas, ed è un problema vitale e inevitabile, e tutto dipende dall'insistenza con cui Hamas seguiterà a bombardare Israele.

7) Non dimentichiamoci che Abu Mazen, di cui ora si parla come di un "buono" aperto alle trattative, pronto a condannare Israele con parole squilibrate fra le quali campeggia l'uso della memoria di Auschwitz, poche settimane fa aveva stretto un patto di governo proprio con Hamas, ignorando volutamente il suo giuramento di distruggere tutti gli ebrei e la sua reiterata scelta del terrorismo. Che convinca ora lui i suoi alleati a smettere di sparare.

(blog di Fiamma Nirenstein, 11 luglio 2014)


Guerra di Gaza: la riscossa dei tromboni da salotto

Siria, 160.000 morti ammazzati, oltre tre milioni di profughi, immani stragi e violenze. Migliaia di "palestinesi" gazati, massacrati come carne da macello sia da Assad che dai "resistenti". Sentito nulla? Sentito qualche "esperto" o qualche amante dei "palestinesi" alzare la voce, denunciare una strage, scrivere una dotta analisi sul problema? NO. Silenzio assoluto.
Egitto, Fratellanza Musulmana annichilita, decine di morti per le strade, centinai di condanne a morte, distruzione di tutti i tunnel che entrano a Gaza, costruzione di una barriera difensiva contro Hamas che ha comportato la distruzione di decine di case lungo il confine con Gaza. Sentito qualcosa dai soliti tromboni esperti di vicende palestinesi e arabe? NO. Silenzio assoluto....

(Right Reporters, 11 luglio 2014)


Ritarda il sistema sms israeliano che dovrebbe avvertire dell'arrivo dei razzi di Hamas

Nonostante gli annunci fatti nel novembre del 2012 in occasione dell'Operazione Pilastro di Difesa e i 117 milioni di dollari spesi da allora, il sistema di messaggistica personale messo a punto dall'esercito israeliano per allertare i civili dell'arrivo dei razzi di Hamas, ancora non funziona. Il sistema, che a pieno regime opererà via sms anche durante altri tipi di emergenze, quali terremoti o gravi incidenti stradali, dovrebbe, in caso di attacco, attivarsi insieme alle sirene che risuonano nelle città israeliane.
Ieri, riporta Haaretz, l'esercito ha annunciato la partenza di una versione molto limitata del sistema. In questa fase, i militari, con un sms, informeranno una volta al giorno i cittadini di quanto tempo sarà loro necessario, in base alla loro posizione, per raggiungere un rifugio in caso di lancio di razzi da parte di Hamas nella loro area. Ad esempio, 40 secondi a Ashdod e 90 secondi a Tel Aviv. Al momento non sono state date spiegazioni sui ritardi, ma un portavoce dell'esercito ha assicurato che "molto presto" il sistema sarà pienamente funzionante.
  Dove l'efficenza della macchina organizzativa e militare israeliana mostra il passo, i cittadini si organizzano da soli. E' il caso degli israeliani con problemi di udito, che si trovano spiazzati e vulnerabili in caso di attacco, poiché non sono in grado di avvertire il suono delle sirene di allarme. Anche in questo caso, vengono sfruttati i sistemi di messaggistica e gli smartphone.
Il vuoto, riporta sempre Haaretz, è stato riempito dai cittadini che hanno formato dei 'gruppi WhatsApp' in base al luogo di residenza. In ciascun gruppo, composto da 50 persone, un volontario senza problemi di udito, informa attraverso l'app di messaggistica gli altri membri dell'arrivo dei razzi. A lanciare l'iniziativa, la cui idea nacque ai tempi dell'Operazione Pilastro di Difesa, è stata Shahar Dishbak, una 30enne non udente di Tel Aviv. In quell'occasione, spiega, l'impossibilità di percepire il suono delle sirene di allarme le provocò "attacchi di panico" che duravano giorni.

(Adnkronos, 11 luglio 2014)


Gli elefanti proteggono i cuccioli dai missili di Hamas

di Elisa Bellardi

La guerra tra israeliani e palestinesi ha ripercussioni anche sul mondo animali. Gli elefanti dello zoo di Tel Aviv, il Ramat Gan Safari Park, ogni volta che suonano le sirene di allarme che annunciano nuovi raid aerei da parte di Hamas accerchiano i propri cuccioli, mostrando il proprio istinto di protezione. Il video è stato pubblicato su Youtube da un dipendente dello zoo e confermato da alcuni visitatori, che hanno affermato di aver visto gli animali tornare alla propria routine una volta cessato l'allarme

(la Repubblica, 11 luglio 2014)


Finché Hamas è un interlocutore, Israele sarà sotto attacco da Gaza

Editoriale comparso sul numero di ieri del Wall Street Journal, ripreso oggi dal quotidiano "Il Foglio".

Nel 2005 Israele si è ritirato da Gaza, ma da allora è stato costretto a ingaggiare due guerre per fermare la pioggia di missili e di colpi di mortaio sparati dal gruppo terroristico Hamas e dai suoi alleati. Oggi Israele potrebbe dover combattere per la terza volta per proteggere i suoi cittadini da questi attacchi aerei lanciati senza un obiettivo preciso. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu sta progettando una campagna militare dopo che Hamas ha scatenato un'altra indiscriminata raffica di razzi caduti in profondità dentro al territorio israeliano. Un video postato su Facebook mostra un razzo lanciato sopra a un matrimonio, con tanto di grida e di sposina in fuga. Questa volta però Netanyahu dovrebbe scegliere di occuparsi della causa del problema più che trattarne soltanto i sintomi. Come "causa" intendiamo Hamas.
  Quando Israele si è ritirato da Gaza, ha distrutto 21 insediamenti (e altri quattro in Cisgiordania) e ha trascinato via - forzatamente - novemila settler. Allora i governi occidentali nominarono emissari di alto livello, come l'ex presidente della Banca centrale, James Wolfensohn, per trasformare Gaza in una vetrina per il futuro stato palestinese. Gaza è diventata sì una vetrina, ma di tutt'altro tipo. In un anno - e in parte proprio a causa dell'assenza di Israele - è scoppiata nella Striscia la guerra civile tra Hamas e Fatah, il partito politico del presidente palestinese Abu Mazen. La guerra s'è stabilizzata nel 2007 quando Hamas ha preso il potere con la forza. E poi sono ricominciati i razzi contro Israele, un attacco che è finito con la reinvasione temporanea nel 2009.
  Visto che ha voluto difendersi, Israele è stato denigrato come mai prima, anche attraverso il report Goldstone delle Nazioni Unite - di recente decantato dal suo autore, il giudice sudafricano Richard Goldstone (il report voluto dalla comunità internazionale accusava Israele così come anche i palestinesi di crimini di guerra e contro l'umanità). La guerra del 2009 ha ridotto il lancio dei missili in Israele per qualche tempo, ma nel novembre del 2012 Israele s'è trovato di nuovo costretto a combattere. Molte vite israeliane sono state risparmiate solo grazie alla nuova difesa missilistica di Iron Dome. Ora Hamas sembra aver deciso che un'altra guerra potrebbe fornire una grande opportunità politica - e pazienza per gli abitanti di Gaza. Nella regione, Hamas ha perso peso da quando non c'è più il sostegno del siriano Bashar el Assad e soprattutto dopo che l'esercito egiziano ha rovesciato il governo dei Fratelli musulmani di Mohammed Morsi al Cairo l'estate scorsa. Ecco che ora c'è l'occasione di ricominciare l'offensiva dei terroristi.
  Hamas deve aver pensato di poter utilizzare l'assassinio del giovane palestinese da parte di una banda di vigilantes ebrei la settimana scorsa - che ha scatenato scontri a Gerusalemme est - per iniziare una terza Intifada contro Israele in tutto il territorio palestinese. La Cisgiordania è stata relativamente calma e prospera per quasi un decennio, e un nuovo confronto militare può mettere nell'angolo Abu Mazen e diminuire il potere politico di Fatah, creando nuove aperture per Hamas, mentre a livello internazionale Israele è ostracizzato. Hamas pensa di poter reiterare la guerra contro una potenza molto più forte perché Israele non ha mai preteso un prezzo fatale. L'aggressione di Hamas serve i suoi interessi politici, mentre i morti palestinesi servono i suoi interessi di propaganda. Questi obiettivi s'allargano quando i governi occidentali chiedono un contenimento mutuale, come se le due parti fossero egualmente responsabili delle violenze. "Insistiamo nel chiedere una de-escalation da entrambe le parti", ha detto la portavoce del dipartimento di stato Jen Psaki, una richiesta che non ha alcun effetto su Hamas ma che mette pressione solo su Israele.
  Il nostro consiglio agli israeliani è questo: se vogliono evitare di andare in guerra a Gaza ogni tre anni, devono distruggere Hamas come entità politica e come potere militare. Non c'è bisogno di una rioccupazione permanente di tutta Gaza, ma una campagna di terra che distrugga la capacità di Hamas di fare una guerra potrebbe essere necessaria. Forse bisognerà riprendere il controllo sul corridoio di Filadelfia lungo il confine con l'Egitto per prevenire il contrabbando sotterraneo di munizioni sempre più sofisticate, per lo più provenienti dall'Iran. Tutto questo sarà condannato dai soliti sospetti. Ma Israele sarà denunciato in ogni caso, per cui gli conviene almeno essere efficace. Nel lungo periodo, Gaza beneficerà del fatto di non dover per forza vivere sotto una leadership che porta senza motivo i cittadini in guerre distruttive e i palestinesi moderati della Cisgiordania potrebbero pure essere sotto sotto soddisfatti nel vedere umiliati i loro oppositori interni.
  La pace tra Israele e i suoi vicini rimane un progetto a lungo termine, ma non ha alcuna possibilità di concretizzarsi finché Hamas è visto come un forte e quasi legittimo interlocutore politico.

(Il Foglio, 11 luglio 2014)


Rabbino capo di Russia: il mondo si guardi dall'antisemitismo

Da Sebastopoli per la cerimonia di commemorazione della Shoah

 
Il Rabbino capo di Russia Berel Lazar
SEBASTOPOLI, 11 lug. - "Il nostro grido al mondo è di essere attenti a quello che succede". Lo ha detto Berel Lazar, rabbino capo di Russia, in un colloquio con TMNews a margine di una cerimonia per commemorare i tragici eventi del 12 Luglio 1942, quando più di 4.200 ebrei sono stati uccisi dalle forze naziste in Crimea. Il monito di Lazar è a non dimenticare gli orrori dell'Olocausto, a fronte della minaccia crescente dell'antisemitismo, in Russia come nel resto del mondo.
Il rabbino partecipava a una cerimonia a Sebastopoli, in Crimea. "Bisogna stare attenti a come diverse idee vengono diffuse per seminare l'odio", ha detto nel colloquio davanti a un monumento dedicato agli ebrei, vittime in Crimea nella seconda guerra mondiale. Il complesso in marmo, a forma di stella di Davide, con al centro una Menorah, il candelabro a Sette Braccia, è stato violato più volte nel corso degli ultimi anni, anche con scritte che inneggiano al nazismo e al ritorno delle SS.
"Quando si parla oggi di tolleranza - ha continuato - di avvicinamento dei popoli, si deve capire che l'unico modo è avere rispetto, essere sempre vicini uno all'altro. Capire che molte volte le persone possono diventare collaborazionisti di orribili tragedie, solo perché stanno in silenzio davanti ad esse".
Di fronte al monumento, una sinagoga in costruzione. I lavori per il nuovo tempio dovevano concludersi nel 2012, ma non sono stati mai portati a termine. Ora secondo quanto promesso dal governatore di Sebastopoli Serghey Menyaylo - presente all'evento - potrebbero ricevere un nuovo impulso.

(TMNews, 11 luglio 2014)


Hamas rivendica il lancio di razzi sull'aeroporto Ben Gurion

Hamas ha rivendicato la salva di razzi lanciati verso Israele stamane - e per cui sono risuonate le sirene nella zona di Tel Aviv - come il suo primo deliberato tentativo "di colpire l'aeroporto Ben Gurion". Lo riporta Ynet sostenendo che la fazione islamica ha fatto sapere di aver lanciato quattro razzi M-75 verso l'aeroporto. "E' una battaglia difficile e li stiamo colpendo duramente. Ci stiamo preparando per l'opzione di una possibile incursione via terra''. Lo ha detto il ministro della difesa interna Yitzhak Aharonovitch arrivando ad Ashdod dove un razzo lanciato da Gaza ha centrato una stazione di benzina e dove si registra un ferito le cui condizioni appaiono serie.

(Adnkronos, 11 luglio 2014)


Diritto all'esistenza? Assolutamente sì! Diritto alla difesa dell'esistenza? Parliamone

di Marcello Cicchese

Con encomiabile coerenza Hamas continua a dichiarare che vuol distruggere Israele. Dunque, non è per qualche lancio di razzi in più sulle teste degl'israeliani che dev'essere rimproverato. In fondo, la corrispondenza tra parole e azioni è sempre stata elogiata nella comune morale occidentale. Sono quindi le parole di Hamas che devono essere prese in considerazione. Che cosa risponde l'Occidente alla dichiarata intenzione di Hamas di distruggere Israele? La risposta è pronta e decisa:
- Noi difendiamo il diritto all'esistenza di Israele, - dice l'Occidente.
- Bene, quindi voi sarete d'accordo se noi cerchiamo di difendere la nostra esistenza in tutti i modi che
  riteniamo necessari, - osserva Israele.
- No, questo non è diritto all'esistenza, ma diritto alla difesa dell'esistenza, che è un'altra cosa. Di questo,
  bisogna parlarne alle Nazioni Unite, - risponde l'Occidente.
- Quindi, per difendere la nostra esistenza noi dobbiamo chiedere a voi il permesso di farlo e come farlo? -
- Naturalmente, vi abbiamo già dato il diritto all'esistenza e dovreste essercene grati, ma il diritto alla
  difesa dell'esistenza deve essere oggetto di discussione e approvazione nelle sedi competenti. -
- Ma se nel frattempo che voi discutete sulle norme da osservare per difendere in modo legale l'esistenza,
   i nostri nemici, che se ne infischiano di queste regole, riuscissero a distruggerci e a porre così fine alla
   nostra esistenza? -
- Questo non cambia nulla. I trasgressori sarebbero pubblicamente redarguiti per le loro inadempienze,
  mentre voi sareste eternamente additati come esempio di scrupolosa osservanza delle regole di
  comportamento internazionali. E anche se Israele cesserà di esistere, noi continueremo dire alto e forte
  che ISRAELE AVEVA IL DIRITTO ALL'ESISTENZA. -

(Notizie su Israele, 11 luglio 2014)


Israele non si piega ai terroristi di Hamas

di Naor Gilon, Ambasciotore di Israele in Italia

Naor Gilon
Lo Stato d'Israele si trova nuovamente di fronte alla necessità di reagire in modo fermo e deciso alla serie di continui e ininterrotti attacchi terroristici e lanci di missili contro la popolazione civile condotti da Hamas, riconosciuta come organizzazione terroristica dalla comunità internazionale, comprese Italia ed Europa. Nell'ultimo mese sono piovuti su Israele oltre 500 missili, anche su Tel Aviv e Gerusalemme. Circa 2/3 degli israeliani vivono attualmente sotto questa minaccia, e il tempo che hanno a disposizione per mettersi al riparo è di appena 15-60 secondi. Pochissimi secondi che possono fare la differenza fra la vita o la morte.
   Se centinaia di missili venissero lanciati oggi sulle maggiori cittàitaliane, come Roma, Milano, Torino o Napoli - ovvero esattamente ciò che sta avvenendo in Israele - il governo italiano non sarebbe certamente disposto a tollerare una situazione del genere, e con fondate ragioni.
   I missili di Hamas sono puntati soltanto ed esclusivamente contro i civili, con l'obiettivo intenzionale di colpire persone innocenti. E soltanto grazie al sistema difensivo Iron Dome, alla prontezza e alla diligenza della popolazione civile israeliana che, mmora, siamo riusciti fortunatamente a contenere il numero delle vittime.
   Del resto la condotta di Hamas non sorprende; basta leggere la sua carta costitutiva, che invoca la distruzione dello Stato d'Israele e l'uccisione degli ebrei, non riconosce l'esistenza d'Israele, e promuove la stessa ideologia di altre organizzazioni estremiste del Medio Oriente, come l'ISIS in Iraq. Mentre Israele fa tutto il possibile per evitare di colpire la popolazione civile a Gaza, Hamas non esita invece a nascondersi intenzionalmente in mezzo alla propria popolazione civile, dislocando all'interno di scuole ed edifici pubblici uomini, armi e postazioni da cui sono lanciati i missili. Il Ministero degli Interni di Hamas ha persino invitato apertamente i civili a fare da scudi umani recandosi appositamente all'interno o sui tetti di legittimi obiettivi militari. Che sia chiaro, è Hamas l'unica responsabile del coinvolgimento intenzionale di civili da entrambe le parti.
   Se sarà garantita la calma in Israele, allora ci sarà calma anche a Gaza. Il conflitto dimostra invece che il governo di unità nazionale palestinese tra Al-Fatah e Hamas è assolutamente fittizio e non conferisce ad Abu Ma-zen alcun potere di controllo su Gaza, né tantomeno alcuna capacità, sempre che ve ne sia la volontà, di fermare i lanci di missili contro Israele (...).
   Il conseguimento della pace fra Israele e i palestinesi non è per noi soltanto una questione politica, ma anche morale. La pace è da sempre una profonda aspirazione del popolo ebraico, e, in passato, Israele ha già dimostrato con i fatti di volere e potere fare la pace: con Egitto e Giordania. È tempo che la Comunità internazionale faccia rispettare le condizioni che essa stessa ha stabilito per Hamas: riconoscimento di Israele e degli accordi precedenti e l'abbandono del terrorismo. È anche tempo che il Presidente dell'ANP rompa quest'alleanza con Hamas e ritorni al tavolo dei negoziati con Israele. L'unica via per giungere a una soluzione concordata di due stati per due popoli passa attraverso l'unione degli elementi moderati contro quelli estremisti e attraverso il negoziato.

(Il Tempo, 11 luglio 2014)


Israele non vuole il conflitto ma deve difendersi

Lettera al quotidiano "Avvenire" dell'Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede

di Zion Evrony

Caro direttore, l'otto luglio scorso i terroristi di Hamas hanno lanciato 146 missili da Gaza, di questi 117 hanno colpito Israele. Tre missili hanno colpito le colline di Gerusalemme, ma sono molte le città colpite in tutta Israele. Il 40% della popolazione israeliana, 3,5 milioni di persone, vivono sotto la costante minaccia dei missili. Le sirene degli allarmi, nelle ultime ore, hanno suonato incessantemente, e la loro voce è entrata con violenza nella vita di milioni di persone che hanno interrotto le preghiere, il lavoro, lo studio, i pasti. Tutto si è dovuto fermare ed è triste vedere che un'altra generazione di bambini sta crescendo sotto costante minaccia e senza conoscere la pace. Immaginate la vostra città, la vostra casa sotto continuo attacco missilistico, provate a pensare ai vostri figli che, mentre le sirene cominciano a suonare, stanno andando a scuola e hanno solo quindici secondi di tempo per trovare un rifugio. Quindici secondi che possono significare vita o morte. Israele vive una situazione molto difficile e ha il dovere di difendersi da un'organizzazione terroristica, Hamas, il cui unico scopo è quello di distruggerci. Come può essere tollerato un continuo lancio di missili sulle nostre città? Sui nostri civili? Sui nostri bambini? Israele non vuole la guerra, ma ogni Paese ha il dovere e il diritto di difendere la propria popolazione. La popolazione di Gaza non è nostra nemica e facciamo tutto il possibile per evitare vittime tra i civili. Nonostante tutto, Israele vuole la pace con i suoi vicini palestinesi. In passato, per la pace, Israele ha fatto grandi compromessi, e continua a credere nella soluzione dei due Stati: Israele, patria e Stato nazionale del popolo ebraico, e il futuro Stato Palestinese come patria e dimora del popolo palestinese.

(Avvenire, 10 luglio 2014)


Tel Aviv, suonano le sirene antiaeree

Da qualche giorno gli abitanti della capitale israeliana hanno fatto l'abitudine alle sirene d'allarme, e i rifugi antimissile tornano a riempirsi.
Para e stupore, sui volti dei testimoni diretti, come questo gestore di una stazione di servizio, centrata in pieno da un tiro:
"Ho notato qualcosa tipo un razzo, caduto proprio nella stazione di servizio. Ero nell'edificio accanto, sono sceso giù col titolare e poi è arrivata la polizia".
Scenario simile anche in altre zone del paese. Le sirene d'allarme antiaereo sono entrate in funzione anche a Dimona, vicino al deserto del Neghev, dove si trova un sito nucleare israeliano supersegreto.
Secondo un portavoce militare, su Israele sarebbero stati diretti più di 350 razzi in tre giorni, una media di uno ognio dieci minuti.

(euronews, 10 luglio 2014)


Hamas chiede ai palestinesi di Gaza di fare da scudi umani

RAMALLAH, 10 lug. - Il movimento islamico Hamas invita i palestinesi della Striscia di Gaza a fare da scudi umani contro i raid aerei israeliani. "Chiediamo che venga seguita questa pratica", ha detto in televisione un portavoce di Hamas elogiando, come riferisce l'agenzia di stampa Dpa, i palestinesi che poco prima di un attacco israeliano sono saliti sul tetto della sua abitazione.
Ieri, ricorda la Dpa, il gruppo israeliano per i diritti umani B'Tselem ha riferito che alcuni membri di una famiglia e vicini di casa di un militante di Hamas sono saliti sul tetto della sua casa prima di un attacco israeliano. Un missile ha ucciso otto persone. L'Esercito israeliano ha detto di aver avvertito ripetutamente gli abitanti della zona e di aver aspettato fin quando la casa è stata abbandonata, ma alcune persone sarebbero tornate poco prima dell'attacco, quando non era più possibile fermare il raid, come ha spiegato il portavoce dell'Esercito Arye Shalicar, sottolineando che le forze israeliane fanno tutto il possibile per evitare vittime civili.
Oggi il ministero dell'Interno di Gaza ha diramato un comunicato per i cittadini della Striscia contro la cosiddetta procedura "bussare sul tetto", in base alla quale Israele avverte i residenti di evacuare le proprie abitazioni prima di effettuare un bombardamento. "Invitiamo i cittadini a non collaborare con questi messaggi, a non lasciare le proprie abitazioni e a mantenere un basso profilo", è scritto nel messaggio, secondo quanto riportato dai media israeliani.

(Adnkronos, 10 luglio 2014)


Netanyahu: il cessate il fuoco con Hamas non è in agenda

IL CAIRO - Un cessate il fuoco con Hamas "non e' in agenda". Lo ha detto il primo ministro israeliano, Benajamin Netanyahu, ai membri della commissione Esteri e Difesa della Knesset. "Al momento non stiamo parlando con nessuno di un cessate il fuoco", ha affermato il capo del governo israeliano, aggiungendo di aver ordinato un incremento degli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza e un'estensione delle operazioni "finche' il fuoco sulle nostre comunita' non sara' cessato".
L'operazione "Protective edge", lanciata dalle forze armate israeliane sulla Striscia di Gaza tra lunedi' e martedi', ha provocato la morte di 80 palestinesi; 250 i razzi partiti dall'enclave palestinese contro i territori israeliani.

(AGI, 10 luglio 2014)


Hamas e Fratelli musulmani, un'unica mente politica e militare

di Giancarlo Elia Valori

Hamas è una struttura direttamente legata ai Fratelli Musulmani, dei quali accetta la direzione politica e strategico-militare.
È scritto a chiare lettere nell'articolo 2 del suo statuto. Il che implica senza alcun dubbio che la finalità è l'eliminazione dello Stato Ebraico e il ritorno di tutta l'area palestinese alla fede musulmana, senza "isole" di Ebraismo o di Cristianesimo.
È bene ricordarlo che Hamas e le sue "Brigate Izz' el din Qassam" vogliono la distruzione di ogni religione o stato politico che non sia l'Islam.
Attenti, cristiani di ogni tradizione, l'Islam politico vuole eliminare anche voi, e non solo dalla Palestina, ma da ogni luogo che abbia precedentemente subìto la dominazione islamica. Quindi, anche la Spagna e una parte dell'Italia Meridionale, per non parlare dei Balcani.
Un pericolo strategico e militare infinitamente più rilevante di quello della guerra fredda, perché questo islamismo è "altro" dalla cultura occidentale e vuole semplicemente eliminare la nostra civiltà, anche dal punto di vista tecnico, non solo strumentalizzarla come volevano fare i sovietici. E l'Islam radicale è una parte dell'Islam "politico" apparentemente "moderato".
Come dichiarava l'allora capo della Fratellanza Musulmana alla tv egiziana, due anni fa, «non abbiamo bisogno di far dichiarare il jihad in Europa Occidentale, quella la conquisteremo con l'emigrazione».
Quindi la cartina diffusa da Al Baghdadi, il nuovo "califfo" dell'Isis in Iraq, vale anche per Hamas e per tutta la nuova galassia islamista palestinese, che comprende l'Olp e gli sciiti, che pure Al Baghdadi vuole «uccidere tutti» ma che, quando si tratta di combattere "l'infedele", vanno benissimo come alleati.
In effetti, tutto quello che accade nell'universo politico e ideologico islamista ci porta a pensare che sia in atto una alleanza, in fase di progressivo rafforzamento, tra Hamas, la vecchia Olp "laica" e gli sciiti di Hezbollah.
L'Olp, diciamolo subito, nasce dagli stessi lombi di Hamas. Lo zio materno di Yasser Arafat, che si chiamava in realtà Yasser Al Rauf al Husseyni, era il Gran Muftì di Gerusalemme Al Husseyni, che iniziò una serie di feroci pogrom contro le comunità ebraiche nel Mandato Britannico (e quindi lo Stato Ebraico, come fatto politico, non è il solo obiettivo del jihad, ma gli ebrei come tali) e poi fu rilevato dai Servizi nazisti, all'inizio delle ostilità nell'area, e portato a Berlino, dove fu l'ispiratore della propaganda antisemita delle SS e stretto consigleier di Himmler.
Fu su consiglio di Al Husseyni che si costituì una Divisione islamica delle SS, la Hanschar, formata da croati e che operò nei Balcani, che saranno anche oggi il nuovo asse strategico, come accadde all'epoca dell'assedio di Vienna da parte degli Ottomani, della conquista islamica dell'Europa. Il Gran Muftì al Husseyni era un Fratello Musulmano.
Ecco quindi come si è ristrutturato il sistema politico palestinese dopo la fine della guerra fredda: da strumento di una egemonia regionale dell'Urss e da manovale per i "lavori sporchi" dell'Est comunista in Europa occidentale, fino a divenire il mezzo di una ricomposizione religiosa e fondamentalista di tutto l'Islam.
Un islamismo nuovo e comunque violento che cerca un suo spazio egemonico mentre gli Usa se ne vanno dal Grande Medio Oriente e la nuova Russia di Putin costruisce lentamente la sua Eurasia, di cui il vecchio Medio Oriente della guerra fredda è una periferia.
Hamas nasce proprio al crepuscolo dello scontro tre Est e Ovest, nel 1987. E vuole costituire uno stato islamico con la guerra, l'unico modo di imporre l'Islam, in tutta l'area della Palestina del Mandato Britannico. Quindi il gruppo terrorista è un problema non solo per Israele, ma anche per l'Egitto, la Giordania, l'Iraq meridionale.
La rete, costosissima ma ben finanziata, del welfare di Hamas serve per creare la sua rete di protezione e reclutare nuovi membri, il gruppo terrorista crea da solo, con ingenti mezzi, l'«acqua dove nuotare», per dirla con un famoso criterio di Mao Zedong.
Hamas è uno stato nello Stato: ha il suo settore welfare, che è la migliore propaganda tra le masse povere dell'area, una rete di acquisizione delle armi, Al Mujahiddin al Filastinun, che si occupa anche dell'addestramento e della organizzazione delle dimostrazioni "spontanee", un servizio segreto, Jehaz Aman, che fa soprattutto controspionaggio per stanare gli infiltrati ma raccoglie anche dati sugli "obiettivi" israeliani da eliminare.
C'è anche un reparto per i mass-media, A'aalam, che si occupa della propaganda a tutti i livelli. E questo sarebbe un movimento "popolare e spontaneo", come dicono molti ingenui politici europei e Usa?
Questo movimento è piuttosto un pericolo parallelo e simultaneo per Israele e per noi europei, che presto lo vedremo all'opera nei nostri Paesi, e questo non dipenderà solo dal nostro sostegno allo Stato Ebraico, ma sarà funzionale alla penetrazione di Hamas e dei Fratelli Musulmani nei Balcani (ci sono già) e nelle vaste comunità islamiche già presenti in Europa Occidentale.
Infatti, il gruppo islamista, nei suoi attacchi, non fa differenza tra ebrei e turisti, perché entrambi sono "infedeli". E il musulmano che si trovi tra loro è anch'egli un "apostata", e va quindi ucciso, secondo la logica folle dell'Islam del jihad della spada, che non riguarda solo Al Qaeda, ma è una scelta di tutte le organizzazioni islamiste già note. Hamas compreso.
Da chi prendono i soldi, diverse decine di milioni di dollari l'anno? Da alcune associazioni di arabi-israeliani, ma soprattutto da società caritative (e il riciclaggio di denaro sporco, non c'entra?) con sede in Giordania, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti, Emirati Uniti, Francia e Italia.
Vorrebbero aiutare i profughi, ma in effetti sostengono quelli che li fanno rimanere tali per utilizzarli come massa di manovra e strumento di guerra.
Poi, oltre le organizzazioni mafiose internazionali, Hamas controlla anche il traffico di esseri umani dalla Somalia, dall'Eritrea e dal Sudan. E il contrabbando di qualunque cosa attraverso i passaggi sotterranei di Rafah e le reti illegali dei Sinai.
Speriamo che una corretta informazione sulla questione palestinese eviti che, in futuro, gran parte dei media, e buona parte della classe politica europea e italiana, esilarante il caso della baronessa Ashton, già commissario europeo per la Politica Estera, si metta sempre a difesa dei Palestinesi e soprattutto di chi li usa e li manipola, Hamas e tutta la grande rete del jihad della spada mediorientale, che tra poco interesserà direttamente anche noi in Europa Occidentale.

(Giornale dell'Umbria, 10 luglio 2014)


Israele colpisce duro Hamas, molte vittime. C'è il timore di un contagio islamista a Gaza

di Rolla Scolari

 
MILANO - E' la prima volta che i razzi lanciati da Gaza arrivano oltre Tel Aviv. Un missile è caduto ieri senza fare vittime a Zichron Ya'akov, 120 chilometri a nord della Striscia, la distanza che c'è tra Milano e Genova. Nel secondo giorno dell'operazione israeliana "Margine protettivo", Hamas, il gruppo islamista che controlla la Striscia, ha utilizzato missili a maggior gittata. Dall'altra parte, l'esercito israeliano ha irrobustito il fuoco contro Gaza. Dall'inizio dell'operazione, sono quasi 500 gli obiettivi colpiti, centinaia soltanto ieri. Secondo fonti dell'esercito israeliano, la Striscia sarebbe stata colpita più duramente durante questi due giorni - con oltre 400 tonnellate di esplosivo in 36 ore - che durante tutta la campagna "Pilastro di Difesa" del 2012, durata otto giorni. Cresce il bilancio delle vittime palestinesi: 51 secondo le fonti mediche locali.
    Il rais dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, dalla Cisgiordania, ha accusato Israele di portare a termine "un genocidio". Ha spiegato di aver contattato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, di avergli chiesto di mediare tra le parti per il raggiungimento di un cessate il fuoco. Per la prima volta dall'inizio delle ostilità c'è l'indizio di un negoziato in corso, anche se il Cairo ha minimizzato: "Non c'è mediazione nel senso abituale del termine", ha detto un portavoce del ministero degli Esteri. "Abbiamo deciso di aumentare gli attacchi contro Hamas e le organizzazioni terroristiche a Gaza. L'esercito è pronto a qualsiasi possibilità", ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu dopo aver incontrato ieri il suo ristretto gabinetto di sicurezza. Anche il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, ha mantenuto i toni di questi giorni: "L'operazione crescerà".
   Ma la preoccupazione del governo israeliano, secondo alcuni esperti, è quella del vuoto. Il vuoto creato in questi anni dall'instabilità nata nella regione dal disfarsi delle rivolte arabe - nel Sinai egiziano, nella Siria della guerra civile - è stato riempito e sfruttato da movimenti estremisti islamici. La Striscia di Gaza è dal 2007 controllata da Hamas e da gruppi palestinesi che hanno costruito un arsenale. "Se Israele colpisce mortalmente Hamas, chi riempirà il vuoto governativo? - ha scritto Nahum Barnea sul quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth - Gaza rischia di trasformarsi in anarchia come la Somalia o rifugio per organizzazioni terroristiche affiliate ad al Qaida. In altre parole, Hamas è male, ma non il male peggiore". L'editorialista israeliano non è il solo a chiedersi se Netanyahu sia di fronte a un "dilemma", come scrive il Daily Telegraph: indebolire il gruppo di Gaza perché spara razzi sulle città israeliane o evitare il vuoto di potere? C'è Abu Mazen, certo, ma non ha un potere politico abbastanza solido da riempire una pericolosa assenza di governo.

- La fascinazione per lo Stato islamico
  L'esperto israeliano Ephraim Halevi individua negli eventi in Siria e in Iraq l'ultima preoccupazione di Netanyahu, condivisa da tutti i leder della regione. "In qualsiasi accordo di pace con i palestinesi, Israele deve mantenere una presenza militare sul confine giordano", ha detto in un discorso all'Università di Tel Aviv a fine mese. Il premier pensa allo Stato islamico che cresce in Siria e in Iraq. Secondo il Daily Beast, il gruppo starebbe espandendo le proprie mire alla Giordania, attaccata a Israele, e ai Territori palestinesi (tanto che Amman, secondo fonti del Senato americano, mediterebbe perfino di chiedere un inedito aiuto militare a Israele se necessario). Allo stesso tempo, il vicino egiziano contiene spinte jihadiste nel Sinai: ieri un soldato è saltato in aria su un blindato a causa di un ordigno esplosivo nascosto lungo il ciglio della strada al confine con Gaza. Il gruppo Ansar Bait al Maqdis - che ha rivendicato diversi attentati in Egitto e agisce così vicino alla Striscia sotto il fuoco israeliano - non nasconde velleità di connessione con il più vasto movimento jihadista dello Stato islamico. E poi c'è l'Iran. In un report dell'Onu, ricordato dal Wall Street Journal, si racconta di una nave iraniana carica di missili a lunga gittata intercettata a marzo da Israele: "Le armi erano quasi certamente destinate ai clienti terroristi dell'Iran a Gaza".

(Il Foglio, 10 luglio 2014)


L'unica via per una pace duratura

L'accordo con Abu Mazen ha permesso a Hamas di uscire dallo stato di isolamento in cui si trovava ottenendo una legittimazione. Lettera al quotidiano “la Repubblica” dell’Ambasciatore d’Israele a Roma.

di Naor Gilon,

Caro direttore,
il conseguimento della pace fra Israele e i suoi vicini e fra Israele e il popolo palestinese non è per noi soltanto una questione di politica estera. La pace è da sempre una profonda aspirazione del popolo ebraico, radicata a fondo nella tradizione ebraica e invocata da ogni ebreo credente molte volte al giorno, durante le preghiere.
   Purtroppo Io Stato d'Israele si trova nuovamente di fronte alla necessità di reagire con potenza alla serie di assassini, incessanti attacchi missilistici contro la popolazione civile condotti da Hamas, nota a tutta la comunità internazionale, comprese Italia ed Europa, come sanguinaria organizzazione terroristica. In questi giorni piovono su Israele centinaia di missili, anche su Tel Aviv e Gerusalemme. Circa due terzi di israeliani vivono attualmente sotto minaccia per le loro vite. Nessun governo al mondo tollererebbe una simile situazione.
   La condotta di Hamas non sorprende; basta leggere la sua carta costitutiva, che invoca la distruzione dello Stato d'Israele e l'uccisione degli ebrei, che non riconosce l'esistenza d'Israele, e che promuove la stessa ideologia di altre organizzazioni estremiste del Medio Oriente, come l'Isis in Iraq che soltanto una settimana fa ha dichiarato anche di voler conquistare Roma. ll terrorismo è terrorismo, e la lotta per sconfiggerlo deve essere condotta insieme. Nonostante tutto ciò, il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen ha scelto di stipulare un patto, qualche settimana fa, proprio con Harnas, facendo cosi saltare il tavolo dei negoziati con Israele. L'accordo della cosiddetta "riconciliazione" ha permesso a Hamas di uscire dall'isolamento in cui si trovava e ottenere legittimazione e sicurezza per poter riprendere, in modo ancora più intensivo, le azioni terroristiche da Gaza e anche nella West Bank. Il rapimento e l'efferato assassinio dei tre adolescenti israeliani e il lancio incessante di decine di missili contro civili innocenti sono il risultato di tutto ciò.
   Se l'obiettivo dell'esecutivo di unità nazionale era quello di creare un governo palestinese unitario, perché Abu Mazen non ferma il lancio incessante di missili da Gaza? La conclusione che se ne trae è che Abu Mazen non ha alcuna capacità di attuare la propria responsabilità a Gaza, oppure non ne ha la volontà. Entrambe le opzioni sono gravi.
   Quando in Israele degli estremisti hanno deciso di compiere l'esecrando assassinio del ragazzo palestinese, la classe politica israeliana ha condannato l'omicidio, e gli apparati preposti all'applicazione della legge si sono adoperati intensamente e sono riusciti ad arrestare i responsabili. Costoro saranno puniti tutti nella maniera più severa possibile. In Israele non vi è alcuna tolleranza per la violenza e per chi si fa giustizia da solo.
   E' tempo che la comunità internazionale faccia rispettare le condizioni che essa stessa ha stabilito per Hamas: riconoscimento di Israele, degli accordi precedenti e l'abbandono del terrorismo. E' anche tempo che il presidente dell'Autorità palestinese rompa quest'alleanza con Hamas e ritorni al tavolo dei negoziati con Israele senza precondizioni. L'unica via per giungere a una soluzione concordata di due stati per due popoli passa attraverso l'unione degli elementi pragmatici contro quelli estremisti e attraverso il negoziato.

(la Repubblica, 10 luglio 2014)


Time out - L'evidenza

di Daniel Funaro

Capitano giorni in cui si pensa che è tutto inutile, che provare a raccontare la verità sulla situazione in Israele non serva a nulla. In parte è così. Dovremmo avere il coraggio di pensare che non sia la capacità di fare informazione a mancare ad Israele e a chi ne sostiene le sue ragioni, ma che, il più delle volte, la circolazione di alcune idee non dipendano solo da un cortocircuito mediatico, ma dall'odio che circonda lo Stato ebraico e i suoi abitanti. Perché in fondo è semplice antisemitismo quello di alcuni giornalisti e opinionisti che neanche di fronte all'evidenza riescono a comprendere le necessità di uno Stato da sempre sotto attacco. Eppure non bisogna arrendersi, ce lo insegna la stessa storia d'Israele. Non ci si può arrendere all'evidenza che nonostante i nostri sforzi qualcuno continuerà a odiare Israele a prescindere da qualsiasi scelta che essa farà. Non si può perché è parte della nostra battaglia per dimostrare che Israele ha diritto di vivere in pace e in sicurezza. E poco importante se nel farlo scopriamo che i nemici sono anche all'interno. Come quelli che intervengono sui giornali per dire che gli israeliani sono fascisti e razzisti, ma tacciono sui missili che cadono su Gerusalemme e Tel Aviv. O come gli scrittori israeliani che sostengono che la colpa della pace sia d'Israele che pretende troppo. Per loro basterebbe alzare gli occhi al cielo e comprendere da dove arriva la minaccia di chi non vuole la pace. Non lo faranno, ma il tempo finirà per darci ragione in questa battaglia snervante e distruttiva che alla fine però chiarirà senza alcun dubbio che avevamo ragione noi.

(moked, 10 luglio 2014)


Non è chiaro chi siano i "noi" che hanno ragione. Certamente avrà ragione chi avrà creduto alle parole che Dio ha detto al suo popolo: "... e voi conoscerete che io sono l'Eterno, quando vi avrò condotti nella terra d'Israele, paese che giurai di dare ai vostri padri" (Ezechiele 20:42). Ha ragione chi crede che quella terra contesa è terra d’Israele, ma non crede al Dio d’Israele che ha fatto la promessa? M.C.


Io mi compiacerò di voi come di un profumo di odore soave, quando vi avrò fatti uscire di mezzo ai popoli e vi avrò radunati dai paesi nei quali siete stati dispersi; e sarò santificato in voi agli occhi delle nazioni. Voi riconoscerete che io sono l'Eterno, quando vi condurrò nella terra d'Israele, nel paese per il quale avevo alzato la mano e giurato di dare ai vostri padri. Là ricorderete la vostra condotta e tutte le azioni con le quali vi siete contaminati e proverete disgusto di voi stessi per tutte le malvagità che avete commesso. Così riconoscerete che io sono l'Eterno, quando agirò con voi per amore del mio nome e non secondo la vostra condotta malvagia né secondo le vostre azioni corrotte, o casa d'Israele», dice il Signore, l'Eterno.

dal libro del profeta Ezechiele, cap. 20







 

20 dati di fatto da ricordare

Mentre giungono le cronache dell'operazione anti-terrorismo "Margine protettivo"

Una madre israeliana durante un allarme razzi da Gaza
1) Tre adolescenti israeliani vengono sequestrati e assassinati. Due terroristi di Hamas implicati nel triplice omicidio devono essere ancora catturati.
2) Due giorni dopo il ritrovamento dei corpi dei tre ragazzi israeliani, un adolescente palestinese viene sequestrato e assassinato.
3) Mentre da ogni angolo della società israeliana piovono condanne per l'assassinio del giovane arabo, scoppiano violenti disordini nei quartieri est e nord di Gerusalemme e in varie località arabo-israeliane, con lanci di pietre e molotov contro le auto di passaggio, distruzione di proprietà pubbliche e private, blocchi stradali e conseguenti scontri con la polizia. Sono stati segnalati feriti da entrambe le parti....

(israele.net, 10 luglio 2014)


Missili di Hamas: il calcio per far capire il dramma degli israeliani

Un video per dimostrare come la popolazione israeliana sta vivendo la pioggia di razzi proveniente da Gaza, a opera di Hamas. Il ministero degli Esteri israeliano ha deciso di rendere virale la situazione con immagini che davvero toccano le coscienze. Senza voler dare giudizi su chi abbia ragione tra le due parti, naturalmente, visto che anche i palestinesi se la passano molto male.
Nel video, comunque, si vede un gruppo di ragazzi che gioca a calcio di sera, su un campo improvvisato. Tra dribbling, passaggi e un fallo da rigore. C'è chi indossa la maglia del Barcellona con il nome di Messi in bella mostra, chi quella del Bayern Monaco. Si divertono, insomma, come in tutto il mondo dove non c'è la guerra. C'è anche una ragazza: è lei l'incaricata di calciare dal dischetto. Il portiere con il nome di Messi prepara i guantoni per parare.
Parte il tiro… e si sente risuonare alto l'allarme aereo. Stanno arrivando nuovi missili. Che fare? Nel video si parla dei 15 secondi che intercorrono tra il suono della sirena e l'arrivo dei razzi. Nelle ultime 24 ore, tanto per fare cronaca, l'organizzazione fondamentalista ne ha lanciati oltre 100 contro Israele (e il premier Netanyahu ha aperto i rifugi di sicurezza e ha richiamato migliaia di riservisti). I ragazzi devono correre. Ma non più dietro a un pallone, bensì verso un rifugio. Non per vincere la partita, ma per salvarsi la vita.

(LeoSport, 9 luglio 2014)


Hamas, Israele e i crimini di guerra

Ieri Hamas ha tentato il colpo grosso. Ha sparato tre missili sulla centrale nucleare di Dimona. Secondo alcuni esponenti della difesa israeliana sarebbero stati tre M75, ma alcuni esperti mettono in dubbio questa versione perché gli M75 non hanno un sistema di guida in grado di "mirare a un obbiettivo" mentre i missili sparati ieri erano indirizzati proprio su Dimona, per cui pensano più ai micidiali M 302 Khaibar di produzione cinese e forniti ai terroristi, per loro stessa ammissione, dall'Iran....

(Right Reporters, 10 luglio 2014)


Olanda: Islamici pro Isis in strada al grido di "uccidiamo gli ebrei"

Immagini scioccanti, specialmente se arrivano non da un angolo dell'Iraq o della Siria, ma dalla moderna e multiculturale Olanda. E' il video di un gruppo di musulmani che lo scorso 4 luglio sono scesi in strada a Schilderswijk uno dei quartieri maggiormente popolato da immgirati della capitale olandese L'Aia, a manifestare a favore delle milizie terroristiche di Isis, le stesse che hanno dato vita al califfato fondamentalista dello Stato islamico in Iraq e Siria. Tra gli slogan urlati dai manifestanti, frasi minacciose nei confronti degli Stati Uniti e la richiesta di "massacrare tutti gli ebrei" e anche "gli ebrei, ricordino Khaybar, l'esercito di Maometto sta tornando." Khaybar è l'oasi dove si erano rifugiati gli ebrei cacciati da Medina in Arabia e in seguito espugnata dalle armate guidate da Maometto, con la conseguente espulsione di ogni ebreo dall'Arabia. Nelle loro mani bandiere nere con i simboli di Isis, mentre molti dei volti erano coperti da maschere nere.

(ilsussidiario.net, 9 luglio 2014)


Nel video si sente dire "Jews" e "Israel", a conferma che non ha senso distinguere tra antisionismo e antisemitismo.


Delitto e castigo in terra di Israele

di Cristofaro Sola

In Israele, a differenza di ciò che accade in gran parte del mondo arabo, vigono la democrazia e lo Stato di diritto. Non è questione di dettaglio. Il senso della giustizia, proprio del popolo ebraico, consente alle autorità dello Stato e alla società civile di trattare i responsabili di crimini odiosi in uguale modo e di punirli nella stessa misura, che siano ebrei, arabi o di qualsiasi altra etnia o religione. La legge è uguale per tutti. Non si fanno favori.
   Ora, l'azione terrorista, presumibilmente realizzata da miliziani di Hamas, che ha portato al rapimento e al conseguente eccidio dei tre giovani isreliani, Gilad Shaer, Naftali Frenkel, Eyal Yifrach, ha scatenato la rabbia degli oltranzisti della parte avversa. Alcuni di essi hanno preso in ostaggio e poi ucciso un giovanissimo palestinese. Non dovevano farlo perché nessuna rabbia, nessuna frustrazione avrebbero potuto mai giustificare il crimine orrendo di cui si sono macchiati. In queste ore la polizia israeliana ha individuato i possibili responsabili del gesto che è costato la vita a Muhammad Abu Khdeir. Ai colpevoli del brutale assassinio, ha promesso il premier Netanyahu, non verranno praticati sconti, dovranno pagare fino in fondo. Queste sono state le incoraggianti parole di un leader democratico che ha a cuore l'effettivo esercizio della giustizia nel suo Paese.
   D'altro canto quelle parole non avrebbero potuto essere diverse. Certamente non avrebbero potuto somigliare a quelle dei dirigenti palestinesi, i quali hanno appostato sui loro siti web, sotto le immagini di case di coloni israeliani date alle fiamme, frasi farneticanti del tipo:" "Figli di Sion, questo è un giuramento al Signore dei Cieli: preparate tutti i sacchi che potete per le parti del vostro corpo". La morte orribile di Muhammad è stato uno shock per l'intero Paese che si carica di un nuovo lutto da elaborare. Israele è stata colta di sorpresa e non era preparata a metabolizzare, all'interno della comunità, la presenza di assassini così motivati nel fare violenza. Era dal 1994, dai tempi del killer Baruch Goldstein, che provocò una strage a Hebron, che il popolo della stella di Davide non faceva i conti con una simile esplosione di follia omicida. La cifra di queste ore è l'esecrazione per la spirale innescata dall'irrazionale desiderio di vendetta di pochi a danno del diritto della maggioranza a vivere nel rispetto delle leggi.
   Tuttavia, come ha scritto Tzippi Sha-ked, su "Times of Israel": Il popolo israeliano, diversamente dai palestinesi, "non sta distribuendo dolci per le strade in segno di festa". I due presidenti israeliani, quello uscente Shimon Peres e il neo eletto Reuven Rivlin, hanno rivolto un appello congiunto alla popolazione sia ebrea, sia araba. Il messaggio, di altissimo profilo, ha inteso ribadire alcuni concetti fondamentali per la regolazione della vita comunitaria. Essi hanno detto che "Una lotta nazionale non giustifica atti di terrorismo. Gli atti di terrorismo non giustificano la vendetta. La vendetta non giustifica le distruzioni, i saccheggi e le devastazioni". Sembrerebbe logica elementare, in realtà si tratta dell'elaborazione, sofferta, di una lucida visione di pace. Nelle parole dei due uomini politici vi è la piena consapevolezza del fatto che stroncare il dialogo per dare spazio all'istigazione all'odio e alla volontà di spargimento di sangue, rappresenti la fine della speranza.
   Tutti, indistintamente, dovrebbero far tesoro di un così alto insegnamento. Per i due presidenti la pace potrà compiersi soltanto dopo che arabi ed ebrei, si saranno resi conto di una semplice verità: i due popoli non sono condannati, ma destinati a vivere insieme. È necessario, dunque, che si ponga fine al più presto a questa innaturale asimmetria per la quale i palestinesi, sentendo propria la missione provvidenziale della distruzione d'Israele quale compimento del volere di All?h, considerano ogni atto criminale rivolto contro gli ebrei in sé eticamente giusto. È la medesima convinzione che li conduce a interpretare le azioni di prevenzione antiterroristica dell'Idf (Israeli Defence Forces) frutto della malefica presenza di satana in terra e, allo stesso tempo, la pioggia quotidiana di razzi esplosi dalle brigate Al-Qassam, braccio armato di Hamas, contro le città israeliane del Negev, come la mano del profeta che si abbatte sugli infedeli.
   Spesso ci si chiede da dove il popolo israeliano tragga la forza per resistere ai colpi inferti da così tanti e ostinati nemici. Dire che gli ebrei sono temprati alle nefandezze della storia è in sé valutazione superficiale e di dubbio gusto. È vero che la coesione sociale sia alta, la società civile sia molto progredita e l'idem sentire di un popolo sia radicato nella profondità della coscienza comunitaria. Tuttavia, a noi piace credere che tanta forza al bastione più lontano della civiltà occidentale derivi dal fatto di essere Eretz Israel, terra di giustizia. Cosa non scontata di questi tempi.

(L'Opinione, 9 luglio 2014)


Ecco chi sono i "Giusti fra le Nazioni"

Nel Municipio di Pavullo si è svolta la cerimonia di consegna delle onorificenze alle famiglie che aiutarono gli ebrei durante la guerra.

  
PAVULLO (MO), 9 lug - "Senza quelle azioni generose mio padre non sarebbe sopravvissuto alla guerra e io non sarei nato dieci anni dopo. Verso le persone che hanno compiuto queste azioni io provo la gratitudine di un figlio verso i genitori che gli hanno dato la vita". Parole che hanno commosso, queste pronunciate ieri mattina dal professore Enzo Neppi, figlio di Bruno Neppi, nella sala Consiliare del Municipio di Pavullo, in occasione della cerimonia di consegna delle onorificenze di "Giusti fra le Nazioni" alle famiglie Casolari, Succi di Ca' Potino e Romani, per aver dato rifugio e sostegno, rischiando la vita, ai sette membri della famiglia ebrea Neppi di Bologna. A rappresentare queste famiglie c'erano Romano Casolari e Succi Terenzio, che ora abita a Novellara di Reggio Emilia, entrambi testimoni diretti di quei tragici giorni, e Rita e Adriano Corsini.
Erano presenti Sara Ghilad, in rappresentanza dello Stato d'Israele, il rabbino capo della Comunità ebraica di Modena, Beniamino Goldstein, amministratori di Comuni del Frignano, il presidente del Consiglio comunale di Pavullo Gianluca Vignali. Il sindaco Romano Canovi ha ricordato che «persone comuni, con la loro opera, hanno consentito ad altri loro simili di sopravvivere, seguendo quanto recita il Talmud: "Chi salva un uomo è come se salvasse tutto il genere umano". Da ieri, i 'Giusti fra le nazioni' di Modena e Provincia da 8 salgono a 16.
E gli 8 celebrati ieri sono tutti della frazione Verica. Questi i loro nomi che saranno incisi nel "Giardino dei Giusti", presso lo Yad Vashem di Gerusalemme: Luigi Succi e Maria Pini, i fratelli Casolari (Cristina, Maria e Giovanni), Denilia Romani (moglie di Giovanni), la sorella Maria, e Francesca Serafini, cognata di Maria Casolari.
I salvati dalla barbarie nazifascista furono i bolognesi: Maria Ravenna con il marito Adolfo Neppi e il figlio Guido, Giulio Neppi (editore ferrarese) con la moglie Alberta Carpanetti, la cognata Elisa, il figlio Bruno e la cugina Eugenia Fiano. Fondamentale fu l'aiuto che ricevettero del parroco don Michele Montanari. Fuggì a Verica anche un'altra famiglia ebrea di Bologna composta dall'ing. Mario Levi, nato a Modena nel 1902, da sua moglie Ida Crimi e dai 6 figli. Furono ospitati dalla famiglia di Alfonso e Clementa Mucciarini in località Montefoliniano. Ieri mattina la figlia Gianna ha espresso il desiderio di poter fare giungere un riconoscimento ufficiale anche ai Mucciarini.

(il Resto del Carlino, 9 luglio 2014)


"Mein Kampf", nel 2016 sarà pubblicata in Germania un'edizione critica

BERLINO - Il Mein Kampf di Hitler non è «né sconclusionato, né illeggibile», come spesso si sente dire, ma rappresenta perfettamente «il disprezzo del genere umano dell'ideologia» di Adolf Hitler, alla base della sua «razionalità perversa e criminale».
Ribadisce le sue ragioni il direttore dell'Istituto storico di Monaco (IfZ), Andreas Wirsching, che in un'intervista al quotidiano Die Welt conferma l'uscita, nel 2016, della prima edizione tedesca commentata del Mein Kampf a essere pubblicata dopo la scadenza dei diritti esclusivi di pubblicazione attualmente detenuti dal Land della Baviera.
Nonostante, ancora recentemente, la conferenza dei ministri della Giustizia dei Laender tedeschi si fosse pronunciata a favore di un prolungamento del divieto di pubblicazione, l'IfZ intende andare per la sua strada. «L'istituto pubblicherà come previsto l'edizione commentata all'inizio del 2016», ha confermato Wirsching.
Secondo lo studioso non ha molto senso, oggi, proseguire con il divieto. Primo perché in rete si possono trovare in tutte le lingue centinaia di edizioni del Mein Kampf scaricabili e senza commento critico. Ma edizioni antiche sono in vendita anche dagli antiquari in Germania.
Paese dove comunque non è affatto impossibile già oggi reperire una copia del manifesto politico del nazismo. Wirsching non teme di essere perseguito per incitazione all'odio razziale, come potrebbe capitare a chi diffondesse il testo per scopi propagandistici.
L'IfZ considera il Mein Kampf «una fonte storica centrale per la comprensione del nazionalsocialismo» e il suo obiettivo è chiarire «le contraddizioni e anche le conseguenze del suo programma.
Questo non ha niente a che vedere con l'incitamento all'odio razziale e non vedo alcuna rilevanza penale nella pubblicazione dell'edizione critica», ha aggiunto.

(Il Secolo XIX, 9 luglio 2014)


Israele richiama quarantamila uomini. «Siamo pronti a invadere Gaza»

I razzi di Hamas pure su Tel Aviv, l'aviazione israeliana risponde: 13 morti. Netanyahu: «Non li tratteremo più con i guanti». E mobilita i riservisti.

di Fiamma Nirenstein

Siamo arrivati alla nuova guerra con Hamas, «Margine protettivo». Dopo la pioggia di missili che ha fatto da controcanto al rapimento dei tre ragazzi uccisi da due terroristi di Hamas, ieri sera per la prima volta nel Gush Dan, l'area di Tel Aviv, la sirena ha costretto i cittadini a correre nei rifugi, come a Sderot, Ashkelon, Ashdod, Beersheba. Metà di Israele è sotto i missili di Hamas, ogni minuto suona la sirena. Intanto, arrivavano da Gaza le prime immagini di case distrutte e la notizia dell'uccisione di tredici persone. II governo ha permesso all'esercito di reclutare 40mila riserve; l'aereoporto Ben Gurion ritarda i voli di linea per lasciar decollare gli F16; il Paese è stato diviso in 31 zone a misura dei secondi di tempo che ha prima di essere raggiunta dai missili; la radio spiega che lontano da un rifugio occorre stare sotto le scale, o sdraiati per terra e dà altre istruzioni importanti per salvarsi; la gente di Sderot, Ashkelon, Ashdod, Beersheba non ha più di 15 secondi; i neonati sono rifugiati nei sotterranei dell'ospedale Soroka. Netanyahu lancia un messaggio a tutti i cittadini perché seguano le indicazioni del Comando Civile.
   L'operazione «margine di difesa» è in atto da 24 ore. Gaza seppellisce Muhammad Shabaan, capo del commando di mare di Hamas. I suoi uomini hanno lanciato nel tardo pomeriggio un notevole attacco terrorista dal mare, con navi, mezzi da sbarco e palombari, contro il kibbutz Sichim, ma sono stati
intercettati. Hamas spara instancabilmente i missili che hanno suscitato la reazione riluttante del governo di Benjamin Netanyahu. Bibi ha resistito per giorni alla richiesta dei sindaci, alla sofferenza dei genitori e dei bambini valorosi e resistenti, come ha detto ieri Shimon Peres per cui il lavoro, la scuola sono ormai intervalli fra una sirena e l'altra. Così è fatta l'ennesima guerra di Israele imposta dal terrorismo islamico. Di guerre con Hamas ce ne sono già state altre due, una nel 2008, «Piombo fuso», e una nel 2012,«pilastro di difesa»; la prima fu seguita dal «rapporto Goldstone» commissionato dall'Onu, poi ripudiato dall'autore stesso, che accusava Israele di crimini di guerra. La guerra successiva durò 8 giorni ,i lanci di missili molto massicci che comprendevano anche Fajr 5 e Grad, fu eliminato il comandante militare Ahmad Jabari. In queste ore la televisione di Hamas, insieme a video che mostrano l'inevitabile sconfitta di Israele, aerei colpiti, Tel Aviv distrutta, ripropongono immagini di Jabari. I video chiedono ai cittadini di Gaza di salire sui tetti come scudi umani.
   Quali sono le intenzioni delle due parti? L'invasione di terra consentirebbe di evitare di coinvolgere i civili come capita col bombardamento aereo, ma susciterebbe la disapprovazione di tutto il mondo. Israele vuole distruggere i missili e cerca lo sfinimento di Hamas. Ma non è un mistero che Netanyahu non ne cerca la distruzione. Una forte campagna può fare indesiderate vittime civili e diventare un'occasione di criminalizzazione internazionale. Una totale sparizione di Hamas potrebbe anche avvantaggiare gruppi salafiti a Gaza. Dunque Israele per ora va piano, anche se Hamas nella serata ha lanciato un'escalation coi razzi sul Centro: la riserva di missili di lungo raggio mette ormai metà di Israele sotto tiro. E se il lancio intensivo di missili colpisse un ospedale o una scuola, allora per Israele entrare sarebbe inevitabile. Hamas ha interesse alla confusione: l'organizzazione è in stato catalettico dal punto di vista politico, economico, strategico. L'Egitto, che ha tentato di calmare le acque senza successo, l'ha messa fuori legge insieme alla Fratellanza Mussulmana; la crisi con Abu Mazen crea l'isolamento dell'organizzazione dal momento del rapimento dei tre ragazzi israeliani; il blocco dei fondi dal Qatar lascia senza stipendio i 4Omila dipendenti militari e civili. Hamas cerca dunque con la guerra l'attenzione e l'aiuto dellaTurchia, dall'Iran, di chiunque, e un sollevamento palestinese patriottico contro Israele. Israele è ben consapevole che il fiammifero Hamas può dare fuoco al pagliaio mediorentale che già arde in Siria, in Irak, sul confine della Giordania. E Bibi vorrebbe quanto prima chiudere la partita, non entrare, stare lontano dalle solite risoluzioni dell'Onu. Ma la necessità di fermare i missili diventa più drammatica di ore in ora.
   Intensi bombardamenti aeronavali sulla Striscia di Gaza, 40 mila riservisti pronti a entrare in campo e l'ordine di Benjamin Netanyahu di «aumentare le operazioni contro i terroristi»: si intensifica l'operazione «Protection Edge» (Margine protettivo) contro Hamas, che reagisce lanciando grappoli di razzi sul Sud di Israele, tentando di colpire Tel Aviv e di mettere a segno un blitz con i commandos del mare.
   In una Sderot dove il tempo è scandito dai boati dei razzi abbattuti dagli intercettori delle batterie di Iron Dome l'immagine di «Protection Edge» sono le file di tank e blindati color sabbia in transito verso i confini di Gaza, che distano poco più di 1 km. Il capo di Stato Maggiore Benny Gantz ha ottenuto dal governo la possibilità di richiamare 40 mila riservisti per poter schierare altrettanti soldati combattenti di leva attorno alla Striscia, rendendo verosimile la minaccia di un intervento di terra.
   Netanyahu parla di «togliersi i guanti» ma anche di «operazione graduale» perché vuole sottoporre Hamas a una pressione in crescita dove le truppe di terra potrebbero essere l'ultima carta. Al momento a colpire è l'aviazione, con aerei e droni, che hanno messo a segno 146 attacchi in meno di 36 ore bersagliando, come spiega il portavoce dell'esercito Peter Lener, «campi di addestramento, basi militari, 96 lanciatori di razzi, tunnel e case di singoli terroristi».
   In realtà è in atto anche un caccia dai cielo ai leader di Hamas. Il primo ad essere ucciso è Mohammed Shaaban, 24 anni, capo dei commandos della Marina: un'unità considerata fra le meglio addestrate. «I nostri cittadini non vivono sicuri ad Ashkelon e Nes Ziona, non vedo perché i leader di Hamas debbano sentirsi sicuri a Gaza» aggiunge Lerner. La caccia è soprattutto ai tunnel perché Hamas li usa come bunker: per proteggere lanciarazzi, mortai e leader. Sono i satelliti e cercarli, con un particolare sistema di sensori hi-tech incrociato con le informazioni raccolte da intelligence e informatori. L'intento, spiega il ministro della Difesa Modhe Yaalon è «ridurre a zero il numero di razzi lanciati da Hamas contro le nostre città».
   In realtà c'è di più: Hamas ha perso la base di Damasco a causa della guerra civile, non ha più le retrovie egiziane per l'arrivo alla presidenza di Al Sisi e si trova dunque in una situazione di debolezza tattica senza precedenti che Israele tenta di sfruttare per demolirne la struttura militare. Hamas reagisce con una pioggia di razzi sulle città del Sud ed anche del Centro di Israele: oltre 140 in poco più di 24 ore, ricorrendo ai Grad per raggiungere Beersheva e Beit Shemesh, e ai missili iraniani Al-Fajr 5 per minacciare Tel Aviv. L'intelligence israeliana trova la conferma del timore a lungo serbato: Teheran è riuscita a far arrivare a Gaza, via Sudan, un imprecisato numero di Al-Fajr 5 e dunque l'intera area di Tel Aviv è a rischio.
   Gli intercettori dell'Iron Dome abbattono il primo ma le sirene che suonano a Tel Aviv e Gerusalemme portano ad aprire i rifugi pubblici: il pericolo che finora incombeva sulla piccola Sderot ora raggiunge il cuore della nazione. Hamas punta a mettere a segno un colpo a sorpresa: manda almeno quattro commandos del mare a colpire il kibbutz di Zikim, poco oltre la frontiera, ma vengono uccisi dalla brigata Givati. Il portavoce di Hamas, Mushir al-Masri, dice che «questo è il momento delle armi e non di parlare di tregue» ma un video di militanti pone condizioni a Israele: «Liberate tutti gli ex detenuti, già rilasciati nello scambio per Gilad Shalit, che avete riarrestato se volete il cessate il fuoco».
   Hamas accusa Israele di «fare strage di civili». Il riferimento è quanto avvenuto nel Sud di Gaza, a Khan Yunis, dove le bombe degli aerei colpiscono un edifico causando la morte di almeno 16 civili. «Molti di loro sono donne e bambini» affermano fonti palestinesi locali. A rispondere è Netanyahu, quando in serata parla ai cittadini in diretta tv: «Hamas si nasconde dietro i civili, li usa come scudi umani». Il premier sottolinea anche, a più riprese, «questa operazione prenderà tempo». Ecco perché i suoi più stretti collaboratori hanno cancellato impegni, pubblici e privati, delle prossime settimane. La guerra aerea fra Israele e Hamas mette in difficoltà l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, che si appella alla «comunità internazionale» per imporre a Israele di «cessare l'escalation e i raid». «Israele sta attaccando non solo Hamas ma tutto il popolo palestinese» sottolinea Saeb Erakat, il caponegoziatore dei palestinesi.

(il Giornale, 9 luglio 2014)


Israele deve difendersi

di Richard Herzinger

  
Come sempre nella propaganda di guerra, anche questa volta il pendolo batte contro Israele. Il crudele omicidio per vendetta di un giovane palestinese ha suscitato nel mondo una sollevazione morale. Il precedente sequestro e il non meno brutale assassinio di tre adolescenti israeliani invece ha commosso soltanto pochi, e adesso non se ne parla quasi più.
   A dire il vero, i due crimini sono altrettanto orrendi, ma è sostanzialmente diverso l'approccio che ne è stato fatto dalle due parti. La giustizia israeliana ha identificato in breve tempo i presunti assassini del giovane palestinese e in seguito si arriverà a una sentenza secondo le norme di legge. Tutti i leader israeliani hanno inequivocabilmente condannato queste azioni. La stessa cosa non si è vista da parte palestinese. Al contrario. Il leader di Hamas Khaled Mashaal ha sì negato ogni responsabilità della sua organizzazione terroristica, ma ha anche dichiarato che "le mani di coloro che hanno fatto questo" siano "benedette".
   Non poteva essere espresso in modo più chiaro di così quanto sia sbagliato parlare di "escalation di violenza" da entrambe le parti. Israele ha un problema interno con gli estremisti violenti, mentre nella striscia di Gaza questi sono al potere. Ed è con loro che il "moderato" presidente palestinese Abbas ha recentemente formato un governo di unità che ha dato un colpo mortale agli ultimi sforzi di pace. L'indottrinamento all'odio antiebraico fin dall'infanzia continua senza sosta anche in Cisgiordania. E tuttavia la comunità internazionale continua a lasciarsi ingannare dal mito della Palestina come eterna vittima innocente.
   Sarà così anche questa volta, nel caso Israele dovesse estendere i suoi massicci attacchi aerei alle posizioni di Hamas in un’offensiva di terra a Gaza. Ma che scelta resta al paese? Nessuno Stato può permettere che continuino a cadere incessantemente razzi sulle sue città, e con intensità crescente. Ma ancora una volta, un'offensiva israeliana riuscirà soltanto ad indebolire considerevolmente Hamas, ma non a distruggerlo del tutto. Tuttavia, al di là di un accordo di pace, che è un'illusione, la seconda migliore soluzione che resta a Israele è mantenere i suoi nemici mortali il più lontano possibile dal collo. E noi in Occidente dovremmo alla fine arrivare a capire che la pace in Medio Oriente resta un sogno donchisciottesco fino a che una parte della leadership palestinese continua a sostenere apertamente la distruzione di Israele e l'altra parte continua a vedere nella soluzione dei due stati un passo intermedio verso la distruzione dello Stato ebraico.

(Die Welt, 9 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Israele - L'angoscia degli Italkim corre sui social network

La paura, l'incredulità, la rabbia. Ma anche l'ironia come strumento di autodifesa da chi vorrebbe uccidere, prima di tutto, la voglia di vivere e ogni certezza. Corre sui social network l'angoscia degli italkim, la comunità degli italiani di Israele, alle prese in queste ore con le nuove minacce di Hamas e con le sirene che tornano a suonare in tutto il paese.
   Facebook diventa così una valvola di sfogo ma anche un mezzo per sensibilizzare la rete sul dramma che vive la popolazione israeliana. I post si susseguono nella notte e aggiornano amici e parenti ancora più tempestivamente dei giornali. Tutto in presa diretta: lanci di missili, corse verso i bunker, fine dell'emergenza, nuovi allarmi.
   "Sirene a Raanana. Ti si gela il sangue" commentava ieri sera Daniel Galliani quando il fuoco dalla Striscia iniziava a farsi sempre più intenso. Sensazioni di forte insicurezza anche nei post di Benedetta Rubin ("Ne ho studiate di guerre. Ora mi ritrovo in una guerra e non sono mai stata più impreparata e impaurita") e di Simone Somekh, che parlava di "rabbia impotente" e "attesa agghiacciante". Non facendosi però del tutto sopraffare dagli eventi: "Tra una corsa in rifugio e l'altra - sottolineava infatti Simone - normalizzo il terrore ripassando per l'esame di domani e chiacchierando di rigatoni con le due italiane più fenomenali con cui potessi condividere una serata così folle".
   A ricordarci come le insidie stiano protraendosi nel tempo è Gavriel Zarruk, che all'ora di colazione posta: "Stamani altri missili lanciati su Tel Aviv. Di volata nei bunker". Ci scherza sopra la giornalista Manuel Dviri, che commenta: "Anche i razzi hanno gli orari di lavoro: cominciano alle otto".
   Attacca invece il mondo dell'informazione Tana Abeni che, a proposito dell'attentato sventato nel kibbutz di Zikim, scrive: "Immaginate: vivete in un paesino sul mare (Santa Margherita Ligure? Pozzuoli?) e cinque loschi figuri spuntano dalle acque. Turisti sprovveduti? No. Sono armati. Vogliono entrare nelle vostre case e fare fuori voi, i vostri consorti, i vostri bambini. Per fortuna l'esercito del vostro Paese li intercetta e li fa fuori. Vi piacerebbe se succedesse davvero? No, vero? E pensate: sui tg internazionali questa notizia non la sentirete".
   A beneficio degli utenti di Facebook Daniela Fubini si produce intanto in un decalogo-denuncia che racconta, con garbo e allo stesso tempo con grande efficacia, la vita di un cittadino israeliano alle prese con le azioni terroristiche di Hamas. Eccolo:
  1. Dormire con la finestra aperta per sentire la sirena se suona.
  2. Mettere il pigiama il più tardi possibile che mica tutti i vicini devono vedere se ha i fiorellini o i cuoricini.
  3. Cellulare sempre in carica, sia mai che devo stare tanto al riparo.
  4. Borsa con acqua, cracker, mandorle e fazzoletti accanto alla porta.
  5. Doccia superveloce che neanche in campeggio, sia mai che la sirena suoni proprio fra shampoo e balsamo.
  6. Stendere il bucato in casa sullo stendino invece che sui fili fuori.
  7. Decidere dove andare a cena o dopocena in base alla presenza di un rifugio (netta preferenza per i seminterrati).
  8. Ringraziare il cielo per aver abbandonato il turismo, che domani sarei disoccupata.
  9. Tenere il conto degli amici che vengono richiamati (cèlo/manca).
  10. Decidermi a leggere davvero qualche Tehillim (Salmi), che non farà male.
(moked, 9 luglio 2014)




Grazie per le vostre preghiere!

Dal pastore di una chiesa messianica in Tel Aviv abbiamo ricevuto la seguente lettera circolare che qui traduciamo. I cristiani evangelici che condividono con la maggioranza degli increduli dubbi, perplessità e critiche su Israele possono avere qualche spunto di riflessione; i cristiani evangelici che invece avvertono vicinanza spirituale con Israele e pregano per lui possono avere qualche indicazione più precisa per la preghiera. M.C.

Cari partners nella preghiera e sostenitori,
Nel corso dell'ultimo fine settimana oltre sessanta razzi sono caduti nel sud di Israele da parte dell'organizzazione terroristica di Hamas a Gaza. Questo è dopo che Israele ha dato un ultimatum di 48 ore a Hamas (fino a sabato sera). La risposta che abbiamo ricevuto da Hamas e dalla Jihad islamica è stata un lancio di 60 e più razzi caduti nel sud di Israele. Lunedì sera, il governo israeliano ha deciso di avviare un'operazione di terra a lungo termine contro i terroristi a Gaza. Il nome dell'operazione in ebraico è Tzook Eitan, che in inglese significa Enduring Cliff.
Il nostro governo inoltre ha deciso di richiamare fino a 40mila soldati della riserva. Da quel momento molti israeliani stanno ricevendo chiamate a compiere il loro dovere, tra cui un gran numero di nostri credenti messianici. Ieri, martedì 8 luglio, l'aviazione israeliana ha mirato e colpito con successo cellule terroristiche, bunker, basi di lancio e gallerie sotterranee nella Striscia di Gaza. In risposta a questo, i terroristi di Hamas e Jihad islamica di Gaza hanno sparato 160 razzi su Israele. Quattro hanno preso di mira Tel Aviv e altri quattro erano diretti verso Gerusalemme, la nostra capitale. Per tutta la serata, fino a notte fonda, sirene antiaeree si sono udite nelle città intorno a Tel Aviv, tra cui Kfar Saba e, più a nord, la città di Cesarea e la zona Hadera.
Per fare un esempio, ieri sera una giovane coppia della nostra congregazione stava portando a casa il loro neonato dall'ospedale quando hanno sentito improvvisamente le sirene antiaeree a Tel Aviv. Hanno subito lasciato il loro veicolo sul ciglio della strada e si sono allontanati stringendo tra le braccia il loro neonato. Entrambe le nostre figlie erano a Gerusalemme la scorsa notte, quando hanno cominciato a suonare le sirene antiaeree. Devorah, mentre era in strada per tornare a casa dall'Università di Gerusalemme dove studia, ha sentito alla radio le aree che erano state colpite. Sarah invece aveva un appuntamento con il suo fidanzato Nati e insieme hanno dovuto correre al rifugio antiaereo più vicino.
Ieri sera, mentre gli israeliani correvano ai rifugi, un commando di cinque terroristi di Hamas ha cercato di infiltrarsi in Israele attraverso le spiagge del Sud di Israele (Kibbutz Zikkim) con l'intenzione di uccidere cittadini israeliani innocenti. L'IDF ha intercettato ed eliminato questi terroristi. È importante ricordare che ieri, mentre stava succedendo tutto questo, Israele ha continuato a fornire acqua, elettricità e generi alimentari alla striscia di Gaza. Oltre 170 camion con i rifornimenti sono stati fatti passare nella striscia di Gaza tra ieri e oggi per assicurare forniture ai palestinesi.
Questa mattina (mercoledì), a Tel Aviv si sono sentite di nuovo le sirene. Qui non era ancora mezzogiorno e già 30 razzi erano stati sparati verso Israele dalla striscia di Gaza da parte dei terroristi di Gaza (Hamas e Jihad Islamica).
I titoli delle notizie di oggi in Israele sono: Medina Tachat Esh, che significa: Un paese sotto il fuoco. Nessun paese al mondo potrebbe tollerare questi atti di terrorismo. Israele ha il diritto di difendere i suoi cittadini e combattere i terroristi.
Siamo stupiti, dopo tanti razzi sparati contro Israele, che pochissimi israeliani siano stati feriti. Nel Salmo 121:4 si dice: Colui che custodisce Israele non sonnecchia e non dorme.
Come abbiamo detto ai credenti locali israeliani della nostra congregazione, la sensazione travolgente è un sentimento di pace e di fiducia nel Dio di Israele. Siamo convinti che è Lui che ci vuole veder passare attraverso questi tempi, ed è Lui che ci libererà dai nostri nemici.
Chiediamo a voi, credenti e intercessori, di stare con noi in preghiera per Israele e per la pace di Gerusalemme. Pregate specificamente per questo: protezione per i nostri soldati e cittadini, sapienza per i nostri leader, vittoria sulla nostra paura e sul nostro nemico, e salvezza per tutto Israele.
Benedizioni nel nostro Messia,
Avi & Chaya Mizrachi

(Notizie su Israele, 9 luglio 2014)


Perché stiamo di nuovo combattendo a Gaza?

Perché l'ostilità totale contro Israele è la ragion d'essere di Hamas

di David Horovitz

Benvenuti nell'ultima puntata della surreale realtà d'Israele, in questo malefico, instabile, e tanto religioso Medio Oriente.
A nord, imperversa l'anarchia in Siria, con un conflitto spietato che ogni tanto trabocca minacciosamente al di qua del nostro confine: un conflitto con più 150.000 morti, milioni di profughi, indifferenza globale e medici siriani che mandano i loro feriti in Israele dove gli viene salvata la vita.
A est, ci troviamo di fronte a estremisti palestinesi che si sono dimostrati capaci di rapire e uccidere non solo i nostri soldati, ma anche i nostri adolescenti. Più a est, gli estremisti dello "Stato Islamico (dell'Iraq e del Levante)", tanto feroci da far sembrare al confronto relativamente miti gli altri gruppi terroristici, fanno conquiste in Iraq e puntano a minacciare la Giordania (che confina con Israele). Nelle loro vicinanze, il regime iraniano, che detesta Israele, pretende un numero di centrifughe (per arricchire l'uranio) venti volte più alto di quello che una comunità internazionale assai incline al compromesso potrebbe consentire per il suo "pacifico" programma nucleare....

(israele.net, 9 luglio 2014)


Il "fronte delle carceri" dietro il rapimento dei giovani israeliani

Nuovi rischi dalla frammentazione di Hamas

di Maurizio Molinari

Quanto avvenuto dal 12 giugno, giorno del rapimento dei tre ragazzi ebrei in Cisgiordaia, descrive come sono quattro i fronti della sfida fra Benjamin Netanyahu e Hamas. Il primo, e più evidente, è il conflitto con la leadership a Gaza: guidata da Ismail Haniyeh e con Mahmud al Zahar nel ruolo di leader della linea dura, può contare sulle brigate Al Qassem e un arsenale di migliaia di razzi, costituendo per Israele una minaccia militare diretta.
   Poi c'è Hamas in Cisgiordania, ovvero il gruppo politico cresciuto in opposizione all'Autorità nazionale palestinese che le forze di sicurezza israeliane hanno decimato con oltre 400 arresti. In questo caso i leader di Hamas costituiscono per Israele soprattutto una minaccia politica perché sono loro ad aver tessuto il negoziato con Abu Mazen che ha portato all'intesa in maggio sulla nascita di un governo di unità nazionale. Non a caso Sheikh Hassan Yousef, con l'ufficio a Ramallah, in aprile fu il primo leader di Hamas a dirsi a favore del-l'«accettazione di Israele in caso di pace».
   Ma né Haniyeh né Hassan Yousef hanno rivendicato il rapimento dei ragazzi israeliani e quando Netanyahu ha puntato l'indice contro Hamas ha fatto i nomi di Marwan Qawasmeh e Amer Abu Aisha ovvero due militanti dell'ala militare con in comune appartenere a famiglie di Hebron con molti parenti in carcere. Si arriva così all'ipotesi che il sequestro di Eyal, Gilad e Naftali possa essere stato ordinato dai leader di Hamas che si trovano nelle prigioni di Israele, dove hanno intrapreso diverse forme di protesta - incluso lo sciopero della fame - guidati da personaggi come Ibrahim Hamed, condannato nel 2010 a ergastoli multipli per attacchi terroristici.
   Non si può escludere che Qawasmeh e Abu Aisha abbiano agito su mandato della «Hamas delle carceri» nell'intento di ottenere la liberazione di un importate numero di detenuti, inclusi propri famigliari. Il tentativo è fallito per la somma fra scarsa preparazione dei sequestratori e l'imprevisto della telefonata di un rapito alla polizia, ma colpisce che l'unico a parlare a favore dei rapitori sia stato Khaled Mashaal ovvero il leader di Hamas all'estero, oggi in Qatar dopo essere stato sotto la protezione dei Fratelli Musulmani egiziani. E questa frammentazione di leader e strategie che prospetta il rischio di un'implosione interna di Hamas simile a quella avvenuta nei gruppi jihadisti in Iraq e Siria: dando vita ad una galassia di cellule destinata a moltiplicare i pericoli per la sicurezza di Israele.

(La Stampa, 9 luglio 2014)


Manifesti antisemiti a Roma, la comunità ebraica: «Riportano ai tempi di nazismo»

I manifesti antisemiti apparsi sul palazzo della delegazione palestinese
«Abbiamo visto le foto dei manifesti che sono stati affissi sulla facciata del palazzo che ospita la delegazione palestinese a Roma e siamo sconcertati davanti a tanto odio non solo contro Israele ma anche anti-ebraico - dichiara in una nota la Comunità Ebraica di Roma - Le immagini, le iconografie, ci trasportano indietro nel tempo fino agli anni più bui delle persecuzioni razziali, quando i regimi nazisti e fascisti utilizzavano vignette come quelle affisse oggi su un muro di Roma per denigrare gli ebrei e discriminarli».
«Sono le stesse immagini che vengono utilizzate dalla propaganda palestinese contro Israele - prosegue - L'ultima volta che abbiamo visto alzarsi tanto l'asticella dell'odio contro gli ebrei è stato nel 1982, poco prima dell'attentato del 9 ottobre. Stiamo ora valutando con i nostri avvocati di sporgere denuncia contro ignoti, questo clima non ci piace e non può essere tollerato».

(Il Messaggero, 8 luglio 2014)


"Hamas pagherà un caro prezzo"

di Daniel Reichel

Esplosioni e sirene scuotono il sud di Israele. Nelle sole ultime ventiquattro ore il gruppo terroristico di Hamas e le altre fazioni estremiste della Striscia di Gaza hanno lanciato oltre cento razzi contro il territorio israeliano. Una violenza a cui lo Stato ebraico ha risposto con l'operazione Margine Protettivo, intesa a fermare le minacce proveniente da Gaza. Dall'inizio dell'operazione, l'esercito israeliano (Idf) ha colpito novanta obiettivi, incluse case utilizzate da Hamas e dai miliziani jihadisti, postazioni di lancio dei razzi, tunnel sotterranei, campi di addestramento e altri centri usati per attività terroristiche. Nelle ultime ore, secondo fonti palestinesi riportate dal Jerusalem Post e da Ynet, 5 miliziani di Hamas sarebbero morti in seguito a un attacco israeliano. Il grande interrogativo è se l'operazione Margine Protettivo si trasformerà anche in un'operazione via terra. Per il momento infatti le azioni non hanno coinvolto i reparti terrestri ma l'opzione non è stata esclusa sia dai vertici militari sia dallo stesso primo ministro Benajamin Netanyahu. "Hamas ha scelto l'escalation di violenza e ne pagherà le conseguenze", ha dichiarato Netanyahu che avrebbe ordinato alle forze armate di preparasi per un'operazione prolungata a Gaza. A riassumere il significato della risposta israeliana, il tweet dell'Idf, "Hamas non sarà al sicuro fino a che continuerà a minacciare le vite dei civili israeliani". Il portavoce dell'esercito ha confermato il possibile impegno delle truppe di terra a Gaza, area sotto il controllo di Hamas dal 2007. Secondo il Times of Israel stanno crescendo le voci che suggeriscono di "riprendersi la Striscia di Gaza", lasciata nel 2004 con la decisione dell'allora primo ministro d'Israele Ariel Sharon di portare a termine il Piano di disimpegno unilaterale. Tra coloro che vorrebbero ritornare nella zona, controllata da Hamas ma in cui sono emersi nuovi gruppi estremisti, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, che ieri ha annunciato la dissoluzione dell'accordo elettorale con il Likud: il suo Israel Beitenu rimane nella coalizione e sosterrà il governo Netanyahu ma in maniera indipendente. Tra i motivi dello strappo, proprio la questione dell'intervento a Gaza, su cui inizialmente il primo ministro è rimasto molto cauto. L'intensificarsi delle violenze e la pioggia di razzi scagliata da Hamas contro Israele ha cambiato le carte in tavola. Sono stati richiamati in queste ore 40mila riservisti in preparazione di una possibile operazione sul campo. Dure le parole del parlamentare del Likud Ze'ev Elkin, capo della commissione Esteri e Difesa della Knesset. "Il terrorismo islamico di Gaza, che punta contro di noi migliaia di razzi, non è venuto fuori per caso. È accaduto a causa di nostri errori, uscire da Gaza e lasciare che Hamas partecipasse alle elezioni del 2006". "È chiaro che qualsiasi altro atto - continua Elkin, in riferimento ad altre azioni che non portino a riprendere Gaza - servirà solo come deterrente fino alla prossima volta che ci vorranno mettere nuovamente alla prova".
   "È il nostro diritto provvedere alla sicurezza dei nostri cittadini - ha affermato il ministro della Giustizia Tzipi Livni, intervenendo a una conferenza di pace organizzata dal quotidiano Haaetz (che ha visto la partecipazione del presidente di Israele Shimon Peres, del ministro all'Economia Naftali Bennet, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas) - La domanda ora è: quale il modo giusto per farlo? E questo dipende soprattutto da Hamas e fino a che punto non permetterà ai cittadini israeliani di vivere in pace".

(moked, 8 luglio 2014)


Netanyahu chiede alle truppe di prepararsi a un'offensiva di terra a Gaza

IL CAIRO, 8 lug. - Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha chiesto alle forze armate israeliane di prepararsi per una possibile offensiva di terra nella Striscia di Gaza nel corso di un incontro al ministero della Difesa di Tel Aviv. Lo ha riferito una fonte governativa al quotidiano "Haaretz". All'incontro hanno preso parte, tra gli altri, il ministro della Difesa, Moshe Ya'alon, il capo di Stato maggiore della Difesa, Benny Gantz, e il direttore dello Shin Bet (l'agenzia d'intelligence interna), Yoram Cohen.

(AGI, 8 luglio 2014)


Abu Mazen a Israele, stop "immediato" ai raid su Gaza

RAMALLAH, 8 lug. - Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha chiesto a Israele di fermare "immediatamente" l'escalation dell'offensiva e i raid su Gaza. Il capo dell'Anp ha anche sollecitato la comunita' internazionale affinche' "intervenga immediatamente per fermare questa pericolosa escalation che potrebbe portare la regione verso ulteriore distruzione e instabilita'". Nel comunicato diffuso dall'ufficio di presidenza palestinese, si aggiunge che Abu Mazen sta facendo "appelli pressanti e urgenti" a molti leader arabi nella speranza che facciano pressione su Israele e lo inducano a decelerare l'offensiva.

(AGI, 8 luglio 2014)


Interessante. Il presidente dello stato da cui partono razzi contro lo stato vicino non dice e fa qualcosa per far cessare i lanci dal territorio su cui esercita l’autorità responsabile, ma chiede imperiosamente che cessino i bombardamenti dello stato vicino. Dice insomma Abu Mazen a Israele: “Tenetevi i nostri razzi, e zitto!” E sembra che nessuno ci trovi qualcosa di strano. M.C.


Una nuova vittima dell'odio: diciannovenne israeliana uccisa da un tassista arabo

Mentre le famiglie dei ragazzi israeliani uccisi e quella del giovane palestinese bruciato vivo invitano alla pace, la soluzione di un caso finora irrisolto aumenta dolore e tensione nel paese.

 
Shelly Dadon
Mentre Israele è ancora sconvolta per l'assassinio di tre ragazzi israeliani, rapiti da terroristi palestinesi in Cisgiordania e ritrovati morti 18 giorni dopo, e per l'abominevole, definita proprio così dal premier Netanyahu, vendetta di un gruppo di estremisti ebrei che hanno bruciato vivo un adolescente arabo di Gerusalemme Est, una nuova notizia accresce il dolore e la tensione nel paese: Shelly Dadon, la 19enne ebrea-israeliana ritrovata cadavere il primo di maggio, è stata uccisa, per motivi "di odio nazionalistico" da un tassista arabo.
L'uomo, Hassin Yussef Hasin Halifa, 38enne di un villaggio della Galilea, dopo una lunga detenzione ha infine confessato il suo crimine, fornendo dettagli che non erano ancora stati resi pubblici. Il tassista ha ucciso la ragazza dopo che questa aveva chiesto di essere portata a un colloquio di lavoro.

- Il dolore condiviso delle famiglie di tutti i ragazzi uccisi
  Lodevole iniziativa del sindaco di Gerusalemme Nir Barkat: in una cerimonia pubblica in ricordo delle vittime degli ultimi giorni, il primo cittadino ha facilitato il dialogo tra le famiglie dei ragazzi israeliani e di quella del ragazzo palestinese uccisi negli ultimi giorni. Particolare commozione hanno destato le parole di condoglianze che lo zio di uno dei ragazzi israeliani morti, Yishai Frankel, ha rivolto al padre di Mohammed Abu Khdeir: "Come persona che ha perso un familiare, comprendo il dolore e la pena, e voglio esprimere la nostra totale avversione alla violenza tra il popolo ebraico e quello arabo".

(Today, 8 luglio 2014)



     Tornate o figli traviati, dice l'Eterno,
     poiché io sono il vostro signore,
     e vi prenderò, uno da una città, due da una famiglia,
     e vi ricondurrò a Sion;
     e vi darò dei pastori secondo il mio cuore,
     che vi pasceranno con conoscenza e con intelligenza.
     E quando sarete moltiplicati e avrete fruttato nel paese,
     allora, dice l'Eterno, non si dirà più: 'L'arca del patto dell'Eterno!'
     non vi si penserà più,
     non la si menzionerà più,
     non la si rimpiangerà più,
     non se ne farà un'altra.
     Allora Gerusalemme sarà chiamata 'il trono dell'Eterno';
     tutte le nazioni si raduneranno a Gerusalemme
     nel nome dell'Eterno,
     e non cammineranno più secondo la caparbietà
     del loro cuore malvagio.
     
     dal libro del profeta Geremia, cap.3













 

Così la "gang di Gerusalemme" ha colto di sorpresa i servizi segreti

di Maurizio Molinari

Tre dei sei estremisti ebrei arrestati per l'omicidio del giovane palestinese Mohammed Abu Khdeir collaborano con le indagini. I loro nomi restano coperti dal segreto istruttorio ma la ricostruzione minuziosa delle fasi del delitto, come dei rapporti fra loro, consente allo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna di avere un'idea più chiara di quanto avvenuto. Sono le indiscrezioni che trapelano dalla polizia a consentire di mettere assieme i tasselli.
   Anzitutto i sei estremisti fanno parte di un «gruppo molto unito» che include «due fratelli» e «legami fra i componenti». In secondo luogo i «luoghi di provenienza» sono la città di Gerusalemme, il centro di Beit Shemesh nelle vicinanze e l'insediamento di Adam in Cisgiordania, ad appena 15 km dalla città. Da qui l'ipotesi che lo Shin Bet sia stato colto di sorpresa da una «gang di Gerusalemme» che includerebbe, secondo quanto riporta «Haaretz», almeno un ultraortodosso alzando il velo su una realtà finora poco considerata: la confluenza fra estremismo nazionalista e elementi delle sette religiose più intolleranti. A tale proposito Beit Shemesh è ricca di indizi e tracce perché è qui che, nell'ultimo anno, alcune sette ultraortodosse sono state protagoniste di episodi di intolleranza verso i laici e le donne che hanno fatto scalpore. «Dobbiamo ammettere che non avevamo previsto la degenerazione assassina dei gruppi nazionalisti più estremi» afferma un alto responsabile della sicurezza, chiedendo l'anonimato, con un mea culpa che investe polizia, intelligence e Shin Bet. Il paragone più ricorrente è con il precedente degli anni Ottanta: allora un gruppo clandestino di estremisti venne debellato prima di poter mettere a segno il piano di far esplodere la moschea di Omar nelle Città Vecchia mentre in questa occasione il sistema di sicurezza ha fallito nella prevenzione.
   Se i tre pentiti collaborano è perché nelle accuse contro di loro c'è «organizzazione terroristica» ovvero la stessa adoperata nei confronti di Hamas e Jihad islamica, creando le premesse per «pene severissime» come il premier Benjamin Netanyahu ha assicurato al padre del ragazzo assassinato in una lunga telefonata personale di condoglianze.
   Per almeno una settimana i 6 arrestati non avranno diritto di assistenza legale e l'intento della polizia è di ricostruire la dinamica interna della «gang di Gerusalemme» che include membri di tre aree urbane contigue: la città, le zone limitrofe entro la linea verde del 1967 e gli insediamenti in Cisgiordania. Adam è uno di questi: 6000 residenti popolano la cima di una collina con aiuole, alberi verdi, supermercati, scuole e campi sportivi che ricordano i sobborghi delle città americane. Il segretario generale di Adam, con le mansioni di sindaco, è Beber Vanunu che nel 1984 lo fondò. «L'idea che uno di noi abbia commesso questo orribile delitto è infondata - assicura - ho controllato la lista di tutti i residenti con il ministero degli Interni e non manca nessuno all'appello, deve trattarsi di un errore». Ma il presidente Shimon Peres e il successore Reuven Rivlin prendono la minaccia della «gang» molto sul serio: in un articolo a quattro mani su «Yedioth» citano Bialik, il poeta del risorgimento ebraico, per trasmettere il messaggio «niente vendette» tentando di estirpare il seme dell'odio che ha contaminato i «figli perduti d'Israele» uccidendo il giovane Muhammed.

(La Stampa, 8 luglio 2014)


Locandina


La lezione di civiltà di Israele: arrestati i killer del palestinese

Sono sei nazionalisti ebraici i presunti autori del delitto del ragazzo arabo Mentre a Gaza si inneggia e si coprono i carnefici dei tre giovani ebrei. Netanyahu: «Da noi non c'è spazio per gli assassini». Noi processiamo i killer, voi li esaltate nelle scuole».

di Maria Giovanna Maglie

«Noi processiamo i killer, i palestinesi li esaltano nelle scuole» dichiara Benjamin Netanyahu. Basterebbe questa frase, e l'articolo sull'abisso esistenziale tra Israele e Hamas sarebbe scritto. Sembra confermato, visti gli arresti e l'isolamento al quale sono sottoposti, che ad uccidere il ragazzino arabo a Gerusalemme Est siano stati dei nazionalisti israeliani. In attesa di un processo e di una punizione, la cronaca è semplice, come accade in democrazia. Gli investigatori israeliani hanno rapidamente individuato i presunti colpevoli, che sono israeliani; il fatto che siano israeliani non ha deviato né corrotto le indagini. Ci sono sei milioni di ebrei in Israele e in mezzo a una società complessa e articolata non mancano i criminali comuni né quelli politici, ci sono gli ortodossi religiosi, i non credenti, gli antisionisti. Nessuno neanche ira i sostenitori più sfegatati di Israele si sogna di definirla una società perfetta, ci mancherebbe che si presentasse come uno Stato etico. Ma certo è una società e una democrazia che combatte l'attività criminale, che condanna i colpevoli, che usa in modo appropriato lo strumento della giustizia. Il ragazzino arabo ucciso è una vittima che ha già ottenuto la solidarietà di Israele, nessuna complicità nessun compiacimento e nessuna giustificazione per i criminali, figurarsi l'argomento specioso della grave provocazione, della reazione estrema ma giustificata al rapimento e massacro dei tre ragazzi israeliani.
   «Noi processiamo i killer, i palestinesi li esaltano nelle scuole»: non è solo la frase a effetto di un premier pur in grande difficoltà politica perché gli tocca mettere freno e di corsa a una frangia di estremisti criminali. E il test, la prova della differenza fra le parti in causa. Mai - e dico mai - sentirete pronunciare frasi come quelle che seguono a un esponente palestinese, per moderato che si definisca o che insistano a definirlo. «Gli autori di questo crimine orrendo devono essere condannati con i termini più duri - ha detto ancora Netanyahu - e subiranno il potente impatto della legge, perché nella società israeliana non c'è spazio per gli assassini, ebrei o arabi». E il presidente di Israele, Shimon Pers, da Sderot: «Non c'è differenza fra sangue e sangue, un killer è un killer e sarà punito con la forza della legge perché siamo uno Stato di diritto». Vediamo quanto lo è. I sei estremisti ebrei sono stati arrestati dalla polizia israeliana per l'omicidio del giovane palestinese Mohammed Abu Khdeir. Considerati dei terroristi, per dieci giorni non possono incontrare un legale. Il loro interrogatorio serve per continuare le indagini, gli apparati di sicurezza intendono infatti sgominare il vertice del gruppo, nato fra i coloni che Ariel Sharon costrinse a lasciare Gaza, ma anche cresciuto fra gli ultrà della squadra di calcio del Beitar.
   Niente del genere è avvenuto o potrebbe avvenire dall'altra parte, nell'Autonomia Palestinese. Non solo gli assassini dei tre ragazzini sono ancora liberi, ma sono osannati nelle strade e nelle manifestazioni.Nessun dubbio che siano militanti di Hamas, che non è un gruppo fuorilegge e neanche una falange annata almeno ufficialmente condannata e rigettata, ma un'organizzazione che fa parte del governo, ufficialmente armata, sovrana e dominante. Da Gaza lanciano missili senza interruzione sui villaggi israeliani, e lo rivendicano, come hanno fatto anche ieri. Abu Mazen, che nonostante questa alleanza che è di fatto un passaggio di potere, continua ad essere indicato in Europa e all'Onu come il leader moderato di una istituzione che ha diritti di rappresentanza pari a quelli di uno Stato sovrano, anche questa volta sostiene l'idea del «ciclo della violenza» dei coloni dei territori; lo ha fatto in una lettera a Ban Ki-moon, segretario delle Nazioni Unite, in cui chiede che i coloni, e non un gruppo di estremisti criminali che Israele ha già catturato, vengano definiti «organizzazioni terroristiche» e che «si indaghi contro i crimini e le violazioni contro il popolo palestinese».
   Il governo israeliano sta limitando al minimo le azioni di contenimento anche se i missili di Hamas non danno tregua, spera nella tregua che l'Egitto sta negoziando. Ma i giovani palestinesi gridano «Intifada! Intifada!»,lanciano pietre e bottiglie molotov nelle strade di Gaza. Questa è la situazione. Un ultimo esempio di double standard. Un conducente di taxi arabo, Hussein Khalifa,è stato arrestato domenica; due mesi fa aveva preso a bordo come cliente Shelly Dadon, una ragazza di diciannove anni che andava a un colloquio di lavoro, lui l'ha uccisa per puro odio pugnalandola. Ma sui giornali imperversano nell'ordine: la madre del ragazzo arabo ucciso, Suha Abu Khdeir, che dice della giustizia israeliana: «Faranno loro qualche domanda e poi li manderanno a casa, dovrebbero distruggere le case come fanno con i nostri»; e la disavventura capitata a Tariq, il cugino della vittima, quindici anni e cittadino americano, che è stato picchiato dai poliziotti durante i disordini a Shuafat.

(Libero, 8 luglio 2014)


Comunicato dall'Unione delle Comunità ebraiche il calendario 2015 delle festività

di Elena Grasso

Il calendario ebraico
E' stato reso noto il calendario delle festività ebraiche relative all'anno 2015. L'Unione della Comunità ebraiche italiane l'ha reso noto a fine giugno, come stabilito dall'art.5 comma 2 della legge 8 Marzo 1989, n.101, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Comunità ebraiche, emanata sulla base dell'intesa stipulata il 27 Febbraio 1987. Il calendario delle festività ebraiche, che ricadono di regola nell'anno solare successivo, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e comunicato al Ministero dell'Interno.
Tra le feste più importanti, il sabato (da Sabbath, "cessare"), momento sacro che ricorda il giorno in cui il Signore conclude la creazione. In questo giorno, che inizia al tramonto del Venerdì e si conclude all'apparire delle prime stelle del Sabato, l'ebreo osserva l'assoluto riposo. Venerdì 3 Aprile 2015 si festeggia la Viglia di Pesach (la Pasqua ebraica), che ricade invece nei giorni di Sabato 4 e Domenica 5 Aprile 2015, e di Venerdì 10 e Sabato 11 Aprile 2015. In questo mese, chiamato anche mese di Nissan, viene ricordata la liberazione del popolo israelita dalla schiavitù dell'Egitto. Nella Bibbia ebraica, il nome di pesach è riservato soltanto al giorno 14 del mese di Nisan, in ricordo del Korban fatto dal popolo ebraico e mangiato con Matzot ed erbe amare. I successivi 7 giorni vengono chiamati Festa dei pani non lievitati, quanto confermato dal versetto di Numeri 28,16: "E il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sarà la Pasqua del Signore".
Il Rabbi dà alla comunità una catechesi sui precetti di Pesach, mentre alla vigilia i primogeniti digiunano in memoria del castigo che si abbatté sull'Egitto.
Domenica 24 e Lunedì 25 Maggio, invece, è la festa della Pentecoste (Shavuot) e Domenica 26 Luglio il Digiuno del 9 di Av.
Le altre date sono:
Lunedì 14 e Martedì 15 Settembre - Capodanno (Rosh Hashanà)
Martedì 22 Settembre - Vigilia del Kippur
Mercoledì 23 Settembre - Kippur (Digiuno di espiazione)
Lunedì 28 e Martedì 29 Settembre - Domenica 4 e Lunedì 5 Ottobre - Festa della Capanna (Sukkot)
Martedì 6 Ottobre (Festa della Legge)

(24live.it, 7 luglio 2014)


Israele non ha replicato perché è grata ai sauditi

di Michele Pierri

Tre ragazzi israeliani sono stati assassinati. Un ragazzo palestinese è stato successivamente ucciso. I palestinesi israeliani sono insorti ed è scoppiata la guerriglia. La situazione israelo-palestinese è tornata al brutto stabile? Non è d'accordo Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss e curatore del rapporto «Nomos e Kaos» di Nomisma, che in questa conversazione spiega e analizza che cosa sta succedendo in questa regione.

- Professore, la morte dei tre ragazzi israeliani rapiti mette a repentaglio il percorso di pace tra Israele e Palestina?
  Secondo me, no. Ci sono novità importanti e positive in Medio Oriente, anche in quelle zone, ma non bisogna dimenticare che si tratta di società molto complesse.

- Eppure sembra passato un secolo dalla preghiera in Vaticano con Shimon Peres e Abu Mazen.
  Credo che questa volta gli israeliani non siano caduti in un tranello che viene loro teso spesso. C'è chi prova a guadagnare consenso sparigliando le carte e sapendo bene qual è la reazione di Tel Aviv. La cultura politico-strategica di Israele la porta a rispondere a episodi di questa violenza con forti rappresaglie. Stavolta invece la reazione è stata ferma, ma contenuta, segno che qualcosa è cambiato.

- Chi sono gli attori che puntano a destabilizzare?
  Tra questi vi sono frange minoritarie di Hamas che non condividono il percorso di dialogo e gruppi jihadisti.

- Nel cambiamento d'Israele c'è anche un suo ruolo differente nella regione?
  Non si può non tenere conto del legame speciale che Tel Aviv ha stretto con i sauditi. Verso questi ultimi, Israele nutre un discreto senso di riconoscenza per aver portato a compimento la controrivoluzione egiziana, che ha allontanato la minaccia di avere la Fratellanza musulmana al di là dei propri confini. Anche per questo non può o non se la sente di esagerare nelle risposte contro Hamas. Anzi ha dato prova di moderazione, a dispetto delle pressioni interne che spingono chi è al governo a un maggiore interventismo per scacciare i timori che le tragedie del passato, come l'Olocausto, possano ripetersi.

- E invece Hamas come si pone in questo nuovo equilibrio?
  Un punto interrogativo finale riguarda proprio l'organizzazione. Non è di dominio pubblico se al momento ci sia un accordo regionale tra Hamas e Fatah. Ma se questa intesa esiste, Israele ne è sicuramente al corrente e per questo avrebbe potuto decidere di osservarne da lontano l'evoluzione.

(ItaliaOggi, 8 luglio 2014)


Tutto quello che Obama sapeva e ha ignorato sullo Stato islamico

Da novembre 2013 sono arrivati molti allarmi alla Casa Bianca. Come in Siria, le prove non sono bastate.

di Paola Peduzzi

ROMA -. "E' falso sostenere che nessuno ha saputo prevedere un disastro come la caduta di Mosul" in Iraq, dice Ali Khedery, che ha lavorato come consigliere all'ambasciata americana a Baghdad, a Eli Lake, giornalista esperto di intelligence e di affari militari che lavora al Daily Beast. Gli esperti sapevano che lo Stato islamico stava crescendo in Siria e in Iraq e che le Forze armate irachene non sarebbero riuscite a fermarlo, e lo hanno comunicato a più riprese alla Casa Bianca. Cioè: lo Stato islamico non è una sorpresa per Barack Obama, anzi, il presidente americano ha avuto più di un'occasione per avviare operazioni di contenimento, ben prima che il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, si presentasse pubblicamente al mondo islamico - se davvero era lui, venerdì scorso, nella moschea di Mosul - e chiedesse obbedienza al suo califfato. Eli Lake ripercorre la cronologia dei "warning" arrivati a Obama, i più recenti: primo novembre 2013, il premier iracheno Nouri al Maliki in visita a Washington chiede militari americani (che aveva cacciato in malo modo due anni prima) per imparare a fare attacchi aerei mirati e contenere "l'insurrezione sunnita". Dodici giorni dopo, Brett McGurk, il più alto in grado del dipartimento di stato americano a Baghdad, consegna al Congresso un documento che racconta la brutalità e la voracità dello Stato islamico che "s'avvantaggia di un contesto operativo agevole grazie alla debolezza delle Forze armate irachene e delle loro misere strategie operative, oltre che delle lamentele popolari, mai prese in considerazione, nelle province di Anbar e Ninive". Entrambi gli allarmi non sono stati ascoltati, ma quando Obama ha infine deciso di finanziare Maliki con armi sofisticate per il valore di circa 11 miliardi di dollari, non si è preoccupato di legare i fondi a una qualche richiesta imposta a Baghdad (richieste che ora Washington fa a gran voce, senza essere più ascoltata). Secondo Eli Lake, il problema per il presidente è che non c'è mai stata una via percorribile in Iraq, e così la strategia s'è imposta da sola: fingere di non vedere.
  E' il motivo per cui anche l'attività di intelligence è stata ridotta e diffidente: Maliki concedeva ai droni americani di fare una ricognizione al mese e così è stato, anche dopo che è caduta Fallujah, a gennaio, e la minaccia dello Stato islamico è diventata quasi mainstream. Oggi gli esperti dicono che le attività di al Baghdadi - uomo abile al quale nemmeno i suoi davano molta fiducia, in tutte le biografie si parla di "oscuro funzionario" del jihad, un burocrate diventato leader per caso - erano facilmente visibili e controllabili, se ci fosse stata la volontà politica di accettare poi le conseguenze delle scoperte fatte, e reagirvi. E' il senno di poi? Non proprio. Questo stesso meccanismo - fare finta di non vedere - è stato applicato alla Siria, che non a caso è il luogo in cui lo Stato islamico ha potuto diventare forte e popolare, in cui ha sperimentato le sue tattiche brutali, in cui ha creato un tesoretto, in cui ora fa sfoggio di tutte le armi rubate agli americani.
  Quando ci fu in Siria l'attacco con le armi chimiche il 21 agosto del 2013, quello della linea rossa violata per intenderci, l'intelligence ci mise più tempo del previsto a comunicare a Obama quel che stava accadendo quasi volesse, così scrisse il Wall Street Journal, "proteggere" la Casa Bianca dalle brutte notizie - e dall'eventualità funesta di una guerra. Il non intervento ha permesso al conflitto in Siria di continuare, rafforzando i duri, come il regime di Assad e lo Stato islamico, e indebolendo i ribelli siriani. Oggi siamo di nuovo di fronte a un momento-verità: Stephen Rapp, l'inviato per crimini di guerra del dipartimento di stato, ha avuto modo di visionare il materiale fotografico fornito all'intelligence occidentale da "Caesar", fotografo scappato dal regime di Assad (il Foglio ha pubblicato alcune di quelle foto il 22 gennaio scorso), e ha detto, parlando all'Atlantic Council il 3 luglio scorso: "Non sono abituato a vedere prove tanto schiaccianti". Di che cosa? "Di un tipo di sistematica crudeltà che non vedevamo dai tempi del nazismo. Stiamo parlando di più di diecimila persone uccise in prigione dal 2011 al 2013, soprattutto uomini, ma anche uomini davvero giovani, ragazzi, donne". Quando i 28 mila scatti di Caesar divennero pubblici a gennaio, proprio durante i colloqui di Ginevra 2, i russi chiesero di poterli visionare in modo indipendente e parlarono di un'azione di propaganda occidentale contro la pace che si stava negoziando a Ginevra con russi, siriani e iraniani alleati. Gli stessi che ora combattono contro "la minaccia comune" dello Stato islamico, approfittando della passione tutta obamiana per la "neutralità".

(Il Foglio, 8 luglio 2014)


«Canessa fu uno dei giusti su cui si regge la salvezza del mondo»

Il ricordo di Guido Guastalla nel giorno della morte di Mario Canessa. È grazie a Guastalla se oggi conosciamo la storia di Canessa salvatore di ebrei: così lo Yad Vashem lo ha proclamato Giusto tra le Nazioni.

 
Mario Canessa
Mario Canessa ci ha lasciato in un caldo inizio di luglio del 2014. Ma la sua storia rimarrà scolpita in eterno nella memoria degli uomini di buona volontà.
   La storia dei giusti è spesso una storia particolare per non dire strana. E quella di Mario Canessa non sfugge alla regola. A 91 anni riceve dallo Stato di Israele il riconoscimento di "Giusto fra le Nazioni", il più alto dello Stato ebraico, e dallo Stato italiano, direttamente dalle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la medaglia d'oro al valor civile. Forse come appartenente alla Polizia di Stato gli poteva essere riconosciuta quella al valor militare.
   I fatti per cui gli è stato concesso questo riconoscimento risalgono a oltre settanta anni fa, quando Mario Canessa, agente di pubblica sicurezza nel 1943 aiutò un gruppo di ebrei in Valtellina, a rischio della propria vita, a fuggire in Svizzera. Alcuni di questi ebrei sono ancora vivi e dopo aver testimoniato a suo favore presso il Tribunale di Yad Vashem a Gerusalemme, lo hanno voluto incontrare nuovamente e ringraziare. Tra questi Lino De Benedetti che all'epoca aveva nove anni e Noemi Gallia, allora sedicenne.
   Per valutare appieno il comportamento di Mario Canessa bisogna ricordare che contemporaneamente alla sua azione di salvataggio, suo fratello si trovava prigioniero in Germania. Se avesse consegnato ai tedeschi uno o più ebrei, suo fratello sarebbe stato rimesso in libertà. Mario Canessa non prese neppure in considerazione questa possibilità. «Sai - mi disse - io sono molto religioso, così come lo era mia madre; non dissi nulla neppure a lei, sapendo quali erano le sue idee e che mi avrebbe comunque approvato». In Mario Canessa prevalse l'imperativo categorico, l'etica delle intenzioni e della purezza di cuore su quella delle conseguenze e delle convenienze anche familiari. Egli è uno di quei giusti su cui si regge la salvezza del mondo, e come tale dobbiamo continuare ad onorarlo e ricordarlo.
   Finita la guerra Mario Canessa si laureò in Scienze politiche, divenne funzionario della Polizia di Stato ed arrivò ai vertici della carriera con la carica di Dirigente generale del ministero degli Interni. Di quello che aveva fatto si dimenticò, o meglio pensò che l'aver avuto una carriera prestigiosa fosse una ricompensa sufficiente.
   Mario Canessa è stato un uomo profondamente religioso, che ha praticato quella grande, somma virtù che per la tradizione ebraica e cristiana è l'Umiltà. Probabilmente come ebbe a dire Giorgio Perlasca, di fronte ad uomini trattati peggio di bestie, gli era sembrato naturale aiutarli, non si era posto troppe domande sulle leggi dello Stato, sulle conseguenze del suo comportamento.
   Mario Canessa, era uomo profondamente religioso, credente e cattolico, cavaliere del Santo Sepolcro. Può avere contribuito questo nel suo comportamento? Glielo ho chiesto più volte, ma in Mario ho sempre trovato un certo pudore, una ritrosia a parlare di sé. Vorrei ricordare però che nel 1937, precisamente il 14 marzo (Mario all'epoca doveva avere venti anni), Pio XI promulgò una lettera enciclica, indirizzata ai Venerabili fratelli arcivescovi e vescovi e agli altri ordinari di Germania. Questa Enciclica, eccezionalmente scritta in tedesco, anziché in latino, era la "Mit brennender sorge", che possiamo tradurre con "Con viva (letteralmente bruciante) ansia". Nel capitolo 8 "Riconoscimento del diritto naturale" si afferma che «È una caratteristica nefasta del tempo presente il voler distaccare, non solo la dottrina morale, ma anche le fondamenta del diritto e della sua amministrazione dalla vera fede in Dio e dalle norme della rivelazione divina... Alla luce delle norme di questo diritto naturale, ogni diritto positivo, qualunque ne sia il legislatore, può essere valutato nel suo contenuto etico e conseguentemente nella legittimità del comando e nella obbligatorietà dell'adempimento. Quelle leggi umane, che sono in contrasto insolubile col diritto naturale, sono affette da vizio originale, non sanabile con le costrizioni né con lo spiegamento di forze esterne». Più sotto conclude: «Il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla, in quella forma che ad essa conviene. Quelle leggi che sopprimono o rendono difficile la professione e la pratica di quella fede, sono in contrasto col diritto naturale».
   Mario Canessa probabilmente non conosceva l'enciclica papale, ma qualche anno dopo di fronte all'alternativa se obbedire ad una legge umana ingiusta, oppure alla legge naturale di origine divina, non ebbe il benché minimo dubbio. Nel contrasto fra l'uomo e Dio, la tradizione e l'insegnamento religioso prevedono esplicitamente la disubbidienza. In quel momento l'insegnamento e il ricordo della madre ebbero un ruolo determinante, e lo condussero, senza tentennamenti a testimoniare il bene e combattere il male.
   Erano momenti terribili nei quali non era più possibile non capire, sfuggire a una scelta; girare la testa da un'altra parte era già uno scegliere. Dice il Talmud che chi salva una vita salva il mondo; salvando una vita non si salva solo una persona, ma anche la continuità delle generazioni. Nel memoriale di Yad Vashem fra i sei milioni di vittime innocenti è ricordata la morte di un milione e mezzo di bambini. Mario Canessa appartiene perciò, e per sempre, a quella schiera di Giusti, la cui esistenza assicura la salvezza del mondo. Ma Mario Canessa riteneva di aver solo fatto il suo dovere, ciò che la sua coscienza gli imponeva di fare... Venuto a conoscenza delle sue azioni lo sollecitai a parlare. Solo dopo molte insistenze riuscii ad avere il materiale che, trasmesso alle autorità dello Yad Vashem consentirono di annoverarlo nella eletta schiera dei "Giusti".
   Grazie Mario, non ti dimenticheremo mai, e opereremo perché il tuo ricordo sia trasmesso a tutte le generazioni a venire.

(Il Tirreno, 7 luglio 2014)


Quell'estate del 1555 quando gli ebrei romani furono esiliati nel ghetto

La nascita del ghetto nella Roma del '500

di Giuseppe Serao

 
Il recinto del ghetto in un particolare della mappa di Matthaeus Merian del 1642
Nel luglio 1555, con la bolla Cum nimis absurdum papa Paolo IV limitò i diritti della comunità ebraica dello Stato della Chiesa e impose l'istituzione del ghetto. Da quel momento in poi, gli ebrei a Roma avrebbero dovuto vivere in una o più strade contigue, separate dalle abitazioni dei cristiani. Questa imposizione fu accompagnata da varie clausole, quali il divieto di avere servitù cristiana, la possibilità di commercio solo di stracci e vestiti usati e l'obbligo di portare il cappello o il fazzoletto giallo per uomini e donne. Lo scopo primario del ghetto doveva essere quello di accelerare la conversione degli ebrei e la dissoluzione della loro cultura Ma - come mostra Kenneth Stow, uno dei massimi esperti di storia degli ebrei italiani, nel prezioso volume Il Ghetto di Roma nel Cinquecento - già prima del 1555 gli ebrei romani avevano sviluppato modelli di comportamento individuali e comunitari in grado di poterli sostenere anche nei periodi più duri.
   Dopo la creazione del ghetto, la comunità ebraica riuscì a rafforzare ulteriormente le proprie strategie di acculturazione e a sviluppare quindi una microcultura che ne salvaguardò l'identità attraverso i secoli. Grazie ad un sapiente gioco delle parti, gli ebrei romani misero in scena un "teatro sociale" in grado di farli sopravvivere, restando ebrei e romani, all'interno di un ambiente cristiano che le gerarchie ecclesiastiche avrebbero voluto dominante e oppressivo. Sostenuta da un ricchissimo quadro di riferimenti bibliografici, la ricerca dello studioso di storia ebraica presso l'università di Haifa si sofferma, tra i numerosi snodi storico-culturali, anche sul quadro politico internazionale che influenzò la creazione del ghetto: per molti studiosi, la spinta a "recludere" la comunità ebraica costituì la risposta del papato alle pressioni spagnole, tendenti nel XVI secolo alla definitiva espulsione degli ebrei dall'Occidente.

(la Repubblica, 7 luglio 2014)


Alitalia, più offerta sulla Roma-Tel Aviv

Dal 1o luglio la compagnia ha trasferito le operazioni di accettazione (check in) dei voli diretti verso Israele dal Terminal 3 al Terminal 1, il primo per chi arriva a Fiumicino.

Importanti novità per i collegamenti Alitalia fra Roma Fiumicino e Tel Aviv. Dal 1o luglio la compagnia ha trasferito le operazioni di accettazione (check in) dei voli diretti a Tel Aviv dal Terminal 3 al Terminal 1, il primo per chi arriva all'aerostazione.
Nel Terminal 1, dedicato esclusivamente ai collegamenti di Alitalia e delle compagnie partner, i clienti in viaggio per Tel Aviv avranno a disposizione banchi check-in dedicati nell'isola numero 3 del Terminal, divisi fra quelli Sky Priority - banchi 161 e 162 - dedicati ai clienti Club Freccia Alata Plus, Freccia Alata, SkyTeam Elite Plus e passeggeri della classe Ottima, e quelli per i passeggeri di classe economy - banchi dal 158 al 160 -.
I passeggeri Sky Priority potranno inoltre accedere, prima dei controlli di sicurezza, alla sala "Dolce Vita", la lounge Alitalia più grande dell'aeroporto di Fiumicino.
Alitalia ha incrementato dal 3 luglio la propria offerta fra Roma e Tel Aviv programmando su questa rotta, per tutta l'estate, collegamenti anche con aerei Airbus A330 da 256 posti - di solito utilizzati sui voli di lungo raggio -, in particolare sui voli AZ808 (in partenza da Roma) e AZ813 (in partenza da Tel Aviv) nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato. Questa decisione si è resa necessaria in relazione alla forte domanda di traffico tra Italia e Israele: in alcuni giorni della settimana Alitalia offre su questa rotta fino a 5 voli andata e ritorno quotidiani.

(Guida Viaggi, 7 luglio 2014)


Oltremare - I cancelli della speranza
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Il viaggio da Tel Aviv è breve nonostante il traffico sostenuto del venerdì. Si entra nel paesino dal nome bucolico dopo un breve tratto in salita, e un classico ingresso stile Kibbutz o Moshav: sbarra (alzata) e casotto di controllo deserto. Poco più sotto, a destra e a sinistra della statale si vedeva un tratto del Muro, biancastro e interrotto per almeno 300 metri, e quindi inutile per ora a dividere alcunché. Appena in paese, alla destra un mini-zoo e il parco giochi con bambini che sfidano saltellando i soliti 30 gradi e oltre. Intorno colline verdi e verso l'alto casette un po' ripetitive e molto, molto nuove. Tutto qui, penso? Sei anni e mezzo in Israele, e non avevo mai passato la famigerata Linea Verde; e adesso che l'ho fatto non l'ho neanche vista?
Quando si vive la comoda vita del telavivese, con sporadiche scorribande verso nord lungo la Linea Blu, quella del mare, oppure a Gerusalemme o nel Negev, è facile dimenticarsi che tutta la parte centrale di questa terra vive sotto uno statuto diverso, ed è divisa più o meno fisicamente dal resto di Israele. Ho letto che il 4% della popolazione Israeliana vive nella zona oltre la Linea, che ha due caratteristiche: è alta (qui, 200 metri sul mare), e perciò massimamente strategica; ed è ignota alle geografie mentali di noi israeliani di pianura.
Nel pomeriggio tardo di Shabbat, passeggiata sulla promenade locale: la vista dall'alto abbraccia una porzione ragguardevole del centro di Israele. Non è una serata limpida, ma si vede lo stesso fino a Petach Tiqva e a Ramat Aviv (il nord di Tel Aviv) verso sud, e fino a Ramat HaSharon e Kfar Saba verso nord. Ho un brivido al pensiero dell'espressione "a un tiro di schioppo". A qualunque accordo si arrivi con gli abitanti di maggioranza della West Bank, sarà bene che sia un accordo che comprenda la pace perenne fra quelle alture e le nostre pianure.
Altrimenti, altro che Sha'arei Tikva (Cancelli della Speranza).

(moked, 7 luglio 2014)


"Qui non c'è spazio per gli assassini"

di Rossella Tercatin

ISRAELE. "Gli autori di questo crimine orrendo devono essere condannati con i termini più duri e subiranno il potente impatto della legge perché nella società israeliana non c'è spazio per gli assassini, ebrei o arabi". "Non c'è differenza fra sangue e sangue, un killer è un killer e sarà punito con la forza della legge perché siamo uno Stato di diritto". Così il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente Shimon Peres sono intervenuti dopo la notizia dell'arresto dei sei ragazzi israeliani presunti responsabili del terribile omicidio del sedicenne palestinese Mohammed Abu Khdeir, mentre continua l'allarme per il lancio di razzi da Gaza contro il sud del paese.
Sotto custodia dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, i sei sono sottoposti alla legislazione prevista per i sospetti terroristi e uno di loro avrebbe già confessato ammettendo il suo coinvolgimento e quello degli altri fermati (Maurizio Molinari sulla Stampa). A spingerli, la volontà di vendetta dopo il ritrovamento dei corpi di Eyal, Gilad e Naftali, stessa età di Mohammed, rapiti e assassinati da terroristi di Hamas nell'area di Gush Etzion lo scorso 12 giugno. Sul Corriere, Davide Frattini racconta anche della telefonata fra la famiglia di Naftali e quella di Mohammed, per un abbraccio nella condivisione dell'immenso dolore.
Sul Corriere e sulla Stampa si racconta anche la galassia da cui proverrebbero i colpevoli dell'omicidio del giovane palestinese: la frangia degli ultrà di estrema destra tifosi della squadra del Beitar Gerusalemme e il movimento del "Price Tag" che dal 2005 si rende colpevole di atti di vandalismo verso la popolazione araba.
"'Non è possibile': queste parole stupefatte sono state da ieri pomeriggio il leitmotiv del senso comune israeliano. La peggiore delle ipotesi si è avverata. Il diciassettenne palestinese rapito e ucciso, Mohammed Abu Khdeir, sembra sia stato veramente ucciso da un gruppo di estremisti criminali israeliani. Si tratta di sei persone di varia età arrestate ieri di cui cinque confermati, forse in parte appartenenti alla stessa famiglia nella zona di Gerusalemme, né coloni né religiosi, si dice, ma semplicemente un gruppo di esaltati ignoranti e razzisti, con precedenti criminali - il commento di Fiamma Nirenstein sul Giornale - L'opinione pubblica è orripilata e incredula: questo non ha a che fare con l'ebraismo né con Israele, ripetono tutti. Ma l'Italia ha avuto le sue Brigate Rosse, la Germania la sua Rote Arme Fraction, gli USA il Ku KluxKlan e questo non ha cambiato il carattere nazionale: minoranze criminali da chiudere in galera". Nirenstein mette anche in guardia dalla "confusione fra le operazioni di ricerca (degli assassini di Gilad, Eyal e Naftali, ancora in libertà ndr), chiamate senza ragione di rappresaglia, e l'eliminazione a Gaza dei lanciamissili di Hamas". "Due cose diverse. I missili seguitano a piovere sul sud d'Israele rendendo impossibile la vita dei cittadini e l'esercito cerca di fermarli. Il governo al momento, compie il minimo (Netanyahu è deciso a tenere una linea moderata finché sia possibile) delle azioni di contenimento. Ma l'eco di Gaza e quello delle vicende di Gerusalemme si sommano nelle strade in cui i giovani palestinesi gridano 'Intifada Intifada'. Lanciano pietre e bottiglie molotov. L'impressione della vicenda è così forte da oscurare l'arresto, sempre ieri, del guidatore di taxi arabo Hussein Khalifa, sospettato di un terribile delitto antisraeliano, quello della 19enne Shelly Dadon, colpevole di aver preso due mesi fa il taxi per andare a un colloquio di lavoro. Khalifa l'ha pugnalata a morte".

(moked, 7 luglio 2014)


Religioso iraniano: gli ebrei sono abili stregoni

"Stregoni provetti". Così Valiollah Naghipourfar, autorevole religioso iraniano, ha definito gli ebrei, accusandoli di usare i loro poteri soprannaturali contro la Repubblica Islamica. In un'intervista alla tv di stato, il professore dell'Università di Teheran si è detto certo che gli israeliani usino la magia per condurre attività di spionaggio contro l'Iran. "Gli ebrei sono molto abili con la stregoneria - ha detto - e infatti molti stregoni sono ebrei".
Per Naghipourfar, che è anche risalito alle radici storiche del presunto legame tra giudaismo e stregoneria, gli ebrei si affidano ai jinn, spiriti malvagi della tradizione islamica, come loro 'spie' in Iran, oltre che per fare dispetti di vario genere agli iraniani.

(Adnkronos, 7 luglio 2014)


Netanyahu chiama il padre del sedicenne palestinese ucciso: sono indignato

GERUSALEMME, 7 lug. - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha telefonato in mattinata a Hussein Abu Khder, padre di Mohammed, per offrirgli le proprie condoglianze ed "esprimergli l'indignazione sua personale e quella dei cittadini d'Israele per il riprovevole omicidio" del sedicenne palestinese, rapito e arso vivo mercoledi' scorso, probabile vittima sacrificale di una vendetta da parte di ultra-nazionalisti, dopo il ritrovamento due giorni prima presso Hebron dei cadaveri di tre adolescenti ebrei, sequestrati il 12 giugno scorso in Cisgiordania.

(AGI, 7 luglio 2014)


Palestinese ucciso. Israele arresta sei estremisti ebrei

Uno dei giovani avrebbe confessato: c'era un piano Caccia ai complici per l'omicidio di Mohammed. La reazione di Netanyahu: «Qui non c'è spazio per gli assassini».

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Almeno sei estremisti ebrei sono stati arrestati dalla polizia israeliana per l'omicidio del giovane palestinese Mohammed Abu Khdeir, bruciato vivo. Sono considerati terroristi e in quanto tali per dieci giorni saranno detenuti senza poter incontrare un legale. La loro identità non viene divulgata perché l'intento della polizia è arrivare a sgominare l'intero network di complicità che ha consentito, giovedì scorso, di rapire Abu Khdeir mentre andava alla moschea di Shuafat, dopo aver tentato di sequestrare un altro bambino il giorno precedente. Uno degli arrestati - secondo quanto rivelano fonti del quotidiano on line Ynet - avrebbe confessato di aver partecipato all'omicidio e accusato i propri compagni.
   «Gli autori di questo crimine orrendo devono essere condannati con i termini più duri - ha commentato il premier Benjamin Netanyahu - e subiranno il potente impatto della legge perché nella società israeliana non c'è spazio per gli assassini, ebrei o arabi». Poche ore prime era stato il presidente di Israele, Shimon Pers, a dire da Sderot: «Non c'è differenza fra sangue e sangue, un killer è un killer e sarà punito con la forza della legge perché siamo uno Stato di diritto».
   Gli apparati di sicurezza si preparano ad una stretta contro gli estremisti che giovedì scorso, all'indomani della sepoltura a Modiin delle salme dei tre ragazzi ebrei rapiti in Cisgiordania, avevano manifestato a Gerusalemme simulando una «caccia all'arabo». «L'assassinio di Abu Khdeir è stato un atto malato - afferma Yithak Aharonovitch, ministro della Pubblica sicurezza - e non ci fermeremo finché tutti i responsabili non avranno pagato davanti alla legge». Alla vigilia degli arresti era stato il capo del Mossad, Tamir Pardo, a far sapere dalle colonne di «Haaretz» la propria opinione sui disordini a Gerusalemme Est seguiti all'uccisione di Abu Khdeir: «II problema palestinese è una minaccia esistenziale per Israele più seria del nucleare dell'Iran». Saranno le prossime ore a dire se le proteste di palestinesi e arabo-israeliani si placheranno dopo gli arresti. La madre del ragazzo ucciso, Suha Abu Khdeir, non mostre fiducia nella giustizia israeliana: «Faranno loro qualche domanda e poi li manderanno a casa, dovrebbero distruggere le case come fanno con i nostri». La rabbia della famiglia Khdeir si deve anche a quanto avvenuto a Tariq, 15enne cugino della vittima, picchiato con forza dagli agenti durante i disordini a Shuafat sollevando una richiesta di «chiarimenti» da Washington, in ragione del fatto che è cittadino americano. Il presidente dell'Anp, Abu Mazen, ha chiamato il Segretario generale dell'Onu Ban Ki moon chiedendo «un'inchiesta sui crimini commessi da Israele». La replica di Netanyahu è stata immediata: «Noi processiamo i killer, i palestinesi ne esaltano le gesta nelle scuole».
   Intanto a Hebron, l'esercito ha arrestato Hassam Dopash considerato un fiancheggiatore dei sequestratori dei tre ragazzi uccisi. Le indagini su rapimenti e delitti spingono Netanyahu a dare tempo ai mediatori egiziani affinché negozino una tregua con Hamas a Gaza: «Serve contenimento davanti agli attacchi».

(La Stampa, 7 luglio 2014)


Questo omicidio di vendetta contro un ragazzo palestinese innocente potrebbe essere l’elemento relativamente nuovo nella recente storia di Israele. Altri elementi però non sono nuovi. Non è nuovo il tipo di reazione di condanna del governo israeliano; non è nuovo il rapido sfruttamento delle autorità palestinesi, e l’ancor più rapido riallineamento dell’opinione pubblica alla consueta, per molti addirittura “doverosa”, riprovazione non dell’atto commesso in Israele, ma proprio del popolo e dello Stato di Israele. Non si sottolinea il fatto che si tratta di una reazione, sia pure indegna, a un fatto indegnissimo, ma anzi si direbbe che il gioco delle motivazioni sia invertito: non è che il palestinese Mohammad sia stato ucciso perché tre giovani israeliani sono stati prima immotivatamente uccisi, ma, al contrario, è l’omicidio di Mohammad che mette in luce chi è veramente Israele: il “carnefice a prescindere” dei palestinesi. E questo spiega il motivo per cui degli arabi palestinesi sono stati spinti ad ammazzare tre giovani ebrei. Quindi la colpa principale non è loro: la colpa originaria è di Israele, che continua la sua illegale occupazione. Occupazione della Palestina? No, occupazione di un posto in cui esistere su questa terra. La colpa di esistere: questo è da sempre il peccato originale del popolo ebraico e, negli ultimi decenni, dello Stato d’Israele. “Israele, per favore, te lo chiediamo con le buone maniere: sparisci! E tutto si risolverà”. Questo è l’educato appello della comunità internazionale “moderata” che dà voce alle Nazioni Unite, a cui speranzoso si rivolge Abu Mazen per avere “giustizia” contro il perfido Israele. M.C.


Netanyahu: «Non agire impetuosamente»

L'appello del premier al governo dopo i morti di Gaza.

Appello alla responsabilità del premier israeliano Benyamin Netanyahu, che nella seduta del governo del 6 luglio ha detto ai ministri che «l'esperienza prova che in queste occasioni bisogna agire in modo responsabile e non impetuosamente», riferendosi alla situazione di tensione con Gaza.

- Linea dura con chi viola la legge
  «Faremo tutto il necessario per ristabilire la sicurezza nel sud del Paese, e abbiamo scelto una linea dura contro chiunque violi la legge e contro gli incitatori di qualunque parte siano», ha tuttavia aggiunto Netanyahu, in riferimento all'uccisione dei tre ragazzi israeliani a cui è seguita quella di un giovane palestinese. Il premier si è poi appellato ai leader del pubblico arabo, chiedendo di «mostrare responsabilità e ad esprimersi contro l'ondata di incidenti in modo da riportare ordine».

(Lettera43, 6 luglio 2014)


Accordo keshet - Universal Music per i talenti di Rising Star

di Francesco Marchesi

 
Un momento di Rising Star
La Keshet International, azienda israeliana creatrice di format tv, ha siglato un accordo internazionale con la UMG - Universal Music Group. Con la nuova partnership il colosso musicale avrà in esclusiva la possibilità di mettere sotto contratto i talent che emergono da Rising Star, il format canoro che permette ai telespettatori di scegliere da casa i loro concorrenti preferiti via un app pienamente integrata con lo spettacolo. L'accordo vale per i paesi dove il format è in produzione, ma non Israele e USA.
Rising Star si sta rivelando uno dei format tv più interessanti di quest'anno. E' stato preso dalla Gran Bretagna, Argentina, Brasile, Spagna, Portogallo, Francia ed anche Italia (Mediaset).
Per gli Stati Uniti - lo show è stato acquistato dalla ABC - è stato siglato un accordo a parte tra Keshet DCP and UMG. "Era vitale per Rising Star, lo spettacolo completamente interattivo e sotto il giudizio degli spettatori, trovare il giusto partner musicale a livello mondiale", ha dichiarato Sammy Nourmand, Keshet UK.

(tv zoom, 6 luglio 2014)


Arrestato uno dei tre coinvolti nell'assassinio dei tre seminaristi

Le autorità israeliane hanno arrestato nella notte a Hebron un giovane palestinese, Husam Dufas, sospettato di essere il terzo coinvolto nel brutale assassinio, avvenuto lo scorso 12 giugno, dei tre seminaristi della scuola rabbinica presso una colonia vicini a Gush Etzion, Eyal Yifrah, 19 anni, Gil-Ad Shayer, 16, e Naftali Yaakov Frenkel, 16.
Il coinvolgimento di Dufas sarebbe tuttavia solo marginale, tant'è che è stato arrestato a casa sua, mentre gli altri due sospettati, il 29enne Marwan Qawasme e un altro giovane, Amar Abu Aisha, sono fuggiti e le loro case distrutte.
Immediatamente dopo la sparizione dei tre giovani erano stati due i gruppi a rivendicare la responsabilità del sequestro: il "Battaglione dei liberatori di Hebron", che aveva comunicato di aver agito "per senso di responsabilità verso i prigionieri palestinesi che si trovano nelle carceri dell'entità occupante", e il gruppo jihadista salafita "Dawlat al-Islam", propaggine dell'Isil (Stato Islamico dell'Iraq e del Levante) e quindi legato ad al-Qaeda.

(Notizie Geopolitiche, 6 luglio 2014)


Palestinese ucciso, sei arresti in Israele. Peres a Sderot: "Puniremo i colpevoli"

Svolta nell'inchiesta sulla morte del ragazzo di 17 anni rapito e bruciato vivo. Il presidente israeliano visita la città bersagliata dai razzi sparati da Hamas.

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Sei arresti in Israele per il ragazzo palestinese ucciso giovedì. La svolta - anticipata del sito internet del giornale Yedioth Aharonot - è stata confermata da fonti vicine alla polizia. Per Ynet vi sarebbero «forti elementi sulla matrice nazionalista» dell'omicidio del ragazzo palestinese. Attesa una dichiarazione della polizia sulla svolta nelle indagini.
In mattinata era stato il presidente israeliano Shimon Peres ad affrontate la scottante vicenda dell'uccisione di Mohammed Abu Khadir durante un incontro con la stampa estera a Sderot, la città più bersagliata dai razzi di Hamas: «Andremo in fondo a questa tragedia - aveva detto Peres -, fino alla fine e i colpevoli saranno puniti dalla giustizia».
«Un omicidio è un omicidio e chi lo commette è un assassino che deve essere punito con tutta la forza della legge, che sia arabo o israeliano» aveva aggiunto il presidente israeliano dopo aver parlato con il ministro della Sicurezza Interna da cui dipendono le indagini della polizia sull'omicidio del ragazzo di 17 anni. «Non lasceremo nulla di intentato per arrivare alla verità su questo orrendo delitto - spiegava Peres - siamo uno Stato di diritto e la legge deve essere rispettata da tutti. Non ci saranno coperture o omissioni, l'indagine della polizia accetterà la verità e i killer saranno puniti». Riguardo ai disordini nei quartieri arabi di Gerusalemme innescati dal delitto, Peres ha aggiunto: «Questa città è al centro del nostro cuore, garantiamo i diritti di tutti e sono a favore di lasciare la definizione del suo status alla fase finale del negoziato di pace».

(La Stampa, 6 luglio 2014)


Ragazza ebrea uccisa da palestinese: e adesso ci saranno le condanne arabe?

Shelly Dadon, la ragazza israeliana trovata morta il 1o maggio di quest'anno è stata barbaramente assassinata da un taxista arabo. Lo ha rivelato oggi la polizia israeliana che ha arrestato Hassin Yousef Hassin Khalifah, un taxista arabo di 38 anni. Le motivazioni dell'omicidio, per stessa ammissione dell'omicida, sono di carattere nazionalistico. Uccisa perché ebrea....

(Right Reporters, 6 luglio 2014)


Bioetica ebraica - Figli contesi da due madri

La saggezza biblica punta a tutelare gli interessi del bambino: va affidato a chi lo può proteggere e amare. Come insegna Salomone.

di Riccardo Di Segni

 
Rav Riccardo Di Segni
Un albero viene sradicato da un'alluvione e va a finire nel campo, di un altro proprietario, dove attecchisce e fa frutti. Domanda: i frutti di chi sono, del primo o del secondo proprietario? A prima vista andrebbero divisi, ma bisogna fare una distinzione. Vanno divisi se l'albero è arrivato con le radici coperte dal terreno originale, cosa che gli ha consentito per un certo tempo l'autonomia, ma se le radici erano nude, è solo la terra del secondo proprietario che ha consentito l'attecchimento, la crescita e ha dato il nutrimento; quindi il secondo proprietario deve al primo solo il valore dell'albero spoglio. È un caso tipico discusso e codificato da secoli nella legge rabbinica, in parallelo a casistiche analoghe di altri sistemi legali.
   Oggi si propone un caso per alcuni aspetti analoghi. Un ovulo fecondato è stato impiantato per errore in un utero diverso da quello della donna cui era stato prelevato l'ovulo, ha attecchito ed è cresciuto. Di chi è il prodotto del concepimento? Lasciato a sè stesso non gli sarebbe stata possibile una crescita autonoma, che invece ora c'è stata grazie all'ospite che lo sta portando in grembo. Tra la storia dell'albero e quella dell'ovulo fecondato vi sono tante differenze, da una parte un vegetale, dall'altra un essere umano, da una parte una situazione essenzialmente economica, dall'altra un sistema di relazioni con sentimenti, rischi e passioni. Eppure nel minimo che accumuna le due situazioni, se fosse lecito un confronto tra i due casi, la conclusione sarebbe che il feto è di chi porta avanti la gravidanza salvo rifusione del valore dell'embrione, valore ben difficile da calcolare, ma che dovrebbe comprendere almeno le spese in senso lato (mediche, stress, ore di lavoro perso) che sono state necessarie per produrlo. Sempre che sia eticamente lecito, e la cosa è notoriamente controversa, fissare un prezzo per questo tipo di "prestazioni" biologiche umane.
   L'esempio dell'albero è solo uno dei tanti casi proposti dalla tradizione classica che vengono portati sul tavolo della discussione su questo tipo di problemi. La complessità e la gravità delle questioni impongono di allargare lo spettro della casistica a cui ispirarsi. In ogni caso l'esempio -molto parziale- di questo ragionamento mostra il metodo scelto per analizzare e decidere in una situazione di grande difficoltà: rispondere a problemi assolutamente nuovi posti dal progresso scientifico, quando si vuole rimanere legati ad una tradizione giuridica, una cultura e una saggezza che ha una anzianità di 35 secoli.
   Ma perché dovremmo farlo? Se per un momento ci distacchiamo dalla discussione sul singolo problema che ci appassiona, e proviamo a vedere le cose da fuori, c'è un dato che va preso in considerazione. Il progresso scientifico tumultuoso che pone ogni giorno problemi nuovi grazie a possibilità tecniche fino a poco fa impensabili va in parallelo a modificazioni sociali e culturali radicali dovute anche a queste possibilità tecniche. Si pensi solo all'evoluzione del modello famigliare, della sessualità riproduttiva, alla contrazione della natalità, al ritardo progressivo dell'età del primo parto. La scienza fa saltare gli schemi tradizionali di famiglia e la cultura sociale, giuridica e religiosa che li ha accompagnati per secoli e millenni entra in crisi. Per arrivare a determinate strutture culturali l'umanità ha impiegato molto tempo. Oggi basta poco per scardinare tutto. Nella storia di tante culture non vi sono stati grandi dubbi su come definire chi è la madre; ma oggi abbiamo una madre genetica e una gestante, tra un po' forse non ci sarà la gestante, sostituita da chissà cosa. E allora come si fa a costruire di corsa un nuovo sistema di valori che sia il più possibile condiviso, dovendo decidere in poco tempo ciò che prima veniva stratificato sull'esperienza di millenni? La risposta dei mondi religiosi, come quello ebraico, è di non staccare il legame con il passato ma di trovare il modo di un'evoluzione coerente. Questo dà ad ogni decisione autorevolezza, condivisione, sicurezza e, per chi ci crede, sacralità. E la solidità di una decisione presa con rigore logico e buon senso non va certo imposta alla collettività ma potrà essere un modello nella discussione generale, anche se collegata a fonti di una tradizione specifica, particolare e minoritaria.
   Per quanto riguarda l'ebraismo e il caso in discussione c'è anche da far presente che la complessità della domanda e la natura stessa della struttura decisoria rabbinica, in mancanza di una autorità unica e centrale, apre la strada a risposte differenti; per cui le autorità di oggi sono schierate su due fronti opposti, tra chi sostiene la maternità genetica e chi la maternità gravidica. Ma se poi si dovesse decidere a chi affidare il neonato, l'antica saggezza biblica fornisce con una storia esemplare una linea guida. Il re Salomone davanti a due donne che si contendevano un neonato, in assenza di test genetici, chiese di portare una spada per dividerlo in due. Al che una donna rispose di sì mentre la vera madre disse che avrebbe rinunciato al bambino purchè potesse vivere. E questo bastò per accertare la verità. Ma si osserva che l'intento di Salomone era non tanto quello dell'accertamento di maternità ma quello di tutelare gli interessi del bambino, da affidare a chi veramente lo avrebbe protetto e amato. Dovendo oggi definire linee antropologiche, bioetiche e giuridiche su chi è la madre, la storia di Salomone inserisce davanti al dubbio una certezza prioritaria: l'interesse del bambino.

(Il Sole 24 Ore, 6 luglio 2014)


Video del califfo nella moschea di Mosul. I Fratelli musulmani contro il califfato

Abu Bakr al Baghdadi è apparso durante la preghiera comunitaria. Il predicatore sunnita Qaradawi si oppone al califfato: "Viola la legge". Il governo: il video è "un falso".

L'autoproclamato 'califfo' dello 'Stato islamico' tra Iraq e Siria, Abu Bakr al Baghdadi, è apparso per la prima volta in immagini in una moschea di Mosul, nel nord dell'Iraq, durante la sua predica nella preghiera comunitaria islamica. Lo riferiscono i profili Twitter dello stesso Stato islamico.
Abbigliato in modo sobrio con una tunica e un turbante neri, l'uomo identificato dall'ufficio stampa dello "Stato islamico" come il "principe dei credenti Abu Bakr al Baghdadi" è in effetti molto somigliante all'identikit
fornito nei mesi scorsi dai servizi di sicurezza americani e giordani. Gli Stati Uniti hanno posto una taglia di dieci milioni di dollari su Baghdadi. Durante la sua predica, durata poco più di un quarto d'ora in una moschea non identificata di Mossul, seconda città dell'Iraq nel nord del Paese, Baghdadi si è rivolto ai fedeli salmodiando versi del Corano e della tradizione del profeta Muhammad.
Dall'alto di un pulpito in pietra decorato di sculture, lo shaykh ha innanzitutto elogiato il mese sacro islamico di Ramadan, iniziato a fine giugno e che si concluderà a fine luglio. L'uomo identificato come Baghdadi, ha poi esaltato i mujahidin (i combattenti per il jihad), invitandoli a compiere il loro "sforzo" (jihad) sulla via di Dio, perché "l'annuncio del califfato è un dovere di tutti i musulmani". L'imam si è dunque rivolto contro i miscredenti e gli ipocriti, esaltando le "vittorie dei musulmani" a "Occidente e Oriente". Il "principe dei credenti" ha quindi guidato la preghiera comunitaria del venerdì, intonando versetti del corano.
Contro il califfato intanto si è scagliato però l'influente predicatore sunnita, lo shaykh Yussef al Qaradawi, parlando di una violazione della legge islamica da parte dei miliziani qaedisti.
La guida spirituale della Fratellanza musulmana e da anni residente a Doha, in Qatar, da dove conduce tra l'altro un programma televisivo sull'emittente panaraba al Jazira, ha parlato di un'iniziativa che viola la sharia e ha conseguenze pericolose per i sunniti in Iraq e per la rivolta in Siria.
Per il governo il video è un falso. Il portavoce del Ministro dell'Interno ha dichiarato che l'uomo che appare nel video - esamintao in ogni sequenza- non è al-Baghdadi. Aggiunge poi che "il califfo" è stato ferito recentemente dalle forze governative e si è trasferito in Siria per cure mediche.

(euronews, 5 luglio 2014)


«Io, ebrea, dico: solo il perdono ci salverà»

Nata a Roma, Angelica Edna Calò Livné vive da quasi quarant'anni in Israele, a Sasa, un kibbutz della Galilea al confine con il Libano, dove ha dato vita a Beresheet Lashalom, una serie di progetti segnati dal dialogo tra religioni e culture diverse, che vedono impegnati insieme donne e ragazzi ebrei, cattolici, musulmani e drusi.

di Angelica Edna Calò Livné

  
Angelica Edna Calò Livné
Il rapimento e la barbara esecuzione di tre ragazzi ebrei. L'assassinio di un diciassettenne palestinese, di cui non si conosce ancora il colpevole. Di nuovo sangue in Terra Santa. Ma odio, violenza e vendetta non sono le uniche vie praticabili. Pubblichiamo le riflessioni di Angelica Edna Calò Livné, una donna che non da oggi testimonia con i fatti, oltre che con le parole, i valori del dialogo e del rispetto.
   Eyal, Gilad e Naftali. Tre ragazzi di 16, 17, 19 anni. Rapiti e uccisi a sangue freddo, "colpevoli" solo d'essere ebrei. Fino a quando? Fino a quando dovremo sopportare quest'odio, questa furia selvaggia? Non ci sono parole, ma solo la voglia di piangere e di gridare "perché?" Nel suo ultimo viaggio in Terra Santa, papa Francesco, davanti alla fiamma perennemente accesa di Yad Vashem, s'è chiesto e ha chiesto a tutti: «Uomo chi sei? Non ti riconosco più, di che sei stato capace?».
   Una domanda che ci siamo posti davanti ai forni crematori di Majdanek, alle porte di Lublino, nella Polonia allora occupata dai nazisti. Ma ce lo siamo domandati anche in seguito a eventi più vicini a noi nel tempo: dopo gli attacchi che hanno seminato morte, a Gerusalemme, al ristorante Sbarro (2001) e al Caffè Moment (2002) e dopo gli attentati terroristici perpetrati fino a qualche anno fa a Tel Aviv, a Natania a Hedera. Ma non abbiamo risposte.... perché non si riesce a spiegare ciò che non si conosce... Siamo cresciuti al ritmo della Torah, conosciamo bene la storia d'Israele....
   Pace, shalom, è la parola che ricorre di più nella nostra tradizione. Se non ci avessimo creduto non avremmo potuto superare né Nabuccodonosor né l'imperatore Tito né tutti gli altri malvagi che hanno distrutto, profanato, violentato e massacrato. Abbiamo il cuore in frantumi, ancora una volta, ma sappiamo che il nostro compito è creare e dimostrare che la vera strada è la collaborazione, la condivisione.
   C'è tanto. E c'è per tutti. Dobbiamo dare coraggio a chi, sia esso ebreo, cristiano, musulmano o druso, uomo, donna o bambino, ha capito che non si possono più accettare soprusi e imposizioni ma ha paura di dirlo. Non possiamo restare soli a combattere per questi semplici valori. E il mondo non può reagire solo quando ci colpiscono al cuore. Il mondo deve svegliarsi, smettere di aver paura.
   Siedo muta davanti alle immagini del funerale. I tre ragazzi giacciono su tre barelle, avvolti nella bandiera di Israele. Migliaia di persone sono venute da tutto il Paese: la destra , la sinistra, religiosi, laici. Povere madri. Andranno avanti, lo so, crescendo gli altri figli, incoraggiando la gente intorno a loro come fanno da sempre le madri d'Israele, dopo ogni tragedia, dopo ogni catastrofe, con il cuore deflagrato, con l'anima calpestata, ma andranno avanti. Finirà un giorno... Le famiglie si sono separate per sempre dai loro figli senza chiedere vendetta, senza pronunciare la parola odio. Solo parole di speranza , così si conclude il Kaddish, la preghiera per innalzare l'anima al cielo con i versi che recitiamo ogni venerdi per accogliere il Sabato, lo Shabbat, il giorno del Signore: «Yaase' shalom Aleinu veal col aolam amen. E fai la pace su di noi e su tutto il mondo, amen!».
   Io voglio vivere il mio ebraismo e la mia israelianità ricolma di speranza, aborrendo il terrorismo e la spietatezza, rimboccandomi le maniche per un futuro migliore. Ho bisogno di condividere ciò che sento con chi desidera andare avanti. Per questo qui si lavora, si ride, si piange insieme, ebrei, musulmani, cristiani e drusi, per questo ho creato Beresheet LaShalom, il teatro di ragazzi ebrei e arabi, e lo porto avanti con tutte le mie forze. Quando, durante i funerali, ho sentito Ein Milvado («Non c'è nulla al di fuori di Lui, il Santo benedetto») sono scoppiata in un pianto irrefrenabile. Sono sicura che quelle madri non smetteranno per un attimo di avere fede. Cantano: «Verrà un giorno lo sto aspettando.. I pugni stretti si apriranno...non ci colpiranno più... e potremo stare tranquilli... e ci sembrerà che la sofferenza non esiste».
   Le immagini di violenza e di odio, da qualunque parte vengano, mi lasciano esterrefatta. Mi torna in mente la poesia di Friedrich Martin Niemöller: «Quando sono venuti a prendere gli ebrei sono rimasto in silenzio perché non ero ebreo. Quando sono venuti a prendere gli omosessuali sono rimasto in silenzio perché non ero omosessuale. Quando sono venuti a prendere i comunisti sono rimasto in silenzio perché non ero comunista. Quando sono venuti a prendere gli zingari sono rimasto in silenzio perché non ero zingaro. Quando sono venuti a prendere me, non c'era più nessuno che potesse parlare per difendermi».
   La situazione è difficile, quando ci sono tragedie come questa molte famiglie palestinesi che desidererebbero vivere in pace con noi, subiscono ?- a causa dei terroristi - le nostre reazioni. La violenza porta solo dolore. Nei giorni scorsi, quando non si sapeva ancora nulla del destino dei ragazzi, ero in Italia con la mia amica cristiana palestinese di Betania, Samar Sahar. Lei ha aperto il nostro intervento con emozione, in mano un fagottino dal forte odore di miele: «Prima di partire sono andata al Santo Sepolcro, a Gerusalemme e ho preso queste candele speciali per accenderle qui con voi, per chiedere al Signore che faccia tornare presto a casa i tre ragazzi rapiti a Hebron. Accendo queste candele per tutte le madri di Israele. Con la speranza che non soffrano più. Che altri abbiano la fortuna di avere un'amica israeliana come è capitato a me. Se ogni israeliano e ogni palestinese avessero un amico dall'altra parte, questa sofferenza non ci esisterebbe più».
   Dobbiamo fermare tutto e subito. Dobbiamo fermarci e dialogare. Ebrei, musulmani, cristiani, drusi. Tutti. Dobbiamo fermarci e pensare. Fermarci e decidere di perdonare, di ricominciare da capo, di accoglierci, di abbracciarci. Sia benedetta la memoria di Eyal, Gilad e Naftali. E siano benedetti tutti coloro che continuano a credere e che non si arrendono al male, e cercano con responsabilità, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze di mantenere in vita la splendida creazione che Dio ci ha dato.

(Famiglia Cristiana, 5 luglio 2014)


La deterrenza in crisi di Israele

In Israele circola una battuta: "I palestinesi lanciano missili da cento dollari e causano danni da tre milioni. Israele lancia missili da 500 mila dollari che fanno boing". Sarcasmo cupo, che però spiega bene l'umore nell'establishment e nell'opinione pubblica dopo la strage dei tre studenti ebrei da parte degli islamisti. Mentre Israele ammassa truppe al confine con Gaza come dimostrazione di forza, si parla già di tregua e cessate il fuoco fra Gerusalemme e Hamas. Yedioth Ahronoth, il maggiore giornale in lingua ebraica, commenta così: "Non era mai successo che l'Israel defence forces non rispondessero al lancio di missili". La flebile risposta al terrore dello stato ebraico ha lasciato apparire come compromessa la sua deterrenza. E soprattutto l'inerzia potrebbe aver scatenato l'orrenda vendetta popolare contro un ragazzo palestinese innocente (ma resta ancora da capire cosa sia avvenuto a Gerusalemme). Anziché colpire la centrale del terrore islamico, l'alveare di Gaza, il premier Netanyahu, il ministro della Difesa Ya'alon e il capo di stato maggiore Gantz sembrano aver optato per lo smantellamento dell'infrastruttura politica di Hamas in Cisgiordania. Dicono di voler "calmare la tensione". Gerusalemme non conosceva un simile livello di violenza terroristica dentro i suoi confini dalla Seconda Intifada. Ma allora, Ariel Sharon mandò i carri armati dentro la casbah di Nablus e assassinò i mandanti delle stragi, compreso uno sceicco paralitico. Quell'operazione rese possibile il ritorno al negoziato. Oggi la parola d'ordine è "restraint". Parola afona che eccita i nemici della convivenza da entrambe le parti. L'appeasement genera sempre terrore.

(Il Foglio, 5 luglio 2014)


Perché Obama perde in Medio Oriente

di Stefano Magni

Victor Davis Hanson
Guerra civile in Siria, omicidio tuttora irrisolto di un ambasciatore americano in Libia, caos permanente in Libia, instabilità in Tunisia, colpo di Stato in Egitto, fallimento del processo di pace fra Israele e Palestina, nascita del nuovo califfato dell'Isis fra Siria e Iraq, probabile fine dell'unità territoriale irachena … il numero di rovesci subiti dagli interessi americani in Medio Oriente è innumerevole. Eppure, in questi cinque anni, gli Stati Uniti sono stati amministrati da Barack Obama, sostenuto dal fior fiore delle menti pensanti delle accademie americane e dai migliori esperti di politica estera, indicato dai media come il miglior antidoto al "disastro" di George W. Bush. Cosa sia successo in questi cinque anni, lo spiega bene, nel suo ultimo editoriale sulla National Review, lo storico Victor Davis Hanson (nella foto), il vecchio saggio del conservatorismo americano che, periodicamente, sforna il miglior articolo sul punto della situazione, sullo stato di salute (o di malattia) della politica estera statunitense.
   Davis Hanson va dritto al nocciolo della questione: il disastro mediorientale non è causato da una serie di singoli errori, ma dall'ideologia stessa dell'amministrazione Obama, che ha sostituito "con ridicoli eufemismi, termini dolorosi come 'terrorismo', 'jihadismo' e 'islamismo'. L'amministrazione è stata brava solo a produrre discorsi in cui sopravvalutava le virtù dell'islam mentre enumerava le colpe americane del passato. Ci siamo invaghiti della Turchia e dei palestinesi, mentre impartivamo dure lezioni a Israele. La vittoria militare è stata ridicolizzata come un concetto obsoleto. 'Guidare stando un passo indietro' (leading from behind) era il suo surrogato più civile". Questa vera dittatura del politicamente corretto è stata all'origine di una strategia fallimentare: "Per valutare questa politica, basta osservare l'attuale Medio Oriente, o ciò che ne resta: Egitto, monarchie del Golfo, Iraq, Iran, Israele e i palestinesi, Libia, Siria, Turchia. È corretto dire che l'America ha perso amici, rafforzato nemici, moltiplicato i terroristi islamici".
   I teorici della cospirazione sono soliti trovare un'accurata pianificazione americana dietro ad ogni disordine. Sopravvalutando la potenza militare e diplomatica statunitense e sovrastimando le stesse doti strategiche di Obama, i complottisti vedono soldi e soldati Usa dietro a tutto, persino dietro alla nascita dell'Isis in Iraq e Siria. Essi non vedono che il nuovo disordine mediorientale nasce proprio dall'assenza degli Stati Uniti e non dalle loro presunte "presenza occulta". Ricorda bene Davis Hanson, che la pace in tutti i territori in cui gli Usa hanno combattuto (dalla Germania al Giappone, passando dall'Italia e dai Balcani) è stata mantenuta solo grazie a una massiccia presenza militare permanente. Mollare l'Iraq in mezzo al guado e annunciare in anticipo una data per il ritiro anche dall'Afghanistan, non ha fatto altro che rafforzare i nemici degli Stati Uniti e produrre il caos che è sotto gli occhi di tutti.
   Al ritiro si è accompagnata anche una strategia della comunicazione controproducente. Obama ha mantenuto intatti tutti gli strumenti creati da Bush per la lotta al terrorismo, come Guantanamo e l'uso dei droni per le eliminazioni mirate, ma ne ha rinnegato la legittimità morale e in alcuni casi anche legale. "La conclusione per un islamista è che persino l'amministrazione Obama ammette che i suoi metodi di lotta al terrorismo sono moralmente riprovevoli e inefficaci".
   Questa è la causa del disastro mediorientale: un cattivo uso del "soft power". Nient'altro. Il problema è che, molto probabilmente, durerà a lungo. Perché pochi, a parte Davis Hanson, lo notano. Quante volte abbiamo sentito dire che Obama è "pur sempre meglio di George W. Bush"? In realtà la politica dell'attuale amministrazione continua a coincidere con l'"agenda" dei media: quel che intellettuali, analisti e giornalisti vogliono sentir dire e vogliono veder fare. Si è creata una cappa di realtà virtuale sovrapposta alla realtà sul campo, grazie alla quale continuiamo a credere che, con questo modo di far politica, il Medio Oriente vada meglio, o comunque non potrebbe andare diversamente. Se succede un disastro troppo grosso per essere minimizzato, come la dissoluzione rapidissima dell'Iraq, si fa sempre a tempo a dare ancora la colpa a George W. Bush e ai "neocon", gli "esportatori di democrazia" che hanno iniziato il conflitto nel 2003… proprio per evitare che l'Iraq diventasse quel centro di destabilizzazione che vediamo ora.

(L'Opinione, 5 luglio 2014)


"Obama sarà soddisfatto dei suoi fallimenti"

di Andrea Marcigliano

 
Molti pensano che i fallimenti della politica estera di Barack Obama siano imputabili ad inesperienza ed errori suoi e del suo staff. Ma non è così. Al contrario, Obama sta realizzando esattamente quello che progettava sin dall'inizio. E quella che, per tutti o quasi, appare come una sconfitta, per lui è un grande successo.
A parlare è Michael Ledeen, nel salotto di un centralissimo hotel di Roma dove trascorre il suo soggiorno italiano, destinato a raccogliere il materiale per un libro sull'ebraismo italiano. Perché il professor Ledeen è anche un raffinato italianista, noto per la famosa Intervista sul Fascismo con Renzo De Felice. Diciamo «anche» perché Ledeen è molte altre cose: un analista politico di altissimo livello, già uno dei consiglieri più ascoltati da Reagan e da Bush padre. In Italia è stato consulente del nostro Sismi e, oggi, qualcuno lo indica come un riferimento per Renzi. Negli anni di George W. Bush era considerato una sorta di padre nobile dei famosi neocon. Etichetta che, però, rifiuta.

«Sinceramente non ho mai compreso cosa si intenda con questo termine. I media etichettano così uomini con storie e posizioni molto diverse. Per esempio, io non sono mai stato d'accordo con Wolfowitz sulla scelta di muovere guerra a Saddam Hussein. Era un obiettivo sbagliato. Il vero pericolo era, e resta, l'Iran degli ayatollah, che andrebbe affrontato più con strumenti politici che militari. Eppure veniamo entrambi etichettati come neocon. E questo solo perché, oggi, chi ritiene necessario combattere per difendere la democrazia nel mondo viene considerato un uomo di destra. Mentre, un tempo, era patrimonio comune, basti pensare a Presidenti come Wilson e Kennedy

- Mentre Obama?
«Obama è un radicale di sinistra, un intellettuale come se ne trovano a centinaia a Harvard e dintorni. Non per nulla viene da una famiglia di sinistra, la madre era un'antropologa, il padre uno studente kenyota, marxista, che odiava gli Stati Uniti. E ha studiato, appunto, a Harvard, fucina dei radical statunitensi - sorride - George W., invece, aveva fatto Yale; un altro mondo. Comunque Obama aveva ben chiaro cosa voleva fare sin dall'inizio. Era nel suo programma già nel 2008. Ed ora lo sta realizzando. Come le dicevo, un grande successo. Ma non per l'America».

- Ma quale sarebbe questo programma?
«Obama vuole un'America più debole, più chiusa in se stessa, retroflessa solo sui suoi problemi economici e sociali interni. E, di conseguenza, vuole abbandonare il mondo al suo destino. Rinunciare ad incidere sugli equilibri globali. Per questo ha favorito in tutti i modi i nemici degli Stati Uniti, dai jihadisti agli ayatollah iraniani. Non si tratta di errori, bensì di scelte politiche ben precise».

- E le conseguenze?
«Beh, il Maghreb è nel caos e ovunque avanzano gli islamisti radicali. L'Irak è abbandonato a se stesso fra l'incudine iraniana ed il martello dell'Isis. In Siria infuria la guerra civile, e la scelta è tra il regime di Assad, alleato di Teheran, e gli islamisti radicali. In Afghanistan tornano ad avanzare i talebani. Un disastro cui sarebbe stato facile porre freno e rimedio. Ma Obama non ha voluto farlo».

- E Israele?
«Israele si sente sempre più minacciata. E sola. Anche perché gli israeliani sono coscienti che Obama non è loro amico. Preferisce gli islamisti radicali e gli iraniani. Una scelta dettata dall'ideologia».

(il Giornale, 5 luglio 2014)


E' nato il Viola Club Antognoni di Tel Aviv

Riceviamo questa mail da Stefano Boccaletti, Addetto Scientifico dell'Ambasciata d'Italia in Israele, a testimonianza che il tifo per i viola della Fiorentina non ha confini.

Non appena arrivato in Israele (da meno di due mesi) mi sono accorto che ci sono, incredibilmente, tanti, tantissimi che tifano, come noi, la viola. Soltanto in Ambasciata, a parte me e mia figlia, c'e' l'Addetto Aeronautico, uno dei Carabinieri, ed il tecnico informatico. In piu' ho convocato tutti i giovani ricercatori italiani che lavorano in Israele ed ho incontrato due giovani (una fiorentina, e l'altro triestino) che lavorano al Weizmann Institute, e che sono tifosissimi.
Da qui e' nata l'idea di fondare un Viola Club Tel Aviv, cosa che si e' realizzata due giorni fa, creando il VIOLA CLUB GIANCARLO ANTOGNONI DI TEL AVIV.
Il nome del Viola Club e' stato il frutto di un piccolo referendum che ho indetto tra i sette Soci fondatori. I nomi proposti erano Baggio, Batistuta e Antognoni e c'e' stato quasi un plebiscito….
Abbiamo eletto Presidente del Viola Club il nostro tecnico informatico Andrea Nicchi.
Adesso stiamo aprendo una pagina web (a giorni), un profilo Facebook, ed un account Skype. E poi organizzeremo eventi specifici per seguire la viola (e magari la tua radiocronaca in streaming) a partire gia' dal prossimo campionato.
Inoltre, stiamo pensando ad altre attivita' di promozione e molto piu' "importanti".
Io, per esempio, nell'organizzazione del calendario di conferenze scientifiche binazionali tra Italia ed Israele, sto pensando di realizzare, gia' nel 2015, una grande Conferenza Italia-Israele sulla Medicina, una parte della quale vorrei dedicare alla ricerca sulla SLA invitando la Fondazione Stefano Borgonovo, e ci farebbe piacere invitare, nell'occasione anche la squadra viola qui in Israele (magari per una amichevole). Proprio ieri sera ero a cena con il Direttore Generale del Ministero Israeliano della Salute ed ha preso l'idea molto sul serio (parlo della Conferenza) dicendomi che ci sosterra' in ogni modo anche per associare all'evento, puramente scientifico, eventi a latere che possano mettere l'accento sulle varie sfaccettature dei rapporti tra i nostri due Paesi.

(ViolaNews.com, 5 luglio 2014)


Un progetto educativo e morale per salvare il popolo ebraico

"Curare l'anima, come si cura il corpo" ed "educare ogni bambino", sono le azioni che hanno guidato il movimento Chabad, fino a consentire una straordinaria rinascita dell'ebraismo dopo la Shoah.

di Pierpaolo Pinhas Punturello

Rebbe Menachem Mendel Schneerson  
Se analizzassimo il lavoro del Rebbe Menachem Mendel Schneerson zl come se egli fosse stato un dirigente d'azienda o il direttore di un qualsiasi dipartimento culturale dovremmo solo apprezzare i lunghi anni nei quali il Rebbe zl ha di fatto cambiato il volto dell'ebraismo mondiale.
  Che si abbiano o meno simpatie o affinità con il mondo chassidico Lubavitch, non si può negare che la visione e la progettualità ebraica del Rebbe siano state la più grande rivoluzione educativa della nostra generazione. Il concetto di shlichut, di invio di emissari, nelle realtà ebraiche più diverse e disparate ha fatto in modo che ovunque ci fosse un Beit Chabad, un ebreo potesse trovare un pasto caldo, una casa, un abbraccio (reale o politico che fosse) e chiacchiere di Torà. Il metodo educativo del Rebbe zl è stato imitato e fatto proprio da molte altre organizzazioni ebraiche e molti altri movimenti ortodossi non chassidici. La grande novità concettuale che il Rebbe zl ha donato e sviluppato nel mondo è stata l'abbattimento delle invisibili mura che separavano il mondo religioso osservante da quello laico secolare. Ponendo al centro dell'attenzione educativa l'ebreo in quanto tale, il Rebbe zl ha lanciato, anno dopo anno, campagne di impegno e di azioni utopiche che hanno cambiato il mondo.
  "L'uomo non potrà mai essere felice se non si prende cura della sua anima nella stessa maniera in cui si prende cura del corpo" e "non dobbiamo darci pace fino a quando ogni bambino, maschio e femmina, non avrà ricevuto una educazione morale adeguata", queste due frasi, due motti, detti dal Rebbe negli anni dopo il secondo conflitto mondiale e diretti ad un'Europa e ad un Mondo, occidentale ed orientale post comunista, sono stati i valori ispiratori di un vero e proprio "piano Marshall" spirituale ebraico rivolto ad intere comunità colpite dalla Shoà, dall'assimilazione, dal comunismo e quindi lontane dalla tradizione ebraica. Il Rebbe zl, come il segretario di Stato statunitense George Marshall, predispose ed organizzò una sorta di piano ideologico ed educativo per risollevare il destino ebraico delle Comunità che erano socialmente, economicamente, ma sopra ogni cosa culturalmente e spiritualmente in pericolo. Gli shlichim del Rebbe partivano, preparati e culturalmente pronti ad affrontare le realtà locali che avrebbero incontrato, che erano luoghi ben lontani da Crown Heights a Brooklin: negli anni '50 e '60 le mete della shlichut chabad sono state i paesi dell'Europa occidentale, tra i quali ovviamente anche la nostra Italia, seguirono poi i paesi dell'ex blocco sovietico, poi Israele ed in contemporanea tutta la provincia americana e canadese, il vasto mondo lontano dai bagels di New York o Boston, fino all'Alaska ed oggi anche l'estremo Oriente ed il Giappone.
  Non esiste quasi nessun luogo al mondo dove non ci sia una Chabad House, un luogo dove un ebreo possa dire di essere quantomeno in una sorta di ambasciata diplomatica dell'Ebraismo visto e vissuto secondo i principi Chabad. Dalla città dell'amore, Lubavitch (da Ljuba, amore in russo), il Rebbe zl ha saputo superare le difficoltà delle persecuzioni comuniste prima e nazifasciste poi per approdare negli Stati Uniti e creare una fonte inesauribile di sollecitazioni identitarie per tutti gli ebrei del mondo.
  Sono circa 3600 le istituzioni affiliate ai chabad, sparse in più di mille città per circa 70 paesi con un numero di aderenti al movimento che potrebbe arrivare anche alle 200.000 persone e si calcola che il numero di ebrei che studiano o pregano almeno una volta l'anno in un centro Chabad superi il milione. Numeri impressionanti che vanno al di là degli investimenti economici che il piano Marshall ha dedicato all'Europa fino al 1951. Le Chabad House, o Beit Chabad, sono luoghi ispirati pienamente agli insegnamenti del Rebbe zl che incitava ogni ebreo a fare in modo che la propria "casa diventasse una luce che illumina completamente la strada e la comunità". Una luce per il mondo, oltre che per se stessi, cosa non semplice da dire e da attuare per un Rebbe di una corte chassidica, una delle tante nate dal movimento del Baal Shem Tov ed una delle poche scampate alla tragedia della Shoà.
  Sono solo luci le caratteristiche del movimento Chabad? Dobbiamo ammettere che dopo la morte del Rebbe zl tensioni e vere e proprie decisioni halachiche in contrasto con il movimento Chabad sono diventate oggetto di discussione di molto mondo ebraico ortodosso e persino chassidico. Testi contro le presunte dichiarazioni del Rebbe come Mashiach, prese di posizioni halachiche ed a volte azioni pubbliche simili a scomuniche hanno caratterizzato alcuni approcci del mondo ortodosso non chabad verso il mondo chabad. Se la morte del Rebbe ha quindi fatto esplodere la questione messianica all'esterno del mondo chabad, anche all'interno possiamo rintracciare una diversa caratteristica tra gli shlichim inviati nel mondo alla presenza in vita del Rebbe e quelli cresciuti dopo la sua dipartita avvenuta nel 1994.
  In realtà già negli anni del 1980 alcuni sostenitori chabad della corrente meshichista pubblicarono testi e pamphlet che dichiaravano il rebbe Mashiach, rendendo poi il concetto popolare e musicale attraverso i versi della canzone che celebravano e celebrano il Rebbe come Melech Mashiach, Re Messia. Negli anni tra il 1998 ed il 2004 fu pubblicata una dichiarazione firmata da 100 rabbini che affermavano la messianicità del Rebbe, tutto questo mentre il rabbinato israeliano rifiutava questo stesso documento e tutto il resto del mondo charedi ed ortodosso da rav Aharon Kotler, fino a rav Kaminetsky e Rav Shach, passando per rav Ahron Soloveichik e rav Lamm, affiliati al mondo modern orthodox, condannava e condanna pesantemente la deriva messianica di alcuni esponenti chabad. Sembra quindi che la nostra generazione, lontana ormai vent'anni dalla scomparsa del Rebbe zl, possa cominciare ad analizzare con onestà l'operato suo e dei suoi shlichim, nel rispetto della grandiosità del lavoro e della presenza spirituale che è stato ed è per milioni di ebrei.
  Come la storiografia ha analizzato il piano Marshall nel contesto storico e nella sua realtà, al di là di ogni possibile celebrazione politica, anche noi dovremmo e sicuramente oggi possiamo guardare alla shilichut chabad apprezzandone le enormi luci e individuando le poche o molte ombre che ci possono essere, senza però assumere posizioni politiche nutrite di pregiudizi. L'ebraismo europeo non avrebbe avuto slanci di ripresa se non ci fosse stato il movimento chabad a sostenerlo e promuoverlo, così come oggi, se esistono servizi religiosi, sedarim per Pesach e fonti di identità anche in luoghi sperduti del mondo questo lo dobbiamo al mondo chabad. La pericolosità di un'identità cristallizzata, sia da parte chabad che non chabad, cosa ben lontana dalle idee del Rebbe, oggi può creare e sta creando in alcuni casi lontananze enormi tra lo shaliach chabad locale e la specifica comunità, in Italia come all'estero, sebbene questa non sia una regola ma una spiacevole eccezione. Il muro che il Rebbe zl seppe far abbattere tra chassidim, non chassidim, ortodossi e laici non deve essere ricostruito da noi e non deve diventare una costante nei rapporti tra mondo chabad e mondo non chabad. Insegna il Rebbe zl: "Viviamo in uno stato di emergenza in cui le fiamme della confusione divampano scatenate. Di fronte ad un incendio, tutti hanno la responsabilità di aiutare il prossimo".

(Shalom, giugno 2014)


"Il Violinista sul Tevere", musica klezmer alla Galleria d'arte moderna

L'Orchestra popolare romana si esibirà mercoledì 9 luglio, celebrando il pluriculturalismo, nell'ambito della mostra "Artiste del novecento tra visione e identità ebraica".

di Mariavittoria Butera

  
Un viaggio attraverso le musiche dell'orchestra popolare romana, composta da quattordidici strumentisti più un narratore, che mercoledì 9 luglio celebrerà le tradizioni e l'identità ebraiche attraverso brani musicali di ispirazione klezmer popolare.
Il concerto si svolgerà nell'ambito della mostra in corso presso la Galleria d'arte moderna "Artiste del novecento tra visione e identità ebraica" a cura di Marina Bakos, che con 150 opere di 15 artiste ebree italiane offre al pubblico una riflessione sull'identità di genere, sullo spazio e sul ruolo della donna. La mostra, aperta al pubblico dal 12 giugno, si concluderà il 5 ottobre 2014. L'esposizione racconta il fondamentale ruolo delle donne ebraiche e le loro esperienze, che da una condizione di minorità sociale sono state in grado di ampliare e trasformare una realtà come quella ebraica affermando indipendenza creativa e facendo risaltare, oltre alla loro dimensione privata, anche la vita culturale del nostro paese.
Ad una attenta selezione di opere di Antonietta Raphael, pittrice e scultrice protagonista della Scuola romana di via Cavour, si affiancano i lavori di artiste quali Paola Consolo, Eva Fischer, Paola Levi Montalcini, che arricchiscono l'esposizione con differenti idiomi e soprattutto con opere inedite il cui prestito è stato gentilmente concesso da eredi, fondazioni ed enti.
Lo spettacolo del 9 luglio "Il violinista sul Tevere", dell'orchestra popolare romana, è previsto per le ore 19 presso il chiostro della galleria. La messa in scena avrà inizio dal pretesto del ritrovamento del diario di viaggio di un giovane musicista klezmer nel 1891 a Roma. Il narratore verrà accompagnato dalle musiche di ispirazione popolare dell'orchestra, attraverso le piazze e le vie di Roma - ebraica e non solo - in bilico tra tradizione, modernità ed emancipazione.
I biglietti, che oltre allo visione dello spettacolo consentiranno la visita della mostra, saranno disponibili presso la biglietteria della galleria, in via Francesco Crispi 24.

Galleria d'arte moderna, via Francesco Crispi 24
Orari: da martedì a domenica ore 10.00 - 18.30.
La biglietteria chiude alle ore 17.30.
Tel. 060608

(la Repubblica, 4 luglio 2014)


Gli aerei viaggeranno grazie ad aria e acqua

Alcuni scienziati israeliani sono alla ricerca di nuove tecniche di produzione di un carburante fatto di aria e acqua.

Gli aerei potrebbero volare grazie ad aria e acqua. Alcuni scienziati israeliani della Ben Gurion University, guidati dal prof. Moti Herskowitz, stanno sperimentando un carburante per aerei composto da aria e acqua.
Dall'aria e dall'acqua, infatti, potrebbero arrivare utili ed efficaci idrocarburi, ma la loro realizzazione è molto costosa. Gli israeliani puntano all'individuazione di nuove tecniche di produzione, che dovrebbero estrarre molecole di carbonio dall'anidride carbonica presente nell'aria e fonderle con le molecole di idrogeno contenute nell'acqua. A livello di laboratorio, la scienza è già riuscita a creare la fusione: la novità consiste nel fatto che gli israeliani stanno sperimentando un metodo che per la prima volta potrebbe trasformare questo nuovo tipo di carburante in un prodotto di largo consumo.
Al momento gli aerei viaggiano grazie a risorse naturali esauribili: greggio, etanolo, gas naturale.

(EcoSeven, 4 luglio 2014)


Israele e Hamas vicini all'accordo per un cessate il fuoco

Lo riferisce la Bbc. Decisiva la mediazione egiziana

Israele e il gruppo islamico palestinese di Hamas annunceranno nelle prossime ore l'inizio di un cessate il fuoco a Gaza. Secondo quanto riferisce l'emittente televisiva britannica Bbc, le parti avrebbero raggiunto un accordo tramite la mediazione egiziana per porre fine al lancio di razzi palestinesi su Israele e ai raid aerei israeliani su Gaza.
Solo ieri il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, aveva confermato l'esistenza di una mediazione egiziana per evitare una nuova offensiva militare israeliana su Gaza.

(Il Foglio, 4 luglio 2014)


Non c'è "ciclo della violenza" in Israele

di Fiamma Nirenstein

  
Non c'è "ciclo della violenza" in Israele. C'è un aggressore integralista islamico, identico a quello che in questo momento fa centinaia di migliaia di morti in tutto il Medio Oriente, che odia gli ebrei, ha ricevuto l'ordine di ucciderli nella sua stessa carta costitutiva, rapisce a sangue freddo tre ragazzini e li uccide cantando di gioia, come si sente nella terribile cassetta arrivata nelle nostre mani.
Se il ragazzo palestinese ritrovato ieri mattina nella foresta di Gerusalemme è stato ucciso da un gruppo di israeliani delinquenti psicopatici e razzisti (cosa per niente sicura al momento) questo non ha niente a che fare con l'assassinio sistematico e programmatico perpetrato da decenni da Hamas, una grande organizzazione che controlla un esercito, una porzione territoriale notevole, Gaza, una quantità di denaro.
Se gli assassini fossero ebrei di estrema destra, prima di tutto sono degli assassini, e questo non ha niente a che fare nè con l'ebraismo, nè col fatto che si tratti, se così fosse, di "coloni" categoria vituperata anche se il mondo ha appena avuto l'occasione di incontrare la grandissima pietà, onorabilità, la dignità infinita dei genitori dei ragazzi uccisi. Tutte persone che vivono nei famigerati Territori, come tante altre persone per bene che hanno agli occhi del mondo il difetto di ritenere che per accettare la cessione di parte dei luoghi oggi abitati dagli ebrei, Israele ha diritto a una maggiore sicurezza.
Cosa che davvero oggi esiste. Pensate se il Golan fosse stato sgombrato: sarebbe oggi terreno dell'assassino Assad o dei mostri qaedisti. Pensate se la valle del Giordano fosse stata concessa: sarebbe ora preda dell'ISIS, e li avremmo affacciati sul Mediterraneo. Un po 'di buon senso e nessuna equivalenza morale, non è proprio il caso.

(Blog di Fiamma Nirenstein, 4 luglio 2014)


«Ebrei incapaci di lacrime»

L'antisemitismo non muore mai. Tre ragazzi massacrati a sangue freddo non contano, per i giornali italiani Israele è comunque colpevole e non sa piangere i morti degli altri. Carnefici a prescindere.

di Maria G. Maglie

Se poi viene confermato quel che già si sa, ovvero che il povero ragazzino palestinese non lo hanno ucciso dei coloni vendicativi ma è stato vittima di un delitto di famiglia o di vicinato perché omosessuale, caratteristica serenamente ammessa in Israele, considerata un peccato intollerabile tra i palestinesi, credete che qualcuno tornerà indietro sui titoli sparati ieri? Oggi che ritorsioni per la macellazione dei tre ragazzi israeliani ancora non se ne vedono, a dimostrazione di quale e quanto timore il terrorismo possa incutere anche nella nazione più coraggiosa, credete che qualcuno tomerà indietro sui titoli sparati da giorni? Ne ricordo alcuni. Dal Corriere della Sera, il commento di Ala Hlehel dal titolo «Incapaci di mostrare dolore se muoiono i figli degli altri», e gli incapaci sono gli israeliani, da Avvenire, l'editoriale di Riccardo Redaelli dal titolo «La logica perdente della vendetta», la logica perdente manco a dirla è quella di Israele. Nei giorni precedenti: l'Unità «Israele, l'escalation dell'orrore»; La Stampa, «Uccisi i tre ragazzi sequestrati. Israele: sarà la fine di Hamas»; il Fatto Quotidiano, «Uccisi i ragazzi rapiti. Israele giura vendetta»; la pagina on line di Rifondazione «Palestina, Ferrero: Criminale ritorsione del governo israeliano contro il popolo palestinese»; Il Manifesto, «Uccisi i ragazzi rapiti. Israele accusa Hamas». Che avete capito voi? Che si sta preparando una reazione feroce, non che hanno trucidato tre innocenti che facevano l'autostop. Non che il premier Bibi Netanyahu ha condannato qualsiasi ritorsione personale con parole durissime.

- Concessioni
  Il terrorismo palestinese ottiene il suo scopo infame anche grazie ai media europei. Quello contro Israele è un terrorismo «politico», compagni che sbagliano si diceva un tempo. I terroristi processati da uno Stato democratico scontano dieci, quindici anni di prigione e poi ricominciano il loro sporco lavoro. Piegati dal terrorismo gli israeliani si sono ritirati dal Libano del sud, da Gaza, dal nord della Samaria. Oggi sono piegati anche nella capacità di resistenza: il 39% di israeliani era pronto a «concessioni» nel 1988, contro il sessanta per cento di oggi. Il terrore funziona, gli ebrei sono vittime di seconda classe per il mondo.
   Gilad, Naftali ed Eyal, due sedici anni, uno diciannove, erano studenti di una scuola rabbinica di Gush Etzion, un insediamento ebraico nei pressi di Hebron. Non erano soldati, non erano coloni armati, non minacciavano nessuno, stavano tomando a casa; li hanno rapiti dei terroristi palestinesi travestiti da ebrei ortodossi, li hanno portali nel centro palestinese di Halhoul, li hanno massacrati, hanno devastato i loro corpi. Non volevano, come pure si è detto, scambi di prigionieri, quelli li hanno sempre ottenuti, a ritmi di un prigioniero israeliano in cambio di mille palestinesi. È un cambio di passo nel terrorismo politico, la vigilia di una terza Intifada, preparino lo sdegno i filo arabi, ci sarà spazio come già in passato per stragi inventate e per assedi fasulli, protagonista il perfido Israele in armi contro ragazzini dotati solo di pietre. Ai distratti del governo Renzi, uno che alla Leopolda si proclamava gran sostenitore di Israele ma poi ha mandato la Mogherini agli Esteri, già la vorrebbe sostituire, ma per mandarla in Europa, e pare che al suo posto ci voglia Lapo Pistelli, amico del cuore dell'Autorità Palestinese, ai distratti in generale è d'obbligo ricordare che l'Autorità Palestinese ha cooptato il mese scorso Harnas in un governo di unità nazionale e che basta guardare la carta geopolitica del caos mediorientale per capire che oggi, parlare di «processo di pace in Medio Oriente», come pure si ostinano a fare, è grottesco. Oggi tra Isis a Bagdad che annuncia la conquista di Roma, Iran che finanzia i terroristi indisturbato, anzi ci facciamo le trattative, Libia che si avvia a essere come la Somalia fuori controllo, perfino con un leader turco, Erdogan, che era un baluardo della Nato e oggi conciona spiegando che guai a distinguere tra islam moderato ed estremista, ecco, oggi non rimane all'Occidente che il baluardo di Israele. Comprenderlo vorrebbe dire rinviare il suicidio.
   Invece no, invece il Corriere pubblica un articolo infame dello scrittore arabo israeliano, e cittadino israeliano, Ala Hlehel, il quale, dato per scontato che l'omicidio di Mohammed Abu Khdair sia una vendetta, giustifica l'appoggio al rapimento e all'uccisione dei tre ragazzi. Per lui sono eguali il terrorismo da un lato, le operazioni militari di difesa dal terrorismo dall'altro.

- Doppiezza
  Peggio, c'è come un marchio di razza, gli israeliani sarebbero incapaci di empatia e comprensione umana verso gli arabi. Che dovrebbero fare i cattivoni per dimostrare empatia? Ovvio, trattare con un governo che include Hamas, astenersi dal difendersi, cedere nei negoziati. Osservate nella prosa di Ala Hlehel la doppiezza del messaggio proposto a lettori compiacenti. «L'opinione pubblica sionista non tollera più la solidarietà con le vittime "dell'altra parte" ma pretende che l'identificazione e la solidarietà siano solo ed esclusivamente con "le nostre vittime"», e poi «sono sicuro che la stragrande maggioranza del popolo palestinese non abbia gioito per l'uccisione di tre ragazzi, sebbene non sia neppure in lutto». Da dove trae tali certezze? Non è dato saperlo. Dice due parole che siano due contro il terrorismo? Macché, perfetto per pubblicazione su giomalone italiano.

(Libero, 4 luglio 2014)


Addio a Bendor, eroe tragico d'Israele. Spia, giustiziere, pacifista

Prese Eichmann, uccise terroristi sotto interrogatorio, accusò lo stato ebraico. Simbolo e paradosso di un popolo

di Giulio Meotti

Avraham Bendor Shalom
ROMA. William Safire, in una column per il New York Times del 1987, lo definì "la leggenda dello spionaggio israeliano". Avraham Bendor Shalom non corrispondeva però allo stereotipo della spia israeliana. Tarchiato e con gli occhiali da intellettuale, Shalom sembrava più un archivista. Gli amici lo descrivono come "una figura ascetica, quieta", e i compagni di lavoro come "uno scialbo, anonimo". Avraham Shalom è scomparso a 86 anni, mentre il suo paese aveva ancora il fiato sospeso per la sorte infausta dei tre studenti uccisi dai terroristi palestinesi. Un paese che Shalom ha servito per oltre sessant'anni, dove arrivò con la famiglia di ebrei viennesi prima ancora che ci fosse uno stato d'Israele.
   Un eroe tragico, paradossale, Shalom. Si chiamava Bendor ed ebraicizzò il cognome in Shalom. Quanto ai nomi, compariva in molti modi: Abe, Abvrum, Avram, li cambiava per sfuggire, spesso, nell'anonimato. Nel commentare la sua morte, il ministro della Scienza, Yaakov Peri, che prese il posto di Shalom come capo dello Shin Bet, il servizio segreto interno, ha detto: "Se c'era uno stadio con diecimila spettatori e un terrorista, Avraham poteva indicartelo". Shalom è il compianto padre del sistema di sicurezza israeliano. "Ha preso parte a qualsiasi operazione del servizio segreto, sempre sul campo e come uno scout", diranno i giornali israeliani.
   Shalom fece parte del commando israeliano di tre agenti che nel 1960 riuscì a catturare il criminale nazista Adolf Eichmann in Argentina. Shalom ebbe l'onore, assieme a Rafi Eitan, di afferrare fisicamente il cervello della "Soluzione finale del problema ebraico" quando scese dall'autobus alla periferia di Buenos Aires. Di Eichmann, austriaco come il suo sequestratore, Bendor diceva: "Pensare che quello era l'uomo che trattava gli esseri umani come le unghie era inspiegabile, è ancora inspiegabile". "Gentile", così Shalom definì Eichmann.
   Shalom ereditò l'amore per la musica dalla madre, viennese e insegnante di pianoforte. La futura spia israeliana visse i giorni di terrore della Kristallnacht, la notte dei cristalli fra il 9 e il 10 novembre 1938, quando 36 ebrei sono uccisi, ventimila arrestati e vengono devastati quasi ottomila loro negozi. Nel 1946 Avraham, arrivati nella Palestina mandataria dieci anni prima, entra nei reparti militari di élite dei pionieri ebraici, il Palmach. Quattro anni dopo lo Shin Bet, gli 007 responsabili della sicurezza interna, reclutano quel giovane ebreo viennese.
   Una carriera interna all'agenzia senza mai apparire sulla stampa e inanellando un successo dietro l'altro. Fino al 1980, quando Shalom assunse la guida del leggendario servizio di sicurezza. Nel 1984, l'autobus 300 che fa la spola fra Tel Aviv e Ashkelon viene sequestrato da quattro terroristi palestinesi. Chiedono che Israele rilasci centinaia di loro compagni. Le teste di cuoio assaltano l'autobus, liberano gli ostaggi (tranne uno, rimasto ucciso). Dei quattro terroristi, due sono ancora vivi. Gli agenti di Bendor li torchiano, vogliono informazioni per scardinare la rete terroristica pronta a compiere altri attentati. I terroristi sono sfiniti, e Shalom ordina: "Giustiziateli". Ehud Yatom, uno degli ufficiali coinvolti, due anni dopo spiffera tutto alla stampa. Racconta con dovizia di particolari il modo in cui vennero "fatti sparire" due dei quattro palestinesi. Alla domanda se non abbia avuto problemi di coscienza nell'uccidere i due sequestratori, Yatom ha risposto: "La guerra contro i terroristi ha lo scopo di impedire l'uccisione di innocenti. Sono necessarie azioni che non si uniformano con valori etici assoluti. Non mi pento di nulla. Bendor me lo ordinò". Era sempre stata questa la difesa di Avraham: "Nella guerra al terrore, scordatevi la morale". Ma viene costretto a dimettersi, ottenendo in cambio il perdono del presidente Herzog.

- Quei 150 kg di uranio
  Torna al suo cognome originario, Bendor, e gira il mondo facendo il "consulente per la sicurezza". Ma prima di lasciare, Shalom guida il rapimento di Mustafa Dirani, il terrorista sciita libanese che consegnò alle Guardie della rivoluzione iraniane l'aviere israeliano Ron Arad, ancora disperso. Dirani dirà di essere stato sodomizzato dagli uomini di Bendor. Ma il paradosso di questo eroe tragico sta negli ultimi anni della sua vita, quando la spia accuserà Israele di essere "diventato crudele" e che "facciamo come i tedeschi". Shalom nel 2003 sostiene l'iniziativa di Ginevra, il più radicale dei progetti di pace con i palestinesi, praticamente il disarmo strategico dello stato ebraico.
   Bendor se ne è andato portandosi nella tomba il suo segreto più importante. Il furto di uranio bellico, per il programma di armi atomiche di Israele, da un impianto di ritrattamento nucleare nella Pennsylvania occidentale. Si dice che Bendor abbia trafugato il prezioso materiale assieme a Rafi Eitan, suo compagno anche per il caso Eichmann, un altro pezzo di storia ebraica, l'uomo che Ariel Sharon chiamava "stinky Rafi", Rafi il puzzone, perché in un'operazione era finito in una fogna. Dalla Numec di Apollo, un'impresa che ricicla materie nucleari, nei dieci anni fra il 1956 e il 1966 sono scomparsi 150 chili di uranio 235. Gli americani hanno sempre parlato di "perdita tecnica negli impianti".
   E sempre Eitan e Bendor giocarono un ruolo decisivo nel caso Jonathan Pollard, che all'epoca in cui spiava a Washington era "gli occhi e le orecchie di Israele in una zona geografica che andava dall'oceano Atlantico all'oceano Indiano". Eitan era l'agente di collegamento di Pollard al Mossad, Bendor la spia incaricata nel depistare gli americani. Di sé diceva di essere soltanto un ebreo viennese diventato kibbutzim. Contadino.

(Il Foglio, 4 luglio 2014)


Drammatica operazione di salvataggio di una famiglia di ebrei siriani

Si apprende che nove membri di una famiglia mista di ebrei siriani con alcuni membri musulmani sono stati segretamente portati in Israele grazie a una drammatica operazione di salvataggio che ha visto la partecipazione di soggetti israeliani e non israeliani. È la prima volta in oltre tre anni di guerra civile siriana che una famiglia ebrea lascia il paese per raggiungere Israele con un viaggio rocambolesco le cui tappe esatte sono ancora coperte da segreto. La vicenda è nota da qualche tempo, ma la stampa israeliana si è attenuta al massimo riserbo per non comprometterne l'esito finché era ancora in corso. La famiglia, che ha chiesto di non essere nominata, è ora finalmente riunita in un centro d'accoglienza governativo a nord di Tel Aviv. Della comunità ebraica siriana, un tempo fiorente e composta da migliaia di persone, non restano oggi che una ventina di individui residenti a Damasco. All'operazione ha collaborato fra gli altri Israel Flying Aid, una ong impegnata a fornire aiuti umanitari ai paesi con cui Israele non ha rapporti diplomatici ma che si trovano coinvolti in catastrofi belliche o naturali. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto incontrare ed elogiare, la scorsa settimana, i rappresentanti della ong e del movimento giovanile che in Israele ha raccolto diverse tonnellate di cibo, medicine, vestiti e altri generi di prima necessità destinati ai profughi siriani in Giordania e Turchia.

(israele.net, 4 luglio 2014)


Shoah a Rodi, i complici italiani

La Rsi consegnò ai nazisti la lista degli ebrei da deportare. Una nuova documentazione sulla tragedia avvenuta 70 anni fa nell'Egeo meridionale.

di Antonio Carioti

Liliana Picciotto
La razzia delle SS nel ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, con la deportazione ad Auschwitz di oltre mille ebrei, è un punto fermo nella memoria del nostro Paese. Assai meno noto è un episodio altrettanto grave (anzi di più per numero delle vittime) che riguarda anch'esso l'Italia. Da Rodi e da Cos, isole greche del Dodecaneso, nel mar Egeo, da noi occupate e annesse in seguito alla guerra con la Turchia per la Libia del 1911-12, i tedeschi condussero verso lo sterminio settant'anni fa, il 23 luglio 1944, circa 1.750 ebrei. E ora affiorano documenti da cui risulta con chiarezza che a quel crimine contribuirono attivamente le autorità fasciste di Salò.
   Le nuove acquisizioni sono frutto del lavoro svolto negli ultimi mesi dall'Archivio di Stato di Rodi, diretto da Inni Toliou, con la collaborazione di Evangelia Xatzaki, di Eleonora Papone e dello storico italiano Marco Clementi, autore di un libro sull'occupazione italiana della Grecia, Camicie nere sull'Acropoli, edito da DeriveApprodi. Attraverso il riordino delle carte appartenute al govematorato italiano negli anni in cui su Rodi sventolava il tricolore, poi incrociate con il fondo dei carabinieri locali, versato di recente, è emerso un carteggio di estremo interesse.
   Ci troviamo nella primavera del 1944. Dopo l'armistizio con gli angloamericani firmato dal governo Badoglio nel settembre 1943, i tedeschi hanno assunto il controllo di Rodi. I carabinieri italiani di stanza nell'isola sono stati in buon parte deportati: quelli che hanno accettato di collaborare con gli occupanti sono stati inquadrati nella Guardia nazionale repubblicana (Gnr), un corpo armato della Rsi di Mussolini. Per il momento la numerosa comunità ebraica dell'isola, pur emarginata, non è stata colpita. Ma il 17 aprile la Gnr chiede al municipio di compilare in duplice copia un elenco di tutti gli ebrei in quel momento domiciliati a Rodi, divisi per gruppi famigliari, nell'ambito dell'annuale controllo delle carte di identità. Sembra un passaggio di routine, ma gli sviluppi saranno tragici.
   L'11 maggio il municipio risponde e trasmette la lista, che però oggi nel fondo dei carabinieri e della Gnr non si trova. Tuttavia da quell'archivio emerge un appunto di grande importanza, datato 21 luglio 1944, nel quale si legge che una copia dell'elenco degli israeliti «è stata a suo tempo consegnata alla polizia segreta germanica». Due giorni dopo i tedeschi deportano da Rodi tutti gli ebrei e li avviano ad Auschwitz: si tratta di uno degli ultimi grandi convogli verso lo sterminio. E non sarebbe stato possibile realizzare quell'operazione criminale con altrettanto successo senza il diretto coinvolgimento delle autorità italiane dipendenti dal governo di Salò, che fornirono i nomi delle vittime.
   C'è di più. Con alcune ricerche ulteriori, il gruppo che opera all'Archivio di Rodi ha riportato alla luce anche una copia della lista. «L'abbiamo rivenuta tra le carte del governatorato — spiega Clementi — in una scatola relativa all'anno 1945. Non c'è da stupirsene, perché gli errori di archiviazione sono abbastanza comuni. Altri studiosi avevano visto l'elenco, ma, non avendo il carteggio precedente, non potevano coglierne tutte le implicazioni. Comunque sull'autenticità non ci sono dubbi. La lista è dattiloscritta su fogli del municipio ed è datata 18 luglio 1944. Comprende 1661 nominativi di persone abitanti a Rodi: mancano gli israeliti di Cos, che erano circa un centinaio. Parla di "ebrei deportati", al passato, quindi se ne può dedurre che il trasferimento doveva scattare prima, poi è stato ritardato di alcuni giorni, probabilmente a causa del bombardamenti aerei britannici sull'isola».
   Liliana Picciotto, studiosa del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) e autrice di vari saggi sulla Shoah in Italia, sottolinea l'importanza della documentazione rinvenuta a Rodi. «E' una prova ulteriore di come gli uffici di polizia italiana abbiano collaborato alla Shoah, fornendo ai tedeschi gli elenchi degli ebrei da deportare preparati sulla base dei censimenti compiuti a norma delle leggi razziali fasciste. Abbiamo molte liste di vittime compilate sulla base di testimonianze dei sopravvissuti: questa si distingue perché precede la retata ed è stata redatta dai persecutori. Bisogna dire che in alcuni casi la polizia italiana o i carabinieri avvertivano gli ebrei della minaccia, in modo che potessero cercare di nascondersi. Ma a Rodi non avvenne nulla di simile. Va notato che la Gnr chiede al municipio anche gli indirizzi degli ebrei, che però nella lista non sono riportati. Infatti non venne compiuta una razzia casa per casa: le persone da deportare furono convocate dai tedeschi e si presentarono spontaneamente, senza sospettare la sorte terribile che le attendeva».

(Corriere della Sera, 4 luglio 2014)


Israele si sta trattenendo. E Hamas?

Gerusalemme parla di stabilizzazione, da Gaza partono i razzi.

Israele muove le truppe vicino al confine della Striscia di Gaza e lo fa in modo che sia evidente e riconoscibile da tutti, anche avvertendo le agenzie di stampa. L'Home Front Command alza il livello di allerta nazionale e la marina militare rafforza la presenza davanti alla costa della Striscia. Dopo tre consigli dei ministri-fiume, il governo di Gerusalemme (che non fa trapelare più nulla, dopo le notizie di divisioni al suo interno uscite lunedì notte) sta adottando una linea della stabilizzazione senza interventi armati, a meno che la situazione non precipiti. Ieri Hamas ha sparato circa cinquanta razzi sulle cittadine israeliane nel sud e Tsahal ha risposto con raid aerei, ma per ora è uno scontro laterale rispetto a quello che sta accadendo davvero: un tentativo di de-escalation concordato con il nemico. Dice il portavoce delle Forze armate, il tenente colonnello Peter Lerner. "In questo momento il motto dell Forze di difesa è 'de-escalation'. Stiamo facendo arrivare a Hamas, attraverso vari canali - ufficiali e anche riservati - questo messaggio: de-escalation, ripristinate un senso di sicurezza, abbassate il livello di violenza". Nel mezzo delle manovre militari e dei bombardamenti reciproci con i palestinesi, Gerusalemme ha scelto per ora una strada difficilissima: se non agisce dopo la morte dei tre ragazzi rinuncia alla sua capacità di deterrenza anche per il futuro, che da sempre è l'argine più efficiente contro gli attacchi del terrorismo che puntano a sabotare i tentativi di pace; se invece agisce, si avvita assieme a Hamas in un botta e risposta armato che porta verso l'operazione militare dentro Gaza (come una parte del governo vorrebbe). Per ora, si sta limitando a lanciare un avvertimento nella forma di una pressione militare mai così pesante dall'ultima guerra nel dicembre 2012. Hamas, però, questo avvertimento lo sta ignorando. Anche se sostiene di essere estranea al rapimento e all'uccisione dei tre ragazzi e di avere approvato l'operazione soltanto a posteriori, se ora non ferma i razzi dovrà prendersi la responsabilità della risposta armata di Israele.

(Il Foglio, 4 luglio 2014)


Israeliani uccisi: una famiglia di New York dà i loro nomi a tre gemelli appena nati

  
L'addio ai tre ragazzi uccisi
Un gesto semplice e insieme fortissimo. Una carezza dopo la coltellata che i parenti di Eyal, Gil-Ad e Naftali hanno ricevuto con la notizia che i tre ragazzi israeliani erano stati uccisi il giorno stesso del loro rapimento, il 12 giugno. Una famiglia ebrea di New York ha scelto di onorare la memoria dei giovani dando i loro nomi a tre gemelli appena nati.
Proprio ieri, alla cerimonia per la circoincisione dei tre piccoli, la famiglia ha indicato i nomi di Eyal Yosef, Gil-ad Menachem and Naftali Chaim. Il tutto un solo giorno dopo i funerali che hanno visto oltre 150mila persone dare l'ultimo saluto ai tre giovani innocenti uccisi.

(Il Messaggero, 3 luglio 2014)


"Non escludo che siano stati gli stessi israeliani tramite il Mossad ad orchestrare questo delitto in un momento cruciale." Questa è la "congettura" che un lettore ha scritto su un giornale dopo aver aver denunciato "la prova del razzismo che lo stato di Israele e tutti i suoi manutengoli sanno instillare nell'opinione pubblica."
Nei giorni scorsi non abbiamo aggiunto particolari commenti ai tristi fatti avvenuti perché purtroppo in essi non si trova niente di veramente nuovo. Quello che si è visto confermato ancora una volta è l’odio con la scusa dell’antisemitismo, come titola in modo sintetico e appropriato Pierluigi Battista nel suo ottimo
articolo del 2 luglio scorso. E nonostante le apparenze, l’odio più devastante ed efficace non è quello degli estremisti islamici, ma quello dell’opinione pubblica occidentale, che si traduce in decisioni politiche degli Stati e di fatto crea e mantiene il mare in cui nuotano gli squali che azzannano lo Stato ebraico. Fare a Israele continue lezioni di morale parlando di “coloni” e “territori occupati” è la menzogna di fondo che sostiene l’odio omicida e lo mimetizza sotto la veste di anelito alla giustizia e invito alla pace. M.C.


Dopo l'assassinio di Naftali, Gilad ed Eyal

"La pace arriverà quando gli arabi ameranno più i loro bambini di quanto odino noi". Una frase storica di Golda Meir. Un giorno difficilissimo per Israele con la scoperta dei cadaveri dei tre studenti rapiti tre settimane fa. I loro nomi sono Naftali Fraenkel, Gilad Shaar, entrambi di 16 anni, Eyal Yifrach di 19, colpevoli di essere israeliani ed ebrei. Israele si stringe attorno alle famiglie di questi ragazzi. Israele, le sue persone, sono speciali in questi momenti. Sette milioni di persone diventano una grande famiglia e si intendono con silenzi e sguardi, come con pianti e lacrime. Parliamo di quella Israele che qualche settimana fa ha operato presso l'ospedale Ichilov di Tel Aviv la moglie di Abu Mazen. Parliamo di quella Israele che mesi fa ha curato la nipote di Hanyeh (esponente di Hamas). Parliamo di quella Israele che da quando è in atto la "guerra" in Siria, assiste i siriani presso i propri ospedali a nord di Israele. Parliamo di quella Israele che da 20 giorni ha ricevuto 40 razzi sul proprio territorio. E intendiamoci, questo è quello che sappiamo. L'assassinio di questi ragazzi ha dato una grande sberla, ancora una volta ha dimostrato al mondo la vera "entità" degli esseri che Israele deve combattere giorno per giorno, ma che dall'altra parte cura. Si. La chiamano democrazia. Ma quanto è caro il prezzo per mantenere questa democrazia? I prossimi giorni saranno difficili. Siamo ancora tutti increduli. Ricordiamo e vediamo le mamme, le famiglie, i fratelli. Rivediamo le immagini dei militari che da diciotto giorni hanno scandagliato il territorio, al caldo, stanchi, affaticati, ma con l'unico desiderio di ritrovare tre innocenti ragazzi. Israele andrà avanti, lo fa oramai da 66 anni. So di non crearmi molte simpatie con questo post, ma non importa. Am Israel chai (il popolo di Israele vive).
Gabriele Bauer

(Corriere della Sera - Blog di Beppe Severgnini, luglio 2014)


Netanyahu: non c'e' posto per i vigilantes nella nostra democrazia

"Non c'è posto per i vigilantes nella nostra democrazia". Così il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha condannato l'omicidio del sedicenne palestinese Muhammad Hussein Abu Khdeir, promettendo di portare i responsabili davanti alla giustizia. "Non siamo nati per odiare", ha detto intanto il presidente Shimon Peres. Entrambi, riferisce il sito Ynetnews, sono intervenuti in occasione del ricevimento offerto dall'ambasciatore americano Dan Shapiro per la festa dell'Indipendenza degli Stati Uniti.
Peres, il cui mandato scadrà a fine mese, ha esortato israeliani e palestinesi a "rispettare la legge" ed evitare ogni forma di "incitamento" all'odio. "Non siamo nati per odiare. Pochi giorni fa abbiamo reagito come una cosa sola, con dignità. Anche nel nostro dolore abbiamo chiesto misura", ha proseguito Peres, riferendosi ai funerale dei tre adolescenti israeliani uccisi. "Chi si lancia nell'incitazione (all'odio) non è sempre consapevole che questa porta a più dolore, più pericoli", ha concluso.

(Adnkronos, 3 luglio 2014)


Israele - Ore di tensione

di Rossella Tercatin

Gli scontri per le strade di Gerusalemme, i razzi sparati da Gaza che continuano a colpire il sud del paese, il nervosismo che serra gli animi dopo i funerali di Eyal, Gilad e Naftali. Israele vive in queste ore momenti di grande tensione, con il nuovo, terribile episodio dell'uccisione di Mohammed Abu Khdeir, palestinese di 16 anni, il cui corpo carbonizzato è stato ritrovato ieri mattina in una foresta nei pressi della Capitale. Dure le parole dei leader d'Israele sull'accaduto, a partire dal premier Benjamin Netanyahu. Le indagini sono ancora in corso, ma secondo quanto riportato dalla stampa israeliana, l'ipotesi che sembra prevalere è quella di un episodio di vendetta. E il sospetto di una dinamica simile ha infiammato la popolazione arabo-israeliana di Gerusalemme Est, che nelle scorse ore è stata teatro di scontri come non se ne vedevano da tempo, con lanci di bottiglie molotov e pietre contro la polizia che ha risposto con lacrimogeni e proiettili di gomma.
E nuovi missili continuano a essere sparati da Gaza contro il Sud dello Stato ebraico. Tre case sono state colpite, alcuni razzi intercettati dal sistema di difesa Iron Dome, altri ancora sono caduti in aree aperte. Già in serata e negli scorsi giorni decine di missili avevano raggiunto Israele e in particolare la cittadina di Sderot, causando altri danneggiamenti a edifici, il ferimento di diverse persone e la perdita di corrente elettrica in molte strade della città. Le autorità israeliane sottolineano la responsabilità del gruppo terroristico di Hamas che governa la Striscia. Nelle ultime ore l'aviazione ha portato avanti diverse operazioni contro obiettivi mirati, tra cui depositi di armi, basi di lancio dei razzi e altri siti legati ad attività terrorista. Alla luce di quanto sta accadendo, Israele sta mobilitando truppe di terra e carri armati nel sud, anche se una fonte militare ha rivelato al quotidiano Haaretz in condizione di anonimato che le autorità vogliono evitare un'escalation di violenza, e che se Hamas interromperà il lancio di razzi "alla quiete si risponderà con la quiete".

(moked, 3 luglio 2014)


Non cedere alla legge del taglione

di Fiamma Nirenstein

Mohammed Abu Khdeir
GERUSALEMME - Netanyahu ha definito "un delitto abominevole" l'assassinio del diciasettenne Muhammad Hussein Abu Khader, il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat l'ha chiamato un atto "orribile e barbarico", e ancora più terribile apparirebbe se si trattasse di un atto di vendetta dopo l'assassinio di Gilad, Eyal e Naftali. Il primo ministro ha anche chiesto alla polizia di presentare al più presto i risultati delle indagini, e ha detto che Israele è uno Stato di diritto dove la giustizia non si fa con le proprie mani. Il sospetto è che estremisti legati ai nuclei detti del "Tag Mehir" cioè del "prezzo da pagare" abbiano rapito il ragazzo all'alba di ieri nel quartiere di Shuafat a Gerusalemme est, dove il ragazzo è stato visto salire su una macchina contro la sua volontà. "Tag Mehir" dal 2005 imbratta i muri delle moschee con scritte razziste, danneggia le proprietà, spaventa i villaggi arabi. La polizia cerca in tutte le direzioni, batte le piste familiari come quelle dell'estremismo. Ma come in un desiderio spasmodico di simmetria dopo lo shock del rapimento, le accuse internazionali... la certezza dei palestinesi che gli assassini siano estremisti ebrei è assoluta, e subito si è trasformata in rivolta di piazza ed è diventata, anche nelle parole del deputato arabo Ahmad Tibi, colpa del Governo. Mentre scriviamo sono ancora in atto violenti scontri fra dimostranti e polizia a Gerusalemme. Oltretutto, intanto tre sono nella capitale gli incendi che crepitano uccidendo preziosi cipressi e i pini piantati nella terra assettata della città. Gli scontri si svolgono nel quartiere di origine del ragazzo ucciso, non lontano dall'Università. Sono volate pietre di tutte le dimensioni e sette ordigni esplosivi oltre a bottiglie molotov, la polizia ha sparato fumogeni e caricato la folla di giovani col volto coperto dalla kefia. Un giornalista e una fotografa sono rimasti feriti, un israeliano finito nel mezzo dei dimostranti si è salvato a stento accusato di essere una spia. Per ora, non c'è prova che gli estremisti di destra israeliani siano gli assassini. Ma anche Abu Mazen ha già invitato Netanyahu a condannare subito l'assassinio, ricordando la sua condanna del rapimento dei tre giovani israeliani e la richiesta di restituirli. Ma Bibi aspetta una certezza che per ora non esiste.
   Il gruppo "Tag Mehir" è odioso, ma per ora non si è macchiato di assassini; tuttavia molte volte ha dato segno di un' indegna, ignorante, irresponsabile aggressività, si è svergognato con le sue stesse mani compiendo crimini odiosi al pubblico israeliano. Con le sue provocazioni, si presta a essere una chiave molto gradita di delegittimazione internazionale di Israele. Ma in questi terribili 18 giorni di attesa nella dignità e nel rispetto della legge nessuno ha mai detto una parola d'odio. Uno dei parenti delle vittime del rapimento ieri è stato chiaro: chiunque compie un delitto agisce contro la volontà di Dio, nessuno potrà mai perdonarli se l'hanno fatto. Il delitto ha già fatto sorgere nei media una gran voglia di comparare l'assassinio di Gilad, Eyal e Naftali con quello di Muhammad, di plasmare una simmetria. Ma non regge: ammettendo la possibilità che si tratti di coloni dell'estrema destra israeliana, la polizia li cerca e li prenderà, la morale comune li condanna senza appello, la giustizia non farà sconti.Sono una minoranza irrisoria,non una grande organizzazione come Hamas, partner di governo di Abu Mazen. Inoltre, la società palestinese ha accompagnato con stupefacente simpatia il rapimento e l'assassinio.
   E' delle ultime ore l'ascolto più accurato della telefonata in cui Gilad dice alla polizia: "Mi hanno rapito". Oltre alla la voce che intima "giù la testa" e gli spari, alla fine si sentono anche i rapitori che cantano per la gioia di aver ucciso i ragazzi.

(il Giornale, 3 luglio 2014)


Dentro Gaza o demolire case? Israele è incerto nella risposta ad Hamas

Tsahal riprende a distruggere le abitazioni dei terroristi tra le polemiche. Ucciso un ragazzo palestinese a Gerusalemme.

di Giulio Meotti

ROMA - "Entrare a Gaza o demolire le case dei terroristi?". E' la domanda che circola nell'establishment di sicurezza d'Israele nella risposta all'uccisione dei tre studenti, e pure l'incontro di ieri sera è risultato inconcludente. Il governo di Benjamin Netanyahu è diviso sulle misure contro Hamas, mentre a Gerusalemme est esplode la protesta araba dopo il ritrovamento del cadavere di un ragazzo palestinese di 17 anni. "Resta da capire se sia un gesto criminale o nazionalistico", ha detto il ministro della Sicurezza, Yitzhak Aharonovich. Ma la condanna dell'atto è stata unanime, gli Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione molto dura, anche il governo israeliano ha detto che nessuno deve pensare di poter far giustizia da sé. Il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, e quello dell'Economia, Naftali Bennett, vogliono una operazione militare contro Hamas a Gaza "sulle stesse linee della campagna di Jenin", che nel 2004 pose fine agli attentati suicidi. Ovvero entrare a Gaza. Altri ministri, per ora maggioritari e guidati da Yair Lapid e Tzipi Livni, vogliono una "punizione mirata" come deterrente per futuri tentativi di rapimento e la fine dei lanci di razzi. Il commento di ieri di Debka serve a capire l'umore dei falchi: "Il bombardamento di edifici vuoti a Gaza darà a Hamas un assegno in bianco per rapire altri israeliani e lanciare missili, non convincerà Abu Mazen a rompere il patto di unità con Hamas e a garantire la sicurezza a un milione di israeliani sotto i razzi". Il governo ha deciso di peggiorare le condizioni nelle carceri per i prigionieri di Hamas. E valuta la deportazione dei capi del terrore dalla Cisgiordania a Gaza. Il ministero della Giustizia e la Corte suprema hanno dato parere positivo, anche se la Convenzione di Ginevra vieta i trasferimenti. Israele aveva sospeso questa misura persino durante i giorni più sanguinosi della Seconda Intifada. "Se Israele dovesse riprenderla oggi, avrebbe difficoltà a difenderne la legalità", dice Aeyal Gross, giurista all'Università di Tel Aviv. La deportazione è un'arma a doppio taglio: in esilio, i capi del terrore sono più liberi di organizzare attentati, senza la vigilanza dello Shin Bet. Per adesso, ci si concentra così sulla demolizione delle case.
   Ieri l'esercito è tornato a usare le ruspe contro le case dei terroristi. Non accadeva dal 2005, quando un documento dell'esercito le reputò "controproducenti e illegali". Ieri è stata demolita la casa di Ziad Awad, il terrorista che ha ucciso Baruch Mizrahi lo scorso 14 aprile. Poi è saltata in aria la casa di Marwan Kawasme, uno dei terroristi di Hamas accusati di aver ucciso i tre ragazzi israeliani. Come ha detto Joel Singer, già consulente legale dell'esercito, "alla fine della giornata, qualunque cosa tu faccia, devi bilanciare legalità e deterrenza, in modo da avere la botte piena e la moglie ubriaca". La politica di abbattimento delle case fu avviata dall'ex premier Yitzhak Rabin, che disse: "Chi ci attacca deve sapere che mette a repentaglio la sua famiglia". Israele ha demolito 669 case finora come punizione per attacchi terroristici, fino a quando la pratica è stata interrotta nove anni fa. Allora il ministero della Difesa, su suggerimento del generale Udi Shani, disse che le demolizioni non avevano un effetto deterrente ma anzi, fomentavano odio.

- Il sostegno economico al terrore
  Non è d'accordo il governo Netanyahu. "C'è un intero sistema di sostegno economico per il terrorismo", ha detto ieri un funzionario del gabinetto di Sicurezza. "Una casa può essere ricostruita, ma livella un po' il campo da gioco". L'esercito ha descritto la demolizione delle case come "un messaggio ai terroristi: il prezzo sarà pagato da tutti". Famiglie comprese. Shai Nitzan, che ha difeso le demolizioni presso la Corte suprema, ha affermato che "la famiglia è un fattore centrale nella società palestinese" e colpirla scoraggia i terroristi. Spiega Daniel Byman, autore di "A high price", "il dolore delle distruzioni di case è considerevole. In una zona povera, perdere una casa significa perdere tutto". Ma per il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, le demolizioni sono efficaci solo se Israele controlla il territorio. Altrimenti i gruppi armati ricostruiscono una casa più grande per la famiglia, e il presunto deterrente diventa un incentivo. Il danno di immagine per Israele è alto. Il ministro della Giustizia Yosef "Tommy" Lapid, padre dell'attuale leader politico Yair, disse: "Ho visto in televisione una vecchia tra le macerie della sua casa a Rafah alla ricerca di una medicina. Mi ha ricordato mia nonna cacciata di casa durante l'Olocausto". Così spesso Israele anziché demolire le case, le riempie di mattoni e malta, rendendole inutilizzabili.

(Il Foglio, 3 luglio 2014)


L'estremismo fa sempre piu paura agli islamici

di Simona Verrazzo

 
L'estremismo islamico non fa paura soltanto all'Occidente, a cominciare dall'Europa, ma ormai gli stessi Paesi a maggioranza islamica prendono sempre più le distanze da movimenti che usano la religione per ottenere potere e seminare morte. Lo afferma un sondaggio del Pew Research Center, think tank con sede a Washington, sulla base di 14.244 interviste fatte in 14 Paesi, dal Nordafrica al Sudest asiatico.
Tra le ragioni per cui sono aumentati i timori c'è il conflitto in Siria, a cui partecipano diversi movimenti estremisti islamici compreso l'Isis, e azioni eclatanti come il rapimento di quasi 300 studentesse in Nigeria per mano di Boko Haram. La paura del fondamentalismo religioso si sta diffondendo nei Paesi a maggioranza musulmana: in Libano è passata dall'81 per cento del 2013 al 92 per cento di quest'anno, in Tunisia è salita dal 71 all'80 per cento, in Egitto dal 69 al 75 per cento, in Giordania dal 54 al 62 per cento e in Turchia è aumentata dal 37 al 50 per cento.
Al Qaeda è vista negativamente dal 56 per cento degli intervistati in Indonesia, il Paese musulmano più popolato del mondo, mentre in Pakistan il 59 per cento ha una cattiva opinione dei taleban, infine in Nigeria (dove c'è equilibrio tra cristiani e islamici) l'82 per cento considera sfavorevolmente Boko Haram. Il sondaggio è stato realizzato dal 10 aprile al 25 maggio, poco dopo il maxi-sequestro delle studentesse nigeriane e subito prima dell'offensiva dell'Isis in Iraq.

(Avvenire, 3 luglio 2014)


La famiglia di un ragazzo israeliano ucciso condanna la morte del giovane palestinese

"Azione orribile e sconvolgente"

GERUSALEMME - La famiglia di Naftali Frenkel, uno dei tre ragazzi israeliani uccisi in Cisgiordania, ha condannato il sequestro e l'uccisione di un 17enne palestinese.
"Non sappiamo con esattezza cosa è successo a Gerusalemme Est. Il caso è nelle mani della polizia. Ma se questo giovane arabo è stato ucciso per motivi nazionalistici, si tratta di un'azione orribile e sconvolgente - ha dichiarato la famiglia Frankel - non c'è alcuna differenza tra il sangue versato. Un omicidio è un omicidio, a prescindere dalla nazionalità o dall'età. Non c'è nessuna giustificazione, nessun perdono o espiazione".
Il corpo di Naftali Frankel, 16 anni e doppia cittadinanza israelo-americana, così come quelli di Eyal Ifrach (19 anni) e Gilad Shaer (16 anni), sono stati trovati lunedì scorso nei pressi della città di Halhoul, nel sud della Cisgiordania.
Il 17enne palestinese Mohammad Abu Khdair è stato rapito ieri nel quartiere Shuafat di Gerusalemme Est e il suo corpo è stato rinvenuto poche ore dopo a Gerusalemme Ovest.

(TMNews, 2 luglio 2014)


La madre di uno dei due sospettati dell'assassinio dei tre giovani israeliani: "Sono fiera di lui"

di Vincenzo Scichilone

Nel corso di un'intervista alla rete tv israeliana "Channel 10, la madre di Amer Abu Aysha ha manifestato il proprio compiacimento per il crimine di cui si sarebbe macchiato il figlio, maledicendo del forze di sicurezza dell'ANP di Abu Mazen, che hanno collaborato con le IDF nella ricerca dei tre giovani, dei quali sono stati rinvenuti i cadaveri il 30 giugno scorso. Il governo di unità nazionale palestinese è morto, Mahmud Abbas proceda alla liberazione di Gaza e alla pacificazione con Israele.

Sta facendo il giro del mondo il video dell'intervista alla madre di Amer Abu Aysha, il palestinese di 33 anni sospettato di essere l'assassino dei tre giovani seminaristi israeliani, dei quali i militari israeliani hanno trovato i corpi il 30 giugno scorso. Insieme all'altro sospettato Marwan Kawasme, 29 anni, si sono perse le tracce, nonostante la mobilitazione dello Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano, che ne aveva subito indicato la responsabilità sulla base dell'analisi delle celle di trasmissione cui si erano agganciati i cellulari dei tre ragazzi israeliani - Gilad Shaar, 16 anni, Eyal Yifrach, 19 anni, e Naftali Frenkel, 16 anni - che ieri sono stati salutati in una cerimonia funebre cui hanno presenziato oltre 20 mila persone e durante la quale hanno preso la parola il presidente uscente di Israele, il premio Nobel per la Pace Shimon Peres, e il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
La madre di Amer Abu Aysha ha dichiarato che se il "figlio fosse colpevole dell'assassinio dei tre ragazzi, sarebbe orgogliosa di lui fino al giorno del giudizio". Parole che hanno inorridito ogni persona razionale di questo tormentato pianeta. Con un atteggiamento di mezza dissimulazione (taqiyya), la donna ha prima dichiarato che il figlio non c'entrasse nulla con il rapimento, ma poi ha detto quelle parole scioccanti.
Nel corso dell'intervista al canale televisivo israeliano Channel 10, la donna ha affermato di aver allevato i propri figli "sulle ginocchia della religione (islamica), sono ragazzi religiosi, onesti e dalle mani pulite e il loro obiettivo è portare alla vittoria dell'islam".

(The Horsemoon Post, 2 luglio 2014)


Esercito israeliano: puniremo i militari che chiedono vendetta

GERUSALEMME - L'esercito israeliano prendera' seri provvedimenti contro i militari apparsi sui social network urlando slogan razzisti e chiedendo vendetta per l'omicidio dei tre ragazzi israeliani. Lo ha annunciato un portavoce militare. ''L'invio di immagini razziste e gli appelli ad aggredire persone innocenti e' qualcosa di grave che non corrisponde a quanto ci si aspetta da un soldato israeliano'', si legge in un comunicato. La dichiarazione e' stata diffusa mentre sui social media si stanno moltiplicando gli appelli a ''vendicare'' la morte dei tre adolescenti israeliani, anche dopo l'uccisione di 17enne palestinese che sarebbe stato assassinato per rappresaglia. Il ministro della Giustizia israeliano, Tzipi Livni, ha condannato questi messaggi, affermando alla radio militare che ''quando soldati armati appaiono sui social network vicino a cartelli con su scritto 'morte agli arabi' questi devono pagare''. Il portavoce militare ha anche ammonito i soldati che ''tutti i casi che verranno verificati saranno trattati con tutta la fermezza necessaria dai comandanti''. Quindi ha aggiunto: ''E' un peccato che il sentimento di lutto nazionale venga sfruttato da elementi politici impegnati a provocare e a incitare, tentando di coinvolgere l'esercito''.

(ASCA, 2 luglio 2014)


Gerusalemme: ragazzo palestinese ucciso: quello che i media non vi dicono

GERUSALEMME - Cerchiamo di fare un ragionamento logico sull'omicidio di Mohammed Abu Khdeir, il ragazzino palestinese trovato bruciato nei pressi di Gerusalemme della cui morte tutti i media mondiali accusano gli estremisti ebraici. Cerchiamo di farlo senza farci condizionare dagli stessi media e soprattutto nel rispetto di quanto chiesto dal portavoce della polizia israeliana, Rafi Yafeh, in merito al tenere un profilo basso fino a quando non sarà la stessa polizia a dare informazioni ufficiali.
Prima di tutto ripercorriamo gli eventi. Tre giorni fa vengono trovati i corpi trucidati dei tre ragazzi ebrei rapiti e ammazzati da Hamas. Grande indignazione in Israele, poche reazioni dalla comunità internazionale se non quelle di circostanza. L'unica preoccupazione è relativa alla possibile reazione israeliana. Il giorno dopo ci sono i funerali dei tre ragazzi il tutto mentre su tutto il sud di Israele piovono decine di missili. L'indignazione internazionale (se così la vogliamo chiamare) è già scemata. Ma d'altra parte non è mai stata alta nemmeno nei giorni del sequestro quando ancora si credeva che i ragazzi fossero vivi. Ieri viene trovato i corpo bruciato di un ragazzino arabo e scoppia il pandemonio, sia a livello locale con un antipasto di intifada che a livello mediatico globale. Non c'è un solo media internazionale che non parli di "vendetta israeliana". Non servono gli appelli della polizia alla prudenza, i media e isoliti idioti soffiano volentieri sul fuoco delle violenze. Pochi fanno caso al fatto che il ragazzino palestinese è stato bruciato, una cosa che un ebreo (specie se ortodosso) non farebbe mai e poi mai, nemmeno per il peggior nemico....

(Right Reporters, 3 luglio 2014)


Israele - Sessantamila download dell'app Sos dopo il rapimento dei tre ragazzi

L'applicazione per smartphone, messa a punto da un'organizzazione no profit, permette di localizzare con il Gps chi lancia l'allarme.

di Angela Geraci

«Mi hanno rapito...»: sono le ultime parole registrate di Gilad Shaar, sequestrato poco prima insieme a Naftali Frenkel ed Eyal Yifrach vicino a Hebron, in Cisgiordania. Erano le 22.15 del 12 giugno e il 16enne israeliano, che sarebbe stato ucciso poco dopo con gli altri due ragazzi, aveva chiamato la polizia per chiedere aiuto. Quella telefonata confusa, in cui in sottofondo si sentono poi dei suoni che sembrano colpi
La telefonata
Gilad Shaar sussura: "Sono stato rapito". Poi si sente un urlo: "Giù la testa", seguito da probabili colpi d'arma da fuoco. La voce di un altro poliziotto che chiede: "Dove sei adesso? Dove sei adesso?"
di arma da fuoco, è stata però sottovalutata dagli agenti. In un primo momento si era addirittura pensato anche che potesse essere uno scherzo telefonico (lo ha scritto The Times of Israel). Il centralino della polizia aveva in seguito provato a richiamare il numero ma ormai il telefono era irraggiungibile. Adesso - 18 giorni dopo quella telefonata, dopo ore e ore di ricerche e raid nei territori palestinesi prima di trovare i corpi dei giovani - alcuni ufficiali sono stati sollevati dai loro incarichi e i tre ragazzi sepolti durante una cerimonia a cui hanno preso parte decine di migliaia di persone da tutta Israele. Il clima diventa sempre più incandescente (alcuni ebrei ultra ortodossi hanno ucciso un 17enne palestinese per rappresaglia) e fra gli israeliani la paura dei rapimenti è palpabile. Ma perché non capiti più che una telefonata di emergenza alle forze dell'ordine sia vana, come quella di Gilad, già 60 mila israeliani hanno scaricato la Sos app, un'applicazione che con il solo tocco di un dito permette di lanciare un allarme e di essere localizzati.

- Localizzazione con il Gps
  L'app «salvavita», come spiega il Jerusalem Post, è stata ideata da un'organizzazione no profit di volontari, la United Hatzalah (UH). Il fondatore e presidente Eli Beer ha invitato tutti i genitori a scaricarla per la sicurezza dei loro figli. Perché se ci si trova in situazioni di pericolo basta far scorrere il dito sullo schermo per attivare un interruttore e lanciare l'allarme. Il centralino dell'UH, attivo 24 ore su 24, viene avvisato dell'emergenza e le forze di sicurezza hanno subito il permesso di rintracciare la posizione di chi è in difficoltà usando il Gps. Finora, invece, per poter tracciare il segnale di un cellulare la polizia doveva seguire un lungo iter legale: tempo perso preziosissimo in caso di rapimento. Quando Gilat ha telefonato al centralino, invece, gli agenti non solo non potevano essere in grado di localizzare la chiamata ma non erano neppure certi che non si trattasse di uno scherzo telefonico.

- Avvertiti anche famiglia e amici
  Gli utenti dell'app, nel contratto di sottoscrizione, accettano anche che il sistema registri la chiamata. Questo serve per monitorare la situazione, dalla prima segnalazione fino all'intervento. La registrazione, spiega l'azienda che ha sviluppato l'applicazione, garantisce anche che non si faccia abuso di questo servizio gratuito d'emergenza. Tra l'altro, il servizio offerto dall'app comprende anche la chiamata a familiari o amici i cui numeri di telefono sono indicati dall'utente. «La nostra finestra temporale di intervento nelle emergenze - dice al Jerusalem Post Eli Beer - è di due minuti: spero che centinaia di migliaia di bambini israeliani abbiano la nostra app sul loro smartphone prima dell'inizio dell'anno scolastico, il 1o settembre».

(Corriere della Sera, 2 luglio 2014)


Odio con la scusa dell'anti-sionismo

Scrivi di provare pietà per Naftali, Gilad e Eyal e verrai sommerso dagli insulti. Un eccesso di violenza polemica ottenebra qualsiasi ragione. Israele viene descritta come una congrega di fanatici assetati di sangue.

di Pierluigi Battista

Scrivi su Twitter che Naftali, Gilad ed Eyal, i tre ragazzi ebrei rapiti e trucidati in terra palestinese, dobbiamo sentirli come i «nostri» ragazzi, soffrire con loro e con le loro famiglie, averne pietà, detestare i terroristi che li hanno martirizzati, scrivi soltanto questo e verrai sommerso da un diluvio di insulti e contumelie. II più benevolo tratta quei ragazzini di 16 anni come i numeri di un'equivalenza: non un briciolo di pietà che non contempli, simultaneamente, l'orrore per le gesta di padri descritti come orchi con le mani sporche di sangue. Il più accecato e inselvatichito dal fanatismo antisionista equipara tout court quei tre ragazzi agli aguzzini che non meritano compassione. E senti ancora una volta che una dismisura mostruosa colpisce gli ebrei, il sionismo, l'immagine di Israele. Come se un eccesso di violenza polemica ottenebrasse qualunque ragione, e anche qualunque sentimento semplicemente umano.
   La politica non c'entra. II giudizio politico si interroga sul perché i terroristi hanno voluto colpire in modo così infame tre adolescenti che amavano studiare i testi religiosi e cantare nelle feste che rinsaldano la coesione della comunità. II giudizio politico può anche criticare i vertici dello Stato di Israele se non sono capaci di fare una pace stabile con i palestinesi. Il giudizio politico spera che la reazione israeliana non porti altri lutti di innocenti. Il giudizio politico sa che la guerra è sempre una cosa atroce. Ma l'odio forsennato per Israele che non riesce a scolorirsi nemmeno di fronte allo spettacolo di tre ragazzi intenzionalmente annientati solo perché bollati con l'etichetta per gli assassini così repellente di «sionisti» eccede ogni giudizio politico. E' fanatismo duro. E' la disponibilità ad accogliere ancora la leggenda nera degli «ebrei» condannati a un destino cruento che non considera sfumature, giudizi equilibrati. Come se Israele e il sionismo fossero l'ultima materializzazione del Male assoluto per contrastare il quale non si deve escludere nessun mezzo, anche iI più ripugnante. Anche il Terrore. Non la guerra, che colpisce indiscriminatamente. Ma il Terrore che colpisce uno ad uno le sue vittime, tre ragazzi che non stavano facendo nulla di male se non, semplicemente, esistere in una delle terre più incandescenti dell'universo.
   Il mondo è pieno di tiranni sanguinari, ma nessuno attira una quantità smisurata di odio come Israele, che peraltro non è una tirannia ma una democrazia, eppure viene descritta, senza alcun rispetto per la verità storica, come una congrega di carnefici assetati di sangue palestinese. Quando sono stati rapiti i tre ragazzi (raffigurati come usurpatori violenti di una terra altrui, senza alcuna mediazione), a Roma pattuglie di imbrattatori si sono adoperati per coprire pubblicità israeliane con scritte che deploravano l'essenza «nazista» di Israele. Gruppi di fanatici europei (gli italiani in prima fila in questa classifica della vergogna) partecipavano alla danza macabra che consisteva nel far compiere ai bambini palestinesi gesti con le tre dita che inneggiavano al rapimento dei tre ragazzi, quasi coetanei ma «luridi sionisti»: un sabba di odio e di ignoranza che non è nemmeno giustificato dalla vita degli oppressi, perché è il frutto di uno schematismo ideologico folle e disumano nato qui, non nato nelle terre martoriate. Manipoli di oliatori che non dicono una sola parola sull'oppressione mostruosa che fa sprofondare nella dittatura molti Stati geograficamente contigui ad Israele ma nemici acerrimi del «sionismo» e da sempre nemici di una soluzione politica pacifica per gli israeliani e i palestinesi che contempli la convivenza di due Stati per due popoli.
   Jorge Semprun la chiamava «emiplegia ideologica»: un modo di vedere doppio che nasconde una parte della realtà per deformarne un'altra. Sono gli odiatori che non vogliono dire una parola di pietà per Naftali, Gilad ed EyaL. Che aggredivano anni fa le manifestazioni per chiedere la liberazione di un altro giovane israeliano, Gilad Shalit, tenuto in ostaggio da Hamas, e scambiato con un numero elevatissimo di prigionieri palestinesi. Un odio illimitato, aperto, dichiarato, rivendicato. Senza che faccia scandalo, nell'Occidente che piange per La vita è bella o per Schindler's List, l'orrore di ragazzi ebrei, uccisi perché ebrei, in nome dell'«antisionismo».

(Corriere della Sera, 2 luglio 2014)


Il prezzo dell'umanità di Israele

Checkpoint rimossi, terroristi liberati, muro sospeso. I tre studenti uccisi e il dilemma dello stato ebraico

di Giulio Meotti

ROMA - I servizi israeliani temono che i due terroristi palestinesi che hanno ucciso Gilad Shaer, Naftali Frenkel e Eyal Yifrach siano già a Gaza. Dopo aver abbandonato i cadaveri dei tre in un campo a Hebron, i terroristi avrebbero preso la via del sud. Per dodici anni quella strada era stata interrotta dal checkpoint di Harayiq. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo aveva rimosso un anno fa, per facilitare il movimento dei palestinesi che vivono nei villaggi di Dura, Sammou', Thahiriyeh e Yatta. Ma così facendo, Israele ha facilitato la fuga dei terroristi.
   E' il tragico dilemma dello stato ebraico. I gesti di "buona volontà" verso gli arabi incrementano il terrorismo. Netanyahu si è vantato di essere "il primo ministro che ha rimosso quattrocento checkpoint". Si ritiene che anche la sospensione, un anno fa, della costruzione del "muro" nella zona del sequestro nel Gush Etzion abbia favorito l'attacco. Se ci fosse stata la barriera, mai realizzata per le proteste umanitarie e palestinesi, gli attentatori non avrebbero potuto entrare e uscire così facilmente dal territorio israeliano. Israele ha migliorato le condizioni ai checkpoint e ne ha rimossi tanti, ma i terroristi ne hanno deliberatamente approfittato. Quando rimangono bloccati ai posti di blocco, i terroristi usano i cellulari. Così i servizi israeliani riescono a individuare la cellula. Senza i checkpoint, l'intelligence verrebbe a conoscenza di un attacco mentre è già in corso. Come durante la Seconda Intifada. Nel gennaio del 2010 anche l'uccisione dell'israeliano Meir Chai avvenne subito dopo la rimozione di un checkpoint come "confidence-building measure".
   L'assassinio dei tre studenti israeliani getta luce su un altro doloroso paradosso: il rilascio di terroristi. Israele ha appena arrestato di nuovo un quinto dei palestinesi liberati nel 2011 in cambio di Gilad Shalit e rientrati nelle loro case in Cisgiordania. Un mese fa, la notte di Seder, la Pasqua ebraica, terroristi uccisero l'israeliano Baruch Mizrahi, sempre a Hebron. Nei giorni scorsi Israele ha arrestato il suo assassino, Ziad Awad, rilasciato in cambio del caporale Shalit. Come ha spiegato l'editorialista Ben-Dror Yemini sul giornale Yedioth Ahronoth, 123 israeliani sono stati uccisi da terroristi rilasciati in scambi precedenti. Non coltivavano sogni di pace, ma di assassinio di ebrei. Tragica è questa perpetua scelta di Israele, perché promette a chiunque voglia intraprendere rapimenti di israeliani che essi saranno fruttuosi, che coaguleranno la umma islamica e che si può uccidere il rapito perché comunque si ottiene in cambio ciò che si desidera. 55 terroristi scarcerati in cambio di Shalit sono tornati in carcere, accusati di aver fornito assistenza all'uccisione di Shaer, Frenkel e Yifrach. Così, il premier Netanyahu, che nel 1997 in un libro aveva giurato che non avrebbe mai liberato terroristi, passerà alla storia come quello che ne ha scarcerati di più.
   Dal 2005, Israele è andato ritirandosi da zone strategiche per la sicurezza in nome del "disimpegno". La sicurezza è stata appaltata all'Autorità nazionale palestinese e gli assassini degli studenti sono partiti da un'area sotto controllo palestinese per tornare in un'area sotto controllo palestinese. E l'esercito israeliano deve adesso condurre pericolosi e infruttuosi raid notturni. Dal 1999, l'intelligence israeliana non può più usare gli "interrogatori duri", banditi dalla Corte suprema ma necessari per ottenere informazioni e salvare vite umane. A Israele l'interrogatorio non serve per incriminare un terrorista, ma per distruggere la cellula. Gli interrogatori dello Shin Bet funzionavano a tal punto che si dice che persino l'ex capo militare di Hamas, il feroce Saleh Shehada (in seguito ucciso da un missile), alla fine collaborasse mansueto durante gli interrogatori. Ecco il dramma dello stato ebraico: la grandezza d'Israele, la sua moralità, legalità e umanità, è un letto caldo per terroristi seriali e assassini di bambini e studenti.

(Il Foglio, 2 luglio 2014)


Hamas: "L'eroica operazione di cattura avrà grandi conseguenze"


(idfnadesk. 18 giu 2014)


"I primi colpevoli sono quei dirigenti palestinesi"

Il vicepresidente della Comunità Ebraica di Torino, Emanuel Segre Amar, ci ha fatto pervenire il testo di quello che ha detto ieri sera in sinagoga. Lo ringraziamo e volentieri pubblichiamo le sue parole.

Negli ultimi giorni, quando non arrivavano quei segnali ai quali chi governa in Israele è purtroppo abituato, la speranza di un futuro rilascio, magari anche doloroso come altri, aveva iniziato a lasciare spazio al timore di questa tragica fine. Così è stato, infatti.
Itamar, Tolosa, Bruxelles e il Kibbutz Kfar Etzion non sono che alcune tragiche tappe di una serie lunghissima che sembra non avere fine. Anzi, serie alla quale, quanto avviene in Israele e in Europa, non può far prevedere una fine prossima. Dobbiamo essere coscienti che queste belve umane, perché, nei casi prima citati non trovo parole diverse, non sono nemmeno i primi colpevoli. I primi colpevoli sono quei dirigenti palestinesi che inculcano nei loro bambini, fin dalla primissima infanzia, l'odio verso gli ebrei. Sì, verso gli ebrei, non verso gli israeliani, perché così sta scritto in un certo senso. Il risultato è che è venuta su questa generazione di giovani che di umano ha solo le sembianze. Pensavo ieri a quel you tube che gira da alcuni giorni nel quale si vedono due ragazzini arabi, colpevoli di chissà che cosa, inginocchiati, con gli occhi bendati, che ascoltano il loro carnefice, in piedi dietro di loro, che legge le parole "del loro rito", rito? prima della carneficina pronta a scatenarsi. Uno di questi ragazzini cerca il compagno, vicino a lui, con la sua mano destra in un estremo bisogno di contatto umano, cosciente di cosa gli capiterà dopo pochi secondi. Non sappiamo come hanno ammazzato i tre giovani studenti, nostri fratelli, ma sappiamo che così si comportano queste belve dalle fattezze umane. Siamo qui in una sinagoga, e forse non è sbagliato ricordare alcuni versetti come in Devarim [Deuteronomio] 7, 1-2 "Il Signore caccerà molte nazioni di fronte a te. Quando il Signore il tuo Dio le metterà a tua disposizione e le sconfiggerai, devi distruggerle completamente, non fare alcun trattato con loro o dar loro alcuna considerazione". Noi dobbiamo capire bene chi abbiamo di fronte, ma quando si dichiarano pronti a trattare con noi, se parlano in una lingua, e poi, in arabo, tranquillizzano la loro popolazione dicendo l'esatto contrario, allora credo che non possiamo concedere nulla. Solo con la purtroppo necessaria fermezza possiamo sperare di arrivare a quella pace che oggi chi tra gli arabi davvero la desidera, sapendo chi siamo noi ebrei, come Mohammad Zoabi, il coraggioso nipote della deputata della Knesset Hanin Zoabi, deve poi vivere protetto in attesa di una fine tragica che, forse, lo aspetta. La stessa fine che è toccata a Elad e Gilad, assassinati a soli 16 anni, ed a Eyal, che di anni ne aveva 19. Tre giovani che il mondo ha chiamato "coloni", come se fossero israeliani indegni del diritto alla vita, indicandoli al pubblico ludibrio, quasi a giustificare il loro rapimento, e, tragicamente, la loro esecuzione. Ma si trattava di tre giovani LICEALI innocenti che stavano tornando a casa loro, e per di più solo uno di loro viveva in uno yishuv, Talmon, che si trova da 35 anni oltre quella linea di cessate il fuoco del 1949, divenuta ormai "sacra" - e lo dico con sarcasmo - per coloro che operano de facto per la sparizione d'Israele, sebbene si riempiano la bocca di parole altisonanti come "pace"; una linea che i mistificatori chiamano "confini del 1967", mentre non sono MAI stati dei confini; una linea che Abba Eban chiamò "I confini di Auschwitz".

(Notizie su Israele, 2 luglio 2014)


Sulle tracce della deportazione degli ebrei viterbesi

Estate viterbese - Daniele Camilli e Roberta de Vito presentano il loro libro a Caffeina il 3 luglio alle 23

 
Roberta de Vito
 
Daniele Camilli
VITERBO - "Concentrare, sterminare. Essere è ricordare". È questo il titolo del libro di Daniele Camilli e Roberta de Vito (Intermedia Edizioni) che verrà presentato al festival Caffeina Cultura il prossimo 3 luglio alle 23 a piazza Santa Maria Nuova a Viterbo. Assieme agli autori, interverranno anche Riccardo Valentini, capogruppo di Per il Lazio al consiglio regionale, Tonino Longo, segretario generale della Uil Scuola Viterbo, e lo scrittore Giulio Laurenti.
   Per la prima volta verranno resi pubblici i documenti d'archivio riguardanti il campo di concentramento per prigionieri di guerra di Vetralla, la deportazione degli ebrei viterbesi e le violenze di nazisti e fascisti contro la popolazione civile della Tuscia.
   Nomi e cognomi non solo delle vittime del fascismo, ma anche di chi si rese complice della macchina dello sterminio in provincia di Viterbo durante la seconda guerra mondiale. Il tutto accompagnato da testimonianze inedite e documenti che testimoniano le condizioni di vita degli ebrei detenuti nel carcere di Santa Maria in Gradi di Viterbo prima della deportazione presso i campi di concentramento.
   "Jader Spizzichino e la moglie Marta Cohen - sta scritto in un documento della Questura di Viterbo datato 23 dicembre 1943 - desiderano vedersi più spesso di quanto è stato loro concesso ogni venti giorni. Sollecitano l'evasione della pratica riguardante il loro riconoscimento di non appartenenza alla razza ariana. Lo Jader chiede poi che gli sia corrisposta la pensione che percepiva quale funzionario del ministero dell'Interno a riposo, onde far fronte alle piccole spese consentite dall'ordinamento del carcere.
   Chiede inoltre che gli sia consentito di soddisfare alle proprie naturali occorrenze fuori della cella, dato che non riesce a vincere la repugnanza e l'umiliazione della latrina comune. Desidera infine che gli sia concesso di poter riavere un dizionario che è in un deposito presso il carcere e che gli occorre per trascorrere il tempo meno oziosamente. Wolf Martin e la moglie Matilde - prosegue il documento pubblicato da Camilli e de Vito - desiderano colloqui più frequenti.
   Sono vecchi e sofferenti e le loro condizioni di spirito sono molto depresse. Anche il professore vorrebbe non servirsi della comune latrina della cella. Non vorrebbe perdere la propria biblioteca che possiede nella sua abitazione di San Lorenzo Nuovo e che contiene manoscritti di una sua opera letteraria, frutto di lunghi anni di lavoro e di studi. Desidera dei libri per vincere il tedio della reclusione e di essere inviato in un campo di concentramento dove poter vivere più a contatto con la propria moglie. Di Porto Angelo e la moglie Di Veroli Lalla desiderano vedersi più frequentemente. Majer Arnoldo è molto depresso; lamenta la scarsezza del cibo che consiste nella somministrazione giornaliera di un minestrone e di un pezzo di pane.
   Desidera che gli sia data la possibilità di procurarsi qualche libro scritto in lingua tedesca. Moscati Angelo vorrebbe colloqui più frequenti con la moglie Anticoli Reale; anch'egli lamenta la scarsezza di cibo e la latrina comune. Di Veroli Letizia e Di Veroli Anna non hanno espresso lamentele o necessità, soltanto aspirano alla libertà, della cui privazione non sanno rendersi conto".
   Gli ebrei viterbesi vennero deportati nel febbraio del 1944, senza il necessario per affrontare il viaggio. "Non è possibile - riporta infatti un altro documento del ministero di Grazia e Giustizia datato 23 febbraio 1944 - munire gli ebrei traducenti al campo di concentramento di Carpi di coperte e stoviglie per assoluta mancanza di materiali disponibili. Le poche disponibilità sono già insufficienti alle più necessarie esigenze della popolazione detenuta e nelle attuali contingenze non sono possibili i rifornimenti. È necessario pertanto di dar modo ai predetti ebrei di provvedersi di coperte e stoviglie di loro proprietà".

(Tuscia Web, 2 luglio 2014)


"La risposta forte ad Hamas deve ancora arrivare"

Dario Sanchez è un fotoreporter italo-israeliano, ha 20 anni e vive in Israele. Qui racconta il clima nel Paese dopo l'uccisione dei tre ragazzi.

di Leonardo Rossi

L'aria è pesante in Israele dopo l'omicidio dei tre ragazzi. A dirlo è Dario Sanchez, fotoreporter italo-israeliano, che vive lì. Il fotografo fiuta gli umori del Paese e spiega che nessuno in Israele vuole colpire con violenza, ma che una risposta ancora più dura sta per arrivare. Ma Dario Sanchez è anche un ventenne e vivere in questa nazione a vent'anni significa avere possibilità, secondo lui, uniche.

- Sono morti tre ragazzi, che aria si respira in Israele?
  "Non nascondo che attualmente l'aria è particolare pesante: è un misto di rassegnazione, dolore e rabbia. È la prima volta che il terrorismo islamista di Hamas ci ha colpito in maniera atroce strappando alle loro famiglie tre adolescenti. Precedentemente, c'è stato il noto caso di Gilad Shalit e di tre soldati in Libano da parte di Hezbollah, ma mai prima d'ora Hamas ha agito così contro dei civili inermi, tra l'altro poco più che bambini. Fino all'ultimo, stretti attorno alle madri dei tre ragazzi, abbiamo voluto credere fortemente che erano ancora vivi, e che sarebbero tornati sani e salvi a casa. Purtroppo i fatti ci raccontano che ci siamo semplicemente illusi, e che gli uomini di Hamas - pur braccati e messi alle strette dai nostri soldati - piuttosto che usufruire di un salvacondotto che in cambio della vita dei tre ragazzi gli avrebbe garantito la libertà hanno deciso di trucidarli poco dopo il rapimento, per il solo fatto che erano ebrei".

- C'è stata una risposta forte da parte dello Stato israeliano, questo scatenerà una controffensiva. E la via giusta?
  "A dire il vero la "risposta forte", che nessuno qui avrebbe mai desiderato dover intraprendere, deve ancora avvenire. I raid aerei avvenuti questa notte nella Striscia di Gaza hanno colpito 36 obiettivi ed edifici disabitati, utilizzati da Hamas come centri di addestramento e di stoccaggio dei suoi missili. Il fatto che questi edifici erano vuoti, e che non hanno causato vittime tra la popolazione civile, in Italia non l'ha sottolineato nessun giornale. Nessuno in Israele intende punire collettivamente la popolazione araba palestinese per questo rapimento: tuttavia, a seguito di questo tragico episodio avvenuto nella West Bank - area ritenuta a torto sotto il pieno controllo del presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen - unito al quotidiano lancio di missili da Gaza, agli appelli di Hamas all'Intifada e al difficile quadro regionale che ci vede circondati dalle forze Jihadiste dell'ISIS su tre lati, sbarazzarci della presenza minacciosa e aggressiva di Hamas è diventato ormai una necessità irrinunciabile per garantire la nostra sicurezza. È la via giusta? È al momento l'unica, nonostante inevitabilmente travolgerà le vite anche di persone innocenti del tutto estranee alle attività criminali di Hamas".

- I giovani israeliani hanno paura? Oppure continuano la loro vita normalmente? Cosa significa vivere in Israele e avere vent'anni?
  "Vivere in Israele e avere 20 anni vuol dire vivere in uno Stato moderno e dinamico, liberale e libertario, dalla vita sociale e culturale intensa e effervescente. Significa godere dei vantaggi che solo una economia in costante crescita e tutta basata sul sostengo alla ricerca e allo sviluppo può dare a dei giovani. Tutto questo nel Medio Oriente in tempesta, nel quale Israele si inserisce come unico Stato democratico della Regione e come unico avamposto di coesistenza pacifica tra le varie confessioni religiose qui residenti. I giovani israeliani vivono una vita del tutto normale, ma per poter godere di questa libertà in questo mare in tempesta pagano purtroppo un prezzo salatissimo: in media tre anni di servizio militare obbligatorio per ogni ragazzo, e non meno di un anno e mezzo per ogni ragazza. Hanno paura? Certamente. Tuttavia, qui in Israele si impara molto presto a guardare in faccia la paura e ad affrontarla. E a vivere: i festival israeliani, apprezzati in tutto il mondo libero, ne sono una prova lampante".

- Molti in Europa accusano lo Stato israeliano di essere uno stato militarizzato e di applicare una politica di apartheid.
  "Il 20% dei cittadini israeliani sono arabi musulmani e cristiani: vivono come vive il 79% di popolazione di fede ebraica, usufruendo degli stessi servizi pubblici, lavorando fianco a fianco e con le stesse identiche possibilità di carriera nel settore pubblico e privato. Nella Knesset - il parlamento israeliano - siedono parlamentari arabi, così come ci sono giudici e avvocati arabi, medici arabi e maestri e professori arabi. Nessuna barriera fisica li separa da noi: io stesso lavoro come operaio in un Luna Park dove più della metà dei dipendenti sono arabi musulmani, e dove la maggior parte dei bambini che vengono a giocare sono musulmani. Questo è apartheid? Il servizio militare obbligatorio e la militarizzazione del territorio è una necessità inevitabile dopo oltre 60 anni di guerra in cui i regimi arabi e il terrorismo palestinese hanno sempre cercato l'occasione buona per colpirci nella speranza vana di distruggerci".

- Molti giovani da tutto il mondo decidono di lasciare tutto e andare in Israele e per combattere lì. Perché?
  "Inanzitutto specifichiamo: nessun nuovo immigrato viene qui con l'intenzione di combattere contro gli arabi, ma per contribuire alla costruzione del sogno sionista e al consolidamento dello Stato di Israele. Dopo di che, le ragioni che hanno spinto e spingeranno ancora in molti a trasferirsi qui sono le più diverse, e ogni immigrato ha la sua storia unica e personale: tuttavia, si può senz'altro affermare che oggi le ragioni economiche e il preoccupante aumento dell'antisemitismo di matrice islamista, la fanno da padrona tra le ragioni che spingono molti giovani nati e cresciuti nei cinque continenti a mollare tutto e a iniziare una nuova vita qui, nell'unico stato al mondo dove gli ebrei non sono perseguitati e combattono alla pari contro chi vuole distruggerli. Viene da sè che una volta che si è qui la difesa dello Stato e la solidarietà tra cittadini è un obbligo - prima di tutto morale - dal quale non si può essere esentati".

(Il Tempo, 1 luglio 2014)


Il volto della propaganda nazista era Hessy, una bimba di origini ebree

La foto della piccola ebrea Hessy presentata come esempio di "perfetta bambina ariana"
 
La signora Hessy Taft oggi con la locandina in cui fu pubblicato il suo volto da bambina
BERLINO - Una sua fotografia da neonata era stata usata, nel 1935, per la propaganda nazista. Ma quella che avrebbe dovuto essere la "perfetta bambina ariana" era in realtà un'ebrea.
Ha dell'incredibile la storia dell'ottantenne Hessy Taft, il cui volto da piccola, fotografato per un concorso elogiato dallo stesso ministro della Propaganda Joseph Goebbels, era stato scelto per rappresentare la bellezza della razza su una rivista per famiglie, "Sole in casa".
«Oggi posso riderne - racconta alla Bild-online - ma se i nazisti allora avessero scoperto chi sono davvero, non sarei qui viva a raccontarlo».
Tutto è nato proprio dall'iniziativa di un fotografo audace, che all'insaputa dei genitori di Hessy aveva mandato l'immagine della piccola a un concorso. «Volevo ridicolizzare i nazisti», avrebbe confessato il fotografo secondo quanto ha poi raccontato la madre dell'ottantenne, che oggi vive negli Usa.
La verità allora non fu mai scoperta. Ancora quando il padre di Hessy veniva arrestato dalle SS, nel 1938, i tedeschi "ariani" si spedivano cartoline con il volto della bambina ebrea per tutta la Germania, racconta il tabloid.

(Il Secolo XIX, 1 luglio 2014)


In Usa il primo farmaco con certificazione 'kosher'

Medicine per tutte le religioni. Il colosso farmaceutico americano Pfizer ha annunciato che l'Unione Ortodossa (Ou) ha concesso la certificazione 'kosher' a uno dei suoi prodotti: si tratta del taliglucerase alfa, una terapia enzimatica sostitutiva per il trattamento a lungo termine degli adulti con diagnosi confermata di malattia di Gaucher di tipo 1. Elelyso, il nome commerciale del prodotto, autorizzato per la prima volta dalla Food and Drug Administration (Fda) nel maggio 2012, è il primo farmaco a essere certificato 'kosher' dall'Unione ortodossa.
"La malattia di Gaucher di tipo 1 - dichiara Rory O'Connor, Senior Vice President di Pfizer, Responsabile Global Medical Affairs, Innovative Pharma Business - è una malattia rara, ma più frequente tra gli individui di origine ebrea aschenazita, e ha un impatto significativo sui pazienti e sulle loro famiglie. Questa certificazione riflette l'impegno di Pfizer verso tutti i pazienti affetti da malattia di Gaucher di tipo 1".
Il farmaco, quindi, soddisfa i rigorosi standard di regolamentazione e controlli kosher e può essere assunto senza problemi da chi è di religione ebraica. L'Ou, l'ente certificatore riconosciuto dei prodotti kosher in tutto il mondo, ha ispezionato lo stabilimento Protalix Biotherapeutics in Israele, azienda biotech che collabora con Pfizer, in cui il medicinale viene prodotto, al fine di garantire che soddisfi tutte gli standard previsti. La certificazione è stata ottenuta grazie al sistema innovativo e di Protalix che, per produrre questo medicinale, utilizza cellule geneticamente modificate coltivate in una semplice soluzione di acqua, estratti vegetali, zucchero, e una miscela di vitamine e minerali.
"Siamo orgogliosi di rilasciare la certificazione kosher a Elelyso. La malattia di Gaucher e le sue opzioni di trattamento sono un aspetto importante nella comunità ebraica, dato che un ebreo orientale su 14 ne è portatore", ha detto il rabbino Menachem Genack, Ceo di Uo Kosher. "In una situazione di vita o di morte, la legge ebraica stabilisce chiaramente che lo stato kosher di un farmaco di prescrizione" non è necessario, "ma in altri casi è preferibile e a volte raccomandato che ci sia questa certificazione. Ci complimentiamo con Pfizer per aver compiuto questo passo in favore della comunità ebraica".

(Adnkronos, 1 luglio 2014)


Barbarie in Israele. Trucidati i tre studenti rapiti da Hamas

Paese sconvolto dalla notizia dei brutali omicidi. Il governo ritarda la notizia per avvisare le madri.

di Fiamma Nirenstein

Corne una madre che non vuole sapere della morte del figlio e fugge quanto più lontano, così ieri Israele ha evitato di dare la notizia anche dopo ore che AlJazeera e Al Arabiya avevano annunciato che i ragazzi rapiti per cui da due settimane si prega e si trema sono stati ritrovati morti. Si fa così in Israele: prima sono stati avvertiti i genitori, che non apprendano dalla televisione l'accaduto. Naftali Frenkel,16 anni, Gilad Shaar, 16 anni, Eyal Yfrach, 19 sono stati abbandonati insepolti dai loro rapitori, terroristi di Hamas, islamisti estremi, a dieci chilometri da dove erano stati rapiti, tre studenti che tornano a casa da scuola chiedendo un passaggio. Pochi minuti dopo essere stati rapiti sono stati ammazzati, tutti e tre. Dai titoli sulla stampa palestinesese si è potuta notare la soddisfazione e l'incitamento popolare, ogni giorno, nonostante la condanna di Abu Mazen, per il rapimento di tre «uomini ebrei», tre settler, tre odiati usurpatori, tre mostri occupanti, che osavano tornare da scuola calpestando il territorio della sacra umma islamica che gli ebrei non devono abitare, possedere, abitare, neanche quando tornano a casa da scuola.
   La morte dei ragazzi è una verità micidiale sulla realtà attuale, sulla pace, sulla vita della gente che abita quell'area. Israele non si riprenderà presto, i teenager uccisi erano figli di ciascuno: ha cercato con tutta la sua anima quei tre ragazzini, notte e giomo. Come ha detto una delle mamme parlando di loro erano semplicemente dei ragazzi che giocavano a ping pong, suonavano la chitarra, erano oggetto della cura estrema delle loro famiglie, come i nostri ragazzi attraversano da bambini la strada per la mano, avevano mille sogni, uno di loro aveva la passione della cucina, voleva essere uno chef. Nessuno, in Israele, né le famiglie, né i compagni di scuola che abbiamo incontrato, né i politici, hanno mai detto una parola d'odio sui rapitori. Si sono riempiti per loro le sinagoghe e le grandi piazze laiche, come Kikar Rabin a Tel Aviv, i soldati hanno battuto tutta l'area spostando letteralmente ogni pietra, penetrando in ogni casa a rischio della loro vita, in zone come Halcul e Hebron che sono la serra di Hamas, mentre i giudici, i giornali, osservavano con giustizia e severità ogni loro mossa nel campo palestinese. I genitori dei tre ragazzi non hanno mai smesso di presentarsi in pubblico ordinati e calmi, grati, persino sorridenti. Tutta Israele non pensava che a loro senza perdere la testa, il Capo di Stato Maggiore diceva la sera «Cercateli come fossero vostri fratelli, ma stanotte nelle case di Hebron ricordatevi che ci sono anche molti che non la pensano come Hamas». Forse. Ma quello lo spettacolo che offre questo assassinio è quello di una società da cui l'odio ribolle eguale a quello fanatico in Siria, in Iraq, la malattia dell'Islam estremo di Hamas qui è diventata, e non per la prima volta, assassinio di bambini. Li hanno presi per ammazzarli, non hanno nemmeno provato a utilizzare il rapimento per ricattare il governo e ottenere, come fecero con Gilad Shalit e tanti altri, il rilascio di prigionieri. Il rapimento è stato un modo di umiliare, di mettere inginocchio, di fare uno sberleffo a un Paese che mette nella sua difesa un punto di onore, lo scopo però era ammazzare tre ragazzini che tornavano da scuola.
   Abu Mazen adesso capirà che la sua alleanza con Hamas, tanto da formarci insieme un governo, è stata un'alleanza con assassini pericolosi anche per lui? Saran capaci Obama o l'Europa di vedere quanto è indispensabile per Israele difendersi da i nemici senza limiti che la penetrano e la circondano? La scelta di uccidere Naftali, Gilad, Yfrach frutto della volontà di terrorizzare Israele, e piegarlo sul suo dolore. Non funzionerà, ancora una volta Hamas si illude di poter piegare gente che persino dopo la Shoah si è arrotolatale maniche ed è riuscita a far fiorire il deserto e a combattere in nome della vita del popolo ebraico. Così sarà anche questa volta.

(il Giornale, 1 luglio 2014)


*


"Siamo stati educati a odiare Israele. E' nei nostri geni"


(MEMRI TV)


Eyal, Gilad, Naftali - Con la forza delle madri

di Ada Treves

Rachel, Rachelle, Racheli, pur se in varie declinazioni il suo nome è noto in tutto il mondo, quanto quello di suo figlio e degli altri due adolescenti che saranno seppelliti questo pomeriggio. Madre di Naftali, il sedicenne che amava la pallacanestro ed era di casa anche a Brooklyn, Rachel Frankel è stata in questi giorni capace di rappresentare al mondo le famiglie dei tre ragazzi. Con forza, con coraggio, ha portato alta la sua voce di fronte al Consiglio generale di diritti umani dell'ONU a Ginevra, dove - accompagnata dalle madri di Eyal e di Gilad - è andata a domandare se non è diritto di ogni ragazzo, di ogni ragazza, di poter tornare a casa da scuola, sano e salvo.
   Tre famiglie unite da simili storie di normalità, padri e madri che lavorano, che si impegnano per le rispettive comunità e che crescono i propri figli. L'incontro con la missione di solidarietà partita da Roma, quando ancora c'era speranza, è avvenuto subito dopo il ritorno da Ginevra.
   Jacqueline Fellus, partita in rappresentanza dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, era rimasta particolarmente colpita dall'accoglienza riservata alla delegazione soprattutto da parte delle tre madri: "Me le aspettavo distrutte dal dolore, disperate, arrabbiate e invece ho abbracciato tre donne forti di una immensa fede, capaci di affrontare la situazione con dignità e con speranza". Nel tentativo di portare solidarietà, affetto, un poco di calore e di speranza erano stati numerosi gli italiani, giunti appositamente o residenti in Israele che si erano ritrovati a Kfar Etzion. Nella grande sala le tre madri "sembravano sorelle: l'immagine del loro abbraccio, che sta girando il mondo, rispecchia un senso di vicinanza e condivisione reale, fortissimo". "Ancora non sapevamo che per Eyal, Gilad e Naftali non c'era più speranza possibile - continua Jacqueline Fellus - e ho chiesto loro di non smettere di urlare, perché le loro parole erano capaci di sfondare tutte le barriere, di arrivare direttamente al cuore".
   Un punto sottolineato anche dal presidente della Comunità ebraiche romana Riccardo Pacifici: "Penso che si tratti di donne straordinarie che hanno saputo, anche nel dolore, insegnarci cose importanti. Non è la prima volta che la comunità romana si reca in missione di solidarietà in Israele, purtroppo, e siamo sempre arrivati rapidamente in situazioni drammatiche, ma questa volta la condivisione di dolore, pensieri, emozioni e anche immagini degli incontri è stata ancora più forte e più immediata, grazie anche ai social network". La necessità di condividere preoccupazione e poi dolore ha in effetti portato a diffondere con grande intensità parole e immagini, ma anche sfoghi di rabbia e orrore. Per Pacifici "Ritengo che andrebbe riconosciuto il grande insegnamento delle madri di Eyal, Gilad e Naftali: anche nella tragedia che le stava colpendo hanno tenuto una posizione molto netta, ripetendo con forza che due cose preoccupavano molto loro e le loro famiglia. Sono stato davvero colpito dalla chiarezza con cui hanno rifiutato anche la sola idea di poter liberare dei terroristi in cambio dei loro ragazzi: 'Come potremmo mai guardare in volto altre madri, altri padri, se uno di loro, una volta liberato, portasse a compimento un gesto simile a quello che ci ha portato via i nostri figli?'".
   E non era l'unica preoccupazione: nei pensieri, nelle preghiere, sono sempre stati presenti anche tutti i giovani impegnati nelle ricerche. "Il loro istinto materno riusciva anche in quelle ore a comprendere i figli degli altri insieme ai loro, a preoccuparsi per i rischi che stavano correndo altri ragazzi". Era stato organizzato un viaggio a Roma, e i genitori dei tre rapiti avrebbero dovuto essere in Italia il sei e il sette luglio, accolti dalla comunità ebraica, per un momento di preghiera comune e poi per una lunga serie di incontri istituzionali importanti. Sono invece in queste ore in corso tre funerali, cerimonie che pur partendo da luoghi diversi porteranno Eyal, Gilad e Naftali ad essere seppelliti l'uno accanto all'altro. "Sarebbe potuto succedere a uno qualsiasi dei nostri ragazzi, sono tanti quelli che vanno a studiare in Israele, ne ho incontrato uno proprio a Nof Ayalon, nel corso della missione, un quattordicenne romano che vi studia. Penso che dovremmo intitolare a Eyal, Gilad e Naftali delle aule studio in tutte le scuole ebraiche, nei Talmud Torah e nelle scuole rabbiniche, perché il loro nome e la loro memoria restino con noi, restino ad accompagnare i nostri ragazzi, che ancora possono studiare".
   Un sentimento condiviso dalla redazione del giornale dell'ebraismo italiano, che aveva già deciso di intitolare ai tre giovani il laboratorio giornalistico che si svolge ogni anno a Trieste, nella seconda metà di luglio. Perché - come ha dichiarato questa mattina il coordinatore Informazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale - Redazione aperta è sempre stata un luogo di incontro e formazione per i giovani ebrei italiani. "Il dolore di questi giorni deve donare nuove energie alla gioventù ebraica e chi lavora nelle istituzioni ebraiche deve impegnarsi come non mai perché fra i nostri giovani mai prevalgano la paura e lo scoraggiamento."

(moked, 1 luglio 2014)


I ragazzi si sono difesi prima di morire

GERUSALEMME - I tre adolescenti israeliani rapiti si sono difesi con forza prima di essere uccisi. E' quanto ha stabilito l'esame esterno effettuato suo corpi di Naftali Fraenkel, Eyal Yifrach e Gilad Shaar all'istituto forense Abu Kebir di Tel Aviv, secondo quanto riferiscono i media israeliani.
Per motivi religiosi, non è stata effettuata nessuna autopsia. E' stato condotto soltanto un esame esterno delle salme ai fini della loro identificazione e per determinare quando e come sono stati uccisi.

(Focus.it, 1 luglio 2014)


"Ipocrita chi è vicino a Israele solo nei giorni di lutto"

ROMA - "Alcuni, nella politica e nei media italiani, sono vicini a Israele solo nei giorni di lutto...". Lo scrive su Twitter Daniele Capezzone, Forza Italia, Presidente della Commissione Finanze della Camera, denunciando l'ipocrisia di chi oggi piange per la barbara uccisione dei tre ragazzi israeliani, ma troppe volte ha civettato con Hamas e Hezbollah.

(Prima Pagina News, 1 luglio 2014)


Silenzio…

Oggi non ho voglia di scrivere. Come si addice alle situazioni di lutto e di dolore, non trovo cosa migliore del silenzio. È nel silenzio, ci racconta la Torah, la reazione di Aròn di fronte alla tragica e plateale morte dei suoi due figli mentre sperimentavano un percorso religioso. È nel silenzio dell'Eterno che continuiamo a cercare l'eloquenza del Suo messaggio. È nello sforzo di privilegiare il silenzio che tentiamo di ascoltare quanto Eyàl, Ghilàd, Naftalì avrebbero voluto comunicarci nei loro ultimi momenti di vita in questo mondo. Che il Misericordioso possa concedere tanta consolazione ai loro cari.
Roberto Della Rocca, rabbino

(moked, 1 luglio 2014)


Oltremare - Fuoco
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Che piovano missili o che tiri solo vento, che qualcuno spenga male il barbecue o che un piromane butti fiammiferi in punti strategici di boschi arsi dal sole, il risultato in queste settimane è uno solo: fuoco.
Siamo un paese arido, tolte poche zone molto circoscritte, e non so spiegarmi perché a scuola non si insegni (o non si insegni abbastanza bene) la prevenzione contro gli incendi. Il KKL, che in mezzo a polemiche sull'uso dei fondi è comunque il difensore del verde israeliano, pubblica annunci e promuove pubblicità progresso prima di ogni festa nazionale accompagnata da "mangal" (grigliate collettive, che nei parchi pubblici diventano tappeti di griglie fumanti, senza soluzione di continuità, prova fra l'altro che la maggior parte del popolo è ancora fortemente carnivora).
Non basta, evidentemente. Il gigantesco incendio che nel 2010 dimezzò in quattro giorni di vero inferno il bosco del Monte Carmelo, fu causato pare da due adolescenti e un nargilè. In dicembre, con il vento che cambiava continuamente direzione, anche senza il caldo dell'estate il bosco era secco, la pioggia lontana. Ci son voluti i rinforzi dalla non amatissima Turchia, per dar man forte ai nostri aerei antincendio.
La settimana scorsa sono andate in fumo larghe zone di Ein Karem e Kiryat Yovel, quartieri di Gerusalemme, verdi ed estesi. Causa? Pare la lentezza della Forestale nel sgomberare gli alberi ormai secchi, abbattuti dalla grande neve di quest'inverno. Un bel paradosso. In altri posti si dice che piove sempre sul bagnato, qui brucia tutto perché prima ha nevicato.
Sabato scorso è poi bruciata in parte una fabbrica di vernici nella zona industriale di Sderot. Quattro dipendenti erano in fabbrica nonostante la chiusura, salvi perché veloci a correr fuori. Qui però non c'entrano i mangal né i nargilè: c'entra un missile sparato da Gaza, da qualcuno che in cuor suo sperava di fare dei morti. Gli è andata male, ma ha tolto per mesi a Sderot una fabbrica, che da da mangiare a delle famiglie.
I danni di quel fuoco sono simili a quelli di ogni fuoco, ma in qualche modo bruciano di più.

(moked, 1 luglio 2014)


Notizie archiviate



Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.