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Notizie agosto 2014


Ferrara celebra la donna nella cultura ebraica

A settembre ricca tre giorni dedicata all'ebraismo europeo

 
L'antico ghetto di Ferrara
Il prossimo 14 settembre sarà il giorno della quindicesima edizione della "Giornata Europea della Cultura Ebraica", manifestazione europea nata nel Duemila allo scopo di aprire le porte dei luoghi ebraici, per fare conoscere le tradizioni e le usanze, le sinagoghe ed i musei ebraici, il patrimonio storico, artistico e architettonico dell'ebraismo europeo.
  Quest'anno Ferrara - città capofila della manifestazione in considerazione del patrimonio materiale ed immateriale presente in città per quel che riguarda la cultura ebraica e delle rilevanti iniziative poste in essere negli anni sul territorio per la promozione e la diffusione della cultura ebraica, fra le quali l'organizzazione, dal 2010, della "Festa del Libro Ebraico in Italia" - organizza tre giornate improntate al ruolo femminile nella cultura ebraica.
  Si parte venerdì 12 settembre quando, alle 17 presso il Salone d'Onore del Palazzo Municipale - piazza del Municipio 2 - si inizierà con l'inaugurazione della mostra "Donne ebree dell'Italia unita. Una storia per immagini" curata della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. La mostra sarà visitabile fino a mercoledì 24 settembre, nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 19 (domenica 14 la mostra sarà visitabile dalle ore 10 alle ore 19). Il giorno seguente, sabato 13, alle ore 22 (in piazza Castello) è prevista l'azione scenica "Una notte del '43, ispirata all'omonimo racconto di Giorgio Bassani, a cura dell'associazione culturale Ferrara Off.
  Domenica 14 settembre, ultimo giorno e il più ricco di iniziative. Alle ore 10 si potrà accedere a una visita guidata al ghetto ebraico di Ferrara, con riferimento al domestico e al quotidiano delle donne. La visita guidata, in lingua italiana e inglese, è a partecipazione gratuita per un numero massimo di 30 persone, ed avrà una durata di 90' (per informazioni e prenotazioni: 0532 744643 - 329 7080277; artisti@comune.fe.it). Alle 10,30 presso la Sala degli Stemmi del Castello Estense, ci sarà invece l'inaugurazione della "Giornata Europea della Cultura Ebraica" con interventi di Tiziano Tagliani (sindaco di Ferrara), Renzo Gattegna (presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), Luciano Meir Caro, (rabbino capo di Ferrara), Ester Silvana Israel (presidente Nazionale dell'Associazione Donne Ebree d'Italia), Michele Sacerdoti (presidente della Comunità Ebraica di Ferrara) e di Stefania Giannini (ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca). Dalle 11,30 alle 13,30 e dalle 14,30 alle 17,30 visita guidata al cantiere del Meis - "Aperto per lavori - Meis at work" - a cura della direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia-Romagna e della Fondazione Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah.
  Nel pomeriggio, alle 15 in piazzetta Isacco Lampronti, performance di danze ebraiche del gruppo Danzinsieme. In caso di maltempo la performance avrà luogo presso la Sala della Musica del Chiostro piccolo di S. Paolo, via Boccaleone 19. Alle ore 16 visita guidata al cimitero ebraico di Ferrara di via Vigne, con particolare attenzione ad alcune figure femminili (la visita guidata, in lingua italiana e inglese, è a partecipazione gratuita per un numero massimo di 25 persone, ed avrà una durata di 90'. Per informazioni e prenotazioni: 0532 744643 - 329 7080277; artisti@comune.fe.it). Sempre alle ore 16 Ferrara Off Teatro metterà in scena - in viale Alfonso d'Este 13 - "Micòl e le altre": incontri, letture e messe in scena sul personaggio di Micòl Finzi Contini. Alle 16,15 presso la Sala Agnelli della biblioteca Ariostea (via delle Scienze, 17) convegno di studi sulla figura femminile nella cultura ebraica e nella societù - Èshet Chàil. Una donna di valore chi la può trovare? (Proverbi, 31, 10) -, con interventi di Elena Loewenthal (Le figure femminili della Bibbia. Qualche divagazione), Luciano Meir Caro (La donna nel Talmud), Elisabetta Traniello (Essere donna, ebrea, italiana nel Medioevo: una storia per Ricca Finzi), Elisabetta Gnignera (Abiti ed ornamenti delle 'iudee' di Ferrara da Borso d'Este all'Età Moderna), Anna Dolfi (Oltre i vetri della finestra. Bassani e la rifrazione dell'immagine femminile), Gianfranco Di Segni (La condizione della donna nel Pahad Yishaq di Isacco Lampronti). Introduce e modera Massimo Maisto, vicesindaco di Ferrara.
  Alle ore 18 visita guidata con partenza dalla colonna di Borso d'Este e prosecuzione in corso Martiri della Libertà e nel ghetto ebraico di Ferrara (la visita guidata, in lingua italiana e inglese, è a partecipazione gratuita per un numero massimo di 30 persone, ed avrà una durata di 90'. Per informazioni e prenotazioni: 0532 744643 - 329 7080277; artisti@comune.fe.it). Alle 20,30 concerto di Ahira Ensemble "Con voce lieve" alla Sala Estense (piazzetta municipale). Un omaggio all'universo femminile ebraico con parole cantate, dette, raccontate da Evelina Meghnagi e suonate da Domenico Ascione (chitarra e ud), Arnaldo Vacca (percussioni), Marco Camboni (contrabbasso).
  Nella giornata di domenica 14 settembre sarà inoltre possibile, dietro prenotazione, consumare pasti kasher presso il ristorante FuocoLento, via Saraceno 85, tel. 0532 210813. Lo Shabbath avrà inizio venerdì 12 settembre alle ore 19:20 e terminerà sabato 13 Settembre alle ore 20:10. Sabato 13 settembre, alle ore 10, sarà celebrata la funzione religiosa dello Shabbath presso la Sinagoga di Ferrara, via Mazzini 95. Presso la Libreria Sognalibro di Ferrara, in via Saraceno 43 è disponibile materiale relativo al convegno Èshet Chàil. Una donna di valore chi la può trovare? (Proverbi, 31, 10).

Commenti

(estense.com, agosto 2014)


Gaza: la tregua potrebbe non tenere. Hamas prepara la guerra, di nuovo

La tregua tra Hamas e Israele potrebbe non tenere a lungo, almeno stando a quanto riferisce il quotidiano di Dubai Al Bayan il quale questa mattina riporta voci di fonte palestinese secondo le quali oggi alcuni delegati di Hamas e della ANP si incontrerebbero al Cairo per discutere delle nuove richieste di Hamas...

(Right Reporters, 31 agosto 2014)


Nuove frizioni fra Hamas e Al-Fatah

Hamas denuncia arresti in Cisgiordania, Fatah "gambizzati"

RAMALLAH - Con lo stabilizzarsi della tregua a Gaza sono riprese le polemiche interpalestinesi fra Hamas e Al-Fatah, l'organizzazione laica del presidente Abu Mazen. Hamas - scrive la stampa - denuncia gli arresti di suoi sostenitori nei giorni scorsi in Cisgiordania da parte dei servizi di sicurezza dell'Anp. Al-Fatah protesta per il comportamento delle "milizie di Hamas" verso suoi sostenitori durante i raid israeliani a Gaza: ci sono state persone "gambizzate" e altre messe agli arresti.

(ANSA, 31 agosto 2014)


Sul Golan dove l'Is minaccia Israele

di Alberto Flores D'Arcais

Un membro del UNDOF chiude un cancello che divide le alture del Golan controllate da Israele dal territorio siriano
MOUNTBENTAL (confine Israele-Siria) -I guerrieri di Allah sono lì sotto, poche decine di metri da questo crinale dove la bandiera bianca e azzurra con la stella di David segna l'ultimo avamposto d'Israele sulle alture del Golan. Sono nascosti tra quelle case di pietra che si vedono ad occhio nudo, hanno già conquistato il crocevia di Quietar, hanno issato sulle case distrutte la loro bandiera nera. Quella siriana sventola ancora, ma più lontano, su quel che resta di un edificio che sembra un granaio. I lealisti di Assad sono in fuga, sconfitti dai jiahdisti di al-Nusra (i ribelli affiliati ad al Qaeda che si sono impadroniti del confine nord-est tra Siria e Israele), sparano gli ultimi colpi di mortaio ma la battaglia l'hanno persa.
   L'hanno persa anche le quattro dozzine di caschi blu venuti dalle isole Fiji, catturati e presi in ostaggio dai qaedisti - «stanno bene, li teniamo per la loro incolumità, lo stringato messaggio fatto arrivare alle Nazioni Unite - in quella striscia di terra arida e polverosa tra la linea alpha e la linea bravo ,la terra di nessuno che delimita la zona del cessate-il-fuoco del 1974 dove i soldati delle Nazioni Unite per quarant'anni si sono dati il cambio senza colpo ferire. Adesso sparano i caschi blu, sono quelli filippini (una settantina) assediati nelle postazioni 68 e 69, che al contrario dei loro colleghi hanno rifiutato di cedere le armi agli islamici e hanno difeso per ore quel poco che rimane del diritto internazionale. Sono stati attaccati all'alba. hanno risposto al fuoco, poi, prima di essere sopraffatti e grazie a una manovra diversiva di caschi blu irlandesi, in 32 sono riusciti a sfuggire all'assedio, rifugiandosi in Israele. Altri 40 continuano ad essere circondati dai jihadisti.
   «Saranno cinquanta metri in linea d'aria, chi l'avrebbe mai detto». Due soldati israeliani fanno da scorta a un grosso camion che trasporta un carro armato, l'autista, un uomo ben piantato che indossa la maglia dello Zenit di San Pietroburgo ride della sua battuta («noi russi siamo dappertutto, in Ucraina e adesso anche qui) mentre la jeep (modificata in Israele) di un ufficiale sgomma sulla strada sterrata. I due soldati, poco più che adolescenti, erano a Gaza «una ventina di giorni fa a combattere Hamas», adesso scoprono che un nemico forse più feroce è li «cinquanta metri dai nostri kibbutz». Non sanno o non possono dire molto («dovreste chiedere all'Intelligence»), gli "uomini neri" di al Nusra li conoscono solo dai macabri video che girano in rete, "è certo che taglierebbero la gola volentieri a noi ebrei».
   «Vede li in mezzo ai meli? Quello è un proiettile di mortaio, lo hanno sparato tre giorni fa», Merom Golan è uno dei kibbutz di frontiera, la case distano dal confine quasi un chilometro ma tra le abitazioni e i fili spinati che delimitano il territorio israeliano è ancora kibbutz, la parte agricola con gli alberi di mele e i filari di vite. Gaby Coneal è arrivato qui dall'Argentina nel 1967, a ridosso della guerra dei sei giorni. Aveva cinque anni, Israele aveva appena conquistato il Golan, i suoi genitori sono stati tra i primi coloni ad arrivare, qui ha conosciuto quella che oggi è sua moglie (è la prima ebrea israeliana a nascere nel Golan», dice con orgoglio). «Per decenni questo è stato il posto più tranquillo d'Israele, dell'ultima guerra, quella con Gaza finita pochi giorni fa, non ce ne siamo praticamente accorti. E poi, d'improvviso, ecco che ci troviamo i qaedisti a un palmo di naso». È il responsabile del lavoro agricolo, ha frequenti contatti con i militari, a lui l'Intelligence qualcosa rivela. «Da tre anni, da quando è iniziata la guerra civile in Siria ovviamente qui ci sono maggiori controlli. Non è la prima volta che Assad perde questi posti di frontiera, altre volte erano arrivati fin qui ribelli 'moderati', qui vicino abbiamo un ospedale dove accogliamo i feriti, si, certo, anche i combattenti islamici. Quelli di al Nusra? No, quelli non credo che vogliano farsi curare da medici o infermieri ebrei». Gli ultimi avvenimenti non lo hanno colto troppo di sorpresa («sapevamo dell'offensiva jihadista»), quel che teme è che rafforzino le loro postazioni lungo tutto il confine. «Può sembrare assurdo,ma qui si sentono al sicuro, I'aviazione di Assad non può bombardarli, rischierebbe di colpire noi e a quel punto Israele dovrebbe rispondere».
   La maggiore preoccupazione per chi lavora («negli ultimi giorni andare nei campi è stato iimpossibile) nel kibbutz più che la sicurezza («i nostri militari sono esemplari») è la vita quotidiana, la produzione e la distribuzione. Storicamente questa parte del Golan è stata abitata da drusi ed anche dopo le due guerre ('sei giorni' e 'kippur') con la Siria sono rimasti qui. "Con le famiglie divise, drusi israeliani da una parte, drusi siriani dall'altra, c'è stato sempre un gran commercio, mele, vino, con la nostra uva qui vicino fanno il migliore vino di Israele. E i caschi blu con i loro camion ci hanno dato una mano in questi ultimi tre anni. Spero li liberino presto».

(la Repubblica, 31 agosto 2014)


L'Ordine dei giornalisti non difenda i tagliagole

di Magdi Cristiano Allam

In Italia è in atto una strategia volta ad affermare la vittoria dei taglialingue islamici, che inevitabilmente favorirà l'avvento dei tagliagole nel nome di Allah. Proprio mentre di fronte a casa nostra si susseguono le atrocità dei terroristi islamici che esibiscono le teste mozzate come trofei, mentre il ministro dell'Interno Alfano rivela che lì combattono una cinquantina di terroristi islamici con cittadinanza italiana di cui una quarantina sono cristiani convertiti all'islam - che rappresentano solo la punta dell'iceberg nel contesto di una filiera che verosilmente annovera migliaia di estremisti islamici in Italia - mentre il re saudita Abdallah ci avverte che se non sconfiggeremo il terrorismo islamico in Iraq e in Siria entro un mese ce l'avremo dentro casa nostra, accade che il Consiglio di disciplina dell'Ordine dei giornalisti avvia un processo contro di me per «islamofobia», accogliendo il ricorso dell'avvocato degli estremisti islamici nostrani.
   E' gravissimo il fatto che l'Ordine si sia prestato ad una strategia promossa dagli estremisti islamici da oltre un decennio, finalizzata a vietare qualsiasi critica all'islam, al Corano, a Maometto e alla sharia, per legittimare automaticamente e acriticamente le moschee, le scuole coraniche, gli imam, gli enti finanziari ed assistenziali islamici e prossimamente i tribunali sharaitici come succede già in Gran Bretagna. Nel nostro codice non esiste il reato di «islamofobia» ma già il processo di per sé, e ancor di più un'eventuale mia condanna, rappresentano un precedente che dà sostanza a questo reato, che finirà per vietare di fatto qualsiasi critica all'islam nei mezzi di comunicazione di massa.
   Per fare un paragone emblematico, la Carta di Roma sottoscritta nel 2007 dall'Ordine dei giornalisti, dalla Federazione nazionale della stampa e dall'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati il cui portavoce era Laura Boldrini, ha messo al bando l'uso del termine «clandestino», anche se la clandestinità è reato, sostituendolo d'autorità con «migrante»; o una raccomandazione europea che ha vietato l'uso del termine «terroristi islamici», anche se lo sono di fatto, ormai indicati come «jihadisti», «combattenti», «miliziani», «ribelli» o «attivisti» persino quando sgozzano e decapitano.
   Fermo restando che l'Ordine dei giornalisti è un retaggio dei regimi autoritari che non esiste in Europa tranne che in Italia e Portogallo e pertanto andrebbe sciolto, che in ogni caso la sua quintessenza dovrebbe essere la salvaguardia della libertà d'espressione, mai e poi mai possiamo accettare che si renda complice della strategia dei taglialingue islamici nostrani.

(Il Tempo, 31 agosto 2014)


L'aviazione di Tel Aviv abbatte un drone sul Golan

Il portavoce dell'esercito ha spiegato che il velivolo stava volando accidentalmente nello spazio aereo israeliano: "Risponderemo a qualsiasi violazione della nostra sovranità".

Un drone proveniente dal territorio siriano è stato intercettato e abbattuto dall'aviazione israeliana all'altezza del valico di Quneitra, sulle alture occupate del Golan. Lo riferisce l'esercito israeliano.
Il portavoce dell'esercito, Peter Lerner, ha spiegato che il drone, apparentemente dell'esercito siriano, stava volando accidentalmente nello spazio aereo israeliano. "Israele risponderà a qualsiasi violazione della sua sovranità", ha dichiarato Lerners aggiungendo che il velivolo è stato abbattuto da un missile Patrol.

(RaiNews24, 31 agosto 2014)


Villaggio in Guatemala espelle oltre duecento ebrei ultra-ortodossi

Il caso a San Juan la Laguna. Gli indigeni di origine Maya hanno minacciato di morte i membri della comunità Lev Tahor, che sono scappati in massa: "Volevano imporre la loro religione". La replica: "Non è vero". La Procura dei Diritti Umani locale ha aperto un'inchiesta

 
Bambini della comunità ultraortodossa di Lev Tahor lasciano San Juan La Laguna
 
Un ebreo ultraortodosso di Lev Tahor porta via con sé una cucina a fornelli
Una comunità di ebrei ortodossi è stata costretta ad abbandonare il villaggio indigeno di San Juan la Laguna, nel Guatemala occidentale, dopo essere stata minacciata di morte in caso di permanenza. Lo ha confermato alla stampa locale Misael Santos, membro del Consiglio degli anziani di San Juan, località che conta in totale circa 4mila abitanti. Gli incontri degli ultimi tempi tra la comunità di origine Maya e gli ebrei ultraortodossi non sono serviti a riportare la pace. E così si è arrivati allo scontro finale, con l'espulsione dei membri di "Lev Tahor" ("Cuore puro").

IL CASO - Il gruppo di religione ebraica si era insediato nella regione, situata ai margini del Lago Atitlan, a 145 chilometri dalla capitale Città del Guatemala, circa sei anni fa, anche se gli ultimi arrivi sono giunti dal Canada all'inizio dell'anno. Ora, però, il gruppo ha deciso di andarsene, a seguito delle intimidazioni, per garantire soprattutto la sicurezza dei tantissimi bambini, oltre cento, presenti nella comunità. "Noi siamo uomini di pace. Ma ci hanno avvertito che, se non fossimo partiti subito, sarebbe scorso parecchio sangue", ha detto Santos. "Dunque, per evitare ulteriori incidenti, abbiamo deciso di andarcene. Ci hanno minacciato di linciarci, oltre a tagliarci luce e acqua".

LE ACCUSE - I motivi dello scontro che hanno portato all'epurazione non sono ancora chiari. La comunità cattolica di San Juan la Laguna, quella predominante, dopo varie accese discussioni, ha accusato gli oltre duecento ebrei di voler imporre la propria religione e i propri costumi, minacciando così il culto cattolico. "Abbiamo agito in questo modo per autodifesa e per difendere i diritti degli indigeni", ha dichiarato Miguel Vazquez, un portavoce del Consiglio degli Anziani del paese, "e la Costituzione guatemalteca ci consente di preservare la nostra cultura".

CHI SONO I LEV TAHOR - E' una comunità che pratica un'austera e arcaica forma di ebraismo, istituita dall'israeliano Shlomo Helbrans negli anni Ottanta e da alcuni definita molto simile a una setta, anche per il loro abbigliamento composto quasi esclusivamente da tuniche nere e il totale rifiuto di ogni mezzo tecnologico. Uriel Goldman, un rabbino di San Juan, ha dichiarato al Jerusalem Post che gli ebrei non avevano fatto niente di male e che i rapporti con le altre autorità erano fino a poco tempo fa sostanzialmente buoni, fino a quando ha preso il sopravvento "una minoranza violenta, sostenuta da alcuni politici locali". La procura dei Diritti umani del Guatemala ha nel frattempo aperto un'inchiesta: "Nessuno può essere discriminato o maltrattato per vestirsi di nero, avere molti figli o non rispondere a un saluto", ha scritto la procura in una nota. I membri di Lev Tahor sperano adesso di potersi stabilire in un'altra zona del Guatemala.

(la Repubblica, 30 agosto 2014)


Giosuè allora rimandò il popolo, e i figli d'Israele se ne andarono, ciascuno nel suo territorio, a prendere possesso del paese. Il popolo servì all'Eterno durante tutta la vita di Giosuè e durante tutta la vita degli anziani che sopravvissero a Giosuè, e che aveano visto tutte le grandi opere che l'Eterno avea fatte a pro d'Israele. Poi Giosuè, figlio di Nun, servo dell'Eterno, morì in età di centodieci anni; e fu sepolto nel territorio che gli era toccato a Timnath-Heres nella contrada montuosa di Efraim, al nord della montagna di Gaash.
Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi padri; poi, dopo di quella, sorse un'altra generazione, che non conosceva l'Eterno, né le opere ch'egli avea compiute a pro d'Israele. I figli d'Israele fecero ciò che è male agli occhi dell'Eterno, e servirono agl'idoli di Baal; abbandonarono l'Eterno, l'Iddio dei loro padri che li avea tratti dal paese d'Egitto, e andarono dietro ad altri dèi fra gli dèi dei popoli che li attorniavano; si prostrarono dinanzi a loro, e provocarono ad ira l'Eterno; abbandonarono l'Eterno, e servirono a Baal e agl'idoli d'Astarte. L'ira dell'Eterno allora s'accese contro Israele ed egli li dette in mano di predoni, che li spogliarono; li vendé ai nemici che stavan loro intorno, in modo che non poteron più tener fronte ai loro nemici. Dovunque andavano, la mano dell'Eterno era contro di loro a loro danno, come l'Eterno avea detto, come l'Eterno avea loro giurato: e furono oltremodo angustiati.
L'Eterno suscitava dei giudici, che li liberavano dalle mani di quelli che li spogliavano. Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, poiché si prostituivano ad altri dèi, e si prostravano dinanzi a loro. E abbandonarono ben presto la via battuta dai loro padri, i quali aveano ubbidito ai comandamenti dell'Eterno; ma essi non fecero così.
Quando l'Eterno suscitava loro dei giudici, l'Eterno era col giudice, e li liberava dalla mano dei loro nemici durante tutta la vita del giudice; poiché l'Eterno si pentiva a sentire i gemiti che mandavano a motivo di quelli che li opprimevano e li angariavano. Ma quando il giudice moriva tornavano a corrompersi più dei loro padri, andando dietro ad altri dèi per servirli e prostrarsi dinanzi a loro; non rinunciavano affatto alle loro pratiche e alla loro caparbia condotta. Perciò l'ira dell'Eterno si accese contro Israele, ed egli disse: "Giacché questa nazione ha violato il patto che avevo stabilito coi loro padri ed essi non hanno ubbidito alla mia voce, anch'io non caccerò più d'innanzi a loro alcuna delle nazioni che Giosuè lasciò quando morì; così, per mezzo di esse, metterò alla prova Israele per vedere se si atterranno alla via dell'Eterno e cammineranno per essa come fecero i loro padri, o no".
E l'Eterno lasciò stare quelle nazioni senz'affrettarsi a cacciarle, e non le diede nelle mani di Giosuè.

dal libro dei Giudici, cap. 2








 

Viaggio in Israele 6-16 novembre 2014

Quest'anno il viaggio sociale degli Amici dell'Università di Gerusalemme è dedicato alle proposte di Israele per l'Expo 2015 e all'attualità su Israele e Medio Oriente

Gli Amici dell'Università di Gerusalemme comunicano che il loro viaggio sociale 2014 si terrà dal 6 al 16 novembre 2014 sul tema già fissato: "Nutrire il pianeta, energia per la vita: le proposte di Israele".
Le visite e gli incontri, con guida in italiano, comprenderanno anche siti archeologici, Luoghi Santi in Galilea e a Gerusalemme, il memoriale della Shoà di Yad Vashem, l'Università di Gerusalemme.
Il viaggio offrirà inoltre l'occasione per un approfondimento con i nostri amici in Israele sui recenti avvenimenti e sulle prospettive future in Medio Oriente. Per avere informazioni sul programma e sui costi scrivere a: aug.it@tiscalinet.it
Dati i tempi molto stretti, gli interessati devono comunicare la loro adesione al più presto possibile e comunque entro il prossimo 15 settembre, scrivendo a: aug.it@tiscalinet.it

(israele.net, 30 agosto 2014)


Mostre: ad Ancona 'Passaggi', le parole dell'umanita' attraverso la cultura ebraica

 
Questo si propone l'installazione ideata e realizzata da Andrea Sòcrati, titolata appunto, Passaggi. La forza spirituale e mistica del Muro occidentale viene espressa attraverso le sculture di Sòcrati in terracotta e gesso e una serie di termografie a rilievo; mentre una seconda serie di termografie e installazioni rievocano il fantastico e visionario mondo di Marc Chagall.
Quattro artisti di Gerusalemme portano in mostra la terra, i suoni, gli umori di Israele, con quattro opere: Chana Cromer, 'The Distaff Side', ispirato a 'La donna di carattere' dal Libro dei Proverbi, in tema con la XV edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica (14 settembre 2014); Ruth Schreiber, 'Love letters', lettere in porcellana con ispirate alle lettere lasciate nelle fenditure del Muro occidentale di Gerusalemme; Andi Arnovitz, 'Construct/Destruct'. attraverso mattoni serigrafati con e sulle pietre della città vecchia ricorda il Tempio di Salomone; Neta Elkayan, artista tra musica e arti figurative, audio dal titolo 'Abuhatzeira', dedicato al rabbino El Yaakov Abuhatzeira.
Oltre agli artisti provenienti da Gerusalemme, due artisti che lavorano nelle Marche intervengono con incontri aperti al pubblico per raccontarsi e presentare le loro opere: Francesco Colonnelli e Giulietta Gheller. L'adozione per alcune opere in mostra dalla tecnologia NFC, oltre ad esaltarne la multisensorialità favorirà l'accessibilità alle persone con disabilità, come nello spirito e nella missione del museo Omero.La mostra è inserita nel calendario del Festival Adriatico-Mediterraneo, con il sostegno dell'Ambasciata Israeliana di Roma e in collaborazione con la Biennale di Arte Ebraica Contemporanea di Gerusalemme e l'Associazione 'Per il Museo Tattile Statale Omero' Onlus.

(Adnkronos, 30 agosto 2014)


Obama, Kerry e la Clinton denunciati per appoggio ad Hamas

Una denuncia per appoggio al terrorismo e per favoreggiamento al riciclaggio di denaro è stata presentata dall'avvocato americano Larry Klayman contro Barack Obama, John Kerry, Hillary Clinton e contro il Segretario Generale dell'Onu, Ban ki-Moon.
La denuncia si basa sulle presunte violazione del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act (RICO) che i quattro avrebbero commesso e in particolare gli viene contestato di aver finanziato Hamas con la scusa di finanziare il Governo di Unità Nazionale Palestinese, denaro ufficialmente destinato ad aiuti umanitari ma riciclato per l'acquisto dei missili serviti ad attaccare Israele....

(Right Reporters, 30 agosto 2014)


A Don Luciano Musi da un "fratello maggiore"

Gadi Polacco, Consigliere della Comunità ebraica di Livorno, risponde all'articolo «Sinagoga controllata a spese nostre, le chiese invece no» di don Luciano Musi.

Caro Don Musi,
mi permetta da "fratello maggiore", seppur a titolo privato e ricambiando i sentimenti di amicizia che Lei esprime nei confronti del mondo ebraico, di commentare quanto da Lei comunicato pubblicamente:

- Hamas, parallelamente alla sua essenza terroristica, e' un'organizzazione dedita al fanatismo integralista islamico, con risvolti anche anticristiani. Le sara' facile svolgere una ricerca al riguardo ,trovando i documenti di fonte cristiana che denunciano cio' (episodi di conversioni forzate, scuole cristiane costrette all'apertura la domenica, vari atti persecutori, ecc). Non e' quindi un caso che la locale comunita' cristiana si sia rapidamente ridotta in termini di grandezza. Alla luce di cio' le scritte sulle Chiese inneggianti a Hamas potrebbero avere un preciso intento salvo ovviamente essere semplicemente e squallidamente opera di vandali;
- stendo un velo pietoso sulla "considerazione' che le scritte le avrebbero dovute fare, nel caso, sulla Sinagoga (secondo, evidentemente, un bizzarro "criterio di competenza"): se mai qualche idiota inneggiasse all'Isis o altri che compiono sistematicamente stragi di cristiani non mi sentira' mai fare distinguo "di competenza" a seconda del luogo imbrattato. Vorrei sottolineare, poi, che una Sinagoga e' un luogo di culto, non una rappresentanza diplomatica (ad ogni modo non da imbrattare), e che comunque in Medio Oriente, per quanto riguarda Israele, non e' in corso una guerra di religione;
- interessante, opinabile e comunque da ampliare, trovo invece il passaggio nel quale, da contribuente, lamenta a Suo dire che si spenda per sorvegliare la Sinagoga e non le Chiese. Le valutazioni di sicurezza competono alle preposte autorita' e quindi la questione in quelle sedi dev'essere esaminata. Non capisco pero' cosa c'entri l'8 x1000 (peraltro con destinazione alle singole religioni per gli usi previsti) che, comunque,ciascuno destina a chi ritiene, con la Chiesa Cattolica di gran lunga al primo posto. Se pero' vogliamo discutere da cittadini contribuenti, devo ricordare allora che a spese del pubblico bilancio (pagati quindi da tutti i vari credenti e anche dai non credenti) sono gli insegnanti di religione cattolica, i cappellani militari, carcerari, ospedalieri cattolici e cosi' via. Cosa non prevista per gli altri Culti dal nostro Stato che pur si dichiara laico e rispettoso, alla pari, delle varie fedi presenti nel territorio.
Per quanto riguarda la solidarieta' del mondo ebraico a quello cristiano per le persecuzioni in atto e che denunciamo da tempo, quando ancora molti nel mondo cristiano sembravano non averne concreta percezione, La invito a visitare il mio modesto blog e il sito dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane (www.moked.it ) e trovera' numerosi interventi, tra i più recenti quelli del Presidente Gattegna e del Rabbino Prof. Giuseppe Laras, Presidente Emerito dell'Assemblea Rabbinica Italiana e gia' Rabbino Capo anche di Livorno.
Modesta testimonianza, ma sincera, la trovera' nella rete con la specifica solidarieta' da me espressa nel caso specifico delle scritte livornesi.
Concludo rinnovandoLe vicinanza in questo momento che, evidentemente e comprensibilmente, La trova emotivamente scosso.
Ma e' proprio in questi frangenti che, mi permetta di esprimere questo parere, occorre prendere esatta cognizione delle cose e non rifugiarsi illusoriamente altrove.

Con cordialita',
Gadi Polacco
Comunitando

(Livorno ebraica, 29 agosto 2014)


Reggio Calabria: la Provincia e nove comuni sottoscriveranno la "Charta delle Judeche"

di Ilaria Calabrò

Pagina del Pentateuco di Reggio Calabria
La promozione della cultura ebraica sarà affidata alla costituenda associazione "Charta delle Judeche di Reggio Calabria", un soggetto apolitico e senza fini di lucro, che registra il coinvolgimento dell'Amministrazione provinciale di Reggio, l'Istituto Internazionale di Cultura Ebraica e i comuni del reggino che, nel corso della loro storia, hanno ospitato comunità ebraiche. Gli enti locali territoriali che faranno parte di questa federazione, con atto deliberativo, hanno espresso la volontà di dare vita alla "Charta delle Judeche" che ha come obiettivo l'avvio di attività culturali incentrate al recupero e alla valorizzazione delle testimonianze documentali, archeologiche, culturali, topologiche ebraiche al fine di contribuire ad innescare processi utili alla promozione umana, sociale ed economica. La formalizzazione dell'accordo e la nascita ufficiale dell'Associazione avverranno, il prossimo 8 settembre, con la stipula dell'atto costituito e l'approvazione dello statuto. Nella circostanza è in programma lo svolgimento di un convegno (ospitato nall'aula consiliare dell'Ente di via Foti) sul tema "Le Judeche nel territorio della provincia di Reggio Calabria". All'appuntamento è prevista la partecipazione del Rav. Eliahu Brnbaum (rappresentante dell'associazione internazionale Shavei Israel), di Lucio Pardo (Consigliere culturale della Comunità Ebraica di Bologna), Baruch Triolo (presidente Charta delle Judeche di Sicilia), Attilio Funaro (Presidente Istituto Internazionale di Cultura Ebraica), Massimiliano Ferrara (Prorettore dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria). Gli onori di casa saranno fatti dal presidente della Provincia Giuseppe Raffa.
Oltre alla Provincia, hanno aderito nove comuni del reggino in cui, nel corso della storia, si stabilirono comunità ebraiche le cui tracce, ancora oggi, sono ben visibili. Gli organi della "Charta delle Judeche di Reggio Calabria" sono: l'assemblea dei soci, il consiglio di amministrazione, il presidente, il vicepresidente, il direttore e il collegio dei revisori. Durante il medioevo, molti furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria e nella città dello Stretto nel sito dell'odierna via Giudecca, da dove, nel luglio del 1511, furono poi espulsi in applicazione di un regio decreto. A Reggio, presso la tipografia di Abram Garton, nel 1475, fu stampato il commento al Pentateuco, il primo testo in assoluto al mondo in caratteri israeliti.

(Stretto web, 30 agosto 2014)


Fuori misura umana

Qualche anno fa è uscito un libro, "Ebreo, tu non esisti", in cui sono raccolte molte lettere di ebrei italiani che scrissero a Mussolini per ottenere di non essere sottoposti alle leggi razziali da poco approvate. Nella sua introduzione, l'autrice Paola Frandini spiega di essere rimasta sconcertata dall'insieme della situazione che aveva dato occasione a queste lettere, non tanto per la cattiveria che in essa si poteva scorgere, quanto per la sua indecifrabile irrazionalità. Ecco come si esprime:
    «Primo Levi ha scritto che non è possibile capire i campi di sterminio, senza esserci stati. Da parte mia, confesso di non averli mai capiti. L'orrore, se orrore assoluto, è fuori la misura umana. Credevo che le Leggi razziali dessero una grandezza del male più rapportabile all'uomo. Invece, sia pure nelle debite proporzioni, queste lettere hanno reso incomprensibili, a me almeno, le stesse Leggi razziali. Perché fuori scala, anche loro. Alla vergogna delle leggi antiebraiche, libri, programmi di divulgazione e di fiction ci hanno abituato in qualche modo. Siamo in grado di collocarle in dati anni, di spiegarle come sinistra conseguenza di un regime ecc. Sembra tutto chiaro, tutto ben inquadrato. A posto. Eppure, non è così. Produce un effetto straniante trovarsi sotto gli occhi le vicissitudini dei singoli. Perché tornano a vivere. E allora dimentichiamo la storia, che mette una lapide sulle vicende umane, che annulla le persone. La storia torna ad essere cronaca, l'allucinante cronaca dei singoli.»
Qualcosa del genere si può dire della situazione che si è creata ormai da anni a Gaza e che si è espressa in modo particolare negli ultimi giorni. Anche in questo caso l'effetto straniante si ottiene osservando i singoli, che però si trovano in una situazione ribaltata rispetto agli estensori delle lettere a Mussolini. Se lì non si capisce la logica del governo criminale che opprime i singoli, qui non si capisce la logica dei singoli che sono oppressi da una banda criminale. Razionalmente i civili di Gaza avrebbero avuto tutte le ragioni per insorgere contro i loro governanti e rinfacciare loro le morti e distruzioni che avevano provocato in tutto il paese con la loro ostinazione; invece no: hanno giubilato e festeggiato insieme ai loro assassini. Cercare una convincente, logica spiegazione umana di fatti come questo è pericoloso, perché si rischia di restare coinvolti nell'effetto straniante di un modo di pensare che è fuori misura umana, perché ha la dimensione del diabolico. La vera spiegazione ha una parola semplice: odio. Detta così però rimaniamo ancora nel campo dell'umano, perché che cosa c'è di più umano dell'odio? Ma è la motivazione di questo odio che è fuori misura umana, perché è odio privo di interessi razionali, odio umanamente immotivato, odio contro gli ebrei perché sono ebrei. Punto. Non è così? Sì, è così. E questo è diabolico, non in senso generico, ma in senso letterale: ha a che fare col diavolo, l'avversario di Dio. Di qui il suo carattere sfuggente, ambiguo, razionalmente indecifrabile. Carattere che è emerso in proporzioni mondiali nella Shoà, ma che ricompare di continuo in forme meno vistose e più mascherate, con altri nomi, come antisionismo. L'ostinazione di Hamas contro Israele, il consenso dei palestinesi anche a costo di morti e distruzioni, la solidarietà dell'opinione pubblica internazionale nonostante l'evidenza di lampanti mistificazioni della realtà, hanno gli stessi caratteri che a suo tempo spinsero una nazione moderna e avanzata come la Germania del secolo scorso a commettere una mostruosità che ancora oggi si fa fatica a concepire, perché rimane fuori misura umana.
Che fare? Non abbiamo compiti di governo e neppure sta a noi dare istruzioni ai governanti, come già fanno in troppi, ebrei e non, dalla comoda posizione di spettatori giudicanti. Ma se, come pensiamo, si tratta in ultima istanza di una questione tra la verità di Dio e la menzogna del diavolo, a ciascuno compete il compito, sulla sua responsabilità, di mettersi sempre dalla parte della Verità. Perché in ogni caso alla fine Dio vince e il suo avversario perde.
Quello che di più preciso abbiamo da dire a questo proposito l'abbiamo già fatto in altra sede, e continuiamo a farlo anche su queste pagine. M.C.

(Notizie su Israele, 30 agosto 2014)


La vergogna del boicottaggio di Israele

L'Europa sta diventando di nuovo un pessimo posto per gli ebrei

 
Una manifestazione per il boicottagio dei prodotti israeliani in Francia
L'Europa sta diventando di nuovo un pessimo posto per gli ebrei, e questo avviene, come ha scritto l'intellettuale francese Claude Lanzmann nella lettera pubblicata anche dal Foglio, all'insegna di un antisemitismo mascherato da solidarietà con Gaza, ma alla fine con Hamas. In una corrispondenza da Londra, ieri il New York Times raccontava non solo della catena di alimentari che ha rimosso i prodotti kosher dalle vetrine per paura di manifestazioni, o delle sparate ignobili dell'eurodeputato George Galloway, che ha pensato di dichiarare la città di Bradford "Israel-free zone", nel senso che non vuole nella sua città "nemmeno turisti israeliani" (vi ricorda qualcosa?). E l'abietta propaganda antisemita che predica il boicottaggio delle università e dei prodotti israeliani trova la sua confortevole sponda nelle istituzioni europee. Il ministro dell'Economia belga, a luglio, aveva chiesto che i rivenditori etichettassero distintamente i beni alimentari prodotti in Cisgiordania dai coloni degli insediamenti israeliani e quelli prodotti dai palestinesi. Raccomandazione "non vincolante", fu detto, e si richiamarono analoghe regole inglesi e danesi.
   Ma a chiedere, e non da oggi, che siano etichettati in modo differente tutti i prodotti israeliani prodotti oltre i confini vigenti prima della guerra del 1967 è proprio l'Unione europea, mentre la Corte di giustizia dell'Ue, nel 2010, ha stabilito che le merci importate e "prodotte negli insediamenti israeliani dei Territori occupati non devono usufruire delle agevolazioni fiscali previste dagli accordi commerciali tra Israele e Ue". "Non si tratta di boicottaggio", ha detto un funzionario anonimo intervistato dal Nyt. Certo è che gli assomiglia parecchio. Così come gli assomiglia il fatto che l'Ariel University, che ha sede in Cisgiordania, sia stata esclusa dal programma di scambi scientifici e finanziamenti europei intitolato Orizzonte 2020. La verità è che l'Europa che boicotta Israele non accetta che quello stato, attaccato, si difenda. E' il "caos umanitario", ancora per citare Lanzmann, che finisce per imitare orrori da anni Trenta e Quaranta.

(Il Foglio, 30 agosto 2014)


Hamas chiarisce al mondo: è Gerusalemme il nostro obiettivo, non i valichi

Abu Zuhri: «E' giunto il momento che diciamo che la nostra vera guerra non mira all'apertura dei valichi di frontiera. La nostra vera guerra mira alla liberazione di Gerusalemme, ad Allah piacendo».
Slogan per la folla: «Khaybar, Khaybar [simbolo della sconfitta e sottomissione degli ebrei ad opera di Maometto], oh ebrei, l'esercito di Maometto sta tornando. Resistenza, resistenza, siamo tutti con la resistenza».

Abu Zuhri: «La guerra continuerà. Comunque è tempo che diciamo che il nostro popolo non rigetta soltanto il blocco [di Gaza]. Il nostro popolo rifiuta di accettare la continua immondizia dell'occupante sulla nostra terra. Pertanto, a partire da oggi, la resistenza si prepara non all'apertura di un valico di frontiera qui o là, bensì alla liberazione della nostra terra di Palestina. Questa è la verità che Netanyahu deve capire. Siamo più determinati di prima a combattere la guerra di liberazione per porre fine all'insediamento [Israele] e alla giudaizzazione, e per liberare la nostra terra e i luoghi santi. Siamo più decisi a farlo, dopo la grande vittoria della resistenza in questa eroica guerra». (Memri, 17.8.14)

(Osservatorio Sicilia, 30 agosto 2014)


Così l'islam del terrore vuole dominare il mondo

I tagliagole studiano in quell'Occidente che vogliono annientare. E usano i mezzi di diffusione delle notizie per scatenare il panico.

di Vittorio Dan Segre

Il terrore è antico e indistruttibile; legato in sentimento comune all'uomo e all'animale- la paura - è uno degli strumenti naturali di difesa. Il terrorismo - l'uso politico del terrore per piegare la volontà dell'altro alla propria - è sempre esistito (lo dimostrano le stragi perpetuate nel corso della storia) assumendo variazioni importanti nel corso degli ultimi tre secoli. Il terrore è stato lo strumento della Rivoluzione francese ideologicamente agonizzante che ha marcato un'epoca. Nel Novecento, il terrorismo è diventato espressione dell'anarchia, un movimento antipotere con cui gruppi o persone politicamente deboli cercavano di attirare l'attenzione: l'assassinio di personaggi illustri (l'imperatrice d'Austria, Re Umberto I, il presidente francese Barthou, gli zar russi). In comune hanno questo: il fallimento di prendere il potere a cui miravano. La ragione - come nel caso delle «brigate» italiane, tedesche, o il terrorismo anti inglese israeliano - va ricercata, fra l'altro, nelle differenze ideologiche, nella mancanza di una leadership strutturata e popolare e nel rifiuto della massa silenziosa, di accettare la guida e la legittimità di gruppi che volevano la distruzione delle istituzioni esistenti, senza offrirne delle nuove convincenti e popolari.
Tutto questo manca nel terrorismo islamico e lo rende preoccupante per l'autorità costituita che lo combatte.

LA MINACCIA DEL TERRORE
Così l'islam vuole dominare il mondo
  1. Disporre, come furono le cellule del comunismo, di basi attive o in attesa di azione, disciplinate e strutturate intorno a una comune visione del mondo, della società, della religione edell'economia. In Europa i sei milioni di ebrei sterminati - che rappresentavano i più convinti democratici europeisti - sono stati sostituiti con 20-25 milioni di islamici che rigettano i valori occidentali, democratici, economici e religiosi. Si è creata una vasta rete di sostenitori del terrorismo, che per di più si avvalgono delle istituzioni democratiche per distruggere e ne godono dei diritti e dei vantaggi sin dall'insegnamento elementare.
  2. Il terrorismo islamico è uno strumento di potere mirante a creare un potere solido e strutturato, un tipo di Stato nuovo che rifiuta quello fondato sull'idea della sovranità territoriale, nato dalla Pace di Westfalia, pace che distrusse il legame medioevale del potere basato sulla lealtà personale al principe.
  3. Questa nuova lealtà personale, non territoriale, basata sul legame di sangue, della famiglia allargata, della tribù venne descritta dallo storico arabo Ibn Khaldun nel XIV secolo: lo Stato arabo non può esistere perché la lealtà politica è tribale, un sentimento di appartenenza di gruppo che si chiama assabyah.
  4. La brutalità religiosamente ispirante il terrorismo islamico di cui assistiamo oggi agli sviluppi militari e politici in Irak, Siria, Libia, Somalia (con la sua attrazione per individui o gruppi non islamici in Occidente in cerca di solidarietà e riconoscimento), si avvale di questa nuova situazione resa più pericolosa dalla diffusione del panico che il terrorismo sviluppa grazie ai mezzi di diffusione di cui ha compreso il valore politico e paralizzante (vedi la decapitazione del giornalista americano e di palestinesi sospetti di collaborazione con Israele a Gaza).
  5. Questo spiega anche l'ossessione araba musulmana contro Israele che rappresenta l'antitesi di tutto ciò che il califfato vuole distruggere: democrazia, valori umani, rottura del rapporto di lealtà territoriale, con l'aiuto delle incrostazioni antiche dell'antisemitismo, dell'odio per la «scelta» di Israele (esistente anche nell'islam), e l'invidia per i suoi successi che mettono in evidenza tutte le debolezze e contraddizioni del nuovo Stato islamico che il terrorismo musulmano vorrebbe eliminare.
Non facciamoci illusioni: la battaglia di Gaza (un po' come quella per Cipro che bloccava la marcia ottomana su Vienna e Roma, due scopi fra l'altro proclamati oggi dal califfato islamico) non è una battaglia per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, è la battaglia per la sopravvivenza del solo Stato democratico del Medio oriente e per la realizzabilità del sogno di rinascita del potere mondiale dell'islam.

(il Giornale, 30 agosto 2014)


Al bar spunta il cartello antisemita: "Euro no grazie, banconote firmate da ebrei"

GENOVA - "Euro? No grazie. Sapevate che le banconote che abbiamo in tasca sono solo firmate da ebrei". La frase shock, accompagnata da una stella di David malamente colorata in rosso, e da una breve spiegazione, correlata da nomi e cognomi (da Mario Draghi a Jean Claude Trichet) a cui è stato affiancato l'epiteto ebreo più la nazionalità, non è una bufala virale della rete, ma un cartello scritto nero su bianco e appeso in bella vista sul dehors di un bar del centro storico genovese, il cui proprietario qualche settimana fa era stato, tra l'altro, al centro di un episodio di vandalismo.
E' stato uno sdegnato cittadino genovese a far rimuovere il cartello antisemita, in uno dei punti di maggior passaggio del flusso turistico che, per altro, quest'estate ha premiato Genova più del solito.
L'episodio poi non è rimasto sotto silenzio: una volta su Facebook, il post con foto a testimonianza, è stato condiviso da più persone allarmate. Il dibattito, fra incredulità e condanna, è acceso. "Attenzione a quando liquidiamo il tutto come 'idiozia'. E proprio a questo livello qui 'da bar' che il fenomeno è davvero pericoloso", ha commentato il cittadino che ha fatto rimuovere il cartello.

(Genova24.it, 29 agosto 2014)


Hamas rifiuta il disarmo, prospettive di pace precarie

GERUSALEMME - Le prospettive di un accordo finale su una tregua di lungo termine a Gaza tra Israele e Hamas sono considerate precarie, dopo che il leader del movimento integralista islamico ha escluso l'ipotesi di un disarmo, come chiesto dallo stato ebraico.
"Le armi della resistenza sono sacre e non accetteremo che siano nell'agenda" di futuri negoziati con Israele, ha detto da Doha il leader in esilio di Hamas, Khaled Meshaal. Israele ha ripetutamente vincolato la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata durante il conflitto con Hamas durato cinquanta giorni e concluso martedì, alla smilitarizzazione dei territori.
"E' diventato evidente che a meno che Hamas sia disarmato e i suoi strumenti di controllo smantellati, non possa esserci pace e sicurezza sia per gli israeliani sia per i palestinesi", ha avvertito il ministro degli Esteri dello stato ebraico, Avigdor Lieberman.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha rivendicato la vittoria sui militanti palestinesi. "Hamas è stato colpito molto duramente e qui c'è un risultato militare del massimo ordine, oltre che un risultato diplomatico visto che hanno ritirato tutte le richieste", ha spiegato a una delegazione in visita della Commissione dei servizi armati della Camera dei Rappresentanti americana.

(TMNews, 29 agosto 2014)


Hamas è riuscito a presentarsi al mondo occidentale come un movimento politico di resistenza, quando invece è ovviamente un movimento religioso di conquista. In questo modo è riuscito a portare dalla sua parte ideologi di sinistra e buonisti cattolici. Sarebbe facile dire a chi è disposto ad accettare questa candida autopresentazione hamassiana che è un ignorante o un ingenuo, basterebbe fargli leggere lo statuto di Hamas. Ma come i palestinesi di Gaza sono disposti a ricevere valanghe di bombe senza ribellarsi pur di poter continuare ad invocare morte agli ebrei, così i paladini occidentali dei palestinesi sono disposti a morire sotto valanghe di infamanti accuse di ignoranza pur di non perdere la soddisfazione di parlar male di Israele. M.C.


Bibbia, questa sconosciuta

Riportiamo dal periodico “Avvenire” una tabella che indicherebbe il livello di familiarità degli italiani con la Bibbia.


Si può dire che col tempo qualche progresso in Italia si è fatto. Anni fa il giornalista satirico Leo Longanesi scrisse questa battuta: “Cercava nella Bibbia l’indirizzo di un buon albergo in Palestina”.

(Notizie su Israele, 29 agosto 2014)


Abbas contro Hamas: ha prolungato la crisi di Gaza

RAMALLAH - Il presidente palestinese Mahmud Abbas ha criticato Hamas per aver prolungato il conflitto di Gaza, nonostante un accordo per la tregua fosse sul tavolo dei negoziati in Egitto già da tempo. In alcune dichiarazioni trasmesse dalla tv palestinese, Abbas ha affermato che "era possibile evitare tutto questo, i duemila martiri, i 10.000 feriti, le 50.000 case distrutte", se Hamas non avesse insistito sulla necessità di discutere delle sue richieste prima del cessate il fuoco.
Abbas ha inoltre messo in dubbio la possibilità che il governo di unità palestinese continui a esistere. Hamas "ha un governo ombra - ha detto - e se questo continua, non può esserci unità. Il momento della prova è vicino, il governo deve cominciare a fare il suo lavoro e gestire ogni cosa". "Non dico che tutto debba risolversi in un momento - ha tuttavia precisato - questa divisione di sette anni necessita di mesi o anni" per essere sanata.

(Adnkronos, 29 agosto 2014)


Spagna: il "ritorno" degli ebrei sefarditi in una legge

 
Sefarad in ebraico è la Spagna: la parola appare per la prima volta nella Bibbia, nel libro del profeta Abdia. Nel corso del tempo si è impregnata di nostalgia per la terra perduta.
  Nel 1492, i re cattolici spagnoli Isabella e Ferdinando firmarono l'editto di espulsione degli ebrei, chi voleva restare era costretto a convertirsi. Molti partirono con le chiavi di casa, nella speranza di tornare. Fu l'inizio della diaspora sefardita che arrivò fino all'Impero Ottomano e al Nuovo Mondo.
  Ora un progetto di legge intende concedere la nazionalità spagnola ai discendenti degli ebrei sefarditi. I sefarditi di Israele, Turchia o America Latina potranno conservare la propria nazionalità, e allo stesso tempo diventare europei.
  Alejandra Abulafia, giornalista uruguayana, intende fare richiesta. "Il passaporto spagnolo significa il ritorno alla patria perduta. E' come una chiave. Non credo che tutti i sefarditi del mondo vengano a vivere in Spagna, chiederanno semplicemente la nazionalità e resteranno nei rispettivi Paesi. La maggior parte di loro non è interessata a venir a vivere in Spagna. Ma viene restituita loro la porta di casa. Hanno la chiave, simbolo della nostalgia, e la Spagna è la porta".
  Il progetto di legge è stato approvato dal consiglio dei ministri spagnolo e dovrebbe entrare in vigore all'inizio del 2015. Si stima che tra 90mila e 500mila persone potrebbero chiedere la nazionalità spagnola nei prossimi cinque anni. Un costo complessivo di 30 milioni di euro per la Spagna.
  Juan Bravo, sottosegretario alla Giustizia: "I richiedenti devono essere sefarditi di origine spagnola. La legge prevede una lista di criteri per poter dimostrare l'origine sefardita: conoscenza dello spagnolo-ebraico, un certificato di nascita o un atto di matrimonio che faccia riferimento alle regole del rito castigliano, un certificato dell'autorità rabbinica della località di residenza del richiedente o un certificato della federazione delle comunità ebraiche di Spagna".
  Una misura sufficiente? Una riparazione simbolica? La correzione di un errore storico? Questo progetto di legge arriva in un momento opportuno secondo Isaac Querub, presidente delle comunità ebraiche di Spagna. "Noi crediamo che quando si corregge un errore o si fa giustizia il momento sia sempre propizio. Credo che gli ebrei, in particolare i sefarditi, abbiano sempre desiderato una legislazione del genere. Ora il momento è più che appropriato, più che opportuno. Mi riferisco al fatto che stiamo vivendo un periodo di crisi economica e politica. E in questo periodo in cui si rafforzano i partiti di estrema destra, i partiti neonazisti, come in Grecia, Ungheria, Austria, Finlandia o Francia, il governo spagnolo prende tale iniziativa. Questa legge intende riparare un'ingiustizia e rettificare un errore".
  Molti ebrei espulsi dalla Spagna fuggirono in Nordafrica. Altri in Portogallo da dove si spostarono anche in Francia e Paesi Bassi. La maggior parte si trasferì nell'attuale Turchia, altri in America. In misura inferiore anche in Italia, in particolare Roma e Ferrara. E' difficile trovare il numero esatto dei sefarditi oggi nel mondo, ma si parla di tre milioni e mezzo.
  Chi contesta la legge in esame sostiene che offrire la doppia nazionalità agli ebrei sefarditi sia un privilegio, negato invece ad altre comunità straniere presenti in Spagna. Silka Erez vive ad Aranjuez, vicino Madrid, è ebrea sefardita d'Israele. "Ho deciso di chiedere la nazionalità spagnola. Possiedo tutti i documenti e faccio le pratiche da cinque, sei anni. Hanno accettato tutti i documenti, ma non l'ho ancora
Abbiamo trascorso secoli senza sapere chi fossimo. E oggi ci chiediamo, chi siamo? Siamo spagnoli? Siamo di origine ebraica, certo, ma per il resto siamo assimilati".
ottenuta. Gli ebrei di Israele hanno molto rispetto per i sefarditi di Spagna, li chiamano "sefarditi puri". La lingua sefardita, è chiamata "spagnolino" in ebraico e viene parlata in Israele".
Torniamo a Toledo, chiamata storicamente la Gerusalemme di Occidente. La città delle tre culture è stata modello di convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e musulmani. Durante il dodicesimo e il tredicesimo secolo qui si parlava latino, ebraico, arabo. L'identità spagnola è composta dagli elementi di queste tre culture.
  Paco Vara, traduttore, ci parla delle sue origini ebraiche verificate attraverso il cognome: "Sul sito web sefardim.com c'è una lista esaustiva di cognomi ebraici. Lì ho trovato il mio. Molti di essi indicano professioni, mestieri di campagna e città, specialmente quelle in cui esistevano grandi comunità ebraiche. Ci sono cognomi come Toledano, Cordobés, utilizzati per nascondere i patronimici ebraici originari".
  Visitando una sinagoga del dodicesimo secolo, Vara parla degli ebrei che si convertirono al cristianesimo a partire dal 1492, per poter restare in Spagna. "Credo fosse gente che cercò di vivere ai margini, di nascondersi e di riuscire a dimenticare completamente la propria cultura e la propria tradizione. Abbiamo trascorso secoli senza sapere chi fossimo. E oggi ci chiediamo, chi siamo? Siamo spagnoli? Siamo di origine ebraica, certo, ma per il resto siamo assimilati".
  Isaac Querub, presidente delle comunità ebraiche di Spagna: "Sefarad è un insieme di cose. Ha molto a che vedere con i sentimenti, con la nostalgia, con la storia. Ed è anche un progetto di futuro. Il ritorno? Magari! Questa legge per noi significa la revoca dell'editto di espulsione".
  L'Alhambra di Granada resta il simbolo della presenza della cultura musulmana, che contribuì molto alla formazione della Spagna attuale. Ci si potrebbe chiedere se un giorno anche questa cultura e i suoi discendenti saranno riconosciuti e risarciti. I moriscos, i musulmani, furono infatti espulsi tra il 1609 e il 1613, dopo otto secoli di presenza.
  A Granada, dove venne firmata la cacciata degli ebrei, restano poche tracce della judería, il quartiere ebraico, distrutto ai tempi dell'Inquisizione.
  Beatriz Chevalier Sola, erede degli ebrei convertiti ma che in modo segreto continuarono a praticare la propria religione e cultura, lavora per la salvaguardia della tradizione sefardita, al centro della memoria sefardita di Granada.
  "Per me si tratta di una missione. E' un lavoro che volevo fare da anni, ma per motivi personali è stato molto difficile. Poi ne ho avuto l'opportunità, dopo un viaggio in Israele tre anni fa. E' stato allora che mi sono resa conto che Granada aveva bisogno di ricostruire la memoria storica degli ebrei".

(euronews, 29 agosto 2014)


La vulnerabilità di Israele

Hamas doveva alzare bandiera bianca, invece ha di che essere fiera.

Hamas ha poco da festeggiare. Ci vorranno dieci anni per riportare la Striscia di Gaza al punto in cui era prima di questa guerra. Mille terroristi sono rimasti uccisi nei combattimenti con Israele, i cui soldati si sono dimostrati in grado di combattere nell'ostile ambiente urbano di Gaza. Hamas ha consumato tre quarti del suo arsenale bellico. E nella tregua siglata dall'Egitto ha ottenuto quello che gli veniva offerto all'inizio del conflitto, ossia quando la conta dei morti era ferma a duecento, non duemila. Eppure Hamas ha anche molto di cui essere fiera. Fino all'ultimo minuto prima della tregua, i suoi miliziani hanno lanciato decine di missili contro le città israeliane, colpendo zone del paese che si credevano immuni dalla minaccia. Le tre vittime civili israeliane sono arrivate negli ultimi due giorni di conflitto, quando in teoria la capacità bellica di Hamas doveva essere indebolita. Hamas ha costretto tre quarti delle compagnie aeree internazionali a cancellare i voli su Tel Aviv e ha inflitto un durissimo colpo all'economia israeliana. Soprattutto, Hamas ha esposto tutta la vulnerabilità di Israele, ha archiviato per il momento la possibilità dei "due stati per due popoli", ha scatenato una spaventosa ondata di antisemitismo in Europa e ha dimostrato di non essere affatto un corpo estraneo palestinese. Quando i leader di Hamas, Ismail Haniyeh e Mahmoud Zahar, sono usciti dalle loro tane, la popolazione palestinese avrebbe dovuto linciarli e contestarli per la rovina che hanno portato nella regione. Invece no. Feste, giubilo e danze hanno accompagnato il ritorno in superficie degli assassini.
   E' Israele che ha molto su cui riflettere e infatti la popolarità del premier Benjamin Netanyahu è ai minimi storici. Roni Daniel, il maggiore analista militare, ha detto che "per due mesi una banda di terroristi ha tenuto testa al più forte esercito del medio oriente". Israele non è mai stato in grado di fermare il lancio di missili, ha ignorato la minaccia dei tunnel e ha dovuto persino evacuare il sud del paese. La resistenza islamica palestinese, soprattutto, non ha mai alzato bandiera bianca. "La guerra doveva finire con Hamas che implorava", ha scandito Roni Daniel. E' così che doveva concludersi la guerra fra una banda di fanatici assetati di sangue ebraico e una grande democrazia. Con i primi con la coda fra le gambe. Questa tregua, invece, sarà il preludio a una guerra ancora più sanguinosa che Gerusalemme, prima o poi, sarà costretta a combattere. Israele non può accettare come status quo quello in cui un regime islamico alle sue porte decide di tenere in scacco il paese per cinquanta giorni.

(Il Foglio, 29 agosto 2014)


"Costringeremo Hamas ad alzare bandiera bianca”, aveva detto Avigdor Lieberman, ed è indubbio che Hamas al Ministro degli Esteri israeliano questa imprudente (o arrogante?) parola l’ha fatta ringoiare. "La guerra doveva finire con Hamas che implorava", ha detto Roni Daniel: bellissimo, certo, se fosse avvenuto. Ma era possibile? Attenzione, nella trappola del wishful thinking non è solo John Kerry che può cadere. E’ vero: Hamas è riuscito ad esporre tutta la vulnerabilità di Israele. Questa è la realtà. Colpa di Netanyahu? Di nuovo attenzione: il pensiero desiderante frustrato parte subito alla ricerca di chi è la colpa. E non appena pensa di averlo trovato riparte subito verso nuovo forme di pensiero desiderante. E il ciclo si riattiva. Di realismo c’è bisogno. Ma una nazione come Israele può essere realistica e speranzosa senza considerare la realtà del Dio d’Israele? M.C.


Trovato il corpo dello studente ultra-ortodosso statunitense scomparso a Gerusalemme

La polizia israeliana ha ritrovato il corpo dello studente ultra-ortodosso statunitense scomparso. Le tracce di Aaron Sofer - studente di seminario di 23 anni originario di Lakewood nel New Jersey - si erano perse alla fine della settimana scorsa quando era andato a fare trekking nei boschi con un amico a Gerusalemme.
"Il corpo ritrovato è quello dello studente - ha detto il portavoce della polizia MIckey Rosefeld -. Vi è un'indagine in corso in questo momento per chiarire i retroscena di quanto avvenuto. Occorre appurare se lo studente sia stato vittima di un incidente, oppure se si tratti di un caso di omicidio".
La polizia valuta tutte le ipotesi, inclusa quella che il ragazzo possa essere stato vittima di un attacco da parte di militanti palestinesi.
A giugno tre studenti di seminario israeliani furono rapiti in Cisgiordania - a una trentina di chilometri da Gerusalemme - e poi trovati morti. Hamas rivendicò successivamente l'azione, che contribuì all'esacerbarsi dello scontro con Israele culminato nell'ultimo conflitto.

(euronews, 29 agosto 2014)


Korean Air riapre la rotta Seul-Tel Aviv

Korean Air riprenderà i collegamenti da Seul a Tel Aviv dal prossimo 13 settembre. La compagnia aerea opererà tra voli alla settimana dall'Incheon International Airport verso Israele (martedì, giovedì e sabato), utilizzando un Boeing 777-200. Korean Air aveva temporaneamente sospeso i collegamenti sulla rotta lo scorso 19 luglio a causa dei problemi di sicurezza verificatisi in Israele.

(Travel Quotidiano, 29 agosto 2014)


L'Ordine dei Giornalisti processa Allam

Così si calpesta la libertà di opinione.

di Pierlulgi Battista

Trasformare in un crimine un'opinione, per quanto criticabile, non dovrebbe rientrare nei compiti di uno Stato che voglia conservare la sua anima liberale, figurarsi di un Ordine professionale come quello dei giornalisti. E invece mettere sotto accusa le opinioni di un commentatore come Magdi Cristiano Allam è diventato l'occupazione estiva dell'Ordine dei giornalisti. Una parodia dell'Inquisizione che fa di un'associazione di categoria, nata durante il fascismo e senza eguali in nessun'altra democrazia liberale con l'eccezione del post-salazariano Portogallo, un tribunale abusivo che si permette di interpretare a suo modo i princìpi della libertà di espressione e che si permette di emettere verdetti sulle opinioni espresse da un proprio associato. Già l'Italia è caricata da una pletora di reati d'opinione mai smaltiti in tutti gli anni della Repubblica post-fascista. Non c'è bisogno di processi aggiuntivi istruiti da chi si arroga il diritto di giudicare le opinioni altrui solo perché munito del tesserino di un Ordine professionale. Se un giornalista commette un reato, dovrà essere giudicato come tutti gli altri cittadini da un Tribunale della Repubblica. Piccoli tribunali del popolo che si impancano a misuratori dell'eventuale «islamofobia» di Allam sono invece pallide imitazioni di epoche autoritarie che non distinguevano tra reato e opinione. Mentre la libertà d'opinione, dovremmo averlo imparato, è indivisibile e non dovrebbe essere manipolata a seconda delle predi-lezioni ideologiche. Si vuole criticare Allam? In Italia c'è il pluralismo della critica e dell'informazione e il conflitto delle idee è il sale di una democrazia liberale. La giustizia fai da te, i tribunali delle corporazioni che si permettono di intromettersi non su un comportamento, o su una grave negligenza professionale, bensì sul contenuto di un articolo, sono invece il residuo di un'intolleranza antica, e che non sopporta la diversità delle opinioni, anche delle più estreme. Per cui i censori dell'Ordine potrebbero rimettere nel cassetto i loro processi, togliersi la toga dell'inquisitore e ammettere di aver commesso un errore. Non è mai troppo tardi per la scoperta della libertà.

(Corriere della Sera, 29 agosto 2014)


Festival Adriatico Mediterraneo: cultura ebraica in mostra 'Passaggi'

Dal 31 agosto al 14 dicembre alla Mole Vanvitelliana

 
Ruth Schreiber - "Love letters", lettere in porcellana ispirate alle lettere lasciate nelle fenditure del Muro occidentale
ANCONA - Un viaggio attraverso le millenarie e ricchissime suggestioni della cultura ebraica alla riscoperta di una dimensione alternativa a quella del contingente. Si chiama "Passaggi. Le parole dell'umanità attraverso la cultura ebraica", la mostra multisensoriale proposta dal Museo tattile Omero, in collaborazione con la Comunità ebraica di Ancona, alla Mole Vanvitelliana, dove verrà inaugurata il 31 agosto.
   L'iniziativa è inserita nel calendario del Festival Adriatico Mediterraneo, con il sostegno dell'Ambasciata israeliana di Roma e in collaborazione con la Biennale di arte ebraica contemporanea di Gerusalemme.
   "Il Muro occidentale, Kotel in ebraico, conosciuto come il Muro del pianto, è uno dei luoghi più sacri e importanti di Gerusalemme e di Israele. Lì gli ebrei si recano per pregare, per esprimere i loro desideri e i loro pensieri più intimi. E' lì - spiegato gli organizzatori della mostra, che resterà aperta fino al 14 dicembre - che la parola diviene soglia, luogo di incontro tra fisico e spirituale, tra umano e divino". La forza spirituale e mistica del Muro viene espressa attraverso le sculture di Andrea Socrati in terracotta e gesso e una serie di termografie a rilievo; una seconda serie di termografie e installazioni rievoca il fantastico e visionario mondo di Marc Chagall. Quattro artisti di Gerusalemme 'interpretano' la terra, i suoni, gli umori di Israele, con quattro opere: Chana Cromer con The Distaff Side, ispirato a "La donna di carattere" dal Libro dei Proverbi, in tema con la XV edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica; Ruth Schreiber con Love letters, lettere in porcellana ispirate alle lettere lasciate nelle fenditure del Muro; Andi Arnovitz con Construct/Destruct, che attraverso mattoni serigrafati ricorda il Tempio di Salomone; Neta Elkayan, artista tra musica e arti figurative, con un audio dal titolo Abuhatzeira, dedicato al rabbino El Yaakov Abuhatzeira.

(ANSA, 28 agosto 2014)


«Sinagoga controllata a spese nostre, le chiese invece no»

Dura polemica di don Musi contro la Comunità ebraica di Livorno dopo le scritte inneggianti a Hamas anche a Coteto.

LIVORNO. «E' veramente incomprensibile che certe scritte inneggianti ad Hamas siano state scritte davanti alle nostre chiese. Semmai dovevano essere scritte sui muri della sinagoga».
Don Luciano Musi, a distanza di quattro giorni dal ritrovamento delle scritte W Hamas davanti a quattro chiese cittadine tra cui il Duomo, torna sull'argomento con una nota polemica che ha inviato al nostro giornale. Anche la sua chiesa, San Giovanni Bosco in via Toscana in Coteto, è stata colpita dalla scritta W Hamas che è comparsa sullo scivolo di ingresso proprio domenica mattina, durante la messa. La prima scritta a spuntare fuori è stata sulle scale del sagrato del Duomo. Poi ne è venuta fuori un'altra davanti ai Domenicani, e infine a Santa Maria del Soccorso, in piazza Magenta. Una quinta scritta è stata fatta invec e in via Grande per terra.
Don Luciano, nella sua riflessione, non si spiega perché siano state prese di mira le chiese cattoliche e non la sinagoga, visto che tutto nasce dal conflitto israelo-palestinese che imperversa da anni e che si è inasprito negli ultimi tempi.
«Ma lì (nella sinagoga ndr) non è possibile, perché le forze dell'ordine tutelano la sinagoga 24 ore su 24 - riflette don Luciano - mentre le nostre chiese (anche quelle di grande valore artistico e antiche - La sinagoga è degli anni '60) non sono quasi per niente tutelate dalle forze dell'ordine. Eppure anche noi paghiamo le tasse e quindi paghiamo con i nostri soldi quel servizio di vigilanza e non ci consta che gli ebrei livornesi diano alla chiesa l'8 x mille».
Don Luciano accenna anche a un incidente diplomatico: «A tutt'oggi la Chiesa livornese, nella persona del suo vescovo, non ha ricevuto alcuna attestazione di solidarietà per i fatti accaduti, da parte della comunità ebraica. Quanto scalpore sarebbe stato suscitato qualora le scritte fossero state fatte davanti alla Sinagoga».
Nulla contro gli ebrei ovviamente, come precisa don Luciano in chiusura: «Come cristiano e come sacerdote considero il popolo ebraico mio fratello maggiore e mi aspettavo dal mio fratello maggiore un'attenzione ed una solidarietà come si usa nelle buone famiglie».

(Il Tirreno, 29 agosto 2014)


Probabilmente i sostenitori di Hamas volevano che accadesse esattamente quello che è accaduto: mettere la parrocchia contro la sinagoga. Ci sono riusciti. Non è stato molto difficile.


La storica disfatta di Hamas

di Thomas Wictor

La gente mente e afferma idiozie perché è corrotta, disonesta, in malafede, o vuole disperatamente fa parte della massa. Il fenomeno di massa più ricorrente della storia è quello dell'odio verso gli ebrei. Anche chi non odia propriamente gli ebrei, finisce per sposare la propaganda antisemita per conformismo. Possibile che le Nazioni Unite, Human Rights Watch, la Croce Rossa Internazionale e Penelope Cruz siano tutti in errore? come può la maggioranza sbagliarsi? Forse perché molta gente è affetta da disturbi psicologici. Siccome io non voglio far parte di questo gruppo, posso parlare serenamente di sconfitta storica per Hamas.
E non mi interessa cosa affermano gli esperti del settore: Hamas ha perso in malo modo questa guerra. Dopo la guerra del 2006 fra Israele ed Hezbollah, ebbi modo di affermare «Hezbollah è stata asfaltata». All'epoca ero praticamente l'unico ad affermarlo. Probabilmente Hamas non è ancora pronta per ammettere la sconfitta come fece all'epoca Hezbollah, ma ci è andata molto vicina. Ed ecco perché....

(Il Borghesino, 28 agosto 2014)


Roma, storia di un grande amore

di Adam Smulevich

Vittorio Della Rocca
Amedeo Amadei, il mitico Fornaretto
Magari non va più allo stadio ogni domenica. Ma la passione è rimasta la stessa: la passione del ragazzino che si imbucava a Campo Testaccio sfidando le restrizioni delle leggi antiebraiche emanate dal fascismo, la passione della giovane mezzala della Stella Azzurra che sognava di ripetere sul campo le imprese di Amedeo Amadei, il mitico Fornaretto, da poco scomparso, impresso nella sua mente come "il più grande campione" ad aver onorato la maglia della lupa.
Figura tra le più rappresentative e amate della Roma ebraica, Vittorio Della Rocca si diverte all'idea di essere etichettato come rabbino tifoso. "Dire che sono tifoso è dire poco. La Roma ce l'ho nel sangue, da sempre. Un legame - spiega - dal quale è impossibile separarsi come una storia d'amore che si rinnova continuamente nel tempo. Quando gioca la Roma, la realtà circostante perde importanza. Credo sia una fortuna provare queste emozioni ancora oggi, alla mia non più tenerissima età". La mente torna ai primi contatti con la realtà giallorossa, frutto dell'infatuazione trasmessagli dal padre (abbonato della prima ora: dal 1927, anno di fondazione della società). Sono anni difficili per gli ebrei italiani, privati dal '38 dei più elementari diritti. Al Campo Testaccio, dove la Roma giocherà fino 1940, il piccolo Vittorio trova una zona franca. Un riparo dall'emarginazione, un luogo in cui sentirsi uguale agli altri coetanei. Come punto d'appoggio la casa dei nonni, situata a poche centinaia di metri dall'impianto.
   Allo Stadio Nazionale assisterà invece alla vittoria del primo scudetto (stagione 1941-1942) e alle gesta del tanto amato Fornaretto. "Come lui nessuno, un giocatore davvero unico", commenta il rav. Nei mesi dell'occupazione nazista non ci sarà più tempo per pensare al calcio. Ci sarà da salvare la pelle e confidare in tempi migliori, che arriveranno soltanto a partire dall'estate del 1944. Ed ecco così ravvivarsi, soprattutto con il bar mitzvah celebrato un paio di anni dopo, l'antica magia. È un amico di famiglia a fargli il regalo più bello: una trasferta pagata per seguire la Roma, attesa in quei giorni da una gara di campionato a Firenze. Vittorio non può desiderare di più dalla vita e infatti quel giorno, così distante ma allo stesso tempo così significativo, non l'ha mai dimenticato. Anche il risultato: "1 a 1". È un aneddoto che racconta molto della sua personalità, insieme ai tanti successi conseguiti in campo educativo e rabbinico.
   Memorabile anche l'affettuoso scontro con rav David Prato, tra gli artefici della rinascita comunitaria dopo la Shoah e il dramma delle persecuzioni. Giocava a piazza Cinque Scole (allora piazza de' Cenci) il giovane Vittorio. E questo suscitava le ire del rabbino capo. "Un futuro rabbino non gioca a calcio", il suo reiterato ammonimento. Un invito destinato a cadere nel vuoto. Della Rocca si sarebbe infatti ritagliato uno spazio nelle file della Stella Azzurra, squadra degli ebrei romani che fu punto di raccolta di molta gioventù. "Ero una mezzala. Una mezzala di 'allora', il che significa che praticamente giocavo da fermo. Comunque - ricorda - avevo un ottimo palleggio e questo faceva impazzire rav Prato".
   Nella stessa squadra, un caro amico che avrebbe fatto strada nel settore: Giovanni Di Veroli, il "campione di piazza" che avrebbe disputato 58 partite di Serie A con la maglia della Lazio. Ma meglio non parlare di Lazio con un vecchio core giallorosso. Ed ecco che ad essere snocciolate sono memorie di un calcio forse più povero ma senz'altro più suggestivo e ricco di valori. Al seguito della "Magica" rav Della Rocca va infatti un po' ovunque. Tra le trasferte predilette Firenze, Livorno e Torino. "Ci andavo con mio cugino Umberto, quanti bei momenti".
   A Roma invece la meta è il settore distinti fino a quando, con maggiori certezze economiche, la scelta cadrà su settori con migliore fruibilità delle azioni sul campo. Il 17 maggio 1953 è un giorno storico per la città di Roma. Si inaugura infatti, alla presenza del capo dello Stato, il nuovo Stadio Olimpico. In campo l'Italia sfida la grande Ungheria di Puskas. Sugli spalti, tra gli oltre 80mila tifosi che gremiscono l'impianto, anche il rav Della Rocca. "Non potevo mancare - dice - Puskas e i suoi compagni hanno segnato un'epoca. Ricordo che fu un'emozione indescrivibile vedere le loro gesta". Non si sarebbero smentiti neanche in quella circostanza: padroni di casa annichiliti, 3 a 0 per i magiari. E di calciatori che hanno lasciato una traccia, anche da un punto di vista morale, il rav ne elenca molti. Alcuni, chiosa, "sono passati da Roma". Oggi il campione di riferimento è Francesco Totti. Anche se è il contorno umano di tutta la Serie A ad essersi degradato. "Vedo troppo nervosismo, troppa competitività esasperata. E questo - conclude - un po' mi rattrista".

(Pagine Ebraiche, agosto 2014)


I pescatori di Gaza tornano in mare

Le immagini senza commento

ROMA - I pescatori di Gaza hanno ripreso il mare dopo l'inizio del cessate il fuoco con Israele. In base ai termini dell'accordo possono spingersi fino a sei miglia nautiche dalla costa; vorrebbero poter arrivare almeno a 12 miglia.

(TMNews, 28 agosto 2014)


L'antisemitismo in Gran Bretagna

di George Igler

Una caratteristica evidente della crescente ondata di antisemitismo in Gran Bretagna è il silenzio con cui i leader del Paese hanno scelto di rispondere al clima di odio e intimidazione, diretto non solo agli stessi ebrei, ma sempre più a chi non è legato al mondo ebraico.
   Secondo un rapporto pubblicato a luglio dal Community Security Trust, un ente di beneficenza istituito per garantire la sicurezza della comunità ebraica nel 1994, anche se quattro attacchi antisemiti su cinque di solito avvengono "nei principali centri ebraici di Greater London e Greater Manchester", attacchi violenti contro gli ebrei e i simboli dell'ebraismo sono ora in corso in tutto il Paese.
   Qaiser Malik, 19anni, e Balawal Sultan, 18anni, nati entrambi a Newcastle, sono attualmente in attesa di
A Belfast, nell'Irlanda del Nord, lo stesso sabato, la sinagoga è stata attaccata due volte. E in Inghilterra, come in Francia, le sina- goghe sono un bersaglio particolarmente preferito dell'odio contro gli ebrei.
giudizio per un'aggressione a sfondo razziale contro un rabbino avvenuta sabato 19 luglio. A Belfast, nell'Irlanda del Nord, lo stesso sabato, la sinagoga è stata attaccata due volte. E in Inghilterra, come in Francia, le sinagoghe sono un bersaglio particolarmente preferito dell'odio contro gli ebrei. Questa tendenza si estende da Liverpool, nella parte settentrionale del Paese, dove chi frequenta la sinagoga è salutato con slogan del tipo: "Assassini di bambini", fino a Brighton, nella parte meridionale.
Dopo l'omicidio di un soldato britannico a Woolwich, il 22 maggio 2013, la polizia ha fatto grandi sforzi per proteggere le moschee di tutto il Paese e il coro di condanne politiche delle aggressioni dirette contro i luoghi di culto musulmani è stato immediato e unanime. Definire discutibile l'attuale risposta è un eufemismo.
   Anche in Scozia, dove Jonathan McKean-Litewski, un commesso 26enne, è stato di recente licenziato per essersi rifiutato di togliere un ciondolo con la stella di David, i rappresentanti ebraici del luogo sono così preoccupati per il crescente livello di antisemitismo da chiedere un incontro urgente con il primo ministro del Paese, Alex Salmond.
   La reazione a questi episodi, in particolar modo da parte della stampa, è stata a dir poco sconcertante. In seguito ai casi di terrorismo islamico in Gran Bretagna o degli stupri di gruppo su bambini da parte di musulmani, i giornalisti hanno fatto del loro meglio per mettere in evidenza che nessuna comunità religiosa dovrebbe mai essere perseguitata per le azioni di pochi. Come osserva Jonathan Arkush, vicepresidente del Consiglio dei deputati degli ebrei britannici, "c'è un legame diretto tra i politici che dicono le cose e la gente che è incoraggiata ad andare ad attaccare gli ebrei. C'è un costante rullo di tamburi per un fermento antisraeliano che induce gli ebrei britannici a essere più preoccupati e più insicuri che mai".
   Non sorprende che il 63 per cento dei circa 260mila ebrei britannici ora metta in discussione il loro futuro nel Paese. Ma con "Guardian", "Bbc", "Independent" e "Reuters" che attribuiscono l'ondata di aggressioni antisemite in Gran Bretagna al recente conflitto di Gaza, è interessante rilevare che anche se quest'estate c'è stata un'escalation innegabilmente forte e angosciante di un'impenitente espressione pubblica di odio per gli ebrei, le prove evidenziano qualcosa di più inquietante.
   In realtà il numero degli episodi antisemiti in Gran Bretagna è aumentato del 36 per cento nei primi sei mesi del 2014, raggiungendo il suo livello più alto degli ultimi cinque anni, ben prima che le Forze di difesa israeliane avviassero l'operazione militare denominata "Margine protettivo" in risposta agli attacchi missilistici lanciati quotidianamente dalla striscia di Gaza.
   È quasi come se la reazione dello Stato ebraico al lancio di razzi da parte di Hamas, dalle scuole, vicino gli ospedali e accanto a un edificio delle Nazioni Unite, avesse in qualche modo fornito un comodo pretesto per la manifestazione più violenta di un odio verso gli ebrei già preesistente, crescente e profondo in Gran Bretagna.
   Da dove potrebbe derivare tutto questo? Chi cerca una risposta nelle notizie riportate nelle prime pagine dei giornali del Paese sui minacciosi episodi perpetrati lo scorso fine settimana contro i clienti di due importanti catene di supermercati fondate da ebrei potrebbe rimanere deluso.
   Nel primo episodio, venti agenti di polizia sono dovuti intervenire quando una parte di un gruppo
Un testimone racconta di aver sentito urlare degli slogan e poi di aver visto "entrare un gruppo di uomini asiatici con in mano delle bandiere palestinesi che hanno cominciato a far cadere la merce dagli scaffali, diventando aggressivi con il personale e i clienti.
formato da un centinaio "di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il conflitto nella striscia di Gaza" si è recata in un supermercato Tesco di Birmingham e, una volta dentro, ha cominciato a lanciare prodotti dagli scaffali. Un testimone, intervistato dal "Daily Mail", racconta di aver sentito urlare degli slogan e poi di aver visto "entrare un gruppo di uomini asiatici con in mano delle bandiere palestinesi che hanno cominciato a far cadere la merce dagli scaffali, diventando aggressivi con il personale e i clienti. La polizia ha cercato di fermarli ma io sono corso fuori".
Poiché negli scontri con i manifestanti è stato aggredito un poliziotto, ci si sarebbe aspettato che i politici britannici condannassero fermamente un comportamento del genere. Sbagliato. Al contrario, la deputata Shabana Mahmood, membro del gabinetto-ombra laburista, lo ha positivamente incoraggiato. Elogiando il proprio successo in un tentativo di intimidazione simile (a quello condotto nel supermercato Tesco) che ha portato una folla di duecento persone a picchettare un supermercato della catena Sainsbury's a Birmingham riuscendo a farlo chiudere "per cinque ore di fila durante le ore di punta di un sabato", la Mahmood ha continuato a caldeggiare, davanti a un pubblico che vociava il proprio consenso, l'efficacia delle "iniziative concrete che noi tutti possiamo promuovere perché il nostro governo drizzi le antenne". Il video del discorso tenuto dalla Mahmood, deputata per Birmingham Ladywood a "un raduno di massa a favore di Gaza", tenutosi a Hyde Park, a Londra, il 9 agosto scorso, è online.
   Il secondo episodio di antisemitismo diretto contro un supermercato e accaduto nel fine settimana, per quanto non sia stato così violento, è apparso molto più preoccupante ed è stato dettato inequivocabilmente da motivi religiosi. Di fronte a una folla di manifestanti "anti-Israele" assiepati fuori dal supermercato della catena Sainsbury's, nel centrale quartiere londinese di Holborn, il direttore, cedendo alle intimidazioni, ha fatto rimuovere dagli scaffali tutto il cibo kosher (carni, formaggi e salse) anche se era stato prodotto in Polonia e in Gran Bretagna. Il "Daily Mail" ha riportato quanto asserito da un cliente: "Immagino che stiate ritirando anche il cibo halal, in segno di protesta contro il massacro degli yazidi da parte dello Stato islamico".
   Quanto avvenuto nel supermercato di Holborn ha indotto Brendan O'Neill a condannare nelle pagine del "Daily Telegraph" "l'assoluta riluttanza da parte di persone e istituzioni influenti ad affrontare i sentimenti antisemiti" dilaganti nel Paese. Purtroppo, lo ha fatto dimostrando un'uguale riluttanza a parlare della sottile censura cui sono esposti giornalisti come lui in Gran Bretagna, quando si tratta di rivelare l'identità di chi mostra tali sentimenti.
   Ma quando si parla di questi episodi non è mai menzionata la parola "musulmano". Non è mai la persona che commette questo tipo di reati a essere considerata moralmente responsabile dai media o dai politici britannici. Questo onore è riservato a una nazione che si trova a oltre 2mila miglia di distanza, ossia Israele.
   Ci si chiede per quale motivo sembri essere irrilevante che le normali famiglie britanniche che vanno a fare la spesa settimanale dovrebbero ritrovarsi vittime di simili "iniziative concrete", a causa della popolazione di Gaza che sceglie di eleggere un partito dedito alla sterminio degli ebrei.
   Di certo non occorre molta immaginazione per ipotizzare come sarebbe istantanea e inflessibile la reazione dei politici britannici e della stampa, se i cristiani che si oppongono al genocidio perpetrato dall'Isis in Iraq decidessero di andarsene in giro in massa a minacciare con violenza le attività commerciali musulmane.
   Chiedere la rimozione dei prodotti alimentari halal, ad esempio, farebbe "drizzare le antenne del Governo britannico", per usare le parole di Shabana Mahmood.

(L'Opinione, 28 agosto 2014 - trad. Angelita La Spada)


Israele ha vinto

di Fiamma Nirenstein

 
Nessuno deve farsi intrappolare dalle urla e dagli spari di "vittoria" di Hamas, cui si accompagnano in queste ore i ghigni dei terroristi di tutto il mondo. Nel 1967, conclusasi la Guerra dei Sei Giorni, dopo una storica sconfitta l'Egitto gridava alla vittoria. Hamas ha perso e Israele ha vinto non solo con l'uso di un esercito valoroso che ha combattuto con le mani legate dietro la schiena, ma per lo spirito che lo anima.
   Israele vince perché Hamas non ottiene nessun vantaggio significativo; ha perso alcuni fra i suoi capi più importanti; la sua riserva di armi è decimata; le sue gallerie distrutte per il maggiore numero; Gaza ha ha riportato danni molto importanti; ha perso un numero molto alto di cittadini; in definitiva ha accettato semplicemente la proposta egiziana che Israele aveva accettato fin dal primo momento, ovvero trattare solo dopo il cessate il fuoco; Abu Mazen prende una grande parte del suo potere nel territorio di Gaza controllandone, così sembra, gli ingressi; Hamas è isolato nel mondo arabo: solo il Qatar e la Turchia sono dalla sua parte, mentre si sta formando uno schieramento moderato che tende invece ad avvicinarsi alle posizioni di Gerusalemme.
Israele invece ha subito sul suo territorio danni molto relativi; ha vinto la sua incredibile capacità di difendere la vita dei cittadini benché il suo territorio sia stato bombardato da 4500 missili solo sei cittadini sono stati uccisi. La gente è stata salvata da un incredibile sistema di protezione teso a difendere ogni vita casa per casa con i rifugi e dal cielo con ilpreziososistema antimissile "Kipat Barzel". Nonostante la guerra asimmetrica in cui Hamas ha usato i suoi cittadini, vecchi, donne, malati e soprattutto bambini come scudi umani e carne da cannone, l'esercito ha mantenuto un atteggiamento di ritegno, ha cercato sempre solo il contenimento e mai la vendetta, nonostante proseguisse il lancio di missili e Hamas violasse le tregue insieme a tutte le regole di guerra.
   Israele, investito da un'ondata di disinformazione e di diffamazione che ha infettato l'Europa con manifestazioni antisemite, ha usato con estrema misura la forza di terra; la perdita di 64 soldati è stata quasi sempre dovuta all'uso di sistemi subdoli e vili, adescamenti in trappole minate, uso delle gallerie terroriste per compiere rapimenti. I soldati perduti, uno a uno, sono stati pianti dal Paese per ciò che veramente erano, esseri umani di valore, ragazzi pieni di speranze di vita, di capacità purtroppo andate perdute, che i genitori hanno raccontato funerale dopo funerale fra le lacrime, senza mai dire una parola di odio, sempre ricordandone la vita, la speranza e l'amore per il loro Paese come patria democratica e pacifica.
   Hamas può ubriacarsi di spari in aria e di proclamazioni di vittoria, ma il suo slogan resta quello enunciato più volte durante questa guerra: "Noi amiamo la morte molto di più di quanto voi amiate la vita". La filosofia di Israele è tutto il contrario, la pazienza, l'accettazione delle tregue, la capacità di resistere a quello che nessun altro popolo sopporterebbe, con fiducia nel futuro, ne fanno l'unico bastione credibile contro l'ondata di terrorismo jihadista mondiale di cui Hamas è parte.
   L'immagine che meglio rappresenta Hamas è quella degli incappucciati che hanno giustiziato 18 palestinesi anche loro senza volto, senza processo, senza pietà, inginocchiati in mezzo alla strada. Quella di Israele è una maestra con uno dei bambini del suo giardino d'infanzia di fronte alle rovine della scuola distrutta da un razzo mentre gli dice: "Hai ragione, ha fatto bum, ma adesso la ricostruiamo molto più bella di prima".

(blog di Fiamma Nirenstein, 27 agosto 2014)


«Hamas ha subito il peggior colpo della sua storia senza realizzare nessuno dei suoi obiettivi»

Il primo ministro israeliano: Il mondo sta comprendendo il pericolo dell'estremismo jihadista, per cui si aprono nuove prospettive diplomatiche.

Mentre le Forze di Difesa israeliane hanno raggiunto gli obiettivi della loro missione a Gaza, Hamas non è riuscita a imporre nessuna delle condizioni che aveva cercato di strappare in cambio del cessate il fuoco. Lo ha detto mercoledì sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in una conferenza stampa nella quale ha parlato dell'operazione anti-terrorismo "Margine protettivo" iniziata lo scorso 8 luglio.
"Hamas ha subito il colpo peggiore dalla sua fondazione" ha detto Netanyahu, che ha inoltre sottolineato l'isolamento di Hamas nel recente conflitto. Israele, ha detto, è riuscito a dimostrare alla comunità internazionale "le dimensioni dell'estremismo islamista di Hamas, e come Hamas, ISIS e al-Qaeda siano tutti parte della stessa famiglia". E ha convinto il mondo "che l'obiettivo a lungo termine deve essere il disarmo" della striscia di Gaza. La comunità internazionale, ha detto Netanyahu, si è resa conto che il mondo arabo, salvo poche eccezioni, non si è schierato con Hamas. "Questo segna un cambiamento", ha osservato, giacché ex stati nemici si ritrovano ora a cooperare nella lotta contro gli islamisti estremisti in Medio Oriente. La collaborazione tra forze moderate per distruggere lo "Stato Islamico" apre la strada a "nuove opportunità" e a un nuovo orizzonte diplomatico per Israele. Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), ha aggiunto Netanyahu, "deve scegliere da che parte stare, e noi speriamo che continui a cercare la pace con Israele: siamo sempre ansiosi di trovare validi interlocutori di pace per risolvere il conflitto, e saremmo ben lieti che le forze di Abu Mazen tornassero nella striscia di Gaza". Ma se Hamas ricominciasse da domani a scavare tunnel terroristici, ha aggiunto il primo ministro, Israele "avrebbe tutto il diritto difendersi".

(israele.net, 28 agosto 2014)


L'ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, a Rainews24

L'ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, ospite a Rainews24. "Hamas" - dice - "non accetta l'idea dell'esistenza di persone diverse da loro. E nella Striscia di Gaza, Abu Mazen non controlla niente". Sulla tregua raggiunta, l'ambasciatore israeliano in Italia, sostiene che è necessaria per entrambi i fronti colpiti dal conflitto. "Israele" - conclude Gilon - "vuole contribuire ad aiutare la popolazione civile di Gaza", ma nel passato gli aiuti forniti sono serviti ad Hamas per realizzare i tunnel da cui poi ha condotto i suoi attacchi.

(RaiNews24, 28 agosto 2014)


Visita di EDIPI alle congregazioni messianiche di Israele.

Nella settimana in cui la tregua con Hamas è durata più a lungo, la delegazione di EDIPI si è dedicata ad andare nei luoghi in cui la presenza delle congregazioni messianiche è fortemente condizionata dallo stillicidio dei missili di Hamas.
  Alludiamo a Kiryat Gat, Ashdod e Beersheva, mentre la visita a Tifrah nel moshav della coltivazione dei carciofi non è stata presa in considerazione essendo a soli 4 Km. dal confine con Gaza.
  C'è da premettere che la situazione in queste aree è vissuta in maniera totalmente diversa che nelle grandi città come Gerusalemme, Tel Aviv o Haifa in cui al suono della sirena ormai i cittadini israeliani rispondono con moderata apprensione o solo alzando lo sguardo al cielo per osservare l'abbattimento del razzo da parte dell'Iron Dome.
  Il pastore Miky Yaron con cui ci siamo incontrati per il progetto di gemellaggio con una chiesa evangelica italiana, ci ha testimoniato del 100% dell'abbattimento dei razzi di Hamas lanciati su Rishon Le Ziyyon dove abita e ci ha inoltre mostrato la stanza blindata dove è stato ricavato il rifugio antimissile.
  A Beersheva invece i missili sono caduti in aree periferiche monitorate come non a rischio dall'Iron Dome, ma con immutato risultato deleterio sul sistema nervoso della gente. I Boskey che curano una chiesa in casa loro, per la prima volta hanno confessato di aver avuto paura e lo stress nervoso a cui sono sottoposti è notevole, condizionandone la salute.
  Più grave ancora è la situazione ad Ashdod, città in cui opera Israel Pochtar con il ministerio "Voice of Judah" in cui il missile è esploso in un campo giochi poco distante ma al momento non frequentato. Tutti gli appartamenti nuovi hanno stanze blindate per rifugio antimissile con serramenti in acciaio da 3 mm. e paratie scorrevoli per oscurare le finestre in acciaio da 3 cm.(centimetri !). Il pastore Pochtar ci ha mostrato le riprese video dei missili abbattuti sopra la sua casa dall'Iron Dome.
  Più impressionanti sono state invece le immagini mostrateci dal pastore Angel Gerber del ministero "El Vino Nuevo" (relatore nel 2o Convegno Internazionale EDIPI del 2012), di un missile inesploso conficcato nel giardino di casa a Kiryat Gat: in alternativa all'Iron Dome funzionano i miracoli di Dio!
  La raccolta dei fondi per il moshav di Tifrah è stata indirizzata all'operazione di Keren Hayesod per costruire dei rifugi mobili nelle zone più a rischio in cui i tempi di reazione alle sirene sono troppo brevi (Sderot, Netivot e Ofaqim); d'altro canto l'Ambasciata Cristiana Internazionale di Gerusalemme nel frattempo aveva già provveduto a far costruire il rifugio antimissile a Tifrah: tempismo della solidarietà cristiana!
  Quello che abbiamo constatato è il grande coinvolgimento, non solo in preghiera, di tutte le congregazioni messianiche nel tributo di giovani (uomini e donne) all' IDF. Da poche unità fino a 13 persone che abbiamo riscontrato nella congregazione di Meno Kalisher a Gerusalemme, le foto dei vari soldati sono affisse nelle bacheche delle chiese. Con il pastore Kalisher abbiamo valutato la possibilità di un suo invito in Italia per un nostro futuro Raduno Nazionale coincidente alla pubblicazione di un suo libro sull'escatologia messianica.
  Miriam Stern del moshav di Tifrah in una sua newsletter ci informava dei 3 livelli di composizione dell'esercito israeliano: i ragazzi di leva, triennale per i maschi e biennale per le femmine, i militari di professione e i riservisti fino a 45 anni di età. Visitando le congregazioni messianiche ci siamo resi conto di un quarto livello, l'esercito spirituale che prega ed intercede incessantemente: addirittura si stanno formando delle cellule di preghiera in casa, in alcuni casi 24 ore al giorno incessantemente, oltre a chiese in casa e gruppi di studio, sempre in casa, trasversali denominazialmente e che poi di shabbat si trovano assieme nella congregazione di riferimento per una grande agape fraterna. In questo momento così difficile per Israele anche la Chiesa Messianica, formata cioè da ebrei che pur rimanendo tali hanno la rivelazione che Gesù è il Messia di Israele, ha scoperto maggiore unità.

(EDIPI, 28 agosto 2014)


In quali mani sta il destino d'Israele?

di Marcello Cicchese

Due anni fa, in occasione di Yom haShoà, il giorno in cui in Israele commemora lo sterminio nazista degli ebrei, il prof. Ugo Volli, lucido commentatore di tutto ciò che riguarda Israele e il mondo ebraico, scrisse un breve articolo di cui riporto la parte finale:
    Vive la memoria dei sei milioni che sono stati trucidati. Vive la speranza di un mondo in cui spariranno i pretesti per i genocidi e per tutte le attività che li preparano e li giustificano (le delegittimazioni, le demonizzazioni, i boicottaggi, l'esaltazione dei boia). Vivono ancora alcuni testimoni, alcuni ex deportati, i loro discendenti, ad ammonirci sugli esiti dell'antisemitismo. Vive il popolo ebraico, am Israel hai, alla faccia di chi l'ha voluto e lo vuole ancora eliminare. Ha preso il suo destino nelle sue mani ed è ben deciso a difenderlo.
Ricordo che mi colpì la frase finale, e questo mi spinse ad aggiungere all'articolo un breve commento che qui riporto:
    Il popolo ebraico certamente vive e fa benissimo a difendersi, ma davvero si può dire che "ha preso il suo destino nelle sue mani"? Concordano i rabbini con questa affermazione? Ecco come definisce un dizionario la parola destino: "Il succedersi degli eventi considerato come flusso prestabilito, imperscrutabile e indipendente dalla volontà e dall'intervento dell'uomo". E' strano che chi celebra la festa di Pesach possa rallegrarsi di avere nelle proprie mani il suo destino. Dove sarebbe oggi il popolo ebraico se il suo destino gli fosse stato lasciato nelle mani quando era in Egitto? Bisogna essere cauti con le parole: la hybris umana ha tante forme. E prima o poi si paga.
Certamente Volli con le sue parole voleva dire che adesso il popolo ebraico non deve più dipendere in modo vitale dai potenti delle nazioni, ma che può prendere autonomamente le sue decisioni dal momento che ora ha un "focolare nazionale" che gli appartiene ed è sovrano. L'espressione "prendere nelle mani il proprio destino" è però forte e azzardata, molto più forte che dire: "Sono libero di fare quello che voglio". Il destino non è un punto di partenza da cui posso muovermi in tutte le direzioni, ma il punto d'arrivo a cui di fatto arriverò. E questo non dipende mai totalmente da me: non posso prendere e tenere nelle mie mani il mio destino. E se tento di farlo, prima o poi arrivo alla disperazione, o forse anche peggio.
   Se questo è vero per ogni uomo, è anche vero per quella particolarissima entità sociale che è il popolo ebraico, rappresentato oggi dallo Stato d'Israele. Mi siano risparmiate le ben note obiezioni, le fini distinzioni tra Stato ebraico e Stato degli ebrei, tra ebrei e cittadini israeliani, perché insisto nel dire che se si considera il popolo ebraico come un'entità collettiva avente una sua personalità corporativa assolutamente unica e inconfondibile, allora ciò che oggi la indica è lo Stato d'Israele. Dico "oggi", perché ovviamente non è stato sempre così: il popolo ebraico (non solo gli ebrei come singoli) esiste da secoli ed è esistito quindi anche prima di Herzl e Ben Gurion, ma da quel 14 maggio 1948 le cose sono cambiate.
   Nel piano di Dio, nelle cui sole mani si trova il vero destino di Israele, quando il tempo fu compiuto arrivò il momento di ricominciare a dare a Israele quella terra che fin dall'inizio gli era stata destinata. E a questo scopo Dio cominciò a fare i dovuti miracoli, come ai tempi biblici, anche se in modo apparentemente meno vistoso. Nella guerra d'indipendenza del 1948 il popolo ebraico, pienamente rappresentato da quei 600.000 che allora costituivano lo Stato d'Israele, resistette al tentativo di sterminio operato da circa 150 milioni di arabi appartenenti a cinque nazioni. Nel successivo tentativo di sterminio del 1967, Israele, contro ogni più rosea previsione, arrivò a conquistare tutta la parte a ovest del Giordano, compreso il Sinai e, soprattutto, la città di Gerusalemme. Quella fu l'ultima guerra vinta da Israele, e fu vinta in modo eccezionale, indiscutibile, appunto, miracoloso.
   Da quel momento ebbe inizio la parabola discendente del sionismo laico. Non ci furono più guerre indiscutibilmente vinte da Israele, e tutto fa pensare che non ce ne saranno più.... almeno fino a quando non avverrà l'ultima decisiva battaglia, che sarà vinta per Israele ma non da Tzahal.
   L'inizio della discesa del sionismo laico cominciò lì, in quel fatidico 1967, che se per Israele fu glorioso negli aspetti militari riguardanti i rapporti con gli uomini, fu vergognoso per quello che riguarda i rapporti con Dio. Israele aveva riconquistato la città di Gerusalemme, a cui il popolo ebraico aveva anelato per secoli. E avvenne un fatto inconcepibile: Il Monte del Tempio che Dio aveva permesso agli ebrei di riconquistare fu disprezzato: "Che ce ne facciamo di questo Vaticano ebraico", disse allora l'eroico Moshè Dayan. E con superiore distacco la "spianata delle moschee" fu lasciata in gestione ai religiosi islamici, con loro grande sorpresa.
   Fu il primo, ma non l'unico dei fatali errori di questo tipo. Un altro errore, gravissimo, fu la riconsegna agli arabi della striscia di Gaza dopo aver sradicato dalla loro terra e strappato dal loro lavoro migliaia di ebrei israeliani. Furono due errori fatali, ma di che tipo? Sul piano politico potevano anche apparire generosi e saggi tentativi di soluzione di controversie umane, e non pochi furono coloro che vi acconsentirono. Ma ripeto: rispetto a chi e a che cosa furono errori? Non rispetto alla politica degli uomini, ma rispetto alla volontà di Dio espressa sobriamente, ma chiaramente attraverso le circostanze: quello che la Bibbia chiama "segni dei tempi".
   Non si tratta allora di particolari scelte politiche sbagliate, ma di uno sbagliato atteggiamento di fondo. E quando scelte sbagliate sono conseguenza di un atteggiamento di fondo sbagliato è vano sperare di porvi rimedio senza cambiare atteggiamento.
   Adesso, nove anni dopo che una terra appartenente a Israele è stata svalutata al punto da cederla ad altri senza chiedere nulla in cambio, Israele si trova davanti al fatto che quella terra è diventata nemica, ostile, e da essa partono continui attacchi micidiali contro la nazione. Quando è stato il momento, la popolazione ha risposto in modo nobile e pronto al richiamo alla mobilitazione: chi doveva andare a combattere l'ha fatto con decisione, altri si sono aggiunti volontariamente, altri hanno aiutato in vari modi chi ne aveva bisogno, ma le cose non si sono concluse nel modo sperato. Si comprende allora la delusione, che come succede sempre in questi casi spinge a cercare di chi è la colpa.
   A giochi fatti naturalmente è più facile riconoscere gli errori commessi, soprattutto quando si è convinti che siano stati altri a commetterli. Ma in ogni caso, chi può dire con certezza che ad agire in modo diverso le cose sarebbero andate meglio? Qualcuno potrebbe pensare che dal momento che è stato fatto un errore a consegnare Gaza agli arabi, il compito d'Israele adesso sarebbe quello di riconquistarla a tutti i costi. Se è stato fatto un errore nei confronti di Dio - si può pensare - Dio sarà contento se cerchiamo di porvi rimedio con tutte le nostre forze: quindi dobbiamo andare avanti, osare, credere nei miracoli: il Signore ci aiuterà. Attenzione però, perché con il Dio della Bibbia le cose non sono così semplici. Il popolo che un giorno si rifiutò di entrare in Canaan dopo aver ascoltato i resoconti terrificanti che ne avevano fatto dieci dei dodici esploratori inviati da Mosè, alla fine riconobbe il suo sbaglio, si pentì e tutti si dichiararono pronti a rimediare al malfatto. La Bibbia descrive così la cosa: "La mattina si alzarono di buon'ora e salirono sulla cima del monte, dicendo: Eccoci qua; noi saliremo ai luogo di cui ha parlato l'Eterno, poiché abbiamo peccato" (Numeri 14:40). Dio però nel frattempo aveva aggiornato il suo programma e diede a Mosè il compito di farlo sapere a tutti. Ma gli israeliti si ostinarono a voler "rimediare" a tutti i costi al loro errore, e nonostante gli avvertimenti partirono decisi verso il paese di Canaan. Risultato: "Allora gli Amalekiti e i Cananei che abitavano su quel monte scesero giù, li batterono, e li fecero a pezzi fino a Hormah" (Numeri 14:45).
   Nessuno, ripeto nessuno, può essere sicuro di come sarebbero andate le cose in questa guerra di Gaza se si fosse deciso in modo diverso. Un leader spesso deve decidere fra due mali, e la sua capacità si riconosce quando sa scegliere il male minore. E' questo il caso? Non lo so, ma quello che mi preme di dire è questo: se anche oggi, anche nella sua attuale maggioritaria incredulità, Israele è il popolo di Dio, allora ciò di cui più di tutto ha bisogno è di chiedersi quali sono gli errori che ha commesso nei confronti di Dio, perché alla fine sarà con Lui che dovrà fare i conti. Si può essere certi che alla fine i conti saranno positivi per Israele: quella terra oggi contesa, che già fin d'ora è legittimamente sua per donazione divina, diventerà un giorno anche concretamente posseduta dal popolo. Più precisamente: da quelli che il Signore giudicherà degni di possederla. Questo è certo. Ma è anche certo che fino all'ultimo momento questo diritto di proprietà gli verrà contestato dalle nazioni che vivono intorno, e alla fine da tutto il mondo. Quindi nessuna speranza di vincere la guerra definitivamente, una volta per tutte, nessuna speranza di mettere fine alle contese una volta per tutte, di potere definitivamente vivere in pace "come tutti gli altri" (che però non vivono affatto in pace). Ma anche nessuna speranza per i nemici d'Israele di arrivare finalmente a quella agognata "soluzione finale" che già più volte nel passato, anche recente, è stata tentata. Che Israele viva è una decisione presa una volta per tutte dall'unico, vero Dio che ha creato i cieli e la terra e ha parlato al mondo attraverso Israele. E a Israele ha rivelato che la soluzione dei suoi problemi e di quelli del mondo sarebbe avvenuta attraverso il Messia da Lui inviato. Non c'è bisogno di dire chi intendiamo noi che sia il Messia: è chiaramente detto su queste pagine. Ma anche senza arrivare subito a questa conclusione, anche se si rifiuta in prima battuta l'interpretazione cristiana del Messia, perché l'individuazione di questa figura centrale dell'ebraismo non è oggetto di dibattito politico in Israele? Perché per molti ebrei la figura del Messia "non è un problema", proprio come per molti cristiani Israele "non è un problema"? Non potrebbe essere che sia questo il fondamentale atteggiamento sbagliato da cui dipendono tante altre particolari decisioni politiche sbagliate? So bene che il sionismo laico non si pone il problema di Dio, e anzi molti lo ritengono un intralcio per la ricerca di "concrete", pragmatiche soluzioni. Ma non potrebbe stare proprio qui il fatale errore del popolo ebraico, rappresentato oggi da uno Stato d'Israele a guida sostanzialmente laica? L'errore di credere che il popolo ebraico "ha finalmente preso il suo destino nelle sue mani"?

(Notizie su Israele, 28 agosto 2014)


Così parla l'Eterno, che ha dato il sole come luce del giorno, e leggi alla luna e alle stelle perché siano luce alla notte; che solleva il mare sì che ne mugghiano le onde; colui che ha nome: l'Eterno degli eserciti. Se quelle leggi verranno a mancare dinanzi a me, dice l'Eterno, allora anche la progenie d'Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza. Così parla l'Eterno: Se i cieli di sopra possono esser misurati, e le fondamenta della terra di sotto, scandagliate, allora anch'io rigetterò tutta la progenie d'Israele per tutto quello ch'essi hanno fatto, dice l'Eterno.
dal libro del profeta Geremia, cap 31








 

A Venezia '71 ci saranno due film israeliani

Lido di Venezia, la sede del Festival
E' incredibile come gli artisti israeliani, sebbene la loro terra non stia proprio vivendo un tempo di pace, si diano da fare e si presentano sempre con prodotti eccellenti nell'arena internazionale. Di fatto i film di Sharon Maymon e Tal Granit e di Suha Arraf saranno presentati rispettivamente alle Giornate degli Autori e alla Settimana Internazionale della Critica. L'ammissione alla 71ma Mostra Internazionale del Cinema di per se costituisce già un onore ed essere scelti nell'ambito della selezione ufficiale delle Giornate degli Autori, è già un premio. La pellicola tratta di un gruppo di amici in una casa di riposo a Gerusalemme che costruisce una macchina per l'eutanasia per aiutare un amico malato terminale. Quando si sparge la voce dell'esistenza della macchina, sempre più persone chiederanno il loro aiuto e il gruppo di amici si troverà a dover affrontare un dilemma emotivo.
Sharon Maymon e Tal Granit si sono aggiudicati il Best Pitch Award alla Berlinale 2010 con la sceneggiatura di My Sweet Euthanasia, su cui si basa The Farewell Party, dopo una precedente collaborazione estremamente proficua tra i due. I registi hanno dichiarato: "Per noi è molto emozionante iniziare le proiezioni internazionali della pellicola alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il nostro film è una storia drammatica con momenti comici, così come la vita stessa." Invece Villa Touma, il primo lungometraggio di Suha Arraf, verrà proiettato nell'ambito della parallela Settimana Internazionale della Critica. Il film narra la vita di tre sorelle palestinesi cristiane che hanno perduto le proprie terre e il proprio stato sociale in seguito alla guerra contro Israele del 1967 e che non sono in grado di affrontare la nuova, dolorosa realtà a loro imposta. Le tre si rinchiudono dunque nella propria villa e continuano a vivere nel passato. Tra le mura cadenti della grossa casa, le sorelle vivono sigillate all'interno della propria sfera personale, ciascuna con i propri segreti, i propri sogni e le proprie storie di amori infranti, nascoste dietro una maschera di compostezza e decoro. Nella brochure del film, Arraf scrive: "Ho voluto dar vita a un diverso tipo di film palestinese che non rappresentasse la Palestina semplicemente come eroe o come vittima. Ho voluto mettere in risalto il popolo palestinese, le sue esistenze e la sua dignità." Entrambi i film sono stati supportati dall'Israel Film Fund. Lo scorso anno, il film drammatico di spionaggio Bethlehem dell'israeliano Yuval Adler, si è aggiudicato il primo premio nel corso delle Giornate degli Autori della 70ma Mostra del Cinema di Venezia. Siamo certi che entrambe le pellicole saranno apprezzate dai numerosi cinofili e che non si potrà non lodare l'impegno dei registi che con la loro arte contribuiscono di sicuro a far ritrovare quella pace che sfugge continuamente in quella terra tanto cara al cuore di ogni cristiano.

(La Gazzetta di Sondrio, 28 agosto 2014)


Domenica 14 settembre è la "Giornata europea della cultura ebraica"

CUNEO - Custode della famiglia e delle tradizioni, ma tutt'altro che dedita esclusivamente al ruolo di moglie e di madre: "Donna sapiens - La figura femminile nell'ebraismo" è il titolo della quindicesima Giornata Europea della Cultura Ebraica, occasione per discutere di un argomento - la tematica "di genere" nel mondo ebraico e nella società circostante - di grande attualità.
Entrare in una Sinagoga, assistere a un concerto di musica, partecipare a una degustazione di enogastronomia ebraica o visitare quell'angolo della propria città di cui si è sempre sentito parlare, ma che non si è mai avuta l'occasione di scoprire: sono centinaia gli appuntamenti e le attività che animano all'unisono trenta Paesi europei e oltre settanta località italiane tra cui la nostra stessa provincia.

Ecco quindi gli appuntamenti di domenica 14 settembre che riguardano da vicino la Granda (e che avranno tutti, come orario, dalle 10 alle 19):
- Cherasco: visita alla Sinagoga di via Marconi
- Cuneo: visita alla Sinagoga di Contrada Mondovì, presentazione del video sulle "ketubbot" piemontesi realizzate dal XVII al XX secolo
- Fossano: visita ai luoghi della presenza ebraica dal cimitero fino alla zona dell'ex-ghetto, proiezione del film "La sposa promessa" di Rama Burshtein al teatro "I Portici"
- Mondovì: visite alla Sinagoga e illustrazione del tema principale della giornata e concerto polifonico femminile de "La Piana" di Verbania
- Saluzzo: visite alla sinagoga in via Deportati Ebrei

Per informazioni, contattare l'associazione Artefacta al numero 347-4891662 o all'inidirizzo mail info@artefacta.it

(targatocn, 27 agosto 2014)


Riapre la sede di Chabad a Mumbai

 
MUMBAI (INDIA) - Ieri, 26 agosto, l'esotica città di Mumbai ha nuovamente la propria Chabad House, la Nariman House Chabad Center, a sei anni dal vile attacco terroristico che colpì la sede e vide la brutale uccisione di sei ebrei tra cui gli emissari del Rebbe, il rabbino Gavriel Holtzberg e sua moglie Rivkah.
Ma Chabad non si arrende e come disse il rabbino Yehuda Krinsky, Presidente del braccio educativo e sociale di Chabad-Lubavitch, "Noi non ci abbasseremo di fronte al terrorismo. Ricostruiremo il centro, e continueremo a mantenere una costante e ininterrotta presenza di shluchim per la comunità ebraica a Mumbai ".
E così ancora una volta l'oscurità diventa luce. Il grande opening é stato sancito da una cerimonia dedicata alla Torah, che si è tenuta insieme a una conferenza organizzata da Rabbi Yosef Chaim Kantor, rappresentante di Chabad in Thailand, e dedicata ai venticinque shluchim a tempo pieno dell'Asia.

(Chabad.Italia, 27 agosto 2014)


L'isola del cinema: un successo le notti del Museo Ebraico

Grande successo per Le Notti del Museo Ebraico. Proiezione a grande richiesta di "Woody" giovedì 28 agosto
Volge al termine con un ottimo riscontro di pubblico ed enorme gradimento la prima edizione della rassegna "Le Notti del Museo Ebraico", organizzata dal Museo Ebraico di Roma in collaborazione con L'Isola del Cinema in programma tra luglio e agosto sugli schermi del Cinelab Groupama sull'Isola Tiberina.
Sette proiezioni di piccoli capolavori della "comicità ebraica americana" da "Blue Jasmine" di Woody Allen a "Ogni cosa è illuminata" di Liev Schreiber, andate tutte esaurite che hanno dato diritto agli spettatori dei film ad un ingresso speciale con visita guidata al Museo Ebraico di Roma.
Domani sera, giovedì 28 agosto, a grande richiesta torna in replica "Woody", lo straordinario documentario biografico applaudito al Tribeca Film Fest diretto da Robert B. Weide sul geniale e immenso Woody Allen, raccontato da tutti i suoi attori e amici.
"Siamo molto felici che la prima edizione de Le Notti del Museo Ebraico sia stata un successo", spiega Ariela Piattelli, curatrice della rassegna. "Abbiamo voluto iniziare con la commedia ebraico-americana come esempio di grande cinema che affonda le radici nella cultura ebraica. Al centro c'è indubbiamente la "lezione" del maestro Woody Allen, il suo cinema diventa una riflessione profonda sulla vita. Il prossimo anno ci auguriamo di proseguire su questa strada e di replicare la rassegna, dedicandola ai registi ebrei d'Europa".
"Sono entusiasta della risposta positiva del pubblico - commenta il direttore artistico dell'Isola del Cinema, Giorgio Ginori - e sono davvero felice dello scambio "marketing-culturale" avvenuto tra Isola del Cinema e il Museo Ebraico di Roma: i nostri spettatori, romani e turisti, hanno potuto visitare un luogo storico che probabilmente non conoscevano e che fa parte della cultura della nostra città".

(Primissima, 27 agosto 2014)


Boicottata l'azienda israeliana SodaStream ma ci rimettono 900 operai palestinesi

Ricordate SodaStream, la società israeliana con sede in Cisgiordania colpita dal boicottaggio che ha investito la sua testimonial Scarlett Johansson? Ha dovuto chiudere l'impianto di Ma'ale Adumim, in Cisgiordania a causa della compagna che contestava il fatto che la sua location fosse nei "Territori occupati".
L'azienda fabbrica un dispositivo in grado di trasformare l'acqua di rubinetto in acqua gassata in più di 100 gusti. L'attrice americana che compariva nella pubblicità dell'azienda è stata colpita dal fuoco di alcuni indignati che le contestavano il supporto di una azienda che era in un territorio «dove gli israeliani non dovrebbero essere». Lo scrittore e accademico Reza Aslan, ha addirittura accusato l'attrice di essere una "nazista" perché aveva lavorato per SodaStream. Altri interventi dello stesso tipo hanno "costretto" Scarlett a precisare che nel prestare il suo volto all'azienda non c'era nulla di politico. Le spiegazioni dell'attrice non hanno ridotto la forza polemica dei boicottatori che hanno costretto l'azienda a chiudere l'impianto e a mandare a casa 900 operai palestinesi.
«Quelle persone che hanno lanciato il boicottaggio con lo scopo di aiutarci in realtà ci hanno danneggiati - spiega Nabil Bashrat, 40 anni residente di Ramallah che lavorava nella fabbrica - l'azienda era fonte di reddito per centinaia di famiglie e interi villaggi. I boicottatori che volevano danneggiare le colonie israeliane non hanno pensato alle conseguenze per le vite di tanti palestinesi che vivono qui». L'azienda ha trasferito gli impianti nel Negev. Ad essere impiegati saranno beduini e immigrati africani.

(Il Messaggero, 27 agosto 2014)


Da Milano a Montreal, la casa clonata in tutto il mondo

A Milano in via Poerio, al numero 35, c'è una casa particolare. Non è unica: di simili, nel mondo, ce ne sono almeno altre dodici. La particolarità è proprio questa: si tratta di una riproduzione dell'edificio che nell'Eastern Parkway di Brooklyn, in America, è conosciuto come 'casa 770': negli anni Quaranta del secolo scorso una dinastia di ebrei ortodossi, i Lubavitcher, lo acquistarono come dimora per il rabbino Yoseph Yitzchok Schneerson, in fuga dalle persecuzioni naziste. Dopo di lui la casa fu abitata da suo genero, il rabbino Menachem Mendel Schneerson, guida del movimento Chabad-Lubavitch e fondatore dei centri di incontro delle comunità Chabad nel mondo. Quella casa al 770 di Eastern Parkway diventò, per questo motivo, un luogo molto caro alla comunità ebraica, tanto che diversi componenti decisero di replicarla in altre città. Per questo motivo case uguali o simili a quella si trovano nel New Jersey, a Cleveland, Los Angeles, in Canada, in Israele a Ramat Shlomo, vicino a Tel Aviv e Haifa, in Brasile, Argentina, Australia, Cile, Ucraina e, appunto, in Italia, a Milano in via Poerio 35, dove la comunità Chabad è molto diffusa (Oriana Liso).
Nella foto, la casa di Milano in via Poerio 35

(la Repubblica, 27 agosto 2014)


Il cessate il fuoco

Fonti egiziane hanno annunciato martedì l'entrata in vigore alle 19.00 (ora locale) di un cessate il fuoco senza scadenza tra Israele e striscia di Gaza. Israele ha accettato la tregua. Poco dopo il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) confermava con un discorso in tv "l'accordo della dirigenza palestinese alla richiesta dell'Egitto di una tregua globale e duratura con inizio alle 19.00 di oggi". Secondo il reportage della tv israeliana Canale 2, il documento per la tregua è praticamente lo stesso proposto dall'Egitto un mese fa (cessazione immediata delle ostilità seguita successivamente da trattative indirette), che era stato accettato da Israele e rifiutato da Hamas. Una fonte governativa israeliana ha confermato a radio Galei Tzahal che i termini della tregua non includono nessuna delle condizioni di Hamas (porto marittimo, aeroporto, scarcerazione di terroristi detenuti, trasferimento di fondi per pagare gli stipendi degli uomini di Hamas). Tutte le questioni, ha spiegato la fonte, saranno discusse fra un mese solo se si vedrà che la tregua tiene. Secondo il ministero degli esteri egiziano, Israele ha comunque accettato l'ingresso di aiuti umanitari e materiali da ricostruzione, e verrà aperto il valico di frontiera di Rafah tra Sinai egiziano e striscia di Gaza.
  "L'uccisione mirata di capi terroristi ha indotto Hamas a cercare il cessate il fuoco". Lo ha detto martedì il ministro israeliano della scienza e tecnologia Yaakov Peri, già capo dei servizi di sicurezza, intervistato da radio Galei Tzahal. La dirigenza di Hamas a Gaza voleva il cessate il fuoco, ha spiegato Peri, ma Khaled Mashaal, che sta in Qatar, lo impediva. Peri ha spiegato che l'uccisione mirata dei comandanti ha colpito la catena di comando di Hamas. "Quelli scelti per sostituirli non sempre sono al livello di cui Hamas ha bisogno". "Certo - ha concluso Peri - è comodo per Mashaal fare l'intransigente e rifiutare la tregua standosene seduto in un albergo in Qatar".

(israele.net, 27 agosto 2014)


Il cessate il fuoco non dissolve i fantasmi della grande fuga da Israele

Hamas dice tregua. ma intanto Gerusalemme ha evacuato ia prima linea di kibbutzim a ridosso della striscia.

di Giulio Meotti

ROMA - Hamas ha annunciato ieri un cessate il fuoco durevole e unilaterale. Ma intanto Israele ha evacuato la sua "prima linea di difesa". Così sono chiamati i venti kibbutzim e moshavim a ridosso della Striscia di Gaza. Da quando Israele ha portato via i coloni di Gush Katif, nel 2005, sono questi villaggi a fare da cuscinetto di sicurezza al resto dello stato ebraico. Negli ultimi giorni, i giorni in cui sono caduti in media più missili che nei cinquanta di guerra, il 70 per cento dei 30 mila israeliani che vivevano qui ha abbandonato le proprie case. Sono fuggiti in auto, "ricollocati" dallo stato, ospitati da parenti nel nord del paese. E' un assaggio di cosa intendono i nemici di Israele quando parlano di "fine dello stato ebraico".
   Tra lunedì e martedì oltre 150 razzi e colpi di mortaio palestinesi sono stati sparati dalla Striscia di Gaza contro Israele. L'allarme è suonato a Tel Aviv, Ramat HaSharon, Herzliya, Ra'anana, il cuore dello stato ebraico. Hamas ha rivendicato il lancio di un missile iraniano M-75 intercettato sopra Tel Aviv. Durante l'allarme, un volo della El Al in arrivo da Rodi ha dovuto rinviare l'atterraggio all'aeroporto internazionale
Sderot è nota ormai come "la città più bombardata al mondo". Ogni giorno arrivano persone trauma- tizzate in clinica. Non c'è nessuno per strada. La gente ha paura di uscire, e se lo fa sempre in auto. I negozi sono tutti vuoti. Per ora anche le scuole rimar- ranno chiuse.
Ben-Gurion. Ieri un missile ha centrato anche un asilo nido di Ashdod. Intanto, le città a sud del paese stanno diventando delle "ghost town". Come Sderot, nota anche come "la città più bombardata al mondo". "Ogni giorno arrivano persone traumatizzate in clinica", dice al Foglio la dottoressa Adriana Katz, psichiatra e direttrice dello Sderot Mental Health Center. "Non c'è nessuno per strada. La gente ha paura di uscire, e se lo fa sempre in auto. I negozi sono tutti vuoti. Per ora anche le scuole rimarranno chiuse".
Lì, negli avamposti agricoli vicino a Gaza, professori universitari, medici, ingegneri, hanno appreso a guidare i trattori, ad allevare mucche, polli e pecore, a fare innesti sugli alberi da frutto per ottenere prodotti selezionati. In uno di quei kibbutz una ventina di giovani si è specializzata nella coltivazione dei gladioli. I fiori nel deserto, sembravano la pazzia; e forse lo erano, ma significavano anche la testarda tenacia degli israeliani nel vincere ogni difficoltà. Sono stati creati complessi canali di irrigazione, spostati milioni di metri cubi di terra, sono nati dei boschi dove prima non spuntava neppure un filo d'erba.
   Su questa ingrata costa mediterranea gli ebrei hanno di nuovo smentito tutti gli esperti: il suolo sabbioso, ad alto tasso di salinità che contraddice ogni dato geologico, è un trionfo di coltivazioni: pomodori, cetrioli, datteri, capperi. "Adamo", in ebraico, significa terra, dicono i residenti di quei kibbutz. Il kibbutz era un modo di vivere senza eguali, pazientemente eroico, sempre esposto alla minaccia del mondo arabo perché la sua funzione, oltre alla produttività, rimaneva quella di avamposto verso le linee nemiche, a nord in Galilea come a sud nel Negev, ai confini con la Striscia di Gaza.
   Chi si è insediato a ridosso della Striscia ha sempre convissuto con la morte. Ogni tanto, uno del kibbutz saltava in aria col suo trattore; si faceva lutto per un giorno, e si ricominciava. Ma quello che è successo in questi giorni non ha precedenti in Israele. "Una volta non si osava scappare di fronte al pericolo", scriveva nel 1991 il giornalista Dan Margalit alla vista di israeliani con le valigie in mano. Quanto sta avvenendo oggi nel sud del paese è molto più grave del panico durante la guerra del Golfo. La morte del piccolo Daniel Tragerman, quattro anni, ha spinto tutti gli abitanti di Nahal Oz a partire. I genitori del bambino hanno già detto che non torneranno nel kibbutz. Hamas ha ucciso il piccolo sparando da una scuola di Gaza, la Ali Bin Abi Taleb.
   A Nahal Oz così non è rimasto nessuno. In tre giorni, 400 famiglie hanno chiesto di andarsene. I campi un tempo coltivati oggi sono bucherellati dai mortai di Hamas. Analisti israeliani paragonano la caduta del fronte sud, sotto i missili di Hamas, a quella della linea Bar Lev, la Maginot che gli israeliani costruirono lungo il Canale di Suez e che gli egiziani travolsero nel 1973. La linea Bar Lev, costruita dopo il 1967, da simbolo di eroismo, di fermezza, era divenuta simbolo di immobilismo. L'inopinato, rapido crollo della linea Bar Lev ha provocato in Israele un "terremoto psicologico". Con la linea Bar Lev è caduto il mito della superiorità militare israeliana.
   La situazione nel sud d'Israele è tale che nei giorni scorsi persino il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, e il capo di stato maggiore, Benny Gantz, hanno dovuto annullare una visita ai kibbutzim per "ragioni di sicurezza". A differenza delle città del centro del paese, che offrono dai 60 ai 90 secondi di tempo per trovare un riparo in caso di missile, nel sud si hanno dai tre ai quindici secondi.

- La minaccia silenziosa peggio dei razzi
  Le strade israeliane a ridosso di Gaza sono state ridisegnate con delle curve per ingannare i missili al laser lanciati dai terroristi palestinesi. Sono stati aggiunti anche alberi. Le chiamano "foreste difensive". Nel kibbutz di Kfar Aza sono caduti così tanti missili che i resti dei Qassam sono usati per decorazioni e vasi dei fiori. I colpi di mortaio sono così frequenti che in ebraico sono stati ribattezzati "tif tue', una pioggerellina. I campi dei kibbutz vanno arati e gli animali accuditi. Così Israele ha inventato per i contadini i cosiddetti "rifugi portatili". Tende fortificate da campo. Nel caso la sirena suoni mentre sei al lavoro. I contadini israeliani, che durante il giorno hanno sudato nei campi, la sera si chiudono nei kibbutzim e si apprestano ad affrontare una nuova notte di veglia. Con i fucili.
   Missili sono caduti a Havat Shikmim, il ranch di Ariel Sharon, che aveva portato via gli israeliani da Gaza, promettendo sicurezza. I kibbutzim, ancor più dei missili, temono però quella che chiamano "minaccia silenziosa". I tunnel scavati dai terroristi sotto le loro case. Non ci sono sirene per quelli. La morte sbuca senza avvertirti e ti porta via. Si sa che Hamas pianificava un "D-day" per il Capodanno ebraico, Rosh Hashanah, a settembre: duecento terroristi mandati a uccidere quanti più israeliani possibile nei kibbutz. Ecco, questo è Israele.

(Il Foglio, 27 agosto 2014)


Tregua Gaza: per Hamas una sconfitta su tutti i fronti, per Israele una non vittoria

La tregua illimitata accettata ieri sera da Israele e dalle fazioni palestinesi è per Hamas una sconfitta politica prima ancora che militare. Questo non vuol dire che sia una vittoria per Israele, almeno sul piano politico, ma almeno per il momento lo Stato Ebraico sembra potersi concentrare su problemi forse più gravi di quelli rappresentati da Hamas (ne parleremo in separata sede)....

(Right Reporters, 27 agosto 2014)


Naturalmente Hamas non ammetterà mai la sconfitta. D’altra parte, bisogna considerare che un hamassiano, dopo un qualsiasi scontro, comunque sia finito, alzerà sempre le due dita in segno di vittoria, quand’anche fosse quello l’ultimo gesto che compie prima di esalare l’ultimo respiro davanti al suo nemico che lo sta strozzando. E’ una questione d'onore. E senza onore uno jiahdista non vive. M.C.


Tregua a Gaza, ma Hamas insegna ai civili come costruire bombe

di Michael Sfaradi

GERUSALEMME - Tregua. Israele ha accettato la mediazione dell'Egitto e ha cessato gli attacchi nella Striscia di Gaza. Il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, ha precisato che «lo stop alle armi sarà accompagnato dall'invio di medicinali e cibo agli abitanti di Gaza». E l'accordo prevede anche l'apertura del valico di Rafah, che separa l'enclave palestinese dall'Egitto, oltre che l'avvio di nuovi colloqui tra israeliani e palestinesi entro un mese. Un cessate il fuoco peraltro arrivato al termine di una giornata in cui un cittadino israeliano era stato ucciso nel Neghev occidentale da un razzo sparato da Gaza.
   Ma la situazione non può certo dirsi tranquilla. Per due volte in 48 ore le sirene d'allarme sono suonate al confine fra Libano e Israele, quando due razzi Grad sono stati lanciati verso la Galilea - segno di come il conflitto rischi di allargarsi ulteriormente. A distanza di qualche ora le forze armate libanesi hanno trovato due piattaforme missilistiche utilizzate per i lanci dei razzi contro Israele a ovest del villaggio di Ed Dhaira - una zona controllata da Hezbollah. D'altro canto, molto rumore ha provocato la pubblicazione da parte del portavoce dell'Idf di un manuale di Hamas sequestrato durante l'ultima operazione nella Striscia. Hamas aveva già stupito con il prontuario contenente le linee guida per i reporter - dov'erano indicate le notizie da pubblicare e quelle che dovevano rimanere riservate, e anche che cosa fotografare, e infatti non esiste una fotografia di un combattente di Hamas arenato e ucciso, ma solo civili uccisi. Poi è venuto il turno del manuale sull'uso dei civili come scudi umani. E ieri il terzo capitolo della trilogia, un manuale su come nascondere anni, ordigni e trappole esplosive nelle abitazioni civili. Una copia dello scritto - "edito" dal Reparto Genio di Ezzedin el Qassam, il braccio arenato di Hamas - è stata sequestrata dai militari israeliani in una casa di Khan Yunis. In essa si spiega come insegnare ai civili la costruzione e la conservazione di bombe all'interno delle case, e i vantaggi del combattere in aree civili. E nella sezione "Nascondere e Camuffare" dà consigli su come mimetizzarsi nell'ambiente, sia in aree naturali che urbane. E inoltre spiegato quanto sia importante portare i combattimenti dalle zone aperte a quelle abitate, questo perché è più facile per i combattenti operare all'interno degli edifici per non farsi sorprendere dalla sorveglianza aerea, e anche per non rimanere vittime di attacchi mirati.
   Le direttive raccomandano anche di operare con la massima segretezza e in modo che nulla possa essere ricondotto ad azioni militari, nascondendo le anni o le bombe camuffandole con oggetti di uso comune. Per finire, devono essere i residenti a fare questo lavoro. Un'ulteriore prova dell'uso che Hamas fa dei civili palestinesi, probabilmente in molti casi anche contro la loro volontà, e sempre più coinvolti in una guerra che li vede vittime prestabilite strumentalizzate.

(Libero, 27 agosto 2014)


Perché la Giordania non vuole altri palestinesi

di Khaled Abu Toameh

Non è un segreto che molti Paesi arabi disprezzano i palestinesi e li sottomettono alle leggi dell'apartheid e a severe misure di sicurezza che negano loro i diritti più elementari.
   Il maltrattamento dei palestinesi per mano dei loro fratelli arabi è un problema che viene raramente menzionato dai media occidentali. La maggior parte dei giornalisti preferisce volgere lo sguardo altrove quando una notizia è priva di una prospettiva anti-israeliana. Una notizia è importante solo quando Israele arresta, uccide o espelle. Ma quando paesi arabi come la Giordania, la Siria e il Libano agiscono contro i palestinesi i giornalisti stranieri preferiscono nascondere la testa sotto la sabbia, come nel caso della Giordania e dei maltrattamenti che essa infligge ai palestinesi che costituiscono la maggioranza della popolazione del Regno.
   Il dilemma di Amman è il seguente: permettendo ad altri palestinesi di entrare nel paese, il Regno, dove i palestinesi sono in maggioranza, sarebbe trasformato in uno Stato palestinese. Ma bistrattando i palestinesi e privandoli dei loro diritti fondamentali, la Giordania e altri paesi arabi li stanno spingendo tra le braccia aperte degli estremisti, soprattutto dei gruppi islamisti come i Fratelli musulmani e Hamas.
   I giordani hanno scelto di seguire la seconda opzione, ossia tenere lontano dal Regno il maggior numero possibile di palestinesi. Per quanto riguarda re Abdullah, è meglio che i palestinesi legati al
I giordani ravvisano nei palestinesi una "minaccia demografica". La paura più grande della Giordania è che il Regno un giorno possa diventare uno Stato palestinese.
fondamentalismo islamico radicali restino fuori dal Paese piuttosto che permettergli di entrare nel Regno, dove potrebbero causargli più problemi.
I giordani ravvisano nei palestinesi una "minaccia demografica" e sono alla ricerca di una soluzione a questo problema. La paura più grande della Giordania è che il Regno un giorno possa diventare uno Stato palestinese. Le autorità giordane sembrano determinate a fare tutto il possibile per evitare uno scenario del genere, anche se questo significa essere biasimati dai gruppi per i diritti umani. I giordani sanno che le agenzie dell'Onu non li denunciano se espellono i palestinesi o revocano loro la cittadinanza. La Giordania vuole risolvere il problema palestinese in silenzio e lontano dai riflettori. Una serie di misure adottate dalle autorità giordane nel corso degli ultimi tre anni servono come indicatore della crescente preoccupazione di Amman per la "minaccia" palestinese. Queste misure comprendono la revoca della cittadinanza a molti palestinesi e l'espulsione forzata in Siria di quelli che erano riusciti a entrare in Giordania.
   Paradossalmente, i giordani dicono che questi provvedimenti hanno lo scopo di aiutare i palestinesi. La Giordania vuole che i palestinesi credano che privarli dei diritti fondamentali e cacciarli dal Regno giovi alla causa palestinese. I giordani sostengono di non capire perché i palestinesi non accettino le misure antipalestinesi. Ma come fanno i giordani a giustificare la loro politica antipalestinese? Sostenendo che se aiutano i palestinesi fornendo loro riparo e passaporti, questa politica servirebbe gli interessi di Israele. "Non vogliamo essere uno strumento israeliano per trovare una nuova sistemazione ai palestinesi che arrivano in Giordania, garantendo loro la cittadinanza", ha spiegato l'ex ministro degli Interni giordano Nayef al-Qadi. "Se facessimo diversamente, diremmo ai palestinesi di dimenticare la Palestina".
   Al-Qadi, che ha avuto un ruolo importante nell'elaborazione della politica della revoca della cittadinanza ai palestinesi, ha detto di essere altresì contrario a garantire la cittadinanza ai figli delle donne giordane sposate con palestinesi e con altri cittadini non-giordani. "Perché non considerarli figli degli uomini sposati con donne giordane? Perché a questi bambini non viene concessa la cittadinanza dei loro padri? Abbiamo circa 500mila donne giordane che sono sposate con uomini che non sono giordani. Se moltiplichiamo questa cifra per 3-4, dovremo lasciare questo paese a Israele e andarcene via. Non avremo lasciato nulla qui".
   Il tentativo dell'ex ministro giordano di giustificare il giro di vite fa immediatamente seguito alla pubblicazione di un rapporto di Human Rights Watch che descrive in dettaglio i maltrattamenti che la Giordania riserva ai profughi palestinesi che scappano dalla Siria. Il rapporto intitolato "Non siete i benvenuti: il trattamento riservato dalla Giordania ai palestinesi in fuga dalla Siria", che ha conquistato poca attenzione da parte dei media internazionali, accusa i giordani aver violato i loro obblighi internazionali. Purtroppo per i palestinesi (ma fortunatamente per i giordani) il rapporto che biasima la Giordania è stato diffuso il 7 agosto, in un momento in cui l'attenzione mondiale era concentrata sulla guerra fra Hamas e Israele.
   Secondo il rapporto, Amman, in una chiara violazione degli obblighi internazionali, vieta l'ingresso ai palestinesi in fuga dalla Siria oppure, se essi riescono a entrare nel Regno, li espelle. "La Giordania ha
La Giordania ha vietato l'ingresso ai palestinesi provenienti dalla Siria dal gennaio 2013, espellen- done oltre un centinaio che erano riusciti a entrare nel paese, tra cui anche donne e bambini.
ufficialmente vietato l'ingresso ai palestinesi provenienti dalla Siria dal gennaio 2013, espellendone oltre un centinaio che erano riusciti a entrare nel paese dalla metà del 2012, tra cui anche donne e bambini", ha rivelato il documento. Il rapporto contiene la testimonianza di Basma, una donna palestinese proveniente dal campo profughi di Yarmouk, in Siria, che descrive come i giordani l'abbiano rimandata indietro insieme ad altri. "Ci hanno detto: Sei palestinese, non ti è permesso entrare", ha raccontato la donna. "Ci hanno fatto salire su un autobus e ci hanno portato sul lato siriano del confine alle due di notte".
   Un'altra testimonianza è quella fornita da un altro profugo palestinese di Damasco, il 47enne Abdullah, che ha raccontato: "Mentre stavamo attraversando il confine, l'esercito giordano ha iniziato a sparare contro di noi. Ci siamo distesi tutti a terra per evitare i colpi di arma da fuoco. Dopo qualche istante due camion con ufficiali dell'esercito sono venuti verso di noi e prima che capissimo cosa stava accadendo un ufficiale dell'esercito ha sparato a cinque di noi alle gambe. Stavamo cercando di scappare". Nel corso degli ultimi tre anni, la Giordania ha accolto milioni di profughi siriani. Ma quando si tratta dei palestinesi, la storia è diversa. I giordani non hanno paura dei profughi siriani perché sanno che una volta che la crisi nel loro Paese è finita, essi faranno ritorno alle loro case. A differenza dei palestinesi, i siriani non chiedono la cittadinanza giordana né cercano di rifarsi una nuova vita nel Regno. I siriani considerano la loro presenza in Giordania una situazione temporanea. Non si parla di trasformare la Giordania in uno "Stato siriano", al contrario si è chiesto di creare nel Regno una patria per i palestinesi. Pertanto, per i giordani il problema è rappresentato dai palestinesi, e non dai siriani o dagli altri arabi.
   Fayez Tarawneh, a capo della Corte reale ed ex premier, ha difeso le misure antipalestinesi durante un incontro dello scorso anno con Human Rights Watch. Egli ha detto che un massiccio afflusso di palestinesi dalla Siria altererebbe l'equilibrio demografico del Regno causando instabilità. Il gruppo per i diritti umani ha asserito che a causa della politica del Governo giordano, molti palestinesi in fuga dalla Siria non sono in possesso dei permessi di soggiorno, "il che li rende vulnerabili allo sfruttamento, all'arresto e all'espulsione". Inoltre, Human Rights Watch ritiene che "i palestinesi in fuga dalla Siria privi di documenti non osano cercare protezione dal governo giordano contro lo sfruttamento e altri abusi".
   La Giordania, il Libano e la Siria possono continuare a mettere in atto le loro pratiche oltraggiose contro i palestinesi senza doversi preoccupare delle reazioni della comunità internazionale. Nessuno scende nelle strade delle città americane ed europee per condannare gli arabi che bistrattano i fratelli arabi.

(L'Opinione, 27 agosto 2014 - trad. Angelita La Spada)


Benedetto sia Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre delle misericordie e il Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione affinché, per mezzo della consolazione con cui noi stessi siamo da Dio consolati, possiamo consolare coloro che si trovano in qualsiasi afflizione. Poiché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così per mezzo di Cristo abbonda pure la nostra consolazione. Ora se siamo afflitti, ciò è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, ciò è per la vostra consolazione e salvezza, che operano efficacemente nel sostenere le medesime sofferenze che patiamo anche noi. La nostra speranza a vostro riguardo è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, così sarete anche partecipi della consolazione. Perché non vogliamo, fratelli, che ignoriate la nostra afflizione che ci capitò in Asia, come siamo stati eccessivamente gravati al di là delle nostre forze, tanto da giungere a disperare della vita stessa. Anzi avevamo già pronunciata in noi stessi la sentenza di morte, affinché non ci confidassimo in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti, il quale ci ha liberati e ci libera da un sì grande pericolo di morte, e nel quale speriamo che ci libererà ancora nell'avvenire, mentre voi stessi vi unite a noi per aiutarci in preghiera, affinché siano rese grazie per noi da parte di molti, per il beneficio che ci sarà accordato tramite la preghiera di molte persone.
dalla seconda lettera dell'Apostolo Paolo ai Corinzi, cap. 1








 
«Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il suo tempo della sua schiavitù è compiuto, che la sua iniquità è espiata, perché ha ricevuto dalla mano dell'Eterno il doppio per tutti i suoi peccati». La voce di uno grida nel deserto: «Preparate la via dell'Eterno, raddrizzate nel deserto una strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata e ogni monte e colle siano abbassati; i luoghi tortuosi siano raddrizzati e i luoghi scabrosi appianati. Allora la gloria dell'Eterno sarà rivelata e ogni carne la vedrà, perché la bocca dell'Eterno ha parlato». Una voce dice: «Grida!», e si risponde: «Che griderò?». «Grida che ogni carne è come l'erba, e che tutta la sua grazia è come il fiore del campo. L'erba si secca, il fiore appassisce quando lo Spirito dell'Eterno vi soffia sopra; certo il popolo è come l'erba. L'erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio rimane in eterno».
dal libro del profeta Isaia, cap. 40








 

La banca centrale di Israele taglia a sorpresa i tassi allo 0,25%

MILANO - Nuova mossa a sorpresa da parte della banca centrale di Israele. L'istituto ha tagliato i tassi di interesse allo 0,25%, dal precedente 0,50%. Gli analisti si aspettavano una conferma del costo del denaro, dopo la sforbiciata inaspettata di luglio. Già il mese scorso, infatti, la banca centrale di Israele aveva ridotto i tassi, portandoli allo 0,50% dal precedente 0,75%.

(Finanza.com. 26 agosto 2014)


Il manuale di Hamas: "Come nascondere le bombe in casa vostra"

 
Factors for Successfully Hiding Weapons in Homes
Sul blog dell'Israel Defense Forces, l'esercito israeliano, è stato divulgato nelle scorse ore un manuale, recuperato dai soldati di Tel Aviv durante l'Operation Protective Edge (offensiva iniziata l'8 luglio come risposta al lancio di missili verso Israele da Gaza). Un manuale in cui Hamas spiega come essere dei "perfetti terroristi", ossia come conservare gli esplosivi nelle case dei civili a Gaza. L'organizzazione che controlla la Striscia di Gaza, inoltre, chiede esplicitamente di portare la battaglia nelle aree più popolate della regione, dove "massimizzare" il numero delle vittime (anche civili, per poter così puntare il dito contro la "strage" israeliana). I soldati di Tel Aviv, secondo quanto si è appreso, avrebbero sottratto il manuale alle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato del gruppo palestinese.

IL MANUALE - Quello che nei fatti è una sorta di libro nero di Hamas e che negli intenti è un vademecum del terrore, serve ad "erudire" la popolazione della Striscia su come costruire e conservare bombe ed esplosivi nelle loro abitazioni. Delle istruzioni del manuale risalta inoltre una seconda istruzione, meschina nelle intenzioni, che recita testualmente "to transfer combat from open areas to built-up urban areas" che in soldoni significa trasferire il combattimento dalla zone aperte a quelle abitate, edificate, con l'ovvio intento di servire the resistence and fighters of Islamic Jihad, cioè la resistenza armata di Hamas e dei combattenti della jihad islamica.

L'ABC DEL TERRORISTA - Al proposito, il manuale afferma che "è più facile per i combattenti della Jihad operare all'interno degli edifici", e con questa tecnica quindi eludere con più agilità gli aerei da ricognizione israeliani, usati per attaccare e raccogliere informazioni. Inoltre, operare nelle aree popolate, prosegue il libello, "rafforza l'elemento sorpresa". C'è infine un'intera sezione, quella più compromettente, che spiega come possano le abitazioni dei civili essere utilizzate per nascondere esplosivi. La sezione è titolata semplicemente Factors for Successfully Hiding Weapons in Homes, come il più classico dei manuali.

CAMUFFARE - L'attività di nascondere armi nelle case civili deve essere portata a termine, ovviamente, con la dovuta riservatezza, ed è per questo motivo che sarebbe meglio se gli esplosivi fossero "posizionati accanto al letto di un bambino". Il manuale suggerisce altre due tecniche di camouflage: "E' importante utilizzare del materiale che non causi guasti all'esplosione, come la sabbia, il cemento o l'asfalto al corpo dell'esplosivo". La seconda invece va più nel dettaglio, suggerendo l'utilizzo di un tampone di circa 60 cm (spugna o materiale espanso) tra l'esplosivo e i vari camuffamenti. Al di là di tutto, è chiaro come questo manuale, almeno negli intenti, chiosa l'Israel Defense Forces, "espone chiaramente la politica illegale e criminale di Hamas, cioè quella di usare i civili durante la battaglia".

(Libero, 26 agosto 2014)


Educazione al dialogo

di Angelica Edna Calò Livne

I bombardamenti continuano. Stanotte anche la Siria e il Libano si sono aggregate alla festa. Perché no? Perché non inveire su qualcuno che reagisce solo per difendersi? Che non capisce la lingua del terrore e della violenza barbarica? Non ho mai visto tanta TV come in questi giorni, passo da arutz 10 a arutz 2 alla uno. Cambiando ogni volta che c'è la pubblicità, cercando di cogliere ogni elemento, ogni particolare che mi faccia capire di più. Decine di famiglie del sud d'Israele vagano tra un kibbutz e l'altro della Galilea e del Golan. I loro bambini sono terrorizzati e ora, dopo la tragedia di Daniel Tragerman, 4 anni e mezzo, che è rimasto ucciso nella sala da pranzo del suo kibbutz, la ferita nella testa e nel cuore sarà ancora più profonda.
Lior Akerman, ex capo dei servizi segreti parla delle decine di "spie", massacrate sulla piazza principale da Hamas. "Forse due o tre di loro sono veramente collaboratori di Israele, la maggior parte sono vendette personali, regolamenti di conti, faide interne, questa è un'ottima occasione per sbarazzarsi di chi è scomodo, di chi ha provato a ribellarsi, a manifestare contro Hamas. E c'è chi prova a ribellarsi, ma viene messo immediatamente a tacere". Anche Akerman ribadisce che "Hamas non è un esercito regolare con il quale si può arrivare a un cessate il fuoco. Hamas è un movimento terroristico fondamentalista e come tutti i suoi simili è spietato e barbarico.
Ieri ho incontrato la squadra dei nove giovani che verranno con me a novembre per presentare il Progetto UCEI indetto da Binah: Educazione al dialogo. Cinque giovani ebrei e quattro arabi, cristiani e musulmani, cresciuti nel teatro di Beresheet LaShalom, che da qualche anno hanno intrapreso la loro nuova vita: alcuni sono all'esercito, alcuni già lavorano alcuni sono all'università. Non ci incontravamo dall'inizio della guerra…pensavo che avrei dovuto faticare per farli esprimere, per farli incontrare di nuovo. Invece la gioia è stata grande quando si sono abbracciati. Hanno espresso l'uno all'altro con dolore, la sofferenza per tutta la popolazione sotto al giogo di Hamas, del Dae'sh, dell'ISIS. Tutti, i ragazzi ebrei, i cristiani e i musulmani. Shirin e Elyan e Anvà hanno colcluso il nostro incontro dicendo: "Verremo nelle scuole italiane, dove vivono insieme ragazzi autoctoni e emigrati, ragazzi di diversi ceti e culture e porteremo un messaggio da questa terra dove ci si sforza di vivere normalmente: eccoci qui, noi diversi, dalla tempesta, a portarvi un modello di vita possibile, forse l'unico: quello del dialogo. Mettiamo da parte ogni ego e impariamo a parlarci"!

(moked, 26 agosto 2014)


Festival "Jewish and the City 2014" a Milano

Dal 13 al 16 settembre 2014

Dopo il successo del 2013, che ha visto la partecipazione di 15.000 persone, torna Jewish and the City | Festival internazionale di cultura ebraica, l'iniziativa annuale promossa dalla Comunità ebraica di Milano in collaborazione con il Comune di Milano.
Alla sua seconda edizione, il progetto si articola in incontri, mostre, concerti, lectio magistralis, maratone di pensiero, laboratori per bambini. Il Festival è nato dal desiderio della Comunità ebraica di Milano di accrescere le occasioni di scambio con i propri concittadini, i quali hanno dimostrato, negli anni e nel corso della prima edizione, vivo interesse nei confronti dei temi vicini all'ebraismo, dalla tradizione religiosa alla filosofia, passando per usi e costumi legati alle pratiche di vita quotidiana.
L'impostazione scientifica del Festival valorizza la diversità ebraica, ma al contempo mostra le influenze sulla cultura occidentale, rimarcando i punti di contatto e analizzando con strumenti diversi - dalla letteratura alla scienza, dalla filosofia all'esegesi dei testi - gli elementi di differenziazione.
Programma

(MilanoToday, 26 agosto 2014)


Saranno i nuovi scienziati della razza a dire quale ebreo potrà vivere?

Lettera al direttore di VareseNews. Ariel Shmona Edith Besozzi si chiede cosa dovrebbe raccontare a sua nonna, novantenne e scampata alla shoah, del ritorno dell'antisemitismo nella cosiddetta società civile.

di Ariel Shmona Edith Besozzi

 
Ariel Shmona Edith Besozzi
Ogni volta che vado a trovare mia nonna la cosa che mi colpisce è la sua bellezza. Ha 90 anni, non ha mai nascosto i segni del tempo, ha avuto una vita intensa, non particolarmente dura ma impegnativa. Ha cresciuto 5 figli, ha lavorato 40 anni è stata sposata due volte e per due volte ha dovuto affrontare la perdita, la solitudine. Da che mi ricordo non l'ho ma vista struccata o spettinata, non l'ho mai vista con un abito che non fosse stirato, neppure quando sta male, quando il dolore acuto della sua malattia le dipinge il viso, appare minimamente trascurata. Ho sempre pensato che fosse straordinaria, per me irraggiungibile nella sua eleganza naturale.
   Tutti gli amici che l'hanno conosciuta o la incontrano per la prima volta rimangono colpiti da questa bellezza che si traduce in una vitalità ed una freschezza di pensiero che spesso fanno invidia anche a noi nipoti, per non parlare dei figli e delle figlie.
   Non ha mai mancato di guardare alle cose con libertà e chiarezza, non si è mai nascosta eppure adesso mi rendo conto che non posso dirle di quello che sta accadendo, devo preservare la sua serenità, e quello che fortunatamente le sfugge perché non riesce più a leggere tanto come faceva prima, cerco di non dirglielo.
   Per esempio non posso dirle che i figli ed i nipoti di quelli che hanno compiuto la Shoah o che hanno lasciato che accadesse, oggi si sono organizzati attorno ad uno scritto terrificante (esattamente come fecero allora con il "Manifesto della razza") con un titolo inquietante "Una Norimberga per Israele". Vale la pena di ricordare che venne scelta questa località per processare i nazisti dopo la fine della seconda guerra mondiale perché a Norimberga vennero promulgate le leggi razziali dal regime nazista. Venne legittimato
Con una sfacciataggine non nuova pretendono di dire qual è l'ebreo che può vivere e quello che è colpevole di ogni male del mondo (quello che chiede di poter vivere in pace nello Stato d'Israele, quello che afferma il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele) il sionista.
lo sterminio del popolo ebraico. È evidente quindi quanto sia insultante e spregevole quanto viene affermato da questi nuovi "scienziati" della razza. Questi, che spesso si definiscono come rappresentanti della "società civile", anche se tutto ciò che scrivono risulta essere tutt'altro che civile. Si fingono interessati alle sorti dei palestinesi, che il più delle volte non conoscono e della cui morte, quando avviene ad esempio in Siria o in Libano, non interessa nulla. Con una sfacciataggine, purtroppo non nuova, pretendono di dire qual è l'ebreo che può vivere, per il momento, (quello che mostra di pensarla come loro, quello che chiede sempre scusa anche per ciò che non ha mai né detto né fatto) e quello che è colpevole di ogni male del mondo (quello che chiede di poter vivere in pace nello Stato d'Israele, quello che afferma il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele) il sionista.
   La Shoah, lo sanno tutti, uccise 6 milioni di ebrei, ciò che non molte persone sanno è che tutta la macchina messa in piedi in tutta Europa per legittimare lo sterminio degli ebrei nel suo costruirsi e definirsi, attraverso le più turpi ed indicibili bugie, ha causato anche, attraverso il diffondersi di delazioni e di denunce, il nascondersi di molti, soprattutto bambini. Quegli stessi bambini che sopravvissero solo perché seppero tenere il segreto ("non dire a nessuno che sei ebreo!") spesso non furono più in grado di essere ebrei. Quindi la Shoah non fu solo fisica ma anche culturale, perché tentò di estirpare dall'umanità la cultura e la storia ebraica.
   Per molti di questi, per i loro figli e per i nipoti non ci furono Shabbat, non ci fu la possibilità di chiedere "In che cosa questa sera è diversa da tutte le altre?" a Pesach e di ricevere in dono la storia della liberazione della schiavitù egiziana da parte del nostro popolo, quella stessa che nel corso dei secoli ci ha permesso di restare liberi, nonostante le persecuzioni, le conversioni forzate, quella stessa che ci fa dire ogni anno Hashanà haba'a b'Yrushalayim, ovvero "L'anno prossimo a Gerusalemme!" sempre accompagnata dalla nostalgia, dal desiderio, dalla volontà di tornare...
   Probabilmente sono milioni quelli cui è stata rubata l'identità, l'uccisione del nostro popolo è avvenuta anche in questo modo.
   Sono grata a tutte quelle persone che hanno nascosto e protetto alcuni ebrei permettendo loro di salvarsi la vita, molte di queste persone hanno anche aiutato i sopravvissuti a ritrovare le proprie famiglie, molti hanno cercato in qualche modo di restituire l'identità raccontando loro la vicenda che li aveva portati a rifugiarsi ma purtroppo la paura, una volta imparata resta dentro ed è più facile sopravvivere senza dire piuttosto che ricordare.
   La paura è rimasta dentro per molti anni, anche i sopravvissuti ai campi di sterminio non sono riusciti a raccontare, i figli di quella generazione hanno dentro l'anima il dolore, l'assenza di quanti sono morti, il segno visibile che porta al silenzio, soltanto con i nipoti, in alcuni casi, hanno cominciato a parlare ed è stato questo che ha permesso, il rimarginarsi della ferita, la creazione degli anticorpi all'odio antiebraico, la ricostruzione degli esseri umani.
   Quelli che oggi compongono e firmano quell'atroce documento sovvertendo il significato delle parole, usando la dolorosissima storia della Shoah come se non fosse quello che è stato, come se fosse colpa nostra, sovverte completamente l'ordine simbolico e non solo diffonde bugie ma violenta ancora una volta il nostro popolo, soprattutto i sopravvissuti, i loro figli, i nipoti. Attraverso questa nuova feroce violenza cercano ancora una volta di legittimare il loro odio nei confronti degli ebrei. Sono convinta che l'odio nei confronti del popolo al quale appartengo non sia un problema nostro, ritengo che sia, come qualsiasi forma di violenza gratuita ed ingiustificabile, problema di chi la commette e ne fa addirittura la propria ragion d'essere.
   Non posso passare la vita a guardare le storie di ogni singolo firmatario ma per alcuni è evidente che senza l'odio nei confronti d'Israele si sgonfierebbero come bamboline ad aria improvvisamente forate.
Vorrei poter raccontare a mia nonna che la società civile di questo paese sceglie la vita, sostenendo Israele ed isolando gli antisemiti che hanno firmato l'atroce appello, e non la morte, la violenza la menzogna di quanti vivono in ragione del proprio odio.
Quello che però è importante dire, soprattutto alle persone che sono eredi di quelli che a costo della propria vita hanno salvato gli ebrei, alle persone che hanno la libertà mentale di non farsi condizionare da un pregiudizio ma che fanno della conoscenza e dell'onestà il proprio centro, e sono ancora molte, a queste persone dico che i firmatari di quel terribile documento sono professori universitari, sono medici, impiegati, disoccupati... Mi chiedo e vi chiedo: se una persona avesse bisogno di un farmaco creato in Israele per sopravvivere e si trovasse nelle mani di uno di questi medici che, per il suo odio, negasse al proprio paziente l'accesso a quel farmaco? Se uno degli insegnanti firmatari di quell'appello, facendo leva sulla giovinezza di un allievo instillasse il seme dell'odio che giustifica il terrorismo islamista? Se un disoccupato si trovasse ad aderire talmente profondamente a questo odio da essere in grado di passare dal bruciare una bandiera al cercare di fare esplodere una sinagoga? Se un politico per il suo odio contro Israele permettesse con il suo voto di far passare una legge contro chi è di religione ebraica?
   I firmatari di quell'appello odiano Israele ma anche tutti i valori della nostra civiltà, e qualunque altro governo che si "macchiasse del delitto" di scegliere di sostenere chi combatte contro il terrorismo piuttosto che i terroristi, odiano la Chiesa perché dialoga con gli ebrei, odiano le aziende perché potrebbero produrre in virtù di una commessa israeliana. I firmatari di quel documento non amano i palestinesi, usano i palestinesi per giustificare il desideri di distruzione che alberga in loro. Usano i palestinesi per sostenere il terrorismo islamista, per sostenere la distruzione delle democrazie. I firmatari odiano se stessi, sono profondamente frustrati perché vorrebbero una società nella quale non è possibile essere chi si è... anzi probabilmente vorrebbero una società in cui decidono loro come bisogna essere.
   Quello che vorrei poter raccontare a mia nonna è che la società civile di questo paese sceglie la vita, sostenendo Israele ed isolando gli antisemiti che hanno firmato l'atroce appello, e non la morte, la violenza la menzogna di quanti vivono in ragione del proprio odio.
   Vorrei raccontare a mia nonna come tante persone, pacatamente, personalmente, senza fare proclami, boicottaggi e contro-boicottaggi, si sentissero di andare da ognuno dei firmatari, avendo magari la sventura di conoscerne qualcuno personalmente, e lo/la invitasse a smettere di incitare all'odio, alla violenza, a nuove "soluzioni finali", che la smettesse di disconoscere la tradizione e la cultura occidentale. Vorrei che molte persone dicessero loro "noi vogliamo sostenere Israele perché è uno stato democratico, in cui chiunque può professare la propria religione, in cui le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, e nessuno viene discriminato perché è gay, in cui le persone lavorano per migliorare le condizioni di vita, in cui si cercano modi per salvare vite non per distruggere vite."
   Che molti e molte, pacatamente facessero tacere gli odiatori urlanti.
   Pacatamente ma fermamente come sanno fare la brave persone, quelle che non si voltano dall'altra parte!

(VareseNews, 26 agosto 2014)


Fratelli d'armi, fratelli nell'orrore

Ci sono volute l'esecuzione di un occidentale e le fucilazioni in piazza perché lo shock arrivasse in Occidente.

Hamas e lo "Stato Islamico" (noto anche come ISIS) sono fratelli. Fratelli d'armi, fratelli nella religione e fratelli nell'orrore. Due facce della stessa medaglia. Uno odia tutto ciò che è diverso da sé, l'altro odia tutto ciò che non è sunnita. Uno si definisce "Stato Islamico", l'altro sta cercando di creare uno uno "stato islamico" alle nostre porte (e al nostro posto).
Il Medio Oriente non a caso ha germogliato entrambe queste piaghe. E la guerra contro Hamas e la guerra contro l'ISIS, come è già stato scritto su queste stesse colonne, sono la stessa guerra. Non è solo un problema per noi israeliani, ma noi israeliani siamo quelli che vivono nello stesso quartiere per cui a noi il problema appare in tutta la sua urgenza.
Hamas, come tutte le organizzazioni palestinesi, reputa importante ciò che viene detto sul suo conto. Questa è forse l'unica visibile differenza tra Hamas e ISIS. Il cittadino della strada europeo è un ottimo cliente. Hamas, una sanguinaria organizzazione terroristica, è riuscita a spacciarsi tra gli ignoranti (che in quel continente non mancano) come un movimento di liberazione nazionale. Dopo tutto, i palestinesi sono vittime per definizione. Questa è la versione. Come possono i palestinesi - ci si chiede - essere vittime e allo stesso tempo un nemico giurato? E perché mai, allora, dovremmo meravigliarci che un'organizzazione intitolata allo "sceicco Yassin" (il fondatore del terrorismo islamista di Hamas) abbia pubblicamente partecipato all'inizio di questo mese a una protesta a Parigi per la "liberazione" di Gaza? A voi la pelle d'oca....

(israele.net, 26 agosto 2014)


Giovanni Spadolini, lo Stato d'Israele, l'ebraismo

di Daniele Bellasio

Il rapporto con lo Stato d'Israele e - col tempo - con l'ebraismo è stato un aspetto centrale dell'attività e della riflessione di Giovanni Spadolini. La sua particolare attenzione per il Medio Oriente inizia con la crisi di Suez del 1956. Da quella vicenda e da altre successive Spadolini trasse materia per una riflessione più generale sul nazionalismo arabo:
    «Il così detto moto arabo, nelle forme in cui si è finora espresso, non ha nessuna rassomiglianza con i movimenti verso l'indipendenza nazionale, non diciamo dell'Europa del secolo scorso, ma degli stessi popoli ex-coloniali che nel corso degli ultimi decenni sono usciti di tutela. Forte è invece la rassomiglianza con i movimenti totalitari del primo dopoguerra, e più precisamente degli anni '30-'40: la concezione della lotta di classe trasferita sul piano delle relazioni internazionali; la tecnica del "colpo di stato"; l'istigazione sistematica all'odio contro le nazioni più libere e più progredite, dipinte alle folle inconsapevoli come l'unica causa dei propri mali e della propria miseria; il culto mistico del "capo" e della "razza"; l'istinto dell'avventura che fa smarrire ogni senso del limite, sono tutti elementi che documentano che ci troviamo dinanzi a una forma di ideologia totalitaria, lontana dalle origini democratiche e mazziniane dell'antico indipendentismo arabo».
(Il Sole 24 Ore, 26 agosto 2014)


Carlo Panella: Hamas è l'unico movimento di liberazione al mondo che nasconde le proprie batterie di missili dentro o accanto a moschee, scuole e ospedali.
Infatti non è un movimento di liberazione, ma di asservimento a un’ideologia religiosa totalitaria.



Ciao mamma, come va con le bombe di Hamas?

Le cartoline dall'Italia di un gruppo di ragazzini che vive a Sderot, il villaggio israeliano più colpito dai missili palestinesi. «Un po' di svago per poi tornare là dove hanno bisogno di noi».

di Carlo Puca

 
I ragazzi di Sderot all'aeroporto Ben Gurion
 
I ragazzi di Sderot di una squadra di calcio
Arrivano inattese: nessuno attende la paura. Ma quando suonano, le sirene di guerra alterano il battito del cuore. Le mascelle s'induriscono e gli occhi scrutano il cielo. Sei sicuro: i missili piomberanno lì, nella sera luminosa di Israele, per spezzare il tuo corpo e la tua esistenza. Pensi ai morti che raggiungerai e ai vivi a cui vuoi bene, a quante cose vorresti fare ancora, al banale progetto della casa in campagna. Questo accade a un occidentale in viaggio nella Terra Santa. Capita di rado, per fortuna.
  «Per noi non è così» replica Kassam, 15 anni. «Noi i missili li subiamo regolarmente da anni. Centinaia, che piovono sulle nostre teste e sulle nostre vite». Vite spesso giovani, come quelle di Niv, Ron, Ran, Shila, Toel e altri duecento ragazzi ebrei, nati tra il 1998 e il 2002: ragazzi in viaggio in Italia e provenienti dal Sud di Israele, dove i Qassam di Hamas piovono copiosi dal 2007, non solo durante queste settimane di conflitto, e di tregue più o meno stabili.
  Sono vite in prima linea, le loro: «A noi non è concessa nemmeno la paura» sottolinea Ran. «Dall'attimo in cui la sirena parte abbiamo 15 secondi per raggiungere il rifugio più vicino. Il governo ci ha detto che arrivarci dopo potrebbe risultare fatale. Allora che fai? Perdi tempo a spaventarti? Non puoi consentirtelo». Anche perché, chiosa Daniel, «mica devi pensare solo a te stesso, ci sono anche i tuoi fratelli piccoli e soprattutto i vecchi».Sono loro, gli anziani, «lenti e acciaccati», i soggetti più a rischio.
  Sono ragazzi, questi, dalle fattezze adolescenziali ma con pensieri più grandi della loro età. Ragionano di armi, guerra e politica nel modo degli adulti. Desiderano però leggerezza e l'hanno trovata per un mese tra Livorno, Trieste e Ostia, grazie alla generosità di anonimi rappresentanti della comunità ebraica. Venti di loro sono di stanza a Fregene, la spiaggia più elitaria di Roma. Non hanno mai conosciuto la pace e vengono tutti da Sderot, che dista appena un chilometro dal confine con Gaza. La cittadina è abitata da 20 mila israeliani arrivati nei decenni da Marocco, Kurdistan, Romania e Russia. Una comunità certamente non benestante, anzi alle prese con seri problemi economici. E però, nonostante il lusso che li circonda, e malgrado sia questo il primo viaggio all'estero, i ragazzi di Sderot non invidiano il benessere degli italiani («Gente buona ed eccezionale»), anelano soltanto alla nostra serenità, al punto di fissarla in migliaia di fotografie: «Sono le nostre cartoline dall'Italia» scherza Toel.
  «Finita la scuola avremmo voluto andare un po' in piscina, fare sport e passeggiate, ma i terroristi ce lo hanno impedito. Qui, invece, possiamo fare cose meravigliose: andare al mare, nei parchi giochi, visitare i musei, giocare a calcio, fare i selfie, ridere, scherzare» spiega Shila, che poi aggiunge: «Siamo gli unici adolescenti al mondo capaci di distinguere il tipo di missile dal sibilo che produce. In Italia nessuno di voi sopporterebbe una tale pressione». Allora non sarebbe meglio lasciare Sderot? «Mai. Non puoi andare via da un posto perché quel posto non è soltanto la tua vita. È anche la vita di chi rimane».
  «Sì, però noi non siamo contro i palestinesi, il nostro nemico comune è Hamas, che distrugge la vita di arabi e israeliani» si accalora Ran «loro hanno la loro terra come ce l'abbiamo noi. Solo che i terroristi, invece di pensare al benessere della gente, usano i soldi con l'unico scopo di uccidere più ebrei che possono nel nome del loro Dio». Ed ecco perché Ran e gli altri hanno ben chiaro il futuro: «Saremo la prossima generazione a combattere per difendere il nostro popolo». Alcuni di questi ragazzi già tra due anni verranno chiamati nell'esercito per la leva obbligatoria. E le cartoline italiane diverranno il sollievo a cui aggrapparsi di fronte alla guerra. Perché in Terra Santa c'è sempre una guerra da combattere. A tutte le età.

(Panorama, 26 agosto 2014)


Ecco da dove partono i razzi di Hamas

In un video diffuso su Internet l'esercito israeliano, in una sorta di "controffensiva mediatica", basandosi su una mappa dettagliata della Striscia di Gaza fornita delle Nazioni Unite mostra non soltanto i luoghi colpiti dai raid aerei, ma spiega che da molti degli obiettivi dei caccia erano partiti in realtà i razzi di Hamas: e questi luoghi spesso erano scuole, ospedali o uffici di organizzazioni internazionali.

(la Repubblica, 26 agosto 2014)


Record di bombe di Hamas verso Israele

Ieri è stata una delle giornate di più intensi bombardamenti da parte di Hamas. Dall'inizio della mattinata,riferiscono i media locali, sono stati sparati da Gaza oltre 120 fra razzi e colpi di mortaio, in prevalenza verso i kibbutz e gli altri villaggi israeliani vicini alla linea di demarcazione con Gaza. Non ci sono notizie di vittime anche perchè, nel frattempo queste località si sono svuotate di gran parte della popolazione. E in serata un razzo dal Libano ha colpito la Galilea.

(RaiNews24, 26 agosto 2014)


Associazione di amicizia Italia-Israele di Bari: nessun patrocinio al Comitato Pro Palestina

LETTERA AL GIORNALE (NOCI24) - A seguito dell'annuncio della costituzione del comitato "Noci per Gaza - Tavolo cittadino Pro Palestina" diffuso da NOCI24.it il 14 agosto scorso e poi puntualizzato da un comunicato stampa del neo-costituito comitato, diffuso in data 22 agosto, in cui si preannunciava per il 27 agosto «"Una serata per Gaza", patrocinata dal Comune di Noci», il vice presidente dell'Associazione di amicizia Italia-Israele di Bari, Bernardo Kelz, ha inviato al sindaco di Noci ed alla stampa una lettera per bloccare la concessione del patrocinio da parte dell'Ente a tale iniziativa.
Del patrocinio al momento non vi è conferma ufficiale sul sito del Comune di Noci. Ciononostante Kelz, oltre a dissuadere preventivamente il sindaco di Noci dal concedere il patrocinio ad un comitato che, come è scritto nella lettera, "denunzia soltanto e sempre Israele", punta a rovesciare l'interpretazione fornita dal neonato comitato sulle vicende del Medio Oriente con una circostanziata missiva.


LA LETTERA DI BERNARDO KELZ AL SINDACO DI NOCI
     
    Bernardo Kelz
    Abbiamo appreso dalla stampa locale (22.08.2014) che il Comune di Noci ha concesso il patrocinio ad una manifestazione motivata dai promotori del neonato Comitato Pro Palestina con un "genocidio" da parte di Israele in danno dei palestinesi di Gaza; nel comunicato stampa, i promotori usano un'espressione del seguente preciso tenore: «In quella terra è attualmente in atto un GENOCIDIO. Sono ormai circa 2000 i morti sotto le bombe israeliane, molti dei quali bambini, donne e anziani. (...) L'obiettivo, infatti, non è quello di colpire una base militare, ma quella di STERMINARE UN POPOLO. (...) Gaza è una prigione a cielo aperto. Gli ospedali sono al collasso e il personale medico è considerato un bersaglio. Questo per noi è CRIMINE DI GUERRA». Tali gravissime affermazioni, oltre a poter costituire oggetto di attenzione giudiziaria alla stregua delle norme che puniscono l'incitazione all'odio etnico e razziale, sono destituite di fondamento.
    A Gaza è in atto una guerra. A Gaza il gruppo islamista al potere, che peraltro applica la "sharia" punendo con la morte donne adultere e omosessuali, oltre a praticare esecuzioni in massa di presunte spie palestinesi, bombarda quotidianamente da nove anni civili israeliani con batterie missilistiche a lunga gittata ed ha costruito centinaia di chilometri di tunnel che si addentrano in territorio israeliano per portare indiscriminatamente morte ed attentati contro civili. In realtà, Israele in questo frangente si difende da quelle batterie e tunnel di Hamas, il cui obiettivo istituzionale è la distruzione di Israele secondo l'art. 13 del suo Statuto: posizionando le batterie presso scuole, asili, ospedali e uffici UNWRA, i fanatici islamisti di Hamas usano come scudi umani i civili, bambini compresi, sicché ricade su di essi la responsabilità prevalente per le 2.000 vittime della guerra a Gaza (per il resto, si può discutere ampiamente della questione israelo-palestinese, in cui i torti e le ragioni non si possono tagliare con l'accetta, anche alla luce della complessità storica dell'annosa vicenda).
    Ma vi è di più. Come detto prima, si attribuisce ad Israele un inesistente "genocidio" mentre un vero genocidio è in atto in Medio Oriente, dove l'esercito islamista dell'ISIS perseguita centinaia di migliaia di cristiani, yazidi, musulmani sciiti e curdi: i terroristi del Califfato ammazzano senza pietà anche giornalisti, stuprano e vendono donne cristiane e yazide a 12 dollari al mercato di Mosul, ma si costituisce a Noci un Comitato cittadino Pro Palestina che denunzia soltanto e sempre Israele. Questo è antisemitismo allo stato puro, neanche ben mascherato!
    Alla luce delle motivazioni addotte a supporto della manifestazione in oggetto del 27 agosto e risultanti dall'articolo di stampa sopra citato, chiediamo a codesta amministrazione di revocare il patrocinio alla manifestazione stessa, ove effettivamente concesso.
    Il vice Presidente
    Bernardo Kelz
(Noci24.it, 26 agosto 2014)


Sarebbe davvero ora, alla luce di tutto quello che sta succedendo oggi in Medio Oriente, che certe sconsiderate affermazioni di giovanili gruppi “Pro Palestina” che per ingannare il tempo e combattere la noia organizzano lotterie, mostre fotografiche, allegre cene sociali al grido di "La solidarietà vien mangiando", e nel fare tutto questo diffondono con incosciente leggerezza cumuli di velenose menzogne usando espressioni come “genocidio” e “sterminio di un popolo” siano trattate per quello che sono: incitazioni all’odio. E pertanto come crimini perseguibili a norma di legge. Gli autentici crimini di guerra sono altri: chi vuol saperne qualcosa può leggere qui. M.C.


L'Occidente non rinunci a condannare il sogno islamista di una società ingiusta

Lettera al direttore del Corriere della Sera

Caro direttore, Antonio Ferrari,
in un commento apparso sul Corriere del 23 agosto, coglie nel segno quando, riferendosi alle esecuzioni di supposti «collaborazionisti» sulla pubblica piazza a Gaza, scrive che «difendersi ricorrendo alla concorrenza della ferocia è una barbarie che si rivelerà anche politicamente suicida». L'osservazione nasce dall'analogia, che molti notano, fra le azioni dell'incappucciato che ha barbaramente trucidato il giornalista americano James Foley nel nome del califfato islamico, e quelle degli incappucciati palestinesi che a Gaza hanno fucilato decine di persone nel nome della lotta di liberazione di Hamas. L'obiezione che si tratti di due situazioni completamente diverse non sembra reggere al vaglio di un'osservazione più attenta. In entrambi i casi gli incappucciati fanno parte di movimenti islamici armati, di ispirazione sunnita, dediti alla «liberazione» del loro territorio da una supposta «occupazione» straniera: in Iraq, dalle ingerenze del mondo americano e occidentale, ma anche sciita, curdo, cristiano e yazida; a Gaza, da quelle di Israele, ma anche dell'Autorità palestinese, di fatto cessate nell'agosto 2005. In entrambi i casi l'esecuzione pubblica avviene senza alcuna procedura legale nella quale sia stata fornita una prova di colpevolezza e sia stato consentito ai condannati a morte di far udire le proprie ragioni. Ma al di là del parallelismo nelle tragiche coreografie, in entrambi i casi il problema di fondo è quale società civile vorrebbero creare questi movimenti di «liberazione» se dovessero riuscire nel loro intento; quali sarebbero le istituzioni democratiche e le garanzie civili, quali i diritti delle minoranze etniche e religiose, del genere femminile, dei diversi. L'Occidente, che certo si riconosce in questi parametri irrinunciabili, e che sembra pretenderli senza compromessi da parte dell'lsis, appare invece stranamente reticente nel richiedere lo stesso ad Hamas. La rappresentazione mediatica e politica dei fatti in Iraq e a Gaza resta in gran parte divisa da paratie stagne, e questo lancia un segnale preoccupante sulla capacità e volontà di giudizio in Occidente. Resta infine l'inquietante domanda: chi paga?

Sergio Della Pergola
Professore di Demografia
Hebrew University of Jerusalem

(Corriere della Sera, 26 agosto 2014)


Sull'islam aveva ragione quella «pazza» di Oriana

L'odio per l'Occidente, il fallimento dell'integrazione: in queste righe sembra di leggere la cronaca di oggi. Le righe che seguono sono state scritte da Oriana Fallaci all'indomani dell'11 settembre 2001. Ripubblicate oggi testimoniano quanto avesse visto giusto sui rapporti tra islam e Occidente.

di Oriana Fallaci

 
Sono anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare «Troia brucia, Troia brucia». Anni che ripeto al vento la verità sul Mostro e sui complici del Mostro cioè sui collaborazionisti che in buona o cattiva fede gli spalancano le porte. Che come nell'Apocalisse dell'evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna. Incominciai con La Rabbia e l'Orgoglio. Continuai con La Forza della Ragione. Proseguii con Oriana Fallaci intervista sé stessa e con L'Apocalisse. I libri, le idee, per cui in Francia mi processarono nel 2002 con l'accusa di razzismo-religioso e xenofobia. Per cui in Svizzera chiesero al nostro ministro della Giustizia la mia estradizione in manette. Per cui in Italia verrò processata con l'accusa di vilipendio all'Islam cioè reato di opinione. Libri, idee, per cui la Sinistra al Caviale e la Destra al Fois Gras ed anche il Centro al Prosciutto mi hanno denigrata vilipesa messa alla gogna insieme a coloro che la pensano come me. Cioè insieme al popolo savio e indifeso che nei loro salotti viene definito dai radical-chic «plebaglia-di destra». E sui giornali che nel migliore dei casi mi opponevano farisaicamente (...) la congiura del silenzio ora appaiono titoli composti coi miei concetti e le mie parole. Guerra-all'Occidente, Culto-della- Morte, Suicidio-dell'Europa, Sveglia-Italia-Sveglia.

IL NEMICO È IN CASA
Continua la fandonia dell'Islam «moderato», la commedia della tolleranza, la bugia dell'integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un'esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Be', il nemico non è affatto un'esigua minoranza. E ce l'abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d'occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all'occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in mala fede perfettamente-inserito-nel-nostro-sistema-sociale. Cioè col permesso di soggiorno. Con l'automobile. Con la famiglia. E pazienza se la famiglia è spesso composta da due o tre mogli, pazienza se la moglie o le mogli le fracassa di botte, pazienza se non di rado uccide la figlia in bluejeans, pazienza se ogni tanto suo figlio stupra la quindicenne bolognese che col fidanzato passeggia nel parco. È un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Un nemico che in nome dell'umanitarismo e dell'asilo politico accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della «necessità» (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l'Olimpo Costituzionale. «Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi». Un nemico che le moschee le trasforma in caserme,in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all'imam. Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l'Eurabia sicché per andare da Londra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l'esplosivo che vuole: nessuno lo ferma, nessuno lo tocca.

IL CROCEFISSO SPARIRÀ
Un nemico che appena installato nelle nostre città o nelle nostre campagne si abbandona alle prepotenze ed esige l'alloggio gratuito o semi-gratuito nonché il voto e la cittadinanza. Tutte cose che ottiene senza difficoltà. Un nemico che ci impone le proprie regole e i propri costumi. Che bandisce il maiale dalle mense delle scuole, delle fabbriche, delle prigioni. Che aggredisce la maestra o la preside perché una scolara bene educata ha gentilmente offerto al compagno di classe musulmano la frittella di riso al marsala cioè «col liquore», E-attenta-a-non-ripeter-l'oltraggio. Un nemico che negli asili vuole abolire anzi abolisce il Presepe e Babbo Natale. Che il crocifisso lo toglie dalle aule scolastiche, lo getta giù dalle finestre degli ospedali, lo definisce «un cadaverino ignudo e messo lì per spaventare i bambini musulmani». Un nemico che in Inghilterra s'imbottisce le scarpe di esplosivo onde far saltare in aria il jumbo del volo Parigi-Miami. Un nemico che ad Amsterdam uccide Theo van Gogh colpevole di girare documentari sulla schiavitù delle musulmane e che dopo averlo ucciso gli apre il ventre, ci ficca dentro una lettera con la condanna a morte della sua migliore amica. Il nemico, infine, per il quale trovi sempre un magistrato clemente cioè pronto a scarcerarlo. E che i governi eurobei (ndr: non si tratta d'un errore tipografico, voglio proprio dire eurobei non europei) non espellono neanche se è clandestino.

DIALOGO TRA CIVILTÀ
Apriti cielo se chiedi qual è l'altra civiltà, cosa c'è di civile in una civiltà che non conosce neanche il significato della parola libertà. Che per libertà, hurryya, intende «emancipazione dalla schiavitù». Che la parola hurryya la coniò soltanto alla fine dell' Ottocento per poter firmare un trattato commerciale. Che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate. Che dei Diritti dell'Uomo da noi tanto strombazzati e verso i musulmani scrupolosamente applicati non vuole neanche sentirne parlare. Infatti rifiuta di sottoscrivere la Carta dei Diritti Umani compilata dall'Onu e la sostituisce con la Carta dei Diritti Umani compilata dalla Conferenza Araba. Apriti cielo anche se chiedi che cosa c'è di civile in una civiltà che tratta le donne come le tratta. L'Islam è il Corano, cari miei. Comunque e dovunque. E il Corano è incompatibile con la Libertà, è incompatibile con la Democrazia, è incompatibile con i Diritti Umani. È incompatibile col concetto di civiltà.

UNA STRAGE IN ITALIA?
La strage toccherà davvero anche a noi, la prossima volta toccherà davvero a noi? Oh, sì. Non ne ho il minimo dubbio. Non l'ho mai avuto. E aggiungo: non ci hanno ancora attaccato in quanto avevano bisogno
La strage toccherà dav- vero anche a noi, la pros- sima volta toccherà dav- vero a noi? Oh, sì. Non ne ho il minimo dubbio. Non l'ho mai avuto.
della landingzone, della testa di ponte, del comodo avamposto che si chiama Italia. Comodo geograficamente perché è il più vicino al Medio Oriente e all' Africa cioè ai Paesi che forniscono il grosso della truppa. Comodo strategicamente perché a quella truppa offriamo buonismo e collaborazionismo, coglioneria e viltà. Ma presto si scateneranno. Molti italiani non ci credono ancora. Si comportano come i bambini per cui la parola Morte non ha alcun significato. O come gli scriteriati cui la morte sembra una disgrazia che riguarda gli altri e basta. Nel caso peggiore, una disgrazia che li colpirà per ultimi. Peggio: credono che per scansarla basti fare i furbi cioè leccarle i piedi.

MULTICULTURALISMO, CHE PANZANA
L'Eurabia ha costruito la panzana del pacifismo multiculturalista, ha sostituito il termine «migliore» col termine «diverso-differente», s'è messa a blaterare che non esistono civiltà migliori. Non esistono principii e valori migliori, esistono soltanto diversità e differenze di comportamento. Questo ha criminalizzato anzi criminalizza chi esprime giudizi, chi indica meriti e demeriti, chi distingue il Bene dal Male e chiama il Male col proprio nome. Che l'Europa vive nella paura e che il terrorismo islamico ha un obbiettivo molto preciso: distruggere l'Occidente ossia cancellare i nostri principii, i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra civiltà. Ma il mio discorso è caduto nel vuoto. Perché? Perché nessuno o quasi nessuno l'ha raccolto. Perché anche per lui i vassalli della Destra stupida e della Sinistra bugiarda, gli intellettuali e i giornali e le tv insomma i tiranni del politically correct, hanno messo in atto la Congiura del Silenzio. Hanno fatto di quel tema un tabù.

CONQUISTA DEMOGRAFICA
Nell'Europa soggiogata il tema della fertilità islamica è un tabù che nessuno osa sfidare. Se ci provi, finisci dritto in tribunale per razzismo-xenofobia-blasfemia. Ma nessun processo liberticida potrà mai negare ciò di cui essi stessi si vantano. Ossia il fatto che nell'ultimo mezzo secolo i musulmani siano cresciuti del 235 per cento (i cristiani solo del 47 per cento). Che nel 1996 fossero un miliardo e 483 milioni. Nel 200l, un miliardo e 624milioni. Nel 2002, un miliardo e 657 milioni. Nessun giudice liberticida potrà mai ignorare i dati, forniti dall'Onu, che ai musulmani attribuiscono un tasso di crescita oscillante tra il 4,60 e il 6,40 percento all' anno (i cristiani, solo l'1 e 40 per cento ). Nessuna legge liberticida potrà mai smentire che proprio grazie a quella travolgente fertilità negli anni Settanta e Ottanta gli sciiti abbiano potuto impossessarsi di Beirut, spodestare la maggioranza cristiano-maronita. Tanto meno potrà negare che nell'Unione Europea i neonati musulmani siano ogni anno il dieci per cento, che a Bruxelles raggiungano il trenta per cento, a Marsiglia il sessanta per cento, e che in varie città italiane la percentuale stia salendo drammaticamente sicché nel 2015 gli attuali cinquecentomila nipotini di Allah da noi saranno almeno un milione.

ADDIO EUROPA, C'È L'EURABIA
L'Europa non c'è più. C'è l'Eurabia. Che cosa intende per Europa? Una cosiddetta Unione Europea che nella sua ridicola e truffaldina Costituzione accantona quindi nega le nostre radici cristiane, la nostra essenza? L'Unione Europea è solo il club finanziario che dico io. Un club voluto dagli eterni padroni di questo continente cioè dalla Francia e dalla Germania. È una bugia per tenere in piedi il fottutissimo euro e sostenere l'antiamericanismo, l'odio per l'Occidente. È una scusa per pagare stipendi sfacciati ed esenti da tasse agli europarlamentari che come i funzionari della Commissione Europea se la spassano a Bruxelles. È un trucco per ficcare il naso nelle nostre tasche e introdurre cibi geneticamente modificati nel nostro organismo. Sicché oltre a crescere ignorando il sapore della Verità le nuove generazioni crescono senza conoscere il sapore del buon nutrimento. E insieme al cancro dell' anima si beccano il cancro del corpo.

INTEGRAZIONE IMPOSSIBILE
La storia delle frittelle al marsala offre uno squarcio significativo sulla presunta integrazione con cui si cerca di far credere che esiste un Islam ben distinto dall'Islam del terrorismo. Un Islam mite, progredito,
Il padre del bambino si presentò alla preside col Corano in pugno. Le disse che aver offerto le frittelle col liquore a suo figlio era stato un oltraggio ad Allah, e dopo aver preteso le scuse la diffidò dal lasciar portare quell'im- mondo cibo a scuola.
moderato, quindi pronto a capire la nostra cultura e a rispettare la nostra libertà. Virgilio infatti ha una sorellina che va alle elementari e una nonna che fa le frittelle di riso come si usa in Toscana. Cioè con un cucchiaio di marsala dentro l'impasto. Tempo addietro la sorellina se le portò a scuola, le offrì ai compagni di classe, e tra i compagni di classe c'è un bambino musulmano. Al bambino musulmano piacquero in modo particolare, così quel giorno tornò a casa strillando tutto contento: «Mamma, me le fai anche te le frittelle di riso al marsala? Le ho mangiate stamani a scuola e ... ». Apriti cielo. L'indomani il padre di detto bambino si presentò alla preside col Corano in pugno. Le disse che aver offerto le frittelle col liquore a suo figlio era stato un oltraggio ad Allah, e dopo aver preteso le scuse la diffidò dal lasciar portare quell'immondo cibo a scuola. Cosa per cui Virgilio mi rammenta che negli asili non si erige più il Presepe, che nelle aule si toglie dal muro il crocifisso, che nelle mense studentesche s'è abolito il maiale. Poi si pone il fatale interrogativo: «Ma chi deve integrarsi, noi o loro?».

L'ISLAM MODERATO NON ESISTE
Il declino dell'intelligenza è il declino della Ragione. E tutto ciò che oggi accade in Europa, in Eurabia, ma soprattutto in Italia è declino della Ragione. Prima d'essere eticamente sbagliato è intellettualmente sbagliato. Contro Ragione. Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l'Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l'affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l'arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell'Avvenir è contro Ragione.

ECCO COS'È IL CORANO
Perché non si può purgare l'impurgabile, censurare l'incensurabile, correggere l'incorreggibile. Ed anche dopo aver cercato il pelo nell'uovo, paragonato l'edizione della Rizzoli con quella dell'Ucoii, qualsiasi islamista con un po' di cervello ti dirà che qualsiasi testo tu scelga la sostanza non cambia. Le Sure sulla jihad intesa come Guerra Santa rimangono. E così le punizioni corporali. Così la poligamia, la sottomissione anzi la schiavizzazione della donna. Così l'odio per l' Occidente, le maledizioni ai cristiani e agli ebrei cioè ai cani infedeli.

(il Giornale, 26 agosto 2014)


Ancora trenta nazisti in vita. I boia di Auschwitz coperti dalla Germania Est

Lo "Spiegel": arruolati dalla Stasi in cambio di immunità

di Tonia Mastrobuoni

BERLINO - Ex nazisti ricattati e reclutati dai comunisti come agenti segreti: non è fantascienza, è successo per decenni. E poteva accadere solo a Berlino, crocevia mondiale di spie durante la Guerra fredda, ma anche capitale di uno dei regimi più cinici del Patto di Varsavia, quello della Germania Est.
Lo racconta questa settimana lo «Spiegel», citando il caso di alcuni ex pezzi grossi delle SS cui sarebbero stati risparmiati processi e condanne in cambio dei loro servizi da agenti segreti. E il fatto più incredibile è che molti sono ancora vivi, ma i tribunali tedeschi non riescono a condannarli.
Josef Settnik, ex SS e dal 1942 di servizio nel campo di sterminio più atroce, Auschwitz, dopo la guerra si presentò al primo colloquio con la Stasi dopo aver detto addio a sua moglie, immaginando una condanna a
Gli agenti dei servizi segreti comunisti tedeschi gli avevano proposto un accordo. Avrebbero dimenticato i crimini di cui si era macchiato se fosse stato disponibile a spiare i membri della sua parrocchia cattolica.
morte o comunque un «fine pena mai». Invece riemerse dopo il confronto in lacrime ma sollevato: gli agenti dei servizi segreti comunisti tedeschi gli avevano proposto un accordo. Avrebbero dimenticato i crimini di cui si era macchiato se fosse stato disponibile a spiare i membri della sua parrocchia cattolica.
Nel caso di Johannes A., anche lui ex SS e attivo ad Auschwitz, la Stasi non solo gli abbonò i crimini, ma gli consentì anche di fare una brillante carriera da insegnante di liceo.
August Bielisch finì invece nelle grinfie dei servizi comunisti molto più tardi, nel 1971: dichiarò di aver fatto solo il guardiano e di non aver visto nulla. Ma poi capì di dover cooperare. Scrisse che gli era chiaro «che per aver taciuto sulla mia appartenenza alle SS e la mia attività di guardiano nel campo di sterminio di Auschwitz posso essere messo sotto processo. Attraverso la mia disponibilità a collaborare in modo sincero e aperto con il ministero per la Sicurezza (la Stasi, ndr), voglio farmi perdonare i miei errori».
Naturalmente, se questi casi fossero emersi negli anni del regime di Ulbricht o di Honecker, che mantenevano in piedi il più invasivo apparato di spionaggio contro i loro stessi cittadini con la scusa di dover sradicare ogni sovversivismo e definivano il muro di Berlino «cortina antifascista», lo scandalo sarebbe stato immenso. E qualche processo esemplare contro ex pezzi grossi di Hitler, effettivamente, ci fu: nel 1964 Hans Anhalt, braccio destro dell'«angelo della morte», del medico di Auschwitz Joseph Mengele, fu condannato all'ergastolo. E nel 1966 il comandante delle Ss Horst Fischer fu addirittura giustiziato, dopo che un processo aveva fornito le prove di decine di esecuzioni ordinate direttamente da lui. Erano processi-spettacolo che dovevano mostrare la volontà ferrea della Ddr di estirpare il nazismo dal Paese, mentre sottobanco a decine di criminali di Hitler venivano proposti accordi e assoluzioni.
«Nel caso di Auschwitz - ha spiegato a "Spiegel" la storica di Jena Annette Weinke - si vede come operava la Stasi: alcuni venivano condannati, altri reclutati come spie, ad altri non accadde proprio nulla». E molti sparirono talmente bene che sono sopravvissuti ad oggi senza che nessuno sia andato mai a cercarli.
Solo un tribunale di Ludwigsburg, quello responsabile per «le indagini sui crimini nazisti» ha cercato di avviare un processo contro 30 ex criminali nazisti - 24 uomini e 6 donne - in servizio nel campo di sterminio polacco. Molti di loro erano in servizio quando nel 1944 arrivò il convoglio che trasportava Anna Frank.
Dopo le indagini preliminari, all'inizio di quest'anno sono arrivati gli ordini di arresto per gli ex SS, che hanno nel frattempo tra gli 88 e i 100 anni. Tuttavia, ora che la responsabilità dei processi è passata nelle mani dei tribunali competenti, i giudici stanno scoprendo uno dopo l'altro di avere enormi problemi a trascinare le ex camicie brune sul banco degli imputati. Alcuni sono morti, altri già condannati in Polonia, altri ancora non possono essere incriminati per cavilli.
In ogni caso, dopo molte ricerche lo «Spiegel» scrive che «è una verità accertata che dietro la facciata antifascista la Germania Est scese a patti con molti ex nazisti». Nel 1951 un documento del partito comunista, della Sed, contava 174.928 ex membri del partito nazionalsocialista o della Wehrmacht tra i propri iscritti. In tutto si stima che siamo stati 1,5 milioni gli ex affiliati della Nsdap nella Ddr. Ma anche i numeri che riguardano Auschwitz sono spaventosi: lo storico Andreas Eichmüller ha calcolato che di 6500 SS attivi nel campo, appena 29 sono stati processati, nelle due Germanie.

(La Stampa, 26 agosto 2014)


Guardie? Erano mostri. Paghino pure a novant'anni

Il sopravvissuto Samy Modiano: mai dimenticare.

Intervista di Maurizio Molinari

Samy Modiano ad Auschwitz
GERUSALEMME - «Mi fa male sapere che per quasi 70 anni questi criminali abbiano potuto vivere tranquilli, indisturbati». Samy Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz dove venne deportato da Rodi con tutta la sua famiglia, reagisce così alle rivelazioni del «Der Spiegel» sui 30 criminali nazisti ancora in libertà grazie alle coperture garantite sin dal 1945 dalla Stasi nell'ex Germania Est. Quale sorte si augura per questi 30 criminali nazisti? «Deve essere la Germania a decidere. A mio avviso devono pagare per i crimini che hanno commesso ma, certo, ora avranno almeno 90 anni e ciò che più conta, e ferisce, è che abbiano vissuto tranquillamente fino a questo momento. E' un'onta, una vergogna sulla quale bisogna fare piena luce. E' una vicenda che lascia intendere quante e quali responsabilità vi siano, in Germania Est ma non solo, nella protezione dei criminali nazisti». Per «Der Spiegel» si tratta in gran parte di ex guardie d iAuschwitz. Che responsabilità avevano nel lager? «Erano ad Auschwitz come "guardie" ma in realtà si trattava di aguzzini, criminali, assassini. Dal primo dei kapò all'ultima di queste "guardie" decidevano la vita o la morte di ogni deportato sulla base di uno sguardo, un gesto. Torturavano con le proprie mani. Uccidevano con le pistole che avevano, spogliavano i deportati di ogni umanità e dignità. Erano spietati, brutali. Per questo erano stati prescelti per tale compito. Erano queste "guardie" che gestivano ogni momento della vita di noi deportati, accompagnavano alle camere a gas, sorvegliavano i crematori, facevano funzionare il lager. Ognuno di loro ha responsabilità enormi, in Auschwitz come in altri lager, per la morte non solo di 6 milioni di ebrei ma anche di altri 5 milioni di persone, altrettanto innocenti, a cominciare da zingari e gay». Che cosa le suggerisce questa vicenda? «La necessità di continuare a ricordare cosa avvenne. Per questo continuo ad accompagnare le scolaresche ad Auschwitz, ripercorrendo con loro la mia deportazione. Arrivai ad Auschwitz il 3 agosto 1944 con il convoglio di circa 2200 ebrei di Rodi. Fummo presi il 18 luglio di 70 anni fa, partimmo il 23. Quando arrivammo gran parte fu inviato alle camere a gas. Mio padre, 45 anni, e mia sorella, 16 anni, vissero solo per un altro mese. Fummo solamente in 151 a sopravvivere: 31 uomini e 120 donne».

(La Stampa, 26 agosto 2014)


Roma - Manifesti anti ebrei. Rivendicazione alla Digos, il giallo della telefonata

L'interlocutore non ha fornito sigle o nomi. Il possibile depistaggio e l'ipotesi del mitomane.

di Francesco Salvatore

All'alba del 9 agosto molte strade di Roma furono invase da una serie di manifesti che invitavano al boicottaggio di diversi negozi di commercianti ebrei. Una vera e propria lista di proscrizione, firmata "Vita est Militia", su cui 1a procura aveva prontamente aperto un'inchiesta per istigazione all'odio razziale. Nei giorni scorsi è giunta alla Digos una telefonata di rivendicazione. Una segnalazione su cui ora gli inquirenti, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pm Tiziana Cugini, vogliono fare piena luce. La chiamata anonima, che riconduce i manifesti ad ambienti di estrema destra, è arrivata a distanza di giorni dal blitz antisemita e non fornisce degli elementi specifici, motivo per cui i magistrati ne vogliono verificare approfonditamente l'attendibilità. La segnalazione potrebbe infatti essere stata fornita per depistare gli investigatori dai veri autori o potrebbe semplicemente essere l'allarme di un mitomane.
   Al momento il fascicolo è ancora contro ignoti. L'ipotesi di reato su cui si indaga è la violazione della legge mancino sulla discriminazione razziale. I manifesti furono affissi in diverse strade: da viale Libia a corso Trieste, da piazza Bologna a via Ugo Ojetti. Sui cartelli l'immagine di ragazzo palestinese imbavagliato e la scritta: "Boicotta Israele, contribuisci a fermare il massacro del popolo palestinese. Bisogna boicottare ogni tipo di prodotto e commerciante ebraico". Poi un elenco di circa 50 attività e la firma: Vita est Militia.
   Non è questa l'unica inchiesta del genere aperta in procura. A fine luglio una settantina di scritte antisemite, corredate da croci celtiche, e volantini pro Palestina e anti-Israele. comparvero in diversi quartieri della città, da SanGiovanni a Prati. La procura apri un fascicolo per istigazione all'odio razziale e poco più di due settimane fa ha iscritto nel registro degli indagati tre uomini, tra i 20 e i 53 anni, legati all'estrema destra capitolina.

(la Repubblica - Roma, 26 agosto 2014)


La Biennale di Architettura nella sua 14a edizione e il padiglione ebraico con macchine

Le macchine che disegnano sulla sabbia del Mar Morto nel padiglione ebraico della Biennale di Architettura.

di Elisabetta Marchetti

 
Intervista con Keren Yeala Golan e Roy Brand
alla 14^ Mostra Internazionale di Architettura
VENEZIA - La biennale di architettura nella sua 14 edizione e il padiglione ebraico. Visitare la 14 edizione della biennale di architettura quest'anno è stata per i non addetti ai lavori un'esperienza stimolante. In questa edizione il tema centrale è stata la modernizzazione, e nella sezione 'absorbing modernity'1914-2014, si poteva vedere attraverso una ricca documentazione fatta di fotografie, mappe, disegni e modellini, come il processo di modernizzazione si sia sviluppato in 66 paesi del mondo e abbia avuto i suoi sviluppi. I padiglioni da visitare erano tanti, quello che vale la pena segnalare è stato il padiglione ebraico con una mostra intitolata URBUB.
   Tale mostra che vuole documentare lo sforzo titanico fatto dalle comunità ebraiche per strappare terra al deserto ci offre diversi spunti di riflessione. Intanto Urbub è il progetto che mostra un tessuto frammentato, quello urbano ed il suo passaggio dagli anni 50-60, fatto di garden cities di inizio 900, con insediamenti agricoli e abitazioni collettive negli anni 50 e generiche strutture residenziali, sino ai giorni nostri con una volontà di realizzare comunità equalitarie. Gli architetti che hanno lavorato a tale progetto sono Ory Scialon, Ray Brand, Keren Yeala Golan.
   La cosa che più colpisce chi si reca a far visita a tale padiglione sono le macchine dagli stessi ideate. In questo padiglione sono state versate tonnellate di sabbia, è la sabbia fine e lucida del Mar Morto e macchine sofisticate con un pennino e un rullo rotante tracciano sulla sabbia disegni geometrici i più svariati, disegnano per esempio il territorio della nazione di Israele, e tu vedi comparire il disegno perfetto, ma poi un minuto dopo un rullo rotante passa e cancella tutto. La sabbia è stata palpata ed è davvero di una finezza assoluta, quella di Senigallia è più granulosa. Le macchine, all'interno del padiglione, sono svariate e occupano una superficie considerevole, ma quello che più impressiona è il valore simbolico di tale macchina per disegnare, quasi a dire che quello che l'uomo costruisce con tanta fatica l'uomo stesso per una ragione disparata può distruggerlo. Colpisce inoltre la grandezza di tali macchine e l'imponderabilità del loro lavoro. I disegni dopo qualche minuto spariscono per essere però rifatti un minuto dopo. All'interno del padiglione si respira un'aria rarefatta e quella sabbia disegnata su cui l'uomo ha costruito una nazione sembra dirci quanto a volte siano precari e inutili gli sforzi di costruire un mondo e di vivere in esso. Da vedere questo singolare padiglione, e come per il padiglione Venezia, altrettanto suggestivo, una visita anche per chi non è addetto ai lavori merita.

(Blasting News, 25 agosto 2014)


Lettera a un amico che mi vuole bene, ma non accetta l'operato di Israele

di Angelica Calò Livnè

«Ecco questa è la vera nostra tragedia caro G.: noi in Israele, stiamo combattendo per tutto l'Occidente, siamo di nuovo e come ogni volta la diga che argina e combatte il califfato, la sharia, quei barbari che tagliano le teste».

Soldati dell’esercito israeliano avanzano in un campo vicino al confine con Gaza
Ieri su Facebook un ragazzo ha pubblicato un messaggio: «Shalom a tutti, sono comandante di un battaglione nell'esercito di difesa di Israele. Da quasi un mese siamo in servizio di emergenza e lavoriamo 24 ore su 24 in missioni varie e impegnative. I nostri soldati giovani e meno giovani, erano già stati dimessi dell'esercito regolare ma sono stati richiamati, come sempre, quando ce n'è bisogno. Queste persone lasciano le loro case, le mogli, i figli, gli esami di laurea, le fabbriche e i campi per dare il proprio contributo ogni volta che il nostro Paese è in crisi con i nostri vicini. Vorremmo rendere meno difficili le operazioni. Abbiamo bisogno di lampade frontali e saremmo felici di ricevere il vostro aiuto per acquistarle….».
   Di seguito una foto dei ragazzi, pronti per uscire in una delle loro missioni. Il primo commento è stato un enorme "NO LIKE - Non mi piace!!!!". Era di un amico. Avrei potuto sorvolare e cancellarlo dalla lista ma ho capito che le divise, i fucili che avevano in mano quei ragazzi avevano sollevato l'istinto di una persona buona d'animo che davanti a dei soldati immagina violenza, guerra e ingiustizie. E ho deciso di scrivergli: «Caro G., se potessi immaginare quanto sia difficile per noi guardare questa immagine! Quanto desidereremmo che i nostri figli potessero essere in casa loro a studiare, a suonare, ad incontrarsi con gli amici, e invece, caro G. passano ore a cercare terroristi, a scovare tunnel di morte, a montare di guardia mentre il pericolo è sulla soglia. Le ultime notizie comunicano: "Una vasta rete terroristica di Hamas, basata in Cisgiordania e a Gerusalemme, progettava di destabilizzare la regione attraverso una serie di sanguinosi attacchi terroristici in Israele per poi rovesciare l'Autorità Palestinese governata da Fatah. Lo hanno rivelato lunedì i servizi di sicurezza israeliani che indagano sulla rete terroristica dal maggio scorso e hanno operato una novantina di arresti, scoprendo cellule terroristiche in 46 città e villaggi palestinesi tra cui a Jenin, Nablus, Ramallah, Hebron oltre che a Gerusalemme est, e sequestrando ingenti somme di denaro e armi da guerra. Il quartier generale di Hamas all'estero con base in Turchia aveva orchestrato il piano, incentrato su una serie di stragi terroristiche contro obiettivi israeliani".
   Caro G. sai perché Hamas ricevono tanti consensi? Perché mostrano senza posa immagini terribili di feriti e distruzione (che, come sai, è generata spesso dai loro stessi missili). Noi, in Israele, non mostriamo queste immagini per non ferire e colpire ulteriormente le famiglie già provate da tanta sofferenza. E cosa mostriamo? Mostriamo i nostri ragazzi, i mariti, i padri che lasciano tutto per difendere non solo noi…! Ecco questa è la vera nostra tragedia caro G.: noi in Israele, stiamo combattendo per tutto l'Occidente, siamo di nuovo e come ogni volta la diga che argina e combatte il califfato, la sharia, quei barbari che tagliano le teste, che violentano, infibulano, che perseguitano i cristiani, le donne e tutti coloro che non reagiscono per paura o perché credono, come credevamo noi ebrei negli anni Trenta, che le leggi razziali fossero un episodio passeggero, che i nazisti non sarebbero arrivati a tanto.
   I soldati di Zahal sono all'erta per proteggere noi, che la storia la conosciamo bene, ma anche per affrancare i poveri cittadini palestinesi che sono schiavi del terrorismo come noi. I cittadini israeliani sono anche loro in prima linea, di nuovo, sotto una pioggia di missili. Guardo di nuovo gli sguardi rassicuranti dei soldati israeliani, che sono lì per difendere e le facce travisate dall'odio dei capi di Hamas che vivono per affermare il loro potere e che giurano la distruzione di Israele. Ascolto le parole del giornalista americano, inginocchiato davanti all'aguzzino del Daesh e vorrei dirti caro G. che i nostri ragazzi stanno combattendo strenuamente anche per te, per la tua famiglia e per tutto l'Occidente. Meritano il tuo "mi piace"!

(Tempi, 25 agosto 2014)


I nemici esistono

di Gianlessio Ridolfi Pacifici

Nella semantica della condivisione sociale l'uso (e l'abuso) dei termini nazismo, nazista è abituale. Israele è nazista, gli ucraini sono nazisti o, a seconda del punto di vista, i russi hanno effettuato un'aggressione nazista, ecc.
   La verità è che molti non considerano il fatto che il nazismo ha impartito una grande lezione alla storia. Ha dimostrato che l'esasperazione del razzismo, la religione come ideologia o l'ideologia come religione, la
Il nazismo del terzo mil- lennio è quello di chi vuole imporre la propria fede religiosa al resto del mondo. L'obiettivo dello jihadismo non è la resistenza alle potenze economiche e militari dell'occidente, ma la lotta per l'affermazione di una regola religiosa.
convinzione che esista una morale superiore, l'uso della guerra senza quartiere per sostenere questo principio, non sono atti limitati ad isolate minoranze ma possono riunirsi sotto bandiere, federare le masse, costruire nazioni ed ambire ad affermare la propria visione della vita, della morale e dei valori come metro di misura universale, considerando chi non vi si riconosce poco più di una bestia, un nemico la cui vita ha valore nullo.
Se esiste un nazismo nel terzo millennio questi non ha nulla ha che fare con l'imperialismo. Il nazismo del terzo millennio è quello di chi vuole imporre la propria fede religiosa (con ciò che ne consegue in termini di organizzazione della vita civile) al resto del mondo. Per essere chiari, l'obiettivo dello jihadismo non è la resistenza alle potenze economiche e militari dell'occidente, ma la lotta per l'affermazione di una regola religiosa nella quale la totalità di chi sta leggendo queste righe avrebbe il terrore di essere coinvolto. Discriminazione sessuale per legge e annullamento del valore della vita della donna, altro che presidenta o ministra, poligamia (ma non poliandria, attenzione), lapidazione per i motivi più futili, amputazioni per reati comuni, pena di morte, persecuzione del laicismo in tutte le sue affermazioni, costrizione all'educazione nella fede, sottoposizione della ricerca scientifica alla morale religiosa, persecuzione violenta dell'omosessualità, altro che unioni civili ed adozioni gay. Lo jihadismo è il braccio armato di un concetto di vita che io considero abominevole, senza se e senza ma.
   I sostenitori da poltrona dei "diritti" degli jihadisti dovrebbero provare ad immaginare quale sarebbe il loro stile di vita in una società che ho appena descritto e nella quale già milioni di persone sono costrette.
Combattere lo jihadismo è l'equivalente nel terzo millennio della lotta al nazismo.
Combattere lo jihadismo è l'equivalente del terzo millennio della lotta al nazismo.
Ed è una lotta difficile, perché se da una parte c'è un indubbio vantaggio tecnologico ed organizzativo, dall'altra c'è la debolezza della società occidentale totalmente appiattita dalla propria ipocrisia e disabituata al combattimento a meno che non si tratti di fare un bagnetto con un secchio di acqua fredda. Dietro la comoda scusa degli altrui "diritti" si nasconde la totale incapacità di assumere e sostenere decisioni forti e difficili. Ma questo è il male minore. Il vero varco nelle mura è la necessità insita nella nostra organizzazione sociale della libera circolazione di persone, merci, idee. Questo rende le nostre città e le nostre nazioni permeabili, completamente esposte all'attacco vile e brutale del terrorismo. La società occidentale, per definizione, non è presidiabile militarmente. Chi vuole può colpire ovunque, quando e come vuole.
   E' per questo che tutti siamo già in guerra. Una guerra fra stili e concezioni di vita. La razza, l'origine, la nazionalità non c'entrano, come i recenti eventi ci hanno tristemente insegnato. Chi continua a vederla come una questione economica e territoriale agevola il nemico.
   Sì, "il nemico". E' tempo che si inizi a prendere confidenza con le parole, anche quelle più sgradevoli.

(MenteCritica, 25 agosto 2014)


Riportiamo questo articolo non perché condividiamo tutto quello che è scritto, ma perché ci sono valutazioni che meritano di essere prese in considerazione. Sembra proprio che alla società occidentale in cui viviamo manchino le categorie concettuali di fondo in cui collocare i mutamenti anche drammatici che stanno avvenendo nel mondo. La cosa è di un’evidenza lampante quando si cerca di collocare il conflitto tra Israele e i suoi nemici dentro gli usuali schemi di pensiero. Nei rapporti fra stati il “nemico” esiste, dice l’autore, bisogna decidersi a dirlo e se necessario a combatterlo. Per motivi di forza maggiore Israele l’ha capito e lo fa. Ed è anche per questo che molti non capiscono Israele. M.C.


No, Gaza non è il ghetto di Varsavia

Risposta dura e scritta con verità contro gli intellò francesi che hanno scritto un "testo partigiano, mendace, privo di coraggio e adescatore" che accusa Israele e il suo doloroso diritto di difendersi dai suoi nemici. Lettera apparsa sul quotidiano francese Monde il 20 agosto scorso dal titolo "'Quatre mousquetaires' pro Gaza en croisade contre Israèl" (traduzione di Elia Rigolio).

di Claude Lanzmann, scrittore e cineasta

 
Claude Lanzmann
Si chiama "scambio ineguale". Eric Marty ne aveva parlato in modo impeccabile nel numero 677 di Temps modernes. Per recuperare e restituire ai suoi cari uno solo dei loro soldati, Gilad Shalit, ostaggio di Hamas da oltre cinque anni, gli israeliani avevano ridato la libertà a 1.027 prigionieri palestinesi, che stavano scontando lunghe pene per crimini sanguinosi, e nel caso più grave l'ergastolo, poiché la condanna a morte non esiste nel paese: 1.027 contro uno!
   E non era il primo scambio di questo tipo: già quattro o cinque volte in passato la teoria dello scambio ineguale era stata posta in atto da vari governi succedutisi in Israele, di destra così come di sinistra. All'epoca nessuno, tra le parti che avevano raggiunto l'accordo sullo scambio, così come tra i vigili e puntigliosi, scrupolosi contabili dei misfatti israeliani, si era azzardato a gridare alla sproporzione, nessuno aveva denunciato lo scandalo ontologico dello scambio ineguale, scandalo perché implicava in primis che le vite umane non hanno tutte lo stesso prezzo!
   La verità è che, dalla Shoah e dalla morte di sei milioni di ebrei, che quasi bisogna vergognarsi se si osa ricordarla, gli israeliani attribuiscono alla vita di ognuno dei loro un prezzo senza misura: un valore tale che questo paese sembra autorizzare i suoi stessi nemici a esercitare su di esso un ricatto permanente, che sfocia in provocazioni della peggior specie.
   Non è questo il luogo di dissertare sul rapporto unico tra giudaismo e vita che, proprio dalla Shoah, ha
Le 64 giovani reclute che hanno perso la vita a Gaza hanno avuto a malapena diritto a una menzione compassionevole nella stupefacente "intimazione" a François Hollande pubblicata da Le Monde
continuato a crescere e approfondirsi. Ma le 64 giovani reclute che hanno appena perso la vita a Gaza hanno avuto a malapena diritto a una menzione compassionevole nella stupefacente "intimazione" a François Hollande, presidente della Repubblica, pubblicata dal Monde (martedì 5 agosto) e firmata congiuntamente dai signori Rony Brauman, Régis Debray, Edgar Morin, accompagnati, per buona misura e per imbavagliare qualsiasi obiezione, da una quarta moschettiera, moglie del fu indignato Stéphane Hessel, Christiane di nome.
Testo partigiano, mendace, privo di coraggio e adescatore, della cui falsità gli spiriti augusti che l'hanno redatto non potevano non avere coscienza, così come della sua debolezza: in una parola, del suo vuoto. Si capisce che, nel pieno del mese di agosto e per essere certi che si concedesse alle loro affermazioni la gravità richiesta, abbiano immaginato di chiamare alla riscossa il presidente della Repubblica, arruolandolo sotto il loro vessillo per darsi consistenza, infliggendogli di essere "responsabile" di una certa idea di Francia e intimandogli di agire, in altre parole di scatenare e capeggiare una crociata anti israeliana. Non hanno osato raccomandare il dispiegamento di una o due squadriglie di caccia Rafale, che risolverebbero la questione alla libica e garantirebbero alla Francia di non perdere il proprio onore.
   Ma non dubitiamo che questa brillante idea sia stata accarezzata da alcuni. Diamo fiducia a François Hollande: "Chi credono di essere", penserà lui, come già François Mitterrand, che sapeva come rispondere a qualsiasi forma di intimazione: "Chi credete di essere? Per chi mi avete preso?", come diceva sempre a chi pretendeva di forzargli la mano. "A Gaza non si muore né di fame né di sete"
   A chi potremo far credere che Hamas, nemico numero uno di Israele e della sua esistenza (i programmi scolastici di Gaza per ragazze e ragazzi su questo punto sono di una chiarezza e unanimità disperante) si sia fatta cogliere di sorpresa dai bombardamenti israeliani? Li ha voluti. Quale che possa essere l'orrore e la collera ispirati dal numero di morti e feriti civili, è Hamas il loro primo responsabile. Gioca a fare la verginella con un cinismo freddo cui fanno eco le quattro anime belle dell'"intimazione".
   Non è la prima volta che l'esercito israeliano penetra a Gaza e ogni volta le sue perdite sono così pesanti, sul bilancino della storia di questo popolo, che si capisce la sua reticenza a inviare i propri figli verso morte certa.
   Ma così è questa bestia cattiva: quando viene attaccata, si difende. Attacca, per di più, senza pensare alle "sproporzioni" che le saranno rinfacciate. I nostri moschettieri si rinchiudono in un argomentare grottesco tra l'incidente aereo della Malaysia Airlines, attribuito a Vladimir Putin, e i morti palestinesi, vittime "mirate" e rivendicate da Israele.
   Il fatto che Israele "miri" le sue vittime deve essere conteggiato a suo credito, e a suo onore. Telefoni, volantini e sms avvertono le persone che saranno bombardate.
   Ci si congratula ridicolmente con il presidente della Repubblica per "essersi fatto carico del destino e del cordoglio delle famiglie delle vittime d'una catastrofe aerea in Mali" (come se non avesse di meglio da
Hamas sapeva che l'assas- sinio di tre adolescenti israeliani e le ondate di missili sulle città ebraiche, avrebbero scatenato la risposta d'Israele, e l'ha voluta.
fare!), ma si tace accuratamente dei 10 mila missili sull'attenti nei tunnel di Gaza come le statue dei guerrieri Xi'an nello Shaanxi, in attesa del proprio turno di essere lanciati in modo, questo sì, indiscriminato sulle città israeliane, su Gerusalemme, Tel-Aviv e Haifa per la prima volta a portata. Hamas sapeva che l'assassinio di tre adolescenti israeliani rapiti, insieme alle ondate di missili sulle città ebraiche, avrebbe scatenato questa risposta, e l'ha voluta. La sua provocazione è riuscita, il che non significa che essa sia stata in grado di rompere il crescente isolamento di Hamas nel mondo arabo, che era probabilmente l'obiettivo inconfessato di tutto il fiato dato alle trombe.
   Si parla di Gaza come di una prigione a cielo aperto, e si abbocca alle proteste di Hamas contro la chiusura, da parte egiziana, del varco di Rafah e contro lo smantellamento dei tunnel che passano sotto la frontiera sud.
   La propaganda di Hamas è ben congegnata, ma è falsa, come sempre è la propaganda. A Gaza non si muore né di fame né di sete, i negozi traboccano merci, basta avere i soldi, e lo scontro tra classi esiste a Gaza come in ogni posto del mondo. Gli abitanti ricchi, che vivono nelle grandi ville sulle alture, non fanno la carità ai rifugiati, che trattano alla stregua di un cancro. "Abbiamo avuto occasione di andare a Gaza, dove esiste un Istituto culturale francese; e gli SOS che riceviamo dai nostri amici in loco, che vedono i loro cari morire in una solitudine terribile, ci sconvolgono", scrivono Rony, Edgar, Régis e Christiane. L'Istituto culturale francese di Gaza, parliamone: è un regno del caos umanitario, messo lì come avamposto della propaganda anti israeliana riecheggiata da mille altoparlanti che cercano di far passare una città nemica, e per questo sottoposta ai blocchi, per il ghetto di Varsavia.

(Il Foglio, 25 agosto 2014)


La scienza delle sirene

di Rossella Tercatin

Era forse un falso allarme, quello che stamattina poco dopo le otto ha costretto gli abitanti di Tel Aviv a mettersi al riparo. Non lo erano invece le sirene che a partire dalle 6 hanno svegliato i cittadini dell'area di Ashdod, Ashkelon, Eshkol, con i razzi sparati da Hamas che hanno continuato a piovere in tutto il sud di Israele anche nelle ore successive.
Un suono che non assomiglia a quello nervosamente ripetitivo delle ambulanze, né al fastidioso ritmo degli antifurti. Le sirene dello Zeva Adom, del Codice Rosso, che talvolta si possono scorgere appese ai pali della luce o sugli edifici, si distinguono subito per un ululato lungo, profondo, capace di interrompere la vita quotidiana come i momenti di quiete per dare il segnale di cercare protezione.
Negli ultimi 45 giorni, da quando è iniziata l'operazione Margine protettivo, sono scattate oltre 4mila volte. L'allarme può partire automaticamente o essere attivato manualmente. Quando il radar intercetta un missile sparato da Gaza, la sua traiettoria e velocità vengono trasmesse nel giro di centesimi di secondo all'Home Front Command di Tsahal, rendendo possibile l'identificazione del tipo di colpo e la probabile area di impatto. Sono 204 le "zone di sirene" in cui è suddivisa Israele, e fino ad oggi, oltre il 99 per cento dei razzi che potenzialmente mettevano in pericolo vite umane ha fatto correttamente scattare il codice rosso, anche per segnalare la possibilità di detriti da cielo. Nelle aree più vicine al confine con la Striscia, dove ci sono solo 15 secondi per mettersi al riparo, la sirena suona ogni volta che un colpo parte, anche se poi risulta diretto altrove.
A partire dal 2012, a offrire un ulteriore baluardo contro i missili lanciati da Gaza, oltre alle stringenti istruzioni su come comportarsi in caso di allarme, è anche il sistema antimissile Iron Dome, capace di intercettare i razzi diretti contro centri abitati con una affidabilità sempre più alta.
Così sotto i cieli azzurri dell'estate israeliana, è diventato ormai comune aspettare il suono dello scoppio del missile distrutto in aria dopo l'allerta delle sirene. Il tutto in attesa che gli unici ululati per le strade del paese tornino a essere antifurti e ambulanze. Soprattutto nel sud, sempre più stremato.

(moked, 25 agosto 2014)


"Sono pronta a combattere e a morire per Israele"

Intervista a Silvia Gvili, donna israeliana, già riservista dell'esercito di Israele: "I palestinesi vanno disarmati e messi nella condizione di non attaccarci. E Israele non deve uscire dalla guerra finchè non ha raggiunto l'obiettivo. I media ci fanno passare per i cattivi, ma non è così!".

Silvia Gvili
Silvia Gvili è una donna israeliana che in passato aveva sposato un italiano e aperto un'attività nel nostro Paese. Poi è tornata "a casa sua" in Israele, dove attualmente vive e lavora. Ma periodicamente torna in Italia per incontrare i cari amici italiani e per fare conoscere agli amici israeliani il nostro paese. In questi giorni ha fatto tappa in Emilia, ospite di un riservista nell'esercito di Israele. Sono in aumento gli italiani - non necessariamente ebrei, anzi, alcuni di essi sono cristiani praticanti - che scelgono di dare il proprio contributo a sostegno di Israele arruolandosi nell'esercito israeliano come riservisti. Abbiamo intervistato Silvia Gvili.

- Silvia, che idea si è fatta dell'Italia e degli italiani?
  Penso che gli italiani siano un popolo bello, il Governo un po' meno, perchè è da cambiare in tante cose. Personalmente vedo una situazione economica lentissima, la gente è disperata e sempre più giovani, appena hanno finito di studiare, vogliono lasciare l'Italia. Molte famiglie ebraiche stanno facendo i bagagli per lasciare questo Paese. Qui non c'è un gran futuro per i giovani. Mio figlio, nato da me, israeliana, e da padre italiano, non aveva prospettive in Italia, così è tornato a casa, in Israele, è ha trovato subito un lavoro e sta bene.

- Come viene visto il nostro Paese dagli israeliani?
  Gli israeliani pensano che in Italia si viva come in paradiso, tanto che mi chiedono perchè sono tornata in Israele. Allora ho cercato di spiegare come realmente stanno le cose, partendo dalla mia esperienza personale.
Avevo investito tutti i miei risparmi in un'attività. Vendevo prodotti del Mar Morto e li vendevo bene, anche perchè erano ottimi prodotti, ma poi tutto quello che guadagnavo lo dovevo spendere in tasse. Praticamente ho perso tutto pagando le tasse e per vivere ho dovuto chiedere prestiti ad amici. Lo Stato italiano non aiuta. Qui la cassa integrazione finisce dopo due anni, invece in Israele lo Stato ti dà poco, circa 500 euro al mese, ma almeno te le dà sempre, se hai bisogno, che tu abbia lavorato o non lavorato. Ovvio che non regalano i soldi, devi dimostrare che non trovi lavoro.

- Il Governo Renzi risulta alleato o distante?
  Per il momento né carne né pesce. Non si capisce ancora qual è la sua posizione nei confronti di Israele. Dopo Berlusconi i rapporti economici con l'Italia si erano fermati, poi pare che ultimamente qualcosa si stia muovendo.
Ora per Israele è un momento molto delicato, essendo in corso una guerra.
La bellezza del popolo ebraico - ma ci sono anche cristiani - è unica. Noi siamo vivaci e per certi aspetti un po' individualisti, ma da quando è iniziata la guerra siamo uno per l'altro. E' emersa una profonda e speciale solidarietà. Israele ora è piena di bandiere israeliane appese in quasi tutte le case. Famiglie che hanno dei soldati dentro Gaza vengono assistite, oltre che dallo Stato, anche dai vicini di casa. Quando un soldato torna a casa per un momento di riposo, viene accolto da tutta la comunità in modo festoso, come un eroe.

- Ma la popolazione non è stanca di una guerra continua?
  La maggior parte della popolazione vorrebbe vedere la guerra finita, ma non così.

- I palestinesi affermano anche di aver "ripulito" quasi tutto.
  Ho i miei dubbi. Dai Servizi Segreti si è saputo che i palestinesi avevano a Gaza 12.000 missili. Quanti ne sono stati eliminati? 5.000? Ciò vuol dire che ce ne sono altri 7.000... Il popolo vuole che venga ripulito totalmente il territorio dalle armi e dai missili, i palestinesi vanno disarmati e messi nella condizione di non attaccarci. E Israele non deve uscire dalla guerra finchè non ha raggiunto l'obiettivo.

- Una guerra costosa.
  Come tutte le guerre. Pensi che un Iron Dom (ndr. il sofisticato antimissile israeliano) costa 70.000 dollari... non è poco. Io pago le tasse per questo, per produrre quei missili, ma se si potessero usare quei soldi per altri scopi sarebbe meglio.

- A proposito di Iron Dom, ci sono pericoli per i cittadini quando in cielo viene distrutto un missile palestinese da un Iron Dom israeliano?
  Qualche pericolo effettivamente esiste. Anche l'altro giorno c'erano due missili su Tel Aviv che però sono stati intercettati e distrutti in volo. L'unico pericolo sono le schegge, perchè se arriva sul corpo umano può provocare la morte.

- Lei ha fatto parte dell'esercito israeliano?
  
Sì, per due anni. E' stata la più bella esperienza della mia vita, oltre la nascita di mio figlio. Ero una bambina, a 18 anni, molto timida. E lì si impara subito a crescere in fretta. In un mese ti fanno capire cosa stai per fare. Io lavoravo molto in mezzo agli arabi e imparai a conoscerli bene. Ci fu una cosa che mi è rimasta impressa in modo particolare.

- Quale?
  C'era un ragazzo arabo che tutti i giorni veniva davanti alla nostra base militare per venderci le pite (ndr, tipico pane arabo), carino, simpatico, affabile... gli volevamo tutti bene. Poi un giorno giunge cadavere alla base. Aveva cercato di accoltellare un soldato israeliano. Il soldato, per difendersi, ha sparato e ucciso quel ragazzo. E' un episodio emblematico, perchè capisci che di loro non puoi mai fidarti. Poi ci sono arabi e arabi. Ad esempio quelli che oggi vivono a Tel Aviv sono molto ben integrati e con loro conviviamo tranquillamente nel rispetto reciproco.

- Recentemente sono stati richiamati anche i riservisti nell'esercito. Chi sono?
  Sono stati richiamati 55.000 riservisti israeliani e chiamati "in attesa" altri 20.000 riservisti. Ciò vuol dire che questi ultimi non possono uscire da Israele, devono essere pronti alla chiamata effettiva in caso di necessità, oppure a sostituire temporaneamente i riservisti chiamati che si riposano. Sono uomini fino a 45 anni che hanno già svolto il servizio militare. Le donne possono essere richiamate fino a 35 anni. All'inizio non chiamano coloro che sono sposati e che hanno bambini, tranne se uno è ufficiale. E' un'attenzione particolare di Israele per non creare la condizione di bambini orfani.

- Ci sono tanti riservisti che vengono anche dall'estero.
  Sì, sono volontari, non sono obbligati a far parte dell'esercito. La cosa bellissima è che stanno arrivando da tutto il mondo tanti volontari riservisti non ebrei. Molti cristiani riservisti non israeliani, ad esempio, vanno nelle basi, non combattono, ma danno il proprio sostegno nel settore sanitario. Io ammiro questa gente. Pensi che regolarmente viene a fare il riservista anche un prete finlandese.

- Secondo lei finirà la guerra in corso?
  Sì, prima o poi finirà. Ma i palestinesi torneranno a fare missili e tunnel. Recentemente hanno trovato un tunnel che parte dal Libano e arriva fino in Israele. Ci siamo rimasti malissimo. Lo sa perchè è nato il tunnel? Perchè è nato l'Iron Dom: capendo che tramite i loro missili i palestinesi non potevano fare nulla perchè la tecnologia israeliana vince, hanno pensato a operazioni tramite terra. Non sono una veggente, ma il prossimo anno vedrà che gli israeliani inventeranno qualcosa per individuare tutti i tunnel presenti.
Tornando alla sua domanda, questa parte della guerra finirà, ma la guerra non finirà mai. Dal momento in cui loro non vogliono riconoscere Israele che speranza c'è?

  - I media internazionali raccontano la verità sul conflitto israeliano-palestinese?
Purtroppo spesso i media presentano la situazione in modo errato. Fanno sempre passare Israele come lo Stato cattivo - solo perchè siamo i più forti -, mentre i palestinesi sarebbero le povere vittime innocenti. Basta vedere in TV un bambino palestinese morto che viene immediatamente accusato Israele di commettere crimini di guerra. Ma le cose non stanno così.

- Cosa risponde a chi dice che l'errore fu commesso a monte, quando si decise di costituire e riconoscere lo Stato di Israele?
  Dico innanzitutto che Israele non andava "costruito", ma "ri-costruito", perchè Israele c'è sempre stato. E' scritto anche nella Bibbia, il libro più antico del mondo. Israele è degli ebrei. Punto. Lo Stato di Israele prima era vuoto. I russi che vennero in Israele nell'800 trovarono una vasta palude, molti morirono di colera.
A me interessa che gli ebrei abbiano la loro casa, se quel pezzo di terra in quel luogo non va proprio bene, allora mi viene da dire: "Dateci un altro luogo, della stessa grandezza, ma che sia tutto nostro. Qualcuno è disposto?". Secondo me nessuno. C'è chi ha invitato gli ebrei a tornare nei loro Paesi. Ma mia mamma, ad esempio, che è nata in Libia, dove va? E chi è nato in Polonia? C'è qualcuno in Polonia disposto a dare la propria casa che un tempo era la casa di ebrei? Nessuno. E' inutile parlare. E' facile stare al caffè parlando di guerra... ma la gente dovrebbe andare realmente a partecipare alla guerra e allora vedrà che cambia idea.
I politici possono dire quello che vogliono, non mi interessa. Casa mia è Israele. Punto. Nessuno me la prende. E se io devo morire là per combattere, muoio là per combattere.

(Alicenonlosa.it, 25 agosto 2014)


I carnefici, le vittime, i combattenti per la libertà

Hamas fucila in piazza i palestinesi che si battono contro il suo regime dittatoriale e terrorista che manda al massacro i civili di Gaza.

L'hanno chiamata "operazione strangolamento". Undici persone, tra cui due donne, condannate a morte con l'accusa d'aver collaborato con Israele (nella lotta contro il regime terrorista di Hamas che domina nella striscia di Gaza) sono state trascinate venerdì mattina, imbavagliate e con le mani legate dietro la schiena, nel trafficato incrocio di fronte all'Università Al-Azhar, della città di Gaza. I carnefici hanno atteso che il luogo si riempisse di folla, compresi numerosi bambini, e poi li hanno fucilati con un colpo alla testa, uno per uno.
Lo stesso pomeriggio, un plotone d'esecuzione dall'ala militare di Hamas si è radunato nel complesso della Grande Moschea riservando ai fedeli una macabra sorpresa: i carnefici avevano con sé altre sette vittime, tutti a volto coperto. Una breve raffica, e l'ambulanza in attesa ha potuto portar via il lugubre carico.
Sabato mattina, terza puntata. Altri quattro uomini accusati di collaborare con Israele (nella lotta contro il regime terrorista di Hamas) sono stati trascinati nella piazza principale del campo palestinese di Jabaliya e passati per le armi davanti a centinaia di spettatori e passanti, bambini compresi....

(israele.net, 25 agosto 2014)


I reclutatori di jihadisti in Italia

Sarebbero circa 200: il loro compito è di fare proseliti nel nostro Paese per gli estremisti islamici. E 50 giovani convertiti sono andati ad arruolarsi in Siria e Iraq. Le adesioni soprattutto a Brescia. Torino. Padova e Bologna. Nel 2011 l'imam Bosnic. uno dei leader più integralisti. predicò a Cremona. l più pericolosi sono, però, i reclutatori, agenti residenti in Italia, rientrati dopo un periodo di addestramento all'estero, specie in Afghanistan. Sarebbero pronti a organizzare attentati.

di Virginia Piccolillo

  Jihad: parola araba che significa «esercitare il massimo sforzo». Si riferisce a una delle istituzioni fondamentali dell'Islam e com- pare in 23 versi del Corano, il testo sacro per i musulmani. Anche se si discute molto sulla sua vera interpretazione, negli ultimi decenni buona parte delle scuole coraniche concorda sul fatto che Jihad implica una battaglia, in ambito militare, soprattutto contro quelli che vengono considerati i persecu- tori e gli oppressori.

ROMA - Sono almeno cinquanta. Giovanissimi. Reclutati e indottrinati spesso via Internet Vengono dalle città del Nord: soprattutto Brescia, Torino, Ravenna, Padova, Bologna, e diversi piccoli centri del Veneto. Ma anche Roma e Napoli. La gran parte, almeno l'80 per cento di loro, sono italiani convertiti all'Islam da poco. E di colpo. Ma ci sono anche figli di immigrati, di seconda generazione. Tutti sono attualmente tra Siria e Iraq, pronti ad immolarsi per la jihad: la guerra santa. Ecco l'identikit delle decine di «foreign fighters», i combattenti italiani arruolati dal terrorismo nelle schiere dell'Isis (Stato islamico dell'Iraq e del Levante) dei quali ha parlato ieri al Corriere il ministro dell'Interno, Angelino Alfano.
  Nei rapporti riservati della nostra intelligence, che li ha posti sotto controllo, i «foreign fighters» sono la punta estrema di fanatismo in un fenomeno che non è coeso in un unico nucleo, ma frammentato. E che può contare su un gruppo più consistente di residenti in Italia che fungono da «Ufficiali di collegamento» tra il nostro territorio e il terrorismo islamico. Secondo le relazioni della nostra intelligence, sarebbero almeno duecento questi ultimi soggetti «attenzionatì», ritenuti molto pericolosi dai nostri servizi perché rientrati nel nostro Paese dopo un periodo di addestramento in basi segrete, per lo più in Afghanistan. Rappresentano un fenomeno del tutto nuovo e in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei come Gran Bretagna, Germania e Francia e Belgio. Lì la gran parte dei jihadisti reclutati, molto più numerosi di quelli italiani, vanno direttamente a combattere come volontari nei teatri di conflitto. Da noi è il contrario. La maggioranza resta a fornire sostegno logistico, organizzativo e di reclutamento sul nostro territorio, ritenuto uno snodo nevralgico. Anche perché le politiche di integrazione e di accoglienza stanno rendendo sempre più difficile riconoscere, all'intemo del popolo di disperati in arrivo sulle nostre coste, quei soggetti che tornano dalla Siria o dalla Libia con ruoli di primo piano. E capaci di fare da punto di riferimento per le nuove reclute.
  I «foreign fighters», dalle indagini finora svolte, sono tutti molto giovani. Hanno tra i 18 e i 25 anni. E sono per lo più maschi Non si hanno per il momento notizie di donne partite dall'Italia per combattere. Sono stati convertiti alla fede jihadista spesso attraverso il web. E' la novità principale del fondamentalismo violento. Un'insidia molto difficile da combattere. L'indottrinamento avviene con tecniche pervasive e rapide, che in poco tempo fanno fare ai ragazzi il passo decisivo della partenza verso i teatri di guerra. Tecniche psicologiche manipolative potenti, sperimentate in Pakistan, nei campi di addestramento per giovani kamikaze. Quando sono pronte, le reclute dell'Isis possono contare sugli ufficiali di collegamento che organizzano le loro trasferte spesso senza ritorno. Come è stato per una decina di questi ragazzi partiti dall'Italia e morti in Siria.
  Molti combattenti nel nostro Paese sono stati reclutati al Nord. È in fermento la zona di Brescia, assieme alle città di Torino e Milano. Ma anche Ravenna e Bologna, l'area di Padova, la Valcamonica, oltre a Napoli e Roma. Mentre a Cremona era attivo Adhan Bilal Bosnic, ritenuto uno dei principali reclutatori dell'Isis e considerato dagli analisti uno dei sostenitori in Siria del Califfato oltre che uno dei leader wahabiti integralisti. È noto sui siti Internet integralisti il suo video che inneggia alla distruzione degli Stati Uniti con slogan del genere: «Con esplosivi sul nostro petto costruiamo la via verso il paradiso». Se il web aumenta la capacità pervasiva di radicalizzazione, secondo l'intelligence andrebbe certamente tenuta sotto maggiore controllo l'attività svolta nelle moschee. Mentre in molti Paesi islamici esiste un ministero degli Affari religiosi che a volte valuta in anticipo i sermoni tenuti da imam conosciuti e controllati, da noi no. E senza l'obbligo di pronunciare i discorsi in italiano diventa difficile capire quando la religione cede il passo alla violenza. E quando, invece di pregare per la fratellanza universale, si incitano i fedeli alla guerra santa.
  L'allarme infiltrazioni è stato più volte lanciato in questi mesi di grandi sbarchi. E se il ministro dell'Interno, come aveva già fatto il sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti, ha minimizzato sull'incidenza tra i migranti di potenziali terroristi islamici, c'è comunque grande preoccupazione. Molti di quei circa duecento «Ufficiali di collegamento» presenti sul nostro territorio nazionale sono rientrati in Italia da Paesi in guerra, inclusa la Siria: come distinguerli con certezza dai richiedenti asilo? Sono loro, del resto, a destare maggiori timori. A capo di piccoli gruppi di intervento, dediti per lo più alla raccolta di fondi e al reclutamento, secondo gli esperti sarebbero pronti, nel momento in cui arrivasse l'ordine, a trasformarsi in micro-cellule terroristiche. O a fornire supporto logistico per l'organizzazione internazionale di eventuali attentati.

(Corriere della Sera, 25 agosto 2014)


Oltremare - Scuola in guerra
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”
“In piazza e fuori”
“Dopoguerra”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Se Cesare faceva le campagne d'estate un motivo c'era, e se Napoleone è stato sconfitto dal Generale Inverno, anche. Questa guerra (sfido qualunque politico israeliano a continuare a chiamarla "operazione" per salvare il bilancio e la faccia) avrebbe dovuto iniziare e finire durante l'estate. Il fatto che continui, salvo interventi salvifici di qualche genio della strategia diplomatica che non sembra essere ancora nato, è gravissimo e impatta sulle nostre vite, sui nostri nervi e adesso anche sulla capacità del paese di mantenere una normalità, perlomeno lavorativa.
Non solo il dopoguerra è durato una manciata di giorni, ma il ritorno dei missili minaccia adesso direttamente il sistema scolastico e con lui milioni di genitori, che devono trovare il sistema di lavorare anche se i figli non andassero a scuola il primo settembre. Dall'esterno può sembrare una questione triviale: che differenza fa se le sirene suonano e i missili di Hamas cadono in luglio, agosto o settembre? O in che mese tutto il sud di Israele prende in considerazione di migrare verso nord lasciando kibbutzim e moshavim, paesi e città assolutamente israeliane che nessuno ha mai messo in discussione dal punto di vista della diplomazia politica.
Già il fatto che molte attività per i bambini sono state cancellate durante agosto ha fatto danni a molte famiglie, dove i genitori hanno dovuto a turno prendere vacanze per occuparsi dei figli. E si sa, che in Israele tutti abbiamo ben pochi giorni di ferie. Se, come si minaccia questa settimana, l'anno scolastico dovesse non iniziare finché la guerra non finirà, perché non tutte le scuole hanno i rifugi antimissile, il conto dei lavori perduti potrebbe arrivare a numeri allarmanti.
Si comincia a parlare apertamente di recessione, si ritorna con la memoria ai primi anni 2000, quando la seconda intifada faceva esplodere assassini in luoghi pieni di civili israeliani, e l'economia crollava senza rete. Non ci siamo ancora, ma ci sono sempre meno appigli sul piano inclinato sul quale questa guerra ci fa scivolare: il morale e l'economia, si sa, vanno a braccetto. Uno dei due deve essere messo in salvo e subito.

(moked, 25 agosto 2014)


Ritorna la vecchia accusa-bufala del trapianto di organi

Passano i secoli, ma le vecchie accuse contro gli ebrei tardano a tramontare. Anzi, sono rilanciate spudoratamente da testate giornalistiche altrimenti note per la loro autorevolezza; sebbene le stesse si nascondano dietro l'ipocrita citazione di una terza fonte, senza effettuare il doveroso fact-checking, ne' tantomeno appurare la smentita successivamente prodotta dalla fonte in questione.
In attesa che qualcuno rilanci le antiche accuse di impastare le azzime con il sangue dei cristiani, il britannico Time ripropone una spudorata accusa già prodotta ai tempi dell'operazione Piombo Fuso del 2008-2009: i soldati israeliani si impossesserebbero dei corpi dei miliziani palestinesi, asportandone gli organi e rivendendoli. Un'accusa strampalata, partita da un articolo pubblicato all'epoca su un quotidiano scandalistico svedese dal nome Aftonbladet, molto letto nella folta comunità musulmana scandinava....

(Il Borghesino, 25 agosto 2014)


«Nessuno ha pagato per Auschwitz»

Le rivelazi'oni' del guardiano del lager. Processi "truccati": ex nazisti 1'80 per cento dei giudici. Punita solo una SS su 200.
di Claudio Guidi

BERLINO - Per diversi decenni la giustizia tedesca ha rinunciato a perseguire i responsabili degli orrori nazisti, ma adesso che ci prova seriamente rischia di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. La durissima requisitoria viene condotta con implacabile metodologia dallo Spiegel, che nel numero in edicola oggi spiega anche i motivi della passata cecità o strabismo, pubblicando come scoop una lunga intervista ad uno degli ultimi guardiani di Auschwitz ancora in vita. Lo scorso 19 febbraio le procure di Assia, Baden-Württemberg, Baviera e Nordreno-Westfalia avevano perquisito con un'operazione congiunta le abitazioni di trenta ex appartenenti alle SS in dodici diverse località, arrestandone tre, tornati nel frattempo a piede libero, tutta gente di età superiore agli 88 anni, con l'accusato più anziano che sfiora i cento.
   L'operazione aveva provocato un'eco enorme in tutto il mondo, ma adesso a sei mesi di distanza il bilancio si mostra in tutta la sua magrezza, poiché la maggior parte degli inquisiti sono nel frattempo morti
Il 20% degli interrogati era d'accordo «con il trattamento riservato da Hitler agli ebrei», mentre un altro 19% considerava la sua politica nei riguardi degli ebrei esagerata, ma fondamentalmente giusta.
oppure in condizioni tali da non poter comparire in giudizio, con il risultato che le inchieste proseguono al momento solo contro sei persone, due delle quali al massimo dovrebbero comparire davanti ai giudici. Se queste due SS venissero riconosciute colpevoli, la percentuale dei nazisti condannati in Germania per aver partecipato allo sterminio degli ebrei toccherebbe il picco massimo dello 0,48%. A dare la misura del fallimento della giustizia tedesca nel procedere alla resa dei conti con i responsabili ai vari livelli dell'Olocausto sta il fatto che dalla fine del Terzo Reich ad oggi i tribunali hanno pronunciato condanne solo contro 29 appartenenti alle SS impiegate ad Auschwitz, mentre i membri della famigerata organizzazione presenti sul suolo tedesco erano oltre 6500.
   Le ricerche del settimanale di Amburgo portano adesso alla luce che la sola procura di Francoforte aveva aperto 1.060 procedimenti di inchiesta, archiviati poi nella quasi totalità dei casi con motivazioni spesso allucinanti. Lo Spiegel scrive che «una delle motivazioni più ciniche» fu che gli ebrei in arrivo nei campi di sterminio non erano consapevoli della sorte che li attendeva, dunque non potevano aver voglia di fuggire dai lager, con la conseguenza che le SS di guardia al campo non avevano alcuna necessità di impedire la loro fuga. Nel lungo articolo dal titolo ''La vergogna del dopo Auschwitz" il settimanale spiega perché si è arrivati a tanto, sottolineando che «troppo pochi furono quelli che tentarono di punire i responsabili, in quanto lo sterminio di massa compiuto ad Auschwitz non interessò i tedeschi né prima, né dopo il 1945». Un sondaggio condotto dagli americani nell'ottobre di quell'anno aveva evidenziato che il 20% degli interrogati era d'accordo «con il trattamento riservato da Hitler agli ebrei», mentre un altro 19% considerava la sua politica nei riguardi degli ebrei esagerata, ma fondamentalmente giusta. Nei ranghi
L'80% dei giudici e dei procuratori in servizio nel dopoguerra in Bassa Sassonia e Nordreno-Westfalia aveva alle spalle un passato nazista.
della giustizia la voglia di perseguire i responsabili era quasi inesistente, visto che l'80% dei giudici e dei procuratori in servizio nel dopoguerra in Bassa Sassonia e Nordreno-Westfalia aveva alle spalle un passato nazista, con una percentuale pressoché identica tra i giudici della Corte di Cassazione. Nei pochi casi in cui si arrivò ad un processo le pene furono così lievi da far calcolare che la condanna fu di dieci minuti di prigione per ogni ebreo ucciso. Uno dei casi più eclatanti fu quello di Johann Kremer, che nel 1960 uscì libero dall'aula del tribunale nonostante avesse compiuto esperimenti umani, come quando il lo ottobre 1942 aveva scritto nel diario di aver "prelevato materiale fresco vivente, fegato, milza e pancreas". Il settimanale pubblica anche l'intervista con il novantunenne Jakob W., uno degli ultimi guardiani di Auschwitz ancora in vita e serbo di origine, che vigilava dalle torrette del lager di Auschwitz-Birkenau e che adesso parla a ruota libera, dopo che la procura di Stoccarda ha archiviato un mese fa l'inchiesta contro di lui, poiché già condannato in Polonia per lo stesso reato. «Ognuno sapeva quel che succedeva nel campo, ho visto una volta la camera a gas di circa 90 metri quadri», racconta l'ex guardiano, spiegando che i tentativi di fuga furono pochissimi. «Quelli che ci provavano erano dei disperati, subito abbattuti sui reticolati. Molti dei guardiani tedeschi dicevano che "è colpa di questi ebrei di merda se stiamo qui". Davano la colpa agli ebrei per il servizio che facevano. La mattina i prigionieri uscivano per andare da qualche parte a costruire strade e tornavano la sera. Durante il giorno nel lager non si vedeva nessuno e noi passavamo il tempo leggendo. Io leggevo la Bibbia o il giornale». Jakob W. aggiunge che i camini dei forni crematori non erano alti e a seconda del vento arrivava un puzzo insopportabile. Quando i crematori non ce la fecero più, hanno gettato i cadaveri in un fossato largo 3-4 metri e li hanno bruciati giorno e notte, buttando nel fuoco i cadaveri usciti dalle camere agas, Quando stai lì di guardia, non puoi non vedere. Alla fine ci si abitua a tutto».

(La Stampa, 25 agosto 2014)


Milano celebra Chagall

Una grande mostra del 17 settembre a palazzo reale con oltre 220 opere e l'autobiografia inedita dell'artista ebreo russo.

di Nicoletta Castagni

 
Marc Chagall: "Le petit salon" - Il suo primo dipinto, nel 1908
Marc Chagall - A Parigi, nel 1934
Sarà la più grande retrospettiva mai realizzata prima in Italia per celebrare il genio di Marc Chagall, quella che si svolgerà dal 17 settembre all'1 febbraio a Milano, negli spazi di Palazzo Reale. Con oltre 220 opere provenienti dalle maggiori collezioni pubbliche e private internazionali, la mostra sarà anche l'occasione per presentare un'autobiografia inedita del maestro russo, scoperta qualche tempo fa a Parigi, nell'archivio di Marc e Ida Chagall, in cui racconta scambi pungenti con Picasso, il tributo alla pittura di Claude Monet, l'ammirazione per Bonnard, il toccante primo viaggio «in terra ebraica» («Sullo sfondo di quel paesaggio, riconoscevo e vedevo i profeti vicino a me»), le meraviglie floreali di Nizza, non risparmiando giudizi politici e religiosi.
   Intitolata Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985, l'importante esposizione è promossa dal Comune di Milano-Cultura, ed è organizzata e prodotta da Palazzo Reale, 24 Ore Cultura - Gruppo 24 Ore, Arthemisia Group e GAmm Giunti, mentre l'ideazione è di Claudia Zevi & Partners. A curare la rassegna proprio Claudia Zevi, che, in collaborazione di Meret Meyer, ha mirato a presentare l'intera produzione di questo artista amatissimo, dal primo quadro, Le petit salon, fino alle ultime, monumentali opere degli anni '80. Lo scopo dichiarato è quello di documentare, grazie a una panoramica così completa e di qualità, la rarissima capacità di Chagall di restare sempre fedele a se stesso, alla sua cifra poetica e pittorica ancora oggi immediatamente riconoscibile da tutti, nonostante la sua vicinanza ai movimenti delle avanguardie storiche, di cui sperimentò i più svariati linguaggi.
   I capolavori (dipinti, acquerelli, gouache, pastelli) che saranno esposti a Milano presenteranno dunque una nuova interpretazione dell'arte di Chagall, che costruì la propria vena poetica nel corso del '900 amalgamando genialmente tra loro le diverse radici culturali a cui per tutta la vita appartenne: quella originaria ebraica, quella russa e l'arte occidentale fiorita nella Parigi degli albori del XX secolo. Sulle tracce dell'autobiografia scritta da Chagall al momento del defmitivo abbandono della Russia, si aprirà quindi il secondo periodo del suo esilio, prima in Francia e poi, negli anni '40, in America dove vivrà anche la tragedia della morte dell'amatissima moglie Bella. Con il ritorno in Europa e la scelta di stabilirsi in Costa Azzurra, l'artista ritroverà il suo linguaggio poetico più disteso.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 agosto 2014)


Gaza, ucciso in un raid il "banchiere" di Hamas

Un missile ha centrato l'auto su cui viaggiava

Tra le vittime dei raid israeliani a Gaza c'è Mohammed alGhul, elemento cruciale nella gestione delle finanze del gruppo islamista. Un attacco aereo ha centrato l'auto sulla quale viaggiava, ha affermato un portavoce militare israeliano, «aveva un ruolo importante nel trasferimento di fondi per la costruzione delle infrastrutture del terrore a Gaza, come i tunnel». La morte di al-Ghul è stata confermata da fonti palestinesi e si aggiunge all'eliminazione di tre dei sei più alti in grado comandanti militari di Hamas, avvenuta nei giorni scorsi. Nei raid israeliani, in risposta ai razzi sparati da Hamas, però hanno perso la vita anche una donna e i suoi tre figli piccoli nel nord di Gaza. Il raid ha centrato un'abitazione vicino a Jabalia, ha riferito Ashraf alQudra, portavoce dei servizi di emergenza. Il bilancio delle vittime dei raid compiuti ieri arriva così a 12 morti.

(La Stampa, 25 agosto 2014)


Hamas colpisce il valico di Erez. E verso Israele missili anche da Siria e Libano

Colpi di mortaio sparati da Gaza sono esplosi al valico di Erez, principale punto di transito fra Israele e la Striscia. Radio Gerusalemme e Haaretz parlano di tre feriti dei quali uno in condizioni gravi. Negli ultimi giorni tiri di mortaio di Hamas hanno mirato senza tregua ai villaggi israeliani vicini alla Striscia, nel tentativo di costringere gli abitanti ad abbandonarli.
   Nella notte inoltre missili verso il territorio israeliano sono stati lanciati dal Libano. Haaretz riporta il ferimento di otto persone. In mattinata, sempre sul confine nord del paese, altri razzi sono stati lanciati verso il territorio israeliano da territori siriani. Nessun danno e nessun ferito sono stati però segnalati dalle autorità israeliane, poiché deflagrati in zone non abitate delle alture del Golan.
   Intanto continuano i raid israelinani sulla Striscia. In mattinata è stato raso al suolo un edificio di sette piani e gravemente danneggiato un centro commerciale a due piani nella Striscia di Gaza dai quali Hamas lanciava razzi verso Israele. "Gli abitanti di Gaza devono lasciare immediatamente tutti i siti da dove Hamas conduce le sue operazioni'' perché rischiano di essere colpiti da Israele. Questo l'avvertimento ribadito oggi da Benyamin Netanyahu. "Non ci può essere alcuna immunità verso chi spara contro di noi. E ciò' vale per tutti i fronti'': ossia anche per Libano e Siria.
   Il premier israeliano ha inoltre attaccato duramente Hamas, criticando il suo comportamento nei confronti della popolazione palestinesi e paragonandolo allo Stato islamico: ''Sono due rami dello stesso albero velenoso'', ha detto, avanzando il paragone per la terza volta in pochi giorni. Per Netanyahu, questa convinzione comincerebbe a far breccia anche in alcuni Paesi della regione e occidentali. ''Entrambi - ha affermato - mirano a un Califfato e negano i diritti umani''.
Per avvertire la popolazione palestinese di lasciare le proprie case e allontanarsi dalle zone più calde della Striscia, Israele ha liberato milioni di bigliettini informativi. I raid continueranno per tutta la giornata.

(Il Foglio, 24 agosto 2014)


Gaza: si apre sotto le bombe l'anno scolastico

È iniziato fra mille difficoltà, e sotto le bombe, l'anno scolastico dei bambini di Gaza. Le operazioni di Tsahal non si sono fermate questa domenica.
Alle 13 erano almeno sette i morti palestinesi vittime degli attacchi israeliani. Fra questi un razzo contro una macchina, sarebbe un assassinio mirato di Gerusalemme.
Continua anche il lancio di razzi dai territori. Uno è caduto al valico di Erez, un altro in un campo vicino Tel Aviv.
A Rafah ecco ciò che resta di un centro commerciale, distrutto perché sarebbe servito per nascondere armi di Hamas. L'organizzazione islamica che controlla Gaza ha giustiziato una ventina di persone accusate di essere dei collaboratori di Israele. Un gesto condannato dal presidente palestinese Mahmoud Abbas.
La pace non è mai apparsa così distante e la violenza delle operazioni israeliane colpisce persino i più anziani: "Distruzioni del genere qui non le abbiamo mai viste, nemmeno nel 1948, nel 1956 oppure nel 2008", dice una donna.
Da Gerusalemme il premier israeliano Netanhyahu dal canto suo ha affermato che le operazioni continueranno fino a che non verranno raggiunti gli obbiettivi prefissi. Operazioni che potrebbero continuare anche dopo il primo settembre, dato della riapertura delle scuole in Israele.
"Hamas pagherà per i suoi crimini", ha detto Netanhyahu, "chiedo agli abitanti di Gaza di abbandonare i luoghi dove Hamas nasconde armi. Oguno di questi luoghi è un nostro obiettivo".
Israele è scioccato per la morte di un bambino di 5 anni ucciso in una colonia da una scheggia. Gli attacchi contro il villaggio non si sono interrotti neppure durante i funerali del piccolo, ma i genitori non se ne sono accorti.

(euronews, 24 agosto 2014)


I palestinesi lanciano razzi durante il funerale di un bambino

Le località del Neghev occidentale, nel sud d'Israele, si sono trovate stamattina nuovamente sotto attacco dei miliziani
quelli che sparano sui funerali sono terroristi, non "miliziani"
palestinesi di Gaza mentre in un cimitero della zona si svolgevano stamane i funerali di un bambino di quasi cinque anni ucciso venerdì da un tiro di mortaio.
Una ventina di razzi e di colpi sono esplosi nella zona. Sirene di allarme anche ad Ashdod e Ashqelon, a sud di Tel Aviv. Un razzo è stato intercettato in volo.

(Primocanale, 24 agosto 2014)


Tecnologia e cyberguerra. Anche così il Qatar sostiene Hamas

Secondo Israele Doha oltre a fornire armi tecnologiche, avrebbe colpito più volte con attacchi hacker Gerusalemme.

Dal punto vista pratico, oltre agli aiuti "hard", il Qatar starebbe sostenendo Hamas con interventi "soft". Attraverso al Jazeera ad esempio ma anche con operazioni nel mondo dell'informazione digitale e delle costruzioni.
Proprio facendo riferimento a questo punto, Israele ha più volte accusato il Qatar di fornire non solo armi a Hamas (circostanza sempre smentita da Doha), ma anche di aver guidato una guerra informatica contro Gerusalemme e di aver fornito dispositivi tecnologici avanzati ai combattenti delle brigate al Qassam, il braccio armato di Hamas.
I tunnel ad esempio - secondo quanto riporta il Jerusalem Post - non sono cunicoli medievali bui e umidi, scavati nella roccia, difficili da controllare. I nascondigli di Hamas (che Israele ha annunciato di aver distrutto completamente) sono rifugi all'avanguardia. Completamente automatizzati, in grado di riconoscere quando un soldato israeliano si avvicina, in modo da essere evacuati in tempo. La stessa cosa si può dire dei missili, controllati a distanza e programmati. Avanzamenti tecnologici che non sarebbero stati possibili senza l'aiuto del Qatar.
Parlando di cyberguerra, invece, come fa notare la società di sicurezza americana Arbor Networks, dall'inizio delle operazioni di terra da parte di Israele le reti di Gerusalemme hanno subito migliaia di attacchi informatici. Alcuni sono stati rivendicati dal gruppo Anonymous. Ma secondo una fonte del ministero della difesa di Israele citata dal Jerusalem Post, il 70% di essi sarebbero arrivati da indirizzi IP qatarioti.

(America24, 24 agosto 2014)


"W Hamas" sulle scale del Duomo di Livorno

Le scritte fatte con vernice spary rossa sono apparse domenica mattina, probabilmente sono state eseguite nella notte. Indaga la polizia.

 
 
LIVORNO - "W Hamas" sulle scale del sagrato del Duomo e davanti all'ingresso della chiesa di Santa Caterina, in piazza dei Domenicani. Due scritte fotocopia, fatte con uno spray rosso, apparse domenica mattina 24 agosto in piazza del Duomo ai piedi delle scale che conducono alla cattedrale nel quartiere Venezia.
L'unica certezza sembra che siano state eseguite dalla stessa mano. E quasi certamente sono state fatte nella notte. La scritte inneggiano al Movimento islamico Hamas, espressione del nazionalismo palestinese. E arrivano dopo il volantino antisemita trovato dalla polizia in centro e dopo le polemiche legate allo striscione contro Israele esposto in Venezia sugli Scali del Refugio, davanti al centro sociale, dai giorni di Effetto Venezia, dove è rimasto fino a metà agosto. Sul caso indaga la polizia: si procede per l'imbrattamento che peraltro ha colpito un monumento. Accertamenti in corso per individuare gli autori.

(Il Tirreno, 24 agosto 2014)


La verità sui tunnel di Hamas. Per scavarli schiavizzano i bimbi

Reportage e studi svelano l'impiego dei minori come manovali nei passaggi sotterranei: in molti muoiono. Operai adulti uccisi per evitare che parlino.

di Michael Sfaradi

GERUSALEMME - Attacchi di mortaio targati Hamas e raid anti-terroristi da parte israeliana sono ripresi, e questo è un fatto. Ma, soprattutto durante l'ultima breve tregua e il conseguente rientro dalla Striscia di Gaza di molti reporter occidentali, emergono - anche se solo in rete o via Twitter - notizie in controtendenza rispetto alla vulgata a favore del gruppo palestinese che si legge sui media europei.
   Ecco allora che viene alla luce la storia dei tunnel vista con gli occhi della popolazione palestinese di Gaza, o perlomeno di coloro non necessariamente organici all'attuale gruppo che governa Gaza. È una storia di soprusi, intimidazioni e omicidi che gli uomini di Hamas per anni hanno portato avanti indisturbati.
   Il fatto è che, secondo testimonianze raccolte sul posto, la maggior parte dei lavoratori che hanno costruito i tunnel venivano bendati, privati dei loro telefonini che avrebbero potuto avere un Gps incorporato e caricati su pullman o camion per essere portati ai cantieri. Nessuno di loro sapeva dove si trovava e chi fossero i guardiani che rimanevano per tutto il tempo con il viso coperto dalle kefiah. Erano costretti a scavare le gallerie per dodici ore al giorno, con una paga che variava dai 150 ai 300 dollari al mese. Ma il «trattamento di fine rapporto», spesso, era una pollottola in testa: chi si ritrovava a lavorare nelle gallerie che entravano in territorio israeliano quasi sempre veniva eliminato. Il vero motivo di queste uccisioni era il mantenimento del segreto sulla posizione dei tunnel, e la scusa per l'esecuzione era sempre la stessa: essere collaboratori di Israele. Bastava avere avuto dei contatti con degli israeliani per essere considerati spie, e se pensiamo che oltre la metà della popolazione di Gaza prima della salita al potere di Hamas lavorava nelle serre di Gush Katif, insediamento che sorgeva fra Khan Yunis e Dayr al Balath, o aveva addirittura il permesso per recarsi nello Stato ebraico, capite come possa diventare facile, in un regime che utilizza senza vergogna le esecuzioni sommarie, essere additati come collaborazionista, peraltro senza un processo degno di questo nome. Anche le diciotto esecuzioni pubbliche dell'altro giorno, avvenute sulla pubblica via e con modalità agghiaccianti, stanno a dimostrarlo, e non s'è udita alcuna voce di attivista dei diritti umani a levarsi per stigmatizzare un episodio che, per la verità, non è certo una novita nella Striscia dominata da Hamas.
   E dunque, mentre Hamas e i suoi sostenitori mostrano immagini raccapriccianti di bambini morti e feriti per guadagnare simpatia planetaria e ritrarre Israele come stato criminale, emerge un'altra verità. L'Istituto Palestine Studies ha pubblicato un rapporto di Nicolas Pelham sui tunnel di Gaza, in cui si denuncia l'uso indiscriminato dei minori nei lavori sotterranei, cantieri che hanno provocato molti decessi infantili. Si parlava di almeno 160 bambini morti, ma le informazioni di questi giorni fanno purtroppo salire il numero in maniera esponenziale. E attenzione, non si parla qui di media pregiudizialmente schierati con Israele: anche B'Tselem, organizzazione per i diritti umani pro-palestinese, ha pubblicato un video intitolato «Gaza uno sguardo all'interno: Tunnel della Gioventù», dove si descrive il lavoro nelle gallerie. Hamas le ha fatte costruire utilizzando alcuni degli stessi bambini che durante la guerra sono rimasti intrappolati sotto il fuoco dei missili e delle artiglierie, e mentre il numero delle vittime dell'Operazione Margine di Protezione è sotto i riflettori, quando i bambini morivano nei tunnel tutto rimaneva in silenzio.
   La tragica storia è sempre la stessa: nella Striscia ci sono purtroppo bambini che muoiono e che vengono esposti per provocare nel mondo intero comprensibile sdegno, e altri che invece scompaiono nel silenzio più assordante.

(Libero, 24 agosto 2014)


Gush Etzion, sulle colline dove nasce la rabbia di Israele

Nei villaggi dei tre studenti uccisi, roccaforte ortodossa: "Qui c'è la vera anima ebraica". Tutti indossano la «srugà» e i giovani della zona sono l'ossatura dei corpi speciali.

di Maurizio Molinari

 
30 giugno 2014 - Studenti della yeshiva Mekor Chaim, dopo aver saputo che i tre giovani rapiti erano stati uccisi.
A meno di cento metri dall'entrata di Mon Shvut c'è la «trampeada» dove è iniziato l'attuale conflitto fra Hamas e Israele. La «trampeada» è il posto dove i residenti di Gush Etzion fanno il «tramp» - ovvero l'autostop - per spostarsi in un'area dove i trasporti pubblici sono quasi inesistenti.
   E' qui che alle 22,30 del 12 giugno gli adolescenti Eyal Yifrah, Naftali Frenkel e Gilad Shaer salgono a bordo dell'auto-trappola di Hamas, dove vengono uccisi poco dopo il sequestro. Venire su queste colline, a metà strada fra Gerusalemme e Hebron, serve a comprendere in quale misura il blitz di Hamas ha ferito Israele e dunque, di conseguenza, l'entità della resa dei conti militare ancora in corso nella Striscia di Gaza. Ciò che distingue Gush Etzion - il «Blocco di Sion» - è l'essere un gruppo di insediamenti che, pur trovandosi topograficamente in Cisgiordania, è considerato dagli israeliani parte integrante di Gerusalemme e di Israele.
   Per scoprirne il motivo bisogna attraversare il cancello giallo di Kfar Etzion - attaccato ad Mon Shvut - dove nel 1927 un gruppo di ebrei immigrati dallo Yemen tenta per la prima volta di costruire un insediamento nei pressi delle grotte dove i Maccabei si rifugiarono per sfuggire agli ellenizzanti e dove Bar Kochbà sfidò le legioni di Roma. L'intenzione degli yemeniti è di «proteggere Gerusalemme a Sud» ma si arena davanti all'ostilità del terreno roccioso che anche nel 1935 ostacola i fondatori di Kfar Etzion. La svolta arriva nel 1943 quando un gruppo di ebrei cecoslovacchi e ungheresi, riusciti a sfuggire alla Shoah, domano le colline di pietra grazie a una rudimentale coltivazione a terrazze. Cinque anni dopo il Gush Etzion è un insieme di quattro insediamenti, somma oltre 500 adulti e 50 bambini, e grazie all'agricoltura inizia a essere un tassello della Gerusalemme ebraica ma viene travolto dalla Legione Giordana 24 ore prima della proclamazione dell'indipendenza di Israele. La Legione infatti, sostenuta dai volontari dei villaggi arabi locali, conquista il Gush uccidendo 240 difensori, catturandone altri 260.
   Kfar Etzion cade il 13 maggio 1948 e i vincitori ne fanno scempio: ogni edificio è raso al suolo, i difensori che si arrendono sono passati per le armi e i cadaveri delle vittime - in gran parte civili - restano per oltre un anno esposti alle intemperie sul luogo della battaglia. Figli e nipoti delle vittime, anno dopo anno, si alternano assieme ai pochi sopravvissuti sul Monte Herzl per osservare da lontano con potenti binocoli - nell'anniversario della caduta - il luogo della strage, identificandola con la quercia solitaria presente su questo colle da almeno 700 anni. Quando nel 1967 gli israeliani conquistano la Cisgiordania, sono gli stessi sopravvissuti e discendenti a ricostruire il Gush distrutto. E un nuovo inizio che dà origine all'attuale blocco di 18 insediamenti, per un totale di 20 mila residenti, la cui caratteristica è di ospitare accademie rabbiniche e vigneti, scuole di trekking e parchi turistici, zoo biblici e start up di alta tecnologia in quello che assomiglia ad un microcosmo della società israeliana. Con una caratteristica in più: la maggioranza dei residenti sono «datim-leumim», nazional-religiosi, ovvero appartengono a quei gruppi di ebrei osservanti che hanno generato i «modern-orthodox» divenuti la tendenza di maggiore successo nell'ebraismo americano.
   La genesi è nel pensiero di Abraham Isaac Kook, primo rabbino capo ashkenazista della Palestina sotto mandato britannico, favorevole a coniugare ortodossia e modernità, che si studia anche nella yeshivà «Mekor Chaim» di Rabbi Adin Steinsalts frequentata proprio da Eyal, Naftali e Gad. «Se quando nacque, Israele aveva la sua spina dorsale nei kibbutzim laici di matrice socialista - osserva Meir Steinberg, portavoce del consiglio di Gush Etzion - oggi ad averli sostituiti sono i nazional-religiosi». Per accorgersene basta guardare le foto dei soldati dei reparti speciali in uscita da Gaza dopo la fine delle operazioni di terra: in gran parte hanno in testa la kippà «srugà» ovvero il copricapo religioso ebraico fatto a uncinetto, come usano i nazional-religiosi che si formano spesso nel movimento giovanile Benè Akivà, lo stesso frequentato dal sottotenente dei Givati, Hadar Goldin, il cui corpo esanime è stato catturato a Gaza da Hamas. Senza contare che Efrat, insediamento poco lontano da Gush Etzion, vanta la maggior percentuale di generali per abitante dell'intera nazione.
   La fusione fra studio della Torà (legge ebraica), servizio militare e identità sionista si rispecchia nella «Pninà Hamà» (Angolo Caloroso), una piccola baracca creata dieci anni fa sull'incrocio stradale all'entrata del Gush dove i volontari servono cibo ai soldati di passaggio, giorno e notte, ogni singolo giorno dell'anno. Fondata dalla moglie di un dottore ucciso in un agguato terroristico, è auto-gestita da un network di dozzine di volontari. Quando vi entriamo dietro al balcone ci sono due donne di 54 anni, entrambe immigrate da New York nel 1984, che servono granite al lampone e dolci di ogni tipo a soldati in transito fra Beersheva e Gerusalemme. «Ogni mattina sono le famiglie che ci portano il cibo, noi siamo qui per darlo gratis ai soldati, facendo turni di 12 ore». E i militari ringraziano lasciando le bandiere dei reparti, o le mostrine delle proprie divise, con tanto di firme, personali e collettive. «Pninà Hamà» è un successo tale da essere stata emulata sulle Alture del Golan, in uno degli incroci più frequentati dai soldati al Nord, e a Sud, a ridosso della zona di operazioni a Gaza.
   «A Gush Etzion c'è l'anima di Israele - riassume Orly Jacobovitch, medico - e dunque chi ci vive non si riconosce nella definizione di "coloni" spesso usata all'estero come anche nelle diatribe sugli insediamenti in Cisgiordania che segnano spesso i rapporti fra Israele e Stati Uniti». A pensarla nello stesso modo è Amit, che gestisce un parco di daini nella Valle di Elah, secondo il quale «su queste colline vengono ogni anno 120 mila turisti perché è uno degli angoli dello Stato dove natura e Storia si fondono di più con l'identità ebraica». Da qui i malumori nei confronti del governo Netanyahu «perché non autorizza più la costruzione di immobili - come afferma Meir Steinberg - provocando rincari dei prezzi che impediscono alle giovani coppie di trovare casa». II fatto che nella coalizione di Netanyahu vi siano almeno cinque ministri che risiedono negli insediamenti non cambia l'opinione dei residenti. «Netanyahu può fare poco - afferma Ofer, manager del ristorante del vigneto Yekev - perché deve cedere alle pressioni di Obama, il presidente più avverso a noi che sia mai stato alla Casa Bianca».

(La Stampa, 24 agosto 2014)


II mondo chassidico di Leybush Peretz

II tempo del Messia e altri racconti di Itskhok Leybush Peretz, Storia e letteratura, pagg. 144, euro 9.

di Susanna Nirenstein

«Noi siamo una nazione ebraica e lo yiddish è la nostra lingua», sono parole di Itskhok Leybush Peretz (1852-1915 ), uno dei più importanti rappresentanti della cultura e del pensiero politico dell'ebraismo dell'Europa orientale. Nato vicino a Lublino, a Zamosc da una famiglia ortodossa, presto si senti parte dell'Illumismo modernizzatore ebraico. In quel momento Haskalà significava anche apprendere le lingue europee ed usare le lettere sacre nella narrativa. Fu quello che Peretz fece, ma il bistrattamento dell'yiddish come dialetto dei paria, lo portò a farsene il portavoce. Da Varsavia, dove si trasferì nel 1880, coltivava la sete di riscatto degli emarginati su tutti i piani, incoraggiando scrittori come Bialik e Sholem Ash, la musica, il teatro... le folle lo acclamavano. Del mondo chassidico salvaguardava la Torah e le leggende, ne condannava però l'inerzia e il ruolo medievale lasciato alle donne: è forse questo l'elemento più chiaro che traspare dai racconti raccolti in questo libro con il testo yiddish a seguire e la generosa introduzione di Elissa Bemporad e Margherita Pascucci.

(la Repubblica, 24 agosto 2014)


La guerra stravolge le vacanze Israele scopre la paura di viaggiare

Parenti alfronte, lefamiglie tagliano le partenze nonostante gli sconti. Su iniziativa del ministero è stato aperto velocemente un sito Idavkaisrael.co.ill con un ventaglio di offerte turistiche in loco.

di Aldo Baquis

Fra i danni collaterali del conflitto a Gaza, uno dei più sentiti in Israele è quello del turismo estivo. Proprio quando centinaia di migliaia di israeliani si apprestavano a fare le valigie, i quasi quattromila di razzi sparati da Hamas fra luglio e agosto hanno sconvolto i piani di evasione. I richiami dei riservisti nell'esercito (80mila a luglio e poi, dopo una breve tregua e un congedo in massa, altri 10mila nuovi richiami ad agosto) hanno costretto le famiglie a decidere se partire per un viaggio all'estero o annullare i progetti, pagando penali alle agenzie di viaggio se avevano già prenotato. Nella seconda metà di luglio la situazione si è complicata ulteriormente quando un razzo di Hamas sparato da Gaza è caduto in una cittadina, Yahud, non lontana dall'aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. L'episodio è stato seguito da una interruzione dei voli per Tel Aviv di circa tre giorni delle compagnie aeree statunitensi e di buona parte di quelle europee. L'aeroporto ha proseguito le attività, ma con un tono ridotto.
  In quei giorni la vacanza all'estero si è rivelata critica per settemila turisti israeliani che non riuscivano più a tornare a Tel Aviv. In particolare quanti di loro si trovavano in Turchia hanno avvertito che la terra per loro scottava sotto ai piedi. Il consolato israeliano ad Istanbul era stato infatti attaccato da dimostranti filo-palestinesi, mentre i dirigenti di Ankara accusavano Israele di essersi macchiato a Gaza di un genocidio. I turisti israeliani in Antalia hanno allora temuto di poter essere oggetto di attentati. Il trasferimento dalla Turchia in Grecia (e poi finalmente in Israele, con un ponte aereo gestito da compagnie di volo israeliane), ha conosciuto momenti di vera suspence. La ripercussione di questi eventi è stata subito avvertita nelle agenzie di viaggio israeliane dove in poche ore tutte le prenotazioni per la Turchia sono state cancellate. Un'importante associazione legata alla centrale sindacale ha annunciato che d'ora in poi boicotterà il turismo verso quel Paese. A chi aveva già prenotato una vacanza in Turchia è stato offerto, con sovrapprezzo, di cambiare scegliendo ad esempio le isole greche, o la Bulgaria.
  Col procedere del conflitto (ormai divenuto di fatto una guerra di attrito), l'umore nazionale è molto calato. A luglio, nelle tre settimane di operazioni di terra, l'idea di assentarsi da Israele mentre un congiunto era forse impegnato in battaglia a Gaza è risultato fuori luogo per molti. D'altra parte agosto è il mese in cui i genitori portano i figli in vacanza all'estero, visto che i campeggi estivi terminano a luglio. Questi nuclei familiari hanno potuto usufruire di biglietti molto scontati. Le mete più popolari sono state spesso in Italia (Sicilia, Puglia e anche il lago di Garda); offerte promozionali hanno incluso celebri città fra cui Berlino, Amsterdam, Dublino, Barcellona. Anche gli Stati Uniti, nella estate 2014, si sono avvicinati ad Israele, grazie a biglietti di volo per New Y ork sotto ai mille dollari. Ma le ripercussioni drammatiche del conflitto sono state vissute dall'industria turistica israeliana. Anche se l'aeroporto Ben Gurion è tornato a funzionare a pieno ritmo, il turismo in ingresso è molto calato. A tenerlo in vita sono stati spesso turisti ebrei determinati a visitare Israele in un gesto di solidarietà. «E' nostro dovere - ha detto il ministro del turismo Uzi Landau - mantenere salda l'economia nazionale. Siamo impegnati su due fronti: quello militare e quello economico, in cui ogni cittadino deve sentirsi mobilitato. Questa estate non c'è posto più indicato per trascorrere le vacanze familiari che non nel nostro meraviglioso Paese». Gli israeliani hanno potuto così scegliere fra decine di opportunità di svago nel proprio Paese, spesso a prezzi scontati. Il Golan e la Galilea si sono trovati ai primi posti della lista delle attrazioni ma, con il calo generale dei prezzi, adesso gli israeliani si sono potuti permettere anche di trascorrere giorni di relax a Tel Aviv. Una stanza di albergo nella città che «non dorme mai» può essere ottenuta di questi tempi anche per la modica cifra di 60 euro.

(La Nazione, 24 agosto 2014)


Schwarzenegger e Stallone firmano una lettera contro Hamas

Schwarzenegger e Stallone
Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone sono tra i circa 180 firmatari hollywoodiani della lettera, che domani dovrebbe essere pubblicata su alcune riviste e giornali americani, in cui si afferma che «non si può consentire a Hamas di far piovere razzi sulle città israeliane, né di tenere il suo stesso popolo in ostaggio. Gli ospedali sono per la guarigione, non per nascondere le armi. Le scuole sono per imparare, non per lanciare missili. I bambini sono la nostra speranza, non i nostri scudi umani».
«Noi - recita il testo della lettera, riportato dal Times of Israel - siamo addolorati dalla devastante perdita di vite patita da israeliani e palestinesi a Gaza. Siamo addolorati dalla sofferenza su entrambi i lati del conflitto e speriamo in una soluzione che porti la pace nella regione». L'iniziativa, scrive Ynet, sarebbe stata lanciata da un'organizzazione chiamata Creative Community for Peace.

(Il Messaggero, 23 agosto 2014)


La pena di morte in versione Hamas

Uccisi in piazza 18 «collaborazionisti». Rincorsa dell'orrore nella logica cieca della pura intimidazione.

A poche ore dall'esecuzione del giornalista James Foley che ha fatto inorridire il mondo, Hamas non ha voluto essere da meno dell'Isis, con una raccapricciante emulazione della ferocia. In un giorno, i miliziani — oltre a uccidere con colpi di mortaio un bimbo israeliano — hanno pubblicamente giustiziato, in due distinti episodi. ben 18 propri connazionali e correligionari con l'accusa di collaborazionismo, senza un simulacro di inchiesta o processo né alcuna possibilità di proporre una difesa per le vittime. Anche due donne sono cadute sotto i colpi del "plotone" davanti a una moschea. Una stretta di terrore forse funzionale anche a intimidire la parte di popolazione palestinese sempre meno propensa a seguire la strategia di violenza dei capi politici e militari del movimento. Che purtroppo continua a essere ostaggio, anche per le pressioni di Paesi "alleati" del Golfo, di una cieca logica di morte.

(Avvenire, 23 agosto 2014)

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Hamas adotta il metodo ISIL

Nessuno stupore sul fatto che Hamas ammazzi a sangue freddo 18 palestinesi accusati di collaborazionismo con Israele. Nessuno stupore che il tutto sia avvenuto senza alcun processo, senza alcuna prova, senza niente di niente che provasse le accuse. Li hanno presi e ammazzati....

(Right Reporters, 23 agosto 2014)

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Abu Mazen contro Hamas per le esecuzioni sommarie a Gaza

Il presidente dell'Autorità Palestinese condanna la strage dei 'collaborazionisti'

IL CAIRO- Le esecuzioni sommarie di una ventina di presunti collaborazionisti palestinesi di Israele da parte di Hamas a Gaza sono "illegali" e al "di fuori del sistema giuridico palestinese". Così il segretario dell'ufficio di presidenza dell'Anp, al-Tayyib Abd al-Rahim, citato dall'agenzia Maan. Al-Rahim, capo dello staff del presidente Abu Mazen, accusa inoltre Hamas di aver "represso la dissidenza".

(ANSA, 23 agosto 2014)


"Palestina", sarebbe uno Stato questo, secondo le Nazioni Unite?


Leader palestinese giordano: «Hamas sta uccidendo il mio popolo"

- Questa volta dalla Cisgiordania il nostro primo invitato palestinese, un palestinese giordano, devo aggiungere; si tratta del militante politico Mudar Zahran. Mudar, benvenuto alla nostra trasmissione.
  
Grazie e saluti a tutti da Betlemme. Se guardate bene, potete scorgere sullo sfondo la Chiesa della Natività.

- Allora, come lei dice, la Chiesa della Natività sullo sfondo, Betlemme dietro di lei, non sono parole quelle che molti dei nostri telespettatori americani si aspettano di sentir uscire dalla bocca di un Palestinese.
  
Ebbene, scusatemi, ma questo non viene dalla bocca di un Palestinese, ma da quella di un leader palestinese, di un leader alla guida di 6,3 milioni di Palestinesi in Giordania, e io sono qui per parlare di fatti. Se voi chiamate RicK e i suoi amici, pazzi pro-Israele e razzisti, io non sono certamente pro-Israele, io non sono pazzo e non sono contro i Palestinesi. Io sono un Palestinese figlio di profughi. Hamas commette massacri, Hamas uccide il mio popolo! Hamas lancia razzi dalle scuole, dalle case! Hamas spara sulle persone, su Palestinesi che fuggono dalle zone civili prese di mira dall'esercito israeliano. L'esercito israeliano, di cui non sono certamente il difensore - io non amo Israele - l'esercito israeliano manda SMS, email e appelli alle case prima dei loro bombardamenti, perché Hamas spara dai quei posti. Ho sempre più prove che mi permettono di dire questo: Hamas impedisce loro di lasciare quelle zone. Di più, Hamas lancia [razzi] appositamente dai posti dove si trovano i civili, perché sanno che gli israeliani lì non spareranno. Credete a me, Israele ha uno degli eserciti più forti al mondo e l'esercito più forte della regione; se Israele volesse decimare Gaza, potrebbe farlo in 15 minuti. Quello che adesso abbiamo, sono 2000 civili innocenti uccisi a causa dell'incoscienza di Hamas, e Hamas non è che un altro gruppo terrorista che terrorizza il mio popolo. E oltre a questo, ci sono persone che non conoscono niente, come Penelope Cruz, che dice che Hamas dovrebbe essere sostenuto e tollerato. No, signorina Cruz, non mi sono mai piaciuti i suoi video, mai piaciuti i suoi film e oltre a questo non mi piace quello che lei va raccontando. Lasci stare il mio popolo, lei e gli altri idioti, e poi tutti gli altri imbecilli che non hanno alcuna idea di quello che succede realmente. Hamas deve essere fermato, il mio popolo soffre, il mio popolo sanguina e voi ve ne state seduti al caldo, a casa vostra, a Beverly Hills, e volete dire quello che dovete fare, quello che si deve fare e quello che Israele deve fare. No, noi siamo contro Hamas, la maggior parte dei Gazani è contro Hamas, e vorremmo vedere Hamas dileguarsi in aria. Hamas non è che un altro ISIS, un altro Al Qaida, un altro Boko Haram e merita di essere trattato come tale.

- Mudar, vorremmo aiutarla ad esprimersi ancora più liberamente. Noi apprezziamo i suoi commenti. Che cos'altro vorrebbe dire alla sinistra americana, alla sinistra internazionale, perché noi abbiamo telespettatori a livello internazionale i quali dicono: aspettate un momento, è Israele il responsabile di quello che succede laggiù, a causa delle colonie, e quello che fa Hamas è proteggere i deboli, gli oppressi, i tirannizzati...
  Ma certo che Hamas protegge i deboli! Lo vediamo da come Hamas ha ammazzato 35 manifestanti che manifestavano contro di lui 7 giorni fa. Li ha uccisi a sangue freddo, e 20 persone sono rimaste ferite. Che bell'esempio di protezione dei più deboli! Ragazzi, voi non conoscete i fatti, voi non sapete quello che succede, non sapete quello che succede. Io non sostengo Israele, ma tutta questa distruzione è stata arrecata al mio popolo, e non avete bisogno di credere a Rick e a tutti quegli altri che si potrebbero chiamare pazzi, voi potete credere solo agli abitanti di Gaza. Come dirigente, io sono in contatto con tutto il mio popolo a Gaza e sono tutti contro Hamas. E inoltre, non sono soltanto gli abitanti di Gaza, ma c'è anche un sondaggio dell'eccellente e rispettato Washington Institute il quale mostra che la maggior parte degli abitanti di Gaza sono contro Hamas. Uno di Gaza mi ha detto: "Per amor di Dio, vorremmo proprio che Hamas sparisse". Hamas ha portato miseria e distruzione, non si batte per la causa dei Palestinesi, Hamas si batte per il Qatar, lo Stato petroliero islamista. Lo Stato del Qatar lo finanzia e gli manda i soldi per uccidere gli ebrei, e che lo crediate o no, il Re di Giordania, che pretende di essere moderato, sostiene Hamas, e si hanno sempre più prove di questo. Perché gli Stati Uniti tollerano questo? Gli Stati Uniti lo tollerano perché il Qatar ha molto petrolio, di cui gli Stati Uniti hanno bisogno. Questo è il mio messaggio agli Americani: seguite persone come Thomas Kuhn che producono la tecnologia della fusione fredda, che metterebbe fine alla dipendenza dal petrolio arabo, controllato da dittature come il Qatar e pazzi come il Re di Giordania. Vi dovete rimettere in discussione e cercare delle risposte prima che sia troppo tardi.

- Mudar Zahran, perché si trova in Cisgiordania in questo momento?
  
Ho lasciato Londra e sono venuto in Cisgiordania un mese fa, devo essere con il mio popolo: loro muoiono, io merito di morire con loro. Se vivono, merito di vivere con loro. Io non sono meglio di loro e devo provare esattamente quello che loro provano.

- In quanto Palestinese giordano, capisco che lei è un profugo che, come lei dice, adesso vive a Londra. Spieghi ai nostri spettatori perché ha lasciato la Giordania.
  
Perché il Re di Giordania non tollera i militanti pacifisti. Rifiuta di dare ai Palestinesi la maggioranza del 78% che a loro spetta, e con questo rifiuta di onorare l'accordo originale. Ben pochi Americani sanno che noi abbiamo un accordo vecchio di 90 anni con gli ebrei di Palestina, da cui prendiamo il 78% della terra chiamata Giordania, e loro ricevono il 22% della terra, che è più piccola della Rhode Island, o forse appena un po' più grande della Rhode Island. E adesso il Re di Giordania, poiché i pazzi di Hamas rifiutano di riconoscere Israele, appare come un moderato, posa con tutte le star di Hollywood di sinistra e le invita in Giordania mentre nei fatti opprime la maggioranza palestinese. E qui sta l'ipocrisia: noi, Palestinesi di Giordania, viviamo come sotto l'Apartheid. Noi siamo esclusi dall'88% dell'accesso agli impieghi, dall'istruzione, dalla sanità, e non si sente mai la signorina Penelope Cruz parlare con la sua migliore amica Rania, la Regina di Giordania, e chiederle: "Perché fate questo ai Palestinesi?" Questo non succede mai, perché? Detto tra voi, me e i telespettatori, a dirla onestamente sono arrivato a credere che le persone dei media, a Hollywood e altrove, sono troppo ignoranti e troppo ciechi. In generale, loro detestano gli ebrei, che secondo me è più logico. E' più facile odiare e dire: "io detesto gli ebrei" invece di dire: "io amo i Palestinesi". E' qui che noi, i Palestinesi, siamo lasciati da parte: si evitano le persone come me. Penelope Cruz non diventerebbe mai mia amica, e nemmeno gli altri. Sarebbero amici dei combattenti di Hamas, forse.

- Mudar Zahran, il termo ormai è trascorso, vorrei chiederle: che cosa vede adesso in Cisgiordania, qual è la situazione di Hamas? Crede che sarà smilitarizzato in seguito a questo conflitto? O avranno ancora la possibilità di andare avanti, ma indeboliti?
  
Hamas riceve dal Qatar un sostegno finanziario incredibile. Hanno un potere di pressione incredibile del Re di Giordania che segretamente fa pressione per Hamas, lui e il suo governo alla Casa Bianca a Washimgton DC e al Congresso, dove per la prima volta si è fatto credere agli Stati Uniti [omissis] il Re di Giordania. Quindi non si fermerà, perché non ha motivo per fermarsi. La morte di civili non ha alcuna importanza ai loro occhi; in effetti, più si muore, più ricevono soldi dal Qatar, e inoltre i loro leader, quei vigliacchi, mentre io sono in Cisgiordania con il mio popolo e se fosse possibile sarei a Gaza, se gli israeliani mi aiutassero e mi dessero il permesso di andarvi, i leader di Hamas, loro, sono tutti in Qatar e a Aman, godendo della vita, e Khaled Mashall, leader di Hamas, ha una fortuna stimata a 2,6 miliardi di dollari, potenzialmente vicina o più grande di quella di Donald Trump.

- Ok, Mudar Zahran, bisognerà invitarla un'altra volta. Apprezziamo la sua passione, apprezziamo le sue rivelazioni per la sinistra qui in America, se saranno abbastanza intelligenti da aprire gli occhi. Lei almeno ha dato le informazioni. Di quello che ne faranno, è un problema loro. Grazie di essere venuto.

(YouTube, agosto 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Il peso delle lobby straniere in USA: la Giordania

di Emanuele Rossi

 
Barack Obama e il Re di Giordania
Basta guardare sulla carta geografica i confini della Giordania, per aver subito un'immagine chiara del destino del paese nella regione. Profughi; che arrivano da ovest, dove c'è la Palestina, ma da qualche anno arrivano anche da nord, dal conflitto siriano che ha riempito i campi di accoglienza. Ultimamente quelli che scendono dai confini settentrionali del paese, sono raddoppiati: adesso si muovono anche da nord-est, dalla confinante provincia di Anbar, in Iraq, area di partenza delle conquiste dello Stato Islamico; sono soprattutto cristiani, cacciati dal radicalismo del Califfo.
   Accoglienza: una politica intrapresa già da re Husayn I (che emanò la legge n.6 del 1954 che permetteva ai profughi, quasi esclusivamente palestinesi ai tempi, di ottenere la cittadinanza giordana senza troppi sforzi) e continuata dal primogenito Abdallah II, al governo dal 1999.
   La politica inclusiva giordana, è stata talmente aperta che la popolazione attuale è spaccata - anche in senso sociologico - tra due etnie: quella autoctona, la transogiordana, e quella palestinese. Si stima che la metà della popolazione abbia origini palestinesi, conseguenza dell'enorme esodo che dal 1948 - l'anno della Nakba - fino ad oggi, ha spostato oltre 2 milioni di arabi di Palestina (dati UNRWA). E i profughi palestinesi hanno spesso creato problemi ad Amman, nonostante fosse l'unico paese dell'area ad aver tolto la scritta "profugo palestinese" dai loro passaporti e avergli prospettato un futuro pari ai cittadini del regno - invece in altri stati, come Siria e Libano per esempio, i "rifugiati palestinesi" hanno enormi difficoltà a condurre una vita simile a quella dei comuni cittadini.
   Episodi come il "Settembre nero" del 1970 - quando il rea Husayn scampò a diversi tentativi di assassinio e riuscì a reprimere (con l'aiuto israeliano in rappresentanza degli USA) l'iniziativa delle fazioni più radicali dell'Olp, che dall'enclave di Karamesh studiarono un piano per sovvertire l'ordine e prendere il controllo del paese - sono ancora fermi nella memoria. Un equilibrio delicato tra le due culture ancora non del tutto fuse, aggravato in questi ultimi anni dai nuovi flussi migratori, che si sono inevitabilmente portati dietro anche il "marcio" della guerra civili siriana: un equilibrio che in questo momento, sia il governo che i giordani-palestinesi vogliono mantenere stabile, tenendo il jihadismo lontano dal paese.
   Servono aiuti, però: per questi la Giordania ha fatto leva proprio sulla propria politica di accoglienza, pressando la comunità internazionale e chiedendo in cambio dell'azione umanitaria supporto economico e sostegno politico. Soprattutto negli Stati Uniti, dove anche le lobby hanno giocato un ruolo chiave.
   La Giordania è un paese povero di risorse (soprattutto acqua, ma anche idrocarburi, sostanziale particolarità rispetto al resto della regione). Con le minacce ai confini, la prioritaria sopravvivenza della monarchia hashemita, è diventata ancora più impegnativa per gli Usa. I panel del Congresso hanno confermato il sovvenzionamento per 660 milioni di dollari annui al regno, divisi più o meno equamente tra supporti all'economia e aiuti militari (compresi training e attività counter-terrorism). A questi se ne aggiungono altri 338 che l'Amministrazione ha stanziato direttamente come "soccorso umanitario" ai profughi siriani (arrivati ormai a seicento mila).
   Amman ricambia, mantenendo ormai una linea completamente dipendente dalle volontà occidentali, su tutti gli affari strategici del Medio Oriente - la Giordania è uno dei 14 (solo 14) alleati non-Nato degli Stati Uniti, e l'America è molto preoccupata per la stabilità del trono di Abdallah. Obama stesso ha definito il paese «un grande amico e prezioso alleato»: al pranzo a Sunnylands con il sovrano, ha promesso di mantenere in piedi il pacchetto di aiuti (in scadenza) per puntellare l'economia giordana.
   I rapporti diplomatici del regno sono fortemente legati ai rapporti diretti del Re: le relazioni internazionali sono affidate a lui in persona, sebbene la Giordania stia pagando lo studio legale White&Castle per attività di consulenza sul diritto internazionale (costo 270 mila dollari annui) e la Vivien Ravdin per migliorare il settore "comunicazioni istituzionali". E nelle stanze di Washington, la rappresentanza comincia a farsi sentire di più anche grazie al lavoro di pr delle due società.
   Nelle relazioni, c'è un lato oscuro però, che riguarda una causa contro la Arab Bank (istituto di Amman che ha rappresentato tra il 20 e il 33% della capitalizzazione di mercato della Borsa locale) che gli Stati Uniti hanno accusato per aver facilitato operazioni bancarie e rifornimento di denaro alle famiglie di diversi esponenti di Hamas. Un tribunale distrettuale ha dichiarato colpevole la banca per non aver fornito i nomi dei "clienti", l'istituto si è difeso facendo appello alla policy interna sulla privacy. Abdallah ha chiesto l'intervento di POTUS per mettere un pietra sopra alla vicenda, Obama non si è mosso. Il primo ministro giordano ha fatto appello a John Kerry affinché la Corte suprema ribaltasse la sentenza di colpevolezza del tribunale distrettuale, sostenendo che la banca stava solo rispettando le leggi giordane sulla privacy: ma niente.
   Data la rilevanza della banca, il fatto è un grave danno di reputazione per la Giordania, che potrebbe destabilizzare l'economia locale. Circostanza che avrebbe ripercussioni politiche interne che costituirebbero un ostacolo per gli sforzi statunitensi di stabilizzazione del Medio Oriente.
   Scrive il New York Times che la questione ha diviso l'amministrazione Obama, tra funzionari del Dipartimento di Stato, che temono di perdere un alleato strategico fondamentale, e quelli del Tesoro, che pressano sull'assenza di privacy davanti a certe richieste. (Alla fine, per il momento, l'hanno spuntata gli uomini di Jacob Lew).
   Anche la politica estera sulla Siria, adottata dalla Casa Bianca, ha messo in difficoltà la Giordania, esponendola eccessivamente. È noto che le forze speciali americane, utilizzino un campo di addestramento in un canyon poco a nord di Amman, dove vengono preparati i ribelli "selezionati" alla guerra contro Assad. La Giordania ha più o meno negato sempre, tentando di abbassare (almeno ufficialmente) il proprio coinvolgimento e cercando di mantenere una posizione di opposizione di equilibrio tra l'opposizione ad Assad e il rischio che la Siria diventi un campo di battaglia internazionale appena fuori il confine.
   Ad Amman, c'è pure un centro di coordinamento di attività di intelligence, in cui la Cia collabora con servizi giordani e sauditi all'interno del territorio siriano. Adesso è lecito pensare che la struttura aumenterà le proprie attività, anche in vista della possibilità dei bombardamenti contro l'IS in Siria.
E il ruolo di partner occidentale, ritornerà di primissimo piano. Arab Bank a parte.

(formiche.it, 23 agosto 2014)


Di ritorno dal Golan, dove la paura assedia la civiltà

Come può l'anti-sionismo europeo ignorare che l'obiettivo di Hamas non è una Palestina libera, pacifica e prospera ma un'entità statuale islamica governata dalla sharia?

di Simona Bonfante

 
Il Kibbutz Merom Golan
Alture del Golan, confine tra Israele e Siria. Territorio israeliano per Israele, territorio occupato per la comunità internazionale. Siamo lontani da Gaza: da qui abbracciamo il Libano e tocchiamo la Siria. La Siria di Isis, di Bashar al Assad, dei massacri dei civili di cui la comunità internazionale, i pacifisti, la sinistra europea si interessa assai meno delle vittime di Gaza.
   La guerra si sente anche qui, dai villaggi e dai kibbutzal di qua del confine. Nel 2006 qui piovevano i missili di Hezbollah. Adesso il fronte è Gaza, al confine sud di Israele, ma qui al nord è già arrivata l'altra guerra, quella che fa di Israele la prima linea contro la furia occidente-fobica jihadista. I riservisti dell'esercito israeliano - gli studenti, gli impiegati, i padri di famiglia, i contadini, i maschi e le femmine, i giovanissimi brufolosi e gli appanzati quarantenni - sono già stati allertati da tempo, lo zaino già pronto per il fronte nord.
   Quando Iran e Qatar si decideranno, Siria e Libano diventeranno la nuova Gaza e quelle migliaia di persone normali, oggi civili di riserva, si ritroveranno a marciare.
   Armati, nel deserto, nella polvere, per ore e ore, con indosso la divisa dell'Idf ed un equipaggiamento di 40 chili, e chiedersi «ma che ci sto a fare io qui?».
   Questo pezzo di Israele, tra Libano e Siria, è fatto di contadini pionieri che hanno cominciato a coltivare le terre alla fine dell'800, insieme ai vicini - libanesi e siriani - in pace e cooperazione per trasformare il deserto in giardini ed orti, un miracolo di verde e di colore. I campi di mele e di mango si ritagliano con precisione geometrica, al di qua del confine. Di qua verde, di là deserto. I campi libanesi presidiati da Hezbollah sono abbandonati, i campi confinanti in territorio israeliano sono verdi e pieni di vita. Tra il qua e il là una linea di confine, punto. La vita dei campi è fatica, sacrificio: dov'è l'imperialismo in tutto questo?
   È l'Israele dei primi kibbutz - che ci sono ancora sebbene non più comunità socialiste - e dei nuovi kibbutzim, giovani "umanisti" che scelgono di vivere lontano dalla città, dal denaro, dalla carriera a tutti i costi. Per queste persone il confine tra "noi" e "loro" non è né l'ebraicità né il sionismo: è l'umanità. Ed è per questo che, più che paura, quassù la guerra provoca dolore, dolore per le vittime innocenti di un odio assurdo, gratuito, stupido.
   Dai kibbutz e dai villaggi del Golan si sentono glispari, e si vede il fumo delle bombe sulle popolazioni siriane, quel pezzo di guerra mediorientale di cui non si parla mai, sebbene le vittime civili, i bambini morti, siano molto più numerosi che a Gaza.
   «Non ho paura per me. Provo pena e dolore per quelle persone», mi dice una ragazza che vive in un kibbutz sul Golan e fa la cameriera in un bar di una località turistica sulle Alture adesso deserta a causa della guerra. Guerra significa anche questo, per Israele: turismo kaputt, attività ferme, alberghi vuoti,
Israele nasce da un'utopia comunitaria che regge ancora. Il collettivismo è morto, ma non è morto affatto il comunitarismo, che anzi si rigenera in forme nuove e vitali, ideologicamente libere, disincantate.
camerieri licenziati, guide turistiche a spasso. La ragazza, neanche trentenne, incinta, ci dice che, se non fosse per il marito - ricercatore all'Università - lei lascerebbe Israele anche subito. Per andare dove, tuttavia?
Israele è considerato il male imperialista, il prepotente che soggioga i deboli, il braccio mediorientale del capitalismo yankee, immorale e spregiudicato. Si dimentica tuttavia come Israele nasca da un'utopia comunitaria che regge ancora, nonostante tutto. Il collettivismo è morto, ma non è morto affatto il comunitarismo che anzi si rigenera in forme nuove e vitali, alternative al modello socio-economico metropolitano ma ideologicamente libere, disincantate.
   Non c'è ostilità per chi alla dimensione agreste preferisce Tel Aviv, con i suoi locali notturni, le sue case fighette, il suo attivismo no-stop. I nuovi kibbutzim sono per lo più abitati da giovani coppie istruite, cosmopolite che lasciano la città per scelta, per uno stile di vita più a misura di uomo, ma anche un po' per necessità visto che anche in Israele, come ovunque in Europa, le città sono sempre più care, le case sempre più piccole, gli stipendi sempre più bassi.
   Il governo israeliano incentiva in vari modi la urbanizzazione delle aree meno attrattive - come appunto le zone di confine, rese bersaglio dei missili dei vicini, e dunque non proprio garanzia di sicurezza e serenità per chi ci vive; e quelle economicamente svantaggiate, come le zone desertiche dove tuttavia, è il caso del Negev, l'ingegneria ha permesso di portare l'acqua, e l'acqua di creare cibo, e il cibo di creare vita.
   C'è Israele il luogo comune e c'è Israele il luogo reale. Israele è lo Stato dell'utopia realizzata. Non c'entra il sogno americano, non c'entra l'imperialismo, non c'entra il nazionalismo. C'entra la democrazia, la libertà. Israele è una democrazia libera. Hamas no, Hezbollah no, Isis no, il jihadismo no.
   «Perché l'Europa questo non lo capisce? E perché non lo capisce la sinistra?». Siamo in un kibbutz e mi devo sentire - io europea - rivolgermi queste domande da un tipo che se fossimo in Italia sarebbe sinistra-sinistra, e che mi ospita nel giardino senza steccati della sua casetta povera e bellissima.
   Perché in Europa - a Londra come a Parigi - si scende in piazza contro la guerra sventolando bandiere palestinesi come se la guerra fosse colpa di Israele? Come può l'anti-sionismo europeo ignorare che l'obiettivo di Hamas non è una Palestina libera, pacifica e prospera ma un'entità statuale islamica governata dalla sharia? Come fa l'Europa a non chiedersi cosa ne sarebbe degli ebrei qualora effettivamente si desse seguito al pacifismo retorico che vorrebbe che Israele, essendo militarmente più forte di quelli che lo attaccano, si limitasse a ricevere gli attacchi, subirli, lasciarsi sterminare?
   Quanti, di quei manifestanti per la pace nelle piazze di mezza Europa sarebbero disponibili ad accogliere a casa propria una famiglia di profughi israeliani, qualora Israele decidesse davvero di fare quello che gli si chiede da quelle piazze da cui sventolano le bandiere palestinesi, cioè lasciare agli arabi quella striscia di terra e sparire?
   Se si vuole il bene si deve combattere il male, non ignorarlo né confonderlo con gli effetti di quella complessa articolazione del bene che è la democrazia. Israele è una democrazia tollerante, illuminata, creativa, colta, ingegnosa: è una frontiera di opportunità, è un pezzo dell'Europa che è stata, o che avremmo voluto che fosse, e che comunque al momento non è più.
   Israele è una società libera in cui a nessuno è fatto divieto di esprimersi liberamente, e manifestare liberamente, e criticare l'autorità liberamente e praticare liberamente la propria laicità o la propria fede. A Gaza chi dissente da Hamas, chi non si conforma allo statuto jihadista di Hamas, chi non si attiene alla regola islamica imposta da Hamas, semplicemente viene fatto fuori. La sinistra europea - pacifista, laica, progressista, tollerante - ha capito in Medio Oriente da che parte sta il male?

(Europa, 23 agosto 2014)


La ferocia di Hamas

di Daniel Reichel

Una vendetta per la morte di alcuni dei suoi capi militari. Secondo l'esercito israeliano, è possibile che Hamas stia preparando un piano per un attacco terroristico su larga scala contro Israele oppure il rapimento di civili o soldati sul confine con Gaza. Per questo la zona di frontiera è stata rinforzata, con i soldati di Tzahal a perlustrare la zona. C'è il rischio, dichiarano dall'esercito, che il movimento terroristico possa utilizzare dei tunnel sotterranei per infiltrarsi in territorio israeliano. Nonostante l'ampia operazione portata avanti da Israele per distruggere la rete di cunicoli costruita da Hamas, il pericolo che alcuni di questi tunnel non siano stati scoperti esiste. E mentre le autorità israeliane controllano i confini con Gaza, dalla Striscia continuano a partire razzi contro Israele. A Beersheva, un uomo è rimasto ferito da colpi di mortaio mentre un missile è caduto in un'area vicino a Tel Aviv. Nella sola giornata di ieri, 109 razzi sono stati sparati contro Israele. Alcuni esperti israeliani dicono che Hamas stia esaurendo le scorte di armi (avrebbe ancora a disposizione il 25% del suo arsenale). Il premier Benjamin Netanyahu afferma che il movimento non è mai stato colpito così duramente e ieri tre dei suoi capi militari sono stati uccisi. Il nervosismo di Hamas nelle ultime ore ha mostrato una volta di più il volto del gruppo che controlla Gaza: 18 palestinesi sono stati giustiziati perché sospettati di aver passato informazioni a Israele. Almeno sei in pubblico, di fronte a una moschea.
Stando alle ricostruzioni dell'Agenzia France Press, uomini con le uniformi delle Brigate Ezzedine al-Qassam hanno portato i sei sospettati davanti alla moschea e, dopo averli spinti a terra, li hanno
giustiziati
In questi casi sarebbe meglio dire "uccisi", non "giustiziati". In hamas, come nella mafia, la giustizia non esiste.
a colpi di pistola. Un testimone - riporta la Afp - ha sentito uno degli aguzzini gridare: "questo è l'ultimo attimo dei collaboratori del nemico sionista".
Secondo Hamas, le 18 vittime avrebbero collaborato con Israele, indicando a Tzahal e all'intelligence israeliana tunnel e posizioni dei leader e miliziani del movimento nella Striscia, facendone un bersaglio dei raid israeliani. Nessun processo, ma solo efferata giustizia sommaria.

(moked, 22 agosto 2014)


Doppiopesismo mediorientale

Dopo un mese e mezzo, la guerra di Gaza incomincia a prendere una buona piega, con clamorose defezioni in campo palestinese, e un ottimo lavoro dell'intelligence israeliana, che stanno facendo pendere la bilancia a favore di Gerusalemme. Colpiti tre, se non quattro importanti esponenti del vertice militare dell'organizzazione terroristica, si percepisce decisamente la sensazione di panico da parte di Hamas. Incolmabili le distanze fra le pretese delle due fazioni: Khaled Meshal chiedeva a gran voce la rimozione del blocco parziale marittimo e terrestre, che impedisce che nella Striscia entri di tutto, incluse armi e munizioni; Netanyahu chiedeva la smilitarizzazione completa di Gaza....

(Il Borghesino, 22 agosto 2014)


Si apre una breccia nel muro di gomma. I rapporti inconfessabili tra palestinesi e Sismi

Occhi chiusi sul fiume di armi destinate alle cellule dell'Olp. In cambio niente attentati. E' il patto tra servizi segreti, Dc e Yasser Arafat. Un quadro già emerso in un processo menomato dai veti politici. Fino a ora: i documenti decisivi stanno per essere desecretati.

di Andrea Palladino

Una doppia politica. Un lodo - firmato da Aldo Moro - che garantiva tutti. Niente attentati, ma occhi chiusi sul fiume di armi da far passare nel nostro paese, destinate alle cellule internazionali palestinesi sparse in tutta Europa. Accordi per tre decenni coperti dal segreto di Stato, l'omissis tutto politico. Un sigillo che neanche la magistratura può violare.
  Ancora per poco. Perché i dossier sui rapporti tra la nostra intelligence e l'Olp di Yasser Arafat che hanno marcato la politica estera italiana tra gli anni '70 e '80 stanno per diventare pubblici. Ed è la prima volta
 
nella storia repubblicana. Scade il 28 agosto il termine ultimo del segreto invocato nel 1984 dall'ufficiale del Sismi Stefano Giovannone - confermato da Bettino Craxi il 5 settembre dello stesso anno e ribadito da Silvio Berlusconi per due volte tra il 2009 e il 2010 - di fronte alla domanda del pm romano Giancarlo Armati, che indagava sulla scomparsa in Libano dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni.
  Che rapporti avevate con i palestinesi? Era questa la questione chiave per capire non solo che fine avessero fatto i due reporter arrivati a Beirut nell'agosto del 1980, ma soprattutto i motivi del sistematico depistaggio attuato dall'intelligence italiana per coprire gli autori del rapimento e della successiva esecuzione. Ovvero la fazione più dura dei palestinesi, quella di George Habbash, detto al-Hakim, il dottore.
  Per le famiglie dei due giornalisti, che hanno lanciato una petizione per togliere il segreto di Stato e pubblicare on line tutti i documenti disponibili , i prossimi giorni saranno cruciali. Potrebbero essere il punto finale di una battaglia che dura da 34 anni. La verità sostanziale è nota e certificata dalla carte processuali, che hanno portato alla condanna di un brigadiere dei carabinieri addetto all'ufficio cifra dell'ambasciata italiana a Beirut (gli altri indagati, Giovannone e Santovito, alti ufficiali dei servizi, nel frattempo sono deceduti).
  Graziella De Palo, giovane freelance - collaboratrice di Paese Sera e dell'Astrolabio - e Italo De Toni, giornalista di esperienza di Diari con la passione sfrenata per il jazz, erano partiti per Beirut con idee precise. La capitale libanese godeva in quegli anni della fama di città più pericolosa del Medio Oriente, forse del mondo. Crocevia di spie, terroristi di ogni matrice, trafficanti di armi e di droga, faccendieri arrivati da ogni dove, gente pronta a sfruttare le opportunità di una guerra civile infinita, in una città divisa in due, tra i cristiani maroniti del partito falangista di Bashir Gemayel e le fazioni filo palestinesi. Toni e De Palo avevano contatti buoni, presi in Italia prima della partenza, direttamente con l'Olp di Arafat.
  Cosa cercavano? Tante le ipotesi. Di certo non si accontentavano del semplice racconto di una città in guerra. Graziella De Palo seguiva ormai da mesi il filo del traffico di armi. La sua agenda e i suoi quaderni erano pieni di annotazioni precise, nomi di società legate alla nostra difesa. Partono tre settimane esatte dopo l'attentato alla stazione di Bologna, quando in Italia si viveva la stagione delle bombe e dei misteri di Stato. Un anno prima a Ortona i carabinieri avevano fermato un gruppo di terroristi, una cellula composta dall'esponente dell'Autonomia Daniele Pifano, dal militante del Fplp di George Habbash (Fronte popolare per la liberazione della Palestina) Saleh Abu Anzeh, da Giuseppe Nieri e Giorgio Baumgartner, con un lanciamissili. Solo più tardi si scoprirà che quell'arma micidiale apparteneva all'Olp, e che l'Italia era solo un punto di transito, come spiegarono gli stessi palestinesi del Fplp in una lettera inviata al Tribunale di Chieti, competente per il caso.
  La prova dei rapporti inconfessabili tra l'intelligence militare italiana e l'organizzazione palestinese è arrivata - per il pm Armati che indagò sul caso - dal muro di silenzi e depistaggi alzato immediatamente dopo la scomparsa di De Palo e Toni. Scrive il magistrato nella sua richiesta di rinvio a giudizio per George Habbash, Stefano Giovannone (ufficiale del Sismi a capo degli uffici di Beirut) e Damiano Balestra (brigadiere dei carabinieri addetto all'ufficio cifra dell'ambasciata italiana in Libano): "L'istruttoria finora compiuta avrebbe certamente consentito di fare piena luce sulla complessa vicenda della scomparsa all'estero dei due giornalisti". Ma troppi sono stati gli ostacoli che hanno bloccato la procura di Roma: "In primo luogo l'atteggiamento completamente negativo delle autorità libanesi; in secondo luogo le difficoltà frapposte dalle autorità elvetiche (coinvolte per il caso del depistaggio sulla strage di Bologna attuata da Elio Ciolini, ndr); in terzo luogo la conferma da parte dell'autorità di governo del segreto di Stato opposto dal Giovannone, (…) che ha avuto l'effetto non voluto di coprire anche le ragioni della condotta dell'ufficiale del Sismi nei confronti dell'Olp".
  Per il pm Armati la condotta dei nostri servizi nella vicenda "presenta aspetti oscuri certamente estranei ai suoi fini istituzionali". Con un coinvolgimento - ipotizzato dalla procura - dello stesso direttore del
Il primo novembre del 1980 - due mesi dopo la scomparsa dei giornalisti - il capo del Sismi incontrò Arafat. Il leader dell'Olp chiese alla nostra intel- ligence di "stendere un velo pietoso sulla vicenda".
servizio, il generale Giuseppe Santovito. Il primo novembre del 1980 - due mesi dopo la scomparsa dei giornalisti - il capo del Sismi incontrò Arafat. Il leader dell'Olp chiese alla nostra intelligence di "stendere un velo pietoso sulla vicenda". Circostanza che lo stesso Santovito ammise davanti al pm Armati. Da quel momento - si legge nelle carte del processo - l'ambasciatore italiano D'Andrea, intenzionato a chiarire quello che era accaduto, si trovò davanti il classico muro di gomma, metafora che il nostro paese stava imparando a conoscere molto bene. Gli ufficiali del Sismi iniziarono a monitorare le indagini condotte dall'ambasciata, convincendo il brigadiere Balestra - poi condannato in via definitiva - a passare all'intelligence i messaggi scambiati con la Farnesina. Stefano Giovannone, a quel punto, intervenne direttamente con la famiglia, chiedendo il silenzio stampa, accusando i Falangisti di Beirut, giocando sulla speranza dei parenti dei giornalisti di poter risolvere il rapimento.
  Nonostante i depistaggi, la Procura di Roma riuscì a ricostruire almeno il contesto della scomparsa, attribuendone la responsabilità ai palestinesi: "I due erano stati uccisi dal gruppo di Habbash, subito o quasi", spiega il magistrato romano citando una nota dell'ambasciata italiana a Beirut. Il mistero nasce sui motivi del rapimento e dell'omicidio, con un'ipotesi inquietante: "Forse i palestinesi avevano ricevuto qualche indicazione errata", era l'indicazione arrivata dalle forze di sicurezza libanesi. Una trappola, un mandante esterno. Italiano? Chissà.
  Il 28 agosto scadono i trent'anni previsti dalla recente riforma sui servizi come limite massimo per il segreto di Stato. Già il 10 marzo del 2010 - attraverso l'intervento del Copasir presieduto da Francesco Rutelli - le famiglie dei due giornalisti avevano ottenuto un primo accesso a 1.161 documenti classificati. Mancavano all'appello un'ottantina di fascicoli, per i quali fu confermato il segreto di Stato da Silvio Berlusconi. Fabio De Palo, fratello minore di Graziella, oggi giudice civile a Roma, ha catalogato con cura le migliaia di pagine consultate (che ha potuto copiare solo dopo un ricorso al Tar). All'Espresso spiega che dal 29 agosto è pronto a chiedere l'accesso alle carte mancati al premier Matteo Renzi, che - secondo le norme attuali - non potrà più autorizzare gli omissis.
  "Gli interessi economici prevedevano lucrosi affari nella vendita delle armi - spiegano in un appello i familiari di Graziella De Palo e Italo Toni - a quei paesi nei confronti dei quali vigevano embarghi economico militari". Una politica che Paolo Emilio Taviani sintetizzò nella formula "della moglie americana e dell'amante libica". Sintesi di quel lodo "Moro" che l'ufficiale del Sismi Stefano Giovannone (uomo di stretta fiducia del leader Dc) attuò con meticolosità, e che Vincenzo Parisi citò in parlamento "per spiegare il movente di tante stragi ancora oggi inspiegabili e coperte da inquietanti aloni di mistero", come ricordano i familiari dei due giornalisti uccisi nel 1980. "Ci aspettiamo di riavere i resti degli scomparsi e la riapertura di un processo" che era stato interrotto, bloccato dal segreto di Stato confermato da Bettino Craxi, trent'anni fa. Verità e giustizia, al posto dell'eterno muro di gomma italiano.

(l'Espresso, 22 agosto 2014)


22 agosto 2005: drammatica ricorrenza

Esattamente nove anni fa, il 22 agosto 2005, si concludeva l'operazione di sgombero dei "coloni" israeliani dalla striscia di Gaza con il trasferimento delle ultime famiglie dall'insediamento di Netzarim. Allora il mondo applaudì a questo gesto israeliano di "buona volontà" e volle interpretarlo come un promettente passo avanti sulla via della pace.
Molti però erano quelli che avevano seri dubbi in proposito. Tra questi c'era sicuramente Michael Freund, a suo tempo consigliere del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e fondatore di "Shavei Israel", un gruppo operante a Gerusalemme con lo scopo di aiutare i «perduti ebrei» a ritornare a Sion. Due mesi prima che avvenisse la drammatica evacuazione, Freund scrisse una lettera aperta ai "Cari credenti biblici cristiani" invitandoli a elevare preghiere al Signore. La lettera iniziava così:
    «Cari credenti biblici cristiani,
     
    questo è un caso di emergenza. Fra meno di due mesi il Primo Ministro israeliano Ariel Sharon ha in programma di cacciare migliaia di ebrei dalle loro case e consegnare agli arabi parti della terra d'Israele.
    Tutto di un colpo, tutte le grandi città di Israele si troveranno alla portata dei razzi palestinesi e gruppi terroristici palestinesi avranno la possibilità di creare uno Stato canaglia terroristico da cui potranno destabilizzare tutta la regione.
    Adesso potreste chiedervi in che cosa tutto questo vi riguardi. Che cosa abbiamo a che fare con quello che accade a migliaia di chilometri di distanza nelle dune sabbiose di Gaza o nelle colline di Samaria?
    La risposta dovrebbe essere naturale. Può essere riassunta in una sola parola: Genesi.
    Più di tremila anni fa un brillante e originale pensatore di nome Abraamo riconobbe l'unico vero D_o e si incamminò sui suoi sentieri. Quando D_o gli ordinò di lasciare la sua patria, la sua terra natìa e la famiglia di suo padre, Abraamo ubbidì senza esitare. In questo modo entrò nella storia come il primo ebreo che fece alià e andò in Israele.
    E là, alla quercia di More, presso Sichem (Nablus), D_o concluse con il padre del popolo ebraico quel patto indissolubile: «Io darò questo paese alla tua discendenza» (Genesi 12:7).
    Se a quel tempo ci fosse stato l'ONU, si può immaginare come avrebbe reagito. Se fossero stati presenti i media liberali, nel riferire tutto quello che lì era successo certamente avrebbero criticato e distorto i fatti.
    Ma resta il fatto che la promessa di D_o al suo popolo eletto costituisce un tema centrale che percorre tutta la Bibbia. La promessa fu ripetuta a Giacobbe e a Isacco, e in seguito ai loro discendenti. E anche i profeti la ricordarono continuamente.
    Non c'è niente da fare: la terra d'Israele appartiene a Israele perché il D_o d'Israele ha detto così. Punto.
    E tuttavia in Israele si è fatto avanti un Primo Ministro che sta tentando di agire contro la promessa di D_o. Soltanto 38 anni dopo che Giudea, Samaria e Gaza sono ritornate per un miracolo al popolo ebraico, con la guerra dei sei giorni, Ariel Sharon vorrebbe far ritornare indietro questo miracolo e far passare grosse parti di territorio sotto il controllo dei palestinesi.
    E c'è anche il Presidente USA George W. Bush, che insiste a voler dividere la Terra Santa di D_o con la formazione di uno Stato palestinese parallelo a quello attuale di Israele.»
Nel seguito Freund invitava “i credenti biblici cristiani” a pregare affinché questo non avvenisse. Preghiere al Signore nella direzione richiesta certamente sono state elevate, ma è giocoforza riconoscere che Dio aveva altri piani. La previsione di Michael Freund però era giusta, e si è puntualmente avverata: tutte le grandi città di Israele si trovano oggi alla portata dei razzi palestinesi e gruppi terroristici palestinesi hanno avuto la possibilità di creare uno Stato canaglia terroristico da cui possono destabilizzare tutta la regione. Come aveva previsto Michael Freund. Oggi lo tocchiamo con mano.
Pochi mesi dopo quel fatale sgombero, nel gennaio 2006, l'ostinato artefice di quel trasferimento, il Primo Ministro Ariel Sharon, dovette lasciare definitivamente la guida di Israele a causa di una grave emorragia che lo colpì improvvisamente e lo lasciò in coma per il resto dei suoi giorni. Nella Bibbia il modo di morire dei personaggi legati alle sorti di Israele ha sempre un significato. Sarà così anche adesso? Forse. Resta il fatto che quella lacerante operazione non fece avanzare la pace neanche di un millimentro. Tutto il contrario: ha favorito la guerra e provocato sofferenze e lutti da tutte le parti.
Ripresentiamo, come spunto per una riflessione, due articoli apparsi sulle nostre pagine pochi giorni dopo quei drammatici fatti. M.C.


«Fate che Israele muoia». Firmato: Hamas

di Federico Steinhaus

Lo scorso 18 agosto [2005], nel pieno delle drammatiche attività di sgombero degli insediamenti israeliani nella striscia di Gaza, il leader di Hamas Mahmoud Al-Zahar ha rilasciato un'intervista ad Asharq Al-Awsat. Questa intervista è particolarmente illuminante sulla tattica e la strategia di Hamas, e ne chiarisce a fondo i motivi. Riteniamo di rendere un servizio al nostro pubblico di lettori pubblicandone alcuni estratti dal testo inglese diffuso da MEMRI.
"Il nostro progetto non è di liberare la striscia di Gaza, o la Cisgiordania o Gerusalemme. Il nostro progetto nella sua prima fase è di liberare le terre occupate nel 1967. Coloro che ritengono si tratti di una visione strategica e coloro che ritengono che si tratti di una soluzione provvisoria si sono trovati d'accordo su questo progetto. Pertanto noi non ci riprenderemo la striscia di Gaza per viverci in pace mentre il nemico sionista tiene prigionieri migliaia dei nostri figli ed occupa la Cisgiordania. La resistenza deve spostarsi nella Cisgiordania per espellere gli occupanti".
Alla domanda se Hamas riprenderà le sue operazioni contro città israeliane dopo il ritiro da Gaza la risposta è stata: "In primo luogo non esistono città israeliane. Quelli sono insediamenti di coloni. Se l'aggressione e l'occupazione continueranno il popolo palestinese non avrà altra alternativa che difendersi. Il popolo palestinese non uccide gli occupanti o sé stessi per divertimento o follia..."
Domanda: "Lei parla di attacchi sul territorio palestinese come se riconoscesse l'esistenza di Israele".
Risposta: "Sono fortemente in disaccordo con quanto dice. Noi non riconosciamo e non riconosceremo mai un cosiddetto stato di Israele. Israele non ha diritti su neppure un pollice di territorio palestinese. Questa è una affermazione importante. La nostra posizione deriva dalle nostre convinzioni religiose. Questa è terra sacra. Non è proprietà dei palestinesi o degli arabi. Questa terra è proprietà di tutti i musulmani in ogni parte del mondo. Noi consideriamo la striscia di Gaza, Gerusalemme e la Cisgiordania come una unità geografica, come citano le risoluzioni ONU 242 e 238, che non sono state applicate...".
Nelle fasi successive dell'intervista, il leader di Hamas mette a fuoco i difficili rapporti fra la sua organizzazione e l'Autorità Palestinese, condannando i tentativi di sbloccare la situazione con l'uso della forza da parte di Abu Mazen ed auspicando un dialogo fra le due componenti palestinesi che conduca alla costituzione di un potere forte ed unitario che lotti da pari a pari contro Israele.
Nel corso di questa intervista, il leader di Hamas precisa alcuni altri punti del programma che intende realizzare: "...Nel campo dell'educazione noi vogliamo insegnare al popolo la nostra storia, ed insistiamo che il popolo deve imparare il Corano. Anche se il Corano attacca gli ebrei in alcuni dei suoi versetti, il popolo lo deve leggere. Non possiamo accettare una manipolazione del Corano e della religione. Noi siamo contrari ad ogni cooperazione economica con Israele... Vogliamo ampliare ed allargare la cultura della resistenza... Cambieremo i nomi degli insediamenti per onorare i martiri morti attaccandoli... Diremo ai turisti che l'onesto fucile è stato capace di conquistare la vittoria".
Hamas intende - afferma il suo leader- partecipare a future elezioni palestinesi sulla base di un programma che ponga fine agli accordi di Oslo. Hamas è parte del movimento internazionale islamico ed è in questa prospettiva che vanno considerate le sue decisioni anche per quanto riguarda la partecipazione ad elezioni palestinesi.
Infine, la domanda: "Gli israeliani temono che Gaza possa diventare la terra di Hamas dopo il ritiro", e la lapidaria risposta: "Fate che Israele muoia".
"Noi non cederemo mai il nostro diritto al ritorno. Tutta la Palestina è nostra. Quando una parte qualsiasi di essa è liberata, qualsiasi palestinese e musulmano avrà il diritto di stabilirvisi... Noi non consideriamo l'Occidente come un nemico ma crediamo che il sionismo cristiano sia criminale".
A ben considerare, questa intervista non contiene novità sostanziali. L'aspetto che la rende interessante è il contesto: essa viene rilasciata dal leader di Hamas ed è destinata al pubblico arabo ed islamico; viene rilasciata nel pieno dello sgombero di Gaza e prefigura lo scontro con l'Autorità Palestinese per il predominio politico in questo primo vero nucleo di stato; delinea la strategia non solo riferita alla politica interna ma anche ai progetti educativi ed ai rapporti con l'occidente. Adesso si tratta di verificare se l'occidente, come aveva fatto in passato con Hitler e Stalin, vorrà girare altrove lo sguardo dicendo che quelle sono solo parole, o se vorrà dare loro il peso reale di un programma politico che Hamas ha la capacità e la forza di imporre, in una prospettiva non tranquillizzante di fusione ideologica ed operativa con le strategie globali dell'Islam radicale, si chiami Al Qaeda o Iran.

(Informazione Corretta, 22 agosto 2005)

*
La guerra continua

di Marcello Cicchese

E' fatta! I territori "occupati" dagli insediamenti ebraici sono stati sgomberati. I "coloni" si sono lasciati "trasferire" più velocemente e più pacificamente del previsto. La comunità internazionale ha applaudito, i potenti della terra si sono congratulati con i capi d'Israele per la relativa calma con cui il tutto è avvenuto. «E' un avanzamento verso la pace», hanno detto, mentre in realtà è un arretramento del fronte in una situazione di guerra. Ed è una guerra feroce, quella che conducono gli arabi, simile a quella che Hitler scatenò contro la Russia. Una guerra in cui non è in gioco la terra, ma le persone. E' guerra contro un tipo umano, non contro una nazione. Proprio la calma in cui il "trasferimento" è avvenuto dovrebbe far riflettere e provocare forse qualche problema di coscienza, soprattutto negli spettatori internazionali che hanno guardato e applaudito lo spettacolo. I prepotenti "coloni" erano dunque gente tranquilla, a quel che sembra. Perché se ne sono dovuti andare? Perché il prodotto di anni di lavoro, case, aziende, piantagioni, tutti beni di cui anche altri avrebbero potuto godere, hanno dovuto essere distrutti? Si conosce la risposta: perché su quella terra deve nascere il futuro stato palestinese, il quale, dopo le dovute "prove di buona volontà" da parte dei vicini ebrei, vivrà in pace con l'attuale stato israeliano. E perché mai in uno stato arabo che vivrebbe in pace con lo stato ebraico non potrebbe vivere una piccola minoranza di ebrei, quando nel vicino stato ebraico vivono da anni centinaia di migliaia di arabi? Sembra che per far nascere uno stato palestinese sia assolutamente indispensabile che sulla sua terra non si trovi traccia di ebrei. E la cosa sembra ragionevole, anche a molti ebrei. Ma è questo il significato della parola "pace"? Vivere in pace per gli arabi significa non essere disturbati dalla presenza di ebrei? Si dirà che i "coloni" volevano il grande Israele, e che occupavano illegittimamente un territorio non loro. Potrebbe anche essere, ma quanto alle intenzioni, sarebbe stato sufficiente far sapere loro che erano desideri destinati ad essere vanificati; e quanto alla legittimità della loro presenza su quella terra, era una cosa che poteva e doveva essere verificata soltanto dopo avere costituito uno stato di diritto, e non prima. Su questo avrebbe dovuto esercitare la sorveglianza la comunità internazionale: avrebbe dovuto esigere che prima di tutto su quella terra si costituisca uno stato di diritto, in cui l'autorizzazione a vivere in certe zone sia stabilita dalla legge, e non dagli attentati terroristici. I capi delle nazioni avrebbero dovuto dire: «Nascerà uno stato palestinese soltanto quando gli arabi avranno dato prova di saper accettare sulla loro terra anche la presenza di ebrei, e non solo come turisti, ma anche come cittadini dello stato o come cittadini stranieri che hanno dei possedimenti in una nazione estera, come accade in tutte le parti del mondo.» Avrebbe dovuto essere questa la "prova di buona volontà" da richiedere ai palestinesi. Ma questo non è stato fatto. «Prima di tutto gli ebrei se ne devono andare, poi si potrà parlare», questa è la filosofia corrente.
Nessuno s'illuda: la guerra continua.
E la guerra, infatti, è continuata.


(Notizie su Israele, 24 agosto 2005)


Solo ora il mondo inorridisce?

Israele combatte contro la stessa mentalità dell'ISIS, ma lo sdegno del mondo è solo contro Israele

di Justin Amler

Il presidente Obama ha detto che il mondo è rimasto inorridito per l'assassinio del giornalista James Foley, decapitato dal gruppo terroristico islamista ISIS. Ha anche detto che il gruppo è un relitto del passato che non ha posto nel XXI secolo. Purtroppo è il presidente Obama che vive fuori dal mondo del XXI secolo.
La realtà è che l'assassinio di James Foley, benché estremamente barbaro e crudele, non è affatto unico. E' solo uno degli innumerevoli spietati omicidi di persone innocenti perpetrati nella regione da questo
Il mondo non è realmente inorridito. Non ci sono cortei per le strade. Non ci sono manifestazioni di massa nelle capitali arabe. Non ci sono riunioni d'emergenza del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Il mondo fa inorridire.
genere di terroristi. E non si tratta solo dell'assassinio di uomini adulti. Si tratta anche di donne. E bambini. E neonati. Eppure il presidente Obama dice che ora il mondo è inorridito?
L'amara realtà è che il mondo non è realmente inorridito. Non ci sono cortei per le strade di Parigi o New York o Londra che invochino l'intervento della comunità internazionale. Non ci sono manifestazioni di massa nelle capitali arabe contro questo orrore, con espressioni di furore e bandiere bruciate. E certamente non ci sono riunioni d'emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Per dirla tutta, sebbene la gente abbia sicuramente condannato quell'orribile assassinio davanti alla telecamera, non si può dire che se ne preoccupi come di qualcosa che la riguardi direttamente.
Ed è qui che entra in ballo Israele. Israele sta combattendo contro la stessa mentalità che anima il gruppo ISIS, che qui da noi si fa chiamare Hamas. Una rapida lettura della loro Carta fondamentale rivela immediatamente che gli obiettivi sono gli stessi.
Ma mentre l'America ha il lusso di un Oceano Atlantico che la separa da questa gente, Israele non ce l'ha. Ciò che separa Israele da Hamas sono pochi chilometri, talvolta poche centinaia di metri, e la bravura delle Forze di Difesa israeliane. Se Hamas dovesse mai sconfiggere Israele, non è difficile immaginare quale sarebbe il destino delle persone che vi abitano. E non solo degli ebrei, per inciso. Chiaramente anche cristiani e musulmani moderati sarebbero sulla lista.
Eppure, non appena Israele si è difeso contro Hamas, ecco che il mondo è improvvisamente inorridito. Improvvisamente tutto lo sdegno che era rimasto penosamente assente negli anni in cui si consumava la carneficina della guerra civile siriana e l'impetuosa avanzata dei terroristi dell'ISIS, improvvisamente è traboccato da tutto il mondo: ma non a difesa di Israele, bensì contro.
Il mondo ha finalmente ritrovato la voce, e l'indignazione trasuda da tutte le manifestazioni a New York, a Londra a Parigi, nelle capitali arabe: ma non contro le persone che sbraitano di gioia mentre tagliano la testa degli innocenti, bensì contro l'unico paese che lotta in prima linea per la propria stessa sopravvivenza contro un male che, così com'è, non si vedeva dai tempi del nazismo.
Il presidente Obama l'ha quasi detta giusta. Ha detto che il mondo è inorridito. In realtà avrebbe dovuto dire che il mondo, talvolta, fa inorridire.

(israele.net, 22 agosto 2014)


«Ma la Striscia non è il ghetto di Varsavia»

Claude Lanzmann
E' un attacco duro, senza mezzi termini, quello pubblicato ieri dal quotidiano francese Le Monde e firmato da Claude Lanzmann, regista e sceneggiatore autore, tra gli altri, del film Shoah. Lanzmann, in un articolo intitolato «Quattro moschettieri pro Gaza in crociata contro Israele», risponde, a distanza di due settimane, alla lettera, pubblicata sempre da Le Monde, firmata da Rony Brauman, Régis Debray, Edgar Morin e Christiane Hessel, nella quale i quattro autori, rivolgendosi al presidente Hollande, lo interpellavano sull'impunità internazionale della quale sarebbe beneficiario lo Stato israeliano nonostante i massacri di civili nella Striscia di Gaza. «Un testo partigiano, menzognero, senza coraggio e provocatorio» che dimentica che «è Hamas ad avere la responsabilità dell'orrore e della collera di tutte le morti civili nella Striscia di Gaza». E' stata Hamas, secondo Lanzmann, ad aver provocato Israele perché i leader del movimento islamico «sapevano che l'uccisione dei tre giovani ebrei rapiti, sommata al lancio di missili verso le città israeliane, avrebbero provocato la risposta dello Stato Ebraico. E la volevano». Per il regista francese, autore anche dei film Pourquoi Israel e Tsahal, sono false anche le testimonianze e i racconti che dipingono una Striscia di Gaza imprigionata, ridotta allo stremo, senza cibo e a corto di medicinali: «Ci parlano di Gaza come di una prigione a cielo aperto, Hamas protesta per la chiusura del valico di Rafah, ma questa è propaganda, ben fatta, ma menzognera. La gente non muore né di fame né di sete a Gaza, i negozi sono pieni di beni in vendita, e basta avere un po' di denaro per far sì che la lotta di classe esista lì come altrove». Per Lanzmann, poi, l'Istituto culturale francese a Gaza, citato nella lettera di Brauman, Debray, Morin e Hessel e dal quale sarebbero stati lanciati degli «sos» sulla tragica situazione nella Striscia, sarebbe solamente «un avamposto della propaganda anti-israeliana che cerca di far passare una città nemica, e per questo soggetta a un blocco, come il ghetto di Varsavia».

(Corriere della Sera, 22 agosto 2014)


Due "ghetti" a confronto


Criticare Israele si può, ma così è nuovo antisemitismo
Articolo OTTIMO! Da leggere e diffondere.


di Christian Rocca

Mai un appello di intellettuali occidentali rivolto ad Hamas o ad Al Qaeda o agli Ayatollah affinché rinuncino alla violenza, all'odio razzista, ai missili, ai kamikaze, al terrorismo. Mai. Nemmeno un tweet. Gli intellettuali occidentali si appellano solo a Israele, perché si ritiri, perché rimuova l'embargo, perché fermi l'esercito. E poi boicottano. Boicottano gli studenti israeliani, i professori israeliani, anche le aziende israeliane di acqua gassata. In teoria, ma solo in teoria, tutto questo potrebbe anche avere un senso perché Israele è un Paese democratico con un'opinione pubblica che può influenzare le scelte del governo,
È inutile girarci intorno: l'antisionismo è il nuovo antisemitismo. È una versione aggiornata, ipocrita e politicamente corretta dell'antico pre- giudizio antiebraico ben radicato a destra come a sinistra.
mentre le altre sono organizzazioni terroristiche di stampo religioso non particolarmente sensibili alle prediche peace&love.
Ma è inutile girarci intorno: l'antisionismo è il nuovo antisemitismo. È una versione aggiornata, ipocrita e politicamente corretta dell'antico pregiudizio antiebraico ben radicato a destra come a sinistra nella tradizione europea. Non c'è altro esempio di Paese messo in discussione in quanto tale. Non c'è altro esempio di Stato circondato da nemici che non ne riconoscono l'esistenza e da detrattori internazionali che lo mettono costantemente in discussione. Non c'è altro esempio di nazione criticata perché si difende da attacchi continui e ripetuti contro la sua popolazione e nonostante sia sempre pronta a deporre le armi, come ha già fatto, nel momento esatto in cui le autorità vicine smettano di voler spillare sangue ai «porci» e alle «scimmie» ebree.
   Certo che è lecito criticare il governo di Israele, come quello di qualsiasi altro Paese. Certo che è giusto piangere le troppe vittime civili di un conflitto armato drammatico e infinito. Epperò quando si criticano le politiche russe o tedesche o siriane o iraniane o nordcoreane nessuno nega il diritto di russi, tedeschi, siriani, iraniani o nordcoreani a vivere serenamente in uno Stato, fianco a fianco con vicini rispettosi e pacifici. Nessuno vuole cancellare la Russia, la Germania, la Siria, l'Iran o la Corea del Nord dalla cartina geografica. Nessuno li chiama con disprezzo «entità» né definisce «razzista» con egida Onu il diritto alla loro esistenza.
   Qual è dunque la differenza tra le critiche a questi e altri Paesi e quelle a Israele? Una soltanto: Israele è lo Stato degli ebrei. Come è possibile, inoltre, criticare il governo di Israele sempre, comunque e in ogni occasione, quando è di sinistra ma anche quando è di destra, quando è di unità nazionale e quando è di minoranza, quando cerca la pace con i vicini e quando non si fida degli interlocutori? Possibile che questo governo sia sempre criminale, ogni singolo giorno dell'anno dal 1948 a oggi? Che cosa nasconde la critica indistinta e imperitura al «governo di Israele» sia che lo guidi Begin sia che lo guidi Rabin, quando il leader è Sharon e quando lo è Peres, se al potere c'è Barak e anche se c'è Netanyahu?
   Delle due l'una: o dietro questa fanatica e ingiustificata ossessione anti israeliana ci sono le ultime scorie ideologiche delle dottrine comuniste, antimperialiste e antiliberali oppure, appunto, è una critica radicata
Ai firmatari di appelli contro lo Stato ebraico non importa che Hamas abbia come obiettivo principale distruggere Israele, instaurare la legge islamica e proclamare una Palestina Judenfrei.
nell'antisemitismo. In entrambi i casi siamo in zona spazzatura della storia, e senza necessità di raccolta differenziata.
Ai firmatari degli appelli contro lo Stato ebraico evidentemente non importa che Hamas abbia come obiettivo principale distruggere Israele, instaurare la legge islamica e proclamare una Palestina Judenfrei. Non gli interessa che le guerre mediorientali di aggressione araba siano cominciate il giorno stesso della proclamazione all'Onu dello Stato di Israele. Non gli risulta che lo Stato palestinese non sia nato, contemporaneamente a quello israeliano come previsto dalla risoluzione Onu 181, per espressa scelta dei Paesi arabi che invece hanno preferito attaccare gli ebrei per provare a impedire la nascita di Israele. Non importa che da sessantasei anni Israele non faccia altro che difendersi e per questo sia diventato più che sospettoso dei suoi interlocutori e vieppiù arrogante, spietato e crudele con i nemici (sul trionfo e la tragedia di Israele leggete My Promised Land del giornalista pacifista israeliano di Haaretz Ari Shavit e scaricate la nuova serie tv della Bbc The Honorable Woman con Maggie Gyllenhaal). Ma che deve fare, Israele, farsi gentilmente annientare?
   Gli israeliani, per i firmatari degli appelli, non si possono difendere del tutto, non devono esercitare la loro superiorità militare, forse dovrebbero morire un po' di più in modo da pareggiare i conti con le vittime dell'altra parte. L'ebreo buono è sempre quello che muore, e non è nemmeno detto. In L'eterno antisemita, Henryk Broder cita uno psichiatra israeliano, Zvi Rex, che offre una spiegazione apparentemente paradossale e grottesca del rancore e del risentimento occidentale contro gli ebrei noto come "antisemitismo secondario": «I tedeschi non perdoneranno mai gli ebrei per Auschwitz». Qui i tedeschi non c'entrano niente, ma su certi intellettuali da appello meglio non scommettere.

(Il Sole 24 Ore, 22 agosto 2014)


Perché non possiamo non dirci sionisti

La colpa dello Stato ebraico, agli occhi dei tanti odiatori, è di essere nato. Un giudizio che si basa su ignoranza dei fatti e un sentimento che ha radici da dimenticare.

di Sofia Ventura

Lo Stato di Israele è parte della storia europea, delle sue tragedie e rivolgimenti, così come di quella del Medio Oriente, della sua instabilità e complessità. Cosi è se volgiamo lo sguardo agli ultimi due secoli. Eppure esso è percepito in parte dell'opinione pubblica occidentale come un "disturbo" della Storia, fonte di problemi in virtù della sua colpa originaria: essere nato. I drammi e le sofferenze che hanno connotato il farsi dl altri popoli, il sorgere di altre entità statuali sono ricondotti al corso della storia e il giudizio non inficia la legittimità dell'esistenza. Cosi non è per Israele. ll sionismo non gode della stessa legittimità di
La cronaca inserisce il conflitto israelo-palesti- nese nella narrazione di uno Stato usurpatore contro un popolo inerme depredato della propria terra, con l'uso di concetti che trasfigurano la realtà come quelli di "genocidio" o "crimini di guerra".
movimenti nazionali che sorgono nella stessa epoca (ultima parte del XIX secolo) in Europa. Nel discorso comune, così come in quello di intellettuali, politici e organizzazioni sovranazionali, è identificato con l'idea di un'usurpazione violenta, colonialista e razzista (nel 1975 l'Onu definisce il sionismo «una forma di razzismo»). Come se la storia nel suo farsi concreto non contasse. Allo stesso modo la cronaca inserisce il conflitto israelo-palestinese nella narrazione di uno Stato usurpatore contro un popolo inerme depredato della propria terra, con l'uso di concetti che trasfigurano la realtà come quelli di "genocidio" o "crimini di guerra". E in occasione del riaccendersi del conflitto che dall'Onu giunge l'accusa di «aver commesso possibili crimini di guerra», con riferimento alle numerose vittime civili fra i palestinesi (ma che differenza passa, allora, tra crimini e atti di guerra che inevitabilmente provocano vittime?).
   Il trattamento riservato a Israele si fonda sull'ignoranza di molti fatti. Da parte di noi europei si dimentica che il sionismo politico - dare una terra al popolo ebraico - nasce come risposta all'ondata di antisemitismo (e di pogrom) che scosse l'Europa a partire dagli anni Ottanta dell'Ottocento. Si dimentica che Israele non nasce come l'invasione da parte di una qualche potenza di uno Stato abitato da un popolo, ma da progressive migrazioni (aIlyot) in un territorio dell'impero ottomano (poi mandato britannico) abitato da arabi; che gli Insediamenti prendono forma anche attraverso accordi con le autorità locali e acquisti di terre incolte e che se di colonizzazione si vuole parlare, non cl si deve riferire al colonialismo delle potenze europee, ma piuttosto al movimento di coloni in cerca di una vita normale (in un'epoca dove la colonizzazione era accettata come legittima). Si dimentica anche che da parte delle autorità arabe, di fronte alla presenza di popolazione ebraica nei territori palestinesi (circa mezzo milione di persone alla vigilia della Seconda guerra mondiale), si rifiutò, anche prima della risoluzione dell'Onu del 1947, di trovare una soluzione nella creazione di entità politiche separate e si preferì aizzare la popolazione arabo-palestinese contro gli ebrei e poi, nel 1948, quando i Paesi arabi attaccarono il neonato Stato, farne massa di manovra istigandola ad abbandonare le proprie terre.
   Ma i fatti, che consentirebbero valutazioni più equilibrate, non possono molto contro un odio che porta a utilizzare criteri di giudizio platealmente diversi per Israele e per quanto accade anche solo in altri Paesi dell'area e che è giunto a banalizzare la Shoah, sia paragonando gli israeliani ai nazisti, sia con l'accusa (grottesca se si conosce la tragica complessità del rapporto di Israele con la distruzione degli ebrei d'Europa) di un uso strumentale dello sterminio per legittimarsi davanti al mondo.
   Ma questa banalizzazione, che tende a rovesciare la colpa, insieme alla visione distorta degli eventi, ci dicono che, forse, lo sguardo ostile verso Israele che ancora alberga negli occhi di tanti occidentali ancora esprime quel sentimento di diffidenza e paura verso un popolo diverso e particolare che Abraham Yehoshua pone alle radici dell'antisemitismo. Un sentimento che permane anche di fronte alla soluzione "normalizzante" del sionismo, paradossalmente, ma non troppo, perché quella soluzione ha dato a quel popolo una nuova forza, quella dello Stato.

(Il Sole 24 Ore, 22 agosto 2014)


Gaza, tra le strade di nuovo deserte

L'inviata Lucia Goracci è tra le strade di Gaza, di nuovo deserte dopo la ripresa dei raid. Attacchi mirati hanno ucciso tre comandanti del braccio armato di Hamas, tra le vittime anche Raed al-Atar, accusato di essere il "cervello" del rapimento del soldato Shalit. Mentre continua il lancio di missili, sull'aeroporto di Tel Aviv intanto continua a pendere la minaccia di Hamas di un attacco.

(RaiNews24, 21 agosto 2014)


Netanyahu: «Hamas è come l'Isis»

Dopo l'uccisione di Foley: «Sono due rami dello stesso albero».

Hamas e i jihadisti dell'Isis «sono due rami dello stesso albero». Lo ha affermato il premier israeliano Benjamin Netanyahu commentando con alcuni giornalisti le immagini della decapitazione del reporter statunitense James Foley. «Entrambi sono nemici della pace, nemici di Israele, nemici dei Paesi civili».

- Gente selvaggia
  Riferendosi al video della uccisione di Foley, Netanyahu ha osservato: «Anche noi (con Hamas, ndr) dobbiamo misurarci con gente altrettanto selvaggia». Ha menzionato fra l'altro «il lancio indiscriminato» di razzi sulle città israeliane e l'assassinio di «adolescenti, con spari alla testa»: un riferimento, questo, all'uccisione di tre ragazzi ebrei in Cisgiordania, lo scorso giugno.

(Fonte: Lettera43, 21 agosto 2014)


Quanto conta la paura a Gaza?

Esistono numerose testimonianze di come Hamas abbia minacciato i giornalisti presenti a Gaza, condizionando pesantemente la copertura del conflitto da parte dei media. Il motivo principale per cui non esistono inchieste giornalistiche sull'operato e sui crimini di Hamas potrebbe essere semplicemente la paura. Il Times of Israel, per esempio, ha confermato come ci siano stati numerosi casi in cui i giornalisti sono stati interrogati e minacciati, con una particolare aggressività di coloro che avevano scattato fotografie o effettuato riprese di terroristi impegnati a preparare il lancio di missili in aree in cui erano presenti strutture civili. Apparecchiatura sequestrata, minacce, in alcuni casi il divieto di lasciare Gaza, probabilmente sono le ragioni di una autocensura che però sta ora lasciando filtrare notizie sempre più precise.
Un giornalista spagnolo ha raccontato che vedere uomini in abiti civili ma armati, assistere alla preparazione e al lancio dei missili che continuano implacabilmente a colpire Israele da settimane non è affatto impossibile: "È molto semplice: noi tutti siamo stati testimoni di numerosi lanci di razzi, avvenivano anche molto vicino all'albergo dove stavano i giornalisti ma nel momento stesso in cui cercavamo di filmarli ci sparavano e minacciavano di morte".
Alcuni giornalisti, nonostante le minacce, hanno raccontato di aver assistito in prima persona all'utilizzo dei civili come scudi umani. Aishi Zidan, giornalista finlandese di Helsingin Sanomat, ha riferito di un razzo partito dal cortile dello Shifa Hospital, e anche altri due giornalisti di Al-Jazeera e di France 24 hanno ripreso, seppure in maniera del tutto involontaria, Hamas che faceva partire missili da aree densamente popolate.
La New Delhi Television, il cui corrispondente ha filmato la preparazione di una base di lancio, ha messo in onda le immagini solo dopo che la troupe ha lasciato Gaza.
Un giornalista italiano, Gabriele Barbati, corrispondente di TgCom24, ha aspettato di essere uscito da Gaza per confermare la responsabilità di Hamas per i colpi che hanno colpito il campo profughi di Shati (uccidendo anche nove bambini). Hamas ha anche ordinato al giornalista - nativo di Gaza - Radjaa Abou Dagga, collaboratore di Liberation di lasciare la Striscia immediatamente. Sarebbe stato convocato da membri del servizio di sicurezza del movimento islamista nei locali dell'ospedale Al Shifa, nel centro di Gaza, dove ha subito un interrogatorio in piena regola. "Sono rimasto sorpreso dal loro modo di fare - ha affermato il giornalista - quando mi hanno lasciato andare mi hanno lanciato un avvertimento ben chiaro: 'Per il tuo bene faresti bene a lasciare Gaza il più presto possibile'". E l'associazione Reporters sans frontieres conferma che i militanti di Hamas avrebbero minacciato diversi altri giornalisti, sia palestinesi che stranieri.

(moked, 21 agosto 2014)


Hamas ammette la paternità dell'uccisione dei tre ragazzi israeliani

Una registrazione diffusa dal portavoce militare israeliano

Hamas ha ammesso la paternita' del rapimento e della uccisione dei tre ragazzi ebrei nel giugno scorso in Giudea-Samaria: lo afferma il portavoce militare israeliano sulla base di una dichiarazione di Salleh Aruri (un esponente di Hamas attivo in Turchia) diffusa ieri su internet.
Fin dalle prime fasi del rapimento Israele ne aveva attribuita la responsabilita', che invece se ne era detto estraneo. Parlando di fronte ai delegati dell'Unione internazionale degli studiosi islamici, Aruri ha detto: ''La lotta delle masse del nostro popolo si e' estesa in tutti i territori occupati ed il suo punto piu' fulgido e' stata la azione eroica condotta dalle Brigate al-Qassam (l'ala militare di Hamas) del rapimento dei tre coloni a Hebron'', in Cisgiordania.
Questa settimana lo Shin Bet (il servizio di sicurezza israeliano) ha indicato in Aruri l'istigatore di una vasta campagna di attentati che dovevano avvenire nei mesi scorsi in Israele e in Cisgiordania.
Il suo intento - seconndo lo Shin Bet - era sia di mietere numerose vittime fra gli israeliani sia di destabilizzare la situazione generale nei Territori, nella speranza anche di abbattere il regime di Abu Mazen. Ma, secondo Israele, gli arresti tempestivi di un centinaio di membri di Hamas hanno sventato questi progetti.

(ANSAmed, 21 agosto 2014)


"Perché il mondo tace sul massacro dei cristiani?"

L'articolo del presidente del Congresso ebraico mondiale sul New York times: «Chi difenderà i perseguitati? Perché nessuno fa niente? Noi non staremo in silenzio. Questa campagna di morte deve essere fermata».

Martedì il presidente del Congresso ebraico mondiale, Roland S. Lauder, ha scritto un appello sul New York Times in difesa dei cristiani in Medio Oriente e in Africa, affinché il mondo si muova contro il massacro da parte dei fondamentalisti dell'Isis. Qui sotto una nostra traduzione di ampia parte del testo.
     
    Roland S. Lauder
    «Perché il mondo sta in silenzio mentre i Cristiani vengono massacrati in Medio Oriente e in Africa? In Europa e negli Stati Uniti abbiamo assistito a molte manifestazioni per la tragica morte dei palestinesi che sono stati usati come scudi umani da Hamas, l'organizzazione terroristica che controlla Gaza. Le Nazioni Unite hanno svolto indagini e concentrato il proprio sdegno nei confronti di Israele (…). Ma il barbaro massacro di migliaia e migliaia di Cristiani viene affrontato con relativa indifferenza.
      Il Medio Oriente e parte dell'Africa centrale stanno perdendo intere comunità cristiane che hanno vissuto in pace per secoli. Il gruppo terroristico Boko Haram quest'anno ha violentato e ucciso centinaia di cristiani, devastando due giorni fa la città prevalentemente cristiana di Gwoza, nello Stato di Borno, nel nordest della Nigeria. Mezzo milione di arabi cristiani sono stati cacciati dalla Siria durante gli oltre tre anni di guerra civile. I Cristiani sono stati perseguitati e uccisi in paesi che vanno dal Libano al Sudan. Gli storici potrebbero guardare indietro a questo periodo e chiedersi se la gente aveva perso la rotta. Pochi giornalisti hanno viaggiato in Iraq per testimoniare l'ondata nazista di terrore che si sta diffondendo all'interno del paese (…). I leader mondiali sembrano consumarsi in altre questioni durante questa strana estate del 2014. Non ci sono flotte in viaggio per la Siria o l'Iraq. E le belle celebrità e le vecchie rock star, perché il massacro dei Cristiani non pare attivare i loro sensori sociali? Obama dovrebbe essere lodato per aver ordinato agli aerei di attaccare e salvare le decine di migliaia di Yazidi (…), ma purtroppo gli attacchi aerei non bastano a fermare questa ondata grottesca di terrorismo.
      Lo Stato islamico in Iraq e in Siria (Isis) non è una libera coalizione di gruppi jihadisti, ma una forza militare vera e propria che è riuscita a impossessarsi di gran parte dell'Iraq grazie al business (…). Usa i soldi delle banche e dei negozi di oro di cui si è appropriato tramite il controllo delle risorse petrolifere e tramite le estorsioni in vecchio stile, per finanziare la propria macchina di morte, rendendosi probabilmente il gruppo islamista più ricco del mondo. Ma ciò in cui più di tutto eccelle è la carneficina, che compete con le orge di morte del Medio Evo. Prendono spietatamente di mira gli sciiti, i curdi e i cristiani. «Hanno infatti decapitato i bambini e messo le loro teste su un bastone», ha dichiarato alla Bbc un uomo d'affari americano-caldeo di nome Mark Arabo, descrivendo una scena in un parco di Mosul. «Altri bambini vengono decapitati, le mamme sono violentate e uccise e i padri vengono crocifissi». Questa settimana 200mila armeni sono fuggiti dalla terra dei loro avi vicino a Ninive, dopo essere già scappati da Mosul. L'indifferenza generale verso l'Isis, con le sue esecuzioni di massa dei cristiani e la sua volontà di morte di Israele, non è solo sbagliata; è oscena.
      In un discorso davanti a migliaia di cristiani a Budapest nel mese di giugno, ho fatto una promessa solenne che, come non starò in silenzio di fronte alla crescente minaccia dell'antisemitismo in Europa e in Medio Oriente, non rimarrò neppure indifferente alla sofferenza cristiana. Storicamente, è quasi sempre stato il contrario: gli ebrei sono stati troppo spesso la minoranza perseguitata.
      Ma Israele è stato tra i primi paesi ad aiutare i cristiani in Sud Sudan. I cristiani possono praticare apertamente la loro religione in Israele, a differenza di quanto avviene in gran parte del Medio Oriente. Questo legame tra ebrei e cristiani ha assolutamente senso. Condividiamo molto di più della maggior parte delle religioni. Leggiamo la stessa Bibbia e condividiamo un nucleo morale e etico. Ora, purtroppo, condividiamo un tipo di sofferenza: i cristiani stanno morendo a causa delle loro convinzioni, perché sono indifesi e perché il mondo resta indifferente alle loro sofferenze.
      Le persone buone devono unirsi e fermare questa ondata di violenza rivoltante. Non è come se noi fossimo impotenti. Scrivo questo da cittadino della più forte potenza militare sulla terra. Scrivo questo da leader ebreo che si preoccupa per i suoi fratelli e sorelle cristiani. Il popolo ebraico capisce fin troppo bene cosa può accadere quando il mondo tace. Questa campagna di morte deve essere fermata.»
(Tempi, 21 agosto 2014)


Raid israeliani su Gaza, uccisi tre comandanti di Hamas

Lo ha annunciato la stessa organizzazione palestinese

GAZA - Tre comandanti delle Brigate Izzedin al-Qassam, ala militare di Hamas, sono stati uccisi in un'incursione dell'aviazione israeliana a Rafah, nella Striscia di Gaza: lo ha annunciato la stessa organizzazione palestinese.
E' di almeno otto palestinesi morti il bilancio delle vittime delle incursioni aeree israeliane avvenute nella notte sulla Striscia di Gaza, come hanno reso noto fonti dei servizi di soccorso palestinesi.

(TMNews, 21 agosto 2014)


Il nuovo rabbino di Venezia: «Aprirò una scuola di studi ebraici»

Rav Scialom Bahbout, fisico, arriva da Napoli: «Restituirò un ruolo internazionale alla Comunità di Venezia»

di Nadia De Lazzari

 
Rav Scialom Bahbout
Rav Scialom Bahbout è il neo rabbino capo della Comunità ebraica di Venezia. Nato a Tripoli in Libia nel 1944 da bambino si trasferì con la famiglia in Italia. Ha studiato a Torino e a Roma dove ha conseguito due lauree, la "Semikhà" (aveva 21 anni) al Collegio Rabbinico italiano con il rabbino Elio Toaff, e in fisica. È stato docente universitario di fisica per 35 anni, ha ricoperto la Cattedra rabbinica a Bologna, a Napoli e nel Sud. È autore di libri e studioso delle problematiche dei discendenti degli ebrei marrani convertiti al cristianesimo. Tra le passioni: la lettura di gialli e la buona tavola. Il suo nome significa Pace.
«Porto il nome del mio bisnonno, famoso rabbino cabalista. Era nato a Gerusalemme, come mio padre, direttore della scuola ebraica a Tunisi», racconta. «La mia famiglia, originaria del Marocco, si trasferì in quello che era ancora territorio ottomano».
Da Napoli sbarca a Venezia che vive momenti difficili: «La corruzione ha molti aspetti, quella che viene a galla e quella più nociva che crea l'humus. Il governo è l'espressione della città. Questa deve fare una riflessione e pensare a come vuole Venezia. Allora cambierebbero le cose. La soluzione è il pentimento, il ritiro, il ritorno alle origini, al giusto comportamento».
La sua nomina è stata «una sorpresa ben accolta. La Città e la Comunità ebraica sono interessanti. Saranno una bella sfida. Venezia è aperta al mondo e la Comunità è punto di riferimento per il mondo non solo europeo. Si ipotizza un flusso annuo di turisti ebrei, grandi viaggiatori, superiore ai 500mila. Costituiscono l'1,5% dei forestieri che arrivano a Venezia. Non è poco».
A Roma ha fondato la Sinagoga dei giovani e il Dipartimento culturale dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, a Gerusalemme l'Accademia di studi ebraici in particolare per gli italiani, a Trani e in Sicilia ha rifondato la Sinagoga.
Quale idea e obiettivo in Venezia? «Manca una scuola superiore di studi ebraici. La realizzerò e potranno studiare tutti, ebrei e non ebrei».
E l'impegno per la Comunità ebraica? «Le restituirò un ruolo internazionale in una città che ha una vocazione internazionale. Forse il Comune non è consapevole dell'immagine mondiale di Venezia».
Qual è la base per il futuro della società? «La crescita delle persone migliora attraverso la conoscenza. L'educazione è tutto. Una società che investe in questo campo costruisce futuro. Per riconoscere i valori dell'altro, di ogni altro, cristiano o musulmano, è necessario investire persone e mezzi nell'educazione non nell'acquisizione di armi altrimenti il mondo va nella direzione opposta, la distruzione».
E i conflitti in atto? «Nella terra c'è pane e spazio per tutti ma sono mal distribuiti. Bisogna aiutare l'altro, dargli cibo e spazio necessari per vivere. Penso con dolore ad Israele e alla Palestina e al rispetto per entrambi i popoli». È possibile uscirne? «È necessario investire nella ricerca. Ad esempoo, investiamo tutti insieme nell'agro-alimentare. L'Italia potrebbe essere capofila».

(la Nuova, 21 agosto 2014)


Farneticatori

di Paul Berman

Il filosofo Gianni Vattimo parla a nome di molti quando definisce Israele «peggio dei nazisti» e dice che vorrebbe uccidere i «bastardi sionisti». Per esempio parla a nome di quei manifestanti che a Berlino hanno cantato Jude, Jude, feiges Schwein, komm heraus und kämpf allein («Ebreo, ebreo, porco codardo, vieni fuori e combatti»). E parla a nome dei manifestanti di Parigi e delle banlieue che hanno dato fuoco ai negozi, attaccato sinagoghe e urlato «Morte agli ebrei!» - tolto il fatto che il professor Vattimo, con uno sfoggio di raffinatezza filosofica, distingue tra i bastardi sionisti e gli ebrei in generale, sostenendo che solo i primi meritano la morte.
  Ma soprattutto Vattimo parla a nome di Hamas. Che cosa significa, dopo tutto, l'affermazione per cui Israele è «peggio dei nazisti»? Il nazismo è da tutti considerato come il peggior regime mai esistito; il che significa che un Paese «peggiore del nazismo» non può essere altro che l'incarnazione del male assoluto: un attacco rivolto all'Essere, potrebbe dire il professore. Il male universale. Questa è esattamente la posizione di Hamas, per le ragioni affermate nel suo statuto e ripetute senza sosta in sermoni e dichiarazioni pubbliche, con la differenza che Hamas invoca Dio anziché l'Essere. L'argomento è fondato sulla teoria dell'eterna cospirazione ebraica per ottenere la dominazione del mondo in contrasto alla volontà di Dio - è tutto messo nero su bianco nello statuto con le dovute citazioni del Protocollo dei Savi di Sion, la classica esposizione della spaventosa superstizione europea. E anche Hamas vuole uccidere gli ebrei: «C'è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo», recita lo statuto, citando il Corano.
  Mi chiedo soltanto perché Vattimo, nell'esprimere le sue idee sul genocidio dei sionisti e tutto il resto, abbia tirato in ballo le brigate internazionali che combatterono per la Repubblica nella guerra civile spagnola. Il professore non sa che durante il conflitto spagnolo gli antisemiti stavano dall'altra parte? Vattimo chiede all'Europa di fornire a Hamas armi migliori. Non è il caso che si preoccupi. L'ayatollah Khamenei ha già messo a disposizione missili Fajr 5. Proprio come, durante la guerra civile spagnola, Hitler e Mussolini avevano sostenuto i fascisti spagnoli. La solidarietà dell'estrema destra non è mai mancata.
  Le opinioni delle persone colte e istruite stanno andando nella direzione di Vattimo? Ho l'impressione opposta. Mi sembra invece che per quel che riguarda il terrorismo islamico la tendenza in tutti i Paesi occidentali, seppure di poco, sia più illuminata rispetto al passato. Non è più così automatica la giustificazione della causa islamica. L'umore è meno permeabile all'odio basato sulla superstizione. Si comprende meglio la necessità della democrazia liberale di respingere gli attacchi islamici.
  Purtroppo il modesto miglioramento dell'opinione generale è accompagnato da un imbarbarimento ai margini. Gli estremisti sono diventati sempre più estremi. Le folle nelle strade di Parigi e di Berlino urlano per strada contro gli ebrei, gli intellettuali come Vattimo
per far sparire subito l'immagine premere di nuovo il mouse
farneticano alla radio. Questa gente non deve più preoccuparsi di presentarsi come civilizzata. Il conflitto di Gaza sembra averli liberati dai vincoli moderni. Sono tornati alla brutalità dell'estrema destra degli anni Trenta e Quaranta. Sentono un richiamo atavico al peggio del passato. Rivederlo oggi è raccapricciante.

(Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2014)


Ci fosse ancora un Begin!

Quando la Knesset, con una maggioranza di due terzi, approvò l'annessione del Golan, gli Stati Uniti dichiararono che avrebbero "punito Israele". Il 21 dicembre 1981 il primo ministro Begin, con una mossa senza precedenti, convocò l'ambasciatore e gli lesse la seguente dichiarazione, resa successivamente pubblica.

 
Menachem Begin
Tre volte negli ultimi sei mesi, il governo americano ha "punito" Israele.
Il 7 giugno abbiamo distrutto il reattore nucleare iracheno "Osirak" vicino a Baghdad. Non voglio ricordarle oggi da chi abbiamo ricevuto la conferma definitiva che questo reattore stava per produrre bombe atomiche. Su una cosa non abbiamo avuto dubbi: la nostra azione è stata un atto di salvezza, un atto di autodifesa nazionale nel senso più nobile della parola. Abbiamo salvato la vita di centinaia di migliaia di civili, tra cui decine di migliaia di bambini.
Ciononostante, lei ha annunciato che ci avreste puniti - e non avreste onorato un contratto firmato e confermato che comprendeva date specifiche per la fornitura di velivoli (da guerra).
Non molto tempo dopo, in un'azione difensiva - dopo che era stato perpetrato un massacro contro la nostra gente lasciando tre morti (tra cui un superstite di Auschwitz) e 29 feriti, abbiamo bombardato la sede dell'OLP a Beirut.
Voi non avete nessun diritto morale di fare la predica a noi sulle vittime civili. Abbiamo letto la storia della seconda guerra mondiale e sappiamo cosa è successo ai civili quando vi siete mossi contro un nemico. E abbiamo letto anche la storia della guerra del Vietnam e la vostra espressione "body-count". Noi cerchiamo sempre di evitare di colpire la popolazione civile, ma a volte è inevitabile - come è avvenuto nel nostro bombardamento del quartier generale dell'OLP.
A volte mettiamo a rischio la vita dei nostri soldati per evitare vittime civili.
Ma voi ci avete puniti: avete sospeso la consegna degli aerei F-15.
Una settimana fa, su richiesta del governo, la Knesset ha approvato con una schiacciante maggioranza di due terzi in tutte e tre le letture la "legge delle alture del Golan".
Che razza di linguaggio è "punire Israele"? Siamo un vostro stato vassallo? Siamo una Repubblica delle banane? Siamo ragazzini di quattordici anni che se non si comportano bene vengono bacchettati sulle dita?
Ora dichiarate ancora una volta che punite Israele.
Che razza di linguaggio è "punire Israele"? Siamo un vostro stato vassallo? Siamo una Repubblica delle banane? Siamo ragazzini di quattordici anni che se non si comportano bene vengono bacchettati sulle dita?
Lasci che le dica da chi è composto questo governo. È composto da persone che hanno speso la vita nella resistenza, nella lotta e nella sofferenza. Non ci spaventerete con le vostre "punizioni". Chi ci minaccia ci troverà sordo alle sue minacce. Siamo pronti ad ascoltare unicamente argomenti ragionevoli.
Non avete alcun diritto di "punire" Israele; io ne rifiuto persino la parola.
Lei ha annunciato la sospensione delle consultazioni sull'attuazione del memorandum d'intesa sulla cooperazione strategica, e che il vostro ritorno a queste consultazioni in futuro dipenderà dai progressi compiuti nei colloqui sull'autonomia e dalla situazione in Libano.
Volete rendere Israele ostaggio del memorandum d'intesa.
Io considero la vostra sospensione delle consultazioni per il memorandum come un'abrogazione (da parte vostra) del memorandum. Nessuna "spada di Damocle" penderà sopra la nostra testa. Prendiamo debitamente atto del fatto che avete abrogato il memorandum d'intesa.
Il popolo di Israele ha vissuto 3.700 anni senza un protocollo d'intesa con l'America - e continuerà a farlo per altri 3.700. Per noi (la sospensione statunitense) è un'abrogazione del memorandum.
Non ci lasceremo imporre da voi di consentire agli Arabi di Gerusalemme est di prendere parte alle elezioni sull'autonomia - e minacciare di sospendere il memorandum se non acconsentiamo.
Ci avete imposto sanzioni economiche - violando con ciò le promesse del Presidente. Quando il segretario Haig è stato qui, ha letto da un documento scritto la promessa del Presidente Reagan di acquistare armi israeliane e altre attrezzature per un valore di 200 milioni di dollari. Ora lei dice che non sarà fatto.
Questa è dunque una violazione della parola del Presidente. Si usa così? È corretto?
Avete cancellato altri 100 milioni di dollari. Cosa volevate fare - "colpirci nel portafogli"?
Nel 1946 viveva in questa casa un generale britannico di nome Barker. Oggi ci vivo io. Quando lo combattevamo, ci avete chiamati "terroristi" - e noi abbiamo continuato a combattere. Dopo che abbiamo attaccato il suo Quartier Generale nell'edificio dell'Hotel King David che aveva requisito, Barker ha detto:
Il segretario Haig ha letto la promessa del Presidente Reagan di acquistare armi israeliane e altre attrez- zature per un valore di 200 milioni di dollari. Ora lei dice che non sarà fatto. Questa è dunque una violazione della parola del Presidente. Si usa così? È corretto? Avete cancellato altri 100 milioni di dollari.
"Di questa razza si potrà avere ragione solo colpendola nel portafogli" - e ha ordinato ai suoi soldati di smettere si frequentare i caffè ebraici.
Colpirci nel portafogli - questa è la filosofia di Barker. Ora capisco perché tutti i grandi sforzi del Senato per ottenere la maggioranza per l'affare delle armi con l'Arabia Saudita è stato accompagnato da una ignobile campagna antisemita.
Prima c'era lo slogan "Begin o Reagan?" - e ciò significava che chiunque si opponesse all'affare sosteneva un primo ministro straniero e non era leale nei confronti del Presidente degli Stati Uniti. E così senatori come Jackson, Kennedy, Packwood e naturalmente Boschwitz non sono cittadini leali.
Poi lo slogan è diventato "Non dovremmo non permettere agli ebrei di decidere la politica estera degli Stati Uniti." Qual era il significato di questo slogan? La minoranza greca negli Stati Uniti si è data molto da fare per indurre il Senato a trattenere le armi della Turchia dopo l'invasione di Cipro. Nessuno spaventerà la grande e libera comunità ebraica degli Stati Uniti, nessuno riuscirà a intimidirla con la propaganda antisemita. Staranno dalla nostra parte. Questa è la terra dei loro antenati - e hanno il diritto e il dovere di sostenerla.
Alcuni dicono che noi dobbiamo "abrogare" la legge approvata dalla Knesset. "Abrogare" è un concetto dei tempi dell'Inquisizione. I nostri antenati andavano sul rogo piuttosto che "abrogare" la loro fede.
Non stiamo andando al rogo. Grazie a Dio. Abbiamo abbastanza forza per difendere la nostra indipendenza e per difendere i nostri diritti.
Se dipendesse da me soltanto, direi che noi non dovremmo abrogare la legge. Ma per quanto posso giudicare non c'è in effetti nessuno sulla terra che può convincere la Knesset ad abrogare la legge che è passata con una maggioranza di due terzi.
Il signor Weinberger - e più tardi il signor Haig - ha detto che la legge ha effetti negativi sulla risoluzione ONU 242. Chi dice questo, o non ha letto la risoluzione, o l'ha dimenticata, o non l'ha capita.
L'essenza della risoluzione è il negoziato per stabilire confini concordati e riconosciuti. La Siria ha annunciato che non condurrà trattative con noi, che non ci riconosce e non ci riconoscerà - e ha quindi rimosso dalla risoluzione 242 la sua essenza. Come potremmo dunque attentare alla 242?
Per quanto riguarda il futuro, voglia cortesemente informare il Segretario di Stato che la legge sulle alture del Golan rimarrà valida. Non c'è niente al mondo che possa farla abrogare.
Quanto al fatto che vi abbiamo colti di sorpresa, la verità è che non volevamo mettervi in imbarazzo. Sapevamo le vostre difficoltà. Venite a Riyadh e Damasco. È stato il Presidente Reagan dire che il signor Begin aveva ragione - che se Israele avesse detto (prima) agli Stati Uniti della legge, gli Stati Uniti avrebbero detto no. Noi non volevamo che diceste di no - e quindi siamo andati avanti e abbiamo applicato la legge israeliana al Golan.
Non era nostra intenzione mettervi in imbarazzo.
Per quanto riguarda il Libano, ho chiesto che il Segretario di Stato venga informato che non attaccheremo, ma se saremo attaccati, contrattaccheremo.

(da ilblogdibarbara, 21 agosto 2014)


Nell'occasione qui ricordata Menachem Begin mise in riga il presidente Ronald Reagan, ma quattro anni prima, nel 1977, Begin aveva già messo a tacere un altro ineffabile presidente degli Stati Uniti.
"Il giorno in cui Jimmy Carter fu messo a tacere". In formato PDF.


L'antisemitismo è di nuovo realtà, ma Israele ha dato fuoco alle polveri

Riportiamo queste poche righe presentate addirittura come "editoriale" di un "Quotidiano online indipendente e d'inchiesta" per mostrare a quale livello di pervertimento della realtà si può arrivare quando si parla d'Israele. NsI

- Pintus - E' vero, l'incubo dell'antisemitismo è tornato.
Va detto però che lo stesso Israele ha acceso le polveri. Il territorio ebraico è il posto meno sicuro al mondo per il suo popolo e l'attacco a Gaza ha reso gli ebrei più vulnerabili ovunque risiedano.
L'opinione pubblica mondiale ha esternato rabbia e indignazione di fronte alle immagini che hanno testimoniato il genocidio palestinese, ciò si è trasformato in odio nei confronti di Israele, risvegliando un antisemitismo alimentato dagli stessi israeliani.
Gli ebrei all'estero sono in preda al panico, hanno accusato i media di fomentare odio, non comprendendo che gli aggiornamenti da Gaza, quelle foto erano semplicemente diritto di cronaca, Israele stesso si autoprovocava danni.
Adesso in Europa gli ebrei non hanno più il coraggio di farsi vedere con la kippah, alle donne ebraiche viene impedito di entrare nei negozi, mai l'odio nei confronti di Israele è stato così forte.
Forse un esame di coscienza il governo di Tel Aviv dovrebbe farlo, avrebbe dovuto pensare alle conseguenze di una guerra senza senso.

(ArticoloTre, 20 agosto 2014)


Ancora una volta si dice agli ebrei candidamente: "Ebrei, se vi ammazzano è colpa vostra".


Linee aeree: voleremo da e per Tel Aviv

Alla minaccia di Hamas di bombardare l'aeroporto di Tel Aviv le linee aeree internazionali e israeliane rispondono che continueranno i loro voli regolarmente. Lo riporta il giornale israeliano Haaretz. Hamas ha avvertito che colpirà lo scalo di Ben Gurion da domattina. Secondo stime basate su "minacce simili", riporta Haaretz, arrivi e partenze saranno ritardati al massimo di un'ora.

(RaiNews24, 20 agosto 2014)


Il piano di Hamas: una serie di attentati per strappare il potere all'Autorità Palestinese

Abu Mazen "molto preoccupato" per il piano scoperto dai servizi di sicurezza israeliani

Alla notizia, rivelata dai servizi di sicurezza israeliani, che Hamas stava pianificando una sorta di "terza intifada" in Cisgiordania con lo scopo di rovesciare il governo dell'Autorità Palestinese, il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha detto che sta seguendo con grande preoccupazione lo sviluppo delle informazioni che, ha avvertito, pongono una grave minaccia per il futuro del governo di unità nazionale palestinese.
Nella sua dichiarazione, Abu Mazen ha menzionato esplicitamente più volte il nome di Hamas per sottolineare con forza il ruolo dell'organizzazione accusata d'essere dietro al tentativo sventato di colpo di stato....

(israele.net, 20 agosto 2014)


Tregua rotta, impossibile trattare con Hamas

di Fiamma Nirenstein

Lo Sceicco Ahmed Yassin
Nonostante la logica suggerisse il contrario, Israele se l'aspettava, e come. Quando ieri alle tre di pomeriggio Hamas ha rotto la tregua sette ore prima della conclusione e dell'eventuale rinnovo, e sono esplosi tre missili sul sud, la gente che era tornata a casa nei kibbutz aveva già gli autobus pronti per le mamme e i bambini, via di nuovo verso zii, nonni, kibbutz fratelli. Gli F16 si sono levati in volo e hanno bombardato. Magari presto ci sarà un'altra tregua, un altro tentativo di Hamas di alzare il prezzo dato che una guerra di attrito è l'ultima cosa che Netanyahu desidera, e la seconda l'ingresso delle truppe di terra dentro Gaza.
   Ma il passato, il presente e il futuro sono contenuti in questo ennesimo sberleffo che Hamas fa prima di tutto all'Egitto e a Fatah, che al Cairo si sono impegnati almeno per un ulteriore cessate il fuoco. Le ragioni della rottura sono momentanee e basilari: Hamas vuole che si aprano i confini, che gli si dia un porto e un aeroporto, sia l'Egitto che Israele al minimo vogliono che sia Abu Mazen a controllare l'entrata e uscita di denari e merci che possono trasformarsi in missili e gallerie e miseria per la gente. Il rifiuto, voluto da Khaled Mashaal con l'appoggio molto attivo del Qatar, costerà altri morti e feriti, distruzione invece di ricostruzione, più miseria, più disoccupazione mentre i missili vengono lanciati dagli ospedali e dalle case per attirare gli spari proprio sulla gente. Conviene tutto ciò a un'organizzazione che ha già subito danni giganteschi ? La risposta razionale è no, ma Hamas è irrazionale e religiosa e non farà mai un accordo laico.
   Come Hamas vede se stesso adesso, e qual'è la sua natura? Hamas è stato fondato dalla Sceicco Yassin a nome della Fratellanza Musulmana per distruggere Israele e stabilire il seme dello Stato Islamico che ristorerà il califfato come ai tempi di Maometto in Medio Oriente. Stessa ummah islamica territoriale, stesse leggi, stesso potere, stessa spietatezza nei confronti degli infedeli. Il problema palestinese per Hamas non si risolve creando uno Stato palestinese, ma combattendo «l'occupazione» (che a Gaza non c'è dal 2005) come gli altri movimenti sunniti che combattono i loro «occupanti» (anche e soprattutto musulmani, ma traditori). Odia infatti anche Fatah, come si è visto quando ne uccise i membri nel 2007 e di cui tiene praticamente prigionieri i superstiti. Proprio due giorni fa è stata scoperta una grossa infrastruttura terrorista di Hamas che aveva nei suoi piani di rovesciare Abu Mazen e di fare attentati in Israele. Hamas si disegna come un grande vincitore: quando l'Egitto l'aveva quasi costretto ad un accordo che ne registrava la sconfitta, Kerry ha rovesciato il tavolo introducendo il Qatar e la Turchia nella trattativa: ovvero, gli Usa non stanno con l'Egitto e Israele, il fronte dei Fratelli Musulmani ha ripreso fiato, l'Europa si svergogna con centinaia di manifestazioni antisemite, l'Onu condanna Israele. Hamas pensa che non può andargli che sempre meglio. E certo, poi, che la sua gente muoia, per lui è solo un guadagno.

(il Giornale, 20 agosto 2014)


Il 92% degli israeliani è favorevole alla guerra

TEL AVIV
- Il 92% degli ebrei israeliani è a favore della guerra a Gaza, mentre solo il 7% pensa che questo conflitto non sia giustificato. A riportare questo dato è il sondaggio condotto dall'Israel Democracy Institute, August 2014 Peace Index, secondo il quale poco più della metà degli intervistati crede che il governo abbia chiari gli obiettivi dell'operazione militare Protective Edge. Al contrario il 47% pensa che non sia così. L'indagine riporta quindi che il 58% dei cittadini dello stato ebraico pensa che Israele non debba assecondare alcuna richiesta di Hamas, né di altre fazioni e che l'esercito debba continuare a combattere finché i militanti di Gaza non si arrenderanno. Secondo il 48% di coloro che hanno partecipato al sondaggio le forze militari messe in campo da Israele sarebbero sufficienti, il 45% pensa invece che queste siano inadeguate.
Tra gli intervistati anche i cittadini arabi che vivono in Israele: tra loro il 62% si è detto contrario alla guerra mentre il 24% ha giustificato i raid.
Tra le domande del sondaggio anche una riguardante i negoziati di pace del Cairo, sospesi qualche ora fa. Circa il 60% degli ebrei israeliani ha detto di fidarsi del presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi come negoziatore nei colloqui con i palestinesi, mentre circa la stessa percentuale degli arabi israeliani ha invece dichiarato di non riporre fiducia in lui.
Nel complesso soltanto il 32% dei cittadini israeliani ha dichiarato di essere soddisfatto dei risultati ottenuti finora dall'esercito israeliano nell'operazione militare Protective Edge che dura ormai da 43 giorni.
Non è quindi un caso che nella manifestazione per chiedere un accordo di pace organizzata pochi giorni fa a Tel Aviv, dove risiedono oltre 400 mila abitanti, abbiano sfilato appena duemila persone.

(Il Messaggero, 20 agosto 2014)


Chi sono io per bombardare? La chiesa e la verità sulla persecuzione

Siamo a un disastro epocale, dice David Meghnagi. Ma com'è difficile per i cristiani cambiare idea sugli ebrei.

di Maurizio Crippa

"Siamo di fronte all'epilogo di un lungo processo storico. E' toccato prima agli ebrei che sono fuggiti a centinaia di migliaia dal mondo arabo e islamico, trovando rifugio in Israele, in Europa e nelle Americhe. Tocca oggi alle ultime vestigia della civiltà cristiana orientale. Siamo di fronte a una catastrofe umana, a un disastro politico e religioso, che minaccia di travolgere tutto il sistema di relazioni internazionali. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che chi oggi vuole la distruzione dei cristiani d'oriente e delle minoranze yazide, è anche chi vorrebbe poi la distruzione di Israele. E questo può trascinare al collasso tutto il Mediterraneo".
  E' il pensiero che guida da tempo David Meghnagi, figlio di una famiglia ebrea di Tripoli emigrata a Roma, dopo un sanguinoso pogrom, il terzo in ventidue anni, professore di Psicologia clinica a Roma Tre, una
Anche la parola pace, come tutte le parole, può essere svuotata di signifi- cato, o peggio rovesciata nei suoi significati origi- nari, se non si accompa- gna a indicazioni precise sul cosa fare.
delle personalità del mondo ebraico oggi più impegnate a riflettere sulla linea di faglia del collasso mediorientale, e sul fragile confine, non sempre univoco, del dialogo con il mondo cattolico. Meghnagi era alla Veglia del Foglio del 30 luglio, che ha avuto la capacità di spezzare un paradigma ormai stantio, ma ugualmente letale, quello che unisce "la colpa" di Israele al silenzio sulle persecuzioni cristiane. Una piccola manifestazione, ma che ha illuminato un grande imbarazzo. O un certo imbarazzo, nella chiesa e in settori della gerarchia vaticana, certe lentezze nel prendere la parola di fronte ai massacri, come ha notato persino un vaticanista come Luigi Accattoli, la dicono lunga, e dell'informazione cattolica, di fronte al crollo di quel paradigma. Pochi giorni dopo, il professor Meghnagi era a Milano, in un incontro patrocinato da curia e comunità ebraica. E proprio da qui, da un identico imbarazzo, comincia la sua riflessione.
  "Imbarazzo non solo da parte della chiesa, anche del mondo laico. La grande stampa laica da Repubblica al Corriere, come l'Avvenire, hanno, di fatto, svuotato di significato l'iniziativa, riconducendola a un generico appello alla pace. Il richiamo alla pace è importante. E' la parola più bella e più grande. Come tutte le parole può essere svuotata di significato, o peggio rovesciata nei suoi significati originari, se non si accompagna a indicazioni precise sul cosa fare e sul come agire di fronte alle situazioni, dicendo per esempio che le sanguinose persecuzioni contro i cristiani d'oriente e la minaccia contro l'esistenza di Israele in atto nel vicino oriente sono parte di un unico processo che minaccia non solo questa o quella comunità, ma la convivenza di tutti".
  Da dove nasce, secondo lei, l'imbarazzo di almeno una parte della chiesa a riconoscere questi fatti? "Da una parte c'è la memoria delle guerre di religione. Non dimentichiamo che per quattordici secoli le due religioni si sono fronteggiate sul Mediterraneo. Ma non mi sembra questo il caso. Si tratta di proteggere le minoranze religiose cristiane e le minoranze zoroastriane, che un tempo, non dimentichiamolo, erano su quelle terre la maggioranza. Si tratta di salvare le chiese e i monumenti, i libri, la musica, la lingua e la cultura d'intere popolazioni prima che sia tardi. Il secondo problema, più grave, è il retaggio congiunto di terzomondismo e antisemitismo, che purtroppo è ancora presente in alcuni strati profondi della cultura cattolica. Si ha paura a riconoscere questo cambio di paradigma, che la catastrofe minaccia parimenti cristiani ed ebrei, e che la causa del conflitto non è la nascita di Israele, come falsamente si crede, ma un odio più profondo. Riconoscere questo legame comporterebbe una rinuncia ai luoghi comuni del terzomondismo e dell'antisionismo. Il luogo comune che è Israele la causa della guerra, con il sottinteso che i cristiani debbano stare esclusivamente dall'altra parte, è l'esito di un lungo percorso che inizia nel 1967 e ha come sfondo in occidente l'alleanza fra comunismo, terzomondismo e cattolicesimo sociale. Un pregiudizio inossidabile che la veglia del Foglio ha avuto il merito di incrinare".
  Poi, aggiunge Meghnagi, c'è il persistere di un sottofondo teologico e semantico, che segnala un pregiudizio antico ancora sedimentato: "Tutte le volte che le gerarchie cattoliche valorizzano nei loro messaggi la comunanza dei 'figli di Abramo', s'intende mettere tra parentesi il rapporto privilegiato con gli ebrei. Quando invece usano l'espressione sulle 'due alleanze', sottolineano la contiguità. Sono cose sottili, ma non di poco conto. Ma qui non è in gioco solo una questione teologica e culturale. C'è un problema politico, che oggi è quello della reciprocità tra le fedi. Dunque della capacità da parte della chiesa di chiedere all'islam il riconoscimento di una reciprocità nei comportamenti". Intende con ciò qualcosa di più
Il rifiuto di Israele nella civiltà islamica ha un fondamento teologico nell'idea che i dhimmi, i popoli sconfitti, devono restare tali e che un territorio, appartenuto all'umma, lo deve essere per sempre.
ampio della sola reciprocità sulla libertà di culto? "Riconoscere che 'uccidere il prossimo in nome di Dio è la bestemmia più grande', deve comportare per tutte le religioni un impegno condiviso. Altrimenti il dialogo non è tale. Al massimo siamo allo stadio del buon vicinato.
Quello su cui bisogna insistere non è un generico appello alla pace, che è importante, ma che certi valori umani, che sono diventati universali, devono essere praticati concretamente in ogni luogo, in Europa come nell'oriente islamico". Quel che aveva provato a fare Ratzinger a Ratisbona… "E' stata un'occasione persa per le autorità religiose islamiche, che hanno frainteso il senso di quel contributo alla riflessione". "La tolleranza, il pluralismo, il rispetto dell'altro, sono i fondamenti della civiltà emersa dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale". Prosegue Meghnagi: "Il rifiuto di Israele nella civiltà islamica ha un fondamento teologico nell'idea che i dhimmi, i popoli sconfitti, devono restare tali e che un territorio, appartenuto all'umma, lo deve essere per sempre. Se no non si spiegherebbe perché paesi lontani che non hanno nessun contenzioso aperto con Israele, come il Pakistan e l'Iran siano diventati tra i più ferocemente antisemiti. L'accettazione di Israele in una prospettiva anche religiosa, aiuterebbe le gerarchie dell'islam a uscire dai conflitti e dai lutti in cui è avviluppato. Sarebbe una benedizione per l'islam, come lo fu il Concilio vaticano II per la chiesa. L'Europa e l'islam potranno parlarsi per davvero, se Israele sarà fra loro, in pace e in sicurezza, testimone dei propri lutti e dei loro".
  Secondo lei la Chiesa su questi temi è in ritardo? C'è chi dice che dopo la "svolta conciliare" non sono seguiti i fatti. "La Nostra Aetate va ancora pienamente realizzata. In particolare ci sono in alcuni strati del mondo cattolico zone d'ombra rispetto a Israele come nazione: si fa fatica ad accettare che la riconciliazione con l'ebraismo non può limitarsi alla sfera dei rapporti comunitari. Come del resto è stato accolto in molti documenti ufficiali della chiesa la nascita di Israele, la sua esistenza, non sono elementi secondari del dialogo religioso". Le recenti parole del Papa sulla necessità di fermare l'aggressore le paiono un passo per uscire da quell'imbarazzo? "Un passo importante, carico di contraddizioni. Ma è un'assunzione di responsabilità di fronte a un problema che non può più essere eluso.

(Il Foglio, 20 agosto 2014)


Il papa si comporta come ai tempi dell'Inquisizione. Pronuncia la sua sentenza di condanna dogmatica: "L'aggressore ingiusto deve essere fermato", e poi consegna il condannato al braccio secolare che ha il compito di eseguire la condanna. L'ingenuo laico che ardisce chiedere al papa: "E allora, ci dici che cosa bisogna fare?" dimostra con questo la sua profonda ignoranza di teologia vaticana. L'ha detto Bergoglio: "E' l'Onu che deve decidere come intervenire", è lui oggi il braccio secolare, è lui che deve muoversi. E se non lo fa nei modi adatti, deve anche aspettarsi la giusta riprensione da parte della superiore autorità morale, che è lui, il papa. Ma che fatica fanno i laici a capire certe cose! Viene in mente, chissà perché, quella semplice domanda che pose a suo tempo Stalin: "Ma quante divisioni ha il papa?" M.C.


Quell'istinto auto-distruttivo palestinese

E' ora che il mondo si renda conto che abbiamo a che fare con bande armate che hanno fatto del conflitto la loro fonte di reddito

Generazione dopo generazione, i palestinesi sono e restano in conflitto con il popolo di Israele. Attaccano, perdono e poi gridano "Nakba" per tramandare la tradizione del conflitto alle generazioni future.
Questo format conflittuale dura ormai da quasi cento anni senza che sia stata appresa una sola lezione, senza che si sia levata una voce critica o autocritica.
Qual è il problema cronico dei palestinesi? E' che sono ammaliati dai loro inamovibili capi, che per lo più rappresentano interessi di parte. E questi sono i risultati.
Ma cosa pensano? Che lo stato d'Israele e il popolo ebraico si arrenderanno e capitoleranno? Ovviamente non accadrà mai, perché questo è l'unico paese che abbiamo, ed è il nostro unico paese da 3.500 anni, mentre gli arabi musulmani hanno tutto un mondo arabo....

(israele.net, 19 agosto 2014)


Alla scoperta di Israele

di Egmond Prill

L'autore di questo articolo è un pastore evangelico nato e cresciuto nella Germania dell'Est. Da diversi anni si occupa di Israele e collabora con il giornalista evangelico Johannes Gerloff, che da anni vive a Gerusalemme con la famiglia. "Notizie su Israele" ha tratto impulso anche dall'opera di persone come lui, dai suoi seminari in Germania e dai suoi articoli. NsI

Egmond Prill
Spesso, dopo le conferenze e nelle visite di istruzione alle scuole mi chiedono: "Com'è che sei arrivato a interessarti di Israele?" E con la domanda certamente si pensa: ci sono tanti hobby molto più interessanti, belli e utili, ma perché proprio Israele?
  "Quando uno fa un viaggio, dopo ha qualcosa da raccontare. Per questo prendo bastone e cappello e scelgo dove andare". Con queste parole puntualizza Matthias Claudius. I viaggi di solito cominciano nella testa, molto prima di salire in treno, auto o aereo.
  Il mio viaggio di scoperta verso e attraverso Israele è cominciato nella Bibbia. Leggevo nella Bibbia anche prima della mia confermazione. Mi avevano consigliato: Nuovo Testamento più Antico Testamento più Nuovo Testamento. In questo ordine, cioè due volte le storie di Gesù e in mezzo le storie di Israele. Ed è proprio questa che mi ha affascinato in modo particolare. Conservo ancora oggi le pagine scritte fittamente a mano dove riportavo con accuratezza date, nomi e storie. E' nato lì il mio primo interesse per Israele, per la storia biblica, e subito dopo per gli eventi in corso in Medio Oriente. Israele oggi c'è, e proprio per questo volevo saperne di più. Tuttavia, per un giovane nella "DDR" non era facile ottenere informazioni dall'Israele di oggi e sul suo Stato, perché dal punto di vista delle autorità statali il "sionismo" era la peggiore forma di quello che già di per sé è un male: l'«Imperialismo». Si ascoltavano e trascrivevano notizie e commenti dalla radio in Germania, e in seguito furono registrate su cassette.

- LA BIBBIA APRE IL CUORE E GLI OCCHI
  Non è stata una particolare illuminazione o una qualche esperienza drammatica, ma la Bibbia stessa ad aprirmi gli occhi e il cuore per Israele. Proprio Israele! Il mio programma per computer conta 1.725 volte il nome "Israele" nella Bibbia con gli Apocrifi [strano conto: il termine compare circa 2500 volte solo nell'Antico Testamento, ndt]. Un tema importante nella Scrittura: non è il mio tema, ma il Suo tema. Dio parla sempre su e con Israele. E' importante per LUI e quindi anche per me. Certo, la formazione teologica in Berlino e presso l'Università di Lipsia mi ha portato maggiore conoscenza e approfondimenti. Ma Israele è un tema per ognuno che vive con la Bibbia. Anche a prescindere dalla fede, la Bibbia è come la chiave per la storia e il presente del popolo ebraico. E' una cosa che sottolineo sempre nelle conversazioni che faccio con studenti e insegnanti quando vado a riferire nelle scuole.
  Ripeto sempre una storia che mi ha raccontato molti anni fa una guida turistica israeliana, tratta dalla sua propria esperienza. Una volta stava accompagnando un gruppo di un'organizzazione politica dalla Germania dell'Est e fin dall'inizio le avevano fatto una precisa raccomandazione: "Per favore, niente Bibbia e niente religione!" Detto, fatto. Nel primo e nel secondo pomeriggio il gruppo ritornò in albergo molto presto. Altri gruppi invece arrivavano soltanto all'ora di cena. Il terzo giorno chiesero alla guida: "Come mai andiamo così poco in giro?" Risposta: "Voi la volete senza religione, e quindi si fa molto in fretta". Da quel momento il gruppo cominciò a visitare anche i luoghi biblici.
  Prendete in mano la Bibbia se volete capire le tradizioni ebraiche, la cultura e naturalmente la fede con i suoi comandamenti e precetti! La via per conoscere Israele comincia nella Bibbia.

(israelnetz.com, 19 agosto 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


In verità tu sei un Dio che ti nascondi, o Dio d'Israele, o Salvatore! Saranno svergognati, sì, tutti quanti confusi, se ne andranno tutti assieme coperti d'onta i fabbricanti d'idoli; ma Israele sarà salvato dall'Eterno d'una salvezza eterna, voi non sarete svergognati né confusi, mai più in eterno. Poiché così parla l'Eterno che ha creato i cieli, l'Iddio che ha formato la terra, l'ha fatta, l'ha stabilita, non l'ha creata perché rimanesse deserta, ma l'ha formata perché fosse abitata: Io sono l'Eterno e non ve n'è alcun altro. Io non ho parlato in segreto: in qualche luogo tenebroso della terra; io non ho detto alla progenie di Giacobbe: 'Cercatemi invano!' Io, l'Eterno, parlo con giustizia, dichiaro le cose che son rette.
dal libro del profeta Isaia, cap. 45
 
Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! Infatti «chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio?» Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.

dalla lettera dell'Apostolo Paolo ai Romani, cap. 11







 

Aggredì un ebreo, confessa

L'autore del gesto antisemita a Davos la scorsa settimana ammette i fatti.

L'uomo che ha aggredito e insultato un turista ebreo la scorsa settimana a Davos ha confessato. L'ammissione giunge poche ore dopo la sua identificazione, resa nota ieri dalla polizia. Lo scrive la Südostschweiz.
L'autore era stato riconosciuto da una persona presente al momento dei fatti. Ancora ignoti i motivi del gesto antisemita.

(RSI News, 19 agosto 2014)


Quale pace?

di Elio Cabib

Si è svolta ieri a Tel Aviv una manifestazione pacifista di 10.000 persone. Gli slogan non erano nuovi: dall'ovvio no alla guerra (ai gazawi? A Hamas?), no all'occupazione (di Gaza?), no a Bibi (ha sbagliato in "margine difensivo"? Doveva tollerare l'entrata di Hamas nel governo? Non c'è verso di saperlo), sì ai colloqui di pace con Abu Mazen (per parlare di che?). Io però vorrei chiedere ai manifestanti che cos'è per loro la pace. Per me è una cosa seria. In ebraico shalom ha la stessa radice di shalem che significa completo, shlemut=completezza, quindi non è una semplice tregua, ma pace vera, concreta e duratura. Può essere il risultato di trattative e compromessi, ciò che si lega anche all'altro significato della stessa radice: shillem=pagare, quindi ben vengano i colloqui di pace. Il problema è che questi pacifisti non hanno ben capito che la pace vera e duratura, non la tregua, non è altro che l'intervallo tra due guerre, e così come le guerre le fanno gli eserciti, anche la pace solo un esercito la può difendere. Perché la pace è la negazione della guerra, perché per stare in pace bisogna volerla in due, mentre per fare la guerra basta che la voglia uno solo. Dunque la pace la può firmare e garantire un leader, capo di un governo democraticamente eletto o dittatoriale non ha importanza, trattasi di fatto interno, che guidi saldamente un esercito al suo comando su cui può contare, cosa che non ha nulla a che fare con la buona volontà e il desiderio di pace. Ora, la domanda è: Abu Mazen può contare su un esercito al suo comando? Non mi sembra proprio, non è questo il caso, a differenza di Israele sia a Gaza che in Giudea e Samaria non esiste un esercito, ma, a parte un'ambigua e deboluccia polizia palestinese, queste terre sono in preda di bande armate islamiste, di tagliagole, di ministri corrotti e sanguinari, che si alleano tra loro e si fanno la guerra il giorno dopo. Allora, di quale pace parlano i pacifisti israeliani? Colloqui o chiacchiere? Vorrei tanto saperlo.

(moked, 19 agosto 2014)


Al punto in cui si è arrivati, bisogna decidersi a dire che il termine "pace" usato in senso generico e riferito al problema arabo-israeliano va inteso come una forma indiretta di aggressione a Israele. Da chi brandisce questo termine come un'arma santa per colpire i reprobi occorre che gli israeliani e i loro amici imparino a difendersi come da chi vuole sgozzarli. Certi frasari "pii" non sono più tollerabili. Chi ha idee concrete per cambiare in positivo le cose deve poterlo fare usando precisi e concreti termini descriventi gli elementi reali in gioco senza dover ricorrere al prediletto, magico termine ormai del tutto insignificante e inutilizzabile. Se non, come già detto, per colpire Israele. M.C.


Il piano criminale di Hamas e Turchia contro Israele e ANP

Un piano per un colpo di stato in Cisgiordania ai danni della ANP e l'inizio di una terza sanguinosa intifada con sanguinosi attacchi in tutta Israele sono stati sventati dallo Shin Bet in collaborazione con i servizi di sicurezza della Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Artefici del piano criminale Hamas e Turchia.
Quello che sta emergendo dalla lunga indagine condotta dallo Shin Bet non è solo un tentativo da parte di Hamas di impadronirsi della Cisgiordania così come avvenuto per la Striscia di Gaza, è un piano criminale internazionale che vede come primo attore la Turchia in qualità di Stato Canaglia....

(Right Reporters, 19 agosto 2014)


Tre razzi lanciati da Hamas. Israele ordina di rispondere al fuoco

Continua la mediazione dell'Egitto. I palestinesi vogliono la fine dell'embargo, un porto e un aeroporto. Netanyahu: "Israele pronto a ogni scenario".

Il governo israeliano e Hamas hanno accettato ieri sera l''estensione di 24 ore della tregua ma tre razzi sono stati lanciati da Hamas in direzione di Israele, colpendo l'area disabitata di Be'er Sheva. Secondo il quotidiano Haaretz, le sirene che di solito allertano la popolazione civile in caso di attacco, non hanno suonato. Le forze di sicurezza israeliane hanno ricevuto l'ordine di riospondere alla violazione della tregua.
Domenica sera i rappresentanti delle fazioni palestinesi e del governo di Tel Aviv hanno ripreso i colloqui indiretti mediati dal Cairo. A minare l'esito delle trattative, secondo Sky News Arabia, sarebbe la richiesta di Israele di disarmare la Striscia di Gaza. "Le armi della resistenza palestinese non sono oggetto di trattativa", ha ribadito nelle scorse ore il dirigente di Hamas Khalil al Haya.
Secondo quanto riferito da fonti palestinesi all'agenzia Mena News, un accordo a lungo termine per il cessate il fuoco resta "difficile" perché' Tel Aviv avrebbe presentato "modifiche negative" alla proposta avanzata la scorsa settimana dal Cairo. Proposta che prevede una "graduale" abolizione dell'embargo israeliano sulla Striscia di Gaza, l'espansione delle zone di pesca, la garanzia di nuovi aiuti umanitari e l'organizzazione di una conferenza internazionale sulla Striscia. Le fazioni palestinesi insistono inoltre sulla realizzazione di un porto e di un aeroporto e sull'abolizione totale dell'embargo.
Ieri sera, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, a poche ore dallo scadere del cessate il fuoco fissato a mezzanotte, ha sottolineato che Israele è "preparato per ogni scenario".
Oggi, sarà una giornata importante sul piano diplomatico. A Doha, in Qatar, è infatti previsto un colloquio tra il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, e il leader politico di Hamas in esilio, Khaled Mashaal. Abbas venerdì volerà poi nella capitale egiziana, dove il giorno successivo ha in agenda un colloquio con il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi.

(Il Foglio, 19 agosto 2014)


Demenza digitale - Odio e falsi

di Liliana Picciotto*

Su facebook e sul web, ho trovato un articolo che dice che 225 vittime della Shoah e loro discendenti hanno scritto una lettera contro il "genocidio" praticato a Gaza da Israele.
Constatato che i nomi dei firmatari sono tutti ebraici, che di nessuno c'è alcun indirizzo o numero di telefono, che non c'è nessun nome di vittima italiana (che conoscerei per il mio lavoro sulla Shoah), mi sono insospettita. Ed ecco che cosa ho trovato: il secondo nome della soit disante lista è Henry Weinblum, Belgio. Ho guardato sulle pagine bianche del Belgio e il nome non compare. Compare però sulla Data Base of the Shoah Victims di Yad Vashem, come persona nata nel 1925 e morta in deportazione. Da lì a pensare che la lista è stata formulata con nomi presi a caso da quel data base-memoriale e che si tratta di una montatura è stato semplice.
Israele e gli ebrei del mondo stanno vedendo crescere sotto i loro occhi una guerra mediatica che li demonizza senza quartiere e che, purtroppo, darà i suoi frutti politici. La domanda che mi faccio è: chi paga tutto ciò?


* Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(moked, 19 agosto 2014)


Noi, ebrei testimoni estivi a Tel Aviv e il grido dei cristiani che manca

Lettera al direttore di "Il Foglio"

In molti la giudicheranno una follia, altri una provocazione, altri ancora un gesto di coraggio: quest'estate abbiamo deciso di trascorrere le vacanze a Tel Aviv con il nostro bambino di dieci mesi. Siamo ebrei italiani e sentiamo forte il senso dell'appartenenza. Avevamo programmato di fare una vacanza in montagna, in un posto meraviglioso e certamente rilassante. Qualcosa però strideva col nostro umore e con il nostro senso di responsabilità. Avevamo passato notti insonni seguendo le operazioni militari di Israele a Gaza con estrema apprensione sentendoci insieme partecipi e troppo lontani. Con tutta la preoccupazione del caso e le valige già chiuse abbiamo disdetto la montagna e prenotato per la mattina dopo un volo diretto Roma-Tel Aviv. Certo la nostra presenza in Israele non muta lo scenario politico della zona né cambia le sorti dell'economia del paese, eppure, come scrive Stefano Levi della Torre in un suo saggio, l'identità ebraica risiede ed è risultato della storia di un popolo che nel corso dei secoli forma una "mentalità collettiva". Come tu sai, direttore, l'ebraismo è discussione continua, tra anime diverse ma tutte appartenenti alla medesima famiglia. Scuole di pensiero spesso opposte, eppure fermamente ed orgogliosamente legate al concetto di "am echad ve lev echad" - che in ebraico significa "un solo popolo un solo cuore". Essere ebrei significa vivere l'identità come collettiva, corale, empatica. Troppo spesso, però, questo atteggiamento viene frainteso da chi non ne comprende il profondo significato umano. E così come ebrei veniamo sospettati o addirittura accusati di doppiezza o slealtà. Un'accusa che pone in conflitto, artificiosamente, l'essere cittadini italiani e allo stesso tempo ebrei legati al destino del nostro popolo, di cui lo stato di Israele è stato più volte garante dell'incolumità. In questi giorni il fondamentalismo islamico, come più volte paventato e presagito, sta perseguitando con immensa ferocia i cristiani in molte parti del mondo. Ciò che ci sorprende e ci addolora, però, è il tono basso delle voci che si levano per manifestare la preoccupazione e l'indignazione per questa tragedia. Certo il Papa e le autorità religiose fanno i loro appelli e si prodigano per interventi risolutivi, ma quello che ci chiediamo, abitando a pochi metri dal Vaticano, è perché mai i cristiani italiani, che hanno la fortuna di risiedere nella culla della loro religione, non affollino via della Conciliazione e piazza San Pietro ogni giorno anche solo per dire "siamo qui con voi!". Anche se questo servisse solo a placare quel senso di profonda angoscia che ognuno prova nel vedere i propri fratelli, o semplicemente altri esseri umani, cadere vittime di persecuzioni e tirannie, perché non manifestare? Noi ebrei quel senso di angoscia e malessere lo conosciamo bene, perché accompagna da sempre ogni conflitto arabo-israeliano e ogni atto di antisemitismo nel mondo, eventi questi, che ci portano ad unirci e a raccoglierci. Ecco, in questo momento storico, non riusciamo a non domandarci se ci volesse un ateo devoto come te, caro direttore, per spronare la cristianità di Roma a esprimere solidarietà e a scendere in piazza. 0 se fossero necessari gli ebrei di Milano perché si organizzasse una manifestazione di sostegno ai cristiani perseguitati nel mondo. Ci domandiamo che ne è stato di quell'indignazione, immediata e urlata a gran voce, che una gran fetta dell'opinione pubblica prova ed esprime, legittimamente, ogni volta che lo stato di Israele si difende da un attacco. Intendiamoci, Israele può e deve essere criticata, e non è nostro intento glorificarla qui o altrove. Non possiamo però non notare che quell'indignazione, espressa in modo tanto violento quando si tratta di Israele e tanto sommesso nei confronti di altri, faccia pensare più a un comune e radicato antisemitismo che non ad una critica legittima alla politica estera di un paese. I palestinesi di Gaza sono forse più degni dell'empatia e dei cortei popolari dei cristiani europei di quanto non lo siano le sofferenze dei loro fratelli perseguitati e decapitati in medio oriente? Perché nel mondo cristiano la minaccia e la persecuzione dei fratelli non unisce, non rende popolo e non riempie le piazze? La storia ebraica insegna che identità, unione, empatia e partecipazione attiva possono essere garanzie di sopravvivenza.
Nathania Zevi e David Parenzo

(Il Foglio, 19 agosto 2014)


L'antisemitismo nelle banlieues. Intervista a Georges Bensoussan

Nell'economia psichica del mondo arabo, l'Ebreo è sempre marchiato dalla sottomissione. L'antisemitismo nelle banlieues è divenuto oggi un codice culturale. Intervista fatta da Steve Nadjar allo storico Georges Bensoussan, autore di: "Ebrei nel mondo arabo. Il grande sradicamento 1850-1975", pubblicata sulla rivista francese "Actualité Juive".

 
Gli ebrei attaccati - Repubblica in pericolo  
"Francesi..." - "Vieni, Rachid, non è a noi che parla!"
   
- Quali sono le caratteristiche dell'antisemitismo che percorre le banlieues francesi?
  È un antisemitismo culturale di origine magrebina molto antico ed anteriore alla colonizzazione. È relativo alla condizione di dhimmi, una condizione d'inferiorità contrassegnata spesso dall'umiliazione e dalla violenza. Contrariamente alla leggenda, non c'è mai stata una vera luna di miele tra Ebrei ed Arabi. E non è lo Stato di Israele che l'ha rotta. Certamente ci sono stati dei periodi di coesistenza, sempre tuttavia contrassegnati da un sentimento di ansietà.
   Per contro è vero che la colonizzazione francese ha aggravato il risentimento arabo contro gli Ebrei. Soprattutto in Algeria la colonizzazione ha rinforzato il risentimento antiebraico della popolazione perché dall'oggi al domani gli Ebrei sono stati fatti cittadini francesi col decreto Crémieux. In conseguenza di ciò, gli Ebrei, che furono sempre una figura di oppressi nel mondo magrebino, divennero tutto d'un tratto, esseri superiori. Questo ha costituito una ragione di collera e di frustrazione. Quest'emancipazione dell'Ebreo ha reso profondamente insopportabile ciò che io chiamo "l'economia psichica del mondo arabo-musulmano", perché il dominante non accetta mai l'emancipazione del dominato.
   Le popolazioni del Magreb, venute molto numerose e che hanno talvolta, e fino ad oggi, conosciuto dei gravi problemi d'integrazione, hanno visto nell'emancipazione del mondo ebraico, nell'integrazione degli ebrei nella società francese, tutto ciò che poteva rendere più pesante il loro risentimento. Questo fattore non è stato preso sufficientemente in considerazione dai media occidentali che ignorano questa storia di lungo periodo.

- Può lo stato francese essere preso in contropiede da questo antisemitismo popolare?
  L'apparato dello Stato è irreprensibile. Per quanto riguarda l'opposizione, Bruno Le Maire, tra gli altri, lo è parimenti. Ma i responsabili politici prendono in considerazione il problema molto tardi, soprattutto a sinistra. Oggi si può ritenere che sia troppo tardi, tanta è la violenza che si è installata e tanto numerosa è la popolazione di origine magrebina. Il grande timore dei politici è che ricomincino le sommosse del 2005 e vi è quindi il timore di una nuova guerriglia urbana. Essi fanno grandi sforzi per contrastare la violenza antiebraica, ma bisogna sapere anche che in queste situazioni difficili il lassismo non ha mai assicurato la pace civile.
   Una grande parte dell'elite politica e soprattutto mediatica ha paura a chiamare le cose con il loro nome, in particolare quando evoca degli "incidenti di fine manifestazione" a proposito dei tentativi di pogrom in rue de la Roquette, a Sarcelles e in rue des Rosiers.

- Si può in qualche modo paragonare la situazione degli Ebrei di Francia con quanto hanno vissuto gli Ebrei dei paesi arabi a metà del XX secolo?
  No, non si può fare un paragone. Nei paesi arabi sono anche gli apparati dello Stato che hanno fatto partire in modo sornione gli Ebrei, spingendoli a poco a poco alla partenza. In Francia, per contro, la società comincia a prendere in considerazione quanto succede e l'apparato dello Stato è solidale. Ma quanto è successo a luglio può perfettamente essere inteso come un segnale, in particolare per la popolazione più giovane e penso in particolare ai giovani genitori.
   Una linea rossa è stata superata. Per cinque volte in due settimane si è assistito a dei tentativi di mini pogrom in Francia. Mai avevamo visto un scatenarsi di così grande violenza fisica dentro la quale si è assistito allo sdoganamento del verbo antisemita.
Uno sdoganamento questo, che, stimolato dall'estrema destra - Soral, Dieudonné, Jean-Marie Le Pen - permette di far cadere gli ultimi tabù nati dopo la Seconda Guerra Mondiale.
   La causa palestinese sembra essere la sola per la quale dei francesi di origine magrebina scendono a sfilare per le strade. Ora, altre motivazioni arabe potrebbero mobilitarli, ma questa è la sola nella quale essi affrontano gli Ebrei. Adesso, nell'economia psichica di questo mondo, l'Ebreo è sempre marchiato dall'inferiorità e dalla sottomissione: la sua emancipazione stravolge il suo schema mentale. A fortiori con l'esistenza dello Stato di Israele.

- Esistono forse nel mondo ashkenazita dei precedenti storici che possano far pensare alla situazione attuale?
  Se si prende l'esempio dell'antisemitismo russo del periodo tra il 19o e il 20o secolo, la posizione dello Stato era nettamente diversa. Lo scatenarsi russo è stato favorito dalla polizia e dal potere. In Francia, oggi, lo scatenarsi è autonomo e si collega soprattutto alla popolazione di origine magrebina il cui risentimento si cristallizza sulla Palestina. La violenza, da parte sua, è legata a una minoranza pericolosa e attiva.
   Per contro, tra coloro che scendono nelle strade, le somiglianze sono numerose. Molti di coloro che spaccano tutto sono in situazioni di fallimento sociale, pieni di un profondo risentimento e di una frustrazione tipica del lumpenproletariat. È il profilo di coloro che hanno formato in Germania le S.A., di coloro che spaccano tutto, di coloro che scendono per guardare e intanto danno un colore politico alla propria frustrazione. Ci viene detto che non sono che una minoranza, ma sono precisamente le minoranze che sono sempre all'origine delle violenze.
    L'antisemitismo delle banlieues è diventato oggi un codice culturale come lo era nel 19o secolo in Francia. Ma è anche un codice d'integrazione culturale perché coloro che fanno sommosse antiebraiche, come si è visto a Sarcelles, non sono necessariamente di origine magrebina. La popolazione di immigrati che sono non integrati, disoccupati, si è lasciata prendere dalla morsa dell'antigiudaismo magrebino e vede nel simbolo ebraico il simbolo della riuscita, del denaro, ma anche di una modernità che l'affascina e che nello stesso tempo detesta (penso qui all'emancipazione delle donne).

- Questo antisemitismo popolare potrebbe prendere forme ancora più radicali nel nostro paese?
  Sì, certamente. Non siamo che all'inizio di un processo. Il peso demografico sta dalla parte di coloro che scendono nelle strade, che hanno dalla loro parte il numero, che sanno che fanno paura e che sanno che in questo paese il principio dell'autorità è sempre più contestato.
   Ma l'errore degli Ebrei è di credere di essere rinchiusi in un testa a testa con questi estremisti. Mentre la maggioranza della popolazione francese si dimostra al contrario inquieta per questa evoluzione che non riguarda soltanto gli Ebrei. In effetti, ciò che questa massa silenziosa sente confusamente, è che quando puoi sostituire una bandiera francese con una bandiera algerina, come avvenne dopo le partite dell'Algeria nel mese di giugno, è l'idea stessa della Francia che è minacciata.


Segnalazione e traduzione di Emanuel Segre Amar

(Actualité Juive N.1310, 31 luglio 2014)


Ringraziamo vivamente il vicepresidente della Comunità Ebraica di Torino, Emanuel Segre Amar, per averci segnalato e tradotto le due preziose interviste a Georges Bensoussan che abbiamo pubblicato in questi giorni. C'è davvero bisogno di un pensiero lucido ed essenziale come quello di uno storico del calibro di Bensoussan.


Gli emigrati russi tra le macerie di Gaza

di Nikolaj Litovkin, RBTH

La diplomazia internazionale è al lavoro per cercare l'intesa su una nuova tregua tra israeliani e i palestinesi. Nel frattempo RBTH ha parlato con alcuni emigrati russi che da anni vivono nella zona, teatro dei conflitti, per capire come è cambiata la loro vita.

Nella tarda serata del 10 agosto Hamas e Tel Aviv hanno concluso un nuovo accordo di 72 ore di tregua al fine di sedersi al tavolo delle trattative nell'ennesimo tentativo di fermare lo spargimento di sangue. I combattimenti nella regione però sono ripresi. RBTH ha intervistato gli abitanti di Israele e della Striscia di Gaza cercando di capire come la nuova guerra ha cambiato le loro vite e cosa succede fuori degli obiettivi delle telecamere.

- L'ALTRA FACCIA DELLA GUERRA
  "Qui ho imparato il significato dell'espressione essere fieri del paese in cui si vive e non sarò mai più in grado di dire o provare l'opposto. È in corso una guerra: che ti spinge a soffrire, talvolta ti opprime, ti schiaccia, talvolta ti fa raddrizzare le spalle, arrabbiare, infierire, piangere, sopportare. È in corso una guerra che è impari per definizione", racconta Julija Blechman, laureata alla facoltà di Amministrazione statale dell'Università di Mosca (MGU) e trasferitasi in Israele al termine degli studi.
   La giovane donna racconta di come la gente da tutto il paese raccolga provviste e beni di prima
Al confine con Gaza i soldati ci stanno per delle settimane intere, nel caldo rovente e con provviste scarse, in costante attesa di quello che porterà il domani.
necessità per i soldati che fanno la guardia al confine con Gaza e di come i civili si riuniscano in ospedale per visitare i feriti.
Al confine con Gaza i soldati ci stanno per delle settimane intere, nel caldo rovente e con provviste scarse, in costante attesa di quello che porterà il domani. Vengono a trovarli all'improvviso delle persone che portano loro alimenti. All'inizio mamme e papà col mangiare di casa e poi sconosciuti provenienti da tutto il paese. La gente porta cibo dai ristoranti, dolci, sigarette. Non c'è alcuna direttiva "dall'alto". Semplicemente, ogni singolo uomo decide da sé che per lui è importante prestare soccorso e aiuto. A decine scrivono lettere di ringraziamento e di sostegno ai militari. A decine si recano negli ospedali per fare visita ai feriti, per donare sangue o consegnare leccornie", racconta l'emigrata russa.
   Secondo le sue parole, un paio di settimane fa a Gaza è morto un soldato solitario, la cui famiglia vive all'estero. I suoi amici hanno fatto sapere tramite Facebook che i genitori non sarebbero riusciti ad arrivare per il funerale del figlio e che probabilmente nessuno sarebbe potuto venire per dare l'addio al soldato che aveva donato la vita per il suo paese. Come risultato, il giorno dopo ai funerali del militare si sono presentate 30.000 persone che prima di allora non lo conoscevano neppure.
   "Nella testa di un israeliano non esiste che non si apprezzi la vita altrui. Qui ogni male è vissuto come il proprio personale. Volete sapere perché? Perché così è uso da loro. Mentre nella mia testa in nessun modo riesce ad entrarci questo concetto: ma come si fa a vivere così? Come si fa, prima di sganciare una bomba sui nemici, mandare loro un messaggio avvisando che in un'ora il bersaglio verrà annientato e di evacuare pertanto la zona portando via i bambini dall'area dei bombardamenti. Come si fa a condurre una guerra e nel contempo introdurre, passando per i punti di controllo, 180 camion di aiuti umanitari ai palestinesi? Come può essere che Israele apra al confine un ospedale da campo per i bambini vittime di Gaza? Come?!", racconta Blechman.

- LA VITA CONTINUA
  "La società è divisa in due parti: quelli che già da prima erano scontenti, che volevano andarsene e che ora parlano sempre più di partire; e quelli che amano Israele e vogliono restare nel paese persino in questi tempi così difficili. La percezione della guerra dipende da dove si vive. Ad esempio, chi abita al centro del
“Quando la sirena di allarme è risuonata per la prima volta, nel centro commerciale la gente ha cominciato ad agitarsi. Poi però, tutti si sono abituati.”
paese, o al nord, non avverte molto sulle proprie spalle la tensione del conflitto. Certo, si sono levate alcune sirene, tutti sono andati a nascondersi nei rifugi, ma poi ognuno di nuovo è tornato ad occuparsi degli affari suoi", ha riferito a RBTH il direttore marketing della compagnia Modlin, Sofija Samojlova, residente a Tel Aviv.
Come racconta lei stessa, gli israeliani nel sud del paese stanno vivendo gli eventi in maniera del tutto diversa: intere famiglie sono costrette a dormire nei rifugi, avendo solo 15 secondi per raccogliersi e correre ai ripari prima che le munizioni nemiche gli esplodano in testa.
   "Sì, è ovvio che la guerra ha influito sulla nostra vita di tutti i giorni. Ancora una volta, a Tel Aviv tutto questo lo si avverte meno. Anche se, quando la sirena di allarme è risuonata per la prima volta, io mi trovavo in un centro commerciale e la gente nel panico ha cominciato ad agitarsi. Internet e i telefoni hanno smesso di funzionare, poi però, tutti si sono abituati. Il finesettimana però, la città ch'era solita essere un fiume in piena di gente, si è svuotata", ha raccontato a RBTH Samojlova.
   La ragazza racconta di come il sostegno si faccia sentire da tutte le parti. Così ad esempio, la settimana precedente al bar ha incontrato tre italiani che, stando alle sue parole, sono arrivati intenzionalmente in periodo di guerra per dimostrare ai propri connazionali che in Israele la vita continua e che la situazione non è così terribile come viene descritta dai media.

- ATTRAVERSO GLI OCCHI DEI PALESTINESI
  "Circa il 60% della popolazione della Striscia di Gaza è composta da bambini e adolescenti, per questo la guerra coinvolge prima loro di noi. Ci sono molti feriti fra i bambini, i genitori non possono lasciare
“Nel corso dell'operazione di terra le schegge delle munizioni dell'artiglieria volavano fino a casa nostra. Siamo stati persino costretti a lasciare la nostra casa per tre giorni."
tranquillamente i loro figli per strada perché costantemente, sulle loro teste, volano gli aeroplani spia israeliani. È spaventoso...", ha detto Ljudmila Al'-Farra, medico in uno degli ospedali del Settore di Gaza.
Come lei ha osservato, circa 250.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case: le loro dimore sono state rase al suolo completamente o parzialmente. Secondo la sua testimonianza, i villaggi al confine con Israele sono stati abbattuti del tutto e la gente si raccoglie nei quartieri centrali del paese, cercando di aver salva la vita.
   "Durante la prima fase dell'operazione militare di Israele, gli attacchi aerei sugli obiettivi terrestri effettuati con caccia F-16 e il rombo delle esplosioni si udivano per migliae miglia tutt'intorno: una sensazione come se letteralmente fosse iniziato un terremoto e la casa fosse sul punto di crollare. Nel corso dell'operazione di terra le schegge delle munizioni dell'artiglieria volavano fino a casa nostra. Siamo stati persino costretti a lasciare la nostra casa per tre giorni", dice la signora Al'-Farra.
   Come ha sottolineato lei stessa, mancano gli alloggi, il cibo, l'acqua potabile e i vestiti. "Continueremo a lavorare e a rimanere qui. Io sono medico e non posso semplicemente andarmene. Tanto più che si va verso la pace. Vedremo come andrà ttutto a finire".

(Russia Beyond The Headlines, 18 agosto 2014)


Davos - Insultò un ebreo: identificato

La polizia retica ha individuato l'uomo che lunedì a Davos ha aggredito un turista. La vittima dell'aggressione aveva sporto denuncia.

L'uomo che la scorsa settimana ha aggredito e insultato un turista ebreo a Davos, sarebbe stato identificato. Lo comunica lunedì la polizia retica, precisando che per individuare il sospetto è stata decisiva la segnalazione di un testimone, che ha assistito alla scena. Lunedì, la vittima stava passeggiando quando è stata attaccata con epiteti xenofobi da un uomo. I motivi del gesto sono ancora da chiarire, si legge in una nota stampa.

(RSI News, 18 agosto 2014)


Shin Bet: Hamas voleva rovesciare Abu Mazen

L'organizzatore si troverebbe in Turchia

Mentre il presidente dell'Anp, Abu Mazen, cerca di ottenere l'assenso di Hamas per una tregua a Gaza, i servizi segreti di Israele (Shin Bet) hanno rivelato oggi di aver sventato una lunga serie di attentati progettati da Hamas. Miravano, secondo lo Shin Bet, a seminare la morte in Israele ma anche a destabilizzare la Cisgiordania nell'intento di innescare una rivolta che poteva provocare la caduta dell'Anp di Abu Mazen. L'ideatore del piano, secondo Israele, risiede in Turchia.

(ANSA, 18 agosto 2014)


Oltremare - Dopoguerra
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”
“In piazza e fuori”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

E improvvisamente non siamo più incollati ai telegiornali che si rincorrono nelle staffette di giornalisti e commentatori a ripetizione, servizi dal confine, sirene in diretta, senza più orari né inizio né fine. Improvvisamente arrivano anche i turisti, quelli che si sono decisi all'ultimo e quelli che avevano già deciso da settimane di partire lo stesso per questa destinazione in sé paradisiaca, diventata per una estate un luogo di guerra, reportage terrorizzanti, immagini che vorremmo il cervello dimenticasse presto.
Non si può dire che le spiagge siano piene come in un ferragosto qualunque, ma l'ultimo shabbat al tempio telavivese degli italiani tripolini non c'era quasi un posto libero e lo sfoggio di abbronzature era quello classico della Tel Aviv d'estate. Sono arrivati anche i francesi, e anzi, pare che loro non abbiano mai smesso di atterrare, almeno a giudicare dalla percentuale francofona che sciabatta in infradito per la città.
Il porto al nord di Tel Aviv nel weekend era un tappeto brulicante di famiglie colorate e bambini scalzi sul legno a onde che imita le dune che una volta erano la forma di tutto qui, orizzonte e mare a parte. A ogni aereo che passava tutti alzavano distrattamente la testa, e solo per un attimo il pensiero era, probabilmente: oh, guarda, un aereo non da guerra.
Sarebbe questo, il ritorno alla normalità. Non fosse che la pace ancora non c'è, e che ci tocca adesso difenderci da accuse di crimini di guerra e non conta nulla quante volte ci ricordiamo che siamo l'esercito più etico del mondo. Siamo comunque un esercito, e un esercito ammazza, distrugge, gli altri e un po' se stesso ogni volta che entra in azione. Ma anche i tribunali sono segno che siamo dopoguerra. E speriamo di esserci davvero, anche dopo mezzanotte allo scadere del cessate il fuoco.

(moked, 18 agosto 2014)


Hamas-Israele, l'accordo si allontana

di Alberto Flores D'Arcais

A ventiquattr'ore dalla scadenza del cessate-il-fuoco le posizioni (almeno a parole) si irrigidiscono. Israele ed Hamas sembrano lontane da un accordo e il piano di pace per una tregua più duratura discusso al Cairo (sponsor gli egiziani) rischia di restare lettera morta.
Il premier israeliano Netanyahu ha fatto diverse concessioni (la zona di pesca allargata fino a 9-12 miglia, riapertura delle frontiere con controllo dei palestinesi di Abu Mazen, l'ingresso di aiuti umanitari e per la ricostruzione) ma è stato netto su una cosa: Hamas «non può sperare di compensare una sconfitta militare con un successo politico» e Israele non accetterà mai una proposta di tregua che non tenga conto degli interessi di sicurezza di Gerusalemme (quindi niente più razzi e missili lanciati dalla Striscia di Gaza). Hamas nega la sconfitta militare (che in realtà c'è stata), accusa il premier israeliano di «nascondere le ingenti perdite» subite dall'esercito e minaccia: «Il prossimo round si gioca ad Ashkelon», ovvero in territorio israeliano.
Egitto e Abu Mazen non demordono e il presidente palestinese ha inviato un suo consigliere per convincere il capo politico di Hamas Meshal a dare il via libera. Quest'ultimo vuole però che Israele si impegni subito per un porto commerciale e un aeroporto nella Striscia. Posizione che Netanyahu non può (anche per motivi di equilibrio interni al suo governo) accettare.
Durante questi giorni di cessate- il-fuoco tra Israele ed Hamas è continuata la guerra di propaganda. Con Israele contro le Nazioni Unite per la commissione d'inchiesta e con una polemica che ha visto protagonisti anche i media stranieri (con un comunicato del Foreign Press Center che accusava i militanti di Hamas di aver «censurato ed espulso» giornalisti stranieri). Una verità scomoda che ieri è stata ammessa (in un'intervista ad una tv libanese) anche da un dirigente di Hamas: «Chi fotografava o filmava i nostri combattenti o i lanci dei razzi era di fatto un agente del nemico. Chi non cambiava idea su come raccontare la guerra lo abbiamo cacciato».

(la Repubblica, 18 agosto 2014)


Tv, il ciclo Donne straordinarie presenta "la dottoressa Ruth"

Domani alle 21.30 su Rai Storia

Rai Cultura presenta Donne straordinarie in onda martedì 19 agosto alle 21.30 su Rai Storia, ch.54 del Digitale Terrestre e ch.23 TivùSat. La famosa sessuologa di fama mondiale Ruth Westheimer nasce da una famiglia ebrea tedesca nel 1928. L'infanzia felice di Ruth va in frantumi quando Adolf Hitler sale al potere. Per salvarla i suoi genitori la manderanno in Svizzera. Il destino dei suoi genitori - vittime dell'olocausto - e le sue radici ebraiche, inducono Ruth a diventare un ardente sionista, e in Palestina, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, viene addestrata come cecchino. Ma Ruth continua a studiare nelle migliori università europee e diventa psicologa di fama, nonché sessuologa, grazie al suo studio che evidenzia i benefici del controllo delle nascite. Da sessuologa presenta inoltre un programma radiofonico che la renderà celebre come 'la dottoressa Ruth', una sedicente nonna Freud capace di parlare di sessuologia senza nessun tabù.

(il Velino, 18 agosto 2014)


Israele sospende il traffico ferroviario vicino alla striscia di Gaza

Benjamin Netanyahu e il ministro dei Trasporti Yisrael Katz a bordo di un treno a Sderot, quando fu inaugurata la nuova stazione ferroviaria
TEL AVIV - Israele ha sospeso il traffico ferroviario vicino la striscia di Gaza. Tutti i treni tra Ashkelon, sulla costa, circa 50 chilometri a sud di Tel Aviv, e la città di Sderot, 20 chilometri più a sud-est, vicino al confine con Gaza, saranno cancellati fino a nuovo avviso. Lo riferisce YnetNews, precisando che il ministero della Difesa israeliano ha espresso preoccupazione per un possibile lancio di razzi da Gaza. L'attuale 'cessate il fuoco' a Gaza scadrà alla mezzanotte di oggi

(Adnkronos, 18 agosto 2014)


Estremismo islamico e alienazione. Le molte complicità occidentali

di Angelo Panebianco

Troppi indizi lasciano pensare che stia accadendo di nuovo. Nel XX secolo le società democratiche occidentali vennero sfidate da potenti movimenti politici totalitari. Quei movimenti politici trovarono simpatie, connivenze e alleanze all'interno di quelle stesse società democratiche. Si pensi ai tanti simpatizzanti del nazismo nell'Europa degli Anni Trenta. E, soprattutto, si pensi al comunismo sovietico. Per decenni e decenni la sua natura tirannica venne negata da milioni di uomini in Occidente (in particolare, nell'Europa latina). I movimenti totalitari del XX secolo poterono contare, nelle società europee rimaste democratiche, su quinte colonne estese, motivate e radicate.
   L'estremismo islamico è certamente diverso da nazismo e comunismo. Non nasce in Europa, anzi le è totalmente estraneo. È anch'esso una ideologia politica totalitaria ma non è un figlio spurio della
Le società democratiche occidentali hanno sempre contenuto al loro interno quote più o meno ampie di persone che le odiano e vorrebbero distruggerle.
secolarizzazione. Si tratta di una ideologia che utilizza e piega ai suoi scopi una religione. A prima vista, non dovrebbe avere nulla di attraente per degli occidentali, non dovrebbe suscitare alcuna simpatia. Ma non è così. Sorprendentemente, incontra molta più cornprensione, fra certi occidentali, di quanta se ne potrebbe ragionevolmente aspettare. E la ragione forse, nella sua tragicità, è abbastanza semplice. Le società democratiche occidentali hanno sempre contenuto al loro interno quote più o meno ampie di persone che le odiano e vorrebbero distruggerle. Persone che di tali società rifiutano l'individualismo congenito, ne negano il carattere democratico, disprezzano i diritti di libertà di cui godono i loro concittadini, provano ripugnanza per il «materialismo» occidentale, per il fatto che le società democratiche siano soprattutto impegnate nella ricerca del benessere economico.
   Si pensi a quelle mosche cocchiere che in Occidente sono sempre stati gli intellettuali. Come diceva l'economista Joseph Schumpeter, solo il capitalismo occidentale, fra tutte le formazioni sociali esistite, ha avuto la particolarità di allevare e mantenere un così grande stuolo di intellettuali (e di pseudo-intellettuali) che vorrebbero distruggerlo.
   È questa incomprimibile quota di alienati, sempre presente, sia pure in proporzioni variabili, in tutte le società democratiche occidentali, a fornire, a seconda delle posizioni sociali occupate, manovalanza oppure copertura e appoggio intellettuale ai movimenti totalitari, a costituirne le quinte colonne.
   Non andrebbe sottovalutata la dichiarazione del deputato dei Cinque Stelle di comprensione per il terrorismo islamico. Una dichiarazione, peraltro, che segue di una settimana un'altra dichiarazione, di un altro esponente Cinque Stelle, il quale manifestava simpatia per l'Isis, il Califfato siriano-iracheno. Una rondine non fa primavera ma uno stormo sicuramente sì. Si guardi cosa si è scatenato, non solo qui da noi ma in tutta Europa, in occasione del nuovo conflitto a Gaza. Le accuse ad Israele di genocidio (una parola che sembra aver perso il suo significato originario), addirittura — come recita un manifesto di intellettuali, con molte firme al seguito, circolante oggi in Italia — la richiesta di una nuova Norimberga contro lo Stato ebraico, Hamas fatta passare per una congrega di puri combattenti per la libertà. Solo crimini, e nessuna ragione, vengono imputati da costoro ad Israele. Anche in Europa, insomma, c'è un bel po' di gente che vorrebbe «cancellare l'entità sionista». Per non parlare degli attacchi alle sinagoghe e delle minacce agli ebrei.
   Certamente, nell'odio per Israele confluisce un antisemitismo mai sradicato che oggi preferisce mimetizzarsi, mostrarsi interessato alla causa palestinese. Ma gioca anche il fatto che in Medio Oriente
Israele è la società più simile a quelle occidentali. E, in quanto tale, bersa- glio qui in Europa di ostilità e disprezzo.
Israele è, con le sue peculiarità, la società più simile a quelle occidentali. E, in quanto tale, bersaglio, qui in Europa, di ostilità e disprezzo. Confrontate quanto i nemici europei di Israele hanno detto e scritto in questi giorni su Gaza con «l'assordante silenzio» che essi hanno rigorosamente mantenuto nei confronti delle stragi jihadiste di cristiani che si consumavano nello stesso momento. E capirete. L'ostilità per Israele è oggi il com denominatore, l'elemento che accomuna, e avvicina, gli europei alienati e l'estremismo islamico. E prepara i primi al ruolo di alleati del secondo. In nome della comune avversione al materialismo e all'individualismo occidentali.
   Forse un messaggio sufficientemente netto, e sufficientemente condiviso dai suoi massimi esponenti, da parte della Chiesa cattolica, aiuterà in futuro, almeno qui in Italia, a circoscrivere il fenomeno. Il Papa ha preso una posizione forte e chiara sulla persecuzione in atto dei cristiani da parte dei jihadisti. Ma, in una intervista al Corriere (15 agosto), il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino, dopo avere detto molte cose condivisibili, ha dato anche al lettore l'impressione, sicuramente sbagliata, di mettere sullo stesso piano il «fondamentalismo» occidentale, l'ostilità di molti occidentali per l'islam, e le azioni dell'Isis e degli altri movimenti jihadisti. Un messaggio più chiaro sarebbe sicuramente di aiuto.
   Certo, per sua natura (soprattutto la sua alterità culturale) l'estremismo islamico non farà comunque in Europa altrettanti proseliti dei movimenti totalitari del XX secolo. Ma una rete di complicità e di alleanze sicuramente si formerà. La storia si ripete. Speriamo che non sia ancora tragedia.

(Corriere della Sera, 18 agosto 2014)


Romeo e Giulietta nozze sotto assedio ai tempi di Gaza

Manifestazioni, campagne sui social network, urla e appelli Mahmud è islamico, Morel è ebrea: ma per ora ha vinto l'amore.

di Alberto Flores D'arcais

 
GERUSALEMME ' È voluto un giudice di buon senso, ma alla fine il sospirato matrimonio s'è fatto: con chi voleva impedirlo che urlava slogan a duecento metri di distanza e gli sposi (con familiari ed amici) difesi da trentatre robuste guardie armate. Con un post su Facebook del presidente di Israele. E con decine di poliziotti nelle vicinanze, a controllare che tutto filasse liscio.
   Finisce felicemente (per il momento) la storia d'amore di Morel e Mahmud, promessi sposi al tempo del conflitto di Gaza. Lei ebrea, 23 anni, un padre severo e uno spirito ribelle, lui, 26 anni, musulmano. Si erano conosciuti cinque anni fa ed era stato amore a prima vista. Tutti e due dell'area di Jaffa, pochi chilometri dal centro di Tel Aviv, non avevano mai avuto particolari problemi, a parte qualche borbottio del padre di lei, poco convinto del fidanzamento. Quando hanno annunciato che volevano sposarsi quel borbottio si è trasformato in diniego: «mai». Morel ha la testa dura, con l'appoggio (un po' nascosto) della madre e degli altri parenti è andata dritta per la sua strada. Il matrimonio viene programmato per il 17 agosto, centinaia gli amici invitati, sulla rete un sito viene dedicato all'avvenimento. E qui iniziano i guai. Perché anche i social network vengono controllati in ogni dettaglio dai militanti di Lehava, il gruppo di destra che ha come obiettivo quello di «bloccare i matrimoni misti nella Terra Santa». Che iniziano a postare su Facebook ultimatum e minacce. E a poco è servito che — proprio per evitare polemiche o scontri—i due promessi sposini non avessero voluto simboli religiosi e che la pagina web dedicata al matrimonio ( con tanto di inviti enomi di invitati ) fosse imbellita solo da una citazione di un verso di Ariel Zilber: popolare cantautore israeliano settantenne di cui sono note le simpatie per l'estrema destra, il pieno appoggio ai coloni e i giudizi al vetriolo su omosessuali ed ebrei laici.
   Quelli di Lehava non hanno abboccato. Organizzazione che ha avuto un momento di celebrità internazionale nel 2010 ( quando scrissero una durissima lettera alla famosa modella israeliana Bar Refaeli, "colpevole" di essere fidanzata con Leonardo Di Caprio, intimandogli di lasciarlo) e i cui militanti da allora passano il proprio tempo a cercare possibili matrimoni tra ebrei e musulmani, pronti a scatenare una campagna intimidatoria per farli saltare. Come hanno fatto in questo caso, con minacce (pubbliche eprivate) non solo ai protagonisti e ai loro familiari più stretti ma anche alle centinaia di invitati. Prima sulla rete, poi con minacce telefoniche vere e proprie e infine con l'annuncio di una mobilitazione in grande stile davanti alla sala di Rishon LeZion dove è prevista la cerimonia: «Venite tutti con energia positiva e portate megafoni e clacson. Chiediamo alla nostra sorella di tornare a casa con noi, nella nazione ebraica che la sta aspettando». Nell'appello vengono riportati i numeri di telefono della sala matrimoni e si chiede di tempestare di telefonate i proprietari spiegandogli «che la loro reputazion esarà distrutta per sempre perché si sono resi complici di un matrimonio misto».
   Morel Malka e Mahmud Mansour non si fanno intimidire. Mentre il padre di lei grida ai quattro venti che non andrà al matrimonio (ricevendo il plauso di Lehava) loro si rivolgono al giudice. E Iriya Mordechai (un giudice-donna del tribunale di Tel Aviv) pur costringendoli ad assoldare 33 guardie del corpo (al prezzo di 15mila shekel, più di 4mila dollari ) stabilisce che le proteste sono legittime ma potranno svolgersi solo a duecento metri dalla sala della cerimonia. E lo sposo, alla vigilia, schernisce i contestatori: «In fondo è solo un party», visto che Morel si è convertita per amore all'Islam e i due sono già sposati davanti a un funzionario musulm ano. Per Lehava (e per il padre) quella conversione non ha invece alcun valore.
   Ieri finalmente l'agognato "sì". Con la benedizione di un personaggio di eccezione, il presidente di Israele Reuven Rivlin. Che nella sua pagina Facebook ha scritto: «Mahmud e Morel hanno deciso di sposarsi e di esercitare la propria libertà in un paese democratico. Nessuno è obbligato a dividere con loro la felicità ma tutti devono rispettarla. Violenza e razzismo non hanno posto nella società israeliana».

(la Repubblica, 18 agosto 2014)


Allarme intelligence: Hamas prepara grandi attacchi terroristici

Fonti di intelligence israeliane hanno avvertito che Hamas si sta preparando a colpire duramente una volta che l'attuale cessate il fuoco umanitario sarà scaduto. Il pericolo è così alto che questa mattina il Governo di Gerusalemme ha deciso di bloccare la linea ferroviaria che collega Ashkelon a Sderot.
Secondo informazioni di intelligence infatti i terroristi di Hamas starebbero pianificando un attacco ai treni con l'uso di missili anticarro, un attacco devastante che potrebbe uccidere decine di civili israeliani....

(Right Reporters, 18 agosto 2014)


«Se lei, signor Herzl, intende andare in Palestina a stabilirvi il suo popolo...»

Il 26 gennaio 1904 ci fu l'udienza concessa dal papa a Theodor Herzl. Il fatto stesso che abbia ricevuto Herzl, che era impegnato in una campagna per ottenere una patria in Palestina, cosa alla quale la Chiesa si opponeva vigorosamente, era molto significativo. L'incontro non era cominciato bene, secondo Herzl, perché, sebbene gli avessero detto di baciare la mano del papa all'atto dell'incontro, non riuscì a costringersi a farlo. Quando poi gli chiese un aiuto nel permettere agli ebrei di stabilirsi in Palestina, il papa rispose: «Non riusciremo a impedire agli ebrei di andare a Gerusalemme, ma non potremo mai favorirlo. [. .. ] Gli ebrei non hanno riconosciuto il Signore nostro e quindi non possiamo riconoscere il popolo ebraico». E continuò: «La fede ebraica è stata il fondamento della nostra, ma è stata soppiantata degli insegnamenti di Cristo e non possiamo ammettere che goda ancora di qualche validità».
Herzl chiese al papa se sapesse qualcosa dell'attuale situazione degli ebrei.
«Sì, - rispose Pio X -, fin dai giorni in cui ero vescovo di Mantova, c'era una comunità di ebrei in quella città. Solo l'altra sera», aggiunse il papa, «due ebrei sono venuti qui a trovarmi.» Continuò: «Ci sono altri legami oltre a quelli religiosi: rapporti sociali, per esempio, e filantropia. Certo che preghiamo per loro, perché il loro spirito veda la luce. Proprio oggi la Chiesa celebra la festa dei non credenti che si sono convertiti in qualche modo miracoloso, come sulla strada di Damasco. E quindi, se lei intende andare in Palestina a stabilirvi il suo popolo, saremo pronti con chiese e sacerdoti a battezzarvi tutti».
da "I papi contro gli ebrei" di David I. Kertzer





 

L'amicizia vien danzando

di Ada Treves

Notissimo ballerino, di balli da sala, e maestro di danza, Pierre Dulaine è nato a Jaffa nel 1944: suo padre, protestante inglese, era in Palestina con l'esercito britannico, e sua madre, cattolica palestinese, era in parte francese.
Oltre al metodo che porta il suo nome, Dulaine ha fondato Dancing Classrooms, un programma che aiuta i bambini e le loro famiglie a migliorare la propria vita, danzando. La sua storia è molto nota e, oltre ad essere diventata un film - "Ti va di ballare?" con Antonio Banderas -, ha attirato l'attenzione di Miri Shahaf-Levi, a sua volta ex ballerina. Quando lo ha contattato, ha scoperto che, oltre a parlare diverse lingue (inglese, francese e arabo, e qualche parola di ebraico) era ben consapevole delle difficoltà che si possono incontrare vivendo in Israele, ed era disponibile a recarvisi, ma a una condizione: "Trovami in Israele bambini ebrei e arabi che siano disposti a ballare insieme". Non facilissimo, visto che spesso si tratta di bambini che non hanno rapporti che vadano al di là di un incontro casuale, magari per strada andando a fare la spesa.
Shahaf Levi, che oltre a lavorare per il ministero della Cultura israeliano è consulente per l'Israel Prize, ha continuato a pensarci fino a quando non le è stato possibile richiamare Dulaine, e dirgli che era arrivato il momento giusto. Cinque scuole di Jaffa erano disponibili a seguire il programma: due scuole arabe, due ebraiche e un istituto che invece ha allievi sia ebrei che cristiani che musulmani. In alcuni casi i genitori dei bambini hanno dovuto scrivere l'autorizzazione per i loro figli, in modo che anche dal punto di vista religioso non ci fossero problemi a farli ballare con bambini dell'altro sesso. Nonostante in alcuni momenti sia stato tentato di abbandonare, per le resistenze dei bambini, Dulaine ha continuato a credere nel potere della danza: "Sono convinto che avere fiducia sia molto importante. Quando ci si avvicina a qualcuno con rispetto, qualcosa cambia, sempre. Alla fine anche due sceicchi hanno iscritto i loro figli, e tutti ballavano!".
Il progetto è cresciuto ed è diventato un documentario, "Dancing in Jaffa", che sta ora girando il mondo e ha vinto diversi premi. E anche a distanza di tempo Pierre Dulaine è rimasto in contatto con qualcuno dei partecipanti, che ha rivisto in occasione della presentazione del film: "Sono cresciuti, certo, ma sono rimasti davvero molto amici".
E il progetto non è finito con il documentario: Shahaf-Levi ora dirige il programma Dancing Classroom in Israele e negli scorsi quattro anni ha coinvolto almeno duemila bambini, che fanno lezione di danza per tre mesi ciascuno, due volte alla settimana. Ed è solo l'inizio: uno sponsor americano ha deciso di appoggiare il progetto, e da Jaffa le Dancing Classroom porteranno i bambini a conquistare tutto il paese ballando e, soprattutto, guardandosi negli occhi.

(moked, 18 agosto 2014)


Il terrorismo islamico conta sulla quinta colonna italiana

Dalle moschee alle Ongfino al web: ecco chi sono e come si muovono i fanatici. Sono molto ben organizzati e promuovono indisturbati la loro causa estremista.

di Magdi Cristiano Allam

Non ci sono solo Grillo e il M5S. Il tenorismo islamico in Italia conta su una quinta colonna disarticolata, disomogenea, trasversale, ma efficiente. Consta di pochi protagonisti palesi e attivi e di tanti comprimari che, consapevolmente o no, contribuiscono a promuovere la causa dell' islamizzazione del nostro Paese. E' presente principalmente negli ambienti islamici delle moschee e dei siti internet, annovera immigrati che non si integrano e quelli che sono nati e cresciuti da noi con o senza cittadinanza, con un peso crescente degli italiani convertiti che più agevolmente e spavaldamente si avvalgono e sfruttano le nostre leggi e risorse per diffondere la causa di Allah. In quest'ambito si registrano le decine di imam e di terroristi islamici espulsi, l'ultimo dei quali è stato l'imam di San Donà di Piave, il marocchino AbdulBarraAr-Rawda,
La quinta colonna del terrorismo islamico si avvale di entrature rilevanti negli ambienti sia dell'estrema destra sia dell'estrema sinistra.
allontanato dal ministro dell'Interno Alfano; ma anche la cinquantina di terroristi islamici italiani o residenti in Italia partiti per espletare la loro guerra santa in Siria e in Irak, qual è stato Giuliano Ibrahim Delnevo, il venticinquenne genovese ucciso in Siria nel 2013 ed elevato a «martire» dell'islam.
La quinta colonna del terrorismo islamico si avvale di entrature rilevanti negli ambienti sia dell'estrema destra sia dell'estrema sinistra, così come si diffonde anche grazie alla pavidità e al relativismo religioso che permea la Chiesa cattolica e talune Chiese protestanti che, tacendo o non denunciando adeguatamente il genocidio dei cristiani d'Oriente, finiscono per avallare seppur tacitamente le atrocità dei terroristi islamici.
   Ugualmente beneficia di cospicui aiuti finanziari e logistici da parte di unapletora di Ong (organizzazioni non governative), italiane e straniere, laiche, cattoliche e islamiche, che simpatizzano più o meno pubblicamente ed esplicitamente con il terrorismo islamico, e che a loro volta drenano risorse elargite dallo Stato e da privati italiani. Questo si rende possibile anche perché la posizione del nostro governo nei confronti del terrorismo islamico è assolutamente ambigua finendo per risultare compiacente. Pensiamo ad esempio al fatto che il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha assunto una politica di equidistanza tra Israele e Hamas, equiparando uno Stato legittimato dalle Nazioni Unite con un'organizzazione terroristica messa al bando dall'Onu, dall'Unione europea e dagli Stati Uniti. Ma pensiamo anche alla miriade di sigle islamiche in Siria e in Irak riconducibili ai Fratelli musulmani, ai Salafiti, ad Al Qaida e ai cosiddetti jihadisti qual è l'Isis (Stato Islamico dell'Irak e del Levante), che di fatto beneficiano di aiuti e di armi occidentali, direttamente o tramite la Turchia, l'Arabia Saudita e il Qatar, per il semplice fatto che anche l'Italia si è ciecamente schierata contro il regime e l'esercito regolare di Assad rincorrendo il mito suicida della cosiddetta Primavera araba.
   L'insieme di questa strategia non potrebbe emergere senza la condivisione di giornalisti che per affinità ideologica o subendo la «sindrome di Stoccolma» nei confronti dei potenziali carnefici islamici, li rappresentano in modo compiacente. Questa realtà è stata inequivocabilmente svelata dalla delicata e sconcertante vicenda di due nostre ragazze, Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, rapite la notte dello scorso 31 luglio, insieme al giornalista del Foglio Daniele Raineri che sarebbe riuscito a fuggire e a dare l'allarme.
Se un giorno l'Italia doves- se essere sottomessa all'islam, il burattinaio eliminerà i burattini della quinta colonna con la stessa ferocia con cui sgozzano e decapitano i cristiani e gli yazidi.
Il condizionale è d'obbligo dato che Raineri coltiva amicizie e simpatizza per la causa islamica. Ebbene, in un cartello in arabo con cui Vanessa e Greta si sono fatte immortalare nel corso di una manifestazione svoltasi in Italia si legge: «Agli eroi della Brigata dei martiri - Grazie dell'ospitalità - Se Allah vorrà presto Idlab sarà liberata- E noi ci torneremo». La Brigata dei martiri, in arabo Liwa Shuadha, è anch'essa un gruppo di terroristi islamici il cui capo, Jamal Maarouf, ha ammesso di collaborare con Al Qaida.
Il fronte siriano ha evidenziato la tragica realtà di un terrorismo islamico che infierisce anche con chi mostra simpatia nei suoi confronti, come è il caso del padre gesuita Paolo Dall'Oglio, da oltre un anno rapito dai terroristi dell'Isis, e del giornalista Domenico Quirico, che ha finito per odiare il terrorismo islamico dopo essere stato rapito e messo per due volte di fronte a un plotone d'esecuzione.
   Se l'espulsione dell'imam di San Donà di Piave è stata l'ultima di una lunga serie che ha coinvolto le moschee di tutt'Italia, compresi ben due imam della Grande Moschea di Roma, tutti dediti a predicare la morte degli ebrei, dei cristiani e degli infedeli, il «fronte di internet» si sta rivelando sempre più fertile nell'opera di lavaggio del cervello e di arruolamento dei militanti della guerra santa islamica. Ed è qui che il ruolo dei convertiti eccelle, grazie alla maggiore capacità linguistica e forza culturale. Sulla pagina Facebook «Musulmani d'Italia - organizzazione comunitaria» si legge: «Checché se ne dica sull'Isis, la maggioranza delle notizie sono comunque bugie e propaganda, almeno applicano la Jiziah (la tassa di protezione per ebrei e cristiani, ndr) e la Zakat (elemosina islamica, ndr) in modo islamicamente corretto». Sempre su Facebook Silvia Layla Olivetti, del Movimento per la tutela dei diritti dei musulmani, scrive: «Sono italiana, chiedo che l'ambasciatore israeliano in Italia venga espulso perché il nostro Paese si oppone al terrorismo, al genocidio, all'olocausto». Di fronte all'avanzata di questa quinta colonna del terrorismo islamico noi per ora ci limitiamo a reagire tardivamente, quando scopriamo l'esistenza di un terrorista o di un imam che fa apologia di terrorismo, oppure ci sottomettiamo al loro arbitrio concedendo sempre più moschee e consentendo il lavaggio di cervello attraverso internet. E' bene che Grillo, i protagonisti e i comprimari di questa quinta colonna sappiano che sono solo dei burattini. Se un giorno l'Italia dovesse essere sottomessa all'islam, il burattinaio li eliminerà con la stessa ferocia con cui sgozzano e decapitano i cristiani e gli yazidi di fronte a casa nostra.

(il Giornale, 18 agosto 2014)


Una lettera clandestina da Gaza denuncia la spietata dittatura di Hamas

Il messaggio si chiude con un disperato appello al resto del mondo: verrà ascoltato?

Una lettera scritta da un palestinese di Gaza, arrivata per vie semiclandestine nelle mani di un cittadino israeliano e pubblicata da Fox News lo scorso fine settimana, rivela un quadro fosco della vita dei palestinesi sotto la dittatura di Hamas. Nella lettera, un trentenne di Gaza chiamato Ahmed racconta la propria vicenda come scavatore di tunnel per conto di Hamas.
Ahmed racconta di quando, avendo accettato un'offerta di lavoro, venne trasportato in un camion senza finestrini insieme con altri cinque scavatori costretti come lui a lavorare sottoterra su turni estenuanti. "Viaggiammo per un'ora - dice la lettera - Alla fine ci fermammo e ci portarono in un edificio chiuso. Non sapevamo dove eravamo. Ci mostrarono un buco nel terreno e ci dissero di andare dentro. Camminammo per qualche centinaio di metri e quando arrivammo in fondo, c'erano due membri di Hamas che ci stavano aspettando. Ci diedero degli attrezzi di lavoro e ci dissero cosa dovevamo fare per allungare il tunnel"....

(israele.net, 18 agosto 2014)


Netanyahu: Hamas non si illuda

Concessioni solo in cambio di garanzie sulla sicurezza: Benjamin Netanyahu approfitta della riunione del governo israeliano per chiarire la posizione del suo esecutivo, quando dall'Egitto rimbalzano voci di un possibile accordo su una tregua di lunga durata:
"Se Hamas pensa che la sua sconfitta sul campo di battaglia possa essere cancellata da una vittoria sul tavolo negoziale si sbaglia. Se Hamas pensa che continuando a sparare sporadicamente razzi contro Israele ci costringerà a fare concessioni si sbaglia: finché non sarà tornato il silenzio in Israele, Hamas continuerà a subire duri colpi".

(Fonte: euronews, 17 agosto 2014)


Pallavolo - Selinger: padre e figlio allenano le due Nazionali di Israele

Avital e Ariel Selinger
di Gian Luca Pasini

Erano già stati assieme nel 1992 quando Avital (in campo) e Arie (in panchina) batterono l'Italia nei quarti dell'Olimpiade di Barcellona. Adesso 22 anni dopo scrivono un'altra storia assieme: il padre allena la squadra femminile di Israele, mentre il figlio allenerà quella maschile.
Curiosità entrambi proprio da Tel Aviv hanno iniziato prima allenare e giocare in mezzo mondo. Il padre non era nato in Israele (ci è arrivato dopo essere sopravvissuto a un campo di concentramento), mentre il figlio sì e ha giocato per la squadra della stella di David a livello giovanile, prima di finire in Olanda… Il cerchio si chiude.

(La Gazzetta dello Sport, 17 agosto 2014)


EDIPI incontra Dan Bahat a Gerusalemme: né l'età né Hamas fermano i suoi programmi

 
Dan Bahat
La delegazione di EDIPI acconpagnata dal presidente Ivan Basana ha incontrato nello storico Cafè Hillel di Jaffa street, il famoso archeologo biblico Dan Bahat. Non poteva esserci posto più adatto per incontrare una persona dalla cultura e dalla conoscenza archeologica come Dan. Al Cafè Hillel puoi incontrare scrittori famosi, giornalisti, studiosi, letterati, come giovani studenti o semplici curiosi: è un posto molto conosciuto in cui molti si danno appuntamento, e così è stato fra noi e Dan.
   L'abbiamo visto in forma smaliante, il nostro 76enne baffuto archeologo (sembra Asterix). Ci ha ricevuti con grande affetto, ricordando anche la recente visita fatta a Padova, con l'occasione di incontrrci in un altro famoso caffè patavino: il Pedrocchi.
Fabulatore instancabile ci ha aggiornato della situazaione politica con la guerra di Hamas, di come il governo sia troppo morbido, di come l'esercito doveva esser lasciato a completare l'opera di distruzione dei tunnel e di come comunque la tecnologia israeliana troverà la maniera di eliminarli. In questa tragica vicenda vede anche l'aspetto positivo: il ricompattamento della frammentata società israeliana che quando si vede in pericolo scopre una vera unità.
   Sta fisicamente benissimo perchè si è iscritto ad un corso di fitness trainer, in vista dei nuovi programmi di tour archeologici che saranno impegnativi dal punto di vista fisico.
Terminata la collaborazione con le università canadesi dopo 13 anni di insegnamento, ha recentemente concluso un contratto di 5 mesi con un'Università di Memphis nel Tennesee in cui insegnerà in un Master Universitario di livello superiore nella sua materia di Archeologia Biblica.
   Ricordando l'ultimo viaggio archeologico che ha sviluppato proprio con noi di EDIPI nel 2012, ci ha riservato la prima metà del mese di maggio 2015 per organizzarne un'altro con nuovi itenerari. Ha consigliato un numero massimo di 30 persone (con la preparazione fisica di due mesi prima in palestra!) e al nostro ritorno in Italia ci aggiornerà sul programma. Per rendersi conto dell'eccezionalità dell'iniziativa, nell'informare la giornalista Fiamma Nirenstein del nuovo progetto archeologico con Dan Bahat, abbiamo avuto da lei, come reazione, la sua immediata adesione all'iniziativa.
   Saluta tutti soprattutto quelli del primo tour archeologoco EDIPI 2012.
   All'inizio sottolineavamo come al Cafè Hillel di Jaffa Sreet si possono incontrare persone speciali: a salutarci in uscita abbiamo trovato il Rav benemerito anziano Viterbo, già rabbino capo di Padova, a Gerusalemme per organizzare la sua Aliyah. Sorpreso ci ha salutato con simpatia ricordando le iniziative del pastore Ivan Basana (allora non ancora presidente EDIPI) con la comunità ebraica di Padova nei primi anni del 2000.

(EDIPI, 17 agosto 2014)


Tirannia della penitenza

Il fenomeno più clamoroso verificatosi nella cultura europea degli ultimi quarant'anni riguarda proprio la storiografia. La destra, il centro e la sinistra continentali si sono tanto adagiati nei propri sensi di colpa che hanno finito con l'adottare la meta-storia arabo-musulmana. [...]
Leader e masse popolari arabe vengono considerati, da una penitenziale Europa, alla stregua di adolescenti scapestrati, incompresi da genitori incapaci di mantenere la parola data, le cui colpe risalgono alle colpe dei padri. [...] Tale giustificazionismo ostacola quei sentimenti di indignazione che dovrebbero nascere spontanei e legittimi a fronte di molti atti compiuti dai movimenti di liberazione islamico-arabi. Nessun movimento di liberazione al mondo ha mai usato la pratica costante di uccidere civili innocenti. Quelli islamico-arabi lo fanno, ma non gli viene rimproverata come colpa. Nessun movimento di liberazione al mondo ha usato i bambini come scudi per i propri partigiani, né li ha mai spinti a farsi esplodere come bombe. Iraniani e palestinesi lo fanno, ma non è considerata una colpa infamante. Nessun leader di un movimento di liberazione è stato coinvolto da scandali personali di corruzione da centinaia di milioni di dollari. Questo è successo ad Arafat morente, con la moglie Shua che trattò con Abu Mazen una buonuscita milionaria (in dollari), senza che nessuno se ne scandalizzasse.
La storiografia europea è dunque accecata in buona parte da una «tirannia della penitenza, che da anni permea il pensiero politico progressista a fronte di tutto quanto accade nelle ex nazioni colonizzate. È una sorta di imperio culturale penitenziale che produce conseguenze politiche gravissime ma anche deformazioni forse ancora più gravi sotto il profilo culturale dentro gli stessi intellettuali musulmani che potrebbero e dovrebbero essere interlocutori dell'Occidente per costruire ponti di dialogo e di ricerca.
Questa chiave di lettura penitenziale europea, superficiale e facilona costituisce infatti, anche per loro un alibi e favorisce l'occultamento di qualsiasi volontà e capacità di comprendere quel «rifiuto della modernità» di buona parte del mondo musulmano. Un rigetto che blocca lo sviluppo del pensiero, della ricerca nei Paesi musulmani, e favorisce il consenso di massa verso il fondamentalismo islamico e infine partorisce il terrorismo, che del fondamentalismo è solo un sintomo, un'espressione.

da "Il fascismo islamico" di Carlo Panella





 

Svolta filo-israeliana di Marine: «I veri nemici sono gli jihadisti»

La Le Pen abbandona definitivamente le simpatie palestinesi del padre e manda un messaggio agli ebrei francesi; il Fronte Nazionale è il vostro scudo contro l'islam. "Non smetto di ripeterlo agli ebrei francesi: non solo il Front national non è vostro nemico, ma è senza dubbio il miglior scudo per proteggervi, è al vostro fianco per la difesa delle nostre libertà di pensiero o di culto di fronte al solo vero nemico, il fondamentalismo islamico".

Marine Le Pen
PARIGI - «Sostengo senza riserve gli attacchi militari americani contro i jihadisti dello Stato islamico e ritengo che la Francia, poiché ne va del suo interesse e del suo onore, debba unirsi a questi attacchi». E ancora: «Il fondamentalismo islamico sunnita è il vero nemico della Francia. Gli Europei dell'Ovest si trovano nello stessa situazione degli israeliani». Sono parole che fanno discutere negli ambienti della destra identitaria, e non solo, quelle contenute nel lungo intervento pubblicato su inter-net dall'eurodeputato del Front national Aymeric Chauprade, neoconsigliere di Marine Le Pen per le questioni intemazionali.
Un intervento, intitolato "Manifesto per una nuova politica intemazionale della Francia", che oltre ad abbattere per la prima volta il totem frontista della "non-ingerenza militare", segna un'evoluzione cruciale rispetto alla strategia della prudenza allestita dal Fn dinanzi all'ultima crisi israelo-palestinese e alle sue ripercussioni sul suolo francese. «Il nuovo antisemitismo proviene da una parte della comunità musulmana che associa gli ebrei alla politica d'Israele. Le recenti manifestazioni pro-palestinesi ne sono la prova tangibile», recita il testo. Ma quella di Chauprade, che al settimanale L'Express ha dichiarato di sentirsi oggi «più vicino a un israeliano che a un membro di Hamas», lui che ha sostenuto a lungo la causa palestinese quando questa «era ancora una causa nazionalista e non islamica», è soprattutto l'ennesima apertura pro-Israele del Front national, da quando a guidarlo c'è Marine Le Pen. Impensabile fino a tre anni fa, quando al vertice del partito c'erano ancora Jean-Marie e i "camarades" del vecchio corso, il Front national 2.0, con Louis Aliot e Florian Philippot in prima fila, non è più un "nemico" per la comunità ebraica. E il merito è tutto suo. Di Marine, che dal 2011 si batte indefessamente per detergere il Fn dagli eccessi xenofobi del passato e renderlo più garbato e presentabile. Confinando il padre e la vecchia guarda frontista ai margini del partito, ha spazzato via progressivamente quell'aria torbida e antisemita che ha sempre aleggiato attorno al Front national, riuscendo a intrattenere un rapporto più disteso e pacifico con la comunità ebraica francese, che ora guarda a lei come ultima paladina contro il nuovo antisemitismo islamico delle banlieue. «Gli ebrei sono le prime vittime delle esazioni islamiche. Le solidarietà hanno cambiato sponda. Le banlieue si svuotano dei loro abitanti ebrei e cristiani. Alcuni spiriti israeliti iconoclasti cominciano a considerare la presidente del Fn come ultimo, seppur paradossale bastione», ha commentato il giornalista de Le Figaro Eric Zemmour, mettendo in risalto l'avvedutezza della nuova posizione assunta dal Front national circa il conflitto israelo-palestinese e la sua importazione sul suolo francese. Due settimane fa, quando da Place Beauvau, sede del ministero dell'Intemo, rimbalzava ancora l'ipotesi di dissoluzione della Ligue de Défense Juive, Marine non ci pensò due volte ad inserirsi nell'accesso dibattito che ne stava scaturendo, per esprimere la sua solidarietà al gruppuscolo francese: «Se esiste una Ligue de défense juive, significa che un gran numero di ebrei si sente in pericolo. Sentono che in Francia si sta affermando un nuovo antisemitismo, innescato dalle crescenti conflittualità ira comunità». Un messaggio recepito e apprezzato dal grupuscolo di difesa ebraica, che tramite il suo portavoce, interrogato da Le Monde, ha sottolineato come il Front national non rappresenti più un pericolo per gli ebrei di Francia. « La comunità ebraica, vent'anni fa, era trincerata contro il Fn. Oggi, osserviamo che le aggressioni di strada ai danni degli ebrei non sono più opera di persone vicine al Fn». Ma la rupture con la linea filo-palestinese del vecchio Fn era già divenuta definitiva poco prima dello scoppio dell'ultima crisi di Gaza, in un appello alla comunità ebraica che Marine aveva lanciato dalle pagine del settimane Valeurs Actuelles «Non smetto di ripeterlo agli ebrei francesi: non solo il Front national non è vostro nemico, ma è senza dubbio nel futuro il miglior scudo per proteggervi, è al vostro fianco per la difesa delle nostre libertà di pensiero o di culto di fronte al solo vero nemico, il fondamentalismo islamico».

(Libero, 17 agosto 2014)


Gaza - Di Battista (M5S): "confrontarsi con i terroristi'". Forza Italia e Pd: 'stupida follia'

Il grillino: 'Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione'.

Valanga di dichiarazioni trasversali contro Alessandro Di Battista, deputato M5S della Commissione Esteri della Camera, che in un post pubblicato sul blog di Grillo scrive: "Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione".
"Se a bombardare il mio villaggio e' un aereo telecomandato a distanza - scrive il grillino - io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto né giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando piu' droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il fenomeno".
Parole che scatenano un polverone. Daniela Santanchè, deputata azzurra, commenta: "Game over per la credibilità e per il margine di tollerabilita' del Movimento 5 Stelle. Forse Grillo e compagni non ricordano cosa il terrorismo ha significato per l'Italia e per il mondo: migliaia di vittime, famiglie intere distrutte, un clima di pericolo insostenibile. Di Battista si vergogni delle dichiarazioni rilasciate sul terrorismo in Iraq". "I terroristi - continua la pasionaria berlusconiana - sono persone con cui non ci si puo' sedere a un tavolo per trattare, tanto meno sul futuro di un Paese, come l'Iraq, che ha fame di democrazia. Vergogna è la sola parola corretta che si puo' utilizzare nei confronti di Di Battista e delle sue dichiarazioni".
Secondo il Pd "chi giustifica il terrorismo ne è corresponsabile", e Stefano Pedica, parlamentare dem, dichiara: "Al delirio grillino non c'e' mai fine. Arrivare a dire che dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano fa capire che forse Di Battista a ferragosto deve aver preso un brutto colpo di sole''.
Ancora Forza Italia, con il senatore Francesco Giro: "Le dichiarazioni di Di Battista sono stupide e inutilmente provocatorie. Fanno parte del personaggio. Le parole di Di Battista sono la quinta essenza della stupidità".

(ItaliachiamaItalia, 16 agosto 2014)


"Non sto né giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire!"
"Sto provando a capire! Sto provando a capire!"



Intervista a Georges Bensoussan

"Il conflitto Israelo-palestinese ravviva un anti giudaismo di origine magrebina". Lo storico della Shoah Bensoussan descrive i danni provocati dall'antisemitismo su una parte dei giovani francesi musulmani. Intervista rilasciata a Hugo Domenach e pubblicata sulla rivista francese Le Point.

 
Georges Bensoussan
- Alcuni paragonano i fatti di Sarcelles con la Notte dei Cristalli. Che cosa ne pensa?
  Bisogna fare attenzione alle parole utilizzate. Non vi è nulla in comune con la Notte dei Cristalli. Allora si è trattato di un pogrom di Stato e generalizzato. Quanto è avvenuto a Sarcelles e in via de la Roquette è l'atto di una minoranza. E non si può nemmeno parlare di genocidio a Gaza. Si tratta di una catastrofe come si ha in qualsiasi conflitto armato. Ma non possiamo utilizzare questo termine quando si parla di azioni militari. Questi riferimenti storici sono scelti per uno scopo ideologico, per commuovere l'opinione pubblica.

- Si può parlare di un'importazione del conflitto Israelo-palestinese per spiegare questi episodi?
   Non vi è alcuna importazione del conflitto. È altro che viene importato. Il mondo arabo è pieno di conflitti. Ma non c'è che Gaza e la Palestina che fanno scendere le persone in strada. La maggior parte dei manifestanti è di origine magrebina e non ha alcun legame biologico con la Palestina. L'Algeria è più vicina. Eppure non si sono viste manifestazioni durante la guerra civile negli anni '90. Il problema di fondo è che importiamo un anti giudaismo di origine magrebina antecedente al sionismo, che esisteva già nel XIX secolo. Il conflitto Israelo-palestinese ha fatto rivivere questo anti giudaismo. La Palestina cristallizza la frustrazione degli arabi. Gli ebrei vengono considerati i responsabili di tutte le loro sventure. D'altra parte, l'islamizzazione di una parte della gioventù di origine magrebina ha avuto un ruolo molto importante nella radicalizzazione anti ebraica. Alcuni dei responsabili delle comunità musulmane denunciano questa deriva, come Dalil Boubaker, rettore della grande moschea di Parigi, come lo scrittore Abdelwahab Meddeb o come l'antropologo Malek Chebel. Ma sono troppo pochi.

- C'è un aumento di antisemitismo negli ultimi anni?
  La Francia non è un paese antisemita. L'antisemitismo tradizionale di Vichy e dell'estrema destra è diminuito. Non è il nucleo fondamentale dell'antisemitismo attuale, che proviene dall'immigrazione magrebina. Questo non ha nessun punto in comune con l'odio che prevaleva contro Mendès France negli anni '50. Oggi la nomina di ministri ebrei non provoca soprassalti di antisemitismo.
C'era già stato un aumento di antisemitismo in occasione della prima guerra del Golfo, nel 1991. I sociologi l'avevano allora additato chiaramente. Ma non sono stati ascoltati. Oggi la comunità ebraica rappresenta lo 0,7% della popolazione. Secondo il ministero degli interni è l'oggetto della metà degli atti razzisti e delle violenze fisiche. La sproporzione è fragrante. Si sarebbe potuto pensare che l'affare Merah (Tolosa ndt) avrebbe calmato le acque. Al contrario esso ha incoraggiato la violenza. L'orrore incita all'orrore. Come storico della Shoah sono in grado di affermarlo.

- Gli ebrei di Francia devono aver paura?
  Diventa pericoloso portare un segno distintivo. Attorno a me le persone si nascondono. Conosco personalmente un anziano signore che adesso si mette la kippah in tasca prima di entrare dentro il metro. Molte giovani coppie non osano più iscrivere i loro figli nelle scuole pubbliche. E basta osservare le partenze verso Israele. Quest'anno sono previste quasi 5000 partenze (500 nel solo mese di luglio), in confronto alle 1900 del 2012. Alla fine degli anni '90 erano appena 1000/anno.

- È stato giusto proibire alcune manifestazioni pro palestinesi?
  Questa soluzione non mi convince affatto. Se si proibiscono delle manifestazioni bisogna mettere in campo le forze necessarie. Altrimenti si svilisce il principio dell'autorità, già molto indebolito. Bisogna proteggere i luoghi di culto e garantire la pace civile, ma bisogna permettere alla gente di esprimersi liberamente nelle strade. Altrimenti si vittimizza inutilmente e si dà l'impressione di voler mettere il bavaglio a coloro che si battono per i palestinesi, mentre il loro impegno, di per sè, è legittimo.

- C'è un tabù in Francia attorno alla politica d'Israele?
  Vi è un tabù nel rifiuto di parlare dei pericoli. Si può ben criticare l'immobilismo di Netanyahu, drammatico per entrambi i popoli, che non offre alcuna prospettiva. Ma si eufemizza il terrore di Hamas ed il suo rifiuto viscerale (condiviso da una parte del mondo arabo) del diritto d'Israele ad esistere. Questo rifiuto è, fin dal 1947, la radice primordiale della violenza. Bisogna rileggere Bossuet: "Dio ride degli uomini che deplorano gli effetti ma sono tifosi delle cause [che li han provocati]"

Segnalazione e traduzione di Emanuel Segre Amar

(Le Point N. 2184, 24 luglio 2014)


Per le vie di Chernivtsi, città dei sogni yiddish

Qui nacquero Paul Celan e Rose Ausländer - Ancora oggi vi si respira un'aria cosmopolita

Occhi azzurri e un po' di stress: siamo alla frontiera tra Romania e Ucraina, nei pressi di Siret. Azzurro è lo sguardo della flessuosa soldatessa Adriana M. - il nome lo si può leggere con comodo sulla targhetta cucita alla divisa, mentre ci si chiede perché Sports Illustrated non l'abbia ancora reclutata - e lo stress è quello delle lunghe verifiche di dogana e dei tre timbri a più livelli necessari per entrare in Ucraina su un'auto propria. «Se vuole un consiglio - ci si può sentir dire senza pudore in piazza a Suceava, nella Bucovina rumena, quaranta chilometri più a sud - metta qualche leu o grivnia nei passaporti. Anche gli euro vanno bene. Si passa con più facilità. Comunque Chernivtsi è un po' vuota di questi tempi. Molti poliziotti sono stati spediti a est». Già, Chernivtsi. È lì che puntiamo.
   In rumeno è Cernauti, Czerniowce in polacco, Czernowitz in tedesco, Csernovic in ungherese, Cernopol nel linguaggio senza tempo della letteratura (cfr. Gregor von Rezzori): comunque la si chiami, resta una città fiabesca e dolorosa, immancabile per chi si occupi di poesia non solo yiddish.
   Procedendo verso nord nella «terra dei faggi» (il significato del nome Bucovina), Chernivtsi appare all'orizzonte una quarantina di chilometri dopo il confine. La prima tappa, per osservare la città dall'alto, è il cimitero ebraico, uno dei più sconfinati che esistano. Servirebbero giorni per farne il giro a piedi, vera foresta di lapidi, arbusti e alberi, più verde che marmo, in stato di totale abbandono. Ogni tanto, qualche ebreo americano paga uno del posto per restaurare una tomba o fare una ricerca genealogica, ma sembra non esserci presente per questo passato. E dire che fino alla Seconda guerra mondiale Chernivtsi era abitata per un terzo da ebrei, che convivevano in modo pacifico con ucraini, rumeni, polacchi, ruteni, tedeschi. Nel Settecento la città fu legata all'Austria e quando divenne rumena nel 1919 non perse un grammo di atmosfera asburgica: «Piccola Vienna» era uno dei suoi appellativi, così come «Gerusalemme sulla Prut» (il fiume che le scorre accanto). Nel 1940 fu invasa dai soldati sovietici, l'anno dopo contro-occupata da reparti delle SS.
   La cultura vi era di casa: una delle prime informazioni che gli abitanti riferiscono allo straniero è che «cent'anni fa, a Chernivtsi, vi erano più librerie che forni del pane». Un'epoca perduta: oggi è più facile vedere anziane contadine - poverissime, coperte da teli di cellophane nei giorni di pioggia - vendere ai lati della strada manciate di frutti di bosco o latte travasato in bottiglie di plastica. Anche le architetture sono trascurate: l'Hotel Bristol - di evocative atmosfere inizio Novecento - è un dormitorio per studenti di medicina. Tuttavia, lungo la centrale via Olga Kobylyans'ka, vi sono incastonate alla pavimentazione strisce di marmo con inciso il nome di Chernivtsi in decine di lingue: tracce di una gloria trascorsa, che nei prossimi anni, però, potrà forse rinnovarsi. A Bruxelles, come sappiamo, guardano a est, a un mondo che in fatto di cosmopolitismo ha ancora molto da insegnare agli occidentali.
   La Jüdisches Nationalhaus, invece - edificio Jugendstil con teatro all'interno - è in ottime condizioni e pure l'insuperabile Università creata dall'architetto ceco Josef Hlavka e terminata nel 1882, ora patrimonio Unesco: non una pietra fuori posto, acustica perfetta nella chiesa Seminarska, corsi all'avanguardia frequentati da studenti di ogni dove. Da fare invidia a Oxbridge.
   Poi c'è il capitolo letteratura. Si formò qui Karl Emil Franzos (1848-1904), cantore dell'Halb-Asien, la «quasi-Asia», come aveva definito questi territori nei suoi racconti, che restano il miglior ritratto della Bucovina ebraica. Nacquero qui il romanziere Gregor von Rezzori, i poeti Itzig Manger e Alfred Gong, il grande Paul Celan. Ma il vero genius loci è Rose Ausländer, poetessa ragguardevolissima (alla pari con Else Lasker-Schüler), celebre nel mondo tedesco, sconosciuta in italiano. «Paesaggio che mi inventò» scrisse della Bucovina. E di Chernivtsi: «Aveva una fisionomia particolare, una specifica coloritura. Sotto la superficie del dicibile affondavano le vaste e ramificate radici delle diverse culture, che si compenetravano sotto molteplici aspetti e che recavano forza e linfa vitale alle fronde dell'albero della parola».

(Corriere del Ticino, 16 agosto 2014)


Appoggiare Hamas è antisemitismo

di Alan M. Dershowitz

Criticare specifiche scelte politiche israeliane non è certamente [di per sé] antisemitismo. In effetti, molti israeliani criticano alcune scelte politiche del proprio paese. Ma il sostegno per Hamas è antisemita, perché le politiche e le azioni di Hamas si basano, nella loro essenza, sull'odio per l'Ebreo. Eppure molte personalità di spicco, alcuni per ignoranza, molti di più in piena consapevolezza di ciò che stanno facendo, stanno sostenendo apertamente Hamas. Alcuni l'hanno anche elogiato. Altri, come il più celebre filosofo italiano, Gianni Vattimo, stanno cercando di raccogliere fondi e fornire supporto materiale a questa organizzazione terroristica anti-semita. Altri ancora si rifiutano di condannarlo, pur condannando Israele con la massima fermezza.
   Ecco alcune delle cose che la Carta Programmatica di Hamas, sulla quale si fondano i suoi principi di governo, dice sugli Ebrei:
    I nemici tramano da secoli. La ricchezza ha permesso loro di prendere il controllo dei media mondiali, come le agenzie di stampa, giornali, riviste, editori, trasmissioni radiotelevisive e simili. Con la loro ricchezza hanno causato rivoluzioni in varie parti del globo … Furono dietro la Rivoluzione Francese e le rivoluzioni comuniste ... Hanno anche usato il denaro per creare organizzazioni clandestine che si stanno diffondendo in tutto il mondo, per distruggere le società e realizzare interessi sionisti. Tali organizzazioni sono: massoneria, Rotary Club, Lions Club, B'nai B'rith e simili. Tutte queste sono organizzazioni distruttive di spionaggio ... Esse stavano dietro la Prima Guerra Mondiale allo scopo di eliminare il califfato islamico ... Hanno ottenuto la Dichiarazione Balfour e stabilirono la Società delle Nazioni, al fine di governare il mondo per mezzo di tale organizzazione. Stanno anche dietro la Seconda Guerra Mondiale .... Essi hanno ispirato la creazione delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza per sostituire la Società delle Nazioni, al fine di governare il mondo per mezzo dei loro intermediari. Non c'è stata nessuna guerra in alcun luogo che sia scoppiata senza le loro impronte digitali su di essa" ...
La maggior parte di questi riferimenti ai "nemici" precede il costituirsi dello Stato d'Israele. Tale carta chiaramente si riferisce agli Ebrei e fa appello ai soliti stereotipi dell'antisemitismo e dell'odio per l'Ebreo. In effetti, fa appello espressamente all'assassinio degli Ebrei, citando fonti islamiche per il proprio scopo di genocidio:
    Hamas da sempre cerca di realizzare la promessa di allah a qualsiasi prezzo. il profeta, la preghiera e la pace siano con lui, disse: "Il fine non sarà raggiunto finché i musulmani non combatteranno gli Ebrei, fino a che gli Ebrei non si nasconderanno dietro rocce e alberi, che grideranno: O musulmani! C'è un Ebreo dietro di me, venite e ammazzatelo! [tratto da uno dei due testi principali dell'Hadith: il Sahih al Bukhara, insegnato in ogni scuola islamica di ogni corrente - ndt]
Questa non dovrebbe essere una notizia sorprendente. Hamas è un'organizzazione sussidiaria
Hamas è un'organizza- zione antisemita, basata su una filosofia di odio per l'Ebreo, con lo scopo di distruggere lo stato del popolo ebraico e assassinarne gli abitanti.
completamente dipendente dalla Fratellanza Musulmana, che è una delle "crescite gemelle" del Partito Nazional Socialista Tedesco. La Fratellanza Musulmana fu fondata nel 1928 da Hassan Al Banna, [e fra i suoi dirigenti c'era Haj Amin Al Husseini - ndt] un alleato fra i piò fedeli di Adolf Hitler. Operò mano nella mano con Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, fondando la [XIII] Divisione Waffen SS [croato-bosniaca] musulmana Handschar, che sterminò intere comunità ebraiche. In seguito aiutò a far fuggire criminali di guerra nazisti dopo la sconfitta del III Reich e la rivelazione dei crimini della Shoah.
   La piattaforma costitutiva di Hamas non è solo storia del passato. I leader attuali di Hamas invocano frequentemente i libelli di sangue che accusano gli Ebrei di assassinare bambini cristiani e di usarne il sangue per farci le azzime. Essi considerano i luoghi di culto ebraici e le scuole ebraiche, ovunque al mondo, come obiettivi legittimi dei loro attacchi terroristici.
   Alcuni di coloro che appoggiano Hamas, come Jimmy Carter e Mary Robinson, pretendono di sostenere i suoi scopi politici ma non le sue politiche antisemite. ("Dobbiamo riconoscere la sua legittimità come agente politico"). Altri, come il Ministro degli Esteri turco e i leader del Qatar, appoggiano i suoi obiettivi militari. ("Appoggiamo la Resistenza Palestinese di Hamas "perché sposa la causa palestinese e la lotta del suo popolo"). Codeste distinzioni fanno acqua da tutte le parti, dal momento che la posizione antisemita di Hamas è centrale alla sua politica e alle sue azioni militari. Alcuni supporters di Hitler avevano sostenuto lo stesso argomento, dicendo che il Partito Nazional Socialista e i suoi leader avevano una buona politica economica, educativa e istituzionale. Nessuna persona ragionevole, al giorno d'oggi, potrebbe accettare tale scusa; nessuna persona ragionevole dovrebbe accettare le scuse addotte dai supporter di Hamas che pretendono di affettare la mortadella cosí fine.
   Lo stesso vale per coloro che sostengono che Hamas sia preferibile all'ISIS o ad altri gruppi jihadisti che potrebbero prenderne il posto. Un argomento simile fu portato avanti dai [sostenitori dei] fascisti, che sostenevano che il fascismo fosse preferibile al bolscevismo. La realtà è che Hamas è un'organizzazione antisemita, basata su una filosofia di odio per l'Ebreo, con lo scopo di distruggere lo stato del popolo ebraico e assassinarne gli abitanti. È il male personificato. Non c'è nessuna scusa o giustificazione per l'appoggio a Hamas e chiunque lo faccia appoggia l'antisemitismo.
   Alcuni supporter di Hamas — come coloro che cantano slogan alle manifestazioni come "Hamas, Hamas, gli Ebrei al gas" - sono fieri di riconoscere questa realtà. Altri lo negano, come Cornell West, che, secondo l'American Spectator "era alla testa di una manifestazione pro-Hamas di alto profilo". Ciononostante, sono tutti complici, anche se magari sono loro stessi Ebrei o hanno amici ebrei. Appoggiare un'organizzazione che è anti ebraica alle fondamenta e la cui piattaforma fa appello all'assassinio di tutti gli Ebrei, è nei fatti antisemita, anche se non nelle intenzioni. Quei politici, accademici, gente di spettacolo e altri che appoggiano Hamas - e ce ne sono molti - devono essere richiamati e condannati, come lo è stato Roger Waters dei Pink Floyd. Parimenti lo devono essere quelli come Navi Pillay, capo del Consiglio dei Diritti Umani dell'UNO, che vede un'equivalenza morale tra questo gruppo terrorista antisemita e lo stato democratico del Popolo Ebraico. Lei addirittura chiese che Israele condivida con Hamas il suo sistema antimissile "Kippah di Ferro", senza condannare Hamas per aver usato i civili palestinesi come la propria kippah di ferro.
   Tra i peggiori colpevoli c'è l'Arcivescovo Desmond Tutu, che ha una lunga storia di antisemitismo. Lui, come Carter, ha spinto per il riconoscimento di Hamas, i cui leader paragona a Nelson Mandela. Fra gli pseudo Mandela di Tutu, con i quali ha collaborato, c'è un certo Ahmad Abu Halabiya che ha dichiarato quanto segue:
    "Non abbiate pietà degli Ebrei, non importa dove siano, in qualsiasi paese. Combatteteli, ovunque siate. Ovunque li troviate, uccideteli…insieme agli Americani che sono come loro e coloro che ne sono alleati."
Sono alquanto certo che il vero Nelson Mandela non ha mai fatto alcuna affermazione paragonabile a questa. Tuttavia, l'Arcivescovo Tutu, che si rifiutò di sedersi sullo stesso palco con Tony Blair, ha lavorato mano nella mano con leader assassini di Hamas quali Halabiya.
   Potrebbe essere necessario negoziare — direttamente o per intermediario - con Hamas, cosí come si "negozia" con rapitori, detentori di ostaggi o estorsori e ricattatori. Ma riconoscerne la legittimità, come vorrebbero Jimmy Carter e l'Arcivescovo Tutu, vorrebbe dire riconoscere la legittimità dell'antisemitismo. Carter, Tutu e tutti i cheerleader di Hamas magari sono disposti a farlo, ma nessuna persona ragionevole, che non ami il pregiudizio razzista, dovrebbe legittimare l'antisemitismo di Hamas e il suo scopo dichiarato di distruggere Israele ed assassinare i suoi abitanti ebrei.


L'ultimo libro di Alan M. Dershowitz's è "Taking the Stand: My Life in the Law".

(the algemeiner, 14 agosto 2014 - trad. Sergio Hadar Tezza)


Dobbiamo avere paura? No, dobbiamo reagire

 
Volantino antisemita distribuito a Torino
MILANO - L'ultimo episodio è accaduto a Milano. tram 27, un uomo seduto sui sedili anteriori, il cappello che copre malamente la kippah, viene aggredito verbalmente da un immigrato arabo che gli chiede a bruciapelo "Sei ebreo?" E gli sputa in faccia.
Solo pochi giorni prima, a Torino, la città si era svegliata tappezzata di volantini che "salutano" la nomina del nuovo Rabbino Capo, Ariel Di Porto: Nuovo rabbino, vecchio sionismo. E giù ingiurie, falsità, piagnistei contro i sionisti assassini. Free Gaza, naturalmente. Boicottaggio, naturalmente.
A Roma, la settimana prima, c'era stato l'invito a boicottare una lista di negozi e aziende di ebrei, e scritte infamanti sui muri della città, contro gli ebrei, proprio, non solo contro Israele.
Né a Milano, né a Torino, solo parzialmente a Roma, c'è l'intervento della società civile. Ma né l'Islam "moderato", né i cristiani, che pure sulla pelle dei loro fratelli iracheni stanno patendo la persecuzione dei fanatici, hanno qualcosa da dire contro la serpe dell'antisemitismo che coglie l'occasione di rialzare la testa, ogni pretesto è "buono".
L'ADL, Anti-Defamation League, ha appena pubblicato un rapporto secondo il quale, in relazione all'operazione militare israeliana a Gaza, "Dalla Francia all'Argentina, dal Canada al Cile, dall'Australia al Nord Africa, episodi di antisemitismo sono dilagati, con attacchi a sinagoghe e centri culturali ebraici e violenze verbali e fisiche contro persone e cose". Uno scuolabus con circa 30 bambini ebrei dai 5 ai 12 anni, a Sydney è stato bloccato da una banda di adolescenti; li hanno minacciati gridando "la Palestina deve uccidere gli ebrei", "stiamo venendo ad uccidervi!", picchiando con i pugni contro le porte e i finestrini del bus. I piccoli sono sotto choc.
Episodi simili rimbalzano dalle pagine dei giornali ai social network. Su facebook una signora ebrea di mezza età scrive "Mi consigliano di togliere la menorà che porto al collo da anni. Era di mia madre, la sento vicina anche così. Continuerò a portarla, non voglio cedere alla paura". I suoi amici sono d'accordo "Dobbiamo reagire".

(Mosaico, Comunità Ebraica di Milano, 16 agosto 2014)


Continua il viaggio di solidarietà di EDIPI in Israele

Secondo resoconto da Gerusalemme

Pur nella tensione di una guerra di bassa intensità, alla vigilia di Ferragosto, Gerusalemme conduce una vita tranquilla e serena. I negozi sono tutti aperti, bar e ristoranti conducono un'attività normale. Giovani in divisa militare con zaini e armi a tracolla si mescolano tranquillamente tra una folla gioiosa e chiassosa..
   Questa è Gerusalemme in queste giornate, tornate calde solo per la temperatura afosa, quasi ad esorcizzare la subdola guerra con Hamas, lasciando tra l'altro stupiti i pochi arabi che abbiamo incontrato (al mercato o tra i taxisti). Anche se i turisti sembrano pochi, numerosi ebrei si sono impadroniti della città.
   Abbiamo incontrato in questa occasione un vecchio amico di Evangelici d'Italia per Israele, stupito di trovarci ha manifestato affettuosamente tutta la sua contentezza. Si trattava di Ofer Bavly, già portavoce dell'Ambasciata di Israele in Italia ai tempi di Ehud Gol. Incontrato più volte, una decina di anni fa, a Roma e a Padova, nel 2006 è stato nostro relatore al 1o Convegno Internazionale EDIPI di Arzano (NA). Nell'intervista che ci ha concesso, Ofer ci ha informato della sua recente attività. Dopo un'esperienza in Florida come Console di Israele, attualmente svolge per la Federazione Ebraica Mondiale il ruolo di direttore generale nel Fondo Unificato Ebraico per la città metropolitana di Chicago. Per l'occasione del conflitto in atto con Hamas ha raccolto 30 milioni di dollari grazie alle donazioni della Comunità Ebraica di Chicago. Rilevante è infatti il costo economico di questa guerra, non solo in termini di vite umane, ma anche di feriti con invalidità rilevanti e inoltre interi ospedali israeliani danno assistenza ai palestinesi feriti nel conflittoi. Esiste quidi un grave emergenza sanitaria che complica la situazione economica del paese. Ofer ha riscontrato una pronta risposta di tutti gli ebrei americani e di quell'evangelismo definito "sionismo cristiano" così attivo negli USA grazie al coinvogimento di pastori come Mike Evans e John Hagee. Quest'ultimo ha spesso coinvolto Ofer in convegni di sensibilizzazione verso Israle con migliaia di persone presenti. Ofer Bavly è da sempre un sostenitore di una stretta collaborazione tra ebrei e cistiani, considerando che ormai siamo nella stessa barca contro lo stesso nemico dell'Islam radicale; segue EDIPI da anni e vede con favore quanto stiamo facendo.
   Interpellato sull'attuale situazione del conflitto con Hamas ha espresso sinteticamente il suo pensiero in sette punti:
  1. La cosa più importante è rappresentata dal significativo ricompattamento parlamentare sulle scelte governative.
  2. Le uniche riserve riguardano il comportamento, giudicato troppo morbido, di Netanyahu sulla strategia di continuazione della guerra: "il ferro si deve battere finché è caldo" e la varie tregue, mai rispettate da Hamas, servono a raffreddare e complicare la situazione.
  3. Nelle trattative Israele deve cambiare atteggiamento, dettando e non subendo condizioni ed in alcuni casi esser fermi sull'impossibilità di scambiare corpi di soldati israeliani morti in cambio di prigionieri terroristi.
  4. Nello stillicidio continuo di lanci di missili, adottare contromisure più incisive, tipo la sospensione della fornitura di energia elettrica a Gaza: 1 ora di sospensione per ogni missile lanciato.
  5. La soluzione sarebbe la rioccupazione di Gaza, ma il costo intermini economici e di vite umane sarebbe altissimo, a meno che non ci fosse un'insurrezione della popolazione araba di Gaza contro Hamas.
  6. l consiglio che ci dà è quello di intensificare la nostra informazione soprattutto fra i giovani, favorendo scambi culturali tra italiani ed israeliani, offrendo opportunità di esperienze, anche di qualche mese, in vari settori (studio, sport, agricoltura).
  7. Studiare formule turistiche per far conoscere il vero Israele: non quello che si vede alla TV. In effetti la nostra testimonianza di turisti ferragostani rimarca la totale traquillità e sicurezza dei posti che abbiamo visitato.
In vent'anni di visite in Israele non abbiamo mai visto la quasi totale scomparsa degli autobus turistici dei pellegrini delle varie nazionalità che pullulavano le strade di Israele, nonostante non vi sia pericolo a Gerusalemme. Si valuta che il danno economico sia di un calo del 30% con punte del 50% in alcuni settori.

(EDIPI, 16 agosto 2014)


Coppa Davis 2014: Israele-Argentina in Florida

Si giocherà in Florida la sfida tra Israele ed Argentina, valida come spareggio per rientrare nel World Group, in programma dal 12 al 14 settembre prossimo; sarà il cemento della cittadina di Sunrise ad ospitare la sfida, dopo che l'Atp non aveva autorizzato la sfida a Tel Aviv, città che ha dovuto rinunciare anche al torneo Atp, a causa dei conflitti in corso nella striscia di Gaza che non assicurano la tranquillità necessaria per far disputare gli incontri.

(Olimpia Azzurra, 16 agosto 2014)


Gaza, il crollo di un minareto

Il fotografo Mohammed Saber immortala scene di vita quotidiana: una macchina, una moto e gente a piedi che attraversa la via, mentre soprattutto i bambini guardano meravigliati il minareto sospeso in aria. Abbattuto durante un attacco aereo israeliano, il minareto della moschea di al-Sousi si è schiantato sul palazzo di fronte alla moschea, distruggendo alcune abitazioni. Il peso potrebbe gravare ulteriormente sulla struttura sulla quale si è poggiato e provocare nuovi crolli. Ma a Gaza non c'è tempo per rimuovere le grandi macerie, durante i pochi giorni di tregua bisogna fare rifornimento di cibo, trasportare i feriti in ospedale, recuperare i cadaveri e trovare un posto sicuro dove potersi riparare. Secondo una stima delle autorità locali palestinesi sarebbero almeno 63 le moschee distrutte durante gli attacchi aerei nella Striscia di Gaza.

(RaiNews24, 15 agosto 2014)


Si osservino adesso queste immagini: 1 -
La sinagoga di Netzalim a Gaza prima del ritiro israeliano
2
La stessa sinagoga dopo il ritiro israeliano. Si noti il sorriso del palestinese
. Dopo il ritiro israeliano i palestinesi hanno distrutto tutte le sinagoghe costruite dagli ebrei. Risultato: decine di moschee distrutte. Nel secondo caso: motivi militari; nel primo caso: odio.
Altre immagini relative al "lavoro" sulla sinagoga di Nezarim:
Furia devastatrice
Esultanza
Estasi
Chissà se dopo l'estasi arriverà la riflessione?


Quanti tifosi dei tagliagole vivono in mezzo a noi

Scattano foto di cartelli con minacce in arabo davanti al Colosseo.

di Fausto Biloslavo

Le «cartoline» dei simpatizzanti del Califfato in Occidente, compresa una scattata davanti al Colosseo, propagandate in rete. La pagina Facebook dei Musulmani d'Italia, che stigmatizza le «bugie» sullo Stato islamico oltre a giustificare la tassa di protezione imposta ai cristiani.
   E tre giorni fa nel quartiere turistico di Londra sono stati distribuiti volantini che inneggiano alla nascita del Califfato. Campanelli d'allarme di come la clamorosa avanzata dello «Stato islamico della Siria e dell'Iraq» (Isis) non susciti solo condanne, ma faccia breccia e proseliti in Occidente.
   Lo scorso giugno lo Stato islamico ha lanciato via social media la campagna «1 miliardo di musulmani» invitando ad appoggiare la causa in tutto il mondo. Dalla città eterna, un anonimo simpatizzante, ha
A Londra hanno fotografato la bandiera nera delle milizie che cacciano i cristiani dall'Iraq con sullo sfondo il Big Ben.
rilanciato via twitter la foto di un cartello con su scritto «Lo Stato islamico rimarrà», si suppone per sempre, scattata davanti al Colosseo. Per dimostrare il loro appoggio in Occidente i fan del Califfo si sono scatenati. A Londra hanno fotografato la bandiera nera delle milizie che cacciano i cristiani dall'Iraq con sullo sfondo il Big Ben. Martedì sono stati distribuiti nella capitale inglese dei volantini ad Oxford street frequentata dai turisti, che annunciano la nascita del Califfato come «l'alba di una nuova era».
   Da Parigi i simpatizzanti hanno postato in rete le foto con i cartelli di supporto allo Stato islamico davanti al Louvre e alla Torre Eiffel. Altre «cartoline» pro Califfo sono arrivate da Belgio, Olanda e Austria. In Germania i messaggi di appoggio rilanciati in rete sono più elaborati, con un guerriero musulmano armato di scimitarra insanguinata. E sull'account twitter informale dello Stato islamico hanno addirittura fatto girare un fotomontaggio del famoso scatto con la bandiera sovietica sulle macerie di Berlino nel 1945, sostituita da quella del Califfato. Una variante è la foto con la scritta che inneggia allo Stato islamico ed i passaporti europei dei simpatizzanti che l'hanno pubblicata on line. Gli amici del Califfo sono annidati pure in Spagna, che chiamano Al Andalus considerandola una provincia araba. Le cartoline della guerra santa sono arrivate dal Canada e dagli Stati Uniti con il panorama di Manhattan o davanti a un palazzo di Chicago e la promessa che «i soldati dello Stato islamico passeranno presto da queste parti».
   A casa nostra la pagina Facebook «Musulmani d'Italia - organizzazione comunitaria» ha raccolto 4058 «mi piace». Nelle ultime settimane l'obiettivo principale dell'anonimo che l'ha fondata è smontare le «bugie dei media» sullo Stato islamico. «La bufala dei 500 yazidi massacrati comincia a crollare grazie alle prime testimonianze dirette» si legge in un post di martedì. Lavoro lodevole, che denuncia le notizie inventate, come un filmato su donne cristiane stuprate in Iraq.
   Non mettiamo in dubbio le esagerazioni, ma sembra quasi che i seguaci del Califfo siano degli angioletti. Non solo: accanto ad una sfilza di notizie false viene pubblicata la lista di quelle vere come l'esecuzione e decapitazione dei prigionieri o la crocifissione dei traditori. Non si trova cenno ad una ferma condanna di questi crimini a parte i commenti irati degli utenti di Facebook.
   Oltre che a sminuire i crimini chi si nasconde dietro i Musulmani d'Italia giustifica la pratica islamica di imporre una tassa di protezione a chi professa un'altra fede. «I dhimmi (i «protetti», come nel caso dei cristiani e yazidi) dovranno pagare annualmente la Jiziah di 80 dollari per ogni uomo adulto, sano, non vecchio e non povero» e vivranno «in sicurezza e libertà» si legge sulla pagina Facebook. Gli islamici con la Zakat (tassa della purificazione) pagano ben di più. In pratica «la posizione» dei non musulmani «è incredibilmente privilegiata dentro uno Stato Islamico». La conclusione è disarmante: «Che se ne dica sull'Isis (la maggioranza delle notizie sono comunque bugie e propaganda), almeno applicano la Jiziah e la Zakat in modo islamicamente corretto».
   Le simpatie pro Califfo diventano più insidiose quando riguardano il proselitismo nelle moschee italiane o presunte tali. Il numero di Panorama in edicola evidenzia che i centri di culto di provincia sono frequentati da predicatori stranieri, come Bilal Bosnic. L'imam itinerante bosniaco invitato a Cremona e Pordenone ha postato il 7 luglio sulla sua pagina Facebook il sermone da Mosul del Califfo Abu Bakr al Baghdadi, con il seguente commento: «Quest'uomo verrà ricordato per secoli () Allah continui a ricompensarlo per i suoi meriti».

(il Giornale, 15 agosto 2014)


«Islamici, marchiateci tutti». La rivolta del mondo cristiano

La "N" con cui l'Isis segna spregiativamente le case degli "infedeli nazareni" diventa simbolo di orgoglio

di Gianpaolo Iacobini

 
Il marchio dell'infamia scuote i cristiani. Che ne fanno simbolo di riscatto nel mondo in cui si muore di cristianesimo.
Il segnale lo ha dato l'arcivescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri. «Per non dire solo preghiere - ha spiegato - e per chiedere perdono a Dio per la nostra ingenuità a dir poco patologica: il dialogo non può essere perseguito ad ogni costo e non può rappresentare una forma di dimissione della presenza cristiana nel Medio Oriente». Detto fatto: ieri pomeriggio dalle finestre dell'arcivescovado il presule ha srotolato uno striscione. Una gigantesca «N». È l'iniziale della parola Nassarah , con cui il Corano traduce il termine «Nazareno», spesso per indicare i seguaci di Gesù di Nazareth.
I miliziani di Abu Bakr Al Baghdadi, l'uomo che sogna di ricreare il Califfato islamico e governarlo con la sharia e che per integralismo e brutalità ha già scalzato Al Qaida nella hit parade del terrore, la usano per segnalare spregiativamente le abitazioni dei cristiani iracheni. Per loro non c'è posto nel nuovo Stato islamico. A meno che non accettino di convertirsi e soggiacere a una speciale tassazione, subendo la confisca dei beni e la devastazione dei luoghi di culto. Chi non ci sta, viene giustiziato. Per monsignor Negri «il marchio della vergogna, ma la vergogna di chi lo usa come elemento di discriminazione, per i cristiani è segno di martirio, cioè di vittoria». E come lui il popolo dei social forum: su Fb crescono le schiere di chi antepone al nome la «N». Un gesto simbolico, per dire che i cristiani ci sono. E che non si vergognano di gridarlo ai quattro venti, senza timore d'apparire démodé o poco trendy.
Una reazione che squarcia il velo dell'ipocrisia: quella lettera «N», e le persecuzioni che la seguono, richiamano alla memoria il tempo dei nazisti e delle stelle di David appiccicate alle vetrine dei negozi ebrei. Di fronte alla nuova Shoah (per il momento in sedicesimo) che si consuma in Iraq, minacciando di estendersi alla Siria, nessuno si nasconde più: i raid aerei, gli aiuti umanitari, i rifornimenti d'armi ai peshmerga curdi non bastano. Lo dice adesso anche la Chiesa. «Per ripulire la piana di Ninive dai miliziani jihadisti e fermare il genocidio è necessario l'intervento armato di Usa, Ue e Lega Araba», ha tuonato il patriarca caldeo Louis Sako. E se i presidenti delle Conferenze episcopali europee hanno invitato le Nazioni Unite «a porre fine agli atroci atti contro i cristiani», i vescovi francesi hanno sdoganato l'uso della forza, auspicando esplicitamente il ricorso ad essa «con pertinenza, giustezza e proporzione». Dagli States il segretario di Stato John Kerry ha risposto tirando il freno: «Eseguiremo una valutazione rapida e critica». Ma il dado militare sembra tratto, dopo che anche il premier britannico David Cameron ha offerto la disponibilità dell'Inghilterra «ad avere un ruolo nel piano internazionale di soccorso».
Intanto, mentre il resto d'Europa si limita a discutere, augurandosi - per dirla col ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini - che si raggiunga «una decisione su un'azione comune forte e coordinata», nel Belpaese la Cei suona la sveglia. E indice per oggi una giornata di preghiera, quasi una sfida all'Italia intontita dal solleone. Si pregherà, ammonisce il parlamentino dei presuli, perchè «l'Occidente non può illudersi di poter ignorare una tragedia umanitaria che distrugge i valori che l'hanno forgiato e nella quale i cristiani pagano il pregiudizio che li confonde in modo indiscriminato con un preciso modello di sviluppo».
Ferragosto. Per una volta, il giorno dell'orgoglio cristiano.

(il Giornale, 15 agosto 2014)


L'ebreo aggredito ha sporto denuncia

La polizia cerca testimoni

DAVOS - L'ebreo ortodosso aggredito lunedì sera a Davos ha sporto denuncia. A riferirlo è la polizia cantonale grigionese in un comunicato.
L'uomo, un 26enne residente in Belgio che da quindici anni trascorre le vacanze in Svizzera, stava facendo acquisti alla Migros di Davos-Dorf quando è stato avvicinato da un uomo che lo ha aggredito urlandogli insulti antisemiti.
Il 26enne è fuggito dal suo aggressore rifugiandosi nell'auto dove lo aspettavano la moglie e i quattro figli. L'aggressore è un uomo tra i 50 e i 55 anni,alto circa 1,80 metri. La polizia cerca testimoni.

(TicinOnline.ch, 15 agosto 2014)


"Una vergogna per la causa dei diritti umani"

Il Consiglio Onu per i diritti umani ha trovato il presidente di Commissione che voleva: pregiudizialmente anti-israeliano. Per la gioia della stampa che ama credere a dati e rapporti infondati.

Scrive Ben-Dror Yemini, su YneNews: «Mettiamo le cose nel giusto ordine causale: senza una chiara posizione anti-israeliana, William Schabas non sarebbe stato scelto per presiedere la Commissione Onu incaricata di indagare sui crimini di Israele. Schabas e il Consiglio Onu per i diritti umani che ha deciso di nominare la commissione hanno un denominatore comune: una normale posizione pregiudizialmente anti-israeliana. Quando è stata presa la decisione di nominare una commissione d'inchiesta sui crimini di Israele, l'ambasciatore dell'Unione Europea presso il Consiglio Onu per i diritti umani ha detto che "il testo finale rimane sbilanciato, scorretto e tale da pregiudicare l'esito delle indagini". Dunque persino l'Unione Europea, che non è sospettabile di eccessive simpatie verso Israele in sede Onu, è in grado di porre dei limiti all'indecenza....

(israele.net, 15 agosto 2014)


Hamas perde i suoi alleati, ecco la tregua degli anti jihad

di Bernardo Valli

Bernardo Valli
GERUSALEMME - La pioggia di razzi caduta nei paraggi di Ashkelon, a tarda sera, ci ha mandati a letto convinti che il conflitto stesse riprendendo i suoi ritmi dopo una pausa di tre giorni. Una vampata di pessimismo induceva a pensare a quanto sia facile cominciare una guerra e quanto sia invece difficile concluderla. Anche quando si tratta di un limitato ma cronico conflitto relegato dalla grande Storia in un angolo del mondo. Al Cairo, nelle settantadue ore di tregua, i negoziatori non avevano dunque concluso nulla.
   La prova era che, per riflesso condizionato, l'aviazione israeliana rispondeva nella notte alle provocazioni palestinesi con le solite incursioni dei droni su Gaza. Tutto faceva pensare che il cessate il fuoco fosse finito prima ancora della scadenza fissata a mezzanotte. L'indomani ci saremmo svegliati di nuovo con il micidiale palleggio di missili e bombe cominciato in luglio. E invece non è andata cosi.
   L'umore nero si è dissolto quando nella mattina abbiamo appreso che la pausa continuava, che ci sarebbero stati altri cinque giorni senza morti. E che fino a lunedì prossimo sarebbero continuate le trattative sulle rive del Nilo per una pace sempre improbabile, ma meno impossibile. I razzi e le incursioni della sera erano stati segnali di incertezza. Fino all'ultimo momento al Cairo non si sapeva che fare? Era evidente che non tutti si erano trovati d'accordo sull'opportunità di continuare la tregua e che quello scambio di proiettili e di bombe equivaleva a un brontolio di protesta.
   Il nostro affrettato ottimismo di osservatori stranieri non era condiviso da tutti gli autoctoni, nei due campi. Né tra i palestinesi né tra gli israeliani. Il sollievo era ridimensionato in molti dalla delusione. La tregua prolungata è apparsa subito fragile e confusa. Una delle solite che risolvono poco e per poco tempo. I quotidiani stampati nella notte agitata rivelavano il malumore. La preoccupazione. La collera. Il più diffuso dei giornali israeliani (Yedioth Ahronoth) diceva che il governo si era inginocchiato davanti a Hamas, un movimento terrorista, accettando di proseguire i negoziati sulla base delle sue richieste. E per il tardo pomeriggio gli abitanti delle zone limitrofe a Gaza, dove arrivano facilmente i razzi palestinesi, annunciavano una manifestazione di protesta sulla piazza Rabin, a Tel Aviv. La loro rivendicazione era semplice e radicale: distruggere Hamas.
   Il primo ministro Benjamin Netanyahu è sempre più volpe e meno falco. In questa sua nuova veste non si è affrettato a informare sui colloqui del Cairo gli otto ministri che compongono il "consiglio di sicurezza". Ha preso tempo. Temeva di essere messo in minoranza dal gruppo di estrema destra, del quale i massimi esponenti sono Avigdor Lieberman, il ministro degli esteri, e Naftali Bennett, il ministro dell'economia. Lieberman e Bennett hanno idee chiare e radicali. Il primo ha avanzato anche la proposta di rioccupare Gaza. Bennett è vicino ai coloni
. Che ormai sono tanti, più di trecentomila, e che vivono su circa il trentotto per cento del territorio palestinese. Lieberman e Bennett interpretano il pensiero di coloro che pensano si debba farla finita una volta per tutte con Hamas. Per loro i compromessi sono in realtà dei tranelli.
   A Gaza non mancano coloro che puntano soltanto sullo scontro armato. In particolare l'ala militare del movimento (Ezzedine el Qassam), comandata da Mohammed Deif, la cui ragion d'essere è quello di attaccare lo Stato ebraico. Il lancio di razzi di mercoledì sera, apparso come un segnale della ripresa delle ostilità, le viene attribuito. Il sospetto non risparmia neppure la Jihad islamica, gruppo storico concorrente, e anch'esso elencato tra i terroristi. Una netta divergenza è emersa al Cairo anche tra i negoziatori. Il rappresentante dell'Autorità palestinese, Azzam al Ahmed, ha espresso la sua soddisfazione per i progressi compiuti durante i colloqui, mentre Mussa Abu Marzuk, l'uomo di Hamas, ha negato che sia stato raggiunto il minimo accordo.
   Entrambi dipendono ormai formalmente dallo stesso governo palestinese di unione nazionale, vecchio di qualche settimana e per ora esistente soltanto sulla carta. Molte divergenze all'origine della rottura del 2007 che ha portato alla secessione di Gaza sopravvivono nonostante la rappacificazione annunciata. Hamas è venuto a patti con l'Autorità palestinese presieduta da Abu Mazen, un tempo accusato di collaborazionismo con Israele, perché aveva e ha l'acqua alla gola sul piano economico (non sa come pagare gli stipendi ai cinquantamila dipendenti) e su quello politico avendo perduto l'appoggio del Cairo, con la messa al bando dei Fratelli musulmani, suoi stretti parenti. Israele ha osteggiato a lungo la riunificazione tra Gaza e Ramallah, preferendo una Palestina litigiosa, divisa e quindi più debole. Ora la strategia è cambiata. Netanyahu è favorevole al governo di unione nazionale
Come fa l'articolista ad esserne così sicuro?
, con la speranza che i moderati e laici palestinesi di Ramallah riprendano il controllo di Gaza e possano essere degli interlocutori più praticabili. Il dubbio risiede nel fatto che Abu Mazen abbia la forza di assumere quel compito.
   Il terzo conflitto in cinque anni tra Gaza e Israele si svolge in una realtà mediorientale profondamente mutata. Fino al 2012, quando battagliavano con Hamas, gli israeliani erano circondati dai paesi arabi vicini e nemici che premevano affinché cessassero al più presto lo scontro impari con la gente della Striscia. La situazione è cambiata. Dopo la cacciata al Cairo del governo islamista lo scorso anno si è creata attorno all'Egitto una coalizione di Stati arabi in linea con Israele nella lotta contro Hamas, emanazione dei Fratelli musulmani, massacrati e imprigionati dal maresciallo Sisi, nuovo presidente egiziano. Di questa intesa fanno parte l'Arabia Saudita, la Giordania e gli Emirati arabi uniti. Ed è a questi paesi che si deve almeno in parte se il conflitto di Gaza è durato tanto a lungo, e indisturbato. Essendo la paura, l'idiosincrasia per l'Islam politico più forte dell'allergia per Israele, o per il suo primo ministro Netanyahu, la coalizione creatasi attorno all'Egitto ha lasciato che l'attacco a Hamas proseguisse appunto senza alcun intralcio da parte loro. Il regime militare del Cairo non è tuttavia venuto meno al tradizionale ruolo di mediatore tra Hamas e Israele. Non tanto sotto la spinta americana quanto per motivi di prestigio, ha operato, sia pur con ritardo, al fine di arrivare a un cessate il fuoco tra i contendenti.
   La composizione dei gruppo dei negoziatori è tuttavia significativa, come lo è il modo in cui si svolge la trattativa. Gli uomini di Hamas non parlano direttamente con gli israeliani. Gli egiziani fanno da intermediari. Al tempo stesso i rappresentanti dell'Autorità palestinese, che hanno rapporti ufficiali sia con Israele sia con l'Egitto, hanno un ruolo di grande rilievo. Essi sono visti come auspicabili futuri governanti di Gaza, e per questo Israele, dopo averla osteggiata, ha accettato l'unione nazionale tra i moderati e laici di Ramallah e gli islamisti di Gaza. Con la speranza che quest'ultimi vengano via via riassorbiti o emarginati. L'obiettivo principale è la smilitarizzazione della Striscia, vale a dire il disarmo progressivo di Hamas. In un primo tempo potrà essere concesso un allentamento del blocco imposto a Gaza: la possibilità di lavorare le zone agricole confinanti con Israele, l'estensione delle zone di pesca, un traffico umano più intenso (ora è quasi nullo) tra Gaza e la Cisgiordania. Ed anche con l'Egitto se sarà l'Autorità palestinese e non Hamas a controllare il confine di Rafah. Queste concessioni renderebbero meno soffocante l'esistenza dei quasi due milioni di abitanti della Striscia e sarebbero accompagnate da una lenta presa del potere da parte dei moderati di Ramallah. Avendo sempre come obiettivo ultimo la smilitarizzazione di Gaza. Gli avvenimenti di Iraq e di Siria, la minaccia jihadista in quei due paesi, e nel resto del Medio Oriente, hanno accentuato la coalizione "antislamista" attorno all'Egitto. E favoriscono l'ammissione di Israele, con una inedita complicità, nella società dei grandi paesi arabi che lo circondano. Ma Hamas ha ancora i suoi razzi. L'Iran puo' continuare a fornirgliene? E il ricco Qatar è sempre generoso? C'è inoltre la popolazione civile di cui gli islamisti sanno servirsi, come di un'arma.

(la Repubblica, 15 agosto 2014)


E Barack bloccò la vendita di armi a Israele

di Davide Frattini

GERUSALEMME — Yair Lapid, il ministro delle Finanze, legge il Wall Street Journal per raccogliere informazioni sull'economia globale. Questa volta ha trovato una notizia locale — con implicazioni internazionali — che Benjamin Netanyahu non gli aveva annunciato nelle riunioni del consiglio di sicurezza. La telefonata di mercoledì con Barack Obama è stata dedicata poco al cessate il fuoco nei combattimenti con Hamas e molto — svela il quotidiano — alla mancata tregua tra il presidente americano e il premier israeliano. Durante il mese di conflitto, lo Stato Maggiore israeliano è riuscito a ottenere rifornimenti di armi dal Pentagono senza che la Casa Bianca ne fosse informata. Così il presidente ha deciso di esercitare un maggiore controllo sulle forniture e ha bloccato la consegna di missili Hellfire, montati sugli elicotteri Apache impegnati nell'operazione a Gaza. Lapid ha cercato in queste settimane di fare da mediatore con gli Stati Uniti. Ha parlato con John Kerry e gli ha ripetuto che la «relazione strategica con Washington è fondamentale», mentre i consiglieri di Netanyahu lasciavano trapelare i commenti poco benevoli del premier verso il segretario di Stato. Alle presidenziali americane del 2012 Netanyahu ha sostenuto Mitt Romney, l'avversario di Obama. Adesso i parlamentari della destra contano già sul calendario i giorni mancanti alla fine del mandato. «In due anni e mezzo — commenta Danny Danon, tra gli oltranzisti del Likud — non siederà più alla Casa Bianca, noi resteremo ad affrontare le stesse minacce».

(Corriere della Sera, 15 agosto 2014)


Bisognerà che anche i più riluttanti si convincano: Barack Obama è un nemico di Israele. Parla e si muove in favore dello Stato ebraico soltanto quel minimo indispensabile che gli è richiesto dalle circostanze e dal fatto che è Presidente di uno Stato la cui popolazione è ancora in gran parte favorevole a Israele, ma viaggia in direzione opposta tutte le volte che gli è possibile. Il fatto che abbia ricevuto la maggioranza dei voti dell'elettorato ebraico negli Stati Uniti conferma una cosa già più volte riscontrata nella storia: la questione ebraica è troppo importante per lasciare che siano soltanto gli ebrei e i loro nemici dichiarati ad occuparsene. M.C.


Manifestazione a Tel Aviv: "Basta lanci di razzi da Gaza"

Sindaco di Sderot: va trovata soluzione "una volta per tutte"

 
Folla radunata a Piazza Rabin
TEL AVIV - Circa diecimila israeliani sono scesi in strada nel centro di Tel Aviv per chiedere al governo e all'esercito israeliano di fermare "una volta per tutte" il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza. Si tratta della prima manifestazione di rilievo in Israele da quanto il governo di Benjamin Netanyahu ha dato il via all'offensiva aerea e terrestre contro i territori guidati da Hamas, l'8 luglio scorso. Alon Davidi, sindaco della citta' di Sderot, nel sud di Isreale, obiettivo frequente dei razzi di Hamas, ha detto al comizio che "ci deve essere una soluzione" - politica o militare - a 14 anni di attacchi di razzi. "Ho piena fidicia nel governo e nell'esercito, ma allo stesso tempo chiedo, in qualita' di sindaco di Sderot, che venga trovata una soluzione una volta per tutte", ha detto Davidi, aggiungendo: "Vogliamo vivere in pace". Secondo la polizia israeliana, nella Piazza Rabin, vi erano circa 10.000 persone, alcune che scandivano slogan per la pace, altri che gridavano: "Occupiamo Gaza adesso". Secondo l'esercito i miliziani palestinesi hanno lanciato oltre 3.500 razzi dall'8 luglio scorso.

(ASCA, 14 agosto 2014)

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In piazza per il silenzio

 
 
La piazza in cui Israele si ritrova, luci, bandiere, e soprattutto persone, tra le 10 e le 15 mila secondo le stime, per far sentire la voce della gente del Sud. Questo il panorama offerto da Kikar Rabin, nel cuore di Tel Aviv, che al motto di "non rimanere in silenzio di fronte al rosso" (colore associato all'allarme razzi) si è riempita dei volti di chi sopporta, non da settimane ma da anni, il suono delle sirene e la vita nei rifugi per difendersi dai missili lanciati dalla Striscia di Gaza.
Nella manifestazione organizzata dalle municipalità del sud di Israele con il Comune di Tel Aviv, ad alternarsi sul palco sono stati gli interventi di personalità come il sindaco di Sderot Alon Davidi e Haim Yellin, a capo del Consiglio della Regione di Eshkol, le testimonianze dei cittadini, diversi intermezzi musicali, l'intervento del sindaco ospite Ron Huldai, a sottolineare l'abbraccio della sua città ai connazionali. Di fronte, sulla piazza, quei volti, i volti di chi è costretto a correre nei rifugi, o magari, come è successo in queste settimane, a lasciare le proprie abitazioni per trasferirsi lontano, spesso per far vivere ai propri figli il senso di un'estate normale, fatta di giochi all'aria aperta e non di parco-giochi blindati in strutture di cemento: da segnalare infatti genitori con annesso altissimo numero di carrozzine e passeggini (con molti rispettivi proprietari a gattonare o giocare allegramente su appositi teli stesi sulla piazza, o anche sulla nuda pavimentazione, secondo lo stile classicamente rilassato dell'educazione israeliana), tanti adolescenti, tra cui spuntavano molte camicie dei movimenti giovanili, coppie e persone di ogni età e sensibilità religiosa, gruppi di amici. Per dire no a una vita fra parentesi, fra un allarme e l'altro, per ricordare a Israele di non dimenticarsi del suo sud troppo spesso minacciato e colpito anche quando il resto del paese vive la calma e la tranquillità a cui tutti aspirano.

(moked, 15 agosto 2014)


Lo sputo in faccia e la kipppa traditrice

Un arabo gli si è parato davanti: «Sei ebreo, vero?»

di Antonio Bozzo

MILANO - II mostro si sta risvegliando, anzi soffre di insonnia, è sveglissimo. Il mostro dell'antisemitismo si e palesato due mattine fa, su un tram della linea 27. Chi scrive ha il coraggio di dire: non ho avuto coraggio, non sono intervenuto. In coda al tram, si alza un uomo. Fa un mezzo cerchio e si para di fronte all'uomo seduto un sedile avanti. Spara parole rapide, in pessimo italiano, dall'accento si capisce che è arabo. Chiede infervorato: «Sei ebreo, vero?». E l'uomo risponde «no», con un filo di voce. È un attimo, l'uomo in piedi gli sputa in faccia. Allo sputo, sempre attimi, seguono invettive contro gli ebrei, poi un balzo rapido alla fermata di piazza Missori, e il tram riparte. Le poche persone davanti non si sono accorte di nulla. Chi scrive sì, e si avvicina allo sputato. «Ho detto che non sono ebreo, ma la kippah che sporge dal mio cappello mi ha tradito. Non ho avuto il tempo di reagire, sono riuscito a mandarlo all'inferno, dal finestrino». Ma quell'uomo all'inferno c'è già: l'inferno dell'antisemitismo, che vomita mostri. Da piccoli e grandi segni, il risveglio del peggio è a tiro di sputo.
  Due righe finali: l'ebreo, un violinista appena uscito dal Tempio, ha avuto una seconda sorpresa. Un altro arabo si è alzato dal fondo del tram e gli ha detto: «Quell'imbecille non sa neppure cosa sia l'Islam, e danneggia la nostra religione, facendo come ha fatto». Chi scrive ha voluto vedere questa «riparazione», mai accaduta: è solo un sogno, a occhi aperti sul tram numero 27.

(Corriere della Sera, 15 agosto 2014)


Ebrei minacciati e aggrediti per strada, esplosione dei casi in Svizzera

Lettere, e-mail, telefonate e insulti sulla pubblica via: il numero delle aggressioni a sfondo antisemita registrano un forte incremento.

ZURIGO - Come da tradizione, in queste settimane di mezza estate sono numerosi i turisti di religione israelita che trascorrono le loro ferie a Davos. La cittadina turistica grigionese è famosa in tutto il mondo per la sua aria benefica per il corpo e la mente. Negozi e supermercati in queste settimane mettono in mostra nei loro scaffali alimentari "kashèr", parola ebraica che vuol dire "adatto", ossia "adatto alla consumazione".
Risale a lunedì sera alle 18.30 l'aggressione a sfondo antisemita nei confronti di un turista belga 26enne di religione mosaica. Un uomo ha aggredito e ferito il giovane davanti alla Migros di Davos Dorf. Come ha riferito la rivista "Tachles", i parenti dell'uomo definiscono l'episodio "un'atto antisemita". L'aggressore, uno svizzero sulla sessantina, avrebbe urlato "via gli ebrei". La sua vittima, un ebreo ortodosso che da 15 anni trascorre le sue ferie estive a Davos, avrebbe intenzione di sporgere denuncia.
L'episodio verificatosi nei Grigioni non è l'unico. La scorsa settimana a Basilea un cittadino svizzero di religione giudaica che stava rientrando a casa dopo essere stato in sinagoga, è stato aggredito verbalmente da uno sconosciuto con pesanti insulti e minacce.
"Casi di questo genere se ne sono registrati diversi in queste ultime settimane", ha affermato Patrick Studer, delegato per la prevenzione e la sensibilizzazione della Federazione svizzera delle comunità israelite (FSCI). "La maggior parte delle vittime preferisce non rendere pubblici questi episodi. Anche per paura che questi si ripetano" ha detto Studer.
La FSCI dispone di una centrale di segnalazioni che raccoglie e registra i casi di antisemitismo in Svizzera. Dall'inizio del conflitto israelo-palestinese a Gaza il bilancio è scioccante. "Da inizio luglio è evidente l'aumento delle offese e delle minacce a sfondo antisemita. Si può parlare tranquillamente di ondata" ha detto Studer. "Nel solo mese di luglio il numero di chiamate, lettere, e-mail e segnalazione di insulti in luogo pubblico ricevuto è stato maggiore rispetto al totale registrato negli ultimi due anni".

(TicinOnline.ch, 14 agosto 2014)


I volti dei caduti - L'omaggio di Bild Zeitung

di Francesca Matalon

Un tappeto colorato di facce, sorridenti nel minuscolo spazio dei loro quadratini, ricopre una paginona del quotidiano tedesco Bild Zeitung. Non è l'immagine di una qualche organizzazione umanitaria, né la pubblicità di una marca di vestiti: dietro a quelle sfumature di rosa ci sono le vite dei soldati delle Forze di Difesa Israeliane, deceduti durante la recente Operazione Margine di Protezione. Sono 64 ragazzi, accompagnati dal loro nome e da una breve biografia. Il grande titolo in nero dice: "Israele combatte il terrorismo di Hamas: i volti dei caduti". Ma il catalogo che ne risulta più che di volti è di ricordi e di sentimenti. Benaya Sarel, 26 anni, stava per sposarsi. Come lui è morto il suo compagno Liran Adir, 31 anni: "anche lui era innamorato, aveva appena celebrato il suo matrimonio". Tra loro c'è anche Eitan Barak, 20 anni, il primo soldato ucciso nell'operazione. E poi il ventunenne Matan Gotlib, un alpinista appassionato che stava per terminare i suoi tre annidi servizio, il cui fratello di dieci anni più grande ha chiesto commosso: "Sapreste dire quanti fratelli maggiori guardano con così tanta ammirazione i loro fratelli minori?". La redattrice Anne-Christine Merholz apre l'articolo così: "64 soldati israeliani morti, 64 figli, fidanzati, mariti che non potranno mai tornare dalle loro famiglie. Sono caduti combattendo Hamas a Gaza rappresentando la loro patria".
   Un pezzo che colpisce non solo per il tono coinvolto e coinvolgente, ma anche per il giornale che lo ospita. Build Zeitung infatti è uno dei giornali più letti, coraggiosi e controversi non solo in Germania, ma in Europa. Per rendersi conto di come stanno le cose altrove, l'idea migliore è sempre rivolgersi a un autoctono. In effetti essere stata testimone delle facce di tre colleghi tedeschi quando hanno visto l'articolo in questione ha reso bene l'idea di quanto sia davvero insolito. Alla domanda: "cosa pensate di Bild?" hanno risposto prima con una risata imbarazzata, seguita da un paio di commenti criticanti, per finire con "però ho molti amici che lo leggono, e io stesso qualche volta lo faccio per capire davvero la situazione", come spiega Ben. Un articolo dell'autorevole settimanale Der Spiegel lo definisce così: "Per i politici tedeschi, è un male necessario. Per i giornalisti tedeschi, una lettura giornaliera obbligatoria. E per milioni di tedeschi è la fonte primaria d'informazione".
   Quello che viene maggiormente criticato a questo quotidiano popolare pubblicato in formato lenzuolo con colori e immagini brillanti, in competizione con il britannico Sun ma decisamente più letto (è il primo giornale non asiatico per numero di lettori), è da una parte il tono un po' strillato, dall'altra la presenza di immagini femminili non sempre coperte. A differenza di alcuni concorrenti nordamericani, "Bild non si basa troppo su storie create in redazione - piuttosto, preferisce trasformare anche la notizia più microscopica in un evento destinato a cambiare il mondo e pericoloso per la vita come la conosciamo. Spesso si spinge troppo lontano", continua Der Spiegel. Nonostante questo sensazionalismo, Bild ha non solo un'enorme influenza sulla società, di cui viene considerato la voce, ma anche sulla politica tedesca. Fondato nel 1952 da Axel Springer, è stato nutrito di scandali, sensazionalismo e pelle scoperta per diventare il fenomeno nazionalpopolare che è oggi. Tradizionalmente, da un punto di vista politico Blld tende ad essere conservatore: durante la Guerra fredda, ci vollero molti anni perché ammettesse che la Germania Est era una nazione separata. Il suo statuto, che risale al 1967 ed è stato aggiornato nel 2001, tuttavia rivela grandi sorprese. Per esempio include un impegno esplicito a promuovere la riconciliazione tra ebrei e non ebrei in Germania e a sostenere il diritto di Israele ad esistere. E così si spiega l'accorato articolo, un'operazione volta a sensibilizzare l'opinione pubblica tedesca su un conflitto fin troppo dibattuto e frainteso. E tutto diventa molto chiaro alla luce dello storico motto di Bild, "Bild dir deine Meinung!". Che si può tradurre come "fatti la tua opinione!", ma non bisogna essere tedeschi per cogliere una certa assonanza che sa di suggerimento anche a tanta stampa occidentale incapace di raccontare onestamente le ragioni di Israele.

(moked, 14 agosto 2014)


"Perché Hamas non ha accettato l'iniziativa egiziana all'inizio della guerra?"

Dopo un mese di guerra causata dai lanci di razzi contro Israele ad opera dei gruppi armati palestinesi, fra gli abitanti di Gaza iniziano a levarsi voci critiche verso Hamas, l'organizzazione che controlla la striscia di Gaza dopo aver preso il potere con un sanguinoso golpe nel giugno 2007. In un servizio pubblicato mercoledì, il Washington Post cita ad esempio Ziad Abu Halool, un palestinese impiegato nel "governo" di Gaza, secondo il quale Hamas ha "commesso molti errori". "Tutte le fazioni palestinesi devono smettere di sparare razzi: basta, abbiamo sofferto abbastanza", ha detto Halool al giornale americano. I razzi sparati da zone residenziali, dalle moschee e dalle scuole di Gaza verso le città israeliane hanno scatenato la dura reazione delle Forze di Difesa israeliane, che successivamente hanno inviato truppe di terra per trovare e distruggere i tunnel usati da Hamas e da altri gruppi armati per far passare armi e combattenti, e per infiltrare commando di terroristi nei centri abitati al di là della frontiera israeliana. Rafaat Shamiya, 40 anni, residente a Beit Lahiya nel nord della striscia di Gaza, condanna il lancio di razzi da aree abitate che inevitabilmente provoca la reazione delle forze israeliane. "Quando sparano da qui - ha detto al Washington Post - Israele ci ripaga con un attacco aereo". Shamiya ci tiene comunque a sottolineare che dà innanzitutto a Israele la colpa per le distruzioni a Gaza. Ma altri abitanti di Gaza, continua il giornale, criticano Hamas per non aver accolto la proposta di cessate il fuoco egiziana accettata da Israele dopo la prima settimana dell'operazione "Margine protettivo" quando non si erano ancora mosse le truppe di terra. "Tutti qui sussurrano: perché Hamas non ha accettato l'iniziativa egiziana all'inizio della guerra, quando il numero di vittime era ancora basso?", dice il giornalista e analista politico palestinese Hani Habib citato dal Washington Post. I gruppi armati "avrebbero dovuto accettare il cessate il fuoco - dice Hathem Mena, un insegnante di 55 anni - Si sarebbe potuto fermare lo spargimento di sangue, e siamo noi quelli colpiti dalla guerra, le nostre case e le nostre vite". Altri abitanti di Gaza, che preferiscono non dare il proprio nome, hanno detto al giornale americano che non credono che Hamas aiuterà la ricostruzione nella striscia di Gaza. "Loro si limitano a combattere Israele, e poi lasciano perdere tutto il resto - dice il 20enne Mahmoud, che preferisce non dare il cognome - Chi poi ne paga il prezzo è la gente comune".

(israele.net, 14 agosto 2014)


Israele pronto a rispondere a eventuali nuovi lanci di missili di Hamas

GERUSALEMME - «Alla calma risponderemo con la calma. Ma se Hamas sparerà, il nostro contrattacco sarà molto forte», ha dichiarato ieri il ministro israeliano per gli Affari Strategici, Yuval Steinitz, in una conferenza stampa a Gerusalemme, secondo quanto riferiscono i siti locali.
La tregua di 72 ore si è conclusa a mezzanotte e Israele assicurava che avrebbe risposto a quanto avrebbe fatto Hamas. «La smilitarizzazione di Gaza non è soltanto una precondizione per ogni vero sollievo per israeliani e abitanti di Gaza, ma è anche una precondizione per ogni accordo di pace futuro - ha aggiunto Steinitz - Chi ancora spera in una soluzione con due stati dovrebbe premere per la smilitarizzazione di Gaza».

(Adnkronos, 14 agosto 2014)


Gaza, scatta un'altra fragile tregua

Il governo di Tel Aviv si era detto disponibile a un prolungamento di altre 72 ore del cessate il fuoco. Poi le sirene anti-razzo e la risposta aerea. Finché è arrivata l'intesa in extremis. Fonti palestinesi: "Proroga di cinque giorni". Ma cadono altri missili. E Netanyahu ordina nuovi raid.

 
Azzam al-Ahmad e Ismail Haniyeh
Un'intesa all'ultimo istante. Quando le agenzie avevano già battuto la notizia di una trattativa fallita. E anzi, l'esercito di Tel Aviv aveva annunciato il lancio (smentito da un portavoce di Hamas) di tre razzi diretti verso la città israeliana di Ashkelon, seguìto - secondo alcuni testimoni - da un raid sul nord della Striscia. E invece il cessate-il fuoco è stato prolungato di altre 72 ore. Questo, almeno, secondo quanto riferito dai negoziatori egiziani. Secondo fonti palestinesi, addirittura di cinque giorni. "Abbiamo accettato di dare più tempo alla trattativa", ha detto il capo della delegazione palestinese, Azzam al-Ahmad. L'intesa è stata raggiunta a meno di un'ora dalla scadenza della tregua precedente. E partirà dalla mezzanotte. Ma continuano a piovere razzi sul territorio dello Stato ebraico. E anzi un razzo caduto sulla parte egiziana di Rafah, al sud della Striscia di Gaza, avrebbe colpito una casa uccidendo una bimba. Lo riferisce l'agenzia Mena. Altre due persone sono rimaste ferite: si tratterebbe di altri due bambini secondo testimoni. E il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ordinato all'esercito di tornare a colpire la Striscia. E i jet hanno colpito tre obiettivi.
   Nelle ore precedenti, Israele si era detto disponibile a prolungare la pace di altri tre giorni, mentre i palestinesi avevano rinviato la conferenza stampa prevista per le 21.30 (le 20.30 in Italia) ad un orario imprecisato, confermando le difficoltà del negoziato. Il giornale israeliano Ynet citava fonti egiziane che affermavano: "è necessario più tempo per raggiungere un accordo. Entrambe le parti sono ostinate su alcuni dei punti in discussione".
   Prima del cessate il fuoco c'erano state ore di colloqui frenetici con la tensione che tornava a salire. Truppe al confine e il sistema anti-razzi Iron Dome armati, pronti a tutto. Il ministro israeliano per gli Affari strategici Yuval Steinitz aveva detto che Israele "risponderà a quanto farà Hamas". "Alla calma risponderemo con la calma. Ma se Hamas sparerà, il nostro contrattacco sarà molto forte".
L'Egitto, in questi giorni ospite dei colloqui e mediatore, ha presentato alle parti una proposta di soluzione, che prevederebbe che l'Autorità palestinese subentri ad Hamas nell'amministrazione dell'enclave, oltre l'allentamento di alcune parti del blocco imposto da Israele a Gaza e la riapertura di alcuni valichi, che porterebbe un po' di sollievo alla Striscia, ma rimanda a negoziati futuri la risoluzione di alcuni nodi dibattuti, come per esempio la richiesta di Hamas di rimuovere totalmente il blocco e quella israeliana che vuole il disarmo di Hamas.
   In base alla proposta dell'Egitto, Israele interromperebbe gli attacchi aerei sui militanti palestinesi e la zona cuscinetto di 500 metri nei pressi del confine tra Gaza e Israele sarebbe ridotta con il tempo.
Telefonata Obama-Netanyahu. Dietro le quinte, anche un nuovo intervento del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ha avuto nel pomeriggio un colloquio telefonico con il premier israeliano, Benyamin Netanyahu. Obama ha ribadito il sostegno degli Usa agli sforzi di mediazione dell'Egitto e ha sottolineato l'importanza di giungere ad un risultato sostenibile che garantisca la sicurezza di Israele e affronti la crisi umanitaria a Gaza.

(Affaritaliani.it, 14 agosto 2014)


Malesia - Clicca 'mi piace' su 'Amo Israele' e rischia tre anni di carcere

Studente diciassettenne sotto inchiesta per un post su Facebook.

KUALA LUMPUR, 14 ago - Un 'mi piace' su di un post su Facebook con su scritto "Amo Israele" può costare fino a tre anni di carcere in Malesia, paese musulmano più popoloso al mondo che ha assunto una posizione molto critica verso la politica attuata dallo Stato ebraico nei confronti dei palestinesi e con cui non intrattiene relazioni diplomatiche. E' quanto rischia un giovane diciassettenne attualmente sotto inchiesta con l'accusa di "insurrezione" dopo avere cliccato sul messaggio postato sul social network.

(ANSA, 14 agosto 2014)


L'assedio di Gaza, chi vuole far saltare il banco

L'ala militare di Hamas si oppone a qualsiasi intesa, Netanyahu sembra ostaggio degli estremisti

di Alberto Flores D'Arcais

Come andrà a finire nessuno lo può dire con certezza. Non lo sa Benjamin "Bibi" Netanyahu, il "falco" che all'interno del Gabinetto di Sicurezza israeliano è ormai una "colomba", non lo sanno i capi di Hamas divisi tra l'ala politica di Khaled Meshal (più possibilista) e quella militare di Mohammed Deif (più intransigente). La tregua di tre giorni ha retto, adesso tutti gli scenari sono possibili. E il più probabile è che le armi riprendano presto a sparare.
   Nelle ultime ore di ieri, prima della scadenza del cessate-il-fuoco, al Cairo si è discusso ogni possibile dettaglio per trovare un modo di prorogare la tregua (come chiedevano, con insistenza, i mediatori egiziani) per altre 72 ore, ma quando il sole era già tramontato il pessimismo ha prevalso. Israele dava
Il conflitto può riprendere e durare ancora a lungo, quello che non è chiaro è lo sbocco che potrà avere. Israele ha fatto diverse concessioni, Hamas non rinuncia però alle sue richieste-ultimatum.
per scontato che allo scoccare della mezzanotte dalla Striscia di Gaza sarebbero ripresi i lanci dei razzi e a quel punto un nuovo intervento dell'esercito di Gerusalemme sarà inevitabile. Hamas risponde con le litanie di sempre, e chiede la «fine definitiva» dell'assedio di Gaza.
Il conflitto può riprendere e durare ancora a lungo, quello che non è chiaro è lo sbocco che potrà avere. Israele ha fatto diverse concessioni: acque territoriali allargate a sei (o nove) miglia, meno restrizioni lungo i confini, più aiuti umanitari e via libera per il trasferimento a Gaza dei soldi che servono a pagare i "funzionari" di Hamas sotto la supervisione di una parte terza (che non sia il Qatar). In cambio chiede tre cose, il disarmo della resistenza armata nella Striscia, la distruzione totale dei tunnel e lo stop allo sviluppo di razzi e missili. Hamas non rinuncia però alle sue richieste-ultimatum che prevedono la costruzione di un aeroporto e di un nuovo porto, il libero accesso da e per il confine con l'Egitto, il rilascio immediato di tutti i prigionieri catturati (e in diversi casi ri-catturati) dagli israeliani.
   Sia Hamas che Israele dovrebbero (in teoria) lavorare per una tregua più duratura. Il gruppo "terroristico" palestinese perché la sua popolarità - solo parzialmente cresciuta durante i bombardamenti israeliani - è in costante declino e deve comunque fare i conti con le centinaia di morti civili e una popolazione allo stremo. Il governo Netanyahu perché la sua missione principale (quella di distruggere i tunnel) è - stando almeno alle dichiarazioni ufficiali - compiuta, e riprendere in modo massiccio i bombardamenti rischia di isolare ancora di più lo Stato ebraico nella comunità internazionale. La realtà è - come sempre in Medio Oriente - diversa e complicata da decifrare. L'Egitto di Al Sisi, il presidente nemico giurato dei Fratelli Musulmani (e di conseguenza dei loro alleati di Hamas) ha in mente un nuovo ruolo per l'Anp di Abu Mazen. Dovrebbero essere loro, i palestinesi moderati, a governare Gaza o perlomeno a controllare il confine con l'Egitto e i traffici commerciali e di aiuti umanitari (che spesso camuffano i traffici d'armi). Disegno che l'ala militare di Hamas vuole far fallire ad ogni costo: perché non ha più nulla da perdere e pensa che solo con nuovi scontri (e nuovi morti) può costringere Israele ed Egitto ad accettare le proprie richieste. Da qui il probabile lancio di razzi e missili che provocheranno l'inevitabile reazione israeliana.
   Israele ha invece tre opzioni. Accettare che Hamas resti al governo nella Striscia (ma il ministro degli Esteri Lieberman non lo perdonerebbe a Netanyahu), rovesciare il regime palestinese con la forza (e con una occupazione dai tempi lunghi) oppure proseguire in una lunga guerra di posizione. Militarmente ha ottenuto dei successi - 32 tunnel distrutti, così come numerose infrastrutture, centinaia di quadri dell'organizzazione palestinese uccisi, la produzione dei razzi seriamente danneggiata - ma non quello più importante. Perché Hamas, ancora una volta, è sopravvissuta.

(Il Piccolo, 14 agosto 2014)


Prima settimana del viaggio di EDIPI in Israele

Dal 7 al 26 agosto una delegazione dell'Associazione "Evangelici d'Italia per Israele", accompagnata dal suo presidente Ivan Basana, sta svolgendo un viaggio in Israele con il preciso scopo di portare una tangibile e pratica solidarietà al popolo che vive sotto l'incubo dei missili di Hamas. Ieri sera ci è pervenuto il resoconto della prima settimana di viaggio.

La situazione a Gerusalemme sembra tranquilla, solo l'occhio più attento riscontra un'insolita presenza di civili armati non solo di pistole ma anche di mitra a tracolla. Tra i giovani si nota un'euforia mal celata da atteggiamenti insoliti. Il wek-end l'abbiamo passato con credenti ebrei messianici con i quali abbiamo sperimentato un vero combattimento spirituale, anche se a Gerusalemme non c'era una guerra reale. Il venerdì sera abbiamo passato lo shabbat nella congregazione di Beit Natanel ad En Kerem. Rachel Netanel lamentava la difficoltà di parlare con gli arabi a seguito del conflitto in atto. Il tradizionale Kabbalah Shabbat del venerdì sera, normalmente caratterizzato da una presenza numerosa, questa volta si riduceva solo a un paio di non credenti.
   Il sabato ci ha riservato un'occasione particolare: l'intercessione di tutta la congregazione Tifferet Yeshua nei confronti di tre giovani della congregazione richiamati per la guerra. Si è trattato di un
Il pastore Israel Pochtar della congregazione di Ashdod
momento molto toccante, che ci ha fatto comprendere quanti siano i giovani credenti a combattere contro Hamas. Effettivamente le congregazioni messianiche sono formate di molti giovani e conseguentemente è alta la loro presenza al fronte.
    Domenica sera abbiamo partecipato ad uno studio biblico incentrato sulla lettura spirituale dei fatti cruenti che stanno succedendo in Israele. Un ulteriore incontro, al lunedì mattina, ha visto protagonista Asher Intreter con un gruppo di intercessori di diverse congregazioni, svoltosi nel kibbutz messianico di Yad Hasmona. In questi quattro giorni abbiamo visto la strategia delle varie congregazioni messianiche che si assemblano variamente per i diversi incontri caratterizzati da iniziative divese, ma un'unica finalità.
   Con questo inizio abbiamo sperimentato il combattimento spirituale delle congregazioni messainiche, ma il giorno successivo ad Ashdod abbiamo visto la guerra reale. Il pastore Israel Pochtar della congregazione locale ci ha mostrato le riprese video dell'abbattimento di 4 missili proprio sul suo quartiere, oltre ad un terreno disabitato dove è caduto un missile inesploso e senza fare danni. L'Iron Drome funziona veramente ma ci sono anche i miracoli di Dio!
   Mercoledì 13 agosto è stata una giornata importante, caratterizzata dall'appuntamento con la giornalista Fiamma Nirenstein che ci ha aggiornato su alcuni risvolti poco conosciuti riguardo all'accerchiamento di Israele con i tunnel intorno ai suoi confini, non solo quindi a Gaza, realizzati con collaudate tecnologie nordcoreane, trasmesse agli arabi attraverso l'Iran. Fiamma lamentava inoltre l'atteggiamente apatico dell'Italia in particolare e dell'Europa in generale nei confronti della situazione in cui si trova Israele: ci confidava di aver parlato con Netanyahu di individuare delle isole di informazione e sostegno mirato, piuttosto che rivolgersi ai mass-media in generale. Israele è impegnato su due fronti, la guerra militare e la guerra mediatica e quest'ultima sembra persa. Suggeriva di attivarsi con trasmissioni radiofoniche e testimoniava del successo con i suoi interventi su Radio Radicale. Si è inoltre resa diponibile anche ad una collaborazione con EDIPI in una trasmissione settimanale con qualche radio evangelica.
   Nel pomeriggio abbiamo incontrato Zipporah e Ramon Bennett del ministero Arm of Salvation di Gerusalemme, che hanno confermato tutti i timori e le incertezze della situazione analizzata con acutezza politica da Fiamma Nirenstein: Ramon Bennett riporta infine l'analisi del la situazione attuale a quanto profetizzato in Zaccaria 12.

(EDIPI, 14 agosto 2014)


Sionismo è una bella parola

di Guido Guastalla*

Dialogare con la sinistra, soprattutto se estrema, come quella che ha issato sull'ex convento dei Domenicani lo striscione ormai famigerato di Livorno è praticamente impossibile e tempo perso. Cominciò nel 1967 la rottura fra sinistra e Israele. L'idillio era iniziato nel dopoguerra dopo la liberazione da parte dell'Armata rossa del campo di sterminio di Auschwitz ed era continuato, anche con Stalin che pensava ad un Israele socialista alleato dell'URSS in funzione antioccidentale; tanto è vero che le armi per la guerra del 1948 provenivano in gran parte dalla Cecoslovacchia. La rottura del 1967 iniziò una deriva che si sarebbe evidenziata in modo preoccupante nel 1982, guerra del Libano e Sabra e Chatila. Basta rileggere i giornali
Le ragioni che devono indurre una sinistra adulta e occidentale a ritenere il Sionismo una bella parola sono legate alla natura profonda del sionismo.
dell'epoca e ritroviamo gli stilemi e gli stereotipi di oggi. Alcuni vecchi dirigenti comunisti ( a Livorno ad esempio l'on. Giachini) legati alla Resistenza e a un rapporto fraterno con le Comunità ebraiche espressero forte preoccupazione per forme di neo antisemitismo che osservavano nel corpo del partito. E cercarono di correre ai ripari. Purtroppo il germe dell'antisionismo che trapassava poi nell'antisemitismo vero e proprio non cessò di svilupparsi. Scriveva nel 2006 l'on. Peppino Caldarola, già direttore dell'Unità, e grande amico di Israele in un testo intitolato "Sionismo è una bella parola" (La Sinistra e Israele): "Sionismo è stato usato come sinonimo di imperialismo e di colonialismo. Sionismo, addirittura, come espressione moderna per richiamare due regimi orribili, l'uno che rimanda ai campi di concentramento (terribile crudeltà questa feroce ritorsione polemica contro gli eredi delle vittime) l'altra al bantustan del vecchio Sudafrica.". Dice ancora Caldarola che le ragioni che devono indurre una sinistra adulta e occidentale a ritenere il Sionismo una bella parola sono legate: "alla natura profonda del sionismo, a quel suo essere stato ed essere il più radicale dei movimenti nazionali ebraici dell'epoca moderna, il più vicino ai vari movimenti nazionali sorti nell'epoca moderna"...
   Da parte sua Martin Luther King nel 1967, in "Una lettera ad un amico anti-sionista" scriveva che l'anti-sionismo: "E' il negare al popolo ebraico quel diritto fondamentale che giustamente oggi riconosciamo ai popoli dell'Africa… Si tratta, amici miei, di discriminazione contro gli ebrei, a causa della loro ebraicità. Si tratta cioè di antisemitismo". Ma poiché è diventato impopolare dichiararsi antisemiti, dice ancora M.L.K. bisogna camuffarsi: "e allora non si dice più di odiare gli ebrei, ma solo di essere anti-sionista".
   Le stesse cose ripeté, durante la commemorazione del Giorno della Memoria, il Presidente Napolitano, parlando di anti-sionismo come forma attuale di antisemitismo.
   Purtroppo gli stereotipi, "le parole malate" sono facili da costruire e comunicare, sono più difficili da correggere e modificare. Diceva già il buon vecchio Marx che è più difficile cambiare le credenze popolari che le strutture materiali della società. Ecco perché la questione si pone ancora oggi in modo drammatico.
Il pregiudizio e le forme di antisemitismo più gravi sono come un fiume carsico che riaffiora nei momenti di crisi per poi inabissarsi silente quando ritorna la calma.
Leggiamo in alcune lettere che lo Stato italiano non dovrebbe proteggere le sedi delle Comunità ebraiche e le sinagoghe, compito che gli ebrei dovrebbero assolvere con i propri mezzi. Come se non fossero cittadini italiani a tutti gli effetti, per cui il diritto alla protezione interna sancito dal patto costituzionale che altro non è che l'attualizzazione del contratto di cui parlava già Hobbes non dovesse valere per loro; magari dimenticandosi l'attentato alla sinagoga di Roma con un bambino morto, Stefano Tachè, o quello all'aeroporto di Fiumicino. Oppure in documenti dell'estrema sinistra, anche a Livorno, si parla di lobby ebraica, di indebite interferenze e pressioni della Comunità nelle decisioni dell'amministrazione comunale, quasi che un Ente di questo tipo, che fornisce da una parte servizi ai suoi iscritti, dall'altra li rappresenta nello spazio pubblico, non avesse gli stessi diritti ad esprimersi di una associazione del tempo libero come l'Arci. La realtà purtroppo è che il pregiudizio e le forme di antisemitismo più gravi sono come un fiume carsico che riaffiora nei momenti di crisi per poi inabissarsi silente quando ritorna la calma sia pure apparente. La soluzione sarebbe un grande sforzo di educazione e di conoscenza per superare ignoranza e pregiudizio. E' quello che sta facendo, almeno dal Concilio Vaticano II la Chiesa di Roma, i cui risultati si cominciano ad apprezzare, copioso oggi., come dimostrano l'incontro di Firenze in Palazzo Vecchio, o quello a Milano presso l'Arcivescovado di oggi 14 agosto, fra il Cardinale Scola e il Rabbino Laras.


* Già vicepresidente della Comunità ebraica di Livorno

(Corriere della Sera - Firenze, 14 agosto 2014)


Ferrara - Avanza l'ipotesi Meis per ospitare il museo del ghetto

Il 14 settembre, giornata europea della cultura ebraica, verrà ufficializzata la collocazione per le opere di via Mazzini.

 
FERRARA - La comunità ebraica di Ferrara e la direzione del Meis stanno lavorando all'ipotesi che sembra la più probabile, per trasferire le opere dal museo ebraico di via Mazzini nel contenitore di via Piangipane. La scelta definitiva verrà comunicata ufficialmente il 14 settembre, in occasione della giornata europa della cultura ebraica che quest'anno vede proprio Ferrara città capofila. Il problema di trasferire le opere d'arte, che sono oggi custodite all'interno dell'ex ghetto nello stabile dove ci sono anche le tre sinagoghe ferreresi, è sorto a causa dei forti danni subiti dalla struttura nel corso del terremoto del maggio 2012.
Ora, a distanza di oltre due anni, e dopo aver presentato il progetto per la ristrutturazione, occorre liberare gli spazi per iniziare l'opera di restauro quantificata in un intervento che si aggira sul milione di euro. Da qui la necessità di trasferire il museo ebraico di via Mazzini in un luogo pubblico per poter continuare ad ammirare le opere. In considerazione di problemi logistici legati ad alcune strutture potenzialmente in grado di ospitare il museo ebraico, come Casa Romei o Palazzo Bonacossi, la soluzione di trasferirlo al Meis di via Piangipane sia quella non solo più probabile, ma anche la più opportuna.

(la Nuova Ferrara, 14 agosto 2014)


Il silenzio dell'occidente sui nostri uomini nello Stato islamico

La Francia ammette che 900 jihadisti francesi combattono in Siria e in Iraq, ma il Califfato attrae miliziani da tutto il mondo.

ROMA - Alla fine è stato il ministro dell'Interno francese, Bernard Cazeneuve, a dover ammettere ieri, in una intervista a radio France Info, che quasi 900 jihadisti francesi stanno combattendo in Siria e Iraq. Staremo a vedere se anche altri paesi europei avranno il coraggio di fare altrettanto oppure continueranno a minimizzare il fenomeno che ormai riguarda migliaia di convertiti e naturalizzati pronti a imbracciare le armi là dove il mito del jihad s'intreccia con la realizzazione di uno stato totalmente islamista. Altro che le
Le nuove filiere del terro- rismo fanno affluire i propri membri nei teatri di maggiore richiamo mu- nendoli di documenti falsi, denaro, indicazioni precise sulle basi da raggiungere.
cellule dormienti di qualche anno fa. E' inutile negarlo: un vero esercito di mujaheddin, estremamente determinati, si aggira per l'Europa che sinora ha sempre fatto finta di nulla.
Le nuove filiere del terrorismo fanno affluire i propri membri nei teatri di maggiore richiamo, come la Siria, la Palestina e l'Iraq, munendoli di documenti falsi, denaro, indicazioni precise sulle basi da raggiungere. Oppure sfruttano abilmente, usando documenti veri e del tutto legali, il circuito degli aiuti umanitari o di determinate e selezionate organizzazioni non governative. Secondo alcune nostre fonti, di stanza a Baghdad, fra i quadri dello Stato islamico figurano 237 americani, 330 britannici,176 francesi, 23 italiani, 42 olandesi, 17 belgi, 313 ceceni, 111 libanesi, 180 libici. Di recente a capo di un battaglione dello Stato islamico, in avanzamento verso Baghdad, è stata nominata la cittadina britannica Samantha Lewthwaite (vedova di Germaine Lindsay, uno degli attentatori suicidi della strage di Londra del 7 luglio 2005), che ha lasciato gli Shabaab per seguire Abu Bakr al Baghdadi.
   Purtroppo negli ultimi tre anni nessuno è riuscito a convincere Washington del fatto che le nuove caratteristiche strategiche, organizzative e operative, assunte dal fenomeno jihadista specie dopo gli esiti delle primavere arabe, avrebbero inciso profondamente sugli equilibri geopolitici sia mediorientali sia di altre aree di crisi. Ad esempio da oltre due anni qui si sostiene, con documentate informative, lo straordinario potenziamento militare conseguito da llamas attraverso l'approvvigionamen-to di enormi quantità di missili, armi ed esplosivi utilizzando abilmente il collaudato network degli aiuti umanitari. Come pure la proliferazione, sotto la Striscia di Gaza, di tunnel. Molte nostre fonti erano concordi nel ritenere imminente un'offensiva terroristica da parte di llamas e del Jihad islamico. Entrambi rimpinguati negli effettivi da miliziani, ben addestrati, provenienti ancora una volta da Gran Bretagna, Francia, Olanda, Italia, Libia, Tunisia, Turchia, Egitto, Libano e, come di consueto, dall'Iran.
   Come è stato possibile verificare nelle ultime settimane durante l'operazione Protective edge, l'alto comando e il potenziale militare di llamas sarebbero sopravvissuti consentendo ai terroristi di cantare vittoria. "Stesso errore tattico - continuano le nostre fonti - lo si sta replicando in Iraq con lo Stato islamico che gioca sulla reazione debole di Obama dandogli questa volta del codardo non per il golf ma per il fatto di inviare gli aerei anziché i marine". Dopo il tragico voltafaccia in Siria nessuno crede più alle sue "red line". Obama lancia, in Iraq, i raid aerei contro l'esercito di al Baghdadi temendo il genocidio dei cristiani e del popolo yazida. Ma come per la Siria è già troppo tardi. "Siamo tra voi" è il messaggio, via Twitter, inviato dallo Stato islamico agli Stati Uniti che rifiutano ancora l'unica scelta possibile per sradicarlo: "boots on the ground".

(Il Foglio, 14 agosto 2014)


Lauren Bacall (1924-2014)

Lauren Bacall
C'era una volta una ragazzina, figlia di due ebrei immigrati in America dalla vecchia Polonia e dalla Romania. Si chiamava Betty Jane Perske e suo padre l'abbandonò vagando per altri lidi. Betty è morta ieri ad 89 anni a New York. Una bella casa, vedova di un uomo di successo, un quadro di Eva Fischer (la pittrice ebrea croata attualmente in mostra alla Gam di Roma), che aveva regalato al marito, appeso alla parete. Betty non si riconosceva più nel cognome del padre, decise quindi di prendere in prestito quello della madre, Bacal. Voleva fare la ballerina, ma, con degli occhi del genere, la ingaggiarono come fotomodella. Così Betty Jane Perske divenne Lauren Bacall, una delle stelle più brillanti di Hollywood, innamorata per giunta di un'altra supernova: Humphrey Bogart. In Come sposare un milionario cercava di accalappiare un riccastro con fascino e strategia tentando di contenere la svampita coinquilina Marilyn Monroe, nel Grande sonno indagava con Boogie, ancora inconsapevole di recitare accanto al grande amore della sua vita. Fascino, talento, amore sono stati gli ingredienti di una delle ultime partecipanti al pericoloso e pailettato gioco della grande Hollywood. E se Bacall sembrava aver totalmente spazzato via il suo passato da Perske, una parentela speciale ha riportato alla luce le proprie origini; un cugino di primo grado d'eccezione: Shimon Peres. Steve North ricorda sul Jpost i tentativi fatti per avere dall'attrice qualche informazione succosa a suo tempo a proposito dell'allora Primo Ministro Peres. Nonostante le rimostranze del proprio agente e gli impegni della diva, Lauren ci tenne a specificare il proprio orgoglio nei confronti del cugino che conobbe meglio solo qualche anno dopo il 1984, quando Peres la invitò ufficialmente in Israele. Dalla Polonia ad Hollywood passando per Gerusalemme, la famiglia Perske ha segnato la storia. E gli occhi della nostra Betty non si dimenticheranno così facilmente.

(moked, 13 agosto 2014)


In Francia si cerca nuovo nome per la località "La Morte agli ebrei"

RENNES - La richiesta di cancellare il nome della località francese chiamata "La-mort-aux-Juifs" (La morte agli ebrei), avanzata dal Centro Simon Wiesenthal, sarà messa all'ordine del giorno del prossimo consiglio comunale di Courtemaux, paese di 306 abitanti, nella regione del Centro, da cui dipende la frazione incriminata. "Ci occuperemo del problema a inizio settembre" e troveremo un "nuovo nome per il borgo", ha indicato a France Presse Serge Montagne, vice-sindaco del paesino del dipartimento di Loiret, a sud di Parigi.

(TMNews, 13 agosto 2014)


Ebreo aggredito a Davos

Un turista 26enne è stato insultato e ferito all'esterno della Migros

 
La Migros di Davos-Dorf
Un ebreo ortodosso è stato aggredito lunedì sera a Davos. Lo riferisce oggi l'edizione online del settimanale ebraico "Tachles" e lo conferma la Polizia cantonale grigionese.
L'ebreo, un 26enne residente in Belgio che da quindici anni a questa parte trascorre le ferie nei Grigioni, aveva appena effettuato degli acquisti alla Migros di Davos-Dorf quando un uomo sulla sessantina si è avventato su di lui, aggredendolo ed urlandogli insulti antisemiti.
Il 26enne è fuggito dal suo aggressore rifugiandosi nell'auto dove lo aspettavano la moglie e i quattro figli. Il sessantenne non si è però arreso ed ha continuato a sferrare pugni sull'auto, finché questa non si è dileguata.
L'ebreo è rimasto ferito ad una mano. Inizialmente si era parlato della presenza di un coltello, ma la Polizia grigionese ha escluso l'uso di armi.
Oggi il giovane ebreo sporgerà denuncia. "Una persona che fa una cosa del genere e urla certe parole, non deve rimanere impunita" ha affermato.

(ticinonews, 13 agosto 2014)


L'unità Talpiot di Israele lavora a un '"Iron Dome anti tunnel"

di Rolla Scolari

ROMA - Secondo il comando israeliano, durante l'operazione di terra contro la Striscia di Gaza, l'esercito ha distrutto 32 gallerie sotterranee. I tunnel, costruiti negli anni da Hamas per infiltrare Israele, sarebbero costati 90 milioni di dollari, erano rinforzati in cemento armato, avevano l'elettricità ed erano pure minati.
   Se negli ultimi anni gli israeliani sono riusciti ad arginare il passaggio di attentatori suicidi alzando un muro di separazione attorno ai territori palestinesi e hanno ridotto al minimo la minaccia dei razzi da Gaza con un avanzato sistema antimissilistico - Iron Dome -, in questi giorni di guerra sono nate polemiche sul fallimento dell'esercito nel creare tecnologie capaci di scoprire le gallerie. Benché il premier Benjamin
Sia i vertici politici e della sicurezza sia l'opinione pubblica sanno che la minaccia delle gallerie resta e che c'è bisogno di un Iron Dome sotterraneo.
Netanyahu abbia lodato i soldati e gli agenti dei servizi per "il successo" dell'operazione di annientamento dei tunnel, sia i vertici politici e della sicurezza sia l'opinione pubblica sanno che la minaccia delle gallerie resta e che c'è bisogno di un Iron Dome sotterraneo. Secondo Alex Fishman del quotidiano Yedioth Ahronoth, l'esercito israeliano sarebbe pronto a testare a breve un sistema a sensori rivoluzionario, ideato per localizzare strutture scavate nel sottosuolo. Il Daily Telegraph britannico aveva già parlato di test portati a termine sotto la superficie di Tel Aviv - nelle fogne della città per la precisione - in seguito agli studi intrapresi dall'unità Talpiot, un programma dell'esercito riservato alle reclute che hanno dimostrato particolare attitudine alle scienze, alla matematica, alla fisica e alle tecnologie. Sarebbero dunque giovani soldati, assieme a nomi importanti dell'industria militare e di difesa israeliane e internazionali come Rafael ed Elbit, rappresentanti della ricerca accademica - dell'Istituto di geofisica locale, del centro di ricerca nucleare Soreq - e start-up private a lavorare a un sistema che, se passasse i test finali, potrebbe essere installato lungo i 64 chilometri del confine con Gaza ed essere operativo dopo un anno. Una fonte militare spiega a Fishman che il sistema è "basato su sensori che possono identificare attività di scavo nel sottosuolo e spazi vuoti", e potrebbe costare tra il miliardo e il miliardo e mezzo di dollari. Diverse sono le stime di Haaretz, che aveva già scritto di una nuova tecnologia in studio da 59 milioni. Il quotidiano della sinistra israeliana sembra però più scettico sui risultati. Elenca tre tecnologie valutate finora dagli esperti: la prima permetterebbe d'ascoltare attività di scavo attraverso microfoni e sensori nel sottosuolo; la seconda, usata già nello studio delle doline del mar Morto, s'affida a radar che mandano onde elettromagnetiche nel terreno e creano una mappa degli strati del terreno; la terza misura le impercettibili variazioni della gravità. Secondo un alto ufficiale militare israeliano, però, a oggi non esiste un sistema capace di localizzare i tunnel e il quotidiano conclude che anche gli Stati Uniti, interessati a bloccare il contrabbando sotterraneo lungo i confini con il Messico, continuano ad affidarsi al vecchio metodo degli informatori e alla fortuna.
   Esercito e vertici politici israeliani sono accusati d'avere sottostimato la minaccia perché conoscevano da anni la pericolosità delle gallerie: con l'ultima crisi di Gaza è aumentato lo sforzo per trovare una soluzione tecnologica. Secondo il Wall Street Journal, è dagli anni 90 che Tsahal studia la questione, allora legata alle gallerie del contrabbando sul confine con l'Egitto. Soltanto nei primi anni del 2000 i miliziani palestinesi iniziarono a utlizzare i tunnel per attaccare. Fu allora che i militari chiesero consiglio a esperti di geofisica, che studiarono anche la possibilità di creare un fossato attorno a Gaza, mai realizzato. Dal 2005 al 2009, sostiene Yedioth Ahronoth, Tsahal avrebbe tentato con altri progetti, senza trovare una soluzione efficace.

(Il Foglio, 13 agosto 2014)


"Noi palestinesi dobbiamo sbarazzarci di Hamas"

"Non possiamo più negare la nostra responsabilità per le morti del nostro popolo"

di Bassem Eid

Bassem Eid
Per ventisei anni ho dedicando la mia vita alla difesa dei diritti umani. Ho visto guerre e terrorismo. Eppure, il mese scorso è stato uno dei momenti più difficili della mia vita.
Vivo a Gerusalemme est e sono testimone della distruzione della vita attorno a me. L'autostrada 1 è stata ancora una volta trasformata nella linea di separazione tra est e ovest. I palestinesi della capitale hanno attaccato e vandalizzato i semafori, il tram metropolitano, le linee elettriche. Ma non posso accettare l'idea che si tratti di una forma di protesta sociale: è puro e semplice spirito vendicativo. La coesistenza per la quale mi sono battuto per tutta la vita è stata "giustiziata" nella piazza della città.
Non c'è dubbio che morte e distruzione hanno colpito pesantemente Gaza. Entrambe le popolazioni soffrono, ma ogni parte nega il dolore dell'altra parte, e così la sofferenza peggiora.
Opinione pubblica palestinese: "Come definisce i fanatici islamisti assassini di agenti israeliani, civili ebrei e palestinesi moderati? - Li chiamo eroi! - E come mai? - Perché non sono un suicida!"
E tuttavia, in quanto palestinese, lo devo ammettere: sono in parte responsabile di quanto è successo. Non possiamo più negare la nostra responsabilità per le morti del nostro popolo.
La maggior parte dei palestinesi era contro il lancio di razzi su Israele. Si rendevano conto che i razzi non ci avrebbero portato nulla. Hanno chiesto a Hamas di cessare il fuoco, sapendo che Hamas aveva aperto la strada alla morte della sua stessa gente.
Sapevamo che Hamas stava scavando i tunnel che avrebbero portato alla nostra distruzione. E Hamas sapeva che un attacco contro Israele avrebbe portato a morte di massa, ma i suoi capi sono più interessati alle loro vittorie che alla vita delle vittime.
In verità Hamas dipende dalla morte, che le conferisce potere e le permette di raccogliere fondi e acquistare armi. Hamas non è mai stata interessata a liberare il popolo palestinese dall'occupazione. E Israele non sarà mai in grado di distruggere tutte le infrastrutture che Hamas ha costruito. Solo noi, popolo palestinese, possiamo farlo.
Era responsabilità degli abitanti di Gaza ribellarsi contro il dominio di Hamas. Sapevamo quello che ci stavano facendo, ma abbiamo lasciato correre e abbiamo permesso che accadesse.
Sapremo trarre una lezione da tutta questa devastazione? Lo spero. E la lezione è che dobbiamo sbarazzarci di Hamas e smilitarizzare completamente la striscia di Gaza. E poi aprire i valichi di frontiera.
Lo dico in quanto leale palestinese. Lo dico perché sono preoccupato per il futuro del mio popolo.

(israele.net, 13 agosto 2014)


Insultata a 76 anni perché ebrea: «Indossavo la stella di David»

Offese antisemite sul bus da un giovane: «Facciamoli fuori tutti».

di Roberto Davide Papini

A sei anni, nel 1944, si ritrovò rinchiusa nel carcere milanese di San Vittore, con tutta la sua famiglia ebrea «e dopo aver superato quello, ero sicura che mai più la mia appartenenza religiosa mi sarebbe stata rinfacciata... E invece...». Tra amarezza e incredulità, una donna di 76 anni, appartenente alla comunità ebraica fiorentina, racconta la disavventura che le è accaduta sull'autobus lunedì pomeriggio, quando è stata apostrofata con una terribile frase antisemita: «Facciamoli fuori tutti questi ebrei», pronnciata da un
... e alla fine ha detto quella frase: «Facciamoli fuori tutti, questi ebrei».
giovane. «Questo ragazzo — ricorda la donna — ha visto la stella di Davide che porto al collo e ha cominciato a lanciarmi occhiate di fuoco e a borbottare frasi sul fatto che con tutto quello che succede hanno anche il coraggio di farsi vedere in giro. Io non ho risposto, poi un altro signore ha detto cose simili ed è sceso e alla fine il primo ha detto quella frase: «Facciamoli fuori tutti, questi ebrei». L'autobus era mezzo vuoto, io non so se altri hanno sentito, probabilmente no, per questo non avendo testimoni è difficile fare denuncia. Certo, in 52 anni che vivo a Firenze un fatto del genere non mi era mai accaduto».
   Tornata a casa, la signora decide di raccontare l'episodio su facebook e subito arrivano molte attestazioni di solidarietà. L'episodio fa seguito a quello accaduto alcuni giorni fa quando un altro membro della comunità ebraica raccontò di essere stato offeso e chiamato 'assassino' mentre rientrava a casa in bici nei pressi della sinagoga di via Farini. Chi lo aveva offeso (come, probabilmente, anche nel caso della signora di 76 anni) intendeva riferirsi al conflitto tra Israele e Hamas, stabilendo una pericolosa e ingiustificata equivalenza tra il governo di Gerusalemme e gli ebrei in quanto tali. «Io credo che ci sia troppa ignoranza. Molta gente è condizionata da certe cose che si fanno vedere e si dicono in televisione e ha pregiudizi verso noi ebrei — dice la signora — ma io non ho paura. Continuerò a portare il Maghen David (la Stella di Davide, ndr) perché se cominciassi a nascondermi farei il gioco di chi mi ha offesa».

(La Nazione, 13 agosto 2014)


Fermiamo il virus del fanatismo religioso

di Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma

 
Rav Riccardo Di Segni
L'intolleranza è una malattia infantile di molte religioni, specialmente quelle monoteistiche. La malattia può guarire crescendo, oppure cronicizzarsi con alti e bassi oppure ricomparire all'improvviso come una recidiva pericolosa. Le recidive di questa malattia hanno insanguinato abbondantemente l'Europa dei secoli scorsi. Poi ad insanguinarla ci hanno pensato i nazionalismi e i totalitarismi, anche se qualche conflitto religioso non ci è mancato negli ultimi decenni (Irlanda del Nord, ex Jugoslavia). Però una volta sconfitti i totalitarismi e spenti i focolai locali pensavamo di essercela cavata. Invece no. Ecco che il nuovo millennio che comincia simbolicamente con l'attacco alle Torri gemelle di New York, un evento che avrà avuto pure radici politiche complesse, ma che non sarebbe stato possibile senza una carica di odio e fanatismo religioso. Ed ecco che ora scopriamo che intere regioni del continente africano e ampie zone dell'Iraq e della Siria sono devastate da eserciti che trovano la loro forza cementante ed identitaria in una visione religiosa espansiva e minacciosa e a farne le spese con la vita, la perdita della libertà o l'esilio, per chi ci riesce, sono masse di cristiani o di altre minoranze religiose di cui sapevamo a stento l'esistenza. Chissà per quale oscuro motivo mediatico di tutto questo si inizia a parlare nei titoli dei giornali e delle tv solo adesso, quando le cifre delle vittime vanno oltre alle decine di migliaia. Fino a poco tempo fa quando si scendeva in piazza per manifestare contro questi fatti (siamo riusciti a farlo a Roma un paio di volte mettendo insieme cristiani ed ebrei) il numero dei presenti era minimo e benché si gridasse all'indifferenza non c'erano molte autorità - anche religiose - e pubblico sensibile disposte ad ascoltare. Forse perché i Paesi di cui si parla ci sembrano lontani e con un inconfessabile subconscio senso di superiorità occidentale pensiamo che siano cose incivili tra gente incivile. Ma forse l'inciviltà è proprio quella nostra di non capire quanto questi eventi ci siano vicini, sia spiritualmente per la dignità e i diritti umani violati, sia geograficamente: non sono posti lontani, ci si arriva in tre ore di aereo. Non sono ideologie lontane, stanno già in mezzo a noi con i loro fedeli e sostenitori e non ce ne accorgiamo. Leggiamo del virus Ebola che miete vittime in Africa, ma stiamo quasi tranquilli perché qui, si dice, non arriva. Nessuno ci garantisce che il virus del fanatismo religioso non approdi da queste parti, se non è già approdato. Nella storia della nostra comunità religiosa degli ultimi millenni abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significhi odio, esaltazione e intolleranza, quale che ne sia la natura, ideologica o religiosa. E nel mondo occidentale si è riusciti a costruire sulle ceneri del passato un modello di convivenza al quale le diverse religioni, senza rinunciare a loro stesse, hanno portato un contributo decisivo. Oggi tutto questo rischia di saltare avviando un micidiale processo regressivo. Bisogna fermarlo. Non si possono tollerare i morti per religione. Non si possono tollerare gli intolleranti.

(La Stampa, 13 agosto 2014)


In America latina c'è ancora qualcuno che difende Israele da Hamas

di Maurizio Stefanini

ROMA - "Quando il governo parla male di Israele è come se parlasse male dello stesso Gesù". "La nazione che maledice Israele sarà maledetta a sua volta". "Israele ha il diritto di difendersi dal terrorismo". Gridando questi slogan, ottanta evangelici brasiliani si sono riuniti a protestare davanti a Itamaray, la sede del ministero degli Esteri di Buenos Aires, il giorno dopo quella nota del 23 giugno con cui il governo di Dilma Rousseff ha duramente attaccato Israele per quello che sta accadendo a Gaza: "E' qualcosa di pericoloso", "non credo che sia un genocidio, ma credo che sia un massacro". "Siamo offesi per una posizione che non coincide con le idee della popolazione cristiana brasiliana", hanno detto la pastora Jane Silva, presidente sia della Associaçào Cristà de Homens e Mulheres de Negócios sia della Comunidade Brasil-Israel, e il deputato Lincoln Portela, del-l'intergruppo evangelico che al Congresso conta 73 dei 513 deputati e 4 degli 81 senatori. Nei giorni successivi la protesta del Brasile contro Israele è salita di tono, fino alla decisione di ritirare l'ambasciatore da Tel Aviv.
    A prendere le difese di Israele ci hanno pensato i protestanti brasiliani. Una manifestazione convocata dall'Apostolo" René Terra-Nova, fondatore del Ministério Inter-nacional da Restauraçào, è arrivata infatti a
In una seguita trasmis- sione televisiva, il pastore Silas Malafaia ha difeso Israele sia dalla prospettiva religiosa di "popolo di Dio", sia da quella laica di "stato sovrano attaccato dai terroristi".
raccogliere nello stato di Amazonas almeno trentamila persone. Poi, una seguita trasmissione tv del pastore Silas Malafaia, principale leader della Assembleia de Deus Vitória em Cristo, ha difeso Israele sia dalla prospettiva religiosa di "popolo di Dio" che da quella laica di "stato sovrano attaccato dai terroristi". All'inaugurazione a San Paolo di un Templo de Salomào rivestito con pietre arrivate da Israele i vescovi della Igreja Universal do Reino de Deus si sono presentati in segno di solidarietà con kippah e talit, mentre i fedeli sventolavano bandiere brasiliane e israeliane assieme e ascoltavano l'inno israeliano. A parte l'affinità politica, i protestanti brasiliani sono assidui frequentatori di pellegrinaggi in Terra Santa per cui ora temono di poter trovare ostacoli. Sull'esempio del Brasile, anche pastori di El Salvador e Perù hanno preso analoghe posizioni filoisraeliane. Come ha spiegato Carlos Jara Depaz, soprintendente nazionale delle Asambleas de Dios del Però, "non siamo d'accordo né con le azioni armate. Ma che la terra di Palestina appartenga al popolo ebraico è scritto nella Bibbia".
   Non solo il Brasile ma anche Cile, Ecuador. Perù e El Salvador hanno infatti ritirato l'ambasciatore a Tel Aviv. In America Latina è una posizione meno forte rispetto al Venezuela chavista e alla Bolivia di Evo Morales, che ruppero le relazioni con Israele nel 2009 dopo l'altra guerra di Gaza; diversa ancora dal Nicaragua di Daniel Ortega, che richiamò l'ambasciatore nel 2010 dopo la storia della "Foltilla". Adesso Maduro accusa lo stato ebraico di "aver trasformato Gaza in una grande Auschwitz", mentre Morales ha imposto ai cittadini israeliani il visto in quanto "provenienti da uno stato terrorista" e Ortega ha parlato di "genocidio". "Aggressione israeliana" è pure il termine usato da Cuba, che interruppe le relazioni nel 1973. Cristina Kirchner ha invece mantenuto i rapporti, pur facendo di tanto in tanto delle dichiarazioni che hanno indotto l'ambasciatrice israeliana a Buenos Aires a parlare di "antisemitismo strisciante". Messico e Colombia hanno condannato le violenze da entrambe le parti. Il quadro è dunque più fluido rispetto a una meccanica sovrapposizione tra governi radicali e governi anti-israeliani, non solo la Kirchner ma anche Correa erano, già prima del conflitto, impegnati in un importante processo di riavvicinamento con Israele, e Correa dopo aver firmato alcuni accordi economici aveva anche programmato una visita, adesso annullata. Ma le dichiarazioni di Dilma sono sembrate più dure di quelle degli altri presidenti che hanno ritirato l'ambasciatore.

(Il Foglio, 13 agosto 2014)


Una domanda al sindaco di Livorno

Lettera a Furio Colombo

Caro Furio Colombo,
ti prego di rivolgere per me una domanda al sindaco Nogarin sullo striscione di un edificio comunale di Livorno che dice "Israele è il vero terrorista". Quale striscione ha scelto di esporre nella sua città, adesso, per ricordare le 500 vittime (quasi tutti donne e bambini), sepolte vive in Iraq dai militanti di Isis?
Maddalena

RISPOSTA
La mia prima raccomandazione, a chi ci scrive, è di evitare la gara dei morti per arrivare a dichiarare peggiore chi ne fa di più, soprattutto fra i bambini. Ne sono morti molti a Gaza (troppi, persino se fossero la metà della metà, a cominciare da uno). Purtroppo è iniziata anche una gara che invece della costernazione e della supplica ripetuta di Papa Francesco, provoca l'impressione di una deliberata esibizione di vittime a fini esclusivamente politici. Avete notato che prima dello spaventoso evento iracheno, in ogni altra guerra, scontro, rivoluzione, compresi i trentamila morti della rivolta e della repressione siriana e gli indiscriminati bombardamenti aerei di Assad sul proprio Paese, pesate a Homs, rasa al suolo, pensate ad Aleppo, fra i morti e le immagini dei morti, e dei funerali dei morti, che hanno circolato in Occidente, non c'erano mai bambini, benché la polizia siriana coltivasse la pratica di sequestrare, torturare e restituire, perché servissero di esempio, i corpi dei piccoli figli dei rivoltosi? Tutta l'area, fino ai confini con la Turchia e con Egitto (ma la Libia è tragicamente inclusa) è travolta da una spirale di violenza particolarmente brutale. Ma nella visione del sindaco Nogarin e dei suoi amici "Israele è il vero terrorista". Sembra evidente che in questo modo si dà una mano all'odio affinché continui e produca ancora più vittime, in modo da poterle esibire il più possibile per produrre, oltre che un mare di dolore, ancora più odio. In questo modo tutti coloro che, dentro Israele, in tanti Paesi e in questo Vaticano (che aveva appena congiunto mani israeliane e palestinesi) si battono perla pace, perché stanno dalla parte delle vittime, vengono spintonati indietro per far passare l'odio. ll Sindaco Nogarin poteva dire parole di pace, se avesse risposto alla lettera dell'Ambasciatore israeliano Naor Gilon, che era una lettera mite e amichevole. Invece ha scelto il silenzio ottuso del suo striscione municipale. E poteva dire parole di pace dopo l'orrore dell'Iraq. Invece ha scelto di restare con l'invito all'odio esclusivamente contro gli ebrei del suo primo striscione. E nessuno ha avuto niente da dire e da spiegare ai figli e nipoti dei sopravvissuti della Comunità ebraica di Livorno. Un triste silenzio anche dal Pd livornese.

(il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2014)


Sindaco, rimuova quello striscione d'odio!

Lo striscione adesso è stato rimosso, ma non per ordine del sindaco. Gli autori stessi dello striscione hanno deciso di rimuoverlo perché "aveva già ottenuto l'effetto voluto!". Quello di attizzare un altro po' di odio contro Israele, appunto. NsI

di Aldo Grasso

Uno striscione anti-Israele è apparso a "Effetto Venezia", la festa estiva di Livorno, il 25 luglio scorso: «Fermare il genocidio a Gaza. Israele vero termrista». Così recita la scritta apposta su un palazzo a poco distanza dal municipio della città toscana che il sindaco Cinque-stelle, Filippo Nogarin, non ha alcuna intenzione di rimuovere nonostante i numerosi inviti della comunità ebraica livornese. Intervistato da Fabrizio Roncone del Corriere, che gli chiedeva se la frase «Israele vero terrorista» aiutasse a sviluppare un ragionamento, il sindaco ha risposto in maniera perentoria: «Senta: premesso che poi è sempre una questione di coscienza, perché è chiaro a tutti ció che sta accadendo nella Striscia di Gaza... io penso che quello striscione un merito ce l'abbia di sicuro: aiuta a far salire l'attenzione su questa nuova ondata di morte e terrore. Non c'è altro da dire. Per me lo striscione può restare lì». A nulla è valsa la lettera che
Il pilatesco sindaco non ha dubbi: «Per quanto mi riguarda, lo striscione non ha alcuna accezione antisemita. E poi... non è compito mio rimuoverlo."
l'ambasciatore Gilon ha indirizzato al sindaco: «Israele non combatte certo contro i Palestinesi, ma contro una organizzazione terrorista e cerca di ridurre al minimo il numero delle perdite civili. Israele difende se stesso e il diritto inalienabile della sua popolazione di vivere in pace e sicurezza. Solo a ral fine, Israele si confronta con unaorganizzazione criminale, riconosciuta come terrorista da tutto l'Occidente, che non nutre alcuna forma di pietà non solo nei confronti del nemico, ma verso i suoi stessi cittadini, non importa se questi sono bambini o donne». Il pilatesco sindaco non ha dubbi: «Gli ho spiegato che, per quanto mi riguarda, lo striscione non ha alcuna accezione antisemita. E poi... non è compito mio rimuoverlo. So che prefetto e questore sono informati, credo che sia stata informata anche la magistratura... e se non intervengono loro, abbia pazienza, perché mai dovrei intervenire io?». Mettere fine alla guerra è un dovere di tutti, alimentare altro odio no. E vero ci sono i morti civili, le immagini e le storie tragiche delle vittime a Gaza, l'indignazione per i bambini colpi dalle bombe. Ma l'orrore non ci deve far trascurare totalmente il ruolo di Hamas (per lo statuto di Hamas, uccidere ebrei é un dovere morale) e il conflitto interno al mondo islamico, di cui il governo di Gaza è espressione. Chi paga le conseguenze di queste posizioni, a dir poco sbilanciate, sono, in primo luogo, i palestinesi e i musulmani moderati di vario genere, costretti a subire uno stile di governo che Iimita di molto le proprie aspettative di vita. E ciò che l'Occidente più sottovaluta è l'avanzata dell'islamismo jihadista dal 2001 a oggi (i cristiani iracheni costretti a fuggire non meritano uno striscione?). Israele ha il diritto di sopravvivere, così come i palestinesi. Un sindaco avrebbe il dovere di pensare i fatti, e di valutarli. Cominciando a far togliere uno striscione pieno solo d'odio.

(Oggi, 13 agosto 2014)


Benvenuti a "Morte agli ebrei", polemiche in Francia

Il borgo "La mort aux Juifs"
PARIGI - Il centro Simon Wiesenthal, fondato dal celebre "cacciatore di nazisti" negli Stati Uniti, chiede al ministero dell'Interno francese di cambiare nome a un paesino del centro, battezzato La-mort-aux-Juifs, cioè "Morte agli ebrei".
Il presidente del centro, Shimon Samuels, in un messaggio citato dai media transalpini, si dice «scioccato per aver scoperto l'esistenza di un luogo in Francia che porta un tale nome», aggiungendo che alla cosa si sarebbe dovuto porre rimedio «durante i settant'anni passati dalla liberazione dal nazional-socialismo e dal regime di Vichy».
Interpellato dall'agenzia France Presse sulla questione, il comune di cui fa parte il villaggio incriminato, Courtemaux, nella regione di Orlèans, cerca di calmare le acque. Il nome, spiega la vicesindaco Marie-Elizabeth Secretand, non è un lascito del regime collaborazionista, ma «risale al Medioevo, o ancora più indietro», e in ogni caso designa un piccolo borgo, «costituito da una fattoria e due case», in un comune che conta in totale meno di 300 abitanti. «È un nome che è sempre esistito, e nessuno qui ce l'ha con gli ebrei, ovviamente», aggiunge, dicendosi «sorpresa» che la storia torni ad emergere.
Al comune di Courtemaux era infatti già arrivata una richiesta di cambiamento del nome della frazione di La-mort-aux-Juifs, nel 1992, a firma del Movimento contro il razzismo e per l'amicizia tra i popolo (Mrap), che si era rivolto anche all'autorità regionali e al ministero dell'Interno. La domanda non aveva però avuto seguito.
Un caso analogo era accaduto nella Spagna settentrionale, per un villaggio dal nome praticamente identico: "Matajudìos", "Ammazza gli ebrei". In quel caso però le autorità locali e i cittadini avevano accettato di cambiare il nome del paese in "Mota de Judìos", cioè "Monte degli ebrei".

(Il Secolo XIX, 12 agosto 2014)


Minacce naziste contro gli ebrei

«Bisogna eliminare tutti gli ebrei»: una lettera con minacce farneticanti - ma ugualmente violente e non per questo meno preoccupanti - alla Comunità ebraica veneziana, è arrivata ieri tra la posta...

«Bisogna eliminare tutti gli ebrei»: una lettera con minacce farneticanti - ma ugualmente violente e non per questo meno preoccupanti - alla Comunità ebraica veneziana, è arrivata ieri tra la posta del Comune di Venezia. Una missiva scritta in parte in tedesco, in parte in inglese, con simbologia nazista e firmata da una non bene identificata "brigata", ma dall'inequivocabile contenuto intimidatorio nei confronti delle persone di religione ebraica, che a Venezia hanno la loro più antica comunità.
Pronta la decisione della direzione generale del Comune di consegnare la lettera alla Digos, che ieri l'ha subito presa in consegna avviando così le prime, possibili verifiche, sull'origine della missiva, apparentemente in arrivo dall'estero.
Dopo il lancio di missili di Hamas e l'attacco da terra e da aria avviato dallo stato di Israele sulla Palestina - con migliaia di vittime - il controllo era stato ancora più elevato in Ghetto, da sempre considerato un obiettivo sensibile e per questo vigilato con una stazione fissa delle forze dell'ordine. Scritte a sfondo intimidatorio - che nulla hanno quindi a che fare con critiche legittime alla posizione di Israele - sono apparse sia a Venezia che a Mestre, segnalando il perdurare di sacche di ingiustificabile atteggiamento minaccioso nei confronti delle persone di religione ebraica.

(la Nuova di Venezia e Mestre, 12 agosto 2014)


Nell'innaturale gap tra Gesù e Israele
creato dagli uomini,
cristiani e non, ebrei e non,
s'infila il diavolo
e compie sfracelli.
Fino a che gli sarà permesso.
 

E se invece del cattivissimo Israele vincesse il povero Hamas?

Lettera al direttore del quotidiano"il Giornale"

Di Judenmüde (stanchi degli ebrei) il mondo è pieno, compreso il lato un po' esibizionista ed egotico dei social network. Ecco, a tutti i movimenti filopalestinesi che da dietro uno schermo ci tengono proprio a urlare quanto è assassino Israele, quanto è genocida Israele, quanto è nazista Israele... ecco, a tutti i sostenitori della cosiddetta "Resistenza Palestinese" vorrei porre solo una domanda. Vi siete mai davvero chiesti cosa potrebbe succedere se lo scontro, invece del cattivissimo Israele, anche per un solo giorno, lo vincesse il povero Hamas?
Massimo Pittarello

(il Giornale, 9 agosto 2014)


A Livorno rischia di crollare il bastione all'antisemitismo

Il sindaco grillino non condanna lo striscione su «Israele terrorista». Un'umiliazione per la città da secoli simbolo dell'integrazione ebraica.

di Carlo Cambi

 
Lo striscione esposto a Livorno per diversi giorni
Effettivamente a Livorno la storia sta cambiando. In peggio.
LIVORNO - «Non sono i sei milioni di ebrei che mi preoccupano, è che i record sono fatti per essere battuti». Firmato Woody Allen. Si può citarlo perché sto per raccontare di una crepa pericolosissima che si apre a Livorno in una storia di sette secoli. Livorno è città guascona, dove si stampa Il Vernacoliere, corrosivo e goliardico mensile satirico, ma è anche l'avamposto della tolleranza europea. Così fu concepita, così nacque e così è vissuta. Se a Livorno si fanno strada rigurgiti antisemiti senza che il primo cittadino - evidentemente estraneo all'identità della città che amministra - li contrasti la profezia di Woody Allen diventa drammaticamente attuale e dalla battuta si passa all'incubo. Filippo Nogarin, pentastellato, l'uomo che dopo 69 anni ha rotto l'egemonia del partito comunista sulla città, rischia - senza rendersene conto - di passare alla storia anche come il primo Sindaco antiebraico, il che significa il primo sindaco anti-livornese della storia. Mai, neppure negli anni più duri della contestazione contro Israele, il Pci ha tollerato che a Livorno si facesse strada un sentimento antiebraico anche se mascherato da critica a Tel Aviv (ora Gerusalemme). Ben sapevano i compagni comunisti che tra i loro elettori c'erano tanti ebrei che lavoravano come operai al cantiere. A Livorno gli ebrei non sono un'élite sociale, sono parte della città. E se mai vi capitasse di arrivarci in treno vedreste che alla Stazione sono appesi gli orari del culto di una decina di differenti confessioni religiose. Perché Livorno è prima di tutto la città di tutti. Ma Filippo Nogarin nella sua ortodossia pentastellata sembra non saperlo né essere in grado di interpretarlo. Antisemiti-Livorno.jpg
   Tutta colpa di uno striscione anti-israeliano che lui non ha né condannato né rimosso. Per questa via Filippo Nogarin rischia di aggiungere alle sue cinque stelle una sesta: quella di David gialla che i nazisti appuntavano al petto dei deportati ebrei nei campi di sterminio. Ma Nogarin è «troppo nuovo» e troppo preso dall'euforia grillina, o meglio dal cupio dissolvi grillista, per rendersene conto. Perché se crolla la diga livornese - che certo non fu sufficiente durante il fascismo a proteggere gli ebrei che comunque in qualche modo furono protetti dalla popolazione: chi scrive è stato educato da una maestra ebrea nascosta da mio nonno durante la guerra - allora è possibile che il vento antisemita ritorni a essere una tempesta nel Vecchio Continente.

SENZA GHETTO
Le avvisaglie, cupissime, ci sono già. Gli estremisti islamici lo sanno: alimentano la guerra a Gaza proprio con questo scopo, convertire prima all'antiebraismo e poi all'islamismo. Hamas sta usando i morti di Gaza. I palestinesi sono carne da cannoni puntati non contro Israele, ma per abbattere le difese culturali dell'Occidente verso l'islam. Di questo Livorno è consapevole fin dal 1591 quando Ferdinando de' Medici per popolarla emanò la prima Costituzione Livornina (ve ne sarà una seconda nel '93 ancora più estesa) destinata proprio agli ebrei in cui offriva loro enormi privilegi, soprattutto ai «marrani» gli ebrei convertiti a forza e perseguitati in Spagna. Venendo a Livorno - prometteva e mantenne il Medici - gli ebrei godranno di assoluta libertà. Saranno protetti dall'Inquisizione potranno insegnare l'ebraico, professare la loro fede, potranno stampare libri ebraici, potranno amministrare la loro giustizia. Gli ebrei considerarono da quel momento Livorno una nuova Gerusalemme e arrivarono in massa. Erano per lo più Sefarditi, in fuga dalla tirannide cattolica spagnola.
   Per quasi 400 anni Livorno sarà l'approdo sicuro, uno dei più importanti centri europei di cultura ebraica e la comunità arriverà a contare oltre il 10% della popolazione della città che a metà 800 sfiorava i duecentomila residenti. Livorno è l'unica città d'Europa dove non esiste il ghetto. A Livorno gli ebrei, che erano liberi di risiedere dove volevano e di andare e venire come volevano, parlano una lingua autoctona: il bagitto (di cui massimo peta è stato Guido Bedarida) un misto di ebraico antico, portoghese e livornese. Perfino il cacciucco è probabilmente un lascito ebraico e quando la città di oggi si specchia nella gloria di Amedeo Modigliani ignora che lui è un figlio della comunità ebraica. Perciò un'offesa agli ebrei a Livorno, se non rimossa e isolata, diventa una crepa nella digaall'intolleranza.
   È successo - purtroppo - che il 25 luglio sia comparso uno striscione di cinque metri sulla riva del fosso reale nel quartiere di «Venezia» -la cellula più antica e popolare della città - con questa scritta: «Fermare il genocidio a Gaza. Israele vero terrorista». L'ambasciatore d'Israele Naor Gilon, anche a nome della comunità ebraica livornese, ha chiesto al Sindaco di rimuoverlo perché «Israele non combatte certo contro i Palestinesi, ma contro un'organizzazione terrorista». Ma il Sindaco Filippo Nogarin non si è dato per inteso. Lo striscio ne è rimasto lì per settimane (è stato rimosso in «zona Cesarini» 1'8 agosto) e a Gilon ha risposto: «È una critica pesante a uno Stato, non agli ebrei in generale». E ha chiuso la partita anzi portando avanti un possibile gemellaggio di Livorno con Gaza. Non è però la stessa risposta che ha dato Manuel Vals, il premier francese, alle prese con le banlieue che s'infiammo di antisemitismo: «Chi attacca un ebreo in quanto ebreo - ha detto nei giorni scorsi il premier francese - attacca la Francia». Eppure proprio in Francia l'ex militante com unistaAlain Soral teorizza un' alleanza arabo-cristiana contro il pericolo sionista, l'associazione Egalite et Réconciliation addestra a Fontainbleau alla guerriglia i militanti pro Palestina e durante il «[our de colère» si è sentito lo slogan «Morte agli ebrei» che ha indotto già 4 mila ebrei a lasciare il paese mentre altri 25 mila stano per farlo.

CLIMA DI ODIO
È una nuova Shoah? Drammaticamente le avvisaglie ci sono se il presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Dieter Graumann, arriva a dire al Guardian: «Per gli ebrei sono i tempi peggiori dall'era del nazìsmo». È l'odio che si aggruma nelle manifestazioni pro-palestinesi. Il governo di Berlino per ora tace - solo la Merkel ha condannato in sede Onu - ma intanto in Germania si bruciano le sinagoghe, in Olanda gli ebrei vengono cacciati dai negozi, a Roma circolano le liste di proscrizione dei commercianti ebrei per un boicottaggio «anti-israeliano». E tutto questo giustificato dalla «guerra di Gaza» che fa sembrare profetiche le parole di Anna Frank: «Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità è soltanto sua; se un ebreo compie una cattiva azione, la colpa ricade su tutti gli ebrei». Stascritto nel Talmud: «Chi non è mai stato perseguitato non è ebreo», ma è anche vero che almeno noi livomesi «non possiamo non dirci ebrei». Questo Filippo Nogarin pare non saperlo. Eppure è Sindaco della sola città che non ha mai avuto un ghetto.

(Libero, 12 agosto 2014)


C’è un’altra amministrazione grillina che sembra voler gareggiare con Livorno quanto a livore anti-israeliano e in un certo senso l’ha termporalmente preceduta: quella di Parma, amministrata dal sindaco pentastellato Federico Pizzarotti.
Federico Pizzarotti, sindaco di Parma 
M.C.


Nel Kibbuz di Zikim: "Viviamo in un paradiso, ma a volte diventa un inferno"

Ufficialmente l'operazione Margine Sicuro non è ancora finita. I militari israeliani hanno lasciato la Striscia di Gaza ma gli abitanti del sud di Israele, e in particolare quelli che vivono al confine, non si sentono sicuri. In molti hanno lasciato le proprie abitazioni e si sono trasferiti al nord. La nostra inviata Annamaria Esposito è andata nel kibbutz di Zikim, dove agli inizi di luglio avevano cercato di infiltrarsi i miliziani di Hamas. Nonostante i rischi, Haim Kuznit è tra quelli che non ha lasciato il Kibbuz, come racconta all'inviata Rai.

(RaiNews24, 12 agosto 2014)


Giornata della Cultura Ebraica a Vercelli

Appuntamento in Sinagoga per saperne di più sulle donne nella Bibbia.

In occasione della quindicesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica che si terrà domenica 14 settembre 2014, la Comunità Ebraica di Vercelli aprirà le porte della Sinagoga di via Foa ai visitatori offrendo un programma ricco di iniziative.
Il tema della Giornata di quest'anno è: Donna Sapiens - la figura femminile nell'ebraismo, e, in tutta Europa, verrà posto l'accento sul ruolo femminile, caposaldo dell'ambiente famigliare e custode delle tradizioni.
La Comunità Ebraica di Vercelli parteciperà offrendo, dalle 14,00 alle 19,00, l'accesso gratuito e le visite guidate alla Sinagoga.
Alle 16,00, la prof.ssa Eleonora Vita Heger, scrittrice, terrà una conferenza di approfondimento sulle Figure femminili nella Bibbia ripercorrendo, con la spigliatezza e la sagacia che contraddistingue i suoi scritti, i profili delle donne nelle Sacre Scritture.
Alle 17,00 la Camerata Polifonica G. B. Viotti di Vercelli eseguirà un concerto organizzato in collaborazione e coordinato dalla prof.ssa Simonetta Heger, docente al Conservatorio G. Verdi di Milano. Questo sarà un momento di grande musica con la Camerata Polifonica Viotti diretta da Barbara Rosetta e all'harmonium Vittorio Rosetta, già Maestro al Teatro alla Scala di Milano.
Saranno eseguiti brani di César Franck: scena biblica per Coro e orchestra (la figura della donna in riferimento a Rebecca, una delle Madri dell'Ebraismo), a seguire e in anteprima nel Tempio dopo numerosi lustri, opere di Ezechiello Levi e Bonajut Treves, compositori ebrei vercellesi dell'800 con l'esecuzione di brani sinagogali del servizio cultuale dello Shabbat ebraico che è paragonato ad una Sposa e infine la donna nel romanticismo nei lieder di Gustav Mahler.
La partecipazione alla giornata è gratuita ed aperta a tutti.
Per maggiori informazioni è possibile contattare la Segreteria della Comunità Ebraica al n. 339 2579283 o tramite e-mail all'indirizzo didattica@comunitaebraicavercelli.it.

(CuneoOggi.it, 12 agosto 2014)


La guerra non si vince più
Articolo magistrale che meriterebbe di essere non soltanto letto, ma studiato e commentato insieme ad altri


In medio oriente i conflitti non sono più risolutivi e la fine dei combattimenti è soltanto una pausa, da Gaza all'Iraq alla Libia. Perché? La risposta è apocalittica.

di Carlo Panella

"Sei l'unico che non sa vincere una guerra di liberazione!", urlò Abu Mazen ad Arafat. Oggi il fallimento del defunto rais si ripete.
In medio oriente nessuno vince mai una guerra, siano guerre simmetriche o asimmetriche, mai una vittoria definitiva, assoluta. Sia il Kippur, o lo Shatt el Arab, lo Yemen, la Siria o il Kurdistan. Mai una luce nel tunnel del conflitto tra Israele e Palestina che inizia nel lontano 1920, con la prima rivolta araba contro i sionisti e che vide ancora nel 2003, un inferocito Abu Mazen in una memorabile riunione alla Mukhata mandare a quel paese Yasser Arafat della "Intifada delle Stragi" urlandogli: "Sei l'unico al mondo che non sa vincere una guerra di liberazione!". Destino gramo che oggi lo stesso Abu Mazen condivide con il defunto rais.
La risposta corrente a questa anomalia è banalmente condivisa: tutto ruota attorno alla forzatura dell'impianto di Israele in Palestina, al ritorno dopo 2.000 anni di diaspora del popolo ebraico nel territorio tra il Giordano e il mare, al comprensibile rigetto arabo di un pezzo d'Europa, nel cuore dell'islam.
Ma non è così. E' una risposta falsa. Parziale. Meccanica. La riprova è semplice: non spiega perché ha sempre perso il "partito arabo-palestinese" disposto a chiudere una pace con Israele. Componente che ha avuto i suoi campioni negli anni 20 nel re dell'Iraq Feisal al Hashemi e nel re di Transgiordania Abdullah al Hashemi, compagni d'arme di Lawrence d'Arabia, e successivamente nella potente famiglia palestinese dei Nashashibi, nel premier iracheno Nouri al Said, in re Hussein di Giordania e infine, addirittura, in Anwar el Sadat e Abu Mazen.
La ragione vera è spiazzante. Sideralmente estranea alla concezione della politica e quindi della guerra radicata in occidente. In estrema sintesi: l'Apocalisse. E non è uno scherzo.
Di pulsione verso l'Apocalisse è impregnato tutto lo schema politico di Khomeini che pone la "fede nell'Ultimo Giorno" nel preambolo della sua Costituzione islamica.
Apocalisse che rende urgente, subito, la costruzione dell'Uomo Nuovo coranico. Utopia condivisa. La peggiore, perché forgiata, per la prima volta nella modernità, nel corpo di una fede millenaria. Un Uomo Nuovo coranico che può maturare solo "con la morte dell'ultimo ebreo". Di nuovo. E non è un caso. L'Apocalisse di cui la Nakba (la Catastrofe), ovvero la nascita di Israele nel 1948, è stato, appunto, il primo segno: l'Armaggedon, la battaglia nei pressi di Nazareth tra Gog e Magog (e, di nuovo, non è uno scherzo), come sostiene ad abundantiam Hamas e una diffusa pubblicistica araba.
Di incombenza dell'Apocalisse, hic et nunc, è intriso il lessico e il messaggio di Osama bin Laden e dei vari salafiti e jihadisti, discepoli di Sayyid Qutb. A essa bisogna rifarsi per comprendere la follia sanguinaria di Abu Bakr al Baghdadi e dei miliziani del suo Califfato dello Stato islamico.
Di pulsione verso l'Apocalisse è impregnato tutto lo schema politico di Ruhollah Khomeini che pone la "fede nell'Ultimo Giorno" nel preambolo della sua Costituzione islamica.
Ma se questa è la partita, questo lo scenario, se il traguardo è l'Uomo Nuovo, sul corpo straziato e vinto della donna, dell'ebreo, dello Yazidi, e del cristiano, non ci sono mediazioni, compromessi o Westfalia possibili.
Al massimo una Hudna, una tregua temporanea al più di 10 anni come prescrive il Canone coranico, prima che il jihad riprenda. Perché deve riprendere. Perché jihad non si traduce con guerra e neanche con guerra santa. Ma con l'ineffabile ciclopico sforzo salvifico per affrontare nella grazia di Allah il Giudizio dell'Ultimo Giorno. Spada alla mano.
La stessa dirigenza sionista di Israele ha impiegato quasi 70 anni per prendere atto di avere completamente travisato le motivazioni, la Weltanschauung dell'avversario arabo e palestinese. Convinta, come era per la sua formazione culturale europea, che il problema fosse il possesso della terra. Che il conflitto fosse tra due nazionalismi legittimi. Quindi è stata disposta per ben sei volte, nel 1936, nel 1938, nel 1948, nel 1967, nel 1979 e nel 2001, ad accettare o offrire un compromesso prima agli arabi e poi ai palestinesi, nella formula nota come "Pace contro Territori". Ma, prima il Gran Mufti alleato di Hitler, che eliminò prima dalla scena palestinese i Nashashibi e mandò a uccidere re Abdullah di Transgiordania, poi Nasser, infine Arafat e oggi Hamas, hanno sempre rifiutato ogni compromesso, mirando solo alla distruzione di Israele.
E fu proprio la scelta della leadership israeliana - incredibile se vista con gli occhi di oggi - di appoggiare Hamas per contrastare l'Olp di Arafat, il punto di svolta di Israele, che tardivamente comprese che il conflitto in cui era impegnato da 70 anni era sì intriso di nazionalismo, ma che la sua ricomposizione era impossibile per ragioni teologiche. Millenaristiche.
Ragioni che finiscono a impregnare di sé anche la tattica e la strategia militare palestinese e jihadista, a partire dalla recente pratica del martirio - incomprensibile senza un riferimento apocalittico cogente- per arrivare sino alle demenziali scelte militari di Hamas e di jihad islamica di questi giorni.
"Appoggiare e favorire Hamas per anni è stato un errore fatale". Questa frase di Yitzhak Rabin è fondamentale oggi per capire il gorgo tra Israele e Hamas.
"Appoggiare e favorire Hamas per anni è stato un errore fatale". Questa frase di Yitzhak Rabin è dunque fondamentale oggi per capire il gorgo tra Israele e Hamas.
Nei fatti, per quasi un decennio tre premier, Menachem Begin, Itszaac Shamir e lo stesso Rabin, impregnati di logica politica europea, equivocarono a tal punto la natura e strategia di Hamas che ne favorirono il radicamento in Cisgiordania e a Gaza.
La ragione dell'appoggio del governo di Gerusalemme a Hamas era iscritta tutta nella logica degli accordi di Camp David del 1979 tra Menachem Begin e Anwar al Sadat. Ipocritamente dimenticati dalla pubblicistica occidentale, quegli accordi chiudevano l'unica guerra araba condotta da Sadat non con il fine di "distruggere l'entità sionista", ma di recuperare al territorio nazionale egiziano il Sinai, di definire uno status quo definitivo tra Israele e Egitto e di risolvere la questione palestinese escludendo i "terroristi dell'Olp". Valutazione comune di Gerusalemme e del Cairo.
La road map definita da Sadat e Begin nel 1979 non riguardava soltanto i rapporti tra di due stati, ma anche una soluzione saggia ed equilibrata - tutta "europea" - della questione dei Territori occupati da Israele nel 1967. Il baricentro era semplice e accorto: favorire la formazione di una classe dirigente palestinese attraverso un sempre più marcato esercizio di effettive autonomie amministrative locali suffragate dal voto popolare. Un "nation building" graduale. Obiettivo focale - e di interesse comune per Begin e Sadat - era di contrapporre alla Olp terrorista e sradicata dal territorio, una nuova generazione di rappresentanti palestinesi educati alla amministrazione delle città e dei villaggi.
Una soluzione tutta dentro la "logica di Westfalia", di solido compromesso, fatta fallire nel giro di tre anni dall'irrompere delle forze jihadiste e apocalittiche.
In questa prospettiva, i governi israeliani del Likud e del Labour concessero appoggio pieno alle "Village Leagues", nuove strutture di base palestinesi imperniate sulle moschee in cui egemoni erano i Fratelli musulmani (che daranno vita ad Hamas solo nel 1988). Il principio trainante era favorire il dispiegarsi del loro welfare islamico per un percorso armonico di miglioramento delle condizioni di vita dei Territori, gestito da una prima generazione di leader palestinesi non terroristi eletti a capo di strutture amministrative autonome.
Per comprendere questo fraintendimento pieno dei leader israeliani della natura di Hamas, che spiega perché ancora oggi, fuori Israele, molti non mettano bene a fuoco né Hamas, né la questione palestinese, si deve leggere la bellissima orazione funebre che nel 1956 Moshe Dayan dedicò al suo giovane amico Roy Rotenberg, rapito, torturato e ucciso da fedayn palestinesi di Gaza (vedi qui sotto). Parole intrise di omerica pietas, di intima comprensione delle ragioni del nemico "rinchiuso dentro i cancelli di Gaza", che ancora una volta, inseriscono il conflitto in una drammatica questione di terra, di una patria ambita da due popoli in lotta feroce tra di loro.
Una colpa enorme ebbe anche l'Europa nel 1980, quando il premier italiano Francesco Cossiga ruppe con gli Stati Uniti e con Israele e riconobbe di fatto l'Olp e Arafat come legittimi rappresentanti della Palestina.
Questa è stata la percezione che Israele ha avuto sino agli anni Duemila. E questo spiega il "fatale errore" di Begin, Shamir e Rabin nei confronti di Hamas.
E che sia essenzialmente una tragica questione di terra è quanto credono tutt'oggi coloro (e penso agli amici Adriano Sofri e Gad Lerner) che non riescono a comprendere quello che Israele, seppure in ritardo, ha compreso. Ma non è così. Non è soltanto questo. E' altro. E terribile. Un orrore che emerse alla luce proprio quando Anwar al Sadat nel 1981 pagò con la vita per avere abbandonato il rifiuto apocalittico di Israele e cercato il compromesso per l'Egitto e per il popolo palestinese.
Quell'attentato, in cui fu coinvolto Ayman al Zawahiri, segnò l'inizio di al Qaida. Fu il punto di svolta mai ricordato in Europa e nemmeno dai tanti Amos Oz, Yehoshua e Grossman - le coscienze infelici di Israele - in cui fallì una straordinaria occasione di pace tra arabi ed ebrei che aveva però il torto di essere sottoscritta dalla destra nazionalista israeliana di Begin e dal "faraone" Sadat.
Il dramma, di cui oggi paghiamo tutti le conseguenze, è che quell'attentato e l'abbandono della logica europea di compromesso definita da Begin e Sadat, fu favorito da complici insospettabili. In primis la Lega araba che espulse l'Egitto per tradimento, ispirata da un Arafat che applaudì la morte del traditore Sadat. Ma una colpa enorme ebbe anche l'Europa che nel settembre del 1980, presidente il premier italiano Francesco Cossiga, con la dichiarazione di Venezia ruppe con gli Stati Uniti e con Israele e riconobbe di fatto l'Olp e Arafat come legittimi rappresentanti della Palestina.
Il Vecchio continente era affamato di petrolio (balzato a 100 dollari a causa della rivoluzione di Khomeini del 1979) e barattò il suo appoggio ad Arafat con la sua implicita opposizione al piano di pace Begin-Sadat. Scelta infausta che impose definitivamente la demenziale leadership di Arafat sulla questione palestinese con conseguenze devastanti: incluso il suo tentativo di impadronirsi del controllo del Libano nel 1982 e il suo appoggio all'annessione del Kuwait tentata da Saddam Hussein nel 1990.
Il "rifiuto arabo di Israele" (con buona pace di Maxime Rodinson e Sergio Romano) è in realtà irrisolvibile, dal lato palestinese, essenzialmente a causa di un apriori teologico e apocalittico, incarnato già dal Gran Mufti (ma da lui non strutturato, a causa della sua crassa ignoranza) perfettamente enucleati dallo Statuto di Hamas: "Hamas crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell'islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell'islam sino al giorno del giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto di tutte le generazioni dell'islam fino al giorno del giudizio?
Questa è la regola nella sharia, e la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani la hanno consacrata per tutte le generazioni dell'islam fino al giorno del giudizio".
Il Profeta dichiarò: "L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno".
"Dobbiamo instillare nelle menti di generazioni di musulmani l'idea che la causa palestinese è una causa religiosa, e deve essere affrontata su queste basi. La Palestina include santuari islamici come la moschea di al Aqsa, che è collegata alla Santa Moschea della Mecca da un legame che rimarrà inseparabile fino a quando i Cieli e la Terra non passeranno, dal viaggio del Messaggero di Allah fino alla stessa moschea di al Aqsa, e alla sua ascensione da essa".
In questa concezione apocalittica, netta e inequivocabile è la posizione e il destino degli ebrei - non degli israeliani! degli ebrei - secondo un hadith riportato da al Bukhari el Muslim, i più autorevoli raccoglitori dei "Detti" del Profeta non contenuti nel Corano, baricentro dello Statuto di Hamas: "Il Profeta dichiarò: 'L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me - vieni e uccidilo; ma l'albero di Gharqad non lo dirà, perché è l'albero degli ebrei'".
Scritto dallo sheik Yassin nel 1988 questo Statuto è tanto noto, quanto considerato poco più che folclore macabro da dotti analisti e dalle cancellerie europee. Un pleonasma retorico.
Sorte non dissimile da quella che ebbe il "Mein Kampf" nel 1938 di Monaco.
Questo dettato apocalittico è invece la radice vera e insuperabile del rifiuto arabo di Israele, che si manifestò in nuce - ma nemmeno i sionisti la compresero - sin dal 1920, con la leadership del Gran Mufti di Gerusalemme. In piena, totale sintonia apocalittica col suo prezioso e ammirato alleato, quell'Adolf Hitler che lo ospitò a Berlino, non per comune convenienza strategica anti inglese, come sostiene Sergio Romano, ma per "la profonda condivisione delle nostre prospettive e strategie, inclusa la soluzione del problema ebraico", come declamò lo stesso Gran Mufti.
Solo se si guarda a questo nodo non negoziabile e teologico, si comprende la follia di una posizione araba che ha sempre rifiutato ogni spartizione binazionale del mandato britannico sulla Palestina, dalla Commissione Peel, al Libro Bianco, alla risoluzione Onu del 1947.
Solo se si legge lo Statuto di Hamas si comprende l'apparente mistero della sciagurata leadership di Yasser Arafat che univa nella sua stessa persona - con genialità maligna - l'ispirazione nazionalista e la disponibilità al compromesso sulla terra che oggi è incarnata da Abu Mazen, con il rifiuto massimalistico e teologico di Hamas. Sino alla follia del rifiuto degli accordi di Taba del gennaio 2001 con i quali Ehud Barak premier gli riconsegnava il 95 per cento dei Territori.
Solo così si comprende la perversa santificazione araba del martirio e la ferocia dell'unico movimento di liberazione al mondo che nasconde le proprie batterie di missili dentro o accanto a moschee, scuole e ospedali.
Infine, ma non per ultimo, solo se si intende la pregnanza di un mandato apocalittico pregnante - qui e ora - si comprende la perversa santificazione araba del martirio, così come la ferocia dell'unico movimento di liberazione al mondo che nasconde le proprie batterie di missili dentro o accanto a moschee, scuole e ospedali.
Una verità così complessa, contorta e inquietante che lo stesso Israele ha faticato a metterla a fuoco. Non prima della Intifada delle Stragi iniziata nel 2001.
Ma sbaglia chi pensa che tutto questo riguardi solo lo specifico della Palestina, di Gaza e di Hamas. In realtà, i 4-5 milioni di musulmani uccisi da musulmani negli ultimi 50 anni - un numero di vittime comparabile con la Prima guerra mondiale - sono vittime di un meccanismo similare. Lo sono le migliaia di sciiti massacrati dai sunniti in Iraq, Pakistan e Afghanistan, e viceversa. Così come lo sono le 18 mila vittime degli ultimi tre anni di attentati di kamikaze. Tutti musulmani uccisi da musulmani.
Con le due fasi della decolonizzazione (la prima, dai turchi, iniziata nel 1918, la seconda dagli europei, consolidata negli anni 50), si è dimostrato che ogni conflitto in terra d'islam non puó essere ricomposto in un alveo politico, secondo lo schema di Westfalia. A partire dai massacri di centinaia di migliaia di morti innescati dalla divisione dell'India e del Pakistan del 1948, per arrivare - per via breve - sino ai Boko Haram e alle stragi di cristiani e Yazidi dei miliziani del Califfato di Mosul di oggi, si è verificato che le tante, ovvie, comuni, tensioni razziali, etniche, tribali o religiose che coinvolgono i popoli musulmani, vengono prima enfatizzate, poi cronicizzate dalla concezione islamista della storia così ben sintetizzata nello Statuto di Hamas.
Ogni guerra per la "terra" diventa guerra per la "vera fede" e per il suo trionfo nell'Ultimo Giorno.
Nel nome di una Apocalisse non più solo immanente, ma imminente.
Domani…

(Il Foglio, 12 agosto 2014)


Usare lo smartphone senza toccarlo: il sistema italiano conquista Israele

La romana Snapback, che ha sviluppato una tecnologia per dialogare con i device mobili attraverso lo schiocco delle dita o soffiando, parteciperà in settembre al bootcamp di Google Israel a Tel Aviv. Il ceo Morlino: "Non siamo preoccupati. Se la guerra andasse avanti, l'evento sarebbe annullato".

di Ferdinando Cotugno

 
Si chiama Snapback la startup italiana che parteciperà al Tel Aviv Bootcamp dal 14 al 19 settembre, nella settimana in cui la città israeliana ospita l'annuale edizione della Digital Life Design Conference. Il team guidato dal ceo Giuseppe Morlino (34 anni) ha sviluppato uno degli strumenti più interessanti sul mercato delle interfacce tra utenti e dispositivi mobili e ha vinto il contest promosso dall'Ambasciata israeliana e da Luiss Enlabs.
  Parteciperanno così al bootcamp che si svolgerà a fine estate a Tel Aviv, un'iniziativa che viene promossa dal Ministero degli Affari Esteri israeliano, da Google Israel e dalla città stessa. Anche se si tratta di una trasferta difficile, in un Paese che al momento è in guerra e sotto la minaccia costante dei razzi, si tratta di una bella opportunità per i sei ragazzi di Snapback.
  Che non hanno mai pensato di non partecipare alla manifestazione per paura del conflitto. "Crediamo che se la situazione dovesse peggiorare, l'evento verrebbe cancellato. Viceversa, se si farà, significa che le condizioni saranno sicure. Ci affidiamo agli organizzatori e alle autorità israeliane. Hanno tutto l'interesse a che la manifestazione si svolga senza rischi", dice il ceo. Tra l'altro, il bootcamp di Tel Aviv negli anni passati ha già ospitato giovani aziende italiane come Mosaicoon e Atooma.
  Il principio di Snapback è quasi rivoluzionario: e se potessi evitare di controllare lo smartphone (o il tablet) con le mani? Ci sono già strumenti che permettono di dialogare con la voce, ma Snapback amplia la gamma delle possibilità: attivare il navigatore dell'auto con lo schiocco delle dita o far partire la nostra playlist musicale preferita attraverso un semplice soffio sono due delle possibili applicazioni di Snapback. Con lo snap, lo schiocco delle dita che dà anche il nome all'azienda, si può anche controllare una presentazione.
  "L'idea è nata un anno e mezzo fa per risolvere l'isolamento in cabina degli autotrasportatori, che sono stati i primi a sviluppare un social network mobile totalmente audio, il baracchino, ma sono stati spiazzati dall'avvento di cellulari e smartphone. Dato che si basano sull'interazione tattile e visiva, per gli autotrasportatori infatti non è facile comunicare con questi device. In più, è rischioso. Così, quando un esperto di trasporti ci ha lanciato la sfida di risolvere questo problema, l'abbiamo raccolta e abbiamo creato Snapback", racconta Morlino.
  Più che una semplice app, Snapback è una libreria software, ovvero una serie di strumenti che possono essere implementati sulle app per renderle attivabili con la voce, lo schiocco delle dita, il soffio eccetera. "Oltre al problema specifico degli autotrasportatori, abbiamo creato una libreria che desse agli sviluppatori strumenti per realizzare facilmente applicazioni non basate sull'interazione tattile e visiva".
  Il pregio principale per lo sviluppo di Snapback è che la sua attivazione non richiede l'utilizzo di hardware aggiuntivo ma sfrutta funzionalità che sono già presenti sugli smartphone. In questo modo, la startup incubata a Roma può confrontarsi su un mercato globale che entro il 2020 potrebbe vale 20 miliardi di euro e sfidare colossi come Flutter (comprata da Google), LeapMotion e Microsoft Kinect.
  Gli altri finalisti per la partecipazione al bootcamp erano Le Cicogne, una startup al femminile che ha messo a punto un'app per mettere in collegamento le famiglie con le babysitter e che è arrivata seconda al contest. Al terzo posto Alleantia, un progetto di domotica e Internet delle cose per connettere gli oggetti tra loro. Nella rosa dei finalisti c'era infine anche Openmove, azienda trentina che si occupa di pagamento via smartphone dei sistemi di trasporto pubblico.
  Il livello della competizione era alto anche perché Israele è una meta prestigiosa per gli startupper: una delle nazioni con il più alto tasso di innovazione, con investimenti nel settore che superano il 5% del prodotto interno lordo e migliaia di aziende innovative nella sola Tel Aviv (città con un milione di abitanti che occupa nel settore dell'innovazione la metà degli addetti dell'Italia, che di abitanti ne fa 60 milioni). Israele è considerato il secondo ecosistema innovativo al mondo dopo la Silicon Valley.
  "Non è un caso, probabilmente, che sia stata Israele a lanciare il contest che abbiamo vinto. La nostra startup ha creato un prodotto con un forte contenuto tecnologico e un design elegante dell'interfaccia. Israele è una delle patrie dell'hi tech e del design. Ed è molta attenta alle interfacce di questo tipo". Non stupisce, quindi, che per avere maggior visibilità, la startup guidata da Morlino abbia bisogno della vetrina israeliana. Anche perché il confronto con il nostro Paese, almeno per quanto riguarda gli investimenti in innovazione tecnologica, è impietoso: in Italia siamo fermi all 1,5% del Pil. Buon viaggio ai sei founder di Snapback.


Ha collaborato Maurizio Di Lucchio

(EconomyUp, 12 agosto 2014)


Isaac Stem e gli altri. Due o tre cose che so sui grandi violinisti ebrei

"Allora io sto con Israele. Sempre."

di Nazzareno Carusi

Nazzareno Carusi
Ho avuto il bene d'incontrare alcuni violinisti ebrei. Isaac Stern m'ascoltò suonare nella sua casa di New York, in duo col bravissimo Emil Chudnovsky, figlio della Nina Benina grande allieva di David Oistrakh. Era intorno al 20 aprile 1993.
   Qualche giorno dopo, vincemmo a Buffalo la National Federation of Music Clubs Competition. Stem era una leggenda. Mi chiese d'eseguire qualcosa anche da solo e attaccai l'Improvviso in do minore di Schubert, convinto che non sarei arrivato alla decima battuta. Arrivai alla fine, invece, davanti a un mito che, non bastasse il resto, aveva vinto un Oscar (lo teneva sul camino, di fronte al pianoforte) per il documentario Da Mao a Mozart dopo averne praticamente vinto un altro con la colonna sonora di John Williams de Il violinista sul tetto, da lui eseguita. Mi disse: «Bellissimo. Hai un futuro». Uscito, camminavo volando e impiegai tutto Central Park per atterrare. Ricordi. Che trascrivo per raccontare meglio Vera Vaidman. Nata a San Pietroburgo, studiò a Mosca (anche) con Oistrakh e a Gerusalemme con Stem. Suona da solista e in duo con Emanuel Krasovsky, suo marito, pianista superiore. Due volte è stata invitata al Festival di Marlboro da Rudolf Serkin, col quale s'è esibita quando, nella stessa sede, non affiancava un Andras Schiff. Sul podio, ha avuto pure Zubin Metha. L'ho ascoltata in una registrazione dal vivo, nell'incredibile trascrizione (edita da Carl Fischer) che Noam Sivan ha realizzato per violino solo della Sonata in si minore di Franz Liszt, capolavoro pianistico trascendentale. Trascrizione geniale e asperrima; tant'è che Sivan ne ha elaborata una più semplice, perché alcuni violinisti gli han fatto notare essere, questa, oltre l'eseguibile. La Vaidman ha deciso, al contrario, d'affrontarla. E fa strabuzzare orecchie e occhi la sua esecuzione, che a tal punto fronteggia un violinismo più che diabolico da far godere la pura musica dell'opera e dimenticare la sua natura di sovrumana trasposizione.
   Ne ha tenuto la prima americana a New York il 26 marzo scorso (Sivan ha parlato di «occasione storica») e l'ha rieseguita il 24 maggio a Tel Aviv. La ragione per cui lo so è semplice. Stante la guerra, ero preoccupato per il mio amico Krasovky che vive con la famiglia a Tel Aviv. Gli ho scritto e lui ha risposto che «non sono tempi facili, ma continuiamo la normalità della nostra vita di musicisti». M'invitava perciò, volendo parlar di musica, ad ascoltare in rete il video «interessante» d'un concerto di sua moglie Vera, appunto: quello del maggio scorso. Infine, m'abbracciava. La lettera d'un uomo che senza volerlo e senza mai evocarla, diceva comunque la grandezza del suo popolo. Avete presente il pubblico con le maschere antigas ad ascoltare proprio Stem? La sera del 23 febbraio 1991, a Gerusalemme, mentre l'allarme antimissili aveva costretto l'orchestra a fermarsi e uscire, il violinista, che poi raccontò a Chaim Potok ne I miei primi 79 anni (Garzanti) d'aver voluto soltanto portare «conforto attraverso la musica», uscì sul palcoscenico da solo, e senza maschera, per suonare la Sarabanda dalla Partita in re minore di Bach. Ecco, avete presente tanto amore per la vita? Allora io sto con Israele. Sempre.

(Libero, 12 agosto 2014)


I media accusano Hamas: intimidisce i giornalisti a Gaza

L'Associazione della stampa estera in Israele e nei Territori palestinesi ha accusato Hamas di aver "minacciato" e "intimidito" i giornalisti stranieri venuti a seguire la guerra nella Striscia di Gaza.
L'associazione sostiene che il movimento islamico palestinese, al potere nella Striscia, ha fatto ricorso "a metodi energici e poco ortodossi" nei confronti degli inviati speciali. "Non si può impedire ai media internazionali di fare il proprio lavoro con la minaccia o le pressioni, privando i lettori, ascoltatori o telespettatori di una visione oggettiva dei fatti sul campo", prosegue il testo.
"Più volte i giornalisti stranieri a Gaza sono stati intimiditi, minacciati o interrogati su reportage o su informazioni diffusi dalle loro testate o dalle reti sociali", ha scritto l'associazione.

TMNews, 11 agosto 2014)

*

Gaza: la stampa estera denuncia i metodi di Hamas con i giornalisti

L'Associazione della stampa estera in Israele (Fpa) ha protestato "nei termini più forti per gli sfacciati, incessanti, energici e poco ortodossi metodi usati dalle autorità di Hamas e dai loro rappresentanti contro i giornalisti internazionali" a Gaza lo scorso mese.

I media - ha sostenuto la Fpa in una nota - "non sono organizzazioni di pubblica difesa e non gli si può impedire con minacce e pressioni di informare, privando così i loro lettori o telespettatori di un obiettivo resoconto dal campo".
"In molti casi - ha aggiunto l'Associazione - giornalisti stranieri al lavoro a Gaza sono stati molestati, minacciati o interrogati su storie o informazioni riportate nei loro media o sui social media". "Siamo anche a conoscenza - ha aggiunto - che Hamas sta cercando di mettere in piedi una procedura di 'valutazione' che, dovrebbe consentire la schedatura di specifici giornalisti. Una procedura alla quale ci opponiamo con fermezza".

(Giornale del popolo, 11 agosto 2014)



Coppa Davis - La federazione israeliana si oppone alla decisione dell'ITF

Domani si aspetta una risposta della federazione internazionale

di Giuseppe Di Bonito

Dopo la decisione dell' ITF di disputare l'incontro di Coppa Davis tra Argentina ed Israele su un campo neutro a causa del conflitto armato che sta infiammando quei territori,la federazione israeliana si è opposta a tale decisione richiedendo alla federazione internazionale la possibilità di giocare in casa.
L'ITF tramite un suo rappresentante aveva dichiarato : "A causa delle preoccupazioni di un allargamento del conflitto tra Israele ed Hamas, riteniamo che non sia possibile attualmente per Israele ospitare l'Argentina." assecondando così la richiesta della federazione sudamericana.
A dare manforte ad Israele ci ha pensato la stessa ITF che qualche giorno fa ha consentito lo svolgimento dell'incontro tra Ucraina e Belgio a Kiev, territorio anch'esso compromesso dall'instabilità politica.
"Ci appelliamo alla ITF di prendere in considerazione i termini e le incongruenze della sua decisione. Chiediamo che la questione venga studiata in modo da assicurare il regolare svolgimento dell'incontro di Coppa Davis in Israele, sia Haifa o Tel Aviv, a settembre o ad ottobre."
Questo il comunicato di un portavoce della federazione israeliana.
Martedì verrà presa una decisione in merito a questa ardua questione da parte dell'ITF.

(tennisworld, 11 agosto 2014)


Dopo Bloomberg, anche Cuomo a Tel Aviv per sostenere Israele

Il governatore partirà con altri leader politici dello Stato di New York domani sera, per portare la propria solidarietà agli israeliani. Tre settimane fa, il viaggio dell'ex sindaco di New York.

Andrew Cuomo
Dopo l'ex sindaco Michael Bloomberg, anche il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, andrà in visita in Israele. Ieri, insieme ai leader del Parlamento statale, ha annunciato il "viaggio dell'unità" per mostrare il sostegno a Israele nel conflitto con Hamas.
La rappresentanza dello Stato di New York dovrebbe partire domani sera, a bordo di un volo commerciale. Il viaggio prevede anche gli incontri con alcune autorità e la visita agli israeliani più colpiti dalla guerra. Non è chiaro, invece, se Cuomo incontrerà il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Il gruppo dovrebbe poi tornare negli Stati Uniti nella giornata di giovedì. Il governatore sarà accompagnato dallo speaker democratico della Camera, Sheldon Silver, e dai leader del Senato: il repubblicano Dean Skelos e il democratico Jeffrey Klein. Nel comunicato diffuso ieri, Cuomo ha affermato: "New York ha sempre avuto un rapporto speciale con Israele. Con Hamas e altri gruppi terroristici che continuano a minacciare Israele, ora è il momento di consegnare questo messaggio di solidarietà di persona".
Si tratterà della prima visita internazionale di Cuomo da quando, nel 2011, è diventato governatore. L'esponente democratico, al centro di una polemica sulla commissione contro la corruzione da lui creata e poi smantellata, cercherà di essere confermato alle elezioni di novembre.
Tre settimane fa, invece, l'ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, era andato a Tel Aviv con un volo della compagnia israeliana El Al per mostrare che l'aeroporto Ben Gurion non era pericoloso, come aveva sostenuto l'ente americano responsabile della sicurezza nell'aviazione civile (Faa), vietando provvisoriamente alle compagnie aeree statunitensi di volare verso e dallo scalo israeliano.

(America24, 11 agosto 2014)


Tiene la tregua di 72 ore tra Hamas e Israele

Delegazioni al Cairo per un'intesa più duratura. Aperto il valico di Kerem Shalom per portare aiuti umanitari.

Sembra tenere il cessate il fuoco di 72 ore nella Striscia di Gaza scattato alla mezzanotte scorsa locale, le 23 di ieri in Italia. Una delegazione negoziale israeliana in partenza per il Cairo dove riprenderà i colloqui indiretti con i rappresentanti delle fazioni palestinesi sulla fine del conflitto nell'enclave: lo hanno riferito in via riservata fonti del governo dello Stato ebraico. Il rispetto della tregua era la condizione posta da Israele per riannodare il filo del dialogo con la mediazione dell'Egitto. Poco prima che le ostilità fossero sospese, alcuni ultimi razzi erano stati scagliati dal piccolo territorio, uno dei quali in direzione di Tel Aviv: sarebbe peraltro caduto in mare senza conseguenze.
Hamas ha accettato di recarsi al Cairo per riprendere il dialogo con Israele ma, tramite un portavoce, ha anche definito questa come "l'ultima possibilità". La posizione dei palestinesi resta la stessa: fine del blocco sulla Striscia e apertura di un porto marittimo.
Il ministero della Difesa israeliano, intanto, ha annunciato la riapertura del valico di Kerem Shalom con la Striscia di Gaza. Si ritiene che centinaia di camion carichi di aiuti umanitari potranno così entrare nella Striscia, afferma la difesa israeliana.

(Il Foglio, 11 agosto 2014)


Bandiera palestinese e israeliana, GAP a Pizzarotti: "Equidistanti? Vuol dire essere complici"

Per GAP s'intende Gruppo di Azione per la Palestina, organizzazione che sta diventando sempre più arrogante e sfacciata nelle sue posizioni anti-israeliane, probabilmente perché pensano di aver trovato nell'amministrazione Cinque Stelle di Parma un punto d'appoggio favorevole. Dopo aver fatto sottoscrivere all'amministrazione un documento di acritico appoggio alla causa palestinese, hanno anche chiesto che fosse tolta da uno dei ponti della città la bandiera d'Israele. Il sindaco ha risposto innalzando anche la bandiera della Palestina e inserendo fra le due bandiere quella della pace (ved. foto). Questo non è bastato al GAP, che si è rifatto avanti con la presa di posizione che segue. NsI

Il Gruppo di Azione per la Palestina risponde al sindaco Federico Pizzarotti che aveva scritto un post su Facebook in occasione dell'aggiunta della bandiera della Palestina, di fianco a quella di Israele con in mezzo il vessillo della pace. Gli attivisti: "Essere equidistanti significa sostenere l'occupante e divenirne complici".

 
LA NOTA DEL GAP DI PARMA. I simboli hanno un significato… che non può essere ignorato. In primo luogo vogliamo esprimere la nostra soddisfazione per il fatto che nella nostra città finalmente sventola la bandiera palestinese, simbolo di un popolo coraggioso e indomito di fronte all'ingiustizia e all'occupazione militare israeliana. Siamo contenti, in quanto tutti i sostenitori del sionismo e dello stato di Israele hanno sempre tentato di nascondere l'esistenza stessa del popolo palestinese, che da più di 66 anni deve resistere di fronte al tentativo di pulizia etnica e di genocidio: innalzare ufficialmente la bandiera palestinese significa infatti riconoscere il suo popolo, la sua storia e, soprattutto, i suoi diritti. Rappresenta dunque un atto simbolico, che ai più forse passerà inosservato, ma dal significato importante e notevole, soprattutto se interpretato come un passo verso la diffusione di una coscienza collettiva forte e condivisa, schierata, partigiana. Questo piccolo risultato è stato raggiunto attraverso l'impegno e la mobilitazione di tutte le organizzazioni e i militanti vicini alla causa palestinese, che con le loro iniziative e dimostrazioni hanno portato la Palestina nel dibattito cittadino, mostrando che non tutti nella nostra città rimangono impassibili di fronte al massacro, di fronte all'occupazione, di fronte al razzismo intrinseco nell'ideologia sionista. Tuttavia rimangono aperte alcune questioni che non devono essere tralasciate, e che anzi meritano di essere pubblicizzate e approfondite, per comprendere appieno l'argomento. In particolare ci riempie d'indignazione il fatto che la bandiera palestinese sia stata affiancata alla bandiera israeliana ( simbolo di uno stato razzista e guerrafondaio, oppressore diretto del popolo palestinese), distanziata solo dalla bandiera della pace, come a dire: la carneficina di Gaza ci scandalizza, le foto dei bimbi massacrati ci nauseano, i bombardamenti sono disdicevoli… ma nulla più. Siamo equidistanti noi… Oltre tutto ci pare evidente come l'affiancamento tra la bandiera della pace e quella sionista sia una palese contraddizione, dal momento che Israele continua impunito da 66 anni l'occupazione militare della Palestina, si è macchiato di delitti atroci ed ha fatto e continua a fare tutto ciò per raggiungere la pulizia etnica della Palestina. Queste sono cose che non possono essere ignorate, né falsificate: sono pezzi di storia, sono date, luoghi, elenchi di persone massacrate, villaggi distrutti, violazioni continue dei diritti umani; sono la faccia dello stato sionista d'Israele, che si può permettere, nel silenzio complice dei nostri governi, di rifiutarsi di accettare le risoluzioni dell'Onu a favore dei palestinesi, sempre disattese.
   Noi stiamo col popolo palestinese, che ancora aspetta il momento della sua liberazione, con la stesso ardore e determinazione dei nostri nonni, che settant'anni fa combattevano nelle montagne e nelle città l'occupante nazista, per costruire una società in cui la giustizia fosse la garanzia di una vera e duratura pace. Lo sosteniamo e condanniamo Israele, stato razzista e occupante una terra che non gli appartiene; non vogliamo dunque che siano messi sullo stesso livello, in quanto la situazione odierna purtroppo li pone su due piani antitetici: i palestinesi sono il popolo oppresso, schiacciato dalla macchina da guerra e d'apartheid sionista, espressione del governo oppressore di Tel Aviv. Le cose vanno dette come stanno; proprio ora che riprendono i bombardamenti sulla popolazione civile di Gaza, non possiamo tollerare la bandiera israeliana, tantomeno affiancata da quella della pace. Vogliamo continuare a rimanere umani. Senza giustizia nessuna pace. Col popolo palestinese! Fino alla vittoria!
   In conclusione ci permettiamo di rispondere a Federico Pizzarotti, Sindaco di Parma a "Cinque Stelle", che aveva lamentato il fatto che "da qui non potessimo lavorare per la pace in Palestina", non avendo "né la capacità né le competenze". Posto che capacità e competenze si acquisiscono con l'interesse, l'informazione e la passione, ci permettiamo di indicare alcune azioni concrete per "lavorare per la pace in Palestina": - chiedere al Governo Italiano l'espulsione dell'ambasciatore israeliano in Italia, - chiedere al Governo Italiano di interrompere la vendita di armi ad Israele. - chiedere al Governo Italiano e alla Regione Emilia Romagna di interrompere gli accordi commerciali esistenti con Israele. - aderire alla Campagna Internazionale "Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. -escludere dai bandi comunali le aziende che partecipano all'occupazione militare, ad esempio la Pizzarotti S.p.A., che sta costruendo un treno ad alta velocità che attraversa i territori Palestinesi, pur essendo riservato solo agli israeliani. - togliere la bandiera israeliana fino a che continuerà l'occupazione, l'inosservanza dei diritti umani e il tentativo di genocidio a Gaza, - chiedere all'Università di Parma di interrompere ogni scambio con istituzioni israeliane, invitando al contrario a collaborazioni con scuole ed università palestinesi. Questi sono solo alcuni esempi, quello che è fondamentale è la volontà di prendere posizione ed agire, per non essere indifferenti, per rimanere umani.

(Fonte: ParmaToday, 11 agosto 2014)


Ma quali pacifisti. Sono odiatori nazisti amici dei terroristi islamici

Il pacifismo è la maschera migliore dietro la quale nascondere i peggiori istinti umani, il grimaldello con il quale aprire le porte dell'inferno dell'odio razziale e religioso. Lo sanno bene gli estremisti islamici che da anni ne fanno un uso persino sfacciato. Ma che la gente europea debba cadere in questo tranello o addirittura diventarne consapevolmente complice è davvero troppo.
Ne abbiamo una prova lampante davanti agli occhi, proprio oggi. In tutta Europa non si contano le manifestazione dei cosiddetti pacifisti, quelli che noi chiamiamo pacivendoli, per protestare contro la legittima difesa di Israele contro i terroristi di Hamas. Ma di manifestazioni per protestare contro la crudele aggressione dell'ISIS/ISIL contro le popolazioni cristiane e curde in Iraq non se ne vede ombra. Si manifesta per sostenere un gruppo terrorista, Hamas, che usa la popolazione come scudi umani e non si manifesta per condannare un gruppo terrorista simile e confratello, l'ISIL/ISIS, che ha massacrato migliaia di persone e che minaccia un vero e proprio genocidio....

(Right Reporters, 11 agosto 2014)


Riaperto il valico di Kerem Shalom, colpito ieri da missili di Gaza

 
Qualche ora prima del cessate il fuoco di 72 ore tra Israele e Hamas, due missili da Gaza hanno colpito ieri pomeriggio il valico di Kerem Shalom. Da qui passano gli aiuti umanitari per la popolazione palestinese della Striscia ma, a causa del pericolo dei missili - piovuti nell'area nel corso di tutta la giornata - il ministero della difesa aveva disposto la chiusura del valico, per proteggere gli operatori che vi lavorano. Dallo stesso ministero è arrivato oggi il via libera per la riapertura. "Centinaia di camion con aiuti umanitari entreranno oggi nella Striscia di Gaza", ha confermato la Difesa israeliana. Al Cairo intanto continuano le trattative per raggiungere una tregua duratura tra Israele e Hamas. In merito, poche ore fa il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha dichiarato al sito Ynet che Israele non può permettersi di fare concessioni al terrorismo. "Il risultato finale del conflitto tra Hamas e Israele, iniziato con il rapimento e l'uccisione di tre ragazzi e proseguito con la campagna di Gaza, non può finire con Hamas che lascia il campo con la sensazione che il terrorismo paghi". Le richieste della parte palestinese sono la fine del blocco sulla Striscia di Gaza, l'apertura di un porto e la liberazione di prigionieri detenuti nelle carceri. La richiesta di Israele è il disarmo di Hamas. Opzioni che il ministro Yitzhak Aharonovitch ha di fatto escluso che avvengano, dichiarandosi pessimista sulla possibilità che dal Cairo si esca con un accordo.

(moked, 11 agosto 2014)


«Boicotta Israele», filmati tre giovani nella notte del raid

La polizia indaga per capire se abbiano avuto un ruolo nell'affissione dei manifesti anti-ebraici a viale Libia.

LE INDAGINI
Le telecamere potrebbero avere ripreso gli autori dell'ultimo raid antisemita con l'invito a boicottare i negozi ebraici. Tre giovani che si aggiravano in modo sospetto dalle parti di viale Libia - gli investigatori non li hanno ancora identificati - sarebbero stati ripresi due notti fa da una telecamera di servizio. La polizia ha acquisito le immagini e sta cercando di identificare gli sconosciuti. All'alba di venerdì in viale Libia, piazza Bologna, corso Trieste, via Livorno e via Ugo Ojetti, strade dove c'è un'alta concentrazione di negozi ebraici, sono comparsi una cinquantina di manifesti che invitano a non fare acquisti nei negozi gestiti da membri della comunità: «Boicotta Israele!», era il messaggio. I maxi-volantini, arrivati nel pieno della guerra che sta insanguinando Gaza, riportavano la sigla del gruppo di estrema destra «Vita est militia», già protagonista in passato di analoghe iniziative, e contenevano affermazioni contro la politica di Tel Aviv («Contribuisci a fermare il massacro del popolo palestinese») e un dettagliato elenco di commercianti additati come possibili bersagli del boicottaggio. «Comprando da questi infami - si leggeva nel testo - contribuisci a uccidere altre migliaia di persone».

LE PERQUISIZIONI
Ieri la Digos, incaricata delle indagini, ha eseguito le prime perquisizioni nei confronti di alcuni personaggi della galassia dell'estrema destra romana, anche se per ora non c'è ancora nessun iscritto nel registro degli indagati. Il raid, compiuto durante lo Shabbat, la ricorrenza settimanale dedicata al riposo, è diverso da quello del 27 luglio scorso, quando alcuni incappucciati tracciarono in diversi quartieri croci celtiche, svastiche e insulti contro i commercianti: in quel caso ci sono tre indagati, un cinquantatreenne e due ventenni, accusati di concorso in propaganda di idee finalizzate all'odio razziale. I tre accusati sono stati riconosciuti grazie alle telecamere.
Secondo gli investigatori della Digos guidata da Diego Parente, l'azione del 27 luglio e quella di venerdì notte non sono opera della stessa mano. I manifesti con la black-list dei negozianti ebrei hanno una firma. Restano da scoprire le identità di chi materialmente ha fatto stampare e ha incollato i poster. Nelle locandine viene raffigurato un giovane palestinese imbavagliato da mani avvolte nelle bandiere israeliana e americana, poi c'è il messaggio che invita a non comprare prodotti nei negozi elencati.

LE TELEFONATE
L'allarme è scattato sabato mattina all'alba, con una raffica di telefonate al «113», partite da commercianti e cittadini. «Siamo italiani di religione ebraica - dice un negoziate citato nella lista nera di Militia - viviamo qui, amiamo questo paese, siamo italiani e romani, dire altro è solo follia. Le liste sono una cosa delle cose più schifose che ci siano. Quei manifesti sono uno schiaffo non agli ebrei, ma a tutta la città».
I poster antisemiti hanno campeggiato pochissimo sui muri. Il sindaco Marino li ha fatti rimuovere dalle squadre dell'Ama coordinate dal pronto intervento Centro Storico. Il primo cittadino ha condannato il gesto e dato la sua solidarietà e quella della città alla comunità ebraica: «La capitale d'Italia si schiera a fianco dei commercianti presi di mira».

(Il Messaggero, 11 agosto 2014)


Oltremare - In piazza e fuori
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Quando un paese è nel processo di decidere se entrare in un conflitto che prevede l'utilizzo di forze armate in un paese straniero, di solito le piazze si riempiono di manifestanti, che brandendo arcobaleni e bandiere variamente colorate fanno sentire le loro voci contro l'entrata in guerra.
Le ultime due occasioni che ricordo con nitidezza sono la guerra del Golfo nel 1990-91 in Italia, e la guerra in Iraq a New York.
Nell'inverno 1990 ero giovane e idealista, in piazza a Torino, mentre in tutta Israele cadevano i missili di Saddam Hussein - allora non c'era l'Iron Dome a proteggere i nostri cieli. In Israele si scendeva nei rifugi per rimanerci fino a nuovo ordine, altro che i dieci minuti attuali. Lo ricordo come un inverno torinese non particolarmente freddo. Lo ricordo anche come l'ultima volta che sono mai scesa in piazza in Italia. Dopo aver visto striscioni anti-israeliani di violenza verbale inaudita, ho girato i tacchi quel giorno, dicendo ai compagni di scuola che avevo visto abbastanza, e addio.
Nella primavera 2003 ero newyorkese da un anno e mezzo ormai, ed è stato più che naturale scendere a manifestare contro la guerra che tutti chiamavamo "Freedom Fries War", la guerra delle patatine fritte, nuovo nome (semi-coatto) delle "French Fries" dopo i dissapori fra Bush figlio e l'allora Presidente Chirac. L'unica manifestazione cui sono andata era così fortemente presidiata dalle forze di polizia, che sono ritornata a casa col timore che mi ritirassero il visto di lavoro.
Qui in Israele, normalmente si scende in piazza con allegria e bambini nei passeggini: le manifestazioni fiume dell'estate 2011 per la giustizia sociale parevano enormi feste di paese. Ma in tempi di guerra le manifestazioni qui sono semplicemente vietate, tutte, dalla Protezione Civile. Vietato assembrare oltre mille persone e diventare così un target per possibili attentatori e missili. Ecco, altri tempi ma anche altre priorità. E Facebook e Twitter al posto della piazza.

(moked, 11 agosto 2014)


I dubbi sul numero di morti a Gaza

Negli ultimi giorni New York Times e BBC hanno spiegato perché bisogna maneggiare con cautela i numeri sui civili morti nella Striscia di Gaza.

Dall'inizio dell'operazione Margine di Protezione, l'attacco via aria e via terra compiuto dall'esercito israeliano nella Striscia di Gaza, 1.939 palestinesi sono uccisi e, secondo l'ONU, almeno 1.402 erano civili. Negli ultimi giorni, però, questi dati sono stati messi in dubbio da alcuni dei più importanti media internazionali: BBC e New York Times hanno sostenuto che è ora di cominciare a usare un po' di cautela nell'utilizzare questi numeri per trarre conclusioni definitive.
  Raccogliere dati in una situazione di guerra non è mai facile. Nella Striscia di Gaza la principale organizzazione che se ne occupa è il ministero della Salute, che a sua volta riceve i dati dai singoli ospedali sparsi per la Striscia. Il ministero raccogliere il numero dei morti e dei feriti, i loro nomi, il sesso e le età. L'ONU e alcune ONG fanno un lavoro simile, partendo in genere dai dati del ministero, e forniscono anche una stima - accompagnata quasi sempre da molti caveat e cautele - del numero di miliziani e di quello dei civili uccisi. Per molte settimane questi numeri sono stati utilizzati dai media di tutto il mondo, compresi alcuni israeliani (Haaretz, uno dei principali quotidiani israeliani, utilizza tuttora i dati dell'ONU sul numero totale delle vittime).
  Sin dal primo giorno delle operazioni, queste cifre sono state contestate dall'esercito e dal governo israeliano. Alle critiche israeliane negli ultimi giorni si sono aggiunti i dubbi di New York Times e BBC. I problemi sono in sostanza tre: il primo è che la principale fonte sul numero totale dei morti è il governo di Gaza, cioè Hamas, che dal 2007 ha cacciato Fatah e governa la Striscia in completa autonomia. Se questo non significa automaticamente che i dati sono falsi, vuol dire comunque che è necessario trattarli con cautela. Il secondo problema è che il metodo con cui l'ONU e le altre ONG calcolano il numero di morti civili e quello dei miliziani non è chiaro né trasparente. Il terzo e ultimo problema è che nelle statistiche ci sono molti più morti tra maschi di età tra i 20 e i 29 anni di quanti ci si dovrebbe aspettare nel caso di attacchi "indiscriminati" o addirittura mirati ai civili (ci torneremo tra poco).
   Il New York Times è stato il primo grande giornale internazionale a sollevare dei dubbi su questi dati: ha intervistato Matthias Behnke, un funzionario delle Nazioni Unite e gli ha chiesto come fa l'ONU ad elaborare le sue stime su quanti sono i civili uccisi e quanti sono invece i miliziani. Behnke ha risposto che la stima si ottiene incrociando i dati forniti da diverse ONG e quindi svolgendo ulteriori controlli, ma ha rifiutato di spiegare quali e quante organizzazioni vengono utilizzate per elaborare questi dati e la metodologia che l'ONU segue per svolgere i suoi ulteriori controlli. Anche BBC ha intervistato Behnke, che ha aggiunto qualche dettaglio sulla metodologia seguita dall'ONU pur senza entrare nei dettagli (uno dei modi che vengono utilizzati per determinare chi sono i miliziani, ha spiegato, è confrontare i nomi delle persone uccise con i nomi di miliziani noti all'esercito e all'intelligence israeliani). La conclusione di BBC è che la quantità di civili uccisi è al momento molto dubbia e che alcune delle conclusioni che in queste settimane sono state tratte da queste cifre potrebbero essere premature (a questo proposito bisogna tenere presente che in moltissimi video e testimonianze di giornalisti i miliziani di Hamas vengono mostrati in abiti civili, senza segni che li rendano chiaramente distinguibili dai civili).
  Sia BBC che New York Times sospettano di queste cifre non solo perché la metodologia con la quale vengono elaborate è dubbia (non a caso la stessa ONU specifica che si tratta di cifre preliminari e soggette a ulteriori elaborazioni). Il problema è anche la distribuzione dei morti all'interno delle fasce di popolazione nella Striscia di Gaza (un tema su cui qualche settimana fa aveva scritto anche Davide De Luca sul suo blog). Partiamo dall'inizio: il ministero della salute di Gaza - controllato da Hamas, come abbiamo visto - comunica ad Al Jazeera e ad altri media arabi non solo il numero dei morti, ma anche altre informazioni, come il nome, l'età, il sesso delle persone uccise.
   Il New York Times (come hanno fatto molti altri siti e blog in queste settimane) ha analizzato i dati e ha diviso le persone uccise a Gaza in base al sesso e alle fasce d'età, scoprendo che i maschi tra i 20 e i 29 anni (cioè gli abitanti della Striscia che hanno più probabilità di essere membri di una milizia) rappresentano il 34 per cento dei morti, ma soltanto il 7 per cento della popolazione della Striscia. Le donne, che sono circa il 50 per cento degli abitanti, rappresentano il 27 per cento dei morti. Facendo alcuni calcoli, risulta che le possibilità che questa distribuzione così sbilanciata sia frutto semplicemente di un caso sono di circa lo 0,01 per cento.
   In altre parole, come scrive anche BBC, i giovani tra i 20 e i 29 anni sono sovrarappresentati nelle statistiche delle persone uccise, il che sembra incompatibile con l'accusa mossa da Hamas e da diverse ONG di "attacchi indiscriminati" (cioè senza nessuna distinzione tra obiettivi militari e civili) compiuti da Israele. BBC ammette che ci sono ricerche che mostrano come i maschi giovani (anche civili) siano più esposti ai pericoli della guerra rispetto alle donne o ai maschi più anziani, perché tendono a esporsi a più rischi per lavorare o per proteggere le loro famiglie. Non è chiaro però se questo maggiore rischio possa spiegare le perdite così sbilanciate subite proprio dagli abitanti in età militare della Striscia di Gaza.

(il Post, 11 agosto 2014)


Il mondo ritorna nelle mani dei mercanti di schiavi

Riceviamo e pubblichiamo.

 
L'emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al-Thani
Amiconi
Un piccolo califfo a capo di uno staterello terroristico, Qatar, più piccolo di un capoluogo di provincia italiano, immensamente ricco, che si arricchisce sempre di più con ogni pieno di benzina o gas che fanno gli autisti occidentali, si divide tra l'acquisizione frenetica di beni e persone influenti occidentali e lo spargimento di sangue e morte finanziando e promuovendo la "primavera arabo-islamica".
Acquisire il segretario dell'ONU Ban Ki Moon gli è costato abbastanza poco, qualche volo, qualche albergo di lusso. Il segretario dell'Onu dice e fa tutto quello che si aspetta l'Emiro del Qatar.
Obama gli è costato di più: 11 miliardi di dollari pagati per l'ultimo rifornimento di armi dagli USA per un esercito che ha meno di 12.000 soldati.
Questo affare ha allontanato Obama e la sua amministrazione dall'Arabia Saudita e li ha avvicinati ai fratelli mussulmani con Hamas in testa.
Come bakshish ( nome orientale di tangente e corruzione) il Qatar ha costruito a proprie spese sul proprio territorio la base militare americana più grande del Medio Oriente, trasferita lì dall' Arabia Saudita.
Essendo questa base nel territorio dell'emirato è ragionevole supporre che il Qatar avrà accesso ai segreti militari custoditi in quella base.

- Uno stato schiavista
  Sebbene l'Emiro del Qatar in una frenesia di shopping compri tutto e tutti, come Harrods a Londra e il Moma di New York, non è che non sappia apprezzare il valore di ogni singolo dollaro nei confronti dei più poveri del mondo.
Le migliaia e migliaia di operai stranieri che costruiscono gli stadi di calcio per il mondiale del 2022, comprato dalla Fi€ un anno senza salario.
Non possono protestare o andarsene perchè i loro passaporti sono stati requisiti e in Qatar non c'è un'istituzione che possa accogliere una qualsiasi loro rivendicazione.
Il mondo sta scoprendo che questi schiavi moderni lavorano in condizioni disumane, praticamente gratis, e già più di mille di loro sono morti nei cantieri.
Forse per premiare questi campioni di libertà e democrazia il mondo gli offrirà giustamente di ospitare anche le olimpiadi del 2024....
Così viene trattata anche il 94% della popolazione del Qatar composta da lavoratori stranieri privi di qualsiasi diritto, la cui mortalità sui posti di lavoro è la più alta del mondo: le cause sono varie e misteriose, non ultima la crudeltà e i maltrattamenti dei loro "datori di lavoro" signori araboislamici.

- Gaza schiavizzata dal Qatar
  Visto il successo della schiavitù imposta in Qatar, questo modello è stato esportato anche a Gaza, i cui abitanti sono stati trasformati in schiavi o talpe dai leader di Hamas, (il leader di Hamas Khaled Mashak è cittadino onorario del Qatar) foraggiati da quell'emiro, nel loro delirio comune di imporre il corano e la shaaria in tutto il Medio Oriente.
Nonostante i miliardi di dollari elargiti ai leader di Hamas, (finiti per la maggior parte nelle banche dei paradisi fiscali) questi fanno lavorare i poveri di Gaza nella costruzione dei tunnel del terrore, un lavoro pericoloso e malsano, paganandoli una miseria e isolandoli dal mondo.
L'Emiro del Qatar si assicura che questi non potranno mai liberarsi dal regime terroristico di Hamas, infatti qualsiasi accenno di dissidenza viene punito con un'esecuzione sommaria.
L'Emiro del Qatar sovvenziona tutti gli estremismi islamico sunniti, da boko aram nell'ovest dell'Africa, alla Libia, la Siria, all'Iraq, l'Afganistan, la guerra annosa in Darfour, conflitti con milioni di morti, con i bambini soldato, i rapimenti e la vendita delle donne non mussulmane (cristiane e di tutte le altre religioni) come schiave, le conversioni forzate, gli omicidi di massa e le fosse comuni ecc.
Inoltre l'Emiro finanzia la costruzione delle moschee in Europa dove vengono arruolati i volontari per la Jihad, susseguentemente mandati in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan o in qualque posto dove l'Emiro li ritiene necessari a far da aguzzini o mal che vada da carne da cannoni.
Obama, il primo presidente di colore americano, comprato dall'Emiro del Qatar, sarà ricordato nei libri di storia come quello che ha contribuito a far rinascere un regime schiavista, la cui inflenza non ha eguali nella storia in quanto a estensione geografica e ferocia.

(Associazione Italia-Israele Bologna, 11 agosto 2014)


Quella contro Hamas e contro i jihadisti iracheni è la stessa guerra

Ma gli europei continuano a distinguere fra terrorismo accettabile e inaccettabile.

Anche l'Occidente si appresta a tornare in guerra. Lo scorso fine settimana il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha dato alla Air Force americana il via libera per attaccare in Iraq lo "Stato Islamico (in Iraq e nel Levante)" allo scopo di impedire che il gruppo jihadista sunnita commetta un genocidio. Stando a vari segnali, la Gran Bretagna potrebbe presto unirsi alla missione, mentre la Francia, che ha recentemente lanciato operazioni anti-terrorismo in Libia, Mali e nella Repubblica Centrafricana, non ha intenzione di essere lasciata fuori. Evidentemente vi sono delle guerre pienamente giustificate. La minaccia del terrorismo e dell'islam estremista fondamentalista è tornata agli onori della cronaca, in Occidente. I telegiornali, in Francia e non solo, si occupano com'è ovvio della grave minaccia rappresentata dallo "Stato Islamico". Cristiani iracheni in fuga dai crimini di quel gruppo terrorista stanno ricevendo asilo in Francia e altrove. Eppure sabato, anziché manifestare in solidarietà con i loro fratelli cristiani, migliaia e migliaia di persone a Parigi e in altre importanti città dell'Occidente hanno riempito le piazze a sostegno di Gaza, cioè di chi controlla Gaza, e della Fratellanza Musulmana....

(israele.net, 11 agosto 2014)

Israele: non negoziamo sotto i razzi

Si tratta ancora al Cairo ma lo scambio di missili e raid continua. Hamas: sì al controllo dell'Anp a Rafah

di Francesca Paci

ROMA - «Mi sento perso, mi sono accorto che il cessate il fuoco era finito quando ho sentito un paio di esplosioni e le sirene delle ambulanze, dopo 72 ore di tregua avevamo cominciato a sperare davvero che fosse finita». Nella voce di Ahmad Aburayya la depressione e la rabbia hanno ceduto allo spaesamento. Sopra alla sua come alle teste dei quasi due milioni di abitanti di Gaza si decidono la guerra e la pace. La prima è ricominciata venerdì mattina e ieri ha riportato la Striscia alla routine dei giorni precedenti con una sessantina di razzi lanciati su Israele, circa 50 obiettivi colpiti dai raid di rappresaglia, almeno 5 palestinesi uccisi. La seconda è il dover essere a cui tutti teoricamente tendono ma partendo da distanze siderali.
   Mentre la tv israeliana «Channel 10» ipotizza che il premier Netanyahu starebbe preparando una prolungata guerra d'attrito con Hamas e dunque pur non volendo riprendere l'offensiva avrebbe poco interesse a negoziare prima del disarmo dei signori di Gaza, i mediatori moltiplicano sia pur faticosamente gli sforzi. In una dichiarazione congiunta Francia, Gran Bretagna e Germania hanno chiesto la tregua immediata ma è soprattutto in Egitto che si gioca la partita.
   Nonostante le difficoltà i colloqui (indiretti) tra le due parti avviati al Cairo non sono stati del tutto chiusi. I palestinesi dicono che Hamas avrebbe accettato di cedere il controllo del valico di Rafah tra Gaza e l'Egitto all'Anp del presidente Abu Mazen e sarebbe disposto a rinviare la richiesta di riaprire porto e aeroporto. Israele ribadisce però di non essere disposto a trattare sotto il tiro dei missili e fa trapelare dal gabinetto di sicurezza che «tutte le opzioni restano sul tavolo». Finché si sparerà, aggiunge il quotidiano «Haaretz», gli israeliani non rimetteranno piede al Cairo.
   Moussa Abu Marzouk, uno dei leader di Hamas, suggerisce un possibile ritorno al tavolo delle trattative nelle prossime ore con conseguente temporaneo cessate il fuoco. Altri però, come Fawzi Barhoum, insistono nel tenere il punto, ossia il rifiuto di qualsiasi «concessione» da parte della «resistenza». Il futuro politico di Hamas dipende a questo punto da come potrà «rivendersi» la guerra costata quasi 1.900 vittime palestinesi, 10mila feriti e 400mila sfollati e da come riuscirà a capitalizzare il recupero di consenso popolare finora ottenuto. L'Egitto vedrebbe di buon occhio un rinnovato governo di unità nazionale (tipo quello nato ad aprile) che gli togliesse un po' il cerino di mano. L'iniziativa del Cairo è infatti depotenziata dai diversi fronti aperti nella regione, in particolare quello libico su cui pare si concentri la massima attenzione di Al Sisi al punto da immaginare un'intervento militare.

(La Stampa, 10 agosto 2014)


Mai tanto odio dai tempi del nazismo

L'allarme delle comunità ebraiche di tutta Europa. Sondaggio di Newsweek in 102 Paesi: antisemita un intervistato su quattro.

di Fiamma Nirenstein

 
Ragazza ebrea pronta alla fuga con la valigia in mano
Evitiamo, per favore, la sfilza di comunicati e di esclamazioni di orrore che adesso, dopo gli ultimi episodi di vergogna antisemita, si stanno già accumulando nei computer dei giornalisti. Si limiti a vergognarsi questa Europa che, proprio nei dintorni di casa mia a Roma, indice liste di proscrizione dei commercianti ebrei, si pasce di dichiarazione in stile Vattimo o in stile neonazista, dichiarando che gli ebrei sono come Hitler, che Israele «massacra» i palestinesi innocenti con gusto, specie le donne e i bambini. La Notte dei Cristalli fu il segnale dell' aggressione totale all'ebraismo e della distruzione della mente europea. Il caos avanzava. Sta accadendo lo stesso, si trova spazio vitale nell'odio per gli ebrei, nell'odio per Israele, lo si vede dalle dichiarazione dei neo-nazisti come da quelle di Ferrero. Basta essere contro Israele e fai la folla, che c'è di più classico di un bel «morte agli ebrei»? a Berlino; si può anche, per aver successo, urlare «gasiamo gli ebrei» a Parigi, fascisti e islamisti insieme.
   Che l'Italia abbandoni i comunicati e i corsi sulla Shoah: invece occorre imparare, leggere, avere la pazienza di uscire dalla bovina acquiescenza che ti comunica la facile compassione senza ragionamento della tv. Chi solidarizza con gli ebrei lo deve dimostrare con la costanza della ragione, di condoglianze gli ebrei ne hanno ricevute troppe; per combattere l'antisemitismo occorre buon senso, distinguere fra una guerra senza scelta e una di aggressione, fra l'uso degli scudi umani e l'uso di soldati umani quanto determinati, devono studiare i numeri che gli riveleranno che la maggioranza degli uccisi erano terroristi. Leggere la Carta di Hamas. La memoria dell'Olocausto non c'entra, fermatevi, c'entra invece la difesa dell'anima dell'Europa che verrà distrutta di nuovo dall'odio antiebraico. Il Newsweek mostra una ragazza ebrea che fugge con una valigia in mano (foto a lato), e ci ripete che su 53mila adulti in 102 Paesi il 26 percento è profondamente antisemita (Grecia 69 per cento, Francia 37, Belgio 27, Polonia 45, Ungheria 41, Palestinesi 93 per cento, Iraq 92). Dieter Graumann, presidente del consiglio ebraico della Germania testimonia che «sono i tempi peggiori dal nazismo», se indossi una stella di Davide puoi finire picchiato, se sei una giornalista come me scrivono: «Ti ammazzeremo, brutta...», a Londra si urla «ebrei al gas». Tutte queste storie portano unsegno: quello della disgregazione dell'Europa. Non sappiamo più distinguere gli amici dai nemici, la parola islamismo è impronunciabile, temiamo l'identità occidentale d'Israele, odiamo negli ebrei la limpida determinazione a difendersi. L'antisemitismo è un segno di demenza. Accade quando una società è in crisi, quando non ha abbastanza energia per informarsi, capire, criticare.
   Qui uri'organizzazione terrorista che impicca gli omosessuali e perseguita le donne e dichiara apertamente di cercare la morte per il califfato copre di missili un Paese democratico che reagisce come farebbe chiunque, e questo suscita un'ondata antisemita. De te fabula narratur. Quanto è meglio tornare agli stereotipi contro gli ebrei che pensare che il terrore possa un giorno attaccare anche noi. L'antisemitismo è per i cretini, ma prima di tutto per i pusillanimi. Vergogna, Europa, non fare comunicati.

(il Giornale, 10 agosto 2014)


Israeliani ed ebrei

Lettera comparsa oggi sul quotidiano "Gazzetta di Parma".

Signor direttore,
i furiosi bombardamenti di Israele su Gaza con ingenti perdite di vite umane, compresi molti bambini, hanno scatenato sentimenti di odio e di vendetta verso gli ebrei in tutto il mondo. Ma questo è mostruoso, è assurdo! Non si possono confondere i governanti israeliani che hanno deciso l'attacco (dopo l'esecuzione, da parte dei terroristi di Hamas, di tre ragazzi israeliani che facevano l'autostop) con gli ebrei. C'è sempre un'intolleranza strisciante verso gli ebrei e ogni pretesto è buono. A Parma come altrove bisognerebbe poter indossare la kippà senza alcun timore, ma purtroppo così non è. Ma perché tutto questo odio verso gli ebrei? Per invidia verso il loro successo, le loro ricchezze?
Lettera firmata

*

Lettera di risposta inviata oggi allo stesso quotidiano.

Egregio Direttore,
la lettrice *** ha notato che gli avvenimenti della guerra di Gaza "hanno scatenato sentimenti di odio e di vendetta verso gli ebrei di tutto il mondo"; ed esclama: "Ma questo è mostruoso e assurdo!" La lettrice riconosce che "c'è sempre un'intolleranza strisciante verso gli ebrei ed ogni pretesto è buono". Si tratterebbe allora di verificare se sono i bombardamenti di Israele a generare oggi un odio nuovo verso gli ebrei, o se è l'odio eterno verso gli ebrei che trova oggi una nuova occasione per fuoriuscire senza essere riconosciuto come tale. Chi scrive propende per la seconda ipotesi, ma lasciando da parte le congetture indimostrabili, sarebbe bene in ogni caso attenersi ai fatti. Nella lettera si dice che "i governanti israeliani hanno deciso l'attacco dopo l'esecuzione, da parte dei terroristi di Hamas, di tre ragazzi israeliani che facevano l'autostop". Questo è falso. Sono proprio le cose dette in questo modo a favorire l'odio contro gli israeliani, che si trasforma presto in odio contro gli ebrei. Qualcuno parla infatti di "punizione collettiva" inferta a tutto il popolo palestinese per gli omicidi commessi da alcuni ragazzi. Come non indignarsi davanti a una nazione che fa morire sotto le bombe centinaia di uomini, donne e bambini solo perché tre ragazzi israeliani sono stati uccisi? Ripeto: la cosa è falsa. Dopo l'uccisione dei tre ragazzi, Israele aveva lanciato un'operazione di polizia in Cisgiordania, ma non aveva iniziato nessuna "azione punitiva" verso Gaza. L'azione contro Gaza è iniziata dopo che Hamas ha ripreso a lanciare centinaia di missili su Israele, i quali erano orientati su obiettivi civili e avevano tutta l'intenzione di provocare nella popolazione sfracelli di donne e bambini paragonabili a quelli che poi hanno subito i palestinesi. Israele si è difeso dapprima in modo passivo, intercettando i missili, ma è chiaro che una popolazione non può vivere continuando a scappare tutti i momenti dentro i rifugi. Noi italiani, per quanto tempo saremmo disposti a farlo? Era quindi necessario colpire i luoghi da cui partivano i missili. E qui si è scoperto (ma già si sapeva) che le basi di lancio erano state situate appositamente in mezzo alla popolazione, proprio perché si sapeva che Israele ha riluttanza a colpire i civili, se non altro per motivi di immagine, se non si vuol credere ai motivi umanitari. Questo dà ragione a chi ha detto che Israele usa le armi per difendere la sua popolazione mentre Hamas usa la popolazione per difendere le sue armi. Contare e ricontare i morti palestinesi (seguendo i dati forniti in modo esclusivo da Hamas), senza aggiungere nulla sulle circostanze che hanno portato a questo risultato e senza dire nulla sui morti civili in Israele che ci sarebbero stati in abbondanza se il governo di quella nazione non avesse provveduto responsabilmente a organizzare gli strumenti di protezione, significa rendersi partecipi di una manipolazione menzognera della verità che alla fine dà argomenti (falsi) a chi, anche per altre ragioni, mantiene un astio incancrenito verso gli ebrei. E per quelli che piangono sui morti a Gaza, una domanda: ma siete sicuri che Hamas sia davvero preoccupato per quelle morti? Non potrebbe essere che il male dei palestinesi a Gaza non sia Israele, ma Hamas?
Marcello Cicchese

(Notizie su Israele, 10 agosto 2014)


Quando l'amore aiuta

di Deborah Fait

 
Quando ci si sente soli, circondati, offesi, demonizzati, calunniati allora ci si rende conto che, oltre al nostro testardo coraggio, l'aiuto che ci permette di continuare a vivere e sperare è l'appoggio di chi ci è amico.
In questo mese e più di guerra abbiamo vissuto ogni tipo di esperienza, abbiamo visto i missili in cielo correrci incontro per distruggerci, abbiamo respirato di sollievo ai bum della Cupola di Ferro (Iron Dome) che li distruggeva in volo salvandoci la vita, abbiamo visto i tunnel della morte attraverso i quali i terroristi volevano penetrare nelle nostre città, nelle nostre case per fare stragi, abbiamo avuto attentati a Gerusalemme di arabi-israeliani gonfi di odio. Abbiamo dovuto portare quasi 70.000 bambini dal sud bombardato dai missili verso il centro del Paese, appena un po' più sicuro, famiglie intere del sud si sono trasferite al nord per poter dormire, per poter vivere la quotidianità senza il terrore degli allarmi e del Zeva Adom o dei missili che piovono nel giardino di casa o, peggio, in salotto o in camera da letto.
Tutto questo solo perché esistiamo.
Tutto questo soltanto perché ci difendiamo.

Abbiamo dovuto assistere a manifestazioni oceaniche di odio a Londra, Parigi, Amsterdam, Malmoe, Praga, Berlino, Washington, New York. Abbiamo visto bruciare la nostra bandiera, abbiamo sentito slogan indegni "ebrei ai forni, ebrei al gas, fuori gli ebrei dall'Europa, ebrei nazisti, Israele è Palestina, e il solito slogan vecchio di anni "From the River to the See Palestine should be free".
Abbiamo visto sinagoghe prese a bombe molotov, cimiteri violati, rabbini picchiati, scuolabus di bambini ebrei assaliti al grido "Heil Hitler, tutti gli ebrei a morte".
Tutto questo perché esistiamo.
Tutto questo perché ci difendiamo.

Assistiamo a scritte antisemite sui muri di Roma Capitale, a Livorno nessuno riesce a convincere il sindaco 5 Stelle a togliere da un palazzo accanto al Municipio uno striscione antisemita che dice "Fermare il genocidio, Israele vero terrorista".
In tutta Italia e nel mondo il movimento antisemita BDS imperversa imponendo boicottaggi in perfetto stile di propaganda nazista.
Attori famosi che firmano documenti di odio contro Israele, persino calciatori tra un calcio al pallone e l'altro.... Imam che predicano di ammazzare tutti gli ebrei... contateli uno a uno e ammazzateli tutti....
Un sedicente filosofo italiano che dichiara di voler ammazzare tutti i bastardi sionisti e nessuno lo denuncia.
Tutto questo perché esistiamo.
Tutto questo perché ci difendiamo.

Un odio inconsulto, feroce e prettamente antisemita poiché nessun altro paese al mondo che sia in guerra, e Israele lo è suo malgrado, provoca reazione alcuna da parte dell'Occidente. A nessuno interessa dei morti delle decine di guerre, più di 70, che insanguinano il mondo, a meno che non siano palestinesi e a nessuno fregherebbe niente nemmeno dei palestinesi se la loro controparte non fossero gli ebrei e Israele.
In Iraq vengono eliminati dagli islamisti popoli e religioni e non si vedono manifestazioni di sorta nelle strade d'Europa. Nessuna marcia pacifista per i cristiani che vengono trucidati.
Di fronte a tutto questo ci si sente nudi, ci si sente impotenti, fisicamente siamo in balia di gentaglia palestinese che, se Israele cessasse di esistere, esulterebbe urlando Allahu Achbar e simultaneamente siamo colpiti al cuore da altra gentaglia occidentale, che, se accadesse, fingerebbe sorpresa e indignazione fregandosi le mani.
E' a questo punto che noi israeliani ci rendiamo conto, col cuore gonfio di riconoscenza, che abbiamo un conforto, un aiuto enorme nell'amore per Israele dei nostri amici. Centinaia, migliaia di messaggi di solidarietà sul web, amici che, senza averle programmate, vengono a passare le vacanze in Israele per starci vicini e condividere la paura e la preoccupazione, altri che ci scrivono per offrirci ospitalità all'estero, c'è chi rischia la propria incolumità per difendere Israele dalle calunnie di chi ci odia.
A tutte queste persone non è abbastanza dire grazie.
Loro rispondono che i ringraziamenti non servono a chi ama, che l'unico ringraziamento è vedere come in Israele si sappia sorridere comunque, anche sotto i missili, anche dopo guerre e terrorismo. E' vedere come sappiamo trovare il coraggio per andare avanti, sempre, colla profonda convinzione che Israele esiste e esisterà nonostante tutto.
Il padre di Hadar Goldin lo ha detto fra le lacrime ai funerali del figlio, ucciso in battaglia: "La sua morte non farà morire la gioia nella nostra famiglia, lui vivrà con noi sempre".
Forse è questo che fa grande Israele, forse è questo coraggio e questa gioia di vivere che ci fanno amare da chi ha un'anima e che ci fanno odiare da chi ha solo veleno da sputare .
Solo perché esistiamo.
Solo perché ci difendiamo.


(Inviato dall'autrice, 10 agosto 2014)


Roma e lo sfregio ai negozi ebrei. L'antisionismo si salda all'antisemitismo

Le sortite dell'odio sui negozi degli ebrei

di Pierluigi Battista

Faranno finta di non rapire anche stavolta? Si ostineranno a leggere le schifezze antisemite che anche ieri hanno imbrattato i negozi degli ebrei romani come il residuo demenziale di minoranze condannate dalla storia, teste vuote e rasate di chi gioca al neonazismo per riesumare simbolicamente un passato di orrore? Si firmano come estremisti di destra, ma vogliono imporre il boicottaggio delle merci israeliane secondo i desideri della sinistra accecata dal pregiudizio e nutrita di sconsiderato odio antisionista.
   Sono la prova della oramai avvenuta simbiosi tra antisemitismo e aggressività antisionista. Si fanno scudo della polemica contro gli ebrei di Israele per prendersela con gli ebrei sparsi nel mondo. E a Roma, in particolare.
   Gli ebrei di Roma lo sanno già. Sanno già che chi negli anni scorsi ha circondato il Ghetto di Roma con slogan bellicosi non erano i soliti, luridi antisemiti di una volta, ma nuovi odiatori dell'ebraismo ribattezzato pudicamente «sionismo». Conoscono già il volto degli assassini del piccolo Stefano Gay Taché, trucidato nel 1982 davanti alla Sinagoga romana. Sanno già che l'oltraggio al quartiere che il 16 ottobre del '43 fu il palcoscenico del rastrellamento degli ebrei romani, deportati ad Auschwitz, senza ritorno, non ha fermato la mano di chi deturpa con scritte anti-Israele la memoria storica di una ferita che a Roma non si rimarginerà mai. Sanno già che il boicottaggio delle merci israeliane, promosso da organizzazioni che stanno in silenzio di fronte alle stragi apocalittiche di cui si rendono responsabili regimi che hanno fatto del verbo antisionista la loro bandiera, si salda con un linguaggio oramai pericolosamente vicino all'antisemitismo classico. Sanno che gli sciocchi professori che in Occidente propongono il boicottaggio dei ricercatori israeliani ammantano con il virtuoso linguaggio dell'umanitarismo il loro odio osceno per gli ebrei.
   Chi ha scritto quegli slogan sui negozi degli ebrei romani purtroppo sa, oggi, di godere di una considerazione insperata nei decenni passati. Sa che l'antisionismo ha sdoganato l'antisemitismo sotto altre forme e ha rotto un tabù sinora intangibile nel ricordo della Shoah. Sa che la rituale disapprovazione pubblica per questi gesti eviterà di guardare in faccia la realtà, di avvolgerla in una nebbia indistinta, di capire chi sono oggi i veri nemici degli ebrei e qual è il linguaggio ambiguo e velenoso di cui fanno uso. In tutta Europa. E, come sempre, a Roma.

(Corriere della Sera, 10 agosto 2014)


Anni '30? No, Roma 2014. Si torna alle liste contro i negozi di ebrei

La vignetta di Carlos Latuff
Roma, piazza Bologna. In tutta la zona, fino al quartiere africano, manifesti firmati Militia, un'organizzazione di estrema destra, segnalano un elenco di negozi da boicottare e catene commerciali e aziende, perché di ebrei. E naturalmente, anche il codice a barre che contrassegna i prodotti israeliani. Sembra di essere tornati agli anni Trenta. Naturalmente c'è una enorme differenza: allora l'antisemitismo era di Stato, oggi i responsabili sono ricercati e saranno perseguiti.
Ma vorremmo soffermarci su un aspetto della vicenda. La vignetta che accompagna l'invito al boicottaggio "per fermare il massacro del popolo palestinese" è di Carlos Latuff, un disegnatore brasiliano, di origine libanese, specializzato in satira politica. I suoi lavori sono improntati all'anticapitalismo, pacifismo e antimilitarismo. È molto conosciuto per le sue vignette sul conflitto israelo-palestinese e, più recentemente, sulla Primavera araba.
È un'icona della sinistra, le sue immagini dal segno grafico inconfondibile sono utilizzate in tutte le campagne anti-israeliane delle organizzazioni propal dell'arcipelago rosso.
L'utilizzo della vignetta di Latuff nei manifesti affissi a Roma è solo l'ultimo esempio di quella saldatura ormai evidente tra antisemiti e anti-israeliani di estrema destra, di estrema sinistra e immigrati arabo-magrebini che dilaga oggi in Europa, in particolare in Francia, in Belgio, in Germania. Saldatura che non si è nascosta negli attacchi alle sinagoghe di Parigi, dove arabi con la kefiah marciavano fianco a fianco con teste rasate, le croci celtiche tatuate sulle braccia.
In una intervista rilasciata a Marina Gersony per il Bollettino/Mosaico (in uscita a fine agosto), Georges Bensoussan, storico francese autore di saggi fondamentali sull'antisemitismo e la Shaoh, afferma: "È evidente che quando Israele difende i suoi cittadini dai missili, l'antisemitismo si ripresenta ogni volta in modo estremamente violento. Va però precisato che l'antisemitismo ha origini diverse: una è dell'estrema destra europea che si approfitta della popolazione araba per esprimersi liberamente. E poi c'è un antisemitismo di ultrasinistra che, celandosi dietro le critiche della politica governativa israeliana, nega in realtà il diritto dello Stato ebraico ad esistere".

(Mosaico - Comunità Ebraica di Milano, 10 agosto 2014)


L'inno di Hamas contro Israele, in ebraico

Sta avendo un inatteso successo tra i giovani israeliani una canzone prodotta e ora tradotta piuttosto goffamente da Hamas: dovrebbe "terrorizzare" ma in tanti la trovano ridicola.
Di questa canzone abbiamo già parlato un paio di giorni fa sul nostro sito . Abbiamo anche riportato diverse parodie israeliane di quella canzone.


Un giornalista di Tablet Magazine, una rivista online di arte e cultura ebraica, si è occupato di una canzone che sta avendo ampia diffusione e successo tra i giovani israeliani: si tratta di una specie di inno alla guerra contro Israele prodotto e diffuso da Hamas già nel 2012, ma riproposto solo di recente in una versione in lingua ebraica. La canzone - una specie di pop mediorientale - si intitola "Kum, Aseh Piguim", che tradotto in italiano sarebbe "Forza, fate attacchi terroristici", e fa da sottofondo musicale a un video su YouTube che mostra diverse scene di miliziani che lanciano razzi, oltre che di passati attentati contro Israele, intervallate periodicamente da una scritta a caratteri cubitali: "Morte a Israele". I giovani israeliani sembrano ritenerla piuttosto ridicola.
   Secondo il giornalista di Tablet, Yoram Hazony, le ragioni dall'inatteso successo della canzone tra i giovani israeliani sono diverse. Prima cosa, la canzone appare piuttosto ridicola per via della pronuncia dell'ebraico con un marcato accento arabo, ai limiti dell'incomprensibilità. Hazony ha scritto: «In parte questo è dovuto al fatto che gli autori della canzone non sono in grado di pronunciare tutte le lettere dell'alfabeto ebraico. E così una parola fondamentale della canzone tipo 'piguim' (la parola ebraica per 'attacchi terroristici') diventa 'biguim', che non significa assolutamente niente in ebraico». Per rendere l'idea in inglese, Hazony dice che è come se "terror attacks" diventasse "terror aggacks".
   Ciononostante alcune parole sono facilmente comprensibili a un primo ascolto: il testo della canzone contiene frasi come "eliminate tutti i sionisti", "date fuoco alle basi e ai soldati", "demolite Israele dalle fondamenta", "trasformate il loro mondo in scene di terrore", "li cacceremo e resteremo noi", e altre frasi del genere. Il video, spiega Hazony, era stato inizialmente caricato nei primi giorni di luglio sul canale ufficiale YouTube dei miliziani di Hamas. Poi però era stato subito rimosso: da allora ha cominciato a circolare su decine di altri account. La versione originale in lingua araba, del 2012, aveva già ottenuto milioni di visualizzazioni tramite diversi account su cui era caricato il video.
   Hazony fa notare che, malgrado la goffaggine della traduzione e la mediocrità del prodotto finale, quel video mostra comunque scene di attacchi terroristici degli ultimi quindici anni, dolorosamente familiari agli israeliani meno giovani. Molti dei ragazzi che invece ridono di questa canzone, o la utilizzano come suoneria per il cellulare, hanno oggi una percezione diversa della guerra tra Hamas e Israele, spiega Hazony, grazie soprattutto a sistemi di difesa come "Iron Dome" che fanno apparire Hamas molto più debole di quanto sia. Alcuni dei ragazzi con cui Hazony ha parlato gli hanno inoltre detto che quella canzone ha successo perché mostra esattamente "la differenza tra noi e loro".

(Post, 10 agosto 2014)


"Israele non negozierà sotto il fuoco nemico"

 
Vivere sotto il fuoco nemico
Hamas ha fatto saltare la tregua e ha lanciato contro Israele nella giornata di venerdì almeno 60 razzi e colpi di mortaio. Usa e Onu hanno condannato la ripresa dei lanci di razzi palestinesi. Colpita una casa a Sderot; abbattuti due razzi dal sistema anti-missile "Cupola di ferro" sopra Beer Sheva. In seguito agli attacchi di Hamas, Israele ha ripreso le operazioni aeree contro obiettivi terroristici nella striscia di Gaza. Il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri ha affermato che Hamas ha respinto la proroga del cessate il fuoco perché non sono state accettate le sue condizioni, ma che intende continuare a negoziare contemporaneamente alla ripresa delle ostilità. Un alto rappresentante israeliano ha chiarito che "Israele non negozierà sotto il fuoco nemico", ed ha aggiunto: "Continueremo le azioni anti-terrorismo fino a quando Hamas non ci segnalerà, attraverso i mediatori egiziani, che è disposta a tornare sul serio al tavolo delle trattative".

(israele.net, 9 agosto 2014)


La scelta suicida dei padroni di Gaza

Hamas torna alla guerra perché non sopravviverebbe a questa pace

Dopo un mese di martellamento subìto nella Striscia di Gaza, senz'altra opzione che una risposta debole fatta di razzi finiti fuori bersaglio o distrutti in volo e di tunnel scoperti e distrutti, Hamas rifiuta la tregua con Israele. Sembrava che questo round di guerra dovesse chiudersi qui. Invece il gruppo armato palestinese che controlla Gaza ha ripreso il lancio di razzi, e Israele ha risposto alla rottura della tregua con i bombardamenti - in misura limitata rispetto alle ultime settimane. Per capire la scelta suicida di Hamas, che vuole continuare una guerra da cui può soltanto uscire ancor più devastato, c'è una sola spiegazione: la pace sarebbe ancor più devastante. Soprattutto questa pace, con gli egiziani determinati a garantire che il movimento non riesca a recuperare le forze, come un tempo faceva dopo ogni operazione israeliana.
Colpiva in un pezzo del Wall Street Journal di due giorni fa la notizia che sono stati gli israeliani a chiedere al governo del Cairo di allentare un po' la stretta al confine sud della Striscia e di far passare i feriti. I tempi non sono più quelli del presidente e fratello musulmano Mohammed Morsi, che mandava i suoi ministri in visita negli ospedali di Gaza. E' verosimile che questa volta Hamas sia costretto a mendicare un po' di libertà di movimento, pena l'irrimediabile incapacità di armarsi di nuovo e di governare (non per nulla ha accettato poco tempo fa di fare pace con l'Autorità palestinese di Ramallah, per ricevere un po' di aiuti finanziari). Hamas non può sopravvivere alla pace in queste condizioni. E allora torna a fare quello che sa fare meglio: la guerra con i razzi. I palestinesi sopporteranno?

(Il Foglio, 9 agosto 2014)


Quell'odio anti ebraico che infiamma l'Europa

Esplode l'antisemitismo: dalla Germania all'Italia si moltiplicano i casi di odio. Quattromila ebrei in fuga da Parigi.

di Andrea Indini

"Per gli ebrei sono i tempi peggiori dall'era del nazismo". Dalle pagine del britannico Guardian, il presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Dieter Graumann, rinnova la denuncia sull'ondata di antisemitismo esplosa in Europa con gli scontri a Gaza facendo un riferimento esplicito all'olocausto.
   Il paragone non sfugge in Germania, e finisce sui siti delle principali testate, che lo riportano senza commento. La denuncia non è nuova. Charlotte Knobloch, numero uno della comunità ebraica di Monaco,
 
Charlotte Knobloch, Presidente del Consiglio centrale ebraico in Germania, ha invitato gli ebrei a non rendersi riconoscibili come tali.
è arrivata ad invitare gli ebrei a non rendersi riconoscibili come tali. E da giorni lo stesso Graumann ripete che la comunità giudaica ha di nuovo paura, a causa delle molte manifestazioni di odio raccolte in queste settimane. Lo stesso odio che in Francia ha spinto quattromila ebrei all'Aliyah, a tornare in Israele.
   Al quotidiano di Londra, Graumann ha ripetuto che "per strada senti urlare cose come 'gli ebrei dovrebbero essere gasati' e 'gli ebrei dovrebbero essere bruciati' (slogan gridati durante le manifestazione pro-palestinesi, ndr). Non avevamo avuto cose del genere in Germania da decenni. Chi pronuncia queste parole non sta criticando la politica di Israele, questo è puro odio contro gli ebrei: nient'altro". E non è solo un fenomeno tedesco, ma sembra contagiare tutto il Vecchio Continente. Una denuncia che riecheggia quanto ha sostenuto nei giorni scorsi a Berlino. Il riferimento esplicito al nazismo, invece, è un passo in più e definitivo di condanna della reazione che la comunità ebraica ha subito, in molti paesi d'Europa, in concomitanza dell'ultimo scontro sulla Striscia di Gaza.
   Graumann non è certo il solo ad aver preso una posizione forte. Contro l'antisemitismo si sono pronunciati l'Onu, Angela Merkel e Manuel Valls. "Chi attacca un ebreo in quanto ebreo - ha detto nei giorni scorsi il premier francese - attacca la Francia". Ed è proprio nelle banlieu parigine che l'odio antiebraico sta esplodendo. È qui che i giovani di origine arabo-musulmana venerano il comico Dieudonné, che col gesto della quenelle ha costruito un successo cavalcando il rancore delle comunità islamiche, e l'ex militante del Partito comunista Alain Soral che teorizza una Francia black-blanc-beur contro il "pericolo sionista". È qui che l'associazione Egalite et Réconciliation organizzerà fra qualche giorno campi di addestramento nella foresta di Fontainbleau, alle porte di Parigi, per insegnare la guerriglia ai militanti pro Palestina. Ed è sempre qui che durante la manifestazione "Jour de colère" si scandisce lo slogan "Morte gli ebrei". "L'indifferenza della società civile sulla questione dell'antisemitismo preoccupa a lungo termine gli ebrei di Francia - spiega il direttore dell'Agenzia ebraica francese, Ariel Handel - in Israele sono più preoccupati per noi che per loro, nonostante lì ci sia la guerra, perché almeno hanno un esercito che li protegge". Da gennaio almeno quattromila ebrei hanno abbandonato la Francia. E, stando al report dell'Agenzia ebraica, altri 25mila sarebbero pronti a partire per Israele.
   In Germania le manifestazioni anti-israeliane delle scorse settimana sono state l'occasione di portare in piazza slogan razzisti. C'è poi stato l'attacco incendiario notturno a una sinagoga, quella di Wuppertal: tre molotov sono state lanciate contro l'ingresso. Subito dopo sono stati arrestati un diciottenne, che ha detto di essere palestinese, e un profugo siriano. In Francia le sinagoghe attaccate sono state addirittura otto. In Italia sono state denunciate svastiche sulle vetrine dei negozi di commercianti ebrei. Su numerosi muri di Roma sono stati affissi manifesti firmati "Vita est militia" che invitano a boicottare i "prodotti di Israele" ed elencano un cinquantina di attività della Capitale. In Olanda la principale associazione che combatte l'antisemitismo, Cidi, ha ricevuto una settantina di telefonate di allarme in una settimana. E in Belgio una donna è stata allontanata da un negozio con le parole: "Al momento non vendiamo agli ebrei". È accaduto altre volte che, con l'esplosione della violenza a Gaza, le comunità ebraiche abbiano subito atti di intimidazione e agguati. Ma quello che si registra in questi giorni è un fenomeno che sembra avere una portata diversa. "Non stanno gridando a morte gli israeliani, stanno gridando a morte gli ebrei", ha sottolineato il presidente della comunità ebraica francese Crif Roger Cokiermana. Che conclude: "In Europa il conflitto di Gaza sta respirando nuova vita in un demone molto vecchio e orrendo".

(il Giornale, 9 agosto 2014)


La tragica direttiva d'Israele

"Annibale" e l'angoscia di un paese che non lascia indietro soldati.

Si chiama "direttiva Annibale", dal nome del generale cartaginese. E' l'ordine che nessun ufficiale israeliano vorrebbe mai dare. Se ne parla, in un balletto di smentite e illazioni, dalla fine degli anni Ottanta. E' la procedura israeliana da seguire quando un militare viene catturato. Prevede di usare tutta la potenza militare perché non venga portato via, sparando sul commando in fuga, senza preoccuparsi per l'ostaggio. In questo caso l'ostaggio era Hadar Goldin, all'inizio considerato nelle mani di Hamas a Gaza, poi dichiarato morto. Ieri il New York Times, raccogliendo le dichiarazioni di ufficiali israeliani, ha avanzato l'ipotesi che Goldin sia rimasto ucciso in una "direttiva Annibale", assieme a settanta palestinesi. Non si capisce questo assurdo senza l'isteria e la tragedia che Israele ha vissuto con il caso Gilad Shalit.
Mille terroristi, assassini di israeliani, furono rilasciati per il caporale. Un paese nello sconforto. Per milioni di israeliani ed ebrei nel mondo, Gilad era uno dei primi pensieri del mattino. Dal 1982 a oggi, settemila terroristi arabi sono stati liberati per avere diciannove israeliani. Settemila a diciannove. In Israele ci sono novecento monumenti di guerra, uno ogni diciassette soldati caduti rispetto all'Europa che ne ha uno ogni diecimila. Ma in Israele c'è n'è neanche un monumento al milite ignoto. Ci sono tombe sul Monte Herzl persino senza corpi, ma con già il nome e la placca. In attesa che li riportino "a casa". Ecco l'assurdo e la grandezza malinconica di un paese che onora la vita fino all'estremo ed è pronto a tutto, anche ad "Annibale". Morti o vivi, nessun soldato resta indietro.

(Il Foglio, 9 agosto 2014)


"Boicotta Israele". A Roma spuntano manifesti contro i negozi dei commercianti ebrei

Sui poster anche un elenco di 50 attività commerciali da contrastare. Indaga la Digos. Marino: "Gesti compiuti da teste vuote inaccettabile schiaffo a dignità e valori".

Che cos’è questo? Antisionismo o antisemitismo? Dov’è la differenza?
Altre immagini
Manifesti contro i negozi di commercianti ebrei di Roma per invitare al boicottaggio 'dei prodotti di Israele' firmati 'Vita est militia" sono comparsi all'alba di oggi sui muri di alcuni quartieri della Capitale, in particolare in viale Libia.
"Boicotta Israele - c'è scritto sui manifesti - contribuisci a fermare il massacro del popolo palestinese. Bisogna boicottare ogni tipo di prodotto e commerciante ebraico". Sul poster segue poi una sorta di "black list" che mette all'indice una cinquantina di attività commerciali.
Sul caso indaga la Digos. Mentre il sindaco Ignazio Marino ha dichiarato: "Sono stati immediatamente rimossi dalle squadre di Ama, coordinati dal Pronto Intervento Centro Storico (Pics), i manifesti apparsi ieri notte. Ama è ancora impegnata nelle rimozioni, seguendo le segnalazioni, perché i sedicenti 'Vita est militia', che hanno firmato i manifesti, ne affiggono in continuazione. Il linguaggio utilizzato riporta alla mente le liste di proscrizione antiebraiche del nazifascismo".
"La Capitale d' Italia, medaglia d'oro alla Resistenza, si schiera a fianco dei commercianti presi di mira - ha proseguito il primo cittadino - Roma considera questi gesti compiuti da teste vuote un inaccettabile schiaffo alla dignità e ai valori di tutte le romane e i romani. Gli autori di questi gravissimi atti devono essere identificati, arrestati e severamente condannati".
Un paio di settimane fa sui muri della città erano apparse svastiche, scritte e volantini di odio razziale. Ieri tre persone legate alle organizzazioni dell'estrema destra capitolina sono state indagate e le loro abitazioni perquisite.

(la Repubblica, 9 agosto 2014)


Perché questo Papa è così timido con gli attacchi dell'islam

La chiesa continua a ignorare il legame tra i paciosi ulema del dialogo interreligioso e i mitra del califfato

di Carlo Panella

ROMA - Non stupisce la timidezza di Papa Francesco a fronte della sanguinaria marea montante del Califfato. E' coerente con mezzo secolo e più di equivoci ed errori della chiesa, e delle chiese, nei confronti del mondo musulmano. Un fraintendimento radicale dal doppio volto, politico e teologico. E quel che più stupisce e pesa è di sicuro il secondo.
   Lungo 50 anni di dialogo interreligioso infatti, la chiesa ha deciso di ignorare il profondo legame teologico che unisce i paciosi ulema dei suoi tanti convivi interconfessionali - in primis i sauditi - ai feroci miliziani dello Stato islamico di oggi. Legame che ha un doppio riferimento, non a caso mai citato: Mithaq e Corano increato.
Prima ancora della sua nascita, l'uomo è già monoteista. Nasce musulmano per natura, affermano la tradizione e i teologi. Di conseguenza, l'infedeltà al monoteismo è vista come uno spergiuro.
Il primo, il "patto primordiale", ha un effetto devastante perché stabilisce che l'islam è la religione naturale dell'uomo. Nessun mistero della Fede, nessun libero arbitrio, nessuna "scelta". Si nasce musulmani e monoteisti, ma genitori cristiani ed ebrei fanno deviare dalla Fede connaturata. Il Corano predica il monoteismo non soltanto come tradizione primordiale dell'umanità, ma come radicato nella pre-eternità dell'uomo per volontà indiscutibile di Allah. Prima ancora della sua nascita, l'uomo è già monoteista. Nasce musulmano per natura, affermano la tradizione e i teologi. Di conseguenza, l'infedeltà al monoteismo è vista come uno spergiuro. E idolatri e da combattere con la spada sono i cultori dei santi cristiani, dei 12 imam sciiti e del fuoco zoroastriano degli yazidi. Questo è il legame profondo che unisce il jihadista dello Stato islamico, che crocifigge cristiani, a Hassan al Turabi, il teologo sudanese che fece impiccare Mohammed Taha per apostasia e che fu portato dalla Curia a stringere la mano di Papa Wojtyla. Un legame che unifica la teologia del Califfato osceno dello Stato islamico a quella del confinante regno saudita e wahabita, dove vieni arrestato se solo porti al collo un crocefisso ed è proibita ogni manifestazione di fede cristiana.
   Ma non basta se si intreccia il "patto primordiale" con il secondo dogma fondante del Corano increato è ben arduo convincere il miliziano del Califfato a scegliere più dolci maniere. Questo secondo dogma - di cui mai né Hans Küng, né il cardinale Martini, né i teologi di Sant'Egidio si sono occupati o preoccupati, non a caso - comporta la proibizione assoluta a qualsiasi esegesi del Libro. Questo perché, essendo incarnazione, materializzazione eterna del Verbo (quasi fosse il Cristo) il Corano preesiste all'uomo e vivrà oltre la Fine del Tempo. Conseguenza ovvia Ratisbona. Fede e ragione non possono contemperarsi perché la seconda non può commettere il peccato luciferino di interpretare il Verbo. Dunque se il Corano definisce gli ebrei "porci e scimmie", così è. Se il Corano accusa ebrei e cristiani di "avere tradito il Libro e ucciso i Profeti", così è e vanno puniti in eterno.
   Questa rozza teologia, in spregio ad Averroè, è stata elaborata nel XIII secolo da Ibn Taymmyya, a chiusura autocastrante della civiltà islamica dei secoli precedenti, ed è oggi egemone in tutto il mondo sunnita, non solo in quello wahabita. Ma mai, mai, è stata affrontata, discussa, presa in considerazione dalla chiesa nelle sue devastanti, possibili ricadute e conseguenze.
   I miliziani del Califfato si incaricano ora di spiegarla e dispiegarla al mondo, in quella che concepiscono come una dovuta lotta all'idolatria di cristiani, sciiti e yazidi.
   Ma la chiesa - e lo stesso Pontefice - si trovano oggi disarmati davanti alle sciabole del Califfato anche a causa di una spessa tradizione di opportunismo politico che emerse con dolorosa evidenza alla luce
Questa rozza teologia musulmana non è mai stata affrontata, discussa, presa in considerazione dalla chiesa nelle sue devastanti, possibili ricadute e conseguenze.
quando la Curia arrivò a dissociarsi di fatto e ipocritamente dal suo stesso Pontefice dopo Ratisbona. Le ragioni di questo opportunismo curiale erano e sono tante: la protezione delle minoranze cristiane sino al 2011 in qualche modo cooptate dai regimi; in alcuni casi, come in quello siriano, la piena complicità dei vertici della gerarchia locale e dei dirigenti della comunità cristiana con i regimi, anche quelli più feroci (si ricordi il ruolo di Tareq Aziz, il Beria cristiano di Saddam Hussein); il solido legame nelle votazioni sui temi etici nelle istanze internazionali e infine l'inerziale consuetudine. Su tutto, dopo la posizione di Giovanni XXIII sulla guerra d'Algeria, un'alea di pacato anti imperialismo che intravedeva nell'identità islamica una forza vitale di giustizia nel mondo. Infine, ma non per ultimo, il retaggio di un anti giudaismo, difficile da superare, che sullo "scandalo" dell'esistenza dello stato degli ebrei riemergeva e riemerge.

- Quando il Vaticano si schiera
  Francesco Cossiga ricordava un dispaccio del 1947 di Roncalli, nunzio a Istanbul, in prossimità del cruciale voto all'Onu sulla nascita di Israele, in cui il futuro "Papa buono" considerava "non opportuno" che l'ebraismo potesse contare sul baricentro di uno stato. Pregiudizio e diffidenza che hanno segnato la dura scelta del Vaticano di non associarsi a tutte le nazioni del mondo e di schierarsi con quelle islamiche, non riconoscendo Israele come stato con cui stringere relazioni diplomatiche sino al 30 dicembre 1993, dopo gli accordi di Oslo. Di fatto, la chiesa ha subordinato alle sciagurate scelte di Yasser Arafat i tempi del suo riconoscimento formale dello stato di Israele.
   Di fatto, la chiesa, non conosce l'islam, quello vero, praticato, di oggi. Non vuole conoscerlo perché sarebbe costretta a decisioni devastanti. In primis, quella della "guerra giusta". Un dramma che priva l'occidente di una guida indispensabile. E lascia i cristiani d'oriente nudi e indifesi di fronte al martirio.

(Il Foglio, 9 agosto 2014)


La chiesa cattolica "naviga". La sua direzione vaticana ha come programma principale quello di mantenere la barca a galla, in una posizione di centrale visibilità. Ci dispiace per gli amici cattolici, tra cui conosciamo diverse persone in buona fede che non abbiamo intenzione di offendere, ma ribadiamo il netto contrasto che esiste tra questa multinazionale religiosa e il Gesù degli scritti sacri in cui abbiamo creduto. M.C.


I nemici principali di Israele
  • Nemico n.1: Ban Ki-moon
  • Nemico n.2: Barack Obama
  • Nemico n.3: Unione Europea
Tutti gli altri nemici, ivi compresi stati arabi, salafiti, wahabiti e altre varietà di islamisti arrabbiati sarebbero facilmente gestibili da Israele se non ci fossero i tre nemici principali elencati sopra.




 


Un video di France 24 mostra i lanci dei missili di Hamas da zone residenziali

di Riccardo Ghezzi

L'emittente francese France24, che certo non può essere accusata di inculcare propaganda filo-sionista, si aggiunge alle fonti che mostrano come i trampolini di lancio dei razzi lanciati da Hamas siano situati in aree civili densamente popolate. Il video che pubblichiamo è del corrispondete da Gaza di France24, Gallagher Fenwick. L'area che Hamas utilizza come trampolino di lancio si trova in questo caso nei pressi di un edificio Onu. Trasformando aree civili in fortezze terroriste, Hamas automaticamente mette a rischio l'incolumità di uomini, donne e bambini che si trovano nei pressi di quelle zone, destinate a diventare un ovvio bersaglio della controffensiva israeliana

Vi è in effetti una forte correlazione tra le mappe dei servizi segreti israeliani e quelle dell'Onu che mostrano i danni causati dai bombardamenti israeliani: i luoghi che sono stati presi di mira erano senza ombra di dubbio basi terroristiche, le cui ubicazioni sono state scelte non a caso a scopo propagandistico da Hamas.
L'immagine, diffusa dall'IDF ma attendibile in considerazione anche del video di cui sopra, è eloquente.

(Qelsi, 8 agosto 2014)


Israele: No a negoziati finché verranno lanciati razzi da Gaza

Hamas è responsabile della ripresa delle ostilità.

Israele non negoziera' sotto le bombe, e continuera' a fare tutto il necessario per proteggere i propri cittadini pur sforzandosi di non colpire gli abitanti di Gaza hanno spiegato le fonti, che hanno scaricato su Hamas la responsabilita' della ripresa dei combattimenti: Hamas e' responsabile dei danni causati alla popolazione di Gaza, di cui si serve come scudi umani e a cui impedisce l'accesso agli aiuti umanitari. Il cessate il fuoco di 72 ore non e' stato prorogato - come chiesto dalle Nazioni Unite per poter fornire gli aiuti necessari alla popolazione di Gaza - per la mancanza di un accordo fra le delegazioni israeliana e palestinese riunitesi giovedi' al Cairo per negoziare una nuova tregua.

(ASCA, 8 agosto 2014)


Ai terroristi di Hamas non interessa niente del bene della popolazione palestinese. Continuano ad insegnare che chi muore adesso sta meglio di chi continua a vivere, quindi non devono preoccuparsi delle bombe di Israele. I terroristi di Hamas sono coerenti nei loro criminali propositi ideologici, ma sono criminalmente stolti quelli che li appoggiano dicendo di volere il bene dei palestinesi. Chissà se un giorno arriveranno a vergognarsene. M.C.


Roma - Presi gli autori delle scritte, grazie alle forze dell'ordine

"La Comunità Ebraica di Roma plaude al lavoro delle forze dell'ordine che hanno individuato i presunti responsabili dell'ondata di scritte antisemite nella Capitale. Il Questore di Roma, Massimo Maria Mazza, mi ha chiamato poche ore fa per comunicarmi la notizia e ho avuto modo di ringraziarlo personalmente per il lavoro svolto. Un ringraziamento speciale va anche al Capo della Polizia, Alessandro Pansa, che ha fatto visita alla Comunità Ebraica pochi giorni fa, per l'attenzione che ha dedicato a fenomeni criminosi e di stampo antisemita e razzista, come del resto ha fatto il Ministro dell'Interno Angelino Alfano. In queste settimane di forte tensione le Istituzioni e le forze di sicurezza sono state sempre presenti. La speranza è che le persone indagate per le scritte che istigano all'odio razziale siano ora processate al più presto dalla giustizia italiana".
Lo dichiara in una nota il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.

(Comunità Ebraica di Roma, 8 agosto 2014)


Savoca. Nessuna Sinagoga, e la stella di David incisa sul blocco di pietra sarebbe un falso

Lo scetticismo del capo della Comunità ebraica in Sicilia

SAVOCA - Assume i connotati di una ''bufala'', perché sarebbe priva di ogni fondamento la notizia secondo cui il ''pezzo di pietra'' con incisa la stella di David era da attribuire alla presenza di una Sinagoga. Lo si è capito oggi in occasione della visita a Savoca di esperti di giudaismo. E che le cose starebbero in questi termini, c'è da registrare lo scetticismo manifestato del prof. Stefano Di Mauro, rabbino e capo della comunità ebraica in Sicilia", che ha visionato il blocco di pietra. Di Mauro, dunque, pur ricorrendo alla parola della diplomazia, è stato oltremodo esplicito. E chi ha voluto intendere l'ha capito fin troppo bene. In buona sostanza, a Savoca non ci sarebbe mai stata presenza ebraica o sinagoga. Di tanto in tanto vengono tirate fuori storie che non hanno nessun fondamento. E, infatti, non è la prima volta perché a Savoca già negli anni scorsi si era detto con ostinazione che c'erano tracce di una antichissima comunità ebraica. Qualche mese fa, il rilancio della notizia a ''tutti i costi'', che adesso è stata messa in discussione direttamente dagli esperti di giudaismo. Quel pezzo di pietra con la stella di David non sarebbe altro che un falso, nel senso che l'incisione risalirebbe in epoca recente e che, quindi, non ha nulla a che vedere con la storia ebraica.

(Tele90, 8 agosto 2014)


Le notizie su questa stella di David si accavallano e si contraddicono. Sarà interessante alla fine venire a conoscere la risposta definitiva.


La tregua è finita: razzi da Gaza verso Israele

Riprese i raid israeliani sulla Striscia: migliaia di palestinesi in fuga dalle proprie abitazioni.

La tregua umanitaria di 72 ore è finita e sono già riprese le ostilità tra israeliani e palestinesi. Il sito Haaretz ha riferito che almeno 20 missili sono già stati lanciati da Gaza verso Israele, subito dopo la fine del cessate il fuoco alle otto ora locale. Non sono stati segnalati al momento vittime o danni, hanno fatto sapere da twitter, fonti dell'esercito di Tel Aviv.

- Ripresi i raid sulla Striscia.
  Le forze armate israeliane hanno risposto al lancio dei missili, allo scadere della tregua, riprendendo i i raid aerei sulla Striscia di Gaza. Ad annunciarlo è stato un un portavoce dell'esercito, citato dal sito di Haaretz.

- Palestinesi in fuga da Gaza.
  Migliaia di palestinesi, già prima della fine della tregua, avevano cominciato a lasciato le proprie case nelle zone a est di Gaza, per timore di nuove operazioni israeliane. In fuga, tante donne e bambini. Migliaia di persone sono fuggite da Shujayya, dal quartiere di Zaytoun, dal distretto di Tuffah, dalla zona di Johr Ad Dik, dal campo rifugiati di al-Bureij. Tante famiglie, stando a quanto riportano i media locali, stanno lasciando Gaza a bordo di macchine e carretti diretti verso le zone centrali, considerate più sicure.

(globalist, 8 agosto 2014)


Sinagoga di Savoca: yes, it is. La conferma dal rabbino in visita

di Giuseppe Puglisi

SAVOCA (ME) - "Sì, è una sinagoga", conferma ufficiale più autorevole non poteva venire che da una commissione di esperti in arte e storia giudaica - organizzata dall'Archeoclub area jonica del presidente Mimmo Costa - saliti ieri fino a Savoca per visitare i ruderi di quella che sin dal 1997, grazie ad una intuizione del direttore del locale museo, Santo Lombardo, era stata indicato come luogo di culto dei giudei della Valle d'Agrò. L'autorevolezza della conferma è venuta dal rabbino Yitzhak Ben Avraham, 69 anni, fondatore della sinagoga di Siracusa, giunto a Savoca con una nutrita delegazione di studiosi autorevoli quali il prof. Ignazio Vecchio, docente presso l'Università di Catania e segretario della "Federazione delle Comunità Ebraiche del Mediterraneo", del dott. Gabriele Spagna, segretario della Comunità Ebraica di Siracusa, della prof.ssa Cristina Tornali, presidente dell'AIN Onlus - Associazione Italiana Neurodisabiliche ospita gli uffici di Rappresentanza Ebraica "U.R.E. Shalom"di Catania e di Giardini Naxos, del prof. Umberto Garro, direttore del giornale on line "Kolot News",del avv. Silvio Aliffi, presidente dell'Associazione di Amicizia Sicilia-Malta e dall'arch. Piero Arrigo, storico ricercatore della Storia e Cultura Ebraica Siciliana, che venti anni fa (1997) effettuò il primo sopralluogo nella sinagoga di Savoca, appena scoperta. L'interesse della comunità giudaica siciliana si è rinnovato in seguito alla scoperta all'interno della sinagoga di un frammento di pietra con incisa la stella di Davide, che era stata murata all'interno di un muro divisorio costruito quando la sinagoga venne abbandonata per l'editto del re spagnolo che bandì gli ebrei dal suo regno. Il muro è parzialmente crollato qualche mese fa e la "Stella di Davide" è ritornata alla luce. Il rabbino ha preso visione della pietra ed in un primo momento l'ha bollata come un falso. Colpa di chi l'aveva raschiata per pulirla. Poi in un angolo si è scoperta l'autenticità del reperto. La visita all'edificio che sulla circonvallazione accanto alla chiesa di S.Michele doveva essere una sinagoga ha fugato gli ultimi dubbi. Sul frontespizio (pericolosamente inclinato), all'interno del rudere ormai diroccato, sono stati rinvenuti segnali che per il rabbino ed il suo pool di esperti hanno un significato importante. E così aduno dei suoi collaboratori ha fatto estrarre da una custodia lo shofar, un corno di montone, che gli ebrei suonano durante alcune cerimonie religiose, e soffiandovi con quel (poco) fiato che aveva, ha fatto risuonare la sua "voce", poi ha recitato una preghiera nella lingua dei padri. Era la conferma che per loro, gli ebrei, quello che stavano calpestando, era un luogo sacro.
Tornando alle cose terrene, l'architetto Piero Arrigo ha lanciato un segnale di allarme: "quell'arco - indicando quello da dove si era staccata la pietra con la stella di Davide - non sopravvivrà all'inverno, il muro esterno è pericolosamente inclinato, la struttura deve essere messa in sicurezza e liberata dai detriti e dalle sterpaglie che la infestano". Più o meno lo stesso discorso che aveva fatto nel 1997, rimasto inascoltato. Ieri era presente una dei germani Smiroldo (sono quattro) proprietari dell'immobile. Ora spetta al comune di Savoca muoversi. Già…

(Gazzetta Jonica, 8 agosto 2014)


La pigrizia mentale filopalestinese

Caro Granzotto,
è ammirevole la sua insistenza nell'inquadrare razionalmente e storicamente l'attuale conflitto fra Israele e Hamas sulla striscia di Gaza. Speriamo che serva a qualcosa. Nell'albergo dove villeggio il maltempo costringe a lunghe conversazioni e se l'argomento è Gaza tutti ripetono: «Sì però i bambini, lo strapotere militare di Israele, i palestinesi confinati nella Striscia...».
Santino Bolla


Questo il mainstream, caro Bolla: la corrente di pensiero «di massa», alimentato da stampa, televisione, social network e àmbiti più o meno intellettuali. E c'è poco da fare perché il presupposto del mainstream è la pigrizia mentale, il supino accogliere senza beneficio di inventario idee, congetture e pregiudizi. Che hanno supporto negli interventi e risoluzioni dell'Onu, ove numericamente primeggiano i regimi islamici, le satrapie del terzo mondo, gli ipocritamente non allineati. E il conforto dalle pubbliche ostilità anti sioniste (boicottaggio accademico di Israele, supermercati che sabotano prodotti israeliani, organizzazione dei diritti umani che vedono solo violati da Israele e mai dai palestinesi, sempre e comunque martiri). Nel mainstream, faccio un esempio, il jihadismo terrorista di Hamas a Gaza sfuma nella genericità palestinese, e dunque della vittima, del perseguitato, del «profugo» senza terra. Muove all'indignazione per le condizioni miserevoli in cui Gaza giace per colpa del blocco senza prendere in considerazione, faccio un altro esempio, che i soli tunnel - scavati per scopi terroristici - sono costati più di 150 milioni di dollari, attinti e cioè sottratti agli aiuti umanitari. Afferma l'idea, insomma, che la presenza di Israele sia un sopruso e che gli inermi palestinesi siano ostaggio del colonialismo sionista implacabile e brutale. Combattere il pregiudizio, caro Bolla, è impresa disperata. Ragione non sufficiente, tuttavia, per rinunciarvi.

(il Giornale, 8 agosto 2014)


Gli elementi costitutivi del mainstream sono tre: ignoranza storica, pigrizia mentale, antipatia per gli ebrei. Il più decisivo è l’ultimo. In ogni caso, la compresenza di questi tre elementi genera un composto psicologico che costituisce una corazza assolutamente impermeabile ad ogni tentativo di intrusione logico-razionale che potrebbe far vacillare la propensione filopalestinese di chi segue questa corrente. Inutile quindi insistere. Chi, nonostante tutto, si ostina a farlo, mette a rischio il suo proprio equilibrio psico-mentale. M.C.


Eccesso di legittima difesa?

Dalla "Posta prioritaria" di Mario Giordano su Libero

Caro Giordano,
sono costernato per la risposta al lettore Pezzoni a proposito del conflitto arabo-israeliano. Appare infatti sorprendente l'esempio riportato a sostegno della tesi dell'eccesso di legittima difesa. L'esempio corretto dovrebbe essere il seguente: il suo vicino non prende a calci i suoi figli, ma proclama la necessità di sterminare lei e tutta la sua famiglia. Tanto per passare il tempo le buttano qualche bomba nel giardino, poi scavano un tunnel, sbucano all'improvviso e un figlio lo ammazzano e l'altro lo rapiscono. Lei cosa fa allora? Cerca di dare un pugno all'aggressore? Chiama la polizia, cioè, fuor di metafora, l'Onu? Questa sarebbe la riposta proporzionale? Israele potrebbe distruggere tutta la striscia di Gaza per eliminare Hamas, non lo fa, ma per ridurre le vittime civili sacrifica la vita dei suoi giovani soldati per limitarsi scovare i tunnel ed i depositi di missili e distruggerli. Deve tuttavia rispondere al fuoco nemico e se si spara da una scuola o da un ospedale, la risposta non può che essere diretta verso il nemico, anche se questo ha scoperto che più morti civili provoca, più potrà far conto sulla mal diretta pietà dell'Occidente. Ad ogni modo, come riconosce Libero, «la guerra non è vinta», dunque la legittima difesa non è stata eccessiva, ma inferiore alla necessità. Quale dunque avrebbe dovuto essere la difesa per essere efficace senza essere eccessiva? Come mai nessuno lo dice? Ammesso che la tregua tenga, Hamas ricomincerà a comprare missili ed a scavare gallerie riconvertendo a fini criminali gli «aiuti umanitari» offerti ciecamente anche dalle libere democrazie occidentali. Fra qualche lustro Israele dovrà tornare a combattere per la sua esistenza e non dovrà perdere mai. Se perderà anche una sola volta sarà la sua fine. Nel caso degli ebrei non vi sarebbe nemmeno la schiavitù, come a Babilonia, in Egitto o a Roma quando furono vinti da popoli che non conoscevano l'odio razziale. In questo caso chi non vuole che Israele si difenda come meglio può, e certamente con minor forza di quanta potrebbe esercitare, consapevolmente o meno, auspica un nuovo Olocausto.
Alessandro Finzi- Viterbo

(Libero, 8 agosto 2014)



Livorno, lo striscione anti-Israele che il sindaco non vuole rimuovere

«Genocidio». Proteste della comunità ebraica e dell'ambasciata. In consiglio comunale si è discusso su due mozioni M5S per un gemellaggio con Gaza.

di Marco Gasperetti

Ma naturalmente per la sinistra questo non è antisemitismo
LIVORNO - Uno striscione da stadio appare ad Effetto Venezia, la festa estiva di Livorno. Lo appendono il 25 luglio alle pareti di un palazzo non lontano dal municipio e dopo 14 giorni è ancora lì tra le proteste della comunità israelitica, una delle più importanti d'Italia. Il motivo? La scritta, riportata in lettere cubitali rosse, nere e verdi una frase che è un pesantissimo atto d'accusa: «Fermare il genocidio a Gaza. Israele vero terrorista». L'hanno affissa alcuni gruppi della sinistra antagonista. Gli ebrei livornesi chiedono di rimuoverlo, anche con raccomandate inviate al sindaco, ma non succede nulla. E allora è l'ambasciatore d'Israele in Italia, Naor Gilon a scrivere al primo cittadino di Livorno, il pentastellato Filippo Nogarin, ingegnere aerospaziale, ecologista convinto già simpatizzante di Democrazia proletaria. Provocando un caso nazionale.
  «Mi duole rispondere a simili attacchi - scrive tra l'altro l'ambasciatore Gilon - perché sono parte di una grave e pericolosa disinformazione, spesso fondata sull'odio verso Israele. A Gaza, signor Sindaco, non è in atto alcun genocidio. Purtroppo, questo è vero, è in atto un conflitto nel quale Israele è stato trascinato da Hamas, una organizzazione terrorista che deliberatamente ha lanciato sinora oltre duemila missili contro la popolazione civile israeliana». Il governo israeliano, scrive Gilon, ha cercato ogni soluzione per evitare la guerra. Per questo, Israele ha accettato ogni proposta di tregua arrivata da partner internazionali, in primis quella proposta dall'Egitto. «Hamas, al contrario, ha rifiutato ogni apertura, cercando volontariamente lo scontro armato per meri fini materiali e politici». E ancora, l'ambasciatore sottolinea che «Israele non combatte certo contro i Palestinesi, ma contro una organizzazione terrorista», e cerca di ridurre al minimo il numero delle perdite civili. Israele difende «se stesso e il diritto inalienabile della sua popolazione di vivere in pace e sicurezza. Solo a tal fine, Israele si confronta con una organizzazione criminale, riconosciuta come terrorista da tutto l'Occidente, che non nutre alcuna forma di pietà non solo nei confronti del nemico, ma verso i suoi stessi cittadini, non importa se questi sono bambini o donne».
  « Una lettera che suscita nuove polemiche e nuove richieste di rimuovere lo striscione. Il sindaco Nogarin ammette che lo striscione è esagerato ma allo stesso tempo nega ogni attacco antisemita. «E' una critica pesante a uno Stato, non agli ebrei». Poi Nogarin si incontra con i rappresentanti della comunità ebraica livornese. L'incontro è cordiale e alla fine si annuncia un comunicato congiunto che però tarda ad arrivare. Ieri, in consiglio comunale, poi si è discusso su due mozioni M5S per gemellare Livorno con Gaza e rafforzare quello già in vigore con Bat Yam.
  «E intanto lo striscione che dà del terrorista a Israele fino a ieri era ancora lì, all'ingresso del centro storico della città. Ci saranno nuovi incontri a Livorno oggi e domani. Ma l'impressione è che tra comunità ebraica e Comune si sia creata una frattura.

(Corriere della Sera, 8 agosto 2014)


Chi appoggia Hamas ha le mani sporche di sangue palestinese

Chi appoggia Hamas, che siano media, pacivendoli, grandi organizzazioni, ONG o governi, sono responsabili delle morti di civili almeno quanto lo sono terroristi palestinesi. Questo deve essere chiaro, perché se Hamas, ormai al limite del collasso, non avesse visto nell'appoggio internazionale occidentale (ma non arabo) una pezza d'appoggio, a quest'ora si starebbe trattando su quanto lunga doveva essere la tregua e sulle modalità di uscita di Hamas da Gaza. Invece siamo ancora qui a parlare di guerra e degli immancabili morti civili....

(Right Reporters, 8 agosto 2014)


Il Califfato ora si allarga fino al Mediterraneo

Obama valuta un intervento aereo. Ma il tempo stringe: l'Isis avanza senza ostcoli

di Fiamma Nirenstein

Sarebbe ora che si cominciasse a realizzare che il Medio Oriente è tutto un campo di battaglia in cui il Califfato combatte duramente, uccide, vince, si espande; in cui i civili non esistono se non come vittime, pedine; in cui il fanatismo islamista si paluda di esecuzioni di massa, teste tagliate, crocifissioni, si veste di nero, celebra i martiri, ostenta kalashnikov e missili, ignora la pietà che abbiamo fatto tanta fatica, nei secoli, a conquistare, costruisce una muraglia fra musulmani da una parte e ebrei e cristiani dall'altra.
   Il Califfato Mondiale nelle ultime 24 ore ha messo in fuga un centinaio di migliaia di cristiani in Irak dalla città di Qaraqosh, a nord; i poveretti fuggono senza scarpe col pensiero di crocifissioni e torture. È un'antica area cristiana che non credeva di doversi trovare con la fronte per terra davanti alle tre imposizioni islamiche: convertiti, paga le tasse o muori. Negli ultimi giorni l'Isis ha conquistato a Mosul la maggiore diga idroelettrica del Paese.
   I curdi avevano avvertito che non ce l'avrebbero fatta a mantenere il confine da soli, senza rinforzi. Naturalmente non li hanno ricevuti. Almeno 40mila dei loro civili sono dovuti fuggire, mentre i loro santuari vengono distrutti. Il governo di al Maliki non accetta neppure l'assistenza dell'Onu con pacchi lanciati da aerei. Gli Usa solo ora, finalmente, valutano la possibilità di bombardamenti aerei, ma nessuno che cerchi di contrastare l'avanzata dello Stato islamico riceve solidarietà, seria attenzione. E del resto ieri, mentre anche il presidente francese Hollande si dichiarava pronto a fornire sostegno alle forze impegnate contro le milizie jihadiste, dalla Casa Bianca arrivava la precisazione per cui «ogni eventuale azione militare sarà limitata nei suoi obiettivi», perché «alla crisi in Irak serve una soluzione politica».
   Dall'Irak alla Siria al Libano, fin sul Mediterraneo, si espandono i sunniti estremi, siano Al Qaida, Jabat al Nusra, Isis o Hamas.
   In Siria, anche se Assad, così come gli Hezbollah in Libano, non è meno odioso dei suoi nemici, i terroristi di Jabat al Nusra hanno attaccato l'ultima roccaforte dell'esercito a Raqqa. Lo Stato Islamico trova pane per i suoi denti soltanto quando si confronta con l'Egitto nel Sinai, e quando Hamas deve affrontare Israele: l'Egitto ha distrutto prima di Israele le gallerie provenienti da Gaza nel suo territorio, ha affrontato la Fratellanza Musulmana, ha ucciso Shadi al Manijeh, capo di Ansar Beith Miqdas, organizzazione legata allo Stato Islamico. Israele si è battuto con determinazione, e se Hamas oggi non rinnoverà la tregua seguiterà a farlo con dispendio di forze e di vite, ma nella consapevolezza che Hamas fa parte di un letale, grandissimo piano.

(il Giornale, 8 agosto 2014)


Il terrorismo cinematografico di Hamas diventa oggetto di svago in Israele

Poco dopo l'inizio dell'operazione Margine Protettivo, i terroristi di Hamas hanno diffuso un video con una canzone che invita gli arabi palestinesi a compiere attacchi terroristici. La clip ha come titolo "Attack! Carry Out Terror Strikes" ed è in ebraico perché avrebbe dovuto servire a impaurire e demoralizzare gli israeliani. E' successo invece che gli israeliani hanno trovato interessante la melodia e hanno gareggiato a chi trova la parodia più divertente. Insomma, la terrorizzante clip palestinese è diventata una "summer it" in Israele.
Riportiamo la clip originale e accanto una delle tante parodie israeliane.

(tratto da Aretz Israel, agosto 2014)


Antisemitismo: basta la protesta di un grande attore?

di Paolo Pillitteri

È furioso, ha detto proprio così, il bravissimo Jon Voight nei confronti dei suoi colleghi attori, famosi non meno di lui, come Javier Bardem e Penelope Cruz scatenati contro Israele impegnato a Gaza in una drammatica sfida al terrorismo di Hamas. Lo siamo anche noi, furiosi, per le sue stesse ragioni.
   Ma Jon Voight sapeva di rivolgersi, furiosamente appunto, nei confronti di un ampio settore di opinione pubblica di cui alcuni fra gli attori più conosciuti finiscono col diventare un simbolo, assumono un ruolo che assomma alla popolarità cinematografica la invettiva violenta creando un corto circuito nell'opinione pubblica. La quale, già frastornata dal fuoco di sbarramento antisraeliano di una stampa e di non pochi opinion maker progressisti, fa molta fatica a scorgere le buone ragioni di Netanyahu per eliminare tunnel e missili di cui Hamas si serve. Il mondo è scioccato per le morti innocenti, e pure noi, giacché il bombardamento di un asilo è un atto inconcepibile e i bambini uccisi gridano vendetta. Vero, verissimo.
   Ma se dietro, a fianco, sotto quell'asilo innocente sono stati scavati apposta tunnel per basi che lanciano missili contro Tel Aviv, le cose cambiano e viene facile dire che Israele difende i suoi con i missili, Hamas
Chi distingue fra antisio- nismo e antisemitismo, come certi progressisti, anche ebrei, compie una mistificazione, una sorta di distinguo che non ha ragioni storiche.
difende i missili con i suoi. Tornando all'attore Jon Voight, di genitori slovacchi e dunque non ebrei, come invece lo sono quelli di molti altri attori e registi hollywoodiani (come vedremo), sembra che le sue parole lucidamente veementi nella difesa del sacrosanto diritto di Israele a difendersi da un Hamas che ha nel suo statuto la distruzione dell'unico Paese profondamente democratico nel Medio Oriente, ci riportino a tempi lontani, nelle pagine delle guerre del secolo scorso, alla vigilia della Seconda guerra mondiale quando diversi attori del cinema alzarono la loro voce fino a farla sentire alla Germania nazista, all'Hitler che stava invadendo la Polonia dopo essersi "mangiato" i suddetti con la complicità di Stalin.
   Era lo stesso Hitler, non a caso molto amato dalla suprema autorità musulmana di allora che aveva attuato la pulizia etnica antiebraica in Germania, donde l'esilio negli Usa di ebrei nati e cresciuti in Germania costretti a lasciarla dalla furia annientatrice nazista. Bastino, per tutti, quei due geni del cinema come Billy Wilder, austriaco e reporter a Berlino e Otto Preminger, regista di "Tempesta su Washington" e di "Exodus". L'olocausto arriverà di lì a qualche anno. Ed è proprio dall'olocausto di un popolo senza nazione che si rafforza lo spirito del sionismo dei padri fondatori, l'anelito alla propria patria, lo stesso che animò il nostro Risorgimento quando Alessandro Manzoni cantava affranto "un popol disperso che nome non ha".
   La nascita di Israele conclude un risorgimento segnato indelebilmente dalla strage di sei milioni di innocenti, colpevoli unicamente di essere ebrei. E chi distingue fra antisionismo e antisemitismo, come certi progressisti, anche ebrei, compie una mistificazione, una sorta di distinguo che non ha ragioni storiche. Non a caso il fondamentalismo islamico punta i suoi missili contro i sionisti di Gerusalemme applicando le teorie dell'antisemitismo segnato, appunto, dalla distruzione di Israele, di una Nazione che già sulla carta geografica "islamica" non esiste.
   Basterà l'appello di un grande attore, che ha impersonato Papa Giovanni Paolo II in una bella fiction nostrana, e che aveva trionfato, giovanissimo, in "Un uomo da marciapiede" con Dustin Hoffman, grande attore di genitori ebrei emigrati dall'Ucraina? A proposito di attori di Hollywood, vale la pena ricordare qui come molti di loro, vivi o scomparsi, siano figli di padre o madre di religione ebraica, pur con cognomi "nuovi", diciamo nomi d'arte. Come Douglas, Kirk padre e Michael figlio, cognome vero Demski, o come Woody Allen, cognome Konigsberg, e il fantastico Fred Astaire, cognome Austerlitz, e Bob Dylan - Zimmerman, Mel Brooks - Kaminsky, l'indimenticabile Jerry Lewis - Levitch, lo strepitoso Walter Matthau, dall'impronunciabile Mattaschanskayasky, e la splendida Lauren Bacall, di cognome Perske, cugina prima di Shimon Peres. Altri hanno conservato il cognome originario, come la Scarlett Johansson lanciata da Allen e un'altra icona hollywoodiana, Paul Newman, eccezionale in "Exodus", la prima pellicola di grande successo che fece conoscere al pubblico mondiale l'epopea della nascita di Israele.
   Ha fatto bene Voight a lanciare il suo grido d'allarme, lui che di ebraico ha soltanto, ma non è poco, la consuetudine dei genitori a emigrare. Servirà, lo speriamo, non solo per gli ambienti radical chic così radicati in un certo cinema, ma in un diffuso politically correct della mainstream press, dove è cresciuta "la nube tossica dell'antisionismo antisemita travestito da pacifismo umanitario e trattativismo".

(L'Opinione, 7 agosto 2014)


La tregua passa dal Cairo

"Il popolo di Gaza non è il nostro nemico. Il nostro nemico è Hamas; il nostro nemico sono le organizzazioni terroristiche che cercano di uccidere il nostro popolo. La tragedia di Gaza è di essere controllata da Hamas, un gruppo terrorista, fanatico e tiranno che è soddisfatto se ci sono vittime civili". Ha puntato il dito contro Hamas, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel suo discorso ufficiale di ieri in cui ha voluto fare i complimenti all'esercito per come ha condotto l'operazione Margine Protettivo. Dall'inizio di quest'ultima è passato un mese e ora al Cairo si tratta per una tregua tra le parti del conflitto, con Israele resosi disponibile ad estendere il cessate il fuoco temporaneo di 72 ore -iniziato martedì scorso - per ulteriori 72. Al sì israeliano, che garantirebbe a Gaza la possibilità di portare avanti le operazioni di recupero dei feriti, Hamas ha risposto picche, minacciando di riprendere il lancio di razzi contro le città israeliane. Prova a mostrare i muscoli il movimento terroristico che controlla la Striscia ma la risposta è arrivata pronta dai vertici della politica israeliana. "L'esercito è pronto e preparato, l'aviazione è pronta e preparata. A qualsiasi lancio di razzi risponderemo duramente", il commento del ministro dell'Economia Yair Lapid. "Non ci mettano alla prova", l'avviso del ministro a Hamas. Ora dovrebbe essere il turno della diplomazia e non della violenza e sembra che Israele abbia fatto un'ulteriore apertura nei confronti dei vicini palestinesi: indiscrezioni riportate dal Times of Israel parlano infatti di una sospensione del blocco navale sulla Striscia.
Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha intanto espresso questa mattina il proprio apprezzamento per le ultime iniziative del segretario di Stato americano John Kerry, intervenuto ieri alle Nazioni Unite per scongiurare l'ennesima risoluzione anti-Israele.
Continua ad essere molto alta l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sui fatti del Medio Oriente. Qualche numero: dall'inizio del conflitto si sono accreditati in Israele 705 nuovi giornalisti (42 i paesi rappresentati). Nel novembre del 2012, in occasione dell'ultima crisi con Gaza, erano stati poco più di trecento.

(moked, 7 agosto 2014)


Israele: sondaggio, a Gaza obiettivi bellici raggiunti solo parzialmente
   
di Luca Pistone

Un'alta percentuale di israeliani, il 56 per cento, ritiene che l'offensiva a Gaza abbia raggiunto solo parzialmente gli obiettivi fissati dal governo, come la distruzione dei tunnel delle milizie palestinesi.
Lo rivela un sondaggio dell'istituto Dialog pubblicato ieri dal quotidiano israeliano Haaretz, secondo cui poco più della metà degli intervistati si dice poco "impressionato" dalle dichiarazioni trionfaliste dell'esecutivo di Benjamín Netanyahu.
Nella sua edizione digitale Haaretz riporta che secondo gli intervistati la parola più adatta per riassumere il risultato di questo conflitto è "pareggio". Così, il 51 per cento sostiene che nessuna della due parti, Israele e le fazioni armate a Gaza guidate da Hamas, ha vinto.
Sebbene siano una minoranza quelli che vedono nell'operazione "Soglia protettiva" una chiara vittoria per Israele, una schiacciante maggioranza continua a mostrare il suo sostegno a Netanyahu, il ministro della Difesa, Moshe Ya'alon, e il capo delle forze armate, il generale Beny Gantz.
Netanyahu e Ya'alonhanno ricevuto il 77 per cento di consensi positivi e Gantz l'83 per cento.
Tuttavia, sono numerosi quelli che vorrebbero che Israele riprenda al più presto i negoziati con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas.

(Atlas, 7 agosto 2014)


Sydney - Aggrediscono bambini urlando "Morte agli ebrei"

Cinque adolescenti sono stati fermati dalla polizia

SYDNEY - Un gruppo di bambini che viaggiava su un pullman che trasporta gli alunni di una scuola ebraica è stato attaccato da alcuni adolescenti che sono saliti sul veicolo. I giovani hanno minacciato i bambini, di età compresa tra i 5 e 12 anni, urlando frasi come "Morte agli ebrei", "Heil Hitler" e "Liberate la Palestina".
I genitori, dichiarano i media australiani, hanno trovato i piccoli in lacrime. "Mia figlia ha paura in continuazione" dichiara una madre. La polizia ha nel frattempo fermato cinque degli otto giovani ritenuti responsabili dell'aggressione. Un rappresentante dell'associazione ebraica del Nuovo Galles del sud, la zona dove è avvenuto l'episodio, afferma che d'ora in avanti agenti di sicurezza viaggeranno a bordo di questi autobus scolastici.

(tio - Il Portale del Ticino, 7 agosto 2014)


I soldati ragazzini di Israele

Dai banchi del liceo alla Striscia di Gaza. Con le foto sul web.

di Aldo Baquis

La rivista delle forze armate «Bamahanè» le ha dedicato la copertina. E la sergente Noam, avrà 19-20 anni. Appare seduta di notte su un tronco di albero, con l'uniforme da combattimento impolverata e il fucile M-16 sulle ginocchia. Ostenta un volto ottimista e un sorriso da pubblicità di dentifricio. E' un'infermiera della brigata 401. Quando il suo carro armato è entrato a Gaza «avevo la tremarella, non ho smesso di pregare. Ma avevamo fatto tanti preparativi, ho compreso che quello era il nostro compito». Gli
L'arma segreta di Israele non sono tanto le sofisti- cate batterie Iron Dome di difesa dai razzi, quanto i giovani che ancora ieri erano al liceo o in disco- teca e che oggi sono chia- mati a manovrarle per proteggere le metropoli di Israele.
altri militari della compagnia «erano determinati a difendere lo Stato di Israele, mi hanno dato forza». La brigata 401 è stata impegnata in scontri ravvicinati con combattenti palestinesi nel nord della Striscia. Le minacce principali sono stati i razzi anticarro, i tunnel, gli ordigni esplosivi sul terreno. Sulla pagina Facebook del giornale i messaggi di ammirazione verso questa soldatessa sono oltre 200. Chi la conosce dice che è schiva, che è l'orgoglio della famiglia. Viene mostrata in un'altra foto — non più in posa per la rivista militare — un po' impacciata dentro al cinturone da combattimento, con l'M-16 a tracolla e un sacchetto di patatine in mano. Non lascia dubbi: non è l'eroina di un film di guerra, ma pare semmai «la figlia dei vicini di casa».
  In queste settimane gli israeliani hanno fatto conoscenza ravvicinata con alcune decine di ufficiali e di soldati caduti in guerra. Sui giornali si sono lette di loro biografie succinte e le circostanze della morte. Di loro è stata menzionata la grande abnegazione, la comprensione profonda per essere stati chiamati a combattere in difesa di città e villaggi del Neghev, in un confronto imposto a Israele da un movimento aggressivo legato all'Islam radicale. Alle esequie dell'ufficiale Hadar Goldin, i genitori hanno detto che «sognava di correggere questo mondo sempre in guerra»; che era «delicato» quando studiava la Bibbia, disegnava o cantava; ma «si induriva quando doveva comandare la sua unità». Ricordava, ha detto il suo comandante, il biblico re David che sapeva utilizzare con la stessa perizia la spada e la cetra. L'arma segreta di Israele non sono tanto le sofisticate batterie Iron Dome di difesa dai razzi, quanto i giovani che ancora ieri erano al liceo o in discoteca e che oggi sono chiamati a manovrarle per proteggere le metropoli di Israele. Per i ragazzi sono tre anni di leva obbligatoria, per le ragazze due.
 
  La preparazione al servizio militare inizia negli ultimi anni di liceo, quando vengono fatte le selezioni attitudinali. Nei mesi precedenti il recutamento, si svolgono primi incontri con le future unità e si cerca di stabilire la effettiva idoneità delle reclute. Spesso vengono offerte loro alcune scelte. Da parte loro la disponibilità è elevata: secondo dati ufficiali, nel reclutamento del marzo 2014 il 74 per cento ha chiesto di essere inquadrati in unità combattenti. «Tzahal» (acronimo dell'esercito israeliano) è ancora oggi, malgrado la profonda evoluzione della società israeliana, un «esercito di popolo». Fra i volontari nelle unità scelte spiccano spesso i marginali della società (i nuovi immigrati russi o etiopi, i giovani sefarditi cresciuti in rioni proletari), che vedono nel servizio militare un'occasione per farsi valere e per ottenere così il biglietto di ingresso nel cuore della società israeliana. Egualmente per le ragazze il servizio militare rappresenta un'occasione di emancipazione sociale. Per i giovani cresciuti nelle strutture educative nazional-religiose si aggiunge un fattore ideologico: occupano un numero crescente fra i comandanti delle unità combattenti e — essendo abituati a guidare di persona i loro soldati — hanno avuto a Gaza perdite superiori al loro peso specifico nella popolazione. Si propongono — ormai è chiaro — come la futura leadership del Paese. Già oggi un partito loro vicino, Focolare ebraico, fa parte del governo.
  Nei tre anni di leva (specialmente se rafforzati da esperienze di combattimento) si creano vincoli di amicizia e di solidarietà destinati a durare una vita. I riservisti possono essere richiamati, specialmente nelle unità combattenti, anche per un mese l'anno. In momenti di crisi, come adesso, i richiami sono stati circa 80mila. Con un preavviso di poche ore ragazzi e ragazze hanno dovuto lasciare le famiglie per raggiungere campi di addestramento nel Neghev. Dopo avere ripreso confidenza con le pratiche militari sono stati inviati verso la Striscia di Gaza. Chi abita in Israele è peraltro abituato a queste montagne russe. Un giorno, come la sergente Noam, sei serenamente al pub con gli amici e il giorno dopo ti ritrovi sulla copertina della rivista dell'esercito.

(La Nazione, 7 agosto 2014)


«Barghouthi non è Mandela ma un terrorista confesso»

Lettera dell'Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Zion Evrony, a "Famiglia Cristiana".

L'articolo firmato da Giusy Baioni "Marwan Barghouthi, il Mandela palestinese" del 20 luglio su Famiglia cristiana.it si basa su informazioni false e inaccurate. Marwan Barghouthi non è paragonabile con Nelson Mandela.
   Nelson Mandela credeva nella non violenza, Marwan Barghouthi, invece, è stato condannato per attività terroristiche ed è diretto responsabile dell'uccisione di civili israeliani innocenti. Al contrario di quanto
Barghouthi si è reso direttamente responsabile di molte azioni violente contro civili israeliani, ordinandole o finanziandole.
scritto nell'articolo di Baioni, nelle carceri israeliane di massima sicurezza nessun prigioniero è morto per le torture. I diritti dei prigionieri palestinesi vengono rispettati, sono garantite le visite dei famigliari, e molti di loro si laureano durante la prigionia. Leggendo il vostro articolo si è indotti a pensare che Marwan Barghouthi e tutti gli altri prigionieri palestinesi, oggi detenuti nelle carceri israeliane, siano uomini di pace e innocenti di ogni crimine. La maggior parte di questi prigionieri, in realtà, sono terroristi o hanno collaborato con terroristi che hanno causato la morte di oltre 1.100 civili israeliani, donne e bambini inclusi, e il ferimento di circa 6.000 civili durante l'intifada dal 2000 al 2005. In questo arco di tempo sono state effettuate migliaia di azioni terroristiche, inclusi 144 attacchi suicidi, in luoghi densamente popolati nel cuore delle città israeliane.
   Barghouthi si è reso direttamente responsabile di molte azioni violente contro civili israeliani, ordinandole o finanziandole. Marwan Barghouthi, arrestato dall'esercito israeliano nel 2004, ha ammesso più volte di aver appoggiato atti di terrorismo contro soldati e civili israeliani, donne e bambini inclusi. Barghouthi ha anche esplicitamente affermato: «Uno Stato dovrebbe costituirsi autonomamente e parte di questo processo è costituito dallo spargimento di sangue». Israele vuole la pace con i suoi vicini palestinesi, come ha fatto con l'Egitto e la Giordania, invece siamo costretti a vivere sotto la costante minaccia dei missili e dei razzi provenienti da Gaza. Quando abbiamo lasciato la striscia di Gaza nel 2005, invece di sviluppare la loro economia e società, questi territori sono diventati un centro dell'attività terroristica di Hamas, il cui scopo principale è la distruzione di Israele.
   In passato, per la pace, Israele ha fatto grandi compromessi ed è pronto a farne in futuro. La soluzione è semplice: dividere la terra secondo il principio "due Stati per due popoli". Israele, patria e Stato nazionale del popolo ebraico, e il futuro Stato palestinese come patria del popolo palestinese.
Zion Evrony

(Famiglia Cristiana, 7 agosto 2014)


Gorizia - Tracciate scritte antisemite all'ingresso della sinagoga

Subito ripulite. Indaga la polizia. Contenevano minacce di morte agli ebrei.

 
La scritta ingiuriosa sulla Sinagoga di Gorizia
Una scritta ingiuriosa e minacciosa a pennarello rosso. È quanto un vandalo ignoto ha lasciato martedì sull'ingresso della Sinagoga di via Ascoli, a Gorizia, alzando anche in città la tensione sulla questione israelo-palestinese piuttosto alta anche nel nostro Paese in queste settimane drammatiche a Gaza. Nei giorni scorsi l'Imam di San Donà di Piave, poi espulso, aveva incitato allo sterminio degli ebrei, e in via Ascoli pensano che forse proprio per spirito d'emulazione qualcuno ha deciso di lanciare un messaggio simile anche a Gorizia. Martedì pomeriggio l'addetto all'apertura della sinagoga ha notato sulla colonna che divide i due portoni d'accesso una scritta a pennarello rosso, vergata in un inglese assai incerto e pieno di errori: ad un insulto agli ebrei, seguiva una chiara minaccia di morte nei confronti del popolo ebraico. Poco sotto, poi, una scritta in arabo, che però ad una prima analisi è parsa fasulla: è possibile che l'autore non conosca la lingua, ma abbia voluto imitare parole e simboli magari trovati su internet. Subito i vertici dell'associazione Amici d'Israele, che gestisce la sinagoga, si sono attivati per informare le forze dell'ordine e sul posto è arrivata anche la polizia scientifica per scattare fotografie e fare tutti i rilievi del caso. Poi, su consiglio degli agenti, la scritta è stata momentaneamente coperta con un manifesto (per evitare casi di emulazione), prima che già nella mattinata di ieri gli addetti del Comune provvedessero a ripulire la colonna. Non è la prima volta che sui muri della città appaiono slogan a sfondo antisemita, ma, dicono dall'associazione Amici di Israele, a memoria non si ricorda di recente un altro caso che ha visto imbrattata addirittura la sinagoga di via Ascoli.
I Radicali goriziani, per mezzo del segretario Michele Migliori, esprimono la propria solidarietà all'associazione Amici d'Israele e ribadiscono il proprio sostegno ad Israele per la pace in medio-oriente. «È assurdo che ancora nel 2014 - afferma Migliori - possano avvenire attacchi simili nei confronti di un simbolo storico, culturale e religioso quale è il Tempio israelitico cittadino. Ancora più grave è che ciò accada in una città tradizionalmente aperta al dialogo, alla convivenza ed alla condivisione tra popoli e culture anche molto distanti tra loro. La Comunità ebraica goriziana».
Da sempre il Partito Radicale si è posto a favore della pace nel nome della democrazia, la quale può essere perseguita solo col raggiungimento della libertà. Conclude Migliori: «Ci congratuliamo col Comune per aver ripulito il muro dalla scritta infamante. Ci auguriamo che atti del genere non si ripropongano mai più e che in futuro possano essere organizzate delle conferenze bipartisan per dare la possibilità alla popolazione isontina di informarsi in maniera indipendente e non faziosa».

(Il Piccolo, 6 agosto 2014)


L'Italia in soccorso del popolo di Gaza

di Cristofaro Sola

Mentre scriviamo un aereo che trasporta generi di prima necessità, destinati alla popolazione della Striscia di Gaza, è in volo per il Medioriente. Il carico umanitario è scortato dal viceministro degli esteri con delega alla cooperazione internazionale, Lapo Pistelli.
   Ci risiamo! Quando bisogna portare qualcosa a qualcuno c'è sempre lui di mezzo. L'uomo che sussurrava ai cammelli. E l'operazione, per quanto lodevole nelle sue finalità, finisce per diventare sospetta.
Vogliamo sperare che, insieme alle penicilline, alle bende e ai sulfamidici, non siano partiti anche pacchi di banconote, con l'intento di recare "ossigeno" al terrorismo.
Comunque, il cargo farà scalo a Tel Aviv dove gli aiuti verranno affidati agli operatori della Nazioni Uniti che, a loro volta, provvederanno a distribuirli, secondo le disposizioni della Farnesina, "alle categorie più vulnerabili della popolazione palestinese: donne, bambini, anziani, che soffrono le conseguenze più gravi del conflitto in corso" . L'ammontare del valore economico dei beni donati è di 350mila euro. Non è tantissimo. Il ministro Mogherini, però, ha fatto sapere che questa spedizione è solo un assaggio di ciò che l'Italia intenderà fare, nell'immediato futuro, per alleviare la sofferente popolazione palestinese. Già due milioni di euro sono stati stanziati per il capitolo degli aiuti d'emergenza a Gaza.
   Ma Federica Mogherini ha deciso di sedersi al tavolo dei "donatori", che verrà allestito a Oslo ai primi di settembre, rilanciando con una fiche di 2,5 milioni di euro da destinare a progetti di forte impatto sociale a beneficio dei palestinesi residenti nella Striscia. Siamo un popolo generoso e oggi ci è data l'occasione di dimostrarlo. Tuttavia, vogliamo sperare che, insieme alle penicilline, alle bende e ai sulfamidici, non siano partiti anche pacchi di banconote, con l'intento di recare "ossigeno" al terrorismo. Non abbiamo alcun elemento per affermarlo. Ma la presenza a bordo dell'immancabile Pistelli qualche dubbio lo fa sorgere. La Mogherini, poi, ha parlato di piani finanziari d'intervento. Avrebbe, però, dovuto subordinare l'erogazione dei fondi al soddisfacimento di alcune "condizionalità". Ma non l'ha fatto.
   È stata una dimenticanza o che altro? L'operazione militare israeliana "protective edge", una volta ultimata, sarà servita a spuntare le unghie a un agguerrito manipolo di criminali assassini. Sarebbe gravissimo scoprire che i danari italiani finissero con il finanziare il riarmo di costoro. I palestinesi di Gaza hanno bisogno di una vita normale dopo essere stati per anni ostaggio e scudo dei "coraggiosi" combattenti della Jihad. E' successo in passato, evitiamo che accada ancora in futuro. La prima delle condizionalità dovrebbe stabilire la completa smilitarizzazione della Striscia di Gaza, a cominciare dalle
Se i civili palestinesi hanno il diritto all'assistenza e al soccorso umanitario, uguale diritto alla sicurez- za e all'incolumità lo hanno i cittadini israeliani.
milizie di Hamas per coinvolgere tutte le formazioni jih?diste oggi in campo. Altra condizione dovrebbe riguardare il divieto assoluto di scavare nuove gallerie che abbiano sbocco in territorio israeliano.
Se i civili palestinesi hanno il diritto all'assistenza e al soccorso umanitario, uguale diritto alla sicurezza e all'incolumità lo hanno i cittadini israeliani. Essi non possono continuare a vivere nell'angoscia che, all'improvviso, possa spuntare dalle viscere della terra una truppa di invasati, pronta a colpire la popolazione civile. Prima di sganciare quattrini sarebbe opportuno assicurarsi che l'Autorità palestinese tornasse al tavolo delle trattative di pace, questa volta con intenzioni serie. Pensassero, i dirigenti dell'Anp a portare a casa il risultato di uno Stato sovrano palestinese, indipendente da quello ebraico. E ringraziassero Allah. La piantassero una buona volta di fare la parte dei pupi siciliani, appesi ai fili del burattinaio di turno che li manovra a proprio piacimento. Che si chiami Iran, Arabia Saudita, Qatar, Egitto o Turchia, sempre di burattinaio si tratta. Che l'Autorità Palestinese pensi di più al benessere del suo popolo e meno a quello delle varie dinastie del petrolio le quali, per non sporcarsi le mani, fanno combattere agli altri le loro guerre di potere.
   Dal Governo Renzi ci aspettiamo un comportamento adeguato al valore dei rapporti di fraterna amicizia che ci legano al popolo israeliano. Ogni diversa azione che contraddica questo sentimento avrà lo stigma del tradimento. L'ennesimo, da quando, in Italia, è la sinistra a dare le carte.

(L'Opinione, 6 agosto 2014)


La guerra invisibile dell'Onu a fianco di Hamas

Dovrebbe essere super partes. Ma a Gaza paga e protegge chi spara su Israele.

di Livio Caputo

Il conflitto di Gaza ha confermato una realtà di cui si parla da tempo, ma che finora non aveva avuto una verifica sul campo: nella Striscia Israele ha dovuto, deve e probabilmente dovrà ancora combattere non soltanto con Hamas, ma anche con l'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite che, con gli anni, si è trasformata in una specie di ministero della sanità, della previdenza sociale e della pubblica istruzione per i palestinesi e che - più o meno coscientemente - è diventata loro complice.
L'Unrwa è ha dato in appalto le sue scuole a Hamas, che le ha trasformate in fucine di odio contro Israele,
Il comportamento dell'organizzazione, nata per assistere i profughi del '48, ma che ora si occupa dei loro nipoti e bisnipoti, riflette del resto l'atteggiamento della stessa Onu, che per bocca del suo segretario generale ha definito il bombardamento di una scuola dell'Unrwa da parte israeliana «un'offesa morale e un gesto criminale», ma si è ben guardato dall'usare simili per il lancio di oltre 3.000 razzi o per il fatto - noto a tutti - che Hamas, per mettersi al riparo dalle bombe, ha stabilito il suo quartier generale nei sotterranei dell'ospedale di Shifa.
   Alcuni incidenti hanno portato alla luce le responsabilità dell'Unrwa. Nel primo, tre soldati israeliani hanno trovato la morte perché, pur di non bombardare un ambulatorio dell'agenzia protetto dalle convenzioni internazionali, vi sono entrati alla ricerca dell'ingresso di uno dei famigerati tunnel e sono saltati per aria su un ordigno esplosivo collocato lì per bloccarli. In un secondo, un alto funzionario dell'Unrwa ha dovuto ammettere che tre delle sue scuole erano state usate da Hamas come depositi di missili, se ne è scusato, ma poi ha restituito gli ordigni ai terroristi. In un terzo, l'Unrwa ha accusato Tsahal di avere bombardato una sua scuola uccidendo 16 bambini, ma ha poi dovuto fare marcia indietro quando è emerso che con ogni probabilità i piccoli erano stati vittime di un razzo mal diretto lanciato dalla stessa Hamas proprio dalle vicinanze dell'edificio.
   La colpa principale dell'Unrwa è di avere dato praticamente in appalto le sue scuole alla organizzazione terroristica, che le ha trasformate in fucine di odio contro Israele, cambiando i libri di testo, esaltando e incoraggiando il martirio degli attentatori suicidi e sottoponendo i ragazzi a un vero e proprio lavaggio del cervello. In un certo senso, la cosa era inevitabile, perché il 90% del personale dell'agenzia, maestri compresi, è palestinese e i funzionari dell'Onu che dovrebbero tenerli sotto controllo sono quasi sempre reclutati tra avversari dello Stato ebraico. Non c'è da stupirsi, perciò, se, nel corso dell'operazione, gli israeliani non abbiano sempre considerato l'Unrwa neutrale, e le sue strutture come legittimi santuari per la popolazione civile. L'agenzia ha anche sempre avallato le cifre delle vittime fornite dai palestinesi, che hanno fatto passare per «civili» tutti i quasi duemila morti del conflitto (mentre da 700 a 800 erano sicuramente combattenti) e accettato che venissero definiti «bambini» anche le decine di adolescenti morti con il mitra in mano.
   L'Onu, dominata dai Paesi del Terzo mondo, è da sempre schierata contro Israele, accusata in innumerevoli «risoluzioni» di ogni genere di crimini e violazioni del diritto internazionale, mentre tace sugli orrori che avvengono in altri Paesi. In una famigerata conferenza a Durban sui diritti umani, sotto il pungolo di «democrazie» come Siria, Libia e Cuba, arrivò perfino ad equiparare il sionismo al razzismo: ma almeno in questo, è stata costretta a fare marcia indietro.

(il Giornale, 6 agosto 2014)


Equivalenza metapolitica: Il mondo sta a Israele come Israele sta al suo Messia




 

Gianluca Pini: Israele difende il suo territorio. Hamas è un pericolo internazionale

«È in atto una tempesta di informazioni il cui obiettivo è bollare Israele come l'aggressore colpevole di popolazioni inermi. Invece, è esattamente il contrario».

- Onorevole Gianluca Pini, lei in questo momento si trova a Gerusalemme, dove ha incontrato il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. A chi giova questa tempesta mediatica contro Israele?
  «A quanti hanno interessi commerciali nell'area mediorientale. La realtà storica, invece, è che Israele già 7 anni fa aveva accettato un arretramento delle sue posizioni difensive in cambio di un serio impegno verso la pace da parte delle autorità palestinesi. E finita che Hamas ha continuato con i suoi attacchi e Israele è stata costretta a difendersi».

- Come ha trovato Gerusalemme?
  «C'è un clima di attesa e tensione, tutti sperano che Hamas rispetti la tregua. Osservo, comunque, che la gente sta vivendo queste giornate con grande dignità e che la città non è in "fiamme" come invece la descrivono molti giornali in Italia, dimenticando quanto di davvero drammatico accade a poca distanza da qui».

- Cioè?
  «Ad esempio, la nostra stampa non dice niente sulle esecuzioni sommarie che quotidianamente vengono eseguite nei Paese arabi».

- La novità di queste ore è che il governo di Benjamin Netanyahu ha aperto a un intervento delle Nazioni Unite. A quali risultati si arriverà?
  «Si tratta di un'apertura storica e molto intelligente. Il governo di Israele da anni ha tentato in tutti i modi di trovare un equilibrio e una convivenza con le popolazioni palestinesi della Striscia e più in generale con quelle arabe che li circondano. Con il coinvolgimento delle Nazioni Unite non ci saranno più alibi: chi romperà la tregua sarà costretta ad assumersi le sue responsabilità. Staremo a vedere se Hamas accetterà questo intervento internazionale».

- Il problema. a suo avviso, resta il fondamentalismo?
  «Hamas è un problema che non riguarda soltanto Israele. Il fondamentalismo islamico si muove secondo traiettorie che nessuno Stato riesce a limitare. Se a livello internazionale non si riesce a comprendere che il problema del fondamentalismo riguarda tutti, non si risolveranno mai le vicende di terrorismo territoriale e internazionale».

- Al momento, sembrerebbe che sulla "vicenda Israele" l'Europa sia latitante e l'Italia addirittura "non pervenuta". Che ne pensa?
  «Che l'Europa non è rappresentata da nessuno e l'Italia di Matteo Renzi dimostra tutta la sua inconcludente goffaggine».

- Se il prossimo ministro degli Esteri dell'Unione Europea sarà Federica Mogherini, ritiene che si faranno passi avanti verso una pace stabile in Medioriente?
  «Ho grossi dubbi. Non tanto in merito alle capacità personali della Mogherini, quanto per una convinta consapevolezza che il Governo Renzi non è in grado di esprimere alcuna politica internazionale. Renzi spera, approfittando del semestre di presidenza europea dell'Italia, di spedire la Mogherini in Europa per liberare una casella nell'Esecutivo italiano e ricollocare un ormai insostenibile Angelino Alfano».

(la Padania, 6 agosto 2014)


«Che ci stai chiedendo Signore? Dove sei? La coscienza non ci dà pace». Lettera da Israele

di Angelica Edna Calò Livne

«Che si deve fare per sbaragliare l'odio antisemita che annebbia i sensi e impedisce di vedere la realtà? Sono qui mio D-o, a tua disposizione»

 
Angelica Edna Calò Livne
È mezzanotte, anche due dei miei figli sono stati reclutati. Si sono trovati i resti del soldato rapito da Hamas e abbiamo assistito a un altro straziante funerale. Sulle porte dei negozi di famiglie ebraiche di Roma si cancellano le svastiche lasciate durante la notte, il commissario per i Diritti umani dell'Onu, Navi Pillay, denuncia gli Stati Uniti per aver sostenuto Israele nella creazione dell'Iron Dome.
I nostri ragazzi stanno cercando di debellare i tunnel interminabili che portano direttamente nel cuore di Israele. Ce ne sono altri di tunnel: dalla Siria al Golan, dal Libano alla Galilea. L'areoporto di Ben Gurion è deserto, anche le spiagge. La gente si riunisce, si parla, ci si chiede: Cosa ci sta chiedendo D-o? In cosa dobbiamo migliorare? Cosa dobbiamo cambiare? In cosa stiamo sbagliando? Perché D-o non manda l'angelo a fermare la nostra mano mentre stiamo per sacrificare i nostri figli? Che dobbiamo fare di più? Abbiamo trasformato una landa deserta in un giardino dove germogliano anche i sassi. La culla del monoteismo è diventata anche la culla delle Muse, della letteratura, della poesia, della danza, del teatro, dell'High Tech.
Abbiamo creato ospedali, università, musei. Che ci stai chiedendo Signore… dove sei? Dove sei? Non ti vedo! Non sento… cosa ci stai chiedendo? La coscienza? Non ci dà pace: le immagini degli innocenti a Gaza che vagano tra le rovine ci inonda il cuore ma la rabbia per le donne velate che inneggiano al martirio, i video degli arsenali di armi nei sotterranei delle moschee, degli ospedali, le entrate nei tunnel della morte che partono dagli armadi delle cucine delle case di famiglie costrette o ben pagate per acconsentirne la costruzione, ci inondano di rabbia e di tristezza. Parliamo lingue differenti. Abbiamo due linguaggi differenti. Siamo differenti.
E non sto parlando dei palestinesi. Sto parlando di Hamas, di Ezzedine al qassam, della Jihad islamica di chi sta progettando da anni la distruzione di Israele. Non sto parlando di tradizioni e cultura, ma di animo, di spirito. Il nostro linguaggio, la mentalità la coscienza dell'Occidente dice: creiamo una famiglia, cerchiamo un lavoro, creiamo uno start up, mettiamo su una fattoria, andiamo in chiesa, andiamo in sinagoga. Il linguaggio del terrorista dice: dobbiamo vincere, dobbiamo comandare, dobbiamo distruggere chi non è come noi. E come si fa con questi?
Vado a dormire… a cercare di dormire con le immagini cruente di un video dei francescani in Terra Santa sui Cristiani perseguitati in Siria e in Irak dopo l'ascesa del califfato. Mons. Gregoire Pierre Malki racconta le tragedie a Mosul, non c'è più una Diocesi. Alle 6:00 del mattino mi sveglio di soprassalto… le sirene… penso di essere a Sasa, nel mio kibbuz: «Ci stanno attaccando dal Libano…», penso… sveglio mio marito. La sirena è assordante… mi giro intorno, non capisco nulla. Mi rendo conto di essere ad Herzliya, da mio padre. «Dove si va? Dov'è il rifugio?». Tre boati enormi sulla nostra testa. Mia sorella a Tel Aviv mi dice che un pezzo di missile è caduto nel parcheggio del suo palazzo.
No, non ho paura. Sto solo cercando di capire come possiamo bloccare la follia. Come possiamo convincere l'Occidente a fermare il terrorismo, come ricordare a tutti l'11 settembre, piazza Fontana e la strage di Bologna. Che si deve fare per sbaragliare l'odio antisemita che annebbia i sensi e impedisce di vedere la realtà? Sono qui mio D-o, a tua disposizione.

(Tempi, 4 agosto 2014)


Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto a chi picchia. E qual è l'uomo fra voi, il quale, se il figlio gli chiede un pane gli dia una pietra? Oppure se gli chiede un pesce gli dia un serpente? Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a coloro che gliele domandano! Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge ed i profeti. Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta ed angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.
dal Vangelo di Matteo, cap. 7







 

Netanyahu si ritira da Gaza e resiste a chi vuole prolungare la guerra

Pressioni politiche per "finire il lavoro" contro Hamas. Negoziati in corso al Cairo per una Striscia demilitarizzata.

di Rolla Scolari

Il generale Sami Turgeman
MILANO - Sono terminati i raid israeliani su Gaza, i lanci di razzi dei gruppi armati palestinesi sul sud d'Israele e i soldati di Tsahal hanno lasciato la Striscia. Una tregua di 72 ore annunciata lunedì sera dall'Egitto è entrata in vigore ieri mattina. Nei momenti prima dell'inizio del cessate il fuoco, bombardamenti israeliani hanno colpito obiettivi nel piccolo territorio costiero e le sirene d'allarme hanno suonato nelle comunità rurali del sud d'Israele, ma anche a Tel Aviv e a Gerusalemme, e razzi di Hamas sono arrivati fino ai territori palestinesi della Cisgiordania. Il comandante del fronte operativo meridionale israeliano, il generale Sami Turgeman, ha detto ai giornalisti che "le truppe restano pronte e preparate sul confine con la Striscia". Nelle ultime settimane, sono stati numerosi i cessate il fuoco finiti dopo poco.
La guerra a Gaza è durata quasi un mese: interi quartieri della Striscia sono stati rasi al suolo dai bombardamenti israeliani, sono quasi 1.900 le vittime palestinesi e 67 quelle israeliane, 64 soldati e tre civili. Per ricostruire Gaza, ha detto il ministro dell'Economia palestinese Mohammed Mustafa al giornale al Ayyam, serviranno almeno sei miliardi di dollari.
   Benjamin Netanyahu e i vertici militari hanno dichiarato che l'obiettivo della campagna era la distruzione delle gallerie utilizzate da Hamas per infiltrarsi in Israele e delle infrastrutture missilistiche. Il premier israeliano si è congratulato ieri con esercito e intelligence, parlando di "un successo". In ventinove giorni, spiegano i portavoce militari, sono stati annientati 32 tunnel. Con il ritiro dei soldati dalla Striscia per il primo ministro inizia la delicata fase dell'exit strategy politica, alle cui sorti è legato il suo futuro di leader della destra. Se durante l'intera durata della campagna l'opinione pubblica è stata dalla sua parte, sia alcuni ministri sia la sua base elettorale hanno spinto per un'azione militare più intensa, capace non soltanto di indebolire Hamas, ma di sradicare il movimento dalla Striscia e di eliminare definitivamente il lancio di razzi. Soltanto pochi giorni fa, un sondaggio dell'emittente nazionale Channel 2 raccontava che il 56 per cento degli israeliani è contrario a lasciare Gaza e ieri i cronisti locali hanno raccolto molte testimonianze di giovani soldati che, ritirandosi dalla Striscia, si lamentavano per la fine delle ostilità. "Non c'è una chiara vittoria qui", ha detto un militare della brigata Golani al quotidiano Yedioth Ahronoth. "Non avrei terminato adesso i combattimenti - spiega un altro - Una vittoria ci sarà soltanto quando i residenti delle comunità del sud potranno dormire tranquilli".

- Alla corte del presidente Sisi
  Una delegazione israeliana sarà in queste ore al Cairo, dove i mediatori egiziani stanno già trattando con responsabili delle fazioni palestinesi. E' alla corte del presidente Abdel Fattah al Sisi che si gioca la partita dei negoziati. Se i palestinesi chiedono l'apertura delle frontiere e la fine del blocco israeliano su Gaza - imposto dal 2007, quando Hamas ha conquistato militarmente la Striscia - per Israele il territorio "deve essere demilitarizzato", ha detto ieri il portavoce di Netanyahu, Mark Regev. E' in queste trattative che il premier scommette sulla sua tenuta politica. Secondo alcuni analisti israeliani, se le concessioni che Israele dovrà fare sembreranno essere favorevoli al movimento islamista Hamas più che al rais palestinese e capo dell'Autorità nazionale Abu Mazen, il primo ministro sarà nei guai. E' sotto attacco da giorni, additato già da alcuni come il politico che avrebbe potuto neutralizzare il problema Hamas ma non lo ha fatto. Netanyahu è stato molto attento a dichiarare obiettivi militari limitati nell'operazione a Gaza - la distruzione dei tunnel. Tuttavia, sono forti le voci di chi avrebbe preferito un prolungarsi dell'offensiva, nonostante il costo umano pesantissimo: "Il problema è che Netanyahu non vuole un'alleanza, non vuole trattare, non vuole negoziati. Vuole preservare il regime di Hamas", scrive Ben Caspit su Maariv. Per ora, la linea dei suoi ministri più oltranzisti, come Avigdor Lieberman e Naftali Bennett, che hanno pubblicamente criticato il premier durante l'intera campagna militare, non ha prevalso. Netanyahu si sta già riposizionando, ha spiegato ieri il direttore di Haaretz Aluf Benn, presentandosi come il leader "responsabile", in opposizione a certi "pazzi della destra".

(Il Foglio, 6 agosto 2014)


Le monete della Grande Rivolta

di Ada Treves

 
Monete trovate durante gli scavi
Il ricercatore Pablo Betzer mostra una delle monete trovate
La prima sorpresa era arrivata alcuni mesi fa, durante i lavori per la nuova autostrada che collega Gerusalemme a Tel Aviv: il rinvenimento di alcuni frammenti di vasellame ha portato alla scoperta di un sito sconosciuto, che risale al periodo del Secondo Tempio. Durante gli scavi, guidati da Pablo Betzer and Eyal Marco della Israel Antiquities Authority, sono state portate alla luce diverse strutture del primo secolo A.E.V., probabilmente distrutte nel 69 o nel 70 E.V. dai Romani, durante la repressione della Grande Rivolta. Quella ribellione terminata con la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Tempio a Tisha Beav, duemila anni fa. Pochi giorni fa, poi, un ulteriore ritrovamento di grande rilievo, che sta facendo il giro del mondo: nell'angolo di una delle stanze venute alla luce, all'interno di un salvadanaio di ceramica sono state trovate 114 monete, datate "anno quarto della Grande Rivolta contro i Romani" (fotografate da V. Niihin, per la Israel Antiquities Authority). Per Betzer e Marco "Si tratta di un tesoro che pare essere stato sepolto diversi mesi prima della caduta della città, che offre uno sguardo nelle vite degli ebrei che vivevano alla periferia di Gerusalemme alla fine della ribellione. Evidentemente qualcuno temeva che la fine si stesse avvicinando e decise di nascondere questo piccolo tesoro, forse nella speranza di recuperarlo più tardi, quando la calma nella regione fosse stata ripristinata". Su tutte le monete compaiono da un lato un calice e la scritta in ebraico "alla redenzione di Sion" e dall'altro lato un motivo di rami di palma tra due cedri, contornato dalla scritta "Anno Quarto". La scoperta di una seconda serie di vasi completi che si trovavano sotto la pavimentazione del cortile, ha mostrato come una parte degli edifici sia stata poi nuovamente abitata all'inizio del secondo secolo, nel periodo che si è concluso con la distruzione degli insediamenti ebraici in Giudea, come conseguenza della rivolta di Bar Kochba. È probabile che gli abitanti del villaggio siano stati molto attivi in entrambe le rivolte contro i Romani, motivo per cui l'insediamento è stato distrutto due volte, per non essere mai più ricostruito. La Israel Antiquities Authority sta ora valutando, insieme alla Netivei Israel Company - la Società Nazionale dei Trasporti e delle Infrastrutture - di procedere a un recupero del villaggio che venga poi inserito nei piani di sviluppo dell'area che affianca l'autostrada, dando così una grande visibilità a un sito sconosciuto fino a pochi mesi or sono.

(moked, 6 agosto 2014)


Il manuale di Hamas che insegna a usare i civili come scudi umani

Il documento dimostra che i terroristi sanno benissimo che Israele fa di tutto per evitare danni ai civili, e ne approfittano sistematicamente.

Soldati delle Forze di Difesa israeliane hanno trovato nella striscia di Gaza un manuale di Hamas sulla "guerra urbana", appartenente alla "Brigata Shuja'iya" delle Brigate Al-Qassam, l'ala militare di Hamas. Il manuale spiega come usare la popolazione civile nella guerra contro Israele e rivela come Hamas sia perfettamente consapevole che le Forze di Difesa israeliane fanno di tutto per ridurre al minimo i danni ai civili.
Durante l'operazione "Margine protettivo", Hamas ha costantemente utilizzato i civili di Gaza come scudi umani. La scoperta del manuale di Hamas sulla "guerra urbana" dimostra che l'uso cinico della popolazione di Gaza da parte di Hamas è intenzionale, premeditato e sistematico....

(israele.net, 6 agosto 2014)


Hamas uccide i palestinesi "collaborazionisti" di Israele

Non precisato il numero delle persone uccise

GAZA - Le Brigate Izzedin al-Qassam, ala militare di Hamas, ha ucciso alcuni palestinesi ritenuti colpevoli di "collaborazionismo" con Israele, durante il conflitto militare nella Striscia: lo hanno reso noto fonti palestinesi.
Secondo le fonti le persone coinvolte - il cui numero non è stato precisato - "hanno aiutato il nemico a colpire nuovi obbiettivi" e sono state giustiziate "dopo essere state arrestate per aver rivelato al nemico informazioni sulla resistenza palestinese e i suoi combattenti".
La legge palestinese prevede la pena capitale per i collaborazionisti, gli omicidi e i trafficanti di stupefacenti; in linea di principio tutte le esecuzioni dovrebbero essere approvate dal presidente palestinese Abu Mazen, in quanto massimo dirigente dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

(TMNews, 6 agosto 2014)


Dove sono i tribunali? dov'è il processo? E' uno stato di diritto, questo? Ma che cos'è "Palestina" in senso giuridico? Che senso ha mettere a confronto Israele e "Palestina", uno Stato di diritto, esempio di civiltà, con una banda di assassini che ha preso il potere con feroce violenza in una zona contesa del Medio Oriente, lo mantiene con il terrore all'interno e il terrorismo all'esterno e viene trattato dal mondo come se fosse il governo di uno stato di diritto degno di questo nome. Soltanto la diffusa e radicata avversione per gli ebrei può spiegare un simile modo di reagire e pensare, prima ancora che di parlare e prendere posizione. M.C.


Tel Aviv style tour

Alla scoperta di talenti e stili con Galit Reismann

Nonostante la difficile situazione politica, Tel Aviv presenta un panorama creativo davvero unico, un luogo ricco di ispirazioni e designer talentuosi che cercano di emergere e farsi conoscere al di fuori di Israele.
 
Proprio per promuovere la moda israeliana è nato nel 2012 TLVstyle Boutique Tour, un progetto fondato da Galit Reismann, una pioniera del settore moda Made in Tel Aviv. TLVstyle è un servizio personalizzato che consente di immergersi profondamente nella scena vivace della capitale e di creare un incontro diretto e informale sia con designer israeliani già conosciuti, sia con gli emergenti.
Ho incontrato Galit per capire come sta evolvendo la scena creativa israeliana.

- Quando e come è nato TLVstyle ?
  "Ho iniziato TLVstyle come un modo per unire la mia passione per Tel Aviv, designer e artisti israeliani e la mia curiosità per la le culture internazionali. Dopo alcuni anni come agente di moda, produttore e curatore, in giro per il mondo a rappresentare designer israeliani emergenti nei mercati internazionali, mi sono resa conto che nell'industria mancavano piattaforme per il collegamento tra la creatività locale e il mondo. Ho scoperto che potevano lanciare un turismo legato alla moda, che è un settoreinnovativo in Israele. Così ho iniziato i miei "fashion tour" per far conoscere ai turisti gli stilisti locali. Dal lancio nel 2012, ho condotto tantissime escursioni individuali e di gruppo per clienti provenienti da oltre 15 paesi".

- Quale è la caratteristica della creatività di Tel Aviv?
  Penso che il modo migliore per descrivere la creatività di TelAviv sia attraverso il feedback dei clienti TLVstyle. Dopo ogni giro i clienti TLVstyle condividono la loro opinione su ciò che hanno imparato e visto. Ecco alcune dei commenti più comuni: Innovativo, eclettico, Arty, Funky, Moderno, Edgy e più importante - Indipendente! Vorrei aggiungere: "lo spirito e il coraggio delle persone di Tel Aviv è il motore della scena creativa che sa reinventare continuamente se stessa. Il mélange di culture, significa che non esiste una definizione di patrimonio culturale, ma un vero e proprio mix di stili e gusti che è unico a Tel Aviv e che si è evoluto".

- Come vedi la scena della moda di Tel Aviv?
  Il mondo della moda è in continua evoluzione, soprattutto negli ultimi anni. Si tratta di un settore dinamico che si rimodella attraverso promettenti e talentuosi designer che stanno inondando l'industria locale ogni anno. I designer di Tel Aviv hanno un approccio d'avanguardia che si rispecchia nell'estetica e nel prodotto. Ogni designer israeliano è distintivo e insieme crea una miscela armoniosa di voci inimitabili che guardano al DNA del Paese. Moda a Tel Aviv è molto più che i vestiti che indossiamo; si tratta di un riflesso tra storie personali, il paesaggio e il clima socio-politico che è unico a Tel Aviv. Qui, la moda è uno stile di vita - una miscela di sapori e sensi - e una rappresentazione della storia di Israele e una miscela di culture.

(la Repubblica, 6 agosto 2014)


Amnesty fa di Israele un "criminale di guerra". Una fatwa umanitaria

di Giulio Meotti

"Gli Stati Uniti interrompano le spedizioni di carburante alle Forze armate d'Israele, mentre aumentano le prove di crimini di guerra a Gaza". L'incredibile richiesta e accusa viene niente meno che da Amnesty International, madrina dei diritti umani e premio Nobel per la Pace. L'organizzazione non governativa ieri ha anche accusato lo stato ebraico di "crimini di guerra", chiedendo l'apertura di una inchiesta alla Corte dell'Aia. Se Washington non dovesse interrompere le forniture di carburante a Tsahal, "il governo
Amnesty non è al di sopra delle parti in Medio Oriente. Ha accusato Israele di "punizione collettiva dei palestinesi". Ha affermato che "l'occupazione è violenza… e la conseguenza di questa azione si traduce in violenza".
americano avrà il sangue sulle sue mani". Parola di Brian Wood, capo del dipartimento sul controllo delle armi di Amnesty. Alcuni giorni prima, Amnesty aveva accusato Gerusalemme anche di "punizione collettiva dei palestinesi". Purtroppo, Amnesty non è al di sopra delle parti in medio oriente. L'organizzazione ha assunto Deborah Hyams come ricercatrice su "Israele, Territori palestinesi occupati e Autorità palestinese". E' la stessa Hyams che ha dichiarato che mentre non giustifica gli attentati suicidi, personalmente pensa che "siano una risposta all'occupazione". In un altro caso aveva affermato che "l'occupazione è violenza… e la conseguenza di questa azione si traduce in violenza".
Durante la Prima Intifada, i terroristi del Fronte opolare per la liberazione della Palestina (Fplp) vennero definiti da Amnesty come "prigionieri di coscienza". Fu l'avvio di una campagna per condonare la violenza anti israeliana. Amnesty non ha mai condannato le 81 sparatorie, i 651 attacchi con bombe Molotov, i 94 attentati, le 173 aggressioni con coltelli, mazze, asce contro i civili israeliani e i soldati durante i primi due anni dell'Intifada.
   Amnesty sta richiedendo la liberazione di terroristi riconosciuti colpevoli come Ahmad Saadat, il capo del Fplp, condannato per la sua responsabilità negli attentati compiuti dalla sua organizzazione, in particolare l'omicidio del ministro israeliano Rehavam Zeevi. Amnesty ha anche definito Bassam Tamimi "prigioniero di coscienza" (la stessa definizione che Amnesty una volta utilizzava per dissidenti del calibro di Andrei Sakharov). La pagina Facebook di Bassam Tamimi condona il terrorismo arabo palestinese e quanti hanno perpetrato omicidi efferati contro ebrei. Una sua parente, Ahlam Tamimi, aveva fatto da scorta all'attentatore suicida alla pizzeria "Sbarro" a Gerusalemme, dove rimasero uccise quindici persone, otto delle quali minorenni.
   L'ufficio di Amnesty a Londra ha ospitato eventi come "Complicity in oppression: do the media aid Israel?". E' stato organizzato dalla Palestine Solidarity Campaign e ha visto come ospite d'onore Abdel Bari Atwan, che nel 2008 aveva giustificato l'attentato alla yeshiva Mercaz HaRav di Gerusalemme nel quale erano rimasti uccisi otto studenti israeliani.
    Nel 2002, Amnesty accusò Israele di crimini di guerra a Jenin. Una leggenda basata su menzogne dure a morire. Nel 2006, durante la guerra di Libano, Amnesty produsse più documenti contro Israele che sul genocidio del Darfur allora in corso. Nel linguaggio ambiguo di Amnesty, proteggere gli israeliani dai kamikaze con le barriere difensive è diventato "apartheid".
"Uno stato feccia". Così ha definito Israele il direttore di Amnesty International a Helsinki, Frank Johansson, scrivendo sul sito del tabloid Iltalehti. Due anni fa Amnesty era arrivata a chiedere all'Amministrazione Obama di "sospendere immediatamente gli aiuti militari a Israele". Ma allora non aveva trovato il tempo di chiedere, en passant, anche un embargo di Hamas, rendendosi incapace di distinguere fra Israele e i suoi aggressori, fra una democrazia quantunque imperfetta e un movimento terrorista.
   Ci mancava soltanto la richiesta all'America di lasciare a secco i carri armati con la stella di Davide e di trascinare gli ebrei alla Corte dell'Aia. Una fatwa umanitaria.

(Il Foglio, 6 agosto 2014)


Gaza: un coraggioso giornalista indiano dà una lezione di professionalità ai suoi colleghi

Per compiacenza o paura, molti giornalisti internazionali a Gaza deliberatamente "sterilizzano" i loro reportage evitando di mostrare qualsiasi immagine di terroristi islamici in azione, dando così agli spettatori di tutto il mondo l'impressione che nell'enclave palestinese ci siano soltanto donne, bambini e anziani di fronte a un esercito israeliano spietato.
Martedì mattina, poco prima dell'inizio della tregua, un giornalista indiano di informazioni NDTV ha filmato con la sua squadra, dalla sua camera d'albergo, due terroristi palestinesi mentre preparano un razzo in mezzo alle case.
La catena NDTV precisa che il giorno prima tre terroristi hanno installato una tenda su un piccolo terreno abbandonato vicino all'hotel in cui hanno assemblato e nascosto sotto i cespugli una rampa di lancio. Una volta finito l'assemblaggio, hanno smontado la tenda. Martedì mattina, i terroristi sono tornati poco prima dell'inizio della tregua di 72 ore e hanno sparato dei razzi.
Sul suo sito web NDTV precisa che la sua equipe ha lasciato Gaza prima che il reportage fosse diffuso e ha sottolineato di aver deciso di diffondere questo reportage a motivo dei pericoli che Hamas impone alla sua popolazione civile.

(Le Monde Juif, 5 agosto 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Arrestata la mente commando che rapì tre israeliani a giugno

I tre giovani furono ritrovati morti. Fermato Hossam Kawasmeh.

GERUSALEMME - Un palestinese presentato come la mente del rapimento e dell'uccisione di tre giovani israeliani nello scorso mese di giugno e' stato arrestato in Cisgiordania: lo ha annunciato la polizia locale. A distanza di un mese, le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato al campo profughi di Shuafat, a nord di Gerusalemme, Hossam Kawasmeh, sospettato di avere guidato il commando che ha rapito e assassinato i tre adolescenti, ha riferito la polizia in un comunicato. I tre giovani israeliani sono stati ritrovati morti il 30 giugno. Secondo i media israeliani, Kawasmeh avrebbe ammesso di aver ricevuto finanziamenti di Hamas a Gaza per reclutare e armare il commando che ha rapito e ucciso i tre giovani.

(ASCA, 6 agosto 2014)


Aveva pregato Allah di uccidere gli ebrei, Alfano espelle l'imam di San Donà di Piave

Il provvedimento adottato sulla base degli accertamenti del servizio centrale Antiterrorismo e della Digos di Venezia per "grave turbamento dell'ordine pubblico, pericolo per la sicurezza nazionale e discriminazione per motivi religiosi". Il ministro dell'Interno: "Valga da monito per chi pensa che in Italia si possa predicare odio".

 
ROMA - Il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha disposto l'espulsione del cittadino marocchino Abd Al-Barr Al-Rawdhi, per grave turbamento dell'ordine pubblico e pericolo per la sicurezza nazionale e discriminazione per motivi religiosi.
Durante la preghiera del venerdì in moschea l'Imam aveva pregato Allah di uccidere tutti gli ebrei. Le sue parole sono state immortalate in un video reso noto dalla Middle East media research institute (Memri.org), organizzazione che ha la sede principale a Washington ed è vicina alla causa israeliana: "Oh Allah porta su di loro ciò che ci renderà felici. Oh Allah, contali uno ad uno e uccidili fino all'ultimo. Non risparmiare uno solo di loro". Nel filmato il predicatore parla in arabo, ma le sue parole sono sottotitolate in inglese e la traduzione è stata confermata da un esperto, "fai diventare il loro cibo veleno, trasforma in fiamme l'aria che respirano. Rendi i loro sonni inquieti e i loro giorni tetri. Inietta il terrore nei loro cuori".
   "Non è accettabile che venga pronunciata un'orazione di chiaro tenore antisemita, contenente espliciti incitamenti alla violenza e all'odio religioso", ha sottolineato il ministro. "Per questo ne ho disposto l'immediata espulsione dal territorio nazionale. La mia decisione valga da monito per tutti coloro che pensano che in Italia si possa predicare odio".
   Il provvedimento è stato adottato sulla base di scrupolosi accertamenti condotti dal Servizio Centrale Antiterrorismo, con il concorso della Digos di Venezia e d'intesa con la Procura della Repubblica. La polizia, nel luglio del 2012, aveva già condotto un'operazione in zona. Allora era finito in manette l'Imam di San Donà, finito nel mirino degli investigatori per i suoi rapporti e i suoi propositi jihadisti, che l'avevano spinto a fondare una potenziale cellula terrorista nel Veneto Orientale. L'imam di Noventa, invece, autore delle invettive di venerdì, nel 2013, si era staccato dalla comunità di San Donà per andare a predicare nella sua moschea.
   Dopo la decisione di espulsione il deputato della Lega Emanuele Prataviera chiede che "Alfano chiuda la moschea di San Donà di Piave e imponga una moratoria sull'apertura di nuove moschee in tutto il Paese". "Basta atteggiamenti lassisti" afferma Prataviera che chiede al governo di pretendere "sermoni in italiano e nessuna zona d'ombra", "stop a nuovi permessi per la realizzazione di luoghi di culto o affini", "censimento di quelli esistenti". D'accordo con la decisione di Slfano anche il presidente della Federazione Islamica del Veneto e dell'associazione 'Assalam' di Annone Veneto Bouchaib Tanji: "L'Islam è religione di pace. Via dalle moschee chi predica la morte". "Approviamo - spiega, ricordando l'appoggio anche dell'associazione Migranti della Venezia Orientale onlus - la decisione del ministro Alfano".
   Soddifazione è stata espressa dal Nuovo Centrodestra, su Twitter hanno commentato la Portavoce di Forza Italia alla Camera, Mara Carfagna ("L'Italia non deve diventare la Francia. Espellere l'imam è stata una scelta giusta e coraggiosa"), e il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri.

(la Repubblica, 5 agosto 2014)


Duecento bambini di Sderot ospiti dalla Comunità Ebraica di Roma

di Ugo Giano

ROMA - A Roma per sfuggire alla guerra duecento bambini di Sderot, cittadina israeliana al confine con Gaza, sono ospiti a Roma della Comunità ebraica. Lunedì pomeriggio, i ragazzi sono stati portati sulle classiche "botticelle" romane, in giro per i monumenti romani, con loro grande gioia.
Grazie al grande cuore dei vetturini romani, lontani dalla guerra a godere di una giornata particolare.

(AgenParl, 4 agosto 2014)


Fermare la follia

di Angelica Edna Calò Livne

Il respiro stenta a seguire il suo ritmo di sempre. Una dopo l'altra si susseguono le immagini dei feretri avvolti nelle bandiere di Israele, pianti sommessi e occhi gonfi di dolore. Madri, padri, fratelli e sorelle. Tutto il popolo d'Israele intorno: Bne Akiva, Meretz, kippot, kibbutznikim. "È la Guerra" mi dicono gli amici ai quali domando il perché di tutto questo? "È la Guerra ed è inevitabile. Dall'altra parte non hanno nulla da perdere, il mito del Profeta è conquista, potenza e predominio. Cosi nascono le basi del terrorismo. E noi dobbiamo combattere per difendere la ragione".
   Israele si organizza: si compra nei supermercati di Sderot, di Ashkelon e di Ashdod, si cerca di continuare la vita normalmente ma i soldati al fronte sono tanti e gli allarmi si susseguono senza sosta. Alle 6:00 del mattino mi sveglio di soprassalto…. le sirene… penso di essere a Sasa, nel mio kibbutz: "Ci stanno attaccando dal Libano…" penso… sveglio mio marito. La sirena è assordante… mi giro intorno, non capisco nulla. Mi rendo conto di essere ad Herzliya, da mio padre. "Dove si va? Dov'è il rifugio?" tre boati enormi sulla nostra testa. Mia sorella a Tel Aviv mi dice che un pezzo di missile è caduto nel parcheggio del suo palazzo.
   Sto cercando di capire come si possa bloccare la follia. Come coinvolgere l'Occidente nella nostra lotta contro il terrorismo, come ricordare a tutti l'11 settembre, piazza Fontana e la strage di Bologna. L'irrazionalità antisemita riesce ad annebbiare i sensi e impedisce di vedere la realtà. Davanti alle salme di questi giovani di 20, 22, 30 anni, i genitori raccontano di amore per il Paese, di educazione al rispetto, di musica e di ideali. Immagini di volti puliti, sorridenti, di una bellezza che rispecchia tutto il mondo di affetto, di tenerezza, di dedizione completa nella quale sono cresciuti. Mostrano un video in cui Benaya, 26 anni, in ginocchio, porge l'anello alla sua ragazza, di Omri, che gioca a basket con il fratello, e le partecipazioni ai matrimoni che si sarebbero celebrati fra una settimana, fra un mese. Ma quando finirà tutto questo? Quando ci lasceranno in pace? Cosa possiamo fare per far si che, al di là della barriera, siano disposti a ricevere il nostro aiuto, che si convincano a collaborare, a condividere con noi la terra, le capacità, il destino? Perché l'Occidente non riesce a capire che l'opera di ricostruzione e rieducazione a valori estranei ai nostri vicini è urgente e non può avvenire senza la presenza massiccia di rappresentanti che siano tutto fuorché l'UNRWA? Urge mandare architetti, costruttori ed educatori che gestiscano fondi, che rielaborino l'ideale di morte, di martirio, di distruzione nel quale vengono cresciuti bambini innocenti. E davanti a tanta negatività sento crescere ogni giorno di più una preghiera: che ci sia dato di continuare a sperare, di mantenere il nostro spirito, la nostra positività, la nostra determinazione a reagire di fronte a chi tenta di annullare il nostro diritto ad esistere. Am Israel Hai!

(moked, 5 agosto 2014)


Israele si ritira da Gaza. Hamas lancia una salva di razzi

GERUSALEMME, 5 ago. - Israele ha annunciato il totale ritiro dalla Striscia di Gaza. Le forze di terra - hanno annunciato le due principali stazioni radiofoniche locali - hanno completano la distruzione di tutti i tunnel scavati dalla guerriglia palestinese. Non solo: alle 8 ora locali, le 7 in Italia, e' entrata in vigore la tregua di 72 ore mediata dall'Egitto e accettata da Israele e Hamas che dovrebbe permettere al negoziato in corso al Cairo di raggiungere un cessate il fuoco piu' duraturo. La tregua e' entrata in vigore preceduta dal 'saluto' di Hamas.
Israle si ritira da Gaza, "abbiamo distrutto tutti i tunnel".


Poco prima Hamas ha lanciato una salva di razzi, una ventina, verso una serie di comunita' israeliane. Le sirene hanno risuonato ad Ashdod, Ashkelon, Sdot HaNegev, Kiryat Malachi e anche Ma'ale Admin, che si trova proprio alla periferia orientale di Gerusalemme Est. Un razzo e' stato intercettato sopra Ashdod, quattro sopra Kiryat Malach e uno e' caduto in campo aperto fuori della comunita'. Un altro razzo e' caduto a Sdot HaNegev, causando qualche danno ma nessun ferito.
Secondo i media israeliani, l'esercito ha risposto con l'artiglieria, ma subito dopo, alle 8 ora locale, il fuoco delle armi ha taciuto perche' la tregua e' cominciata. Nonostante il ritiro, i riservisti non sono stati rilasciati dal servizio e l'esercito ha fatto sapere che rimane pronto a intervenire qualora Hamas dovesse interrompere la tregua: "L'Idf (l'esercito israeliano) sara' ridispiegato in posizioni difensive fuori della Striscia di Gaza e manterremo queste posizioni difensive", ha dichiarato il tenente colonnello Peter Lerner.

(AGI, 5 agosto 2014)


Difendere Israele dall'occidente

Non c'è solo l'antisemitismo islamico, c'è anche quello umanitario e pacifista.

di Giuliano Ferrara

L'altra sera a cena una persona che mi è cara ha sbuffato la sua opinione sulla guerra di Gaza e circonvicini: basta, qualcuno si deve trasferire, non c'è altra soluzione. Ho evitato di litigare perché sono invecchiato e la cena estiva non è teatro di eroismi e passioni, ho fatto finta di non aver sentito. Ma era chiaro chi avrebbe dovuto traslocare via mare. Un'altra persona, un accademico, ha detto che Israele non è più quello di una volta, la società intellettuale si è chiusa, è divenuta più rigida. Ho di nuovo fatto finta di niente, sempre per gli stessi motivi. Ma era chiaro che alle università ebraiche sotto boicottaggio europeo non veniva lasciato nemmeno lo spazio per un quantum di irritazione e di nervosismo, bisogna essere cool under pressure.
   Il mondo è Judenmüde, è stanco degli ebrei. Lo ha scritto il titolare di una delle intelligenze più penetranti del pianeta, George Steiner, a Giulio Meotti. E' vero.
   E' questo il vero elemento tragico che spiega la tragedia ulteriore della guerra inevitabile, delle vittime civili, dei bambini, fatti aberranti che vengono recepiti spesso da media e opinionisti, e spesso in modo
Vittime civili e bambini vengono recepiti da media e opinionisti, e spesso in modo subdolo o trasversale, come una respon- sabilità del carattere aggressivo e militarizzato di Israele.
subdolo o trasversale, come una responsabilità del carattere aggressivo e militarizzato di Israele. Questa stanchezza da psicologia del profondo spiega il progressivo isolamento ideologico e sentimentale di Israele e degli ebrei nell'opinione di massa in Europa, con forte pescaggio nelle acque limacciose dell'antisemitismo, nemmeno più travestito, almeno nei casi peggiori o più trasparenti, in antisionismo.
La gente comune fanatizzata dalle cose, la european street fattasi parte della famosa arab street, non ha voglia di pensare i fatti, e di valutarli. Non conta che Israele con Sharon abbia unilateralmente lasciato libero il popolo palestinese di Gaza di fare il suo comodo, ritirando soldati, legittimi insediamenti e grandi speranze quasi dieci anni fa. Non importa che in seguito siano state distrutte le fattorie e bruciate le sinagoghe. Che il potere sia stato preso, con l'aggravante della procedura elettorale mista a quella militare, da una organizzazione fondamentalista parte della Fratellanza musulmana, Hamas, che considera un dovere uccidere gli ebrei e annientare l'entità sionista, come la chiamano. Non importa che i padroni della Striscia abbiano impiccati come spie a derrate i palestinesi cosiddetti moderati, quelli che hanno cercato di seguire Fatah, di cui si dice sia un'organizzazione laica, e Abu Mazen.
   Non importa che abbiano trafficato in armi e denaro e infrastrutture sotterranee, in combutta con l'Iran e altri esperti delle guerre per procura o proxy wars, allo scopo di colpire dalla terra e dall'aria, intimidire, terrorizzare i vicini, le famiglie, i bambini, e di prevalere nella lunga marcia verso l'estinzione di Israele. Non importa che di fronte alla risposta difensiva dura di Israele, a difesa del popolo che lo abita, i signori di guerra della Striscia non si facciano alcuno scrupolo di usare il loro, di popolo, per proteggere le loro armi come con uno scudo di carne umana in una sporca "guerra umanitaria" condotta con i bambini morti per conquistare l'opinione pubblica internazionale "stanca degli ebrei". Perfino uno scrittore e direi un'anima meravigliosa come Amos Oz, che queste cose le sa benissimo e in sintesi chiara le ricorda a Wlodek Goldkorn dell'Espresso in una recentissima intervista, pensa che si possa e debba prendere un'altra strada, ed è responsabilità della destra israeliana al governo il non farlo, trattando con Abu Mazen la restituzione dei territori conquistati nel 1967 e la creazione di due stati confinanti. Una prospettiva che ebbe un suo senso e un suo valore storico ma che, nel mondo com'è oggi, è diventata, almeno pare a me e ad altri, poco più che una lagnosa tiritera.
   La gara sul nucleare iraniano, incombente perché mal controllata dalla giustizia politica internazionale titolare dei problemi dell'ordine o della agostiniana tranquillitas ordinis, la demenziale e mortuaria progressione di morte in Siria, la destabilizzazione di tutti gli equilibri e l'avanzata militare, omerica, di eserciti califfali in Siria e in Iraq, la riluttanza strategica dell'Amministrazione americana, la deriva sabotatrice della vita e dell'identità israeliane nella bella coscienza degli europei, le follie dei turchi, la persistenza dei talebani: di tutto questo e di molto altro le menti analitiche del New York Times non si vogliono occupare o se ne occupano per arrivare sempre alle stesse conclusioni. Bisogna trattare, cedere
I signori di guerra della Striscia non si fanno alcuno scrupolo di usare il loro popolo, per proteg- gere le loro armi come con uno scudo di carne umana in una sporca "guerra umanitaria" condotta con i bambini morti per conquistare l'opinione pub- blica internazionale "stanca degli ebrei".
territori, considerare Hamas un interlocutore di governo, smetterla con la fissazione dei tunnel e dei muri e procedere alla costruzione di ponti con i moderati; e non sono necessità astratte, sulle quali tutti concorderebbero, ma impellenze della politica alle quali si deve piegare il governo di Gerusalemme, alle quali va costretta l'opinione di schiacciante maggioranza che ancora regna nella democrazia israeliana.
Mi sembrano ingenerose futilità, bellurie prive di senso.
Oggi lo status quo, che qualcuno deve incaricarsi di mantenere e proteggere con l'unico mezzo, che è la forza, è il vero orizzonte possibile e visibile nella storia del conflitto generato dalla nascita e dalla storia nazionale di Israele. Guardare lontano, provvedere alla pace in senso provvidenziale, fidandosi e affidandosi, è impossibile. Troppe cose devono cambiare, e prima di tutto deve essere sconfitta la strategica avanzata dell'islam politico nel mondo, l'islamofilia delle classi colte e riflessive dell'establishment europeo, l'isolazionismo travestito da umanitarismo dialogante della diplomazia imbelle degli Stati Uniti. Devono nascere un'identità popolare pacifica e una classe dirigente che punti, in Palestina, sulla creazione di condizioni di vita decenti, sullo sviluppo e la coesistenza con il diverso da te, sulla libertà religiosa e il pluralismo dei credo, pagando i prezzi relativi, tutte cose che mancano disperatamente in quel panorama di rovine che è il lascito di decenni di guerra di liberazione cosiddetta e della rivoluzione politica jihadista in corso.
   Non è vero che queste cose, cioè il giù-le-mani-da-Israele, la consapevolezza della realtà oltre il dramma della sua ricezione dissociata e inversa, non hanno spazio in Europa, come sostiene Roger Cohen. Qui una leader storica della sinistra che ammira Hamas, Luciana Castellina, si è doluta dell'assenza di manifestazioni pro-palestinesi e anti-israeliane. E del fatto che a Roma, in tre giorni e con un tweet e al prezzo di un paio di migliaia di euro, due-tremila persone hanno inscenato una veglia di riflessione e di unità tra ebrei e cristiani mediorientali perseguitati, con tutti i puntini sulle "i" e tutte le cose a posto. Si può, credendoci, dissolvere la nube tossica dell'antisionismo antisemita travestito da pacifismo umanitario e trattativismo, e rimettere alcune cose a posto perfino nella coscienza inquinata di questa parte debolissima d'occidente. E lo status quo armato e tutelato, la sua difesa fino a che non cambi il registro del jihadismo terrorista, non è affatto una parola cattiva, una mala intenzione.

(Il Foglio, 5 agosto 2014)


Amore per la vita contro amore per la morte

di Deborah Fait

In questa guerra Israele ha perso 63 soldati, 63 ragazzi giovanissimi. Il padre di Adar ha descritto nel modo più giusto questi giovani eroi, sono, ha detto colle lacrime in gola, la" Tif'eret Medinat Israel" , lo Splendore di Israele.
 
   Vi sono state tantissime storie di eroismo dei nostri soldati in queste settimane, c'è stato chi, ferito, si è gettato nei buchi dei tunnel per salvare un compagno semicatturato da Hamas, lo ha tirato per le gambe sparando con una sola mano contro i terroristi. L'amore che i soldati nutrono l'uno per l'altro è commovente, si proteggono in tutti i modi, i feriti nei letti di ospedale scalpitano per tornare al loro battaglione, per non lasciar soli i compagni.
   Atti di eroismo anche verso i palestinesi, sotto il fuoco di Hamas alcuni soldati si sono lanciati a tagliare le catene con cui i palestinesi avevano legato a una cancellata un povero disabile malato di mente che doveva fare da scudo umano. Soldati di Israele che, nel pieno delle operazioni di guerra, tentano di salvare dei bambini palestinesi mandati per la strada dai loro fratelli e padri aguzzini per essere colpiti dall'esercito e poi mandare nel mondo le fotografie di poveri bambini palestinesi ammazzati dai perfidi sionisti.
   Mordechai Kedar spiega bene in un suo articolo la psicologia di Hamas, che poi è la psicologia del mondo islamico, lontano anni luce dai valori di Israele e dell'Occidente. Per dirla meno elegantemente i palestinesi non sventolano mai bandiera bianca, anche se vengono ammazzati a centinaia , anche se Gaza è distrutta, anche se non hanno più speranza, per un motivo chiaro e semplice: a loro non frega niente di morire, non frega niente che donne e bambini innocenti muoiano, anzi ne sono felici perché:
  1. La morte, spesso anche per mano .... "amica"... di civili, donne, bambini, vecchi, disabili è, oltre ai missili e alle bombe, la loro arma più importante perché è quella che li fa sempre vincere la guerra mediatica creando in Occidente un odio feroce contro Israele, l'eterno colpevole, e amore incondizionato per i palestinesi, le eterne povere vittime.
  2. Il loro slogan più famoso, e purtroppo più vero, è: "Voi amate la vita, noi amiamo la morte."
Attenzione, questo non è solo un cinico e lugubre pensiero di un'organizzazione di feroci terroristi, è il convincimento di tutti gli arabi di fede islamica..... meno i capi , dico io, visto che quando c'è guerra sono i primi a mettersi in salvo.
   Lo abbiamo visto con la guerra in Libano. Nasrallah nascosto in un lussuoso bunker a 40 metri sotto terra da dove è uscito vari giorni dopo la fine del conflitto dicendo " Uff, se sapevo che gli israeliani avrebbero reagito così, non avrei mai incominciato!"
   Lo abbiamo visto, in passato, con Arafat sempre ben nascosto e protetto dalle sue guardie, mentre sbraitava "Voglio un milione di morti per Al Quds (Gerusalemme)".
   Lo vediamo in questi giorni con Hanyieh e Meshal, i due capi supremi di Hamas che ridono, mangiano, bevono e fanno palestra, belli pasciuti e allegri, nelle loro lussuose ville in Qatar.
   Dunque, gli piace, si, la morte, ma quella degli altri, della popolazione, talmente sottomessa e condizionata che crede sia giusto crepare in nome di Allah.
   Questo amore per la morte che riempie l'animo islamico fa si che i terroristi continuino le loro luridissime guerre, armati di armi e kamikaze, fino alla fine, senza mai arrendersi. E' successo in Iraq, in Afghanistan, in Libia, e anche nelle loro guerre contro Israele.

(Inviato dall'autrice, 5 agosto 2014)


Israele sapeva dei tunnel, ma Obama fermò la reazione di Bibi

di Pio Pompa

In un articolo apparso il 24 luglio sul si-to al Monitor veniva ventilata la possibilità che possa essere istituita, al termine delle operazioni di terra dell'esercito israeliano a Gaza, una commissione d'inchiesta sul fatto che l'intelligence israeliana fosse all'oscuro della enorme rete di tunnel realizzata, negli ultimi anni, dai terroristi di Hamas. Tre i quesiti posti: "Hanno fatto qualcosa le forze di sicurezza e d'intelligence israeliane sulla minaccia senza precedenti dei tunnel? E, se sì, i risultati sono stati inoltrati ai vertici politici? In tal caso perché essi non hanno agito di conseguenza?". Il tutto in presenza, come ha fatto
Sia Barack Obama, sia John Kerry erano stati messi al corrente della minaccia immi- nente che i tunnel di Hamas rappresentavano per Israele.
Ma la loro sola preoccupazione sarebbe stata quella di impedire ad ogni costo un intervento militare di Gerusalemme mentre si stavano compiendo passi significativi di distensione con l'Iran.
notare ad al Monitor un anziano membro del gabinetto di sicurezza israeliano, della possibilità che oltre duemila commando di Hamas potessero, attraverso i tunnel, materializzarsi improvvisamente nel sud d'Israele procedendo al massacro di migliaia di cittadini israeliani.
Sennonché — raccontano al Foglio fonti d'intelligence — la proliferazione di tunnel nella Striscia di Gaza, che secondo alcuni sarebbe stata maldestramente ignorata, in realtà era nota da tempo. Le prime informazioni vennero acquisite nella seconda metà del 2012 e un quadro preciso dell'intera rete, composta da oltre 40 tunnel, venne redatto alla fine del 2013. Per tutelare il dispositivo humint (human intelligence), attivo a Gaza, venne deciso di trattare il dossier con il più alto livello di segretezza trasmettendolo in visione solo al primo ministro, Bibi Netanyahu, e, a distanza di qualche giorno, al ministro della Difesa, Moshe Yaalon. Entrambi, al fine di evitare una reazione militare immediata che sarebbe stata richiesta dato il rischio mortale che correva Israele, ritennero di prendere tempo evitando di informare il Consiglio dei ministri e la Knesset. Ma la questione era veramente troppo delicata e non poteva essere taciuta a lungo. Netanyahu e Yaalon decisero di coinvolgere, sul dossier, anche il Consiglio dei ministri e il gabinetto di sicurezza. Alla fine del marzo scorso, il Mossad ricevette l'incarico di sondare sull'argomento la Cia per valutarne le reazioni, verificare se avesse o meno dei file aperti sull'argomento e attivarla nei confronti di Washington. Dopo poco tempo, il funzionario della Cia delegato a mantenere i contatti con i suoi omologhi del Mossad fece sapere che sia il presidente, Barack Obama, sia il segretario di stato, John Kerry, erano stati messi al corrente della minaccia imminente che i tunnel di Hamas rappresentavano per lo stato e il popolo israeliani. Ma, dopo un primo moto di reazione, la loro sola preoccupazione sarebbe stata quella di impedire a ogni costo che a Gerusalemme maturassero l'idea di un intervento militare proprio quando si stavano compiendo passi significativi di distensione con l'Iran attraverso una lunga serie di colloqui segreti bilaterali che tuttora continuano a precedere le trattative sul nucleare iraniano. Fu sempre un funzionario della Cia a confidare ai vertici del Mossad come la cosa più importante per Obama, quasi un'ossessione', fosse quella di passare alla storia come il presidente che era riuscito nel capolavoro politico di condurre Teheran verso un processo di apertura e collaborazione con l'occidente contribuendo alla pace mondiale e alla stabilizzazione del medio oriente'. E' sull'altare del dialogo con l'Iran che avrebbe sacrificato anche il popolo siriano lasciandolo nelle mani di Bashar el Assad. Ecco perché Netanyahu trovò un muro nell'affrontare formalmente con Washington il dossier dei tunnel realizzati da Hamas. Un muro che scricchiolò appena sotto le prove evidenti e dettagliate fornite da Gerusalemme. Da qui la richiesta avanzata da Obama di procrastinare, nonostante la minaccia che incombeva su Israele, ogni iniziativa militare che di certo avrebbe riverberato i suoi effetti sulle trattative segrete con l'Iran".
   Per questa ragione Netanyahu avrebbe concesso a Obama, sottolineando l'ennesimo, estremo sacrificio compiuto dal proprio paese, alcuni mesi di tempo per poi procedere senza indugi a un'offensiva contro Hamas e la sua letale rete di tunnel denominata con poca fantasia "il sentiero di Ho Chi Minh". Poi le cose sono precipitate e di certo Tsahal non si ritirerà prima di aver distrutto tutti gli oltre 40 tunnel trasformati in una trappola mortale per i soldati israeliani e in avamposti per i terroristi di Hamas ed Ezzedin al Qassam destinati a colpire nel cuore d'Israele. Gli stessi che hanno scientemente lasciato allo scoperto le donne e i bambini palestinesi nascondendosi come talpe nella loro rete di tunnel realizzata sottraendo più di 150 milioni di dollari agli aiuti umanitari (compresi quelli italiani) destinati, tra l'altro, a scuole e ospedali.

(Il Foglio, 5 agosto 2014)


Festività ebraiche - Digiuno del 9 di Av

Disposizioni legislative

Oggi si celebra la festa della comunità ebraica del digiuno del 9 di Av. Si ricordano le festività ebraiche in base all'art. 5, n. 2, della legge 8 marzo 1989, n. 101, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunita' ebraiche italiane", emanata sulla base dell'intesa stipulata il 27 febbraio 1987, che dispone che entro il 30 giugno di ogni anno il calendario delle festivita' cadenti nell'anno solare successivo e' comunicato dall'Unione al Ministero dell'interno, il quale ne dispone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il 9 del mese di Av per gli ebrei è giorno di lutto e di digiuno. In questa data a distanza di molti secoli furono distrutti sia il primo che il secondo Santuario. Il primo Santuario fu distrutto nel 586 prima dell'era volgare ad opera dei babilonesi e il secondo ad opera dei romani nel 70 e.V. Il Santuario di Gerusalemme era il luogo dove si svolgevano le cerimonie rituali prescritte nella Torà;era il centro spirituale e anche politico e religioso dell'ebraismo; la perdita del Santuario segnò anche la perdita di questo centro, oltre che l'inizio della diaspora.
La distruzione del Santuario è presente nel cuore degli ebrei anche dopo venti secoli: nelle preghiere, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, ci si rivolge sempre fisicamente e idealmente verso le vestigia del Muro occidentale.
Questa data, divenuta simbolo di disgrazia per il popolo ebraico segna anche altri momenti tragici: proprio il nove di Av gli ebrei furono cacciati dalla Spagna nel 1492.
Nelle sinagoghe parate a lutto e in un'atmosfera di grande tristezza, spesso seduti in terra e a lume di candela, si recitano preghiere ed elegie ispirate alla rovina del Tempio di Gerusalemme e all'esilio del popolo ebraico.
Secondo la tradizione ebraica nella distruzione già ci sono i semi della redenzione e proprio in questa data, simbolo di distruzione, verrà al mondo il Messia.

(OrizzonteScuola.it, 5 agosto 2014)


Viaggio nella testa di Hamas: "Amiamo la morte"

Una strategia della paura finalizzata a mantenere il potere

di Fiamma Nirenstein

 
Khaled Meshaal lavora duro per mantenersi in forma in una palestra privata nella città di Doha, Qatar
«Noi amiamo la morte molto di più di quanto voi amiate la vita»: questa frase misteriosa e spaventevole perseguita europei, americani, israeliani, e da queste parti è pane quotidiano.
   È la bandiera nera dell'Islam militante, il suo breviario, come per la cultura ebraico-cristiana è la frase biblica: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te».
Questa è l’edizione popolare del detto di Gesù; la formulazione autentica è positiva, non negativa:
«Tutte le cose dunque che volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti» (Matteo 7:12).
Purtroppo gli shadid islamici la stanno applicando a modo loro.
 A volte ci piace pensare che sia una formula retorica, ma essa ha ricevuto di nuovo l'ennesima conferma con la rottura della tregua venerdì scorso: mentre il Cairo promuoveva i colloqui di pace, un terrorista suicida a Rafah spuntava da una galleria, saltava per aria e uccideva tre soldati di Tzahal, tentando il rapimento di Hadar Goldin. Questo mantra oggi, dopo che Hamas ha deciso di separarsi con la rottura della tregua dalla maggioranza delle nazioni, sembra il disegno programmatico enunciato in un video tv da Mohammed Deif, il capo religioso e militare di Hamas, 36 anni, carriera di omicida di donne, bambini, civili israeliani a centinaia.
   Deif è uno dei tre leader che hanno osato parlare: Khaled Mashaal dagli alberghi a 5 stelle del Qatar; Ismail Haniyeh dal suo nascondiglio, si dice, sotto l'ospedale Shifa. Il capo delle Brigate Izz al Din al Kassam ha usato, a differenza di Mashaal e Haniye che si disegnano come politici, la voce pretesca dei leader dell'Islam radicale. Il boss che guida con pugno di ferro 15mila uomini, paragonabile ai leader dell'Isis e di Jabhat al Nusra, mutilato perché più volte le forze israeliane hanno tentato di eliminarlo, ha minacciato e promesso morte, citato il Corano con fervore messianico.
   Il suo video è stato preannunciato dal filmato dell'attentato che tramite una galleria presso il kibbutz Nahal Oz ha ucciso cinque soldati israeliani. Deif nel video annuncia la vittoria di Hamas, dichiara che non ci sarà cessate il fuoco prima della fine dell'assedio, poi alza il tiro: «Siete destinati al sicuro disastro, avete trovato a Gaza il vostro inferno, noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita». Che significa questa dichiarazione, nell'isolamento che caratterizza in questi giorni Hamas? Pinhas Inbari, studioso dei palestinesi presso il prestigioso think tank Jerusalem Centre for Public Affairs fornisce il retroscena: «Il messaggio di Deif è anche rivolto all'interno di Hamas. Deif è una figura legata all'Iran, che fino a pochi giorni fa ha taciuto ritenendo che Hamas stesse sprecando la grandiosa quantità di missili che con molto sforzo è riuscita a procurarle negli anni. Gli ayatollah erano arrabbiati da tempo con la leadership di Khaled Mashal, nemico di Assad e degli iraniani. Deif invece milita dalla parte opposta di Assad. Ma poi, ecco la dichiarazione di Khamenei, condita dalle solite minacce di morte a Israele: noi abbiamo fornito gratis le armi a Hamas. L'Iran cioè ha capito che questa è una guerra egemonica per lo schieramento antisraeliano, il suo, e inoltre i suoi nemici giurati, Egitto e Arabia Saudita, stanno giuocando un ruolo troppo importante. Così l'Iran ha spinto avanti Deif, coronato dal successo dell'attentato».
   Dunque, da ora in poi, l'Iran sarà sempre più presente, e «certo ha avuto un ruolo negli ultimi sviluppi».
   L'americano Harold Rhode, uno dei migliori mediorentalisti della scuola di Bernard Lewis, che ha servito per decenni nel team di analisti del Pentagono, fornisce la chiave: «C'è qui una doppia ragione. Lo scopo principale del terrorismo, quindi di Hamas, è terrorizzare, istillare la paura nel nemico, metterlo in fuga prima della battaglia. Ma con le sue parole Deif rivela le grandi difficoltà in cui si trova Hamas, la perdita di molti leader, di strutture belliche fondamentali, gallerie, missili, rifugi. C'è anche uno scopo interno: i cittadini di Gaza, schiavi, carne da cannone, ormai consapevoli che tutti i soldi sono stati spesi per costruire gallerie e stipare missili, devono essere tenuti buoni. Hamas ha condannato a morte anche molti palestinesi, e li ha giustiziati. Alla fine, Hamas sa che non può sconfiggere Israele, e quindi cerca di mettere in fuga i soldati e i civili terrorizzandoli».
   Rhode è ironico e definitivo: «In realtà loro non amano la morte, ma il potere. Non si è mai visto un loro comandante che guidi la battaglia, si nascondono e usano i civili, colpiscono uscendo dalle gallerie e poi fuggono, la leadership è nascosta sotto gli ospedali. Quando dicono «amiamo la morte» comunicano anche questo concetto: «Sono terribile, se non mi dai qualcosa per farmi smettere (ovvero, in questo caso, una tregua vantaggiosa) ti distruggo». Deif ha parlato anche perché teme di perdere il potere. Vogliono la tregua alle loro condizioni: potere, aiuti, controllo delle vie di accesso». La realtà è che la tattica «noi amiamo la morte» e quindi la rottura della tregua ha avuto per ora il risultato di disgustare le forze moderate e di squalificare gli alleati Qatar e Turchia. Hamas sembra aver fatto male i conti: Israele procede nel distruggere le gallerie, ha il sostegno di Usa e Onu nel farlo, è passato il concetto che Hamas non è un interlocutore per la pace.

(il Giornale, 5 agosto 2014)


Abracadabra, e il mondo si è svegliato nemico d'Israele

"Davide è diventato Golia". Muravchik spiega come lo stato ebraico è diventato un paria.

di Giulio Meotti

"Sentenza prima, verdetto poi", declama la Regina di Cuori di "Alice nel paese delle meraviglie". Il verdetto su Israele deve essere ancora scritto, ma la sentenza è stata già emessa: morte. E' questo il messaggio del nuovo libro di Joshua Muravchik, saggista americano fra i più sapidi e docente alla Johns Hopkins University, "Making David into Goliath".
   "Da un giorno all'altro Israele si era trasformato da Davide in Golia, aveva commesso il nero peccato della sopravvivenza", scriveva il ministro degli Esteri più colto della storia israeliana, Abba Eban. Muravchik
Muravchik individua due forze principali nella campagna di demoniz- zazione di Israele: l'Onu e gli intellettuali.
ricorda quando Israele "era ammirato in tutto il mondo", per sviscerare e denunciare la sua trasformazione in paria, sentina del male, emblema dell'ingiustizia. "How the world turned against Israel", recita il sottotitolo del libro. E pensare che c'era un tempo, fino al 1967, in cui gli appelli per Israele venivano firmati anche da Pablo Picasso. Oggi la sua "Guernica" è paragonata a Gaza.
   Muravchik individua due forze principali nella campagna di demonizzazione di Israele: l'Onu e gli intellettuali. "Nell'èra degli 'altri contro l'occidente', quando le élite globali culturali trovano virtù soltanto negli 'altri', Israele resta 'occidente'. Per questo è stato condannato a morte".
   A livello globale, Muravchik individua l'odio per Israele nella progressiva marginalizzazione delle democrazie nel Palazzo di vetro e l'egemonia su questo dei non allineati, dei regimi islamici, delle satrapie orientali, del Terzo mondo. "Non è più Israele contro il mondo arabo-islamico, ma Israele contro i palestinesi senza casa. Davide è diventato Golia. In questo paradigma, gli arabi - nonostante la loro superiorità in termini di risorse e di numeri, delle loro pratiche sociali e politiche regressive - hanno assunto un posto d'onore tra le forze della virtù e del progresso, mentre gli israeliani sono stati consegnati alla schiera dei cattivi e dei reazionari. Il terrorismo palestinese annichilazionista è diventato chic e dare ai palestinesi uno stato è il santo graal dell'opinione pubblica illuminata. Che questo stato sarebbe sorto al fianco di Israele o al suo posto era secondario. E' una minaccia perenne per Israele, che potrebbe avere la meglio sulla sua macchina militare formidabile".
   E' così che l'odio viscerale per lo stato ebraico oggi pervade istituzioni così diverse e distanti fra di loro: "L'unione degli insegnanti inglesi che proclama il boicottaggio accademico di Israele; le chiese protestanti che disinvestono dalle aziende israeliane; i supermercati norvegesi che boicottano le merci israeliane; il più popolare giornale svedese che pubblica storie sensazionali su Israele che ruba gli organi ai palestinesi; le organizzazioni dei diritti umani più concentrate su Israele che sulle tirannie; e un ex presidente degli Stati Uniti che accusa Israele di 'apartheid'. In breve, la comunità internazionale ha fatto di Israele un escluso".
   Nei giorni scorsi è arrivata la notizia che Tesco, la più grande catena commerciale del Regno Unito, non venderà più i prodotti israeliani provenienti dai Territori. "Tesco: We've axed fruit from Israel" è la headline dei media inglesi che ha fatto il giro del mondo.
   Joshua Muravchik spiega che "l'ostilità antisraeliana della sinistra si è estesa a circoli mainstream e moderati, dove le discussioni sulla 'rivoluzione' sono fuori luogo". Un processo avvenuto grazie al fatto che "il multiculturalismo ha preso il posto del vecchio modello marxista del proletariato contro la borghesia come dramma morale".

- Il sillogismo di Edward Said
  A livello intellettuale, Muravchik punta allora il dito, fra gli altri, contro Edward Said, il più noto intellettuale palestinese, poliedrico e fascinoso, cattedratico della Columbia University fino alla sua scomparsa nel 2004, che vanta un lascito immenso nelle accademie americane ed europee. "Grazie a Said, il sionismo è stato ridefinito come un movimento di bianchi che competono per la terra contro i popoli di colore", spiega Muravchik. "Abracadabra, Israele venne trasformato da rifugio redentivo da duemila anni di persecuzione nell'incarnazione stessa del suprematismo bianco". E' il celebre sillogismo che rese Said famoso in tutto il mondo: l'"orientalismo", il razzismo occidentale nei confronti dell'oriente musulmano, è antisemitismo perché gli arabi sono semiti; il sionismo bianco ha assimilato gli ebrei all'occidente, gli ebrei hanno perso il loro semitismo, sono divenuti "orientalisti", antisemiti; i palestinesi sono i "nuovi ebrei" e gli ebrei israeliani sono i "nuovi nazisti".
   Un sillogismo tetro e nefasto che in questi giorni risuona sui cieli di Tel Aviv e negli assalti alle sinagoghe parigine di Sarcelles.

(Il Foglio, 5 agosto 2014)


Jon Voight replica agli attori anti-Israele: "Vergognatevi"

Lo star system sempre più diviso sul conflitto a Gaza

 
Jon Voight
Lo star system sempre più diviso sul conflitto a Gaza. L'ultimo a entrare nel dibattito a gamba tesa è Jon Voight, l'attore protagonista di Un uomo da marciapiede e padre di Angelina Jolie, che in una lettera aperta si scaglia contro Penelope Cruz e il marito Javier Bardem, chiedendosi come i due attori spagnoli che nei giorni scorsi avevano definito in un appello «genocidio» le azioni di Israele, ma che poi hanno precisato di non voler essere fraintesi né di volere attaccare il popolo di Israele - «possano incitare all'antisemitismo in tutto il mondo e siano inconsapevoli del danno che abbiano causato». «Sono più che arrabbiato - dice Voight definendo i colleghi, tra cui anche Pedro Almodovar, «ignoranti» rispetto alla storia di Israele - sono affranto». E ancora: «Avete diffamato l'unico Paese di buona volontà in Medio Oriente. Dovreste vergognarvi».
  L'uscita dell'attore statunitense è solo l'ultima di una lunga serie che fa discutere. Fra le altre star che si sono espresse criticamente su Israele, specie sui social network, ci sono Jonathan Demme, Tori Amos, Kim Kardashian, Mark Ruffalo, Roger Waters, Mia Farrow, Whoopi Goldberg, Annie Lennox e con toni particolarmente duri, Brian Eno che ha definito ciò che sta accadendo in Medio Oriente «una pulizia etnica». Selena Gomez su Instagram aveva causato grandi polemiche scrivendo: «Riguarda l'umanità. Prego per Gaza», precisando poi di non volersi schierare, ma di pregare «per la pace e l'umanità di tutti!». Star come Rihanna e il cestista Usa Dwight Howard hanno prima ritwittato un hashtag di supporto alla Palestina ma poi, di fronte alle proteste, hanno cancellato i messaggi; diversamente da loro Zayn Malik degli One Direction ha tenuto su twitter il suo Free Palestine , finendo vittima di risposte feroci.

(il Giornale, 4 agosto 2014)

*

Jon Voight contro le celebrità hollywoodiane anti-Israele: basta diffondere antisemitismo

Siete profondamente ignoranti, non conoscete la storia e dovete smetterla con l'antisemitismo. Dovreste impiccarvi per la vergogna. E' una lettera piena di indignazione quella che l'attore premio Oscar Jon Voight ha pubblicato indirizzandola direttamente ai colleghi Penelope Cruz e Javier Bardem. I due sono soltanto alcuni degli esponenti del mondo di Hollywood che nei giorni scorsi si sono schierati apertamente contro Israele accusando pesantemente il paese ebreo della sua condotta militare contro Gaza. Jon Voight li accusa invece di incitare il mondo all'odio contro gli ebrei e all'antisemitismo L'attore ricostruisce la storia dei rapporti tra arabi e israeliani sin dalla nascita di Israele nel 1948, portando molti punti a favore di questi ultimi citando le violazioni e gli attacchi arabi. Oggi, dice Voight, invece di sostenere l'unico paese democratico della regione i suoi colleghi lanciano veleno contro di esso. "Siete diventati famosi e ricchi perché vivete in un paese democratico, l'America. Avreste avuto la stessa vita se foste nati in Iran, Siria, Libano?". L'attore conclude in modo decisamente irato: dovreste impiccarvi per la vergogna e chiedere perdono alla gente che sta soffrendo in Israele.

(ilsussidiario.net, 3 agosto 2014)


Oltremare - 64 ragazzi
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Una cosa che non si vede alla televisione fuori da Israele (posso dare per scontato), sono i servizi fiume al telegiornale su ogni famiglia che ha perduto un figlio, fratello, padre, marito. Peccato. Imparerebbero tutti molto, a cominciare da quelli che in fondo in fondo un ebreo morto non è che proprio lo piangono.
Io sono quella che a ogni tragedia italica, dagli smottamenti previdibili alla strage di mafia, dall'incidente stradale agli omicidi in famiglia, toglieva il volume al telegiornale per non sentire le domande cretine dei giornalisti "ma quanto gli volevate bene?", "vi mancherà molto?", e soprattutto l'insostentibile "perdonate l'assassino?" seguito da un "sì" che nella maggior parte dei casi mi faceva torcere le budella. Ma come, perdoni un mafioso che ha ammazzato a sangue freddo tuo figlio? Ma che madre sei?
Sì, si vede proprio che son stata tirata su da buona ebrea, di quelli che l'altra guancia nemmeno per scherzo. Di quelli che a perdonare ci pensi Dio, quando e come sceglie lui.
Ora, in Israele, ad ogni guerra che si porta via giovani in maggioranza ventenni, non stacco gli occhi dal telegiornale che riporta le parole di madri distrutte ma ritte, che parlano al microfono alcune raggelate dal dolore, altre in mezzo ai singhiozzi, durante la cerimonia funebre per i loro figli. Ascolto imperterrita padri che hanno servito nelle stesse unità nelle quali i loro figli sono appena stati ammazzati da un terrorista di Hamas. Guardo paziente le immagini traballanti e fuori fuoco di ragazzi vivi e vegeti, girate ad una festa in famiglia, viaggio con amici, matrimonio, nascita del primo figlio. Immagini che oramai sono definitive, non avranno seguito come non avrà seguito il protagonista.
Forse è perché qui i giornalisti non fanno domande: si limitano ad accendere l'audio e a riprendere quello che le famiglie vogliono raccontare, mostrare. Forse è perché quello dove vivo è davvero un paese minuscolo, e dei 64 caduti conosco persone in comune in almeno tre casi. Sfido chiunque a provare distacco, quando quei caduti non sono solo dei nomi.

(moked, 4 agosto 2014)


Quell'Effetto Palestina che ottunde la mente

La semplice logica dovrebbe dirci che se Hamas nasconde razzi e comandanti nelle scuole e negli ospedali è perché sa che davvero Israele fa di tutto per non colpire i civili.

Come mai mass-media, Ong e social network continuano a pubblicare e diffondere in modo martellante le cifre delle vittime a Gaza fornite da Hamas e solo da Hamas, spesso senza nemmeno citare la fonte, come se si trattasse di informazioni attendibili e credibili che possano aiutare le persone ragionevoli e obiettive a capire cosa sta accedendo realmente in quel conflitto? Come mai a nessuno viene il dubbio che le fonti di Hamas possano esagerare o mentire benché lo abbiano fatto innumerevoli altre volte, e molte volte in passato abbiano cercato di diffondere le più stravaganti e risibili accuse contro Israele? Come mai si prendono per buone le cifre di Hamas quando è documentato che Hamas ha ordinato ai suoi collaboratori di definire "civile" qualunque vittima a Gaza indipendentemente dal fatto che fosse o meno un combattente, e di definire "bambino" qualunque vittima minorenne quando è documentato che Hamas arma e manda in battaglia anche ragazzini appena adolescenti? Perché nessuno si chiede come mai i social network filo-Hamas che vogliono "documentare le atrocità" di Israele mettono in circolazione immagini di vittime da altri conflitti come quello in Siria o addirittura di vittime israeliane (vedi la foto in questa pagina)? Come mai le stesse persone che non crederebbero a una parola di un nordcoreano intervistato per la strada non si domandano che libertà di parola possano avere i "palestinesi della strada" che i reporter intervistano ogni giorno nella striscia di Gaza? Come mai tante persone accusano automaticamente Israele per il conflitto a Gaza quando si sa che Hamas ha lanciato razzi per più giorni consecutivi (fino a 100 in un giorno) prima che Israele lanciasse l'operazione "Margine protettivo"? E si sa che Hamas ha violato tutte le sette tregue che Israele aveva accettato, facendo riesplodere per sette volte il conflitto?...

(israele.net, 4 agosto 2014)


Come mai? La risposta è semplice: per odio antiebraico lungamente metabolizzato, non più riconoscibile come tale dai soggetti e presentato come espressione di moralità umanitaria. "Uomini che soffocano la verità con l'ingiustizia” direbbe l’apostolo Paolo (Romani 1:18), contro i quali - avverte - “l’ira di Dio si rivela dal cielo”. M.C.


Contromanifestazione pro-Israele mette a tacere i manifestanti pro-Palestina


(YouTube, 3 agosto 2014)


Hamas e Corea del Nord: accordo per la fornitura di missili e armi

di Tiziana Marengo - Associazione Italia Israele

I militanti di Hamas stanno negoziando un nuovo accordo per la fornitura di armi dalla Corea del Nord. Il braccio armato del movimento politico islamico riceverà missili e apparecchiature militari, un arsenale che gli permetterà di mantenere la sua offensiva contro Israele. Pare infatti che l'accordo tra Hamas e la Corea
"Hamas è alla ricerca di modi per ricostituire le proprie scorte di missili a causa del grande numero di razzi sinora sparati contro Israele nelle ultime settimane".
del Nord ammonti a centinaia migliaia di dollari e venga gestita da una società commerciale libanese con stretti legami con l'organizzazione palestinese militante e terrorista di Beirut.
Secondo la stampa (Telegraph, JPost, Washington Post) Hamas avrebbe già effettuato un pagamento iniziale in contanti, per chiudere l'affare, e spera ora che la Corea del Nord inizi presto la spedizione di forniture extra di armi. "Hamas è alla ricerca di modi per ricostituire le proprie scorte di missili a causa del grande numero di razzi sinora sparati contro Israele nelle ultime settimane", ha spiegato un funzionario della sicurezza. "La Corea del Nord è un luogo ovvio per cercare forniture, perché Pyongyang ha già stretti legami con un certo numero di gruppi terroristici islamici militanti in Medio Oriente."
Come altri gruppi terroristici islamici della regione, come Hezbollah, Hamas ha instaurato stretti legami con la Corea del Nord, che è pronta a sostenere i gruppi che si oppongono agli interessi occidentali nella regione.
Il rapporto tra Hamas e la Corea del Nord è diventato di dominio pubblico nel 2009, quando 35 tonnellate di armi, tra cui razzi terra-terra e granate, sono stati sequestrati dopo che un aereo cargo che trasportava il materiale è stato costretto ad effettuare un atterraggio di emergenza all'aeroporto di Bangkok. Gli investigatori poi hanno confermato che il carico di armi era destinato all'Iran, da cui poi le armi vengono smistate e contrabbandate a Hezbollah in Libano e a Hamas a Gaza.
A seguito del continuo lancio di razzi verso Israele, che ormai perdura da settimane, le scorte missilistiche di Hamas diminuiscono e il gruppo terroristico ha tutte le intenzioni di ricostituire le proprie scorte di armi, rifocillare il proprio arsenale e pertanto cercano collaborazione nella Corea del Nord .
Fonti israeliane ritengono che esperti nordcoreani abbiano fornito assistenza a Hamas in merito alla costruzione della vasta rete di tunnel a Gaza, permettendo così ai combattenti di contrabbandare le armi senza essere scoperti dai droni israeliani, che mantengono una costante operazione di monitoraggio su Gaza. I nordcoreani hanno uno dei network più sofisticati al mondo in tema di gallerie in esecuzione sotto la zona demilitarizzata con la Corea del Sud, e i comandanti israeliani ritengono che Hamas abbia usufruito di questa esperienza per migliorare la propria rete di tunnel.
L'arsenale di Hamas con l'assistenza estera è diventato sempre più sofisticato, e ora vanta cinque varianti di razzi e missili. La sua arma di base è il razzo Qassam iraniano, progettato per una gittata di 20 km, ma ha anche una grande riserva di calibri 122 millimetri, che vantano una gittata fino a 50 km e oltre.

(Cuneo Oggi, 3 agosto 2014)


USA - Freddezza tra la comunità ebraica e il Partito Democratico

La frustrazione di Israele. L'elettorato ebraico guarda con sospetto alla politica dell'Amministrazione in Medio Oriente

di Valeria Coffaro

La politica dell'Amministrazione Obama in Medio Oriente non ha ancora mostrato la sua efficacia nell'allentare le tensioni tra israelini e palestinesi ma negli Stati Uniti un risultato lo ha già raggiunto: la comunità ebraica sta lentamente prendendo le distanze dal Partito Democratico.
Il presidente americano ha usato toni di condanna dei bombardamenti - specialmente quelli che hanno colpito una scuola delle Nazioni Unite a Gaza - più forti dei suoi colleghi durante i passati conflitti suscitando, secondo i detrattori, scetticismo nella base del partito rispetto all'azione di Israele. E i repubblicani festeggiano, vedendo nel proseguimento della crisi la possibilità di rompere gli stretti legali che il Partito Democratico ha tradizionalmente mantenuto con la comunità ebraica.
Alcuni sondaggi confermerebbero questa opinione. Secondo il primo di Gallup, solo 31% dei democratici ritiene che l'azione di Israele contro Hamas sia giustificata, laddove la percentuale di repubblicani a pensare che Israele stia facendo la cosa giusta ammonta al 65%.
Un altro sondaggio condotto dal Pew Research Center ha invece chiesto agli intervistati chi fosse il principale responsabile delle violenze in Medio Oriente: gli elettori democratici si sono divisi a metà con il 29% che ha indicato Hamas e il 26% che ha dato la colpa a Israele, mentre tra i repubblicani la maggioranza (il 60%) ha puntato il dito contro Hamas e solo il 13% ha risposto che la responsabilità fosse di Israele.
Per gli esperti però non è chiaro se l'atteggiamento dell'Amministrazione abbia causato questo cambiamento nella percezione della base del partito o viceversa la mutata percezione tra l'elettorato democratico abbia dato all'Amministrazione più spazio per cambiare il suo approccio verso la leadership israeliana.
Un fatto resta: Barack Obama ha perso consensi nella comunità ebraica dalla sua prima elezione nel 2008, quando il presidente ha raccolto il favore di ben il 78% di elettori ebrei, all'elezione per il suo secondo mandato nel 2012, quando Oabama è riuscito a convincere solo il 69% di questi. Numeri confermati dalle percentuali dei suoi avversari: John McCain nel 2008 conquistò il 21% del voto ebraico mentre quattro anni dopo il mormone Mitt Romney riuscì a strappare il 30%.

(America24, 3 agosto 2014)


Spiegel: il telefono di Kerry era spiato dagli 007 israeliani

 
Mentre John Kerry lo scorso anno tentava di riavviare i negoziati di pace in Medio Oriente, il premier israeliano, Benjamnin Netanyahu, era perfettamente a conoscenza delle conversazioni tra il segretario di Stato Usa e i vertici palestinesi. Gli agenti del Mossad, infatti, spiavano le telefonate dell'alleato per carpire tutte le informazioni utili possibili. Insomma, gli 007 israeliani hanno usato Kerry per conoscere le vere intenzioni degli avversari, sia sul campo che al tavolo dei negoziati. E non è detto che l'azione di "ascolto" non sia continuata anche nelle ultime settimane, durante la crisi di Gaza.
La rivelazione è del settimanale tedesco Der Spiegel. E potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso nelle già difficili relazioni tra il capo della diplomazia americana e Israele. Rapporti che si sono via via deteriorati nelle ultime settimane di conflitto, con Kerry che è stato accusato soprattutto dalla destra israeliana di fare il gioco dei palestinesi.
   Dal Dipartimento di Stato Usa per ora nessun commento. Ma la frustrazione è grande, come evidente l'imbarazzo. La fiducia potrebbe essere intaccata ai massimi livelli, soprattutto per il sospetto che Netanyahu fosse davvero a conoscenza dei contenuti delle intercettazioni compiute dai suoi servizi segreti. Come raccontano - spiega lo Spiegel - diverse fonti d'intelligence, che sottolineano come ad essere "captate" erano anche tutte le telefonate di Kerry ai rappresentanti degli Stati arabi impegnati nei colloqui.
   Lo Spiegel riferisce quindi come nei suoi regolari colloqui ad alto livello sul Medio Oriente Kerry abbia utilizzato non solo linee telefoniche criptate, ma anche linee "normali", i cui segnali, trasmessi via satellite, sono stati captati dai servizi israeliani, per aggiornare il proprio governo sulle intenzioni altrui ai fini dei negoziati.
   Negoziati che alla fine fallirono, nonostante Barack Obama all'inizio del suo secondo mandato avesse fatto della pace in Medio Oriente la priorità assoluta della sua agenda di politica estera. Ma nonostante gli sforzi profusi da Kerry, nell'aprile di quest'anno Israele ha annunciato a sorpresa la costruzione di 700 nuove abitazioni per i coloni nei territori occupati, rifiutando anche di proseguire nella liberazione di prigionieri palestinesi. Per ripicca l'Anp chiese l'adesione della Palestina a 15 convenzioni Onu.
   I negoziati naufragarono in un nulla di fatto, così come il duro lavoro di Kerry. Che anche negli ultimi giorni ha dovuto subire un nuovo smacco da Israele, con il no di Netanyahu alla proposta Usa di cessate il fuoco. Un "no" che ha messo il segretario in enorme difficoltà anche in casa propria, con numerosissime critiche a una strategia che anche il Washington Post ha definito «un errore macroscopico».

(Il Sole 24 Ore, 3 agosto 2014)


Un interrogativo inquietante: sparirà Israele?

Lo Stato d'Israele appare sempre in bilico. Fin dal giorno successivo alla sua fondazione ha dovuto prendere le armi contro chi voleva che sparisse. Ha resistito vittoriosamente sul piano militare, ma la lotta è continuata sul piano della legittimità giuridica. Continuamente e da più parti si levano voci che mettono in dubbio il "diritto all'esistenza" di Israele e ne pronosticano la fine.
    "La fine di Israele è cominciata. Si sono incrinati i pilastri che finora hanno sostenuto questo paese persino al di là di persuasioni, intenzioni, dissensi, e giudizi negativi. Quei pilastri erano l'opinione pubblica dell'Occidente, il cambiamento del mondo islamico, il sostegno americano, l'imminenza - o almeno la realistica speranza - di una qualche forma di pace o di convivenza con la Palestina."
Sparirà Israele? E' una domanda reale, non retorica. Fulvio Colombo, noto ebreo di sinistra che è stato anche direttore del quotidiano "l'Unità", sembra rispondere in modo affermativo nel libro da cui è stata ripresa la citazione sopra riportata. Il giornalista ne vede la causa nel fallimento di quel processo di pace che avrebbe dovuto essere favorito sia da Israele, sia dalla sinistra del mondo occidentale.
    "Stupisce che chi si sente vicino a Israele non si renda conto del doppio rischio: più si proclama la guerra totale, più gli assalitori di Israele possono fingersi partigiani di una resistenza a quella guerra, ottimo alibi per attaccare Israele e tentare di cancellarlo. La sinistra dovrebbe aprire gli occhi su ciò che non è resistenza, ma progetto bene organizzato, bene armato, bene finanziato e apertamente annunciato di cancellazione di un popolo. La destra dovrebbe avere il coraggio di denunciare il vero pericolo: non è in atto alcuna guerra di civiltà, non sta per venire la fine del mondo. Ma potrebbe venire la fine di Israele."
E' vero il contrario: sta per venire la fine di questo mondo, e un Israele redento sarà alla testa di un mondo rinnovato. Ma naturalmente questo avverrà secondo tempi e modi biblici, ben diversi da quelli dell'odierna politica internazionale. Si tratta di eventi annunciati nella Scrittura, ma che non per questo appartengono a un'evanescente sfera "spirituale": le profezie bibliche indicano in modo sufficientemente chiaro la direzione in cui si muovono i fatti politici più importanti che oggi avvengono sulla scena mondiale, che non a caso riguardano proprio lo Stato d'Israele.



I lettori interessati possono ricevere in dono una copia gratuita del libro "Dio ha scelto Israele".
Come forma di "pagamento" si richiede soltanto di fare un'offerta di almeno 10 euro a un ente di soccorso israeliano, come per esempio Magen David Adom o Yad Eliezer.
L'impegno è esclusivamente morale, quindi non è necessario darcene conferma.
Per ricevere il libro è sufficiente scriverci indicando come oggetto LIBRO e come testo nome, cognome e indirizzo del destinatario.




 

Oltre i tunnel di Gaza

di Maurizio del Maschio

Molto si è detto e scritto sulle possibili soluzioni e sugli scenari futuri per la striscia di Gaza e tante dichiarazioni sono state pronunciate circa il dispiegamento di una forza di interposizione internazionale che dovrebbe garantire la sicurezza di Israele. anche il ministro degli esteri Federica Mogherini si è espressa in questo senso, e mi chiedo se chi scrive o propone soluzioni conosca a fondo la storia della striscia di Gaza. Mi limiterò solo a ricordare quanto è accaduto negli ultimi anni.
   Dal 1994 la striscia è stata resa totalmente autonoma, insieme a Gerico, a seguito degli accordi di Oslo. Da allora il governo della Striscia di Gaza passò nelle mani dell'Autorità Palestinese di Yasser Arafat, pur conservando al proprio interno delle enclave ebraiche con circa 7.000 abitanti ed un contingente militare che difendeva tali insediamenti.
   Non so quanti sanno che nel 2005, quando Ariel Sharon con il disimpegno da Gaza, epurò interamente la striscia di popolazione ebraica, Israele stipulò con l'Egitto un accordo molto discusso in quanto l'esercito
Israele non ha mai potuto fidarsi per la propria sicurezza delle forze di interposizione perché nella maggioranza dei casi nei momento di crisi sono le prime a sgomberare e ad andarsene.
israeliano si impegnava a lasciare anche il controllo militare del confine sud. Si sapeva che sotto tale confine esistevano centinaia di tunnel gestiti da famiglie beduine che contrabbandavano ogni genere di prodotto, comprese le armi di provenienza iraniana fornite dagli Hezbollah libanesi via mare e che avevano anche canali attraverso il Sinai che metteva la Striscia in comunicazione con il Sudan. In varie occasioni Israele aveva intercettato navi cariche di armi e anche distrutto convogli diretti al Sinai. In quello stesso accordo del 2005 con l'Egitto si previde la presenza di una forza internazionale di interposizione, guidata allora dal generale CC Pietro Pistolese. Gli Italiani avevano una consistente presenza ed erano graditi sia all'Egitto sia a Israele. Questa forza di interposizione, che si occupava del valico di Rafàh ma non certo dei tunnel, ebbe una vita brevissima: nel 2007, il feroce colpo di Stato effettuato da Hamas eliminò politicamente e fisicamente tutti i suoi oppositori dell'area di Fatah, causo' il ritiro ed il rientro di questa forza multinazionale ed il valico fu da allora gestito direttamente dagli Egiziani. Solo sotto l'attuale governo di Abd al Fattàh al-Sisi il valico è rimasto praticamente sempre chiuso ed i tunnel in gran parte sono stati distrutti perché la Fratellanza Musulmana (a cui è affiliata Hamas) e i gruppi jihadisti sono anche per l'Egitto un problema politico per la sicurezza e la stabilità del Paese e questo regime ha mal sopportato vari attentati che Hamas ha messo in atto contro i militari e la popolazione egiziana del Sinai.
   Israele non ha mai potuto fidarsi per la propria sicurezza delle forze di interposizione, anche perché, nella maggioranza dei casi, nei momento di crisi sono le prime a sgomberare ed andarsene. È sempre stato così in tutta la storia di quest'area. Un'altra storia forse riuscirà chi legge a capire meglio la situazione. Nel 2000 Israele si ritirò definitivamente dal Libano dove, dal 1982, teneva sotto controllo una fascia di sicurezza al di là del confine che non consentiva il lancio dei missili dal Libano sulla popolazione civile del nord d'Israele, sull'intero territorio della Galilea. Gli Hezbollah filoiraniani hanno messo sotto il proprio controllo militare questa fascia, di fatto evitando che l'esercito libanese ne prendesse possesso e nel 2006 causarono una guerra disastrosa che ha visto la distruzione di interi villaggi libanesi e bombardamenti che hanno raggiunto anche Beirut da parte delle forze armate israeliane. Quella guerra costò varie vittime tra civili e militari anche in Israele. Alla fine, la comunità internazionale decise di rafforzare una presenza militare di osservatori armati ONU che avrebbe dovuto vigilare sulla zona e controllare il disarmo delle forze di Hezbollah che il legittimo esercito libanese avrebbe dovuto effettuare. Tale disarmo non è mai avvenuto. Anzi, ora si suppone che l'arsenale dei missili in possesso di Hezbollah, arrivato attraverso il canale Iran-Siria-Libano sia ben superiore a quello di cui disponeva Hamas, con testate di varie centinaia di esplosivo e gittate che coprono l'intero territorio israeliano, quindi molto più pericolosi.
   I 2.000 italiani e le centinaia di Francesi e di altri Paesi che fanno parte di questo contingente, poco
Da mesi gli abitanti dell'alta Galilea denunciano movimenti sotto le loro case, spostamenti di mobili e onde che spaccano i pavimenti.
hanno fatto in questi anni per tranquillizzare la popolazione israeliana del nord e nulla hanno fatto per evitare che Hezbollah si riarmasse. Da mesi la popolazione dell'alta Galilea si lamenta denunciando movimenti sotto le loro case, spostamenti di mobili ed onde che spaccano i pavimenti. Sono sicuri che anche Hezbollah, affiliato alla Fratellanza Musulmana, fratelli maggiori di Hamas e sudditi dell'Iran, in accordo con la loro ideologia di distruzione di Israele, si stiano essi pure preparando a costruire dei tunnel che sbuchino dentro il territorio d'Israele. Se si visita il confine a Metulla, si possono vedere in territorio libanese delle costruzioni in mezzo al nulla, dove non vi sono abitanti o campi coltivati. Gli abitanti della Galilea settentrionale, avendo visto strani movimenti di camion carichi materiale edile che finisce nel nulla e colmi di terra che vengono portati via. È facile ipotizzare che siano edifici che nascondano aperture di tunnel. La domanda da porsi è: dobbiamo aspettare di vedere sbucare un terrorista dentro una delle case israeliane pronto a sgozzare i suoi residenti o preventivamente agire perché questo non accada? Se esiste una forza di interposizione perché non lavora seriamente al compito che è chiamata a svolgere, cioè evitare che si arrivi al punto di non ritorno?
   
(Online News, 3 agosto 2014)


Israeliani via da Gaza: ritiro unilaterale

Distrutte le gallerie, il governo sposta parte delle truppe. Hamas: "Noi pronti a combattere ancora"

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - Il silenzio, ovvero il ritiro unilaterale israeliano, parziale, dal campo di battaglia, con una temporanea presenza di truppe su centri topici, sembra l'esito più realistico dopo la rottura della tregua da parte di Hamas con lanci di missili, il rapimento di Adar Goldin e l'uccisione di due dei suoi tre compagni a causa di un terrorista suicida.
   La dimensione dell'esplosione, anche se i soldati di Tzahal cercano il compagno rapito porta a porta, lascia immaginare che il ragazzo potrebbe essere stato a sua volta ucciso, anche se non lo si dice a voce alta, mentre la famiglia si dice convinta che sia vivo e intima: non si esce da Gaza senza Adar. Ma l'idea che sia morto, triste che sia, lascia spazio al problema della guerra di Gaza in termini militari e politici: le gallerie sono state quasi tutte distrutte, le altre strutture belliche di Hamas (lanciamissili, missili, razzi,
Obama, irato come sarebbe ogni americano quando si rompe la parola data, ha detto l'indicibile: «Israele ha ragione, Hamas è fuori del giuoco».
depositi di esplosivo armamenti vari, quasi tutti made in Iran) sono decimate, è a Gaza è a pezzi dagli uffici, alla tv, all'universita islamica. I poveri cittadini schiavi del regime di Hamas non osano reagire, ma striscia, nella sofferenza, oltre all'odio per gli israeliani, anche l'estraneità a chi li ha portati a quel punto. Perché mai Hamas, si chiede la gente, ha rotto dopo pochi minuti la tregua?
Dalla rottura del cessate il fuoco che ha tenuto il Gabinetto di Sicurezza in riunione fino alle 2 di venerdì notte si è assunto, mentre gli Usa, l'ONnu, l'Ue se ne rendeva conto, che Hamas non è un interlocutore per la tregua e tantomeno per la pace. Hamas vuole solo alzare il suo prezzo. Più di tutti già con la rottura del cessate il fuoco si è irritato Obama, primo mallevadore della tregua lunga 72 ore che avrebbe dato il tempo di discutere un accordo al Cairo. Ma qui c'è un errore nella logica occidentale: Hamas è parte di quella Fratellanza Musulmana che ha portato la rovina sull'Egitto, la porta sulla Tunisia, si nutre della sovversione indotta da Qatar e Turchia. Un'organizzazione con scopi escatologici ma anche di immediato interesse concreto, appetiti da soddisfare. Obama, irato come sarebbe ogni americano quando si rompe la parola data, ha detto l'indicibile: «Israele ha ragione, Hamas è fuori del giuoco». Ieri, mentre al Sisi (insieme a Renzi) menzionava la necessità di una pace per palestinesi senza mai citare Hamas, Israele ha deciso di non mandare una delegazione al Cairo. Ha detto alla gente del sud della Striscia: «Tornate a casa, non vi toccheremo». Un segnale di disimpegno e un avvertimento: se le vostre case vengono bersagliate, il responsabile è Ismail Hanyieh. E già da ieri si assiste a scene di disperazione perché chi torna a casa trova solo distruzione. Ma il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha dichiarato: «Il ritiro di Israele non ci impegna. Se necessario siamo pronti a continuare a combattere».
   La decisione per ora sembra questa: annunciare la distruzione delle armi fondamentali di Hamas; guardare a un accordo internazionale che implichi l'Egitto e Abu Mazen, senza Hamas, che sorvegli il disarmo di Hamas. Molti ormai guardano a Gaza (anche nel mondo arabo) come a un pericoloso staterello che persegue sopravvivenza e guadagno con mezzi violenti.
   Oggi Israele fornisce a Gaza elettricità, acqua, 250 camion di aiuti che passano ogni giorno dal valico di Kerem Shalom, da domani potrebbe guardare a Gaza come a uno stato in guerra. Se si realizzerà la fuoriuscita unilaterale di Tazhal ma Hamas seguiterà a bombardare, Israele risponderà. La risposta può prendere di mira la leadership, occupare una parte di territorio, usare gli aerei. «Nessun Paese - ha detto Obama - accetterebbe un bombardamento che manda i cittadini nei rifugi ogni 20 minuti, né di vivere su gallerie da cui ti spuntano in casa i terroristi». Chissà se ora si è capito.

(il Giornale, 3 agosto 2014)


«Bibi vuole vincere, non negozierà»

Intervista a Daniel Pipes

di Arturo Zampaglione

Daniel Pipes
WASHINGTON . «È stata una dichiarazione di indipendenza», dice Daniel Pipes, commentando a caldo le parole di Benjamin Netanyahu. «Israele — ha fatto capire il premier — si ritirerà da Gaza come e quando lo deciderà: non sulla base di un negoziato e non prima di aver distrutto completamente la rete di tunnel e aver neutralizzato Hamas». Presidente da vent'anni del Middle East Forum, un think-tank conservatore con forti legami con il Pentagono, considerato un "falco", specie sulle questioni medio-orientali, Pipes analizza la strategia militare di Gerusalemme partendo da due "sorprese" del primo mese di combattimenti. La prima — spiega a Repubblica — è il grande successo dell'Iron Dome, lo scudo difensivo anti razzi. L'altra è l'ampiezza e sofisticazione della rete di tunnel scavata da Hamas. «Le forze armate israeliane dominano il cielo, il mare, il teatro di terra, ma si sono accorte che non controllavano il sottosuolo ». «Di qui l'offensiva, che assomiglia più a una gigantesca operazione di polizia che non a una guerra tradizionale».

- Lei parla della sofisticazione dei tunnel, Pipes, ma dalle immagini sembrano dei cunicoli rudimentali.
  «Sono invece lavori di ingegneria costosi e tecnologici: lunghi tunnel di cemento a venti metri di profondità, larghi abbastanza per trasportare uomini e munizioni, dotati di sensori e collegamenti elettronici. Si ipotizza che il Qatar abbia finanziato con 500 milioni di dollari questa rete sotterranea, anche perché il piccolo Emirato del Golfo, circondato da potenze come l'Iran e l'Arabia Saudita, punta proprio sugli stessi sistemi per difendersi da eventuali nemici».

- Gerusalemme sembra molto preoccupata e infastidita dall'opinione pubblica mondiale.
  «Questa è una guerra politica non militare. Mi spiego: non è una guerra normale, come quelle del 1948 o nel 1973, perché si sa già chi la vincerà. Assomiglia semmai a una operazione di polizia in cui alla fine contano i metodi usati. La vera arma di Hamas sono i cadaveri dei palestinesi, mentre il tallone d'Achille di Israele sono proprio quegli stessi cadaveri».

- E' la terza grande offensiva israeliana contro Gaza.
  «Israele, che non ha mai avuto grandi idee su Gaza, ipotizza adesso una ricostruzione assieme al disarmo. E una nuova guerra sarà anche più difficile perché, a differenza dei predecessori Mubarak e Morsi, il presidente egiziano Sisi non permetterà di fare arrivare le armi ad Hamas. Di certo Gerusalemme non manderà più quel cemento che doveva servire per l'edilizia civile e invece è finito nei tunnel».

(la Repubblica, 3 agosto 2014)


Gaza e Israele che prosegue la sua offensiva, ritirando in parte le truppe di terra

di Arduino Rossi

La guerra continua e i morti sono tanti: questo conflitto ha diverse origini, religiose culturali e storiche, molto complesse, ma gli imbecilli italiani non perdonano.... la loro scarsa intelligenza e scendono in piazza per la Palestina libera.
Il dramma è grande, nel cervello di costoro: non si sa perché amino la Palestina islamista, che ha ripulito tutte le differenze religiose ed ha imposto la fede islamica, nella versione sunnita, contro minoranze cristiane, sciite, scacciato i drusi e ovviamente tutti gli ebrei.
Loro e i nazisti scrivono frasi demenziali sui muri e parlano di lotta del popolo palestinese non sapendo, non capendo, non conoscendo una sola nozione storica diritta, poverini.
Perché vogliono solo la Palestina libera e non altri Paesi?
Non si sa perché questo fervore non si vede per il Tibet, l'Est Ucraina, il paese dei baschi, le varie tribù africane perseguitate.
Sono i misteri di una politica che vive di simboli e di emozioni, non di analisi e di intelligenza, a loro sconosciuta.
Palestina Libera?
Sì, come il Nord dell'Ucraina dai fanatici assassini e schiavisti del gruppo islamico Boko Haram.

(Notizie News, 3 agosto 2014)


«Il piano degli estremisti? Un califfato in Europa

L'ambasciatore israeliano: dobbiamo difenderci. Con i vecchi leader arabi sapevi come comportarti: con la forza, con le minacce oppure con il business Ora invece è totale anarchia.

di Piero Degli Antoni

ROMA - Naor Gilon, 50 anni, 4 figli, è l'ambasciatore di Israele in Italia. Prima di occupare la sede di Roma, è stato consigliere negli Stati Uniti e capo di gabinetto del Ministro degli Esteri.

- Anche le persone che difendono Israele fanno fatica a capire perché così tanti civili (più di mille) e soprattutto così tanti bambini (oltre 200) siano stati uccisi a Gaza.
  «Hamas ha come obiettivo la distruzione di Israele e l'uccisione degli ebrei ovunque essi siano — spiega Gilon —. Molta gente fraintende ciò che sta accadendo e pensa che si tratti di una disputa politica. Non lo è, perché Israele non è presente nella striscia di Gaza dal 2005. Hamas si rifiuta di concludere qualsiasi accordo. Grazie al nostro sistema di difesa Iron Dome, possiamo intercettare i loro razzi, ma questo è anche molto costoso. Ogni razzo bloccato ci viene a costare 50mila dollari, mentre Hamas riceve i razzi gratis dall'Iran o dalla Siria Insomma abbiamo investito nella difesa molte risorse, per questo abbiamo avuto meno vittime, circa 50. Ma Hamas usa la popolazione civile di Gaza per nascondersi. La loro leadership è al riparo nei bunker, mentre la popolazione civile è fuori».

- Usano i tunnel?
«I tunnel sono la nuova minaccia. Il loro progetto finale era costruire dozzine di gallerie dalle quali un giorno sarebbero usciti centinaia di soldati all'interno del territorio ebraico, per macellare adulti e bambini, e prendere molti ostaggi per poi negoziare. Molti di questi tunnel partono dalle case della gente comune, o anche dagli ospedali. Noi avvertiamo la popolazione civile di lasciare le case prima che vengano colpite, mentre i soldati di Hamas al contrario ingiungono alla gente di restare, o addirittura li obbligano a bastonate, o persino li incatenano, come si può vedere dalle foto che circolano su Internet».

- La questione rimane. Se voi avete così poche perdite, perché rispondere col fuoco in modo così massiccio?

  «Per noi ogni morte è terribile, la morte di un israeliano come quella di un palestinese. Ma la popolazione civile di un Paese occidentale non può vivere in eterno sotto la minaccia dei razzi. Ha visto le foto dei bambini israeliani sdraiati a terra negli asili con le mani sopra la testa per proteggersi? Non possiamo crescere i nostri figli in questo modo. Noi vogliamo una soluzione politica, ma c'è un problema. Nel passato l'Egitto aveva una forte influenza su Hamas. Ma oggi l'Egitto vede Hamas come un nemico poiché il movimento dei Fratelli Musulmani è un nemico, e quindi ha meno influenza su Hamas. Così occorre coinvolgere i Paesi che hanno rapporti con Hamas: il Qatar, che è la banca del terrorismo, l'Iran e la Turchia. Ma questi, invece di intervenire per fermarli, stanno incoraggiando Hamas a continuare».

- Tra i Paesi che potrebbero intervenire non ha citato gli Stati Uniti. Pensa che una superpotenza come gli Usa non possa avere voce in capitolo?
  «Gli Stati Uniti hanno una minima influenza su Hamas. Ma gli Usa e l'Europa hanno buoni rapporti sia con il Qatar che con la Turchia, e su di loro possono intervenire. Per raggiungere un accordo dobbiamo essere sicuri che Hamas non abbia più razzi, che i tunnel vengano distrutti, che i soldi che arrivano vengano usati per scuole e ospedali e non per costruire tunnel, costati 1,5 miliardi di dollari».

- Perché il ruolo diplomatico dell'Italia è così debole?
  «Tutto l'Occidente sta diventando più debole perché attraversa una crisi economica e politica. Inoltre l'Occidente ha perso molti alleati. Con i vecchi leader del mondo arabo sapevi come comportarti: a volte usando la forza, a volte le minacce, a volte il business. Con l'anarchia attuale è tutto più difficile. Allo stesso tempo nel Medio Oriente stanno crescendo elementi molto estremisti. Vogliono creare un nuovo Stato islamico, invadere la Giordania, questo è il loro piano. Questa gente un giorno verrà anche in Europa per ristabilire il califfato e dirà: questa terra è nostra».

- Non temete l'antisemitismo che si sta manifestando a Parigi, Londra, anche qui a Roma?
  «Credo che in Italia sia diverso. Fortunatamente qui la comunità islamica è meno estremista. Nel dopoguerra è sempre stato politicamente scorretto essere apertamente antisemiti. Negli ultimi anni però è cresciuto un altro tipo di antisemitismo. Oggi si dice: non ho un problema con gli ebrei, ma con il sionismo. Però il sionismo rappresenta la costruzione dello Stato di Israele. Abbiamo decine di Paesi che si identificano con la religione cristiana, 55 o 56 Stati musulmani, ma un solo Stato ebreo, che viene attaccato in continuazione. Noi vinceremo questa guerra perché non abbiamo alternative».

- Ma i giovani ebrei sono così coinvolti nella guerra? La loro fede è ancora profonda?
  «Noi abbiamo una grande forza spirituale perché qui è in gioco la nostra sopravvivenza. Mio padre è un , sopravvissuto dell'Olocausto. E' venuto in Palestina nel 1949, aveva 40 anni, e ha combattuto. Io e i miei fratelli abbiamo servito nell'esercito, e ora lo stanno facendo anche i miei figli. Lo fanno perché capiscono che è l'unico modo per difendere gli ebrei. Quando Gheddafi cacciò gli ebrei dalla Libia molti vennero in Italia. Amano il Paese, la lingua, il cibo, ma sanno che non potranno mai essere del tutto sicuri. L'unica vera sicurezza per loro è l'esistenza di Israele».

(La Nazione, 3 agosto 2014)


Israele c'è perché Dio c'è



 

Lettera ai cittadini di Gaza

Cari cittadini di Gaza
I vostri leader se ne sono andati, sono al sicuro in Qatar, le loro famiglie sono al sicuro in lussuosi alberghi, i loro figli sono nelle migliori università europee, i loro soldi al sicuro nelle casseforti svizzere. E voi? Voi cosa fate?
Non siete stanchi di fare da scudi umani? Non siete stanchi di questi mostri che ogni giorno spingono i vostri figli verso la morte? Non vedete come vi hanno ridotto? Non vedete che anche i vostri fratelli egiziani non vi assistono più per colpa di Hamas? Ah, forse questo non ve lo dicono, come non vi dicono tante altre cose....

(Right Reporters, 3 agosto 2014)


Gaza, ecco i tunnel cui Israele dà la caccia

di Vittoria Iacovella

Il primo Ministro Israeliano Benjamin Netanyahu ha condizionato ogni possibilità di ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza alla completa ditruzione dei passaggi sotterranei. Il labirinto segreto di tunnel e bunker costruiti da Hamas negli ultimi anni e con un enorme impiego di uomini e risorse economiche resta dunque al centro della crisi.

(la Repubblica, 2 agosto 2014)


Netanyahu: distrutti i tunnel, ci rischieriamo pronti a tornare

GERUSALEMME - "Dopo aver completato l'operazione anti-tunnel, l'esercito israerliano agira' e continuera' ad agire, secondo le nostre necessita' di sicurezza e solo in base alle nostre necessita' di difesa, fino a quanto raggiungeremo il nostro obiettivo, di riportare la sicurezza a voi, cittadini israeliani", ha detto il premier, in un discorso trasmesso in diretta tv. Il premier ha aggiunto che non dira' "quando l'operazione sara' finita" ma ha precisato che le truppe si ridislocheranno "in postazioni buone per noi".
Netanyahu inoltre ha minacciato Hamas dicendo che paghera' "un prezzo intollerabile" se dovessero continuare gli attacchi dal territorio palestinese verso Israele. "Non possiamo accettare il proseguimento degli attacchi", ha detto. "(Hamas) deve capire, non importa quanto tempo gli occorra, che paghera' un prezzo intollerabile, dal suo punto di vista, per il fatto di continuare a lanciare razzi".
In un incontro con la stampa teletrasmesso in diretta dalla sede del ministero della Difesa, a Tel Aviv, il premier ha anche dichiarato che alcuni dei razzi lanciati dall'enclave palestinese verso Israele sono prodotti in Iran.

(AGI, 2 agosto 2014)


Il Congresso Usa dà l'ok ai fondi per l'Iron Dome

Il Senato americano ha approvato all'unanimità risorse aggiuntive per finanziare Iron Dome, il sistema missilistico difensivo di Israele. Le risorse ammontano a 225 milioni di dollari. "E' il segnale che le istituzioni e i cittadini americani sono con Israele", ha commentato il senatore repubblicano ed ex candidato presidenziale John McCain.
Dopo la bocciatura di giovedì 30 luglio, la proposta di finanziare il sistema missilistico difensivo Iron Dome con 225 milioni di dollari, come chiesto dal segretario alla Difesa, Chuck Hagel, è stata approvata all'unanimità. I fondi serviranno a rifornire l'Iron Dome, che permette a Israele di contrastare il lancio di missili da parte di Hamas. "Siamo con gli israeliani, perché senza l'Iron Dome non potrebbero difendersi" ha dichiarato il senatore John McCain, ex candidato repubblicano alla Casa Bianca. La misura d'emergenza in aiuto di Israele sarà ora analizzata dalla Camera, che dovrebbe approvarla in giornata.

(tiscali, 2 agosto 2014)


Cosa stava preparando Hamas? "L'11 settembre d'Israele"

L'operazione a Gaza è servita a sventare un mega attacco. Il ruolo dell'Iran nella rete dei tunnel del terrore.

di Giulio Meotti

 
"Sotto Gaza c'è un'altra città", ha commentato un ufficiale dell'esercito israeliano. Durante la guerra di Gaza, Hamas ha inferto due colpi a Israele: i missili sull'aeroporto di Tel Aviv e la rete di tunnel. Come è possibile che Hamas, un movimento sorto nel 1987, sia diventato una tale macchina da guerra e un nemico così sofisticato? Il padre dei tunnel di Hamas è Imad Mughniyeh, il capo militare di Hezbollah, ne ha diretto la guerra contro Israele del 2006 e serviva da collegamento con Teheran. Prima che Israele lo eliminasse a Damasco. Mughniyeh mandò istruttori a Gaza e portò membri di Hamas in Iran. La tecnologia, l'equipaggiamento e i fondi della rete dei tunnel di Hamas è quasi tutta iraniana. Israele scoprì i tunnel di Hezbollah nel 2006, domandandosi perché i raid della sua aviazione non infliggevano abbastanza perdite. E allora Israele scoprì che villaggi interi, le abitazioni, gli ospedali, le scuole venivano usate dai terroristi libanesi come fossero cartoni da sovrapporre ai tunnel.
   Oggi, allo stesso modo, l'intelligence israeliana teme che Hezbollah pianifichi "l'invasione della Galilea" attraverso una rete di tunnel dal Libano simile a quella di Hamas a Gaza. L'unica differenza con Gaza è che il territorio della Galilea è più difficile da lavorare. Il movimento islamista palestinese ha 15 mila operativi. Molti sono caduti nei bombardamenti israeliani a Beit Hanoun, Shejaiya e Khan Yunis. Israele non ha dovuto affrontare, almeno finora, combattimenti faccia a faccia con i terroristi. Hamas, infatti, ha emulato Hezbollah usando missili anti tank ed esplosivi improvvisati (Ieds). L'altra arma di Hamas sono le bombe dentro le case. Come ha spiegato il generale Micky Edelstein, capo della divisione meridionale di Tsahal, "in una strada di Khan Yunis ho trovato 19 case con trappole esplosive su 28".
   Gran parte delle armi di Hamas arrivano dall'Iran e dal Sudan, ed entrano nella Striscia attraverso il Sinai. A marzo, Israele ha intercettato la Klos-C, una nave iraniana piena di missili siriani M-302 con un potenziale raggio di 200 chilometri. I terroristi di Hamas sono addestrati dentro la Striscia, ma i veterani vengono tutti dai campi in Iran. La costruzione dei tunnel è iniziata quattro anni fa e ha richiesto il quaranta per cento delle risorse di Hamas. Generalmente i tunnel sono scavati 25 metri sotto terra, ma l'esercito ha trovato anche tunnel a 35 metri. "E' come un palazzo a dieci piani nel sottosuolo", ha detto un ufficiale dell'Idf.
   L'ex capo di stato maggiore, Shaul Mofaz, ha detto che i tunnel sono una minaccia "strategica" per Israele e non meramente "tattica". I miliziani di Hamas come i vietcong, che scavarono una rete di gallerie sotto il paese per combattere, con tecniche di guerriglia, l'esercito americano. Il parallelo è tracciato dal sito israeliano di intelligence Debka. Ma sono stati gli Hezbollah a insegnare a Hamas come e cosa fare dei tunnel.
   Hezbollah aveva scavato un vasto sistema di bunker e di magazzini le cui aperture erano dissimulate in vario modo nelle colline, nelle grotte e all'interno di appartamenti. Gli accessi erano totalmente mimetizzati nella natura "in stile vietcong". Rintracciarli dal cielo, ad esempio con gli aerei spia, non è
I terroristi indossavano giubbotti suicidi sotto uniformi dell'esercito israeliano. Il loro obiettivo era di massacrare civili israeliani. Nei tunnel sono stati trovati farmaci per addormentare i soldati israeliani rapiti.
possibile. Un mega bunker venne scavato dagli hezbollah presso Naqura, a soli quattrocento metri dal confine con Israele. In ogni postazione di Hezbollah c'erano docce, gabinetti, aria condizionata e uscite di emergenza.
Alla fine della guerra del Libano, l'allora capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, lanciò un allarme: "Fra due o tre anni, se non intervengono cambiamenti significativi, potremmo trovarci in una situazione simile a quella che affrontiamo contro Hezbollah in Libano, cioé con una rete di bunker, gallerie, infrastrutture e armamenti pericolosi". Sbagliò solo la data.
In almeno tre attacchi nei giorni scorsi, squadre di terroristi di Hamas si sono infiltrate in Israele attraverso queste gallerie del terrore. L'ultimo attacco è avvenuto il 28 luglio, quando i terroristi si sono infiltrati in Israele attraverso un tunnel nei pressi di Nahal Oz. Il loro obiettivo era quello di attaccare una comunità israeliana vicino al confine. Il 17 luglio, i terroristi erano usciti da un tunnel vicino alla comunità israeliana di Sufa, a pochi chilometri dal confine con Gaza. Quattro giorni dopo, i terroristi indossavano uniformi dell'esercito israeliano. Sotto avevano giubbotti suicidi. Il loro obiettivo era quello di massacrare i civili israeliani. Nei tunnel di Hamas sono stati trovati farmaci per addormentare i soldati israeliani rapiti.
   Per costruire ogni tunnel servono 350 camion di cemento. Ogni tunnel costa tre milioni di dollari. Con le risorse usate per ogni tunnel della morte, Hamas avrebbe potuto costruire 86 case, sei scuole e 19 cliniche mediche. Ogni mese Israele trasferisce materiali da costruzione a Gaza destinati a progetti civili. Questi materiali sono cooptati da Hamas per i tunnel. Dal gennaio scorso, 4.680 camion che trasportavano 181 mila tonnellate di ghiaia, ferro, cemento, legno e altri materiali di consumo sono passati attraverso il valico di Kerem Shalom a Gaza. Hamas ha usato il materiale per ampliare la città sotterranea del terrore.
   Ma a cosa servivano tutti questi tunnel? Hamas pianificava un "D-day" per il Capodanno ebraico, Rosh Hashanah, a settembre. Duecento terroristi mandati a rapire e uccidere quanti più israeliani possibile nei kibbutz lungo la Striscia di Gaza, come Kfar Aza e Nahal Oz. I terroristi avrebbero indossato le uniformi di Tsahal. Hezbollah era pronta ad aprire un fronte a nord. Così, l'operazione militare israeliana ha evitato un evento di dimensioni paragonate dai servizi israeliani alla guerra dello Yom Kippur. Come ha detto il ministro dell'Economia, Naftali Bennett: "Senza l'operazione militare, ci saremmo svegliati un giorno con un 11 settembre israeliano".

(Il Foglio, 2 agosto 2014)


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Colpe solo a Israele. Una questione di cuore

In un giornaletto che non è il caso di citare compare questa lettera al direttore:
    Egregio direttore, la maggior parte dei media continua a mettere in evidenza solo gli attacchi di Israele su Gaza, come se in una guerra fosse possibile distinguere i buoni dai cattivi. Non le sembra che il mondo dell'informazione stia sottovalutando le responsabilità di Hamas sui missili lanciati verso Tel Aviv e Gerusalemme e sulla stessa strage di civili nella Striscia?
E questa è la grande risposta del direttore:
    Il cuore di gran parte della stampa italiana batte per le ragioni del popolo palestinese, anche se i missili lanciati da Hamas alla fine fanno più male proprio alla Palestina che a Israele. In sostegno di Tel Aviv abbiamo visto solo alcuni giornalisti.
E' una questione di cuore dunque, non di verità e giustizia. Il direttore però dice che il cuore della stampa italiana batte per le ragioni del popolo palestinese. Quali sono dunque queste ragioni? Non sono dette, ma devono essere quelle di Hamas, contro cui Israele combatte, evidentemente senza averne le ragioni, se non quella della sua notoria malvagità. Ragioni valide sono invece quelle di Hamas, che "a ragione" sostiene che Israele deve essere distrutto. Ecco dunque la ragione del cuore di gran parte della stampa italiana, e verosilmente anche della popolazione italiana: l'antipatia verso gli ebrei, oggi visualizzati politicamente nello Stato d'Israele. Antipatia che fa battere il cuore verso i palestinesi di Gaza, che Hamas guida con mano ferma nel proposito dichiarato di distruggere l'entità sionista. Perché Israele si ostina a battersi per la sua sopravvivenza? Questo è il problema che infastidisce molti: se si lasciasse sterminare senza tante storie il cuore della stampa italiana si acquieterebbe soddisfatto. "Senza ebrei è meglio": è la costante di fondo, più o meno esplicitamente espressa, di tanti sistemi teologici, filosofici, politici, giornalistici. O semplicemente di tanti discorsi da bar. M.C.

(Notizie su Israele, 2 agosto 2014)


La Palestina vi rende stupidi

Come e perché a ogni guerra scatta il mistificatorio "Effetto Palestina". Qualche antidoto per non soccombere al "subitaneo e spesso totale collasso del ragionamento logico". Difendere la parte palestinese su Gaza è perorare la barbarie.

di Bret Stephens

Di tutte le cose stupide che sono state dette sulla guerra fra Israele e Hamas, la menzione del disonore va di certo ai commenti fatti nel weekend da Benjamin J. Rhodes, viceconsigliere della Sicurezza nazionale per le comunicazioni strategiche.
   Intervistato da Candy Crowley della Cnn, Rhodes ha sostenuto l'ormai linea standard di condotta dell'Amministrazione, cioè che Israele ha il diritto di difendersi ma che deve fare di più per evitare vittime fra i civili. Crowley lo ha interrotto dicendo che, secondo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, lo stato ebraico sta già facendo tutto quanto è in suo potere per evitare tali vittime. "Penso che si possa sempre fare qualcosa in più," ha risposto Rhodes. "L'esercito americano lo sta facendo in Afghanistan".
   Quanto è inappropriato un paragone del genere? La lista dei civili afghani uccisi accidentalmente dagli attacchi statunitensi o della Nato non è breve. Pochi dei combattimenti tenutisi in Afghanistan hanno avuto
L'ultima volta che gli Stati Uniti hanno combattuto una guerra simile a quella di Gaza sono morti qualcosa come 800 civili, e almeno 9.000 case sono state distrutte.
luogo nel tipo di ambiente densamente urbano caratteristico di Gaza, che rende il conflitto nella zona così difficile. L'ultima volta che gli Stati Uniti hanno combattuto una guerra simile a quella di Gaza - a Falluja nel 2004 - sono morti qualcosa come 800 civili, e almeno 9.000 case sono state distrutte. Questa non è una messa in stato d'accusa della condotta statunitense a Fallujah, ma il riconoscimento della lugubre realtà dei combattimenti in territorio cittadino.
Oh, fra parentesi, le città e le cittadine americane non sono mai state colpite da razzi dal cielo, né attraversate da tunnel nella terra, mentre la campagna di Falluja era in corso.
   Forse Rhodes sa tutto questo, e semplicemente è stato colto in fallo nel ripetere quelle banalità che sono considerate di rigore, diplomaticamente parlando, quando si parla dei palestinesi. O forse è solo un'altra vittima di quello che io chiamo "Effetto Palestina": il subitaneo e spesso totale collasso del ragionamento logico, dell'intelligenza raziocinante e dell'ordinario giudizio morale ogniqualvolta emerga il soggetto delle sofferenze palestinesi.
   Pensiamo all'ossessione dei media per il conteggio dei morti. Secondo una conta giornaliera nel New York Times, al 27 luglio la guerra in Gaza aveva tolto la vita a 1.023 palestinesi contro 46 israeliani. Come fa il Times a fare un conteggio così accurato delle morti palestinesi? Una nota a piè di pagina rivela: "Il conteggio dei morti palestinesi è fornito dal ministero della Salute palestinese e dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari umanitari". Ok. Quindi, chi è a capo del ministero della Salute a Gaza? Hamas. E per quanto riguarda le Nazioni Unite? Prendono i loro i dati da due ong agitprop, una delle quali, il Centro palestinese per i diritti umani, offre l'incredibilmente precisa statistica che, al 27 luglio, esattamente l'82 per cento delle morti a Gaza è rappresentato da vittime civili. Curiosamente, durante la guerra di Gaza del 2008-2009, il centro ha riportato un tasso di morti civili pari anche quella volta all'82 per cento.
   Quanto statistiche così minuziosamente esatte vengono fornite in circostanze così caotiche, allora tali statistiche sono probabilmente spazzatura. Quando un'organizzazione di news fa affidamento - senza chiarimento alcuno - a dati forniti da un organo burocratico di un'organizzazione terroristica, beh anche lì c'è qualcosa di terribilmente sbagliato.
   Eppure, facciamo per un attimo finta che i numeri forniti siano accurati. Questo significa forse che i palestinesi siano le vittime principali, e gli israeliani i principali persecutori, in questo conflitto? Seguendo questa logica assurda, potremmo rivedere tutte le equazioni morali della Seconda guerra mondiale, nella quale morirono oltre un milione di tedeschi per mano degli Alleati, in confronto a "solo" 67 mila civili britannici e 12 mila americani.
   La vera utilità della conta dei morti è che offre ai reporter e ai commentatori che la citano la possibilità di ascriverne l'implicita colpa a Israele, lasciando senza risposta le domande riguardanti la responsabilità
In questa guerra, difen- dere la parte palestinese significa perorare la causa della barbarie. Significa cancellare le distinzioni morali dalle quali emerge il concetto stesso di umanità.
ultima di tali morti. Domande come: perché Hamas nasconde razzi nelle scuole gestite dalle Nazioni Unite, come riconosciuto dall'organizzazione stessa? Cosa significa che Hamas abbia trasformato l'ospedale centrale di Gaza in un "quartier generale de facto," come riportato dal Washington Post? E perché Hamas continua a respingere, o a violare, ogni cessate il fuoco concordato con Israele?
Una persona ragionevole potrebbe concludere da ciò che Hamas, che ha iniziato la guerra, voglia che la stessa continui, e che si affida agli scrupoli morali di Israele di non distruggere siti civili che in realtà sono usati cinicamente per scopi militari. Eppure, ecco che interviene l'Effetto Palestina. Da questo ragionamento, si evince che Hamas ha iniziato la battaglia solo perché Israele ha rifiutato il suo permesso alla creazione di una coalizione palestinese che includesse Hamas, e perché Israele ha ulteriormente posto obiezioni all'aiutare a pagare i salari degli impiegati statali di Hamas a Gaza.
   Facciamo chiarezza su questa cosa. Israele è colpevole perché (a) non accetterà un governo palestinese che includa un'organizzazione terroristica che ha giurato di distruggere lo stato ebraico; (b) non aiuterà tale organizzazione con le sue risorse economiche; e (c) non faciliterà il blocco quasi totale - imposto congiuntamente con l'Egitto - su un territorio la cui attività economica principale sembra essere costruire fabbriche di razzi e riversare calcestruzzo importato in tunnel per scopi terroristici.
   Questa è sfacciata idiozia morale - o intolleranza lievemente velata. Scambia l'effetto per la causa, tratta il rispetto di sé come arroganza e autodifesa come aggressione, e fa richieste allo stato ebraico che sarebbero rifiutate sommariamente in qualsiasi altro luogo. In questa guerra, difendere la parte palestinese significa perorare la causa della barbarie. Significa cancellare, nel nome dell'umanitarismo, le distinzioni morali dalle quali emerge il concetto stesso di umanità.
   Come al solito, l'Amministrazione Obama sta diversificando le sue scommesse. E l'Effetto Palestina fa un'altra vittima.

(Il Foglio, 1 agosto 2014)


Cercate l'Eterno mentre lo si può trovare, invocatelo mentre è vicino. Lasci l'empio la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri, e ritorni all'Eterno che avrà pietà di lui, e al nostro Dio che è largo nel perdonare. «Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri né le vostre vie sono le mie vie», dice l'Eterno. «Come i cieli sono alti sopra terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, in modo da dare il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà la mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che desidero e realizzato pienamente ciò per cui l'ho mandata. Sì, voi partirete con gioia e sarete ricondotti in pace. I monti e i colli proromperanno in grida di gioia davanti a voi e tutti gli alberi della campagna batteranno le mani. Al posto delle spine crescerà il cipresso, al posto delle ortiche crescerà il mirto; sarà per l'Eterno un titolo di gloria, un segno perpetuo che non sarà distrutto».
dal libro del profeta Isaia, cap. 55







 

Missili e un israeliano rapito. La pace fasulla di Hamas

La tregua doveva durare 72 ore e invece non è mai iniziata. Strage a Rafah Dagli interrogatori emerge che diversi terroristi verrebbero addestrati in Malesia.

di Michael Sfaradi

Quella che doveva essere una giornata tranquilla si è purtroppo rivelata una delle più sanguinose dall'inizio della guerra. Alle ore 09.30, infatti, un'ora e mezzo dopo l'entrata in vigore del "cessate il fuoco" voluto da Onu e dagli Usa, diversi combattenti di Hamas, contro tutte le regole della convenzione di Ginevra riguardanti le tregue, soprattutto quelle di tipo umanitario come in questo caso, sono usciti da un tunnel nella città di Rafiah e hanno aggredito dei soldati israeliani che si trovavano non molto lontano dall'entrata del tunnel stesso. Un terrorista suicida si è fatto esplodere uccidendo sul colpo 2 soldati e ferendone altri 5 e un altro (si tratterebbe del sottotenente Hadar Goldin, 23 anni), di cui non si conoscono le condizioni
Uomini di Hamas sono stati addestrati in Malesia, questo particolare è uscito durante gli interrogatori di alcuni prigionieri.
fisiche, è stato rapito. In queste ore è in corso una vasta battuta di ricerca con l'ausilio di unità cinofile e tank. Il valico di Rafiah al confine fra Gaza ed Egitto, che doveva essere aperto per permettere il passaggio di aiuti umanitari, è rimasto chiuso a causa dell'attacco e la popolazione non ha potuto ricevere le derrate alimentari e le forniture mediche che aspetta da giorni. Dopo pochi minuti una salva di colpi di mortaio è stata sparata dai combattenti di Hamas verso un accampamento dell'esercito israeliano. Altri nove soldati sono stati uccisi e altri dieci feriti, e per finire, il "cessate il fuoco" che praticamente non ha mai avuto inizio, è stato definitivamente infranto con il lancio di decine di missili dalla Striscia verso i villaggi israeliani nel raggio di 40 chilometri dal confine. L'Idf ha allora ripreso le operazioni dal punto in cui le aveva sospese e ha ricominciato a martellare la Striscia con il tiro delle artiglierie. L'azione di guerra in tempo di tregua non ha permesso alla popolazione di ricevere gli aiuti e l'ha rimessa sotto bombardamento con i risultati che sono davanti agli occhi di tutti. Fonti mediche palestinesi hanno reso noto che 62 persone sono state uccise in un attacco nella zona di Rafah, le bombe hanno colpito l'ospedale della città Abu Yussuf al-Najar, i feriti sono centinaia e gli sbarramenti dell'artiglieria israeliana impediscono ai soccorritori di recuperare i morti.
   I missili che vengono lanciati verso Israele stanno diminuendo, secondo stime ne sono rimasti alcune centinaia a lungo e a medio raggio, e diverse migliaia quelli che raggiungono le città nel raggio di 20 / 25 chilometri dal confine con la Striscia.
   Si è chiarita la dinamica dell'incidente cha ha causato la morte dei 3 soldati israeliani e del ferimento di altri 15 all'interno di una struttura dell'Onu. Dopo aver fatto uscire in sicurezza alcuni anziani dalla clinica, all'interno della quale c'era l'ingresso a un tunnel, sono entrati e in quel momento una bomba di 80 chili che si trovava nell'intercapedine di un muro è esplosa. A guerra conclusa anche questa vicenda sarà al centro del contenzioso fra Israele e Onu sulla gestione delle strutture Unrwa e della mancata denuncia degli abusi che Ha-mas ha fatto su scuole, ospedali e ambulanze che godevano di extraterritorialità.
   Uomini di Hamas sono stati addestrati in Malesia, questo particolare è uscito durante gli interrogatori di alcuni prigionieri. La presenza di istruttori iraniani e di Hetzbollah a Gaza era nota, ma che la Malesia fosse implicata nell'addestramento di terroristi fa temere che nuove tattiche di guerriglia possano essere ora adottate. Ieri girava la notizia che Gerusalemme avesse richiesto l'uso dei depositi strategici di armi Usa in Israele, anche si era pensato a una mossa per tastare il polso dell'alleato le voci che oggi danno per certo movimenti di truppe Hetzbollah in Libano spiegano la mossa e aprono nuovi scenari che potrebbero preannunciare l'apertura di un fronte al Nord.

(Libero, 2 agosto 2014)


Hamas, tregua violata nel sangue

Tregua umanitaria violata, lancio di missili costante dalla Striscia di Gaza verso Israele, il rapimento di un soldato di Tsahal durante un'azione terroristica condotta con armi e l'ausilio di un kamikaze. Sulle speranze di cessate il fuoco e di una pronta risoluzione del conflitto ancora, inesorabile, si abbatte la violenza integralista di Hamas.
Nato a Kfar Saba, 23 anni, il sergente Hadar Goldin è stato rapito nella prima mattinata nei pressi di Rafah, località meridionale della Striscia al confine con l'Egitto. L'agguato è stato lanciato da un tunnel sotterraneo che Tsahal non era ancora riuscito a individuare. L'esercito israeliano si è subito lanciato in una difficoltosa ricerca per salvarlo dalle ritorsioni della leadership islamista. Le operazioni, guidate dal comandante Ofer Winter, sono condotte casa per casa.
"Hamas è responsabile dell'interruzione della tregua e pagherà per le proprie azioni criminose". Lo ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontrando il segretario di Stato americano John Kerry. "La rottura della tregua è un atto unilaterale di Hamas, che ha tradito gli accordi stipulati nelle scorse ore" ha poi incalzato Netanyahu nel corso del colloquio.
Sale intanto, drammaticamente, il numero dei morti. Al momento si contano 63 tra ufficiali e soldati israeliani caduti dall'inizio delle operazioni via terra nella Striscia (due dei quali nell'azione che ha portato al rapimento di Goldin), mentre nuove perdite si registrano anche tra la popolazione palestinese, costretta da Hamas a fungere da scudo umano nella difesa degli armamenti. In prima linea anche donne e bambini.
Sempre Hamas ha oggi impedito che i feriti, tra i civili di Gaza, potessero usufruire delle cure dello staff in servizio permanente nell'ospedale di Erez, predisposto all'uso dall'esercito di Israele a partire dal 20 luglio scorso.
Nelle prime ore del mattino, a seguito dell'accordo tra le parti raggiunto nella giornata di ieri, avrebbero dovuto avere inizio 72 ore di tregua. Dopo pochi minuti dall'entrata in vigore del cessate il fuoco le intenzioni di Hamas sono sembrate subito chiare tanto che a mezzogiorno, ora locale, risultavano oltre 90 ordigni lanciati oltreconfine (di cui 17 intercettati dal sistema di difesa Iron Dome, fondamentale per la salvezza di molte vite umane). Le prime sirene sono suonate nel kibbutz di Keren Shalom e poi, a seguire, nel raggio di alcune decine di chilometri. Segnali d'allarme in particolare ad Ashkelon e Beersheba. Le batterie di Iron Dome hanno fatto sì che gli ordigni non esplodessero a terra.

(moked, 1 agosto 2014)


Obama a Hamas: «Liberare subito il soldato israeliano rapito»

Il presidente Usa ribadisce il diritto di Israele di difendersi, ma chiede che si eviti la «morte di civili innocenti a Gaza». Nuovo appello per un cessate il fuoco

  «Hamas deve liberare subito e senza condizioni il soldato israeliano rapito». Barack Obama condanna il sequestro, avvenuto giovedì, di un militare dell'esercito israeliano. «La mia condanna sull'uccisione di due soldati ed il rapimento di un altro soldato è inequivocabile. Hamas deve liberarlo il prima possibile e senza condizioni» ha detto il presidente statunitense. Obama, durante una conferenza stampa a Washington, ha ribadito il diritto di Israele a difendersi, ma ha chiesto che «si faccia tutto il possibile per evitare la morte di civili palestinesi a Gaza».

- «Difficile arrivare a un'altra tregua»
  Il presidente Usa ha poi accusato di Hamas di essere «responsabile per la fine della tregua» di 72 ore, violata giovedì dopo poche ore. «Sarà molto difficile mettere in atto un nuovo cessate il fuoco - ha quindi proseguito Obama - se Israele e la comunità internazionale non saranno sicuri che Hamas possa rispettarlo. Ci vorrà del tempo, ma dobbiamo continuare a provarci».

(Corriere della Sera, 1 agosto 2014)

*

Kerry condanna le violazioni palestinesi della tregua

WASHINGTON - Il segretario di Stato Usa John Kerry condanna le violazioni del cessate il fuoco da parte dei palestinesi a Gaza, definendole "scandalose". Kerry ha chiesto l'immediato rilascio del soldato israeliano apparentemente rapito da Hamas. Il segretario di Stato Usa ha rilasciato un comunicato nel quale afferma che l'attacco dei militanti ha violato le assicurazioni che entrambe le parti hanno dato alle Nazioni unite sul rispetto del cessate il fuoco. Kerry ha chiesto che Hamas agisca per "rilasciare immediatamente e incondizionatamente" il soldato israeliano. L'aggressione ha anche causato la morte di due soldati israeliani. Il segretario Usa ha aggiunto di aver parlato con il premier di Israele Benjamin Netanyahu sugli sviluppi che hanno portato il Paese a dichiarare la conclusione del cessate il fuoco. Sarebbe "una tragedia", ha aggiunto Kerry, se l'attacco portasse a ulteriori violenze e sofferenze.

(LaPresse, 1 agosto 2014)


Hamas: noi amiamo la morte come gli israeliani amano la vita

Due leader senior di Hamas sono apparsi ieri nella TV di Hamas e hanno detto che Hamas ama la morte come gli israeliani amano la vita.

Una dichiarazione registrata fatta durante l'attuale guerra di Gaza dal leader di Hamas Muhammad Deif suona così: "Oggi voi [israeliani] state combattendo contro soldati divini, che amano la morte per Allah come voi amate la vita, e che competono tra di loro per giungere al martirio come voi fuggite la morte."
La TV di Hamas ha scelto la giornata di ieri per ritrasmettere una dichiarazione fatta in passato dall'ex primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh: "Noi amiamo la morte come i nostri nemici amano la vita! Amiamo martirio, il modo in cui sono morti i leader [di Hamas]".

(Palestinian Media Watch, 31 luglio 2014)


Ma allora, se gli islamisti amano così tanto la morte, perché si lamentano se gli israeliani li accontentano quando sono costretti ad ammazzarli per difendere la vita che invece loro amano? E soprattutto, perché se ne dispiacciono così tanto gli occidentali, quando invece gli islamisti ne sono così fieri e contenti?
La cosa mi ha ricordato una situazione familiare del passato. “Voglio una vita piena di guai”, ci cantava in faccia in modo irridente e provocatorio nostro figlio, imitando Vasco Rossi, quando era nel pieno della fase contestativa adolescenziale. Al che la madre un giorno gli ha replicato di brutto muso:: “Guarda che te ne faccio passare subito qualcuno io”. M.C.


Io vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.
dal vangelo di Giovanni, cap. 14





 

L'attacco su Shijaiyah? Israele non c'entra niente: è colpa di Hamas

Articolo di Thomas Victor comparso ieri in inglese e che “Il Borghesino” ha tradotto oggi in italiano.

Ho deciso di non attendere il rilascio da parte dell'Israeli Defense Force di una dichiarazione ufficiale circa quanto accaduto nel sobborgo di Shijaiyah, vicino a Gaza City, lo scorso 30 luglio. Vedrete voi stessi un massacro auto-inflitto che non dovrebbe mai succedere, e per il quale Hamas è interamente da biasimare.
Tutti i notiziari del pianeta hanno parlato di un «attacco aereo su un via commerciale affollata», con connesso attacco successivo sulle ambulanze sopraggiunte per prestare soccorso. Entrambe le accuse sono infondate....

(Il Borghesino, 1 agosto 2014)


Belgio - L'ennesimo episodio di antisemitismo: medico rifiuta di curare un'ebrea

"Mandatela qualche ora a Gaza, vedrete che poi non sentirà più alcun dolore". Questa la terribile risposta di un medico di guardia fiammingo alla richiesta di assistenza di una novantenne ebrea, la signora Bertha Klein di Anversa. Un episodio che il nipote della donna ha denunciato alla polizia come manifestazione di razzismo e xenofobia e che è stato ripreso dalla stampa nazionale, nonchè da tutti i siti israeliani.
A chiamare il dottore era stato il figlio di Bertha sospettando che la madre, che si lamentava per il dolore,
Appena sentito il nome della donna, il medico ha detto: "Non vengo". E ha riattaccato.
si fosse fratturata una costola. Ma appena sentito il nome della donna, secondo quanto denunciato dai familiari, il medico ha detto: "Non vengo". Ed ha riattaccato. Allora il figlio ha insistito e a quel punto il medico di guardia ha suggerito di mandare l'inferma a Gaza, dove in poche ore le sarebbe passato qualsiasi dolore.
Interpellato successivamente da un consigliere comunale di Anversa, Samuel Markowitz, il medico ha ammesso quanto avvenuto e lo ha giustificato con l'emozione suscitata in lui alla vista di quanto sta avvenendo a Gaza.
Hershy Taffel, il nipote di Bertha che ha denunciato l'episodio ha poi dichiarato al giornale ebraico 'Jood Actueel':"Quanto successo mi ricorda quanto accaduto in Europa 70 anni fa. Non avrei mai pensato potesse succedere di nuovo". Dal canto suo Michael Freilich, direttore responsabile di 'Jood Acteel', ha sottolineato che l'episodio è "particolarmente allarmante" perchè arriva dopo una serie di atti di boicottaggio a danni di ebrei avvenuti in Belgio da quando è in corso l'attacco di Israele contro Gaza.
Dal canto suo, l'associazione dei medici generalisti di Anversa ha deplorato l'incidente e ha suggerito al medico di "presentare le proprie scuse alla paziente. Non può essere tollerato che un medico durante l'esercizio delle proprie funzioni estreni tali dichiarazioni, che non hanno alcun legame con la medicina".
Si tratta del terzo grave episodio di antisemitismo avvenuto in Belgio in pochi giorni: ad Anversa, i commessi di un negozio di abbigliamento si erano rifiutati di servire un'ebrea ortodossa, mentre a Liegi la polizia ha dovuto rimuovere da un bar un cartello scritto in francese e turco in cui si dava il benvenuto ai cani, ma non ai sionisti e agli ebrei.
Cresce dunque fra gli ebrei belgi la paura per il crescente antisemitismo: dopo l'attentato al Museo di Bruxelles, in cui sono morte 4 persone, in Belgio è infatti cresciuto l'allarme antisemitismo. che ha raggiunto livelli altissimi da quando è iniziata la guerra fra Israele e Gaza.
Si è davvero tornati agli anni '30?

(Mosaico, Comunità Ebraica di Milano, 1 agosto 2014)


Oren, volontario in partenza per il fronte: "Non c'è mai stata una guerra più giusta"

Pasternack, 29 anni, ha chiesto di tornare a combattere nella Striscia per la seconda volta da quando è iniziata l'offensiva di terra: "Sono un pacifista e non condivido la politica di questo governo, ma non posso restare a Tel Aviv. Lo devo alla mia famiglia. Sono anni che sopportiamo i razzi di Hamas e ora i terroristi hanno fatto un salto di qualità con i tunnel"

di Roberta Zunini

 
Oren ieri, in contestazione contro il governo israeliano
 
Oren oggi, in guerra contro il terrorismo palestinese
Oggi il riservista Oren Pasternack torna a Gaza per la seconda volta da quando è iniziata l'offensiva di terra dell'esercito israeliano. Per il primo round, durato una settimana, era stato convocato, ora ha chiesto di tornare come volontario. "Non c'è mai stata una guerra più giusta di questa. Io sono un uomo pacifico, odio la violenza e le armi, voto da sempre a sinistra, non condivido la politica di questo governo che ha ministri ultranazionalisti ma non posso rimanere a Tel Aviv, correre dentro i rifugi poi uscire per tornare al lavoro o andare in spiaggia. Lo devo non solo ai miei amici che stanno combattendo e morendo a Gaza ma alla mia famiglia. Sono anni che dobbiamo sopportare i razzi di Hamas, soprattutto la gente che abita nel sud di Israele. Ora però i terroristi hanno fatto un salto di qualità grazie ai tunnel, costruiti usando il cemento che Israele consente di far entrare nella Striscia per ricostruire le case. Loro invece ne fanno un'arma da usare contro i civili israeliani, sfruttando tra l'altro il lavoro dei bambini di Gaza. Intanto il vertice di Hamas se ne sta negli hotel a 5 stelle".
Manager di una società finanziaria, 29 anni, Pasternack era stato uno dei leader della protesta sociale di tre anni fa, quando i giovani confluirono a Tel Aviv per chiedere una redistribuzione del reddito più equa. Il Fatto lo ha sentito ieri dopo che era intervenuto a un dibattito televisivo sui diritti dei riservisti. "Quasi ogni anno siamo tenuti ad assentarci dal lavoro per almeno una settimana per fare le esercitazioni, cosa giusta perché dobbiamo sempre essere in grado di difenderci. Israele è un paese democratico e si dibatte sull'argomento soprattutto ora che migliaia di riservisti sono stati richiamati. Siamo circa 75mila e sono sempre di più coloro che si offrono di andare a combattere".
Non si era mai vista una percentuale così alta di riservisti volontari dalla guerra contro il Libano nel 2006. La scoperta da parte delle autorità israeliane dei tunnel, ha incentivato molti cittadini israeliani a chiedere di combattere. "L'altro giorno cinque soldati sono morti dopo essere stati sorpresi alle spalle da un commando di terroristi sbucati da uno di questi tunnel, altri terroristi sono stati fermati mentre stavano per assalire un kibbutz. Io non ho figli ma ritengo che i bambini israeliani non debbano vivere sotto questa minaccia. Sono favorevole all'esistenza di uno Stato palestinese e sono contro l'occupazione, ma intanto dobbiamo difenderci: i terroristi quando attaccano non fanno distinzione tra chi vuole la pace e chi no".

(il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2014)


Medici per Israele

Un articolo firmato da medici su Lancet. Una raccolta di firme. Non tutta l'accademia boicotta

Al direttore - Mi chiamo Eleonora Passeri, sono un cosiddetto "cervello in fuga" da anni oramai. Scrivo alla sua redazione, non in merito alla disastrosa se non pietosa situazione della ricerca in Italia, ma bensì per renderla partecipe, qualora non ne fosse ancora a conoscenza, dell'articolo scritto dal dr. Tamir Wolf, dal dr. Danielle H. Brown e dal dr. Shachar M. Aharony riguardo la situazione israeliana e la comunità scientifica. L'articolo che hanno scritto e che è stato pubblicato su The Lancet del 30 luglio può essere letto sul sito online della rivista, www.thekincet.com. Scrivo alla sua redazione e non altre per ovvi motivi che non sto qui a elencare e che credo lei sappia molto meglio di me, mi piacerebbe puntualizzare però il fatto che leggo e seguo ciò che scrivete in quanto ritengo la vostra forse l'unica voce fuori da quel coro finto-perbenista, mielosamente politically correct che tanto mi urta il sistema nervoso. Spero che l'articolo possa portare un minimo di equilibrio a livello di informazione sulla posizione presa dalla comunità scientifica in merito a quello che sta accadendo ora in quelle zone.
   La comunità scientifica, di cui nel mio piccolo faccio parte, NON è tutta pro Palestina come alcuni suoi esponenti, tramite articoli e interviste, lasciano far credere. Esiste ed è viva e presente, una parte della comunità scientifica che supporta Israele e la sua battaglia. Il dr. Wolf con i suoi colleghi/amici ha iniziato una raccolta firme, che a oggi, ha raggiunto quota 4.677, e il numero cresce. Quoto dall'email ricevuta dal dr. Wolf in data odierna: "[...] Your support has been awe-inspiring. We received so many support emails, from docs and scientists, senator-aids, hospital leadership, literary professors, academics and just run of the mill folks with a moral compass. We received tons of encouragement".
   Qualcosa si muove anche tra noi, non vogliamo essere omologati in correnti di pensiero che non ci appartengono e dimostriamo per quanto possiamo, il nostro sostegno a Israele e ai suoi cittadini. Rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento. Vi ringrazio per l'attenzione datami e porgo distinti saluti.
Eleonora Passeri

(Il Foglio, 1 agosto 2014)


Daniel e Leonardo, «soldati soli»: «Noi, italiani al fronte per Israele»

Uno ha 20 anni e viene da Roma. L'altro, 25, da Milano: «Le nostre fainiglie vivono nell'ansia ma è giusto così».

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME - Dtetro di loro il campo è punteggiato di colonne di fumo. Non sai se è stata una cannonata oppure una delle mille trappole preparate da Hamas, tonnellate di esplosivo nelle case e sotto terra; depositi di missili; gallerie che saltano per aria, quelle che con unpiano strategico Hamas aveva scelto di usare per attaccare Israele con le sue unità terroriste. Così è a guerra di terra, ragazzi di 19, 20 anni s'inoltrano a Gaza e affrontano la battaglia, e la morte, per distruggere le armi di Hamas. Ogni tanto prendono fiato per qualche ora, ed è così che riusciamo a parlare con due soldati molto speciali perché sono italiani, della specie dei «soldati soli» che vengono per servire e lasciano i genitori a rodersi d'ansia a casa.
   I nostri due hanno dato un abbraccio alla mamma a Milano e a Roma e sono venuti convinti che valga la pena rischiare la vita, da noi un concetto quasi inesplicabile. Chi scrive ricorda che durante una lezione di storia mediorientale alla Luiss di Roma chiese ai ragazzi chi di loro avrebbe rischiato la vita per il proprio
Hamas è vile. Abbiamo fermato il fuoco molte volte perché un terrorista si copriva con un bambino, o perché comparivano donne e vecchi. Dietro arrivano i terroristi.
Paese: nessuno asssentì, proprio nessuno. I nostri due soldati si chiamano Leonardo, 25 anni, e Daniel, 20enne arruolato in Marina. Daniel è romano di origine livornese, la passione del mare l'ha nel sangue: «Adesso, dalla mia nave sorvegliamo e pattugliamo la costa di Gaza, controlliamo chi entra e chi esce, evitiamo che escano terroristi per attaccare le coste di Israele. E' un compito fondamentale, il mare non ha confini sorvegliati, è senza fine, ci vogliono un allenamento perfetto e un'attenzione totale.A volte siamo bersagliati di razzi dalla riva e da altri battelli, allora hai un momento di paura, però ti mordi le labbra e pensi a quando tornerai in porto, e coni tuoi compagni riparlerai dell'accaduto, mangerai, forse potrai finalmente dormire, starai insieme agli amici, questo ti compensa di tutto, l'incredibile vicinanza fra di noi». Leonardo è laureato in filosofia al San Raffaele di Milano, poi ha preso un master all'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, a Roma. E' appena finito il corso che il suo futuro l'ha visto solo in Israele e poi nell'esercito, e poi, ancora, nei Golani: «L'unità dei miei sogni, prove di ammissione e corsi molto difficili. All'inizio mi chiedevano se ero venuto perché avevo preso una botta in testa, ma adesso siamo un tutt'uno». Leonardo è appena uscito da Gaza: «Sono sporco, con gli abiti puzzolenti, gli occhi mi si chiudono, la mia ragazza mi lascerebbe subito se mi vedesse ora». Deve sistemare la sua attrezzatura (fucile, zaino, abiti) per essere pronto alla prossima missione. Non sa quando rientrerà, ma può capitare in ogni minuto. Essere un Golani è il mito di ogni israeliano, l'unità su cui si cantano canzoni epiche, in cui si è uno per l'altro ignorando l'ombra della morte. Dietro di lui tre settimane di giornate e nottate senza soluzione di continuità: «Dall'inizio dell'operazione non dormo in un letto, le ore di sonno non sono mai più di tre o quattro». Ma Leonardo non vuole parlare di sé: gli brucia spiegare di affrontare un nemico senza scrupoli nell'uso della sua gente: «Ho avuto l'impressione che i cittadini di Gaza siano autentici schiavi. Ho visto case in cui la camera dei bambini è adornata con fotografie dei terroristi, cartine da cui è cancellata Israele, stelle di Davide trasformate in svastiche, depositi di armi. Non un segno di umanità, di pace - dice desolato - Hamas è vile. Abbiamo fermato il fuoco molte volte perché un terrorista si copriva con un bambino, o perché comparivano donne e vecchi. Dietro arrivano i terroristi. Prima di entrare in azione tuttavia l'ultima indicazione che ti dà il comandante è di non puntare il fucile su chi non è armato, condividere il tuo stesso cibo e la tua acqua con chi non ha da mangiare o da bere, fermare tutto se appare un bambino». Due dei migliori amici di Daniel, Shon di 19 anni e Jordan, 22, il primo venuto da Los Angeles, il secondo da Parigi, per combattere, sono stati uccisi: «Jordan era fidanzato con la gemella della mia fidanzata. Sì sappiamo che la morte è una possibilità, ma non ci si pensa, io sto bene con i miei compagni» dice Daniel. La mia famiglia sta in pensiero, telefono ogni volta che arrivo in porto, circa due volte a settimana. Quelli che non capiscono cosa stiamo facendo devono venire per un paio di giorni a Ashkelon o in un kibbutz con scoppi, sirene, distruzioni, dove la gente non può uscire, i bambini devono restare nel sottosuolo, le famiglie non hanno più lavoro.. C'è un Paese che deve essere salvato, io sono qui per questo». A 20 anni? Leonardo ha una sua risposta: «Chi non si fida dei giovani dovrebbe dare un'occhiata da queste parti, la vita è nelle mani dei ragazzi. Il mio comandante ha 20 anni, ha perso il padre in un attentato, è una persona di un equilibrio e di un senso di responsabilità assoluti. Ieri eravamo in Libano, ora a Gaza, il compito è sempre grande, difendi un popolo che ti ama e ti rispetta. Persino i miei genitori, che mi mancano, sanno che qui la denominazione «chaial boded», «soldato solo», è sbagliata. Posso bussare ora alla porta di un kibbutz, chiedere di fare una doccia e dormire un po': si precipiterebbero in cucina, preparerebbero le cose migliori e mi riempirebbero di regali».

(il Giornale, 1 agosto 2014)


Nel kibbutz dove l'Iron Dome non funziona

Shoshanna, 78 anni: "Lascio tutto, Qui non si può stare al sicuro"

di Maurizio Molinari

SAAD - Vivo qui dal 1955, vi ho costruito la mia nuova casa dopo le persecuzioni naziste ma ora il pericolo di Hamas incombe e devo andare via». Shoshanna Evron, 78 anni, prepara le valigie in una camera da letto spartana di una piccola casa nel kibbutz di Saad. Vicino a lei il marito Reuven, 80 anni, titolare del
Shoshanna vuole tornare «nel mio Negev» nella convinzione di «poter convivere con i vicini di Gaza come abbiamo fatto fino agli accordi di Oslo, che fecero arrivare da Tunisi Arafat e iniziarono i lanci di razzi».
pollaio comune, e il figlio Yoel che invece resta. «Il comitato del kibbutz - spiega Yoel - ha suggerito ad anziani e genitori con bambini piccoli di andare via per metterli al sicuro». Il motivo è che Saad si trova nel Negev a 4 km dal confine con la Striscia e 5 minuti di auto da Sajayia, il quartiere di Gaza teatro di aspri combattimenti.
Dalla finestra di casa Evron si vedono le case di Gaza, nel cortile intorno il primo razzo è caduto nel 2008 e «da allora la minaccia è sempre cresciuta» assicura Shoshanna, facendoci vedere la sala da pranzo del kibbutz bendata con un muro di cemento armato alto 3 metri «perché le finestre possono trasformarsi in schegge».
   Fra i 900 abitanti di Saad almeno 750 sono andati via e passeggiando nei giardini deserti ci si accorge del perché: gli allarmi «Zeva Adom» - le sirene per i razzi in arrivo - si succedono e non c'è Iron Dome a proteggere i residenti. «Siamo troppo vicini a Gaza per essere protetti dallo scudo - spiega Yoel - razzi e mortai arrivano in pochi secondi e dunque le procedure di sicurezza sono più strette». Ovvero, quando suona la sirena si va nei rifugi, rimanendoci fino a quando se ne sente l'arrivo. Nel rifugio di casa, Yoel ha messo la camera delle due figlie adolescenti: è arredata con poster di band britanniche e in un angolo c'è un razzo di cartone che le ragazze hanno costruito per esorcizzare il pericolo. Con una reazione analoga a quella che le porta a guardare sul laptop il video «Gaza Canal» nel quale si ipotizza che un misterioso tsunami riesca a staccare la Striscia dal Negev, trasformandola in un'isola del Mediterraneo.
   II kibbutz è disseminato di segni di razzi caduti e popolato da unità di soldati impegnate nel prevenire infiltrazioni dai tunnel. «Alcune amiche da tempo affermavano di sentire suoni dal sottosuolo - assicura Shoshanna - ma le prendevano per matte, mandandole dal dottore, invece avevano ragione e i tunnel sono peggio dei razzi, mi ricordano i nazisti». Figlia del rabbino fiorentino Nathan Cassuto, deportato nel 1943 e ucciso ad Auschwitz, con la madre Anna assassinata dagli arabi nel 1948 nell'imboscata sanguinosa - 78 vittime - ad un convoglio di medici ebrei a Gerusalemme, e con uno dei 6 figli caduto in Libano del Sud nel 1978, Shoshanna Evron somma la memoria delle persecuzioni nazifasciste alle sofferenze patite per far nascere e difendere Israele. «Da giovane venni nel Negev perché credevo nella difesa delle frontiere - dice - con mio fratello David fondammo il kibbutz Keren Shalom e poi mi sono sposata a Saad, da dove finora non mi ero mossa».
   Il paragone fra Hamas e i nazisti lo spiega così: «I terroristi volevano usare i tunnel per attaccarci in massa in occasione del prossimo Capodanno, proprio come i nazisti facevano retate di sabato e nelle feste ebraiche». Riparata col marito a casa del fratello David, ex vice sindaco di Gerusalemme, Shoshanna vuole tornare «nel mio Negev» nella convinzione di «poter convivere con i vicini di Gaza come abbiamo fatto fino agli accordi di Oslo, che fecero arrivare da Tunisi Arafat e iniziarono i lanci di razzi».

(La Stampa, 1 agosto 2014)


"Esodo". Ebrei in fuga dall'Europa. Serie di attentati in Germania

Newsweek: "Come nei pogrom della Russia zarista". In Olanda un'altra manifestazione dello Stato islamico.

di Giulio Meotti

 
La copertina di Newsweek
"La folla che ulula vendetta, le bombe contro le mura della sinagoga. Sembrava una scena dall'Europa degli anni Trenta, tranne che era la Parigi orientale nella notte del 13 luglio 2014". Si apre così l'articolo-copertina del settimanale americano Newsweek. Si intitola "Exodus", l'esodo, parla dell'antisemitismo europeo nei giorni della guerra di Gaza.
   Ieri Israele ha chiamato altri sedicimila riservisti, segno che il governo Netanyahu vuole spingere fino in fondo la campagna militare per disarmare Hamas. Intanto da Teheran arrivavano inviti del regime a trasformare lo stato ebraico in un "inferno".
   Settant'anni dopo la Shoah, un odio mai visto prima scorre in tutta Europa, "da Amiens ad Atene". "Manifesti hanno pubblicizzato i raid contro le sinagoghe, come nei pogrom della Russia zarista", scrive Newsweek. La rivista sciorina dati da paura. Il trenta per cento degli ebrei europei sta pensando di emigrare in Israele o negli Stati Uniti, immune finora dall'ondata di antisemitismo. Il settantasei per cento dice che l'odio antiebraico è drammaticamente aumentato negli ultimi cinque anni. Il Congresso ebraico europeo ha realizzato un sito web (sacc.eu) in caso si subiscano violenze.
   Nel Regno Unito, dove 45 mila persone hanno manifestato a Londra al grido di "Free Palestine", è stato segnalato un numero di denunce di atti di antisemitismo doppio rispetto al normale. Due giorni fa in Germania è stata attaccata con bombe incendiarie la sinagoga di Wuppertal nella Renania settentrionale-Vestfalia. "Questo è il momento più preoccupante che abbiamo vissuto dal 1945 - ha detto Charlotte Knobloch, già presidente del Consiglio centrale degli ebrei di Germania - Riceviamo in continuazione insulti
"Questo è il momento più preoccupante che abbiamo vissuto dal 1945" - ha detto Charlotte Knobloch, già presidente del Consiglio centrale degli ebrei di Germania.
e testimonianze di odio, e ancora una volta le sinagoghe bruciano. E' tempo di chiederci cosa dobbiamo fare per proteggere i cittadini di religione ebraica". Il presidente del Consiglio, Dieter Graumann, ha denunciato in una lettera aperta che "non mi sarei mai immaginato nella mia vita che avrei potuto di nuovo assistere a una caccia agli ebrei in Germania".
Kai Diekmann, direttore della Bild, ha fatto appello a tutti i tedeschi perché si facciano sentire contro l'antisemitismo. "Chi sono i nuovi antisemiti", recita una inchiesta del tabloid tedesco. Nelle strade di Berlino gli ebrei vengono perseguitati come nel 1938, denuncia Yakov Hadas-Handelsman in un articolo sulla Berliner Zeitung. "Se si va avanti così c'è il rischio che si versi del sangue innocente: la libertà di opinione viene abusata da islamisti, estremisti di destra e sinistra per importare in Germania una cultura di odio e violenza, è ora di agire", ha proseguito il diplomatico israeliano.
   A Essen sono state fermate quattordici persone che pianificavano un attacco contro la Vecchia sinagoga. Un rabbino di Francoforte è stato minacciato di morte da un giovane arabo che ha promesso di "uccidere trenta ebrei" se la sua famiglia a Gaza fosse stata colpita. Dall'America Jewish Committee arriva la denuncia di Stephen Kramer: "In Europa la minoranza ebraica non è più al sicuro". Come riporta il Joods Actueel, in Belgio una serie di negozi ha annunciato che non avrebbe più venduto agli ebrei come segno di protesta per Gaza.

- "Stiamo assistendo alla fine"
  In Olanda, due manifestazioni in un mese sono state organizzate da sostenitori dello Stato islamico dell'Iraq. Sventolavano le bandiere nere oggi issate in un terzo del territorio iracheno e si gridava Maut al Yahud: "Morte agli ebrei". Il Centro Simon Wiesenthal aveva chiesto al sindaco dell'Aia, Jozias van Aartsen, di vietare questo tipo di eventi in una città "simbolo della pace e della giustizia" (sede della Corte penale). Ma il primo cittadino le ha garantite in nome della libertà di espressione.
   Dalla Francia è un flusso continuo di partenze per Tel Aviv. Nel 2013, un anno dopo la strage alla scuola ebraica di Tolosa, hanno lasciato la patria dei Lumi 3.289 ebrei. Quest'anno sono attesi in Israele seimila ebrei francesi. Il capo dell'Agenzia ebraica, Natan Sharanksy, due giorni fa ha detto: "Il livello di preoccupazione per la sicurezza in Europa supera quello registrato in Asia o in America latina. E' difficile immaginare che in Francia, in Belgio e in molti altri paesi agli ebrei venga detto di non uscire per le strade indossando una kippah. Stiamo assistendo all'inizio della fine della storia ebraica in Europa".

(Il Foglio, 1 agosto 2014)


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