La vita è bella prima della Shoah nei family movies "tra i più antichi d'Italia"
Nove minuti di filmati in 35 millimetri girati nel 1923 che ritraggono le famiglie Della Seta e Di Segni dopo un matrimonio a Perugia e durante le vacanze ad Anzio e in Valtellina. "Lo Yad Vashem ha cercato a lungo filmati di famiglie ebraiche italiane prima del nazifascismo ma, prima di questi, non ne erano stati rinvenuti", spiega Claudio Della Seta, i cui nonni appaiono nel filmati, e che ha ritrovato in casa queste vecchie, straordinarie, bobine. Ora l'Istituto centrale per il restauro è riuscito a farle rivivere.
di Gabriele Isman
Scene dopo un matrimonio a Perugia, le vacanze ad Anzio e in Valtellina. Nove minuti di girato in 35 millimetri risalenti al 1923. Momenti di vita di nuclei familiari di ebrei romani, i Della Seta e i Di Segni, che al momento costituiscono forse le uniche testimonianze video di famiglie israelitiche prima della Shoah e, probabilmente, i più antichi family movies esistenti in Italia. "Sapevo di avere questi filmati in casa - racconta Claudio Della Seta, giornalista del Tg5, i cui nonni si vedono nelle undici bobine - e anni fa avevo anche provato a svilupparne alcuni fotogrammi, ma i risultati erano stati poco soddisfacenti. Poi quando sono andato a realizzare un servizio per il telegiornale all'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, ho raccontato di quelle bobine e la direttrice dell'Istituto Maria Cristina Misiti mi ha detto che potevano restaurarle grazie alle tecniche più recenti".
A dare nuova vita a quelle immagini sono stati poi la Cineteca di Stato e il Centro sperimentale di Cinematografia con la supervisione di Mario Musumeci, e domenica pomeriggio la presentazione ufficiale sarà comunque all'Ircpal, alle 16,15 nella sede di via Milano. Gli originali finiranno poi al Centro di documentazione ebraica contemporanea, e copie digitali saranno donate alla Fondazione Museo della Shoah e alla comunità ebraica.
"Lo Yad Vashem - spiega ancora Della Seta - ha cercato a lungo filmati di famiglie ebraiche italiane prima del nazifascismo, ma non ne erano stati rinvenuti. Così questi nove minuti che ritraggono anche i Della Seta e i Di Segni sono le uniche testimonianze del genere oggi disponibili".
E ancora Della Seta: "Bisogna anche considerare che nel 1923 il kit completo di cinepresa, proiettore e schermo costava quanto un'automobile, capiamo che erano pochi i potenziali acquirenti di questi macchinari".
Sugli sci in Val Tellina
Le nozze a Perugia
Anzio, una giornata al mare
Il formato, quel 35 millimetri che soltanto a fine 1923 sarà affiancato dal 16 millimetri, era poi molto delicato, e non esistono, neppure alla Cineteca di Stato, altri family movies: quindi questi potrebbero anche essere ragionevolmente i primi filmati di famiglia italiani.
(la Repubblica, 30 settembre 2014)
Aiutò molti ebrei a fuggire in Svizzera. Premiata a Lecco
Carla Liliana Martini, di 88 anni, ha ricevuto il "Marco d'Oggiono"
Un legame profondo unisce Zanè al Comune di Oggiono, in provincia di Lecco.
E quel legame è rappresentato da Carla Liliana Martini, 88 anni, "ex schiava di Mauthausen" che nel 1943, appena diciassettenne, fece parte della catena di salvezza che da Padova aiutava, assistendoli durante un lungo viaggio in treno, prigionieri anglo-americani, ebrei e dissidenti per permettere loro di arrivare in Svizzera passando proprio dalla piccola stazione di Oggiono.
Una storia di solidarietà e coraggio che Liliana Martini raccontò qualche anno fa nell'opera "Catena di salvezza", libro da cui gli studenti delle medie dell'istituto "Marco d'Oggiono" hanno preso spunto l'anno scorso per produrre uno spettacolo di ricostruzione storica premiato dal Comune. Quest'anno è toccato invece alla signora Martini ricevere un riconoscimento: nei giorni scorsi la scrittrice, accompagnata dagli assessori di Zanè Giuseppe Pozzer, Silvia Carollo e dal consigliere Michela Bortolatto, si è recata a Oggiono per ricevere il prestigioso premio.
(Il Giornale di Vicenza, 30 settembre 2014)
Il sindaco di Fondi al convegno 'Donna sapiens-La figura femminile nell'ebraismo'
Il Sindaco Salvatore De Meo
FONDI - Nell'ambito delle iniziative per la XV edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica - dal titolo "Donna sapiens - La figura femminile nell'ebraismo" - il Centro Studi Cappella Orsini, attualmente impegnato nella realizzazione del Museo Ebraico Medievale di Fondi, promuove un incontro sul ruolo della donna ebrea e la medicina nel XV secolo che avrà luogo domani, Mercoledì 1 Ottobre, alle ore 18.30 in via di Grottapinta a Roma.
All'iniziativa prenderà parte il Sindaco di Fondi Salvatore De Meo, che porterà il saluto dell'Amministrazione comunale, e del Commissario del Parco Naturale Regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi Bruno Marucci.
La presentazione del progetto del Museo Ebraico di Fondi si svolgerà in occasione della conferenza "De Judaicorum Mulierum Sanitate. Donne medico ebree nell'Italia medievale", con la partecipazione di Giacomo Moscati, vice Presidente della Comunità Ebraica di Roma; Elvira Di Cave, Presidente della Consulta della Comunità Ebraica di Roma; Marina Formica, docente di Storia Moderna dell'Università di Roma Tor Vergata e componente del Comitato scientifico del CeRSE; Gian Carlo Mancini, Direttore dell'Istituto di Storia della Medicina dell'Università di Roma Tor Vergata; Alessandra Veronese, docente di Storia Medievale presso l'Università di Pisa. I lavori saranno introdotti da Roberto Lucifero, Direttore del Centro Studi Cappella Orsini. Seguirà un intervento musicale di Giuseppe Pecce sulla contaminazione ebraica nella musica medievale.
Il progetto del Museo Ebraico di Fondi - MEF simula un ambiente tardo medievale nel quale il gotico fiorito in gran voga nel '400 in questa area geografica si contamina con elementi ebraici in cui una matrice vagamente orientaleggiante pervade gli arredi che avranno globalmente una certa omogeneità. Oltre ad approfondire le tematiche religiose e culturali, il progetto prevede nelle due sale superiori anche la ricostruzione di attività economiche, in quanto nell'epoca quattrocentesca Fondi fu centro propulsore di attività diverse con il rilevante contributo degli Ebrei, specialmente nel campo della produzione tessile e nell'attività finanziaria.
(h24notizie, 30 settembre 2014)
Mentre egli avanzava stendevano i loro mantelli sulla via. E quando fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, con gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi!» Alcuni farisei, tra la folla, gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Ma egli rispose: «Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno».
Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: «Oh se tu tu avessi conosciuto, in questo giorno, quello che è per la tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi. Poiché verranno su te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata».
Dal vangelo di Luca, cap. 19
Saluto nazista alla curva: "Stavo solo festeggiando"
BREMA - Maik Lukowicz, centrocampista della squadra primavera del Werder Brema, ha rivolto un saluto nazista alla curva durante l'esultanza per un gol segnato contro il Lubecca.
Un compagno di squadra, accorgendosi del gesto, ha provato a bloccarlo abbassandogli il braccio, ma il gesto non è sfuggito alle telecamere. Il 19enne polacco rischia adesso una pesante squalifica. Maik Lukowicz ha replicato alle accuse dicendo di aver "soltanto festeggiato un gol con il braccio teso verso i tifosi".
(blitz quotidiano, 30 settembre 2014)
Tanti francesi vanno in Israele
In otto mesi sono tornati 4.566 ebrei
E' record di ebrei francesi che tornano in Israele. Nei primi otto mesi dell'anno in 4.566 hanno preso questa decisione. Dietro di oro vengono soltanto gli ebrei ucraini, a quota 3.252, e i russi (2.632). Seguono gli Stati Uniti con 2.218 rientri. Ma la guerra in Ucraina e la difficoltà ad abbandonare il paese nelle attuali condizioni potrebbero influire ben presto su questa classifica.
In Israele c'è una preoccupazione crescente per gli atti antisemiti commessi in Europa. Sono stati scritti numerosi resoconti sulle ripercussioni del conflitto israelo-palestinese nelle strade di Parigi. I numeri relativi al periodo gennaio-agosto superano di gran lunga quelli riguardanti l'intero 2013 che aveva visto 3.263 partenze dal territorio francese.
Non si tratta di una decisione a cuor leggero, a cominciare dal versante economico. Negli ultimi tempi i prezzi delle case a Tel Aviv e a Gerusalemme si sono impennati e molti ebrei hanno preferito andare a vivere in città in pieno sviluppo come Ashdod e Ashkelon. Una delle categorie protagoniste di questa migrazione, stando ai dati del governo israeliano, è rappresentata dalle giovani coppie con bambini. In molti abbandonano un continente in piena crisi economica per trasferirsi in una nazione ancora in crescita, con settori in espansione come quello hi-tech. I pensionati vogliono un clima più mite per trascorrere la vecchiaia. E si fugge da un contesto sociale sempre meno tollerante nei confronti degli ebrei.
(ItaliaOggi, 30 settembre 2014)
Il discorso di Netanyahu alle Nazioni Unite
"Hamas è l'ISIS e l'ISIS è Hamas"
Signore e Signori, il popolo d'Israele prega per la pace. Ma le nostre speranze e la speranza del mondo per la pace sono in pericolo. Perché ovunque guardiamo, l'Islam militante è in marcia.
Non si tratta di militanti e basta. Non si tratta di Islam e basta. E' l'Islam militante. In genere, le prime vittime sono altri musulmani, ma poi non risparmia nessuno. Cristiani, ebrei, yazidi, curdi - nessuna fede, nessun gruppo etnico è al riparo dalle sue attenzioni. Ed esso è in rapida diffusione in ogni parte del mondo. Conoscete il famoso detto americano: "Tutta la politica è locale"? Per gli islamisti militanti, "Tutta la politica è globale". Perché il loro obiettivo finale è quello di dominare il mondo.
Ad alcuni potrebbe sembrare che io esageri questa minaccia, dal momento che essa inizia a piccola scala, come un cancro che attacca una particolare parte del corpo. Ma, se è lasciato incontrollato, il cancro si sviluppa, dà metastasi su aree sempre più vaste. Per proteggere la pace e la sicurezza del mondo, dobbiamo rimuovere questo cancro prima che sia troppo tardi. La scorsa settimana, molti dei paesi rappresentati qui hanno giustamente applaudito il presidente Obama per aver guidato lo sforzo di affrontare l'ISIS. E ancora settimane prima, alcuni di questi stessi paesi, gli stessi paesi che oggi sostengono la lotta contro l'ISIS, si sono opposti a Israele per aver affrontato Hamas. Essi evidentemente non capiscono che ISIS e Hamas sono rami dello stesso albero velenoso.
ISIS e Hamas condividono un credo fanatico, che entrambi cercano di imporre ben oltre il territorio sotto il loro controllo. Ascoltate l'auto-dichiarato califfo di ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi. Questo è quello che ha detto due mesi fa: "arriverà presto il giorno in cui il musulmano camminerà ovunque come un padrone... I musulmani faranno sì che il mondo ascolti e capisca il significato del terrorismo... e distrugga l'idolo della democrazia". Ora ascoltate Khaled Meshaal, il leader di Hamas. Egli proclama una simile visione del futuro: "Diciamo questo all'Occidente... Per Allah sarai sconfitto. Domani la nostra nazione siederà sul trono del mondo".
Come lo statuto di Hamas rende chiaro, obiettivo immediato di Hamas è quello di distruggere Israele. Ma Hamas ha un obiettivo più ampio. Vogliono anche un califfato. Hamas condivide le ambizioni globali dei suoi compagni militanti islamici. Ecco perché i suoi sostenitori hanno selvaggiamente applaudito per le strade di Gaza, quando migliaia di americani sono stati assassinati l'11 settembre 2001. Ed è per questo che i suoi leader hanno condannato gli Stati Uniti per l'uccisione di Osama Bin Laden, che hanno elogiato come un guerriero santo.
Così, quando si tratta di loro obiettivi finali, Hamas è l'ISIS e l'ISIS è Hamas.
E questo è ciò che essi hanno in comune, che tutti i militanti islamisti hanno in comune: Boko Haram in Nigeria; Ash-Shabab in Somalia; Hezbollah in Libano; An-Nusrah in Siria; l'Esercito del Mahdi in Iraq; i rami di Al-Qaeda in Yemen, Libia, Filippine, India e altrove.
Alcuni sono sunniti radicali, alcuni sono sciiti radicali. Alcuni vogliono ristabilire un califfato pre-medievale del 7o secolo. Altri vogliono innescare il ritorno apocalittico di un imam del 9o secolo. Operano in terre diverse, mirano a vittime diverse e addirittura si uccidono a vicenda nella loro ricerca per la supremazia. Ma tutti condividono un'ideologia fanatica. Tutti cercano di creare enclave in continua espansione dell'Islam militante, dove non c'è libertà e nessuna tolleranza. Dove le donne sono trattate come beni mobili, i cristiani sono decimati, e le minoranze sono soggiogate, e a volte subiscono la scelta terribile di convertirsi o morire. Per loro, chiunque può essere un infedele, tra cui i loro stessi fratelli musulmani.
Signore e Signori, l'ambizione militante dell'Islam di dominare il mondo sembra folle. Ma così erano anche le ambizioni globali di un'altra ideologia fanatica che salì al potere otto decenni fa. I nazisti credevano in una razza superiore. Gli islamisti militanti credono in una fede padrona. Certo, non sono d'accordo fra loro su chi tra loro sarà il padrone... della fede padrona. Questo è ciò su cui sono veramente in disaccordo. Pertanto, la questione di fronte a noi è se l'Islam militante avrà il potere di realizzare le proprie ambizioni sfrenate.
C'è un luogo in cui questo potrebbe presto accadere: lo Stato Islamico dell'Iran. Per 35 anni, l'Iran ha
L'Ayatollah Khomeini ha detto: "Noi dobbiamo esportare la nostra rivoluzione nel mondo intero. Fino a quando il grido 'Non c'è Dio all'infuori di Allah' echeggerà in tutto il mondo"... E da allora, gli esecutori brutali del regime, le Guardie Rivoluzionarie iraniane, hanno fatto esattamente questo.
inesorabilmente perseguito la missione globale stabilita dal suo sovrano fondatore, l'Ayatollah Khomeini, con queste parole: "Noi dobbiamo esportare la nostra rivoluzione nel mondo intero. Fino a quando il grido 'Non c'è Dio all'infuori di Allah' echeggerà in tutto il mondo"... E da allora, gli esecutori brutali del regime, le Guardie Rivoluzionarie iraniane, hanno fatto esattamente questo.
Ascoltate il suo comandante attuale, il generale Muhammad Ali Jaafari. Egli ha proposto chiaramente questo obiettivo. Ha detto: "Il nostro Imam non ha limitato la rivoluzione islamica in questo paese... Il nostro dovere è quello di preparare la strada per un governo mondiale islamico"... Il presidente iraniano Rohani parlando qui la settimana scorsa, ha versato lacrime di coccodrillo su ciò che lui chiamava "la globalizzazione del terrorismo". Forse avrebbe dovuto risparmiarci quelle lacrime fasulle e fare invece una chiacchierata con i comandanti delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Avrebbe potuto chiedere loro di abbandonare la campagna di terrore globale dell'Iran, che solo dal 2011 ha incluso attacchi in due dozzine di paesi nei cinque continenti. Dire che l'Iran non pratica il terrorismo è come dire che Derek Jeter non ha mai giocato interbase per i New York Yankees.
Questo lamento del presidente iraniano sulla diffusione del terrorismo è uno dei più grandi esempi mai visti di ipocrisia. Ora, alcuni ancora sostengono che la campagna di terrore globale dell'Iran, la sua sovversione dei paesi del Medio Oriente e ben oltre il Medio Oriente, sia opera degli estremisti. Dicono che le cose stanno cambiando a causa delle elezioni dello scorso anno in Iran. Essi sostengono che i discorsi flautati del presidente iraniano e del suo ministro degli Esteri hanno cambiato non solo il tono della politica estera iraniana, ma anche la sua sostanza. Credono che Rouhani e Zarif sinceramente vogliano riconciliarsi con l'Occidente, che hanno abbandonato la missione globale della Rivoluzione Islamica.
Davvero? Proviamo a guardare a ciò che il ministro degli Esteri Zarif ha scritto in un suo libro di pochi anni fa: "Abbiamo un problema fondamentale con l'Occidente, e in particolare con l'America. Questo è perché siamo eredi di una missione globale, che è legata alla nostra ragion d'essere"... Una missione globale che è legata alla nostra stessa ragion d'essere. E poi Zarif fa una domanda, credo interessante. Egli dice: Come mai la Malesia [si riferisce a un paese a stragrande maggioranza musulmana] - come mai la Malesia non ha problemi simili? E risponde: perché la Malesia non sta cercando di cambiare l'ordine internazionale.
Questo è il vostro moderato. Quindi non fatevi ingannare dall'ingannevole offensiva del fascino da parte dell'Iran. E' progettata per uno scopo, e per un solo scopo: per eliminare le sanzioni e rimuovere gli ostacoli nel percorso dell'Iran alla bomba. La Repubblica islamica sta ora cercando di abbindolare per un accordo che rimuova le sanzioni che deve affrontare ancora, e lasciarle migliaia di centrifughe per arricchire l'uranio. Se accadesse, ciò stabilirebbe il posto dell'Iran come potenza militare alla soglia del nucleare. In futuro, in un momento di sua scelta, l'Iran, lo stato più pericoloso al mondo nella regione più pericolosa del mondo, potrebbe realizzare facilmente le armi più pericolose del mondo.
Permettere che ciò accada porrebbe la più grave minaccia per tutti noi. Una cosa è confrontarsi con militanti islamici in pick-up, armati di fucili Kalashnikov. Un'altra cosa affrontare militanti islamici armati con armi di distruzione di massa. Ricordo che l'anno scorso, tutti qui eravate giustamente preoccupati per le armi chimiche in Siria, compresa la possibilità che potessero cadere nelle mani dei terroristi. Questo non è accaduto. E il presidente Obama merita grande credito per aver guidato lo sforzo diplomatico per smantellare la quasi totalità delle armi chimiche della Siria. Immaginate quanto più pericoloso lo Stato islamico, l'ISIS, sarebbe se avesse avuto armi chimiche. Ora immaginate quanto più pericoloso sarebbe lo Stato islamico dell'Iran se possedesse armi nucleari. Signore e Signori, volete lasciare l'ISIS arricchire l'uranio? Volete lasciare l'ISIS costruire un reattore ad acqua pesante? Volete lasciare l'ISIS sviluppare missili balistici intercontinentali? Naturalmente non lo vorreste. Quindi non dovete lasciare neppure che lo Stato Islamico dell'Iran faccià altrettato.
Poiché ecco cosa succederà: una volta che l'Iran riuscisse a produrre bombe atomiche, tutto il fascino e tutti i sorrisi improvvisamente scompariranno. Semplicemente svaniranno. E' allora che gli ayatollah mostreranno il loro vero volto e libereranno il loro fanatismo aggressivo sul mondo intero. C'è un solo comportamento responsabile per affrontare questa minaccia: le capacità militari nucleari dell'Iran devono essere completamente smantellate. Non commettere errori - l'ISIS deve essere sconfitto. Ma sconfiggere l'ISIS e lasciare l'Iran come potenza alla soglia del nucleare significa vincere la battaglia e perdere la guerra.
Signore e Signori, la lotta contro l'Islam militante è indivisibile. Quando l'Islam militante ha successo in qualunque luogo, è incoraggiato ovunque. Quando subisce un colpo in un singolo luogo, arretra dappertutto. Ecco perché la lotta di Israele contro Hamas non è solo la nostra lotta. E' la vostra lotta. Israele sta combattendo oggi un fanatismo che i vostri Paesi potrebbero essere costretti a combattere domani.
Per 50 giorni la scorsa estate Hamas ha sparato migliaia di razzi contro Israele, molti dei quali forniti dall'Iran. Voglio che pensiate ciò che i vostri paesi farebbero se migliaia di razzi fossero sparati contro le
Nel tentativo di vincere la simpatia del mondo, Hamas ha cinicamente usato civili palestinesi come scudi umani. Ha usato le scuole, - anche le scuole delle Nazioni Unite, case private, moschee, persino ospedali per immagazzinare e sparare razzi su Israele.
vostre città. Immaginate milioni di vostri cittadini che hanno pochi secondi al massimo per rifugiarsi nei rifugi, giorno dopo giorno. Non lascereste che i terroristi sparino razzi contro le vostre città impunemente. Né si dovrebbe lasciare che i terroristi scavino decine di gallerie del terrore sotto le frontiere per infiltrarsi nelle vostre città, al fine di uccidere e rapire i vostri cittadini. Israele giustamente si è difesa sia contro gli attacchi di razzi sia contro i tunnel del terrore. Ma Israele ha anche affrontato un'altra sfida. Abbiamo affrontato una guerra di propaganda. Perché, nel tentativo di vincere la simpatia del mondo, Hamas ha cinicamente usato civili palestinesi come scudi umani. Ha usato le scuole, non solo le scuole - scuole delle Nazioni Unite, case private, moschee, persino ospedali per immagazzinare e sparare razzi su Israele.
Quando Israele ha colpito chirurgicamente i lanciarazzi e le gallerie, dei civili palestinesi sono stati uccisi tragicamente, ma involontariamente. Ci sono immagini strazianti che ne sono state tratte, e queste alimentano accuse diffamatorie a Israele come se avesse preso deliberatamente di mira i civili.
Non è stato così. Ci rammarichiamo profondamente per ogni singola vittima civile. E la verità è questa: Israele ha fatto di tutto per ridurre al minimo le vittime civili palestinesi. Hamas ha fatto di tutto per aumentare al massimo il numero delle vittime civili israeliane e palestinesi. Israele ha distribuito volantini, fatto telefonate, ha inviato messaggi di testo, ha fatto avvisi in arabo alla televisione palestinese, sempre per permettere di evacuare i civili palestinesi dalle aree che doveva colpire.
Nessun altro paese e nessun altro esercito nella storia sono andati così in là per evitare vittime tra la popolazione civile dei loro nemici. Questa preoccupazione per la vita palestinese era tanto più notevole, dato che i civili israeliani sono stati bombardati da razzi giorno dopo giorno, notte dopo notte. Mentre le loro famiglie venivano bombardate da Hamas, l'esercito di Israele - i coraggiosi soldati della IDF, i nostri ragazzi e ragazze - ha rispettato i più alti valori morali di ogni esercito del mondo. I soldati israeliani meritano non condanna, ma ammirazione, da parte di tutte le persone oneste in tutto il mondo.
Questo è invece quello che ha fatto Hamas: Hamas ha incorporato sue batterie di missili in zone residenziali palestinesi e ha detto ai suoi civili di ignorare gli avvertimenti di Israele. E nel caso in cui le persone non hanno obbedito ai loro ordini, ha ucciso i civili palestinesi a Gaza che avevano osato protestare.
In maniera non meno riprovevole, Hamas ha deliberatamente messo i suoi razzi nei luoghi in cui i bambini palestinesi vivono e giocano. Lasciate che vi mostri una fotografia. E' stata presa da una troupe di France 24 nel corso del recente conflitto. Esso mostra due lanciarazzi di Hamas, che sono stati utilizzati per attaccare noi. Vedete tre bambini che giocano accanto a loro. Hamas ha deliberatamente messo i suoi razzi in centinaia di aree residenziali come questa. Centinaia.
Signore e signori, questo è un crimine di guerra. E dico al presidente Abbas, questi sono i crimini di guerra commessi dai vostri partner di Hamas nel governo di unità nazionale che che egli guida e di cui è responsabile. Questi sono i veri crimini di guerra su cui avrebbe dovuto indagare, o denunciare da questo podio la scorsa settimana.
Signore e Signori, mentre i bambini israeliani stavano rannicchiati nei rifugi e il sistema di difesa antimissile Iron Dome di Israele abbatteva i razzi di Hamas dal cielo, la differenza morale profonda tra Israele e Hamas non avrebbe potuto essere più chiara: Israele stava usando i suoi missili per proteggere i suoi figli, Hamas stava usando i suoi figli per proteggere i suoi missili.
Indagando Israele piuttosto che Hamas di crimini di guerra, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha tradito la sua nobile missione di proteggere gli innocenti. In realtà, quello che sta facendo è quello di capovolgere completamente le leggi di guerra. Israele, che ha preso misure senza precedenti per ridurre al minimo le vittime civili è condannato. Hamas, che ha sparato ai civili nascondendosi dietro i civili - un doppio crimine di guerra - Hamas è ignorato.
Il Consiglio per i Diritti Umani sta inviando così un messaggio chiaro ai terroristi ovunque: utilizzate i civili come scudi umani. Utilizzateli di nuovo e ancora e ancora. Sapete perché? Perché purtroppo, funziona. Concedendo legittimità internazionale all'uso di scudi umani, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite è così diventata un Consiglio dei diritti dei terroristi, e ciò avrà ripercussioni. Probabilmente ne ha già, favorendo l'uso di civili come scudi umani.
Non è solo il nostro interesse. Non sono solo i nostri valori che sono sotto attacco. Sono i vostri interessi e i vostri valori.
Signore e Signori, viviamo in un mondo intriso di tirannia e terrore, dove i gay vengono impiccati sulle gru a Teheran, i prigionieri politici vengono eseguiti a Gaza, giovani ragazze vengono rapite in massa in Nigeria e centinaia di migliaia sono massacrati in Siria, Libia e Iraq. Eppure quasi la metà, quasi la metà delle risoluzioni del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si concentra su un singolo paese ed è stata diretta contro Israele, l'unica vera democrazia in Medio Oriente - Israele, dove le questioni sono discusse apertamente in un parlamento pieno di dissensi, in cui i diritti umani sono protetti da tribunali indipendenti e in cui le donne, i gay e le minoranze vivono in una società veramente libera.
Parlare di Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite è un ossimoro, ma lo userò lo stesso. Il
Sentiamo teppisti oggi in Europa chiedere la gasazione degli ebrei. Abbiamo sentito alcuni leader nazionali paragonare Israele ai nazisti. Questo non dipende dalla politica di Israele, dipende dal fatto che vi sono menti malate. E questa malattia ha un nome. Si chiama antisemitismo.
trattamento di parte del Consiglio di Israele è solo una manifestazione del ritorno dei pregiudizi più antichi del mondo. Sentiamo teppisti oggi in Europa chiedere la gasazione degli ebrei. Abbiamo sentito alcuni leader nazionali paragonare Israele ai nazisti. Questo non dipende dalla politica di Israele, dipende dal fatto che vi sono menti malate. E questa malattia ha un nome. Si chiama antisemitismo.
Si sta ora diffondendo anche nella buona società, dove si maschera come legittima critica a Israele. Per secoli il popolo ebraico è stato demonizzato con calunnie del sangue e accuse di deicidio. Oggi, lo Stato ebraico è demonizzato con la diffamazione e l'accusa di genocidio e di apartheid. Genocidio? In quale universo morale il genocidio comprende l'avvertimento alla popolazione civile del nemico perché eviti il pericolo? O assicurare che riceva tonnellate, tonnellate di aiuti umanitari ogni giorno, anche se migliaia di razzi sono stati sparati contro di noi? O la creazione di un ospedale da campo per aiutare i loro feriti? Beh, suppongo che sia lo stesso universo morale in cui un uomo che ha scritto una tesi di menzogne sull'Olocausto, e che insiste su una Palestina libera di ebrei, Judenrein, può parlare su questo podio e senza vergogna accusare Israele di genocidio e pulizia etnica.
In passato, le menzogne oltraggiose contro gli ebrei sono stati i precursori del massacro del nostro popolo.
Ma ora non più.
Oggi il popolo ebraico ha il potere di difendersi. Ci difendiamo contro i nostri nemici sul campo di battaglia. Noi esporremo le loro menzogne contro di noi nella corte dell'opinione pubblica. Israele continuerà a resistere fiero e indomito.
Signore e signori, nonostante le enormi sfide che Israele affronta, credo che abbiamo un'opportunità storica.
Dopo decenni in cui hanno visto Israele come loro nemico, gli Stati nel mondo arabo sono in grado oggi di riconoscere che insieme noi e loro dobbiamo affrontare molti degli stessi pericoli: questo significa principalmente un Iran dotato di armi nucleari e i movimenti islamisti militanti che guadagnano terreno nel mondo sunnita.
La nostra sfida è quella di trasformare questi interessi comuni per creare una partnership produttiva. Un rapporto che potrebbe costruire un più sicuro, pacifico e prospero Medio Oriente.
Insieme possiamo rafforzare la sicurezza regionale. Siamo in grado di avanzare progetti su acqua, agricoltura, trasporti, sanità, settore energetico, in tanti campi.
Credo che la collaborazione tra di noi possa contribuire a facilitare la pace tra Israele e i palestinesi. Molti hanno a lungo ipotizzato che una pace israelo-palestinese può contribuire a facilitare un riavvicinamento più ampio tra Israele e il mondo arabo. Ma in questi giorni penso che potrebbe funzionare l'inverso: cioè che un riavvicinamento più ampio tra Israele e il mondo arabo può contribuire a facilitare una pace israelo-palestinese.
E quindi, per raggiungere quella pace, dobbiamo guardare non solo a Gerusalemme e Ramallah, ma anche al Cairo, ad Amman, Abu Dhabi, Riyadh e altrove. Credo che la pace possa essere realizzata con la partecipazione attiva dei Paesi arabi, quelli che sono disposti a fornire appoggio politico, materiale e altre forme di sostegno indispensabile. Sono pronto a fare un compromesso storico, non perché Israele stia occupando una terra straniera. Il popolo di Israele non occupa la Terra di Israele. Storia, archeologia e buon senso tutti dimostrano che abbiamo avuto un singolare attaccamento a questa terra per oltre 3.000 anni.
Voglio la pace perché voglio creare un futuro migliore per il mio popolo. Ma deve essere una vera pace, ancorata nel reciproco riconoscimento e con duraturi e solidissimi accordi di sicurezza. Perché vedete, i ritiri di Israele dal Libano e Gaza hanno creato due enclaves di militanti islamici ai nostri confini da cui sono stati sparati contro Israele decine di migliaia di razzi.
Queste esperienze fanno riflettere e aumentano le preoccupazioni di sicurezza di Israele riguardo a potenziali concessioni territoriali in futuro. Tali problemi di sicurezza sono ancora più urgenti oggi. Basta guardare intorno a voi. Il Medio Oriente è nel caos. Vecchi Stati si stanno disintegrando. Gli islamisti militanti stanno riempiendo il vuoto.
Israele non può accettare che i territori da cui si ritirasse vengano di nuovo occupati da militanti islamici,
Ogni accordo di pace, che ovviamente richiederà un compromesso territoriale, dovrà sempre basarsi sulla condizione che Israele sia in grado di difendersi da sola contro ogni minaccia. Eppure, nonostante tutto quello che è successo, alcuni ancora non prendono sul serio i problemi di sicurezza di Israele.
come è successo a Gaza e in Libano. Ciò metterebbe gli analoghi dell'ISIS alla distanza di un tiro di mortaio - a pochi chilometri - dall' 80% della nostra popolazione.
Pensateci. La distanza tra le linee del 1967 e i sobborghi di Tel Aviv è come la distanza tra l'edificio delle Nazioni Unite in cui siamo e Times Square. Israele è un piccolo Paese. Ecco perché ogni accordo di pace, che ovviamente richiederà un compromesso territoriale, dovrà sempre basarsi sulla condizione che Israele sia in grado di difendersi da sola contro ogni minaccia. Eppure, nonostante tutto quello che è successo, alcuni ancora non prendono sul serio i problemi di sicurezza di Israele. Ma io lo faccio, e lo farò sempre. Perché, come Primo Ministro di Israele, io ho la terribile responsabilità di garantire il futuro del popolo ebraico e il futuro dello Stato ebraico. E non importa quanta pressione ci venga esercitata contro, non vacillerò nell'adempimento tale responsabilità.
Credo che con un approccio nuovo da parte dei nostri vicini, saremo in grado di promuovere la pace, nonostante le difficoltà che dobbiamo affrontare.
In Israele, abbiamo esperienza di rendere possibile l'impossibile. Abbiamo fatto fiorire il deserto. E con poche risorse naturali, abbiamo utilizzato le menti fertili del nostro popolo per trasformare Israele in un centro globale di tecnologia e innovazione. La pace, naturalmente, permetterebbe a Israele di realizzare il suo pieno potenziale e di costruire un futuro promettente, non solo per il nostro popolo, non solo per il popolo palestinese, ma per molti, molti altri nella nostra regione.
Ma il vecchio modello per la pace deve essere aggiornato. Si deve tener conto delle nuove realtà e nuovi ruoli e responsabilità per i nostri vicini arabi. Signore e Signori, vi è un nuovo Medio Oriente. Si presentano nuovi pericoli, ma anche nuove opportunità. Israele è disposto a lavorare con i partner arabi e con la comunità internazionale per affrontare quei pericoli e cogliere tali opportunità. Insieme dobbiamo riconoscere la minaccia globale dell'Islam militante, l'importanza di smantellare le capacità di armi nucleari dell'Iran e il ruolo indispensabile degli stati arabi nel promuovere la pace con i palestinesi.
Tutto questo può sembrare un affronto ai luoghi comuni, ma è la verità. E la verità deve essere sempre detta, soprattutto qui, alle Nazioni Unite.
Isaia, il nostro grande profeta di pace, ci ha insegnato quasi 3.000 anni fa a Gerusalemme di dire la verità al potere.
לְמַעַן צִיּוֹן לֹא אֶחֱשֶׁה וּ לְמַעַן יְרוּשָׁלִַם לֹא אֶשְׁקוֹט עַד-יֵצֵא כַּנֹּגַהּ צִדְקָהּ וִישׁוּעָתָהּ כְּלַפִּיד יִבְעָר. Per amore di Sion io non tacerò. Per il bene di Gerusalemme, non sarò muto. Finché la sua giustizia splenderà luminosa, e la sua salvezza brillerà come una torcia fiammeggiante (Isaia 62:1).
Signore e Signori, accendiamo una torcia di verità e di giustizia per salvaguardare il nostro futuro comune.
Grazie.
Traduzione di Ugo Volli
(Inviato da Deborah Fait, 30 settembre 2014)
Shoah, museo provvisorio al Ghetto
La scelta Il museo della Shoah si farà a Villa Torlonia. Il Museo della Shoah aprirà nel 2015 nella Casina dei Vallati in via del Portico d'Ottavia. Tappa provvisoria in un edificio storico del Comune, in attesa della sede definitiva a Villa Torlonia. Lo ha deciso il Cda della Fondazione Museo della Shoah svoltosi ieri in Campidoglio. Ma da parte della comunità ebraica rimangono dubbi sui tempi del progetto di via Nomentana.
di Laura Larcan
La Casina dei Vallati
Il Museo della Shoah aprirà i battenti entro il 2015 nella Casina dei Vallati in via del Portico d'Ottavia e rimarrà in questa sede finché non sarà pronto il nuovo avveniristico edificio progettato da Luca Zevi, la cui sede definitiva sarà Villa Torlonia. Tramonta una volta per tutte l'ipotesi del traghettamento all'Eur. C'è l'accordo. Più che altro, un compromesso dopo la tempesta. Dopo quel rischio di rottura tra Comunità ebraica e Campidoglio. Lo ha deciso il Consiglio di amministrazione della Fondazione Museo della Shoah svoltosi ieri in Campidoglio. La proposta di fare tappa al Ghetto è arrivata dal sindaco Ignazio Marino che punta comunque ad inaugurare il prossimo anno il cantiere a Villa Torlonia, in occasione del 70esimo anniversario della Liberazione degli ebrei dai campi di sterminio. La disponibilità della Casina dei Vallati è stato il coup de théâtre. Edificio storico di suggestioni medievali e rinascimentali, in consegna alla Sovrintendenza capitolina (rimesso in luce nel corso degli sventramenti effettuati a partire dagli anni Venti del secolo scorso per liberare le strutture del vicino Teatro di Marcello) si affaccia su piazza 16 ottobre 1943, luogo dove furono raccolti gli ebrei per la deportazione. «In questo modo si soddisfa la richiesta di rapidità posta dalla base della comunità e dai sopravvissuti», ha dichiarato il presidente delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna che, all'uscita dalla riunione ha precisato che «Si tratta di una sede provvisoria in attesa di quella di Villa Torlonia. L'edificio è di circa 800 metri quadri e attualmente ospita uffici dell'amministrazione ma è sottoutilizzato ed immediatamente disponibile. Sarà un luogo di documentazione e studio».
I DUBBI
Niente dimissioni, per il momento, per il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, che in giornata aveva annunciato l'intenzione di lasciare il Cda qualora non si fosse trovata una soluzione condivisa sulla sede. Il braccio di ferro si consumava tra la scelta della sede sulla via Nomentana, per la quale il Comune ha già investito 15 milioni di euro, e l'urgenza di vedere inaugurato il Museo della Shoah da parte dei sopravvissuti. «Non dobbiamo essere prigionieri - aveva esternato Pacifici - di un meccanismo che farà inaugurare il Museo della Shoah, se si dovesse perseguire il progetto di villa Torlonia, non prima di sette anni. Sono tempi biblici». Ma il consiglio di ieri non ha placato le diversità di opinioni tra i rappresentanti della comunità ebraica nel Cda della Fondazione.
L'AVVOCATURA
Il tema critico rimane infatti la sede definitiva a Villa Torlonia. I dubbi persistono sulle tempistiche e la fattibilità del progetto di via Nomentana. Nel frattempo, la comunità ha acquisito il parere dell'avvocatura sul danno erariale che sconterebbe il Comune per un eventuale spostamento della sede del museo. Non a caso, Marino ha puntato alla cautela accogliendo la richiesta di «un'ultima pausa di riflessione di alcuni giorni». Nelle prossime ore, dunque, la comunità ebraica si riserverà una valutazione complessiva sull'operazione.
(Il Messaggero, 30 settembre 2014)
L'uomo che morì due volte
Dan Segre sbarcò a Tel Aviv con una valigia foderata di seta, pulì i recinti del kibbutz e si fece paracadutare nei Sudeti. Un fondatore di Israele e un grande amico del Foglio.
di Giulio Meotti
Vittorio Dan Segre (a destra) con la divisa da ufficiale britannico in una foto scattata davanti alla sinagoga di Torino nell'aprile del 1945, all'indomani della liberazione
Vittorio Dan Segre è morto due volte. La prima dopo la Seconda guerra mondiale. Il giovane ebreo, venuto al mondo come Vittorio Emilio Giuseppe, era stato costretto dalle leggi razziali a rifugiarsi all'estero. Andò in Palestina, dove già da tempo gli ebrei e gli arabi erano in lotta. Quando nacque lo stato d'Israele, Segre prese la cittadinanza, cambiando il suo nome italiano con quello antico di famiglia. Così divenne Dan Avni. Ma in Italia c'era una ragazza, Rosetta, che Vittorio aveva amato prima di essere costretto a fuggire. La giovane lo raggiunse e si sposarono a Haifa. I coniugi, dopo qualche anno, tornarono in Italia e Rosetta fece trascrivere il matrimonio presso lo stato civile di Torino per regolarizzare di fronte alla legge italiana la sua posizione. Il certificato rilasciato dalle autorità israeliane portava il nome di Dan Avni. Poco dopo il padre di Dan, che aveva conservato il nome di Segre, morì lasciando al figlio alcune proprietà a Govone, vicino ad Alba. Fu allora che iniziarono i guai.
Per venire in possesso dei beni ereditati, Dan Avni doveva dimostrare di essere Vittorio Segre. Tornò in Israele e alle autorità chiese di ridiventare ufficialmente Vittorio Segre. Il Consolato generale italiano a Gerusalemme prese atto del mutamento e trasmise al comune di Govone anche il certificato di matrimonio celebrato sotto una chuppah a Haifa. Al comune di Rivoli, dove era nato Vittorio Segre non ci fu nulla da modificare, venne aggiunto soltanto che si era sposato. Le cose furono diverse per la moglie: a Torino risultava che si era sposata con Dan Avni; se ora si fosse scritto che si era sposata "anche" con Vittorio Segre, la donna sarebbe stata automaticamente denunciata per bigamia. Segre dimostrò con documenti e certificati che Dan Avni e Vittorio Segre erano la stessa persona, citò testimonianze di consoli e autorità. Ma la legge non prevede un "mutamento di stato". L'unica strada che rimaneva era quella di presentare un falso certificato di morte a nome di Dan Avni e "risposare" la vedova Avni con il suo vero nome, Vittorio Segre. Era fatta tutta così la vita dell'"ebreo fortunato", scomparso sabato a novantadue anni.
L'ultima volta che ci siamo sentiti questa estate era stato per chiedergli se aveva voglia in qualche modo di intervenire alla veglia del Foglio a favore di Israele e dei cristiani perseguitati. Dan ci rispose così: "Non credo abbiate bisogno di uno scheletro che non cammina". Eccome se avevamo bisogno di Vittorio Dan Segre. Ha tenuto compagnia al Foglio in tante e importanti battaglie. Come quando aderì, fiero e preoccupato, alla manifestazione che il nostro giornale organizzò sotto l'ambasciata della Repubblica islamica dell'Iran a Roma.
Il giorno della proclamazione dello stato d'Israele Dan Segre si trovava su una torre di avvistamento, piantata nel fitto di un aranceto. Il suo cavallo, legato a un albero, brucava l'erba. Era di guardia, con una pistola e due bombe a mano. Stava lì, nel silenzio e nella contemplazione di un sole arancione che stava
Sulla nave che lo portava per la prima volta in Palestina nel 1939, una signora ammonì così Segre: "Si rammenti bene che le carezze in Palestina si fanno con la carta vetrata".
tramontando, quando vide sbucare un aereo egiziano. Scendeva nel sole, con il sole, e andava a bombardare Tel Aviv per fare strage di ebrei.
Sulla nave che lo portava per la prima volta in Palestina nel 1939, una signora ammonì così Segre: "Si rammenti bene che le carezze in Palestina si fanno con la carta vetrata". Non c'è definizione migliore per raccontare Dan Segre. Dan si porta con sé molti segreti. Come quella volta in cui Primo Levi gli disse di essersi pentito di aver firmato l'appello antisraeliano di Repubblica. Dan era l'incarnazione vivente della "chutzpah", l'intraducibile parola ebraica che significa un misto di freddezza di nervi e di una sfrontatezza oltraggiosa. Come quel bambino che uccide i genitori e poi chiede clemenza al giudice perché è orfano. Fu un uomo di paradossi, un grande israeliano e un grande intellettuale della Diaspora (dove è sepolto), uno che si mosse con disinvoltura fra gli aranceti dei kibbutz e i salotti parigini, le corti dei re africani e le migliori università del mondo, come il Mit di Boston e l'Università di Stanford, fino alle pagine dei quotidiani italiani (lasciò il Corriere della Sera per seguire Indro Montanelli nell'avventura del Giornale, in anni in cui, disse Segre, "la borghesia della 'Milano bene' flirtava con il terrorismo").
La sua ultima uscita pubblica è stata su Moked, il portale dell'ebraismo italiano: "Accettabile, anche se discutibile, la partecipazione pubblica e cartacea al 'grande dolore', alla inconsolabile perdita del defunto o della defunta (di personaggi femminili da compiangere pubblicamente e a pagamento sembra che ve ne siano meno) trasformata in moda quella di defunti che spesso non si è mai conosciuti (o poco apprezzati). E' un modo di farsi notare, un processo pubblicitario - anche se inconscio - dettato da un'industria mortuaria che un tempo si accontentava del funerale e dell'annuncio affisso sulla porta di casa o della chiesa. Ma perché sentiamo questo grande bisogno di cancellare la morte?".
Segre partecipò alla creazione di Israele impegnandosi nella carriera diplomatica negli anni in cui Israele era ancora un paese tutto da fare. Una volta ci disse di aver preso parte alla guerra d'indipendenza del 1948 "per porre fine alla caccia gratuita all'ebreo". Era così diverso da quel miope candore illusorio che ha sempre animato l'ebraismo italiano e i suoi intellettuali cortigiani. Dan era un cinico di classe senza schemi ideologici. Arrivò su una spiaggia di Tel Aviv vestito come un aristocratico piemontese, con indosso una giacca blu marino e pantaloni di flanella grigi, una camicia con polsini e colletto di lino bianco. La sua valigia aveva bordi in pelle foderati di seta. Il paese dove sbarca quel ragazzo non è "la terra dove scorrono il latte e il miele", ma è povero e diviso, pieno d'afa, mosche, sabbia e vento. Ci sono le tracce del disastroso governo ottomano, la miseria araba, l'altezzosa, efficiente e giusta amministrazione inglese, e l'ostinazione indomita dei coloni ebrei. E' il "Passaggio in India" di Forster in salsa ebraica.
Dan Segre si forma al kibbutz Givat Brenner fondato dal grande Enzo Sereni, che a differenza del fratello Emilio, che scelse il comunismo e ripudiò la comunità israelitica, si fece colono e contadino, guerrigliero e ambasciatore per poi morire a Dachau, dopo essersi paracadutato oltre la linea gotica. Entrambi nutrivano una profonda insofferenza per il compiaciuto appagamento che domina tra la borghesia ebraica italiana. Come Dan Segre.
Con un versamento di mille sterline in una banca britannica, Dan aveva ottenuto un visto d'immigrazione come "capitalista". Capitalista in un kibbutz. Lo misero a ripulire i recinti dei polli in cambio di due ore di ebraico. Il kibbutz si trovava in prima linea, percorso da trincee, interrotte da osservatori anti aerei, da postazioni di mitragliatrici. Una colonia in cui pochi ebrei hanno fermato l'invasione araba. Un asinello portava ogni giorno quattro latte d'acqua. Dan lavorava negli agrumeti e nei filari di cipressi; nelle stalle modello, nei dormitori, nella casa dei bambini, nella fabbrica delle marmellate, nelle officine per gli attrezzi agricoli.
Fu decisivo il rapporto di Dan Segre con gli inglesi, che ammirava perché rappresentavano la legge, che detestava perché avevano bloccato l'immigrazione ebraica e che invidiava perché stavano combattendo una guerra feroce e testarda contro il satana di Berlino. Dan non aveva ancora vent'anni, aveva paura, ma aveva anche paura di avere paura. Così nel 1941 diede sostanza ai suoi sogni di gloria arruolandosi nell'esercito clandestino ebraico di Ben-Gurion, e poco dopo, a copertura, nell'esercito britannico. Fu allora che conobbe Berenika, nutrita di Freud e di Marx, stuprata dai nazisti in Germania e che in Israele avrebbe
Il compito di Dan Segre nel neonato stato ebraico fu quello di creare la scuola di paracadutisti che non esisteva.
praticato il sesso con la disinvoltura asettica di un'infermiera: offriva il suo corpo ai bisognosi come se stesse somministrando un farmaco.
Il compito di Dan Segre nel neonato stato ebraico fu quello di creare la scuola di paracadutisti che non esisteva. Il governo accettò il progetto che gli sottomise Segre per formare una unità con cinque ufficiali e due soldati. Ma un ex commando inglese che era stato in azione contro Rommel e uno studente di Filosofia che sarebbe diventato assistente di Karl Popper, Yosef Agassi, furono spediti in Cecoslovacchia perché in Israele non c'erano i paracadute e se ci fossero stati non ci sarebbe stato spazio per lanciarsi senza cadere nelle linee nemiche. Volavano su un grosso Liberator acquistato tra i residui di guerra americani e che era già servito a bombardare il Cairo. Precipitarono e Dan si risvegliò in ospedale. La sua vita era un aneddoto dietro l'altro. Come quando regalò a David Ben-Gurion una copia delle opere di Giambattista Vico. Come quando si occupò della prima visita di Moshe Dayan a Parigi. Come quando accompagnò a Nazareth, alla fine degli anni Cinquanta, un sultano algerino discendente diretto - almeno così era scritto sul suo biglietto da visita - del califfo Abu Bakr.
Dan era capace di grande coraggio intellettuale e ne dimostrò negli anni di amicizia con il Foglio. Elogiò Papa Ratzinger mentre tutte le classi dirigenti occidentali gli davano addosso, sulla pedofilia, sulle mostrine della Wehrmacht, sulla san Pio X, su Ratisbona, sui diritti naturali. "E io, ebreo, vi dico: è un gran Papa", scrisse Dan Segre. O come quando, durante la Seconda Intifada, smontò il mito nero della battaglia di Jenin, che avrebbe nutrito dieci anni di blood libel contro gli ebrei in occidente. O come quando scrisse che Israele non doveva accettare lezioni di morale da "paesi che hanno creato Coventry e Dresda".
Nato in Piemonte da una famiglia ebraica "emancipata", fedele ai Savoia e simpatizzante della causa fascista, Dan da ragazzo non era mai stato sionista, né potevo esserlo, dato che il padre osteggiava quel movimento che, a suo parere, intaccava la lealtà nazionale degli ebrei italiani. Dan non doveva ancora compiuto cinque anni quando quello stesso padre per poco non gli sparò una rivoltellata in testa: puliva la sua pistola d'ordinanza, una Smith & Wesson calibro 7,35, e il colpo partì, non si seppe come. Dan si salvò per miracolo.
L'ebraismo, in famiglia, era ridotto a vaghe vestigia, una preghiera nelle solennità, la consuetudine alimentare, e poco altro. La madre, bellissima ed esangue, era stata educata in un convento di suore, in perenne esitazione fra le due fedi. Vittorio trova più comodo essere ebreo che cristiano, così almeno avrebbe evitato "la seccatura della messa domenicale". Anche Vittorio era infantilmente romantico. Gli piaceva sciare e cavalcare, e avrebbe ereditato dal padre il gusto per l'azione, dalla madre la fragilità contemplativa.
Fu amico dei giganti della cultura ebraica novecentesca, da Manès Sperber a Isaiah Berlin fino al talmudista Adin Steinsaltz. Una vita sempre legata a Gerusalemme, dove a Dan piaceva ancora rifugiarsi, e da dove telefonava orgoglioso col prefisso +72. Un rifugio accanto alla tomba di sua madre, una ebrea sepolta da cristiana su un colle di Ein Karem, il paese di san Giovanni Battista, in un orto curato dalle suore di Sion.
Per lui, lo stato d'Israele incarnava qualcosa di molto simile a Venezia, quando nel 1571 l'ignavia dell'Europa e l'alleanza fra la Francia e il sultano aprirono con la sua caduta alla marcia degli ottomani su Vienna. Ma avvertiva Segre, "Israele non farà la fine di Bragadin, spellato vivo dai turchi, le orecchie e il naso tagliati via". Era fatto così questo grande ebreo "che voleva essere eroe", dal titolo del libro che Bollati Boringhieri ha mandato in stampa poco prima che Dan morisse. Per la seconda volta.
(Il Foglio, 30 settembre 2014)
Nazioni Unite: l'astuta mossa di Abu Mazen
di Cristofaro Sola
Se il discorso di Matteo Renzi alla Nazioni Unite è stato sostanzialmente irrilevante, ben altro effetto ha provocato quello pronunciato il 26 settembre, stessa tribuna, dal presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. In effetti, più che dire, il leader dell'A.N.P., ha tentato una mossa scaltra che ha messo in grande imbarazzo il presidente degli Stati Uniti d'America.
E' noto che Barack Obama, in passato, non abbia fatto mistero di nutrire una spiccata simpatia per le ragioni dei palestinesi. Abu Mazen, dopo aver attaccato frontalmente Israele con accuse che definire indecenti è poco, ha tentato di porre la questione della sovranità palestinese direttamente nelle mani dell'Assemblea Generale dell'Onu, proponendo una calendarizzazione con date certe del processo di riconoscimento dell'indipendenza della Palestina, a prescindere dall'accordo con lo Stato d'Israele. Le accuse di razzismo, di pulizia etnica e di apartheid rivolte al governo di Gerusalemme sono servite ad Abu Mazen da pretesto per seppellire lo schema negoziale accettato dal suo predecessore, Yasser Arafat, a partire dagli accordi di Oslo del 1993. Finora si riteneva che il dialogo tra israeliani e palestinesi, mediato dagli Stati Uniti, potesse essere l'unica formula possibile per giungere a un risultato concreto. Oggi, Abu Mazen dichiara senza tentennamenti: "questa strada non funziona".
Lo fa nella convinzione che ciò che accadde il 29 novembre 2012, quando l'Assemblea generale votò, a larga maggioranza, l'ammissione dell' A.N.P. quale stato osservatore non-membro delle Nazioni Unite, possa essere ripetuto per colpire il bersaglio grosso. A questo punta lo spregiudicato leader palestinese. Scatenare il consesso della nazioni contro il nemico israeliano per ottenere il riconoscimento della sovranità palestinese sull'intera Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza, con Gerusalemme est capitale, tanto per cominciare. Non è un caso se Abu Mazen abbia insistito nell'evocare una suggestione: la Palestina come unico territorio al mondo che vive ancora sotto un governo di occupazione. Dall'exploit newyorkese di Abu Mazen possono trarsi alcune sommarie considerazioni. La prima riguarda la politica di Obama nello scacchiere mediterraneo- mediorientale.
Le parole del leader palestinese ne confermano il totale fallimento. Obama ha puntato a fare l'amico dell'Islam, a tutti i costi. E' giunto a girare le spalle agli alleati storici dell'Occidente in quella regione pur di accreditarsi come lord protettore dell'islamismo politico. Risultato: Abu Mazen, forte del suo accordo con i terroristi di Hamas, ora scarica l'amministrazione americana e la vuole fuori dal processo di risoluzione del contezioso con Israele. Altra conseguenza riguarda la situazione di crisi che l'Occidente sta affrontando con la guerra scatenata dal fondamentalismo dell'Is. E' di tutta evidenza che Washington abbia bisogno di tenere stretti all'interno della coalizione tutti i paesi arabi dell'area perché il conflitto non sfoci in guerra aperta di civiltà, come vorrebbero quelli dell'Is. Abu Mazen l'ha capito per cui sta cercando d'alzare la posta sul fronte degli accordi di pace israelo-palestinesi, per ottenere non dal processo negoziale ma dalla congiuntura della guerra, quanti più vantaggi possibili. Inoltre, il leader palestinese ha valutato il peso che gli eventi bellici in atto potrebbero determinare negli scenari futuri.
La guerra all'Is delegata, sul terreno, alle forze presenti "in loco" è destinata, in caso di successo, a consacrare la nascita di un stato autonomo dei curdi. Ciò rappresenterebbe la creazione di un'enclave democratica nel cuore di una regione dominata dalla presenza di paesi lontani dalla tradizione liberale dello stato di Diritto. La costituzione di un agguerrito nucleo statuale palestinese farebbe da contrappeso meridionale al radicamento di un Kurdistan autonomo e aperto all'Occidente. Ciò non dispiacerebbe affatto alle due potenze regionali che, per motivi opposti, non vedono di buon occhio un'evoluzione della guerra all'Is in tal senso: la Turchia, da una parte, e l'Iran, dall'altra. C'è, quindi, da augurarsi che il discorso bugiardo e istigatore d'odio contro Israele pronunciato da Abu Mazen serva almeno a restituire un po' di lucidità a quegli occidentali, soprattutto europei, che hanno con troppa facilità dimenticato cosa sia e che funzione svolga Israele in quel contesto.
Soprattutto non dimentichino il diritto storico che gli israeliani hanno di vivere in pace su quella terra, che è la loro terra. La smettano una buona volta, le cancellerie del vecchio continente, di giocare a fare "gli antisemiti di ritorno" e si diano una regolata. Si abbia la consapevolezza che, nella percezione di una parte consistente del mondo arabo, ogni cedimento occidentale sulla questione palestinese rappresenta un passo avanti nella biblica guerra per la cacciata degli ebrei dalla terra dei Padri.
(L'Opinione, 30 settembre 2014)
Il Mossad e il reclutamento a portata di mouse
Il volto (quasi) mediatico dell'Intelligence d'Israele
di Luca Lampugnani
Di diritto il Mossad rientra tra quelle organizzazioni di Intelligence che più affascinano e fanno parlare di sé, proprio per quella capacità senza rivali di rimanere nell'ombra, di essere alle spalle di molti avvenimenti pur mantenendosi ben lontano dalle luci della ribalta, alimentando leggende e dicerie che a loro volta alimentano il mito. E se le operazioni e le sue mosse erano e sono assolutamente segrete, riuscire ad entrare a farvi parte aveva la stessa identica cortina di oscurità tutto intorno, fatta di incontri lontani da orecchie indiscrete, di annunci criptici su giornali e di colloqui in anonimi palazzi ed edifici della capitale israeliana, Tel Aviv.
In futuro, tuttavia, le cose potrebbero cambiare per l'"Istituto per l'intelligence e servizi speciali" - nome completo dell'Intelligence israeliana, 'riassunto' in Mossad che, tradotto letteralmente, significa "istituto" -, soprattutto per quanto riguarda il reclutamento di nuovi 007. Come riportato tra gli altri dal Jerusalem Post e dal britannico Guardian, l'agenzia di spionaggio di Tel Aviv.
si è infatti aperta al WWW lanciando una piattaforma on-line dove rendere possibile le auto-candidature per chi vuole entrare a farne parte, rivoluzionando il proprio sito internet preesistente e rendendolo più appetibile per gli utenti della rete e prevedendo una versione, ovviamente, in ebraico, e altre in inglese, francese, russo, arabo e farsi.
Un messaggio accattivante - "Join us to see the invisible and do the impossibile" ("unisciti a noi per vedere l'invisibile e fare l'impossibile") - accoglie gli avventori e i possibili candidati ad un impiego nel Mossad, diviso per diverse categorie di lavoro: operations, intelligence, technological e cyber. Il tutto, inoltre, viene corroborato nella versione ebraica del portale da un filmato (anch'esso in ebraico) che potrebbe essere facilmente scambiato per un qualsiasi trailer hollywoodiano, un video di 1 minuto e 23 secondi dove sono illustrate, almeno in parte, le attività dell'agenzia tra droni, spie e agenti sotto copertura.
Secondo il direttore dell'Intelligence ebraica, Tamir Pardo, l'operazione mediatica del Mossad, una vera e propria novità, è da leggersi nell'ottica dell'importanza assoluta di "continuare a reclutare le migliori menti, in modo da poter affrontare le grandi minacce che in questo momento mettono in pericolo lo Stato di Israele". Inoltre, come specifica lo stesso Pardo, "la qualità del capitale umano è uno dei segreti per il successo del Mossad". Sul sito, inoltre, è possibile comprendere quanto la ricerca dell'Istituto di nuovi impiegati sia del tutto internazionale, risvolto confermato da un annuncio che recita: "quale che siano il vostro paese, la vostra nazionalità o la vostra religione, potete contattarci".
Come sottolinea il già citato Guardian, nonostante l'iniziale pubblicizzazione del 'nuovo volto' in materia di reclutamento, il Mossad per il momento tiene la bocca particolarmente chiusa sull'operazione. Tuttavia, spiega il quotidiano britannico, l'iniziativa sembra aver incontrato il favore di molti ex agenti dell'Intelligence israeliana - tra cui Gad Simron -, i quali hanno sottolineato quanto in tempi 'nuovi' siano necessarie azioni 'nuove' per rimanere al passo: "é il 21esimo secolo. Questo riesce a dare all'agenzia la possibilità di raggiungere il tipo di persone che non ha mai raggiunto prima", sostiene Simron.
Insomma, benché l'apertura mediatica sia notevole, il Mossad ci tiene a mantenere gran parte della sua proverbiale segretezza. "Le informazioni relative alle attività dell'Intelligence per lo più non diventano pubbliche, e spesso ciò che viene diffuso dopo numerosi anni dalle operazioni è solo la punta di un iceberg di azioni che talvolta sconfinano nell'immaginazione", spiega il direttore Pardo nelle parole che danno il benvenuto on-line agli avventori del sito dell'agenzia, dove in effetti è possibile accedere ad una sorta di storiografia parziale di alcune operazioni degli 007 di Israele. "Questo sito ti da un breve scorcio di cosa è il Mossad - continua Pardo -, ma ti rivelerà solo una parte del suo passato e delle sue attività".
(International Business Times, 30 settembre 2014)
L'eroe della lista Tsipras è un blogger arabo che incita a uccidere ebrei
L'ultima trovata dell'eurosinistra: candidare al premio Sakharov Alaa Abdel Fattah, egiziano noto per gli appelli all'odio verso Israele.
di Noam Benjamin
Alaa Abdel Fattah
Da due settimane è tornato in libertà su cauzione. Un domani potrebbe aspirare al Premio Sakharov per la libertà di pensiero: riconoscimento del Parlamento europeo per i difensori dei diritti umani e delle libertà individuali.
È Alaa Abd El-Fattah, blogger 33enne egiziano noto nel suo Paese per aver sviluppato una piattaforma digitale libera dalle censure laiche, islamiche o militari. Entrato e uscito dal carcere più volte dal 2006, in Egitto Fattah è diventato un simbolo delle proteste contro il regime dell'ex faraone Hosni Mubarak ed è considerato un precursore della primavera araba. Peccato però che il suo nome sia anche associato a bellicose dichiarazioni di odio verso Israele e i suoi abitanti, che il blogger invita a uccidere senza tanti complimenti. La sua candidatura al premio intitolato al dissidente sovietico Andrej Sacharov arriva dall'ala sinistra dell'Europarlamento. Sono stati i 52 deputati di Sinistra unitaria europea/ Sinistra verde nordica (Gue/Ngl) a sostenere il nome Fattah assieme a quello di due rapper arabi: Mouad Belghouate (meglio noto come El Haqed) e Ala Yaacoubi (Weld El 15), condannati a una serie di pene detentive nei rispettivi Paesi di origine per aver espresso le proprie opinioni. Il gruppo Gue/Ngle comprende fra gli altri i tedeschi della Linke, i francesi del Front de gauche, e gli italiani di «L'altra Europa con Tsipras», al secolo Barbara Spinelli, Curzio Maltese ed Eleonora Forenza. Tre deputati che hanno fatto parlare di sé per avere, la prima, promesso di candidarsi solo per aiutare il partito, salvo mantenere a sorpresa il seggio a Strasburgo; il secondo per non aver rinunciato allo stipendio di Repubblica ; la terza per aver introdotto a Regina Coeli un collaboratore colto a spacciare marijuana al leader antagonista detenuto Nunzio d'Erme. «Il Parlamento deve riconoscere le voci della primavera araba»: così il gruppo politico ha motivato la triplice candidatura.
Eppure il Premio Sakharov non sembra essere insensibile ai rivolgimenti del mondo arabo e islamico. Nel 2013 il riconoscimento è andato all'attivista pachistana Malala Yousafzai, sostenitrice del diritto delle donne all'istruzione in una regione dominata dall'apartheid sessuale dei talebani. L'anno prima il premio è stato assegnato agli iraniani Jafar Panahi (regista) e Nasrin Sotoudeh (avvocato), paladini dei diritti umani. Nel 2011 l'Europarlamento aveva conferito il Sakharov a cinque giovani simboli o leader riconosciuti proprio della primavera araba. Solo il gruppo Gue/Ngl non sembra essersene accorto. Non così i gruppi Conservatori (Ecr) che rivendicano, per esempio, il premio per i cristiani d'Iraq vittime della pulizia etnica o i Liberali (Alde) e Socialdemocratici (S&D) che lo vorrebbero assegnato a chi cura in Congo le donne vittime di stupro.
Al di là della discutibile attualità del tema, i tre «paladini» del gruppo delle sinistre sono tre giovani, vittime dell'arroganza del potere nel proprio Paese d'origine. Sulla sua testa pende una sentenza di 15 anni per reati d'opinione ma non sembrano avere insegnato a Fattah che la violenza non paga e che libertà d'opinione non fa rima con libertà di insulto. Su Twitter Fattah cinguetta che una soluzione al conflitto israelo-palestinese può arrivare dal sangue: «C'è una massa critica di israeliani che noi dobbiamo uccidere prima che il problema possa essere risolto», scrive dal suo account nel 2012. Una frase tanto più insensata se si considera che l'Egitto è in pace con lo Stato ebraico dal lontano 1979, due anni prima della nascita di Fattah. Eppure, si legge ancora su Times of Israel , secondo il blogger «non ci dovrebbero essere relazioni di alcun tipo con Israele: Israele deve finire». Una conseguenza logica visto che per lo sviluppatore di manalaa.net, premiato nel 2005 da Reporter senza frontiere come uno dei migliori blog al mondo, scrivere che «tutti i sionisti sono criminali è un esempio accettabile di generalizzazione».
(il Giornale, 30 settembre 2014)
A Mondovì s'insegna l'ebraico biblico
La cittadina era un tempo sede di una importante comunità ebraica.
Maria Teresa Milano, insegnante del corso di ebraico
Un corso di ebraico biblico a Mondovì. La cittadina era un tempo sede di una importante comunità ebraica, di cui ne resta testimonianza nella bella sinagoga del '700 e nella collezione di piatti ebraici Besio custodita nel Museo della Ceramica.
A organizzare il corso è l'associazione "MondoQui", nell'ambito del suo progetto di riqualificazione della stazione ferroviaria dell'altipiano e delle sue attività sui confini tra le diverse culture.
Le lezioni saranno tenute da Maria Teresa Milano, dottore di ricerca in ebraistica, autrice di importanti saggi su storia e cultura ebraica, traduttrice e formatrice. Il corso avvicinerà i partecipanti alla lettura dell'ebraico con immediatezza e in modo accattivante. Assieme a questo aspetto ci sarà l'insegnamento della grammatica di base, approfondimenti culturali e racconti sulle tradizioni.
L'incontro di presentazione è fissato per giovedì 9 ottobre alle ore 18.30 presso la sala Franco Centro nella stazione ferroviaria di Mondovì.
Per informazioni: 349 6421404.
(La Stampa - Cuneo, 29 settembre 2014)
Israele - Arrestato un uomo sospettato di sostenere lo Stato Islamico
Ritrovati a casa sua bandiera dell'Isis e libri sulla jihad
GERUSALEMME - La polizia israeliana ha arrestato un docente arabo-israeliano accusato di sostenere l'organizzazione dello Stato Islamico (Isis). Si tratta di uno dei primi arresti confermati nello stato ebraico in relazione con il gruppo jihadista, che ha conquistato ampie zone di territorio in Siria e in Iraq e ha impresso un regime di terrore.
Il quotidiano israeliano Haaretz aveva riferito la scorsa settimana della messa sotto inchiesta di un altro uomo che avrebbe combattuto con l'organizzazione dello Stato Islamico in Siria. L'incriminazione di questo uomo di 23 anni risale al mese di maggio, aveva chiarito il quotidiano.
L'uomo di 24 anni arrestato oggi insegnava in una località vicino a Tel Aviv, come ha precisato un portavoce della polizia, senza precisare la sua identità. Gli agenti hanno trovato in casa sua una bandiera dello Stato Islamico, oltre che libri sulla jihad.
(ASCA, 29 settembre 2014)
Alla biblioteca Trisi di Lugo una conferenza sul tema "La donna nella tradizione ebraica"
Mercoledì 1 ottobre alle 17 alla Sala Codazzi.
LUGO (RA) - Mercoledì 1 ottobre alle 17 alla Sala Codazzi della biblioteca comunale "Fabrizio Trisi" di Lugo si terrà una conferenza sul tema "La donna nella tradizione ebraica". L'incontro vedrà gli interventi di Luciano Caro, rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara e di Ines Miriam Marach, storica dell'ebraismo e presidente dell'associazione "Donne ebraiche italiane (Adei Wizo) - sezione di Bologna. Sarà presente inoltre l'assessore alla Cultura e alle Pari opportunità del Comune di Lugo, Anna Giulia Gallegati.
L'appuntamento è l'ultimo in programma tra le iniziative organizzate dal Comunale di Lugo in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, dedicata quest'anno alla "Donna Sapiens. La figura della donna nell'ebraismo".
Per informazioni, contattare la biblioteca F. Trisi al numero 0545 38568, email trisi@comune.lugo.ra.it.
(Lugonotiize.it, 29 settembre 2014)
Alla scoperta d'Israele, tra bici e Ferrari
Torna la Formula 1, mentre in sella si attraversa il deserto
di Daniela Giammusso
Gerusalemme come Mosca e New York? Ci sono infiniti motivi per un viaggio nella Città Santa, dalla riscoperta delle origini delle più grandi religioni monoteistiche, all'arte, l'archeologia, la cucina o anche solo per i colori del sole al tramonto sulle mura antiche. Ma uno dei più originali è sicuramente il Jerusalem Peace Road Show, che anche quest'anno, per la seconda volta, porterà la Formula 1 nella Città Vecchia, il 7 e 8 ottobre. Protagonisti, i migliori piloti al mondo, la rossa Ferrari e poi vetture di Formula 1, 3 e 4, di Formula Master, auto Nascar e anche unità demo della scuderia Ferrari Challenge. Il tutto tra le meraviglie dei siti storici più antichi al mondo.
Partenza del circuito è alla Prima Stazione della via Dolorosa. Dal quartiere Montefiore il percorso si dirige poi verso il King David Hotel, lambisce il nuovo Waldorf Astoria, il Mamilla Mall, con anche punti di apertura verso le mura della Città Vecchia, il Liberty Bell Park e la vecchia Stazione ferroviaria ora monumentalizzata, per arrivare alla Porta di Giaffa e tornare al punto di partenza. Nella due giorni ci sarà poi molto da vedere e non solo in pista, tra piloti di Grand Prix, le esibizioni degli stuntmen di motociclette, un'Audi da La-Mansda da ammirare e ancora gare di Superbike, un'esibizione delle leggende della Formula 1, mostre e simulatori di guida.
Tutto dedicato agli amanti della due ruote, ma rigorosamente senza motore, è invece il Trans Israel Road Cycling Challenge, spettacolare avventura attraverso Israele da vivere tutta in bicicletta. In programma dal 16 al 19 ottobre, il viaggio dura quattro giorni e attraversa l'intero Paese, da nord ad est, da ovest a sud, affacciandosi fino ai confini di Libano, Siria, Giordania ed Egitto. In tutto, 600 chilometri da pedalare, per un percorso impegnativo (alcune salite arrivano fino a mille metri) ma dai panorami mozzafiato tra deserto, montagne, fiumi e città. Si parte da Rosh Hanikra, il promontorio delle spettacolari grotte scavate dal mare sulla costa mediterranea al nord del Paese, con una sosta per ammirare il panorama sul confine libanese dal Memorial site costruito in onore dei riservisti Ehud Goldwasser e Eldad Regev (rapiti dai terroristi Hizbullah nel 2006).
Seguendo l'autostrada del nord, si attraversa poi la Galilea, i pittoreschi villaggi di Safed e Rosh Pina, la Valle del Giordano, il Mar Morto con le sue dune di sale bianchissimo, il Kibbutz Kalia e le stupefacenti Dragot cliffs. E poi, ecco all'orizzonte Masada, la fortezza che durante la prima guerra giudaica preferì la morte di tutti i suoi abitanti piuttosto che la resa ai Romani conquistatori. E ancora, la città di Arad e la grande depressione del Cratere Ramon. Scendendo sempre più a sud la sabbia del deserto si tinge di rosso, ma ecco che, quasi pedalando sulle orme di Lawrence d'Arabia, appare il blu del Mar Rosso, l'Egitto all'orizzonte e la città di Eliat, la punta più a sud di Israele.
(ANSA, 29 settembre 2014)
«Il Kaddish a Ferramonti. Le anime ritrovate»
Alle 10, nella Sala delle Colonne di Palazzo Marini - Camera dei Deputati, in via Poli 19, il Centro internazionale di studi giudaici, in collaborazione con la Comunità ebraica di Roma, presenta il libro «II Kaddish a Ferramonti, le anime ritrovate» (Prometeo). Oltre agli autori Enrico Tromba, Stefano Nicola Sinicropi e Antonio Sorrenti, interverranno Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, Massimo Bray, già ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e Ivan Basana, presidente di Evangelici d'Italia per Israele.
Il volume ricostruisce la storia e i documenti del primo e più grande campo italiano per ebrei stranieri che si trovava a Ferramonti di Tarsia, a 35 chilometri da Cosenza. II campo venne aperto il 20 giugno 1940, solo dieci giorni dopo l'entrata in guerra dell'Italia. I primi ad arrivare a Ferramonti furono 160 ebrei provenienti da Roma. Al momento della liberazione, da parte delle truppe inglesi, nel settembre i943, erano prigionieri a Ferramonti oltre duemila internati, tra i quali oltre 1600 ebrei. Secondo le ricerche storiche più accreditate, furono oltre cinquanta i campi di internamento, soprattutto per ebrei, che vennero istituiti in Italia dal regime fascista.
(Corriere della Sera - Roma, 29 settembre 2014)
Shoah, scontro sul museo. La Comunità ebraica insorge: "Inaccettabile Villa Torlonia"
Il presidente Pacifici: "Avevamo proposto di aprirlo all'Eur. Se il Comune non ci ascolterà usciremo dalla Fondazione".
di Gabriele Isman
Villa Torlonia
Alla vigilia della riunione che dovrebbe decidere dove si farà il Museo della Shoah, è vicina la rottura tra Comunità ebraica e Campidoglio. Oggi alle 15.30 si riunirà il consiglio d'amministrazione della Fondazione Museo della Shoah per l'incontro che dovrebbe essere risolutivo rispetto all'ipotesi di Villa Torlonia: attorno al tavolo ci saranno il sindaco Marino accompagnato dall'assessore Paolo Masini, il governatore Nicola Zingaretti, il presidente della Fondazione Leone Paserman e Riccardo Pacifici, nella duplice veste di numero uno della comunità ebraica romana e di rappresentante dell'associazione Figli della Shoah. A questa riunione Pacifici si presenterà con una lettera di dimissioni già pronta per lasciare sia il cda della Fondazione sia l'assemblea dei Soci fondatori (che poi elegge lo stesso consiglio d'amministrazione).
Dopo i contatti tra Masini e Pacifici nei mesi scorsi per trovare una soluzione più veloce rispetto a Villa Torlonia, per la quale il Comune ha già speso 15 milioni di euro con tanto di progetto dell'architetto Luca Zevi, il Campidoglio, su consiglio dell'Avvocatura comunale che paventava il rischio del danno erariale in caso di spostamento del museo all'Eur, ha fatto marcia indietro. Nel frattempo però la comunità ebraica, su spinta dei reduci della Shoah ancora vivi che sperano di poter vedere aperto il prima possibile il Museo, si è compattata sull'ipotesi dell'Eur. Ecco perché Pacifici oggi arriverà con le dimissioni in tasca: se saranno confermate, il Museo della Shoah nascerà senza la componente ebraica, a parte Paserman che si è detto contrario all'ipotesi Eur ma pubblicamente ha dichiarato di essere pronto ad adeguarsi alle scelte della comunità. "Il consiglio della Comunità ebraica - spiega Pacifici pesando le parole - si è riunito in seduta straordinaria e, da me interpellato, ha deliberato con voto unanime e dopo lunga discussione, di darmi mandato a rappresentare nel cda della Fondazione la volontà di realizzare quanto prima questo museo, con spese congrue e nel rispetto dei sacrifici che il Paese sta portando avanti, in una sede congrua per la quale aspettiamo ancora la proposta del sindaco".
Marino nelle settimane scorse aveva detto che avrebbe rispettato la volontà della comunità ebraica. "Se tutto ciò nella riunione dovesse risultare vano per un iter di cui siamo troppo prigionieri come quello della sede a Villa Torlonia - prosegue Pacifici - non potrò far altro che dimettermi dal collegio dei fondatori come rappresentante della comunità ebraica e dal cda del Museo in rappresentanza dei Figli della Shoah. Sul piano personale rimane comunque l'amarezza di arrivare alla riunione del cda senza un previo confronto con il sindaco Marino".
(la Repubblica, 29 settembre 2014)
Netanyahu: Vado all'Onu a smontare le menzogne di Abu Mazen
Accusando Israele di genocidio, il presidente dell'Autorità Palestinese ha di fatto sepolto il processo di pace.
Alla vigilia del suo discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato domenica che nel suo intervento a New York difenderà l'onore di Israele dalle calunnie del presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). "Nel mio discorso all'Assemblea Generale confuterò le menzogne dirette contro di noi, e dirò la verità sul nostro paese e sugli eroici soldati delle Forze di Difesa israeliane che sono l'esercito più etico del mondo", ha detto Netanyahu ai giornalisti sulla pista all'aeroporto Ben-Gurion poco prima di imbarcarsi alla volta di New York....
(israele.net, 29 settembre 2014)
Oltremare - Volo verso casa
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
Ottavo: Tzàbar si diventa
Nono: tutti in prima linea
Decimo: un castello sulla sabbia
Sei quel che mangi
Avventure templari
Il tempo a Tel Aviv
Il centro del mondo
Kaveret, significa alveare ma è una band
Shabbat & The City
Tempo di Festival
Rosh haShanah e i venti di guerra
Tashlich
Yom Kippur su due o più ruote
Benedetto autunno
Politiche del guardaroba
Suoni italiani
Autunno
Niente applausi per Bethlehem
La terra trema
Cartina in mano
Ode al navigatore
La bolla
Il verde
Il rosa
Il bianco
Il blu
Il rosso
L'arancione
Il nero
L'azzurro
Il giallo
Il grigio
Reality
Ivn Gviròl
Sheinkin
HaPalmach
Herbert Samuel
Derech Bethlechem
L'Herzelone
Tel Aviv prima di Tel Aviv
Tel Hai
Rehov Ben Yehuda
Da Pertini a Ben Gurion
Kikar Rabin
Sde Dov
Rehov HaArbaa
Hatikva
Mikveh Israel
London Ministor
Misto israeliano
Fuoco
I cancelli della speranza
Finali Mondiali
Paradiso in guerra
Fronte unico
64 ragazzi
In piazza e fuori
Dopoguerra
Scuola in guerra
Nuovo mese
Dafka adesso
Auguri dall'alto
Di corsa verso il 5775
di Daniela Fubini, Tel Aviv
Come salgo sull'aereo, quelle rare volte che non volo sionisticamente (e pragmaticamente) El Al, entro in una apnea linguistica che finisce solo quando, sul volo di ritorno, ricomincio a sentire parlare ebraico intorno a me. Mi fa tre volte più fatica, lo ammetto, lasciare l'ebraico quotidiano al Ben Gurion e imbarcarmi in una lingua straniera e il più delle volte francamente ostica.
Su El Al invece, a parte le orde rumorose e scomposte che costituiscono la popolazione volante, c'è quel sottile piacere di farsi augurare di volta in volta Pesach Sameach, Shana Tova, buon Purim, buona Channukka, o anche solo benarrivati e buona permanenza, in ebraico. È una delle gioie degli olim chadashim, l'augurio inatteso come quello che la Egged compone sulla fronte degli autobus, che girano per Gerusalemme dicendo a tutti buon anno e poi "buona firma" (Chatima Tova) prima di Kippur.
C'è qualcosa di puramente estetico nel volare El Al, la compagnia più di bandiera che ci sia, e anche di intrinsecamente ebraico in quel tenersi ben attaccati quanto possibile alla yidische mame che prende la forma di una hostess (o steward) stanca e spiccia, che ti traghetta al sicuro verso altre terre, altre lingue, culture, cibi. Quando mi capita di preferire altre compagnie, mi sento poi sradicata un po' a forza dalla terra dura che chiamo casa da un pezzo ormai importante della mia vita.
E mi domando come si vive in paesi non dominati da bambini rumorosi e scalzi, con vestiti scoordinati e istituzionalmente anarchici. Forse si vive più in silenzio, ma sul livello di allegria posso scommetterci: bassino andante. Al primo urlo '"Ima!"(con punto esclamativo incorporato) che sento in in aeroporto internazionale mentre rientro in Israele, localizzo il bimbetto fonte del grido, ed è subito casa.
(moked, 29 settembre 2014)
Raccolta di fondi sul web per ricostruire il Tempio di Gerusalemme
Distrutto duemila anni fa dalle truppe dell'imperatore Tito, il Tempio di Gerusalemme potrebbe tornare a risplendere: ''Sarà allora un polo di ispirazione e di pellegrinaggio per tutti i popoli... riunificherà l'umanità''.
L'annuncio è giunto dall'Istituto del Tempio, una delle decine di organizzazioni che cercano di sensibilizzare gli israeliani sulla necessità di riedificare il Tempio di Gerusalemme. L'Istituto afferma di aver raccolto sul web negli ultimi due mesi 100 mila dollari, destinati alla sua progettazione.
Ma la iniziativa allarma le autorità islamiche, che vedono moltiplicarsi le iniziative di organizzazioni religiose ebraiche volte ad alterare il carattere della Spianata delle Moschee, uno dei luoghi più sacri all'Islam. ''Il nostro obiettivo finale - spiega infatti l'Istituto del Tempio - è di far sì che Israele ricostruisca il Santo Tempio sul Monte Moriah di Gerusalemme'': ossia nel perimetro su cui sorgono la Moschea al-Aqsa e il Duomo della Roccia.
Per decenni queste attività sono stato viste in Israele come bizzarrie di ambienti estremisti, in scarso contatto con la realtà. Ma negli ultimi anni il numero degli ebrei saliti sulla Spianata è andato crescendo e di pari passo sono aumentate le tensioni con i fedeli islamici. La realizzazione dei progetti dell'Istituto del Tempio appare comunque esclusa: ancora di recente, per la opposizione dei dirigenti islamici, il governo israeliano si è visto costretto a rimuovere un piccolo ponte di legno di accesso ad una entrata della Spianata.
La progettazione del nuovo Tempio di Gerusalemme, viene spiegato dall'associazione, richiederà 300 mila dollari e si avvarrà di uno staff dotato al tempo stesso di profonde conoscenze dei testi biblici.
(ANSA, 28 settembre 2014)
La cultura Yiddish che sopravvive in Ucraina
Dieci anni di ricerche per intervistare oltre 400 ebrei rimasti negli shtetl: le loro storie meravigliose e terribili in un libro.
di Luigi Gavazzi
In the shadow of the Shtetl: Small Town Jewish Life in Soviet Union di Jeffrey Veidlinger è uno dei libri più belli che mi siano capitati fra le mani negli ultimi anni.
È un libro che ci riporta davanti a un mondo che pensavamo scomparso: quello degli shtetl yiddish dell'Ucraina, i villaggi delle popolazioni ebraiche assassinate dai nazisti nella prima fase della Shoah, l'olocausto perpetrato con le pallottole dalle truppe tedesche - SS e Wermacht - che invasero l'Unione Sovietica e che spazzavano via la vita degli ebrei in ogni angolo del paese conquistato.
Questo libro ci rivela l'esistenza, nel ventunesimo secolo, di alcuni sopravvissuti di questo mondo, che hanno continuato a vivere in quei luoghi. Questi sopravvissuti si sono raccontati e il libro ne evoca la vita e
la memoria, con le parole, la musica e i balli, i sentimenti e le emozioni, il tragico e il comico di quel mondo "scomparso".
Sono rimasti in quei luoghi, i luoghi dell'omicidio di massa di familiari e amici, i luoghi dove in questi anni hanno vissuto accanto ai fantasmi ma anche vicino a chi collaborò con i nazisti per perpetrare i massacri.
In the shadow of the Shtetl è frutto del lavoro di ricerca, viaggio, raccolta di interviste e documenti scritti e visivi durato 10 anni - dal 2002 al 2012 - di Veidlinger insieme a Dov-Ber Kerler. Entrambi sono professori alla University of Indiana e curatori di una parte del grande Archives of Historical and Ethnographic Yiddish Memories (AHEYM) della stessa università.
La raccolta di questo prezioso patrimonio è stata possibile grazie all'estroso contributo di Kerler, un linguista cresciuto nella Russia sovietica e figlio di un poeta Yiddish che passò anche cinque anni di detenzione in un Gulag. Kerler, insieme con Veidlinger, è riuscito a trovare oltre 400 persone di lingua Yiddish, soprattutto in Ucraina ma anche in Ungheria, Romania, Moldovia e Slovacchia.
l loro è stato un on-the-road fantastico, a bordo di furgoni presi a noleggio, guidati da un villaggio all'altro, a volte su indicazioni precise dell'esistenza in vita di ebrei sopravvissuti. A volte semplicemente facendosi guidare dall'istinto: entravano nel villaggio, si fermavano nella piazza o nella via centrale e incrociando un passante chiedevano conto dell'eventuale esistenza di qualche anziano che ancora parlasse l'Yiddish, e ricevendo risposte sorprendenti che li guidavano da questi depositari di una storia erroneamente creduta "scomparsa".
Kerler, con il suo carattere ingenuo e spontaneo, fantasioso e imprevedibile, riusciva sempre a far parlare queste persone, di sé e del loro meraviglioso e terribile passato.
Persone nate quasi tutte fra gli anni immediatamente precedenti la Grande guerra e i primi anni dell'Unione Sovietica. Individui che hanno vissuto la storia delle bloodlands ucraine (Timothy Snyder) fra gli anni Trenta e il 1945 con la carestia imposta da Stalin con la collettivizzazione e con l'olocausto nazista, ma prima sono anche sopravvissuti ai pogrom del 1919, alle convulsioni della guerra civile, e non sono emigrate: strada scelta da una parte consistente della popolazione Yiddish per sopravvivere.
Kerler e Veidlinger danno voce, cogliendo l'ultima possibilità, prima che il tempo li avesse definitivamente cancellati, a storie che più volte sono state occultate, nascoste, condannate al silenzio: dalla propaganda sovietica che a lungo ha negato qualsiasi specificità alla vicenda ebraica durante la seconda guerra mondiale. Ma anche quasi ignorate a lungo, dalla storiografia e dal giornalismo occidentale, concentrati sull'olocausto delle camere a gas di Auschwitz ma dimentichi della parte iniziale del genocidio del popolo ebraico: il genocidio delle fucilazioni di massa nelle fosse comuni ai margini di questi villaggi ucraini (e in Polonia e in Bielorussia).
Silenzio che però porta anche la responsabilità di parte della cultura ebraica del dopoguerra, che troppo spesso ha trattato la vita e la cultura degli shtetl come una faccenda conclusa.
Non perdetevi questo libro.
Jeffrey Veidlinger, In the shadow of the Shtetl: Small Town Jewish Life in Soviet Union, Indiana University Press
(Panorama, 28 settembre 2014)
La storia degli ebrei a Terni
Le comunità ebraiche furono presenti in Umbria nelle città dove erano più facili gli scambi commerciali e dove i comuni erano in difficoltà economiche. Nel Medioevo a Narni vivevano dieci famiglie ebree nel rispetto delle regole imposte dalla severità delle autorità comunali e religiose dove era vietato il matrimonio misto ed erano imposti lavori manuali con controlli a tappeto di vario tipo. A Terni gli ebrei si erano avvicinati in occasione delle fiere locali e ne fecero una delle più remunerative per il loro commercio, la fiera di S. Valentino. I venditori di "pannina" nel grande mercato per la festa del S. Patrono richiamarono nel 1752 più di cinquanta ebrei che dovettero presentarsi al vicario del vescovo per le cause criminali e da questi, dopo aver mostrato la licenza pontificia con cui erano stati autorizzati a lasciare il luogo di origine, potevano avere il permesso di circolare senza il segno distintivo, di soggiornare in città per periodi più o meno lunghi e alloggiare in locande in periferia. Molti, di cui i nomi sono stati stilati dagli elenchi dal Vicariato vescovile, arrivarono da Senigaglia dove era presente un'importante comunità e poi da Roma, Urbino, Pesaro, Ancona e Milano come Isacco Vivanti nel 1758. Il gruppo di ebrei tedeschi giunsero a Terni nel 1770 e vendevano suppellettili per la casa, maioliche, abiti usati, pezzi di panno e biancheria per la casa. La presenza degli ebrei a Terni fu limitata fino al periodo napoleonico quando ottennero il permesso, per alcuni mesi dell'anno, di soggiornare o abitare entro le mura della città. Le relazioni con la popolazione rimasero a lungo di una natura commerciale florida e ricca di affari. La storia dell'Umbria spesso si è intrecciata con quella delle Comunità ebraiche non sempre comprese, difatti da Spoleto fino a Città di Castello tra decreti di espulsione e pagamenti imposti per il soggiorno creavano malumori e incomprensioni che costringevano i malcapitati a fuggire in altri lidi, ma comunque la loro permanenza e la loro cultura è stata utile a tutti i comuni. Nel 2009 è stata inaugurata a Terni una lapide in ricordo del cimitero ebraico medievale di Terni nel parco Ciaurro, nei pressi dell'ingresso largo Atleti Azzurri d'Italia, a cura dell'ufficio toponomastica del Comune di Terni.
La memoria del cimitero ebraico medievale di Terni è stata riscoperta grazie all'approfondito studio su documenti d'archivio, da Paolo Pellegrini, in uno studio dal titolo "i cimiteri ebraici di Terni: siti e vicende". I documenti che attestano la presenza del terreno usato dalla universitas iudeorum, ovvero la comunità ebraica, sono presenti nei registri catastali del Rione di Sotto (uno dei sei di cui si componeva la città di Terni) databili intorno al 1495. Una comunità che in una città solidale come Terni ha trovato sempre spazio e integrazione superando tutte le difficoltà culturali.
(Terni in Rete, 28 settembre 2014)
Gerusalemme - Museo on line dei tesori israeliani
GERUSALEMME - L'Autorità israeliana per le antichità, il Museo Rockefeller, il Museo Israel di Gerusalemme e la Biblioteca digitale dei Rotoli del Mar Morto hanno unito le forze per creare un vero e proprio museo archeologico su internet a portata di mouse.
Il sito, regolarmente aggiornato con nuovi manufatti, mette a disposizione di ricercatori, curatori, studenti e del pubblico in generale, sia in Israele che all'estero, una selezione di antichi reperti provenienti dalle collezioni dei tesori nazionali, il Dipartimento dell'autorità responsabile della custodia, documentazione e salvaguardia delle antichità in Israele.
L'Autorità israeliana per le antichità, informa un articolo su Israele.net, ha annunciato che il sito presenterà anche 2.500 manufatti rari tratti dalle le più importanti raccolte archeologiche del Medio Oriente. Le antichità sul sito sono disposte sia in ordine cronologico che per tipologia. La scheda informativa di ogni manufatto riporta dettagliati dati archeologici su provenienza, tipo, dimensioni, materiale, datazione e relativa bibliografia. Inoltre, le immagini ad alta risoluzione dei manufatti possono essere acquistate on-line dagli archivi fotografici dell'Authorità.
(Adnkronos, 28 settembre 2014)
Mario Limentani (1923-2014)
Mario Limentani
Mario Limentani, uno degli ultimi testimoni alla Shoah, è scomparso questa mattina a Roma all'età di 91 anni. Originario di Venezia ma trasferitosi a Roma giovanissimo, era stato catturato dai persecutori nazifascisti nel dicembre del 1943 in una retata contro i dissidenti politici e deportato nel gennaio del 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen. Trasferito nella sezione di Melk, poi di nuovo a Mauthausen e infine nella sezione di Ebensee del campo, fu liberato solo nel maggio del 1945.
La sua vicenda è riferita nel libro di Grazia Di Veroli "La scala della morte. Mario Limentani da Venezia a Roma, via Mauthausen".
Testimone del capitolo più straziante della storia del Novecento, Limentani era sempre presente alle celebrazioni della Memoria della Shoah. Durante la visita alla sinagoga di Roma lo scorso dicembre del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta aveva preso parte alla cerimonia di accensione delle candele di Hannuccà.
Rivolgendo a Mario Limentani un estremo saluto, il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha detto: "Memoria storica degli ebrei italiani, Mario Limentani è stato testimone dell'ora più buia delle nostre vicende, vivendo sulla propria pelle l'orrore della deportazione, dello sterminio, dell'annientamento sia fisico che morale operato dal nazifascismo. Il suo coraggio, la sua lucida e terribile testimonianza, non saranno dimenticati. Che il suo ricordo sia di benedizione per noi tutti".
Anche la Comunità ebraica di Roma ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa del Testimone, unendosi al dolore della famiglia.
(moked, 28 settembre 2014)
La sede del museo della Shoah: il Comune sceglie Villa Torlonia
Domenica pomeriggio il cda decisivo della Fondazione Campidoglio L'avvocatura: rischioso cambiare luogo. Forse all'Eur sarà allestita la sede provvisoria.
di Alessandro Capponi
Nel primo pomeriggio, domenica, si capirà ufficialmente il futuro che attende il museo della Shoah, ma già prima della riunione del cda della Fondazione è chiarissimo l'orientamento del Comune: aprire le buste per aggiudicare la gara di Villa Torlonia. L'ipotesi Eur, auspicata dal presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, e caldeggiata dalla base e in qualche modo dai sopravvissuti - nei loro cuori la speranza di riuscire a vedere il museo di Roma dedicato alla memoria - potrebbe tornare buona per un allestimento temporaneo, almeno per ricordare degnamente l'anniversario della liberazione di Auschwitz, a gennaio. Ma è chiaro che le condizioni economiche devono essere adeguate a quelle delle casse (vuote) del Campidoglio.
In queste ore si susseguono i contatti tra l'Ente Eur e Pacifici, ma ciò che appare certo, alla vigilia della riunione decisiva, è che il Campidoglio, grazie alla consulenza soprattutto dell'avvocatura comunale, ha preso una decisione, stabilito una rotta dalla quale, salvo correre elevatissimi rischi erariali, non ci si potrà discostare troppo. Ma comunque quella di domenica pomeriggio s'annuncia come una riunione decisiva: il presidente Leone Paserman, il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, il sindaco Ignazio Marino, il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, si incontreranno per trovare una soluzione alla questione nata in estate, con la richiesta di Piero Terracina - sua e di altri sopravvissuti - di riuscire a vedere il museo di Roma prima di morire.
Al cda della Fondazione parteciperà eccezionalmente anche l'assessore ai Lavori pubblici, Paolo Masini. Toccherà a lui rendere nota la posizione del Campidoglio: deciderà lui quali parole usare ma è chiaro che non c'è alcuna intenzione di non aprire le buste della gara per il museo di Villa Torlonia (progetto di epoca veltroniana, progettista Federico Zevi, oltre 20 milioni già stanziati, una quindicina spesi per espropriare l'area). Anche perché viste le delibere comunali il museo della Shoah di Roma può soprgere solamente là, l'esproprio fu eseguito con quell'unica finalità.
Naturalmente il Campidoglio ascolterà le richieste del presidente Pacifici, da tempo impegnato per l'ipotesi Eur e, più in generale, per trovare una soluzione che soddisfi le richieste dei sopravvissuti (e di parte della comunità). Anche il Comune confida di poter venire incontro alle richieste di Piero Terracina ma domani al cda racconterà delle perplessità tecnico-amministrative legate allo spostamento del progetto. Anche perché se da Villa Torlonia non si può tornare indietro è evidente che una sede temporanea del museo non potrà realizzarsi con la spesa prevista inizialmente per l'Eur, quando fu ipotizzato un trasferimento definitivo. La discussione, dunque, s'annuncia complessa: e, soprattutto, decisiva.
(Corriere della Sera - Roma, 28 settembre 2014)
Dan Sogre, il nostro Risorgimento da Govone a Gerusalemme
Morto a Torino a 92 anni. Diplomatico, scrittore, compagno di Montanelli al Giornale fu volontario della Royal Navy contro i nazisti e soldato della Brigata Ebraica.
di Maurizio Molinari
Vittorio Segre è nato nel 1922 a Govone, in provincia di Cuneo, figlio di un ufficiale della Reale Cavalleria. Emigrato in Palestina nel '39, in seguito alle leggi razziali, cambiò il proprio nome in Dan Avni.
GERUSALEMME - Faceva yoga con David Ben Gurion e fu reporter di Indro Montanelli, con la divisa della Brigata Ebraica salvò molti orfani della Shoah in Italia e dalle cattedre di Haifa e Lugano ha avvicinato l'Europa a Israele e viceversa. Vittorio Dan Segre, morto ieri a Torino a 92 anni, è un protagonista del Novecento che ha incarnato la sovrapposizione tra Risorgimento italiano e sionismo ebraico. Nella casa di famiglia a Govone la stanza con i cimeli di Arturo Segre, padre di Dan e ufficiale della Reale Cavalleria, è a fianco di quella in cui il figlio ha raccolto le testimonianze di un'avventura sionista - mostrine militari, medaglie, feluche e riconoscimenti di ogni tipo - che iniziò con l'emigrazione nella Palestina del mandato britannico per fuggire dalle leggi razziali del 1938, ovvero il tradimento del Risorgimento per cui il nonno aveva sguainato la sciabola.
Volontario nella Royal Navy contro i nazisti e soldato della Brigata Ebraica, Dan Segre risale l'Italia con i liberatori svolgendo una delle numerose missioni segrete della sua vita: bussa alle porte dei conventi per riprendersi i bambini ebrei orfani a causa della Shoah. In alcuni casi trova ampia collaborazione, in altri riscatta i bambini con sacche di dollari. Prima di impiegarlo nella Penisola, il comando britannico gli aveva affidato la sezione Radio italiana clandestina delle trasmissioni enti-fasciste: la sede era in un monastero sulle pendici del Monte Zion, poco distante dal luogo del Cenacolo, e fu lì che si trovò all'improvviso come assistenti due italo-americani «amici» del boss Lucky Luciano che inviavano nell'etere i messaggi per preparare lo sbarco in Sicilia del 1943.
Durante la guerra d'indipendenza di Israele del 1948 Dan Segre è nei ranghi del Palmach, conosce Ben Gurion e tra i due si crea un'amicizia basata sul comune hobby per lo yoga. «Con Ben Gurion parlavamo sempre stando a testa in giù», amava ricordare. Diplomatico di carriera con la passione per l'Africa, autore di una dozzina di libri - l'ultimo, Storia dell'ebreo che voleva essere eroe, autobiografico, è uscito in questi giorni per i tipi di Bollati Boringhieri - tiene a conservare un legame intenso con l'Italia ed è assieme a Indro Montanelli nel 1974 quando viene fondato Il Giornale. Gli resterà accanto nella sfida della Voce, condividendo l'idea di Italia e Israele volti complementari di un Occidente assediato da mille pericoli e altrettanti nemici.
Nulla da sorprendersi se è a lui che Gianni Agnelli si rivolge, all'inizio degli Anni 70, per andare in Israele. A breve distanza dalla Guerra dei Sei Giorni l'Avvocato vuole sapere tutto della piccola nazione riuscita a sbaragliare gli eserciti arabi. Entrano assieme nella cucina del premier Golda Meir, incontrano Yizthak Rabin eroe della riunificazione di Gerusalemme e lo scrittore Amoz Oz gli apre le porte del suo kibbutz. «Accompagnai l'Avvocato e Donna Marella a prendere il tè a casa Oz - raccontava -, Agnelli ascoltò a lungo senza parlare. Poi chiese: "Splendida uguaglianza, ma come si fa quando una 'compagna' nasce brutta?". E la risposta di Oz fu: "E un problema di cui il socialismo reale preferisce non occuparsi"». Gli ultimi anni della vita li ha dedicati all'Istituto di Studi Mediterranei dell'Università di Lugano, approfondendo la convinzione che nel futuro di Israele c'è uno status di neutralità simile a quello degli elvetici, perché «gli ebrei non appartengono a blocchi». Abile nelle provocazioni intellettuali, a suo agio nelle polemiche letterarie - come quella contro Lettera a un amico ebreo di Sergio Romano - e dotato di una memoria enciclopedica, Dan Segre resta soprattutto l'interprete della parabola dell'Ebreo fortunato, che diede il titolo al libro di Bompiani del 1985 ancora oggi in vendita da Barnes & Noble a Manhattan perché descrive il successo nel trasferire la tempra del Risorgimento da Govone a Gerusalemme.
(La Stampa, 28 settembre 2014)
Qatar non credibile se non condanna Hamas
"La condanna da parte dell'emiro del Qatar dell'Isis e di al Qaeda in quanto organizzazioni terroristiche non risulta sufficiente, se contemporaneamente si considera lecita la resistenza islamica contro invasori vari e occupanti". E' quanto afferma il deputato Ncd Alessandro Pagano. "Il riferimento - prosegue - va ad Hamas, considerata organizzazione terroristica negli Stati Uniti e dalla all'articolo 2 del suo statuto dichiara l'affiliazione ai Fratelli musulmani, per i non addetti ai lavori e' acronimo di Movimento di Resistenza Islamico e non e' considerato dal Qatar organizzazione terroristica. D'altronde il Qatar ha ospitato dal 1999 al 2001 il leader di Hamas, Khaled Meshaal il quale, dopo un intermezzo siriano sino al 2012, e' rientrato a Doha e attualmente risiede ancora nell'emirato. E allora - sottolinea l'esponente Ncd - queste dichiarazioni ambigue non possono lasciare in alcun modo tranquilli nessuno. Se il Qatar e' davvero quello che dice, deve condannare, senza se e senza ma, Hamas e ogni altra forma violenta di organizzazione e di resistenza islamica. Altrimenti - conclude Pagano - e' solo un tatticismo non credibile".
(IMGPress, 27 settembre 2014)
Israele guarda al futuro con i pellegrinaggi
A NoFrills la nuova direttrice dell'Ufficio Nazionale del Turismo di Israele Kotzer Adari ha voluto tranquillizzare sulla stabilità del Paese.
Avital Kotzer Adari
Prima apparizione pubblica in Italia per Avital Kotzer Adari, la nuova direttrice dell'Ufficio Nazionale del Turismo di Israele, intervenuta a NoFrills per presentare il piano di promozione e comunicazione dei prossimi mesi. Un momento non facile quello che sta vivendo Israele, considerando la guerra nella Striscia di Gaza che ha agitato le cronache mondiali nel mese di agosto. Ripartire da un contesto così tetro non è semplice, ma Kotzer Adari vuole guardare avanti: "Israele è un paese che coniuga tradizione e modernità. Non ci siamo fermati perché dobbiamo spingere i progetti intrapresi, investendo su online e media digitali nel modo più creativo possibile". Le attività dunque vanno avanti con le nuove tratte da Venezia, prezzi economici su più di 70 voli settimanali e i grandi eventi che animeranno il Paese nei prossimi mesi (maratona di Gerusalemme e celebrazione del Natale a Nazareth).
- Il Paese è sicuro
Durante il convegno "Ferderviaggio incontra Israele", moderato dal presidente di Federviaggio Francesco Sottosanti, si è affrontato più volte il tema della sicurezza del Paese. "Israele è una terra sicura che accoglie tutti a braccia aperte - ha proseguito Kotzer Adari - dove non si scopre soltanto un luogo nuovo, ma si compie anche un viaggio spirituale in sé stessi". Sono poi intervenuti Barbara Chiodi, direttore generale Brevivet, ed Eliseo Rusconi, presidente di Rusconi Viaggi, due operatori molto attivi nel segmento dei pellegrinaggi. Chiodi ha dichiarato che i pellegrinaggi sono ripresi regolarmente a settembre, segno che non ci sono pericoli: "Proseguiremo fino a Natale e Capodanno per poi riprendere a marzo. Proponiamo itinerari religiosi, ma anche culturali. Noi crediamo nella Terra Santa, la destinazione del pellegrinaggio per eccellenza". Secondo Rusconi, è importante che i media non enfatizzino troppo gli episodi negativi per diffondere invece i piccoli esempi positivi di integrazione: "Nessun turista è mai stato coinvolto in atti terroristici, eppure la percezione del rischio che si ha qui dall'Italia è sempre molto alta. Occorre lavorare moltissimo sulla comunicazione, usando le testimonianze di chi è stato in Israele e stimolando incontri con le comunità cristiane locali. È la stampa che deve sensibilizzare alla pace".
(Travel Quotidiano, 28 settembre 2014)
Otto amici francesi nell'esercito israeliano
Via dalla Francia tutti insieme per arruolarsi: "Vivere lì non faceva per noi perché i musulmani si stanno rafforzando e lo spazio per gli ebrei si restringe".
di Maurizio Molinari
GERUSALEMME - "Non eravamo adatti a vivere in Francia, così siamo venuti qui". Nel giorno in cui Israele festeggia Rosh Ha Shanà - il Capodanno ebraico che ricorda la Creazione del mondo avvenuta 5775 anni fa - il personaggio che più attira l'attenzione dei media è Dan Maimon. Lo scorso anno fece l'aliyà - immigrando in Israele - assieme a sette inseparabili amici coetanei e 12 mesi dopo tutti e otto sono in un'unità combattente dell'esercito israeliano.
In particolare, hanno scelto di aderire al battaglione Nahal composto di soldati ortodossi, inquadrato nella brigata di fanteria Kfir: i soldati che danno la caccia a terroristi e ricercati in Cisgiordania e, segnatamente, nell'area di Jenin.
Spiegando la parabola che li ha visti protagonisti, Dan Maimon spiega che "si è trattato di un viaggio molto lungo, iniziato quando abbiamo deciso di realizzare i nostro sogni, lasciando la Francia per arruolarci nelle truppe combattenti in Israele". "Vivere in Francia non faceva per noi - spiega Maimon - perché i musulmani si stanno rafforzando e lo spazio per gli ebrei si restringe".
La vicenda degli otto volontari francesi amici per la pelle e legati da "sogni comuni" evoca nel pubblico israeliano "Band of Brothers", la mini-serie tv ideata e diretta da Steve Spielberg basta su testimonianze dirette della partecipazione americana alla liberazione dell'Europa dai nazisti.
(La Stampa, 27 settembre 2014)
Quel salame nato da un'idea degli ebrei buongustai
Il salame d'oca era prodotto nella comunità ebraica di Mortara già nel Quattrocento. Il motivo della sua origine è da ricercare nel divieto ebraico di consumare carni suine.
MORTARA - Il salame d'oca era prodotto nella comunità ebraica di Mortara già nel Quattrocento. Il motivo della sua origine è da ricercare nel divieto ebraico di consumare carni suine (nei secoli successivi, però, il salame sarebbe stato preparato anche con l'aggiunta di carne di maiale). La popolarità dell'insaccato raggiunge il suo apice solo all'inizio del Novecento quando le cascine di Mortara e della Lomellina cominciano a fornire in gran quantità straordinaria carne d'oca. Secondo la migliore tecnica di lavorazione, i palmipedi devono essere alimentati, negli ultimi tre mesi di vita, solo con foraggi verdi e granaglie. L'animale macellato deve avere un peso medio non inferiore a quattro chilogrammi, mentre la carne di suino da aggiungere all'impasto deve essere ottenuta secondo le modalità previste dai disciplinari del Prosciutto di Parma Dop o del San Daniele Dop. Nella produzione del salame d'oca di Mortara, tutelato dall'Indicazione geografica protetta (Igp), le materie prime sono costituite per un terzo dalle parti magre dell'oca, per un terzo dalle parti magre del suino (coppa del collo e spalla) e per il restante terzo dalle parti grasse del suino (pancetta o guanciale).
(la Provincia Pavese, 27 settembre 2014)
Roma - Palestinesi chiedono una via per Arafat
Sel si impegna, porteremo la proposta in consiglio
ROMA - Una via per Arafat. La chiede la Comunità palestinese che oggi con una delegazione è stata ricevuta dal vicesindaco Luigi Nieri prima della manifestazione pro Palestina. La Comunità ha chiesto anche di potere ospitare a Roma alcuni feriti di Gaza e si è detta disponibile ad un incontro con la comunità ebraica. "Per l'intitolazione di una strada ad Arafat, nobel per la pace, presenteremo la proposta in consiglio", ha detto il capogruppo Sel Gianluca Peciola.
(ANSA, 27 settembre 2014)
Duro intervento all'Onu di Abu Mazen contro Israele
Caustico l'intervento all'Assemblea delle Nazioni Unite del presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen: accusando Israele di aver condotto una "guerra di genocidio" nella Striscia di Gaza, ha dichiarato che "Non si può tornare ai negoziati senza la fine dell'occupazione colonialista e razzista" e che "Ancora una volta (gli israeliani) non hanno perso occasione di far fallire le trattative".
Nella sala le sedie della delegazione israeliana erano vuote, ma Abu Mazen ha lanciato l'appello a tutta l'Assemblea chiedendo che il Consiglio di Sicurezza approvi una risoluzione con un "calendario preciso", per la fine dell'occupazione israeliana e l'istituzione dello Stato palestinese. "Ritornare ai negoziati del passato è sbagliato", ha aggiunto, precisando che gli insediamenti di Israele distruggono l'opzione dei due Stati e che quanto prima "Si deve porre fine al vergognoso blocco israeliano di Gaza".
Dure la reazione di Israele, con il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha dichiarato che "Il discorso di Abu Mazen all'Onu chiarisce di nuovo e in maniera netta di non voler di non poter essere un partner per un accordo politico ragionevole" e che il leader di al-Fatah, che "ha dato vita a un governo di unità nazionale con Hamas, dimostra una volta in più di non essere una persona di pace ma uno che continua la politica di Arafat con tattiche diverse".
Anche gli Stati Uniti non hanno gradito l'intervento di Abu Mazen: un portavoce del Dipartimento di Stato ha definito "deludente" quanto espresso dal presidente dell'Anp, "mina gli sforzi per arrivare alla pace".
Abu Mazen è atteso alla Casa Bianca mercoledì prossimo.
(Notizie Geopolitiche, 27 settembre 2014)
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Israele e Stati Uniti condannano le parole di Abbas
E a sorpresa, anche la sinistra israeliana le attacca duramente
di Pino Salerno
Nel suo discorso venerdì all'Assemblea Generale dell'Onu, il presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, aveva usato toni durissimi contro Israele, e aveva giudicato l'intervento militare di luglio e agosto nella Striscia di Gaza come "una guerra di genocidio". Inoltre, il presidente Abbas aveva anche sollecitato il Consiglio di Sicurezza dell'Onu a dare seguito alla proposta di Risoluzione, presentata dalla Palestina, per la fine del conflitto israelo-palestinese, e per il ritorno ai confini pre guerra del 1967. Non si sono fatte attendere le reazioni. In Israele, il discorso di Abbas è stato duramente stigmatizzato non solo da membri del governo, come appare ovvio, ma ha aperto una breccia critica anche nella sinistra. Il giudizio che proviene da ambienti del primo ministro Netanyahu è il seguente: "Il discorso di Abbas è pieno di bugie e di incitamento all'odio. Non è certo questo il modo con cui parla un uomo che cerca la pace". Da parte sua, il ministro degli Esteri Avigdor Liebermann, un falco della prima ora, ha detto che il discorso di Abbas è la prova che "Abbas non vuole essere e non può essere un partner per una ragionevole intesa politica". Liebermann ha aggiunto che "Abu Mazen fa da complemento ad Hamas diffondendo il terrore politico e lanciando false accuse contro Israele. Fino a quando Abu Mazen siederà come presidente dell'Autorità Palestinese, darà seguito al conflitto. Abu Mazen prova una volta ancora che egli non è uomo di pace, ma è per tanti versi il successore di Arafat".
Sulla Risoluzione presentata da Abbas si è pronunciato invece Danny Danon, il presidente del Comitato Centrale del Likud, partito al governo: "Come nel discorso del 2013, Abbas persegue una soluzione istantanea che non ha alcun fondamento nella realtà". Inoltre, Danon ha aggiunto che se i palestinesi muoveranno passi unilaterali, la stessa cosa faranno gli israeliani. "Ogni dichiarazione unilaterale di Abu Mazen", ha concluso il membro del Likud, "si scontrerà con gli interessi sovrani degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria". Da parte loro, gli Stati Uniti fanno sapere, attraverso il Dipartimento di Stato, che "il discorso di Abbas all'Onu ha presentato caratteristiche offensive che creano profondo disappunto e che noi rigettiamo. Queste affermazioni provocatorie sono controproducenti e minano gli sforzi per creare un'atmosfera positiva, per ricostruire la fiducia tra le parti". Nel commento delle autorità della Difesa americana non si fa cenno alla Risoluzione del Consiglio del Sicurezza, ma secondo fonti del New York Times è molto probabile che gli Usa useranno il loro diritto di veto per bloccarne il voto. Amare e venate da pessimismo le considerazioni che provengono dall'interno dell'arcipelago della sinistra israeliana.
Sul quotidiano di area, Haaretz, le voci di dissenso dal tono e dai contenuti scelti dal presidente dell'Autorità Palestinese si moltiplicano. Per Chemi Shalev, editorialista e corrispondente da New York del quotidiano, il discorso di Abbas è "un regalo di capodanno (il capodanno israeliano - Rosh Hashanah -, il 5775, si è celebrato in questi giorni, ndr) per il presidente Netanyahu". Per l'autorevole giornalista, è mutato l'uditorio al quale Abbas si è rivolto: non è più il pubblico dell'Occidente, soprattutto quel pubblico che vorrebbe mobilitarsi per una pace duratura a Gaza, ma quel pubblico di sostenitori dei palestinesi che vivono nei paesi arabi e nel Terzo Mondo, soprattutto di religione musulmana. "Sbagliato o no", scrive Shalev, "Abbas ha certamente reso più facile la vita di Netanyahu: il discorso del leader palestinese dà a Netanyahu ampio materiale per una reazione altrettanto dura dinanzi all'Assemblea Generale Onu quando parlerà lunedì e gli concederà di chiudere felicemente il capitolo Palestina durante gli incontri con Obama fissati per mercoledì prossimo". E Shalev chiude con amarezza: "l'alternativa dello stato unico, se così lo si può chiamare, non è mai sembrata così vicina". Zahava Gal-On, leader del movimento di sinistra Meretz, sostiene che il discorso di Abbas "contiene una totale assenza di fiducia da parte palestinese in Netanyahu quale partner nei negoziati e nel processo di pace. Ma non mi sorprende, perché per cinque anni il presidente israeliano ha rifiutato la via diplomatica. Anche ora, Netanyahu vuole amministrare il conflitto non risolverlo". Tuttavia, il discorso di Abbas non l'ha affatto convinta, anche se ha promesso che il suo movimento comunque continuerà a sostenere gli sforzi verso il processo di pace duratura avviati con i negoziati egiziani.
Il punto di vista critico dei laburisti israeliani è stato sostenuto da Eitan Cabel, deputato della Knesset. "Le dichiarazioni di Abbas", ha detto Cabel in un comunicato diffuso sabato, "sono false e oltraggiose. Sono passibili di condanna da parte di chiunque voglia la pace. E per quanto Abbas abbia la necessità di legarsi ad Hamas per ragioni di politica interna ai palestinesi, non vi è alcuna giustificazione per quelle dichiarazioni. Il discorso di Abbas rafforza coloro che rifiutano la pace. Spero che Netanyanhu non lo usi con cinismo, e che invece dia inizio ad un processo diplomatico serio che è l'unica chance per rasserenare l'intera nostra regione".
(il Velino, 27 settembre 2014)
Biennale, padiglione israeliano: si mette a saltare sulla stella di David
Una ragazza filopalestinese venerdì pomeriggio ha distrutto una installazione in sabbia. Poi è fuggita di corsa. Danni limitati all'opera.
All'improvviso sono stati solo slogan e urla. In un luogo di cultura e di arte che, inevitabile che sia così, concentra su di sé le attenzioni del mondo. Specie in un periodo in cui le armi sono tornate solo poche settimane fa a ruggire nella striscia di Gaza. Venerdì pomeriggio una ragazza sui vent'anni di probabili origini palestinesi ha fatto capolino nel padiglione dei giardini della Biennale dedicato agli artisti israeliani.
Una struttura presente dal 1952 a Venezia. I suoi intenti si sono capiti subito: la giovane ha puntato dritto su una installazione in cui c'era una bandiera con la stella di David plasmata con la sabbia. Senza pensarci due volte ci sarebbe salita sopra e urlando slogan contro Israele avrebbe saltato ripetutamente. Distruggendo la composizione. Dopodiché dopo il blitz durato pochi minuti sarebbe scappata lasciando tutti di stucco. Riuscendo a evitare che il personale di sorveglianza intervenisse per bloccare l'intrusa. Sul posto per ricostruire la dinamica dell'accaduto gli investigatori della Digos. Danni comunque limitati all'installazione: la bandiera viene infatti composta da un macchinario. Subito è stato quindi possibile riportare la situazione alla normalità.
(VeneziaToday, 27 settembre 2014)
L'Italia, il rapporto con l'Iran e Oriana Fallaci
- Rohani e quelle relazioni con l'Italia
«L'Italia è tra i Paesi considerati amici, quelli con cui abbiamo le migliori relazioni commerciali, culturali e politiche. E queste relazioni siamo pronti ad ampliarle e rafforzarle». Con queste parole il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha voluto sottolineare i buoni rapporti con Roma durante l'assemblea Onu. L'esponente della Società dei Chierici Militanti ha ribadito che «l'Italia è tra i paesi europei con cui abbiamo le migliori relazioni». Se da New York fanno sapere che si è molto lontani da un accordo sul nucleare con Teheran e ci sono significative distanze con il gruppo dei cosiddetti cinque più uno ( Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania), il nostro Paese è considerato un punto di riferimento per l'Iran. Niente di nuovo sotto il sole, perché l'Italia ha sempre avuto rapporti commerciali privilegiati con gli iraniani e nel 1998 Romano Prodi fu il primo capo di governo occidentale in visita ufficiale dal lontano 1979.
- Cosa è cambiato in Iran?
Rohani, inoltre, si augura rapporti diversi, in un futuro non troppo lontano, con gli Stati Uniti. Il presidente, a quanto pare, prosegue con la sua tattica del dialogo per mostrare al mondo un Iran diverso rispetto a quello del suo predecessore, Mahmud Ahmadinej?d. In realtà, però, nel Paese non è avvenuto questo grande cambiamento. Lo stesso Rohani, a tal proposito, ha un passato contradditorio. Ama definirsi riformista, ma ha partecipato in prima persona alla rivoluzione islamica guidata da Khomeini e ha contribuito a stabilizzare i precetti islamici nel Paese. Le aperture sul nucleare, invece, saranno limitate dalla guida suprema Khamenei. Sarà lui a decidere, perché la costituzione islamica affida all'ayatollah tutte le funzioni governative principali. Rohani appare come il volto buono del sistema iraniano, mentre Khamenei continua a sperare nell'annientamento dello Stato israeliano. Per non parlare, inoltre, del ruolo delle donne. La vita del gentil sesso non è cambiata in Iran da quando è stato eletto il nuovo presidente.
- Chissà cosa direbbe Oriana Fallaci
Tenendo in considerazione tutti questi aspetti, le parole di Rohani verso l'Italia dovrebbero mettere in imbarazzo le istituzioni italiane che hanno un ottimo rapporto con un Paese che non rispetta i basilari diritti civili del suo popolo, in passato ha negato l'esistenza dell'Olocausto e oggi continua a considerare lo Stato di Israele come una sorta di demonio da cancellare dalla faccia della terra. Chissà cosa direbbe oggi Oriana Fallaci di questo rapporto privilegiato con una nazione che fa dell'antisemitismo un tratto distintivo. Forse tornerebbe a usare queste parole, pubblicate in un articolo intitolato "Sull'antisemitismo" uscito su Panorama il 18 aprile 2002: «Lo trovo vergognoso e vedo in tutto ciò il sorgere d'un nuovo fascismo, d'un nuovo nazismo. Un fascismo, un nazismo, tanto più bieco e ributtante in quanto condotto e nutrito da quelli che ipocritamente fanno i buonisti, i progressisti, i comunisti, i pacifisti, i cattolici anzi i cristiani, e che hanno la sfacciataggine di chiamare guerrafondaio chi come me grida la verità. [ ] Difendo il loro diritto ad esistere, a difendersi, a non farsi sterminare una seconda volta (si riferisce agli ebrei). E disgustata dall'antisemitismo di tanti italiani, di tanti europei, mi vergogno di questa vergogna che disonora il mio Paese e l'Europa. Nel migliore dei casi, non una comunità di Stati ma un pozzo di Ponzi Pilato. Ed anche se tutti gli abitanti di questo pianeta la pensassero in modo diverso, io continuerò a pensarla così».
(Blogtaormina, 27 settembre 2014)
La Germania ha un problema con gli ebrei. Di nuovo
di Matteo Angeli
"E' il momento peggiore dai tempi della Germania nazista. Per le strade si sente dire che gli ebrei dovrebbero essere gassati o bruciati", così Dieter Graumann, presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, in un'intervista di agosto al quotidiano inglese The Guardian.
E' lunga la lista degli episodi di antisemitismo in Germania occorsi tra giugno e settembre. Solo tra giugno e luglio, le autorità tedesche hanno registrato ben 184 incidenti. A questi si aggiungono i 25 di agosto, documentati dalla Fondazione Amadeu Antonio, una delle più importanti organizzazioni non governative tedesche nella lotta all'antisemitismo e ad altre forme di discriminazione.
Tra gli episodi più eclatanti, il lancio di bombe Molotov contro l'ingresso della sinagoga di Wuppertal, una cittadina situata nel Land Renania Settentrionale-Vestfalia. L'incidente, avvenuto in data 29 luglio, si inserisce nell'ambito delle proteste contro l'operazione militare "Margine Protettivo" del governo israeliano a Gaza, e riporta alla mente il tragico 1938, anno in cui i nazisti bruciarono una sinagoga nella stessa località.
Contro questo crescendo di violenza verbale e fisica, perfino le due più alte cariche dello stato tedesco, la cancelliera Angela Merkel e il presidente Joachim Gauck, hanno sentito il bisogno di denunciare la nuova ondata di odio antisemita.
Il 14 settembre, in occasione di una marcia contro l'antisemitismo che ha avuto luogo per le strade di Berlino, Merkel ha infatti dichiarato di fronte alla Porta di Brandeburgo: "E' un nostro dovere civico e nazionale combattere l'odio verso gli ebrei".
Tornano i fantasmi del passato. Ma stavolta è diverso: il nuovo antisemitismo non è solo il prodotto dello sclerotico discorso di uno sparuto gruppo di neonazisti. In realtà, i maggiori responsabili di questa nuova campagna di odio contro gli ebrei provengono dalla comunità musulmana residente in Germania.
A tal riguardo, Jochen Bittner, editorialista per il settimanale die Zeit, lamenta dalle colonne del New York Times: "E' ovvio che l'antisemitismo non nasce con i musulmani d'Europa. Com'è ovvio che questi non sono i suoi unici promotori. Ma il recente inasprimento dei toni è tutto da attribuire al fondamentalismo islamico".
Le tesi di Bittner trovano conferma nel numero crescente di persone di origini arabe o turche che sono state fermate dalla polizia tedesca negli ultimi mesi con l'accusa di aver commesso atti antisemiti.
L'antisemitismo di matrice araba è stato fino ad ora ampiamente sottovalutato in Germania, in quanto visto come una versione meno problematica del fenomeno "originale". Secondo Henryk Broder, editorialista di der Spiegel e die Welt, è proprio qui che sta l'errore della classe politica tedesca.
In una recente intervista a Il Foglio, Broder afferma: "La colpa è della sinistra multiculturalista... I politici tedeschi si rifiutano di denunciare il fondamentalismo islamico. Adesso la moda, vedi Cameron e Obama, è dire che l'Isis, lo Stato islamico, non è 'vero islam'".
In un paese dove il progresso si misura dal modo in cui vengono trattati gli ebrei, essere antisemiti denota un'imbarazzante ignoranza o indifferenza nei confronti della specialità della storia tedesca. In tal senso, come fa notare Jochen Bittner, i musulmani residenti in Europa sono spesso oggetto di una marginalizzazione che condiziona la loro percezione del paese in cui vivono.
La storia della Germania non è la loro storia e perciò, non sentendosi mai completamente parte della nazione tedesca, non capiscono perché devono portare il peso di colpe con cui non si identificano.
Ma il tenere vivo il ricordo dell'Olocausto è un dovere di ogni tedesco, indipendentemente dal luogo di nascita dei suoi genitori. Non è una questione di coinvolgimento personale, sangue o storia. I tedeschi, ancor più degli altri popoli, hanno il compito di non far dimenticare l'orrore del genocidio degli ebrei, per il semplice fatto che questi crimini sono stati perpetrati sul loro territorio.
L'escalation di violenza antisemita degli ultimi mesi è quindi indicativa di una grave mancanza nella società tedesca. Molti tedeschi di nuova generazione, di origine araba o turca, non hanno infatti ancora assimilato la lezione più importante per essere cittadini tedeschi a tutti gli effetti.
La lezione dell'Olocausto è una lezione per l'umanità e la Germania ha il dovere di ricordare al mondo che certi orrori non dovranno mai più ripetersi.
(la Voce del Trentino, 27 settembre 2014)
La parola della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi che siam salvati è potenza di Dio. Sta scritto infatti: «Io farò perire la sapienza dei savi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti». Dov'è il savio? Dov'è lo scriba? Dov'è il disputatore di questo secolo? Non ha forse Dio resa pazza la sapienza di questo mondo? Poiché nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio per mezzo della propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la pazzia della predicazione, poiché i Giudei chiedono un segno e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che è scandalo per i Giudei e pazzia per i Greci; ma per quelli che son chiamati, sia Giudei che Greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini e la debolezza di Dio più forte degli uomini.
Dalla prima lettera dellApostolo Paolo ai Corinzi, cap. 1
Cinematov 2014: Cinema Israeliano Indipendente
Al via la terza edizione della rassegna di cinema israeliano indipendente: il titolo di quest'anno è "Sogno e lavoro: dal kibbutz al computer".
A Milano l'anno ebraico 5775 inizia all'insegna del cinema: il teatro Franco Parenti ospita, infatti, dal 27 al 30 settembre (ovvero due giorni dopo Rosh haShanà), la terza rassegna di cinema israeliano indipendente.
Dopo una prima edizione dal titolo Una terra dai mille volti e una seconda incentrata sul ruolo della donna (L'altra metà del mito: cinema israeliano al femminile), la rassegna continua il percorso di esplorazione degli elementi fondanti la società israeliana approfondendo questa volta la tematica del lavoro e del suo ruolo nella collettività. L'edizione 2014 si intitola dunque Sogno e lavoro: dal kibbutz al computer. Documentari e lungometraggi accompagneranno lo spettatore alla scoperta del significato che il lavoro materiale e spirituale ha avuto nel corso della storia di Israele, mostrando come il lavoro nella sua praticità sia stato elemento caratterizzante - in alcuni momenti decisivo - della vita dello Stato ebraico sin dalle origini del movimento sionista. Le opere in programma vogliono anche far riflettere lo spettatore sul lavoro come microcosmo dotato di una propria vita sociale e sentimentale.
Questo tema sarà anche il principale argomento degli incontri che affiancheranno le proiezioni. Tra gli ospiti attesi nei quattro giorni della rassegna vi sono il regista e fotografo Ruggero Gabbai, il critico cinematografico Giancarlo Grossini e Asher Salah, docente all'Accademia di Belle Arti Bezalel di Gerusalemme. Ospite d'onore sarà il regista Tomer Heymann, che presiederà la tavola rotonda fissata per domenica 28 dopo la proiezione del suo film Bubot Nyar - Bambole di Carta (2006).
La programmazione prevede opere che spaziano dal 1935 (il muto Avodà - Lavoro di Helmar Lerski) al 2013 (Beith-lehem - Betlemme di Yuval Adler, Halutzot - Le Pioniere di Michal Aviad e No'ar - Gioventù di Tom Shoval), offrendo le diverse visioni del lavoro che i registi israeliani hanno voluto esprimere al pubblico nazionale e internazionale.
La rassegna sarà un'ottima occasione per vedere opere poco o nient'affatto distribuite sul mercato italiano, nonostante i numerosi riconoscimenti che alcune di esse hanno ottenuto presso vari festival internazionali.
(FareFilm, 27 settembre 2014)
Gli ultimi danni ideologici del terzomondismo
di Sofia Ventura
Nelle settimane del conflitto tra Israele e Hamas, a migliaia sono scesi nelle strade delle capitali europee per manifestare contro Israele. Allo strabismo che connota lo sguardo delle opinioni pubbliche occidentali sulle vicende che riguardano Israele sono state dedicate diverse pagine nello scorso numero di questa rivista, dove si è posto l'accento sulla permanenza nelle nostre società di un sentimento antisemita. Per comprendere quel pregiudizio, tuttavia, vi è un altro utile tassello da inserire nel mosaico degli umori delle nostre pubbliche opinioni. Un tassello che ci dice qualcosa anche sul perché tanti orrori, che pure arrivano nelle nostre case attraverso la televisione e la rete, non destino mobilitazione e passione. Restando alla storia recente e all'oggi, le carneficine e le pratiche repressive e terroristiche attuate dalle autorità politiche di paesi del Medio Oriente contro i loro stessi cittadini, così come il mostruoso dominio che i militanti del Califfato stanno costruendo, sembrano lasciare pressoché indifferenti i mobilitati permanenti contro gli Stati Uniti e Israele. Quel tassello è il lascito del terzomondismo. Il terzomondismo è un'ideologia manichea che divide il mondo in una parte buona e una cattiva e per la quale, naturalmente, europei e americani interpretano la parte dei cattivi. Il terzomondismo appiattisce le nazioni occidentali sulle pagine più discutibili e tragiche della loro storia, come lo schiavismo e il colonialismo, e interpreta le fasi successive come evoluzioni del peccato originale di dominio e sfruttamento di altri popoli, sulla scorta della vulgata del famoso pamphlet di Lenin L'Imperialismo come fase suprema del capitalismo. Esso ignora, sottovaluta e svilisce il pensiero e le realizzazioni occidentali sul piano della costruzione di regimi altamente imperfetti - le democrazie liberali - ma che hanno posto al centro i diritti dell'individuo, il suo diritto all'autorealizzazione, il suo benessere. Al tempo stesso assolve a priori i Paesi un tempo definiti del Terzo mondo, e in special modo i loro governanti, da qualunque responsabilità o colpa. Così Israele è comunque sempre dalla parte del torto anche perché viene iscritto all'universo dell'Occidente.
Specularmente, gli orrori di Hamas vengono sottovalutati e ridimensionati perché in fondo si tratta di vittime dell'imperialismo occidentale espresso in quel caso dallo Stato ebraico. Di fronte agli orrori degli islamisti si insegue sempre qualche forma di giustificazione, come l'umiliazione, la povertà, lo spossessamento, che naturalmente hanno a monte la causa della volontà di dominio - economico, finanziario, politico e militare - del malvagio Occidente. E se lo sdegno verso certe barbarie è unanime (come di fronte ai video delle decapitazioni di giornalisti occidentali), esso si manifesta soltanto quando le atrocità esplodono davanti ai nostri occhi e comunque rimane uno sdegno freddo, incapace di mobilitare passioni. Si spiega in questo modo la sostanziale indifferenza verso la negazione di diritti umani, civili e politici, da noi considerati fondamentali, in Paesi che hanno però il "merito" di essere o essere stati, in qualche forma, vittime del cosiddetto imperialismo occidentale. In questo caso le donne lapidate o gli omosessuali che penzolano dalle gru iraniane non meritano nemmeno un millesimo dell'attenzione delle vittime dei bombardamenti israeliani, così come in passato scarsissima attenzione hanno ottenuto le vittime di regimi latino-americani, asiatici e africani più o meno feroci (alcuni ferocissimi, si pensi al totalitarismo cambogiano), tutte variazioni dell'ideologia anti-imperialista. C'è dunque una pregiudiziale bontà attribuita all'altro solo perché altro (e qui si nota un inconscio atteggiamento razzista che richiama l'idea del buon selvaggio), ma è anche palese l'inconsapevolezza di ciò che si è, di ciò che l'Occidente rappresenta in termini di progresso, benessere e libertà. Inconsapevole e vergognandosi di sé, l'Europa balbetta mentre il mondo è in eruzione.
(Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2014)
Una follia che non si riesce a comprendere: all'Europa piace il fondamentalismo islamico
di Giorgio Israel
Dalil Boubaker, rettore della Moschea di Parigi, ha rilasciato un'intervista a Il Mattino, il 21 luglio 2014, che avrebbe dovuto ricevere maggiore attenzione sia per il prestigio di chi l'ha rilasciata sia per il suo contenuto. Richiesto di commentare il contributo delle comunità religiose europee nella presente critica situazione - l'esplicito riferimento era alle violente manifestazioni di importanti fasce della comunità musulmana francese contro l'intervento militare israeliano a Gaza intrise di accenti antiebraici e anche di atti di violenza contro sinagoghe e persone - Boubaker ha ricordato che le comunità religiose debbono essere «organi di uno spirito di fraternità e di compassione », mentre accade che «ognuno è troppo preso dai problemi del proprio culto, e si occupa troppo poco degli altri ». Boubaker ha dichiarato il suo pessimismo perché le «religioni sono senza più dialogo» e, di conseguenza, «anche l'Europa sarà coinvolta». E all'intervistatore che ha osservato: «Pessimista e quasi in collera. È così?», ha risposto: «Sì, perché la religione che vogliamo, quella che è la mia, per cui mi sono battuto, una religione di spiritualità e di fraternità, è oggi soprattutto una religione di fondamentalisti». Sarebbe importante se ognuno facesse la sua parte combattendo ogni sorta di fondamentalismo religioso e quindi tentando di prosciugare questa sorgente di intolleranza che rischia di trascinare le nostre società in conflitti di imprevedibile drammaticità; anche se, sarebbe ipocrita non dirlo, la parte che spetta al mondo islamico, in questa fase storica, è quella decisiva. Proprio per questo, dichiarazioni come quella di Boubaker sono importanti ed è grave che non abbiano l'eco dovuta. Boubaker, per il suo ruolo, dovrebbe rappresentare l'opinione dominante nella comunità musulmana francese; purtroppo, troppi sintomi indicano che le cose non stanno in questi termini e che una componente rilevante vada invece nella direzione del fondamentalismo, alimentando così una faglia della società francese che rischia di trascinarla sull'orlo di una vera e propria guerra civile. Sarebbe irresponsabile far uso di un termine tanto pesante se l'adesione al fondamentalismo fosse soltanto una questione interna alle comunità musulmane presenti sul suolo europeo, il che sarebbe già assai grave tenendo conto dell'entità numerica che queste hanno assunto in diversi paesi, e che va rapidamente crescendo con le recenti ondate di immigrazione. Il problema è che il fondamentalismo, malgrado i suoi aspetti più efferati, tra cui il violento antisemitismo, non soltanto non provoca un generale rigetto nell'insieme delle società europee, ma trova anzi tolleranza e persino consensi.
Il buon senso lascerebbe credere che la coscienza morale debba prima o poi sollevarsi di fronte a stragi inaudite. E invece prevale la più ottusa ideologia, per cui migliaia e migliaia di vittime in Siria non bastano neppure a sollevare un sopracciglio, mentre l'attenzione è riservata esclusivamente ai "crimini" perpetrati dagli "occupanti" israeliani a Gaza. Ci si chiede: «Ma come è possibile restare inerti di fronte a decine di migliaia di cristiani costretti a fuggire o a morire se non accettano di essere convertiti all'islam, a centinaia di donne schiavizzate e sottoposte a violenza?». Ebbene è possibile. I telegiornali mostrano combattenti del califfato islamico che, agitando i mitragliatori, promettono alle televisioni occidentali: «Stiamo arrivando da voi». E un sacerdote cattolico intervistato conferma che la vera intenzione, la più profonda ambizione è di venire a Parigi, Roma e Londra - un'intenzione che riecheggia nei proclami degli imam londinesi che promettono di sgozzare a Trafalgar Square chiunque non accetterà il primato della sharia. Qualche anno fa si poteva cavarsela ridendo di fronte a queste rodomontate. Ma ora è difficile considerarle tali, solo se si guardi all'estensione fisica di un integralismo che si radica in territori sempre più vasti, che vanno dall'Iraq al Mediterraneo e coinvolgono diverse nazioni africane.
A questo punto riderci sopra è da imbecilli. Ma il guaio è che in Occidente, e in Europa in particolare, c'è chi non soltanto non ride, ma anzi manifesta simpatia per le bandiere nere sulla base dell'inesausta mitologia della rivoluzione dei poveri che, evidentemente, non solo si è fatto ben poco per sradicare, ma che è stata alimentata in correnti neanche tanto sotterranee. Solo così si può capire che un rappresentante di un movimento che ha raccolto un terzo dei voti in Italia abbia potuto aprire una "riflessione" sull'Isis e l'avanzata dello stato islamico, arrivando a dire che oggi il terrorismo è l'unica arma rimasta a chi si ribella. Né consola che vi sia stata un'ondata di reazioni scandalizzate, e non solo perché questa ondata non si è manifestata in quel movimento, ma anche perché da altre parti politiche c'è chi se l'è cavata dicendo che «il terrorista è altrettanto disumano quanto i droni» e non ha evitato la solita giaculatoria contro i crimini dell'imperialismo e dell'occidente. In epoca di rottamazione troppi hanno dimenticato il vecchio slogan «né con lo Stato né con le Brigate Rosse» e forse non riescono neppure a vedere come l'unica cosa che non venga rottamata è la continuità nell'alimentare l'odio di sé delle società occidentali, il disprezzo per la democrazia e la pulsione all'autodistruzione. Di che stupirsi se una città come Livorno, un tempo considerata un baluardo della sinistra democratica, sia finita in mano a un sindaco che ha recalcitrato di fronte alle proteste per uno striscione intriso di simpatia nei confronti dei movimenti terroristi, espressione di quella ipocrisia morale che identifica nel sionismo tutti i mali del mondo? Il rettore Boubaker ha fatto la sua parte e si è espresso con coraggio, ma il lavoro da fare per non sprofondare nella catastrofe dovrebbe mobilitare ben altre forze "laiche" che sono invece attente a diseducare nelle forme più irresponsabili le giovani generazioni. Quando in televisione vediamo un capitano curdo dirci «dateci le armi, combatteremo anche per voi», è difficile non provare vergogna e sconforto.
(Shalom.it, settembre 2014)
Giovedì 25 e Venerdì 26 settembre - Rosh Hashana
Rosh Hashanah, "testa dell'anno", è la festa che segna l'inizio dell'anno ebraico, e cade nel mese di Tishrei, tra il tardo settembre e il primo ottobre.
Diversamente dalle altre ricorrenze, che prevedono un giorno di festa in cui le aziende restano chiuse, Rosh Hashanah perdura due giorni, e la chiusura delle attività si protrae in entrambi. Questo accade per via della tradizione iniziata in Diaspora, cioè quando l'esatto inizio della luna nuova, decretato dalla Corte Suprema di Gerusalemme, non poteva essere noto.
Secondo la tradizione ebraica, Rosh Hashanah celebra il momento culminante della creazione dell'universo, e l'accettazione della sovranità di Dio sopra tutte le cose. Secondo i Midrashim, questi sono anche i giorni in cui Dio giudica le azioni dell'uomo nel corso dell'anno, e decide del suo futuro per l'anno successivo: morte per i peccatori, vita per i devoti, e un periodo di pentimento fino a Yom Kippur, giorno in cui verrà decretata la decisione, per chi si trova in uno stato incerto.
Per questo il periodo che intercorre tra Rosh Hashanah e Yom Kippur viene chiamato "I dieci giorni dell'Espiazione", cioè i giorni durante i quali il popolo ha l'opportunità di espiare i propri peccati.
Nella Torah, si fa riferimento a Rosh Hashanah definendolo "il giorno del suono dello shofar".
(OrizzonteScuola.it, 26 settembre 2014)
Multiculturalismo versione Israele
Saggi - Menachem Mautner traccia una mappa degli intrecci etnici e religiosi.
di Edoardo Castagna
Israele non è uno Stato mediorientale soltanto per una mera questione geografica È mediorientale nell'essenza profonda della sua forma giuridica e sociale. Il multiculturalismo che lo caratterizza è sostanzialmente diverso da quello con il quale fai conti l'Occidente, e ha invece molti tratti in comune con quello dell'Egitto, della Turchia o della stessa Palestina Menachem Mautner in Diritto e cultura in Israele effettua una vasta ricognizione sull'evoluzione giuridica, politica e sociale del suo Paese nella transizione dalla lunga egemonia del Partito laburista a un nuovo assetto ancora da definire. La varietà culturale in Israele investe ogni ambito della vita civile. C'è la diversità demografica, tra l'ottanta per cento di ebrei e il venti per cento di arabi. C'è la diversità religiosa, tra giudaismo ortodosso, islamismo, cristianesimo, laicismo 'occidentalizzante': C'è la diversità etnica all'interno dello stesso gruppo ebraico, storicamente dominato dagli immigrati dell'Europa centrale ma con consistenti apporti provenienti da Nordafrica, Vicino Oriente e - in anni più recenti - ex Urss. Ci sono disparità economiche e sociali rese più acute del contesto di insicurezza. Il tutto nel quadro di un'istituzione statale a sua volta ambigua, al tempo stesso liberale ed etnicamente connotata (con gli arabi israeliani di fatto cittadini di serie B), laica e religiosa, "occidentale" e "mediorientale"... Mautner precisa: «Se guardata dal punto di vista dei Paesi occidentali, la condizione "multiculturale" di Israele appare unica. La diversità culturale solleva infatti, nei Paesi occidentali, questioni concernenti il rapporto tra il potere centrale dello Stato liberale e gruppi "periferici'; non liberali, che vivono nei confini di quello stesso Stato». In Europa ci chiediamo, in altri termini, se lo chador sia compatibile con la vita sociale, se la macellazione islamica sia ammissibile per i nostri parametri sanitari, o come impedire pratiche come l'infibulazione. Ci sono cioè chiaramente un "noi', uno Stato con i suoi valori, e un "loro" con il quale rapportarsi, in termini di accoglienza o di rifiuto, di integrazione o di esclusione. Israele, nota il giurista di Tel Aviv, non è così. È lo stesso Stato a essere dialettico: «La società è scomposta in diversi gruppi culturali, ognuno dei quali portatore di credenze, miti, ethos propri. Le varie comunità differiscono non soltanto dal punto di vista culturale, ma anche linguistico; sono inoltre dislocate in zone geografiche distinte ed esprimono identità di classe ben definite». I rabbini ortodossi che incitano i soldati a disobbedire all'ordine di evacuare un insediamento non sono meno "israeliani" dei generali che impartiscono l'ordine. Né sorprende come tra israeliani ebrei ortodossi e israeliani arabi musulmani si registrino convergenze, per esempio, sul ruolo subordinato da riservare alle donne. Lo stesso diritto è frammentato, con l'ascesa di "arbitrati" affidati a tribunali emanati dai gruppi sociali anziché alle leggi dello Stato.
«La questione più urgente - prosegue Mautner- attiene al centro stesso, più che ai gruppi: al carattere, cioè, del regime, della cultura politica e del diritto del Paese». La costellazione di micro-società intersecate le une alle altre fatica a riconoscere un punto comune al quale fare riferimento. Il giurista, pur continuando ad avere fiducia nel liberalismo, ammonisce: «Occorre che Israele trovi un nuovo equilibrio tra uniformità e decentramento. Gran parte del diritto e delle leggi statali deve senz'altro applicarsi alla cittadinanza nel suo complesso. Ma taluni compromessi normativi vanno affidati al decentramento e all'autodeterminazione dei gruppi culturali». Però per arrivarci, conclude, «Israele avrà bisogno di molta fortuna, buona volontà e tolleranza».
(Avvenire, 26 settembre 2014)
Il Mossad cerca informatori con una pagina web
di Luca Pistone
È cosa comune per le agenzie di intelligence utilizzare la rete per reclutare i proprio uomini, ma il Mossad israeliano è andato ben oltre: ora cerca agenti locali e informatori attraverso una pagina web. Israele, che ha relazioni diplomatiche con solo due paesi arabi, Egitto e Giordania, non ha ambasciate in Medio Oriente ed è proprio in questo ambito che potrebbero essere inseriti gli aspiranti informatori.
"Tutti sono i benvenuti, indipendentemente da religione, nazionalità e professione. È possibile mettersi in contatto con la nostra organizzazione - il Mossad - per lavorare con noi o partecipare ad attività che possono portare grandi benefici personali. Siate certi che la discrezione e la riservatezza sono di massima priorità e costituiscono la base del nostro rapporto", si legge nella nuova sezione "Contattateci" della pagina web del Mossad, disponibile anche in arabo, farsi, francese e russo.
Il Mossad aggiunge: "Consigliamo di valutare se il computer che state utilizzando e la sua posizione siano sufficientemente sicuri. È più sicuro compilare il modulo utilizzando mezzi non riconducibili direttamente con voi".
(Atlas, 26 settembre 2014)
Rottamato Ippocrate. I neo medici turchi ora giurano su Allah
Nel Paese che era candidato a entrare in Europa, è sostituito in due scuole il giuramento di curare «senza fare distinzioni». Un chiaro segnale della crescente invadenza religiosa nella scienza. L'impegno a non fare differenze scambiato con generici doveri.
di Antonio Borrelli
ISTANBUL - In un momento storico in cui l'estremismo islamico fa parlare di sé in tutto il mondo dichiarando guerra all'Occidente a suon di decapitazioni di civili, in Turchia si assiste alla progressiva sovrapposizione della cultura religiosa sulle istituzioni laiche, o almeno al suo tentativo. D'altronde era da prevedere, almeno dalla scorsa estate. Dopo l'elezione plebiscitaria del nuovo lider maximo Erdogan, salito al potere quasi assoluto lo scorso 10 agosto, i nodi cominciano a venire al pettine nella terra della discordia, da sempre in bilico tra Occidente e Oriente. Il primo caso è avvenuto lo scorso maggio, quando all'Università di Samsun i lRettore della Facoltà di Medicina Haidar Sachinoglou (marito di un vecchio deputato del Akp, il partito di Erdogan) ha alterato dopo 2500 anni il giuramento di Ippocrate, impegno prestato dai medici-chirurghi e odontoiatri prima di iniziare la professione. Durante la cerimonia di laurea gli studenti sono stati infatti indotti a giurare sul dio islamico Allah e non sull'antico medico greco, considerato universalmente il padre della medicina moderna. «Giuro che non lascerò che tra me e il mio paziente entrino differenze come religione, nazionalità, tendenza politica», questa la frase «incriminata» rimossa pubblicamente dal dottor Sachinoglou e sostituita con «Io giuro in presenza di Allah di occuparmi dei pazienti». Come se da noi i medici giurassero su Dio, affidando la cura dei pazienti ad un'entità ultraterrena e non alla terapia clinica. Uno scontro titanico tra scienza e religione oltre ogni immaginazione.
Il caso accaduto a Samsun, città del nord della Turchia che affaccia sul Mar Nero a 400 km dalla capitale Ankara, ha fatto enorme scalpore in tutto il Paese proprio per la progressiva invadenza della cultura religiosa nel mondo scientifico. Ed è i n effetti una novità che gli stessi addetti ai lavori mettano in discussione uno dei paradigmi fondamentali della propria professione. Non ha soltanto un valore simbolico, ma è piuttosto indicatore di una sorta di invadenza islamica che si affaccia alle porte dell'Europa. Quella stessa Europa di cui la Turchia vorrebbe far parte dal 1987, ma a modo suo, cancellando il laicismo e guardando ad Oriente.
La notizia è stata diffusa in esclusiva dal corrispondente da Samsun per OdaTv Biilent Karslioglu ed è subito rimbalzata sulla stampa di tutto il mondo, con allegato il video Youtube che prova l'accaduto. «Senza dubbio - ci ha riferito Karslioglu - quel caso è un riflesso significativo dell'attuale potenza, sia politica che religiosa, impregnata all'interno della comunità turca». Oggi l'episodio, condannato dai partiti laici dell'opposizione, è all'ordine del giorno delle disquisizioni istituzionali e alcuni movimenti studenteschi hanno anche chiesto le dimissioni del rettore e promesso manifestazioni all'inizio dell'anno accademico.
Lo scoop di Karslioglu ha però avviato un dibattito politico più generale. «La questione è culturale - continua il giornalista turco - Nel 2002 le persone hanno rifiutato la Turchia contemporanea e hanno chiesto di creare un nuovo Paese, indipendente. La domanda allora è: quale tipo di Turchia vogliamo? I fatti di Samsun devono essere interpretati proprio in questo modo. Che Turchia sarà quella che ha fatto giurare i suoi nuovi medici su Allah?». Un episodio singolo, un'eccezione, si potrà dire. E invece lo stesso spettro si ripresenta poche settimane fa, quando nel distretto di Esenler ad Istanbul, capitale culturale ed economica del Paese, medici ed infermieri hanno rifiutato di pronunciare il giuramento di Ippocrate, promettendo genericamente, invece, di «soddisfare» i propri pazienti. In quel caso, quanto meno, non vi è stata traccia di Islam e di Allah nelle parole degli operatori del settore, ma si tratta dell'ennesima conferma che siamo in presenza di sistematiche attitudini sociali, tese a distaccarsi dalla cultura occidentale e laica. Ippocrate è d'altronde considerato il primo ad aver separato la medicina dalla religione e ad aver ricercato le cause delle malattie non nel soprannaturale ma nel razionale. E il suo rifiuto di parte di intere comunità di medici non può far altro che far riflettere, non soltanto sui risvolti interni al Paese, ma anche e soprattutto sulle relazioni internazionali che ne scaturiranno.
Perché questa Turchia, una nazione di 71 milioni di persone per la maggior parte musulmani, con una cultura religiosa di questo genere che si diffonde a macchia d'olio, potrebbe prima o poi entrare a far parte dell'Unione Europea.
(il Giornale, 26 settembre 2014)
Lavoratori palestinesi in Cisgiordania: "Meglio lavorare per gli israeliani"
Pochi soldi e nessun diritto sotto datori di lavoro palestinesi, dice un reportage del quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestinese.
Lavoratrici palestinesi in un'impresa israeliana nella zona di Gerico
Il quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida elogia le condizioni di lavoro dei palestinesi impiegati da israeliani negli insediamenti in Cisgiordania, denunciando al contempo i bassi salari e la mancanza di diritti dei palestinesi alle dipendenze di altri palestinesi.
In un articolo pubblicato lo scorso 21 settembre (tradotto in inglese da Palestinian Media Watch), Al-Hayat Al-Jadida scrive: "Ogni volta che i lavoratori palestinesi hanno l'opportunità di lavorare per datori di lavoro israeliani sono pronti a lasciare il loro lavoro sotto datori di lavoro palestinesi per motivi che hanno a che vedere con stipendio e altri diritti".
Il giornale ha intervistato un gruppo di lavoratori palestinesi per la stesura del reportage e ha scoperto che quelli con datori di lavoro israeliani guadagnato molto di più di quelli che lavorano per altri palestinesi.
Tutti i palestinesi impiegati da palestinesi hanno detto di non avere assicurazione medica, che per la legge palestinese non è obbligatoria, e che non ricevono nessun rimborso per i trasporti. Al contrario, specifica il quotidiano palestinese, i datori di lavoro israeliani sono soliti coprire le spese di trasporto dei lavoratori da e per il luogo di lavoro....
(israele.net, 26 settembre 2014)
Museo Ebraico di Roma. Conferenza di Francesca Lombardi e Claudio Crescentini
Al Museo Ebraico di Roma, la conferenza di Francesca Lombardi e Claudio Crescentini nell'ambito della mostra "Artiste del Novecento, tra visione e identità ebraica": li abbiamo incontrati tra Amalia Goldmann Besso, Adriana Pincherle e Katy Castellucci
Il Museo Ebraico di Roma - Lungotevere De' Cenci - via Catalana - ha sede nel complesso monumentale del Tempio Maggiore, frammenti di storia che si respirano tra le sette sale dove stanno in mostra abiti, tessuti, argenti romani del 600 e 700, pergamene miniate, marmi scampati alla distruzione delle Cinque Scole, le cinque sinagoghe del ghetto.
Un tripudio di dettagli quasi impossibili da vedere tutti, difatti una sola visita non può bastare al Museo Ebraico di Roma, nato per conservare le raccolte della Comunità Ebraica di Roma è oggi una tappa fondamentale per conoscere, o almeno approfondire, la storia e la cultura Ebraica.
In quest'ottica si svolge il ciclo di seminari nell'ambito della mostra "Artiste del Novecento, tra visione e identità ebraica" e qui incontriamo Francesca Lombardi e Claudio Crescentini, entrambi ricercatori, la Lombardi si occupa di temi della cultura figurativa dell'Ottocento e Novecento, con particolare attenzione all'arte italiana fra le due guerre e alla produzione artistica femminile, ci parla di Amalia Goldman Besso "non convenzionale e non omologabile donna e pittrice (1856-1929) mentre Crescentini, si è dedicato all'approfondimento delle figure di artisti del Novecento tra cui Giorgio De Chirico, ci illustra altre due donne dalle caratteristiche e tratti straordinari: Adriana Pincherle e Katy Castellucci.
Dice Francesca Lombardi " per me Amalia Besso è stata una scoperta, di lei non si sapeva nulla se non qualche quadro. Ricostruendo il suo percorso è venuto fuori il ritratto d una donna non omologata, nel senso che per i primi del Novecento, scegliere di fare la pittrice, dopo la morte del marito iniziare a viaggiare, andare in giro da sola, andare per la campagna a dipingere e impegnarsi in prima persona in politica erano scelte assolutamente coraggiosissime. In questo probabilmente una certa inquietudine e curiosità intellettuale, forse legata anche alla sua ebraicità ha contato.
Claudio Crescentini parla di Andriana Pincherle e ci racconta che di se stessa disse 'sono relegata nel mio cervello', gli chiedo di approfondire questa frase "Ad un certo punto, quando entra nella resistenza per cui per un periodo non dipinge o dipingerà molto meno, ha detto di essere relegata nel suo cervello perché solo lì continuava a dipingere. In quel momento, durante il fascismo e la seconda guerra mondiale, era importante resistere, perciò fare attività politica, azione politica e anche militare, diciamo esterna al mondo dell'arte e della cultura, anche se non era sola perché molti artisti hanno seguito il suo esempio". Katy Castellucci, ma non era certo la sola, ha dipinto molti autoritratti, chiedo a Crescentini se questo è, per gli artisti, semplice narcisismo o più profondamente cercano di trasmetterci loro sensazioni e magari disagi con il loro linguaggio, la pittura appunto " una dose di narcisismo probabilmente c'era, però per quanto riguarda la Castellucci lei lavorava sull'immagine e in quel momento l'immagine era se stessa, perciò se stessa allo specchio perché è un doppio, allora anche il fatto di essere legata concettualmente al realismo magico di Bontempelli, intellettualmente agli scritti e al Teatro di Luigi Pirandello dove il doppio, doppio meccanico diciamo, è molto utilizzato; ecco potrebbe essere un mix di tutte e due le cose"
L'intervista continua entrando anche nel particolare della cultura Ebraica ai giorni nostri. A seguire il Museo Ebraico di Roma ha offerto ai suo ospiti una deliziosa degustazione Kasher.
Il prossimo appuntamento è per martedì 30 settembre, presso il Chiostro Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale con Silvia Berti, Serena De Dominicis e Giulia Mafai, dalle 18 con la visita alla mostra, alle 18.30 conferenza e alle 19.45 degustazione Kasher. Ingresso fino ad esaurimento posti disponibili, previo acquisto del biglietto di ingresso al museo, secondo tipologia.
Il Museo Ebraico di Roma è un gioiello da non perdere! Francesca Lombardi e Claudio Crescentini si sono resi disponibile a rispondere ad altre domande, a fine video trovate le loro email.
Un ringraziamento particolare al Museo Ebraico di Roma e a Olga Melasecchi, Conservazione - Curatrice per l'ospitalità.
(Senza Barcode, 25 settembre 2014)
Israele va al cinema
Film e documentari al Franco Parenti di Milano. In lingua originale, con sottotitoli in italiano.
di Marco Sabella
MILANO - II lavoro come fondamento della coesistenza sociale e civile, come identità di una nazione. Sogno e lavoro: dal Kibbutz al computer è la seconda rassegna "tematica" di cinema israeliano organizzata dall'associazione culturale indipendente Cinematov che si terrà al Teatro Franco Parenti di Milano, in via Pier Lombardo 14, da sabato 27 settembre a martedì 3o settembre (per il programma e ulteriori informazioni, teatrofrancoparenti.it). La rassegna comprende una decina di opere di registi israeliani, lungometraggi e documentari, e si aprirà alle ore ig di sabato 27 con il raro documentario Avodà (in alto), un'opera del 1935 di Helmar Lerski. Momento clou del ciclo il lungometraggio Bambole di carta (foto sotto), un film del zoo6 di Tomer Heymann, che narra le vicende di sei transessuali filippini che durante la settimana lavorano come badanti a Tel 4-. c Aviv. Proiezione domenica 28 alle ore 17 e 45, segue discussione cui parteciperà il regista e Asher Salah, docente all'Accademia di Gerusalemme. Tutti i film sono sottotitolati in italiano.
(Corriere della Sera, 26 settembre 2014)
Mantova - Un guida per intercettare il flusso turistico da Israele
Una guida alla scoperta delle tracce ebraiche nel territorio mantovano. Pubblicata dal Consorzio agrituristico Mantovano, tutta in inglese, almeno per il momento, per intercettare il nuovo flusso...
di Paola Cortese
La Sinagoga di Sabbioneta, in provincia di Mantova
Il matroneo
Una guida alla scoperta delle tracce ebraiche nel territorio mantovano. Pubblicata dal Consorzio agrituristico Mantovano, tutta in inglese, almeno per il momento, per intercettare il nuovo flusso turistico di visitatori da Israele. «E' un mercato nuovo, in espansione, tanto che nel giro degli ultimi quattro anni è all'incirca raddoppiato - ha detto alla presentazione Marco Boschetti, presidente del Consorzio -. E' una nuova nicchia di mercato, seconda solo a quella dei tedeschi, che chiede qualità e trasparenza. Questo materiale, che sarà diffuso dall'Ambasciata a Tel Aviv e durante l'Expo nel padiglione di Israele, andrà a Consolidare questo interesse nei confronti di un territorio con Una storia tanto importante come il nostro». Curata da Emanuele Colorni, presidente della Comunità Ebraica di Mantova, e da Dody Bassani, la guida propone una sintetica mappatura di tutti i luoghi di interesse della cultura ebraica nel territorio mantovano, dalle Colline Moreniche all'Oglio-Po, passando per il capoluogo virgiliano. «Sono descritte le sinagoghe, i cimiteri e tutto quel che di interessante si può visitare nelle nostre campagne ma anche in città - ha aggiunto Anastasia Malacarne che ha coordinato il progetto editoriale -. Gli autori dei testi ci hanno dato un grande contributo di conoscenza». E proprio Colorni ha sottolineato come, non solo da Israele ma da parte di comunità ebraiche di tutt'Europa, ci sia interesse nei confronti di Mantova. «E' nata qui, nel Seicento la Kabbalah, l'insieme degli insegnamenti mistici ed esoterici del mondo ebraico, quindi in molti vengono a visitare, ad esempio, il cimitero del Gradaro, dove è rimasto praticamente nulla, perché vi erano stati sepolti alcuni padri. La prossima settimana ad esempio verrà per questo a Mantova un gruppo di ebrei russi». Tra i luoghi segnalati Castiglione delle Stiviere, Ponti, Solferino, Volta e Cavriana dove saranno salvate alcune piante di mandorle, un tempo produzione molto fiorente e esportata in tutt'Europa. «Vogliamo sostenere anche la bio-diversità - ha concluso Boschetti - Per consolidare lo sviluppo del turismo rurale nella nostra provincia. Quindi abbiamo valorizzato un trattato di agronomia del 1770 in cui riportavano queste informazioni». Corredata da molte immagini a colori la guida sarà distribuita dal Consorzio in Israele e in Italia.
(Gazzetta di Mantova, 25 settembre 2014)
Israele investe un miliardo di dollari in un nuovo progetto immobiliare
Israele continua a investire nel real estate e la location protagonista dei prossimi anni è Gerusalemme. A testimonianza del fatto che il business non si ferma, proprio in questi giorni è stato annunciato un nuovo grande progetto di sviluppo immobiliare, il "Jerusalem's front gate", che prevede un investimento di un miliardo di dollari e che darà lavoro, a regime, a circa 50mila persone.
In una conferenza stampa congiunta, come riportato nei dettagli anche dal gruppo multimediale Arutz Sheva, il ministro delle Finanze, Yair Lapid, il ministro dei Trasporti Yisrael Katz, il ministro dell'Housing Uri Ariel, il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, e il responsabile dell'Israel Lands Authority, Benzi Lieberman, hanno annunciato di aver firmato l'accordo di sviluppo immobiliare che costituirà il maggior progetto e investimento della Western Jerusalem.
Il progetto darà vita a una vera e propria nuova parte della città, con un'aspirazione futuristica e una destinazione mista degli spazi. Lo sviluppo prevede 130mila metri quadrati di spazi a uso alberghiero e shopping (con oltre duemila nuove stanze d'hotel) , 230mila metri quadrati di uffici e business, 49mila metri quadrati di leisure e intrattenimento. Inoltre è prevista l'espansione dell'Israel Convention Center con un adeguamento ai nuovi standard internazionali e la modernizzazione degli edifici residenziali della zona. Il collegamento con tutta la città è garantito da due fermate del "light train", una nuova stazione ferroviaria inter-city e un parcheggio "park and ride" da 1.300 posti. Lo skyline di questa parte di Gersulemme _ all'entrata della città, vicino alla Road 1 o lo String Bridge_ sarà caratterizzato da 12 grattacieli a uso uffici, retail, hotel e intrattenimento, per il valore complessivo di un miliardo di dollari circa. Il ministro delle Finanze ha sottolineato che, contemporaneamente allo sviluppo del progetto, il Governo si impegna a implementare le opzioni abitative per assicurare che le persone che lavoreranno nelle nuove aree di Gerusalemme possano anche vivere nella città: l'impatto in termini di nuova forza lavoro è stimato in 50mila nuovi impieghi.
(Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2014)
L'Occidente si svegli, ha il nemico in casa
Riportiamo oggi un'intervista fatta più di una settimana fa a Georges Bensoussan, celebre storico della Shoah che in diverse occasioni ha sottolineato aspetti inquietanti del pericolo rappresentato oggi in Europa dall'islam. L'articolo avrebbe dovuto uscire prima della conferenza fatta dallo storico giovedì 18 settembre in un prestigioso circolo di Torino, ma la direzione del giornale, che pure ne aveva assicurato la pubblicazione per quella data, ne ha ritardato l'uscita. Soltanto dopo ripetute proteste si è arrivati oggi alla pubblicazione dell'intervista. Anche per questo motivo ne raccomandiamo un'attenta lettura. NsI
di Domenico Quirico
Georges Bensoussan
«Il pericolo è il diffondersi in una parte della immigrazione europea demograficamente esorbitante di un antisemitismo di tipo nuovo, violento che nasce nelle dottrine che arrivano dal vicino oriente è nel montare di un nuovo totalitarismo islamista che divide il mondo in credenti ed eretici, puri ed impuri, e nella paura degli intellettuali occidentali di definire le cose con il loro nome » Georges Bensoussan, uno dei maggiori storici della Shoah, è attento osservatore di quel versante atroce dell'umanità che sembra esser passato, sotto nuove vesti, dal secolo trascorso nel subbuglio del presente.
- I partiti di estrema destra xenofoba avanzano in Europa ''Una frangia marginale della opinione pubblica europea ha simpatie naziste ma è un fenomeno che viene esagerato, si preferisce farsi paura con il neonazismo che vedere i nuovi pericoli. Non credo alla minaccia neonazista in Europa. Anche se ci sono paesi come l'Ungheria e alcuni paesi dell'Europa orientale dove la situazione in effetti è pericolosa; ma la grande maggioranza dei paesi europei non è toccata da questo pericolo. E' un fantasma. Il vero pericolo è la nascita di un antisemitismo di tipo nuovo, violento, fisico: in gran parte legato alla congiunzione di una estrema destra antisionista come la vediamo in Francia e in Belgio, non necessariamente neonazista, e di un antisionismo molto violento di estrema sinistra non legato alla critica della politica di Israele che è totalmente legittima, ma alla esistenza dello stato di Israele, il che è molto diverso. Ma soprattutto c'è un terzo fattore: la immigrazione arabo musulmana in Europa, di popolamento, estremamente numerosa, che ha completamente modificato il panorama demografico del continente. L'antisemitismo venuto dal mondo arabo musulmano è molto più fisico, non si limita a minacce ed insulti ma passa alla violenza. Ci sono stati episodi negli ultimi due anni di due assassini di ebrei in quanto ebrei compiuti da francesi di origine araba''.
- Il cuore di tenebre dunque è nei paesi arabi . ''In gran parte sì, nel senso che l'antigiudaismo ha preso delle proporzione considerevoli dopo la nascita di Israele e soprattutto dopo la guerra dei Sei giorni. Ma quando i media occidentali non prestano attenzione a ciò che si dice nei media arabi nelle televisioni nelle radio, a quanto si scrive sui giornali, ma insisto soprattutto sulle televisioni, si condannano a non comprendere quanto accade in Europa: perché tutto ciò è riportato in Europa attraverso le parabole. Dunque esiste un antisemitismo molto violento. Che si sviluppa tra popolazioni che non sono state necessariamente cresciute nell'islamismo. Quando l'integrazione fallisce per una certa parte di individui, soprattutto giovani e in Francia c'è un gran numero di magrebini, si ha una ripresa identitaria di un islam radicale e violento''.
- Che si spiega con ragioni economiche o sociali o affonda in una ideologia religiosa, penso al salafitismo sunnita ''Ci sono in questa deriva radicale nella gioventù magrebina in Europa soprattutto in Francia e in Belgio dove è più numerosa varie ragioni, una ragione sociale legata alla crisi economica; ma non è il motivo principale perché altre minoranze sono colpite dalla disoccupazione e non diventano violente. Penso ala comunità nera, a quella nera musulmana, anche alla comunità cinese, ai pachistani e indiani tutti toccati dalla miseria economica ma non legati a identità violente . La causa economica serve come schermo per non vedere le cause più profonde che sono due. In primo luogo un risentimento coloniale contro la Francia, c'è una rivincita da prendersi contro la Francia. E poi, seconda ragione, è che semplicemente l'antisemitismo nel Maghreb era molto potente ben prima dell'avvento del sionismo e di Israele. In occidente si sostiene che l'antisemitismo nel Maghreb è nato con Israele: no, sono uno storico dell'ebraismo nei paesi arabi e vi assicuro che era violento ben prima del sionismo. E vi è ancora un'altra dimensione ed è quella del Corano. Si trascura sempre di leggere il testo in arabo, lo si legge in francese o in italiano spesso in cattive traduzioni Vi è nel Corano un antisemitismo e un anticristianesimo molto violento e per i musulmani praticanti il Corano è parola sacra, è la parola di Dio''.
- In Siria e in Iraq oggi, con la nascita del califfato, non stiamo assistendo forse alla nascita di un nuovo totalitarismo, che, dopo la razza e l'ideologia, ha trovato nella religione un pretesto per dividere orrendamente il mondo in puri e impuri, che devono essere eliminati? ''Si, avete ragione. Il totalitarismo nell'Unione sovietica divideva il mondo tra i cattivi che avevano origini borghesi e i buoni che avevano origini proletarie; quello nazista tra la buona e la cattiva razza. Quello islamista divide tra i puri e gli impuri, tra i credenti e gli eretici. Perché parlo di totalitarismo? Perché l'islam è una religione totalitaria, inglobante che non distingue tra materiale e spirituale, in cui tutto viene da Dio in questo senso siamo davvero nel percorso totalitario. E poi c'è il fattore demografico, la potenza del numero. Una delle forze del totalitarismo nazista è stata la demografia, la forte demografia tedesca nell'800 e nel 900. Il numero gioca un ruolo chiave nella diffusione delle idee. E questo vale per l'islamismo di oggi''.
- Un pericolo maggiore che il terrorismo "Il pericolo maggiore non è il totalitarismo islamista, è l'incapacità degli intellettuali occidentali di vedere il pericolo per la paura di essere tacciati di islamofobia e di razzismo. E fino a quando non lo faranno non si potrà combattere questo totalitarismo ''.
- Che fare dunque? ''La prima cosa è di definire le cose per quello che sono. Più si definiranno le cose e più facilmente si risolverà il problema, la soluzione è già nella diagnostica delle cose. In occidente invece si ha paura delle parole, si è terrorizzati da alcune parole. Per esempio dire che una parte della gioventù dell'immigrazione musulmana in Europa costituisce un potenziale pericolo, non tutta certo, una piccola parte. Ma è il cavallo di Troia che è già tra di noi''.
- Tra i jihadisti del Califfato ci sono numerosi giovani ''europei'' e non tutti sono degli esclusi e degli emarginati il pericolo è tra noi? ''Sì è là. Nelle tre decapitazioni degli ostaggi l'assassino parla con un accento londinese, sono musulmani nati in Inghilterra. E si sa che il responsabile della strage di Bruxelles è stato il carceriere per molti mesi di ostaggi francesi in Siria, che li ha picchiati, che ha torturato dei prigionieri siriani. lo ha riferito uno degli ostaggi. Vuol dire che oggi in Europa ci sono degli assassini potenziali, centinaia e centinaia di assassini potenziali che sono pronti a passare all'azione. Pensare che il pericolo sia confinato in Iraq, Siria in Sudan o in Mali è un grossolano errore: il pericolo è tra noi. Allora la prima cosa da fare è avere il coraggio di dirlo e poi è alla polizia fare il suo lavoro, controllare ciò che accade, controllare le emissioni televisive, le moschee attraverso cui arrivano dal medio oriente insegnamenti molto violenti''.
- L'attacco dell'islamismo radicale non è per caso passato dal piano terroristico a quello militare? ''Un confronto militare ma dove i combattenti del Califfo sono trentamila, sono un nulla dal punto di vista militare rispetto all'Occidente; li si può distruggere in una settimana, sul piano militare non hanno avvenire. Non siamo allo scontro stato contro stato, siamo nel quadro di un conflitto asimmetrico: come nel 1939 non sono le armi che mancano, è la determinazione politica di usarne. Era il senso dell'impegno di Churchill quando disse: voi avete voluto evitare la guerra e ora avrete la guerra e in più la viltà. Siamo nello stesso scenario di allora''.
(La Stampa, 25 settembre 2014)
Se il diritto internazionale viene applicato a corrente alternata
Quando Israele attaccava i terroristi a Gaza veniva condannato dagli stessi paesi arabi che ora sostengono l'attacco Usa contro i terroristi in Siria.
L'attacco aereo da parte di forze americane e arabe contro l'ISIS e altri obiettivi terroristici equivale agli attacchi aerei israeliani contro obiettivi terroristici di Hamas nella striscia di Gaza. Stando alle parole del generale a riposo Wesley Clark, gli attacchi aerei degli Stati Uniti mirano a "degradare e distruggere" le strutture dei gruppi terroristici, tra cui la rete elettrica, le loro fonti di finanziamento e altri obiettivi a doppio uso militare e civile.
Quando Israele ha attaccato obiettivi militari di Hamas, compresi alcuni a doppio uso militare e civile, è stato condannato da quegli stessi paesi arabi che ora partecipano e/o sostengono l'attacco congiunto in Siria di Stati Uniti e stati arabi. La differenza, naturalmente, è che la minaccia rappresentata dall'ISIS non è così incombente e immediata per gli Stati Uniti, i loro alleati occidentali e probabilmente neanche per i loro alleati mediorientali di quanto non fossero incombenti e immediate le minacce poste da Hamas per Israele....
(israele.net, 25 settembre 2014)
Netanyahu saluta il nuovo sottomarino nel porto di Haifa
Il primo ministro israeliano ha salutato l'arrivo del nuovo sottomarino di classe Dolphin-II nel porto di Haifa: il sommergibile, capace di lanciare testate nucleari a lunga gittata, è stato costruito in Germania. "Dobbiamo mantenere e aumentare le nostre capacità di difesa contro ogni minaccia", ha dichiarato Netanyahu durante la cerimonia del varo.
(la Repubblica, 25 settembre 2014)
Rosh Hashanah 5775 - Auguri di Netanyahu
"Un futuro di speranza per Israele e per gli ebrei"
"Gli ebrei celebrano il nuovo anno in tutto il mondo, e noi possiamo essere orgogliosi di tutto ciò che ci unisce. Il popolo ebraico, effettivamente, si unisce sempre quando deve affrontare grandi sfide, e l'anno trascorso non costituisce un'eccezione" così inizia il messaggio augurale per l'anno 5775 inviato dal Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle comunità ebraiche del mondo. Alla vigilia di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, il premier insiste particolarmente nel ringraziare e dare valore al sostegno ricevuto dagli ebrei della diaspora durante l'Operazione Margine Protettivo, la lunga guerra di Israele contro il terrorismo di Hamas nella quale "troppi dei nostri giovani uomini, assieme alle loro famiglie, hanno compiuto il più doloroso dei sacrifici", impegnandosi a garantire la sicurezza, nonostante le minacce antisemite diffuse a macchia d'olio: "A nome del popolo d'Israele, vi ringrazio per il sostegno alla nostra giusta campagna di autodifesa, volta ad assicurare la pace e la sicurezza prolungate che tutti gli israeliani meritano. Vi assicura altresì che in Israele continueremo a stare al vostro fianco mentre vi trovate ad affrontare odio e intolleranza. Gli ebrei devono essere in grado di poter vivere, ovunque siano, con fierezza e senza paura". Nonostante i difficili mesi che si lascia alle spalle, Israele è pronta ad iniziare il 5775 con nuove sfide: "Insieme abbiamo costruito una democrazia vibrante, un'economia robusta, e un punto di riferimento tecnologico mondiale. Nel nuovo anno Israele rimarrà un faro di libertà e di diritti umani, in una regione intollerante; Israele continuerà a essere una fonte di innovazione a beneficio dell'intero pianeta; e Israele non rinuncerà al suo sogno di una pace sicura e duratura con i nostri vicini". Il progresso scientifico, la democrazia, la solidarietà, lo spirito di abnegazione faranno in modo di far diventare Israele: "Una fonte di orgoglio e di forza per gli ebrei, ovunque essi vivano e -continua Benjamin Netanyahu- non ho alcun dubbio sul fatto che quello del popolo ebraico sia un futuro promettente e un futuro di speranza". Una speranza che risiede nelle stesse parole del suo inno e resiste strenuamente.
(moked, 24 settembre 2014)
Israele - Vietate carrozze e carri trainati dai cavalli
Secondo PETA si tratterebbe del primo paese al mondo ad avere vietato carri e carrozze trainate da cavalli e asini. Si tratta di Israele, dove una lunga battaglia portata avanti dagli animalisti è finalmente giunta al suo termine.
In particolare, sottolinea PETA, la campagna era stata diretta dall'associazione Hakol Chai, strenua oppositrice dell'usanza, che aveva documentato gli abusi perpetrati in danno di cavalli ed asini da lavoro. Affamati, picchiati, privati di cure veterinarie, oltre che costretti a lavorare per lunghe ore al giorno, sotto il sole e senza acqua e cibo. Quando non più in grado di lavorare, venivano semplicemente abbandonati.
"Siamo entusiasti per la vittoria conseguita, che premia la nostra lotta per porre fine ad una pratica crudele ed ormai fuori dal tempo". Così Reut Reshef, rappresentante del gruppo animalista, ha commentato la decisione.
Dal canto suo PETA si augura che la decisione possa divenire esempio anche per le città americane che continuano a fare uso delle carrozze. Una speranza, forse, anche per i cavalli italiani. Dalle botticelle delle tante polemiche romane, fino ai cavalli con stalle in box auto di Palermo.
(GEAPRESS, 25 settembre 2014)
Prendiamo atto della notizia, ma non ci entusiasma. La compassione dovrebbe avere altre priorità. M.C.
I sei milioni di ieri e quelli di oggi
Dopo settant'anni è come se la Storia avesse riconsegnato allo Stato di Israele quei sei milioni di persone uccise dalla barbarie di Hitler : oggi ci sono sei milioni di cittadini ebrei censiti nello stato.
di Mario Pinzauti
Accade spesso, molto più spesso di quanto la maggior parte del pubblico pensi, che grandi notizie vengano ignorate o sottovalutate dai giornali. E non solo perchè un buon numero di operatori dell'informazione non sa far bene il proprio mestiere o è influenzata dalla faziosità. Più spesso a determinare un fenomeno di miopia valutativa su certi fatti è l'incapacità del giornalista di vedere prima e di considerare poi il terreno di cultura su cui, nel corso di anni, se non di decenni questi fatti sono cresciuti fino a diventare oggi importanti, molto importanti.
E'quanto è avvenuto, ad esempio, per i risultati del censimento dei cittadini d'Israele. La notizia, dalla quale risultava che ai giorni nostri Israele ha 9 milioni di cittadini residenti, di cui circa 6 milioni sono ebrei, è stata pubblicata con risalto da tutta la stampa israeliana. E'stata invece pressocchè ignorata dalla stampa del resto del mondo. In Italia, almeno a quanto noi sappiamo, ha trovato spazio, e un adeguato approfondimento, solo su "La Stampa" di Torino, in un articolo a firma di Elena Loewenth. Un articolo che già nel titolo- "E ora sei milioni sono gli ebrei in Israele" - dice perché tutta la stampa internazionale, e non solo pochi quotidiani, avrebbero dovuto dire, proclamare al loro pubblico che si era in presenza di una grande, grandissima notizia.
Grandissima notizia perchè settant'anni fa, ai tempi della Shoah, dell'Olocausto, sei milioni furono gli ebrei sterminati dai nazisti nelle camere a gas, nei forni crematori, nelle fucilazioni di massa. Con le loro morti, con quelle di altri ebrei che solo la vittoria alleata strappò al carnefice nazista, Hitler si proponeva di ottenere "la soluzione finale" cioè l'estinzione totale degli ebrei. All'estinzione totale degli ebrei e dell'ebraismo la follia sanguinaria nazista non riuscì ad arrivare. Ma non andò lontano. Fino,appunto, alla morte di sei milioni di uomini, donne, bambini.
A questi sei milioni colpevoli di essere solo ebrei nessuno ha mai potuto e mai potrà ridare la vita. Ma il fatto che in una parte del mondo esista oggi un paese democratico ed evoluto con sei milioni di cittadini ebrei rappresenta anche una loro rivincita oltrechè una definitiva condanna della barbarie che, vanamente, tentò di cancellare la loro razza.
E tutto questo fa della notizia del censimento svoltosi a Israele una grande, enorme notizia che tutti i giornali del mondo avrebbero avuto il dovere di riferire e commentare col massimo risalto.
(il Journal, 24 settembre 2014)
Urtisti, gli ambulanti ebrei che hanno attraversato 150 anni di storia di Roma
Dalla bolla papale alla delibera di Marino: ecco chi sono gli urtisti, i commercianti che rischiano di scomparire dalle strade del centro.
La bolla papale mostrata durante la manifestazione di piazza di Spagna
Gli urtisti, o peromanti, o ricordari, rappresentano un pezzo di storia di Roma. La loro esistenza è datata prima dell'Ottocento. A regolamentarla una bolla papale che autorizzava le licenze ai commercianti di religione ebraica, a quel tempo ancora confinati all'interno del Ghetto. La loro religione infatti vietava la vendita di oggetti religiosi fuori dal 'loro territorio' e lo Stato Pontificio diede loro il permesso di vendere rosari ai pellegrini. Durante il fascismo viene loro assegnata una divisa. Sul berretto l'acronimo SFVA, Sindacato Fascista Venditori Ambulanti e per tutto il ventennio resistettero nonostante il clima attorno si facesse anno dopo anno più pesante.
A metterne a rischio l'esistenza l'arrivo dei nazisti in città che li dichiarò abusivi. La loro attività divenne nascosta, trasformandosi in vendita di sigarette ai soldati tedeschi.Finita la guerra il loro lavoro torna regolare, entrando nell'immaginario comune dei turisti che approdano a Roma. Nessun banco ancora , ma una cassetta di legno al collo, munita di cassettini con all'interno souvenir di tutti i tipi.
La loro fortuna negli anni '60 con il boom dei turisti. Le cassette, denominate gli schifetti, dal collo passano al cavalletto negli anni'70. In mezzo muri e gradini usati come appoggio. E' nella seconda degli anni '70 che avviene la trasformazione in bancarelle. Quattro schifetti diventano una bancarella e così vengono regolamentate le licenze.
Ora la richiesta della Soprintendenza e del Mibac, recepita dal Comune di Roma. Per gli urtisti una nuova battaglia. Obiettivo resistere.
(RomaToday, 24 settembre 2014)
La bandiera verde dell'Islam per le strade europee
I politici europei sono rimasti sorpresi nell'accertare la crescita del fondamentalismo islamico nel cuore del Vecchio Mondo. Secondo gli esperti non c'è nulla di sorprendente, si tratta di una conseguenza inevitabile della politica con doppi standard nella lotta contro il terrorismo.
Le bandiere verdi dell'Islam sono sempre più viste per le strade delle antiche città europee, dice la stampa occidentale. Uno degli esempi più noti è la polizia della sharia nella città di Wuppertal, vicino a Monaco, in Germania. Fino a pochi decenni fa era impossibile immaginare una cosa del genere. E ora i tedeschi con l'arrivo del crepuscolo vengono sorpresi mentre fanno uso di alcol e costretti ad ascoltare la predica di gruppi di ragazzi robusti in abiti arancioni con la scritta Polizia della Sharia. Finora, tutto si è limitato alle parole. Ma in genere, la violazione della Sharia nell'uso di alcol in alcuni paesi arabi prevede punizioni corporali. È significativo che i "vigilantes" della Sharia siano le stesse persone del posto: più spesso i migranti della seconda e terza generazione, ma perfino la popolazione indigena convertita all'Islam. Secondo gli esperti, una parte piuttosto significativa degli occidentali, e in particolare la gioventù tedesca, si trovano nel bel mezzo di una crisi, cercando così un'alternativa alla vita borghese. Negli anni 70 del secolo scorso, questi romantici sarebbero andato verso gruppi di sinistra. Oggi, ciò non esiste più, il vuoto per i ribelli e gli anticonformisti è riempito dall'Islam radicale. Il Direttore dell'Istituto di Valutazione Strategica Sergej Oznobischev dice:
«Lottare contro questo tipo di terrorismo è estremamente difficile perché le idee populiste elementari possono reclutare come alleati un sacco di persone socialmente disadattate. Secondo i teorici di spicco ed i professionisti della lotta al terrorismo, i ranghi terroristici vengono riforniti non solo dai poveri, i bisognosi e da coloro che sono dimenticati da tutti. Vi fanno parte anche persone che hanno piuttosto successo.»
Alcuni dei neofiti nella loro ribellione contro la società occidentale arrivano al punto di andare in guerra nei "punti caldi" dove sono nate le "primavere arabe". Una serie di colpi di stato nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa si sono trasformati in un solido muro di fuoco, circondato dai confini meridionali dell'Europa in un ampio arco di instabilità. Purtroppo, i Paesi europei sono diventati ostaggi delle loro politiche in materia di divisione dei terroristi tra "cattivi" e "buoni". Due pesi e due misure nel trattare con un tale materiale esplosivo quale è il fondamentalismo islamico naturalmente ha portato al fatto che l'Europa sia il prossimo obiettivo dei sostenitori del "califfato in tutto il mondo". Il Presidente del Centro per la Comunicazione Strategica Dmitry Abzalov ne è convinto:
«Troppi analisti hanno sottolineato che in futuro l'escalation di estremismo sarà dovuto all'Islam radicale, tra cui quello sunnita. Così, sostenendo, per esempio, le fazioni siriane, l'Occidente sta scavando la propria tomba. Poiché sullo fondo delle migrazioni è quasi garantito che l'estremismo si diffonderà in Europa. Mentre gli estremisti sono attirati nei punti caldi in Medio Oriente e Nord Africa. Ma non appena la situazione si stabilizza, inevitabilmente porteranno il loro radicalismo nel Regno Unito e in Germania.»
Oggi, i combattenti in Siria e ed Iraq, gli jihadisti europei, stanno cominciando a tornare a casa. E alcuni di loro possono anche assumere la guida dell' "ordine islamico" nelle città tedesche, o, per esempio, a Londra, per le strade in cui apparivano le pattuglie della sharia, tra l'altro, un anno fa. E i politici europei non hanno idea di cosa fare con questi concittadini. Una delle proposte è quella di privarli della cittadinanza. Tuttavia, non è chiaro quale possa essere la base giuridica e come spiegarlo all'opinione pubblica sottolinea Sergei Oznobischev:
«Prima di tutto è necessario un lavoro molto serio di prevenzione. C'è bisogno di mettere a punto tutta la sicurezza della catena. Queste catene potrebbero non funzionare correttamente. Possiamo vedere noi stessi, come, per esempio, il personale di sicurezza degli aeroporti si fissa su alcune piccole cose, occupando a vuoto il proprio tempo e ignorando i gravi problemi che richiedono attenzione. Le azioni dei servizi speciali deve avvenire ogni giorno, ogni ora e ogni minuto.»
Nel frattempo, il problema diventa più acuto con una stima secondo le agenzie di intelligence che migliaia di cittadini di paesi occidentali sono coinvolti nei combattimenti in Siria e in Iraq come appartenenti ai gruppi islamici radicali. Almeno il dieci per cento di loro decide di tornare a casa. E poi l'Occidente dovrà affrontare la più grave ondata di violenza a cui non è preparato. Forse ha senso ripensare radicalmente la strategia e rinunciare, infine, alla dottrina della "esportazione della democrazia" come strumento universale di espansione geopolitica.
(La Voce della Russia, 24 settembre 2014)
Roma - Il ricordo e lo studio della Shoah. Senza museo, si offende la memoria
Nel 2006 il progetto di realizzarlo nell'area attigua a Villa Torlonia, dopo otto anni non c'è ancora un mattone. Potrebbe nascere in un «mussoliniano» palazzo dell'Eur.
di Sergio Rizzo
ROMA - Quando prende forma il progetto per realizzare a Roma il museo nazionale della Shoah corre l'anno 2006.
C'è lo spazio: un terreno attiguo a quella villa Torlonia che sovrasta due catacombe ebraiche del secondo e terzo secolo ed era fino al luglio 1943 la residenza di Benito Mussolini, rilevato dal Comune a quello scopo per 15 milioni. E ci sono anche i soldi: un mutuo di 21 milioni della Cassa depositi e prestiti. Ma dopo otto anni non c'è ancora un mattone.
- Inghiottito dalla burocrazia
Nel 2007 l'amministrazione di Walter Veltroni approva il progetto preliminare di Luca Zevi e Giorgio Tamburini, donato al Comune dall'impresa Lamaro della famiglia Toti. E precipitato subito nel gorgo della burocrazia. Cinque anni spesi per i permessi, senza contare una variante al piano regolatore, una deroga per legge al patto di stabilità interna, l'approvazione del progetto definitivo... Finché il 17 maggio 2013 ecco il bando europeo per la realizzazione del museo. La pratica dovrebbe essere risolta in due mesi, ma la nuova giunta di Ignazio Marino proroga il termine di presentazione delle offerte di altri due mesi e mezzo. La Commissione per la valutazione delle offerte si insedia a ottobre e si prende quattro mesi di tempo. Poi però ne chiede ancora tre.
- Concorso europeo
Finalmente, a maggio 2014 inoltrato, il laborioso esame è concluso. Non resta, a quel punto, che aprire le buste e aggiudicare l'opera. Ma nessuno si prende la responsabilità di farlo. E i mesi passano.
Dell'esasperazione montante si fa portavoce Piero Terracina, sopravvissuto al campo di sterminio, che protesta per i ritardi inammissibili e chiede l'impegno alla posa della prima pietra almeno per il 27 gennaio 2015, settantesimo anniversario dell'apertura dei cancelli di Auschwitz, individuando contestualmente una sede temporanea fino al completamento dei lavori. Proposta appoggiata fra gli altri anche dall'architetto Zevi. Tutto inutile: le buste restano chiuse, mentre comincia a circolare la voce che il museo a villa Torlonia non si farà più, e lo spazio per un memoriale dell'Olocausto potrebbe essere ricavato incredibilmente in uno dei palazzi dell'Eur costruiti dal regime fascista per l'Esposizione universale del 1942.
- Colpevole «leggerezza»
Il risultato è che Roma continua a essere l'unica capitale europea, fra quelle colpite dalla tragedia immane delle deportazioni e della furia nazista, a non avere un museo dedicato al ricordo della Shoah. Una storia come ce ne sono a dozzine, nel Paese campione di inefficienze e burocrazia asfissiante. Ma che in questo caso offende profondamente, oltre al buonsenso, soprattutto la memoria. Non solo quella della nostra comunità ebraica, la più antica e oggi la più rappresentativa della città, ma dell'intero popolo italiano. E senza memoria, è sempre bene ricordarlo a chi troppo spesso se ne dimentica, non siamo niente.
(Corriere della Sera, 24 settembre 2014)
Capodanno ebraico: 13 torte per 1 (sola) ricetta perfetta
di Ruthie Rousso
Vorrei segnalare un fenomeno molto particolare che si verifica qui in Israele ogni anno, esattamente nel momento in cui l'estate viene cacciata via dall'inizio dell'autunno. Poco prima della fine di Elul tutte le panetterie israeliane, i caffè, le drogherie e i supermercati improvvisamente producono una selezione di dolci di colore denso, quasi ruggine. Assomigliano un po' al pan di spezie e hanno anche lo stesso aroma piccante: ma il loro sapore e la loro densità sono tutta un'altra storia. Sono dolci. Voglio dire, davvero, davvero dolci. La dolcezza e la texture speciale provengono dal miele. E cosa c'è di più dolce del miele? Beh, lasciate che vi racconti. Tanto miele. Un sacco di miele. Questo è il dolce modo ebraico per accogliere il Capodanno. Shanah Tovah anche a voi.
Questa tradizione di dolci al miele ha in realtà origine in Europa orientale. Laggiù il miele era una delizia scarsa e costosa, così quando gli immigrati ebrei sono arrivati in Israele, terra di latte e miele, sono stati travolti dalla sua abbondanza in Medio Oriente.
Le delicate torte di miele dell'Europa centrale e orientale sono state trasformate lentamente, diventando in Israele molto più dolci. Ognuno le compra quando sta per arrivare il Capodanno. Tutte le famiglie le servono agli ospiti o le portano ad amici e parenti, ma sembra che nessuno in realtà poi le mangi. Le torte al miele israeliane, come tutti noi possiamo testimoniare, sono appiccicose, oltre che troppo zuccherate e grasse, direi proprio unte. Questo perché i dolci israeliani sono solitamente realizzati con olio al posto del burro, per rispettare il Kasherut. Il fatto più sorprendente è che il web e tutte le sezioni di cucina di qualsiasi piattaforma di comunicazione sono piene fino all'orlo di ricette iper-dolci come queste.
Qualche anno fa ho deciso di porre fine a questa saga e trovare, una volta per tutte, la ricetta per la torta di miele migliore di sempre. Ho trasformato la mia cucina in un laboratorio scientifico progettato al solo scopo di produrre la torta di miele perfetta. Mi sono sforzata di realizzare una torta che fosse luminosa e ariosa, profumata solo dal miele e non dalla cannella o, peggio, dai chiodi di garofano. Così fuori dal forno sono uscite, una dopo l'altra, tutte le 13 versioni.
Le ho guardate, ho analizzato il loro gusto e la loro consistenza, e ho preso appunti quasi come un esperimento scientifico. Ho scoperto che separare tuorli e albumi e montarli era un'operazione noiosa, ma non efficiente. Il composto che ne risultava non era abbastanza forte per mantenere l'altezza della torta. Come miele avrei dovuto usare qualcosa di più forte e avrei dovuto aumentare la farina. Ho scoperto che il colore ruggine scuro dipende dall'uso del bicarbonato di sodio. E che l'uso di pentole di silicone eliminerà il bordo sexy bruno-dorato, così tipico di una torta gustosa. E alla fine la torta numero 13 è venuta fuori dal forno perfetta e orgogliosa. Una bella crepa al centro che mostrava un interno delicato e fragrante, che era solo moderatamente dolce.
E così ho ridefinito l'essenza di una torta di miele. Ho inciso la ricetta sulla solida roccia del disco rigido del mio computer e ho inviato una copia alla mia famiglia e agli amici. Da allora, ho sfornato molti dolci di miele, tutti basati su questo semplice impasto. A volte mi stacco dalla ricetta e aggiungo della frutta o una glassa. A volte mi attengo alla sua semplice bellezza originaria. Tutte le versioni presentate in questo post sono basate su questi esperimenti da scienziato pazzo. Una torta è stata tagliata a strati, e decorata con fichi maturi. Un altro impasto è stato mescolato con yogurt e uva, che ha conferito un aroma ricco e fresco. Il terzo ha beneficiato di una generosa aggiunta di tè Matcha giapponese in polvere...
Tutti questi 13 dolci sono stati consumati da me due settimane prima della festività.
Beh, se le torte dolci garantiscono un dolce, felice anno nuovo, io sono coperta per un bel po'...
(Corriere della Sera, 24 settembre 2014)
La guerra parallela di Israele
di Stefano Magni
Nel giorno in cui i Paesi della coalizione anti-Isis, a guida statunitense, hanno esteso i raid aerei anche al territorio siriano (con l'informale consenso del regime di Bashar al Assad, per altro), Israele continua a combattere la sua guerra parallela.
Due sono le azioni degne di nota delle forze armate israeliane, entrambe nella giornata di ieri. La prima è l'uccisione di due terroristi, Marwan Kawasame e Amer Abu Aysha, in uno scontro a fuoco, a Hebron, col le teste di cuoio israeliane. La seconda è l'abbattimento di un aereo militare siriano sul Golan.
Quanto alla prima operazione, i media si erano quasi del tutto dimenticati di questi due uomini, così come delle loro vittime. Si trattava, invece, di bersagli importanti: erano i principali ricercati del rapimento e dell'assassinio di Gilad Shaer, Eyal Yifrah e Naftali Frenkel, tre ragazzini ebrei, studenti di una scuola rabbinica, ritrovati a fine giugno dopo 20 giorni di vene ricerche. Quel fatto di sangue, avvenuto nei pressi di Hebron, ha segnato l'inizio dell'escalation che, di lì a una settimana, avrebbe poi fatto scoppiare l'ultimo conflitto a Gaza. Il movimento islamista palestinese Hamas, che inizialmente aveva negato ogni coinvolgimento nella vicenda del rapimento, solo dopo il conflitto a Gaza, il 22 agosto scorso, uno dei suoi leader, Saleh Arouri ha ammesso la responsabilità del gruppo. Marwan Kawasame e Amer Abu Aysha erano suoi membri e la leadership del movimento islamico, pur non essendo al corrente della loro azione (questa, almeno, è la versione, di Arouri) l'ha considerata una "operazione eroica", volta a "dare inizio a una nuova insurrezione". In pratica, Hamas ha deliberatamente provocato la guerra e se ne vanta, questo è il succo del discorso. La risposta israeliana, con l'uccisione dei due rapitori, è un nuovo colpo inferto a Hamas. Un colpo secco, che non darà adito ad alcun processo, né ad alcuna trattativa per lo scambio di prigionieri.
Quanto alla seconda azione, è ancora da appurare se l'aereo siriano, un Su-27 di fabbricazione russa, sia entrato nello spazio aereo israeliano per errore o per condurre una ricognizione. I due piloti dell'Su-27 si sono salvati lanciandosi con il paracadute, dopo che un missile Patriot israeliano lo ha centrato e abbattuto. L'abbattimento è stato confermato sia da fonti siriane che israeliane. L'episodio è stato celebrato come una vittoria dai ribelli siriani, che hanno subito postato il video su YouTube, ripreso (male) dalle vicine alture, dalla parte siriana del confine.
Il problema grave di questo episodio è che si inserisce nella più vasta guerra contro l'Isis, che, proprio da ieri, viene combattuta anche nello spazio aereo siriano. Il regime di Assad, che ha informalmente acconsentito ai raid aerei alleati sul suo territorio, contro le postazioni dell'Isis (contro cui combatte), può cambiare idea dopo uno scontro a fuoco con Israele, il nemico di sempre? Inoltre: nella guerra fra i ribelli (da cui è nato l'Isis quale costola più estremista) e Assad, Israele da che parte si schiera. Indubbiamente l'incidente di frontiera di ieri complicherà le cose, soprattutto da un punto di vista diplomatico. Assad, se mai volesse ripetere l'esperimento (fallito) di Saddam Hussein, potrebbe anche aumentare attacchi e provocazioni contro Israele, per attirarlo nel conflitto. La qual cosa provocherebbe lo scioglimento della coalizione anti-Isis, in cui è forte la componente araba-islamica. Ma, al momento, non è nel suo interesse farlo. Il regime è saldamente al potere, non rischia l'annientamento, non ha interesse a cercare uno scontro finale, disperato e generale. E i raid aerei statunitensi e alleati gli stanno facendo solo il favore di eliminare un po' dei suoi nemici più agguerriti e pericolosi. Più difficile comprendere la posizione di Israele. Finora, fra ribelli e Assad non si è schierato. Ha condotto un gran lavoro di intelligence (parte del quale è stato messo a disposizione degli Usa, per i loro raid contro l'Isis) e si è limitato a distruggere ciò che poteva essere pericoloso per la sua popolazione, eliminando, con raid mirati, i convogli di missili siriani diretti a Hezbollah, in Libano.
Lo Stato ebraico non è al centro dell'uragano jihadista che sta coinvolgendo i Paesi arabi del Medio Oriente, ma questa volta si trova in un'area di margine. Pericolosa, come sempre, ma esclusa dal principale conflitto in corso, che è essenzialmente una guerra religiosa fra musulmani (e relativa persecuzione di minoranze non musulmane). Il governo Netanyahu vuole restare fuori da questa burrasca, colpendo di volta in volta chi rappresenta una minaccia diretta. In primo luogo Hamas, che è sempre stato sponsorizzato dal regime siriano, poi punendo gli sconfinamenti di Assad e infine facilitando, con l'intelligence, la guerra aerea contro l'Isis in Siria e Iraq.
(L'Opinione, 24 settembre 2014)
Due noti archeologi israeliani in visita al Musel di Sestri Levante
Ingresso alle miniere di Masso. A sinistra, Edna Stern e Eliezer Stern
La settimana trascorsa ha visto la visita di due noti archeologi israeliani al Sistema Museale di Sestri Levante e Castiglione Chiavarese e al territorio del Tigullio.
Eliezer Stern, soprintendente per l'Alta Galilea, e Edna Stern, archeologa medievista dell'Israel Antiquities Authority, accompagnati da Fabrizio Benente, hanno visitato siti archeologici e musei del Tigullio, con particolare attenzione per il Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante e per il Polo Archeominerario di Masso.
Le scelte tecnologiche ampiamente adottate a Sestri e a Castiglione costituiscono un modello originale che può essere esportato in altri allestimenti museali.
Gli archeologi israeliani dirigono, unitamente a Benente e a Carlo Varaldo, il progetto di studio del quartiere medievale di San Giovanni d'Acri. Nel corso di questa visita, hanno potuto fruire della foresteria annessa al polo Archeominerario di Masso, ora perfettamente funzionante ed attrezzata per accogliere studenti e studiosi che abbiano intenzione di approfondire la conoscenza del nostro territorio.
Frutto di questa visita e della loro presenza sarà un articolo per una rivista di approfondimento e ampia divulgazione, destinata agli appassionati di turismo culturale. Nei prossimi mesi sono programmati ulteriori brevi soggiorni di specialisti e studiosi europei.
L'archeologia in Israele è una cosa seria, in una nazione che ha subìto infinite deportazioni di massa: quella in Egitto (con la successiva liberazione guidata da Mosé), quella babilonese, la diaspora dovuta alla rivolta contro l'impero romana, durata 2000 anni, e le innumerevoli stragi di massa, compiute dall'Inquisizione, dai pogrom in Europa dell'est e in Francia, fino agli orrori infami della Shoah nella Germania di hitler.
Parliamo di una delle più antiche civiltà del mondo, dove sono stati scoperti i manoscritti del Mar Morto, dove si incrociano diverse religioni, lingue, culture. Parliamo anche di una civiltà in pieno sviluppo, dove la tecnologia si sposa perfettamente con la ricerca archeologica a San Giovanni di Acri e non solo. Leggere questo nostro articolo per capire le ragioni di una "Start up Nation".
E' quindi importante questa visita, proprio per la possibilità di interscambio turistico e di tecnologie di scavo.
(Tigulllio News, 23 settembre 2014)
Uccisi i killer dei tre ragazzi israeliani
Sono morti in uno scontro a fuoco contro militari israeliani, vicino a Hebron, i due militanti di Hamas sospettati del rapimento e dell'uccisione di tre ragazzi israeliani, Eyal Yifrach, Ghilad Shaer e Naftali Frenkel, il 30 giugno scorso, episodio che scatenò l'ultimo conflitto tra lo Stato ebraico e i militanti palestinesi nella Striscia di Gaza. I due uomini, Amer Abu Aisheh e Marwan Qawasmeh, erano ricercati dall'esercito di Gerusalemme dal giorno del rapimento. Il portavoce dell'esercito, colonnello Peter Lerner, ha spiegato che i militari erano sulle tracce dei miliziani già da una settimana. Quando sono riusciti a raggiungere i due membri di Hamas in un edificio vicino alla città a sud della West Bank, è iniziato uno scontro a fuoco durante il quale sono stati uccisi i due terroristi. Fonti sul campo confermano la morte di uno solo dei due sospettati, ma Lerner afferma che i suoi uomini hanno visto il secondo cadere in mezzo alle fiamme dopo esser stato colpito dai proiettili israeliani, il che lascia pensare che anche lui sia deceduto anche se il corpo non è stato ancora ritrovato.
Fonti locali riferiscono che la tensione è tornata alta nella città della Cisgiordania dopo l'intervento dell'esercito dello stato ebraico. I militari avrebbero individuato l'edificio a due piani all'interno del quale si stavano nascondendo i due e avrebbero fatto brillare alcune cariche di esplosivo per scardinare le porte. I miliziani si sono sentiti braccati dagli uomini di Lerner e, così, hanno iniziato a sparare contro i soldati: "I nostri militari hanno risposto al fuoco e confermato di aver colpito i terroristi", precisa il portavoce. Il militare si dice soddisfatto di come l'esercito ha portato avanti l'operazione: "Eravamo determinati a portare davanti alla giustizia i crudeli assassini dei ragazzi. I nostri sforzi sono stati estesi e prolungati. Il successo della missione odierna mette fine alle lunghe ricerche. I responsabili del delitto non rappresentano più una minaccia per i civili israeliani". Il premier Benjamin Netanyahu parla di "giustizia": "La mano della giustizia di Israele, la nostra lunga mano, ha infine raggiunto" i presunti killer". Anche Hamas ammette che Abu Aisheh e Qawasmeh militavano nel braccio armato dell'organizzazione, le brigate Ezzedin al-Qassam.
I tre ragazzi erano stati rapiti il 12 giugno scorso, nella zona vicino a Betlemme, mentre facevano l'autostop. Le ricerche da parte delle autorità israeliane erano partite immediatamente ma, dopo 18 giorni, i cadaveri dei tre giovani sono stati ritrovati.
(il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2014)
Roma, 29 settembre - Presentazione del libro "Il Kaddish a Ferramonti"
Il Centro Internazionale di Studi Giudaici in collaborazione con la
Comunità Ebraica di Roma presenta lunedì 29 settembre alle ore 10:00
nella Sala delle Colonne di Palazzo Marini - Camera dei Deputati (via
Poli 19 - Roma) il libro "Il Kaddish a Ferramonti, le anime ritrovate". Oltre agli autori Enrico Tromba, Stefano Nicola Sinicropi e Antonio
Sorrenti, interverranno Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità
Ebraica di Roma, Massimo Bray, già ministro dei beni e delle attività culturali
e del turismo e Ivan Basana, presidente di Evangelici d'Italia per Israele.
Invito
(EDIPI, 23 settembre 2014)
Il cimitero ebraico di Perugia "sepolto" da degrado e incuria
Lungo la strada di San Girolamo c'è il luogo in cui nell'800 venivano sepolti gli ebrei. Riqualificato nel 2005, è di nuovo lasciato a se stesso.
di Lucia Pippi
L'antico cimitero ebraico di Perugia
Arrivarci non è facile. I gradini scavati nella terra non sono quasi più visibili e la vegetazione ha quasi del tutto ricoperto il sentiero che porta al cancello. Stiamo parlando dell'antico cimitero ebraico di Perugia che si trova in via San Girolamo, lungo la strada che collega Ponte San Giovanni al centro storico. Un luogo ricco di storia che, però, ormai da anni è stato completamente dimenticato. Sbirciando all'interno, oltre il cancello in ferro, l'incuria e il degrado sono ancora più evidenti. Ci sono dei piccoli arbusti che sono cresciuti in quelli che dovevano essere i sentieri attorno alle tombe e i rami e l'erba alta impediscono quasi del tutto la vista delle lapidi.
Ne sono rimaste pochissime di testimonianze in questo luogo di culto che è uno dei cimiteri ebraici più antichi e ancora presenti del centro Italia. Le tombe presenti risalgono tutte all'Ottocento. Nel 1874, infatti, alcuni esponenti della comunità richiesero di avere uno spazio loro riservato nel cimitero Monumentale. Un posto che fosse «cinto da mura, con separato ingresso», come citano le cronache dell'epoca. Il motivo? Il piccolo luogo di sepoltura di via San Girolamo era diventato insufficiente e per questo motivo si pensò di ampliare il Monumentale, inaugurato nel 1849, assegnandone una parte agli ebrei. Consegna che, come ricordano le stesse cronache del tempo, avvenne nel 1883.
Quasi subito si è del tutto persa la memoria di quel lembo di terreno in via San Girolamo che era stato il primo cimitero degli ebrei di Perugia. In tanti si tenevano lontano da quel luogo. Del resto era sempre un piccolo cimitero e incuteva terrore a chi, per qualche motivo, doveva avvicinarsi a quelle lapidi. Così la vegetazione, gli agenti atmosferici e l'incuria in poco tempo distrussero quasi del tutto quel lembo di terra recintato. Per oltre un secolo quasi nessuno ne parlò più. Fino al 2005, quando il Rotary Club di Perugia ha restaurato e sistemato l'antico cimitero con lo scopo di restituirlo alla comunità ebraica della città. All'epoca le tombe, poche per la verità quelle che sono sopravvissute all'incuria e al degrado di 100 anni di abbandono, vennero ripulite, la vegetazione attorno venne tagliata e sistemata. L'idea era quella di valorizzare una delle testimonianze più antiche del culto a Perugia e di riportare in vita uno spaccato della storia cittadina che soltanto in pochi conoscevano. A testimonianza di questo intervento c'è anche una lapide all'interno del muro di cinta. Lapide che, però, probabilmente dal 2005 nessuno ha più letto. Già, perché il destino di quel terreno è quello di venire dimenticato dalla gente in poco tempo, anche dagli appartenenti alla comunità ebraica. Adesso, infatti, a far da guardia alle lapidi ci sono solo le erbacce ed alcuni arbusti che sono diventati, con il tempo, veri e propri piccoli alberi. Un vero peccato per un posto che rappresenta una delle testimonianze più importante della presenza degli ebrei a Perugia durante l'Ottocento e che da sempre ne è parte integrante del patrimonio culturale.
(Giornale dell'Umbria, 23 settembre 2014)
Cultura ebraica e comunicazione - Un master aperto a tutti
di Lucilla Efrati
Il significato del termine "Kabbalà" nella tradizione rabbinica classica , lo Zohar e i momenti fondamentali della storia del pensiero mistico ebraico, la comunicazione ebraica in un contesto di crescente perfezionamento di strumenti e di tecniche. Si parlerà di questo e di molto altro nei corsi istituiti all'interno del Master di Primo Livello in Cultura ebraica e Comunicazione organizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nell'ambito del Diploma triennale in studi ebraici, che prenderà il via a fine ottobre.
L'integrazione degli ebrei in Italia è stata davvero un successo eccezionale, senza paragoni nella moderna storia europea? Come collocare nel contesto della storia italiana la svolta razzista del fascismo? Questi gli interrogativi che verranno affrontati nel corso di Storia contemporanea di Guri Schwarz, mentre nell'ambito della Storia moderna si risalirà con Micol Ferrara alla presenza ebraica nella nostra penisola a partire dall'espulsione degli ebrei dalla Penisola iberica, soffermandosi su importanti "luoghi" della presenza ebraica come Venezia, Ancona, Ferrara, Roma, Livorno, una riorganizzazione connessa al complesso rapporto tra mondo ebraico e mondo cristiano.
Diretto dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni che introdurrà allo studio della Bibbia e della tradizione rabbinica e coordinato da Myriam Silvera docente di Storia e Cultura degli ebrei alla Seconda Università di Roma, che affronterà i temi dell'antisemitismo con particolare riferimento all'istituzione dell'Inquisizione in Spagna e in Portogallo, il Master offre un ampio ventaglio di opportunità di studio e di approfondimento. Oltre all'introduzione alla Kabbalà, di cui si è detto, a cura di rav Benedetto Carucci Viterbi, Katrin Tenenbaum intraprenderà uno studio analitico delle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin per verificare l'incidenza di una particolare esperienza ebraica nella cultura europea tra le due guerre, in particolare nel rapporto tra messianesimo e filosofia. Nel corso di Roberta Ascarelli (Letteratura ebraica), i testi di Isaac Bashevis Singer verranno posti al centro di un' esplorazione sulla tradizione letteraria, religiosa e culturale del mondo yiddish, mettendo in evidenza fedeltà e mutamenti nella emigrazione nel Nuovo Mondo.
Un percorso nel tempo ebraico scandito dalle settimane, dai mesi, dagli anni, attraverso lo shabbat e le ricorrenze, sarà intrapreso in compagnia di rav Roberto della Rocca.
L'obiettivo si focalizzerà parimenti su giornalismo e comunicazione: Emanuele Ascarelli offrirà un quadro di insieme delle circostanze in cui gli ebrei e i temi ebraici destano l'attenzione dei giornalisti e degli operatori dei media; a Rossella Tercatin spetterà offrire un inquadramento dell'attività giornalistica in una società che cambia rapidamente, riflettendo sui linguaggi, con particolare attenzione ai cambiamenti introdotti dai nuovi media, alle opportunità che offrono web e social network, ma anche smartphone e tablet, non solo dal punto di vista della diffusione delle notizie ma anche come strumenti di lavoro. Fondamentale, lo studio della lingua ebraica con Ester Di Segni, che utilizzando il metodo dell'Ulpan (corsi di ebraico istituiti in Israele per i nuovi immigrati), insegnerà la grammatica di base con lo scopo di consentire una prima comunicazione in lingua, affrontando successivamente - approccio fondamentale per il Master - l'introduzione alla lettura del testo della Bibbia.
Ancora qualche informazione sulle lezioni di Ebraismo e Israele nel cinema contemporaneo. Ariela Piattelli accompagnerà gli studenti in un viaggio che,partendo dalle grandi correnti del cinema internazionale e da alcuni elementi del linguaggio cinematografico, affronterà le opere di importanti registi. Un particolare sguardo sarà dedicato ai film, ai documentari, alle serie televisive israeliane che affrontano i temi della memoria, dell'identità, del rapporto con l'altro, e della società israeliana (in particolare il mondo religioso). Non potrà mancare, ovviamente, la proiezione, totale o parziale, dei prodotti cinematografici studiati.
Le iscrizioni al Master, accessibile a tutti coloro che siano in possesso di una laurea triennale o di una laurea di vecchio ordinamento, saranno aperte fino al 29 settembre compreso.
(moked, 23 settembre 2014)
Peres fa "disoccupato" in video
Nei panni del benzinaio e del porta-pizza, ma sempre per la pace.
L'anziano seduto davanti all'impiegata dell'ufficio di collocamento ha difficoltà a tornare ad inserirsi nel mercato del lavoro. Il vecchietto è Shimon Peres, ex capo di stato di Israele e adesso "disoccupato". In un film satirico prodotto dalla nipote, Mika Almog, Peres indossa i panni di benzinaio, commesso o porta-pizza, ma anche rivestendo funzioni umili, si impegna per la pace.
Il video è andato in onda alla tv israeliana e è stato accolto con favore.
(ANSA, 23 settembre 2014)
L'anno palindromo
di Francesco Cataluccio
Mercoledì 24 settembre inizia il nuovo anno ebraico. Per la festa di Rosh haShana si mangeranno i melograni e si getteranno nei fiumi o nel mare (ma basta anche una fontanella o una piscina) gli oggetti che simboleggiano i peccati dell'anno prima (tashlikh). Risuonerà lo Shofar per risvegliare il popolo ebraico dal torpore e ricordargli che sta per avvicinarsi il giorno in cui verrà giudicato (Maimonide, Yad, Leggi della penitenza, 3:4). Rosh haShana è in un certo senso il "Giorno del giudizio" (Yom ha-Din). Nei midrashim si racconta che Dio si sederà sul trono con di fronte i libri che raccolgono la storia dell'umanità (non solo del popolo ebraico) e ogni singola persona verrà presa in esame per decidere se meriti il perdono oppure no.
Quest'anno che inizierà sarà il 5775. Una cifra palindroma. Come le parole "otto", "oro" o "ingegni". Per i qabbalisti, avvezzi a sviscerare i significati dei numeri, queste quattro cifre che si possono leggere indifferentemente da destra a sinistra o viceversa, scatta subito un campanello d'allarme (non necessariamente per qualcosa di negativo).
Quasi una quarantina d'anni fa, a Varsavia, avevo preso a frequentare il Teatro ebraico (Teatr Zydowski), in Piazza Grzybowski. Un vecchio salone, quasi sempre deserto, dove si recitava in yiddish e agli spettatori veniva fornita un'ingombrante cuffia con la quale poter ascoltare la gracchiante traduzione simultanea. Uno dei pezzi forti del repertorio era il Dibbuk di Salomon A. An-skij. Scritto nel 1913-14, originariamente in russo, il celebre dramma fu contemporaneamente composto anche in yiddish e nel 1918, tradotto in ebraico dal poeta Chaim Nachman Bialik.
Al centro del Dibbuk (il cui titolo è in yiddish Der dibek: tsvishn tsvey veltn, Il Dibbuk: fra due mondi, con riferimento al legame fra mondo dei vivi e dei morti) c'è la storia dell'amore impossibile fra Leah (Leye), figlia del ricco mercante Sender, e Hanan (Khonen), povero studente della comunità chassidica di Brynica. Senza speranza di poterla sposare, Khonen non esita a ricorrere alle arti segrete della Qabbalah pur d'impedire il matrimonio di Leye con altri pretendenti, ma rimane infine egli stesso vittima delle forze occulte che ha evocato. Il giorno del matrimonio con un giovane di buona famiglia, Leye ottiene il permesso di recarsi al cimitero per pregare sulla tomba della madre, ma sulla strada del ritorno è posseduta dal dibbuk di Khonen, lo spirito inquieto del giovane che si "attacca" (questo il significato della parola ebraica dibbuk) al corpo della sua sposa mancata, manifestandosi presso il baldacchino nuziale e mandando a monte il matrimonio. Leye viene quindi condotta dal rebbe Ezriel di Miropol, venerato tzaddik chassidico, per un esorcismo: ma il padre di Khonen, Nissan (Nisen), si manifesta dal mondo dei morti spiegando come Khonen e Leye fossero promessi sposi già da prima della loro nascita per un accordo giovanile fra genitori, di cui il padre della fanciulla si era dimenticato. Chiamato in causa innanzi a un tribunale rabbinico, Sender viene prosciolto dalle sue responsabilità e allo spirito di Khonen viene intimato, nel corso di un terribile rituale esorcistico, di lasciare il corpo di Leye. Minacciato di scomunica, il dibbuk deve abbandonare la ragazza, ma Leye, separata da colui che le era stato destinato, ne riconosce la voce durante il commiato e si lascia morire per ricongiungersi a lui per sempre.
Quella drammatica e triste storia di spiriti (uno di essi compare anche nel racconto all'inizio di uno dei migliori film dei fratelli Cohen: A Serious Man, del 2009) veniva messa in scena con l'ausilio di alcuni effetti speciali. Il dibbuk di Khonen svolazzava per aria come un trasparente lenzuolo di un fantasma che sembrava reale. Nonostante avessi assistito a diverse repliche non riuscivo a capire quale fosse il trucco. Così, dopo alcuni mesi, essendo diventato un buon conoscente di tutta la compagnia, osai chiedere a una bella attrice coi capelli crespi e rossi, dopo la fine dello spettacolo, quale fosse la magia che usavano per far apparire e sparire lo spirito inquieto. Mi sorrise e sussurrò che neppure loro lo sapevano. Durante la cena alla quale mi invitarono dopo lo spettacolo, per festeggiare il compleanno di un giovane attore, anche il regista e gli altri membri della compagnia mi confermarono che soltanto il tecnico delle luci, il vecchio e burbero signor Salomon, conosceva il trucco, essendone lui l'artefice avendolo, pare, ereditato da suo padre, gran mago degli effetti speciali del Teatro d'Arte di Mosca, ancor prima della Rivoluzione. Ma Salomon non lo si vedeva mai: arrivava appena prima dell'inizio degli spettacoli e spariva rapidamente appena calato il sipario.
Mi dissero però che era un'accanito bevitore. Capita l'antifona, comprai in un negozio in valuta per stranieri due bottiglie della migliore vodka. Mi appostai con molto anticipo, a sala ancora deserta, nei pressi della piccola cabina posta sopra l'altezza delle teste degli spettatori. Dall'oscurità vidi comparire un piccolo ometto, magrissimo, con i capelli bianchi lunghi, che zoppicava vistosamente. Quando mi vide fece per sparire dietro una pesante tenda. Ma vide brillare le due bottiglie che tenevo in grembo. Si avvicinò con un ghigno e venuto a sapere che erano per lui, si accasciò sbuffando su una panca nera. Mi sedetti anch'io e mi presentai. Gli allungai la vodka e gli chiesi, senza giri di parole, quale fosse il segreto del suo svolazzante dibbuk. Mi osservò a lungo in silenzio scuotendo la testa, e poi mi disse:"Non so e non posso dirtelo. E un segreto di mio padre che pratico quasi inconsciamente. Scusami, ma sono un tipo strano. Sono nato nel 5665 (il vostro 1904). Un anno palindromo".
Si fermò qui. Come se la spiegazione dovesse bastarmi, e giustificasse il fatto che si tratteneva le due bottiglie. Mi alzai, lo salutai e andai ad accomodarmi, come al solito, in settima fila per assistere a quello spettacolo che ormai conoscevo a memoria, ma che continuava a comunicarmi una certa inquietudine.
L'anno successivo, quando tornai a Varsavia, vidi che Dibbuk era stato tolto dal repertorio. Telefonai all'attrice coi capelli rossi, in procinto di trasferirsi a Parigi al seguito di un provvidenziale marito, che mi disse che Salomon era morto e nessuno di loro era più in grado di far volare, con i trucchi delle luci, gli spiriti.
(il Post, 23 settembre 2014)
Abbattuto da Israele sul Golan un caccia di Damasco
TEL AVIV
- Israele ha confermato di aver abbattuto questa mattina un caccia siriano in volo sulle Alture del Golan. «Un caccia è stato intercettato dal nostro sistema di difesa aerea sul confine siriano», si legge in una dichiarazione dellesercito israeliano, che precisa che il velivolo siriano, abbattuto con un Patriot, era entrato nello spazio aereo israeliano.
(Adnkronos, 23 settembre 2014)
E ora sono sei milioni gli ebrei in Israele
Settant'anni dopo
di Elena Loewenthal
«Vittoria del sionismo», titolava ieri a tutta pagina HaYom», il quotidiano a distribuzione gratuita più diffuso del paese. Non si tratta di campo di battaglia, non si tratta di lotta per l'indipendenza, non si tratta nemmeno di occupazione. Non è una vittoria conquistata con le armi ma raggranellata un numero dopo l'altro nelle sale parto, con tenacia e pazienza e voglia di esistere. «Storia» in ebraico si dice mi dor ledor: di generazione in generazione. Mai facile, ma meno che mai nel secolo appena passato. Eppure oggi vivono in Israele più di sei milioni di ebrei: così dice il censimento annuale i cui dati vengono pubblicati alla vigilia del Capodanno ebraico, ogni anno.
Israele conta quasi nove milioni di abitanti, cioè di cittadini dello Stato d'Israele (esclusi ovviamente i territori occupati). II che testimonia un trend di cresciuta per noi europei davvero inconsueto: quasi centottantamila e nel corso dell'anno (con un gap di cinquemila fiocchi rosa in meno di quelli celesti), ventiquattromila immigrati, quest'anno giunti soprattutto dalla Francia. Centoquarantamila matrimoni e trentaduemila divorzi. Cifre modeste, forse. Proporzionate a un paese grande, cioè piccolo, grosso modo quanto la Lombardia, anche se la sovraesposizone mediatica sembra dilatarne confini e misure.
Ma al di là di queste cifre, ce n'è una che non si può non definire storica, e ci vuole un attimo prima di capirti perché bisogna chiamare in causa la memoria, fare una terribile equazione mentale ed emotiva. Perché sei milioni di persone - qui vive e allora morte - non è un numero qualunque. Sei milioni è il numero dei morti sterminati nella Shoah: nel fumo dei forni crematori, nei ghetti, nelle fosse comuni, nelle fucilazioni di massa, nei giochi dei nazisti che usavano i neonati ebrei per il tiro al piattello, negli angoli dei ghetti, nei treni merci che attraversavano l'Europa pieni di vite e vuoti di morte. E ora, a settant'anni di distanza dal buco nero della Shoah, in Israele vivono sei milioni e cento-quattromila ebrei. Il sorpasso è d'un soffio o poco più. Ma è la prima volta che succede nella storia di questo piccolo paese, nella storia del movimento politico e spirituale che l'ha creato -il sionismo -. Ed è una vittoria che mette i brividi, tanto da meritarsi il titolo di giornale a tutta pagina, anche se il censimento è una consuetudine annuale in Israele, quasi a segnare una millenaria continuità bíblica Nel testo sacro, infatti, gli israeliti vengono ripetutamente contati. Prima da se stessi, poi dai romani, come capita nei Vangeli al tempo della nascita di Gesù.
Ma soltanto in questa contemporaneità che ha significato per l'ebraismo il capovolgimento di un destino bimillenario in due direzioni opposte - quella di morte nella Shoah e quella di vita nella rinascita dello Stato ebraico - il fatto di contarsi ha assunto un significato cruciale. Dopo la Shoah si è contato il silenzio di sei milioni di persone che non rispondevano più perché erano diventate fumo. II censimento israeliano di quest'anno è a suo modo un tiqqun olam, come si direbbe in ebraico: una riparazione del mondo. Oggi almeno i numeri in terra d'Israele hanno rimediato a quella terribile assenza che ancora ci accompagna tutti, a settant'anni di distanza.
(La Stampa, 23 settembre 2014)
Roma - Capodanno ebraico, divieto di sosta intorno alla Sinagoga
Tra domani e venerdì in vigore disciplina provvisoria di traffico
Tra domani e venerdì, per lo svolgimento della festività ebraica del Capodanno, presso la Sinagoga verrà istituita una disciplina provvisoria di traffico con divieto di sosta in via Portico D'Ottavia, Lungotevere Dè Cenci, Via Catalana, Via del Tempio. Nei giorni 3 e 4 ottobre, sempre per la festa del Capodanno Ebraico, verrà istituita una disciplina provvisoria di traffico presso le Sinagoghe in piazza San Bartolomeo all'Isola, via Padova, viale di Villa Pamphili, via Pozzo Pantaleo, via Paolo Veronese, via Tripolitania, via Giuseppe Pianese. Nella giornata di domani, inoltre, dalle 9 alle 13, in piazza Santi Apostoli, si svolgerà una manifestazione sindacale del settore dei dipendenti statali. Una delegazione chiederà di essere ricevuta in Parlamento. Nello stesso orario, saranno possibili disagi al traffico privato e deviazioni per le linee di autobus in transito nella zona di piazza Venezia.
(Leggo Roma, 23 settembre 2014)
Usa - Arab Bank condannata: ha finanziato i terroristi di Hamas
Un tribunale federale di New York ha oggi giudicato la Arab Bank responsabile di aver fornito consapevolmente assistenza finanziaria ad Hamas, che gli Usa considerano una organizzazione terrorista.
Il processo è durato 30 giorni al culmine di una battaglia legale durata quasi 10 anni. Ora sarà necessario un secondo processo per stabilire i danni da pagare alle circa 300 famiglie delle vittime di 24 attacchi in Israele, a Gaza e in Cisgiordania tra il 2001 e il 2004, che hanno citato la prestigiosa Banca basata in Giordania.
Il verdetto emesso oggi, nota il Wall Street Journal, è il primo negli Usa contro una banca in un caso del genere e potrebbe aprire la strada ad altre cause simili nell'ambito del Antiterrorismo Act del 1990, nota il quotidiano economico.
(Il Messaggero, 23 settembre 2014)
A ottobre il Jerusalem Peace Road Show
Dopo il positivo esito dello scorso anno, la Formula 1 torna a Gerusalemme con il Jerusalem Peace Road Show, in programma martedì 7 e mercoledì 8 ottobre 2014.
Nel corso dell'evento turisti e appassionati locali potranno assistere all'esibizione delle potenti vetture guidate da autisti esperti che si esibiranno lungo il circuito di gara che passa dal quartiere Montefiore al King David Hotel, lambisce il nuovo Waldorf Astoria, il Mamilla Mall, anche con punti di apertura verso le mura della della Città Vecchia, il Liberty Bell Park e la vecchia Stazione ferroviaria ora monumentalizzata. Sono già in vendita i biglietti per assistere in tribuna all'evento.
Al Jerusalem Peace Road Show prendono parte vetture come Ferrari, auto di Formula 1, di Formula 3 e 4, di Formula Master, così come un'auto da corsa della tipologia Nascar e anche unità demo della scuderia come la Ferrari Challenge, auto con potenza elevata con motore V8. Prevista anche una gara di Superbike e una esibizione delle "leggende" della Formula 1, famosi piloti dei Grand Prix,
Nel 2013 la Formula 1 ha fatto il suo debutto a Gerusalemme, portando Ferrari, Mercedes e altre auto da corsa per le vie della città antica, unendosi in questa esperienza ad altre città come Mosca e New York.
All'interno del complesso della Prima Stazione ci sarà una speciale vetrina chiamata Fan Zone dove saranno in mostra le memorabili auto da corsa e sarà possibile anche acquistare gadget unici. Ci saranno simulatori di guida e un premio a sorpresa per il partecipante con il punteggio più alto.
Per informazioni.
(agenzia di viaggi, 22 settembre 2014)
Creata in Israele un'agenzia per la protezione dai cyber attacchi
Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato il lancio di un'agenzia nazionale per la cyber difesa.
"La nuova struttura sarà responsabile della protezione degli obiettivi chiave e delle organizzazioni associate al Ministero della Difesa. Inoltre, l'agenzia dovrà proteggere i cittadini israeliani dagli attacchi informatici", ha detto Netanyahu in una riunione dei ministri.
A sua volta, il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya'alon ha dichiarato che il Paese è stato oggetto di cyber attacchi da Stati nemici, dai gruppi terroristici e hacker, ma questi attacchi non hanno causato gravi danni.
(La Voce della Russia, 22 settembre 2014)
In arrivo Rosh Hashanah, il capodanno ebraico
Al tramonto del 24 settembre in tutte le comunità ebraiche prenderanno il via le celebrazioni dello Rosh Hashanah, il capodanno ebraico: la festa dura due giorni ed è anche occasione di introspezione, bilancio e propositi di miglioramento nel rapporto con il prossimo
a cura di Ambra Marchese
La celebrazione di Rosh Hashanah, assieme a Yom Kippur, è parte di uno dei due giorni solenni del calendario biblico. Il termine letteralmente significa "capo dell'anno" e avviene tra il primo ed il secondo giorno del mese di tishrì (settembre-ottobre). Quest'anno esso viene celebrato tra il 24 e il 26 settembre.
Secondo la tradizione ebraica, questo giorno coincide con l'anniversario della creazione di Adamo ed Eva e viene chiamato, perciò, anche Giorno del Ricordo, enfatizzando la particolare relazione tra il Dio Creatore e l'umanità.
Nel Talmud è scritto che «a Rosh Ha-Shanà tutte le creature sono esaminate davanti al Signore». Non a caso tale giorno, nella tradizione ebraica, è chiamato anche "Yom Ha Din", il giorno del giudizio. Il giudizio divino verrà sigillato nel giorno di Kippur, il giorno dell'espiazione. Tra queste due date corrono sette giorni che sommati ai due di Rosh Ha-Shanà e a quello di Kippur vengono detti i "dieci giorni penitenziali".
Il giorno di Rosh Hashanah pone una certa attenzione sul rapporto di ogni uomo con il proprio prossimo e con Dio, come anche sui propositi di miglioramento.
LO SHOFAR - L'osservanza centrale di Rosh Hashanah è il suono dello shofar, il corno di montone, che rappresenta il suono di tromba eseguito in occasione dell'incoronazione di un re da parte del suo popolo. Il suono dello Shofar rappresenta una chiamata al pentimento (teshuvà), che è altresì connessa al peccato del primo uomo e al pentimento per esso. Lo shofar rammenta, inoltre, il dono della Torah nel Sinai, che fu proprio accompagnato da questo suono e allude anche al passaggio escatologico di Isaia 27:13, che annuncia i tempi messianici e descrive un grande shofar, una "grande tromba".
Il corno di montone è anche un simbolo connesso al sacrificio di Isacco e alla prontezza di Abrahamo nell'ubbidire al proprio Dio.
Israele, per Rosh Hashanah, supplica Dio che «il merito di Abrahamo possa stare sopra l'intero popolo» sicché Dio, nella sua compassione e misericordia, provveda un anno di vita, salute e prosperità. Durante il servizio del Capodanno, il popolo assiste al suono congiunto di cento shofar. Questo suono, biblicamente, serviva da segno per l'annuncio della santa convocazione, per cui Rosh Hashanah è detta anche la Festa delle Trombe.
I passaggi della Bibbia che descrivono questa celebrazione sono Levitico 23:23-25 e Numeri 29:1-6.
LA CELEBRAZIONE - Per Rosh Hashanah vengono consumati alcuni cibi dolci come una fetta di mela immersa nel miele (simbolo del desiderio di un anno dolce), i chicchi di un melograno (simbolo della richiesta che il popolo possa essere numeroso proprio come i chicchi di questo frutto) e altre pietanze tipiche. Inoltre, vengono recitate delle benedizioni vicendevoli utilizzando le parole Leshanah tovah tikateiv veteichateim ("che tu possa essere iscritto e sigillato per un buon anno") e ha luogo l'enunciazione del Tashlich, una particolare preghiera recitata in prossimità di una fonte d'acqua (mare, fiume, stagno ecc.), dopo essersi svuotati le tasche, a simboleggiare il disfarsi delle colpe commesse e un impegno simbolico a rigettare ogni cattivo comportamento, evocando il versetto biblico di Michea 7:19 («Getterai i nostri peccati nelle profondità del mare»).
In questo giorno vengono altresì svolte le consuete azioni dei giorni festivi che includono il Kiddush e la benedizione sulla Challah (pane intrecciato tipico del sabato ebraico, lo shabbat).
(evangelici.net, 22 settembre 2014)
Europa League: antisemitismo in curva, il Partizan a rischio sanzioni
di Edward Pellegrino
Dopo l'esclusione dalla Coppa UEFA 2007, il Partizan Belgrado rischia grosso nuovamente a causa del comportamento inaccettabile di una frangia dei propri tifosi (se così si possono chiamare): ai tempi, gli incidenti sugli spalti durante il match contro lo Zrinjski Mostar costarono al club bianconero l'espulsione continentale, mentre questa volta è uno striscione a sfondo antisemita a compromettere il cammino del club serbo in Europa League.
In occasione della sfida con il Tottenham (valevole per la prima giornata e conclusa a reti bianche), infatti, nel settore riservato agli ultras serbi, è apparso un cartello che recitava la scritta: "Only Jews and Pussies", che può essere tradotto con "Solo ebrei e conigli". Una scritta che si riferisce al fatto che gli Spurs sono molto seguiti dalla comunità ebraica in Inghilterra e non solo.
Un episodio a tinte antisemite che ha disgustato un po' tutti, ivi compreso lo stesso tecnico del Tottenham Mauricio Pochettino, il quale si è detto schifato e dispiaciuto per una cosa "vergognosa ed inaccettabile, una mancanza di rispetto". Così come successo in Champions League per gli incidenti avvenuti prima e durante la partita Roma-CSKA Mosca, fuori e dentro lo Stadio Olimpico, la UEFA ha immediatamente dato il via alle indagini di rito sull'accaduto, segnalato proprio dalla dirigenza del club inglese, ed è probabile che applicherà delle sanzioni esemplari.
Il Partizan Belgrado, come detto, rischia grosso: non un'espulsione dall'Europa League, come successo nel 2007, ma una lunga chiusura del proprio stadio (l'FK Partizan) in vista dei prossimi impegni a livello continentale.
(mondiali.net, 22 settembre 2014)
Israele, il ministro dell'agricoltura: Non applicheremo le sanzioni Ue contro la Russia
Yair Shamir annuncia l'intenzione di triplicare le esportazioni verso Mosca
di Pino Salerno
Il ministro dell'Agricoltura di Israele, Yair Shamir, in un'intervista all'agenzia di stampa nazionale russa Ria Novosti, ha detto che Israele non applicherà le sanzioni contro la Russia previste dalla Unione Europea e continuerà ad esportare verso Mosca i suoi prodotti agricoli. Shamir ha affermato che tra le ragioni di questa decisione vi è il boicottaggio europeo contro le merci israeliane prodotte nella West Bank. Già il 10 settembre, quando le sanzioni europee contro Mosca avevano ottenuto come risultato il boicottaggio lanciato da Putin contro i prodotti agroalimentari provenienti dalla UE, il ministro dell'Agricoltura israeliano aveva garantito a Mosca che "Israele avrebbe riempito quel vuoto", con i suoi prodotti alimentari. "Prima di tutto", ha detto Shamir, "io non avverto le pressioni UE e nemmeno le vedo. Si tenga conto che ultimamente gli europei stanno mettendo in atto un boicottaggio dei nostri prodotti. È così che deve andare? Boicottano noi, e noi non dovremmo aiutare qualcun altro? Non è possibile. Non si può fermare il commercio con Israele, da un lato, e dall'altro chiederci di fermare i nostri commerci con la Russia. Non è certo questo il modo per collaborare assieme. Gli europei devono decidersi".
Shamir ha descritto le sanzioni europee contro la Russia come un'opportunità per Israele, sottolineando che Israele è pronta a triplicare le esportazioni dei prodotti agricoli verso Mosca, passando dagli attuali 325 milioni di dollari, ad un miliardo di dollari l'anno. "Anche se si riducessero le sanzioni contro la Russia", ha proseguiro Shamir, "credo che i nostri prodotti continueranno ad affluire verso la Russia. Sarà più facile fare accordi con noi, meno costoso e più stabile, e senza alcun vincolo politico su ciò che si può fare e ciò che non si può fare". Le dichiarazioni del ministro dell'Agricoltura israeliano sono comparse sul sito in lingua inglese dell'agenzia Ria Novosti, e hanno subito messo in allarme le burocrazie di Bruxelles, che hanno chiesto conto all'Ambasciata d'Israele. Dopo l'incontro tra i vertici della burocrazia della UE e i vertici del ministero degli esteri israeliano, pare che ci sia stato un grosso conflitto con il ministero dell'Agricoltura, al quale era stato chiesto di non fare più simili commenti, mentre ancora divampa il fuoco della guerra in Ucraina.
Dal ministero dell'Agricoltura è venuta questa tagliente risposta: "il ministro non ha espresso un'opinione. Nè intende intervenire nel conflitto tra Russia e Unione Europea. Il ministro lavora per espandere le esportazioni agricole alla Russia, esattamente come fa in altri mercati, per concretizzare il potenziale economico di Israele. E continuerà a farlo, esclusivamente sulla base del commercio, non della diplomazia".
(il Velino, 22 settembre 2014)
Israele - Superati gli 8 milioni e 200 mila abitanti
GERUSALEMME - La popolazione israeliana ha superato gli 8 milioni e 2 mila abitanti, numero che comprende anche i palestinesi di Gerusalemme est. Lo rende noto un rapporto dell'Ufficio statistico nazionale pubblicato oggi in occasione del Nuovo anno ebraico.
Su 8.252.000 abitanti, 6.104.000 sono ebrei (75%), 1.683.000 arabi, musulmani e cristiani (20,7%) e circa 347.000 (4,3%) non sono ne' ebrei o arabi e sono registrati come senza religione o cristiani non arabi. Si tratta in maggioranza di immigrati dall'ex Urss che hanno ottenuto la nazionalita' israeliana grazie ad un parente ebreo. Di queste statistiche fanno parte anche i circa 270.000 palestinesi - che non hanno la cittadinanza israeliana - di Gerusalemme est, occupata da Israele nel 1967.
La popolazione israeliana e' aumentata di circa l'1,9%, un ritmo simile a quello osservato negli ultimi anni. Sempre secondo il rapporto, il 28,2% degli israeliani ha meno di 14 anni, una delle percentuali piu' elevate fra i Paesi occidentali.
(Internazionale, 22 settembre 2014)
"Abbiamo 15 secondi per catturare un ricercato". Tzahal, dietro le quinte dell'Unità "Ciliegia"
Esce in Israele il libro "Ki BeTachbulot" (Con gli stratagemmi) scritto da due ufficiali della riserva che raccontano i segreti dell'unità "Duvdevan". Creata nel 1986 per operare fra la popolazione palestinese della West Bank, si serve di soldati perfettamente mimetizzati nella società araba, al fine di catturare i terroristi "prima che possano colpire".
di Maurizio Molinari
"Abbiamo solo 15 secondi per catturare un ricercato". Ad alzare il velo su una delle unità più segrete dell'esercito israeliano è il libro "Ki BeTachbulot" (Con gli stratagemmi) scritto a quattro mani da due ufficiali della riserva che si firmano solo con i nomi propri: Ido e Yaniv. L'unità in questione è "Duvdevan" (Ciliegia) creata nel 1986 per operare stabilmente fra la popolazione palestinese della West Bank, con soldati perfettamente mimetizzati nella società araba, al fine di catturare i terroristi "prima che possano colpire". Ido e Yaniv sono stati sotto le armi dal 1999 al 2002 e da allora sono ufficiali della riserva. Il titolo del libro richiama il motto di "Duvdevan", preso dai Proverbi 24:6, "E' con gli stratagemmi che andrai alla guerra".
Gli autori li descrivono senza violare i limiti imposti dalla censura - che gli proibisce di rivelare i loro cognomi - spiegando anzitutto che il segreto dell'efficienza dell'unità "Ciliegia" è di "essere sempre presente su territorio in Giudea e Samaria per potersi attivare con grande rapidità quando arrivano le indicazioni dell'intelligence". Il rapporto con l'"intelligence è fondamentale perché appena vengono a sapere che un ricercato è in un luogo specifico ce lo comunicano, e sta a noi intervenire". La velocità è essenziale perché "un'informazione di intelligence può essere valida solo per breve tempo" e così i soldati travestiti da arabi hanno "non più di 15 secondi per catturare un ricercato" nella consapevolezza che "arrivare a 20 secondi può significare doversi confrontare con la folla in strada" innescando scenari ad alto rischio.
La caccia ai "ricercati" è, spiegano gli autori, uno "strumento indispensabile per combattere il terrorismo" in quanto "consente di prevenire numerosi attentati". Ido e Yaniv parlano di "frequenti arresti di terroristi presi mentre stanno andando a compiere un attentato, spesso con indosso bombe o cinture esplosive". Catturarli "spingendoli dentro un'auto civile per allontanarsi a tutta velocità" comporta "rischi molto alti" e spiega perché nel 2002 Eyal Weiss, comandante di "Duvdevan", rimase ucciso nel corso di un'operazione nel villaggio arabo di Saida "dove dovevamo catturare tre ricercati".
Conoscenza perfetta della lingua e mentalità araba, costante presenza dentro città e villaggi della West Bank, capacità di operare "con preavvisi di pochi minuti" e abilità nell'uso delle tecnologie più sofisticate fanno di "Duvdevan" un'unità top secret di Tzahal - le forse armate israeliane - ma Ido tiene comunque a far sapere che "il nostro lavoro mette a durissima prova i valori morali" perché "entrare in una casa di notte arrestando un ricercato senza toccare il figlio o altri famigliari" è "un compito che può essere molto difficile, esponendoci a rischi personali molto alti per la sicurezza".
(La Stampa, 22 settembre 2014)
Oltremare - Di corsa verso il 5775
Della stessa serie:
Primo: non paragonare
Secondo: resettare il calendario
Terzo: porzioni da dopoguerra
Quarto: l'ombra del semaforo
Quinto: l'upupa è tridimensionale
Sesto: da quattro a due stagioni
Settimo: nessuna Babele che tenga
Ottavo: Tzàbar si diventa
Nono: tutti in prima linea
Decimo: un castello sulla sabbia
Sei quel che mangi
Avventure templari
Il tempo a Tel Aviv
Il centro del mondo
Kaveret, significa alveare ma è una band
Shabbat & The City
Tempo di Festival
Rosh haShanah e i venti di guerra
Tashlich
Yom Kippur su due o più ruote
Benedetto autunno
Politiche del guardaroba
Suoni italiani
Autunno
Niente applausi per Bethlehem
La terra trema
Cartina in mano
Ode al navigatore
La bolla
Il verde
Il rosa
Il bianco
Il blu
Il rosso
L'arancione
Il nero
L'azzurro
Il giallo
Il grigio
Reality
Ivn Gviròl
Sheinkin
HaPalmach
Herbert Samuel
Derech Bethlechem
L'Herzelone
Tel Aviv prima di Tel Aviv
Tel Hai
Rehov Ben Yehuda
Da Pertini a Ben Gurion
Kikar Rabin
Sde Dov
Rehov HaArbaa
Hatikva
Mikveh Israel
London Ministor
Misto israeliano
Fuoco
I cancelli della speranza
Finali Mondiali
Paradiso in guerra
Fronte unico
64 ragazzi
In piazza e fuori
Dopoguerra
Scuola in guerra
Nuovo mese
Dafka adesso
Auguri dall'alto
di Daniela Fubini, Tel Aviv
Ma dove corrono tutti, in questi giorni? Uno cerca di pedalare placidamente fino al lavoro alle otto del mattino, e la città è avvolta in una elettricità nuova, che si traduce fra l'altro in passanti che attraversano le visibilissime strisce della ciclabile senza guardare, mentre parlano al telefono o scrivono sms o email camminando di fretta. E nel fare la jimcana fra i passanti distratti, bisogna anche cercare di non centrare in pieno i nuovi corridori del mattino, che pullulano in numeri allarmanti, sudati e con l'aria decisa del comandante che porta il battaglione verso vittoria sicura. Al ritorno la sera, stessa scena di zigzagamenti contro ogni logica e regola del traffico, ma da parte di persone vestite normalmente e con scarpe non da ginnastica: ma comunque, impegnate nella staffetta fra i negozi.
Insomma, siamo a quasi un mese dalla Night Run, la corsa di 10 chilometri che attraversa la città, e siamo anche a pochi giorni da Rosh Hashana (che mette fretta a tutti, con le compere e i regali e la spesa per le numerose cene, e il sistemare la casa che arrivano ospiti). Siamo anche a valle di una guerra che ha tolto a tutti noi l'estate e ci fa sentire la fretta di chiudere con questo anno ebraico 5774 che prima se ne va e meglio è. Quindi sono grata di non essere una amante della corsa, perché mi immagino cosa sarebbero queste settimane se alla abituale frenesia delle feste dovessi aggiungere un'ora e mezza fra uscita, jogging, sudore, doccia, colazione e ri-uscita di primo mattino.
Mi basta la buffa sensazione delle feste ebraiche che somigliano a tutte le feste stagionali in ogni paese del mondo: diventiamo tutti più buoni, ci occupiamo un po' di più della famiglia, facciamo giri di telefonate e mandiamo email con auguri mielosi, e facciamo della beneficenza. Se non fossi certa al mille per cento di vivere in un luogo assolutamente unico per un numero infinito di motivi, direi che tutto il mondo è paese.
(moked, 22 settembre 2014)
Roma, di evento in evento
Stefano Torossi racconta con ironia e dovizia di particolari la settimana appena trascorsa, tra il Festival di Letteratura e Cultura Ebraica.
di Stefano Torossi
- Festival di Letteratura e Cultura Ebraica, lunedì 15 al Ghetto.
Antonio Monda tenta di indurre alla parola Ennio Morricone, il quale è insensibile alle moine sempre in agguato sulla lingua degli intervistatori. Se non sente bene una domanda, e questo è successo diverse volte, un po' forse per difetti nell'impianto di amplificazione del Palazzo della Cultura, un po' probabilmente per difetti nell'impianto di ascolto del Maestro stesso (che va verso i novanta), se la fa ripetere senza imbarazzo. E si guarda bene dal farsi incastrare dal giornalista, o dal seguirlo se la domanda non gli garba. Va per la sua strada senza cercare di fare il simpatico. Perché Morricone al Ghetto? ci siamo chiesti. Poi è uscito l'ovvio: protagonista di "C'era una volta in America" è la comunità ebraica del Lower East Side di New York.
Abbiamo visto qualche sequenza. Sappiamo tutti che film è. E poi c'è la sua musica, così ricca di temi che neanche Puccini... Poche parole del maestro sulla cautela nell'uso della musica a supporto, anzi a servizio delle immagini; perché questo è il suo compito: integrare nell'orecchio il flusso drammatico, senza rubare niente all'occhio. Tanto è vero che, se serve, è ancora più efficace il silenzio. A sostegno di quest'ultima teoria ci hanno ammannito la lunga scena della violenza in auto. Vari minuti, appunto senza una nota. Francamente inutile; il concetto ci era arrivato. Un po' come se a una degustazione ad alto livello, ti facessero bere un bicchiere di Tavernello, e poi ti chiedessero: "Hai capito?".
- Martedì 16, stesso Festival; dalla cultura alla culinaria.
Tavole all'aperto nei giardini della sinagoga. Piatti poveri della cucina romanesco giudaica, ottimo vino, tutto rigorosamente kosher. Noi non sappiamo fare neanche due spaghetti, il vino in compenso ci interessa. Quindi abbiamo cercato di approfondire la vinificazione kosher. O per le spiegazioni insufficienti, o per nostra disabilità mentale, o perché di quell'ottimo vino forse ne avevamo bevuto troppo, crediamo di essere riusciti a capire solo un paio di regole fondamentali: che tutti gli impianti devono essere lavati e rilavati a ogni uso, e questo non c'è neanche bisogno di dirlo. E che in alcune fasi della lavorazione è permesso intervenire solo a ebrei ortodossi sorvegliati da un rabbino, e questo non ci sembra altrettanto chiaro, a meno che l'ortodossia di cui sopra sia obbligatoriamente accompagnata da un buon diploma di enologo. Ma non ce l'ha confermato nessuno.
(Fonte: globalist, 22 settembre 2014)
Mike Harari (1927-2014)
Mike Harari
È scomparso a 87 anni Mike Harari, il leggendario agente del Mossad coinvolto nell'Operazione Entebbe, la cosiddetta Mivtsa' Kadur Ha-ra'am, nella quale Israele riuscì a salvare i passeggeri di un aereo preso in ostaggio da un gruppo di terroristi palestinesi (unico soldato a perdere la vita fu il fratello di Benjamin Netanyahu, Yeonathan) e nell'Operazione Mivtza Za'am Ha'el, risposta alle sanguinose Olimpiadi di Monaco del '72 nelle quali vennero uccisi 11 atleti israeliani.
Nato a Tel Aviv nel 1927, ha iniziato giovanissimo a far parte della Palmach (la forza di combattimento precedente alla nascita dello Stato di Israele) in lotta contro gli inglesi per ottenere l'indipendenza ed è poi entrato nello Shin Bet, il servizio di intelligence per gli affari interni, occupandosi di sicurezza. Una volta ottenuto un posto nel Mossad, si è preso in carico le operazioni più delicate, riscuotendo grandi successi ma affrontando anche situazioni di crisi (caso esemplare: l'uccisione dell'uomo sbagliato quando si cercava la mente dietro al massacro di Monaco, errore a causa del quale presentò le dimissioni al premier Golda Meir che le rifiutò). Diventa poi capo dei servizi segreti israeliani nella ramificazione del Latino-America. La sua permanenza a Panama fa sollevare molte polemiche e dicerie che lo volevano in rapporti con il presidente Manuel Noriega, fatto sempre negato dallo stesso Harari.
Il leggendario agente che amava l'opera e l'arte è stato impersonato nel 2005 dall'attore israelo-marocchino Moshe Ivgy nel film di Steven Spielberg Munich. Moshe Ya'alon, ministro della Difesa, lo ricorda: "Chiunque abbia avuto il privilegio di conoscerlo, sa quanto fosse creativo e coraggioso. La sua influenza sul Mossad e l'esercito è evidente nel presente e continuerà ancora per molti anni". L'uomo delle operazioni, delle soluzioni creative, l'uomo da chiamare in tempi di massima allerta, l'uomo sul quale aleggerà per sempre un velo di mistero. Mike Harari era tutto questo.
(moked, 22 settembre 2014)
Il Mossad cerca spie nei Paesi arabi, Iran, Russia e Francia
GERUSALEMME - Il britannico Mi6 e la Cia da tempo reclutano anche online i potenziali James Bond. Il loro cugino israeliano, il Mossad, per ovviare alla difficolta' concreta di avere ambasciate solo in due Paesi arabi, Egitto e Giordania, e' stato costretto a lanciare una massiccia di campagna di reclutamento di 007 o semplici informatori esclusivamente online. Campagna che - come si vede - sta anche pubblicizzando sulla stampa mondiale.
"Tutti sono i benvenuti, a prescindere dalla religione, nazionalita' lavoro, basta contattare la nostra organizzazione, il Mossad, per lavorare per noi o per essere coinvolti in attivita' che potranno grandi benefici personale. Leggete la nuova sezione "Contact us" sul sito web del Mossad", di cui viene fornito anche l'indirizzo. Sito disponibile in arabo, farsi (la lingua parlata in Iran) francese e russo.
Per il Mossad "assicurare totale discrezione e riserbo e' la massima priorita' ed e' alla base dei nostri contatti. Vi suggeriamo di valutare (prima di presentare domanda) se il computer che usate e il luogo da cui vi connette sia sicuro.
Sarebbe piu' sicuro rimpire il formulario usando mezzi che non siano direttamente collegabili a voi", suggerisce il Mossad, lasciando intendere che gia' dal primo passo ci sara' una selezione naturale: gli incapaci e imprudenti non ci servono e quindi se vengono sorpresi sono affari loro.
(AGI, 22 settembre 2014)
L'ebreo che non volle più correre. Tokazier e lo scippo di Helsinki
Primo sui 100 metri nel '38, punito dalla Finlandia succube dell'avanzata nazista. Un testa a testa, poi la beffa. La corsa è serrata, il ragazzo con la divisa del Maccabi taglia il traguardo per primo ma viene considerato quarto dietro tre «ariani».
di Graziana Urso
Abraham Tokazier taglia per primo il traguardo
Cancellato dalla storia con un tratto di penna, al collo la medaglia recisa dal vento antisemita. Finlandia, 1938. Un omaggio all'alleato tedesco, prima ancora che la follia nazista spalanchi le porte del lager. Abraham Tokazier, sprinter ebreo di Helsinki, non finirà i suoi giorni in un campo di concentramento come i 59 israeliti consegnati dal governo finnico a Hitler durante la Seconda guerra mondiale, ma dell'atletica non vorrà più saperne. «Insanabile la ferita dell'ingiustizia subita», rivela oggi il nipote Helliel.
Quell'estate Abraham è determinato a bruciare i 100 metri in una gara nazionale di velocità sulle rive del Baltico, nella città in cui è nato e cresciuto. La Helsinki d'inizio secolo, non ancora capitale della Finlandia indipendente dal dominio zarista, è un centro residenziale attraversato da un imponente sviluppo urbanistico, in cui si respira un clima di tolleranza culturale e civile. Abraham sa di essere ebreo solo perché frequenta la sinagoga in stile Art Nouveau sorta nel 1906, e perché è un atleta del Maccabi club cittadino, polisportiva d'ispirazione sionista.
Per la sua società è stato anche giocatore di football e pesista, ma è soprattutto un corridore, un velocista. Ha vinto una medaglia d'argento nei 100 di una manifestazione nazionale e ha rappresentato la Finlandia due volte, contro Svezia e Ungheria. È un atleta piuttosto noto quando s'iscrive all'evento che inaugura il nuovo stadio della capitale, l'Olympiastadion, un gioiello funzionalista situato nel distretto di Töölö.
Ci sono voluti quattro anni perché l'idea degli architetti Yrjö Lindegren e Toivo Jäntti trovasse la sua forma, ma il 21 giugno 1938 tutto è pronto. Sarà un assaggio dell'Olimpiade che bussa alle porte, quella che segue i Giochi di Berlino rivelatisi un boomerang per le teorie naziste sulla superiorità della razza ariana.
Abraham, che considera lo sport una zona franca, vuole emulare il suo idolo, un altro atleta finnico affiliato al Maccabi, Elias Katz, campione olimpico nei 3mila a squadre con la Finlandia ai Giochi di Parigi: l'obiettivo è partecipare all'Olimpiade di casa, e quella gara sarà la prova che può farcela.
La corsa è un testa a testa fino a quando Abraham, in divisa Maccabi, non taglia per primo il traguardo. Lo vedono tutti, arriva anche l'annuncio ufficiale: è lui il vincitore. Pochi minuti dopo, un secondo annuncio: i giudici assegnano la vittoria ad Aarre Savoilanen; due Toivo, Hakkinen e Avellan, completano il podio. Tokazier è solo quarto. Non ci sono irregolarità nella sua gara. Irregolare è la sua superiorità atletica: è un corridore ebreo.
Sono mesi che in Finlandia è partita una latente campagna antisemita. Per opportunismo politico - incombe la minaccia sovietica - il Paese guarda con simpatia al Terzo Reich, dove l'escalation di discriminazioni e violenze ai danni degli ebrei non risparmia neanche gli sportivi. Lo stesso Katz, che dopo il successo parigino si era trasferito a Berlino, nel 1933 era stato costretto a lasciare la Germania.
Tra le due guerre la comunità ebraica finnica conta duemila membri, troppo pochi per promulgare leggi razziali, come accadrà in autunno a Roma. Hitler non fa pressioni, ma meglio non contrariarlo. Così, i giornali cominciano a chiedersi se sia il caso di ammettere atleti ebrei ai Giochi del 1940, in previsione del probabile affiusso di turisti tedeschi: perfino il presidente della Federazione sportiva finnica Urho Kekkonen, futuro presidente politico della Finlandia, ufficialmente antinazista, esprime considerazioni ambigue sugli ebrei nella corrispondenza privata degli anni Trenta.
Insomma, Tokazier non può vincere, tanto meno quei cento metri che non poco imbarazzo avevano suscitato a Berlino dopo il trionfo di Jesse Owens. Nel pubblico c'è una delegazione del Führer e Abraham è un nome troppo ebreo per essere abbinato alla corsa più rappresentativa della manifestazione. Non vale l'oro, dev'essere consegnato all'oblio.
Ma una traccia della verità resta: una foto, nitida, inequivocabile, viene pubblicata il giorno dopo da alcuni giornali indipendenti. Uno di loro titola: «Il vincitore arriva quarto». Il presidente del Maccabi sporge reclamo perché Tokazier riceva la medaglia negata, ma ottiene solo il silenzio della Federazione.
Settantacinque anni dopo, inaspettatamente, quel reclamo viene accolto. È un libro pubblicato nel 2013 dallo scrittore Kjell Westö a riaccendere i riflettori su una storia che ha umiliato Abraham, ma soprattutto lo sport e la civiltà finlandesi.
Il mea culpa della Federazione è amaro, il risarcimento tardivo, perché la medaglia d'oro che il 6 ottobre 2013 la Finlandia ha riconosciuto a Tokazier, scomparso nel 1976, non potrà mai essere da lui indossata. E forse neanche l'avrebbe voluta, lui che respinse le scuse ufficiose ricevute all'indomani della Seconda guerra mondiale.
Non gareggiò più, né ebbe modo di rimpiangere il suo sogno olimpico. Il conflitto impedì a Helsinki di celebrare i suoi Giochi. Cancellati dalla storia, inghiottiti dallo stesso odio che avevano fiancheggiato.
(la Gazzetta di Bari, 22 settembre 2014)
Israele - La "Casa della Speranza" per proteggere i bambini delle tribù beduine
Un numero molto alto di bambini in un progetto che mira a rafforzare le loro famiglie e la società israeliana in generale. I centri diurni promettono una continuità educativa da dopo la scuola fino alla sera, fornendo assistenza, un pasto caldo, un aiuto nello svolgimento dei compiti, le attività del tempo libero e un sostegno per eliminare la povertà e il rischio di esclusione
MILANO - Il 3 settembre scorso, il Ministro del Welfare israeliano, Meir Cohen e SOS Villaggi dei Bambini in Israele hanno aperto, nella borgata beduina di Abu Krinat, le Case della Speranza; centri diurni pensati per proteggere i bambini dai 7 ai 13 anni, dando loro un posto sicuro, in un edificio dotato di rifugio antiaereo. Il numero di bambini beduini in difficoltà è molto alto e questo progetto mira a rafforzare le loro famiglie e la società israeliana in generale. I centri diurni promettono infatti una continuità educativa per i bambini, da dopo la scuola fino alla sera, fornendo assistenza, un pasto caldo, un aiuto nello svolgimento dei compiti, le attività del tempo libero e un sostegno per eliminare la povertà e il rischio di esclusione.
- Una lunga lista per il Progetto.
"Le famiglie ci stanno chiedendo altri centri. La lista di bambini che vorremmo includere nel Progetto è lunghissima. Per molti di loro, il pasto che ricevono nei nostri Centri Diurni è l'unico della giornata" - ha affermato Matti Rose, Direttore di SOS Villaggi dei Bambini in Israele. "Oggi sono diventato parte della famiglia di SOS Villaggi dei Bambini. Io sono attento alla comunità beduina da sempre. Insieme a SOS Villaggi dei Bambini potremo fare cose importanti" - ha detto il Ministro durante l'inaugurazione. "Ero solo un educatore quando, per la prima volta, mi sono imbattuto in una famiglia beduina che stava soffrendo la perdita del proprio figlio: non avevano i mezzi per acquistare le medicine. Morì per una malattia curabile. Incontrai un medico e con lui iniziammo ad avviare una serie di servizi per i beduini. Sono sicuro ora che aiutare questi 45 bambini e i loro 450 familiari determinerà un grande cambiamento all'interno della comunità. Spero vivamente che si possa espandere questo progetto", ha concluso Rose. SOS Villaggi dei Bambini è presente in Israele dal 1981, dove accoglie 132 bambini e sostiene più di 500 persone.
(la Repubblica, 22 settembre 2014)
Scoperta in Israele una cantina di vini dell'Età del Bronzo
di Leonardo Debbia
Andrew Koh, della Brandeis University del Massachusetts
Contenitori per il vino ritrovati
Il luogo dove sono stati ritrovati i 40 contenitori per il vino
Durante lo scavo di un palazzo dell'Età del Bronzo, in Israele, è stata riportata alla luce un'antica cantina.
Lo studio relativo che ne è seguito porta le firme di Andrew Koh, della Brandeis University del Massachusetts, e degli studiosi di archeologia e storia antica Assaf Yasur-Landau (Università di Haifa) e Eric H. Cline (Georgetown University), ed è stato pubblicato sulla rivista Plos ONE a fine agosto scorso.
Si ritiene che la produzione del vino, assieme alla distribuzione e al consumo, abbiano rivestito un ruolo ben preciso e di una certa importanza nella vita quotidiana di coloro che popolarono il Mediterraneo e il Vicino Oriente durante l'Età del Bronzo (1900-1600 a.C.), anche se sono disponibili poche prove archeologiche di questo prodotto relativamente a quel periodo storico, sia in campo artistico che nella documentazione materiale.
L'anno scorso, durante lo scavo di un palazzo attribuito all'Età del Bronzo medio o Cananeo nell'attuale Stato di Israele, un team di ricercatori ha rinvenuto 40 grandi serbatoi immagazzinati in una stanza chiusa, situata ad ovest del cortile centrale della struttura.
Un'analisi del residuo organico, effettuata utilizzando il metodo della spettrometria di massa, ha rivelato che tutti i vasi contenevano composti chimici che ne indicavano, senza ombra di dubbio, la funzione di contenitori per il vino.
Dall'analisi dei residui sono anche state rilevate sottili differenze negli ingredienti o negli additivi all'interno dei vasi da vino, tanto che si potrebbe parlare più di un lavoro da erboristi anzichè di enologi.
Per conferire un gusto particolare e per la conservazione venivano infatti usati miele, resina di storace e di terebinto, olio di cedro, cyperus (pianta acquatica che appartiene alla stessa famiglia da cui gli antichi Egizi ottenevano il papiro). E ancora, ginepro e probabilmente menta, mirto e cannella.
I ricercatori hanno ipotizzato che l'individuazione di questi additivi possa essere considerata una conoscenza alquanto sofisticata delle piante da parte degli enologi del tempo, che dimostra anche il possesso di competenze necessarie per produrre una bevanda complessa, capace di conservarsi, di essere gradevole al gusto e avere perfino effetti benefici sulla psiche.
Secondo gli autori, i risultati possono contribuire anche ad una maggiore comprensione dell'antica viticoltura e della ricca economia cananea.
Andrew Koh aggiunge: "Sulla base della natura della camera, era previsto che quel residuo di campioni estratti e studiati in circostanze praticamente identiche a quelle del tempo, con una minima variabilità, avrebbe avuto il potenziale per rivelare nuovi e significativi spunti, sia dal punto di vista scientifico che archeologico".
(Gaianews.it, 21 settembre 2014)
Aeroporto di Comiso, arrivato il Boeing 757-300 da Tel Aviv
Il primo volo charter della compagnia Arkia proveniente da Tel Aviv è atterrato oggi pomeriggio all'aeroporto al "Pio La Torre" di Comiso. Il Boeing 757-300 è arrivato con 265 passeggeri (finora erano atterrati aerei capaci di far viaggiare non più di 186 persone). Il boeing è stato salutato con il water cannon subito dopo l'arrivo nella pista. Nelle prossime settimane ne giungeranno altri.
(Quotidiano di Ragusa, 21 settembre 2014)
Per evitare complicazioni questa volta il quotidiano siciliano non nomina né Israele né Palestina, ma parla di volo proveniente da Tel Aviv. Chissà se per loro Tel Aviv appartiene a Israele o alla Palestina.
Mia sorella, l'ultraortodossa
di Etgar Keret
Etgar Keret
Diciannove anni fa, in una saletta per matrimoni di Bnei Brak, morì la mia sorella maggiore; e ora vive nel quartiere più ortodosso di Gerusalemme. Ho passato uno degli ultimi weekend a casa sua. Era il primo Shabbat che trascorrevo là. Vado spesso a trovarla verso la metà della settimana, ma quel mese, con tutto il lavoro che avevo e i viaggi all'estero, o ci andavo sabato o niente. «Sta' attento», disse mia moglie mentre uscivo. «Non sei più tanto in forma, sai. Vedi di non farti convincere a diventare religioso o chissà cosa». Le risposi che non doveva preoccuparsi di nulla. Quando si tratta di religione, io non ho proprio nessun Dio. Quando sono sicuro di me non ho bisogno di nessuno, e quando mi sento di merda e dentro mi si apre questo grosso buco vuoto, so solo che non c'è mai stato un dio capace di riempirlo, e non ci sarà mai. Così, anche se cento rabbini evangelizzatori pregassero per la mia anima perduta, non servirebbe a niente. Io non ho alcun Dio, ma mia sorella sì, e le voglio bene, così cerco di mostrarLe un po' di rispetto.
Il periodo in cui mia sorella stava scoprendo la religione fu il più deprimente nella storia della musica pop israeliana. Era appena finita la guerra del Libano, e nessuno era dell'umore giusto per i motivetti allegri. Ma poi, anche tutte quelle ballate dedicate a soldati belli e giovani che erano morti nel fiore degli anni cominciavano a darci sui nervi. La gente voleva canzoni malinconiche, ma non quelle che facevano un cancan su una guerra brutta e pusillanime che tutti stavano cercando di dimenticare. Che è il motivo per cui improvvisamente nacque un nuovo genere: il lamento funebre per un amico che è diventato religioso. Queste canzoni descrivevano sempre un amico intimo o una ragazza sexy che erano stati la ragione di vita della o del cantante, quando tutt'a un tratto era successa qualcosa di terribile ed erano diventati ortodossi. L'amico si faceva crescere la barba e pregava in continuazione, la bella ragazza era coperta da capo a piedi e non voleva avere più niente a che fare col cantante immusonito. I giovani ascoltavano queste canzoni e scuotevano cupamente la testa. La guerra del Libano aveva portato via così tanti dei loro amici che l'ultima cosa che volevano, tutti, era vederne altri sparire per sempre in qualche scuola talmudica nel quartiere più degradato di Gerusalemme.
Non era solo il mondo della musica che stava scoprendo gli ebrei rinati. Erano roba grossa per tutti i media. Ogni talk show aveva un posto fisso per un'ex celebrità diventata religiosa che si sentiva in dovere di raccontare a tutti come non avesse proprio alcun rimpianto per la propria dissolutezza, o per l'ex amico di un noto rinato che rivelava quanto l'amico fosse cambiato da quando era diventato religioso e come non potevi più nemmeno rivolgergli la parola. Anch' io. Dal giorno in cui mia sorella fece il grande passo nella direzione della Divina Provvidenza, io diventai una specie di celebrità locale. Vicini che non mi avevano mai neanche rivolto la parola si fermavano, solo per stringermi energicamente la mano porgermi le loro condoglianze. Hipster adolescenti tutti vestiti di nero venivano a darmi affettuosamente un cinque prima di entrare nel taxi che li avrebbe portati in qualche discoteca di Tel Aviv. E poi abbassavano il vetro del finestrino per urlarmi il loro dispiacere per la vicenda di mia sorella. Se i rabbini avessero preso una ragazza brutta, si sarebbero anche rassegnati; ma portarsi via una bella donna come lei: che spreco!
Intanto, la mia compianta sorella studiava in un seminario femminile di Gerusalemme. Era venuta a trovarci quasi ogni settimana, e sembrava felice. Se c'era una settimana in cui non poteva venire, andavamo noi a trovarla. Allora io avevo quindici anni, e sentivo terribilmente la sua mancanza. Non l'avevo vista molto spesso nemmeno quando faceva il servizio militare, prima di diventare religiosa, come istruttore di artiglieria nel sud del paese, ma allora, per qualche motivo, mi era mancata di meno. Ogni volta che ci incontravamo la studiavo attentamente, cercando di capire in che modo era cambiata. Avevano forse sostituito la luce che aveva negli occhi, il sorriso? Parlavamo tra noi come sempre. Lei continuava a raccontarmi le storie buffe che aveva inventato apposta per me, e mi aiutava a fare i compiti di matematica. Ma mio cugino Gili, che apparteneva alla sezione giovanile del Movimento Contro la Coercizione Religiosa e la sapeva lunga sui rabbini e tutto, mi diceva che era solo questione di tempo. Non avevano ancora finito di lavarle il cervello, ma appena l'avessero fatto lei si sarebbe messa a parlare yiddish, e loro le avrebbero rasato la testa, e lei si sarebbe sposata con un tipo sudato, flaccido e repellente che le avrebbe proibito di vedermi. Poteva volerci ancora un anno o due, meglio che mi preparassi, perché una volta maritata forse avrebbe continuato a respirare, ma dal nostro punto di vista sarebbe stata come se fosse morta.
Diciannove anni fa, in una saletta per matrimoni di Bnei Brak, la mia sorella maggiore mori, e ora vive nel quartiere più ortodosso di Gerusalemme. Ha un marito, studente di una yeshiva, proprio come aveva promesso Gili. Non è né sudato né flaccido né repellente, e in realtà sembra contento ogni volta che mio fratello o io li andiamo a trovare. Gili allora, circa vent'anni fa, mi garantì che mia sorella avrebbe avuto orde di figli, e che ogni volta che io li avessi sentiti parlare yiddish come se vivessero in un desolato shtel dell'Europa orientale mi sarebbe venuta voglia di piangere. Anche su questo argomento aveva ragione solo a metà, perché mia sorella ha veramente un mucchio di bambini, l'uno più carino dell'altro, ma quando parlano yiddish mi vien solo da sorridere.
Mentre entro nella casa di mia sorella, meno di un'ora prima di Shabbat, i bambini mi salutano all'unisono col loro «come mi chiamo?», una tradizione che ha avuto inizio dopo che una volta li confusi tra loro. Considerando che mia sorella ha undici figli, e che ognuno di essi ha un doppio nome, come hanno di solito gli hassidim il mio errore era sicuramente perdonabile. Il fatto che tutti i ragazzi sono vestiti nello stesso modo e dotati di coppie identiche di riccioli laterali costituisce una notevole attenuante. Ma tutti loro, da Shlomo-Nachman in giù, vogliono ancora essere sicuri che il loro strano zio abbia le idee abbastanza chiare, e dia il regalo giusto al nipote giusto. Mia madre sospetta che non sia ancora finita; perciò, tra un anno o due, a Dio piacendo, ci sarà un altro doppio nome da imparare a memoria.
Dopo che ebbi fatto l'appello con pieno successo, mi venne offerto un bicchiere di cola strettamente kosher mentre mia sorella, che non mi vedeva da molto, voleva sapere cos'avevo combinato. È molto contenta quando le dico che me la passo bene, ma poiché il mondo in cui vivo io è per lei un mondo frivolo, non ha un vero interesse per i particolari. Il fatto che mia sorella non leggerà mai uno dei miei racconti mi dispiace ma il fatto che io non osservo lo Shabbat e non mangio kosher a lei dispiace ancora di più.
Un giorno ho scritto un libro per bambini e l'ho dedicato ai miei nipoti. Nel contratto, la casa editrice accettava che l'illustratore preparasse una copia speciale, dove tutti gli uomini avrebbero avuto uno yarmulke (il copricapo) e riccioli laterali mentre le sottane e le maniche delle donne sarebbero state abbastanza lunghe per essere considerate modeste. Ma alla fine anche questa versione fu respinta dal rabbino di mia sorella. Il libro raccontava la storia di un padre che scappa con un circo. Deve averla considerata troppo audace, e io ho dovuto riportare la versione "kosher" del libro a Tel Aviv.
Fino a circa dieci anni fa, quando finalmente mi sposai, la parte più dura del nostro rapporto fu che la mia ragazza non poteva accompagnarmi nei giorni in cui andavo a trovare mia sorella. Per essere proprio sincero, dovrei dire che nei nove anni che abbiamo passato insieme ci siamo sposati dozzine di volte con cerimonie di ogni genere inventate da noi: con un bacio sul naso in un ristorante di pesce a Giaffa, scambiandoci abbracci in un fatiscente albergo di Varsavia, facendo il bagno nudi sulla spiaggia di Haifa e persino dividendoci un uovo Kinder sul treno Amsterdam-Berlino. Solo che, disgraziatamente, nessuna di queste cerimonie è riconosciuta dai rabbini o dallo Stato. Sicché, quando andavo a trovare mia sorella e famiglia, la mia ragazza doveva sempre aspettarmi in un caffè o in un parco. M'imbarazzava, ma lei capi la situazione e l'accettò.
Diciannove anni fa, in una saletta per matrimoni di Bnei Brak, la mia sorella maggiore mori, e ora vive nel quartiere più ortodosso di Gerusalemme. Allora c'era una ragazza che amavo da morire, ma che non mi amava. Ricordo che due settimane dopo le nozze andai a trovare mia sorella a Gerusalemme. Volevo che pregasse perché quella ragazza e io potessimo stare insieme. A tal punto era arrivata la mia disperazione. Mia sorella restò in silenzio per un minuto e poi mi spiegò che non poteva farlo. Perché, se lei avesse pregato e poi quella ragazza e io ci fossimo messi insieme e la nostra vita insieme fosse diventata un inferno, lei si sarebbe sentita terribilmente in colpa. «Pregherò, invece, che tu possa incontrare una persona con cui essere felice», disse, e mi rivolse un sorriso che cercava di essere consolante. «Pregherò per te ogni giorno. Lo prometto». Capivo che avrebbe voluto abbracciarmi e mi dispiaceva che non le fosse consentito, o forse me lo stavo solo immaginando. Dieci anni dopo incontrai mia moglie, e stare con lei mi rese davvero felice. Chi ha detto che le preghiere non vengono esaudite?
(la Repubblica, 21 settembre 2014)
Al film dell'israeliano Korman il premio del festival di Almaty
E' andato al film israeliano "Next to her", del regista Asaf Korman, il gran premio del festival cinematografico Eurasia ad Almaty, in Kazakstan.
Il film racconta del rapporto tra due sorelle - l'una che si prende cura dell'altra, malata - e dell'impossibilità di costruire relazioni al di fuori di questo rapporto. Attrice a autrice della sceneggiatura è la moglie del regista, Liron Ben Slush.
"Liron, puoi immaginare che il film che tu hai scritto ha vinto il gran premio in questo festival? E' incredibile" dice Korma, che aggiunge: "Quando mi ha raccontato la storia ho capito subito che sarebbe stato l'oggetto del mio primo lungometraggio. Ci abbiamo lavorato in coppia, con molto amore".
Il festival ha riservato un omaggio a Costa-Gavras. Il regista greco-francese ha ricevuto, durante la cerimonia di chiusura, un riconoscimento alla sua lunga carriera
"La giuria internazionale - dice l'inviato di euronews Wolfgang Spindler - ha sottolineato la qualità dei film in concorso. Quattro premi sono andati a produzioni relizzate in Kazakstan, un riconoscimento importante per la cinematografia locale".
(euronews, 20 settembre 2014)
Israele in bici con la Trans Israel Road Cycling Challenge
Un'insolita idea di viaggio per scoprire Israele lanciata dall'Ufficio Nazionale Israeliano per il turismo: si tratta del Trans Israel Road Cycling Challenge, un viaggio su due ruote in programma dal 16 al 19 ottobre prossimi.
Un tour di quattro giorni alla scoperta del territorio, della topografica e della demografia del Paese, i confini, i paesaggi e la storia, completando un percorso impegnativo, ma mozzafiato, in lungo e in largo per Israele. Il viaggio attraversa tutta la destinazione, da nord ad est, da ovest a sud, affacciandosi ai confini di Libano, Siria, Giordania ed Egitto. Il percorso partirà da Rosh Hanikra, sulla costa mediterranea al nord del Paese, per arrivare fino a Eilat, sul Mar Rosso, proponendo differenti ed entusiasmanti esperienze.
Il percorso, tra l'altro, passa attraverso l'autostrada del nord circondata dal paesaggio della Galilea vicino ai pittoreschi villaggi di Safed e Rosh Pina e continua lungo il Lago di Galilea e la Valle del Giordano. Tra le tappe più suggestive previste, il Mar Morto, Masada e Arad. Il percorso copre complessivamente più di 600 km con salite fino a 1.000 metri.
(L'Agenzia di Viaggi, 19 settembre 2014)
Scambi e misteri. La Torah racconta
Il manoscritto riemerso dal buio. Atmosfere da mistery intorno alla pergamena più antica del mondo. Data in dono dagli ebrei e requisita da Napoleone. Domenica 28 settembre il rotolo lungo 36 metri verrà mostrato al pubblico.
di Cesare Sughi
BOLOGNA - «È una vicenda che mi ricorda i romanzi di umberto eco», commentava ieri la direttrice della biblioteca universitaria di bologna nel ripercorrere la provenienza e la vera storia del più antico rotolo ebraico completo della torah, qui conservato ed emerso dai depositi nel maggio scorso, grazie alle ricerche di mauro perani, docente di ebraico nell'ateneo bolognese.
Un mistery, se non un giallo. e come ogni mistery, vi è un antefatto da snodare, con in mezzo anche uno scambio molto inquietante. racconta ancora la direttrice: «Il grande rotolo in caratteri ebreo-babilonesi, lungo 36 metri per un'altezza media di 65 centimetri, giunse dalla Francia Napoleone l'aveva requisito alla nostra biblioteca, allora biblioteca pontificia con la restaurazione del 1815, dopo essere stato tenuto come una reliquia nel convento dei domenicani bolognesi, che l'avevano a loro volta avuto in dono dagli ebrei stessi all'inizio del '300».
E qui, seguendo a poco più di un anno dal ritrovamento la ricostruzione a ritroso della Antonino, si scopre che al ritorno da Parigi la Torah non possedeva più la scritta centrale relativa alla donazione, sicché i bibliotecari ottocenteschi non seppero più identificarla e rivolsero la loro attenzione a un altro rotolo, incompleto, fatto avere alla biblioteca nel 700 da papa Benedetto XIV, il cardinale bolognese Prospero Lambertini.
«Se nel 1889 interviene il professor Perani la catalogazione del fondo ebraico della biblioteca eseguita dall'ebreo di Cento Leonello Modona qualificava il nostro rotolo come un prodotto di bassa qualità, bisogna pur dire che la paleografia ebraica si afferma come scienza, con strumenti efficaci, solo verso il 1960».
Dunque, l'intruso è stato scoperto e se ne sta triste e umiliato, posto in una piccola teca accanto a quella con i prescritti requisiti di umidità e di luce dove, nell'aula magna della biblioteca, spiccava ieri il rotolo vincitore, il legittimo principe, non quello che gli studiosi avevano voluto far passare per un pretendente al trono. Il carbonio 14, le analisi iinmuno-enzimatiche e la cura di Rita De Tata, che si occupa dei manoscritti e dei libri rari della biblioteca, hanno aggiunto dettagli: sulla pelle su cui è scritta la Torah agnello e sull'inchiostro, composto da particelle carboniose. Ma il mistery, ancora, è un genere che affascina per la capacità di ripetersi, di generare da sé altre oscurità. Perché gli ebrei avrebbero donato il testo sacro delle loro leggi a una comunità di frati cattolici? E quali erano, all'epoca della donazione, i rapporti all'interno dell'ebraismo? Quesiti tuttora irrisolti.
L'attesa è adesso per domenica 28 settembre, quando Bologna sarà il centro del Collegio dei Gentili. Quel giorno, alle 10, proprio il cardinale Gianfranco Ravasi inaugurerà, nell'aula magna dell'università, in Santa Lucia, la prima esposizione al pubblico del manoscritto della Torah, datato fra 1100 e 1200. Fino alle 18 il pubblico potrà liberamente ammirarlo. Un tragitto di 8, 9 secoli. Niente per le parole definitive che Dio trasmise a Mosé sul Sinai.
(il Resto del Carlino, 20 settembre 2014)
Roma - Capodanno Ebraico: Ama allestisce info point nei cimiteri del Verano e del Flaminio
ROMA - Punti informativi e potenziamento della sicurezza nei pressi dei cimiteri. E' il piano predisposto da Ama, di concerto con Roma Capitale e la Comunità Ebraica, in occasione del prossimo Capodanno Ebraico (Rosh Ha-Shanah), che cadrà nella notte tra il 24 e il 25 settembre."In particolare - si legge in una nota - da sabato 20 settembre a martedì 7 ottobre, Ama - Cimiteri Capitolini allestirà 2 punti informativi in prossimità dei Reparti Israelitici del Verano e del Flaminio. Personale aziendale sarà a disposizione per assistenza, fornire informazioni generali (localizzazione delle tombe, ecc.) e ricevere eventuali segnalazioni da parte dei visitatori. Saranno in distribuzione i pieghevoli ''Mappa del Cimitero Verano'' e ''Mappa del Cimitero Flaminio'', contenenti le mappe topografiche dei cimiteri con i principali riferimenti utili per orientarsi; l'opuscolo ''Cimiteri Romani. Informazioni utili'', con notizie su orari, trasporti, accoglienza, sicurezza, modalità di sepoltura, ecc.; il pieghevole ''Onoranze Funebri'', con informazioni sui servizi per le esequie offerti dall'Agenzia di Onoranze Funebri di Ama"."Nello stesso periodo - prosegue la nota - una pattuglia di guardie giurate presidierà l'area dei 2 Reparti Israelitici per garantire, con il massimo della discrezione possibile, la sicurezza dei visitatori. L'attività di controllo sarà potenziata nelle giornate del 24, 25, 26 settembre e nelle domeniche del 21 e 28 settembre".
(Adnkronos, 19 settembre 2014)
Porta Pia. L'altra liberazione
di Raffaele Carcano
Centoquarantaquattro anni fa i bersaglieri conquistavano Roma, strappandola allo Stato Pontificio. Tanti uomini e donne pensarono che si apriva una nuova era. Non andò esattamente così. La ricostruzione del segretario dell'Uaar.
C'era una volta una monarchia in cui si poteva professare soltanto una fede e rinchiudeva gli ebrei in un ghetto. Nessun diritto umano: le libertà di pensiero, di espressione, di stampa, di voto erano negate. Il potere reprimeva il dissenso con violenza, ricorrendo all'esercito e alla pena di morte. Non c'era la scuola dell'obbligo: era considerata "un errore".
Quello Stato era lo Stato Pontificio.
Gli oltre mille anni di totalitarismo reale terminarono il 20 settembre 1870, quando i bersaglieri entrarono in Roma attraverso la breccia di Porta Pia. Fu l'apice del Risorgimento e una liberazione per chi vi viveva. Gli ebrei uscirono dal loro quartiere, i protestanti portarono a Roma le loro bibbie, gli atei cominciarono a definirsi tali. Tanti uomini e tante donne pensarono che si stava aprendo una nuova era.
Non è andata esattamente così. Certo, come accadde quasi ovunque, lo scontro tra il Vaticano e il nuovo Stato durò decenni. Le élite erano anticlericali (ma raramente atee) perché vedevano nella Chiesa un ostacolo alla modernizzazione degli Stati e all'emancipazione delle popolazioni. Si statalizzarono molte proprietà ecclesiastiche destinandole a usi pubblici. Il Venti Settembre era festa nazionale e aveva un impatto simbolico fortissimo: il primo film a essere stato proiettato in Italia (davanti a una folla enorme) si chiama La presa di Roma.
So bene che immaginare come poteva essere quella società richiede un grande sforzo. Provate a pensare alla Francia bene, l'Italia, allora, era molto simile alla Francia. I cugini, nel 1905, approvarono la legge fondamentale sulla laicità. In Italia, nel 1913, i liberali di Giolitti stipularono invece un accordo con l'Unione elettorale cattolica, il Patto Gentiloni.
E i due Paesi presero strade molto diverse. La Francia divenne un baluardo della democrazia, l'Italia finì nelle mani di Benito Mussolini. L'arciateo folgorato sulla via della conciliazione firmò i Patti Lateranensi: nacquero lo Stato della Città del Vaticano e - grazie alle somme corrisposte dallo Stato - lo Ior. Il matrimonio ecclesiastico ebbe valore di legge, l'ora di religione tornò nelle scuole, il Vaticano ottenne enormi privilegi fiscali. La festa del Venti Settembre, che ormai imbarazzava il regime elenco-fascista, fu abrogata.
Venne la Liberazione, ma non per la laicità I parlamentari francesi la citarono nella Costituzione, quelli italiani vi inserirono il Concordato. Abbandonato dalle istituzioni politiche, dalla stampa, dalla Rai, il Venti Settembre finì nel dimenticatoio, tanto che noi dell'Uaar lo chiamiamo "la giornata degli smemorati".
C'era una volta un Paese con una grande voglia di laicità. C'è ancora, e ancora più di prima. Ma non c'è più una classe dirigente capace di concretizzare le aspirazioni di un popolo, mentre i clericali ne approfittano per riscrivere la storia. Alle cerimonie ufficiali del Venti Settembre ho visto cose che anche voi laici non potreste immaginarvi. Nel 2008 un delegato del sindaco Alemanno, tale Torre, fece suonare l'inno pontificio ed elencò uno per uno gli zuavi pontifici morti durante la presa di Roma. Come se alla commemorazione dello sbarco in Normandia si suonasse l'inno nazista e si ricordassero i soldati della Wehrmacht. Nel 2010 fu concesso di parlare al numero due vaticano, il cardinal Bertone. Le autorità civili presenti (Napolitano, Gianni Letta, Polverini, Zingaretti, Alemanno) rinunciarono al loro discorso. Bertone glorificò il Concordato e Pio IX, l'ultimo papa-re fresco di beatificazione. Ero lì, ma la Digos - con lo stile dalla polizia religiosa saudita - non mi permise di ascoltare, e non lo permise a tutti i potenziali critici di un evento orwelliano.
E oggi? Fateci caso: nel centro delle vostre città vi sono ancora vie e piazze dedicate al Venti Settembre. Ci ricordano l'evento che unificò l'Italia e liberò un popolo. Il fascismo tradì quella liberazione, ma altrettanto hanno fatto i governi successivi. II Venti Settembre non è una data qualunque: è un simbolo di laicità, di un principio fondamentale della Repubblica Quel giorno l'Italia ebbe la sua capitale, e non può dimenticarlo solo perché, per averla, dovette fare guerra al Papa.
(left, 20 settembre 2014)
A commento riportiamo soltanto le parole di un evangelico italiano dell'Ottocento: Teodorico Pietrocola Rossetti. Quando ancora nel nuovo governo italiano si parlava di Roma come futura capitale del Regno, quindi prima ancora della disfatta dello Stato pontificio, in un libello dal titolo "La Religion di Stato", il poderoso evangelico italiano scriveva:
«L'avvenire ci fa paura. Sentiam parlare d'una politica conciliatrice col papa: guai a noi se essa avrà il sopravvento! La storia c'insegna che molte fiate il papa fu spogliato del potere temporale, e con le male arti d'una politica subdola riconquistò tutto: - c'insegna altresí che assai volte venne a patti col principato, ma la spada e il pastorale non poterono restare uniti, e il prete soverchiò finalmente il principe. Or la bisogna andrà sempre cosí se si continua a parlar di conciliazione coll'irreconciliabile sacerdozio. - Si parla di Roma come capitale del Regno d'Italia e ne siam lieti, - ma quando si dice che in quella metropoli siederanno il papa e il Re col Parlamento, temiamo dell'avvenire, perciocché il pontefice ancorché fosse soltanto rivestito del potere spirituale incaglierà ogni atto del governo, e susciterà dissidii e rivoluzioni. Ciò non avverrebbe se vi fosse abolizione della Religione di Stato. Badate che il prete potrà permettere e darvi tutto, e poi negarvi tutto. La coscienza sua è elastica, e non ha bisogno della vostra assoluzione.»
«Sentiam parlare d'una politica conciliatrice col papa: guai a noi se essa avrà il sopravvento!, diceva profeticamente il Rossetti. E i guai, puntualmente, sono arrivati. M.C.
Il Maccabi debutta nel nuovo Haifa Stadium: nuovo gioiello del calcio israeliano
Il Sammy Ofer Stadium di Haifa
Lunedì scorso il Maccabi Haifa ha superato per 4-2 gli avversari del Bnei Sakhnin FC. Non è una vittoria che fa notizia, per uno dei club più titolati d'Israele. Quello che invece colpisce le prime pagine dei giornali locali e richiama l'attenzione internazionale, è che i biancoverdi hanno giocato per la prima volta nel loro nuovo stadio appena costruito, l'Haifa International Stadium, anche chiamato Sammy Ofer Stadium (in onore del suo principale investitore). Lo stadio è stato inaugurato proprio in questa partita e ha visto siglare il primo gol da un giocatore del Maccabi, Hen Ezra, giovane ala israeliana.
Il nuovo stadio è stato considerato uno degli impianti più avveniristici costruiti nell'ultimo decennio, un periodo che ha visto il Paese dilaniato sempre più da guerre e divisioni. La struttura può ospitare oltre 30.000 spettatori e sarà anche la casa delle partite dell'Hapoel Haifa. Interessante è anche l'investimento che ha permesso la realizzazione dello stadio, un misto di finanziamenti privati e pubblici tra cui quello dell'imprenditore e filantropo Sammy Ofer, che ha donato 20 milioni di dollari (e in cambio ha ottenuto di dare il suo nome all'impianto). Il nuovo stadio di Haifa ha già ricevuto dall'Uefa il 4 Class, un riconoscimento d'elìte alla struttura, anche per merito di quanto è stato costruito attorno: una enorme zona parcheggio, una zona di intrattenimento e organizzazione di eventi. I lavori sono iniziati nel 2009 e finito nell'estate di quest'anno, poi lunedì scorso finalmente l'inaugurazione. Per la realizzazione dello stadio si è seguito il modello europeo, in particolare lo stadio francese di Le Havre, con cui condivide l'identico stile architettonico.
Il presidente del Maccabi, a margine dell'inaugurazione, si è detto entusiasta: "Dopo anni di lavoro finalmente abbiamo una nuova casa". I tifosi amano già lo stadio, almeno secondo quanto fatto registrare dalla campagna abbonamenti (15.000 tessere vendute un record!), sembra così essere dimenticato il vecchio e storico stadio, il Kiyat Elizier, in funzione dal 1955. Il nuovo stadio, moderno e tecnologico, non solo servirà a rilanciare le squadre della città ma contribuirà alla crescita il calcio israeliano in un periodo difficile. Un bellissimo fiore in un deserto che forse si sta trasformando in terreno fertile. Non resta che provare a coltivarlo allora.
(Mai Dire Calcio, 19 settembre 2014)
Aeroporto di Comiso, primi turisti da Israele
Riportiamo di nuovo un articolo comparso con lo stesso titolo due giorni fa, perché è stata apportata una modifica essenziale. Nel corpo dell'articolo era scritto: "Mercoledì mattina è atterrato un aereo con 167 turisti provenienti dalla Palestina..." Alla sede del giornale è arrivata da Tel Aviv una perentoria richiesta telefonica di correzione: i 167 turisti non provenivano dalla Palestina, ma da Israele. L'articolista ha acconsentito a fare la correzione, giustificandosi con argomenti generici che purtroppo confermano la confusione che molti giornalisti hanno su questo argomento. NsI
Importanti novità nell'aeroporto di Comiso. Mercoledì mattina è atterrato un aereo con 167 turisti provenienti da Israele
e non dalla "Palestina"
e diretti al Club Med. Si è trattato di un charter non previsto nei programmi precedenti. Per un volo proveniente dal vicino oriente, è stato imponente anche lo sforzo delle forze dell'ordine. Da sabato, invece, partiranno i voli charter della compagnia Arkia da Tel Aviv per Comiso. E' l'ultimo dei voli charter programmati per la "summer" dell'aeroporto di Comiso e anche stavolta si dovrebbe avere il tradizionale water cannon. La prossima settimana, poi, dovrebbero concludersi i voli settimanali con destinazione Tunisi. Infine, appena due giorni fa, da Comiso è decollato un altro volo di Stato. A bordo 53 passeggeri egiziani. Stavolta, però, non si è trattato di un volo umanitario per trasferire i migranti appena sbarcati in altre regioni. I 53 egiziani sono tornati in patria. A loro, il governo italiano non ha riconosciuto lo status di rifugiato politico e la possibilità di accedere all'asilo politico. Sono già tornati nel loro paese.
(Quotidiano di Ragusa, 18 settembre 2014)
Anche una Ong israeliana in soccorso dei rifugiati yazidi e cristiani
GERUSALEMME - L'organizzazione non governativa israeliana IsrAID, impegnata in missioni di soccorso umanitario in varie parti del mondo, ha iniziato a offrire il proprio sostegno ai profughi cristiani e yazidi che hanno trovato rifugio nella regione del Kurdistan iracheno dopo essere stati costretti a lasciare le proprie terre dai jihadisti dello Stato Islamico. Fonti dell'American Jewish Commitee (AJC) consultate dall'Agenzia Fides riferiscono che l'Ong israeliana ha già iniziato a distribuire tra i rifugiati kit sanitari, beni di prima necessità, vestiti e strumenti per cucinare. Come ha spiegato il direttore esecutivo di AJC, David Harris, la missione intende sostenere nella loro condizione d'emergenza i rifugiati "costretti a fuggire dalla brutalità dello Stato Islamico". IsrAID, che realizza progetti a favore di popolazioni colpite da emergenze umanitarie in varie aree del mondo - dalle Filippine al Sud Sudan, da Haiti alla Corea del Sud - dal giugno 2013 ha già messo in campo iniziative di assistenza alimentare tra i rifugiati siriani in Giordania, di cui hanno beneficiato circa 7mila persone.
(Agenzia Fides, 19 settembre 2014)
Gaza, soldi per la ricostruzione agli scafisti per raggiungere l'Europa
Ciascuna famiglia della Striscia di Gaza riceve circa tremila dollari per le prime necessità dopo la guerra. Molte li usano per pagare gli scafisti per un "viaggio della speranza".
di Raffaello Binelli
L'ultimo scontro tra Israele e Hamas ha avuto, come effetto collaterale, anche l'aumento dei viaggi della speranza verso l'Europa da parte di molti giovani della Striscia di Gaza, disposti a tutto pur di lasciare quella terra martoriata.
Una parte dei soldi dati dall'Autorità nazionale palestinese per la ricostruzione (denaro elargito per iniziare a rimettere in sesto le abitazioni distrutte), infatti, viene impiegato dai capifamiglia per pagare gli scafisti. Le famiglie palestinesi pagano quel poco che hanno pur di far arrivare i loro figli più giovani (prevalentemente adolescenti) in Europa. Da Gaza si è venuto a creare un flusso incessante verso l'Egitto: alcuni attraverso i tunnel usati dai contrabbandieri, altri invece passano dalla dogana corrompendo i gli addetti alla sorveglianza al valico di Rafah. Dati ufficiali non esistono ma secondo alcune organizzazioni che operano nella Striscia di Gaza sarebbero almeno un centinaio le persone partite per l'Europa e di cui si sono perse le tracce. A questi bisogna aggiungere quelli che hanno intrapreso il viaggio ma di cui si sono perse le tracce: molti sono arrivati a destinazione ma non hanno fornito dettagli sul loro viaggio, altri invece sono rinchiusi in qualche posto isolato (appartamenti o capannoni) in attesa di essere imbarcati sul primo barcone disponibile per la traversata. Il luogo di partenza di molti barconi sarebbe il porto di Damietta, sul Mediterraneo (delta del Nilo), circa 200 km a nord del Cairo. Per arrivarci, una volta oltrepassato il valico di Rafah, ci vogliono circa quattro ore di auto.
Due giovani sopravvissuti alla strage di profughi della scorsa settimana, compiuta da scafisti egiziani, ha ammesso di non provenire dalla Siria ma di essere fuggiti proprio da Gaza, dopo aver buttato i documenti. Insieme a loro, hanno raccontato, c'erano donne e bambini, in gran parte provenienti dalla Siria, ed anche molti palestinesi.
Alcuni alti esponenti di Fatah, in Cisgiordania, puntano il dito contro Hamas, dicendo che il gruppo islamista palestinese sarebbe coinvolto nel traffico dell'immigrazione clandestina. Citati d Wafa, l'agenzia di stampa ufficiale dell'Anp, forniscono anche il costo della fuga: chiunque tenta di raggiungere l'Europa è costretto a pagare 3.500 dollari. Le cifre da sborsare sono difficilmente verificabili. Qualcuno parla di duemila dollari solo per scappare attraverso un tunnel, altri dicono che sono sufficienti 400 dollari, una somma sicuramente molto più abbordabile. A far crescere il prezzo finale ovviamente c'è il viaggio via mare, su imbarcazioni di fortuna. E in certi casi si devono fare più trasbordi, con vere e proprie staffette in mare organizzate da chi gestisce i traffici di esseri umani per cercare di sviare i controlli radar, tentando di far passare i barconi per normali pescherecci.
Nelle operazioni sarebbero implicati anche alcuni trafficanti egiziani del Sinai. L'esodo dei palestinesi in fuga da Gaza sarebbe legato sia a ragioni di natura economica sia alle fortissime pressioni che coloro che non appartengono al gruppo islamista sono costretti a subire da Hamas.
(il Giornale, 19 settembre 2014)
"Alef, bet, ghimel": studiare l'ebraico per comprendere la Bibbia
Il Monastero di Montebello a Isola del Piano
ISOLA DEL PIANO (PU) - "Alef, bet, ghimel Breve introduzione alla lingua ebraica" è il titolo del corso dedicato a coloro che desiderano avvicinarsi alla lingua ebraica per poter meglio comprendere il testo biblico, organizzato dalla Fondazione Girolomoni e tenuto da Piero Stefani, che si svolgerà il 4-5 ottobre prossimi nell'incantevole scenario del Monastero di Montebello a Isola del Piano.
Le lezioni del corso, aperto ed accessibile a tutti, si svolgeranno dal sabato mattina alla domenica dopo pranzo e vedranno appunto la docenza di Piero Stefani, noto biblista e studioso e docente di Ebraismo presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano, attuale presidente di Biblia, associazione laica di cultura ebraica. Stefani è inoltre Direttore Responsabile del Notiziario di Biblia dal 1989 e, dal 2010 al 2013, è stato Vice Presidente dell'Associazione e Coordinatore del Comitato Scientifico.
Questo corso rappresenta un ulteriore tassello di un impegno costante da parte della Fondazione, nata nel 1996 per volontà di Gino Girolomoni, volto a coordinare le tante attività culturali che nel corso degli anni hanno radicato, dato senso, favorito la ricerca in seno all'esperienza avviata da lui e dalla moglie Tullia Romani al Monastero di Montebello, nel comune di Isola del Piano (PU). Dopo l'iniziale denominazione di Fondazione Alce Nero, in accordo con il nome aziendale, oggi essa prende il titolo di Fondazione Girolomoni e, grazie alla volontà e competenza di molti, porta avanti quotidianamente molti impegni: la conservazione e l'archiviazione degli scritti, dei documenti e del patrimonio librario lasciati da Gino Girolomoni, la divulgazione del suo pensiero, la prosecuzione degli eventi culturali da lui avviati e la valorizzazione dei luoghi in cui la vita e il paesaggio agrario hanno ritrovato significato e potenzialità economiche nonché la pubblicazione di Mediterraneo Dossier, organo ufficiale della Fondazione.
Per info e iscrizioni:
Fondazione Girolomoni
0721.720334, fondazione@girolomoni.it
www.fondazionegirolomoni.com
(PU24.it, 19 settembre 2014)
"Hamas gestisce e lucra sul traffico di clandestini per l'italia''
Denuncia bomba dell'Autorità nazionale palestinese
GAZA - Il gruppo terrorista palestinese di Hamas e' coinvolto nel traffico dell'immigrazione clandestina. E' quanto riferiscono alti esponenti di Fatah in Cisgiordania, citati dall'agenzia di stampa ufficiale dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp) "Wafa".
Secondo l'Autorità Nazionale Palestinese, quindi, chiunque tenti di raggiungere l'Europa sarebbe costretto a pagare tremila e cinquecento dollari per lasciare Gaza attraverso il valico di Rafah, al confine con l'Egitto, e altri duemila dollari per lasciare Gaza attraverso un tunnel sotterraneo.
Nelle operazioni sarebbero implicati anche trafficanti egiziani del Sinai.
Secondo l'agenzia di stampa, l'esodo dei palestinesi in fuga da Gaza e' principalmente legato a ragioni di natura economica, ma soprattutto alle pressioni, intimidazioni e continue violenze che coloro che non appartengono al gruppo terrorista di Hamas sono costretti a subire dai miliziani di questa pericolosa organizzazione armata islamica.
"Il versante palestinese del valico di Rafah e' una mafia gestita da Hamas" ha sintetizzato "Wafa", accusando anche i vertici di Hamas di distribuire solo fra i suoi seguaci gli aiuti internazionali che giungono nella striscia di Gaza.
In meno di una settimana, 450 palestinesi in fuga dalla Striscia sono morti nelle acque di Malta e 15 in quelle di Alessandria.
Ora è finalmente svelato chi c'è dietro le ondate micidiali di extracomunitari che arrivano - grazie a mare Nostrum - in Italia: una delle più temibili organizzazioni terroristiche islamiche, Hamas.
(Il Nord Quotidiano, 19 settembre 2014)
Israele: S&P conferma rating A+ nonostante Gaza, outlook stabile
MILANO - Standard & Poor's conferma il rating A+ di Israele con outlook stabile nonostante i costi delle operazioni a Gaza. Lo riferisce l'agenzia di rating, che sottolinea come il recente conflitto a Gaza "possa condurre solo a un modesto indebolimento della 'traiettoria fiscale' del Paese e, sebbene Israele possa temporaneamente invertire il consolidamento delle sue finanze, ci aspettiamo che il debito pubblico del Paese rimanga ampiamente fiacco per i prossimi tre anni". L'outlook stabile riflette il convincimento che "il Governo manterrà stabili le finanze pubbliche e che l'impatto dei rischi per la sicurezza sull'economia sono limitati".
(Adnkronos, 19 settembre 2014)
Un'onda di rabbia
di Laura Rossi, operatore artistico-culturale
FERRARA - Sulla stampa europea:" Per gli ebrei sono i tempi peggiori dell'era del nazismo". "Esplosione in Europa dell'antisemitismo". Per le strade si sente urlare:" Gli ebrei dovrebbero essere gasati". " Gli ebrei dovrebbero essere bruciati" tutti slogan urlati durante le manifestazioni pro-palestina.
La storia, stupidamente, sembra ripetersi .è ricominciata la caccia all'ebreo. Un'ondata di rabbia sta investendo una parte dell'opinione pubblica e ha finito per risvegliare l'antisemitismo, mai sopito.
Orrende notizie giungono dai paesi civili come la Francia dove si assiste a devastazioni di negozi, sinagoghe incendiate, percosse agli ebrei ecc. Tutto questo, purtroppo, ricorda il periodo nazista
E in Italia? A Roma vanno a ruba le scritte, con tanto di svastiche, sui negozi degli ebrei:" Giudei, la vostra fine è vicina":" Ogni palestinese è un Camerata,stesso nemico stessa barricata" evocando una saldatura tra estremismo di destra e di sinistra.
Questi "soliti idioti" antisemiti, usano il conflitto Gaza-Israele come "causa" per colpire tutti gli ebrei italiani.
Fra questi, vi troviamo il caso delle farneticazioni del comunista di Rifondazione,ex consigliere di Teramo, che rimpiange i campi di sterminio e su fb, scrive:" Riaprite i campi di sterminio, subito!" Quasi a pentirsene poi, si è affrettato a rinnegare tutto. Quando l'ignoranza fa da padrona Questo soggetto, non sa che nei campi di sterminio vi erano anche tanti comunisti di religione ebraica, tanti omosessuali e che moltissimi comunisti hanno combattuto contro il nazismo?
A Torino, sempre questi elementi, hanno tentato di boicottare gli artisti israeliani, musicisti e cantanti, che dovevano esibirsi per un evento.
A Crotone, Forza Nuova irrompe brutalmente in un edificio mentre si celebra la "Donna nella Cultura Ebraica".
E a Ferrara? Qualcuno erroneamente pensa che ne sia rimasta immune? No, miei cari, vi è anche qua una, seppur piccola, componente di estremista filopalestinese che ci prova a " contrastare" ma essendo una forza piccola, fino ad ora, non ha arrecato grossi problemi. Organizzano le loro piccole manifestazioni, sbandierano palestinese, urlano che vogliono la pace Se, poi, un giorno, dovessero cambiare atteggiamento, per esempio, e diventassero anche solo offensivi contro le famiglie ebraiche ferraresi, allora sicuramente verrebbero puniti duramente.
Tra una settimana sarà il Capodanno ebraico e si legge: "Allarme attentati in Europa in prossimità delle feste ebraiche", tanto per cambiare Da un'indagine il 70% degli ebrei non andrà in sinagoga durante le festività ed il 75% dei bambini sarà tenuto lontano dalle scuole ebraiche. Questi sono i risultati-choc che mette in luce gli effetti di un antisemitismo in crescita, con l'aggravante del "crescente numero" di attivisti estremisti che manifestano pubblicamente contro gli ebrei e contro Israele. Perchè questa nuova ondata di antisemitismo in Italia? La causa principale? Informazione o meglio la disinformazione, spesso deviante e di parte,di cui ho già scritto tempo fa, che continua a manipolare contro Israele, fomentando odio a iosa, vedi per esempio anche la trasmissione nell'ultima puntata delle iene che è andata a senso unico e molto faziosa: perchè non andare anche in Israele fra la popolazione per un confronto? Come dice un noto proverbio:" Ascoltare tutte e due le campane", per conoscere la verità.
Qualcuno, ora, si sente soddisfatto di ciò che sta accadendo agli ebrei anche in Italia? Sarebbe veramente demenziale, sentirsi soddisfatti perchè nessuno, non solo gli ebrei,ma anche i cristiani non potranno sentirsi al sicuro dagli estremisti islamici se dovessero arrivare, e non avranno pietà per nessuno, nemmeno di una certa classe del politicamente corretto, del solidarismo e del multiculturalismo, nonostante gli abbiano spalancato le porte .
(estense.com, 19 settembre 2014)
Il pianto degli ultimi ebrei rimasti in Egitto. Ridotti in 60 anni da ottantamila a poche decine
Se nel 1948 vivevano 76 mila ebrei in Egitto, oggi secondo la Bbc ce ne sono appena 12. Secondo Haroun, presidente della Comunità, «presto non ce ne sarà più nessuno»
di Leone Grotti
Magda Haroun, presidentessa della Comunità ebraica egiziana
«Presto in Egitto potrebbe non esserci più neanche un ebreo». Non si illude Magda Haroun, presidentessa della Comunità ebraica egiziana, sulla sorte della sua religione in Egitto. Negli ultimi 100 anni la sua gente è diminuita in modo spaventoso, passando da circa 100 mila persone a poche decine, secondo le stime più ottimiste, divise tra Il Cairo e Alessandria.
«LE ULTIME DUE» - Magda è succeduta alla guida della comunità ebraica egiziana nell'aprile del 2013, alla morte di Carmen Weinstein. Pur avendo 61 anni, è la più giovane dopo la recente morte della sorella: «A mia sorella dicevo che probabilmente io e lei saremmo rimaste le ultime due donne ebraiche dell'Egitto e che l'ultima avrebbe dovuto chiudere la porta su questa lunga, ricca e variegata storia», dichiarava l'anno scorso al quotidiano egiziano
RAGIONI STORICHE - Se nel 1948 c'erano almeno 76 mila ebrei in Egitto, seconda la Storia degli ebrei del Nilo scritta da Jacques Hassoun, nel 1967 il numero della comunità è crollato ad appena duemila persone. Le ragioni sono storiche: dopo la nascita di Israele nel 1948 molti ebrei si trasferirono a Tel Aviv. Dopo le guerre del 1956 e 1967, invece, la maggior parte di loro fu cacciata dall'Egitto con l'accusa di spionaggio. Il rapporto tra Israele ed Egitto rimase complicato e la conversione all'islam di molti uomini, allo scopo di sposare donne musulmane, fece il resto.
SINAGOGA VUOTA - Magda sa che la sua comunità sparirà presto e ogni volta che entra nella sinagoga principale del Cairo, sempre vuota o quasi, se lo ricorda: «Stiamo morendo, siamo finiti. Il mio principale compito è quello di prendermi cura delle donne sole e malate», dichiara alla Bbc riferendosi alla casa di cura che ha fondato per prendersi cura delle ultime anziane donne ebree egiziane, che secondo l'emittente sono 12 in tutto. «Il mio secondo e più importante compito è di badare a tutto questo», continua Haroun indicando la sinagoga e i manoscritti antichi, «perché non muoia».
«LA NOSTRA EREDITÀ» - Haroun pensa spesso al futuro: «Un giorno non lontano non ci saranno più ebrei egiziani in questo paese, ma ci sarà l'eredità di ebrei egiziani buoni e cattivi, ricchi e poveri, osservanti e laici come tutti gli altri. E i loro cimiteri e le loro sinagoghe, come le loro memorie e le loro foto, saranno ancora qui».
(Tempi, 19 settembre 2014)
I tutori della pace in fuga davanti alla guerra
Il collasso dei caschi blu sul Golan dimostra che una forza Onu in Cisgiordania non funzionerebbe, e non garantirebbe la pace.
Dopo quarant'anni, le truppe Onu incaricate di salvaguardare la separazione delle forze israeliane e siriane sulle alture del Golan hanno abbandonato le loro postazioni: sono fuggite in Israele, per mettersi al sicuro. Questo il resoconto del sito The Tower: «La forza degli osservatori delle Nazioni Unite (UNDOF), istituita nel 1974 per "mantenere il cessate il fuoco tra Israele e Siria" e "vigilare le zone di separazione e di limitazione (delle forze), come previsto dall'accordo di separazione delle forze del maggio 1974", ha ritirato i caschi blu tutori della pace dal territorio siriano perché "la situazione negli ultimi giorni è gravemente peggiorata"»....
(israele.net, 19 settembre 2014)
Lo shabbat di Porta Pia
di Gadi Polacco
Oggi, 24 Elul, ma di 144 anni or sono, le truppe italiane facevano breccia a Porta Pia liberando Roma che a breve sarebbe divenuta ufficialmente Capitale d'Italia.
È naturale come il 20 settembre sia una data cardine anche per l'ebraismo italiano che ebbe quale protagonista di quella memorabile giornata, forse per aggirare la minacciata scomunica papalina, il colonnello ebreo Giacomo Segre (z.l.) al quale venne demandato di ordinare l'apertura del fuoco contro le mura dello Stato pontificio. Calandosi in quel momento storico una grande e doppia soddisfazione, tenuto conto che alla presa di Roma conseguì di fatto anche la fine del ghetto della città.
Non è nostalgismo celebrare quella che è divenuta la data simbolo italiana del principio di laicità che permeò, nelle sue varie correnti, il Risorgimento italiano. Ma vi è ancora molto da fare per affermare, anche in questo paese, una vera laicità che non è "antireligiosità", come qualcuno strumentalmente asserisce, ma al contrario garanzia della libertà di tutti verso tutti, vari credenti e non credenti compresi, uniti nel comune rispetto delle leggi civili.
Pure il mondo ebraico italiano, a parere di chi scrive, dovrebbe quindi adoperarsi maggiormente e con più coraggio per affermare i valori laici, ma la cronaca internazionale di questi giorni, con l'evidenza del fanatismo integralista decapitatore e di quello ancor più subdolo che si maschera e si cela anche nelle democrazie occidentali, dovrebbe indurre ulteriormente a rafforzare il principio di laicità quale idoneo ad affrontare nel reciproco rispetto i problemi della convivenza tra cittadini diversi, costituendo così l'argine al dilagare dei fondamentalismi che ci minacciano.
Contando, per tornare alla cronaca del 5630/1870, che le operazioni militari e diplomatiche si conclusero nella tarda serata, di buon grado pertanto Shabbat Porta Pia.
Shalom a tutti.
(moked, 19 settembre 2014)
Il Consiglio dei Ministri ratifica tre accordi nel settore aereo
Il Consiglio dei Ministri, su proposta dei ministri degli Esteri, Federica Mogherini, e delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, ha approvato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione di tre accordi nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri da un lato e Israele, la Repubblica moldova, nonché gli Stati Uniti d'America, Islanda e Norvegia dall'altro. Unione europea e i suoi Stati membri con Israele L'Accordo prevede la graduale apertura dei servizi aerei da ogni città dell'Unione Europea verso ogni città nello Stato di Israele e viceversa, la libertà tariffaria, la cooperazione fra le Autorità nel settore della sicurezza aerea in termini di security e di safety e della gestione del traffico aereo, al fine di includere Israele nel "cielo unico europeo", la cooperazione in materia ambientale, le misure a protezione del consumatore e l'istituzione di un "Comitato misto" con funzioni consultive, interpretative e applicative dell'Accordo. Unione europea e i suoi Stati membri con la Repubblica moldova L'Accordo prevede la libertà di operare servizi aerei da ogni città dell'Unione Europea verso ogni città moldava e viceversa, la libertà tariffaria, accordi di collaborazione tra le compagnie, inclusi gli accordi di code-sharing e di noleggio con equipaggi (wet-leasing), la cooperazione fra le autorità nel settore della sicurezza aerea in termini di security e safety, forte cooperazione in materia ambientale, misure a protezione del consumatore e un Comitato congiunto con funzioni consultive, interpretative ed applicative dell'Accordo. Unione europea e i suoi Stati membri da un lato e Stati Uniti d'America dall'altro, Islanda dall'altro, e Norvegia dall'altro Con questo Accordo si estende a Islanda e Norvegia l'applicazione delle disposizioni contenute nel Protocollo di modifica dell'Accordo sui trasporti aerei tra la Comunità europea e ed i suoi Stati membri, da un lato, e gli USA dall'altro. L'accordo contiene numerosi incentivi volti a promuovere le riforme necessarie per una maggiore apertura del mercato e aumenta ulteriormente i vantaggi per i consumatori, le compagnie aeree, i lavoratori e le comunità all'interno dell'Unione.
(il Velino, 19 settembre 2014)
Israele - Si colora di italiano la traversata del Lago Galilea
Per l'occasione l'amabasciata italiana lancia l'inziativa per 'Tzad Kadima'
Quest'anno la tradizionale traversata a nuoto del Lago di Galilea - in programma il 20 settembre - si colora di italiano. Per quell'occasione, l'ambasciatore in Israele Francesco Maria Talo' ha infatti lanciato un'iniziativa benefica a favore di 'Tzad Kadima' (in ebraico, 'un passo in avanti'), Associazione, sostenuta da Alessandro Viterbi, che organizza e aiuta il percorso formativo dei bambini sofferenti di lesione cerebrale in Israele, a prescindere dalla religione, dal credo o dall'appartenenza etnica. Ciascun membro della squadra italiana che aderira' alla nuotata potra' effettuare una donazione all'Associazione. Dopo la traversata, i partecipanti italiani si riuniranno presso i ragazzi della Comunita' 'Mondo X', sul Monte Tabor. La traversata del Lago ha due percorsi di differente lunghezza -uno piu' breve (1.5 chilometri) e l'altro piu' lungo (3.5 chilomeri) - ed e' il piu' importante evento natatorio del genere in Israele. Si svolge da 61 anni ed e' oramai un appuntamento fisso al quale prendono parte numerosi partecipanti.
(ANSAmed, 18 settembre 2014)
Gaza - Ashrawi (Olp) condanna le esecuzioni da parte di Hamas
Sono illegali, violazione del diritto alla vita.
RAMALLAH, 18 set - L'esponente dell'Olp Hanan Ashrawi ha condannato le recenti esecuzioni extragiudiziarie di presunti ''collaboratori'' da parte di Hamas a Gaza. "La ratifica delle pene di morte - ha ricordato - è un'esclusiva prerogativa del presidente dell'Autorità nazionale palestinese'' e senza questa la pena capitale ''e' illegale''. Ashrawi si e' comunque detta contraria alla pratica che ''e' una chiara violazione del diritto alla vita e una forma di tortura che e' crudele e inumano trattamento''.
(ANSA, 18 settembre 2014)
Startup potentina a Tel Aviv. «Il futuro è all'estero»
Giuseppe Morlino, un informatico lucano di 34 anni che ha studiato e vive a Roma, ha portato la sua società, Snapback al Dld Tel Aviv Innovation Festival.
di Angelo Rossano
Giuseppe Morlino
Dalla Potenza Valley alla Silicon Bay. E' il viaggio di Giuseppe Morlino, un informatico lucano di 34 anni che ha studiato e vive a Roma. Se ha ragione lui, in un futuro assai prossimo non toccheremo più i nostri Smartphone. Basterà un soffio, o uno schiocco di dita, o uno sfioramento per interagire e far funzionare questi gioiellini della tecnologia che portiamo nelle nostre tasche. «Le applicazioni sono innumerevoli» spiega Giuseppe, che ha portato Snapback (questo è il nome della sua società) al Dld Tel Aviv Innovation Festival. Giuseppe Morlino ha vinto la partecipazione al Tel Aviv Bootcamp, uno dei più importanti appuntamenti internazionali di settore in programma dal 14 al 19 settembre qui a Tel Aviv. In questi giorni le startup vincitrici si presentano a investitori e a grandi player del settore. Snapback è costituita da un team di giovanissimi, sei soci e tre collaboratori. Giuseppe è in Israele «non per cercare soldi. O almeno, non solo per quello», dice pochi istanti prima di presentare la sua startup a una platea di rappresentanti di fondi venture capital.
Il futuro di Snapback? «Il futuro di Snapback sarà all'estero. Stiamo cercando una sede internazionale per sviluppare il nostro progetto e valutiamo l'ipotesi di andare in California, ma siamo pensando anche a New York e Singapore. Certo, non andremo nella Silicon Valley, lì i costi sono troppo alti. Al massimo potrebbe essere Silicon Bay, un po' più a sud».
- Cosa speri di ottenere da questa opportunità che ti offre Tel Aviv? «Non penso ai finanziamenti che pure ci servirebbero molto, ma in questo momento mi interessano particolarmente le connessioni che posso creare intorno al mio progetto».
- Ma senza soldi come si fa? «Il mio è un progetto finanziato da soci. Certo che ci interessa incontrare finanziatori, ma soprattutto ci interessa che la comunità internazionale degli sviluppatori lavori con la cassetta degli attrezzi che gli forniamo noi con Snapback così da moltiplicare il numero delle applicazioni. Ora ci troviamo a Tel Aviv, pensa solo quante applicazioni possibili potrebbe avere Snapback per il sabato in Israele. In questo paese il sabato ci sono ascensori si fermano ad ogni piano per non costringere il passeggero a schiacciare il pulsante».
- Insomma, l'obiettivo è trasformare la tua visione da software a hardware. «Così è accaduto per le schede grafiche. All'inizio la grafica era software, ma poi la richiesta è stata tale da trasformare tutto in hardware con le schede grafiche».
- Dal touch al touchless. Sarai l'uomo che sarà ricordato per averci tolto dalle mani lo smartphone? «Non so, ma mi piacerebbe sviluppare anche altri progetti dopo Snapback».
- Snapback è una startup in fase di sviluppo e di lancio. Come ti sostieni? «Con i soldi che avevo messo da parte. Io e i soci abbiamo investito soldi nostri in questo progetto. Per questo cerchiamo investitori».
- Porti la fede, sei sposato. Tua moglie che ne pensa? «Mi sostiene. Per dare impulso alla mia attività mi ha anche proposto il viaggio di nozze a Singapore».
(il Quotidiano, 18 settembre 2014)
"Eva Braun era ebrea": il suo Dna da un capello
Lo rivela un documentario che sarà in onda mercoledì prossimo su Channel 4. Eva Braun fu la compagna di Hitler per diversi anni: si sposarono il giorno prima di togliersi la vita.
di Maurizio Molinari
GERUSALEMME - Eva Braun forse aveva degli antenati ebrei. A sollevare tale ipotesi sulla moglie di Adolf Hitler è un'inchiesta del programma «Dead Famous Dna» (Il Dna dei morti famosi) che il canale tv britannico Channel 4 manderà in onda mercoledì.
La possibilità di un'origine ebraica della donna che Hitler volle sposare prima del suicidio di entrambi nel bunker di Berlino, il 30 aprile 1945, nasce dal ritrovamento di una spazzola per capelli nel suo appartamento privato in Bavaria dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. A prelevare la spazzola, assieme a uno specchio, fu il capitano dell'intelligence militare Usa Paul Baer, che poi portò questi oggetti negli Stati Uniti, conservandoli in casa propria dentro uno scatolone. Quando negli Anni 70 Baer morì fu il figlio, Alan, a interessarsi a quanto vi era contenuto scoprendo la presenza di oggetti cerimoniali nazisti, di un teschio umano e di una scatola con sopra impresse le lette dorate «E.B.». Dentro, racconta ora Alan Baer, si trovavano spazzola e specchio che affidò a un rivenditore di oggetti antichi, John Reznikoff, che per motivi ancora da chiarire le ha conservate per quasi 40 anni prima di venderli a Mark Evans, conduttore del programma tv, per l'equivalente di circa 1500 euro.
Evans afferma di aver fatto esaminare la spazzola, trovandovi un capello attribuito ad Eva Braun ed è l'esame proprio su questo capello che ha portato a riscontrare la presenza del cromosoma N1b1, in genere associato con l'origine ebraica ashkenazita, di provenienza dell'Europa Centrale oppure Orientale. Le statistiche sul dna affermano che l'80% della popolazione ebraica ha tale cromosoma. Nel tentativo di fugare ogni dubbio sull'origine ebraica della donna che amò Hitler, Evans ha chiesto dei campioni di dna alle due uniche discendenti viventi di Eva Braun ma queste hanno rifiutato i prelievi. La prova definitiva sull'origine ebraica di Eva Braun dunque non c'è ma Channel 4 afferma di esserne sicuro, arrivando a sostenere che gli antenati ebrei della moglie di Hitler si sarebbero convertiti al cattolicesimo nell'Ottocento.
(La Stampa, 18 settembre 2014)
Visto che arintuzzano, riproponiamo il commento romanesco di qualche mese fa: