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Notizie settembre 2014


La vita è bella prima della Shoah nei family movies "tra i più antichi d'Italia"

Nove minuti di filmati in 35 millimetri girati nel 1923 che ritraggono le famiglie Della Seta e Di Segni dopo un matrimonio a Perugia e durante le vacanze ad Anzio e in Valtellina. "Lo Yad Vashem ha cercato a lungo filmati di famiglie ebraiche italiane prima del nazifascismo ma, prima di questi, non ne erano stati rinvenuti", spiega Claudio Della Seta, i cui nonni appaiono nel filmati, e che ha ritrovato in casa queste vecchie, straordinarie, bobine. Ora l'Istituto centrale per il restauro è riuscito a farle rivivere.

di Gabriele Isman

Scene dopo un matrimonio a Perugia, le vacanze ad Anzio e in Valtellina. Nove minuti di girato in 35 millimetri risalenti al 1923. Momenti di vita di nuclei familiari di ebrei romani, i Della Seta e i Di Segni, che al momento costituiscono forse le uniche testimonianze video di famiglie israelitiche prima della Shoah e, probabilmente, i più antichi family movies esistenti in Italia. "Sapevo di avere questi filmati in casa - racconta Claudio Della Seta, giornalista del Tg5, i cui nonni si vedono nelle undici bobine - e anni fa avevo anche provato a svilupparne alcuni fotogrammi, ma i risultati erano stati poco soddisfacenti. Poi quando sono andato a realizzare un servizio per il telegiornale all'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, ho raccontato di quelle bobine e la direttrice dell'Istituto Maria Cristina Misiti mi ha detto che potevano restaurarle grazie alle tecniche più recenti".
A dare nuova vita a quelle immagini sono stati poi la Cineteca di Stato e il Centro sperimentale di Cinematografia con la supervisione di Mario Musumeci, e domenica pomeriggio la presentazione ufficiale sarà comunque all'Ircpal, alle 16,15 nella sede di via Milano. Gli originali finiranno poi al Centro di documentazione ebraica contemporanea, e copie digitali saranno donate alla Fondazione Museo della Shoah e alla comunità ebraica.
"Lo Yad Vashem - spiega ancora Della Seta - ha cercato a lungo filmati di famiglie ebraiche italiane prima del nazifascismo, ma non ne erano stati rinvenuti. Così questi nove minuti che ritraggono anche i Della Seta e i Di Segni sono le uniche testimonianze del genere oggi disponibili".
E ancora Della Seta: "Bisogna anche considerare che nel 1923 il kit completo di cinepresa, proiettore e schermo costava quanto un'automobile, capiamo che erano pochi i potenziali acquirenti di questi macchinari".

Sugli sci in Val Tellina  
  
Le nozze a Perugia  
  
Anzio, una giornata al mare  

Il formato, quel 35 millimetri che soltanto a fine 1923 sarà affiancato dal 16 millimetri, era poi molto delicato, e non esistono, neppure alla Cineteca di Stato, altri family movies: quindi questi potrebbero anche essere ragionevolmente i primi filmati di famiglia italiani.

(la Repubblica, 30 settembre 2014)


Aiutò molti ebrei a fuggire in Svizzera. Premiata a Lecco

Carla Liliana Martini, di 88 anni, ha ricevuto il "Marco d'Oggiono"

Un legame profondo unisce Zanè al Comune di Oggiono, in provincia di Lecco.
E quel legame è rappresentato da Carla Liliana Martini, 88 anni, "ex schiava di Mauthausen" che nel 1943, appena diciassettenne, fece parte della catena di salvezza che da Padova aiutava, assistendoli durante un lungo viaggio in treno, prigionieri anglo-americani, ebrei e dissidenti per permettere loro di arrivare in Svizzera passando proprio dalla piccola stazione di Oggiono.
Una storia di solidarietà e coraggio che Liliana Martini raccontò qualche anno fa nell'opera "Catena di salvezza", libro da cui gli studenti delle medie dell'istituto "Marco d'Oggiono" hanno preso spunto l'anno scorso per produrre uno spettacolo di ricostruzione storica premiato dal Comune. Quest'anno è toccato invece alla signora Martini ricevere un riconoscimento: nei giorni scorsi la scrittrice, accompagnata dagli assessori di Zanè Giuseppe Pozzer, Silvia Carollo e dal consigliere Michela Bortolatto, si è recata a Oggiono per ricevere il prestigioso premio.

(Il Giornale di Vicenza, 30 settembre 2014)


Il sindaco di Fondi al convegno 'Donna sapiens-La figura femminile nell'ebraismo'

 
Il Sindaco Salvatore De Meo
FONDI - Nell'ambito delle iniziative per la XV edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica - dal titolo "Donna sapiens - La figura femminile nell'ebraismo" - il Centro Studi Cappella Orsini, attualmente impegnato nella realizzazione del Museo Ebraico Medievale di Fondi, promuove un incontro sul ruolo della donna ebrea e la medicina nel XV secolo che avrà luogo domani, Mercoledì 1 Ottobre, alle ore 18.30 in via di Grottapinta a Roma.
All'iniziativa prenderà parte il Sindaco di Fondi Salvatore De Meo, che porterà il saluto dell'Amministrazione comunale, e del Commissario del Parco Naturale Regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi Bruno Marucci.
La presentazione del progetto del Museo Ebraico di Fondi si svolgerà in occasione della conferenza "De Judaicorum Mulierum Sanitate. Donne medico ebree nell'Italia medievale", con la partecipazione di Giacomo Moscati, vice Presidente della Comunità Ebraica di Roma; Elvira Di Cave, Presidente della Consulta della Comunità Ebraica di Roma; Marina Formica, docente di Storia Moderna dell'Università di Roma Tor Vergata e componente del Comitato scientifico del CeRSE; Gian Carlo Mancini, Direttore dell'Istituto di Storia della Medicina dell'Università di Roma Tor Vergata; Alessandra Veronese, docente di Storia Medievale presso l'Università di Pisa. I lavori saranno introdotti da Roberto Lucifero, Direttore del Centro Studi Cappella Orsini. Seguirà un intervento musicale di Giuseppe Pecce sulla contaminazione ebraica nella musica medievale.
Il progetto del Museo Ebraico di Fondi - MEF simula un ambiente tardo medievale nel quale il gotico fiorito in gran voga nel '400 in questa area geografica si contamina con elementi ebraici in cui una matrice vagamente orientaleggiante pervade gli arredi che avranno globalmente una certa omogeneità. Oltre ad approfondire le tematiche religiose e culturali, il progetto prevede nelle due sale superiori anche la ricostruzione di attività economiche, in quanto nell'epoca quattrocentesca Fondi fu centro propulsore di attività diverse con il rilevante contributo degli Ebrei, specialmente nel campo della produzione tessile e nell'attività finanziaria.

(h24notizie, 30 settembre 2014)


Mentre egli avanzava stendevano i loro mantelli sulla via. E quando fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, con gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi!» Alcuni farisei, tra la folla, gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Ma egli rispose: «Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno».
Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: «Oh se tu tu avessi conosciuto, in questo giorno, quello che è per la tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi. Poiché verranno su te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata».
Dal vangelo di Luca, cap. 19







 

Saluto nazista alla curva: "Stavo solo festeggiando"

BREMA - Maik Lukowicz, centrocampista della squadra primavera del Werder Brema, ha rivolto un saluto nazista alla curva durante l'esultanza per un gol segnato contro il Lubecca.
Un compagno di squadra, accorgendosi del gesto, ha provato a bloccarlo abbassandogli il braccio, ma il gesto non è sfuggito alle telecamere. Il 19enne polacco rischia adesso una pesante squalifica. Maik Lukowicz ha replicato alle accuse dicendo di aver "soltanto festeggiato un gol con il braccio teso verso i tifosi".

(blitz quotidiano, 30 settembre 2014)


Tanti francesi vanno in Israele

In otto mesi sono tornati 4.566 ebrei

E' record di ebrei francesi che tornano in Israele. Nei primi otto mesi dell'anno in 4.566 hanno preso questa decisione. Dietro di oro vengono soltanto gli ebrei ucraini, a quota 3.252, e i russi (2.632). Seguono gli Stati Uniti con 2.218 rientri. Ma la guerra in Ucraina e la difficoltà ad abbandonare il paese nelle attuali condizioni potrebbero influire ben presto su questa classifica.
In Israele c'è una preoccupazione crescente per gli atti antisemiti commessi in Europa. Sono stati scritti numerosi resoconti sulle ripercussioni del conflitto israelo-palestinese nelle strade di Parigi. I numeri relativi al periodo gennaio-agosto superano di gran lunga quelli riguardanti l'intero 2013 che aveva visto 3.263 partenze dal territorio francese.
Non si tratta di una decisione a cuor leggero, a cominciare dal versante economico. Negli ultimi tempi i prezzi delle case a Tel Aviv e a Gerusalemme si sono impennati e molti ebrei hanno preferito andare a vivere in città in pieno sviluppo come Ashdod e Ashkelon. Una delle categorie protagoniste di questa migrazione, stando ai dati del governo israeliano, è rappresentata dalle giovani coppie con bambini. In molti abbandonano un continente in piena crisi economica per trasferirsi in una nazione ancora in crescita, con settori in espansione come quello hi-tech. I pensionati vogliono un clima più mite per trascorrere la vecchiaia. E si fugge da un contesto sociale sempre meno tollerante nei confronti degli ebrei.

(ItaliaOggi, 30 settembre 2014)


Il discorso di Netanyahu alle Nazioni Unite

"Hamas è l'ISIS e l'ISIS è Hamas"

 
Signore e Signori, il popolo d'Israele prega per la pace. Ma le nostre speranze e la speranza del mondo per la pace sono in pericolo. Perché ovunque guardiamo, l'Islam militante è in marcia.
Non si tratta di militanti e basta. Non si tratta di Islam e basta. E' l'Islam militante. In genere, le prime vittime sono altri musulmani, ma poi non risparmia nessuno. Cristiani, ebrei, yazidi, curdi - nessuna fede, nessun gruppo etnico è al riparo dalle sue attenzioni. Ed esso è in rapida diffusione in ogni parte del mondo. Conoscete il famoso detto americano: "Tutta la politica è locale"? Per gli islamisti militanti, "Tutta la politica è globale". Perché il loro obiettivo finale è quello di dominare il mondo.
Ad alcuni potrebbe sembrare che io esageri questa minaccia, dal momento che essa inizia a piccola scala, come un cancro che attacca una particolare parte del corpo. Ma, se è lasciato incontrollato, il cancro si sviluppa, dà metastasi su aree sempre più vaste. Per proteggere la pace e la sicurezza del mondo, dobbiamo rimuovere questo cancro prima che sia troppo tardi. La scorsa settimana, molti dei paesi rappresentati qui hanno giustamente applaudito il presidente Obama per aver guidato lo sforzo di affrontare l'ISIS. E ancora settimane prima, alcuni di questi stessi paesi, gli stessi paesi che oggi sostengono la lotta contro l'ISIS, si sono opposti a Israele per aver affrontato Hamas. Essi evidentemente non capiscono che ISIS e Hamas sono rami dello stesso albero velenoso.
ISIS e Hamas condividono un credo fanatico, che entrambi cercano di imporre ben oltre il territorio sotto il loro controllo. Ascoltate l'auto-dichiarato califfo di ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi. Questo è quello che ha detto due mesi fa: "arriverà presto il giorno in cui il musulmano camminerà ovunque come un padrone... I musulmani faranno sì che il mondo ascolti e capisca il significato del terrorismo... e distrugga l'idolo della democrazia". Ora ascoltate Khaled Meshaal, il leader di Hamas. Egli proclama una simile visione del futuro: "Diciamo questo all'Occidente... Per Allah sarai sconfitto. Domani la nostra nazione siederà sul trono del mondo".
Come lo statuto di Hamas rende chiaro, obiettivo immediato di Hamas è quello di distruggere Israele. Ma Hamas ha un obiettivo più ampio. Vogliono anche un califfato. Hamas condivide le ambizioni globali dei suoi compagni militanti islamici. Ecco perché i suoi sostenitori hanno selvaggiamente applaudito per le strade di Gaza, quando migliaia di americani sono stati assassinati l'11 settembre 2001. Ed è per questo che i suoi leader hanno condannato gli Stati Uniti per l'uccisione di Osama Bin Laden, che hanno elogiato come un guerriero santo.
Così, quando si tratta di loro obiettivi finali, Hamas è l'ISIS e l'ISIS è Hamas.
E questo è ciò che essi hanno in comune, che tutti i militanti islamisti hanno in comune: Boko Haram in Nigeria; Ash-Shabab in Somalia; Hezbollah in Libano; An-Nusrah in Siria; l'Esercito del Mahdi in Iraq; i rami di Al-Qaeda in Yemen, Libia, Filippine, India e altrove.
Alcuni sono sunniti radicali, alcuni sono sciiti radicali. Alcuni vogliono ristabilire un califfato pre-medievale del 7o secolo. Altri vogliono innescare il ritorno apocalittico di un imam del 9o secolo. Operano in terre diverse, mirano a vittime diverse e addirittura si uccidono a vicenda nella loro ricerca per la supremazia. Ma tutti condividono un'ideologia fanatica. Tutti cercano di creare enclave in continua espansione dell'Islam militante, dove non c'è libertà e nessuna tolleranza. Dove le donne sono trattate come beni mobili, i cristiani sono decimati, e le minoranze sono soggiogate, e a volte subiscono la scelta terribile di convertirsi o morire. Per loro, chiunque può essere un infedele, tra cui i loro stessi fratelli musulmani.
Signore e Signori, l'ambizione militante dell'Islam di dominare il mondo sembra folle. Ma così erano anche le ambizioni globali di un'altra ideologia fanatica che salì al potere otto decenni fa. I nazisti credevano in una razza superiore. Gli islamisti militanti credono in una fede padrona. Certo, non sono d'accordo fra loro su chi tra loro sarà il padrone... della fede padrona. Questo è ciò su cui sono veramente in disaccordo. Pertanto, la questione di fronte a noi è se l'Islam militante avrà il potere di realizzare le proprie ambizioni sfrenate.
C'è un luogo in cui questo potrebbe presto accadere: lo Stato Islamico dell'Iran. Per 35 anni, l'Iran ha
L'Ayatollah Khomeini ha detto: "Noi dobbiamo esportare la nostra rivoluzione nel mondo intero. Fino a quando il grido 'Non c'è Dio all'infuori di Allah' echeggerà in tutto il mondo"... E da allora, gli esecutori brutali del regime, le Guardie Rivoluzionarie iraniane, hanno fatto esattamente questo.
inesorabilmente perseguito la missione globale stabilita dal suo sovrano fondatore, l'Ayatollah Khomeini, con queste parole: "Noi dobbiamo esportare la nostra rivoluzione nel mondo intero. Fino a quando il grido 'Non c'è Dio all'infuori di Allah' echeggerà in tutto il mondo"... E da allora, gli esecutori brutali del regime, le Guardie Rivoluzionarie iraniane, hanno fatto esattamente questo.
Ascoltate il suo comandante attuale, il generale Muhammad Ali Jaafari. Egli ha proposto chiaramente questo obiettivo. Ha detto: "Il nostro Imam non ha limitato la rivoluzione islamica in questo paese... Il nostro dovere è quello di preparare la strada per un governo mondiale islamico"... Il presidente iraniano Rohani parlando qui la settimana scorsa, ha versato lacrime di coccodrillo su ciò che lui chiamava "la globalizzazione del terrorismo". Forse avrebbe dovuto risparmiarci quelle lacrime fasulle e fare invece una chiacchierata con i comandanti delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Avrebbe potuto chiedere loro di abbandonare la campagna di terrore globale dell'Iran, che solo dal 2011 ha incluso attacchi in due dozzine di paesi nei cinque continenti. Dire che l'Iran non pratica il terrorismo è come dire che Derek Jeter non ha mai giocato interbase per i New York Yankees.
Questo lamento del presidente iraniano sulla diffusione del terrorismo è uno dei più grandi esempi mai visti di ipocrisia. Ora, alcuni ancora sostengono che la campagna di terrore globale dell'Iran, la sua sovversione dei paesi del Medio Oriente e ben oltre il Medio Oriente, sia opera degli estremisti. Dicono che le cose stanno cambiando a causa delle elezioni dello scorso anno in Iran. Essi sostengono che i discorsi flautati del presidente iraniano e del suo ministro degli Esteri hanno cambiato non solo il tono della politica estera iraniana, ma anche la sua sostanza. Credono che Rouhani e Zarif sinceramente vogliano riconciliarsi con l'Occidente, che hanno abbandonato la missione globale della Rivoluzione Islamica.
Davvero? Proviamo a guardare a ciò che il ministro degli Esteri Zarif ha scritto in un suo libro di pochi anni fa: "Abbiamo un problema fondamentale con l'Occidente, e in particolare con l'America. Questo è perché siamo eredi di una missione globale, che è legata alla nostra ragion d'essere"... Una missione globale che è legata alla nostra stessa ragion d'essere. E poi Zarif fa una domanda, credo interessante. Egli dice: Come mai la Malesia [si riferisce a un paese a stragrande maggioranza musulmana] - come mai la Malesia non ha problemi simili? E risponde: perché la Malesia non sta cercando di cambiare l'ordine internazionale.
Questo è il vostro moderato. Quindi non fatevi ingannare dall'ingannevole offensiva del fascino da parte dell'Iran. E' progettata per uno scopo, e per un solo scopo: per eliminare le sanzioni e rimuovere gli ostacoli nel percorso dell'Iran alla bomba. La Repubblica islamica sta ora cercando di abbindolare per un accordo che rimuova le sanzioni che deve affrontare ancora, e lasciarle migliaia di centrifughe per arricchire l'uranio. Se accadesse, ciò stabilirebbe il posto dell'Iran come potenza militare alla soglia del nucleare. In futuro, in un momento di sua scelta, l'Iran, lo stato più pericoloso al mondo nella regione più pericolosa del mondo, potrebbe realizzare facilmente le armi più pericolose del mondo.
Permettere che ciò accada porrebbe la più grave minaccia per tutti noi. Una cosa è confrontarsi con militanti islamici in pick-up, armati di fucili Kalashnikov. Un'altra cosa affrontare militanti islamici armati con armi di distruzione di massa. Ricordo che l'anno scorso, tutti qui eravate giustamente preoccupati per le armi chimiche in Siria, compresa la possibilità che potessero cadere nelle mani dei terroristi. Questo non è accaduto. E il presidente Obama merita grande credito per aver guidato lo sforzo diplomatico per smantellare la quasi totalità delle armi chimiche della Siria. Immaginate quanto più pericoloso lo Stato islamico, l'ISIS, sarebbe se avesse avuto armi chimiche. Ora immaginate quanto più pericoloso sarebbe lo Stato islamico dell'Iran se possedesse armi nucleari. Signore e Signori, volete lasciare l'ISIS arricchire l'uranio? Volete lasciare l'ISIS costruire un reattore ad acqua pesante? Volete lasciare l'ISIS sviluppare missili balistici intercontinentali? Naturalmente non lo vorreste. Quindi non dovete lasciare neppure che lo Stato Islamico dell'Iran faccià altrettato.
Poiché ecco cosa succederà: una volta che l'Iran riuscisse a produrre bombe atomiche, tutto il fascino e tutti i sorrisi improvvisamente scompariranno. Semplicemente svaniranno. E' allora che gli ayatollah mostreranno il loro vero volto e libereranno il loro fanatismo aggressivo sul mondo intero. C'è un solo comportamento responsabile per affrontare questa minaccia: le capacità militari nucleari dell'Iran devono essere completamente smantellate. Non commettere errori - l'ISIS deve essere sconfitto. Ma sconfiggere l'ISIS e lasciare l'Iran come potenza alla soglia del nucleare significa vincere la battaglia e perdere la guerra.
Signore e Signori, la lotta contro l'Islam militante è indivisibile. Quando l'Islam militante ha successo in qualunque luogo, è incoraggiato ovunque. Quando subisce un colpo in un singolo luogo, arretra dappertutto. Ecco perché la lotta di Israele contro Hamas non è solo la nostra lotta. E' la vostra lotta. Israele sta combattendo oggi un fanatismo che i vostri Paesi potrebbero essere costretti a combattere domani.
Per 50 giorni la scorsa estate Hamas ha sparato migliaia di razzi contro Israele, molti dei quali forniti dall'Iran. Voglio che pensiate ciò che i vostri paesi farebbero se migliaia di razzi fossero sparati contro le
Nel tentativo di vincere la simpatia del mondo, Hamas ha cinicamente usato civili palestinesi come scudi umani. Ha usato le scuole, - anche le scuole delle Nazioni Unite, case private, moschee, persino ospedali per immagazzinare e sparare razzi su Israele.
vostre città. Immaginate milioni di vostri cittadini che hanno pochi secondi al massimo per rifugiarsi nei rifugi, giorno dopo giorno. Non lascereste che i terroristi sparino razzi contro le vostre città impunemente. Né si dovrebbe lasciare che i terroristi scavino decine di gallerie del terrore sotto le frontiere per infiltrarsi nelle vostre città, al fine di uccidere e rapire i vostri cittadini. Israele giustamente si è difesa sia contro gli attacchi di razzi sia contro i tunnel del terrore. Ma Israele ha anche affrontato un'altra sfida. Abbiamo affrontato una guerra di propaganda. Perché, nel tentativo di vincere la simpatia del mondo, Hamas ha cinicamente usato civili palestinesi come scudi umani. Ha usato le scuole, non solo le scuole - scuole delle Nazioni Unite, case private, moschee, persino ospedali per immagazzinare e sparare razzi su Israele.
Quando Israele ha colpito chirurgicamente i lanciarazzi e le gallerie, dei civili palestinesi sono stati uccisi tragicamente, ma involontariamente. Ci sono immagini strazianti che ne sono state tratte, e queste alimentano accuse diffamatorie a Israele come se avesse preso deliberatamente di mira i civili.
Non è stato così. Ci rammarichiamo profondamente per ogni singola vittima civile. E la verità è questa: Israele ha fatto di tutto per ridurre al minimo le vittime civili palestinesi. Hamas ha fatto di tutto per aumentare al massimo il numero delle vittime civili israeliane e palestinesi. Israele ha distribuito volantini, fatto telefonate, ha inviato messaggi di testo, ha fatto avvisi in arabo alla televisione palestinese, sempre per permettere di evacuare i civili palestinesi dalle aree che doveva colpire.
Nessun altro paese e nessun altro esercito nella storia sono andati così in là per evitare vittime tra la popolazione civile dei loro nemici. Questa preoccupazione per la vita palestinese era tanto più notevole, dato che i civili israeliani sono stati bombardati da razzi giorno dopo giorno, notte dopo notte. Mentre le loro famiglie venivano bombardate da Hamas, l'esercito di Israele - i coraggiosi soldati della IDF, i nostri ragazzi e ragazze - ha rispettato i più alti valori morali di ogni esercito del mondo. I soldati israeliani meritano non condanna, ma ammirazione, da parte di tutte le persone oneste in tutto il mondo.
Questo è invece quello che ha fatto Hamas: Hamas ha incorporato sue batterie di missili in zone residenziali palestinesi e ha detto ai suoi civili di ignorare gli avvertimenti di Israele. E nel caso in cui le persone non hanno obbedito ai loro ordini, ha ucciso i civili palestinesi a Gaza che avevano osato protestare.
In maniera non meno riprovevole, Hamas ha deliberatamente messo i suoi razzi nei luoghi in cui i bambini palestinesi vivono e giocano. Lasciate che vi mostri una fotografia. E' stata presa da una troupe di France 24 nel corso del recente conflitto. Esso mostra due lanciarazzi di Hamas, che sono stati utilizzati per attaccare noi. Vedete tre bambini che giocano accanto a loro. Hamas ha deliberatamente messo i suoi razzi in centinaia di aree residenziali come questa. Centinaia.
Signore e signori, questo è un crimine di guerra. E dico al presidente Abbas, questi sono i crimini di guerra commessi dai vostri partner di Hamas nel governo di unità nazionale che che egli guida e di cui è responsabile. Questi sono i veri crimini di guerra su cui avrebbe dovuto indagare, o denunciare da questo podio la scorsa settimana.
Signore e Signori, mentre i bambini israeliani stavano rannicchiati nei rifugi e il sistema di difesa antimissile Iron Dome di Israele abbatteva i razzi di Hamas dal cielo, la differenza morale profonda tra Israele e Hamas non avrebbe potuto essere più chiara: Israele stava usando i suoi missili per proteggere i suoi figli, Hamas stava usando i suoi figli per proteggere i suoi missili.
Indagando Israele piuttosto che Hamas di crimini di guerra, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha tradito la sua nobile missione di proteggere gli innocenti. In realtà, quello che sta facendo è quello di capovolgere completamente le leggi di guerra. Israele, che ha preso misure senza precedenti per ridurre al minimo le vittime civili è condannato. Hamas, che ha sparato ai civili nascondendosi dietro i civili - un doppio crimine di guerra - Hamas è ignorato.
Il Consiglio per i Diritti Umani sta inviando così un messaggio chiaro ai terroristi ovunque: utilizzate i civili come scudi umani. Utilizzateli di nuovo e ancora e ancora. Sapete perché? Perché purtroppo, funziona. Concedendo legittimità internazionale all'uso di scudi umani, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite è così diventata un Consiglio dei diritti dei terroristi, e ciò avrà ripercussioni. Probabilmente ne ha già, favorendo l'uso di civili come scudi umani.
Non è solo il nostro interesse. Non sono solo i nostri valori che sono sotto attacco. Sono i vostri interessi e i vostri valori.
Signore e Signori, viviamo in un mondo intriso di tirannia e terrore, dove i gay vengono impiccati sulle gru a Teheran, i prigionieri politici vengono eseguiti a Gaza, giovani ragazze vengono rapite in massa in Nigeria e centinaia di migliaia sono massacrati in Siria, Libia e Iraq. Eppure quasi la metà, quasi la metà delle risoluzioni del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si concentra su un singolo paese ed è stata diretta contro Israele, l'unica vera democrazia in Medio Oriente - Israele, dove le questioni sono discusse apertamente in un parlamento pieno di dissensi, in cui i diritti umani sono protetti da tribunali indipendenti e in cui le donne, i gay e le minoranze vivono in una società veramente libera.
Parlare di Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite è un ossimoro, ma lo userò lo stesso. Il
Sentiamo teppisti oggi in Europa chiedere la gasazione degli ebrei. Abbiamo sentito alcuni leader nazionali paragonare Israele ai nazisti. Questo non dipende dalla politica di Israele, dipende dal fatto che vi sono menti malate. E questa malattia ha un nome. Si chiama antisemitismo.
trattamento di parte del Consiglio di Israele è solo una manifestazione del ritorno dei pregiudizi più antichi del mondo. Sentiamo teppisti oggi in Europa chiedere la gasazione degli ebrei. Abbiamo sentito alcuni leader nazionali paragonare Israele ai nazisti. Questo non dipende dalla politica di Israele, dipende dal fatto che vi sono menti malate. E questa malattia ha un nome. Si chiama antisemitismo.
Si sta ora diffondendo anche nella buona società, dove si maschera come legittima critica a Israele. Per secoli il popolo ebraico è stato demonizzato con calunnie del sangue e accuse di deicidio. Oggi, lo Stato ebraico è demonizzato con la diffamazione e l'accusa di genocidio e di apartheid. Genocidio? In quale universo morale il genocidio comprende l'avvertimento alla popolazione civile del nemico perché eviti il pericolo? O assicurare che riceva tonnellate, tonnellate di aiuti umanitari ogni giorno, anche se migliaia di razzi sono stati sparati contro di noi? O la creazione di un ospedale da campo per aiutare i loro feriti? Beh, suppongo che sia lo stesso universo morale in cui un uomo che ha scritto una tesi di menzogne sull'Olocausto, e che insiste su una Palestina libera di ebrei, Judenrein, può parlare su questo podio e senza vergogna accusare Israele di genocidio e pulizia etnica.
In passato, le menzogne oltraggiose contro gli ebrei sono stati i precursori del massacro del nostro popolo.
Ma ora non più.
Oggi il popolo ebraico ha il potere di difendersi. Ci difendiamo contro i nostri nemici sul campo di battaglia. Noi esporremo le loro menzogne contro di noi nella corte dell'opinione pubblica. Israele continuerà a resistere fiero e indomito.
Signore e signori, nonostante le enormi sfide che Israele affronta, credo che abbiamo un'opportunità storica.
Dopo decenni in cui hanno visto Israele come loro nemico, gli Stati nel mondo arabo sono in grado oggi di riconoscere che insieme noi e loro dobbiamo affrontare molti degli stessi pericoli: questo significa principalmente un Iran dotato di armi nucleari e i movimenti islamisti militanti che guadagnano terreno nel mondo sunnita.
La nostra sfida è quella di trasformare questi interessi comuni per creare una partnership produttiva. Un rapporto che potrebbe costruire un più sicuro, pacifico e prospero Medio Oriente.
Insieme possiamo rafforzare la sicurezza regionale. Siamo in grado di avanzare progetti su acqua, agricoltura, trasporti, sanità, settore energetico, in tanti campi.
Credo che la collaborazione tra di noi possa contribuire a facilitare la pace tra Israele e i palestinesi. Molti hanno a lungo ipotizzato che una pace israelo-palestinese può contribuire a facilitare un riavvicinamento più ampio tra Israele e il mondo arabo. Ma in questi giorni penso che potrebbe funzionare l'inverso: cioè che un riavvicinamento più ampio tra Israele e il mondo arabo può contribuire a facilitare una pace israelo-palestinese.
E quindi, per raggiungere quella pace, dobbiamo guardare non solo a Gerusalemme e Ramallah, ma anche al Cairo, ad Amman, Abu Dhabi, Riyadh e altrove. Credo che la pace possa essere realizzata con la partecipazione attiva dei Paesi arabi, quelli che sono disposti a fornire appoggio politico, materiale e altre forme di sostegno indispensabile. Sono pronto a fare un compromesso storico, non perché Israele stia occupando una terra straniera. Il popolo di Israele non occupa la Terra di Israele. Storia, archeologia e buon senso tutti dimostrano che abbiamo avuto un singolare attaccamento a questa terra per oltre 3.000 anni.
Voglio la pace perché voglio creare un futuro migliore per il mio popolo. Ma deve essere una vera pace, ancorata nel reciproco riconoscimento e con duraturi e solidissimi accordi di sicurezza. Perché vedete, i ritiri di Israele dal Libano e Gaza hanno creato due enclaves di militanti islamici ai nostri confini da cui sono stati sparati contro Israele decine di migliaia di razzi.
Queste esperienze fanno riflettere e aumentano le preoccupazioni di sicurezza di Israele riguardo a potenziali concessioni territoriali in futuro. Tali problemi di sicurezza sono ancora più urgenti oggi. Basta guardare intorno a voi. Il Medio Oriente è nel caos. Vecchi Stati si stanno disintegrando. Gli islamisti militanti stanno riempiendo il vuoto.
Israele non può accettare che i territori da cui si ritirasse vengano di nuovo occupati da militanti islamici,
Ogni accordo di pace, che ovviamente richiederà un compromesso territoriale, dovrà sempre basarsi sulla condizione che Israele sia in grado di difendersi da sola contro ogni minaccia. Eppure, nonostante tutto quello che è successo, alcuni ancora non prendono sul serio i problemi di sicurezza di Israele.
come è successo a Gaza e in Libano. Ciò metterebbe gli analoghi dell'ISIS alla distanza di un tiro di mortaio - a pochi chilometri - dall' 80% della nostra popolazione.
Pensateci. La distanza tra le linee del 1967 e i sobborghi di Tel Aviv è come la distanza tra l'edificio delle Nazioni Unite in cui siamo e Times Square. Israele è un piccolo Paese. Ecco perché ogni accordo di pace, che ovviamente richiederà un compromesso territoriale, dovrà sempre basarsi sulla condizione che Israele sia in grado di difendersi da sola contro ogni minaccia. Eppure, nonostante tutto quello che è successo, alcuni ancora non prendono sul serio i problemi di sicurezza di Israele. Ma io lo faccio, e lo farò sempre. Perché, come Primo Ministro di Israele, io ho la terribile responsabilità di garantire il futuro del popolo ebraico e il futuro dello Stato ebraico. E non importa quanta pressione ci venga esercitata contro, non vacillerò nell'adempimento tale responsabilità.
Credo che con un approccio nuovo da parte dei nostri vicini, saremo in grado di promuovere la pace, nonostante le difficoltà che dobbiamo affrontare.
In Israele, abbiamo esperienza di rendere possibile l'impossibile. Abbiamo fatto fiorire il deserto. E con poche risorse naturali, abbiamo utilizzato le menti fertili del nostro popolo per trasformare Israele in un centro globale di tecnologia e innovazione. La pace, naturalmente, permetterebbe a Israele di realizzare il suo pieno potenziale e di costruire un futuro promettente, non solo per il nostro popolo, non solo per il popolo palestinese, ma per molti, molti altri nella nostra regione.
Ma il vecchio modello per la pace deve essere aggiornato. Si deve tener conto delle nuove realtà e nuovi ruoli e responsabilità per i nostri vicini arabi. Signore e Signori, vi è un nuovo Medio Oriente. Si presentano nuovi pericoli, ma anche nuove opportunità. Israele è disposto a lavorare con i partner arabi e con la comunità internazionale per affrontare quei pericoli e cogliere tali opportunità. Insieme dobbiamo riconoscere la minaccia globale dell'Islam militante, l'importanza di smantellare le capacità di armi nucleari dell'Iran e il ruolo indispensabile degli stati arabi nel promuovere la pace con i palestinesi.
Tutto questo può sembrare un affronto ai luoghi comuni, ma è la verità. E la verità deve essere sempre detta, soprattutto qui, alle Nazioni Unite.
Isaia, il nostro grande profeta di pace, ci ha insegnato quasi 3.000 anni fa a Gerusalemme di dire la verità al potere.
לְמַעַן צִיּוֹן לֹא אֶחֱשֶׁה וּ לְמַעַן יְרוּשָׁלִַם לֹא אֶשְׁקוֹט עַד-יֵצֵא כַּנֹּגַהּ צִדְקָהּ וִישׁוּעָתָהּ כְּלַפִּיד יִבְעָר.
Per amore di Sion io non tacerò. Per il bene di Gerusalemme, non sarò muto. Finché la sua giustizia splenderà luminosa, e la sua salvezza brillerà come una torcia fiammeggiante (Isaia 62:1).
Signore e Signori, accendiamo una torcia di verità e di giustizia per salvaguardare il nostro futuro comune.
Grazie.


Traduzione di Ugo Volli

(Inviato da Deborah Fait, 30 settembre 2014)


Shoah, museo provvisorio al Ghetto

La scelta Il museo della Shoah si farà a Villa Torlonia. Il Museo della Shoah aprirà nel 2015 nella Casina dei Vallati in via del Portico d'Ottavia. Tappa provvisoria in un edificio storico del Comune, in attesa della sede definitiva a Villa Torlonia. Lo ha deciso il Cda della Fondazione Museo della Shoah svoltosi ieri in Campidoglio. Ma da parte della comunità ebraica rimangono dubbi sui tempi del progetto di via Nomentana.

di Laura Larcan

 
La Casina dei Vallati
Il Museo della Shoah aprirà i battenti entro il 2015 nella Casina dei Vallati in via del Portico d'Ottavia e rimarrà in questa sede finché non sarà pronto il nuovo avveniristico edificio progettato da Luca Zevi, la cui sede definitiva sarà Villa Torlonia. Tramonta una volta per tutte l'ipotesi del traghettamento all'Eur. C'è l'accordo. Più che altro, un compromesso dopo la tempesta. Dopo quel rischio di rottura tra Comunità ebraica e Campidoglio. Lo ha deciso il Consiglio di amministrazione della Fondazione Museo della Shoah svoltosi ieri in Campidoglio. La proposta di fare tappa al Ghetto è arrivata dal sindaco Ignazio Marino che punta comunque ad inaugurare il prossimo anno il cantiere a Villa Torlonia, in occasione del 70esimo anniversario della Liberazione degli ebrei dai campi di sterminio. La disponibilità della Casina dei Vallati è stato il coup de théâtre. Edificio storico di suggestioni medievali e rinascimentali, in consegna alla Sovrintendenza capitolina (rimesso in luce nel corso degli sventramenti effettuati a partire dagli anni Venti del secolo scorso per liberare le strutture del vicino Teatro di Marcello) si affaccia su piazza 16 ottobre 1943, luogo dove furono raccolti gli ebrei per la deportazione. «In questo modo si soddisfa la richiesta di rapidità posta dalla base della comunità e dai sopravvissuti», ha dichiarato il presidente delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna che, all'uscita dalla riunione ha precisato che «Si tratta di una sede provvisoria in attesa di quella di Villa Torlonia. L'edificio è di circa 800 metri quadri e attualmente ospita uffici dell'amministrazione ma è sottoutilizzato ed immediatamente disponibile. Sarà un luogo di documentazione e studio».

I DUBBI
Niente dimissioni, per il momento, per il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, che in giornata aveva annunciato l'intenzione di lasciare il Cda qualora non si fosse trovata una soluzione condivisa sulla sede. Il braccio di ferro si consumava tra la scelta della sede sulla via Nomentana, per la quale il Comune ha già investito 15 milioni di euro, e l'urgenza di vedere inaugurato il Museo della Shoah da parte dei sopravvissuti. «Non dobbiamo essere prigionieri - aveva esternato Pacifici - di un meccanismo che farà inaugurare il Museo della Shoah, se si dovesse perseguire il progetto di villa Torlonia, non prima di sette anni. Sono tempi biblici». Ma il consiglio di ieri non ha placato le diversità di opinioni tra i rappresentanti della comunità ebraica nel Cda della Fondazione.

L'AVVOCATURA
Il tema critico rimane infatti la sede definitiva a Villa Torlonia. I dubbi persistono sulle tempistiche e la fattibilità del progetto di via Nomentana. Nel frattempo, la comunità ha acquisito il parere dell'avvocatura sul danno erariale che sconterebbe il Comune per un eventuale spostamento della sede del museo. Non a caso, Marino ha puntato alla cautela accogliendo la richiesta di «un'ultima pausa di riflessione di alcuni giorni». Nelle prossime ore, dunque, la comunità ebraica si riserverà una valutazione complessiva sull'operazione.

(Il Messaggero, 30 settembre 2014)


L'uomo che morì due volte

Dan Segre sbarcò a Tel Aviv con una valigia foderata di seta, pulì i recinti del kibbutz e si fece paracadutare nei Sudeti. Un fondatore di Israele e un grande amico del Foglio.

di Giulio Meotti

Vittorio Dan Segre (a destra) con la divisa da ufficiale britannico in una foto scattata davanti alla sinagoga di Torino nell'aprile del 1945, all'indomani della liberazione
Vittorio Dan Segre è morto due volte. La prima dopo la Seconda guerra mondiale. Il giovane ebreo, venuto al mondo come Vittorio Emilio Giuseppe, era stato costretto dalle leggi razziali a rifugiarsi all'estero. Andò in Palestina, dove già da tempo gli ebrei e gli arabi erano in lotta. Quando nacque lo stato d'Israele, Segre prese la cittadinanza, cambiando il suo nome italiano con quello antico di famiglia. Così divenne Dan Avni. Ma in Italia c'era una ragazza, Rosetta, che Vittorio aveva amato prima di essere costretto a fuggire. La giovane lo raggiunse e si sposarono a Haifa. I coniugi, dopo qualche anno, tornarono in Italia e Rosetta fece trascrivere il matrimonio presso lo stato civile di Torino per regolarizzare di fronte alla legge italiana la sua posizione. Il certificato rilasciato dalle autorità israeliane portava il nome di Dan Avni. Poco dopo il padre di Dan, che aveva conservato il nome di Segre, morì lasciando al figlio alcune proprietà a Govone, vicino ad Alba. Fu allora che iniziarono i guai.
  Per venire in possesso dei beni ereditati, Dan Avni doveva dimostrare di essere Vittorio Segre. Tornò in Israele e alle autorità chiese di ridiventare ufficialmente Vittorio Segre. Il Consolato generale italiano a Gerusalemme prese atto del mutamento e trasmise al comune di Govone anche il certificato di matrimonio celebrato sotto una chuppah a Haifa. Al comune di Rivoli, dove era nato Vittorio Segre non ci fu nulla da modificare, venne aggiunto soltanto che si era sposato. Le cose furono diverse per la moglie: a Torino risultava che si era sposata con Dan Avni; se ora si fosse scritto che si era sposata "anche" con Vittorio Segre, la donna sarebbe stata automaticamente denunciata per bigamia. Segre dimostrò con documenti e certificati che Dan Avni e Vittorio Segre erano la stessa persona, citò testimonianze di consoli e autorità. Ma la legge non prevede un "mutamento di stato". L'unica strada che rimaneva era quella di presentare un falso certificato di morte a nome di Dan Avni e "risposare" la vedova Avni con il suo vero nome, Vittorio Segre. Era fatta tutta così la vita dell'"ebreo fortunato", scomparso sabato a novantadue anni.
  L'ultima volta che ci siamo sentiti questa estate era stato per chiedergli se aveva voglia in qualche modo di intervenire alla veglia del Foglio a favore di Israele e dei cristiani perseguitati. Dan ci rispose così: "Non credo abbiate bisogno di uno scheletro che non cammina". Eccome se avevamo bisogno di Vittorio Dan Segre. Ha tenuto compagnia al Foglio in tante e importanti battaglie. Come quando aderì, fiero e preoccupato, alla manifestazione che il nostro giornale organizzò sotto l'ambasciata della Repubblica islamica dell'Iran a Roma.
  Il giorno della proclamazione dello stato d'Israele Dan Segre si trovava su una torre di avvistamento, piantata nel fitto di un aranceto. Il suo cavallo, legato a un albero, brucava l'erba. Era di guardia, con una pistola e due bombe a mano. Stava lì, nel silenzio e nella contemplazione di un sole arancione che stava
Sulla nave che lo portava per la prima volta in Palestina nel 1939, una signora ammonì così Segre: "Si rammenti bene che le carezze in Palestina si fanno con la carta vetrata".
tramontando, quando vide sbucare un aereo egiziano. Scendeva nel sole, con il sole, e andava a bombardare Tel Aviv per fare strage di ebrei.
Sulla nave che lo portava per la prima volta in Palestina nel 1939, una signora ammonì così Segre: "Si rammenti bene che le carezze in Palestina si fanno con la carta vetrata". Non c'è definizione migliore per raccontare Dan Segre. Dan si porta con sé molti segreti. Come quella volta in cui Primo Levi gli disse di essersi pentito di aver firmato l'appello antisraeliano di Repubblica. Dan era l'incarnazione vivente della "chutzpah", l'intraducibile parola ebraica che significa un misto di freddezza di nervi e di una sfrontatezza oltraggiosa. Come quel bambino che uccide i genitori e poi chiede clemenza al giudice perché è orfano. Fu un uomo di paradossi, un grande israeliano e un grande intellettuale della Diaspora (dove è sepolto), uno che si mosse con disinvoltura fra gli aranceti dei kibbutz e i salotti parigini, le corti dei re africani e le migliori università del mondo, come il Mit di Boston e l'Università di Stanford, fino alle pagine dei quotidiani italiani (lasciò il Corriere della Sera per seguire Indro Montanelli nell'avventura del Giornale, in anni in cui, disse Segre, "la borghesia della 'Milano bene' flirtava con il terrorismo").
  La sua ultima uscita pubblica è stata su Moked, il portale dell'ebraismo italiano: "Accettabile, anche se discutibile, la partecipazione pubblica e cartacea al 'grande dolore', alla inconsolabile perdita del defunto o della defunta (di personaggi femminili da compiangere pubblicamente e a pagamento sembra che ve ne siano meno) trasformata in moda quella di defunti che spesso non si è mai conosciuti (o poco apprezzati). E' un modo di farsi notare, un processo pubblicitario - anche se inconscio - dettato da un'industria mortuaria che un tempo si accontentava del funerale e dell'annuncio affisso sulla porta di casa o della chiesa. Ma perché sentiamo questo grande bisogno di cancellare la morte?".
  Segre partecipò alla creazione di Israele impegnandosi nella carriera diplomatica negli anni in cui Israele era ancora un paese tutto da fare. Una volta ci disse di aver preso parte alla guerra d'indipendenza del 1948 "per porre fine alla caccia gratuita all'ebreo". Era così diverso da quel miope candore illusorio che ha sempre animato l'ebraismo italiano e i suoi intellettuali cortigiani. Dan era un cinico di classe senza schemi ideologici. Arrivò su una spiaggia di Tel Aviv vestito come un aristocratico piemontese, con indosso una giacca blu marino e pantaloni di flanella grigi, una camicia con polsini e colletto di lino bianco. La sua valigia aveva bordi in pelle foderati di seta. Il paese dove sbarca quel ragazzo non è "la terra dove scorrono il latte e il miele", ma è povero e diviso, pieno d'afa, mosche, sabbia e vento. Ci sono le tracce del disastroso governo ottomano, la miseria araba, l'altezzosa, efficiente e giusta amministrazione inglese, e l'ostinazione indomita dei coloni ebrei. E' il "Passaggio in India" di Forster in salsa ebraica.
  Dan Segre si forma al kibbutz Givat Brenner fondato dal grande Enzo Sereni, che a differenza del fratello Emilio, che scelse il comunismo e ripudiò la comunità israelitica, si fece colono e contadino, guerrigliero e ambasciatore per poi morire a Dachau, dopo essersi paracadutato oltre la linea gotica. Entrambi nutrivano una profonda insofferenza per il compiaciuto appagamento che domina tra la borghesia ebraica italiana. Come Dan Segre.
  Con un versamento di mille sterline in una banca britannica, Dan aveva ottenuto un visto d'immigrazione come "capitalista". Capitalista in un kibbutz. Lo misero a ripulire i recinti dei polli in cambio di due ore di ebraico. Il kibbutz si trovava in prima linea, percorso da trincee, interrotte da osservatori anti aerei, da postazioni di mitragliatrici. Una colonia in cui pochi ebrei hanno fermato l'invasione araba. Un asinello portava ogni giorno quattro latte d'acqua. Dan lavorava negli agrumeti e nei filari di cipressi; nelle stalle modello, nei dormitori, nella casa dei bambini, nella fabbrica delle marmellate, nelle officine per gli attrezzi agricoli.
  Fu decisivo il rapporto di Dan Segre con gli inglesi, che ammirava perché rappresentavano la legge, che detestava perché avevano bloccato l'immigrazione ebraica e che invidiava perché stavano combattendo una guerra feroce e testarda contro il satana di Berlino. Dan non aveva ancora vent'anni, aveva paura, ma aveva anche paura di avere paura. Così nel 1941 diede sostanza ai suoi sogni di gloria arruolandosi nell'esercito clandestino ebraico di Ben-Gurion, e poco dopo, a copertura, nell'esercito britannico. Fu allora che conobbe Berenika, nutrita di Freud e di Marx, stuprata dai nazisti in Germania e che in Israele avrebbe
Il compito di Dan Segre nel neonato stato ebraico fu quello di creare la scuola di paracadutisti che non esisteva.
praticato il sesso con la disinvoltura asettica di un'infermiera: offriva il suo corpo ai bisognosi come se stesse somministrando un farmaco.
Il compito di Dan Segre nel neonato stato ebraico fu quello di creare la scuola di paracadutisti che non esisteva. Il governo accettò il progetto che gli sottomise Segre per formare una unità con cinque ufficiali e due soldati. Ma un ex commando inglese che era stato in azione contro Rommel e uno studente di Filosofia che sarebbe diventato assistente di Karl Popper, Yosef Agassi, furono spediti in Cecoslovacchia perché in Israele non c'erano i paracadute e se ci fossero stati non ci sarebbe stato spazio per lanciarsi senza cadere nelle linee nemiche. Volavano su un grosso Liberator acquistato tra i residui di guerra americani e che era già servito a bombardare il Cairo. Precipitarono e Dan si risvegliò in ospedale. La sua vita era un aneddoto dietro l'altro. Come quando regalò a David Ben-Gurion una copia delle opere di Giambattista Vico. Come quando si occupò della prima visita di Moshe Dayan a Parigi. Come quando accompagnò a Nazareth, alla fine degli anni Cinquanta, un sultano algerino discendente diretto - almeno così era scritto sul suo biglietto da visita - del califfo Abu Bakr.
  Dan era capace di grande coraggio intellettuale e ne dimostrò negli anni di amicizia con il Foglio. Elogiò Papa Ratzinger mentre tutte le classi dirigenti occidentali gli davano addosso, sulla pedofilia, sulle mostrine della Wehrmacht, sulla san Pio X, su Ratisbona, sui diritti naturali. "E io, ebreo, vi dico: è un gran Papa", scrisse Dan Segre. O come quando, durante la Seconda Intifada, smontò il mito nero della battaglia di Jenin, che avrebbe nutrito dieci anni di blood libel contro gli ebrei in occidente. O come quando scrisse che Israele non doveva accettare lezioni di morale da "paesi che hanno creato Coventry e Dresda".
  Nato in Piemonte da una famiglia ebraica "emancipata", fedele ai Savoia e simpatizzante della causa fascista, Dan da ragazzo non era mai stato sionista, né potevo esserlo, dato che il padre osteggiava quel movimento che, a suo parere, intaccava la lealtà nazionale degli ebrei italiani. Dan non doveva ancora compiuto cinque anni quando quello stesso padre per poco non gli sparò una rivoltellata in testa: puliva la sua pistola d'ordinanza, una Smith & Wesson calibro 7,35, e il colpo partì, non si seppe come. Dan si salvò per miracolo.
  L'ebraismo, in famiglia, era ridotto a vaghe vestigia, una preghiera nelle solennità, la consuetudine alimentare, e poco altro. La madre, bellissima ed esangue, era stata educata in un convento di suore, in perenne esitazione fra le due fedi. Vittorio trova più comodo essere ebreo che cristiano, così almeno avrebbe evitato "la seccatura della messa domenicale". Anche Vittorio era infantilmente romantico. Gli piaceva sciare e cavalcare, e avrebbe ereditato dal padre il gusto per l'azione, dalla madre la fragilità contemplativa.
  Fu amico dei giganti della cultura ebraica novecentesca, da Manès Sperber a Isaiah Berlin fino al talmudista Adin Steinsaltz. Una vita sempre legata a Gerusalemme, dove a Dan piaceva ancora rifugiarsi, e da dove telefonava orgoglioso col prefisso +72. Un rifugio accanto alla tomba di sua madre, una ebrea sepolta da cristiana su un colle di Ein Karem, il paese di san Giovanni Battista, in un orto curato dalle suore di Sion.
  Per lui, lo stato d'Israele incarnava qualcosa di molto simile a Venezia, quando nel 1571 l'ignavia dell'Europa e l'alleanza fra la Francia e il sultano aprirono con la sua caduta alla marcia degli ottomani su Vienna. Ma avvertiva Segre, "Israele non farà la fine di Bragadin, spellato vivo dai turchi, le orecchie e il naso tagliati via". Era fatto così questo grande ebreo "che voleva essere eroe", dal titolo del libro che Bollati Boringhieri ha mandato in stampa poco prima che Dan morisse. Per la seconda volta.

(Il Foglio, 30 settembre 2014)


Nazioni Unite: l'astuta mossa di Abu Mazen

di Cristofaro Sola

Se il discorso di Matteo Renzi alla Nazioni Unite è stato sostanzialmente irrilevante, ben altro effetto ha provocato quello pronunciato il 26 settembre, stessa tribuna, dal presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. In effetti, più che dire, il leader dell'A.N.P., ha tentato una mossa scaltra che ha messo in grande imbarazzo il presidente degli Stati Uniti d'America.
   E' noto che Barack Obama, in passato, non abbia fatto mistero di nutrire una spiccata simpatia per le ragioni dei palestinesi. Abu Mazen, dopo aver attaccato frontalmente Israele con accuse che definire indecenti è poco, ha tentato di porre la questione della sovranità palestinese direttamente nelle mani dell'Assemblea Generale dell'Onu, proponendo una calendarizzazione con date certe del processo di riconoscimento dell'indipendenza della Palestina, a prescindere dall'accordo con lo Stato d'Israele. Le accuse di razzismo, di pulizia etnica e di apartheid rivolte al governo di Gerusalemme sono servite ad Abu Mazen da pretesto per seppellire lo schema negoziale accettato dal suo predecessore, Yasser Arafat, a partire dagli accordi di Oslo del 1993. Finora si riteneva che il dialogo tra israeliani e palestinesi, mediato dagli Stati Uniti, potesse essere l'unica formula possibile per giungere a un risultato concreto. Oggi, Abu Mazen dichiara senza tentennamenti: "questa strada non funziona".
   Lo fa nella convinzione che ciò che accadde il 29 novembre 2012, quando l'Assemblea generale votò, a larga maggioranza, l'ammissione dell' A.N.P. quale stato osservatore non-membro delle Nazioni Unite, possa essere ripetuto per colpire il bersaglio grosso. A questo punta lo spregiudicato leader palestinese. Scatenare il consesso della nazioni contro il nemico israeliano per ottenere il riconoscimento della sovranità palestinese sull'intera Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza, con Gerusalemme est capitale, tanto per cominciare. Non è un caso se Abu Mazen abbia insistito nell'evocare una suggestione: la Palestina come unico territorio al mondo che vive ancora sotto un governo di occupazione. Dall'exploit newyorkese di Abu Mazen possono trarsi alcune sommarie considerazioni. La prima riguarda la politica di Obama nello scacchiere mediterraneo- mediorientale.
   Le parole del leader palestinese ne confermano il totale fallimento. Obama ha puntato a fare l'amico dell'Islam, a tutti i costi. E' giunto a girare le spalle agli alleati storici dell'Occidente in quella regione pur di accreditarsi come lord protettore dell'islamismo politico. Risultato: Abu Mazen, forte del suo accordo con i terroristi di Hamas, ora scarica l'amministrazione americana e la vuole fuori dal processo di risoluzione del contezioso con Israele. Altra conseguenza riguarda la situazione di crisi che l'Occidente sta affrontando con la guerra scatenata dal fondamentalismo dell'Is. E' di tutta evidenza che Washington abbia bisogno di tenere stretti all'interno della coalizione tutti i paesi arabi dell'area perché il conflitto non sfoci in guerra aperta di civiltà, come vorrebbero quelli dell'Is. Abu Mazen l'ha capito per cui sta cercando d'alzare la posta sul fronte degli accordi di pace israelo-palestinesi, per ottenere non dal processo negoziale ma dalla congiuntura della guerra, quanti più vantaggi possibili. Inoltre, il leader palestinese ha valutato il peso che gli eventi bellici in atto potrebbero determinare negli scenari futuri.
   La guerra all'Is delegata, sul terreno, alle forze presenti "in loco" è destinata, in caso di successo, a consacrare la nascita di un stato autonomo dei curdi. Ciò rappresenterebbe la creazione di un'enclave democratica nel cuore di una regione dominata dalla presenza di paesi lontani dalla tradizione liberale dello stato di Diritto. La costituzione di un agguerrito nucleo statuale palestinese farebbe da contrappeso meridionale al radicamento di un Kurdistan autonomo e aperto all'Occidente. Ciò non dispiacerebbe affatto alle due potenze regionali che, per motivi opposti, non vedono di buon occhio un'evoluzione della guerra all'Is in tal senso: la Turchia, da una parte, e l'Iran, dall'altra. C'è, quindi, da augurarsi che il discorso bugiardo e istigatore d'odio contro Israele pronunciato da Abu Mazen serva almeno a restituire un po' di lucidità a quegli occidentali, soprattutto europei, che hanno con troppa facilità dimenticato cosa sia e che funzione svolga Israele in quel contesto.
   Soprattutto non dimentichino il diritto storico che gli israeliani hanno di vivere in pace su quella terra, che è la loro terra. La smettano una buona volta, le cancellerie del vecchio continente, di giocare a fare "gli antisemiti di ritorno" e si diano una regolata. Si abbia la consapevolezza che, nella percezione di una parte consistente del mondo arabo, ogni cedimento occidentale sulla questione palestinese rappresenta un passo avanti nella biblica guerra per la cacciata degli ebrei dalla terra dei Padri.

(L'Opinione, 30 settembre 2014)


Il Mossad e il reclutamento a portata di mouse

Il volto (quasi) mediatico dell'Intelligence d'Israele

di Luca Lampugnani

 
Di diritto il Mossad rientra tra quelle organizzazioni di Intelligence che più affascinano e fanno parlare di sé, proprio per quella capacità senza rivali di rimanere nell'ombra, di essere alle spalle di molti avvenimenti pur mantenendosi ben lontano dalle luci della ribalta, alimentando leggende e dicerie che a loro volta alimentano il mito. E se le operazioni e le sue mosse erano e sono assolutamente segrete, riuscire ad entrare a farvi parte aveva la stessa identica cortina di oscurità tutto intorno, fatta di incontri lontani da orecchie indiscrete, di annunci criptici su giornali e di colloqui in anonimi palazzi ed edifici della capitale israeliana, Tel Aviv.

   In futuro, tuttavia, le cose potrebbero cambiare per l'"Istituto per l'intelligence e servizi speciali" - nome completo dell'Intelligence israeliana, 'riassunto' in Mossad che, tradotto letteralmente, significa "istituto" -, soprattutto per quanto riguarda il reclutamento di nuovi 007. Come riportato tra gli altri dal Jerusalem Post e dal britannico Guardian, l'agenzia di spionaggio di Tel Aviv.
si è infatti aperta al WWW lanciando una piattaforma on-line dove rendere possibile le auto-candidature per chi vuole entrare a farne parte, rivoluzionando il proprio sito internet preesistente e rendendolo più appetibile per gli utenti della rete e prevedendo una versione, ovviamente, in ebraico, e altre in inglese, francese, russo, arabo e farsi.
   Un messaggio accattivante - "Join us to see the invisible and do the impossibile" ("unisciti a noi per vedere l'invisibile e fare l'impossibile") - accoglie gli avventori e i possibili candidati ad un impiego nel Mossad, diviso per diverse categorie di lavoro: operations, intelligence, technological e cyber. Il tutto, inoltre, viene corroborato nella versione ebraica del portale da un filmato (anch'esso in ebraico) che potrebbe essere facilmente scambiato per un qualsiasi trailer hollywoodiano, un video di 1 minuto e 23 secondi dove sono illustrate, almeno in parte, le attività dell'agenzia tra droni, spie e agenti sotto copertura.
   Secondo il direttore dell'Intelligence ebraica, Tamir Pardo, l'operazione mediatica del Mossad, una vera e propria novità, è da leggersi nell'ottica dell'importanza assoluta di "continuare a reclutare le migliori menti, in modo da poter affrontare le grandi minacce che in questo momento mettono in pericolo lo Stato di Israele". Inoltre, come specifica lo stesso Pardo, "la qualità del capitale umano è uno dei segreti per il successo del Mossad". Sul sito, inoltre, è possibile comprendere quanto la ricerca dell'Istituto di nuovi impiegati sia del tutto internazionale, risvolto confermato da un annuncio che recita: "quale che siano il vostro paese, la vostra nazionalità o la vostra religione, potete contattarci".
   Come sottolinea il già citato Guardian, nonostante l'iniziale pubblicizzazione del 'nuovo volto' in materia di reclutamento, il Mossad per il momento tiene la bocca particolarmente chiusa sull'operazione. Tuttavia, spiega il quotidiano britannico, l'iniziativa sembra aver incontrato il favore di molti ex agenti dell'Intelligence israeliana - tra cui Gad Simron -, i quali hanno sottolineato quanto in tempi 'nuovi' siano necessarie azioni 'nuove' per rimanere al passo: "é il 21esimo secolo. Questo riesce a dare all'agenzia la possibilità di raggiungere il tipo di persone che non ha mai raggiunto prima", sostiene Simron.
   Insomma, benché l'apertura mediatica sia notevole, il Mossad ci tiene a mantenere gran parte della sua proverbiale segretezza. "Le informazioni relative alle attività dell'Intelligence per lo più non diventano pubbliche, e spesso ciò che viene diffuso dopo numerosi anni dalle operazioni è solo la punta di un iceberg di azioni che talvolta sconfinano nell'immaginazione", spiega il direttore Pardo nelle parole che danno il benvenuto on-line agli avventori del sito dell'agenzia, dove in effetti è possibile accedere ad una sorta di storiografia parziale di alcune operazioni degli 007 di Israele. "Questo sito ti da un breve scorcio di cosa è il Mossad - continua Pardo -, ma ti rivelerà solo una parte del suo passato e delle sue attività".

(International Business Times, 30 settembre 2014)


L'eroe della lista Tsipras è un blogger arabo che incita a uccidere ebrei

L'ultima trovata dell'eurosinistra: candidare al premio Sakharov Alaa Abdel Fattah, egiziano noto per gli appelli all'odio verso Israele.

di Noam Benjamin

Alaa Abdel Fattah
Da due settimane è tornato in libertà su cauzione. Un domani potrebbe aspirare al Premio Sakharov per la libertà di pensiero: riconoscimento del Parlamento europeo per i difensori dei diritti umani e delle libertà individuali.
   È Alaa Abd El-Fattah, blogger 33enne egiziano noto nel suo Paese per aver sviluppato una piattaforma digitale libera dalle censure laiche, islamiche o militari. Entrato e uscito dal carcere più volte dal 2006, in Egitto Fattah è diventato un simbolo delle proteste contro il regime dell'ex faraone Hosni Mubarak ed è considerato un precursore della primavera araba. Peccato però che il suo nome sia anche associato a bellicose dichiarazioni di odio verso Israele e i suoi abitanti, che il blogger invita a uccidere senza tanti complimenti. La sua candidatura al premio intitolato al dissidente sovietico Andrej Sacharov arriva dall'ala sinistra dell'Europarlamento. Sono stati i 52 deputati di Sinistra unitaria europea/ Sinistra verde nordica (Gue/Ngl) a sostenere il nome Fattah assieme a quello di due rapper arabi: Mouad Belghouate (meglio noto come El Haqed) e Ala Yaacoubi (Weld El 15), condannati a una serie di pene detentive nei rispettivi Paesi di origine per aver espresso le proprie opinioni. Il gruppo Gue/Ngle comprende fra gli altri i tedeschi della Linke, i francesi del Front de gauche, e gli italiani di «L'altra Europa con Tsipras», al secolo Barbara Spinelli, Curzio Maltese ed Eleonora Forenza. Tre deputati che hanno fatto parlare di sé per avere, la prima, promesso di candidarsi solo per aiutare il partito, salvo mantenere a sorpresa il seggio a Strasburgo; il secondo per non aver rinunciato allo stipendio di Repubblica ; la terza per aver introdotto a Regina Coeli un collaboratore colto a spacciare marijuana al leader antagonista detenuto Nunzio d'Erme. «Il Parlamento deve riconoscere le voci della primavera araba»: così il gruppo politico ha motivato la triplice candidatura.
   Eppure il Premio Sakharov non sembra essere insensibile ai rivolgimenti del mondo arabo e islamico. Nel 2013 il riconoscimento è andato all'attivista pachistana Malala Yousafzai, sostenitrice del diritto delle donne all'istruzione in una regione dominata dall'apartheid sessuale dei talebani. L'anno prima il premio è stato assegnato agli iraniani Jafar Panahi (regista) e Nasrin Sotoudeh (avvocato), paladini dei diritti umani. Nel 2011 l'Europarlamento aveva conferito il Sakharov a cinque giovani simboli o leader riconosciuti proprio della primavera araba. Solo il gruppo Gue/Ngl non sembra essersene accorto. Non così i gruppi Conservatori (Ecr) che rivendicano, per esempio, il premio per i cristiani d'Iraq vittime della pulizia etnica o i Liberali (Alde) e Socialdemocratici (S&D) che lo vorrebbero assegnato a chi cura in Congo le donne vittime di stupro.
   Al di là della discutibile attualità del tema, i tre «paladini» del gruppo delle sinistre sono tre giovani, vittime dell'arroganza del potere nel proprio Paese d'origine. Sulla sua testa pende una sentenza di 15 anni per reati d'opinione ma non sembrano avere insegnato a Fattah che la violenza non paga e che libertà d'opinione non fa rima con libertà di insulto. Su Twitter Fattah cinguetta che una soluzione al conflitto israelo-palestinese può arrivare dal sangue: «C'è una massa critica di israeliani che noi dobbiamo uccidere prima che il problema possa essere risolto», scrive dal suo account nel 2012. Una frase tanto più insensata se si considera che l'Egitto è in pace con lo Stato ebraico dal lontano 1979, due anni prima della nascita di Fattah. Eppure, si legge ancora su Times of Israel , secondo il blogger «non ci dovrebbero essere relazioni di alcun tipo con Israele: Israele deve finire». Una conseguenza logica visto che per lo sviluppatore di manalaa.net, premiato nel 2005 da Reporter senza frontiere come uno dei migliori blog al mondo, scrivere che «tutti i sionisti sono criminali è un esempio accettabile di generalizzazione».

(il Giornale, 30 settembre 2014)


A Mondovì s'insegna l'ebraico biblico

La cittadina era un tempo sede di una importante comunità ebraica.

 
Maria Teresa Milano, insegnante del corso di ebraico
Un corso di ebraico biblico a Mondovì. La cittadina era un tempo sede di una importante comunità ebraica, di cui ne resta testimonianza nella bella sinagoga del '700 e nella collezione di piatti ebraici Besio custodita nel Museo della Ceramica.
A organizzare il corso è l'associazione "MondoQui", nell'ambito del suo progetto di riqualificazione della stazione ferroviaria dell'altipiano e delle sue attività sui confini tra le diverse culture.
Le lezioni saranno tenute da Maria Teresa Milano, dottore di ricerca in ebraistica, autrice di importanti saggi su storia e cultura ebraica, traduttrice e formatrice. Il corso avvicinerà i partecipanti alla lettura dell'ebraico con immediatezza e in modo accattivante. Assieme a questo aspetto ci sarà l'insegnamento della grammatica di base, approfondimenti culturali e racconti sulle tradizioni.
L'incontro di presentazione è fissato per giovedì 9 ottobre alle ore 18.30 presso la sala Franco Centro nella stazione ferroviaria di Mondovì.
Per informazioni: 349 6421404.

(La Stampa - Cuneo, 29 settembre 2014)


Israele - Arrestato un uomo sospettato di sostenere lo Stato Islamico

Ritrovati a casa sua bandiera dell'Isis e libri sulla jihad

GERUSALEMME - La polizia israeliana ha arrestato un docente arabo-israeliano accusato di sostenere l'organizzazione dello Stato Islamico (Isis). Si tratta di uno dei primi arresti confermati nello stato ebraico in relazione con il gruppo jihadista, che ha conquistato ampie zone di territorio in Siria e in Iraq e ha impresso un regime di terrore.
Il quotidiano israeliano Haaretz aveva riferito la scorsa settimana della messa sotto inchiesta di un altro uomo che avrebbe combattuto con l'organizzazione dello Stato Islamico in Siria. L'incriminazione di questo uomo di 23 anni risale al mese di maggio, aveva chiarito il quotidiano.
L'uomo di 24 anni arrestato oggi insegnava in una località vicino a Tel Aviv, come ha precisato un portavoce della polizia, senza precisare la sua identità. Gli agenti hanno trovato in casa sua una bandiera dello Stato Islamico, oltre che libri sulla jihad.

(ASCA, 29 settembre 2014)


Alla biblioteca Trisi di Lugo una conferenza sul tema "La donna nella tradizione ebraica"

Mercoledì 1 ottobre alle 17 alla Sala Codazzi.

LUGO (RA) - Mercoledì 1 ottobre alle 17 alla Sala Codazzi della biblioteca comunale "Fabrizio Trisi" di Lugo si terrà una conferenza sul tema "La donna nella tradizione ebraica". L'incontro vedrà gli interventi di Luciano Caro, rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara e di Ines Miriam Marach, storica dell'ebraismo e presidente dell'associazione "Donne ebraiche italiane (Adei Wizo) - sezione di Bologna. Sarà presente inoltre l'assessore alla Cultura e alle Pari opportunità del Comune di Lugo, Anna Giulia Gallegati.
L'appuntamento è l'ultimo in programma tra le iniziative organizzate dal Comunale di Lugo in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, dedicata quest'anno alla "Donna Sapiens. La figura della donna nell'ebraismo".
Per informazioni, contattare la biblioteca F. Trisi al numero 0545 38568, email trisi@comune.lugo.ra.it.

(Lugonotiize.it, 29 settembre 2014)


Alla scoperta d'Israele, tra bici e Ferrari

Torna la Formula 1, mentre in sella si attraversa il deserto

di Daniela Giammusso

Gerusalemme come Mosca e New York? Ci sono infiniti motivi per un viaggio nella Città Santa, dalla riscoperta delle origini delle più grandi religioni monoteistiche, all'arte, l'archeologia, la cucina o anche solo per i colori del sole al tramonto sulle mura antiche. Ma uno dei più originali è sicuramente il Jerusalem Peace Road Show, che anche quest'anno, per la seconda volta, porterà la Formula 1 nella Città Vecchia, il 7 e 8 ottobre. Protagonisti, i migliori piloti al mondo, la rossa Ferrari e poi vetture di Formula 1, 3 e 4, di Formula Master, auto Nascar e anche unità demo della scuderia Ferrari Challenge. Il tutto tra le meraviglie dei siti storici più antichi al mondo.
  Partenza del circuito è alla Prima Stazione della via Dolorosa. Dal quartiere Montefiore il percorso si dirige poi verso il King David Hotel, lambisce il nuovo Waldorf Astoria, il Mamilla Mall, con anche punti di apertura verso le mura della Città Vecchia, il Liberty Bell Park e la vecchia Stazione ferroviaria ora monumentalizzata, per arrivare alla Porta di Giaffa e tornare al punto di partenza. Nella due giorni ci sarà poi molto da vedere e non solo in pista, tra piloti di Grand Prix, le esibizioni degli stuntmen di motociclette, un'Audi da La-Mansda da ammirare e ancora gare di Superbike, un'esibizione delle leggende della Formula 1, mostre e simulatori di guida.
  Tutto dedicato agli amanti della due ruote, ma rigorosamente senza motore, è invece il Trans Israel Road Cycling Challenge, spettacolare avventura attraverso Israele da vivere tutta in bicicletta. In programma dal 16 al 19 ottobre, il viaggio dura quattro giorni e attraversa l'intero Paese, da nord ad est, da ovest a sud, affacciandosi fino ai confini di Libano, Siria, Giordania ed Egitto. In tutto, 600 chilometri da pedalare, per un percorso impegnativo (alcune salite arrivano fino a mille metri) ma dai panorami mozzafiato tra deserto, montagne, fiumi e città. Si parte da Rosh Hanikra, il promontorio delle spettacolari grotte scavate dal mare sulla costa mediterranea al nord del Paese, con una sosta per ammirare il panorama sul confine libanese dal Memorial site costruito in onore dei riservisti Ehud Goldwasser e Eldad Regev (rapiti dai terroristi Hizbullah nel 2006).
  Seguendo l'autostrada del nord, si attraversa poi la Galilea, i pittoreschi villaggi di Safed e Rosh Pina, la Valle del Giordano, il Mar Morto con le sue dune di sale bianchissimo, il Kibbutz Kalia e le stupefacenti Dragot cliffs. E poi, ecco all'orizzonte Masada, la fortezza che durante la prima guerra giudaica preferì la morte di tutti i suoi abitanti piuttosto che la resa ai Romani conquistatori. E ancora, la città di Arad e la grande depressione del Cratere Ramon. Scendendo sempre più a sud la sabbia del deserto si tinge di rosso, ma ecco che, quasi pedalando sulle orme di Lawrence d'Arabia, appare il blu del Mar Rosso, l'Egitto all'orizzonte e la città di Eliat, la punta più a sud di Israele.

(ANSA, 29 settembre 2014)


«Il Kaddish a Ferramonti. Le anime ritrovate»

Alle 10, nella Sala delle Colonne di Palazzo Marini - Camera dei Deputati, in via Poli 19, il Centro internazionale di studi giudaici, in collaborazione con la Comunità ebraica di Roma, presenta il libro «II Kaddish a Ferramonti, le anime ritrovate» (Prometeo). Oltre agli autori Enrico Tromba, Stefano Nicola Sinicropi e Antonio Sorrenti, interverranno Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, Massimo Bray, già ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e Ivan Basana, presidente di Evangelici d'Italia per Israele.
Il volume ricostruisce la storia e i documenti del primo e più grande campo italiano per ebrei stranieri che si trovava a Ferramonti di Tarsia, a 35 chilometri da Cosenza. II campo venne aperto il 20 giugno 1940, solo dieci giorni dopo l'entrata in guerra dell'Italia. I primi ad arrivare a Ferramonti furono 160 ebrei provenienti da Roma. Al momento della liberazione, da parte delle truppe inglesi, nel settembre i943, erano prigionieri a Ferramonti oltre duemila internati, tra i quali oltre 1600 ebrei. Secondo le ricerche storiche più accreditate, furono oltre cinquanta i campi di internamento, soprattutto per ebrei, che vennero istituiti in Italia dal regime fascista.

(Corriere della Sera - Roma, 29 settembre 2014)


Shoah, scontro sul museo. La Comunità ebraica insorge: "Inaccettabile Villa Torlonia"

Il presidente Pacifici: "Avevamo proposto di aprirlo all'Eur. Se il Comune non ci ascolterà usciremo dalla Fondazione".

di Gabriele Isman

 
Villa Torlonia
Alla vigilia della riunione che dovrebbe decidere dove si farà il Museo della Shoah, è vicina la rottura tra Comunità ebraica e Campidoglio. Oggi alle 15.30 si riunirà il consiglio d'amministrazione della Fondazione Museo della Shoah per l'incontro che dovrebbe essere risolutivo rispetto all'ipotesi di Villa Torlonia: attorno al tavolo ci saranno il sindaco Marino accompagnato dall'assessore Paolo Masini, il governatore Nicola Zingaretti, il presidente della Fondazione Leone Paserman e Riccardo Pacifici, nella duplice veste di numero uno della comunità ebraica romana e di rappresentante dell'associazione Figli della Shoah. A questa riunione Pacifici si presenterà con una lettera di dimissioni già pronta per lasciare sia il cda della Fondazione sia l'assemblea dei Soci fondatori (che poi elegge lo stesso consiglio d'amministrazione).
Dopo i contatti tra Masini e Pacifici nei mesi scorsi per trovare una soluzione più veloce rispetto a Villa Torlonia, per la quale il Comune ha già speso 15 milioni di euro con tanto di progetto dell'architetto Luca Zevi, il Campidoglio, su consiglio dell'Avvocatura comunale che paventava il rischio del danno erariale in caso di spostamento del museo all'Eur, ha fatto marcia indietro. Nel frattempo però la comunità ebraica, su spinta dei reduci della Shoah ancora vivi che sperano di poter vedere aperto il prima possibile il Museo, si è compattata sull'ipotesi dell'Eur. Ecco perché Pacifici oggi arriverà con le dimissioni in tasca: se saranno confermate, il Museo della Shoah nascerà senza la componente ebraica, a parte Paserman che si è detto contrario all'ipotesi Eur ma pubblicamente ha dichiarato di essere pronto ad adeguarsi alle scelte della comunità. "Il consiglio della Comunità ebraica - spiega Pacifici pesando le parole - si è riunito in seduta straordinaria e, da me interpellato, ha deliberato con voto unanime e dopo lunga discussione, di darmi mandato a rappresentare nel cda della Fondazione la volontà di realizzare quanto prima questo museo, con spese congrue e nel rispetto dei sacrifici che il Paese sta portando avanti, in una sede congrua per la quale aspettiamo ancora la proposta del sindaco".
Marino nelle settimane scorse aveva detto che avrebbe rispettato la volontà della comunità ebraica. "Se tutto ciò nella riunione dovesse risultare vano per un iter di cui siamo troppo prigionieri come quello della sede a Villa Torlonia - prosegue Pacifici - non potrò far altro che dimettermi dal collegio dei fondatori come rappresentante della comunità ebraica e dal cda del Museo in rappresentanza dei Figli della Shoah. Sul piano personale rimane comunque l'amarezza di arrivare alla riunione del cda senza un previo confronto con il sindaco Marino".

(la Repubblica, 29 settembre 2014)


Netanyahu: Vado all'Onu a smontare le menzogne di Abu Mazen

Accusando Israele di genocidio, il presidente dell'Autorità Palestinese ha di fatto sepolto il processo di pace.

Alla vigilia del suo discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato domenica che nel suo intervento a New York difenderà l'onore di Israele dalle calunnie del presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). "Nel mio discorso all'Assemblea Generale confuterò le menzogne dirette contro di noi, e dirò la verità sul nostro paese e sugli eroici soldati delle Forze di Difesa israeliane che sono l'esercito più etico del mondo", ha detto Netanyahu ai giornalisti sulla pista all'aeroporto Ben-Gurion poco prima di imbarcarsi alla volta di New York....

(israele.net, 29 settembre 2014)


Oltremare - Volo verso casa
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”
“In piazza e fuori”
“Dopoguerra”
“Scuola in guerra”
“Nuovo mese”
“Dafka adesso”
“Auguri dall'alto”
“Di corsa verso il 5775”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Come salgo sull'aereo, quelle rare volte che non volo sionisticamente (e pragmaticamente) El Al, entro in una apnea linguistica che finisce solo quando, sul volo di ritorno, ricomincio a sentire parlare ebraico intorno a me. Mi fa tre volte più fatica, lo ammetto, lasciare l'ebraico quotidiano al Ben Gurion e imbarcarmi in una lingua straniera e il più delle volte francamente ostica.
Su El Al invece, a parte le orde rumorose e scomposte che costituiscono la popolazione volante, c'è quel sottile piacere di farsi augurare di volta in volta Pesach Sameach, Shana Tova, buon Purim, buona Channukka, o anche solo benarrivati e buona permanenza, in ebraico. È una delle gioie degli olim chadashim, l'augurio inatteso come quello che la Egged compone sulla fronte degli autobus, che girano per Gerusalemme dicendo a tutti buon anno e poi "buona firma" (Chatima Tova) prima di Kippur.
C'è qualcosa di puramente estetico nel volare El Al, la compagnia più di bandiera che ci sia, e anche di intrinsecamente ebraico in quel tenersi ben attaccati quanto possibile alla yidische mame che prende la forma di una hostess (o steward) stanca e spiccia, che ti traghetta al sicuro verso altre terre, altre lingue, culture, cibi. Quando mi capita di preferire altre compagnie, mi sento poi sradicata un po' a forza dalla terra dura che chiamo casa da un pezzo ormai importante della mia vita.
E mi domando come si vive in paesi non dominati da bambini rumorosi e scalzi, con vestiti scoordinati e istituzionalmente anarchici. Forse si vive più in silenzio, ma sul livello di allegria posso scommetterci: bassino andante. Al primo urlo '"Ima!"(con punto esclamativo incorporato) che sento in in aeroporto internazionale mentre rientro in Israele, localizzo il bimbetto fonte del grido, ed è subito casa.

(moked, 29 settembre 2014)


Raccolta di fondi sul web per ricostruire il Tempio di Gerusalemme

Distrutto duemila anni fa dalle truppe dell'imperatore Tito, il Tempio di Gerusalemme potrebbe tornare a risplendere: ''Sarà allora un polo di ispirazione e di pellegrinaggio per tutti i popoli... riunificherà l'umanità''.
L'annuncio è giunto dall'Istituto del Tempio, una delle decine di organizzazioni che cercano di sensibilizzare gli israeliani sulla necessità di riedificare il Tempio di Gerusalemme. L'Istituto afferma di aver raccolto sul web negli ultimi due mesi 100 mila dollari, destinati alla sua progettazione.
Ma la iniziativa allarma le autorità islamiche, che vedono moltiplicarsi le iniziative di organizzazioni religiose ebraiche volte ad alterare il carattere della Spianata delle Moschee, uno dei luoghi più sacri all'Islam. ''Il nostro obiettivo finale - spiega infatti l'Istituto del Tempio - è di far sì che Israele ricostruisca il Santo Tempio sul Monte Moriah di Gerusalemme'': ossia nel perimetro su cui sorgono la Moschea al-Aqsa e il Duomo della Roccia.
Per decenni queste attività sono stato viste in Israele come bizzarrie di ambienti estremisti, in scarso contatto con la realtà. Ma negli ultimi anni il numero degli ebrei saliti sulla Spianata è andato crescendo e di pari passo sono aumentate le tensioni con i fedeli islamici. La realizzazione dei progetti dell'Istituto del Tempio appare comunque esclusa: ancora di recente, per la opposizione dei dirigenti islamici, il governo israeliano si è visto costretto a rimuovere un piccolo ponte di legno di accesso ad una entrata della Spianata.
La progettazione del nuovo Tempio di Gerusalemme, viene spiegato dall'associazione, richiederà 300 mila dollari e si avvarrà di uno staff dotato al tempo stesso di profonde conoscenze dei testi biblici.

(ANSA, 28 settembre 2014)


La cultura Yiddish che sopravvive in Ucraina

Dieci anni di ricerche per intervistare oltre 400 ebrei rimasti negli shtetl: le loro storie meravigliose e terribili in un libro.

di Luigi Gavazzi

In the shadow of the Shtetl: Small Town Jewish Life in Soviet Union di Jeffrey Veidlinger è uno dei libri più belli che mi siano capitati fra le mani negli ultimi anni.
È un libro che ci riporta davanti a un mondo che pensavamo scomparso: quello degli shtetl yiddish dell'Ucraina, i villaggi delle popolazioni ebraiche assassinate dai nazisti nella prima fase della Shoah, l'olocausto perpetrato con le pallottole dalle truppe tedesche - SS e Wermacht - che invasero l'Unione Sovietica e che spazzavano via la vita degli ebrei in ogni angolo del paese conquistato.
Questo libro ci rivela l'esistenza, nel ventunesimo secolo, di alcuni sopravvissuti di questo mondo, che hanno continuato a vivere in quei luoghi. Questi sopravvissuti si sono raccontati e il libro ne evoca la vita e la memoria, con le parole, la musica e i balli, i sentimenti e le emozioni, il tragico e il comico di quel mondo "scomparso".
Sono rimasti in quei luoghi, i luoghi dell'omicidio di massa di familiari e amici, i luoghi dove in questi anni hanno vissuto accanto ai fantasmi ma anche vicino a chi collaborò con i nazisti per perpetrare i massacri.
In the shadow of the Shtetl è frutto del lavoro di ricerca, viaggio, raccolta di interviste e documenti scritti e visivi durato 10 anni - dal 2002 al 2012 - di Veidlinger insieme a Dov-Ber Kerler. Entrambi sono professori alla University of Indiana e curatori di una parte del grande Archives of Historical and Ethnographic Yiddish Memories (AHEYM) della stessa università.
La raccolta di questo prezioso patrimonio è stata possibile grazie all'estroso contributo di Kerler, un linguista cresciuto nella Russia sovietica e figlio di un poeta Yiddish che passò anche cinque anni di detenzione in un Gulag. Kerler, insieme con Veidlinger, è riuscito a trovare oltre 400 persone di lingua Yiddish, soprattutto in Ucraina ma anche in Ungheria, Romania, Moldovia e Slovacchia.
l loro è stato un on-the-road fantastico, a bordo di furgoni presi a noleggio, guidati da un villaggio all'altro, a volte su indicazioni precise dell'esistenza in vita di ebrei sopravvissuti. A volte semplicemente facendosi guidare dall'istinto: entravano nel villaggio, si fermavano nella piazza o nella via centrale e incrociando un passante chiedevano conto dell'eventuale esistenza di qualche anziano che ancora parlasse l'Yiddish, e ricevendo risposte sorprendenti che li guidavano da questi depositari di una storia erroneamente creduta "scomparsa".
Kerler, con il suo carattere ingenuo e spontaneo, fantasioso e imprevedibile, riusciva sempre a far parlare queste persone, di sé e del loro meraviglioso e terribile passato.
Persone nate quasi tutte fra gli anni immediatamente precedenti la Grande guerra e i primi anni dell'Unione Sovietica. Individui che hanno vissuto la storia delle bloodlands ucraine (Timothy Snyder) fra gli anni Trenta e il 1945 con la carestia imposta da Stalin con la collettivizzazione e con l'olocausto nazista, ma prima sono anche sopravvissuti ai pogrom del 1919, alle convulsioni della guerra civile, e non sono emigrate: strada scelta da una parte consistente della popolazione Yiddish per sopravvivere.
Kerler e Veidlinger danno voce, cogliendo l'ultima possibilità, prima che il tempo li avesse definitivamente cancellati, a storie che più volte sono state occultate, nascoste, condannate al silenzio: dalla propaganda sovietica che a lungo ha negato qualsiasi specificità alla vicenda ebraica durante la seconda guerra mondiale. Ma anche quasi ignorate a lungo, dalla storiografia e dal giornalismo occidentale, concentrati sull'olocausto delle camere a gas di Auschwitz ma dimentichi della parte iniziale del genocidio del popolo ebraico: il genocidio delle fucilazioni di massa nelle fosse comuni ai margini di questi villaggi ucraini (e in Polonia e in Bielorussia).
Silenzio che però porta anche la responsabilità di parte della cultura ebraica del dopoguerra, che troppo spesso ha trattato la vita e la cultura degli shtetl come una faccenda conclusa.
Non perdetevi questo libro.

Jeffrey Veidlinger, In the shadow of the Shtetl: Small Town Jewish Life in Soviet Union, Indiana University Press

(Panorama, 28 settembre 2014)


La storia degli ebrei a Terni

Le comunità ebraiche furono presenti in Umbria nelle città dove erano più facili gli scambi commerciali e dove i comuni erano in difficoltà economiche. Nel Medioevo a Narni vivevano dieci famiglie ebree nel rispetto delle regole imposte dalla severità delle autorità comunali e religiose dove era vietato il matrimonio misto ed erano imposti lavori manuali con controlli a tappeto di vario tipo. A Terni gli ebrei si erano avvicinati in occasione delle fiere locali e ne fecero una delle più remunerative per il loro commercio, la fiera di S. Valentino. I venditori di "pannina" nel grande mercato per la festa del S. Patrono richiamarono nel 1752 più di cinquanta ebrei che dovettero presentarsi al vicario del vescovo per le cause criminali e da questi, dopo aver mostrato la licenza pontificia con cui erano stati autorizzati a lasciare il luogo di origine, potevano avere il permesso di circolare senza il segno distintivo, di soggiornare in città per periodi più o meno lunghi e alloggiare in locande in periferia. Molti, di cui i nomi sono stati stilati dagli elenchi dal Vicariato vescovile, arrivarono da Senigaglia dove era presente un'importante comunità e poi da Roma, Urbino, Pesaro, Ancona e Milano come Isacco Vivanti nel 1758. Il gruppo di ebrei tedeschi giunsero a Terni nel 1770 e vendevano suppellettili per la casa, maioliche, abiti usati, pezzi di panno e biancheria per la casa. La presenza degli ebrei a Terni fu limitata fino al periodo napoleonico quando ottennero il permesso, per alcuni mesi dell'anno, di soggiornare o abitare entro le mura della città. Le relazioni con la popolazione rimasero a lungo di una natura commerciale florida e ricca di affari. La storia dell'Umbria spesso si è intrecciata con quella delle Comunità ebraiche non sempre comprese, difatti da Spoleto fino a Città di Castello tra decreti di espulsione e pagamenti imposti per il soggiorno creavano malumori e incomprensioni che costringevano i malcapitati a fuggire in altri lidi, ma comunque la loro permanenza e la loro cultura è stata utile a tutti i comuni. Nel 2009 è stata inaugurata a Terni una lapide in ricordo del cimitero ebraico medievale di Terni nel parco Ciaurro, nei pressi dell'ingresso largo Atleti Azzurri d'Italia, a cura dell'ufficio toponomastica del Comune di Terni.
La memoria del cimitero ebraico medievale di Terni è stata riscoperta grazie all'approfondito studio su documenti d'archivio, da Paolo Pellegrini, in uno studio dal titolo "i cimiteri ebraici di Terni: siti e vicende". I documenti che attestano la presenza del terreno usato dalla universitas iudeorum, ovvero la comunità ebraica, sono presenti nei registri catastali del Rione di Sotto (uno dei sei di cui si componeva la città di Terni) databili intorno al 1495. Una comunità che in una città solidale come Terni ha trovato sempre spazio e integrazione superando tutte le difficoltà culturali.

(Terni in Rete, 28 settembre 2014)


Gerusalemme - Museo on line dei tesori israeliani

GERUSALEMME - L'Autorità israeliana per le antichità, il Museo Rockefeller, il Museo Israel di Gerusalemme e la Biblioteca digitale dei Rotoli del Mar Morto hanno unito le forze per creare un vero e proprio museo archeologico su internet a portata di mouse.
Il sito, regolarmente aggiornato con nuovi manufatti, mette a disposizione di ricercatori, curatori, studenti e del pubblico in generale, sia in Israele che all'estero, una selezione di antichi reperti provenienti dalle collezioni dei tesori nazionali, il Dipartimento dell'autorità responsabile della custodia, documentazione e salvaguardia delle antichità in Israele.
L'Autorità israeliana per le antichità, informa un articolo su Israele.net, ha annunciato che il sito presenterà anche 2.500 manufatti rari tratti dalle le più importanti raccolte archeologiche del Medio Oriente. Le antichità sul sito sono disposte sia in ordine cronologico che per tipologia. La scheda informativa di ogni manufatto riporta dettagliati dati archeologici su provenienza, tipo, dimensioni, materiale, datazione e relativa bibliografia. Inoltre, le immagini ad alta risoluzione dei manufatti possono essere acquistate on-line dagli archivi fotografici dell'Authorità.

(Adnkronos, 28 settembre 2014)


Mario Limentani (1923-2014)

 
Mario Limentani
Mario Limentani, uno degli ultimi testimoni alla Shoah, è scomparso questa mattina a Roma all'età di 91 anni. Originario di Venezia ma trasferitosi a Roma giovanissimo, era stato catturato dai persecutori nazifascisti nel dicembre del 1943 in una retata contro i dissidenti politici e deportato nel gennaio del 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen. Trasferito nella sezione di Melk, poi di nuovo a Mauthausen e infine nella sezione di Ebensee del campo, fu liberato solo nel maggio del 1945.
La sua vicenda è riferita nel libro di Grazia Di Veroli "La scala della morte. Mario Limentani da Venezia a Roma, via Mauthausen".
Testimone del capitolo più straziante della storia del Novecento, Limentani era sempre presente alle celebrazioni della Memoria della Shoah. Durante la visita alla sinagoga di Roma lo scorso dicembre del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta aveva preso parte alla cerimonia di accensione delle candele di Hannuccà.
Rivolgendo a Mario Limentani un estremo saluto, il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha detto: "Memoria storica degli ebrei italiani, Mario Limentani è stato testimone dell'ora più buia delle nostre vicende, vivendo sulla propria pelle l'orrore della deportazione, dello sterminio, dell'annientamento sia fisico che morale operato dal nazifascismo. Il suo coraggio, la sua lucida e terribile testimonianza, non saranno dimenticati. Che il suo ricordo sia di benedizione per noi tutti".
Anche la Comunità ebraica di Roma ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa del Testimone, unendosi al dolore della famiglia.

(moked, 28 settembre 2014)


La sede del museo della Shoah: il Comune sceglie Villa Torlonia

Domenica pomeriggio il cda decisivo della Fondazione Campidoglio L'avvocatura: rischioso cambiare luogo. Forse all'Eur sarà allestita la sede provvisoria.

di Alessandro Capponi

Nel primo pomeriggio, domenica, si capirà ufficialmente il futuro che attende il museo della Shoah, ma già prima della riunione del cda della Fondazione è chiarissimo l'orientamento del Comune: aprire le buste per aggiudicare la gara di Villa Torlonia. L'ipotesi Eur, auspicata dal presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, e caldeggiata dalla base e in qualche modo dai sopravvissuti - nei loro cuori la speranza di riuscire a vedere il museo di Roma dedicato alla memoria - potrebbe tornare buona per un allestimento temporaneo, almeno per ricordare degnamente l'anniversario della liberazione di Auschwitz, a gennaio. Ma è chiaro che le condizioni economiche devono essere adeguate a quelle delle casse (vuote) del Campidoglio.
In queste ore si susseguono i contatti tra l'Ente Eur e Pacifici, ma ciò che appare certo, alla vigilia della riunione decisiva, è che il Campidoglio, grazie alla consulenza soprattutto dell'avvocatura comunale, ha preso una decisione, stabilito una rotta dalla quale, salvo correre elevatissimi rischi erariali, non ci si potrà discostare troppo. Ma comunque quella di domenica pomeriggio s'annuncia come una riunione decisiva: il presidente Leone Paserman, il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, il sindaco Ignazio Marino, il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, si incontreranno per trovare una soluzione alla questione nata in estate, con la richiesta di Piero Terracina - sua e di altri sopravvissuti - di riuscire a vedere il museo di Roma prima di morire.
Al cda della Fondazione parteciperà eccezionalmente anche l'assessore ai Lavori pubblici, Paolo Masini. Toccherà a lui rendere nota la posizione del Campidoglio: deciderà lui quali parole usare ma è chiaro che non c'è alcuna intenzione di non aprire le buste della gara per il museo di Villa Torlonia (progetto di epoca veltroniana, progettista Federico Zevi, oltre 20 milioni già stanziati, una quindicina spesi per espropriare l'area). Anche perché viste le delibere comunali il museo della Shoah di Roma può soprgere solamente là, l'esproprio fu eseguito con quell'unica finalità.
Naturalmente il Campidoglio ascolterà le richieste del presidente Pacifici, da tempo impegnato per l'ipotesi Eur e, più in generale, per trovare una soluzione che soddisfi le richieste dei sopravvissuti (e di parte della comunità). Anche il Comune confida di poter venire incontro alle richieste di Piero Terracina ma domani al cda racconterà delle perplessità tecnico-amministrative legate allo spostamento del progetto. Anche perché se da Villa Torlonia non si può tornare indietro è evidente che una sede temporanea del museo non potrà realizzarsi con la spesa prevista inizialmente per l'Eur, quando fu ipotizzato un trasferimento definitivo. La discussione, dunque, s'annuncia complessa: e, soprattutto, decisiva.

(Corriere della Sera - Roma, 28 settembre 2014)


Dan Sogre, il nostro Risorgimento da Govone a Gerusalemme

Morto a Torino a 92 anni. Diplomatico, scrittore, compagno di Montanelli al Giornale fu volontario della Royal Navy contro i nazisti e soldato della Brigata Ebraica.

di Maurizio Molinari

Vittorio Segre è nato nel 1922 a Govone, in provincia di Cuneo, figlio di un ufficiale della Reale Cavalleria. Emigrato in Palestina nel '39, in seguito alle leggi razziali, cambiò il proprio nome in Dan Avni.
GERUSALEMME - Faceva yoga con David Ben Gurion e fu reporter di Indro Montanelli, con la divisa della Brigata Ebraica salvò molti orfani della Shoah in Italia e dalle cattedre di Haifa e Lugano ha avvicinato l'Europa a Israele e viceversa. Vittorio Dan Segre, morto ieri a Torino a 92 anni, è un protagonista del Novecento che ha incarnato la sovrapposizione tra Risorgimento italiano e sionismo ebraico. Nella casa di famiglia a Govone la stanza con i cimeli di Arturo Segre, padre di Dan e ufficiale della Reale Cavalleria, è a fianco di quella in cui il figlio ha raccolto le testimonianze di un'avventura sionista - mostrine militari, medaglie, feluche e riconoscimenti di ogni tipo - che iniziò con l'emigrazione nella Palestina del mandato britannico per fuggire dalle leggi razziali del 1938, ovvero il tradimento del Risorgimento per cui il nonno aveva sguainato la sciabola.
Volontario nella Royal Navy contro i nazisti e soldato della Brigata Ebraica, Dan Segre risale l'Italia con i liberatori svolgendo una delle numerose missioni segrete della sua vita: bussa alle porte dei conventi per riprendersi i bambini ebrei orfani a causa della Shoah. In alcuni casi trova ampia collaborazione, in altri riscatta i bambini con sacche di dollari. Prima di impiegarlo nella Penisola, il comando britannico gli aveva affidato la sezione Radio italiana clandestina delle trasmissioni enti-fasciste: la sede era in un monastero sulle pendici del Monte Zion, poco distante dal luogo del Cenacolo, e fu lì che si trovò all'improvviso come assistenti due italo-americani «amici» del boss Lucky Luciano che inviavano nell'etere i messaggi per preparare lo sbarco in Sicilia del 1943.
   Durante la guerra d'indipendenza di Israele del 1948 Dan Segre è nei ranghi del Palmach, conosce Ben Gurion e tra i due si crea un'amicizia basata sul comune hobby per lo yoga. «Con Ben Gurion parlavamo sempre stando a testa in giù», amava ricordare. Diplomatico di carriera con la passione per l'Africa, autore di una dozzina di libri - l'ultimo, Storia dell'ebreo che voleva essere eroe, autobiografico, è uscito in questi giorni per i tipi di Bollati Boringhieri - tiene a conservare un legame intenso con l'Italia ed è assieme a Indro Montanelli nel 1974 quando viene fondato Il Giornale. Gli resterà accanto nella sfida della Voce, condividendo l'idea di Italia e Israele volti complementari di un Occidente assediato da mille pericoli e altrettanti nemici.
   Nulla da sorprendersi se è a lui che Gianni Agnelli si rivolge, all'inizio degli Anni 70, per andare in Israele. A breve distanza dalla Guerra dei Sei Giorni l'Avvocato vuole sapere tutto della piccola nazione riuscita a sbaragliare gli eserciti arabi. Entrano assieme nella cucina del premier Golda Meir, incontrano Yizthak Rabin eroe della riunificazione di Gerusalemme e lo scrittore Amoz Oz gli apre le porte del suo kibbutz. «Accompagnai l'Avvocato e Donna Marella a prendere il tè a casa Oz - raccontava -, Agnelli ascoltò a lungo senza parlare. Poi chiese: "Splendida uguaglianza, ma come si fa quando una 'compagna' nasce brutta?". E la risposta di Oz fu: "E un problema di cui il socialismo reale preferisce non occuparsi"». Gli ultimi anni della vita li ha dedicati all'Istituto di Studi Mediterranei dell'Università di Lugano, approfondendo la convinzione che nel futuro di Israele c'è uno status di neutralità simile a quello degli elvetici, perché «gli ebrei non appartengono a blocchi». Abile nelle provocazioni intellettuali, a suo agio nelle polemiche letterarie - come quella contro Lettera a un amico ebreo di Sergio Romano - e dotato di una memoria enciclopedica, Dan Segre resta soprattutto l'interprete della parabola dell'Ebreo fortunato, che diede il titolo al libro di Bompiani del 1985 ancora oggi in vendita da Barnes & Noble a Manhattan perché descrive il successo nel trasferire la tempra del Risorgimento da Govone a Gerusalemme.

(La Stampa, 28 settembre 2014)


Qatar non credibile se non condanna Hamas

"La condanna da parte dell'emiro del Qatar dell'Isis e di al Qaeda in quanto organizzazioni terroristiche non risulta sufficiente, se contemporaneamente si considera lecita la resistenza islamica contro invasori vari e occupanti". E' quanto afferma il deputato Ncd Alessandro Pagano. "Il riferimento - prosegue - va ad Hamas, considerata organizzazione terroristica negli Stati Uniti e dalla all'articolo 2 del suo statuto dichiara l'affiliazione ai Fratelli musulmani, per i non addetti ai lavori e' acronimo di Movimento di Resistenza Islamico e non e' considerato dal Qatar organizzazione terroristica. D'altronde il Qatar ha ospitato dal 1999 al 2001 il leader di Hamas, Khaled Meshaal il quale, dopo un intermezzo siriano sino al 2012, e' rientrato a Doha e attualmente risiede ancora nell'emirato. E allora - sottolinea l'esponente Ncd - queste dichiarazioni ambigue non possono lasciare in alcun modo tranquilli nessuno. Se il Qatar e' davvero quello che dice, deve condannare, senza se e senza ma, Hamas e ogni altra forma violenta di organizzazione e di resistenza islamica. Altrimenti - conclude Pagano - e' solo un tatticismo non credibile".

(IMGPress, 27 settembre 2014)


Israele guarda al futuro con i pellegrinaggi

A NoFrills la nuova direttrice dell'Ufficio Nazionale del Turismo di Israele Kotzer Adari ha voluto tranquillizzare sulla stabilità del Paese.

 
Avital Kotzer Adari
Prima apparizione pubblica in Italia per Avital Kotzer Adari, la nuova direttrice dell'Ufficio Nazionale del Turismo di Israele, intervenuta a NoFrills per presentare il piano di promozione e comunicazione dei prossimi mesi. Un momento non facile quello che sta vivendo Israele, considerando la guerra nella Striscia di Gaza che ha agitato le cronache mondiali nel mese di agosto. Ripartire da un contesto così tetro non è semplice, ma Kotzer Adari vuole guardare avanti: "Israele è un paese che coniuga tradizione e modernità. Non ci siamo fermati perché dobbiamo spingere i progetti intrapresi, investendo su online e media digitali nel modo più creativo possibile". Le attività dunque vanno avanti con le nuove tratte da Venezia, prezzi economici su più di 70 voli settimanali e i grandi eventi che animeranno il Paese nei prossimi mesi (maratona di Gerusalemme e celebrazione del Natale a Nazareth).

- Il Paese è sicuro
  Durante il convegno "Ferderviaggio incontra Israele", moderato dal presidente di Federviaggio Francesco Sottosanti, si è affrontato più volte il tema della sicurezza del Paese. "Israele è una terra sicura che accoglie tutti a braccia aperte - ha proseguito Kotzer Adari - dove non si scopre soltanto un luogo nuovo, ma si compie anche un viaggio spirituale in sé stessi". Sono poi intervenuti Barbara Chiodi, direttore generale Brevivet, ed Eliseo Rusconi, presidente di Rusconi Viaggi, due operatori molto attivi nel segmento dei pellegrinaggi. Chiodi ha dichiarato che i pellegrinaggi sono ripresi regolarmente a settembre, segno che non ci sono pericoli: "Proseguiremo fino a Natale e Capodanno per poi riprendere a marzo. Proponiamo itinerari religiosi, ma anche culturali. Noi crediamo nella Terra Santa, la destinazione del pellegrinaggio per eccellenza". Secondo Rusconi, è importante che i media non enfatizzino troppo gli episodi negativi per diffondere invece i piccoli esempi positivi di integrazione: "Nessun turista è mai stato coinvolto in atti terroristici, eppure la percezione del rischio che si ha qui dall'Italia è sempre molto alta. Occorre lavorare moltissimo sulla comunicazione, usando le testimonianze di chi è stato in Israele e stimolando incontri con le comunità cristiane locali. È la stampa che deve sensibilizzare alla pace".

(Travel Quotidiano, 28 settembre 2014)


Otto amici francesi nell'esercito israeliano

Via dalla Francia tutti insieme per arruolarsi: "Vivere lì non faceva per noi perché i musulmani si stanno rafforzando e lo spazio per gli ebrei si restringe".

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - "Non eravamo adatti a vivere in Francia, così siamo venuti qui". Nel giorno in cui Israele festeggia Rosh Ha Shanà - il Capodanno ebraico che ricorda la Creazione del mondo avvenuta 5775 anni fa - il personaggio che più attira l'attenzione dei media è Dan Maimon. Lo scorso anno fece l'aliyà - immigrando in Israele - assieme a sette inseparabili amici coetanei e 12 mesi dopo tutti e otto sono in un'unità combattente dell'esercito israeliano.
In particolare, hanno scelto di aderire al battaglione Nahal composto di soldati ortodossi, inquadrato nella brigata di fanteria Kfir: i soldati che danno la caccia a terroristi e ricercati in Cisgiordania e, segnatamente, nell'area di Jenin.
Spiegando la parabola che li ha visti protagonisti, Dan Maimon spiega che "si è trattato di un viaggio molto lungo, iniziato quando abbiamo deciso di realizzare i nostro sogni, lasciando la Francia per arruolarci nelle truppe combattenti in Israele". "Vivere in Francia non faceva per noi - spiega Maimon - perché i musulmani si stanno rafforzando e lo spazio per gli ebrei si restringe".
La vicenda degli otto volontari francesi amici per la pelle e legati da "sogni comuni" evoca nel pubblico israeliano "Band of Brothers", la mini-serie tv ideata e diretta da Steve Spielberg basta su testimonianze dirette della partecipazione americana alla liberazione dell'Europa dai nazisti.

(La Stampa, 27 settembre 2014)


Quel salame nato da un'idea degli ebrei buongustai

Il salame d'oca era prodotto nella comunità ebraica di Mortara già nel Quattrocento. Il motivo della sua origine è da ricercare nel divieto ebraico di consumare carni suine.


MORTARA - Il salame d'oca era prodotto nella comunità ebraica di Mortara già nel Quattrocento. Il motivo della sua origine è da ricercare nel divieto ebraico di consumare carni suine (nei secoli successivi, però, il salame sarebbe stato preparato anche con l'aggiunta di carne di maiale). La popolarità dell'insaccato raggiunge il suo apice solo all'inizio del Novecento quando le cascine di Mortara e della Lomellina cominciano a fornire in gran quantità straordinaria carne d'oca. Secondo la migliore tecnica di lavorazione, i palmipedi devono essere alimentati, negli ultimi tre mesi di vita, solo con foraggi verdi e granaglie. L'animale macellato deve avere un peso medio non inferiore a quattro chilogrammi, mentre la carne di suino da aggiungere all'impasto deve essere ottenuta secondo le modalità previste dai disciplinari del Prosciutto di Parma Dop o del San Daniele Dop. Nella produzione del salame d'oca di Mortara, tutelato dall'Indicazione geografica protetta (Igp), le materie prime sono costituite per un terzo dalle parti magre dell'oca, per un terzo dalle parti magre del suino (coppa del collo e spalla) e per il restante terzo dalle parti grasse del suino (pancetta o guanciale).

(la Provincia Pavese, 27 settembre 2014)


Roma - Palestinesi chiedono una via per Arafat

Sel si impegna, porteremo la proposta in consiglio

ROMA - Una via per Arafat. La chiede la Comunità palestinese che oggi con una delegazione è stata ricevuta dal vicesindaco Luigi Nieri prima della manifestazione pro Palestina. La Comunità ha chiesto anche di potere ospitare a Roma alcuni feriti di Gaza e si è detta disponibile ad un incontro con la comunità ebraica. "Per l'intitolazione di una strada ad Arafat, nobel per la pace, presenteremo la proposta in consiglio", ha detto il capogruppo Sel Gianluca Peciola.

(ANSA, 27 settembre 2014)


Duro intervento all'Onu di Abu Mazen contro Israele

Caustico l'intervento all'Assemblea delle Nazioni Unite del presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen: accusando Israele di aver condotto una "guerra di genocidio" nella Striscia di Gaza, ha dichiarato che "Non si può tornare ai negoziati senza la fine dell'occupazione colonialista e razzista" e che "Ancora una volta (gli israeliani) non hanno perso occasione di far fallire le trattative".
   Nella sala le sedie della delegazione israeliana erano vuote, ma Abu Mazen ha lanciato l'appello a tutta l'Assemblea chiedendo che il Consiglio di Sicurezza approvi una risoluzione con un "calendario preciso", per la fine dell'occupazione israeliana e l'istituzione dello Stato palestinese. "Ritornare ai negoziati del passato è sbagliato", ha aggiunto, precisando che gli insediamenti di Israele distruggono l'opzione dei due Stati e che quanto prima "Si deve porre fine al vergognoso blocco israeliano di Gaza".
   Dure la reazione di Israele, con il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha dichiarato che "Il discorso di Abu Mazen all'Onu chiarisce di nuovo e in maniera netta di non voler di non poter essere un partner per un accordo politico ragionevole" e che il leader di al-Fatah, che "ha dato vita a un governo di unità nazionale con Hamas, dimostra una volta in più di non essere una persona di pace ma uno che continua la politica di Arafat con tattiche diverse".
   Anche gli Stati Uniti non hanno gradito l'intervento di Abu Mazen: un portavoce del Dipartimento di Stato ha definito "deludente" quanto espresso dal presidente dell'Anp, "mina gli sforzi per arrivare alla pace".
   Abu Mazen è atteso alla Casa Bianca mercoledì prossimo.

(Notizie Geopolitiche, 27 settembre 2014)

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Israele e Stati Uniti condannano le parole di Abbas

E a sorpresa, anche la sinistra israeliana le attacca duramente

di Pino Salerno

Nel suo discorso venerdì all'Assemblea Generale dell'Onu, il presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, aveva usato toni durissimi contro Israele, e aveva giudicato l'intervento militare di luglio e agosto nella Striscia di Gaza come "una guerra di genocidio". Inoltre, il presidente Abbas aveva anche sollecitato il Consiglio di Sicurezza dell'Onu a dare seguito alla proposta di Risoluzione, presentata dalla Palestina, per la fine del conflitto israelo-palestinese, e per il ritorno ai confini pre guerra del 1967. Non si sono fatte attendere le reazioni. In Israele, il discorso di Abbas è stato duramente stigmatizzato non solo da membri del governo, come appare ovvio, ma ha aperto una breccia critica anche nella sinistra. Il giudizio che proviene da ambienti del primo ministro Netanyahu è il seguente: "Il discorso di Abbas è pieno di bugie e di incitamento all'odio. Non è certo questo il modo con cui parla un uomo che cerca la pace". Da parte sua, il ministro degli Esteri Avigdor Liebermann, un falco della prima ora, ha detto che il discorso di Abbas è la prova che "Abbas non vuole essere e non può essere un partner per una ragionevole intesa politica". Liebermann ha aggiunto che "Abu Mazen fa da complemento ad Hamas diffondendo il terrore politico e lanciando false accuse contro Israele. Fino a quando Abu Mazen siederà come presidente dell'Autorità Palestinese, darà seguito al conflitto. Abu Mazen prova una volta ancora che egli non è uomo di pace, ma è per tanti versi il successore di Arafat".
   Sulla Risoluzione presentata da Abbas si è pronunciato invece Danny Danon, il presidente del Comitato Centrale del Likud, partito al governo: "Come nel discorso del 2013, Abbas persegue una soluzione istantanea che non ha alcun fondamento nella realtà". Inoltre, Danon ha aggiunto che se i palestinesi muoveranno passi unilaterali, la stessa cosa faranno gli israeliani. "Ogni dichiarazione unilaterale di Abu Mazen", ha concluso il membro del Likud, "si scontrerà con gli interessi sovrani degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria". Da parte loro, gli Stati Uniti fanno sapere, attraverso il Dipartimento di Stato, che "il discorso di Abbas all'Onu ha presentato caratteristiche offensive che creano profondo disappunto e che noi rigettiamo. Queste affermazioni provocatorie sono controproducenti e minano gli sforzi per creare un'atmosfera positiva, per ricostruire la fiducia tra le parti". Nel commento delle autorità della Difesa americana non si fa cenno alla Risoluzione del Consiglio del Sicurezza, ma secondo fonti del New York Times è molto probabile che gli Usa useranno il loro diritto di veto per bloccarne il voto. Amare e venate da pessimismo le considerazioni che provengono dall'interno dell'arcipelago della sinistra israeliana.
   Sul quotidiano di area, Haaretz, le voci di dissenso dal tono e dai contenuti scelti dal presidente dell'Autorità Palestinese si moltiplicano. Per Chemi Shalev, editorialista e corrispondente da New York del quotidiano, il discorso di Abbas è "un regalo di capodanno (il capodanno israeliano - Rosh Hashanah -, il 5775, si è celebrato in questi giorni, ndr) per il presidente Netanyahu". Per l'autorevole giornalista, è mutato l'uditorio al quale Abbas si è rivolto: non è più il pubblico dell'Occidente, soprattutto quel pubblico che vorrebbe mobilitarsi per una pace duratura a Gaza, ma quel pubblico di sostenitori dei palestinesi che vivono nei paesi arabi e nel Terzo Mondo, soprattutto di religione musulmana. "Sbagliato o no", scrive Shalev, "Abbas ha certamente reso più facile la vita di Netanyahu: il discorso del leader palestinese dà a Netanyahu ampio materiale per una reazione altrettanto dura dinanzi all'Assemblea Generale Onu quando parlerà lunedì e gli concederà di chiudere felicemente il capitolo Palestina durante gli incontri con Obama fissati per mercoledì prossimo". E Shalev chiude con amarezza: "l'alternativa dello stato unico, se così lo si può chiamare, non è mai sembrata così vicina". Zahava Gal-On, leader del movimento di sinistra Meretz, sostiene che il discorso di Abbas "contiene una totale assenza di fiducia da parte palestinese in Netanyahu quale partner nei negoziati e nel processo di pace. Ma non mi sorprende, perché per cinque anni il presidente israeliano ha rifiutato la via diplomatica. Anche ora, Netanyahu vuole amministrare il conflitto non risolverlo". Tuttavia, il discorso di Abbas non l'ha affatto convinta, anche se ha promesso che il suo movimento comunque continuerà a sostenere gli sforzi verso il processo di pace duratura avviati con i negoziati egiziani.
   Il punto di vista critico dei laburisti israeliani è stato sostenuto da Eitan Cabel, deputato della Knesset. "Le dichiarazioni di Abbas", ha detto Cabel in un comunicato diffuso sabato, "sono false e oltraggiose. Sono passibili di condanna da parte di chiunque voglia la pace. E per quanto Abbas abbia la necessità di legarsi ad Hamas per ragioni di politica interna ai palestinesi, non vi è alcuna giustificazione per quelle dichiarazioni. Il discorso di Abbas rafforza coloro che rifiutano la pace. Spero che Netanyanhu non lo usi con cinismo, e che invece dia inizio ad un processo diplomatico serio che è l'unica chance per rasserenare l'intera nostra regione".

(il Velino, 27 settembre 2014)


Biennale, padiglione israeliano: si mette a saltare sulla stella di David

Una ragazza filopalestinese venerdì pomeriggio ha distrutto una installazione in sabbia. Poi è fuggita di corsa. Danni limitati all'opera.

All'improvviso sono stati solo slogan e urla. In un luogo di cultura e di arte che, inevitabile che sia così, concentra su di sé le attenzioni del mondo. Specie in un periodo in cui le armi sono tornate solo poche settimane fa a ruggire nella striscia di Gaza. Venerdì pomeriggio una ragazza sui vent'anni di probabili origini palestinesi ha fatto capolino nel padiglione dei giardini della Biennale dedicato agli artisti israeliani.
Una struttura presente dal 1952 a Venezia. I suoi intenti si sono capiti subito: la giovane ha puntato dritto su una installazione in cui c'era una bandiera con la stella di David plasmata con la sabbia. Senza pensarci due volte ci sarebbe salita sopra e urlando slogan contro Israele avrebbe saltato ripetutamente. Distruggendo la composizione. Dopodiché dopo il blitz durato pochi minuti sarebbe scappata lasciando tutti di stucco. Riuscendo a evitare che il personale di sorveglianza intervenisse per bloccare l'intrusa. Sul posto per ricostruire la dinamica dell'accaduto gli investigatori della Digos. Danni comunque limitati all'installazione: la bandiera viene infatti composta da un macchinario. Subito è stato quindi possibile riportare la situazione alla normalità.

(VeneziaToday, 27 settembre 2014)


L'Italia, il rapporto con l'Iran e Oriana Fallaci

 
- Rohani e quelle relazioni con l'Italia
  «L'Italia è tra i Paesi considerati amici, quelli con cui abbiamo le migliori relazioni commerciali, culturali e politiche. E queste relazioni siamo pronti ad ampliarle e rafforzarle». Con queste parole il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha voluto sottolineare i buoni rapporti con Roma durante l'assemblea Onu. L'esponente della Società dei Chierici Militanti ha ribadito che «l'Italia è tra i paesi europei con cui abbiamo le migliori relazioni». Se da New York fanno sapere che si è molto lontani da un accordo sul nucleare con Teheran e ci sono significative distanze con il gruppo dei cosiddetti cinque più uno ( Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania), il nostro Paese è considerato un punto di riferimento per l'Iran. Niente di nuovo sotto il sole, perché l'Italia ha sempre avuto rapporti commerciali privilegiati con gli iraniani e nel 1998 Romano Prodi fu il primo capo di governo occidentale in visita ufficiale dal lontano 1979.

- Cosa è cambiato in Iran?
  Rohani, inoltre, si augura rapporti diversi, in un futuro non troppo lontano, con gli Stati Uniti. Il presidente, a quanto pare, prosegue con la sua tattica del dialogo per mostrare al mondo un Iran diverso rispetto a quello del suo predecessore, Mahmud Ahmadinej?d. In realtà, però, nel Paese non è avvenuto questo grande cambiamento. Lo stesso Rohani, a tal proposito, ha un passato contradditorio. Ama definirsi riformista, ma ha partecipato in prima persona alla rivoluzione islamica guidata da Khomeini e ha contribuito a stabilizzare i precetti islamici nel Paese. Le aperture sul nucleare, invece, saranno limitate dalla guida suprema Khamenei. Sarà lui a decidere, perché la costituzione islamica affida all'ayatollah tutte le funzioni governative principali. Rohani appare come il volto buono del sistema iraniano, mentre Khamenei continua a sperare nell'annientamento dello Stato israeliano. Per non parlare, inoltre, del ruolo delle donne. La vita del gentil sesso non è cambiata in Iran da quando è stato eletto il nuovo presidente.

- Chissà cosa direbbe Oriana Fallaci…
  Tenendo in considerazione tutti questi aspetti, le parole di Rohani verso l'Italia dovrebbero mettere in imbarazzo le istituzioni italiane che hanno un ottimo rapporto con un Paese che non rispetta i basilari diritti civili del suo popolo, in passato ha negato l'esistenza dell'Olocausto e oggi continua a considerare lo Stato di Israele come una sorta di demonio da cancellare dalla faccia della terra. Chissà cosa direbbe oggi Oriana Fallaci di questo rapporto privilegiato con una nazione che fa dell'antisemitismo un tratto distintivo. Forse tornerebbe a usare queste parole, pubblicate in un articolo intitolato "Sull'antisemitismo" uscito su Panorama il 18 aprile 2002: «Lo trovo vergognoso e vedo in tutto ciò il sorgere d'un nuovo fascismo, d'un nuovo nazismo. Un fascismo, un nazismo, tanto più bieco e ributtante in quanto condotto e nutrito da quelli che ipocritamente fanno i buonisti, i progressisti, i comunisti, i pacifisti, i cattolici anzi i cristiani, e che hanno la sfacciataggine di chiamare guerrafondaio chi come me grida la verità. […] Difendo il loro diritto ad esistere, a difendersi, a non farsi sterminare una seconda volta (si riferisce agli ebrei). E disgustata dall'antisemitismo di tanti italiani, di tanti europei, mi vergogno di questa vergogna che disonora il mio Paese e l'Europa. Nel migliore dei casi, non una comunità di Stati ma un pozzo di Ponzi Pilato. Ed anche se tutti gli abitanti di questo pianeta la pensassero in modo diverso, io continuerò a pensarla così».

(Blogtaormina, 27 settembre 2014)


La Germania ha un problema con gli ebrei. Di nuovo

di Matteo Angeli

"E' il momento peggiore dai tempi della Germania nazista. Per le strade si sente dire che gli ebrei dovrebbero essere gassati o bruciati", così Dieter Graumann, presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, in un'intervista di agosto al quotidiano inglese The Guardian.
  E' lunga la lista degli episodi di antisemitismo in Germania occorsi tra giugno e settembre. Solo tra giugno e luglio, le autorità tedesche hanno registrato ben 184 incidenti. A questi si aggiungono i 25 di agosto, documentati dalla Fondazione Amadeu Antonio, una delle più importanti organizzazioni non governative tedesche nella lotta all'antisemitismo e ad altre forme di discriminazione.
  Tra gli episodi più eclatanti, il lancio di bombe Molotov contro l'ingresso della sinagoga di Wuppertal, una cittadina situata nel Land Renania Settentrionale-Vestfalia. L'incidente, avvenuto in data 29 luglio, si inserisce nell'ambito delle proteste contro l'operazione militare "Margine Protettivo" del governo israeliano a Gaza, e riporta alla mente il tragico 1938, anno in cui i nazisti bruciarono una sinagoga nella stessa località.
  Contro questo crescendo di violenza verbale e fisica, perfino le due più alte cariche dello stato tedesco, la cancelliera Angela Merkel e il presidente Joachim Gauck, hanno sentito il bisogno di denunciare la nuova ondata di odio antisemita.
  Il 14 settembre, in occasione di una marcia contro l'antisemitismo che ha avuto luogo per le strade di Berlino, Merkel ha infatti dichiarato di fronte alla Porta di Brandeburgo: "E' un nostro dovere civico e nazionale combattere l'odio verso gli ebrei".
  Tornano i fantasmi del passato. Ma stavolta è diverso: il nuovo antisemitismo non è solo il prodotto dello sclerotico discorso di uno sparuto gruppo di neonazisti. In realtà, i maggiori responsabili di questa nuova campagna di odio contro gli ebrei provengono dalla comunità musulmana residente in Germania.
  A tal riguardo, Jochen Bittner, editorialista per il settimanale die Zeit, lamenta dalle colonne del New York Times: "E' ovvio che l'antisemitismo non nasce con i musulmani d'Europa. Com'è ovvio che questi non sono i suoi unici promotori. Ma il recente inasprimento dei toni è tutto da attribuire al fondamentalismo islamico".
  Le tesi di Bittner trovano conferma nel numero crescente di persone di origini arabe o turche che sono state fermate dalla polizia tedesca negli ultimi mesi con l'accusa di aver commesso atti antisemiti.
  L'antisemitismo di matrice araba è stato fino ad ora ampiamente sottovalutato in Germania, in quanto visto come una versione meno problematica del fenomeno "originale". Secondo Henryk Broder, editorialista di der Spiegel e die Welt, è proprio qui che sta l'errore della classe politica tedesca.
  In una recente intervista a Il Foglio, Broder afferma: "La colpa è della sinistra multiculturalista... I politici tedeschi si rifiutano di denunciare il fondamentalismo islamico. Adesso la moda, vedi Cameron e Obama, è dire che l'Isis, lo Stato islamico, non è 'vero islam'".
  In un paese dove il progresso si misura dal modo in cui vengono trattati gli ebrei, essere antisemiti denota un'imbarazzante ignoranza o indifferenza nei confronti della specialità della storia tedesca. In tal senso, come fa notare Jochen Bittner, i musulmani residenti in Europa sono spesso oggetto di una marginalizzazione che condiziona la loro percezione del paese in cui vivono.
  La storia della Germania non è la loro storia e perciò, non sentendosi mai completamente parte della nazione tedesca, non capiscono perché devono portare il peso di colpe con cui non si identificano.
  Ma il tenere vivo il ricordo dell'Olocausto è un dovere di ogni tedesco, indipendentemente dal luogo di nascita dei suoi genitori. Non è una questione di coinvolgimento personale, sangue o storia. I tedeschi, ancor più degli altri popoli, hanno il compito di non far dimenticare l'orrore del genocidio degli ebrei, per il semplice fatto che questi crimini sono stati perpetrati sul loro territorio.
  L'escalation di violenza antisemita degli ultimi mesi è quindi indicativa di una grave mancanza nella società tedesca. Molti tedeschi di nuova generazione, di origine araba o turca, non hanno infatti ancora assimilato la lezione più importante per essere cittadini tedeschi a tutti gli effetti.
  La lezione dell'Olocausto è una lezione per l'umanità e la Germania ha il dovere di ricordare al mondo che certi orrori non dovranno mai più ripetersi.

(la Voce del Trentino, 27 settembre 2014)


La parola della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi che siam salvati è potenza di Dio. Sta scritto infatti: «Io farò perire la sapienza dei savi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti». Dov'è il savio? Dov'è lo scriba? Dov'è il disputatore di questo secolo? Non ha forse Dio resa pazza la sapienza di questo mondo? Poiché nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio per mezzo della propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la pazzia della predicazione, poiché i Giudei chiedono un segno e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che è scandalo per i Giudei e pazzia per i Greci; ma per quelli che son chiamati, sia Giudei che Greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini e la debolezza di Dio più forte degli uomini.
Dalla prima lettera dell’Apostolo Paolo ai Corinzi, cap. 1








 

Cinematov 2014: Cinema Israeliano Indipendente

Al via la terza edizione della rassegna di cinema israeliano indipendente: il titolo di quest'anno è "Sogno e lavoro: dal kibbutz al computer".

A Milano l'anno ebraico 5775 inizia all'insegna del cinema: il teatro Franco Parenti ospita, infatti, dal 27 al 30 settembre (ovvero due giorni dopo Rosh haShanà), la terza rassegna di cinema israeliano indipendente.
Dopo una prima edizione dal titolo Una terra dai mille volti e una seconda incentrata sul ruolo della donna (L'altra metà del mito: cinema israeliano al femminile), la rassegna continua il percorso di esplorazione degli elementi fondanti la società israeliana approfondendo questa volta la tematica del lavoro e del suo ruolo nella collettività. L'edizione 2014 si intitola dunque Sogno e lavoro: dal kibbutz al computer.
Documentari e lungometraggi accompagneranno lo spettatore alla scoperta del significato che il lavoro materiale e spirituale ha avuto nel corso della storia di Israele, mostrando come il lavoro nella sua praticità sia stato elemento caratterizzante - in alcuni momenti decisivo - della vita dello Stato ebraico sin dalle origini del movimento sionista. Le opere in programma vogliono anche far riflettere lo spettatore sul lavoro come microcosmo dotato di una propria vita sociale e sentimentale.
Questo tema sarà anche il principale argomento degli incontri che affiancheranno le proiezioni. Tra gli ospiti attesi nei quattro giorni della rassegna vi sono il regista e fotografo Ruggero Gabbai, il critico cinematografico Giancarlo Grossini e Asher Salah, docente all'Accademia di Belle Arti Bezalel di Gerusalemme. Ospite d'onore sarà il regista Tomer Heymann, che presiederà la tavola rotonda fissata per domenica 28 dopo la proiezione del suo film Bubot Nyar - Bambole di Carta (2006).
La programmazione prevede opere che spaziano dal 1935 (il muto Avodà - Lavoro di Helmar Lerski) al 2013 (Beith-lehem - Betlemme di Yuval Adler, Halutzot - Le Pioniere di Michal Aviad e No'ar - Gioventù di Tom Shoval), offrendo le diverse visioni del lavoro che i registi israeliani hanno voluto esprimere al pubblico nazionale e internazionale.
La rassegna sarà un'ottima occasione per vedere opere poco o nient'affatto distribuite sul mercato italiano, nonostante i numerosi riconoscimenti che alcune di esse hanno ottenuto presso vari festival internazionali.

(FareFilm, 27 settembre 2014)


Gli ultimi danni ideologici del terzomondismo

di Sofia Ventura

Nelle settimane del conflitto tra Israele e Hamas, a migliaia sono scesi nelle strade delle capitali europee per manifestare contro Israele. Allo strabismo che connota lo sguardo delle opinioni pubbliche occidentali sulle vicende che riguardano Israele sono state dedicate diverse pagine nello scorso numero di questa rivista, dove si è posto l'accento sulla permanenza nelle nostre società di un sentimento antisemita. Per comprendere quel pregiudizio, tuttavia, vi è un altro utile tassello da inserire nel mosaico degli umori delle nostre pubbliche opinioni. Un tassello che ci dice qualcosa anche sul perché tanti orrori, che pure arrivano nelle nostre case attraverso la televisione e la rete, non destino mobilitazione e passione. Restando alla storia recente e all'oggi, le carneficine e le pratiche repressive e terroristiche attuate dalle autorità politiche di paesi del Medio Oriente contro i loro stessi cittadini, così come il mostruoso dominio che i militanti del Califfato stanno costruendo, sembrano lasciare pressoché indifferenti i mobilitati permanenti contro gli Stati Uniti e Israele. Quel tassello è il lascito del terzomondismo. Il terzomondismo è un'ideologia manichea che divide il mondo in una parte buona e una cattiva e per la quale, naturalmente, europei e americani interpretano la parte dei cattivi. Il terzomondismo appiattisce le nazioni occidentali sulle pagine più discutibili e tragiche della loro storia, come lo schiavismo e il colonialismo, e interpreta le fasi successive come evoluzioni del peccato originale di dominio e sfruttamento di altri popoli, sulla scorta della vulgata del famoso pamphlet di Lenin L'Imperialismo come fase suprema del capitalismo. Esso ignora, sottovaluta e svilisce il pensiero e le realizzazioni occidentali sul piano della costruzione di regimi altamente imperfetti - le democrazie liberali - ma che hanno posto al centro i diritti dell'individuo, il suo diritto all'autorealizzazione, il suo benessere. Al tempo stesso assolve a priori i Paesi un tempo definiti del Terzo mondo, e in special modo i loro governanti, da qualunque responsabilità o colpa. Così Israele è comunque sempre dalla parte del torto anche perché viene iscritto all'universo dell'Occidente.
   Specularmente, gli orrori di Hamas vengono sottovalutati e ridimensionati perché in fondo si tratta di vittime dell'imperialismo occidentale espresso in quel caso dallo Stato ebraico. Di fronte agli orrori degli islamisti si insegue sempre qualche forma di giustificazione, come l'umiliazione, la povertà, lo spossessamento, che naturalmente hanno a monte la causa della volontà di dominio - economico, finanziario, politico e militare - del malvagio Occidente. E se lo sdegno verso certe barbarie è unanime (come di fronte ai video delle decapitazioni di giornalisti occidentali), esso si manifesta soltanto quando le atrocità esplodono davanti ai nostri occhi e comunque rimane uno sdegno freddo, incapace di mobilitare passioni. Si spiega in questo modo la sostanziale indifferenza verso la negazione di diritti umani, civili e politici, da noi considerati fondamentali, in Paesi che hanno però il "merito" di essere o essere stati, in qualche forma, vittime del cosiddetto imperialismo occidentale. In questo caso le donne lapidate o gli omosessuali che penzolano dalle gru iraniane non meritano nemmeno un millesimo dell'attenzione delle vittime dei bombardamenti israeliani, così come in passato scarsissima attenzione hanno ottenuto le vittime di regimi latino-americani, asiatici e africani più o meno feroci (alcuni ferocissimi, si pensi al totalitarismo cambogiano), tutte variazioni dell'ideologia anti-imperialista. C'è dunque una pregiudiziale bontà attribuita all'altro solo perché altro (e qui si nota un inconscio atteggiamento razzista che richiama l'idea del buon selvaggio), ma è anche palese l'inconsapevolezza di ciò che si è, di ciò che l'Occidente rappresenta in termini di progresso, benessere e libertà. Inconsapevole e vergognandosi di sé, l'Europa balbetta mentre il mondo è in eruzione.

(Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2014)


Una follia che non si riesce a comprendere: all'Europa piace il fondamentalismo islamico

di Giorgio Israel

Dalil Boubaker, rettore della Moschea di Parigi, ha rilasciato un'intervista a Il Mattino, il 21 luglio 2014, che avrebbe dovuto ricevere maggiore attenzione sia per il prestigio di chi l'ha rilasciata sia per il suo contenuto. Richiesto di commentare il contributo delle comunità religiose europee nella presente critica situazione - l'esplicito riferimento era alle violente manifestazioni di importanti fasce della comunità musulmana francese contro l'intervento militare israeliano a Gaza intrise di accenti antiebraici e anche di atti di violenza contro sinagoghe e persone - Boubaker ha ricordato che le comunità religiose debbono essere «organi di uno spirito di fraternità e di compassione », mentre accade che «ognuno è troppo preso dai problemi del proprio culto, e si occupa troppo poco degli altri ». Boubaker ha dichiarato il suo pessimismo perché le «religioni sono senza più dialogo» e, di conseguenza, «anche l'Europa sarà coinvolta». E all'intervistatore che ha osservato: «Pessimista e quasi in collera. È così?», ha risposto: «Sì, perché la religione che vogliamo, quella che è la mia, per cui mi sono battuto, una religione di spiritualità e di fraternità, è oggi soprattutto una religione di fondamentalisti». Sarebbe importante se ognuno facesse la sua parte combattendo ogni sorta di fondamentalismo religioso e quindi tentando di prosciugare questa sorgente di intolleranza che rischia di trascinare le nostre società in conflitti di imprevedibile drammaticità; anche se, sarebbe ipocrita non dirlo, la parte che spetta al mondo islamico, in questa fase storica, è quella decisiva. Proprio per questo, dichiarazioni come quella di Boubaker sono importanti ed è grave che non abbiano l'eco dovuta. Boubaker, per il suo ruolo, dovrebbe rappresentare l'opinione dominante nella comunità musulmana francese; purtroppo, troppi sintomi indicano che le cose non stanno in questi termini e che una componente rilevante vada invece nella direzione del fondamentalismo, alimentando così una faglia della società francese che rischia di trascinarla sull'orlo di una vera e propria guerra civile. Sarebbe irresponsabile far uso di un termine tanto pesante se l'adesione al fondamentalismo fosse soltanto una questione interna alle comunità musulmane presenti sul suolo europeo, il che sarebbe già assai grave tenendo conto dell'entità numerica che queste hanno assunto in diversi paesi, e che va rapidamente crescendo con le recenti ondate di immigrazione. Il problema è che il fondamentalismo, malgrado i suoi aspetti più efferati, tra cui il violento antisemitismo, non soltanto non provoca un generale rigetto nell'insieme delle società europee, ma trova anzi tolleranza e persino consensi.
  Il buon senso lascerebbe credere che la coscienza morale debba prima o poi sollevarsi di fronte a stragi inaudite. E invece prevale la più ottusa ideologia, per cui migliaia e migliaia di vittime in Siria non bastano neppure a sollevare un sopracciglio, mentre l'attenzione è riservata esclusivamente ai "crimini" perpetrati dagli "occupanti" israeliani a Gaza. Ci si chiede: «Ma come è possibile restare inerti di fronte a decine di migliaia di cristiani costretti a fuggire o a morire se non accettano di essere convertiti all'islam, a centinaia di donne schiavizzate e sottoposte a violenza?». Ebbene è possibile. I telegiornali mostrano combattenti del califfato islamico che, agitando i mitragliatori, promettono alle televisioni occidentali: «Stiamo arrivando da voi». E un sacerdote cattolico intervistato conferma che la vera intenzione, la più profonda ambizione è di venire a Parigi, Roma e Londra - un'intenzione che riecheggia nei proclami degli imam londinesi che promettono di sgozzare a Trafalgar Square chiunque non accetterà il primato della sharia. Qualche anno fa si poteva cavarsela ridendo di fronte a queste rodomontate. Ma ora è difficile considerarle tali, solo se si guardi all'estensione fisica di un integralismo che si radica in territori sempre più vasti, che vanno dall'Iraq al Mediterraneo e coinvolgono diverse nazioni africane.
  A questo punto riderci sopra è da imbecilli. Ma il guaio è che in Occidente, e in Europa in particolare, c'è chi non soltanto non ride, ma anzi manifesta simpatia per le bandiere nere sulla base dell'inesausta mitologia della rivoluzione dei poveri che, evidentemente, non solo si è fatto ben poco per sradicare, ma che è stata alimentata in correnti neanche tanto sotterranee. Solo così si può capire che un rappresentante di un movimento che ha raccolto un terzo dei voti in Italia abbia potuto aprire una "riflessione" sull'Isis e l'avanzata dello stato islamico, arrivando a dire che oggi il terrorismo è l'unica arma rimasta a chi si ribella. Né consola che vi sia stata un'ondata di reazioni scandalizzate, e non solo perché questa ondata non si è manifestata in quel movimento, ma anche perché da altre parti politiche c'è chi se l'è cavata dicendo che «il terrorista è altrettanto disumano quanto i droni» e non ha evitato la solita giaculatoria contro i crimini dell'imperialismo e dell'occidente. In epoca di rottamazione troppi hanno dimenticato il vecchio slogan «né con lo Stato né con le Brigate Rosse» e forse non riescono neppure a vedere come l'unica cosa che non venga rottamata è la continuità nell'alimentare l'odio di sé delle società occidentali, il disprezzo per la democrazia e la pulsione all'autodistruzione. Di che stupirsi se una città come Livorno, un tempo considerata un baluardo della sinistra democratica, sia finita in mano a un sindaco che ha recalcitrato di fronte alle proteste per uno striscione intriso di simpatia nei confronti dei movimenti terroristi, espressione di quella ipocrisia morale che identifica nel sionismo tutti i mali del mondo? Il rettore Boubaker ha fatto la sua parte e si è espresso con coraggio, ma il lavoro da fare per non sprofondare nella catastrofe dovrebbe mobilitare ben altre forze "laiche" che sono invece attente a diseducare nelle forme più irresponsabili le giovani generazioni. Quando in televisione vediamo un capitano curdo dirci «dateci le armi, combatteremo anche per voi», è difficile non provare vergogna e sconforto.

(Shalom.it, settembre 2014)


Giovedì 25 e Venerdì 26 settembre - Rosh Hashana

Rosh Hashanah, "testa dell'anno", è la festa che segna l'inizio dell'anno ebraico, e cade nel mese di Tishrei, tra il tardo settembre e il primo ottobre.
Diversamente dalle altre ricorrenze, che prevedono un giorno di festa in cui le aziende restano chiuse, Rosh Hashanah perdura due giorni, e la chiusura delle attività si protrae in entrambi. Questo accade per via della tradizione iniziata in Diaspora, cioè quando l'esatto inizio della luna nuova, decretato dalla Corte Suprema di Gerusalemme, non poteva essere noto.
Secondo la tradizione ebraica, Rosh Hashanah celebra il momento culminante della creazione dell'universo, e l'accettazione della sovranità di Dio sopra tutte le cose. Secondo i Midrashim, questi sono anche i giorni in cui Dio giudica le azioni dell'uomo nel corso dell'anno, e decide del suo futuro per l'anno successivo: morte per i peccatori, vita per i devoti, e un periodo di pentimento fino a Yom Kippur, giorno in cui verrà decretata la decisione, per chi si trova in uno stato incerto.
Per questo il periodo che intercorre tra Rosh Hashanah e Yom Kippur viene chiamato "I dieci giorni dell'Espiazione", cioè i giorni durante i quali il popolo ha l'opportunità di espiare i propri peccati.
Nella Torah, si fa riferimento a Rosh Hashanah definendolo "il giorno del suono dello shofar".

(OrizzonteScuola.it, 26 settembre 2014)


Multiculturalismo versione Israele

Saggi - Menachem Mautner traccia una mappa degli intrecci etnici e religiosi.

di Edoardo Castagna

Israele non è uno Stato mediorientale soltanto per una mera questione geografica È mediorientale nell'essenza profonda della sua forma giuridica e sociale. Il multiculturalismo che lo caratterizza è sostanzialmente diverso da quello con il quale fai conti l'Occidente, e ha invece molti tratti in comune con quello dell'Egitto, della Turchia o della stessa Palestina Menachem Mautner in Diritto e cultura in Israele effettua una vasta ricognizione sull'evoluzione giuridica, politica e sociale del suo Paese nella transizione dalla lunga egemonia del Partito laburista a un nuovo assetto ancora da definire. La varietà culturale in Israele investe ogni ambito della vita civile. C'è la diversità demografica, tra l'ottanta per cento di ebrei e il venti per cento di arabi. C'è la diversità religiosa, tra giudaismo ortodosso, islamismo, cristianesimo, laicismo 'occidentalizzante': C'è la diversità etnica all'interno dello stesso gruppo ebraico, storicamente dominato dagli immigrati dell'Europa centrale ma con consistenti apporti provenienti da Nordafrica, Vicino Oriente e - in anni più recenti - ex Urss. Ci sono disparità economiche e sociali rese più acute del contesto di insicurezza. Il tutto nel quadro di un'istituzione statale a sua volta ambigua, al tempo stesso liberale ed etnicamente connotata (con gli arabi israeliani di fatto cittadini di serie B), laica e religiosa, "occidentale" e "mediorientale"... Mautner precisa: «Se guardata dal punto di vista dei Paesi occidentali, la condizione "multiculturale" di Israele appare unica. La diversità culturale solleva infatti, nei Paesi occidentali, questioni concernenti il rapporto tra il potere centrale dello Stato liberale e gruppi "periferici'; non liberali, che vivono nei confini di quello stesso Stato». In Europa ci chiediamo, in altri termini, se lo chador sia compatibile con la vita sociale, se la macellazione islamica sia ammissibile per i nostri parametri sanitari, o come impedire pratiche come l'infibulazione. Ci sono cioè chiaramente un "noi', uno Stato con i suoi valori, e un "loro" con il quale rapportarsi, in termini di accoglienza o di rifiuto, di integrazione o di esclusione. Israele, nota il giurista di Tel Aviv, non è così. È lo stesso Stato a essere dialettico: «La società è scomposta in diversi gruppi culturali, ognuno dei quali portatore di credenze, miti, ethos propri. Le varie comunità differiscono non soltanto dal punto di vista culturale, ma anche linguistico; sono inoltre dislocate in zone geografiche distinte ed esprimono identità di classe ben definite». I rabbini ortodossi che incitano i soldati a disobbedire all'ordine di evacuare un insediamento non sono meno "israeliani" dei generali che impartiscono l'ordine. Né sorprende come tra israeliani ebrei ortodossi e israeliani arabi musulmani si registrino convergenze, per esempio, sul ruolo subordinato da riservare alle donne. Lo stesso diritto è frammentato, con l'ascesa di "arbitrati" affidati a tribunali emanati dai gruppi sociali anziché alle leggi dello Stato.
   «La questione più urgente - prosegue Mautner- attiene al centro stesso, più che ai gruppi: al carattere, cioè, del regime, della cultura politica e del diritto del Paese». La costellazione di micro-società intersecate le une alle altre fatica a riconoscere un punto comune al quale fare riferimento. Il giurista, pur continuando ad avere fiducia nel liberalismo, ammonisce: «Occorre che Israele trovi un nuovo equilibrio tra uniformità e decentramento. Gran parte del diritto e delle leggi statali deve senz'altro applicarsi alla cittadinanza nel suo complesso. Ma taluni compromessi normativi vanno affidati al decentramento e all'autodeterminazione dei gruppi culturali». Però per arrivarci, conclude, «Israele avrà bisogno di molta fortuna, buona volontà e tolleranza».

(Avvenire, 26 settembre 2014)


Il Mossad cerca informatori con una pagina web

di Luca Pistone

È cosa comune per le agenzie di intelligence utilizzare la rete per reclutare i proprio uomini, ma il Mossad israeliano è andato ben oltre: ora cerca agenti locali e informatori attraverso una pagina web. Israele, che ha relazioni diplomatiche con solo due paesi arabi, Egitto e Giordania, non ha ambasciate in Medio Oriente ed è proprio in questo ambito che potrebbero essere inseriti gli aspiranti informatori.
"Tutti sono i benvenuti, indipendentemente da religione, nazionalità e professione. È possibile mettersi in contatto con la nostra organizzazione - il Mossad - per lavorare con noi o partecipare ad attività che possono portare grandi benefici personali. Siate certi che la discrezione e la riservatezza sono di massima priorità e costituiscono la base del nostro rapporto", si legge nella nuova sezione "Contattateci" della pagina web del Mossad, disponibile anche in arabo, farsi, francese e russo.
Il Mossad aggiunge: "Consigliamo di valutare se il computer che state utilizzando e la sua posizione siano sufficientemente sicuri. È più sicuro compilare il modulo utilizzando mezzi non riconducibili direttamente con voi".

(Atlas, 26 settembre 2014)


Rottamato Ippocrate. I neo medici turchi ora giurano su Allah

Nel Paese che era candidato a entrare in Europa, è sostituito in due scuole il giuramento di curare «senza fare distinzioni». Un chiaro segnale della crescente invadenza religiosa nella scienza. L'impegno a non fare differenze scambiato con generici doveri.

di Antonio Borrelli

 
ISTANBUL - In un momento storico in cui l'estremismo islamico fa parlare di sé in tutto il mondo dichiarando guerra all'Occidente a suon di decapitazioni di civili, in Turchia si assiste alla progressiva sovrapposizione della cultura religiosa sulle istituzioni laiche, o almeno al suo tentativo. D'altronde era da prevedere, almeno dalla scorsa estate. Dopo l'elezione plebiscitaria del nuovo lider maximo Erdogan, salito al potere quasi assoluto lo scorso 10 agosto, i nodi cominciano a venire al pettine nella terra della discordia, da sempre in bilico tra Occidente e Oriente. Il primo caso è avvenuto lo scorso maggio, quando all'Università di Samsun i lRettore della Facoltà di Medicina Haidar Sachinoglou (marito di un vecchio deputato del Akp, il partito di Erdogan) ha alterato dopo 2500 anni il giuramento di Ippocrate, impegno prestato dai medici-chirurghi e odontoiatri prima di iniziare la professione. Durante la cerimonia di laurea gli studenti sono stati infatti indotti a giurare sul dio islamico Allah e non sull'antico medico greco, considerato universalmente il padre della medicina moderna. «Giuro che non lascerò che tra me e il mio paziente entrino differenze come religione, nazionalità, tendenza politica», questa la frase «incriminata» rimossa pubblicamente dal dottor Sachinoglou e sostituita con «Io giuro in presenza di Allah di occuparmi dei pazienti». Come se da noi i medici giurassero su Dio, affidando la cura dei pazienti ad un'entità ultraterrena e non alla terapia clinica. Uno scontro titanico tra scienza e religione oltre ogni immaginazione.
   Il caso accaduto a Samsun, città del nord della Turchia che affaccia sul Mar Nero a 400 km dalla capitale Ankara, ha fatto enorme scalpore in tutto il Paese proprio per la progressiva invadenza della cultura religiosa nel mondo scientifico. Ed è i n effetti una novità che gli stessi addetti ai lavori mettano in discussione uno dei paradigmi fondamentali della propria professione. Non ha soltanto un valore simbolico, ma è piuttosto indicatore di una sorta di invadenza islamica che si affaccia alle porte dell'Europa. Quella stessa Europa di cui la Turchia vorrebbe far parte dal 1987, ma a modo suo, cancellando il laicismo e guardando ad Oriente.
   La notizia è stata diffusa in esclusiva dal corrispondente da Samsun per OdaTv Biilent Karslioglu ed è subito rimbalzata sulla stampa di tutto il mondo, con allegato il video Youtube che prova l'accaduto. «Senza dubbio - ci ha riferito Karslioglu - quel caso è un riflesso significativo dell'attuale potenza, sia politica che religiosa, impregnata all'interno della comunità turca». Oggi l'episodio, condannato dai partiti laici dell'opposizione, è all'ordine del giorno delle disquisizioni istituzionali e alcuni movimenti studenteschi hanno anche chiesto le dimissioni del rettore e promesso manifestazioni all'inizio dell'anno accademico.
   Lo scoop di Karslioglu ha però avviato un dibattito politico più generale. «La questione è culturale - continua il giornalista turco - Nel 2002 le persone hanno rifiutato la Turchia contemporanea e hanno chiesto di creare un nuovo Paese, indipendente. La domanda allora è: quale tipo di Turchia vogliamo? I fatti di Samsun devono essere interpretati proprio in questo modo. Che Turchia sarà quella che ha fatto giurare i suoi nuovi medici su Allah?». Un episodio singolo, un'eccezione, si potrà dire. E invece lo stesso spettro si ripresenta poche settimane fa, quando nel distretto di Esenler ad Istanbul, capitale culturale ed economica del Paese, medici ed infermieri hanno rifiutato di pronunciare il giuramento di Ippocrate, promettendo genericamente, invece, di «soddisfare» i propri pazienti. In quel caso, quanto meno, non vi è stata traccia di Islam e di Allah nelle parole degli operatori del settore, ma si tratta dell'ennesima conferma che siamo in presenza di sistematiche attitudini sociali, tese a distaccarsi dalla cultura occidentale e laica. Ippocrate è d'altronde considerato il primo ad aver separato la medicina dalla religione e ad aver ricercato le cause delle malattie non nel soprannaturale ma nel razionale. E il suo rifiuto di parte di intere comunità di medici non può far altro che far riflettere, non soltanto sui risvolti interni al Paese, ma anche e soprattutto sulle relazioni internazionali che ne scaturiranno.
   Perché questa Turchia, una nazione di 71 milioni di persone per la maggior parte musulmani, con una cultura religiosa di questo genere che si diffonde a macchia d'olio, potrebbe prima o poi entrare a far parte dell'Unione Europea.

(il Giornale, 26 settembre 2014)


Lavoratori palestinesi in Cisgiordania: "Meglio lavorare per gli israeliani"

Pochi soldi e nessun diritto sotto datori di lavoro palestinesi, dice un reportage del quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestinese.

Lavoratrici palestinesi in un'impresa israeliana nella zona di Gerico
Il quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida elogia le condizioni di lavoro dei palestinesi impiegati da israeliani negli insediamenti in Cisgiordania, denunciando al contempo i bassi salari e la mancanza di diritti dei palestinesi alle dipendenze di altri palestinesi.
In un articolo pubblicato lo scorso 21 settembre (tradotto in inglese da Palestinian Media Watch), Al-Hayat Al-Jadida scrive: "Ogni volta che i lavoratori palestinesi hanno l'opportunità di lavorare per datori di lavoro israeliani sono pronti a lasciare il loro lavoro sotto datori di lavoro palestinesi per motivi che hanno a che vedere con stipendio e altri diritti".
Il giornale ha intervistato un gruppo di lavoratori palestinesi per la stesura del reportage e ha scoperto che quelli con datori di lavoro israeliani guadagnato molto di più di quelli che lavorano per altri palestinesi.
Tutti i palestinesi impiegati da palestinesi hanno detto di non avere assicurazione medica, che per la legge palestinese non è obbligatoria, e che non ricevono nessun rimborso per i trasporti. Al contrario, specifica il quotidiano palestinese, i datori di lavoro israeliani sono soliti coprire le spese di trasporto dei lavoratori da e per il luogo di lavoro....

(israele.net, 26 settembre 2014)


Museo Ebraico di Roma. Conferenza di Francesca Lombardi e Claudio Crescentini

Al Museo Ebraico di Roma, la conferenza di Francesca Lombardi e Claudio Crescentini nell'ambito della mostra "Artiste del Novecento, tra visione e identità ebraica": li abbiamo incontrati tra Amalia Goldmann Besso, Adriana Pincherle e Katy Castellucci
Il Museo Ebraico di Roma - Lungotevere De' Cenci - via Catalana - ha sede nel complesso monumentale del Tempio Maggiore, frammenti di storia che si respirano tra le sette sale dove stanno in mostra abiti, tessuti, argenti romani del 600 e 700, pergamene miniate, marmi scampati alla distruzione delle Cinque Scole, le cinque sinagoghe del ghetto.
Un tripudio di dettagli quasi impossibili da vedere tutti, difatti una sola visita non può bastare al Museo Ebraico di Roma, nato per conservare le raccolte della Comunità Ebraica di Roma è oggi una tappa fondamentale per conoscere, o almeno approfondire, la storia e la cultura Ebraica.
   In quest'ottica si svolge il ciclo di seminari nell'ambito della mostra "Artiste del Novecento, tra visione e identità ebraica" e qui incontriamo Francesca Lombardi e Claudio Crescentini, entrambi ricercatori, la Lombardi si occupa di temi della cultura figurativa dell'Ottocento e Novecento, con particolare attenzione all'arte italiana fra le due guerre e alla produzione artistica femminile, ci parla di Amalia Goldman Besso "non convenzionale e non omologabile donna e pittrice (1856-1929) mentre Crescentini, si è dedicato all'approfondimento delle figure di artisti del Novecento tra cui Giorgio De Chirico, ci illustra altre due donne dalle caratteristiche e tratti straordinari: Adriana Pincherle e Katy Castellucci.
   Dice Francesca Lombardi " per me Amalia Besso è stata una scoperta, di lei non si sapeva nulla se non qualche quadro. Ricostruendo il suo percorso è venuto fuori il ritratto d una donna non omologata, nel senso che per i primi del Novecento, scegliere di fare la pittrice, dopo la morte del marito iniziare a viaggiare, andare in giro da sola, andare per la campagna a dipingere e impegnarsi in prima persona in politica erano scelte assolutamente coraggiosissime. In questo probabilmente una certa inquietudine e curiosità intellettuale, forse legata anche alla sua ebraicità ha contato.
   Claudio Crescentini parla di Andriana Pincherle e ci racconta che di se stessa disse 'sono relegata nel mio cervello', gli chiedo di approfondire questa frase "Ad un certo punto, quando entra nella resistenza per cui per un periodo non dipinge o dipingerà molto meno, ha detto di essere relegata nel suo cervello perché solo lì continuava a dipingere. In quel momento, durante il fascismo e la seconda guerra mondiale, era importante resistere, perciò fare attività politica, azione politica e anche militare, diciamo esterna al mondo dell'arte e della cultura, anche se non era sola perché molti artisti hanno seguito il suo esempio". Katy Castellucci, ma non era certo la sola, ha dipinto molti autoritratti, chiedo a Crescentini se questo è, per gli artisti, semplice narcisismo o più profondamente cercano di trasmetterci loro sensazioni e magari disagi con il loro linguaggio, la pittura appunto " una dose di narcisismo probabilmente c'era, però per quanto riguarda la Castellucci lei lavorava sull'immagine e in quel momento l'immagine era se stessa, perciò se stessa allo specchio perché è un doppio, allora anche il fatto di essere legata concettualmente al realismo magico di Bontempelli, intellettualmente agli scritti e al Teatro di Luigi Pirandello dove il doppio, doppio meccanico diciamo, è molto utilizzato; ecco potrebbe essere un mix di tutte e due le cose"
   L'intervista continua entrando anche nel particolare della cultura Ebraica ai giorni nostri. A seguire il Museo Ebraico di Roma ha offerto ai suo ospiti una deliziosa degustazione Kasher.
Il prossimo appuntamento è per martedì 30 settembre, presso il Chiostro Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale con Silvia Berti, Serena De Dominicis e Giulia Mafai, dalle 18 con la visita alla mostra, alle 18.30 conferenza e alle 19.45 degustazione Kasher. Ingresso fino ad esaurimento posti disponibili, previo acquisto del biglietto di ingresso al museo, secondo tipologia.
   Il Museo Ebraico di Roma è un gioiello da non perdere! Francesca Lombardi e Claudio Crescentini si sono resi disponibile a rispondere ad altre domande, a fine video trovate le loro email.
   Un ringraziamento particolare al Museo Ebraico di Roma e a Olga Melasecchi, Conservazione - Curatrice per l'ospitalità.

(Senza Barcode, 25 settembre 2014)


Israele va al cinema

Film e documentari al Franco Parenti di Milano. In lingua originale, con sottotitoli in italiano.

di Marco Sabella

MILANO - II lavoro come fondamento della coesistenza sociale e civile, come identità di una nazione. Sogno e lavoro: dal Kibbutz al computer è la seconda rassegna "tematica" di cinema israeliano organizzata dall'associazione culturale indipendente Cinematov che si terrà al Teatro Franco Parenti di Milano, in via Pier Lombardo 14, da sabato 27 settembre a martedì 3o settembre (per il programma e ulteriori informazioni, teatrofrancoparenti.it). La rassegna comprende una decina di opere di registi israeliani, lungometraggi e documentari, e si aprirà alle ore ig di sabato 27 con il raro documentario Avodà (in alto), un'opera del 1935 di Helmar Lerski. Momento clou del ciclo il lungometraggio Bambole di carta (foto sotto), un film del zoo6 di Tomer Heymann, che narra le vicende di sei transessuali filippini che durante la settimana lavorano come badanti a Tel 4-. c Aviv. Proiezione domenica 28 alle ore 17 e 45, segue discussione cui parteciperà il regista e Asher Salah, docente all'Accademia di Gerusalemme. Tutti i film sono sottotitolati in italiano.

(Corriere della Sera, 26 settembre 2014)


Mantova - Un guida per intercettare il flusso turistico da Israele

Una guida alla scoperta delle tracce ebraiche nel territorio mantovano. Pubblicata dal Consorzio agrituristico Mantovano, tutta in inglese, almeno per il momento, per intercettare il nuovo flusso...

di Paola Cortese

 
La Sinagoga di Sabbioneta, in provincia di Mantova
Il matroneo
Una guida alla scoperta delle tracce ebraiche nel territorio mantovano. Pubblicata dal Consorzio agrituristico Mantovano, tutta in inglese, almeno per il momento, per intercettare il nuovo flusso turistico di visitatori da Israele. «E' un mercato nuovo, in espansione, tanto che nel giro degli ultimi quattro anni è all'incirca raddoppiato - ha detto alla presentazione Marco Boschetti, presidente del Consorzio -. E' una nuova nicchia di mercato, seconda solo a quella dei tedeschi, che chiede qualità e trasparenza. Questo materiale, che sarà diffuso dall'Ambasciata a Tel Aviv e durante l'Expo nel padiglione di Israele, andrà a Consolidare questo interesse nei confronti di un territorio con Una storia tanto importante come il nostro». Curata da Emanuele Colorni, presidente della Comunità Ebraica di Mantova, e da Dody Bassani, la guida propone una sintetica mappatura di tutti i luoghi di interesse della cultura ebraica nel territorio mantovano, dalle Colline Moreniche all'Oglio-Po, passando per il capoluogo virgiliano. «Sono descritte le sinagoghe, i cimiteri e tutto quel che di interessante si può visitare nelle nostre campagne ma anche in città - ha aggiunto Anastasia Malacarne che ha coordinato il progetto editoriale -. Gli autori dei testi ci hanno dato un grande contributo di conoscenza». E proprio Colorni ha sottolineato come, non solo da Israele ma da parte di comunità ebraiche di tutt'Europa, ci sia interesse nei confronti di Mantova. «E' nata qui, nel Seicento la Kabbalah, l'insieme degli insegnamenti mistici ed esoterici del mondo ebraico, quindi in molti vengono a visitare, ad esempio, il cimitero del Gradaro, dove è rimasto praticamente nulla, perché vi erano stati sepolti alcuni padri. La prossima settimana ad esempio verrà per questo a Mantova un gruppo di ebrei russi». Tra i luoghi segnalati Castiglione delle Stiviere, Ponti, Solferino, Volta e Cavriana dove saranno salvate alcune piante di mandorle, un tempo produzione molto fiorente e esportata in tutt'Europa. «Vogliamo sostenere anche la bio-diversità - ha concluso Boschetti - Per consolidare lo sviluppo del turismo rurale nella nostra provincia. Quindi abbiamo valorizzato un trattato di agronomia del 1770 in cui riportavano queste informazioni». Corredata da molte immagini a colori la guida sarà distribuita dal Consorzio in Israele e in Italia.

(Gazzetta di Mantova, 25 settembre 2014)


Israele investe un miliardo di dollari in un nuovo progetto immobiliare

Israele continua a investire nel real estate e la location protagonista dei prossimi anni è Gerusalemme. A testimonianza del fatto che il business non si ferma, proprio in questi giorni è stato annunciato un nuovo grande progetto di sviluppo immobiliare, il "Jerusalem's front gate", che prevede un investimento di un miliardo di dollari e che darà lavoro, a regime, a circa 50mila persone.
In una conferenza stampa congiunta, come riportato nei dettagli anche dal gruppo multimediale Arutz Sheva, il ministro delle Finanze, Yair Lapid, il ministro dei Trasporti Yisrael Katz, il ministro dell'Housing Uri Ariel, il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, e il responsabile dell'Israel Lands Authority, Benzi Lieberman, hanno annunciato di aver firmato l'accordo di sviluppo immobiliare che costituirà il maggior progetto e investimento della Western Jerusalem.
Il progetto darà vita a una vera e propria nuova parte della città, con un'aspirazione futuristica e una destinazione mista degli spazi. Lo sviluppo prevede 130mila metri quadrati di spazi a uso alberghiero e shopping (con oltre duemila nuove stanze d'hotel) , 230mila metri quadrati di uffici e business, 49mila metri quadrati di leisure e intrattenimento. Inoltre è prevista l'espansione dell'Israel Convention Center con un adeguamento ai nuovi standard internazionali e la modernizzazione degli edifici residenziali della zona. Il collegamento con tutta la città è garantito da due fermate del "light train", una nuova stazione ferroviaria inter-city e un parcheggio "park and ride" da 1.300 posti. Lo skyline di questa parte di Gersulemme _ all'entrata della città, vicino alla Road 1 o lo String Bridge_ sarà caratterizzato da 12 grattacieli a uso uffici, retail, hotel e intrattenimento, per il valore complessivo di un miliardo di dollari circa. Il ministro delle Finanze ha sottolineato che, contemporaneamente allo sviluppo del progetto, il Governo si impegna a implementare le opzioni abitative per assicurare che le persone che lavoreranno nelle nuove aree di Gerusalemme possano anche vivere nella città: l'impatto in termini di nuova forza lavoro è stimato in 50mila nuovi impieghi.

(Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2014)


L'Occidente si svegli, ha il nemico in casa

Riportiamo oggi un'intervista fatta più di una settimana fa a Georges Bensoussan, celebre storico della Shoah che in diverse occasioni ha sottolineato aspetti inquietanti del pericolo rappresentato oggi in Europa dall'islam. L'articolo avrebbe dovuto uscire prima della conferenza fatta dallo storico giovedì 18 settembre in un prestigioso circolo di Torino, ma la direzione del giornale, che pure ne aveva assicurato la pubblicazione per quella data, ne ha ritardato l'uscita. Soltanto dopo ripetute proteste si è arrivati oggi alla pubblicazione dell'intervista. Anche per questo motivo ne raccomandiamo un'attenta lettura. NsI

di Domenico Quirico

Georges Bensoussan
«Il pericolo è il diffondersi in una parte della immigrazione europea demograficamente esorbitante di un antisemitismo di tipo nuovo, violento che nasce nelle dottrine che arrivano dal vicino oriente… è nel montare di un nuovo totalitarismo islamista che divide il mondo in credenti ed eretici, puri ed impuri, e nella paura degli intellettuali occidentali di definire le cose con il loro nome…» Georges Bensoussan, uno dei maggiori storici della Shoah, è attento osservatore di quel versante atroce dell'umanità che sembra esser passato, sotto nuove vesti, dal secolo trascorso nel subbuglio del presente.

- I partiti di estrema destra xenofoba avanzano in Europa…
  ''Una frangia marginale della opinione pubblica europea ha simpatie naziste ma è un fenomeno che viene esagerato, si preferisce farsi paura con il neonazismo che vedere i nuovi pericoli. Non credo alla minaccia neonazista in Europa. Anche se ci sono paesi come l'Ungheria e alcuni paesi dell'Europa orientale dove la situazione in effetti è pericolosa; ma la grande maggioranza dei paesi europei non è toccata da questo pericolo. E' un fantasma. Il vero pericolo è la nascita di un antisemitismo di tipo nuovo, violento, fisico: in gran parte legato alla congiunzione di una estrema destra antisionista come la vediamo in Francia e in Belgio, non necessariamente neonazista, e di un antisionismo molto violento di estrema sinistra non legato alla critica della politica di Israele che è totalmente legittima, ma alla esistenza dello stato di Israele, il che è molto diverso. Ma soprattutto c'è un terzo fattore: la immigrazione arabo musulmana in Europa, di popolamento, estremamente numerosa, che ha completamente modificato il panorama demografico del continente. L'antisemitismo venuto dal mondo arabo musulmano è molto più fisico, non si limita a minacce ed insulti ma passa alla violenza. Ci sono stati episodi negli ultimi due anni di due assassini di ebrei in quanto ebrei compiuti da francesi di origine araba''.

- Il cuore di tenebre dunque è nei paesi arabi….
  ''In gran parte sì, nel senso che l'antigiudaismo ha preso delle proporzione considerevoli dopo la nascita di Israele e soprattutto dopo la guerra dei Sei giorni. Ma quando i media occidentali non prestano attenzione a ciò che si dice nei media arabi nelle televisioni nelle radio, a quanto si scrive sui giornali, ma insisto soprattutto sulle televisioni, si condannano a non comprendere quanto accade in Europa: perché tutto ciò è riportato in Europa attraverso le parabole. Dunque esiste un antisemitismo molto violento. Che si sviluppa tra popolazioni che non sono state necessariamente cresciute nell'islamismo. Quando l'integrazione fallisce per una certa parte di individui, soprattutto giovani e in Francia c'è un gran numero di magrebini, si ha una ripresa identitaria di un islam radicale e violento''.

- Che si spiega con ragioni economiche o sociali o affonda in una ideologia religiosa, penso al salafitismo sunnita …
  ''Ci sono in questa deriva radicale nella gioventù magrebina in Europa soprattutto in Francia e in Belgio dove è più numerosa varie ragioni, una ragione sociale legata alla crisi economica; ma non è il motivo principale perché altre minoranze sono colpite dalla disoccupazione e non diventano violente. Penso ala comunità nera, a quella nera musulmana, anche alla comunità cinese, ai pachistani e indiani tutti toccati dalla miseria economica ma non legati a identità violente . La causa economica serve come schermo per non vedere le cause più profonde che sono due. In primo luogo un risentimento coloniale contro la Francia, c'è una rivincita da prendersi contro la Francia. E poi, seconda ragione, è che semplicemente l'antisemitismo nel Maghreb era molto potente ben prima dell'avvento del sionismo e di Israele. In occidente si sostiene che l'antisemitismo nel Maghreb è nato con Israele: no, sono uno storico dell'ebraismo nei paesi arabi e vi assicuro che era violento ben prima del sionismo. E vi è ancora un'altra dimensione ed è quella del Corano. Si trascura sempre di leggere il testo in arabo, lo si legge in francese o in italiano spesso in cattive traduzioni… Vi è nel Corano un antisemitismo e un anticristianesimo molto violento e per i musulmani praticanti il Corano è parola sacra, è la parola di Dio''.

- In Siria e in Iraq oggi, con la nascita del califfato, non stiamo assistendo forse alla nascita di un nuovo totalitarismo, che, dopo la razza e l'ideologia, ha trovato nella religione un pretesto per dividere orrendamente il mondo in puri e impuri, che devono essere eliminati?
  ''Si, avete ragione. Il totalitarismo nell'Unione sovietica divideva il mondo tra i cattivi che avevano origini borghesi e i buoni che avevano origini proletarie; quello nazista tra la buona e la cattiva razza. Quello islamista divide tra i puri e gli impuri, tra i credenti e gli eretici. Perché parlo di totalitarismo? Perché l'islam è una religione totalitaria, inglobante che non distingue tra materiale e spirituale, in cui tutto viene da Dio in questo senso siamo davvero nel percorso totalitario. E poi c'è il fattore demografico, la potenza del numero. Una delle forze del totalitarismo nazista è stata la demografia, la forte demografia tedesca nell'800 e nel 900. Il numero gioca un ruolo chiave nella diffusione delle idee. E questo vale per l'islamismo di oggi''.

- Un pericolo maggiore che il terrorismo…
  "Il pericolo maggiore non è il totalitarismo islamista, è l'incapacità degli intellettuali occidentali di vedere il pericolo per la paura di essere tacciati di islamofobia e di razzismo. E fino a quando non lo faranno non si potrà combattere questo totalitarismo…''.

- Che fare dunque?
  ''La prima cosa è di definire le cose per quello che sono. Più si definiranno le cose e più facilmente si risolverà il problema, la soluzione è già nella diagnostica delle cose. In occidente invece si ha paura delle parole, si è terrorizzati da alcune parole. Per esempio dire che una parte della gioventù dell'immigrazione musulmana in Europa costituisce un potenziale pericolo, non tutta certo, una piccola parte. Ma è il cavallo di Troia che è già tra di noi''.

- Tra i jihadisti del Califfato ci sono numerosi giovani ''europei'' e non tutti sono degli esclusi e degli emarginati…il pericolo è tra noi?
  ''Sì è là. Nelle tre decapitazioni degli ostaggi l'assassino parla con un accento londinese, sono musulmani nati in Inghilterra. E si sa che il responsabile della strage di Bruxelles è stato il carceriere per molti mesi di ostaggi francesi in Siria, che li ha picchiati, che ha torturato dei prigionieri siriani. lo ha riferito uno degli ostaggi. Vuol dire che oggi in Europa ci sono degli assassini potenziali, centinaia e centinaia di assassini potenziali che sono pronti a passare all'azione. Pensare che il pericolo sia confinato in Iraq, Siria in Sudan o in Mali è un grossolano errore: il pericolo è tra noi. Allora la prima cosa da fare è avere il coraggio di dirlo e poi è alla polizia fare il suo lavoro, controllare ciò che accade, controllare le emissioni televisive, le moschee attraverso cui arrivano dal medio oriente insegnamenti molto violenti''.

- L'attacco dell'islamismo radicale non è per caso passato dal piano terroristico a quello militare?
  ''Un confronto militare ma dove i combattenti del Califfo sono trentamila, sono un nulla dal punto di vista militare rispetto all'Occidente; li si può distruggere in una settimana, sul piano militare non hanno avvenire. Non siamo allo scontro stato contro stato, siamo nel quadro di un conflitto asimmetrico: come nel 1939 non sono le armi che mancano, è la determinazione politica di usarne. Era il senso dell'impegno di Churchill quando disse: voi avete voluto evitare la guerra e ora avrete la guerra e in più la viltà. Siamo nello stesso scenario di allora''.

(La Stampa, 25 settembre 2014)


Se il diritto internazionale viene applicato a corrente alternata

Quando Israele attaccava i terroristi a Gaza veniva condannato dagli stessi paesi arabi che ora sostengono l'attacco Usa contro i terroristi in Siria.

L'attacco aereo da parte di forze americane e arabe contro l'ISIS e altri obiettivi terroristici equivale agli attacchi aerei israeliani contro obiettivi terroristici di Hamas nella striscia di Gaza. Stando alle parole del generale a riposo Wesley Clark, gli attacchi aerei degli Stati Uniti mirano a "degradare e distruggere" le strutture dei gruppi terroristici, tra cui la rete elettrica, le loro fonti di finanziamento e altri obiettivi a doppio uso militare e civile.
Quando Israele ha attaccato obiettivi militari di Hamas, compresi alcuni a doppio uso militare e civile, è stato condannato da quegli stessi paesi arabi che ora partecipano e/o sostengono l'attacco congiunto in Siria di Stati Uniti e stati arabi. La differenza, naturalmente, è che la minaccia rappresentata dall'ISIS non è così incombente e immediata per gli Stati Uniti, i loro alleati occidentali e probabilmente neanche per i loro alleati mediorientali di quanto non fossero incombenti e immediate le minacce poste da Hamas per Israele....

(israele.net, 25 settembre 2014)


Netanyahu saluta il nuovo sottomarino nel porto di Haifa

Il primo ministro israeliano ha salutato l'arrivo del nuovo sottomarino di classe Dolphin-II nel porto di Haifa: il sommergibile, capace di lanciare testate nucleari a lunga gittata, è stato costruito in Germania. "Dobbiamo mantenere e aumentare le nostre capacità di difesa contro ogni minaccia", ha dichiarato Netanyahu durante la cerimonia del varo.

(la Repubblica, 25 settembre 2014)


Rosh Hashanah 5775 - Auguri di Netanyahu

"Un futuro di speranza per Israele e per gli ebrei"

"Gli ebrei celebrano il nuovo anno in tutto il mondo, e noi possiamo essere orgogliosi di tutto ciò che ci unisce. Il popolo ebraico, effettivamente, si unisce sempre quando deve affrontare grandi sfide, e l'anno trascorso non costituisce un'eccezione" così inizia il messaggio augurale per l'anno 5775 inviato dal Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle comunità ebraiche del mondo. Alla vigilia di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, il premier insiste particolarmente nel ringraziare e dare valore al sostegno ricevuto dagli ebrei della diaspora durante l'Operazione Margine Protettivo, la lunga guerra di Israele contro il terrorismo di Hamas nella quale "troppi dei nostri giovani uomini, assieme alle loro famiglie, hanno compiuto il più doloroso dei sacrifici", impegnandosi a garantire la sicurezza, nonostante le minacce antisemite diffuse a macchia d'olio: "A nome del popolo d'Israele, vi ringrazio per il sostegno alla nostra giusta campagna di autodifesa, volta ad assicurare la pace e la sicurezza prolungate che tutti gli israeliani meritano. Vi assicura altresì che in Israele continueremo a stare al vostro fianco mentre vi trovate ad affrontare odio e intolleranza. Gli ebrei devono essere in grado di poter vivere, ovunque siano, con fierezza e senza paura". Nonostante i difficili mesi che si lascia alle spalle, Israele è pronta ad iniziare il 5775 con nuove sfide: "Insieme abbiamo costruito una democrazia vibrante, un'economia robusta, e un punto di riferimento tecnologico mondiale. Nel nuovo anno Israele rimarrà un faro di libertà e di diritti umani, in una regione intollerante; Israele continuerà a essere una fonte di innovazione a beneficio dell'intero pianeta; e Israele non rinuncerà al suo sogno di una pace sicura e duratura con i nostri vicini". Il progresso scientifico, la democrazia, la solidarietà, lo spirito di abnegazione faranno in modo di far diventare Israele: "Una fonte di orgoglio e di forza per gli ebrei, ovunque essi vivano e -continua Benjamin Netanyahu- non ho alcun dubbio sul fatto che quello del popolo ebraico sia un futuro promettente e un futuro di speranza". Una speranza che risiede nelle stesse parole del suo inno e resiste strenuamente.

(moked, 24 settembre 2014)


Israele - Vietate carrozze e carri trainati dai cavalli

Secondo PETA si tratterebbe del primo paese al mondo ad avere vietato carri e carrozze trainate da cavalli e asini. Si tratta di Israele, dove una lunga battaglia portata avanti dagli animalisti è finalmente giunta al suo termine.
In particolare, sottolinea PETA, la campagna era stata diretta dall'associazione Hakol Chai, strenua oppositrice dell'usanza, che aveva documentato gli abusi perpetrati in danno di cavalli ed asini da lavoro. Affamati, picchiati, privati di cure veterinarie, oltre che costretti a lavorare per lunghe ore al giorno, sotto il sole e senza acqua e cibo. Quando non più in grado di lavorare, venivano semplicemente abbandonati.
"Siamo entusiasti per la vittoria conseguita, che premia la nostra lotta per porre fine ad una pratica crudele ed ormai fuori dal tempo". Così Reut Reshef, rappresentante del gruppo animalista, ha commentato la decisione.
Dal canto suo PETA si augura che la decisione possa divenire esempio anche per le città americane che continuano a fare uso delle carrozze. Una speranza, forse, anche per i cavalli italiani. Dalle botticelle delle tante polemiche romane, fino ai cavalli con stalle in box auto di Palermo.

(GEAPRESS, 25 settembre 2014)


Prendiamo atto della notizia, ma non ci entusiasma. La compassione dovrebbe avere altre priorità. M.C.


I sei milioni di ieri e quelli di oggi

Dopo settant'anni è come se la Storia avesse riconsegnato allo Stato di Israele quei sei milioni di persone uccise dalla barbarie di Hitler : oggi ci sono sei milioni di cittadini ebrei censiti nello stato.

di Mario Pinzauti

Accade spesso, molto più spesso di quanto la maggior parte del pubblico pensi, che grandi notizie vengano ignorate o sottovalutate dai giornali. E non solo perchè un buon numero di operatori dell'informazione non sa far bene il proprio mestiere o è influenzata dalla faziosità. Più spesso a determinare un fenomeno di miopia valutativa su certi fatti è l'incapacità del giornalista di vedere prima e di considerare poi il terreno di cultura su cui, nel corso di anni, se non di decenni questi fatti sono cresciuti fino a diventare oggi importanti, molto importanti.
   E'quanto è avvenuto, ad esempio, per i risultati del censimento dei cittadini d'Israele. La notizia, dalla quale risultava che ai giorni nostri Israele ha 9 milioni di cittadini residenti, di cui circa 6 milioni sono ebrei, è stata pubblicata con risalto da tutta la stampa israeliana. E'stata invece pressocchè ignorata dalla stampa del resto del mondo. In Italia, almeno a quanto noi sappiamo, ha trovato spazio, e un adeguato approfondimento, solo su "La Stampa" di Torino, in un articolo a firma di Elena Loewenth. Un articolo che già nel titolo- "E ora sei milioni sono gli ebrei in Israele" - dice perché tutta la stampa internazionale, e non solo pochi quotidiani, avrebbero dovuto dire, proclamare al loro pubblico che si era in presenza di una grande, grandissima notizia.
   Grandissima notizia perchè settant'anni fa, ai tempi della Shoah, dell'Olocausto, sei milioni furono gli ebrei sterminati dai nazisti nelle camere a gas, nei forni crematori, nelle fucilazioni di massa. Con le loro morti, con quelle di altri ebrei che solo la vittoria alleata strappò al carnefice nazista, Hitler si proponeva di ottenere "la soluzione finale" cioè l'estinzione totale degli ebrei. All'estinzione totale degli ebrei e dell'ebraismo la follia sanguinaria nazista non riuscì ad arrivare. Ma non andò lontano. Fino,appunto, alla morte di sei milioni di uomini, donne, bambini.
   A questi sei milioni colpevoli di essere solo ebrei nessuno ha mai potuto e mai potrà ridare la vita. Ma il fatto che in una parte del mondo esista oggi un paese democratico ed evoluto con sei milioni di cittadini ebrei rappresenta anche una loro rivincita oltrechè una definitiva condanna della barbarie che, vanamente, tentò di cancellare la loro razza.
   E tutto questo fa della notizia del censimento svoltosi a Israele una grande, enorme notizia che tutti i giornali del mondo avrebbero avuto il dovere di riferire e commentare col massimo risalto.

(il Journal, 24 settembre 2014)


Urtisti, gli ambulanti ebrei che hanno attraversato 150 anni di storia di Roma

Dalla bolla papale alla delibera di Marino: ecco chi sono gli urtisti, i commercianti che rischiano di scomparire dalle strade del centro.

 
La bolla papale mostrata durante la manifestazione di piazza di Spagna
Gli urtisti, o peromanti, o ricordari, rappresentano un pezzo di storia di Roma. La loro esistenza è datata prima dell'Ottocento. A regolamentarla una bolla papale che autorizzava le licenze ai commercianti di religione ebraica, a quel tempo ancora confinati all'interno del Ghetto. La loro religione infatti vietava la vendita di oggetti religiosi fuori dal 'loro territorio' e lo Stato Pontificio diede loro il permesso di vendere rosari ai pellegrini. Durante il fascismo viene loro assegnata una divisa. Sul berretto l'acronimo SFVA, Sindacato Fascista Venditori Ambulanti e per tutto il ventennio resistettero nonostante il clima attorno si facesse anno dopo anno più pesante.
A metterne a rischio l'esistenza l'arrivo dei nazisti in città che li dichiarò abusivi. La loro attività divenne nascosta, trasformandosi in vendita di sigarette ai soldati tedeschi.Finita la guerra il loro lavoro torna regolare, entrando nell'immaginario comune dei turisti che approdano a Roma. Nessun banco ancora , ma una cassetta di legno al collo, munita di cassettini con all'interno souvenir di tutti i tipi.
La loro fortuna negli anni '60 con il boom dei turisti. Le cassette, denominate gli schifetti, dal collo passano al cavalletto negli anni'70. In mezzo muri e gradini usati come appoggio. E' nella seconda degli anni '70 che avviene la trasformazione in bancarelle. Quattro schifetti diventano una bancarella e così vengono regolamentate le licenze.
Ora la richiesta della Soprintendenza e del Mibac, recepita dal Comune di Roma. Per gli urtisti una nuova battaglia. Obiettivo resistere.

(RomaToday, 24 settembre 2014)


La bandiera verde dell'Islam per le strade europee

I politici europei sono rimasti sorpresi nell'accertare la crescita del fondamentalismo islamico nel cuore del Vecchio Mondo. Secondo gli esperti non c'è nulla di sorprendente, si tratta di una conseguenza inevitabile della politica con doppi standard nella lotta contro il terrorismo.

Le bandiere verdi dell'Islam sono sempre più viste per le strade delle antiche città europee, dice la stampa occidentale. Uno degli esempi più noti è la polizia della sharia nella città di Wuppertal, vicino a Monaco, in Germania. Fino a pochi decenni fa era impossibile immaginare una cosa del genere. E ora i tedeschi con l'arrivo del crepuscolo vengono sorpresi mentre fanno uso di alcol e costretti ad ascoltare la predica di gruppi di ragazzi robusti in abiti arancioni con la scritta Polizia della Sharia. Finora, tutto si è limitato alle parole. Ma in genere, la violazione della Sharia nell'uso di alcol in alcuni paesi arabi prevede punizioni corporali. È significativo che i "vigilantes" della Sharia siano le stesse persone del posto: più spesso i migranti della seconda e terza generazione, ma perfino la popolazione indigena convertita all'Islam. Secondo gli esperti, una parte piuttosto significativa degli occidentali, e in particolare la gioventù tedesca, si trovano nel bel mezzo di una crisi, cercando così un'alternativa alla vita borghese. Negli anni 70 del secolo scorso, questi romantici sarebbero andato verso gruppi di sinistra. Oggi, ciò non esiste più, il vuoto per i ribelli e gli anticonformisti è riempito dall'Islam radicale. Il Direttore dell'Istituto di Valutazione Strategica Sergej Oznobischev dice:
    «Lottare contro questo tipo di terrorismo è estremamente difficile perché le idee populiste elementari possono reclutare come alleati un sacco di persone socialmente disadattate. Secondo i teorici di spicco ed i professionisti della lotta al terrorismo, i ranghi terroristici vengono riforniti non solo dai poveri, i bisognosi e da coloro che sono dimenticati da tutti. Vi fanno parte anche persone che hanno piuttosto successo.»
Alcuni dei neofiti nella loro ribellione contro la società occidentale arrivano al punto di andare in guerra nei "punti caldi" dove sono nate le "primavere arabe". Una serie di colpi di stato nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa si sono trasformati in un solido muro di fuoco, circondato dai confini meridionali dell'Europa in un ampio arco di instabilità. Purtroppo, i Paesi europei sono diventati ostaggi delle loro politiche in materia di divisione dei terroristi tra "cattivi" e "buoni". Due pesi e due misure nel trattare con un tale materiale esplosivo quale è il fondamentalismo islamico naturalmente ha portato al fatto che l'Europa sia il prossimo obiettivo dei sostenitori del "califfato in tutto il mondo". Il Presidente del Centro per la Comunicazione Strategica Dmitry Abzalov ne è convinto:
    «Troppi analisti hanno sottolineato che in futuro l'escalation di estremismo sarà dovuto all'Islam radicale, tra cui quello sunnita. Così, sostenendo, per esempio, le fazioni siriane, l'Occidente sta scavando la propria tomba. Poiché sullo fondo delle migrazioni è quasi garantito che l'estremismo si diffonderà in Europa. Mentre gli estremisti sono attirati nei punti caldi in Medio Oriente e Nord Africa. Ma non appena la situazione si stabilizza, inevitabilmente porteranno il loro radicalismo nel Regno Unito e in Germania.»
Oggi, i combattenti in Siria e ed Iraq, gli jihadisti europei, stanno cominciando a tornare a casa. E alcuni di loro possono anche assumere la guida dell' "ordine islamico" nelle città tedesche, o, per esempio, a Londra, per le strade in cui apparivano le pattuglie della sharia, tra l'altro, un anno fa. E i politici europei non hanno idea di cosa fare con questi concittadini. Una delle proposte è quella di privarli della cittadinanza. Tuttavia, non è chiaro quale possa essere la base giuridica e come spiegarlo all'opinione pubblica sottolinea Sergei Oznobischev:
    «Prima di tutto è necessario un lavoro molto serio di prevenzione. C'è bisogno di mettere a punto tutta la sicurezza della catena. Queste catene potrebbero non funzionare correttamente. Possiamo vedere noi stessi, come, per esempio, il personale di sicurezza degli aeroporti si fissa su alcune piccole cose, occupando a vuoto il proprio tempo e ignorando i gravi problemi che richiedono attenzione. Le azioni dei servizi speciali deve avvenire ogni giorno, ogni ora e ogni minuto.»
Nel frattempo, il problema diventa più acuto con una stima secondo le agenzie di intelligence che migliaia di cittadini di paesi occidentali sono coinvolti nei combattimenti in Siria e in Iraq come appartenenti ai gruppi islamici radicali. Almeno il dieci per cento di loro decide di tornare a casa. E poi l'Occidente dovrà affrontare la più grave ondata di violenza a cui non è preparato. Forse ha senso ripensare radicalmente la strategia e rinunciare, infine, alla dottrina della "esportazione della democrazia" come strumento universale di espansione geopolitica.

(La Voce della Russia, 24 settembre 2014)


Roma - Il ricordo e lo studio della Shoah. Senza museo, si offende la memoria

Nel 2006 il progetto di realizzarlo nell'area attigua a Villa Torlonia, dopo otto anni non c'è ancora un mattone. Potrebbe nascere in un «mussoliniano» palazzo dell'Eur.

di Sergio Rizzo

ROMA - Quando prende forma il progetto per realizzare a Roma il museo nazionale della Shoah corre l'anno 2006.
C'è lo spazio: un terreno attiguo a quella villa Torlonia che sovrasta due catacombe ebraiche del secondo e terzo secolo ed era fino al luglio 1943 la residenza di Benito Mussolini, rilevato dal Comune a quello scopo per 15 milioni. E ci sono anche i soldi: un mutuo di 21 milioni della Cassa depositi e prestiti. Ma dopo otto anni non c'è ancora un mattone.

- Inghiottito dalla burocrazia
  Nel 2007 l'amministrazione di Walter Veltroni approva il progetto preliminare di Luca Zevi e Giorgio Tamburini, donato al Comune dall'impresa Lamaro della famiglia Toti. E precipitato subito nel gorgo della burocrazia. Cinque anni spesi per i permessi, senza contare una variante al piano regolatore, una deroga per legge al patto di stabilità interna, l'approvazione del progetto definitivo... Finché il 17 maggio 2013 ecco il bando europeo per la realizzazione del museo. La pratica dovrebbe essere risolta in due mesi, ma la nuova giunta di Ignazio Marino proroga il termine di presentazione delle offerte di altri due mesi e mezzo. La Commissione per la valutazione delle offerte si insedia a ottobre e si prende quattro mesi di tempo. Poi però ne chiede ancora tre.

- Concorso europeo
  Finalmente, a maggio 2014 inoltrato, il laborioso esame è concluso. Non resta, a quel punto, che aprire le buste e aggiudicare l'opera. Ma nessuno si prende la responsabilità di farlo. E i mesi passano.
Dell'esasperazione montante si fa portavoce Piero Terracina, sopravvissuto al campo di sterminio, che protesta per i ritardi inammissibili e chiede l'impegno alla posa della prima pietra almeno per il 27 gennaio 2015, settantesimo anniversario dell'apertura dei cancelli di Auschwitz, individuando contestualmente una sede temporanea fino al completamento dei lavori. Proposta appoggiata fra gli altri anche dall'architetto Zevi. Tutto inutile: le buste restano chiuse, mentre comincia a circolare la voce che il museo a villa Torlonia non si farà più, e lo spazio per un memoriale dell'Olocausto potrebbe essere ricavato incredibilmente in uno dei palazzi dell'Eur costruiti dal regime fascista per l'Esposizione universale del 1942.

- Colpevole «leggerezza»
  Il risultato è che Roma continua a essere l'unica capitale europea, fra quelle colpite dalla tragedia immane delle deportazioni e della furia nazista, a non avere un museo dedicato al ricordo della Shoah. Una storia come ce ne sono a dozzine, nel Paese campione di inefficienze e burocrazia asfissiante. Ma che in questo caso offende profondamente, oltre al buonsenso, soprattutto la memoria. Non solo quella della nostra comunità ebraica, la più antica e oggi la più rappresentativa della città, ma dell'intero popolo italiano. E senza memoria, è sempre bene ricordarlo a chi troppo spesso se ne dimentica, non siamo niente.

(Corriere della Sera, 24 settembre 2014)


Capodanno ebraico: 13 torte per 1 (sola) ricetta perfetta


di Ruthie Rousso

Vorrei segnalare un fenomeno molto particolare che si verifica qui in Israele ogni anno, esattamente nel momento in cui l'estate viene cacciata via dall'inizio dell'autunno. Poco prima della fine di Elul tutte le panetterie israeliane, i caffè, le drogherie e i supermercati improvvisamente producono una selezione di dolci di colore denso, quasi ruggine. Assomigliano un po' al pan di spezie e hanno anche lo stesso aroma piccante: ma il loro sapore e la loro densità sono tutta un'altra storia. Sono dolci. Voglio dire, davvero, davvero dolci. La dolcezza e la texture speciale provengono dal miele. E cosa c'è di più dolce del miele? Beh, lasciate che vi racconti. Tanto miele. Un sacco di miele. Questo è il dolce modo ebraico per accogliere il Capodanno. Shanah Tovah anche a voi.
Questa tradizione di dolci al miele ha in realtà origine in Europa orientale. Laggiù il miele era una delizia scarsa e costosa, così quando gli immigrati ebrei sono arrivati in Israele, terra di latte e miele, sono stati travolti dalla sua abbondanza in Medio Oriente.
Le delicate torte di miele dell'Europa centrale e orientale sono state trasformate lentamente, diventando in Israele molto più dolci. Ognuno le compra quando sta per arrivare il Capodanno. Tutte le famiglie le servono agli ospiti o le portano ad amici e parenti, ma sembra che nessuno in realtà poi le mangi. Le torte al miele israeliane, come tutti noi possiamo testimoniare, sono appiccicose, oltre che troppo zuccherate e grasse, direi proprio unte. Questo perché i dolci israeliani sono solitamente realizzati con olio al posto del burro, per rispettare il Kasherut. Il fatto più sorprendente è che il web e tutte le sezioni di cucina di qualsiasi piattaforma di comunicazione sono piene fino all'orlo di ricette iper-dolci come queste.
Qualche anno fa ho deciso di porre fine a questa saga e trovare, una volta per tutte, la ricetta per la torta di miele migliore di sempre. Ho trasformato la mia cucina in un laboratorio scientifico progettato al solo scopo di produrre la torta di miele perfetta. Mi sono sforzata di realizzare una torta che fosse luminosa e ariosa, profumata solo dal miele e non dalla cannella o, peggio, dai chiodi di garofano. Così fuori dal forno sono uscite, una dopo l'altra, tutte le 13 versioni.
Le ho guardate, ho analizzato il loro gusto e la loro consistenza, e ho preso appunti quasi come un esperimento scientifico. Ho scoperto che separare tuorli e albumi e montarli era un'operazione noiosa, ma non efficiente. Il composto che ne risultava non era abbastanza forte per mantenere l'altezza della torta. Come miele avrei dovuto usare qualcosa di più forte e avrei dovuto aumentare la farina. Ho scoperto che il colore ruggine scuro dipende dall'uso del bicarbonato di sodio. E che l'uso di pentole di silicone eliminerà il bordo sexy bruno-dorato, così tipico di una torta gustosa. E alla fine la torta numero 13 è venuta fuori dal forno perfetta e orgogliosa. Una bella crepa al centro che mostrava un interno delicato e fragrante, che era solo moderatamente dolce.
E così ho ridefinito l'essenza di una torta di miele. Ho inciso la ricetta sulla solida roccia del disco rigido del mio computer e ho inviato una copia alla mia famiglia e agli amici. Da allora, ho sfornato molti dolci di miele, tutti basati su questo semplice impasto. A volte mi stacco dalla ricetta e aggiungo della frutta o una glassa. A volte mi attengo alla sua semplice bellezza originaria. Tutte le versioni presentate in questo post sono basate su questi esperimenti da scienziato pazzo. Una torta è stata tagliata a strati, e decorata con fichi maturi. Un altro impasto è stato mescolato con yogurt e uva, che ha conferito un aroma ricco e fresco. Il terzo ha beneficiato di una generosa aggiunta di tè Matcha giapponese in polvere...

Tutti questi 13 dolci sono stati consumati da me due settimane prima della festività.
Beh, se le torte dolci garantiscono un dolce, felice anno nuovo, io sono coperta per un bel po'...

(Corriere della Sera, 24 settembre 2014)


La guerra parallela di Israele

di Stefano Magni

Nel giorno in cui i Paesi della coalizione anti-Isis, a guida statunitense, hanno esteso i raid aerei anche al territorio siriano (con l'informale consenso del regime di Bashar al Assad, per altro), Israele continua a combattere la sua guerra parallela.
   Due sono le azioni degne di nota delle forze armate israeliane, entrambe nella giornata di ieri. La prima è l'uccisione di due terroristi, Marwan Kawasame e Amer Abu Aysha, in uno scontro a fuoco, a Hebron, col le teste di cuoio israeliane. La seconda è l'abbattimento di un aereo militare siriano sul Golan.
   Quanto alla prima operazione, i media si erano quasi del tutto dimenticati di questi due uomini, così come delle loro vittime. Si trattava, invece, di bersagli importanti: erano i principali ricercati del rapimento e dell'assassinio di Gilad Shaer, Eyal Yifrah e Naftali Frenkel, tre ragazzini ebrei, studenti di una scuola rabbinica, ritrovati a fine giugno dopo 20 giorni di vene ricerche. Quel fatto di sangue, avvenuto nei pressi di Hebron, ha segnato l'inizio dell'escalation che, di lì a una settimana, avrebbe poi fatto scoppiare l'ultimo conflitto a Gaza. Il movimento islamista palestinese Hamas, che inizialmente aveva negato ogni coinvolgimento nella vicenda del rapimento, solo dopo il conflitto a Gaza, il 22 agosto scorso, uno dei suoi leader, Saleh Arouri ha ammesso la responsabilità del gruppo. Marwan Kawasame e Amer Abu Aysha erano suoi membri e la leadership del movimento islamico, pur non essendo al corrente della loro azione (questa, almeno, è la versione, di Arouri) l'ha considerata una "operazione eroica", volta a "dare inizio a una nuova insurrezione". In pratica, Hamas ha deliberatamente provocato la guerra e se ne vanta, questo è il succo del discorso. La risposta israeliana, con l'uccisione dei due rapitori, è un nuovo colpo inferto a Hamas. Un colpo secco, che non darà adito ad alcun processo, né ad alcuna trattativa per lo scambio di prigionieri.
   Quanto alla seconda azione, è ancora da appurare se l'aereo siriano, un Su-27 di fabbricazione russa, sia entrato nello spazio aereo israeliano per errore o per condurre una ricognizione. I due piloti dell'Su-27 si sono salvati lanciandosi con il paracadute, dopo che un missile Patriot israeliano lo ha centrato e abbattuto. L'abbattimento è stato confermato sia da fonti siriane che israeliane. L'episodio è stato celebrato come una vittoria dai ribelli siriani, che hanno subito postato il video su YouTube, ripreso (male) dalle vicine alture, dalla parte siriana del confine.
   Il problema grave di questo episodio è che si inserisce nella più vasta guerra contro l'Isis, che, proprio da ieri, viene combattuta anche nello spazio aereo siriano. Il regime di Assad, che ha informalmente acconsentito ai raid aerei alleati sul suo territorio, contro le postazioni dell'Isis (contro cui combatte), può cambiare idea dopo uno scontro a fuoco con Israele, il nemico di sempre? Inoltre: nella guerra fra i ribelli (da cui è nato l'Isis quale costola più estremista) e Assad, Israele da che parte si schiera. Indubbiamente l'incidente di frontiera di ieri complicherà le cose, soprattutto da un punto di vista diplomatico. Assad, se mai volesse ripetere l'esperimento (fallito) di Saddam Hussein, potrebbe anche aumentare attacchi e provocazioni contro Israele, per attirarlo nel conflitto. La qual cosa provocherebbe lo scioglimento della coalizione anti-Isis, in cui è forte la componente araba-islamica. Ma, al momento, non è nel suo interesse farlo. Il regime è saldamente al potere, non rischia l'annientamento, non ha interesse a cercare uno scontro finale, disperato e generale. E i raid aerei statunitensi e alleati gli stanno facendo solo il favore di eliminare un po' dei suoi nemici più agguerriti e pericolosi. Più difficile comprendere la posizione di Israele. Finora, fra ribelli e Assad non si è schierato. Ha condotto un gran lavoro di intelligence (parte del quale è stato messo a disposizione degli Usa, per i loro raid contro l'Isis) e si è limitato a distruggere ciò che poteva essere pericoloso per la sua popolazione, eliminando, con raid mirati, i convogli di missili siriani diretti a Hezbollah, in Libano.
   Lo Stato ebraico non è al centro dell'uragano jihadista che sta coinvolgendo i Paesi arabi del Medio Oriente, ma questa volta si trova in un'area di margine. Pericolosa, come sempre, ma esclusa dal principale conflitto in corso, che è essenzialmente una guerra religiosa fra musulmani (e relativa persecuzione di minoranze non musulmane). Il governo Netanyahu vuole restare fuori da questa burrasca, colpendo di volta in volta chi rappresenta una minaccia diretta. In primo luogo Hamas, che è sempre stato sponsorizzato dal regime siriano, poi punendo gli sconfinamenti di Assad e infine facilitando, con l'intelligence, la guerra aerea contro l'Isis in Siria e Iraq.

(L'Opinione, 24 settembre 2014)


Due noti archeologi israeliani in visita al Musel di Sestri Levante

 
Ingresso alle miniere di Masso. A sinistra, Edna Stern e Eliezer Stern
La settimana trascorsa ha visto la visita di due noti archeologi israeliani al Sistema Museale di Sestri Levante e Castiglione Chiavarese e al territorio del Tigullio.
Eliezer Stern, soprintendente per l'Alta Galilea, e Edna Stern, archeologa medievista dell'Israel Antiquities Authority, accompagnati da Fabrizio Benente, hanno visitato siti archeologici e musei del Tigullio, con particolare attenzione per il Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante e per il Polo Archeominerario di Masso.
Le scelte tecnologiche ampiamente adottate a Sestri e a Castiglione costituiscono un modello originale che può essere esportato in altri allestimenti museali.
Gli archeologi israeliani dirigono, unitamente a Benente e a Carlo Varaldo, il progetto di studio del quartiere medievale di San Giovanni d'Acri. Nel corso di questa visita, hanno potuto fruire della foresteria annessa al polo Archeominerario di Masso, ora perfettamente funzionante ed attrezzata per accogliere studenti e studiosi che abbiano intenzione di approfondire la conoscenza del nostro territorio.
Frutto di questa visita e della loro presenza sarà un articolo per una rivista di approfondimento e ampia divulgazione, destinata agli appassionati di turismo culturale. Nei prossimi mesi sono programmati ulteriori brevi soggiorni di specialisti e studiosi europei.

L'archeologia in Israele è una cosa seria, in una nazione che ha subìto infinite deportazioni di massa: quella in Egitto (con la successiva liberazione guidata da Mosé), quella babilonese, la diaspora dovuta alla rivolta contro l'impero romana, durata 2000 anni, e le innumerevoli stragi di massa, compiute dall'Inquisizione, dai pogrom in Europa dell'est e in Francia, fino agli orrori infami della Shoah nella Germania di hitler.
Parliamo di una delle più antiche civiltà del mondo, dove sono stati scoperti i manoscritti del Mar Morto, dove si incrociano diverse religioni, lingue, culture. Parliamo anche di una civiltà in pieno sviluppo, dove la tecnologia si sposa perfettamente con la ricerca archeologica a San Giovanni di Acri e non solo. Leggere questo nostro articolo per capire le ragioni di una "Start up Nation".
E' quindi importante questa visita, proprio per la possibilità di interscambio turistico e di tecnologie di scavo.

(Tigulllio News, 23 settembre 2014)


Uccisi i killer dei tre ragazzi israeliani

Sono morti in uno scontro a fuoco contro militari israeliani, vicino a Hebron, i due militanti di Hamas sospettati del rapimento e dell'uccisione di tre ragazzi israeliani, Eyal Yifrach, Ghilad Shaer e Naftali Frenkel, il 30 giugno scorso, episodio che scatenò l'ultimo conflitto tra lo Stato ebraico e i militanti palestinesi nella Striscia di Gaza. I due uomini, Amer Abu Aisheh e Marwan Qawasmeh, erano ricercati dall'esercito di Gerusalemme dal giorno del rapimento. Il portavoce dell'esercito, colonnello Peter Lerner, ha spiegato che i militari erano sulle tracce dei miliziani già da una settimana. Quando sono riusciti a raggiungere i due membri di Hamas in un edificio vicino alla città a sud della West Bank, è iniziato uno scontro a fuoco durante il quale sono stati uccisi i due terroristi. Fonti sul campo confermano la morte di uno solo dei due sospettati, ma Lerner afferma che i suoi uomini hanno visto il secondo cadere in mezzo alle fiamme dopo esser stato colpito dai proiettili israeliani, il che lascia pensare che anche lui sia deceduto anche se il corpo non è stato ancora ritrovato.
   Fonti locali riferiscono che la tensione è tornata alta nella città della Cisgiordania dopo l'intervento dell'esercito dello stato ebraico. I militari avrebbero individuato l'edificio a due piani all'interno del quale si stavano nascondendo i due e avrebbero fatto brillare alcune cariche di esplosivo per scardinare le porte. I miliziani si sono sentiti braccati dagli uomini di Lerner e, così, hanno iniziato a sparare contro i soldati: "I nostri militari hanno risposto al fuoco e confermato di aver colpito i terroristi", precisa il portavoce. Il militare si dice soddisfatto di come l'esercito ha portato avanti l'operazione: "Eravamo determinati a portare davanti alla giustizia i crudeli assassini dei ragazzi. I nostri sforzi sono stati estesi e prolungati. Il successo della missione odierna mette fine alle lunghe ricerche. I responsabili del delitto non rappresentano più una minaccia per i civili israeliani". Il premier Benjamin Netanyahu parla di "giustizia": "La mano della giustizia di Israele, la nostra lunga mano, ha infine raggiunto" i presunti killer". Anche Hamas ammette che Abu Aisheh e Qawasmeh militavano nel braccio armato dell'organizzazione, le brigate Ezzedin al-Qassam.
I tre ragazzi erano stati rapiti il 12 giugno scorso, nella zona vicino a Betlemme, mentre facevano l'autostop. Le ricerche da parte delle autorità israeliane erano partite immediatamente ma, dopo 18 giorni, i cadaveri dei tre giovani sono stati ritrovati.

(il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2014)


Roma, 29 settembre - Presentazione del libro "Il Kaddish a Ferramonti"

           Il Centro Internazionale di Studi Giudaici in collaborazione con la
           Comunità Ebraica di Roma presenta lunedì 29 settembre alle ore 10:00
           nella Sala delle Colonne di Palazzo Marini - Camera dei Deputati (via
           Poli 19 - Roma) il libro "Il Kaddish a Ferramonti, le anime ritrovate".
           Oltre agli autori Enrico Tromba, Stefano Nicola Sinicropi e Antonio
           Sorrenti, interverranno Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità
           Ebraica di Roma, Massimo Bray, già ministro dei beni e delle attività culturali
           e del turismo e Ivan Basana, presidente di Evangelici d'Italia per Israele.
           Invito

(EDIPI, 23 settembre 2014)


Il cimitero ebraico di Perugia "sepolto" da degrado e incuria

Lungo la strada di San Girolamo c'è il luogo in cui nell'800 venivano sepolti gli ebrei. Riqualificato nel 2005, è di nuovo lasciato a se stesso.

di Lucia Pippi

L'antico cimitero ebraico di Perugia
Arrivarci non è facile. I gradini scavati nella terra non sono quasi più visibili e la vegetazione ha quasi del tutto ricoperto il sentiero che porta al cancello. Stiamo parlando dell'antico cimitero ebraico di Perugia che si trova in via San Girolamo, lungo la strada che collega Ponte San Giovanni al centro storico. Un luogo ricco di storia che, però, ormai da anni è stato completamente dimenticato. Sbirciando all'interno, oltre il cancello in ferro, l'incuria e il degrado sono ancora più evidenti. Ci sono dei piccoli arbusti che sono cresciuti in quelli che dovevano essere i sentieri attorno alle tombe e i rami e l'erba alta impediscono quasi del tutto la vista delle lapidi.
   Ne sono rimaste pochissime di testimonianze in questo luogo di culto che è uno dei cimiteri ebraici più antichi e ancora presenti del centro Italia. Le tombe presenti risalgono tutte all'Ottocento. Nel 1874, infatti, alcuni esponenti della comunità richiesero di avere uno spazio loro riservato nel cimitero Monumentale. Un posto che fosse «cinto da mura, con separato ingresso», come citano le cronache dell'epoca. Il motivo? Il piccolo luogo di sepoltura di via San Girolamo era diventato insufficiente e per questo motivo si pensò di ampliare il Monumentale, inaugurato nel 1849, assegnandone una parte agli ebrei. Consegna che, come ricordano le stesse cronache del tempo, avvenne nel 1883.
   Quasi subito si è del tutto persa la memoria di quel lembo di terreno in via San Girolamo che era stato il primo cimitero degli ebrei di Perugia. In tanti si tenevano lontano da quel luogo. Del resto era sempre un piccolo cimitero e incuteva terrore a chi, per qualche motivo, doveva avvicinarsi a quelle lapidi. Così la vegetazione, gli agenti atmosferici e l'incuria in poco tempo distrussero quasi del tutto quel lembo di terra recintato. Per oltre un secolo quasi nessuno ne parlò più. Fino al 2005, quando il Rotary Club di Perugia ha restaurato e sistemato l'antico cimitero con lo scopo di restituirlo alla comunità ebraica della città. All'epoca le tombe, poche per la verità quelle che sono sopravvissute all'incuria e al degrado di 100 anni di abbandono, vennero ripulite, la vegetazione attorno venne tagliata e sistemata. L'idea era quella di valorizzare una delle testimonianze più antiche del culto a Perugia e di riportare in vita uno spaccato della storia cittadina che soltanto in pochi conoscevano. A testimonianza di questo intervento c'è anche una lapide all'interno del muro di cinta. Lapide che, però, probabilmente dal 2005 nessuno ha più letto. Già, perché il destino di quel terreno è quello di venire dimenticato dalla gente in poco tempo, anche dagli appartenenti alla comunità ebraica. Adesso, infatti, a far da guardia alle lapidi ci sono solo le erbacce ed alcuni arbusti che sono diventati, con il tempo, veri e propri piccoli alberi. Un vero peccato per un posto che rappresenta una delle testimonianze più importante della presenza degli ebrei a Perugia durante l'Ottocento e che da sempre ne è parte integrante del patrimonio culturale.

(Giornale dell'Umbria, 23 settembre 2014)


Cultura ebraica e comunicazione - Un master aperto a tutti

di Lucilla Efrati

Il significato del termine "Kabbalà" nella tradizione rabbinica classica , lo Zohar e i momenti fondamentali della storia del pensiero mistico ebraico, la comunicazione ebraica in un contesto di crescente perfezionamento di strumenti e di tecniche. Si parlerà di questo e di molto altro nei corsi istituiti all'interno del Master di Primo Livello in Cultura ebraica e Comunicazione organizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nell'ambito del Diploma triennale in studi ebraici, che prenderà il via a fine ottobre.
   L'integrazione degli ebrei in Italia è stata davvero un successo eccezionale, senza paragoni nella moderna storia europea? Come collocare nel contesto della storia italiana la svolta razzista del fascismo? Questi gli interrogativi che verranno affrontati nel corso di Storia contemporanea di Guri Schwarz, mentre nell'ambito della Storia moderna si risalirà con Micol Ferrara alla presenza ebraica nella nostra penisola a partire dall'espulsione degli ebrei dalla Penisola iberica, soffermandosi su importanti "luoghi" della presenza ebraica come Venezia, Ancona, Ferrara, Roma, Livorno, una riorganizzazione connessa al complesso rapporto tra mondo ebraico e mondo cristiano.
   Diretto dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni che introdurrà allo studio della Bibbia e della tradizione rabbinica e coordinato da Myriam Silvera docente di Storia e Cultura degli ebrei alla Seconda Università di Roma, che affronterà i temi dell'antisemitismo con particolare riferimento all'istituzione dell'Inquisizione in Spagna e in Portogallo, il Master offre un ampio ventaglio di opportunità di studio e di approfondimento. Oltre all'introduzione alla Kabbalà, di cui si è detto, a cura di rav Benedetto Carucci Viterbi, Katrin Tenenbaum intraprenderà uno studio analitico delle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin per verificare l'incidenza di una particolare esperienza ebraica nella cultura europea tra le due guerre, in particolare nel rapporto tra messianesimo e filosofia. Nel corso di Roberta Ascarelli (Letteratura ebraica), i testi di Isaac Bashevis Singer verranno posti al centro di un' esplorazione sulla tradizione letteraria, religiosa e culturale del mondo yiddish, mettendo in evidenza fedeltà e mutamenti nella emigrazione nel Nuovo Mondo.
   Un percorso nel tempo ebraico scandito dalle settimane, dai mesi, dagli anni, attraverso lo shabbat e le ricorrenze, sarà intrapreso in compagnia di rav Roberto della Rocca.
   L'obiettivo si focalizzerà parimenti su giornalismo e comunicazione: Emanuele Ascarelli offrirà un quadro di insieme delle circostanze in cui gli ebrei e i temi ebraici destano l'attenzione dei giornalisti e degli operatori dei media; a Rossella Tercatin spetterà offrire un inquadramento dell'attività giornalistica in una società che cambia rapidamente, riflettendo sui linguaggi, con particolare attenzione ai cambiamenti introdotti dai nuovi media, alle opportunità che offrono web e social network, ma anche smartphone e tablet, non solo dal punto di vista della diffusione delle notizie ma anche come strumenti di lavoro. Fondamentale, lo studio della lingua ebraica con Ester Di Segni, che utilizzando il metodo dell'Ulpan (corsi di ebraico istituiti in Israele per i nuovi immigrati), insegnerà la grammatica di base con lo scopo di consentire una prima comunicazione in lingua, affrontando successivamente - approccio fondamentale per il Master - l'introduzione alla lettura del testo della Bibbia.
   Ancora qualche informazione sulle lezioni di Ebraismo e Israele nel cinema contemporaneo. Ariela Piattelli accompagnerà gli studenti in un viaggio che,partendo dalle grandi correnti del cinema internazionale e da alcuni elementi del linguaggio cinematografico, affronterà le opere di importanti registi. Un particolare sguardo sarà dedicato ai film, ai documentari, alle serie televisive israeliane che affrontano i temi della memoria, dell'identità, del rapporto con l'altro, e della società israeliana (in particolare il mondo religioso). Non potrà mancare, ovviamente, la proiezione, totale o parziale, dei prodotti cinematografici studiati.
   Le iscrizioni al Master, accessibile a tutti coloro che siano in possesso di una laurea triennale o di una laurea di vecchio ordinamento, saranno aperte fino al 29 settembre compreso.

(moked, 23 settembre 2014)


Peres fa "disoccupato" in video

Nei panni del benzinaio e del porta-pizza, ma sempre per la pace.

L'anziano seduto davanti all'impiegata dell'ufficio di collocamento ha difficoltà a tornare ad inserirsi nel mercato del lavoro. Il vecchietto è Shimon Peres, ex capo di stato di Israele e adesso "disoccupato". In un film satirico prodotto dalla nipote, Mika Almog, Peres indossa i panni di benzinaio, commesso o porta-pizza, ma anche rivestendo funzioni umili, si impegna per la pace.
Il video è andato in onda alla tv israeliana e è stato accolto con favore.

(ANSA, 23 settembre 2014)


L'anno palindromo

di Francesco Cataluccio

Mercoledì 24 settembre inizia il nuovo anno ebraico. Per la festa di Rosh haShana si mangeranno i melograni e si getteranno nei fiumi o nel mare (ma basta anche una fontanella o una piscina) gli oggetti che simboleggiano i peccati dell'anno prima (tashlikh). Risuonerà lo Shofar per risvegliare il popolo ebraico dal torpore e ricordargli che sta per avvicinarsi il giorno in cui verrà giudicato (Maimonide, Yad, Leggi della penitenza, 3:4). Rosh haShana è in un certo senso il "Giorno del giudizio" (Yom ha-Din). Nei midrashim si racconta che Dio si sederà sul trono con di fronte i libri che raccolgono la storia dell'umanità (non solo del popolo ebraico) e ogni singola persona verrà presa in esame per decidere se meriti il perdono oppure no.
   Quest'anno che inizierà sarà il 5775. Una cifra palindroma. Come le parole "otto", "oro" o "ingegni". Per i qabbalisti, avvezzi a sviscerare i significati dei numeri, queste quattro cifre che si possono leggere indifferentemente da destra a sinistra o viceversa, scatta subito un campanello d'allarme (non necessariamente per qualcosa di negativo).
   Quasi una quarantina d'anni fa, a Varsavia, avevo preso a frequentare il Teatro ebraico (Teatr Zydowski), in Piazza Grzybowski. Un vecchio salone, quasi sempre deserto, dove si recitava in yiddish e agli spettatori veniva fornita un'ingombrante cuffia con la quale poter ascoltare la gracchiante traduzione simultanea. Uno dei pezzi forti del repertorio era il Dibbuk di Salomon A. An-skij. Scritto nel 1913-14, originariamente in russo, il celebre dramma fu contemporaneamente composto anche in yiddish e nel 1918, tradotto in ebraico dal poeta Chaim Nachman Bialik.
   Al centro del Dibbuk (il cui titolo è in yiddish Der dibek: tsvishn tsvey veltn, Il Dibbuk: fra due mondi, con riferimento al legame fra mondo dei vivi e dei morti) c'è la storia dell'amore impossibile fra Leah (Leye), figlia del ricco mercante Sender, e Hanan (Khonen), povero studente della comunità chassidica di Brynica. Senza speranza di poterla sposare, Khonen non esita a ricorrere alle arti segrete della Qabbalah pur d'impedire il matrimonio di Leye con altri pretendenti, ma rimane infine egli stesso vittima delle forze occulte che ha evocato. Il giorno del matrimonio con un giovane di buona famiglia, Leye ottiene il permesso di recarsi al cimitero per pregare sulla tomba della madre, ma sulla strada del ritorno è posseduta dal dibbuk di Khonen, lo spirito inquieto del giovane che si "attacca" (questo il significato della parola ebraica dibbuk) al corpo della sua sposa mancata, manifestandosi presso il baldacchino nuziale e mandando a monte il matrimonio. Leye viene quindi condotta dal rebbe Ezriel di Miropol, venerato tzaddik chassidico, per un esorcismo: ma il padre di Khonen, Nissan (Nisen), si manifesta dal mondo dei morti spiegando come Khonen e Leye fossero promessi sposi già da prima della loro nascita per un accordo giovanile fra genitori, di cui il padre della fanciulla si era dimenticato. Chiamato in causa innanzi a un tribunale rabbinico, Sender viene prosciolto dalle sue responsabilità e allo spirito di Khonen viene intimato, nel corso di un terribile rituale esorcistico, di lasciare il corpo di Leye. Minacciato di scomunica, il dibbuk deve abbandonare la ragazza, ma Leye, separata da colui che le era stato destinato, ne riconosce la voce durante il commiato e si lascia morire per ricongiungersi a lui per sempre.
   Quella drammatica e triste storia di spiriti (uno di essi compare anche nel racconto all'inizio di uno dei migliori film dei fratelli Cohen: A Serious Man, del 2009) veniva messa in scena con l'ausilio di alcuni effetti speciali. Il dibbuk di Khonen svolazzava per aria come un trasparente lenzuolo di un fantasma che sembrava reale. Nonostante avessi assistito a diverse repliche non riuscivo a capire quale fosse il trucco. Così, dopo alcuni mesi, essendo diventato un buon conoscente di tutta la compagnia, osai chiedere a una bella attrice coi capelli crespi e rossi, dopo la fine dello spettacolo, quale fosse la magia che usavano per far apparire e sparire lo spirito inquieto. Mi sorrise e sussurrò che neppure loro lo sapevano. Durante la cena alla quale mi invitarono dopo lo spettacolo, per festeggiare il compleanno di un giovane attore, anche il regista e gli altri membri della compagnia mi confermarono che soltanto il tecnico delle luci, il vecchio e burbero signor Salomon, conosceva il trucco, essendone lui l'artefice avendolo, pare, ereditato da suo padre, gran mago degli effetti speciali del Teatro d'Arte di Mosca, ancor prima della Rivoluzione. Ma Salomon non lo si vedeva mai: arrivava appena prima dell'inizio degli spettacoli e spariva rapidamente appena calato il sipario.
   Mi dissero però che era un'accanito bevitore. Capita l'antifona, comprai in un negozio in valuta per stranieri due bottiglie della migliore vodka. Mi appostai con molto anticipo, a sala ancora deserta, nei pressi della piccola cabina posta sopra l'altezza delle teste degli spettatori. Dall'oscurità vidi comparire un piccolo ometto, magrissimo, con i capelli bianchi lunghi, che zoppicava vistosamente. Quando mi vide fece per sparire dietro una pesante tenda. Ma vide brillare le due bottiglie che tenevo in grembo. Si avvicinò con un ghigno e venuto a sapere che erano per lui, si accasciò sbuffando su una panca nera. Mi sedetti anch'io e mi presentai. Gli allungai la vodka e gli chiesi, senza giri di parole, quale fosse il segreto del suo svolazzante dibbuk. Mi osservò a lungo in silenzio scuotendo la testa, e poi mi disse:"Non so e non posso dirtelo. E un segreto di mio padre che pratico quasi inconsciamente. Scusami, ma sono un tipo strano. Sono nato nel 5665 (il vostro 1904). Un anno palindromo".
   Si fermò qui. Come se la spiegazione dovesse bastarmi, e giustificasse il fatto che si tratteneva le due bottiglie. Mi alzai, lo salutai e andai ad accomodarmi, come al solito, in settima fila per assistere a quello spettacolo che ormai conoscevo a memoria, ma che continuava a comunicarmi una certa inquietudine.
   L'anno successivo, quando tornai a Varsavia, vidi che Dibbuk era stato tolto dal repertorio. Telefonai all'attrice coi capelli rossi, in procinto di trasferirsi a Parigi al seguito di un provvidenziale marito, che mi disse che Salomon era morto e nessuno di loro era più in grado di far volare, con i trucchi delle luci, gli spiriti.

(il Post, 23 settembre 2014)


Abbattuto da Israele sul Golan un caccia di Damasco

TEL AVIV
- Israele ha confermato di aver abbattuto questa mattina un caccia siriano in volo sulle Alture del Golan. «Un caccia è stato intercettato dal nostro sistema di difesa aerea sul confine siriano», si legge in una dichiarazione dellesercito israeliano, che precisa che il velivolo siriano, abbattuto con un Patriot, era entrato nello spazio aereo israeliano.

(Adnkronos, 23 settembre 2014)


E ora sono sei milioni gli ebrei in Israele

Settant'anni dopo

di Elena Loewenthal

«Vittoria del sionismo», titolava ieri a tutta pagina HaYom», il quotidiano a distribuzione gratuita più diffuso del paese. Non si tratta di campo di battaglia, non si tratta di lotta per l'indipendenza, non si tratta nemmeno di occupazione. Non è una vittoria conquistata con le armi ma raggranellata un numero dopo l'altro nelle sale parto, con tenacia e pazienza e voglia di esistere. «Storia» in ebraico si dice mi dor ledor: di generazione in generazione. Mai facile, ma meno che mai nel secolo appena passato. Eppure oggi vivono in Israele più di sei milioni di ebrei: così dice il censimento annuale i cui dati vengono pubblicati alla vigilia del Capodanno ebraico, ogni anno.
   Israele conta quasi nove milioni di abitanti, cioè di cittadini dello Stato d'Israele (esclusi ovviamente i territori occupati). II che testimonia un trend di cresciuta per noi europei davvero inconsueto: quasi centottantamila e nel corso dell'anno (con un gap di cinquemila fiocchi rosa in meno di quelli celesti), ventiquattromila immigrati, quest'anno giunti soprattutto dalla Francia. Centoquarantamila matrimoni e trentaduemila divorzi. Cifre modeste, forse. Proporzionate a un paese grande, cioè piccolo, grosso modo quanto la Lombardia, anche se la sovraesposizone mediatica sembra dilatarne confini e misure.
   Ma al di là di queste cifre, ce n'è una che non si può non definire storica, e ci vuole un attimo prima di capirti perché bisogna chiamare in causa la memoria, fare una terribile equazione mentale ed emotiva. Perché sei milioni di persone - qui vive e allora morte - non è un numero qualunque. Sei milioni è il numero dei morti sterminati nella Shoah: nel fumo dei forni crematori, nei ghetti, nelle fosse comuni, nelle fucilazioni di massa, nei giochi dei nazisti che usavano i neonati ebrei per il tiro al piattello, negli angoli dei ghetti, nei treni merci che attraversavano l'Europa pieni di vite e vuoti di morte. E ora, a settant'anni di distanza dal buco nero della Shoah, in Israele vivono sei milioni e cento-quattromila ebrei. Il sorpasso è d'un soffio o poco più. Ma è la prima volta che succede nella storia di questo piccolo paese, nella storia del movimento politico e spirituale che l'ha creato -il sionismo -. Ed è una vittoria che mette i brividi, tanto da meritarsi il titolo di giornale a tutta pagina, anche se il censimento è una consuetudine annuale in Israele, quasi a segnare una millenaria continuità bíblica Nel testo sacro, infatti, gli israeliti vengono ripetutamente contati. Prima da se stessi, poi dai romani, come capita nei Vangeli al tempo della nascita di Gesù.
   Ma soltanto in questa contemporaneità che ha significato per l'ebraismo il capovolgimento di un destino bimillenario in due direzioni opposte - quella di morte nella Shoah e quella di vita nella rinascita dello Stato ebraico - il fatto di contarsi ha assunto un significato cruciale. Dopo la Shoah si è contato il silenzio di sei milioni di persone che non rispondevano più perché erano diventate fumo. II censimento israeliano di quest'anno è a suo modo un tiqqun olam, come si direbbe in ebraico: una riparazione del mondo. Oggi almeno i numeri in terra d'Israele hanno rimediato a quella terribile assenza che ancora ci accompagna tutti, a settant'anni di distanza.

(La Stampa, 23 settembre 2014)


Roma - Capodanno ebraico, divieto di sosta intorno alla Sinagoga

Tra domani e venerdì in vigore disciplina provvisoria di traffico

Tra domani e venerdì, per lo svolgimento della festività ebraica del Capodanno, presso la Sinagoga verrà istituita una disciplina provvisoria di traffico con divieto di sosta in via Portico D'Ottavia, Lungotevere Dè Cenci, Via Catalana, Via del Tempio. Nei giorni 3 e 4 ottobre, sempre per la festa del Capodanno Ebraico, verrà istituita una disciplina provvisoria di traffico presso le Sinagoghe in piazza San Bartolomeo all'Isola, via Padova, viale di Villa Pamphili, via Pozzo Pantaleo, via Paolo Veronese, via Tripolitania, via Giuseppe Pianese. Nella giornata di domani, inoltre, dalle 9 alle 13, in piazza Santi Apostoli, si svolgerà una manifestazione sindacale del settore dei dipendenti statali. Una delegazione chiederà di essere ricevuta in Parlamento. Nello stesso orario, saranno possibili disagi al traffico privato e deviazioni per le linee di autobus in transito nella zona di piazza Venezia.

(Leggo Roma, 23 settembre 2014)


Usa - Arab Bank condannata: ha finanziato i terroristi di Hamas

Un tribunale federale di New York ha oggi giudicato la Arab Bank responsabile di aver fornito consapevolmente assistenza finanziaria ad Hamas, che gli Usa considerano una organizzazione terrorista.
Il processo è durato 30 giorni al culmine di una battaglia legale durata quasi 10 anni. Ora sarà necessario un secondo processo per stabilire i danni da pagare alle circa 300 famiglie delle vittime di 24 attacchi in Israele, a Gaza e in Cisgiordania tra il 2001 e il 2004, che hanno citato la prestigiosa Banca basata in Giordania.
Il verdetto emesso oggi, nota il Wall Street Journal, è il primo negli Usa contro una banca in un caso del genere e potrebbe aprire la strada ad altre cause simili nell'ambito del Antiterrorismo Act del 1990, nota il quotidiano economico.

(Il Messaggero, 23 settembre 2014)


A ottobre il Jerusalem Peace Road Show

 
Dopo il positivo esito dello scorso anno, la Formula 1 torna a Gerusalemme con il Jerusalem Peace Road Show, in programma martedì 7 e mercoledì 8 ottobre 2014.
Nel corso dell'evento turisti e appassionati locali potranno assistere all'esibizione delle potenti vetture guidate da autisti esperti che si esibiranno lungo il circuito di gara che passa dal quartiere Montefiore al King David Hotel, lambisce il nuovo Waldorf Astoria, il Mamilla Mall, anche con punti di apertura verso le mura della della Città Vecchia, il Liberty Bell Park e la vecchia Stazione ferroviaria ora monumentalizzata. Sono già in vendita i biglietti per assistere in tribuna all'evento.
Al Jerusalem Peace Road Show prendono parte vetture come Ferrari, auto di Formula 1, di Formula 3 e 4, di Formula Master, così come un'auto da corsa della tipologia Nascar e anche unità demo della scuderia come la Ferrari Challenge, auto con potenza elevata con motore V8. Prevista anche una gara di Superbike e una esibizione delle "leggende" della Formula 1, famosi piloti dei Grand Prix,
Nel 2013 la Formula 1 ha fatto il suo debutto a Gerusalemme, portando Ferrari, Mercedes e altre auto da corsa per le vie della città antica, unendosi in questa esperienza ad altre città come Mosca e New York.
All'interno del complesso della Prima Stazione ci sarà una speciale vetrina chiamata Fan Zone dove saranno in mostra le memorabili auto da corsa e sarà possibile anche acquistare gadget unici. Ci saranno simulatori di guida e un premio a sorpresa per il partecipante con il punteggio più alto.
Per informazioni.

(agenzia di viaggi, 22 settembre 2014)


Creata in Israele un'agenzia per la protezione dai cyber attacchi

Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato il lancio di un'agenzia nazionale per la cyber difesa.
"La nuova struttura sarà responsabile della protezione degli obiettivi chiave e delle organizzazioni associate al Ministero della Difesa. Inoltre, l'agenzia dovrà proteggere i cittadini israeliani dagli attacchi informatici", ha detto Netanyahu in una riunione dei ministri.
A sua volta, il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya'alon ha dichiarato che il Paese è stato oggetto di cyber attacchi da Stati nemici, dai gruppi terroristici e hacker, ma questi attacchi non hanno causato gravi danni.

(La Voce della Russia, 22 settembre 2014)


In arrivo Rosh Hashanah, il capodanno ebraico

Al tramonto del 24 settembre in tutte le comunità ebraiche prenderanno il via le celebrazioni dello Rosh Hashanah, il capodanno ebraico: la festa dura due giorni ed è anche occasione di introspezione, bilancio e propositi di miglioramento nel rapporto con il prossimo

a cura di Ambra Marchese

La celebrazione di Rosh Hashanah, assieme a Yom Kippur, è parte di uno dei due giorni solenni del calendario biblico. Il termine letteralmente significa "capo dell'anno" e avviene tra il primo ed il secondo giorno del mese di tishrì (settembre-ottobre). Quest'anno esso viene celebrato tra il 24 e il 26 settembre.
Secondo la tradizione ebraica, questo giorno coincide con l'anniversario della creazione di Adamo ed Eva e viene chiamato, perciò, anche Giorno del Ricordo, enfatizzando la particolare relazione tra il Dio Creatore e l'umanità.
Nel Talmud è scritto che «a Rosh Ha-Shanà tutte le creature sono esaminate davanti al Signore». Non a caso tale giorno, nella tradizione ebraica, è chiamato anche "Yom Ha Din", il giorno del giudizio. Il giudizio divino verrà sigillato nel giorno di Kippur, il giorno dell'espiazione. Tra queste due date corrono sette giorni che sommati ai due di Rosh Ha-Shanà e a quello di Kippur vengono detti i "dieci giorni penitenziali".
Il giorno di Rosh Hashanah pone una certa attenzione sul rapporto di ogni uomo con il proprio prossimo e con Dio, come anche sui propositi di miglioramento.

LO SHOFAR - L'osservanza centrale di Rosh Hashanah è il suono dello shofar, il corno di montone, che rappresenta il suono di tromba eseguito in occasione dell'incoronazione di un re da parte del suo popolo. Il suono dello Shofar rappresenta una chiamata al pentimento (teshuvà), che è altresì connessa al peccato del primo uomo e al pentimento per esso. Lo shofar rammenta, inoltre, il dono della Torah nel Sinai, che fu proprio accompagnato da questo suono e allude anche al passaggio escatologico di Isaia 27:13, che annuncia i tempi messianici e descrive un grande shofar, una "grande tromba".
Il corno di montone è anche un simbolo connesso al sacrificio di Isacco e alla prontezza di Abrahamo nell'ubbidire al proprio Dio.
Israele, per Rosh Hashanah, supplica Dio che «il merito di Abrahamo possa stare sopra l'intero popolo» sicché Dio, nella sua compassione e misericordia, provveda un anno di vita, salute e prosperità. Durante il servizio del Capodanno, il popolo assiste al suono congiunto di cento shofar. Questo suono, biblicamente, serviva da segno per l'annuncio della santa convocazione, per cui Rosh Hashanah è detta anche la Festa delle Trombe.
I passaggi della Bibbia che descrivono questa celebrazione sono Levitico 23:23-25 e Numeri 29:1-6.

LA CELEBRAZIONE - Per Rosh Hashanah vengono consumati alcuni cibi dolci come una fetta di mela immersa nel miele (simbolo del desiderio di un anno dolce), i chicchi di un melograno (simbolo della richiesta che il popolo possa essere numeroso proprio come i chicchi di questo frutto) e altre pietanze tipiche. Inoltre, vengono recitate delle benedizioni vicendevoli utilizzando le parole Leshanah tovah tikateiv veteichateim ("che tu possa essere iscritto e sigillato per un buon anno") e ha luogo l'enunciazione del Tashlich, una particolare preghiera recitata in prossimità di una fonte d'acqua (mare, fiume, stagno ecc.), dopo essersi svuotati le tasche, a simboleggiare il disfarsi delle colpe commesse e un impegno simbolico a rigettare ogni cattivo comportamento, evocando il versetto biblico di Michea 7:19 («Getterai i nostri peccati nelle profondità del mare»).
In questo giorno vengono altresì svolte le consuete azioni dei giorni festivi che includono il Kiddush e la benedizione sulla Challah (pane intrecciato tipico del sabato ebraico, lo shabbat).

(evangelici.net, 22 settembre 2014)


Europa League: antisemitismo in curva, il Partizan a rischio sanzioni

di Edward Pellegrino

Dopo l'esclusione dalla Coppa UEFA 2007, il Partizan Belgrado rischia grosso nuovamente a causa del comportamento inaccettabile di una frangia dei propri tifosi (se così si possono chiamare): ai tempi, gli incidenti sugli spalti durante il match contro lo Zrinjski Mostar costarono al club bianconero l'espulsione continentale, mentre questa volta è uno striscione a sfondo antisemita a compromettere il cammino del club serbo in Europa League.
In occasione della sfida con il Tottenham (valevole per la prima giornata e conclusa a reti bianche), infatti, nel settore riservato agli ultras serbi, è apparso un cartello che recitava la scritta: "Only Jews and Pussies", che può essere tradotto con "Solo ebrei e conigli". Una scritta che si riferisce al fatto che gli Spurs sono molto seguiti dalla comunità ebraica in Inghilterra e non solo.
Un episodio a tinte antisemite che ha disgustato un po' tutti, ivi compreso lo stesso tecnico del Tottenham Mauricio Pochettino, il quale si è detto schifato e dispiaciuto per una cosa "vergognosa ed inaccettabile, una mancanza di rispetto". Così come successo in Champions League per gli incidenti avvenuti prima e durante la partita Roma-CSKA Mosca, fuori e dentro lo Stadio Olimpico, la UEFA ha immediatamente dato il via alle indagini di rito sull'accaduto, segnalato proprio dalla dirigenza del club inglese, ed è probabile che applicherà delle sanzioni esemplari.
Il Partizan Belgrado, come detto, rischia grosso: non un'espulsione dall'Europa League, come successo nel 2007, ma una lunga chiusura del proprio stadio (l'FK Partizan) in vista dei prossimi impegni a livello continentale.

(mondiali.net, 22 settembre 2014)


Israele, il ministro dell'agricoltura: Non applicheremo le sanzioni Ue contro la Russia

Yair Shamir annuncia l'intenzione di triplicare le esportazioni verso Mosca

di Pino Salerno

Il ministro dell'Agricoltura di Israele, Yair Shamir, in un'intervista all'agenzia di stampa nazionale russa Ria Novosti, ha detto che Israele non applicherà le sanzioni contro la Russia previste dalla Unione Europea e continuerà ad esportare verso Mosca i suoi prodotti agricoli. Shamir ha affermato che tra le ragioni di questa decisione vi è il boicottaggio europeo contro le merci israeliane prodotte nella West Bank. Già il 10 settembre, quando le sanzioni europee contro Mosca avevano ottenuto come risultato il boicottaggio lanciato da Putin contro i prodotti agroalimentari provenienti dalla UE, il ministro dell'Agricoltura israeliano aveva garantito a Mosca che "Israele avrebbe riempito quel vuoto", con i suoi prodotti alimentari. "Prima di tutto", ha detto Shamir, "io non avverto le pressioni UE e nemmeno le vedo. Si tenga conto che ultimamente gli europei stanno mettendo in atto un boicottaggio dei nostri prodotti. È così che deve andare? Boicottano noi, e noi non dovremmo aiutare qualcun altro? Non è possibile. Non si può fermare il commercio con Israele, da un lato, e dall'altro chiederci di fermare i nostri commerci con la Russia. Non è certo questo il modo per collaborare assieme. Gli europei devono decidersi".
   Shamir ha descritto le sanzioni europee contro la Russia come un'opportunità per Israele, sottolineando che Israele è pronta a triplicare le esportazioni dei prodotti agricoli verso Mosca, passando dagli attuali 325 milioni di dollari, ad un miliardo di dollari l'anno. "Anche se si riducessero le sanzioni contro la Russia", ha proseguiro Shamir, "credo che i nostri prodotti continueranno ad affluire verso la Russia. Sarà più facile fare accordi con noi, meno costoso e più stabile, e senza alcun vincolo politico su ciò che si può fare e ciò che non si può fare". Le dichiarazioni del ministro dell'Agricoltura israeliano sono comparse sul sito in lingua inglese dell'agenzia Ria Novosti, e hanno subito messo in allarme le burocrazie di Bruxelles, che hanno chiesto conto all'Ambasciata d'Israele. Dopo l'incontro tra i vertici della burocrazia della UE e i vertici del ministero degli esteri israeliano, pare che ci sia stato un grosso conflitto con il ministero dell'Agricoltura, al quale era stato chiesto di non fare più simili commenti, mentre ancora divampa il fuoco della guerra in Ucraina.
   Dal ministero dell'Agricoltura è venuta questa tagliente risposta: "il ministro non ha espresso un'opinione. Nè intende intervenire nel conflitto tra Russia e Unione Europea. Il ministro lavora per espandere le esportazioni agricole alla Russia, esattamente come fa in altri mercati, per concretizzare il potenziale economico di Israele. E continuerà a farlo, esclusivamente sulla base del commercio, non della diplomazia".

(il Velino, 22 settembre 2014)


Israele - Superati gli 8 milioni e 200 mila abitanti

GERUSALEMME - La popolazione israeliana ha superato gli 8 milioni e 2 mila abitanti, numero che comprende anche i palestinesi di Gerusalemme est. Lo rende noto un rapporto dell'Ufficio statistico nazionale pubblicato oggi in occasione del Nuovo anno ebraico.
Su 8.252.000 abitanti, 6.104.000 sono ebrei (75%), 1.683.000 arabi, musulmani e cristiani (20,7%) e circa 347.000 (4,3%) non sono ne' ebrei o arabi e sono registrati come senza religione o cristiani non arabi. Si tratta in maggioranza di immigrati dall'ex Urss che hanno ottenuto la nazionalita' israeliana grazie ad un parente ebreo. Di queste statistiche fanno parte anche i circa 270.000 palestinesi - che non hanno la cittadinanza israeliana - di Gerusalemme est, occupata da Israele nel 1967.
La popolazione israeliana e' aumentata di circa l'1,9%, un ritmo simile a quello osservato negli ultimi anni. Sempre secondo il rapporto, il 28,2% degli israeliani ha meno di 14 anni, una delle percentuali piu' elevate fra i Paesi occidentali.

(Internazionale, 22 settembre 2014)


"Abbiamo 15 secondi per catturare un ricercato". Tzahal, dietro le quinte dell'Unità "Ciliegia"

Esce in Israele il libro "Ki BeTachbulot" (Con gli stratagemmi) scritto da due ufficiali della riserva che raccontano i segreti dell'unità "Duvdevan". Creata nel 1986 per operare fra la popolazione palestinese della West Bank, si serve di soldati perfettamente mimetizzati nella società araba, al fine di catturare i terroristi "prima che possano colpire".

di Maurizio Molinari

 
"Abbiamo solo 15 secondi per catturare un ricercato". Ad alzare il velo su una delle unità più segrete dell'esercito israeliano è il libro "Ki BeTachbulot" (Con gli stratagemmi) scritto a quattro mani da due ufficiali della riserva che si firmano solo con i nomi propri: Ido e Yaniv. L'unità in questione è "Duvdevan" (Ciliegia) creata nel 1986 per operare stabilmente fra la popolazione palestinese della West Bank, con soldati perfettamente mimetizzati nella società araba, al fine di catturare i terroristi "prima che possano colpire". Ido e Yaniv sono stati sotto le armi dal 1999 al 2002 e da allora sono ufficiali della riserva. Il titolo del libro richiama il motto di "Duvdevan", preso dai Proverbi 24:6, "E' con gli stratagemmi che andrai alla guerra".
  Gli autori li descrivono senza violare i limiti imposti dalla censura - che gli proibisce di rivelare i loro cognomi - spiegando anzitutto che il segreto dell'efficienza dell'unità "Ciliegia" è di "essere sempre presente su territorio in Giudea e Samaria per potersi attivare con grande rapidità quando arrivano le indicazioni dell'intelligence". Il rapporto con l'"intelligence è fondamentale perché appena vengono a sapere che un ricercato è in un luogo specifico ce lo comunicano, e sta a noi intervenire". La velocità è essenziale perché "un'informazione di intelligence può essere valida solo per breve tempo" e così i soldati travestiti da arabi hanno "non più di 15 secondi per catturare un ricercato" nella consapevolezza che "arrivare a 20 secondi può significare doversi confrontare con la folla in strada" innescando scenari ad alto rischio.
  La caccia ai "ricercati" è, spiegano gli autori, uno "strumento indispensabile per combattere il terrorismo" in quanto "consente di prevenire numerosi attentati". Ido e Yaniv parlano di "frequenti arresti di terroristi presi mentre stanno andando a compiere un attentato, spesso con indosso bombe o cinture esplosive". Catturarli "spingendoli dentro un'auto civile per allontanarsi a tutta velocità" comporta "rischi molto alti" e spiega perché nel 2002 Eyal Weiss, comandante di "Duvdevan", rimase ucciso nel corso di un'operazione nel villaggio arabo di Saida "dove dovevamo catturare tre ricercati".
  Conoscenza perfetta della lingua e mentalità araba, costante presenza dentro città e villaggi della West Bank, capacità di operare "con preavvisi di pochi minuti" e abilità nell'uso delle tecnologie più sofisticate fanno di "Duvdevan" un'unità top secret di Tzahal - le forse armate israeliane - ma Ido tiene comunque a far sapere che "il nostro lavoro mette a durissima prova i valori morali" perché "entrare in una casa di notte arrestando un ricercato senza toccare il figlio o altri famigliari" è "un compito che può essere molto difficile, esponendoci a rischi personali molto alti per la sicurezza".

(La Stampa, 22 settembre 2014)


Oltremare - Di corsa verso il 5775
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”
“In piazza e fuori”
“Dopoguerra”
“Scuola in guerra”
“Nuovo mese”
“Dafka adesso”
“Auguri dall'alto”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Ma dove corrono tutti, in questi giorni? Uno cerca di pedalare placidamente fino al lavoro alle otto del mattino, e la città è avvolta in una elettricità nuova, che si traduce fra l'altro in passanti che attraversano le visibilissime strisce della ciclabile senza guardare, mentre parlano al telefono o scrivono sms o email camminando di fretta. E nel fare la jimcana fra i passanti distratti, bisogna anche cercare di non centrare in pieno i nuovi corridori del mattino, che pullulano in numeri allarmanti, sudati e con l'aria decisa del comandante che porta il battaglione verso vittoria sicura. Al ritorno la sera, stessa scena di zigzagamenti contro ogni logica e regola del traffico, ma da parte di persone vestite normalmente e con scarpe non da ginnastica: ma comunque, impegnate nella staffetta fra i negozi.
Insomma, siamo a quasi un mese dalla Night Run, la corsa di 10 chilometri che attraversa la città, e siamo anche a pochi giorni da Rosh Hashana (che mette fretta a tutti, con le compere e i regali e la spesa per le numerose cene, e il sistemare la casa che arrivano ospiti). Siamo anche a valle di una guerra che ha tolto a tutti noi l'estate e ci fa sentire la fretta di chiudere con questo anno ebraico 5774 che prima se ne va e meglio è. Quindi sono grata di non essere una amante della corsa, perché mi immagino cosa sarebbero queste settimane se alla abituale frenesia delle feste dovessi aggiungere un'ora e mezza fra uscita, jogging, sudore, doccia, colazione e ri-uscita di primo mattino.
Mi basta la buffa sensazione delle feste ebraiche che somigliano a tutte le feste stagionali in ogni paese del mondo: diventiamo tutti più buoni, ci occupiamo un po' di più della famiglia, facciamo giri di telefonate e mandiamo email con auguri mielosi, e facciamo della beneficenza. Se non fossi certa al mille per cento di vivere in un luogo assolutamente unico per un numero infinito di motivi, direi che tutto il mondo è paese.

(moked, 22 settembre 2014)


Roma, di evento in evento

Stefano Torossi racconta con ironia e dovizia di particolari la settimana appena trascorsa, tra il Festival di Letteratura e Cultura Ebraica.

di Stefano Torossi

- Festival di Letteratura e Cultura Ebraica, lunedì 15 al Ghetto.
  Antonio Monda tenta di indurre alla parola Ennio Morricone, il quale è insensibile alle moine sempre in agguato sulla lingua degli intervistatori. Se non sente bene una domanda, e questo è successo diverse volte, un po' forse per difetti nell'impianto di amplificazione del Palazzo della Cultura, un po' probabilmente per difetti nell'impianto di ascolto del Maestro stesso (che va verso i novanta), se la fa ripetere senza imbarazzo. E si guarda bene dal farsi incastrare dal giornalista, o dal seguirlo se la domanda non gli garba. Va per la sua strada senza cercare di fare il simpatico. Perché Morricone al Ghetto? ci siamo chiesti. Poi è uscito l'ovvio: protagonista di "C'era una volta in America" è la comunità ebraica del Lower East Side di New York.
  Abbiamo visto qualche sequenza. Sappiamo tutti che film è. E poi c'è la sua musica, così ricca di temi che neanche Puccini... Poche parole del maestro sulla cautela nell'uso della musica a supporto, anzi a servizio delle immagini; perché questo è il suo compito: integrare nell'orecchio il flusso drammatico, senza rubare niente all'occhio. Tanto è vero che, se serve, è ancora più efficace il silenzio. A sostegno di quest'ultima teoria ci hanno ammannito la lunga scena della violenza in auto. Vari minuti, appunto senza una nota. Francamente inutile; il concetto ci era arrivato. Un po' come se a una degustazione ad alto livello, ti facessero bere un bicchiere di Tavernello, e poi ti chiedessero: "Hai capito?".

- Martedì 16, stesso Festival; dalla cultura alla culinaria.
  Tavole all'aperto nei giardini della sinagoga. Piatti poveri della cucina romanesco giudaica, ottimo vino, tutto rigorosamente kosher. Noi non sappiamo fare neanche due spaghetti, il vino in compenso ci interessa. Quindi abbiamo cercato di approfondire la vinificazione kosher. O per le spiegazioni insufficienti, o per nostra disabilità mentale, o perché di quell'ottimo vino forse ne avevamo bevuto troppo, crediamo di essere riusciti a capire solo un paio di regole fondamentali: che tutti gli impianti devono essere lavati e rilavati a ogni uso, e questo non c'è neanche bisogno di dirlo. E che in alcune fasi della lavorazione è permesso intervenire solo a ebrei ortodossi sorvegliati da un rabbino, e questo non ci sembra altrettanto chiaro, a meno che l'ortodossia di cui sopra sia obbligatoriamente accompagnata da un buon diploma di enologo. Ma non ce l'ha confermato nessuno.

(Fonte: globalist, 22 settembre 2014)


Mike Harari (1927-2014)

Mike Harari
È scomparso a 87 anni Mike Harari, il leggendario agente del Mossad coinvolto nell'Operazione Entebbe, la cosiddetta Mivtsa' Kadur Ha-ra'am, nella quale Israele riuscì a salvare i passeggeri di un aereo preso in ostaggio da un gruppo di terroristi palestinesi (unico soldato a perdere la vita fu il fratello di Benjamin Netanyahu, Yeonathan) e nell'Operazione Mivtza Za'am Ha'el, risposta alle sanguinose Olimpiadi di Monaco del '72 nelle quali vennero uccisi 11 atleti israeliani.
Nato a Tel Aviv nel 1927, ha iniziato giovanissimo a far parte della Palmach (la forza di combattimento precedente alla nascita dello Stato di Israele) in lotta contro gli inglesi per ottenere l'indipendenza ed è poi entrato nello Shin Bet, il servizio di intelligence per gli affari interni, occupandosi di sicurezza. Una volta ottenuto un posto nel Mossad, si è preso in carico le operazioni più delicate, riscuotendo grandi successi ma affrontando anche situazioni di crisi (caso esemplare: l'uccisione dell'uomo sbagliato quando si cercava la mente dietro al massacro di Monaco, errore a causa del quale presentò le dimissioni al premier Golda Meir che le rifiutò). Diventa poi capo dei servizi segreti israeliani nella ramificazione del Latino-America. La sua permanenza a Panama fa sollevare molte polemiche e dicerie che lo volevano in rapporti con il presidente Manuel Noriega, fatto sempre negato dallo stesso Harari.
Il leggendario agente che amava l'opera e l'arte è stato impersonato nel 2005 dall'attore israelo-marocchino Moshe Ivgy nel film di Steven Spielberg Munich. Moshe Ya'alon, ministro della Difesa, lo ricorda: "Chiunque abbia avuto il privilegio di conoscerlo, sa quanto fosse creativo e coraggioso. La sua influenza sul Mossad e l'esercito è evidente nel presente e continuerà ancora per molti anni". L'uomo delle operazioni, delle soluzioni creative, l'uomo da chiamare in tempi di massima allerta, l'uomo sul quale aleggerà per sempre un velo di mistero. Mike Harari era tutto questo.

(moked, 22 settembre 2014)


Il Mossad cerca spie nei Paesi arabi, Iran, Russia e Francia

GERUSALEMME - Il britannico Mi6 e la Cia da tempo reclutano anche online i potenziali James Bond. Il loro cugino israeliano, il Mossad, per ovviare alla difficolta' concreta di avere ambasciate solo in due Paesi arabi, Egitto e Giordania, e' stato costretto a lanciare una massiccia di campagna di reclutamento di 007 o semplici informatori esclusivamente online. Campagna che - come si vede - sta anche pubblicizzando sulla stampa mondiale.
"Tutti sono i benvenuti, a prescindere dalla religione, nazionalita' lavoro, basta contattare la nostra organizzazione, il Mossad, per lavorare per noi o per essere coinvolti in attivita' che potranno grandi benefici personale. Leggete la nuova sezione "Contact us" sul sito web del Mossad", di cui viene fornito anche l'indirizzo. Sito disponibile in arabo, farsi (la lingua parlata in Iran) francese e russo.
Per il Mossad "assicurare totale discrezione e riserbo e' la massima priorita' ed e' alla base dei nostri contatti. Vi suggeriamo di valutare (prima di presentare domanda) se il computer che usate e il luogo da cui vi connette sia sicuro.
Sarebbe piu' sicuro rimpire il formulario usando mezzi che non siano direttamente collegabili a voi", suggerisce il Mossad, lasciando intendere che gia' dal primo passo ci sara' una selezione naturale: gli incapaci e imprudenti non ci servono e quindi se vengono sorpresi sono affari loro.

(AGI, 22 settembre 2014)


L'ebreo che non volle più correre. Tokazier e lo scippo di Helsinki

Primo sui 100 metri nel '38, punito dalla Finlandia succube dell'avanzata nazista. Un testa a testa, poi la beffa. La corsa è serrata, il ragazzo con la divisa del Maccabi taglia il traguardo per primo ma viene considerato quarto dietro tre «ariani».

di Graziana Urso

 
Abraham Tokazier taglia per primo il traguardo
Cancellato dalla storia con un tratto di penna, al collo la medaglia recisa dal vento antisemita. Finlandia, 1938. Un omaggio all'alleato tedesco, prima ancora che la follia nazista spalanchi le porte del lager. Abraham Tokazier, sprinter ebreo di Helsinki, non finirà i suoi giorni in un campo di concentramento come i 59 israeliti consegnati dal governo finnico a Hitler durante la Seconda guerra mondiale, ma dell'atletica non vorrà più saperne. «Insanabile la ferita dell'ingiustizia subita», rivela oggi il nipote Helliel.
   Quell'estate Abraham è determinato a bruciare i 100 metri in una gara nazionale di velocità sulle rive del Baltico, nella città in cui è nato e cresciuto. La Helsinki d'inizio secolo, non ancora capitale della Finlandia indipendente dal dominio zarista, è un centro residenziale attraversato da un imponente sviluppo urbanistico, in cui si respira un clima di tolleranza culturale e civile. Abraham sa di essere ebreo solo perché frequenta la sinagoga in stile Art Nouveau sorta nel 1906, e perché è un atleta del Maccabi club cittadino, polisportiva d'ispirazione sionista.
   Per la sua società è stato anche giocatore di football e pesista, ma è soprattutto un corridore, un velocista. Ha vinto una medaglia d'argento nei 100 di una manifestazione nazionale e ha rappresentato la Finlandia due volte, contro Svezia e Ungheria. È un atleta piuttosto noto quando s'iscrive all'evento che inaugura il nuovo stadio della capitale, l'Olympiastadion, un gioiello funzionalista situato nel distretto di Töölö.
   Ci sono voluti quattro anni perché l'idea degli architetti Yrjö Lindegren e Toivo Jäntti trovasse la sua forma, ma il 21 giugno 1938 tutto è pronto. Sarà un assaggio dell'Olimpiade che bussa alle porte, quella che segue i Giochi di Berlino rivelatisi un boomerang per le teorie naziste sulla superiorità della razza ariana.
   Abraham, che considera lo sport una zona franca, vuole emulare il suo idolo, un altro atleta finnico affiliato al Maccabi, Elias Katz, campione olimpico nei 3mila a squadre con la Finlandia ai Giochi di Parigi: l'obiettivo è partecipare all'Olimpiade di casa, e quella gara sarà la prova che può farcela.
   La corsa è un testa a testa fino a quando Abraham, in divisa Maccabi, non taglia per primo il traguardo. Lo vedono tutti, arriva anche l'annuncio ufficiale: è lui il vincitore. Pochi minuti dopo, un secondo annuncio: i giudici assegnano la vittoria ad Aarre Savoilanen; due Toivo, Hakkinen e Avellan, completano il podio. Tokazier è solo quarto. Non ci sono irregolarità nella sua gara. Irregolare è la sua superiorità atletica: è un corridore ebreo.
   Sono mesi che in Finlandia è partita una latente campagna antisemita. Per opportunismo politico - incombe la minaccia sovietica - il Paese guarda con simpatia al Terzo Reich, dove l'escalation di discriminazioni e violenze ai danni degli ebrei non risparmia neanche gli sportivi. Lo stesso Katz, che dopo il successo parigino si era trasferito a Berlino, nel 1933 era stato costretto a lasciare la Germania.
   Tra le due guerre la comunità ebraica finnica conta duemila membri, troppo pochi per promulgare leggi razziali, come accadrà in autunno a Roma. Hitler non fa pressioni, ma meglio non contrariarlo. Così, i giornali cominciano a chiedersi se sia il caso di ammettere atleti ebrei ai Giochi del 1940, in previsione del probabile affiusso di turisti tedeschi: perfino il presidente della Federazione sportiva finnica Urho Kekkonen, futuro presidente politico della Finlandia, ufficialmente antinazista, esprime considerazioni ambigue sugli ebrei nella corrispondenza privata degli anni Trenta.
   Insomma, Tokazier non può vincere, tanto meno quei cento metri che non poco imbarazzo avevano suscitato a Berlino dopo il trionfo di Jesse Owens. Nel pubblico c'è una delegazione del Führer e Abraham è un nome troppo ebreo per essere abbinato alla corsa più rappresentativa della manifestazione. Non vale l'oro, dev'essere consegnato all'oblio.
   Ma una traccia della verità resta: una foto, nitida, inequivocabile, viene pubblicata il giorno dopo da alcuni giornali indipendenti. Uno di loro titola: «Il vincitore arriva quarto». Il presidente del Maccabi sporge reclamo perché Tokazier riceva la medaglia negata, ma ottiene solo il silenzio della Federazione.
   Settantacinque anni dopo, inaspettatamente, quel reclamo viene accolto. È un libro pubblicato nel 2013 dallo scrittore Kjell Westö a riaccendere i riflettori su una storia che ha umiliato Abraham, ma soprattutto lo sport e la civiltà finlandesi.
   Il mea culpa della Federazione è amaro, il risarcimento tardivo, perché la medaglia d'oro che il 6 ottobre 2013 la Finlandia ha riconosciuto a Tokazier, scomparso nel 1976, non potrà mai essere da lui indossata. E forse neanche l'avrebbe voluta, lui che respinse le scuse ufficiose ricevute all'indomani della Seconda guerra mondiale.
   Non gareggiò più, né ebbe modo di rimpiangere il suo sogno olimpico. Il conflitto impedì a Helsinki di celebrare i suoi Giochi. Cancellati dalla storia, inghiottiti dallo stesso odio che avevano fiancheggiato.

(la Gazzetta di Bari, 22 settembre 2014)


Israele - La "Casa della Speranza" per proteggere i bambini delle tribù beduine

Un numero molto alto di bambini in un progetto che mira a rafforzare le loro famiglie e la società israeliana in generale. I centri diurni promettono una continuità educativa da dopo la scuola fino alla sera, fornendo assistenza, un pasto caldo, un aiuto nello svolgimento dei compiti, le attività del tempo libero e un sostegno per eliminare la povertà e il rischio di esclusione

MILANO - Il 3 settembre scorso, il Ministro del Welfare israeliano, Meir Cohen e SOS Villaggi dei Bambini in Israele hanno aperto, nella borgata beduina di Abu Krinat, le Case della Speranza; centri diurni pensati per proteggere i bambini dai 7 ai 13 anni, dando loro un posto sicuro, in un edificio dotato di rifugio antiaereo. Il numero di bambini beduini in difficoltà è molto alto e questo progetto mira a rafforzare le loro famiglie e la società israeliana in generale. I centri diurni promettono infatti una continuità educativa per i bambini, da dopo la scuola fino alla sera, fornendo assistenza, un pasto caldo, un aiuto nello svolgimento dei compiti, le attività del tempo libero e un sostegno per eliminare la povertà e il rischio di esclusione.

- Una lunga lista per il Progetto.
  "Le famiglie ci stanno chiedendo altri centri. La lista di bambini che vorremmo includere nel Progetto è lunghissima. Per molti di loro, il pasto che ricevono nei nostri Centri Diurni è l'unico della giornata" - ha affermato Matti Rose, Direttore di SOS Villaggi dei Bambini in Israele. "Oggi sono diventato parte della famiglia di SOS Villaggi dei Bambini. Io sono attento alla comunità beduina da sempre. Insieme a SOS Villaggi dei Bambini potremo fare cose importanti" - ha detto il Ministro durante l'inaugurazione. "Ero solo un educatore quando, per la prima volta, mi sono imbattuto in una famiglia beduina che stava soffrendo la perdita del proprio figlio: non avevano i mezzi per acquistare le medicine. Morì per una malattia curabile. Incontrai un medico e con lui iniziammo ad avviare una serie di servizi per i beduini. Sono sicuro ora che aiutare questi 45 bambini e i loro 450 familiari determinerà un grande cambiamento all'interno della comunità. Spero vivamente che si possa espandere questo progetto", ha concluso Rose. SOS Villaggi dei Bambini è presente in Israele dal 1981, dove accoglie 132 bambini e sostiene più di 500 persone.

(la Repubblica, 22 settembre 2014)


Scoperta in Israele una cantina di vini dell'Età del Bronzo

di Leonardo Debbia

 
Andrew Koh, della Brandeis University del Massachusetts
 
Contenitori per il vino ritrovati
 
Il luogo dove sono stati ritrovati i 40 contenitori per il vino
Durante lo scavo di un palazzo dell'Età del Bronzo, in Israele, è stata riportata alla luce un'antica cantina.
   Lo studio relativo che ne è seguito porta le firme di Andrew Koh, della Brandeis University del Massachusetts, e degli studiosi di archeologia e storia antica Assaf Yasur-Landau (Università di Haifa) e Eric H. Cline (Georgetown University), ed è stato pubblicato sulla rivista Plos ONE a fine agosto scorso.
   Si ritiene che la produzione del vino, assieme alla distribuzione e al consumo, abbiano rivestito un ruolo ben preciso e di una certa importanza nella vita quotidiana di coloro che popolarono il Mediterraneo e il Vicino Oriente durante l'Età del Bronzo (1900-1600 a.C.), anche se sono disponibili poche prove archeologiche di questo prodotto relativamente a quel periodo storico, sia in campo artistico che nella documentazione materiale.
   L'anno scorso, durante lo scavo di un palazzo attribuito all'Età del Bronzo medio o Cananeo nell'attuale Stato di Israele, un team di ricercatori ha rinvenuto 40 grandi serbatoi immagazzinati in una stanza chiusa, situata ad ovest del cortile centrale della struttura.
   Un'analisi del residuo organico, effettuata utilizzando il metodo della spettrometria di massa, ha rivelato che tutti i vasi contenevano composti chimici che ne indicavano, senza ombra di dubbio, la funzione di contenitori per il vino.
Dall'analisi dei residui sono anche state rilevate sottili differenze negli ingredienti o negli additivi all'interno dei vasi da vino, tanto che si potrebbe parlare più di un lavoro da erboristi anzichè di enologi.
   Per conferire un gusto particolare e per la conservazione venivano infatti usati miele, resina di storace e di terebinto, olio di cedro, cyperus (pianta acquatica che appartiene alla stessa famiglia da cui gli antichi Egizi ottenevano il papiro). E ancora, ginepro e probabilmente menta, mirto e cannella.
   I ricercatori hanno ipotizzato che l'individuazione di questi additivi possa essere considerata una conoscenza alquanto sofisticata delle piante da parte degli enologi del tempo, che dimostra anche il possesso di competenze necessarie per produrre una bevanda complessa, capace di conservarsi, di essere gradevole al gusto e avere perfino effetti benefici sulla psiche.
   Secondo gli autori, i risultati possono contribuire anche ad una maggiore comprensione dell'antica viticoltura e della ricca economia cananea.
   Andrew Koh aggiunge: "Sulla base della natura della camera, era previsto che quel residuo di campioni estratti e studiati in circostanze praticamente identiche a quelle del tempo, con una minima variabilità, avrebbe avuto il potenziale per rivelare nuovi e significativi spunti, sia dal punto di vista scientifico che archeologico".

(Gaianews.it, 21 settembre 2014)


Aeroporto di Comiso, arrivato il Boeing 757-300 da Tel Aviv

Il primo volo charter della compagnia Arkia proveniente da Tel Aviv è atterrato oggi pomeriggio all'aeroporto al "Pio La Torre" di Comiso. Il Boeing 757-300 è arrivato con 265 passeggeri (finora erano atterrati aerei capaci di far viaggiare non più di 186 persone). Il boeing è stato salutato con il water cannon subito dopo l'arrivo nella pista. Nelle prossime settimane ne giungeranno altri.

(Quotidiano di Ragusa, 21 settembre 2014)


Per evitare complicazioni questa volta il quotidiano siciliano non nomina né Israele né Palestina, ma parla di volo proveniente da Tel Aviv. Chissà se per loro Tel Aviv appartiene a Israele o alla “Palestina”.


Mia sorella, l'ultraortodossa

di Etgar Keret

Etgar Keret
Diciannove anni fa, in una saletta per matrimoni di Bnei Brak, morì la mia sorella maggiore; e ora vive nel quartiere più ortodosso di Gerusalemme. Ho passato uno degli ultimi weekend a casa sua. Era il primo Shabbat che trascorrevo là. Vado spesso a trovarla verso la metà della settimana, ma quel mese, con tutto il lavoro che avevo e i viaggi all'estero, o ci andavo sabato o niente. «Sta' attento», disse mia moglie mentre uscivo. «Non sei più tanto in forma, sai. Vedi di non farti convincere a diventare religioso o chissà cosa». Le risposi che non doveva preoccuparsi di nulla. Quando si tratta di religione, io non ho proprio nessun Dio. Quando sono sicuro di me non ho bisogno di nessuno, e quando mi sento di merda e dentro mi si apre questo grosso buco vuoto, so solo che non c'è mai stato un dio capace di riempirlo, e non ci sarà mai. Così, anche se cento rabbini evangelizzatori pregassero per la mia anima perduta, non servirebbe a niente. Io non ho alcun Dio, ma mia sorella sì, e le voglio bene, così cerco di mostrarLe un po' di rispetto.
  Il periodo in cui mia sorella stava scoprendo la religione fu il più deprimente nella storia della musica pop israeliana. Era appena finita la guerra del Libano, e nessuno era dell'umore giusto per i motivetti allegri. Ma poi, anche tutte quelle ballate dedicate a soldati belli e giovani che erano morti nel fiore degli anni cominciavano a darci sui nervi. La gente voleva canzoni malinconiche, ma non quelle che facevano un cancan su una guerra brutta e pusillanime che tutti stavano cercando di dimenticare. Che è il motivo per cui improvvisamente nacque un nuovo genere: il lamento funebre per un amico che è diventato religioso. Queste canzoni descrivevano sempre un amico intimo o una ragazza sexy che erano stati la ragione di vita della o del cantante, quando tutt'a un tratto era successa qualcosa di terribile ed erano diventati ortodossi. L'amico si faceva crescere la barba e pregava in continuazione, la bella ragazza era coperta da capo a piedi e non voleva avere più niente a che fare col cantante immusonito. I giovani ascoltavano queste canzoni e scuotevano cupamente la testa. La guerra del Libano aveva portato via così tanti dei loro amici che l'ultima cosa che volevano, tutti, era vederne altri sparire per sempre in qualche scuola talmudica nel quartiere più degradato di Gerusalemme.
  Non era solo il mondo della musica che stava scoprendo gli ebrei rinati. Erano roba grossa per tutti i media. Ogni talk show aveva un posto fisso per un'ex celebrità diventata religiosa che si sentiva in dovere di raccontare a tutti come non avesse proprio alcun rimpianto per la propria dissolutezza, o per l'ex amico di un noto rinato che rivelava quanto l'amico fosse cambiato da quando era diventato religioso e come non potevi più nemmeno rivolgergli la parola. Anch' io. Dal giorno in cui mia sorella fece il grande passo nella direzione della Divina Provvidenza, io diventai una specie di celebrità locale. Vicini che non mi avevano mai neanche rivolto la parola si fermavano, solo per stringermi energicamente la mano porgermi le loro condoglianze. Hipster adolescenti tutti vestiti di nero venivano a darmi affettuosamente un cinque prima di entrare nel taxi che li avrebbe portati in qualche discoteca di Tel Aviv. E poi abbassavano il vetro del finestrino per urlarmi il loro dispiacere per la vicenda di mia sorella. Se i rabbini avessero preso una ragazza brutta, si sarebbero anche rassegnati; ma portarsi via una bella donna come lei: che spreco!
  Intanto, la mia compianta sorella studiava in un seminario femminile di Gerusalemme. Era venuta a trovarci quasi ogni settimana, e sembrava felice. Se c'era una settimana in cui non poteva venire, andavamo noi a trovarla. Allora io avevo quindici anni, e sentivo terribilmente la sua mancanza. Non l'avevo vista molto spesso nemmeno quando faceva il servizio militare, prima di diventare religiosa, come istruttore di artiglieria nel sud del paese, ma allora, per qualche motivo, mi era mancata di meno. Ogni volta che ci incontravamo la studiavo attentamente, cercando di capire in che modo era cambiata. Avevano forse sostituito la luce che aveva negli occhi, il sorriso? Parlavamo tra noi come sempre. Lei continuava a raccontarmi le storie buffe che aveva inventato apposta per me, e mi aiutava a fare i compiti di matematica. Ma mio cugino Gili, che apparteneva alla sezione giovanile del Movimento Contro la Coercizione Religiosa e la sapeva lunga sui rabbini e tutto, mi diceva che era solo questione di tempo. Non avevano ancora finito di lavarle il cervello, ma appena l'avessero fatto lei si sarebbe messa a parlare yiddish, e loro le avrebbero rasato la testa, e lei si sarebbe sposata con un tipo sudato, flaccido e repellente che le avrebbe proibito di vedermi. Poteva volerci ancora un anno o due, meglio che mi preparassi, perché una volta maritata forse avrebbe continuato a respirare, ma dal nostro punto di vista sarebbe stata come se fosse morta.
  Diciannove anni fa, in una saletta per matrimoni di Bnei Brak, la mia sorella maggiore mori, e ora vive nel quartiere più ortodosso di Gerusalemme. Ha un marito, studente di una yeshiva, proprio come aveva promesso Gili. Non è né sudato né flaccido né repellente, e in realtà sembra contento ogni volta che mio fratello o io li andiamo a trovare. Gili allora, circa vent'anni fa, mi garantì che mia sorella avrebbe avuto orde di figli, e che ogni volta che io li avessi sentiti parlare yiddish come se vivessero in un desolato shtel dell'Europa orientale mi sarebbe venuta voglia di piangere. Anche su questo argomento aveva ragione solo a metà, perché mia sorella ha veramente un mucchio di bambini, l'uno più carino dell'altro, ma quando parlano yiddish mi vien solo da sorridere.
  Mentre entro nella casa di mia sorella, meno di un'ora prima di Shabbat, i bambini mi salutano all'unisono col loro «come mi chiamo?», una tradizione che ha avuto inizio dopo che una volta li confusi tra loro. Considerando che mia sorella ha undici figli, e che ognuno di essi ha un doppio nome, come hanno di solito gli hassidim il mio errore era sicuramente perdonabile. Il fatto che tutti i ragazzi sono vestiti nello stesso modo e dotati di coppie identiche di riccioli laterali costituisce una notevole attenuante. Ma tutti loro, da Shlomo-Nachman in giù, vogliono ancora essere sicuri che il loro strano zio abbia le idee abbastanza chiare, e dia il regalo giusto al nipote giusto. Mia madre sospetta che non sia ancora finita; perciò, tra un anno o due, a Dio piacendo, ci sarà un altro doppio nome da imparare a memoria.
  Dopo che ebbi fatto l'appello con pieno successo, mi venne offerto un bicchiere di cola strettamente kosher mentre mia sorella, che non mi vedeva da molto, voleva sapere cos'avevo combinato. È molto contenta quando le dico che me la passo bene, ma poiché il mondo in cui vivo io è per lei un mondo frivolo, non ha un vero interesse per i particolari. Il fatto che mia sorella non leggerà mai uno dei miei racconti mi dispiace ma il fatto che io non osservo lo Shabbat e non mangio kosher a lei dispiace ancora di più.
  Un giorno ho scritto un libro per bambini e l'ho dedicato ai miei nipoti. Nel contratto, la casa editrice accettava che l'illustratore preparasse una copia speciale, dove tutti gli uomini avrebbero avuto uno yarmulke (il copricapo) e riccioli laterali mentre le sottane e le maniche delle donne sarebbero state abbastanza lunghe per essere considerate modeste. Ma alla fine anche questa versione fu respinta dal rabbino di mia sorella. Il libro raccontava la storia di un padre che scappa con un circo. Deve averla considerata troppo audace, e io ho dovuto riportare la versione "kosher" del libro a Tel Aviv.
  Fino a circa dieci anni fa, quando finalmente mi sposai, la parte più dura del nostro rapporto fu che la mia ragazza non poteva accompagnarmi nei giorni in cui andavo a trovare mia sorella. Per essere proprio sincero, dovrei dire che nei nove anni che abbiamo passato insieme ci siamo sposati dozzine di volte con cerimonie di ogni genere inventate da noi: con un bacio sul naso in un ristorante di pesce a Giaffa, scambiandoci abbracci in un fatiscente albergo di Varsavia, facendo il bagno nudi sulla spiaggia di Haifa e persino dividendoci un uovo Kinder sul treno Amsterdam-Berlino. Solo che, disgraziatamente, nessuna di queste cerimonie è riconosciuta dai rabbini o dallo Stato. Sicché, quando andavo a trovare mia sorella e famiglia, la mia ragazza doveva sempre aspettarmi in un caffè o in un parco. M'imbarazzava, ma lei capi la situazione e l'accettò.
  Diciannove anni fa, in una saletta per matrimoni di Bnei Brak, la mia sorella maggiore mori, e ora vive nel quartiere più ortodosso di Gerusalemme. Allora c'era una ragazza che amavo da morire, ma che non mi amava. Ricordo che due settimane dopo le nozze andai a trovare mia sorella a Gerusalemme. Volevo che pregasse perché quella ragazza e io potessimo stare insieme. A tal punto era arrivata la mia disperazione. Mia sorella restò in silenzio per un minuto e poi mi spiegò che non poteva farlo. Perché, se lei avesse pregato e poi quella ragazza e io ci fossimo messi insieme e la nostra vita insieme fosse diventata un inferno, lei si sarebbe sentita terribilmente in colpa. «Pregherò, invece, che tu possa incontrare una persona con cui essere felice», disse, e mi rivolse un sorriso che cercava di essere consolante. «Pregherò per te ogni giorno. Lo prometto». Capivo che avrebbe voluto abbracciarmi e mi dispiaceva che non le fosse consentito, o forse me lo stavo solo immaginando. Dieci anni dopo incontrai mia moglie, e stare con lei mi rese davvero felice. Chi ha detto che le preghiere non vengono esaudite?

(la Repubblica, 21 settembre 2014)


Al film dell'israeliano Korman il premio del festival di Almaty

E' andato al film israeliano "Next to her", del regista Asaf Korman, il gran premio del festival cinematografico Eurasia ad Almaty, in Kazakstan.
Il film racconta del rapporto tra due sorelle - l'una che si prende cura dell'altra, malata - e dell'impossibilità di costruire relazioni al di fuori di questo rapporto. Attrice a autrice della sceneggiatura è la moglie del regista, Liron Ben Slush.
"Liron, puoi immaginare che il film che tu hai scritto ha vinto il gran premio in questo festival? E' incredibile" dice Korma, che aggiunge: "Quando mi ha raccontato la storia ho capito subito che sarebbe stato l'oggetto del mio primo lungometraggio. Ci abbiamo lavorato in coppia, con molto amore".
Il festival ha riservato un omaggio a Costa-Gavras. Il regista greco-francese ha ricevuto, durante la cerimonia di chiusura, un riconoscimento alla sua lunga carriera
"La giuria internazionale - dice l'inviato di euronews Wolfgang Spindler - ha sottolineato la qualità dei film in concorso. Quattro premi sono andati a produzioni relizzate in Kazakstan, un riconoscimento importante per la cinematografia locale".

(euronews, 20 settembre 2014)


Israele in bici con la Trans Israel Road Cycling Challenge

Un'insolita idea di viaggio per scoprire Israele lanciata dall'Ufficio Nazionale Israeliano per il turismo: si tratta del Trans Israel Road Cycling Challenge, un viaggio su due ruote in programma dal 16 al 19 ottobre prossimi.
Un tour di quattro giorni alla scoperta del territorio, della topografica e della demografia del Paese, i confini, i paesaggi e la storia, completando un percorso impegnativo, ma mozzafiato, in lungo e in largo per Israele. Il viaggio attraversa tutta la destinazione, da nord ad est, da ovest a sud, affacciandosi ai confini di Libano, Siria, Giordania ed Egitto. Il percorso partirà da Rosh Hanikra, sulla costa mediterranea al nord del Paese, per arrivare fino a Eilat, sul Mar Rosso, proponendo differenti ed entusiasmanti esperienze.
Il percorso, tra l'altro, passa attraverso l'autostrada del nord circondata dal paesaggio della Galilea vicino ai pittoreschi villaggi di Safed e Rosh Pina e continua lungo il Lago di Galilea e la Valle del Giordano. Tra le tappe più suggestive previste, il Mar Morto, Masada e Arad. Il percorso copre complessivamente più di 600 km con salite fino a 1.000 metri.

(L'Agenzia di Viaggi, 19 settembre 2014)


Scambi e misteri. La Torah racconta

Il manoscritto riemerso dal buio. Atmosfere da mistery intorno alla pergamena più antica del mondo. Data in dono dagli ebrei e requisita da Napoleone. Domenica 28 settembre il rotolo lungo 36 metri verrà mostrato al pubblico.

di Cesare Sughi

BOLOGNA - «È una vicenda che mi ricorda i romanzi di umberto eco», commentava ieri la direttrice della biblioteca universitaria di bologna nel ripercorrere la provenienza e la vera storia del più antico rotolo ebraico completo della torah, qui conservato ed emerso dai depositi nel maggio scorso, grazie alle ricerche di mauro perani, docente di ebraico nell'ateneo bolognese.
Un mistery, se non un giallo. e come ogni mistery, vi è un antefatto da snodare, con in mezzo anche uno scambio molto inquietante. racconta ancora la direttrice: «Il grande rotolo in caratteri ebreo-babilonesi, lungo 36 metri per un'altezza media di 65 centimetri, giunse dalla Francia — Napoleone l'aveva requisito — alla nostra biblioteca, allora biblioteca pontificia con la restaurazione del 1815, dopo essere stato tenuto come una reliquia nel convento dei domenicani bolognesi, che l'avevano a loro volta avuto in dono dagli ebrei stessi all'inizio del '300».
E qui, seguendo a poco più di un anno dal ritrovamento la ricostruzione a ritroso della Antonino, si scopre che al ritorno da Parigi la Torah non possedeva più la scritta centrale relativa alla donazione, sicché i bibliotecari ottocenteschi non seppero più identificarla e rivolsero la loro attenzione a un altro rotolo, incompleto, fatto avere alla biblioteca nel 700 da papa Benedetto XIV, il cardinale bolognese Prospero Lambertini.
«Se nel 1889 — interviene il professor Perani — la catalogazione del fondo ebraico della biblioteca eseguita dall'ebreo di Cento Leonello Modona qualificava il nostro rotolo come un prodotto di bassa qualità, bisogna pur dire che la paleografia ebraica si afferma come scienza, con strumenti efficaci, solo verso il 1960».
  Dunque, l'intruso è stato scoperto e se ne sta triste e umiliato, posto in una piccola teca accanto a quella con i prescritti requisiti di umidità e di luce dove, nell'aula magna della biblioteca, spiccava ieri il rotolo vincitore, il legittimo principe, non quello che gli studiosi avevano voluto far passare per un pretendente al trono. Il carbonio 14, le analisi iinmuno-enzimatiche e la cura di Rita De Tata, che si occupa dei manoscritti e dei libri rari della biblioteca, hanno aggiunto dettagli: sulla pelle su cui è scritta la Torah — agnello — e sull'inchiostro, composto da particelle carboniose. Ma il mistery, ancora, è un genere che affascina per la capacità di ripetersi, di generare da sé altre oscurità. Perché gli ebrei avrebbero donato il testo sacro delle loro leggi a una comunità di frati cattolici? E quali erano, all'epoca della donazione, i rapporti all'interno dell'ebraismo? Quesiti tuttora irrisolti.
  L'attesa è adesso per domenica 28 settembre, quando Bologna sarà il centro del Collegio dei Gentili. Quel giorno, alle 10, proprio il cardinale Gianfranco Ravasi inaugurerà, nell'aula magna dell'università, in Santa Lucia, la prima esposizione al pubblico del manoscritto della Torah, datato fra 1100 e 1200. Fino alle 18 il pubblico potrà liberamente ammirarlo. Un tragitto di 8, 9 secoli. Niente per le parole definitive che Dio trasmise a Mosé sul Sinai.

(il Resto del Carlino, 20 settembre 2014)


Roma - Capodanno Ebraico: Ama allestisce info point nei cimiteri del Verano e del Flaminio

ROMA - Punti informativi e potenziamento della sicurezza nei pressi dei cimiteri. E' il piano predisposto da Ama, di concerto con Roma Capitale e la Comunità Ebraica, in occasione del prossimo Capodanno Ebraico (Rosh Ha-Shanah), che cadrà nella notte tra il 24 e il 25 settembre."In particolare - si legge in una nota - da sabato 20 settembre a martedì 7 ottobre, Ama - Cimiteri Capitolini allestirà 2 punti informativi in prossimità dei Reparti Israelitici del Verano e del Flaminio. Personale aziendale sarà a disposizione per assistenza, fornire informazioni generali (localizzazione delle tombe, ecc.) e ricevere eventuali segnalazioni da parte dei visitatori. Saranno in distribuzione i pieghevoli ''Mappa del Cimitero Verano'' e ''Mappa del Cimitero Flaminio'', contenenti le mappe topografiche dei cimiteri con i principali riferimenti utili per orientarsi; l'opuscolo ''Cimiteri Romani. Informazioni utili'', con notizie su orari, trasporti, accoglienza, sicurezza, modalità di sepoltura, ecc.; il pieghevole ''Onoranze Funebri'', con informazioni sui servizi per le esequie offerti dall'Agenzia di Onoranze Funebri di Ama"."Nello stesso periodo - prosegue la nota - una pattuglia di guardie giurate presidierà l'area dei 2 Reparti Israelitici per garantire, con il massimo della discrezione possibile, la sicurezza dei visitatori. L'attività di controllo sarà potenziata nelle giornate del 24, 25, 26 settembre e nelle domeniche del 21 e 28 settembre".

(Adnkronos, 19 settembre 2014)


Porta Pia. L'altra liberazione

di Raffaele Carcano

Centoquarantaquattro anni fa i bersaglieri conquistavano Roma, strappandola allo Stato Pontificio. Tanti uomini e donne pensarono che si apriva una nuova era. Non andò esattamente così. La ricostruzione del segretario dell'Uaar.

 
C'era una volta una monarchia in cui si poteva professare soltanto una fede e rinchiudeva gli ebrei in un ghetto. Nessun diritto umano: le libertà di pensiero, di espressione, di stampa, di voto erano negate. Il potere reprimeva il dissenso con violenza, ricorrendo all'esercito e alla pena di morte. Non c'era la scuola dell'obbligo: era considerata "un errore".
   Quello Stato era lo Stato Pontificio.
   Gli oltre mille anni di totalitarismo reale terminarono il 20 settembre 1870, quando i bersaglieri entrarono in Roma attraverso la breccia di Porta Pia. Fu l'apice del Risorgimento e una liberazione per chi vi viveva. Gli ebrei uscirono dal loro quartiere, i protestanti portarono a Roma le loro bibbie, gli atei cominciarono a definirsi tali. Tanti uomini e tante donne pensarono che si stava aprendo una nuova era.

Non è andata esattamente così. Certo, come accadde quasi ovunque, lo scontro tra il Vaticano e il nuovo Stato durò decenni. Le élite erano anticlericali (ma raramente atee) perché vedevano nella Chiesa un ostacolo alla modernizzazione degli Stati e all'emancipazione delle popolazioni. Si statalizzarono molte proprietà ecclesiastiche destinandole a usi pubblici. Il Venti Settembre era festa nazionale e aveva un impatto simbolico fortissimo: il primo film a essere stato proiettato in Italia (davanti a una folla enorme) si chiama La presa di Roma.
   So bene che immaginare come poteva essere quella società richiede un grande sforzo. Provate a pensare alla Francia bene, l'Italia, allora, era molto simile alla Francia. I cugini, nel 1905, approvarono la legge fondamentale sulla laicità. In Italia, nel 1913, i liberali di Giolitti stipularono invece un accordo con l'Unione elettorale cattolica, il Patto Gentiloni.
   E i due Paesi presero strade molto diverse. La Francia divenne un baluardo della democrazia, l'Italia finì nelle mani di Benito Mussolini. L'arciateo folgorato sulla via della conciliazione firmò i Patti Lateranensi: nacquero lo Stato della Città del Vaticano e - grazie alle somme corrisposte dallo Stato - lo Ior. Il matrimonio ecclesiastico ebbe valore di legge, l'ora di religione tornò nelle scuole, il Vaticano ottenne enormi privilegi fiscali. La festa del Venti Settembre, che ormai imbarazzava il regime elenco-fascista, fu abrogata.
   Venne la Liberazione, ma non per la laicità I parlamentari francesi la citarono nella Costituzione, quelli italiani vi inserirono il Concordato. Abbandonato dalle istituzioni politiche, dalla stampa, dalla Rai, il Venti Settembre finì nel dimenticatoio, tanto che noi dell'Uaar lo chiamiamo "la giornata degli smemorati".
   C'era una volta un Paese con una grande voglia di laicità. C'è ancora, e ancora più di prima. Ma non c'è più una classe dirigente capace di concretizzare le aspirazioni di un popolo, mentre i clericali ne approfittano per riscrivere la storia. Alle cerimonie ufficiali del Venti Settembre ho visto cose che anche voi laici non potreste immaginarvi. Nel 2008 un delegato del sindaco Alemanno, tale Torre, fece suonare l'inno pontificio ed elencò uno per uno gli zuavi pontifici morti durante la presa di Roma. Come se alla commemorazione dello sbarco in Normandia si suonasse l'inno nazista e si ricordassero i soldati della Wehrmacht. Nel 2010 fu concesso di parlare al numero due vaticano, il cardinal Bertone. Le autorità civili presenti (Napolitano, Gianni Letta, Polverini, Zingaretti, Alemanno) rinunciarono al loro discorso. Bertone glorificò il Concordato e Pio IX, l'ultimo papa-re fresco di beatificazione. Ero lì, ma la Digos - con lo stile dalla polizia religiosa saudita - non mi permise di ascoltare, e non lo permise a tutti i potenziali critici di un evento orwelliano.

E oggi? Fateci caso: nel centro delle vostre città vi sono ancora vie e piazze dedicate al Venti Settembre. Ci ricordano l'evento che unificò l'Italia e liberò un popolo. Il fascismo tradì quella liberazione, ma altrettanto hanno fatto i governi successivi. II Venti Settembre non è una data qualunque: è un simbolo di laicità, di un principio fondamentale della Repubblica Quel giorno l'Italia ebbe la sua capitale, e non può dimenticarlo solo perché, per averla, dovette fare guerra al Papa.

(left, 20 settembre 2014)


A commento riportiamo soltanto le parole di un evangelico italiano dell'Ottocento: Teodorico Pietrocola Rossetti. Quando ancora nel nuovo governo italiano si parlava di Roma come futura capitale del Regno, quindi prima ancora della disfatta dello Stato pontificio, in un libello dal titolo "La Religion di Stato", il poderoso evangelico italiano scriveva:
    «L'avvenire ci fa paura. Sentiam parlare d'una politica conciliatrice col papa: guai a noi se essa avrà il sopravvento! La storia c'insegna che molte fiate il papa fu spogliato del potere temporale, e con le male arti d'una politica subdola riconquistò tutto: - c'insegna altresí che assai volte venne a patti col principato, ma la spada e il pastorale non poterono restare uniti, e il prete soverchiò finalmente il principe. Or la bisogna andrà sempre cosí se si continua a parlar di conciliazione coll'irreconciliabile sacerdozio. - Si parla di Roma come capitale del Regno d'Italia e ne siam lieti, - ma quando si dice che in quella metropoli siederanno il papa e il Re col Parlamento, temiamo dell'avvenire, perciocché il pontefice ancorché fosse soltanto rivestito del potere spirituale incaglierà ogni atto del governo, e susciterà dissidii e rivoluzioni. Ciò non avverrebbe se vi fosse abolizione della Religione di Stato. Badate che il prete potrà permettere e darvi tutto, e poi negarvi tutto. La coscienza sua è elastica, e non ha bisogno della vostra assoluzione.»
«Sentiam parlare d'una politica conciliatrice col papa: guai a noi se essa avrà il sopravvento!, diceva profeticamente il Rossetti. E i guai, puntualmente, sono arrivati. M.C.


Il Maccabi debutta nel nuovo Haifa Stadium: nuovo gioiello del calcio israeliano

 
Il Sammy Ofer Stadium di Haifa
Lunedì scorso il Maccabi Haifa ha superato per 4-2 gli avversari del Bnei Sakhnin FC. Non è una vittoria che fa notizia, per uno dei club più titolati d'Israele. Quello che invece colpisce le prime pagine dei giornali locali e richiama l'attenzione internazionale, è che i biancoverdi hanno giocato per la prima volta nel loro nuovo stadio appena costruito, l'Haifa International Stadium, anche chiamato Sammy Ofer Stadium (in onore del suo principale investitore). Lo stadio è stato inaugurato proprio in questa partita e ha visto siglare il primo gol da un giocatore del Maccabi, Hen Ezra, giovane ala israeliana.
   Il nuovo stadio è stato considerato uno degli impianti più avveniristici costruiti nell'ultimo decennio, un periodo che ha visto il Paese dilaniato sempre più da guerre e divisioni. La struttura può ospitare oltre 30.000 spettatori e sarà anche la casa delle partite dell'Hapoel Haifa. Interessante è anche l'investimento che ha permesso la realizzazione dello stadio, un misto di finanziamenti privati e pubblici tra cui quello dell'imprenditore e filantropo Sammy Ofer, che ha donato 20 milioni di dollari (e in cambio ha ottenuto di dare il suo nome all'impianto). Il nuovo stadio di Haifa ha già ricevuto dall'Uefa il 4 Class, un riconoscimento d'elìte alla struttura, anche per merito di quanto è stato costruito attorno: una enorme zona parcheggio, una zona di intrattenimento e organizzazione di eventi. I lavori sono iniziati nel 2009 e finito nell'estate di quest'anno, poi lunedì scorso finalmente l'inaugurazione. Per la realizzazione dello stadio si è seguito il modello europeo, in particolare lo stadio francese di Le Havre, con cui condivide l'identico stile architettonico.
   Il presidente del Maccabi, a margine dell'inaugurazione, si è detto entusiasta: "Dopo anni di lavoro finalmente abbiamo una nuova casa". I tifosi amano già lo stadio, almeno secondo quanto fatto registrare dalla campagna abbonamenti (15.000 tessere vendute…un record!), sembra così essere dimenticato il vecchio e storico stadio, il Kiyat Elizier, in funzione dal 1955. Il nuovo stadio, moderno e tecnologico, non solo servirà a rilanciare le squadre della città ma contribuirà alla crescita il calcio israeliano in un periodo difficile. Un bellissimo fiore in un deserto che forse si sta trasformando in terreno fertile. Non resta che provare a coltivarlo allora.

(Mai Dire Calcio, 19 settembre 2014)


Aeroporto di Comiso, primi turisti da Israele

Riportiamo di nuovo un articolo comparso con lo stesso titolo due giorni fa, perché è stata apportata una modifica essenziale. Nel corpo dell'articolo era scritto: "Mercoledì mattina è atterrato un aereo con 167 turisti provenienti dalla Palestina..." Alla sede del giornale è arrivata da Tel Aviv una perentoria richiesta telefonica di correzione: i 167 turisti non provenivano dalla Palestina, ma da Israele. L'articolista ha acconsentito a fare la correzione, giustificandosi con argomenti generici che purtroppo confermano la confusione che molti giornalisti hanno su questo argomento. NsI

Importanti novità nell'aeroporto di Comiso. Mercoledì mattina è atterrato un aereo con 167 turisti provenienti da Israele
e non dalla "Palestina"
e diretti al Club Med. Si è trattato di un charter non previsto nei programmi precedenti. Per un volo proveniente dal vicino oriente, è stato imponente anche lo sforzo delle forze dell'ordine. Da sabato, invece, partiranno i voli charter della compagnia Arkia da Tel Aviv per Comiso. E' l'ultimo dei voli charter programmati per la "summer" dell'aeroporto di Comiso e anche stavolta si dovrebbe avere il tradizionale water cannon. La prossima settimana, poi, dovrebbero concludersi i voli settimanali con destinazione Tunisi. Infine, appena due giorni fa, da Comiso è decollato un altro volo di Stato. A bordo 53 passeggeri egiziani. Stavolta, però, non si è trattato di un volo umanitario per trasferire i migranti appena sbarcati in altre regioni. I 53 egiziani sono tornati in patria. A loro, il governo italiano non ha riconosciuto lo status di rifugiato politico e la possibilità di accedere all'asilo politico. Sono già tornati nel loro paese.

(Quotidiano di Ragusa, 18 settembre 2014)


Anche una Ong israeliana in soccorso dei rifugiati yazidi e cristiani

GERUSALEMME - L'organizzazione non governativa israeliana IsrAID, impegnata in missioni di soccorso umanitario in varie parti del mondo, ha iniziato a offrire il proprio sostegno ai profughi cristiani e yazidi che hanno trovato rifugio nella regione del Kurdistan iracheno dopo essere stati costretti a lasciare le proprie terre dai jihadisti dello Stato Islamico. Fonti dell'American Jewish Commitee (AJC) consultate dall'Agenzia Fides riferiscono che l'Ong israeliana ha già iniziato a distribuire tra i rifugiati kit sanitari, beni di prima necessità, vestiti e strumenti per cucinare. Come ha spiegato il direttore esecutivo di AJC, David Harris, la missione intende sostenere nella loro condizione d'emergenza i rifugiati "costretti a fuggire dalla brutalità dello Stato Islamico". IsrAID, che realizza progetti a favore di popolazioni colpite da emergenze umanitarie in varie aree del mondo - dalle Filippine al Sud Sudan, da Haiti alla Corea del Sud - dal giugno 2013 ha già messo in campo iniziative di assistenza alimentare tra i rifugiati siriani in Giordania, di cui hanno beneficiato circa 7mila persone.

(Agenzia Fides, 19 settembre 2014)


Gaza, soldi per la ricostruzione agli scafisti per raggiungere l'Europa

Ciascuna famiglia della Striscia di Gaza riceve circa tremila dollari per le prime necessità dopo la guerra. Molte li usano per pagare gli scafisti per un "viaggio della speranza".

di Raffaello Binelli

L'ultimo scontro tra Israele e Hamas ha avuto, come effetto collaterale, anche l'aumento dei viaggi della speranza verso l'Europa da parte di molti giovani della Striscia di Gaza, disposti a tutto pur di lasciare quella terra martoriata.
   Una parte dei soldi dati dall'Autorità nazionale palestinese per la ricostruzione (denaro elargito per iniziare a rimettere in sesto le abitazioni distrutte), infatti, viene impiegato dai capifamiglia per pagare gli scafisti. Le famiglie palestinesi pagano quel poco che hanno pur di far arrivare i loro figli più giovani (prevalentemente adolescenti) in Europa. Da Gaza si è venuto a creare un flusso incessante verso l'Egitto: alcuni attraverso i tunnel usati dai contrabbandieri, altri invece passano dalla dogana corrompendo i gli addetti alla sorveglianza al valico di Rafah. Dati ufficiali non esistono ma secondo alcune organizzazioni che operano nella Striscia di Gaza sarebbero almeno un centinaio le persone partite per l'Europa e di cui si sono perse le tracce. A questi bisogna aggiungere quelli che hanno intrapreso il viaggio ma di cui si sono perse le tracce: molti sono arrivati a destinazione ma non hanno fornito dettagli sul loro viaggio, altri invece sono rinchiusi in qualche posto isolato (appartamenti o capannoni) in attesa di essere imbarcati sul primo barcone disponibile per la traversata. Il luogo di partenza di molti barconi sarebbe il porto di Damietta, sul Mediterraneo (delta del Nilo), circa 200 km a nord del Cairo. Per arrivarci, una volta oltrepassato il valico di Rafah, ci vogliono circa quattro ore di auto.
   Due giovani sopravvissuti alla strage di profughi della scorsa settimana, compiuta da scafisti egiziani, ha ammesso di non provenire dalla Siria ma di essere fuggiti proprio da Gaza, dopo aver buttato i documenti. Insieme a loro, hanno raccontato, c'erano donne e bambini, in gran parte provenienti dalla Siria, ed anche molti palestinesi.
   Alcuni alti esponenti di Fatah, in Cisgiordania, puntano il dito contro Hamas, dicendo che il gruppo islamista palestinese sarebbe coinvolto nel traffico dell'immigrazione clandestina. Citati d Wafa, l'agenzia di stampa ufficiale dell'Anp, forniscono anche il costo della fuga: chiunque tenta di raggiungere l'Europa è costretto a pagare 3.500 dollari. Le cifre da sborsare sono difficilmente verificabili. Qualcuno parla di duemila dollari solo per scappare attraverso un tunnel, altri dicono che sono sufficienti 400 dollari, una somma sicuramente molto più abbordabile. A far crescere il prezzo finale ovviamente c'è il viaggio via mare, su imbarcazioni di fortuna. E in certi casi si devono fare più trasbordi, con vere e proprie staffette in mare organizzate da chi gestisce i traffici di esseri umani per cercare di sviare i controlli radar, tentando di far passare i barconi per normali pescherecci.
   Nelle operazioni sarebbero implicati anche alcuni trafficanti egiziani del Sinai. L'esodo dei palestinesi in fuga da Gaza sarebbe legato sia a ragioni di natura economica sia alle fortissime pressioni che coloro che non appartengono al gruppo islamista sono costretti a subire da Hamas.

(il Giornale, 19 settembre 2014)


"Alef, bet, ghimel": studiare l'ebraico per comprendere la Bibbia

 
Il Monastero di Montebello a Isola del Piano
ISOLA DEL PIANO (PU) - "Alef, bet, ghimel… Breve introduzione alla lingua ebraica" è il titolo del corso dedicato a coloro che desiderano avvicinarsi alla lingua ebraica per poter meglio comprendere il testo biblico, organizzato dalla Fondazione Girolomoni e tenuto da Piero Stefani, che si svolgerà il 4-5 ottobre prossimi nell'incantevole scenario del Monastero di Montebello a Isola del Piano.
Le lezioni del corso, aperto ed accessibile a tutti, si svolgeranno dal sabato mattina alla domenica dopo pranzo e vedranno appunto la docenza di Piero Stefani, noto biblista e studioso e docente di Ebraismo presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano, attuale presidente di Biblia, associazione laica di cultura ebraica. Stefani è inoltre Direttore Responsabile del Notiziario di Biblia dal 1989 e, dal 2010 al 2013, è stato Vice Presidente dell'Associazione e Coordinatore del Comitato Scientifico.
Questo corso rappresenta un ulteriore tassello di un impegno costante da parte della Fondazione, nata nel 1996 per volontà di Gino Girolomoni, volto a coordinare le tante attività culturali che nel corso degli anni hanno radicato, dato senso, favorito la ricerca in seno all'esperienza avviata da lui e dalla moglie Tullia Romani al Monastero di Montebello, nel comune di Isola del Piano (PU). Dopo l'iniziale denominazione di Fondazione Alce Nero, in accordo con il nome aziendale, oggi essa prende il titolo di Fondazione Girolomoni e, grazie alla volontà e competenza di molti, porta avanti quotidianamente molti impegni: la conservazione e l'archiviazione degli scritti, dei documenti e del patrimonio librario lasciati da Gino Girolomoni, la divulgazione del suo pensiero, la prosecuzione degli eventi culturali da lui avviati e la valorizzazione dei luoghi in cui la vita e il paesaggio agrario hanno ritrovato significato e potenzialità economiche nonché la pubblicazione di Mediterraneo Dossier, organo ufficiale della Fondazione.

Per info e iscrizioni:
Fondazione Girolomoni
0721.720334, fondazione@girolomoni.it
www.fondazionegirolomoni.com

(PU24.it, 19 settembre 2014)


"Hamas gestisce e lucra sul traffico di clandestini per l'italia''

Denuncia bomba dell'Autorità nazionale palestinese

GAZA - Il gruppo terrorista palestinese di Hamas e' coinvolto nel traffico dell'immigrazione clandestina. E' quanto riferiscono alti esponenti di Fatah in Cisgiordania, citati dall'agenzia di stampa ufficiale dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp) "Wafa".
Secondo l'Autorità Nazionale Palestinese, quindi, chiunque tenti di raggiungere l'Europa sarebbe costretto a pagare tremila e cinquecento dollari per lasciare Gaza attraverso il valico di Rafah, al confine con l'Egitto, e altri duemila dollari per lasciare Gaza attraverso un tunnel sotterraneo.
Nelle operazioni sarebbero implicati anche trafficanti egiziani del Sinai.
Secondo l'agenzia di stampa, l'esodo dei palestinesi in fuga da Gaza e' principalmente legato a ragioni di natura economica, ma soprattutto alle pressioni, intimidazioni e continue violenze che coloro che non appartengono al gruppo terrorista di Hamas sono costretti a subire dai miliziani di questa pericolosa organizzazione armata islamica.
"Il versante palestinese del valico di Rafah e' una mafia gestita da Hamas" ha sintetizzato "Wafa", accusando anche i vertici di Hamas di distribuire solo fra i suoi seguaci gli aiuti internazionali che giungono nella striscia di Gaza.
In meno di una settimana, 450 palestinesi in fuga dalla Striscia sono morti nelle acque di Malta e 15 in quelle di Alessandria.
Ora è finalmente svelato chi c'è dietro le ondate micidiali di extracomunitari che arrivano - grazie a mare Nostrum - in Italia: una delle più temibili organizzazioni terroristiche islamiche, Hamas.

(Il Nord Quotidiano, 19 settembre 2014)


Israele: S&P conferma rating A+ nonostante Gaza, outlook stabile

MILANO - Standard & Poor's conferma il rating A+ di Israele con outlook stabile nonostante i costi delle operazioni a Gaza. Lo riferisce l'agenzia di rating, che sottolinea come il recente conflitto a Gaza "possa condurre solo a un modesto indebolimento della 'traiettoria fiscale' del Paese e, sebbene Israele possa temporaneamente invertire il consolidamento delle sue finanze, ci aspettiamo che il debito pubblico del Paese rimanga ampiamente fiacco per i prossimi tre anni". L'outlook stabile riflette il convincimento che "il Governo manterrà stabili le finanze pubbliche e che l'impatto dei rischi per la sicurezza sull'economia sono limitati".

(Adnkronos, 19 settembre 2014)


Un'onda di rabbia

di Laura Rossi, operatore artistico-culturale

FERRARA - Sulla stampa europea:" Per gli ebrei sono i tempi peggiori dell'era del nazismo". "Esplosione in Europa dell'antisemitismo". Per le strade si sente urlare:" Gli ebrei dovrebbero essere gasati". " Gli ebrei dovrebbero essere bruciati" tutti slogan urlati durante le manifestazioni pro-palestina.
   La storia, stupidamente, sembra ripetersi….è ricominciata la caccia all'ebreo. Un'ondata di rabbia sta investendo una parte dell'opinione pubblica e ha finito per risvegliare l'antisemitismo, mai sopito.
   Orrende notizie giungono dai paesi civili come la Francia dove si assiste a devastazioni di negozi, sinagoghe incendiate, percosse agli ebrei ecc. Tutto questo, purtroppo, ricorda il periodo nazista…
   E in Italia? A Roma vanno a ruba le scritte, con tanto di svastiche, sui negozi degli ebrei:" Giudei, la vostra fine è vicina":" Ogni palestinese è un Camerata,stesso nemico stessa barricata" evocando una saldatura tra estremismo di destra e di sinistra.
   Questi "soliti idioti" antisemiti, usano il conflitto Gaza-Israele come "causa" per colpire tutti gli ebrei italiani.
   Fra questi, vi troviamo il caso delle farneticazioni del comunista di Rifondazione,ex consigliere di Teramo, che rimpiange i campi di sterminio e su fb, scrive:" Riaprite i campi di sterminio, subito!" Quasi a pentirsene poi, si è affrettato a rinnegare tutto. Quando l'ignoranza fa da padrona…Questo soggetto, non sa che nei campi di sterminio vi erano anche tanti comunisti di religione ebraica, tanti omosessuali e che moltissimi comunisti hanno combattuto contro il nazismo?
   A Torino, sempre questi elementi, hanno tentato di boicottare gli artisti israeliani, musicisti e cantanti, che dovevano esibirsi per un evento.
   A Crotone, Forza Nuova irrompe brutalmente in un edificio mentre si celebra la "Donna nella Cultura Ebraica".
   E a Ferrara? Qualcuno erroneamente pensa che ne sia rimasta immune? No, miei cari, vi è anche qua una, seppur piccola, componente di estremista filopalestinese che ci prova a " contrastare" ma essendo una forza piccola, fino ad ora, non ha arrecato grossi problemi. Organizzano le loro piccole manifestazioni, sbandierano palestinese, urlano che vogliono la pace…Se, poi, un giorno, dovessero cambiare atteggiamento, per esempio, e diventassero anche solo offensivi contro le famiglie ebraiche ferraresi, allora sicuramente verrebbero puniti duramente.
   Tra una settimana sarà il Capodanno ebraico e si legge: "Allarme attentati in Europa in prossimità delle feste ebraiche", tanto per cambiare… Da un'indagine il 70% degli ebrei non andrà in sinagoga durante le festività ed il 75% dei bambini sarà tenuto lontano dalle scuole ebraiche. Questi sono i risultati-choc che mette in luce gli effetti di un antisemitismo in crescita, con l'aggravante del "crescente numero" di attivisti estremisti che manifestano pubblicamente contro gli ebrei e contro Israele. Perchè questa nuova ondata di antisemitismo in Italia? La causa principale? Informazione o meglio la disinformazione, spesso deviante e di parte,di cui ho già scritto tempo fa, che continua a manipolare contro Israele, fomentando odio a iosa, vedi per esempio anche la trasmissione nell'ultima puntata delle iene che è andata a senso unico e molto faziosa: perchè non andare anche in Israele fra la popolazione per un confronto? Come dice un noto proverbio:" Ascoltare tutte e due le campane", per conoscere la verità.
   Qualcuno, ora, si sente soddisfatto di ciò che sta accadendo agli ebrei anche in Italia? Sarebbe veramente demenziale, sentirsi soddisfatti perchè nessuno, non solo gli ebrei,ma anche i cristiani non potranno sentirsi al sicuro dagli estremisti islamici se dovessero arrivare, e non avranno pietà per nessuno, nemmeno di una certa classe del politicamente corretto, del solidarismo e del multiculturalismo, nonostante gli abbiano spalancato le porte….

(estense.com, 19 settembre 2014)


Il pianto degli ultimi ebrei rimasti in Egitto. Ridotti in 60 anni da ottantamila a poche decine

Se nel 1948 vivevano 76 mila ebrei in Egitto, oggi secondo la Bbc ce ne sono appena 12. Secondo Haroun, presidente della Comunità, «presto non ce ne sarà più nessuno»

di Leone Grotti

Magda Haroun, presidentessa della Comunità ebraica egiziana
«Presto in Egitto potrebbe non esserci più neanche un ebreo». Non si illude Magda Haroun, presidentessa della Comunità ebraica egiziana, sulla sorte della sua religione in Egitto. Negli ultimi 100 anni la sua gente è diminuita in modo spaventoso, passando da circa 100 mila persone a poche decine, secondo le stime più ottimiste, divise tra Il Cairo e Alessandria.

«LE ULTIME DUE» - Magda è succeduta alla guida della comunità ebraica egiziana nell'aprile del 2013, alla morte di Carmen Weinstein. Pur avendo 61 anni, è la più giovane dopo la recente morte della sorella: «A mia sorella dicevo che probabilmente io e lei saremmo rimaste le ultime due donne ebraiche dell'Egitto e che l'ultima avrebbe dovuto chiudere la porta su questa lunga, ricca e variegata storia», dichiarava l'anno scorso al quotidiano egiziano

RAGIONI STORICHE - Se nel 1948 c'erano almeno 76 mila ebrei in Egitto, seconda la Storia degli ebrei del Nilo scritta da Jacques Hassoun, nel 1967 il numero della comunità è crollato ad appena duemila persone. Le ragioni sono storiche: dopo la nascita di Israele nel 1948 molti ebrei si trasferirono a Tel Aviv. Dopo le guerre del 1956 e 1967, invece, la maggior parte di loro fu cacciata dall'Egitto con l'accusa di spionaggio. Il rapporto tra Israele ed Egitto rimase complicato e la conversione all'islam di molti uomini, allo scopo di sposare donne musulmane, fece il resto.

SINAGOGA VUOTA - Magda sa che la sua comunità sparirà presto e ogni volta che entra nella sinagoga principale del Cairo, sempre vuota o quasi, se lo ricorda: «Stiamo morendo, siamo finiti. Il mio principale compito è quello di prendermi cura delle donne sole e malate», dichiara alla Bbc riferendosi alla casa di cura che ha fondato per prendersi cura delle ultime anziane donne ebree egiziane, che secondo l'emittente sono 12 in tutto. «Il mio secondo e più importante compito è di badare a tutto questo», continua Haroun indicando la sinagoga e i manoscritti antichi, «perché non muoia».

«LA NOSTRA EREDITÀ» - Haroun pensa spesso al futuro: «Un giorno non lontano non ci saranno più ebrei egiziani in questo paese, ma ci sarà l'eredità di ebrei egiziani buoni e cattivi, ricchi e poveri, osservanti e laici come tutti gli altri. E i loro cimiteri e le loro sinagoghe, come le loro memorie e le loro foto, saranno ancora qui».

(Tempi, 19 settembre 2014)


I tutori della pace in fuga davanti alla guerra

Il collasso dei caschi blu sul Golan dimostra che una forza Onu in Cisgiordania non funzionerebbe, e non garantirebbe la pace.

Dopo quarant'anni, le truppe Onu incaricate di salvaguardare la separazione delle forze israeliane e siriane sulle alture del Golan hanno abbandonato le loro postazioni: sono fuggite in Israele, per mettersi al sicuro. Questo il resoconto del sito The Tower: «La forza degli osservatori delle Nazioni Unite (UNDOF), istituita nel 1974 per "mantenere il cessate il fuoco tra Israele e Siria" e "vigilare le zone di separazione e di limitazione (delle forze), come previsto dall'accordo di separazione delle forze del maggio 1974", ha ritirato i caschi blu tutori della pace dal territorio siriano perché "la situazione negli ultimi giorni è gravemente peggiorata"»....

(israele.net, 19 settembre 2014)


Lo shabbat di Porta Pia

di Gadi Polacco

 
Oggi, 24 Elul, ma di 144 anni or sono, le truppe italiane facevano breccia a Porta Pia liberando Roma che a breve sarebbe divenuta ufficialmente Capitale d'Italia.
   È naturale come il 20 settembre sia una data cardine anche per l'ebraismo italiano che ebbe quale protagonista di quella memorabile giornata, forse per aggirare la minacciata scomunica papalina, il colonnello ebreo Giacomo Segre (z.l.) al quale venne demandato di ordinare l'apertura del fuoco contro le mura dello Stato pontificio. Calandosi in quel momento storico una grande e doppia soddisfazione, tenuto conto che alla presa di Roma conseguì di fatto anche la fine del ghetto della città.
   Non è nostalgismo celebrare quella che è divenuta la data simbolo italiana del principio di laicità che permeò, nelle sue varie correnti, il Risorgimento italiano. Ma vi è ancora molto da fare per affermare, anche in questo paese, una vera laicità che non è "antireligiosità", come qualcuno strumentalmente asserisce, ma al contrario garanzia della libertà di tutti verso tutti, vari credenti e non credenti compresi, uniti nel comune rispetto delle leggi civili.
   Pure il mondo ebraico italiano, a parere di chi scrive, dovrebbe quindi adoperarsi maggiormente e con più coraggio per affermare i valori laici, ma la cronaca internazionale di questi giorni, con l'evidenza del fanatismo integralista decapitatore e di quello ancor più subdolo che si maschera e si cela anche nelle democrazie occidentali, dovrebbe indurre ulteriormente a rafforzare il principio di laicità quale idoneo ad affrontare nel reciproco rispetto i problemi della convivenza tra cittadini diversi, costituendo così l'argine al dilagare dei fondamentalismi che ci minacciano.
Contando, per tornare alla cronaca del 5630/1870, che le operazioni militari e diplomatiche si conclusero nella tarda serata, di buon grado pertanto Shabbat Porta Pia.
Shalom a tutti.

(moked, 19 settembre 2014)


Il Consiglio dei Ministri ratifica tre accordi nel settore aereo

Il Consiglio dei Ministri, su proposta dei ministri degli Esteri, Federica Mogherini, e delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, ha approvato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione di tre accordi nel settore del trasporto aereo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri da un lato e Israele, la Repubblica moldova, nonché gli Stati Uniti d'America, Islanda e Norvegia dall'altro. • Unione europea e i suoi Stati membri con Israele L'Accordo prevede la graduale apertura dei servizi aerei da ogni città dell'Unione Europea verso ogni città nello Stato di Israele e viceversa, la libertà tariffaria, la cooperazione fra le Autorità nel settore della sicurezza aerea in termini di security e di safety e della gestione del traffico aereo, al fine di includere Israele nel "cielo unico europeo", la cooperazione in materia ambientale, le misure a protezione del consumatore e l'istituzione di un "Comitato misto" con funzioni consultive, interpretative e applicative dell'Accordo. • Unione europea e i suoi Stati membri con la Repubblica moldova L'Accordo prevede la libertà di operare servizi aerei da ogni città dell'Unione Europea verso ogni città moldava e viceversa, la libertà tariffaria, accordi di collaborazione tra le compagnie, inclusi gli accordi di code-sharing e di noleggio con equipaggi (wet-leasing), la cooperazione fra le autorità nel settore della sicurezza aerea in termini di security e safety, forte cooperazione in materia ambientale, misure a protezione del consumatore e un Comitato congiunto con funzioni consultive, interpretative ed applicative dell'Accordo. • Unione europea e i suoi Stati membri da un lato e Stati Uniti d'America dall'altro, Islanda dall'altro, e Norvegia dall'altro Con questo Accordo si estende a Islanda e Norvegia l'applicazione delle disposizioni contenute nel Protocollo di modifica dell'Accordo sui trasporti aerei tra la Comunità europea e ed i suoi Stati membri, da un lato, e gli USA dall'altro. L'accordo contiene numerosi incentivi volti a promuovere le riforme necessarie per una maggiore apertura del mercato e aumenta ulteriormente i vantaggi per i consumatori, le compagnie aeree, i lavoratori e le comunità all'interno dell'Unione.

(il Velino, 19 settembre 2014)


Israele - Si colora di italiano la traversata del Lago Galilea

Per l'occasione l'amabasciata italiana lancia l'inziativa per 'Tzad Kadima'

Quest'anno la tradizionale traversata a nuoto del Lago di Galilea - in programma il 20 settembre - si colora di italiano. Per quell'occasione, l'ambasciatore in Israele Francesco Maria Talo' ha infatti lanciato un'iniziativa benefica a favore di 'Tzad Kadima' (in ebraico, 'un passo in avanti'), Associazione, sostenuta da Alessandro Viterbi, che organizza e aiuta il percorso formativo dei bambini sofferenti di lesione cerebrale in Israele, a prescindere dalla religione, dal credo o dall'appartenenza etnica. Ciascun membro della squadra italiana che aderira' alla nuotata potra' effettuare una donazione all'Associazione. Dopo la traversata, i partecipanti italiani si riuniranno presso i ragazzi della Comunita' 'Mondo X', sul Monte Tabor. La traversata del Lago ha due percorsi di differente lunghezza -uno piu' breve (1.5 chilometri) e l'altro piu' lungo (3.5 chilomeri) - ed e' il piu' importante evento natatorio del genere in Israele. Si svolge da 61 anni ed e' oramai un appuntamento fisso al quale prendono parte numerosi partecipanti.

(ANSAmed, 18 settembre 2014)


Gaza - Ashrawi (Olp) condanna le esecuzioni da parte di Hamas

Sono illegali, violazione del diritto alla vita.

RAMALLAH, 18 set - L'esponente dell'Olp Hanan Ashrawi ha condannato le recenti esecuzioni extragiudiziarie di presunti ''collaboratori'' da parte di Hamas a Gaza. "La ratifica delle pene di morte - ha ricordato - è un'esclusiva prerogativa del presidente dell'Autorità nazionale palestinese'' e senza questa la pena capitale ''e' illegale''. Ashrawi si e' comunque detta contraria alla pratica che ''e' una chiara violazione del diritto alla vita e una forma di tortura che e' crudele e inumano trattamento''.

(ANSA, 18 settembre 2014)


Startup potentina a Tel Aviv. «Il futuro è all'estero»

Giuseppe Morlino, un informatico lucano di 34 anni che ha studiato e vive a Roma, ha portato la sua società, Snapback al Dld Tel Aviv Innovation Festival.

di Angelo Rossano

 
Giuseppe Morlino
Dalla Potenza Valley alla Silicon Bay. E' il viaggio di Giuseppe Morlino, un informatico lucano di 34 anni che ha studiato e vive a Roma. Se ha ragione lui, in un futuro assai prossimo non toccheremo più i nostri Smartphone. Basterà un soffio, o uno schiocco di dita, o uno sfioramento per interagire e far funzionare questi gioiellini della tecnologia che portiamo nelle nostre tasche. «Le applicazioni sono innumerevoli» spiega Giuseppe, che ha portato Snapback (questo è il nome della sua società) al Dld Tel Aviv Innovation Festival. Giuseppe Morlino ha vinto la partecipazione al Tel Aviv Bootcamp, uno dei più importanti appuntamenti internazionali di settore in programma dal 14 al 19 settembre qui a Tel Aviv. In questi giorni le startup vincitrici si presentano a investitori e a grandi player del settore. Snapback è costituita da un team di giovanissimi, sei soci e tre collaboratori. Giuseppe è in Israele «non per cercare soldi. O almeno, non solo per quello», dice pochi istanti prima di presentare la sua startup a una platea di rappresentanti di fondi venture capital.
Il futuro di Snapback? «Il futuro di Snapback sarà all'estero. Stiamo cercando una sede internazionale per sviluppare il nostro progetto e valutiamo l'ipotesi di andare in California, ma siamo pensando anche a New York e Singapore. Certo, non andremo nella Silicon Valley, lì i costi sono troppo alti. Al massimo potrebbe essere Silicon Bay, un po' più a sud».

- Cosa speri di ottenere da questa opportunità che ti offre Tel Aviv?
  «Non penso ai finanziamenti che pure ci servirebbero molto, ma in questo momento mi interessano particolarmente le connessioni che posso creare intorno al mio progetto».

- Ma senza soldi come si fa?
  «Il mio è un progetto finanziato da soci. Certo che ci interessa incontrare finanziatori, ma soprattutto ci interessa che la comunità internazionale degli sviluppatori lavori con la cassetta degli attrezzi che gli forniamo noi con Snapback così da moltiplicare il numero delle applicazioni. Ora ci troviamo a Tel Aviv, pensa solo quante applicazioni possibili potrebbe avere Snapback per il sabato in Israele. In questo paese il sabato ci sono ascensori si fermano ad ogni piano per non costringere il passeggero a schiacciare il pulsante».

- Insomma, l'obiettivo è trasformare la tua visione da software a hardware.
  «Così è accaduto per le schede grafiche. All'inizio la grafica era software, ma poi la richiesta è stata tale da trasformare tutto in hardware con le schede grafiche».

- Dal touch al touchless. Sarai l'uomo che sarà ricordato per averci tolto dalle mani lo smartphone?
  «Non so, ma mi piacerebbe sviluppare anche altri progetti dopo Snapback».

- Snapback è una startup in fase di sviluppo e di lancio. Come ti sostieni?
  «Con i soldi che avevo messo da parte. Io e i soci abbiamo investito soldi nostri in questo progetto. Per questo cerchiamo investitori».

- Porti la fede, sei sposato. Tua moglie che ne pensa?
  «Mi sostiene. Per dare impulso alla mia attività mi ha anche proposto il viaggio di nozze a Singapore».

(il Quotidiano, 18 settembre 2014)


"Eva Braun era ebrea": il suo Dna da un capello

Lo rivela un documentario che sarà in onda mercoledì prossimo su Channel 4. Eva Braun fu la compagna di Hitler per diversi anni: si sposarono il giorno prima di togliersi la vita.

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Eva Braun forse aveva degli antenati ebrei. A sollevare tale ipotesi sulla moglie di Adolf Hitler è un'inchiesta del programma «Dead Famous Dna» (Il Dna dei morti famosi) che il canale tv britannico Channel 4 manderà in onda mercoledì.
   La possibilità di un'origine ebraica della donna che Hitler volle sposare prima del suicidio di entrambi nel bunker di Berlino, il 30 aprile 1945, nasce dal ritrovamento di una spazzola per capelli nel suo appartamento privato in Bavaria dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. A prelevare la spazzola, assieme a uno specchio, fu il capitano dell'intelligence militare Usa Paul Baer, che poi portò questi oggetti negli Stati Uniti, conservandoli in casa propria dentro uno scatolone. Quando negli Anni 70 Baer morì fu il figlio, Alan, a interessarsi a quanto vi era contenuto scoprendo la presenza di oggetti cerimoniali nazisti, di un teschio umano e di una scatola con sopra impresse le lette dorate «E.B.». Dentro, racconta ora Alan Baer, si trovavano spazzola e specchio che affidò a un rivenditore di oggetti antichi, John Reznikoff, che per motivi ancora da chiarire le ha conservate per quasi 40 anni prima di venderli a Mark Evans, conduttore del programma tv, per l'equivalente di circa 1500 euro.
   Evans afferma di aver fatto esaminare la spazzola, trovandovi un capello attribuito ad Eva Braun ed è l'esame proprio su questo capello che ha portato a riscontrare la presenza del cromosoma N1b1, in genere associato con l'origine ebraica ashkenazita, di provenienza dell'Europa Centrale oppure Orientale. Le statistiche sul dna affermano che l'80% della popolazione ebraica ha tale cromosoma. Nel tentativo di fugare ogni dubbio sull'origine ebraica della donna che amò Hitler, Evans ha chiesto dei campioni di dna alle due uniche discendenti viventi di Eva Braun ma queste hanno rifiutato i prelievi. La prova definitiva sull'origine ebraica di Eva Braun dunque non c'è ma Channel 4 afferma di esserne sicuro, arrivando a sostenere che gli antenati ebrei della moglie di Hitler si sarebbero convertiti al cattolicesimo nell'Ottocento.

(La Stampa, 18 settembre 2014)


Visto che “arintuzzano”, riproponiamo il commento romanesco di qualche mese fa:


Nasce il Comitato Italia-Israele Alto Adige Südtirol

"Nelle ultime settimane abbiamo individuato sui social network diversi soggetti dediti alla propaganda del neo-costituito "Stato/Califfato islamico" (anche chiamato Isis), nonché sostenitori del terrorismo islamico internazionale ed antisemiti, si tratta principalmente di cittadini stranieri di religione islamica residenti in Alto Adige e apparentemente ben integrati, che invece si impegnano ad alimentare la tensione ed a diffondere l'odio." È questa la denuncia lanciata da Alessandro Bertoldi, Alessandro Matera, Markus Cuel, Shira Pnini Cuel, Loris Facinelli a nome del Comitato Italia-Israele Alto Adige Südtirol.
   "Abbiamo segnalato - continua la nota - alla Digos (Polizia di Stato) le espressioni di odio e i soggetti individuati che hanno elogiato le azioni dell'Isis, o che hanno auspicato la morte di migliaia di persone in nome dell'islam, piuttosto che soggetti che hanno vilipeso e attaccato Israele ed inneggiato alla shoah. Si tratta di affermazioni intollerabili, oggi più pericolose che mai. L'escalation di violenze in medio oriente di questi giorni, come l'arruolamento in occidente di "combattenti islamisti" al servizio delle più spregevoli forze dell'odio e della violenza che si manifestano sul nostro pianeta, non lasciano la nostra Provincia autonoma al di fuori della minaccia globale degli estremismi, come dei potenziali pericoli che già abbiamo "in casa". Anzi, dietro la tranquillità e il decentramento della nostra provincia di confine, potrebbero celarsi vere e proprie organizzazioni del terrore pronte ad entrare in azione al momento più a loro congeniale."
   Al centro delle loro attenzioni il pericolo e la preoccupazione di imminenti attentati in Europa anche in occasione delle prossime festività ebraiche. Il rischio, ricordano, è stato ribadito sia dallo Stato d'Israele che dal Ministero degli Interni italiano.
   "La minaccia del fondamentalismo islamico e i focolai terroristici non sono distanti dalla nostra realtà e per questo chiediamo ad ogni altoatesino/südtirol che abbia a cuore la pace, la sicurezza, la democrazia, la libertà, le nostre radici e il futuro dei nostri territori e dei nostri popoli, di non sottovalutare qualsiasi cenno di razzismo, antisemitismo, odio etnico-religioso e di accondiscendenza rispetto alla dottrina e alla propaganda delle organizzazioni terroristiche internazionali (come Isis, Hamas, AlQaeda etc.), ma di intervenire in prima persona segnalando alle Forze dell'Ordine e cercando di documentare tali episodi, sia che si tratti di episodi della vita reale, sia che si tratti del mondo virtuale."
   Il loro è un appello alle istituzioni che non si lascino ingannare da chi vuole apparire moderato o pacifista ed in realtà utilizza queste maschere per agire indisturbato
   "Non si è mai - in conclusione - immuni da nulla e la prudenza non è mai troppa, auspichiamo un impegno della società civile per monitorare la situazione, noi continueremo con determinazione nel nostro impegno.
   La speranza è che il nostro appello abbia seguito, anche in virtù della storica amicizia tra Italia ed Israele di cui vogliamo essere "portatori sani". L'informazione in questo caso ha un compito ancora più importante. Da 24 ore ha ripreso il lancio di missili da Gaza contro le città israeliane e lo Stato islamico ha occupato importanti pozzi di petrolio da cui trarrà profitti milionari quotidianamente, infine la persecuzione dei cristiani in Siria prosegue e molti ostaggi occidentali sono ancora nelle mani dell'Isis. Queste notizie, non possono e non devono passare in secondo piano.

(Secolo Trentino, 18 settembre 2014)


J-Ciak - Com'è verde il principe di Hamas

di Daniela Gross

Lo chiamavano "il Principe verde". E di fatto Mosab Hassan Yousef, fin da bambino si preparava a raccogliere l'eredità terroristica del padre Sheikh, fondatore e leader di Hamas nel West Bank. Ma a 17 anni svolta e diventa per un decennio uno dei più preziosi collaboratori dello Shin Bet, il servizio segreto israeliano. A raccontare la sua storia, in una lunga avvincente e a tratti dolorosa intervista agli stessi protagonisti, è "The Green Prince" di Nadav Schirman, documentario tratto dall'autobiografia dello stesso Mosab ("Figlio di Hamas", edito in Italia da Gremese), vincitore a gennaio del Sundance Audience Award che domani sbarca nelle sale statunitense.
   C'è un nucleo oscuro, nel mondo di spie e terroristi, che i film di 007 nemmeno sfiorano e riguarda le loro relazioni umane. Come vivono le loro mogli? Come si sentono i figli? O, tornando a Mosab, qual è il rapporto con il padre e con gli agenti reclutatori? È questo il nodo che da tempo appassiona il regista israeliano. Al punto da dedicarvi, a partire dal 2007, una trilogia partita con "The Champagne Spy", storia dell'israeliano Ze'ev Gur Arie che con il nome di Wolfgang Lotz lavora come spia nell'Egitto di Nasser, dove conduce una vita sontuosa con tanto di moglie. Salvo tornare periodicamente a Parigi dove ritrova la moglie e il figlio (fonte di Schirman per il film). A seguire, "In the Darkroom", che ha come protagonista Magdalena Kopp, moglie di Carlos, uno dei terroristi più famosi del mondo, e madre di sua figlia.
   In "The Green Prince" (95', Germania-Israele-Gran Bretagna) il regista israeliano continua su questa traccia per esplorare l'animo di Mosab che, in carcere, sceglie di collaborare con Israele. Il ragazzo sa che è la "cosa più vergognosa che si può fare nel mio paese". È spaventato ("ero un bersaglio, potevo essere ucciso ogni giorno"), spesso confuso ("nessuno sa cosa stai facendo e inizi a perdere il senso della realtà"). Ma compie la sua scelta di campo disgustato dalla brutalità e dalla violenza usata da Hamas nelle carceri come a Gaza o nel West Bank. "I sostenitori di Hamas - dice - non si curano della vita dei palestinesi, degli israeliani o degli americani ma solo di se stessi e della loro ideologia".
   Con ancora maggiore evidenza nel documentario, che all'intervista in presa diretta girata in nove giorni alterna spezzoni d'epoca, emerge il rapporto tra Mosab e Gonen Ben Itzhaq, l'agente reclutatore dello Shin Bet. "Tra Mosab e Gonen - spiega il regista - si crea un profondo rapporto di fiducia e amicizia. E che ciò possa accadere fra due uomini che erano il peggiore nemico uno dell'altro e i cui stessi padri erano stati nemici (il padre di Gonen era stato uno dei personaggi chiavi nella lotta ad Hamas ndr) mi ha comunicato un profondo senso di speranza".
   Ci si può forse chiedere quanto sia autentica quest'amicizia ma Gonen lo spiega con un sorriso: "il primo giorno che ho gestito Mosab ha segnato la fine della mia carriera". Quando Mosab, ormai uscito allo scoperto ed emigrato negli Stati Uniti, rischia di essere espulso perché sospettato di terrorismo Gonen non esiterà a bruciare la sua stessa copertura testimoniando pubblicamente quale ruolo importante il "principe verde" abbia avuto per dieci anni nella lotta ad Hamas.
   "The Green Prince" si avvia ora a divenire un film. La trama, come si vede, è degna di un thriller e capace di inchiodare il pubblico. Speriamo che a salutarne l'uscita siano tempi migliori.

(moked, 18 settembre 2014)


E' con un certo timore che apprendiamo questa notizia. La storia di Mosab Hassan Yousef è nota ormai da anni. "Notizie su Israele" ha cominciato a riportarne la notizia già dal 2008, quando ancora non si sapeva che Mosab aveva collaborato con lo Shin Bet. La cosa allora non fece grande sensazione perché la novità era diversa da quella che viene sottolineata in questo articolo: la novità, indubbiamente straordinaria, era che un musulmano, figlio di un musulmano fondatore di Hamas, si era convertito al cristianesimo. Questo però non attirò l'attenzione né degli ebrei né degli amici di Israele. In un secondo momento venne fuori che Mosab aveva anche collaborato con i servizi segreti israeliani, e questo naturalmente era un fatto esplosivo, che come tale avrebbe dovuto essere "sfruttato" in modo massiccio come contropropaganda alla propaganda menzognera pro-palestinese. Ma questo non è avvenuto. Se ne è data la notizia, certo, ma in modo molto oggettivo, asettico, senza quell'enfasi che un fatto eccezionale di questo tipo avrebbe certamente meritato. In una conferenza ripresa in un video che probabilmente è ancora in rete, Mosab disse una volta queste parole: "Io amo Israele, Israele è il mio paese", e qui in Italia nessuno riprese questa notizia, nemmeno i documentatissimi siti che ogni giorno sostengono Israele. Riportando la notizia aggiunsi come commento: "Il figlio di uno dei capi di Hamas dice che ama Israele e nessuno ne parla?" Come mai? Una possibile spiegazione esiste, ed è questa: in quella stessa conferenza Mosab espresse in modo chiaro e forte non soltanto il suo netto rifiuto dell'islam in cui era cresciuto, ma anche la sua fede certa in Gesù Cristo, suo Salvatore. E' questo che probabilmente ha fatto diminuire in molti l'interesse per la notizia. Avversione alla verità? Nascondimento della stessa quando non risulta gestibile per i propri interessi, anche legittimi? La notizia di questo film, che adesso attira l'interesse anche di un sito come Pagine Ebraiche, mette una certa apprensione. Nel resoconto che ne fa il sito ebraico il fatto che adesso Mosab crede in Gesù non viene mai menzionato. Come se ne parlerà nel film? L'esperienza di film come "The Passion" di Mel Gibson fa temere il peggio. Saranno gli effetti più morbosamente attraenti ed eccitanti ad essere scelti per essere messi in pasto allo spettatore? C'è da temere che sia così: oggi interessa l'intrattenimento, non la verità. E di questo fatto è anche Israele a farne le spese. M.C.
Notizie su Israele 486


"Viva Merkel, ma non c'è futuro per gli ebrei tedeschi"

Lo scrittore Broder: la storia cambia, ma la valanga inizia da una palla di neve.

di Giulio Meotti

ROMA - Impressionante vedere la cancelliera Angela Merkel denunciare l'antisemitismo sotto la porta di Brandeburgo e scandire slogan come "Nie wieder Judenhass". Secondo Jochen Bittner della Zeit, che ieri ha scritto un articolo sul New York Times, un odio nuovo imperversa in Germania. Non proviene più dalla galassia neonazi, ma dal fondamentalismo islamico. "La verità che molti non vogliono affrontare è che il sentimento antiebraico origina in europei di tradizione musulmana", scrive Bittner.
   Henryk Broder, editorialista dello Spiegel e della Welt, corsivista fra i più noti del giornalismo berlinese, ebreo figlio di dissidenti fuggiti alle persecuzioni della Polonia comunista, lo va dicendo da anni. "Merkel è davvero scioccata da quanto sta avvenendo, è una brava persona e ha avuto tanto coraggio politico a presentarsi alla manifestazione", dice Broder al Foglio. "Ma il problema è più profondo, è la sindrome della negazione che attanaglia la Germania. E' vero che è un antisemitismo importato, come scrive Bittner sul New York Times, ma anche che ha una base tedesca. La colpa è della sinistra multiculturalista. Adesso tutti si dicono scandalizzati dell'antisemitismo, ma è come quella ragazza che scopre di essere incinta da otto mesi. Era stata così prudente. I politici tedeschi si rifiutano di denunciare il fondamentalismo islamico, adesso la moda, vedi Cameron e Obama, è dire che l'Isis, lo Stato islamico, non è 'vero islam'".
   Nei giorni precedenti la manifestazione di Berlino contro l'antisemitismo, per giorni "pattuglie della sharia" hanno imperversato in una città della Renania, Wuppertal. "Siamo riusciti ad allontanare le care e cari sorelle e fratelli dall'alcol, da abiti peccaminosi e immorali, dall'inferno infedele di discoteche, locali notturni, case da gioco", hanno detto alla Süddeutsche Zeitung.
   Broder, autore del best seller "Vergesst Auschwitz!", accusa l'establishment ebraico berlinese. "Speravano che gli attacchi fossero diretti soltanto contro obiettivi israeliani, che gli ebrei tedeschi fossero immuni. Il vice presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei, Josef Schuster, ha recentemente dichiarato che bisogna 'distinguere tra ebraismo e lo stato di Israele'. Pensavano che il pericolo potesse venire soltanto dallo stato, mai dalla società. Che cosa? Dove? Come? Qui da noi? Alle nostre porte? E' terribile! Come può accadere? Mi ricordano Robert Weltsch, caporedattore della Jüdische Rundschau, che in risposta al boicottaggio delle imprese ebraiche del 1933 disse: 'Indossate con orgoglio la macchia gialla!'".
   E' qualcosa di profondo, dice Broder. "Così possono continuare a coltivare la buona coscienza della Germania per superare il senso di colpa della Shoah. Sono così fieri degli israeliani che fuggono da Benjamin Netanyahu e vanno a vivere a Berlino. La catastrofe dell'Olocausto ha reso i tedeschi ciechi all'antisemitismo interno e aggressivi nei confronti dello stato di Israele. Intanto, si costruiscono memoriali. Non ne hanno mai abbastanza".

- "Solo case di cura e cimiteri ebraici"
  L'analisi di Broder è a dir poco pessimista: "Non c'è futuro in Europa per gli ebrei. Ogni valanga inizia come una palla di neve. In venti, trent'anni ci sarà il Consiglio centrale degli ebrei in Germania e in Francia il Conseil Représentatif des Istitutions Juives de France, le strutture ufficiali saranno intatte, ma senza gli ebrei. Solo case di cura per anziani ebrei e cimiteri ebraici". La storia non si ripete, ma progredisce. "Non ci sarà la Notte dei Cristalli, né le leggi di Norimberga o le panchine separate per ariani ed ebrei. Forse sarà possibile seguire la raccomandazione di Charlotte Knobloch, rinunciare a indossare la Stella di David in pubblico. Forse qualche genio ebraico inventerà un mantello dell'invisibilità, anche a beneficio dei yazidi in Iraq, dei Bahà'í in Iran e dei cristiani in Nigeria. Ma gli ebrei lo vogliono? Vogliono mandare i loro figli nelle scuole che hanno bisogno di essere protette?".
   Dove andare allora? "Ad Ashkelon, Sderot e Beer Sheva ci sono camere libere", conclude Henryk Broder con il suo famoso sarcasmo.

(Il Foglio, 18 settembre 2014)


Aeroporto di Comiso, primi turisti da Israele

Importanti novità nell'aeroporto di Comiso. Mercoledì mattina è atterrato un aereo con 167 turisti provenienti dalla Palestina e diretti al Club Med. Si è trattato di un charter non previsto nei programmi precedenti. Per un volo proveniente dal vicino oriente, è stato imponente anche lo sforzo delle forze dell'ordine. Da sabato, invece, partiranno i voli charter della compagnia Arkia da Tel Aviv per Comiso. E' l'ultimo dei voli charter programmati per la "summer" dell'aeroporto di Comiso e anche stavolta si dovrebbe avere il tradizionale water cannon. La prossima settimana, poi, dovrebbero concludersi i voli settimanali con destinazione Tunisi. Infine, appena due giorni fa, da Comiso è decollato un altro volo di Stato. A bordo 53 passeggeri egiziani. Stavolta, però, non si è trattato di un volo umanitario per trasferire i migranti appena sbarcati in altre regioni. I 53 egiziani sono tornati in patria. A loro, il governo italiano non ha riconosciuto lo status di rifugiato politico e la possibilità di accedere all'asilo politico. Sono già tornati nel loro paese.

(Quotidiano di Ragusa, 18 settembre 2014)


Seminario ad Asti organizzato dalla Comunità Ebraica di Torino

 
Aula piena di insegnanti ad Asti durante il seminario. Oltre ottanta iscritti, tutti i posti disponibili prenotati da insegnanti giunti appositamente da moltissime regioni d'Italia.

Oggi si è svolto ad Asti l’annunciato seminario per docenti organizzato dalla Comunità Ebraica di Torino insieme con l'associazione RectoVerso di Claudia Bourdin, in collaborazione col Mémorial de la Shoah, l'istituto per la storia della resistenza di Asti, promosso dalla Fondazione CR Asti in collaborazione col polo universitario di Asti.
Il professor Georges Bensoussan ha tenuto una conferenza dal titolo "La distruzione degli ebrei d'Europa sotto il nazismo. Le tappe della "soluzione finale".
Dopo di che ha preso la parola il prof. Pascal Zacary, docente di storia e geografia e formatore, autore di libri di testo scolastici per le scuole superiori, tenendo una conferenza dal titoolo "L'eredità di Auschwitz. La Shoah, tragedia storica e usi politici.".
Il pubblico, formato soprattutto da docenti, ha seguito con grande attenzione.
Secondo il calendario, domani, 18 giugno, il professor Bensoussan terrà una conferenza a Torino sul tema "Antisemitismo oggi: nuovi volti e nuove maschere di un sentimento antico".

(Notizie su Israele, 17 settembre 2014)


Preghiere e messaggi lasciati da pellegrini rimossi dal Muro del Pianto

Migliaia di foglietti contenenti preghiere e messaggi di speranza sono stati rimossi dalle pietre del Muro del Pianto a Gerusalemme. L'operazione di rimozione dei messaggi tra le fessure del muro viene effettuata due volte l'anno: prima della festa di Pasqua e prima del capodanno ebraico, in autunno. "E' un posto speciale per deporre le proprie preghiere" ha detto il rabbino del Muro occidentale. "Ci sono foglietti scritti da ebrei e non ebrei. Dio ascolta senza distinzione le richieste di tutti" ha aggiunto. La pratica ebraica impone che nessun materiale scritto, anche usurato o danneggiato, sia distrutto, pertanto anche queste note vengono conservate di anno in anno.

(LaPresse, 17 settembre 2014)


Ritrovate camere a gas del campo di sterminio di Sobibor

Resti di un edificio che ospitava camere a gas a Sobibor, un campo di sterminio della Germania nazista.

Anello scoperto nei pressi di camere a gas recentemente scoperte a Sobibor.

La storia ha restituito oggi quello che le SS provarono a cancellare per sempre. Scavi archeologici, durati sette anni, hanno infatti permesso di localizzare le camere a gas del campo di sterminio di Sobibor, in Polonia, raso al suolo nel 1943 dai tedeschi dopo una delle due rivolte di successo mai avvenute nei lager nazisti.
La struttura faceva parte dell"Operazione Reinhard' realizzata dalle SS per lo sterminio degli ebrei polacchi ma vi trovarono la morte anche ebrei francesi, cechi, olandesi, tedeschi e sovietici: in tutto circa 250mila.
Oggi il Museo dellOlocausto Yad Vashem ha parlato di "un ritrovamento molto importante nelle ricerche sulla Shoah". Un tassello pesante - se mai ce ne fosse bisogno - nella lotta contro il Negazionismo. In quel campo ad esempio fu attivo il controverso John (Ivan) Demjanjuk dichiarato in tribunale "presunto innocente".
Capo assoluto del complesso Franz Stangl (soprannominato la 'Morte bianca' e al comando anche a Treblinka) che sgusciò via nel dopoguerra e fu arrestato soltanto nel 1967 in Brasile. Un tribunale tedesco lo ha infine ritenuto responsabile della morte di 900mila uomini, donne e bambini: tra questi molti degli uccisi a Sobibor.
Come della persona a cui apparteneva l'anello ritrovato vicino le camere a gas negli scavi condotti da Yoram Haimi, dal suo associato polacco Wojciech Mazurek e dall'olandese Ivar Schute. In quel dono nuziale c'e scritto all'interno in ebraico: "Sei consacrata a me".
Ma sono centinaia gli oggetti personali riemersi da sottoterra nel corso di questi anni: anelli, orecchini, collane, gioielli, bottiglie di profumo, astucci di medicinali, utensili da cibo. Gli scavi hanno restituito anche il pozzo di acqua dove avvenne la rivolta dell'ottobre del 1943 che portò all'uccisione di alcune guardie SS e alla fuga.
Nel suo fondo giacevano numerosi oggetti personali appartenuti agli ebrei uccisi. "È importante capire - ha detto David Silberklang, capo storico di Yad Vashem - che non ci sono stati sopravvissuti tra gli ebrei che lavoravano nell'area delle camere a gas. La scoperta apre quindi una finestra sulla vita giornaliera del campo". Ma soprattutto permetterà agli studiosi di sapere "esattamente come avveniva il processo di sterminio", mentre la struttura delle camere a gas consentirà "di far stimare più precisamente il numero delle persone uccise a Sobibor".
Nonostante il tentativo dei nazisti che rasero al suolo tutto e che sopra l'estensione del campo piantarono una foresta, lo scavo ha riportato alla luce ciò che i pochi sopravvissuti hanno per anni raccontato. Haimi si è detto stupito di quanto fossero grandi le camere a gas, ma per lui il momento più emozionante è stato quando è riapparso l'anello: un pezzo di vita dal passato. La storia ha di nuovo sconfitto le SS.

(swissinfo.ch, 17 settembre 2014)


Georges Bensoussan. Alle radici dell'antigiudaismo arabo

Sfatiamo il mito della tolleranza araba. Il mito dell'age d'or? L'idillio tra arabi ed ebrei del passato? Tutto falso. una lecture fuori dal coro ci spiega perché, documenti storici alla mano.

di Fiona Diwan

 
Georges Bensoussan a Milano
Perché è così difficile scrivere la storia degli ebrei dei paesi arabi? Perché è intrisa di mito, si nutre di leggende che vanno sfatate. «Se i rapporti tra arabi ed ebrei erano così idilliaci perché sono bastati pochi decenni, tra il 1945 e il 1970, per svuotare i Paesi arabi e il Nord Africa della sua INTERA popolazione ebraica, comunità millenarie che risiedevano lì ben prima degli stessi arabi, come ad esempio in Iraq dove gli ebrei vi abitavano da duemila anni? Un esodo silenzioso e implacabile, avvenuto senza che nemmeno ci fosse stato bisogno di una espulsione vera e propria, ad eccezione dell'Egitto. Un mondo intero è svanito in pochi decenni, è bastata una sola generazione e la civiltà giudeo araba è andata in frantumi senza che nessuno dicesse una parola».
   Con queste parole esordisce il grande storico francese Georges Bensoussan, ospite del Festival Jewish and the city, con una folgorante lezione di storia contemporanea tenuta all'Università Statale di Milano, una lettura inedita e originale di una pagina di storia abitualmente marginalizzata dai manuali. Un contributo, quello di Bensoussan, in grado non solo di ribaltare molti luoghi comuni ma di modificare l'atteggiamento storiografico sul tema (argomento al centro del nuovo saggio di Bensoussan e non ancora tradotto in italiano, Juifs aux Pays Arabes).
   In una sala gremita, introdotto da Guido Vitale, direttore di Pagine Ebraiche, e seguito da un interessante intervento del filosofo Mino Chamla, lo storico Bensoussan smonta mattone dopo mattone, documenti d'archivio alla mano, l'intero edificio farlocco su cui avrebbe poggiato finora il mito dell'age d'or,
L'antigiudaismo arabo è una realtà storica antica che con Israele non c'entra niente. In pieno Ottocento, quando ancora non esistevano né Israele né il Sionismo, si registrano numerosi efferati omicidi in tutto il Nord Africa.
dell'idillio dei rapporti tra ebrei e arabi e della presunta tolleranza del mondo arabo. «Abitualmente si crede che i rapporti tra ebrei e mondo arabo si siano guastati con la nascita dello stato d'Israele, ovvero a partire dal 1948. Non è così, anzi è una vera bufala che nessuno finora ha avuto il coraggio di smontare. L'antigiudaismo arabo è una realtà storica molto più antica che con Israele non c'entra niente. Chiunque si sia chinato sugli archivi ha potuto capire e toccare con mano la virulenza del sentimento antiebraico nelle popolazioni del Maghreb e del Medioriente. In pieno Ottocento, quando ancora non esistevano né Israele né il Sionismo, si registrano numerosi efferati omicidi in tutto il Nord Africa contro ebrei comuni, generati da odio e invidia sociale. Su quali fonti mi sono documentato? Non quelle ebraiche ma piuttosto sui report dei governanti locali e poi delle amministrazioni coloniali inglesi, francesi, italiane. L'evidenza è che l'antigiudaismo arabo poggi da sempre sulla denigrazione e abbia la sua pietra angolare nella figura dell'ebreo come elemento tra i più disprezzabili nella scala sociale, un paria, una sottospecie. In arabo marocchino si usa una odiosa espressione, Yahud chashak, che significa che il solo fatto di pronunciare la parola ebreo, yahud, ti sporca la bocca ed è quindi rivoltante perfino il fatto di nominarlo. Io vengo dal Marocco sento ancora nelle orecchie risuonare questa offesa. Ma se Israele e il Sionismo non c'entrano nulla, da cosa nasce allora l'antigiudaismo arabo? Risposta: dal processo di modernizzazione e occidentalizzazione delle società ebraiche mediorientali (senza voler dimenticare l'umiliante status di dhimmi che accomunava tutti gli infedeli, i non musulmani, per secoli). La spiegazione è semplice: quando una minoranza disprezzata e umiliata si emancipa diventando più colta e ricca, tutto questo viene percepito come intollerabile, oltraggioso, che dà fastidio, finendo per generare una gelosia sociale distruttiva e omicida», spiega Bensoussan e colpisce la similitudine con la realtà della Germania alla fine del XIX secolo e fino agli anni '40, un parallelismo che mette i brividi.
   «Gli arabi videro nell'emancipazione degli ebrei la negazione di sé, un qualcosa che avrebbe impedito loro di continuare ad essere se stessi. In Francia, e in quanto storico, lavorare oggi su un tema così
Il mito della tolleranza benevola arabo-musul- mana verso gli ebrei fu costruito a tavolino, nell'Ottocento, da intel- lettuali ashkenaziti ansiosi di puntare il dito contro i governi assassini dell'est Europa.
scottante è molto difficile e impopolare», dice Bensoussan.
Il punto di partenza resta il mito dell'age d'or, l'età dell'oro, il mito della tolleranza benevola arabo-musulmana verso gli ebrei. Come nasce? Chi lo inventò? Sorpresa: questo mito fu costruito a tavolino, nell'Ottocento, da intellettuali ashkenaziti ansiosi di puntare il dito contro i governi assassini dell'est Europa, contro chi scatenava i pogrom, denunciando così le proprie misere condizioni di vita. Come dire: "guardate come stanno bene gli ebrei nei paesi arabi, e guardate invece come è terribile la nostra condizione, qui nell'est Europa!". Peccato che di questo mito si sia poi impossessata l'opinione pubblica occidentale e la gauche europea del XX secolo.
   «Va anche detto, con dispiacere, che la storia degli ebrei orientali è poco e mal conosciuta, in genere considerati dagli studiosi come i parenti poveri della storia ebraica: poche misere pagine, un capitolo striminzito in ogni tomo ponderoso di storia ebraica contemporanea. Senza contare la fatica di molti intellettuali ad abbandonare una visione folkloristica, da thè alla menta e gellaba tradizionale, degli ebrei orientali.
   Insomma, quella che va scardinata è la mitologia di un mondo arabo tollerante e accogliente, un radioso eldorado se paragonato a un'Europa cristiana tetra e antisemita. E' stata soprattutto la sinistra occidentale a far suo il mito e oggi è davvero difficile scardinare queste false credenze. Il grande George Orwell aveva sempre messo in guardia dalla difficoltà di abbandonare false illusioni e preconcetti. E anche le parole di Marcel Proust ci aiutano a meglio capire: "I fatti non penetrano mai nel Paese dove abitano le nostre credenze più profonde", scrive. Come dire che l'evidenza dei fatti non riesce mai a spuntarla contro le idees reçues, i pregiudizi e le convinzioni; il disprezzo della verità storica vince sempre in presenza di idee precostituite. Dispiace dirlo, ma il rifiuto di vedere è una ricorrente e frequente passione occidentale.
   In Francia, specie la sinistra, - la gauche e il gauchismo -, continua a coltivare una visione "incantata" delle relazioni tra arabi-ebrei, un passato mitico e profumato che non è mai esistito. L'idillio giudeo-arabo appare ormai sempre di più un'invenzione pura e semplice, mai esistito, almeno alla luce delle ultime fonti storiche. Così come è falsa l'idea che il sionismo sia una risposta all'antisemitismo: non è stato affatto così poichè si trattò di un movimento di autodeterminazione nazionale scaturito dalla volontà di creare un ebraismo laico, tanto è vero che tutti i padri fondatori non erano religiosi. Un'altra bufala da smascherare è quella per cui la Moschea di Parigi accolse e protesse volontariamente gli ebrei durante la seconda Guerra Mondiale. La cosa è infondata, non esistono uno straccio di documento, prova o testimonianza storica che lo attesti, è un altro mito costruito a posteriori».
   Ma c'è un altro elemento che aiuta a capire. Va detto che lo stesso mondo ebraico ha sempre voluto edulcorare il passato in terra araba. Esiste una memoria polifonica degli ebrei arabi, una memoria molteplice, a seconda dell'appartenenza sociale e della loro vicinanza al potere coloniale. Non dimentichiamo che stiamo parlando di una società ebraica attraversata da conflitti e disuguaglianze sociali tale quale ciò che avveniva in altri ambiti. Ovvio, quindi, che la memoria dei ricchi borghesi ebrei dei
A partire dal 1940 prende il via una politica di umiliazione sistematica da parte degli arabi, una vera e propria epurazione etni- ca degli ebrei nel mondo arabo. Negli archivi ricor- rono ossessivamente due parole: paura e umilia- zione.
quartieri alti di Casablanca sia del tutto diversa da quella dei diseredati che vivevano nella mellah o nella hara cittadina.
Il punto di svolta si colloca intorno al 1940: è a partire da questa data che prende il via una politica di umiliazione sistematica, una vera e propria epurazione etnica degli ebrei nel mondo arabo. Negli archivi ricorrono ossessivamente due parole: paura e umiliazione», spiega ancora Bensoussan. «Ma il vero problema oggi sapete qual è nella Francia del 2014? Che a raccontare tutto ciò si viene subito accusati di razzismo anti-arabo cosa che vi rende immediatamente non più credibili né autorevoli, intellettualmente impresentabili. L'accusa peggiore è quella di essenzialismo: ovvero il fatto di riportare gli arabi a una presunta essenza, categoria razzista e inaccettabile, poichè non ha senso parlare di essenza di un popolo».
   Occidentalizzazione e modernizzazione finiscono così per scatenare una invidia sociale, una gelosia che diventa risentimento. L'emancipazione degli ebrei era vista dagli arabi come inaccettabile, l'uscita dalla condizione di inferiorità impensabile. Lo stesso discorso valeva e vale ancora per le donne, che nell'economia psichica del mondo arabo vengono sempre accostate agli ebrei e ne condividono il medesimo destino. Ancora oggi rivolgo la mia gratitudine a Albert Memmi, autore misconosciuto per troppo tempo, il primo che raccontò la civiltà giudeo-araba senza paraocchi, coi i suoi racconti sugli ebrei di Tunisi. Credo che oggi quello arabo-israeliano sia un conflitto soprattutto antropologico e culturale, che, sì, ha anche un cotè politico ma che, strutturalmente, va molto al di là del problema palestinese».
   Bensoussan continua soffermandosi sul milieu intellettuale francese. Il loro mestiere sarebbe quello di vedere, dice, di mantenersi lucidi. E invece un sottile veleno inquina il loro spirito, specie nella sinistra che per decenni chiuse gli occhi sui crimini di Pol Pot, di Mao, di Stalin, dei compagni che sbagliano. Una cecità colpevole e incomprensibile. Il perché? Per non mettersi in discussione e non cadere nella disperazione davanti al fallimento del loro modello culturale», conclude lo storico.
   Gli fa eco il filosofo Mino Chamla:«Dobbiamo fare buon uso del vissuto. Per questo mi piace riesumare una parola che un pensatore di destra come Giulio Preti scagliò come un insulto contro gli ebrei: l'accusa di essere meteque, meteco, parola che indicava gli stranieri ad Atene, nel periodo della Grecia classica. Aristotele fu il più grande tra i meteci», spiega Chamla. «Ecco, mi piace pensare per gli ebrei del mondo arabo e per me che sono di origine egiziana, a una identità meteca, più ricca e sfaccettata, consapevole che le narrazioni nuove non possono mai essere storie di compiaciuto trionfo o di totale successo: lasciare un paese, perdere tutto, sentirsi esiliato non è mai edificante o bello a dispetto della fortuna che avrai dopo. Una identità, quella meteca, capace di recuperare la dimensione di una "modernità critica", come fu quella di Edmond Jabès o di Walter Benjiamin».

(Mosaico,17 settembre 20117 settembre 2014)


Cremona. Presentato il Padiglione Israele a EXPO 2015

Presentato oggi, presso la Sala Conferenze della sede dell'Associazione Costruttori ANCE Cremona, il progetto del Padiglione dello Stato di Israele all'EXPO 2015, che sarà realizzato dalla Paolo Beltrami S.p.A. di Paderno Ponchielli

Alla presenza di una delegazione dello Stato di Israele guidata da Tamar Ziv, Ministro Consigliere per gli Affari Economici e Scientifici, e da Elazar Cohen, Commissario Responsabile per Expo Milano di Israele in visita in Italia, del Consigliere Regionale Malvezzi, del Commissario della Provincia di Cremona Pinotti, del Sindaco di Cremona Gianluca Galimberti e del Direttore della CCIAA di Cremona Cappelli, il Presidente della Paolo Beltrami S.p.A., Carlo Beltrami, ha illustrato l'avveniristico progetto: il tema della partecipazione, I campi di domani, ben si sposa con l'identità di Israele, Paese giovane, ma con una tradizione di tremila anni, che attraverso lavoro, ricerca e sviluppo ha saputo rendere fertili molti dei suoi terreni in prevalenza aridi. Una dedizione che, in settant'anni, lo ha portato a essere uno dei Paesi leader nel campo della scienza e dell'innovazione.
Expo Milano 2015 è l'occasione per Israele di mettere a disposizione dei visitatori le competenze acquisite in questi anni, come un grande "granaio di conoscenze". All'interno del Padiglione di Israele, che si sviluppa su un'area complessiva di 2369 metri quadri, grazie ai migliori strumenti e metodi di edutainment, il visitatore è immerso in un'immediata e potente esperienza visiva che presenta un meraviglioso viaggio nell'ingegneria agricola con uno sguardo verso il domani dell'umanità. Il Padiglione si divide in quattro aree: elemento caratterizzante, ideato dall'architetto David Knafo, è il "giardino verticale": una parete lunga 70 metri e alta 12, interamente adorna di piante vive, i cui fiori e colori cambieranno con il passare delle stagioni. Carlo Beltrami, nel ricordare che la Paolo Beltrami S.p.A. realizzerà anche il Padiglione Expo 2015 della Malesia, su progetto dei propri tecnici, ha rimarcato la volontà di aprire la propria strategia aziendale al mercato estero, con positive ricadute occupazionali in un momento di estrema crisi del settore edile.
La conferenza stampa si è conclusa con l'intervento della dott.ssa Capelletti dell'Università Cattolica di Milano, la quale ha presentato Cremona Executive Education Program (CEEP), un progetto innovativo di alta formazione sulla Food Safety, Food Security e Food Sustainability curato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore e sostenuto dall'Associazione Temporanea di Scopo (ATS), partecipata da tutte le Associazioni di categoria e dagli enti cremonesi, costituitasi appositamente in vista di EXPO.

(welfarenetwork, 17 settembre 2014)


Delegazione israeliana a San Marino e in Italia

Giovedì 18 settembre alle ore 15:00, una delegazione israeliana è stata invitata a Palazzo pubblico per incontrare una rappresentanza delle forze politiche durante i lavori del Consiglio.
Nomi della delegazione:
1. Taleb el-Sana
2. Prof. Eliezer Glaubach-Gal accompagnato dalla moglie
3. Sig. Hod Ben Zvi
La delegazione si sposterà poi in Italia fino al 23 settembre. La mattina del 19 andrà a Pesaro per incontrare le autorità.
Nel pomeriggio si trasferirà a Milano e Monza. Qui parteciperà a un convegno in occasione della celebrazione della Giornata Internazionale della Pace indetta dalle Nazioni Unite.
La domenica pomeriggio, 21 settembre, si sposterà a Torino, dove il lunedì 22 incontrerà diverse autorità e il sindaco della città di Torino.
Accompagnatore e responsabile per la delegazione - Giorgio Gasperoni
Ex membro del Knesset (Parlamento israeliano) Taleb el-Sana
Nato a Tel Arad, nel Negev, lui è un arabo israeliano di origine beduina. el-Sana ha studiato giurisprudenza presso l'Università Ebraica di Gerusalemme ed è un avvocato di professione.
E' stato eletto e ha fatto parte del parlamento israeliano tra gli anni 1992-2013 con le seguenti coalizzazioni politiche: il Partito arabo democratico, la lista Araba Unita, la fazione parlamentare della Lista Araba e Ra`am Ta'al. Nella 16-17 Legislatura è stato il presidente del partito.
E' attivo nelle organizzazioni per la sviluppo della pace e della convivenza.
E' attivo nelle ONG locali nel Negev. Egli è pure attivo in molte organizzazioni del Negev a scopo umanitario.
È sposato e padre di cinque figli e in questo periodo vive nella città beduina di Lakiya nel Negev.
Prof. Eliezer Glaubach-Gal, Presidente del Forum per la Pace e la Sicurezza di Gerusalemme, UPF-Israele
Prof. Eliezer Glaubach-Gal è un mediatore professionista, certificato dal ministero israeliano della Giustizia, e presidente della I. Foerder Istituto di Studi Liberali. Lui è un ex consigliere comunale di Gerusalemme, con il compito di far interagire le comunità divise a Gerusalemme. Ha studiato presso l'Università Ebraica di Gerusalemme ed è presidente del Forum per la Pace e Sicurezza. Ha pubblicato numerosi libri e articoli sulle soluzioni pacifiche al conflitto in Terra Santa, che sono stati presentati in occasione del vertice internazionale a Camp David nel luglio 2000.
E' sposato, ha due figlie e 3 nipoti.
Sig. Hod Ben Zvi, Presidente of UPF, Israele
Ha fatto il servizio militare nella Marina israeliana e ha seguito il corso di studio sull'Asia orientale presso l'Università Ebraica di Gerusalemme.
Ha lavorato come ricercatore NCJW presso l'Istituto per l'Innovazione nell'Educazione presso l'Università Ebraica di Gerusalemme. Era un insegnante di applicazione informatica presso la"Mitchell", Istituto Tecnologico di Gerusalemme. E' docente di "valori familiari".
Fondatore e Consulente del "Forum di Gerusalemme per la pace e la sicurezza della pace".
Fondatore e Consulente del "Forum di Gerusalemme per il dialogo interreligioso e la cooperazione tra le religioni".

(San Marino Notizie, 17 settembre 2014)


L'elisir di eterna giovinezza palestinese

Nella versione internazionale del New York Times, i rifugiati palestinesi sembrano aver bloccato il processo di invecchiamento. I palestinesi che abbandonarono o furono espulsi da Israele nel 1948 resteranno per sempre giovani. O così sembra, leggendo l'articolo apparso sulla versione in edicola dell'The International New York Times. Questi rifugiati, che oggi avranno non meno di 66 anni, sono gli avi dei bambini che studiano nelle scuole elementari di Gaza....

(Il Borghesino, 17 settembre 2014)


Brigata Ebraica, 70 anni di Resistenza

di Adam Smulevich

 
Reduci della Brigata Ebraica
"Settanta anni fa io c'ero e combattevo al loro fianco. Da queste terre, lottando contro i comuni nemici della libertà e sotto le insegne con la stella di Davide, fu lanciato un grido inequivocabile di autodeterminazione. Qua e nel solco di quei valori è nato lo Stato di Israele. È bene che se lo ricordino tutti, anche chi fa finta di dimenticarsene".
Ivano Cardinali è di San Giovanni Valdarno, ha 85 anni ed è un ex partigiano. Nel 1944, appena 15enne, fu tra quanti si resero protagonisti dello sfondamento della Linea Gotica e della conquista di alcune località strategiche nella lotta di liberazione dal giogo nazifascista. Un impegno che vide in prima fila i volontari della Brigata Ebraica, giunti in oltre 5mila unità dalla'allora Palestina mandataria, il futuro Stato di Israele.
   Ivano c'era e questa mattina, nel corso dell'annuale cerimonia di commemorazione dei caduti nel cimitero militare di Piangipane (Ravenna), ha voluto ricordare il sacrificio del sangue che molti profusero in quelle giornate che cambiarono il corso della storia. Partecipata dalle massime istituzioni civili e militari del territorio, la cerimonia ha visto gli interventi, tra gli altri, del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, dell'ambasciatore d'Israele a Roma Naor Gilon e del rabbino capo di Ferrara rav Luciano Caro. Presenti anche i consiglieri UCEI David Menasci ed Eileen Cartoon (con quest'ultima che ha letto i nomi dei caduti), il presidente della Comunità ebraica di Verona Bruno Carmi e il consigliere della Comunità di Bologna Ines Miriam Marach.
   A Piangipane inoltre una delegazione istituzionale arrivata dalla Repubblica di San Marino e guidata da Patrizia De Luca, responsabile del locale centro di ricerca sull'emigrazione, e dal presidente del Keren Kayemeth sanmarinese Bruno Mussoni. "Onorare i combattenti della Brigata Ebraica - ha affermato il presidente UCEI - significa rendere giustizia al coraggio di quei valorosi e difendere, contro ogni attacco e contro ogni mistificazione, la memoria di chi versò, spesso senza alcun legame con questo paese, il proprio sangue per la libertà nostra e di tutto il mondo". Per poi aggiungere: "Che i loro nomi, e i nomi di tutti coloro che lottarono per spezzare le catene della dittatura, possano scopirsi nei nostri cuori e nelle nostre menti. Ebrei e cristiani, musulmani e protestanti, induisti e atei: come ci insegna questo cimitero, impregnato delle memorie di così tanti popoli e culture. Un monito che sia di auspicio per la costruzione di un futuro di autentica pace e fratellanza per l'umanità intera".
   Il bisogno di comprendere il ventaglio di scelte che furono possibili, l'esigenza sempre più avvertita di fare chiarezza. Oggi come ieri. È il concetto espresso dall'ambasciatore Gilon. "Quella - ha spiegato - fu un'epoca di scelte. Ci fu chi scelse di combattere per la libertà del mondo democratico come i volontari della Brigata Ebraica e chi, come il Gran Muftì di Gerusalemme, volle invece allearsi con Hitler. È bene che queste cose siano note perché ancora oggi molti cercano di riscrivere la storia. Quanto la necessità che vi presento sia attuale è l'estate appena trascorsa a ricordarcelo quando accuse insensate verso lo Stato di Israele, costretto a una guerra di autodifesa contro nemici senza scrupoli, hanno chiaramente mostrato il problema".

(moked, 17 settembre 2014)


Come sorprendersi per la ferocia dell'ISIS se il mondo premia il terrorismo?

Riscatti, scarcerazioni, legittimazione politica: il terrorismo purtroppo funziona.

di Alan Dershowitz

La comunità internazionale sembra essere stata colta alla sprovvista dalla brutalità dell'ISIS. La decapitazione in video di ostaggi occidentali, l'uccisione a sangue freddo di molti cristiani e musulmani e il diffuso sostegno per questi spietati assassini hanno preso il mondo di sorpresa. E invece avremmo dovuto aspettarci tutto questo, perché da mezzo secolo la comunità internazionale sta premiando proprio il tipo di comportamento dell'ISIS che ora condanniamo. Per dirla in breve, il terrorismo si è dimostrato una tattica di successo. Semplicemente, funziona. Questo è il motivo per cui l'ISIS lo pratica alla grande. Questo è il motivo per cui lo pratica al-Qaeda. Questo è il motivo per cui lo pratica Boko Haram. Questo è il motivo per cui lo praticano i talebani. E questo è il motivo per cui lo pratica Hamas....

(israele.net, 17 settembre 2014)


Belgio: appiccato il fuoco in sinagoga

All'indomani della riapertura del Museo ebraico. Tre intossicati

Un incendio di probabile origine dolosa ha colpito nelle prime ore della mattina la sinagoga di Anderlecht, un quartiere periferico di Bruxelles. Il fatto avviene all'indomani della riapertura del Museo ebraico della capitale belga, dove a maggio un attentato terroristico aveva fatto quattro morti. I pompieri e la polizia hanno individuato diversi focolai d'incendio e si pensa dunque a una pista criminale di matrice antisemita.
   
(ANSA, 16 settembre 2014)


Gli ebrei italiani lanciano un numero verde contro l'antisemitismo

Antichi pregiudizi mai del tutto sradicati tornano a manifestarsi (ASCA) - Roma, 16 set 2014 - L'l'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane (Ucei) lancia un "numero verde" per contro l'antisemitismo. "Un'iniziativa finalizzata a rendere vane le minacce di chi ancora oggi propugna odio e discriminazione. Un impegno concreto a beneficio della collettivita' in un momento in cui antichi pregiudizi mai del tutto sradicati tornano a manifestarsi in modo sempre piu' inquietante nelle nostre societa' progredite e democratiche", afferma in una nota il presidente degli ebrei italiani Renzo Gattegna nell'annunciare la nascita del progetto sperimentale 'Antenna antisemitismo' promosso dall'Ucei insieme alla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea Cdec di Milano. Destinatari del progetto le vittime o i testimoni di episodi di antisemitismo in Italia, che potranno entrare in contatto con l'Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC telefonando al numero 0233103840 oppure compilando il modulo disponibile sul sito. Le segnalazioni verranno verificate, conservate e utilizzate per approfondire la conoscenza del pregiudizio e dell'ostilita' antiebraica. I dati dei mittenti, conclude la nota, non saranno divulgati a terzi.

(ASCA, 16 settembre 2014)


I rabbini e il cedro calabrese, tutto pronto per la festa ebraica di 'Sukkoth'

Il frutto dell'albero più bello. È considerato così il cedro dalla tradizione israelita, ma per Santa Maria del Cedro, paese in provincia di Cosenza, è soprattutto parte integrante della cultura e dell'economia locale. E la cittadina è già in fermento per la seconda edizione della "Festa della Raccolta" che si svolgerà dal 15 ottobre al 1o novembre 2014. L'evento è realizzato dal 'Consorzio del Cedro di Calabria', in collaborazione con il Comune e l'Assessorato regionale all'Agricoltura della Regione.
Una raccolta che ogni anno, a inizio agosto, vede impegnati diversi rabbini che arrivano nel paese calabrese per selezionare e raccogliere di persona i frutti indispensabili per la festa di "Sukkòth" (Festa delle capanne) che si celebra a ottobre e rappresenta per gli ebrei di tutto il mondo l'avvenimento religioso più importante.

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La festa vuole ricordare la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall'Egitto. Secondo la tradizione è stato Dio, durante l'esodo del popolo ebraico verso la Terra Promessa, a indicare a Mosè il cedro (Etrog) come una delle quattro piante da usare per la festa durante la quale vengono costruite, all'aperto, capanne con dimensioni specifiche e con particolari materiali: sul tetto, per esempio, va disposto fogliame rado, in modo che ci sia più ombra che luce ma che permetta a chi è dentro di vedere le stelle.
Oltre alla capanna (sukkà), il secondo elemento che caratterizza la festa è il lulàv: un fascio composto da un ramo di palma, due di salice, tre di mirto e da un cedro. Un fascio dal forte significato simbolico: la palma è senza profumo ma il suo frutto è saporito; il salice non ha sapore, né profumo; il mirto ha profumo ma non sapore e, infine, il cedro ha sapore e profumo. Quattro vegetali che simbolicamente rappresentano tutti i tipi di uomo. E il cedro, avendo sapore e odore, rappresenterebbe l'élite del popolo ebraico, l'uomo che opera bene e in coerenza con la Toràh.

(Adnkronos, 16 settembre 2014)


"Complice nella morte di trecentomila ebrei"

La guardia di Auschwitz Oskar Groening accusato per le camere a gas.

I magistrati di Hannover accusano un novantatreenne di complicità nell'uccisione di 300mila ebrei ad Auschwitz, dove l'uomo prestava servizio come guardia delle SS.
Oskar Groening avrebbe dato un contributo fondamentale alle operazioni del campo di sterminio nella Polonia occupata dove, nei mesi di maggio e giungo del 1944, circa 425mila ebrei deportati dall'Ungheria vennero ammassati: almeno 300mila vennero immediatamente gassati.
Secondo quanto riporta l'Associated Press, l'incarico di Groening consisteva anche nella sottrazione dei gioielli e del denaro che i deportati avevano con sé. "Ha aiutato il regime nazista a beneficiare economicamente, e ha favorito le uccisioni di massa", hanno dichiarato gli inquirenti. L'uomo ha sempre parlato apertamente della sua esperienza nel lager, asserendo di non aver mai commesso direttamente le atrocità che ora sono diventate capi di imputazione.
Nel 2005, intervistato dal settimanale Der Spiegel aveva ricordato un fatto raccapricciante di cui era stato testimone: poiché un bambino piangeva, un soldato nazista lo aveva afferrato alle gambe e gli aveva sbattuto la testa contro un camion finché non aveva smesso di piagnucolare.
Groening è uno dei 30 ex soldati nazisti che secondo gli investigatori federali tedeschi devono essere processati per i crimini commessi. Thomas Waltther rappresenta le venti vittime uccise ad Auschwitz e le loro famiglie che hanno trascinato Groening in tribunale secondo la nuova legge della Germania. Per loro "è l'ultima opportunità per avere giustizia contro uno degli uomini delle SS che ha contribuito all'uccisione dei loro parenti. La maggioranza di coloro che stanno facendo causa sono tra gli ultimi sopravvissuti di Auschwitz".

(L'Huffington Post, 16 settembre 2014)


I prodigi dell'economia palestinese

Ci siamo già occupati in passato dei prodigi dell'economia israeliana: fra le poche realtà in netta espansione fra i paesi occidentali, capace di assicurare ai suoi cittadini - tutti: ebrei, arabi, drusi - un'espansione del benessere senza eguali. Basti pensare che negli ultimi dieci anni il reddito pro-capite si è espanso del 25%; mentre in Italia si è contratto del 7.5% nel medesimo arco di tempo. Persino nella formidabile Germania l'espansione del reddito negli ultimi dieci anni non è andata oltre il 15%....

(Il Borghesino, 16 settembre 2014)


Quelle Torah che escono dallo scrigno della Biblioteca Universitaria

In mostra da oggi a Bologna nell'ambito di Artelibro. Biancastella Antonino: «Fra le più antiche una Bibbia che risale al 1193».

di Cesare Sughi

BOLOGNA - Tutto comincia nel maggio del 2013, quando la Biblioteca Universitaria presenta il rotolo della più antica Torah integrale esistente, rinvenuto dal professor Mauro Perani nei suoi depositi. «Una gemma mai più esposta, ma da quella ricerca», racconta la direttrice della Biblioteca, Bianca-stella Antonino, «sono nate ulteriori analisi dei manoscritti ebraici che fanno parte del nostro patrimonio. Abbiamo così deciso di esporne 11 nella mostra Non solo Torah. Bibbie rare e codici preziosi dai fondi ebraici della Biblioteca Universitaria di Bologna, curata da Rita De Tata, Patrizia Moscatelli e da me, che si inaugurerà oggi alle 19 nell'atrio della nostra aula magna».

- Che cosa vedremo?
  «L'esposizione avviene nell'ambito di Artelibro, sicché l'aspetto artistico dei codici miniati, relativi principalmente al Due e Trecento, è sicuramente un elemento di spicco».

- Qualche esempio?
  «Cito subito il manoscritto contenente i libri biblici del Pentateuco e degli Agiografi. Qui risulta ben visibile quella che in ebraico si chiama 'masorah magna', il commento e le annotazioni sul testo. In questo caso il commento si allarga sul lato sinistro della pagina e sul bordo inferiore, con una serie di miniature raffiguranti fiori, asce e teste di animali fiabeschi. Credo che si tratti di uno dei pezzi forti della mostra».

- Come sono giunti questi preziosi codici alla biblioteca?
  «Stando solo a quelli esposti, uno dei luoghi di provenienza è il con- In piazza Ravegnana alle 18 Camilla Ghedini e Brunella Benea presentano il loro 'Amo te... starò con lei per sempre' per il tour 'Amanti alla riscossa' vento di San Salvatore. Come gli altri edifici sacri italiani, esso ha subito due soppressioni, una prima a opera di Napoleone, una seconda dopo l'unità d'Italia. Una parte dei codici fu così portata via dai francesi, un'altra, dopo il 1861, è stata ricoverata qui. Un esempio è la Bibbia, una delle più antiche fra quelle che deteniamo, dei i 193, in grafia ashkenazita».

- Solo testi di culto nelle vetrine?
  «No. Le Bibbie hanno il sopravvento, 7 su 11 esemplari. Ma presentiamo anche due manoscritti relativi ad Avicenna, il filosofo e medico musulmano vissuto intorno al 1000. Il Canone di medicina di Avicenna è ricco di immagini miniate. Accanto ad esso, si vedrà anche un codice contenente la sola prima parte del Canone, con la particolarità di ospitare anche un ritratto dello stesso Avicenna. Mi lasci ricordare ancora una curiosità. Un rotolo chiamato Rotolo di Ester, risalente al Sei-Settecento, ci propone gli estremi di una disputa fra l'abate di San Salvatore e il canonico che ha donato alla comunità il rotolo, sulla maggiore o minore antichità dell'oggetto».

- Qual è lo scopo della mostra?
  «Innanzitutto presentare opere finora mai esposte. Inoltre, questo è un modo per approfondire la conoscenza di una cultura fondativa come l'ebraismo. E la buona condizione dei codici e la vivezza delle loro miniature li rende appetibili e accessibili anche per un vasto pubblico».

Info: la mostra resta aperta fino al 17 ottobre; ingresso gratuito;
lunedì-venerdì ore 10-18, sabato 9,30-13, domenica chiuso;
Tel. 051 2088300.

(il Resto del Carlino, 16 settembre 2014)


L'Expo calamita di investimenti a Venezia, arrivano i soldi israeliani

Visita dell'ambasciatore del Paese orientale Naor Gilon al cantiere del padiglione. Presentata la Camera nazionale d'impresa Italia Israele.

 
Da Venezia "marea" di Frecce per l'Expo: "Alta velocità a Tessera? Progetto presto"
In ballo non c'è solo l'investimento da trenta milioni di euro per costruire materialmente il padiglione dell'Expo di Venezia. La struttura, infatti, secondo gli addetti ai lavori del settore, potrebbe diventare anche un moltiplicatore in fatto di imprese e progetti sul territorio. A dimostrarlo lunedì pomeriggio la visita dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, punta dell'iceberg di un forte interesse del Paese dopo essere entrato a far parte con un rappresentante anche del team scientifico che curerà incontri ed eventi di Aquae Venezia 2015 dal prossimo 3 maggio (inaugurazione alle 11 di mattina, tre giorni dopo l'apertura della manifestazione milanese).
"Tutto il mondo ha che fare con i problemi derivanti dall'acqua - ha spiegato l'ambasciatore durante una visita al cantiere vicino al parco scientifico Vega - anche qui c'è la piaga dell'acqua alta. Noi israeliani per cultura non la sprechiamo mai, riutilizziamo il novanta per cento delle acque reflue. L'ottanta per cento in agricoltura". Una visita che potrebbe costituire una testa di ponte per i rapporti commerciali ed economici tra Israele e Veneto che hanno vissuto un momento importante sempre nel tardo pomeriggio di lunedì, quando è stata presentata all'Hotel the Westin Europa & Regina la "Camera nazionale per l'Impresa Italia Israele (CNIII)", isituita lo scorso marzo a Padova.
Un'associazione che ha l'obiettivo di facilitare il lavoro a imprenditori nostrani che intendono allargare i propri orizzonti fino al paese medio-orientale e viceversa. In almeno due occasioni, anche grazie alla vetrina di Aquae Venezia, si starebbe trattando lo sbarco di ingenti capitali israeliani nei settori dell'acqua, delle nanotecnologie e dell'agricoltura. Il tutto favorito dal maxi padiglione che dovrebbe essere ultimato il 23 dicembre prossimo. Il primo possibile polo fieristico per Venezia: "Volevamo rilanciare quest'area di nostra proprietà - ha dichiarato Isabella Bruno Tolomei Frigerio, presidente di Condotte Immobiliare, che sta materialmente realizzando l'opera - dimostreremo che la nostra è una realtà, pur in tempi duri, che sa guardare al futuro". A fare gli onori di casa il presidente di Expo Venice Cesare De Michelis ("Aquae Venezia 2015 rappresenta un'occasione per porci al centro del dibattito internazionale sulle tematiche relative all'acqua come risorsa fondamentale") e il consigliere e rappresentante del comitato scientifico Armando Peres, secondo cui "qui dentro non ci saranno solo congressi e incontri. Ma sarà uno spazio in cui sarà possibile divertirsi, puntando anche sull'edutainment".

(VeneziaToday, 15 settembre 2014)


Israele si prepara all’ipotesi di un'incursione di Hezbollah

GERUSALEMME - L'esercito israeliano ha adattato il suo dispositivo di difesa al rischio di di una vasta incursione di terra di Hezbollah, anche se il pericolo di una nuova guerra con il movimento sciita libanese non pare imminente. Lo ha indicato un responsabile militare, citato dalla stampa.
Una nuova guerra, dopo quella dell'estate 2006, vedrebbe il movimento sciita scatenare un fitto lancio di razzi contro lo stato ebraico. Forte dell'esperienza acquisita durante la guerra civile in Siria, Hezbollah invierebbe contemporaneamente decine, centinaia di combattenti in Israele per impadronirsi di parte della Galilea, nel nord di Israele, ha dichiarato questo responsabile a vari organi di informazione locali.

(TMNews, 15 settembre 2014)


Storia di ordinaria follia. Protagonisti: una strada statale e un'antica sinagoga

Andare in vacanza può non essere sempre piacevole. Soprattutto se vai in un posto meraviglioso, con un mare stupendo, una storia fantastica, un patrimonio artistico notevole e scopri che lo Stato sta facendo di tutto per togliertelo. Piccolo e raccapricciante reportage da Bova, in piena Grecanica.

di Max Mutarelli

In Calabria, fra le acque limpide dello Jonio e le prime pendici dell'Aspromonte, si estende una porzione di terra ricca di storie e di culture, un'area geografica sconosciuta ai più e che viene chiamata con il nome di Grecanica. Qui infatti una minoranza linguistica parla ancora un dialetto ellenofono, un'evoluzione del greco dorico e bizantino, ricevuto in eredità dal passaggio dei mercanti e guerrieri spartani, calcidici ed achei in fuga dal Mar Egeo quasi tremila anni fa che da queste parti - e pure un po' più in là, sulla costa orientale della Sicilia ed in Puglia - fondarono una nuova comunità, la Magna Grecia.
Al centro di questo territorio c'è una piccola città, si chiama Bova, ed è considerata uno dei borghi più belli d'Italia, immersa com'è fra vigneti e bergamotti, circondata da pascoli di capre, da gelsi e da ulivi secolari. Eppure, come se non bastasse, questa comunità e questi territori nascondono incredibili tesori archeologici sotto le proprie case, fra le colline, sotto al mare. A Umbro, per esempio, sono state ritrovate tracce di un insediamento risalente al Neolitico ed all'Età del Bronzo; a San Niceto, su un'altura rocciosa, resiste al tempo una piccola chiesetta di origine bizantina; a Bova Marina, l'antica Delia, sono emersi i resti di una residenza romana di epoca imperiale, e in contrada Amigdalà gli archeologi si sono trovati di fronte a un miliario - una colonna in pietra, la famosa "pietra miliare", destinata a scandire le distanze delle strade - dell'età di Massenzio, l'imperatore che governò nel primo decennio del 300 dopo Cristo.
Basterebbe questo piccolo elenco di meraviglie naturali e storiche per far di Bova e del suo comprensorio un punto di riferimento per lo sviluppo culturale ma anche economico di una Regione sempre in difficoltà, che però non sembra intenzionata a sfruttarne le ricchezze, e tantomeno sembra voler sentir parlare di creare un indotto e un profitto dalla potenzialmente fertilissima "industria culturale" che si trova proprio sotto casa.
  Tutto qui? Eh no, purtroppo. Il bello, si fa per dire, deve ancora arrivare. Perché se non si sviluppano politiche economiche adeguate è un peccato, un errore strategico, ed è figlio di una visione miope e arretrata che vede nel nostro patrimonio artistico, archeologico e paesaggistico un problema da amministrare e non una risorsa da valorizzare; ma qui a Bova Marina, in località San Pasquale per la precisione, lo Stato e le sue istituzioni hanno alla fine commesso davvero un delitto clamoroso, e alla luce del sole, contro le nostre terre e contro la nostra storia, ed è un fatto molto grave, oltretutto perché pochi ne sono a conoscenza. E ne sono inorriditi.
Nel 1983, quando l'Anas, la società che gestisce la rete stradale e autostradale italiana, decide di avviare un riammodernamento della Strada Statale 106 - la cosiddetta Jonica, perché percorre il litorale della Penisola da Reggio Calabria verso Taranto - vengono scoperti a San Pasquale i resti di un insediamento ebraico del quarto secolo dopo Cristo, distrutto da un incendio intorno al 590. Un piccolo museo costruito accanto al sito conserva molti oggetti qui ritrovati: un'ansa timbrata con il simbolo della menorah, un tesoretto di monete d'argento, stoppini per lampade, ma soprattutto un meraviglioso mosaico lì ricostruito, stilisticamente simile a quelli prodotti nel Nordafrica, e raffigurante simboli sacri agli ebrei come il cedro, lo shoffar o corno d'ariete, e il Nodo di Salomone. Si tratta certamente della decorazione di un'aula di preghiera, e quindi, secondo gli archeologi e gli studiosi di cultura ebraica, siamo di fronte a una vera e propria sinagoga.
  E fin qui tutto bene, anzi meraviglioso. Ma c'è di più: da un punto di vista storico, a San Pasquale sono riaffiorati i resti della più antica Sinagoga d'Europa, seconda solo a quella ritrovata a Ostia Antica, in provincia di Roma, nel 1961. Da un punto di vista religioso, l'area è un punto di riferimento per gli ebrei di mezzo mondo e qui, proprio qui, l'allora rabbino capo di Gerusalemme si disse convinto di poter trovare nella zona possibili resti di altre sinagoghe. Basterebbe scavare ancora un po'… Ma non ci sono i soldi, si disse.
Quindi, ricapitolando: in questa sperduta parte d'Italia si ritrovano a convivere tracce di uomini primitivi, di Greci, di Romani, di Ebrei e noi ritroviamo reperti archeologici, naturali e artistici. Di fronte a questo enorme "capitale", ci viene da pensare, qualunque uomo o ente o istituzione di buon senso avrebbe confezionato un museo d'avanguardia, creato posti di lavoro, cercato sponsor per mantenerli, pubblicizzato il luogo, creato eventi ad hoc, mandato mail, contattato esperti, storici dell'arte, televisioni ecc. Tutto pur di valorizzare l'area, portare gente, dare aria all'economia locale e lustro alle nostre ricchezze.
  E invece cosa è successo? Di quale delitto stavamo parlando poco fa? Se non volete rovinarvi la sorpresa, guardate le foto e capirete da soli. In sostanza, l'Anas, la Regione Calabria, il Governo e non sappiamo chi, anziché proteggere e mettere in salvo il sito, e visto che prima della cultura, della storia e dell'arte, ci sono le automobili, i tir e gli appalti, hanno pensato bene di andare avanti nella costruzione e nel riammodernamento della SS106. Direte voi: avranno spostato comunque il cantiere, cambiato almeno il progetto urbanistico, magari finanziato i lavori di scavo? Nient'affatto, niente di tutto ciò. Hanno pensato bene di non voler sprecare tempo e denaro, e così la Statale l'hanno posizionata proprio sopra l'antica sinagoga. Anzi, la strada a due corsie le fa proprio da tetto, mentre i piloni di cemento armato, di nobile origine novecentesca, sono davvero dentro al perimetro del vecchio quartiere ebraico. Non è forse così che si proteggono le cose che si amano?

(Artribune, 15 settembre 2014)


L'Italia non fa abbastanza per restituire agli ebrei opere e oggetti depredati

Esemplari sono Austria e Paesi Bassi

di Silvia Anna Barrilà

Secondo un rapporto pubblicato dalla Conferenza sulle richieste di risarcimento di materiale ebraico contro la Germania(Conference on Jewish Material Claims Against Germany, www.claimscon.org) e dall'Organizzazione ebraica mondiale per la restituzione (World Jewish Restitution Organization, www.wjro.org.il), l'Italia è tra i paesi che non fanno abbastanza per ricercare o identificare oggetti che possono essere stati depredati agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo riporta il New York Times.
La relazione ha misurato la condotta di circa 50 paesi che hanno approvato gli accordi punto di riferimento per incrementare gli sforzi per la restituzione di oggetti confiscati agli ebrei, e cioè i Principi di Washington e la Dichiarazione di Terezin. Accanto all'Italia, altri paesi citati nella relazione per gli sforzi poco brillanti sono l'Ungheria, la Polonia, l'Argentina, la Spagna e la Russia. Nel caso l'Italia, il rapporto dice che le autorità non hanno adeguatamente esaminato la storia del saccheggio perpetrato dal regime fascista di Mussolini; non è stata studiata la provenienza degli oggetti d'arte in possesso dei musei e non sono state pubblicate informazioni su internet per tracciare la provenienza.
Secondo il New York Times, un portavoce del Ministro Dario Franceschini ha dichiarato che il Ministro ha iniziato ad affrontare la questione della restituzione subito dopo il suo insediamento nel mese di febbraio e ha chiesto al suo staff una relazione su ciò che l'Italia deve fare per accelerare il ritorno di opere o oggetti detenuti illegalmente.
I paesi che, invece, si sforzano di più secondo la relazione sono l'Austria, la Repubblica Ceca, la Germania e i Paesi Bassi. Soprattutto l'Austria e i Paesi Bassi sono citati per aver istituito meccanismi per la ricerca indipendente e di alta qualità, mentre la Germania viene rimproverata per il caso Gurlitt.
Tra i paesi che si sono sforzati un po', ma non sufficientemente, ci sono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

(Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2014)


Jewish and the city - Moshe e le donne dell'Haggadah

 
Rav Alfonso Arbib
MILANO - Il ruolo delle donne nell'Haggadah, la leadership del maestro Moshe e la modernità della sua figura, l'Egitto di oggi ovvero le nuove schiavitù. Sono alcuni dei temi toccati negli affollati incontri della domenica milanese, segnata dalla seconda edizione di Jewish and the city, il festival internazionale di cultura ebraica di Milano. Appuntamenti che hanno aperto al pubblico molteplici spunti di riflessione e dato un esempio dell'attualità dei temi legati al mondo ebraico. Non solo conferenze e incontri ma anche laboratori per bambini, musiche e cibi della tradizione ebraica e ancora visite alla Sinagoga Centrale di Milano. Una proposta eterogenea con un doppio filo conduttore: Pesach e il concetto della libertà da una parte - tema di questa edizione di Jewish and the City (13-16 settembre) - la donna, argomento al centro della quindicesima Giornata Europea della Cultura Ebraica celebrata ieri, dall'altra.
   Tra gli appuntamenti più seguiti, la lezione di rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, che si è soffermato sul ruolo delle donne nella Haggadah. Nel racconto di Pesach, figure di grande rilievo sono Miriam, ricorda il rav, sorella di Mosé, e la figlia del faraone che con le loro scelte salveranno la vita di Mosé. L'esempio della figlia del faraone è particolarmente attuale, sottolinea rav Arbib, "è la prima a liberarsi dalla schiavitù dell'Egitto: si ribella al padre, al faraone, si ribella alla persecuzione contro gli ebrei, ed è la prima che comincia il cammino che poi percorrerà il popolo ebraico verso la libertà con l'uscita dall'Egitto". Anche rav Roberto Della Rocca, direttore scientifico di Jewish and the City nonché direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nel corso dell'incontro "Moshé il condottiero" - cui hanno partecipato Antonio Calabrò, David Fargion e Giovanni Battista Storti - ha fatto riferimento alla figura della figlia del Faraone. "Mosè è indicato nella letteratura rabbinica con dieci nomi ma sarà conosciuto con il nome datogli da Batia figlia del Faraone, che diventerà la madre adottiva del nostro Maestro - ha spiegato il rav - Mosè porta quindi nel suo nome e nella sua identità il valore della riconoscenza per la figlia del suo maggior persecutore che in un momento terribilmente drammatico per il popolo ebraico gli salva la vita. Questo insegnamento fondamentale nella storia dell'Esodo ci indica, fin dagli esordi di questa paradigmatica evoluzione, una nuova etica che mette in grande risalto il gesto di coraggio e di solidarietà di una donna che, pur di salvare un bambino innocente, si mette contro suo padre e il suo sistema, divenendo esempio e metafora di tutte quelle minoranze che agiscono e che rifiutano di omologarsi a logiche totalitarie". È la prima Giusta tra le Nazioni, sottolinea il rav che poi si rivolge al pubblico, "pensate cosa sarebbe successo se la figlia di Mussolini si fosse ribellata nel 1938?.
   C'è chi dall'Egitto, ancora oggi, non è riuscito ad uscire, a liberarsi da una condizione di schiavitù imposta e su cui troppo spesso è caduto il silenzio: sono le donne e gli uomini di cui hanno parlato Don Gino Rigoldi, Alessandro Leogrande, Linda Laura Sabbadini, Tobia Zevi e Gad Lazarov. Sono gli emarginati delle periferie milanesi, sono le donne vittime di violenza e di una cultura machista, sono i braccianti in mano ai caporalati nel Meridione d'Italia.
   Ma non è stata solo una giornata per i grandi, è lo dimostra il successo delle iniziative per i più piccoli come il laboratorio scientifico Lievito Microscopico Amico curato Daniela Ovadia e Chiara Segre o quello sull'Haggadah tenuto da Laila Efrati e Michelle Nahum Sembir.

(moked, 15 settembre 2014)


Contestatori contestati

Duecento riservisti dell'intelligence militare rispondono con "sgomento e disgusto" alla lettera "piena di bugie" di 43 loro colleghi.

Dopo che venerdì scorso 43 soldati riservisti dell'Unità di intelligence 8200 delle Forze di Difesa israeliane hanno pubblicamente dichiarato in una lettera che per ragioni morali intendono rifiutarsi di intercettare i palestinesi nei Territori, 200 soldati della stessa unità d'élite hanno diffuso una contro-lettera in cui prendono le distanze dalle rimostranze dei loro colleghi.
La lettera inviata venerdì scorso dai 43 soldati della celebre Unità di intelligence al capo di stato maggiore Benny Gantz e al primo ministro Benjamin Netanyahu diceva: "Noi riservisti e veterani dell'Unità 8200 dichiariamo che ci rifiutiamo di prendere parte in attività contro i palestinesi e ci rifiutiamo di essere strumenti per accrescere il controllo militare nei territori occupati"....

(israele.net, 15 settembre 2014)


Lockheed Martin: crea una divisione israeliana

Si occupera' soprattutto di cybersicurezza

NEW YORK - Lockheed Martin ha annunciato di aver formato una divisone in Israele. In questo modo scrive DowJones la piu' grande azienda del settore della difesa per vendite spera di avere nuovi contratti nel Paese ebraico. Lockheed Martin Israel si focalizzera' sulla cybersicurezza ha detto Haden Lan, vicepresidente del settore ricerca e tecnologia del colosso americano che in Israele starebbe anche cercando nuove partnership, investimenti e possibili acquisizioni. Proprio in Israele Lockheed Martin starebbe cercando di vincere un contratto con il ministero della Difesa per spostare la sua divisione tecnologica da Tel Aviv nella nuova sede di Beersheba, nel sud del Paese.

(Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2014)


Cinque stelle, quattro in condotta, zero in storia

La faciloneria e il semplicismo di chi non conosce il passato e giudica i conflitti restandosene comodamente al riparo.

di Ugo Volli

Ha fatto rumore, un paio di settimane fa, l'ennesima sparata del grillino di turno, in appoggio al terrorismo: "Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. È triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche non violente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto né giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore". L'onorevole Di Battista (questo il nome dell'illuminato personaggio) non si riferiva per una volta al terrorismo contro Israele, ma all'Isis, quella funebre formazione che si è proclamata califfato (che per chi non lo sapesse, è un'istituzione religiosa: "khalifa" significa successore, del profeta, naturalmente) e che pratica il genocidio di cristiani, yazidi e altri "infedeli". Ciò nonostante le sue dichiarazioni sono utili a
Israele non è solo lo Stato degli ebrei, è l'ebreo degli Stati e viene trattato come gli ebrei venivano trattati durante l'esilio: ghettiz- zato, discriminato, boicottato, sospettato di crimini ridicoli e spesso infamanti.
capire la ragione per cui tanti "progressisti" politici e religiosi si schierano contro Israele e quindi vanno considerate con attenzione. Nell'anti-israelismo e nell'antisionismo c'è spesso una base tradizionalmente antisemita, questo è chiaro. Israele non è solo lo Stato degli ebrei, è l'ebreo degli Stati e viene trattato come gli ebrei venivano trattati durante l'esilio: ghettizzato, discriminato, boicottato, sospettato di crimini ridicoli e spesso infamanti, come "ammazzare bambini".
Grazie a un millennio e mezzo e passa di martellante antigiudaismo cristiano, gli ebrei sono il gruppo che viene facile odiare e il loro Stato, che non doveva mai essere costituito secondo la sensibilità cristiana (perché l'esilio dell'ebreo errante faceva parte della punizione del "popolo deicida") segue la stessa sorte, unico fra gli stati del mondo. Ma oltre a questa radice teologico-politica, nello schieramento istintivo da parte di molta sinistra a favore del terrorismo arabo vi è qualcosa di più generale, che si ripercuote anche contro Israele: l'idea che bisogna schierarsi con loro, anche se usano metodi di lotta atroci e inumani, perché sono i "più deboli", "gli oppressi", e dunque i nuovi proletari, la "moltitudine" di cui parlava Toni Negri nel suo best seller internazionale "Impero". E' un atteggiamento così diffuso e irriflesso che non si può non farci i conti. Ma bisogna dire che esso è radicalmente sbagliato. E' sbagliato sul piano etico, naturalmente. Il drone o l'aereo che cerca di uccidere il terrorista può sbagliare naturalmente e coinvolgere persone che non c'entrano. In guerra è sempre successo, purtroppo e questo è un buon motivo per cercare di evitare le guerre, per tentare di risolvere le dispute sul piano pacifico. Ma il colpo mira a un bersaglio preciso, a un combattente nemico. Il terrorista suicida che si fa saltare nella metropolitana o, come è successo spesso in Israele, negli autobus nei caffè nei supermercati nei ristoranti non cerca neanche di distinguere, non si dà obiettivi militari, se la prende con la gente qualunque dall'altra parte della barricata. Lo stesso fanno i razzi di Hamas, le molotov e i sassi sulle macchine, gli accoltellamenti casuali, le stragi di civili di altra religione, magari dopo aver marcato la loro casa con un segno infamante come facevano i nazisti.
   C'è in questo modo di combattere l'idea, tipicamente razzista, che tutto l'altro popolo sia non solo nemico, ma degno di morire in massa, salvo che eventualmente si sottometta e si converta. Questo modo di combattere senza distinzione fra civili e militari è tipico dell'Islam, è all'origine del genocidio armeno e assiro, della distruzione dei greci che abitavano e avevano fondato le città della costa asiatica dell'Egeo che oggi si dicono turche, delle conquiste islamiche antiche della Spagna, dell'Africa del nord, della Mesopotamia. Ma in questo modo di vedere le cose vi sono anche degli errori di fatto. Non è vero che gli arabi siano gli "umili", i "deboli". Loro non si vedono affatto così. Storicamente hanno sempre pensato a se stessi come i signori e si battono per riconquistare questo ruolo, che considerano oggi provvisoriamente usurpato. Sono stati storicamente i più grandi colonialisti: partiti dalla penisola arabica deserta e spopolata, hanno conquistato e arabizzato mezzo mondo, accumulando ricchezze gigantesche depredate ai popoli che conquistavano e opprimevano, distruggendo la loro cultura e la loro economia. L'Africa del Nord era il granaio dell'Impero Romano, abitata da popolazioni berbere; la conquista araba le ha reso spopolate, incolte … e arabe; la Mesopotamia era abitata dai babilonesi, la Siria dagli assiri, che parlavano l'aramaico,
Le regole del Corano sono tipicamente coloniali: gli indigeni conquistati sono inferiori, se non si conver- tono devono riscattare la loro sopravvivenza con umiliazioni legali e fiscali senza fine.
ora virtualmente estinto. L'Africa nera fu depredata dai mercanti di schiavi arabi, che per un certo periodo fornirono gli inglesi di carne umana per le colonie americane, ma molto più a lungo servirono il mercato domestico arabo.
Le regole del Corano sono tipicamente coloniali: gli indigeni conquistati sono inferiori, se non si convertono devono riscattare la loro sopravvivenza con umiliazioni legali e fiscali senza fine. Anche il territorio dell'antica Giudea e dell'attuale Israele è stato sottoposto a queste pratiche di arabizzazione forzata e anche di immigrazione islamica dall'Egitto, dall'Arabia Saudita, perfino dall'Anatolia e dal Caucaso. La "questione palestinese" in buona parte deriva da queste pratiche coloniali. E' facile mostrare che la "Nakbah" palestinese consiste esattamente in questa condizione di non essere più i padroni coloniali del Medio Oriente. Quanto alla miseria, essa è essenzialmente autoinflitta: non c'è regione al mondo che abbia guadagnato tanto senza sforzo nell'ultimo secolo, quanto i paesi arabi del Medio Oriente col petrolio. Quel che non ha funzionato è il meccanismo di redistribuzione, di diversificazione, di investimento. I ceti dominanti arabi hanno usato questo denaro per godere di un lusso illimitato e non hanno pensato affatto a far vivere un'economia produttiva, a elevare la condizione di vita dei loro ceti popolari. I poveri arabi sono stati sfruttati, sì, ma dai loro capi, non dall'Occidente o da Israele. Con gli ebrei è accaduto l'opposto. Oppressi per secoli in terra di Israele dai loro colonizzatori arabi, trattati come gli ultimi, oppressi spesso sterminati sia nel mondo islamico che in quello cristiano, quando hanno potuto liberarsi hanno cercato di arrivare in Israele. Ci sono riusciti finalmente in massa a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, arrivando per lo più poverissimi, armati solo delle loro braccia, della loro intelligenza e del loro amore per la terra, aiutati in parte da donazioni degli ebrei europei più benestanti a comprare della terra che hanno sviluppato con straordinario successo. La creazione di Israele è un atto di decolonizzazione sia dagli occupanti britannici che dai colonialisti arabi.
   Il benessere attuale di Israele è la dimostrazione che un territorio desertico e desolato può essere reso fruttuoso col lavoro e che il fattore umano è almeno altrettanto importante per l'economia della ricchezza delle materie prime. L'odio arabo per Israele è in buona parte invidia, volontà predonesca di prendersi i beni che sono stati accumulati con la fatica di generazioni - invece di rimboccarsi le maniche e costruirli a propria volta. Gli ebrei sono odiati dagli arabi perché erano oppressi erano schiavi e si sono emancipati. I progressisti dovrebbero stare dalla parte di una società di schiavi liberati (come già Israele fu all'uscita dall'Egitto). Ma la miopia ideologica impedisce di vedere le radici storiche dei problemi e ne coglie solo gli aspetti superficiali: i "poveri" palestinesi che rivendicano una terra "loro" (cioè che una volta occupavano come colonialisti, o piuttosto emanazione locale dei colonialisti turchi) e dato che l'esercito israeliano ha il torto di impedire loro di ammazzare liberamente gli ebrei, si danno, poverini, al terrorismo.

(Shalom, 15 settembre 2014)


L'èra del califfo

Bat Ye'or, la storica che predisse il "Califfato universale" spiega l'errore europeo su islam e cristiani.

di Matteo Matzuzzi

Ibrahim Awwad al Badri
ROMA. "E' una catastrofe, una tragedia colossale sul piano umano, storico e della civilizzazione". Bat Ye'or, in ebraico "Figlia del Nilo", fuggita dall'Egitto nel 1955, è autrice di bestseller come "Eurabia" (Lindau, 2006) e "Verso il califfato universale" (2008). Con il Foglio commenta l'esodo dei cristiani da Mosul, città caduta in mano alle milizie del califfo al Baghdadi: "Questi fatti ci dimostrano che ormai viviamo nel tempo del Corano. Un tempo diverso dal nostro. Il tempo del Corano non cambia, rimane sempre arroccato sulla parola del Profeta, sui suoi gesti e comportamenti. Leggendo le dichiarazioni del nuovo Califfato, riconosco gli stessi discorsi fatti nel Settimo secolo durante le guerre contro gli infedeli. E' la stessa mentalità, la stessa rigidità.
    Nulla è cambiato: ciò che vediamo oggi spiega gli eventi del passato". A cosa si riferisca, Bat Ye'or lo spiega subito: "Parlo dei massacri per le conquiste, del terrore che faceva fuggire interi popoli, dei saccheggi, della legge della dhimmitudine e di tutti quei processi di islamizzazione che ho esaminato nel mio libro 'Il declino della cristianità sotto l'Islam' (Lindau, 2009)". La nostra interlocutrice è stata la prima a porre il tema della dhimmitudine, condizione teologica, politica e giuridica legata inesorabilmente all'oppressione e alla persecuzione degli infedeli: "Sono stata attaccata in modo feroce per aver forgiato questa espressione, volta a spiegare la relazione fra musulmani e non musulmani. Ho mostrato che non vi era tutta quella tolleranza che andavano sbandierando i poteri politici europei, obbedienti all'Organizzazione della cooperazione islamica (Oci). Sono molti i motivi - aggiunge - che spiegano il senso di sottomissione delle comunità cristiane. C'è naturalmente il senso di paura, di vulnerabilità. C'è il trauma di tredici secoli di massacri e terrore. Ma non si deve dimenticare che queste comunità sono state abbandonate dai paesi europei nel corso del Ventesimo secolo.
    Paesi che non hanno protetto gli armeni, che all'Armenia indipendente hanno preferito la Turchia. E lo stesso vale per i greci massacrati dai turchi. I paesi europei non volevano proteggere i cristiani, volevano usarli. Vedevano in loro uno strumento per modernizzare e occidentalizzare la mentalità musulmana, la società, l'islam". Si pensi solo a quanto accadde tra il 1950 e il 1980, quando "l'Europa voleva costruire con i cristiani del Levante un ponte verso i paesi musulmani e arabi, e lottava contro i nazionalismi dei cristiani dhimmi. L'Europa andava dicendo che che la buona integrazione dei cristiani nella società musulmana era la prova della correttezza della sua politica di fusione con il mondo arabo. Era nient'altro che il fondamento di Eurabia, dell'immigrazione massiccia. Nonché un argomento permanente della sua lotta contro Israele".
    Vi era una disposizione precisa, spiega la saggista, data ai cristiani dei paesi musulmani da parte dei poteri europei, delle loro chiese, dei notabili: "Integrarsi nelle società musulmane, essere più arabi degli arabi, odiare Israele e allearsi con i palestinesi. Questa scelta rappresentava la loro unica garanzia di sopravvivenza nei paesi musulmani. Sapevano molto bene che i paesi cristiani non li avrebbero protetti, che sarebbero stati sacrificati sul banco degli interessi dei musulmani". Eppure, di questo fenomeno, prima dell'esodo da Mosul, non se ne parlava. I motivi sono semplici, a giudizio di Bat Ye'or: "Tutta la politica mediterranea della Comunità europea, fin dal 1973, s'è fondata sulla tolleranza, l'amore per la pace e i princìpi umanitari dell'islam. La storia è stata reinterpretata e scritta per provare questa nuova dottrina. Tutti gli scrittori e gli storici che proponevano un'interpretazione diversa venivano attaccati. Nei miei libri mostravo che la scelta dell'Ue di unire la cultura alla politica sulla scia della suggestione di Javier Solana rappresentava un ritorno al fascismo".
    L'Europa, nota, "ha rigettato il cristianesimo per avvicinarsi sempre di più all'islam, e in questo rigetto rientrano anche l'odio verso Israele e l'alleanza con i suoi nemici". Le ragioni, però, sono anche altre, a cominciare dalla "distruzione dello stato nazionale, con le sue radici culturali, storiche e religiose; con le sue istituzioni democratiche". E poi, il silenzio fa comodo: "Perché parlare dei cristiani? Loro rappresentano la prova del fallimento della politica europea. Cosa che si deve celare. Dove sono gli eserciti dell'Europa che aiutino i cristiani e proteggano gli europei dal terrorismo? I nostri governanti ci hanno trasformato in mercenari del jihad". Sopra ogni altra cosa, però, osserva la nostra interlocutrice, "difendere i cristiani vittime del jihad significherebbe riconoscere che la lotta di Israele è giusta. Israele, popolo che l'Europa odia. Preferisce che muoiano i cristiani e l'Europa stessa piuttosto che vi sia un riavvicinamento a Israele. E più l'Europa respinge Israele, più non sarà in grado di combattare per la sopravvivenza, dal momento che Israele è la sua stessa anima e forza".

(Il Foglio, 31 luglio 2014)


Allarme attentati in Europa

Con l’avvicinarsi delle festività ebraiche

Con l'avvicinarsi delle festività ebraiche del Nuovo anno, alla fine di questo mese, le autorità israeliane alla sicurezza hanno avvertito che cresce il pericolo di attentati islamici contro turisti israeliani in varie parti del mondo, fra cui l'Europa occidentale. Le minacce incombenti - precisa il sito Ynet - giungono fra l'altro da combattenti dell'Isis, reduci da campi di battaglia mediorientali, nonché dagli Hezbollah libanesi, legati all'Iran.

(ANSA, 15 settembre 2014)


Comunità ebraica di Casale: domenica tutta al femminile

Per la mostra sulle Donne Ebree e per la storia di Gracia Mendes

di Alberto Angelino

CASALE MONFERRATO — Domenica 14 alle ore 11 in Sala Carmi, la "Giornata della cultura ebraica", inaugurata sabato con un concerto (e visite guidate per la Notte Rosa) " è proseguita con una mostra capace di esplorare l'altro filone che ha caratterizzato la stagione culturale casalese e cioè l'iterazione dell'ebraismo con la società italiana.
   Anche in questo caso con uno sguardo tutto femminile, si è aperta infatti Esposizione Fotografica "Donne ebree dell'Italia Unita" - Una storia per immagini, in collaborazione con la Fondazione CDEC. Il centro di documentazione ebraica contemporanea. Ventidue scatti che fanno parte di una collezione enorme di oltre 40.000 immagini che documentano le rappresentanti della vita politica e civile, ma anche persone comuni, insegnanti e madri soprattutto. Le loro storie, raccontate accanto a ciascuna foto parlano di quello straordinario percorso che dall'uscita del ghetto ha portato gli ebrei all'integrazione, per poi ripiombare nella segregazione delle leggi razziali. Per l'occasione la Comunità ha ospitato il nuovo assessore alla Cultura della Regione Piemonte Antonella Parigi, accanto a lei un parterre di autorità tutto al femminile (ad eccezione del presidente della comunità Giorgio Ottolenghi e del vicepresidente Elio Carmi): il sindaco di Casale Titti Palazzetti, l'Assessore Comunale Daria Carmi, l'Onorevole Cristina Bargero e Claudia De Benedetti in rappresentanza dell'UCEI. Tutte hanno ricordato l'importanza storica e sociale delle comunità casalese in generale e il ruolo fondamentale delle donne nell'ebraismo. Un auspicio anche a lavorare per far conoscere sempre di più gli straordinari tesori custoditi i vicolo Salomone Olper.
   Alle 16 nel cortile delle Cortile Api la giornata si è conclusa con una presentazione letteraria. Annie Sacerdoti ha commentato "L'ebrea errante"di Edgarda Ferri, Edito da le Scie-Mondadori. In un periodo molto fecondo di romanzi storici, ricchi di complotti e colpi di scena la storia di Gracia Mendes, nata in Portogallo nel 1510, ebrea di nascita e fede ha un pregio in più: quello di essere reale.
   Sposata con un ricco mercante, convertita forzatamente a causa delle persecuzioni spagnole portò a lungo il nome cristiano di Beatrice de Luna. La prima fuga nel 1528 quando, per evitare il matrimonio forzato della figlia, si trasferì nelle Fiandre e iniziò ad aiutare gli ebrei perseguitati dall'inquisizione portoghese. Andò poi a vivere a Venezia e infine a Ferrara, dove dichiarò apertamente la propria fede e prese il nome di Grazia Nasi, continuando ad assistere gli ebrei perseguitati.
   Per tutta la giornata a partire dal mattino, la comunità ha ospitato il mercatino di libri ebraici sul tema delle donne e di prodotti kasher (immancabili i Krumiri Rossi di Portinaro, dolce tipico di Casale Monferrato ) in collaborazione con la Libreria Il Labirinto.

(Il Monferrato, 15 settembre 2014)


Roma - Chef Laura Ravaioli spiega il 'mangiare ebraico'

Tanti i piatti tipici italiani di insospettabile origine ebraica

 
Laura Ravioli all'opera
Le orecchiette pugliesi? Provengono dalla tradizione ebraica. Come anche la crostata di ricotta e visciole, che figura nei menù di tutte le osterie romane. Da nord a sud Italia, tanti sono i piatti di larghissimo consumo che hanno un'insospettabile origine ebraica.
Lo ha spiegato ieri a Roma Laura Ravaioli, chef e volto storico di Gambero Rosso Channel, esperta di cucina giudaica, intervenuta al Festival internazionale di letteratura e cultura ebraica. "Il mangiare ebraico - ha sottolineato la chef - non è tanto un insieme di ricette: quanto, piuttosto, un modo di pensare e trattare il cibo. Le tradizioni culinarie sono tante quante le comunità ebraiche sparse in tutto il mondo, e ogni famiglia tramanda le proprie varianti dei piatti più popolari. Ma in questa enorme varietà di sapori e ingredienti c'è un filo rosso indissolubile: la 'kasherut'". Vale a dire la necessità di rispettare i precetti contenuti nella Bibbia, che indica chiaramente cosa e come si può mangiare e cucinare. Queste regole, pur codificatissime e molto minuziose, lasciano però spazio a gusto, ingegno e creatività. Quello che mangiano gli ebrei tripolini (nordafricani) non è quello che si trova sulle tavole degli ebrei ashkenaziti (Europa centro-orientale). "In Italia, per esempio, c'è una divisione netta tra le comunità ebraiche del nord e quelle del sud. Le prime utilizzano grasso d'oca, le seconde olio d'oliva". Sulla centralità del vino, invece, sono tutti d'accordo. "Nella Bibbia il 'frutto della vite' viene nominato 141 volte. L'importanza rituale e liturgica del vino è evidente a partire dalla cena di shabat, il sabato di riposo degli ebrei". Il venerdì sera, quando inizia lo shabat, le famiglie si ritrovano a tavola insieme. Prima di iniziare a mangiare, si fa il kiddush, la santificazione del sabato, e si benedicono vino e pane.
Anche quest'ultimo alimento, il pane, ha un posto speciale nella tradizione culinaria ebraica. "E' considerato pietra miliare dell'alimentazione, quindi fondamento della vita, e richiede speciali benedizioni quando si consuma. Il pane del sabato si chiama challah, di norma si prepara in casa e portarlo in tavola è una soddisfazione".
Un'altra fonte di grande soddisfazione, aggiunge Ravaioli, sono le polpette. "La cucina ebraica è una cucina per sottrazione.
Certe classi di alimenti sono vietate (ad esempio, sono 24 le specie di volatili proibite), come anche determinate preparazioni. Alcuni ingredienti mancano: non potendo mischiare carne e latte, per fare le polpette non si può utilizzare il parmigiano, che notoriamente è un ottimo per insaporire. Ma è proprio in casi come questi che interviene la mano e l'ingegno delle mamme e nonne ebree. Le quali, nel rispetto dei precetti biblici, riescono a cucinare piatti deliziosi. Dell'ingrediente che non c'è non si sente la mancanza. Basta assaggiare le polpette al sedano (piatto della cucina giudaico-romanesca, ndr) per rendersene conto".

(ANSAmed, 15 settembre 2014)


Oltremare - Auguri dall'alto
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”
“In piazza e fuori”
“Dopoguerra”
“Scuola in guerra”
“Nuovo mese”
“Dafka adesso”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

A New York basta alzare gli occhi e guardare la cima dell'Empire State Building per sapere se è un giorno speciale: rosa per la ricerca sul cancro, rosso bianco e blu per le feste nazionali americane, ma anche arancione per la World Food Bank, oppure del colore scelto da un innamorato sufficientemente ricco da fare la richiesta di colore privato per un anniversario importante.
Noi a Tel Aviv siamo arrivati parecchio dopo, e non abbiamo un colossale Empire da colorare a piacimento, ma abbiamo il palazzo della Yirià (Municipio) in pieno centro, su Kikar Rabin. Palazzo che se chiedete a qualunque telavivese anche entusiasta, anche appena sbarcato e quindi ancora in piena luna di miele con la città, è normalmente poco amato, se non del tutto ignorato. Vuoi mettere contro le svettanti tre torri di Azrieli? O con i bianchi cubetti Bauhaus che si stanno ristrutturando a effetto domino in tutta Tel Aviv? E anche io, che amo molto la Kikar per la centralità e socialità che rappresenta, trovo che la Yirià sia di una bruttezza rara, con tutto che è stata costruita nel 1964 e si pensi a quali orrori si costruivano in quegli anni in Italia, per dire.
Però ditemi voi dove altro nel mondo è il palazzo stesso del municipio (non uno schermo, non una scritta applicata) ad augurarmi buon anno, Shanà Tovà, e a disegnare una mela rossa con tanto di picciolo verde in cima. Eh, mica poco.
Da questa primavera, colorando i quadratini che incorniciano le finestre del palazzo, la Yirià marca ogni evento: una candela per Yom HaZikaron, giallo-blù per la vittoria del Maccabi agli Europei di basket, scritte beneauguranti durante la guerra, e adesso, l'augurio di buon anno. L'umile cittadino si domanderebbe magari quanto gli costa quella mela rossa cubitale, ma non roviniamo la magia e lasciamo che il sindaco ci faccia i suoi - probabilmente cari - auguri.

(moked, 15 settembre 2014)


Merkel a Berlino: «Gli ebrei sono parte dell'identità tedesca»

Manifestazione contro l'antisemitismo

di Paolo Lepri

BERLINO — In Germania non c'è spazio per l'antisemitismo, «una minaccia per la libertà di tutti». E stato un «no» molto netto, che ha radici profonde nella memoria del passato e si proietta in un futuro da vivere nel segno della tolleranza, quello che Angela Merkel ha pronunciato ieri. «Mai più odio contro gli ebrei», era la parola d'ordine della grande manifestazione svoltasi alla Porta di Brandeburgo e sono rimasti pochi dubbi sulla volontà del governo di combattere con forza il risorgere di un fenomeno vecchio e nuovo, alimentato in questi ultimi mesi dalle proteste anti-israeliane organizzate da settori della comunità islamica. «L'ebraismo è parte della nostra identità», ha detto la cancelliera. Quindi, «chiunque colpisce chi indossa una kippah colpisce tutti noi, chi distrugge una tomba distrugge la nostra cultura, chi attacca una sinagoga attacca le basi della nostra società libera». Stroncare tutto questo «è un dovere civico, un obbligo dello Stato».
   Il discorso della cancelleria, più volte interrotto da applausi, è iniziato proprio con un omaggio agli ebrei che vivono in Germania (è l'unica comunità aumentata di dimensioni in un Paese europeo) e che hanno fatto una scelta impensabile qualche decennio fa. «Sono oltre centomila si tratta di un miracolo — ha detto — e di un regalo che ci riempie di gratitudine». Proprio per questo è «uno scandalo» che oggi non si sentano più sicuri. È «inaccettabile», ha proseguito, che gli ebrei vengano minacciati e aggrediti e che le manifestazioni filo-palestinesi si trasformino in esibizioni di odio, abusando del diritto alla libera espressione che è una caratteristica di una società aperta. La Germania, invece, è «la loro casa». Lo è diventata, è stato il ragionamento di Angela Merkel, «perché abbiamo sempre tramandato da generazione a generazione la memoria e la conoscenza di quel capitolo terribile della nostra storia che è stato l'Olocausto». L'allarme della comunità israelitica in Germania ha trovato così risposta. Ieri se ne è fatto nuovamente interprete il presidente del consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Dieter Graumann, che ha denunciato il clima di intimidazione sempre più minaccioso e il fatto che «slogan antisemiti così violenti non risuonavano nelle strade delle nostre città da molti decenni». Le sue parole erano state precedute da quelle del rabbino Daniel Alter che aveva denunciato lo stato di «forte angoscia» di un numero sempre crescente di persone, molte delle quali «stanno pensando di tornare in Israele», e aveva ricordato un sondaggio secondo cui il venticinque per cento dei tedeschi avrebbe sentimenti antisemiti latenti. Una cifra, questa, che raddoppia nella comunità islamica. Nel giugno e luglio di quest'anno gli atti di antisemitismo sono stati 159, tra cui l'incendio di una sinagoga a Wuppertal e l'aggressione a un uomo che indossava una kippah a Berlino. Slogan violenti sono stati gridati in decine di manifestazioni e la scritta «Ilamas, ebrei al gas» è stata tracciata a pochi metri della sinagoga berlinese di Orianeburger Strasse.
   E' probabile che il governo tedesco, impegnato nel sostenere campagne per promuovere la convivenza, prenda nuove iniziative nella prevenzione dell'estremismo anti-ebraico. In ogni caso, come ha riconosciuto Graumann, da Berlino è arrivato «un segnale importante». E una dimostrazione di unità, si potrebbe aggiungere, perché alla manifestazione (alla quale hanno partecipato il presidente Joachim Gauck e i ministri più importanti della grande coalizione) hanno aderito tutti i partiti, anche la Linke e i Verdi, le due forze di opposizione rappresentate in Parlamento. Non è un caso che, parlando con il Corriere, il leader storico degli ambientalisti, l'ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, abbia elogiato il discorso della cancelliera perché «combattere l'antisemitismo è un dovere, soprattutto per noi». «Anche se il pericolo è forse maggiore in Europa che non in Germania», ha aggiunto. intanto, però, i tedeschi hanno dato l'esempio.

(Corriere della Sera, 15 settembre 2014)


Finalmente una presa di posizione netta contro l’antisemitismo, e non contro il generico “razzismo” che facilmente gli islamici e i filo-palestinesi attribuiscono non a loro ma agli ebrei e a Israele.


Antisemitismo: a Bruxelles riapre il Museo Ebraico

A Berlino si manifesta

 
Protetto da misure di sicurezza supplementari, a tre mesi e mezzo dall'attentato del 24 maggio scorso in cui persero la vita quattro persone, ha riaperto domenica a Bruxelles il Museo Ebraico, alla presenza del premier belga, Elio di Rupo. Una data, quella del 14 settembre, non scelta a caso: si celebra infatti la quindicesima Giornata Europea della Cultura Ebraica. Il presidente della Lega Belga contro l'Antisemitismo, spiega che la conoscenza è alla base di tutto: "Non si combatte quello che si conosce. E dunque è importante che un museo possa inviare questo messaggio, possa fare della pedagogia, possa spiegare ciò che è la cultura ebraica, questo permetterà di portare un pò di luce alle spinte oscurantiste". Sulla facciata del museo, una targa in memoria delle vittime dell'attentato. "La riapertura del Museo è stata possibile dopo che il Pubblico Ministero ha ricevuto le dovute garanzie che non sarebbe stata pregiudicata la ricostruzione del crimine che è ancora in corso e che presto sarà ultimata come parte dell'inchiesta ancora aperta", dice l'inviata di euronews, Isabel Marques da Silva. Nel frattempo a Berlino il consiglio centrale della comunità ebraica tedesca ha organizzato una grande manifestazione contro l'antisemitismo davanti alla Porta di Brandeburgo. Presenti il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente della Repubblica federale di Germania, Gauck. Le denunce circa il clima di antisemitismo diffuso in Germania, e più in generale in Europa, dunque, non sono rimaste inascoltate dalle istituzioni.

(euronews, 15 settembre 2014)


Folla al tempio ebraico «La libertà è dire "no" a deliri e convenzioni»

Continua «Jewish and the city», la seconda edizione del festival internazionale di cultura ebraica che ha aperto alla cittadinanza i luoghi della comunità milanese. Ieri folla nella sinagoga di via della Guastalla per le visite gratuite, oltre alle presenze istituzionali. II rabbino Arbib al festival in sinagoga.

di Paola D'Amico

«Essere capaci di non assuefarsi ai deliri collettivi, di dire no e di pensare con la propria testa»: questa è la libertà secondo il rabbino capo della Comunità ebraica milanese, rav Alfonso Arbib. «La schiavitù ha un grande fascino, c'è qualcuno che ti dice cosa fare e cosa pensare», aggiunge parlando in un tempio affollato, in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, che coincide con la seconda giornata del festival «Jewish and the city», promosso dalla comunità ebraica in collaborazione con il Comune.
   E' il tema della libertà, attraverso il racconto dell'esodo dall'Egitto, sarà al centro della terza giornata del Festival: stasera a discuteme saranno manager, filosofi, scrittori, rabbini, monsignori (ore 17, Fondazione Corriere). A rompere l'armonia della giornata, deliranti immagini antisemite in manifesti affissi dal Movimento Nazional Socialista dei Lavoratori (uno dei fondatori e altri tre attivisti erano già stati denunciati dalla polizia). «Parole sconcertanti e deliranty , ha commentato il consigliere Manfredi Palmen.
   Ieri mattina, dopo Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica, e l'assessore alla cultura Daniele Cohen, il sindaco Giuliano Pisapia è intervenuto alla Sinagoga di via della Guastalla «Jewish and the city veicola il messaggio che la cultura e la conoscenza possono essere strumenti efficaci per evitare dissidi e guerre. Stiamo vincendo la scommessa di essere uniti anche nelle differenze ed è importante che in tempi di guerre e focolai di crisi coloro che vogliono la pace e il dialogo stiano insieme nel solco dell'interculturalità». Concetto ripreso poche ore più tardi, al pranzo alla cooperativa di Rogoredo, quando è stato raggiunto dalla cantante Noa. Davanti a un piatto di paella, il sindaco e l'artista hanno concordato sulla partecipazione di Noa ad Expo, con un concerto che si dovrà tenere nella città, fuori dai padiglioni dell'Esposizione. Ieri sera Noa ha partecipato a una maratona di pensiero, musica, immagini al teatro Parenti, con rav Benedetto Camcci Viterbi, studioso di ermeneutica, Lucia Castellano, lo psicanalista Luigi Zoja, la musicista Nathalia Romanenko, il regista Ruggero Gabbai.
   Presenti in Sinagoga, in mattinata, i rappresentanti di Provincia, Guido Podestà, Regione, Massimo Garavaglia, il parlamentare Pd Emanuele Fiano, gli assessori marco Granelli, Pier-francesco Majorino e Franco D'Alfonso. Grande folla fino a sera per le visite gratuite ma anche alla Rotonda della Besana e alla Società Umanitaria, dove accanto ai dibattiti si sono tenuti laboratori mirati per i visitatori più piccoli. In coda, poi, al teatro Parenti, nel pomeriggio, per partecipare agli show di cucina ebraica di Benedetta Guetta e Manuel Kanah, autori del blog labna.it e, alle 19, per la lectio magistralis dedicata alla libertà di Salvatore Veca, professore di Filosofia politica e autore di una lucida interpretazione sul significato della libertà democratica.

(Corriere della Sera, 15 settembre 2014)


In piazza contro l'antisemitismo

Una manifestazione è stata indetta a Berlino davanti alla Porta di Brandenburgo. La protesta fa seguito a diversi episodi di intolleranza.

"Mai e poi mai mi sarei immaginato di dover manifestare in Germania contro l'antisemitismo". Sono parole di Dieter Graumann, il presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei, intervenuto domenica alla dimostrazione contro l'antisemitismo di Berlino.
Alla protesta davanti alla storica Porta di Brandeburgo, che fa seguito a diversi episodi di intolleranza avvenuti sulla scia della guerra a Gaza, hanno partecipato anche la cancelliera, Angela Merkel, il capo dello Stato, Joachim Gauck e il leader Spd e vicecancelliere, Sigmar Gabriel.
"Adesso basta", ha tuonato Graumann riferendosi ai "peggiori slogan antisemiti risuonati nelle strade tedesche da molti decenni". Frasi come "gli ebrei dovrebbero essere tutti gassati" non hanno nulla a che fare con la politica di Israele: "No, questo è puro antisemitismo, nient'altro".



(RSI News, 14 settembre 2014)


Una parte di Hollywood si schiera con Israele

Lettera aperta sul New York Times firmata anche da Stallone e Schwarzenegger. "Hamas non può colpire con una pioggia di razzi le città israeliane".

Almeno trecento attori e produttori di Hollywood sabato hanno acquistato un'intera pagina del New York Times per riaffermare il proprio sostegno a Israele sostenendo che Hamas sia "responsabile della devastante perdita di vite" avvenuta durante l'ultimo conflitto tra le due parti. Tra gli artisti che hanno firmato figurano Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Seth Rogen, Aaron Sorkin, Roseanne Barr, Sherry Lansing, Sarah Silverman e Kathy Ireland.
La pagina è firmata dalla Creative Community for Peace, un gruppo apolitico di artisti. Nella lettera aperta si sostiene che "Hamas non possa colpire con una pioggia di razzi le città israeliane e allo stesso tempo non possa tenere il suo stesso popolo in ostaggio". E ancora: "Gli ospedali servono per curare, non per nascondere armi. Le scuole servono per insegnare, non per lanciare missili. I bambini sono la nostra speranza, non i nostri scudi umani". Vi consigliamo un articolo di Haaretz.

(America24, 14 settembre 2014)


Jewish and the City. Il Seder conquista la città

 
MILANO - "Come a Pesach le porte rimangono aperte per accogliere Elia - afferma Miriam Camerini - così noi abbiamo aperto le porte di questo Seder molto particolare a tutta la città, a chi aveva fame di cultura e di conoscere le tradizioni ebraiche". E a giudicare dalla presenza di pubblico alla performance "Pesach: che cosa è cambiato?"- regia di Andrée Ruth Shammah - sono molti i milanesi che desiderano approfondire la propria conoscenza della cultura ebraica. Nella suggestiva cornice della Rotonda di via Besana, centinaia di persone si sono sedute attorno a lunghi tavoli per ascoltare, dalla voce di attori e non solo, il racconto di Pesach, desiderose di capire il perché, di generazione in generazione, gli ebrei ricordano nella cena del Seder l'uscita dall'Egitto, la liberazione dalla schiavitù. "È stato un Seder caotico e divertente come avviene nelle case ebraiche" afferma Camerini, che dello spettacolo ha curato la drammaturgia. "Una serata magica come sarà tutto Jewish and the city", ha dichiarato Daniele Cohen, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano. Perché la serata di ieri ha fatto da apripista ai quattro giorni del Festival di cultura ebraica, organizzato dalla Comunità ebraica locale in collaborazione con il Comune, che fino al 16 settembre sarà protagonista a Milano. Pesach e la libertà il tema centrale della rassegna, da qui l'idea di portare "in piazza" il Seder, "che per noi ha un significato profondo e prezioso", affermava ieri la regista Shammah. E dopo ieri molti più milanesi sono consapevoli del perché. Con loro tutta la Milano ebraica, a cominciare dal presidente della comunità Walker Maghnagi e dal direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Della Rocca, e un pubblico straripante ed entusiasta di cittadini. Anche grazie a rav Pierpaolo Pinhas Punturello, che alla fine della rappresentazione - in cui si è spiegato il significato del "perché questa sera è diversa da tutte le altre", con parole, musiche e canti - ha risposto alle domande del pubblico su Pesach e sull'ebraismo. Anche perché "il Seder non ha senso se non si parte dalle domande", sottolinea il rav.

(moked, 14 settembre 2014)


Il dovere di difenderci dalla violenza del Corano

di Magdi Cristiano Allam

"Combatteteli finché non ci sia più persecuzione e il culto sia reso solo ad Allah" (Corano, 2,193). È Allah che ordina ai musulmani di combattere per affermare l'islam ovunque nel mondo. L'autoproclamato califfo Abu Bakr Al Baghdadi, che ha un dottorato di ricerca in studi islamici, da buon musulmano vuole applicare alla lettera ciò che Allah ha prescritto: «Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la Gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità,finché non versino umilmente il tributo e siano soggiogati» (9,29).
Ora che, per la prima volta dalla dissoluzione del Califfato Ottomano nel 1924, Al Baghdadi ha proclamato lo Stato islamico su un territorio conquistato con il terrore a cavallo tra l'Irak e la Turchia, egli ha il dovere di proseguire la sottomissione del mondo intero fino al compimento del Califfato islamico globalizzato. Nella stessa direzione vanno i terroristi islamici che hanno proclamato il Califfato islamico in Nigeria e l'«Emirato islamico» di Bengasi. Malissimo fa Obama, da sempre filo-islamico, a sostenere che l'Isis (Stato Islamico dell'Irak e del Levante) «non è islamico, perché nessuna religione condona l'uccisione degli innocenti». Forse dimentica questo brano del Corano (8, 12-17): «Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! (...) Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi».
E' certamente opportuno coinvolgere anche i Paesi musulmani nella guerra al terrorismo islamico globalizzato, ma non al costo di legittimare l'islam e di continuare a sostenere altre fazioni islamiche che solo su un piano tattico sono rivali dell'Isis o di Al Qaida. Perché ricordiamoci che il Corano è unico, come è unico Maometto. Sono i musulmani che possono differenziarsi se si attengono letteralmente a quanto ha prescritto Allah oppure se condividono i valori fondanti della nostra umanità e le regole della civile convivenza.
Ebbene, devono essere gli Stati musulmani ad aderire ad una logica laica nella guerra al terrorismo islamico globalizzato, non l'Occidente laico a sottomettersi all'islamofilia. Potremo vincere questa Terza guerra mondiale soltanto se saremo consapevoli della sua specificità e se sapremo riscattare la certezza di chi siamo: persone fiere di fede e ragione e non sottomesse alla violenza di Allah, Patria della libertà e non terra di conquista.

(il Giornale, 14 settembre 2014)


Non solo carciofi alla giudia: cucina ebraica, il sapore dei ricordi

Al Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica un incontro sui piatti e le ricette della Comunità: per scoprire la tradizione sulle tavole, famiglia per famiglia.

di Luca Zanini

ROMA - Un weekend per riscoprire la cultura, l'arte, la musica e la cucina ebraica. Dopo la Notte della Cabbalà, in programma a Roma sabato 13 settembre, domenica ci sarà spazio anche per i sapori e i profumi della gastronomia kasher: in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, il 14 settembre si è tenuto al Palazzo della Cultura nel Ghetto un incontro sul «Mangiare in famiglia»; un'occasione per compiere un viaggio nella storia e nelle tradizioni culinarie della comunità. Non solo cucina giudaico romanesca ma suggestioni e ricette da tutto il mondo caratterizzano infatti il desco familiare degli ebrei a Roma. Ogni piatto, in ogni casa, ricorda le origini e le tradizioni. Ed è questa la chiave più affascinante - per i non ebrei - per scoprire la gastronomia ebraica: perché un tempo non esistevano ristoranti e osterie kasher, e le ricette si gustavano e tramandavano solo dietro le porte di casa.

LE FESTIVITÀ E I SEGRETI DELLA TAVOLA
 
«Il fenomeno della ristorazione kosher è molto recente - conferma la chef Laura Ravaioli, storico volto femminile di Gambero Rosso Channel - e il cibo ebraico si consuma soprattutto in famiglia, dove le festività (con i loro menu codificati e significanti) si vivono appieno». Ciò nonostante, per chi non ha la fortuna di poter mangiare in famiglia, in occasione del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica (dal 13 al 17 settembre), Arsial ha rieditato una interessante «Piccola Guida alla Cucina Giudaico-Romanesca», che ripercorre ricetta per ricetta i capisaldi della tradizione in cucina di una Comunità che a Roma vanta una presenza antica, certa e ininterrotta dal 161 a.e.v. (avanti era volgare, corrispondente circa al 160 avanti Cristo): dalla concia (marinata di zucchine) al pesce con uvetta e pinoli; dalle uova fritte nel miele ai torzelli di indivia; dalle cipolline con l'aceto alla Torta dei sette cieli.

COSA SI MANGIA AL DESCO FAMILIARE
Ma cosa si mangia in famiglia? Quali ricette caratterizzano le tavole della Comunità ebraica oltre i famosi «carciofi alla giudia»? Lo abbiamo chiesto a noti esponenti della comunità stessa, scavando tra i loro ricordi di infanzia hanno ricordato per noi cosa significa per loro un piatto. «Il mio preferito sono i 'pomodori a mezzo' - racconta Angelo Di Nepi, noto stilista - , trovo che dovrebbero avere un successo planetario: mia moglie ha imparato a farli da mia madre e mia nonna. Sono pomodori Casalino sbollentati per spellarli, poi tagliati a metà. Dopo averli leggermente spremuti, li si mette in teglia con l'interno verso l'alto e li si condisce con prezzemolo olio sale e aglio, poi li si inforna. Sembra una banalità ma sono straordinari, in forno si asciugano e hanno un sapore incredibile».

I FAGOTTINI E I TARTUFINI DI PURIM
Quanto alle feste, «il mio dolce preferito resta la Cazzola, un dolce giudaico romanesco a base di ricotta fresca uova e zucchero , dove quel che conta sono le grandi materie prime», ricorda Di Nepi. «Mia madre Rosalba è un'ottima cuoca, 82 enne ma ancora molto attiva - sottolinea Sandro Di Castro, presidente dell'Associazione Internazionale Benè Berith -: era una maestra del Rollé di pollo, il mio piatto preferito. Lei lo disossa, poi prepara un ripieno di uova, pangrattato, regaglie di pollo, pistacchi e pezzetti piccoli di salame o carne secca; lo arrotola tutto e lo mette al forno con la sua pelle. E' uno dei piatti che io ricordo con più gusto e quando lo faceva era una festa». Ma per Di Castro la memoria più dolce è quella dei Fagottini di pasta sfoglia con cioccolata fondente, mandorle e nocciole tritate: «Li faceva per la festa di Purim, li adoravo: cotti al forno mi pare, poi lasciati freddare... Con l'impasto che avanzava, mamma faceva i tartufini: bombe caloriche che tra i ragazzini (ma anche tra i grandi) andavano a ruba».

L'ESODO, IL ROLLÉ E IL KEBAB GARAZ
Non sempre è facile ricostruire le origini dei piatti di famiglia, che conservano traccia dell'esodo e dei viaggi di tanti ebrei: «Non so da dove arrivi il rollé, ma la mia famiglia è romana da generazioni, quindi è forse un piatto di tradizione - prova a ricostruire Di Castro -. Tuttavia il piatto più legato alla tradizione giudaico romanesca che io ricordi sono i Torzelli di indivia: l'indivia viene divisa in ciuffi, condita con olio, sale, pepe e aglio, e messa al forno. E tra gli altri ricordi - di nonna in questo caso - ci sono poi le Triglie con uvetta e pinoli, che venivano fatte per Rosh ha Shanà, il nostro capodanno ebraico». Più preciso è Moshé Silvera, un grande appassionato di vini, l'uomo che ha sdoganato i cru kosher facendo conoscere agli italiani i grandi rossi prodotti in Israele ma anche nel Belpaese («Adesso abbiamo fatto il Barolo kasher ed è uscito bene», dice): «Io non sono romano, sono un beduino - dice - e sono molto legato alla cucina medio orientale come famiglia. Che non è neppure la cucina tripolina, ma c'è. Purtroppo nessuno ha mai fatto un ristorante libanese o siriano kosher a Roma». Silvera svela la sua passione per i dolci di famiglia Màlabi e Riz bal hasal (una specie di budino di riso fatto con acqua di fiori d'arancio e mandorle), ma il suo piatto preferito «è senza dubbio il Kebab garaz: polpettine di carne cotte con le ciliegie». «Però dovreste provara anche la Kebbe libanese, una polpetta di carne dove si usa far l'esterno con pan grattato (farina di matzà), cotta al forno o fritta».

LE POLPETTINE DI PESCE TRIPOLINE
Nella memoria di Linda Guetta Hassan, che nel 2006 pubblicò uno splendido libro di ricette, la cucina familiare ebraica è quella dei 2 mila ebrei tripolini fuggiti dalla Libia nel 1967, dopo le persecuzioni seguite alla Guerra dei Sei Giorni. «Ci sono piatti della tradizione che mi riportano agli anni tripolini - raccontò al Corriere della Sera Linda, nonna di 14 nipoti cui aveva trasmesso i profumi e i sapori della propria infanzia - in particolare la Saefra (ndr. dolce di semola e miele) mi rammenta nonna Samina: la guardavo sempre cucinare». Il suo è il mondo delle cene del venerdì con tutta la famiglia unita (ancora oggi) in casa Hassan, con gli amici Leone Paserman e Riccardo Pacifici sedotti dai dolci, con Shalom Tesciuba (leader carismatico della comunità ebraica tripolina) conquistato dalle kèfcha (polpette di pesce) e kuskus aslùs. Una cucina che unisce arabi ed ebrei, come accadeva in Libia prima del ' 67, e che oggi sta acquistando sempre maggiore popolarità in Israele dove a fine anni ' 60 emigrarono altri 4 mila esuli della comunità ebraica libica.

(Corriere della Sera, 14 settembre 2014)


L'italiano che ha salvato l'arte dell'Olocausto

di Salvatore Giannella

 
Roberto Malini
Nei giorni in cui Milano si anima anche per il festival internazionale di cultura ebraica "Jewish and the City", fino a martedì 16 settembre, voglio raccontarvi la storia straordinaria di un italiano che, viaggiando in mezzo mondo e con l'aiuto della rete, è riuscito a recuperare (e a donare al Museo della Shoah a Roma) oltre 170 opere di artisti vittime dell'Olocausto. Il protagonista si chiama Roberto Malini, abita a Treviglio, nella Bergamasca, e il suo impegno straordinario nasce da lontano, da quando, ragazzo, ascoltò a scuola le parole di una sopravvissuta dai campi di sterminio nazisti. Parole come queste della scrittrice Elisa Springer, tornata viva da Auschwitz: "Non dimenticate la tragedia dell'Olocausto e diventate testimoni di pace". Di quell'invito perentorio, Roberto avrebbe fatto una delle sue ragioni di vita. Così, a partire dal 2000, ha ricostruito la storia degli artisti dell'Olocausto: insieme alle loro vite, ha raccolto dipinti, disegni e incisioni che testimoniano con i segni e i colori della memoria la cultura e lo sterminio di milioni di esseri umani.
    «La prima opera in assoluto l'ho comprata nel 2000 a Parigi: raffigurava un rabbino e proveniva dal ghetto di Lodz; era firmata da David Weiss e datata 1939. Quel giorno presentavo in una galleria di Parigi un portfolio di 30 incisioni che avevo realizzato sui bambini ebrei deportati. L'inaugurazione della mostra coincise con la finale del campionato europeo di calcio Italia-Francia, e l'evento sportivo fece sì che si presentassero pochi curiosi, perlopiù esponenti della comunità ebraica francese. Uno di loro mi portò in dono questa opera che volli comunque pagare».
Il resto l'hanno fatto i viaggi in mezzo mondo, nelle comunità ebraiche e nei principali musei, specialmente negli Stati Uniti e in Israele. Quando non viaggiava, Malini usava telefono e computer domestici. Così, amplificata dai messaggi in rete, si è concretizzata in poco più di un decennio l'«Operazione Salvataggio» di una vasta porzione di arte yiddish.
Malini proviene da una famiglia di antiche origini ebraiche: «Può darsi che sia rimasto qualcosa nel mio Dna. Il mio trisavolo era un Segala, cognome molto diffuso nel ghetto di Venezia nel '400, ma questo particolare l'ho scoperto solo dopo l'impegno preso con me stesso. Ho intrapreso il mio viaggio nella memoria sulle tracce degli artisti dell'Olocausto non solo per una curiosità storica, ma spinto dal sentimento, da un'identificazione con le vittime. Mi hanno fatto da bussola gli ammonimenti dei tanti testimoni che ho conosciuto e una frase del diario di Anna Frank: 'Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane'».
Il risultato del progetto «Artisti dell'Olocausto» è una collezione di oltre 170 opere eseguite da alcuni delle migliaia di artisti che morirono nei lager e da sopravvissuti alla persecuzione. Uomini e donne che lavorarono tra privazioni, umiliazioni e tormenti nei campi di concentramento o nella clandestinità. Tutte opere che Malini ha donato al Museo nazionale della Shoah a Roma, ricevendo il plauso del governo italiano. Nel 2015 i dipinti costituiranno il nucleo di una mostra internazionale a Villa Torlonia, antica residenza romana di Mussolini, dove sarà istituita la collezione permanente. Quelle opere d'arte dei testimoni dell'Olocausto non ci restituiscono solo la tragedia di milioni di morti e di un mondo perduto, ma anche un'eredità di speranza.

(Corriere della Sera - blog, 14 settembre 2014)


Israele: violinista suona durante l'operazione al cervello

di Alessandro Pignatelli

Violinista israeliana suona il violino durante l'intervento chirurgico al cervello.

"Adesso posso tornare a vivere". E' appena terminato un delicato intervento al cervello e la violinista israeliana Naomi Elishuw esulta: non solo l'operazione è andata bene, ma ora potrà riprendere a suonare come ai bei tempi. Aveva dovuto smettere, infatti, e lasciare l'orchestra a causa del tremore alle mani che non le permetteva più di accarezzare lo strumento.
Il video racconta la straordinaria operazione chirurgica, eseguita in anestesia locale, al cervello. Nel corso dell'intervento, i chirurghi hanno chiesto alla donna di suonare il violino per mantenere attivo il cervello e per testare, in tempo reale, i risultati di ciò che stavano facendo. La differenza c'è, eccome. E quando l'operazione è praticamente terminata, Naomi può riassaporare il gusto di dare voce alla sua creatività. Grazie alle mani che ora non tremano più.
Naturalmente, non c'è solo la sua grande passione. Ora, la violinista potrà riprendere la vita normale, che le era stata negata dalla malattia. Potrà bere un tè o scrivere una semplice lettera. Non è comunque la prima volta che un paziente viene operato per lo stesso disturbo e che suona durante le delicate manovre da parte dei chirurghi in sala operatoria.
Lo scorso agosto era capitato a Roger Fritsch, professore della Minnesota Orchestra. Anche lui era stato operato al cervello e aveva suonato il violino. Anche lui aveva eliminato il tremore alle mani. E, anche in questo caso, l'incredibile video aveva fatto il giro del web. Miracoli della volontà e delle tecniche chirurgiche che, al giorno d'oggi, hanno raggiunto assolute vette d'eccellenza.

(Blogosfere, 14 settembre 2014)


Riapre il museo ebraico di Bruxelles, rafforzata la sicurezza

Domenica 14 riaprirà le sue porte al pubblico il museo ebraico di Bruxelles, teatro dell'attentato in cui persero la vita quattro persone lo scorso 24 maggio. L'inaugurazione coincide con la 15esima Giornata europea della Cultura ebraica. Qualche giorno fa una targa commemorativa è stata affissa all'entrata del museo per ricordare le vittime: Myriam e Emmanuel Riva, Dominique Sabrier, e Alexandre Strens. Saranno presenti alla riapertura le autorità politiche, diplomatiche e religiose, oltre al primo ministro belga Elio Di Rupo che pronuncerà un discorso.
"Non vogliamo fare il gioco di certi estremisti che vorrebbero far tacere la cultura. Volevamo riaprire al più presto possibile, ma questo non è stato possibile, perché la giustizia deve prima fare il suo lavoro", ha detto a "Le Monde" Philippe Blondin, presidente del museo situato nel cuore della capitale belga.
In vista della riapertura al pubblico sono state rafforzate le misure di sicurezza, con la presenza di poliziotti nei pressi dell'edificio. "Non si tratta di aver paura, ma questa volta dobbiamo prendere delle misure di sicurezza - ha proseguito il presidente - Non vogliamo trasformare questo edificio in un santuario. Si riprenderà l'attività museale, come prima, ma con maggior determinazione a fare scoprire la cultura ebraica al pubblico".
Intanto un tribunale di Bruxelles ha prolungato di tre mesi la detenzione di Mehdi Nemmouche, il franco-algerino arrestato il 30 maggio scorso a Marsiglia con l'accusa di essere il responsabile dell'attentato. Estradato in Belgio a luglio, il 29enne aveva trascorso un periodo in Siria come combattente a fianco degli jihadisti. Un giornalista francese che è stato tenuto prigioniero per vari mesi ad Aleppo, Nicolas Henin del magazine Le Point, lo ha riconosciuto come uno dei suoi carcerieri.

(Adnkronos, 13 settembre 2014)


Dalla Bibbia allo slang di Tel Aviv

L'interesse per l'ebraico è in continuo aumento, ma in Italia mancano le strutture in grado di insegnarlo. Un'eccezione in tal senso è l'Ulpàn di Milano, attivo dagli anni '70. Attraverso i suoi corsi di lingua, grammatica e lettura testi, storia e pensiero, ebrei e non ebrei possono approfondire la conoscenza d'Israele e della cultura ebraica. I moduli per l'apprendimento dell'ebraico sono due: «Corso di lingua corrente: metodo "Ulpàn"» e «Corso di grammatica e lettura testi». Entrambi sono tenuti da docenti israeliani madrelingua costantemente aggiornati sugli strumenti didattici più avanzati.

Il Corso di LINGUA CORRENTE secondo il metodo Ulpàn non richiede conoscenze preliminari né predisposizione per le lingue.
Si tratta di un sistema intuitivo e piacevole, nato in Israele nel 1949 per consentire ai nuovi immigrati di imparare rapidamente l'ebraico.
Lo studente è coinvolto in modo attivo e sin dalla prima lezione parla, legge e scrive. I libri di testo sono gli stessi usati in Israele, ma il metodo è stato adattato alle esigenze dello studente italiano. Sono disponibili diversi livelli, a partire dai principianti assoluti.

Il Corso di GRAMMATICA E LETTURA TESTI insegna ad affrontare in modo autonomo opere di qualsiasi epoca attraverso lo studio sistematico e progressivo della fonetica, della fonologia, della morfologia e della sintassi dell' ebraico.
In questo modo svela la forma mentis e l'universo culturale di cui questa lingua è espressione. Una volta scelto un testo, gli studenti leggono a turno l'originale e propongono la traduzione fatta a casa. Dal confronto con l'insegnante emergono richiami ad altre lingue semitiche e all'etimologia delle parole.
Le lezioni si svolgono in italiano e sono riservate a chi già ha qualche conoscenza di ebraico o frequenta i nostri corsi preparatori.

Il Corso di STORIA E PENSIERO EBRAICO completa l'offerta dell'Ulpàn.
Alcuni esempi di argomenti trattati in passato sono: "Una difficile modernità: gli ebrei tra '500 e '600", "Il sionismo: le idee, le pratiche, i vissuti", "Il pensiero filosofico ebraico medievale e contemporaneo con un intermezzo su Spinoza", "Gli ebrei — l'ebraismo — il cinema".

www scuola di lingua ebraica.it
Tel. 02 76016354 (lun.-ven., 9.30-12.30)
fedsion@libero.it

(la Repubblica - Milano, 14 settembre 2014)




Sono aperte le iscrizioni per l'anno 2014/2015
ai corsi di lingua ebraica,
storia, religione e cultura Ebraico-Israeliana.










 

No, il male non è banale

Ecco il vero Eichmann. Un "idealista" convinto che il mondo sarebbe stato migliore senza ebrei.

di Giulio Meotti

Non c'è tentazione più grande che addomesticare un assassino di massa imputando i suoi delitti agli infantili fantasmi domestici. Ma è falso che da bambino Adolf Eichmann fosse infelice e disadattato, che fosse uno studente problematico, scostante e solitario, un ragazzino sessualmente inibito, frustrato dalle crisi finanziarie del padre. Eppure, sul regista della "Soluzione finale" abbiamo letto ogni tipo di interpretazione psicologica che mirava a farne uno di noi. Anche su Adolf Hitler si è perso il conto, dal testicolo mancante alle relazioni incestuose, fino al parente ebreo, l'ondinismo e l'escretofilia.
   Basta leggere il resoconto che la Stampa di Torino pubblicò durante il processo ad Adolf Eichmann che si svolse a Gerusalemme: "Nella persecuzione antiebraica quest'uomo meschino, inetto negli studi e nel lavoro, cercò una rivincita atroce al suo complesso di inferiorità: sui rancori dei piccoli borghesi i fascisti hanno costruito la loro fortuna; nelle schiere amareggiate dei falliti hanno trovato le loro truppe d'assalto. Proprio la miseria morale ha fatto di Eichmann uno fra i più atroci criminali del nazismo".
   Per cinquant'anni, da quando il colonnello delle SS Adolf Eichmann venne impiccato dagli israeliani e le sue
L'architetto dell'Olocausto è stato raccontato come un grigio burocrate, un banale essere umano, la rotella senza volto di un più grande progetto assassino, spinto a farvi parte dalla pavidità, dalla voglia di ascesa sociale, dalla miopia morale piccolo borghese.
ceneri sparse nel Mediterraneo, l'architetto dell'Olocausto è stato raccontato come un grigio burocrate, un banale essere umano, la rotella senza volto di un più grande progetto assassino, spinto a farvi parte dalla pavidità, dalla voglia di ascesa sociale, dalla miopia morale piccolo borghese. E' tempo di archiviare Hannah Arendt e il suo "Eichmann in Jerusalem", pubblicato in Italia da Feltrinelli con il titolo "La banalità del male", il libro che avrebbe tanto condizionato la riflessione sulla Shoah come un evento fatale perpetrato da uomini senza volto.
A rimettere in discussione questa visione di Eichmann ci ha pensato la studiosa tedesca Bettina Stangneth, che ha lavorato sullo "stratega della Soluzione finale" per oltre un decennio, scavando a fondo nella sua storia. Ne è uscito un libro straordinario, "Eichmann before Jerusalem", uscito questa settimana negli Stati Uniti per Alfred A. Knopf e già recensito con grande rilievo da molti quotidiani.
   Stangneth sostiene che la Arendt, morta nel 1975, fu ingannata dalla performance quasi teatrale di Eichmann al processo di Gerusalemme. E aggiunge che forse "per capire uno come Eichmann, è necessario sedersi e pensare con lui. E questo è il lavoro di un filosofo". Forse ha ragione lo studioso Christopher Browning quando scrive che "la Arendt ha afferrato un concetto importante, ma non l'esempio giusto".
   Stangneth ha lavorato in trenta archivi internazionali, consultando migliaia di documenti, come le oltre mille pagine di memorie manoscritte, note e trascrizioni di interviste segrete rilasciate da Eichmann nel 1957 a Willem Sassen, un giornalista olandese ex nazista residente a Buenos Aires. "Se 10,3 milioni di questi nemici fossero stati uccisi - disse degli ebrei Eichmann - allora avremmo adempiuto il nostro dovere. Avremmo potuto dire: Abbiamo distrutto un nemico". Altro che Eichmann "incapace di pensare", come venne descritto da Hannah Arendt. Scrive sempre Eichmann: "Non facemmo bene il nostro lavoro. Avremmo potuto fare di più. Non presi solo ordini, ero un idealista, facevo parte del processo pensante". Fu lui, Eichmann, a organizzare la conferenza di Wannsee, nella villa fuori Berlino, dove venne pianificata la Shoah, la notte del 20 gennaio 1942.
   Bettina Stangneth ha scoperto una lettera del 1956 in cui Eichmann chiedeva all'allora cancelliere della Germania occidentale, Konrad Adenauer, di rientrare in Germania rivendicando quanto aveva fatto. "E' arrivato il tempo di uscire dall'anonimato e di presentarmi", scriveva l'uomo allora conosciuto in Argentina come Ricardo Klement. "Non so ancora quanto il destino mi consentirà di vivere. Ma so che bisogna spiegare a questa generazione quanto è successo".
   Stangneth rivela che la Germania di Bonn sapeva dove si era nascosto Eichmann, ma non era affatto intenzionata a catturarlo e tanto meno a metterlo sotto processo. Ciò avrebbe significato riaprire un capitolo nero del Dopoguerra tedesco (alcuni collaboratori di Adenauer erano stati coinvolti nella macchina di sterminio nazista).
   La storia ci ha lasciato due immagini di Eichmann. La prima, dei 1942, è quella riprodotta milioni di volte del capo degli Affari ebraici della Gestapo, con il berretto e la testa di morto delle SS, lo sguardo arrogante, altero, e un sorriso che si trasforma in ghigno. Vent'anni dopo, Eichmann è un uomo senza volto, accomodante, dal sorriso accondiscendente, seduto dietro le lastre di cristallo spesse e forti come una corazza, che lo proteggono durante le udienze. Non ha più l'atteggiamento di chi si appassiona per
Eichmann assomigliava a quei fachiri indiani lungo le rive del Gange. Anche lui stava seduto, ma su una seggiola. Non c'era in lui nessun grande senti- mento. Non quello di una spavalda ribellione o di una umile, ma coraggiosa, richiesta di clemenza.
quanto gli succede intorno, non quello di chi, con disprezzo, rifiuta di prendere contatto con quanti lo circondano. E' un atteggiamento solenne, di chi già pensa d'essere fuori delle piccole vicende quotidiane, bruciato nel passato e nell'avvenire, vivo in un mondo che soltanto lui conosce.
Eichmann assomigliava a quei fachiri indiani, coperti di cenere, seduti lungo le rive del Gange a Benares. Anche lui stava seduto, ma su una seggiola. Teneva le braccia allungate di modo che le mani fossero all'altezza delle ginocchia. Le due palme aperte, di modo che le punte delle cinque dita della sinistra toccassero le punte della destra. Non c'era in lui nessun grande sentimento. Non quello di una spavalda ribellione o di una umile, ma coraggiosa, richiesta di clemenza. A mano a mano che parlava, Eichmann si consegnava al nostro ricordo come un uomo pauroso, guidato da un animo vile, sorretto da un pensiero insieme tortuoso e infantile. Un giornalista francese mormorò: "0 è pazzo lui o siamo pazzi noi". Secondo Bettina Stangneth, fu una sceneggiata. Ma una sceneggiata che convinse la Arendt.
   Il libro di Bettina Stangneth connette quelle due immagini così diverse. Nel suo esilio in Argentina, Eichmann scrisse persino un romanzo, "Tucumàn Roman", ancora in possesso della famiglia Eichmann, e firmò un contratto editoriale con la casa editrice Dürer Verlag. Durante la guerra, mentre lo sterminio accumulava le sue vittime, Eichmann collezionava ritagli di giornale sulle proprie performance. "Nessuno aveva un nome come il mio nella vita politica ebraica in Europa", scrisse Eichmann in appunti scoperti da Stangneth. "Io sono un bracconiere", sospirerà. E ancora: "Farò funzionare i mulini di Auschwitz". Una frase che negó di aver pronunciato al processo di Gerusalemme e che invece Bettina Stangneth ritiene autentica. Il colonnello era fiero del suo ruolo strategico nella distruzione degli ebrei d'Europa. Era ossessionato e al tempo stesso affascinato dagli ebrei. In uno dei passaggi dei dialoghi argentini riscoperti da Bettina Stangneth, il gerarca dice: "Ora, tuttavia, quando vedo che attraverso la malizia del destino una gran parte di questi ebrei che abbiamo combattuto sono ancora vivi, devo ammettere che è il destino ad aver voluto così. Ho sempre sostenuto che stavamo combattendo contro un nemico che attraverso migliaia di anni di apprendimento e di sviluppo era diventato superiore a noi". E' lo stesso "specialista" che picchiò a morte un bambino ebreo che aveva rubato delle ciliegie nel giardino della sua casa, a Budapest. Mentre degli uomini stavano scavando, Eichmann si affacciò al balcone e gridò, in tedesco: "Hai rubato le ciliegie dall'albero!". Lo ha raccontato Leopold Ashner. "Eichmann e la sua guardia del corpo, un certo Slawik, scesero nel giardino e portarono il ragazzo in un capanno per gli attrezzi che sorgeva lì vicino. Vidi Slawik ed Eichmann aprire la porta del capanno ed entrare col ragazzo. Si chiusero la porta alle spalle e, poco dopo, sentii urla spaventose, colpi, suoni di pugni e di schiaffi, pianti. Poi le urla cessarono
Una sua direttiva parlava chiaro: "Per nessun motivo si deve recedere dalla linea precedentemente fissata, se si vuole che il problema ebraico sia risolto". Era un ordine di morte per tutti gli ebrei di Francia.
improvvisamente ed Eichmann uscì. Era tutto scompigliato, la camicia gli pendeva fuori dai pantaloni, intrisa di sudore. C'erano grosse macchie, sulla camicia, e pensai subito che erano macchie di sangue. Mentre mi passava vicino lo udii borbottare in tedesco: Sporca razza".
E' lo stesso Eichmann che diresse le deportazioni di tutti i bimbi ebrei dalla Francia. Una sua direttiva parlava chiaro: "Per nessun motivo si deve recedere dalla linea precedentemente fissata nelle zone occupate dagli italiani, se si vuole che il problema ebraico sia risolto". Era un ordine di morte per tutti gli ebrei di Francia. Poi ci furono i bambini di Lidice. Il 29 maggio del 1942 Reinhard Heydrich, capo della polizia segreta tedesca e protettore di Boemia e Moravia, rimase ferito a morte in un attentato presso Lidice. La cittadina cecoslovacca fu rasa al suolo e i suoi abitanti sterminati. I bambini di Lidice, rimasti orfani dopo la strage compiuta dai nazisti, furono deportati a Lodz, in Polonia, dove furono affidati a uno dei luogotenenti di Eichmann, Hermann Krumey, che li fece "esaminare". Sette di questi bambini furono ritenuti adatti par la "germanizzazione". Ne rimanevano cento, dai piccolissimi di un anno a quelli di undici. Krumey si rivolse allora ad Eichmann, il quale ordinò il "trattamento speciale", e cioè lo sterminio.
   "Se a quell'epoca avessi potuto prevedere gli orrori ai quali sarebbe stato sottoposto il popolo tedesco, allora avrei obbedito agli ordini non solo con disciplina, ma anche con entusiasmo", scrive Eichmann. "Quando giunsi alla conclusione che fare agli ebrei quello che abbiamo fatto era necessario, lavorai con tutto il fanatismo che un uomo può aspettarsi da se stesso. Non c'è dubbio che mi considerassero l'uomo giusto al posto giusto... Ho agito sempre al cento per cento, e nell'impartire ordini non ero certo fiacco". Il gerarca parlava sempre del suo "capolavoro", la deportazione verso la morte di circa 400 mila ebrei ungheresi nel 1944. Girò l'Europa a caccia di ebrei, e ovunque c'era lui con il taccuino: a Skopje in Macedonia nel 1943, a Ioannina in Grecia nel 1944, a Hanau in Assia nel 1942, a Westerbork nei Paesi Bassi, a Budapest in Ungheria, ad Auschwitz.
   Infiniti documenti portati da Bettina Stangneth stanno a dimostrare la responsabile iniziativa, la fanatica volontà di Eichmann nell'apprestare tutti gli strumenti necessari alla Shoah. E' vero, stava quasi sempre a tavolino, scriveva lettere e circolari come un impiegato qualsiasi, e mascherava gli orrori con un irreprensibile gergo burocratico (le "evacuazioni", il "trattamento speciale", la "soluzione finale"); ma se i camini fumavano notte e giorno con quel ritmo allucinante, era per merito di questo funzionario entusiasta del proprio lavoro, così dominato dall'ansia di toccare la mèta prima che la guerra finisse. Infine, in molti casi Eichmann ha ignorato e scavalcato gli ordini ricevuti, ha perfino trasgredito alle istruzioni generali impartite verso la fine del 1944 da Himmler, ha mandato a morte della gente che, secondo gli ultimi piani concertati, poteva e doveva essere risparmiata. Era ormai la voluttà atroce di chi non vuole lasciarsi strappare la preda ancora viva. Come ha scritto David Cesarani in un altro libro su Eichmann, "per lui gli ebrei non avevano diritto di esistere". Bettina Stan-gneth spiega che Eichmann, a differenza di tanti altri gerarchi nazisti, "non era interessato al lusso e alle ricchezze. La sua bramosia era per i numeri della morte". Eichmann controllava i conti delle sue vittime e avrebbe potuto approfittarsene, come fecero tanti altri capi del nazismo. Invece, quando il Mossad, il servizio segreto israeliano, lo catturò in Argentina, rimase stupefatto dalla povertà e semplicità in cui viveva il capo degli Affari ebraici delle SS. Faceva l'allevatore di conigli e vestiva in maniera dimessa.
   "Per dirla tutta, io non mi pento di nulla", confesserà Eichmann nelle registrazioni audio argentine prima della cattura. "Riderò quando salterò dentro la tomba al pensiero che ho ucciso cinque milioni di ebrei. Mi dà molta soddisfazione e molto piacere". Prima di essere impiccato, Eichmann disse, sempre sardonico: "Ci rivedremo presto".
   E' questa la scoperta più importante di Stangneth. Che l'antisemitismo esiste. Che affascina e seduce. Che è una forma di "idealismo". Che l'uomo della villa sul lago di Wannsee, più che un burocrate o un commesso viaggiatore, fu "l'ideologo dell'Olocausto". Che il bene, forse, può essere banale. Il male, invece, mai.

(Il Foglio, 13 settembre 2014)


Doña Gracia, la señora che difese gli ebrei alla corte degli Estensi

Ritratto di una grande del '500 ferrarese

di Vittorio Robiati Bendaud

Doña Gracia Nasi (sello conmemorativo)
FERRARA - Donne ed ebraismo, femminilità e Bibbia: un tema gravido di riflessioni, anche per l'attualità. Si potrebbe parlare delle Matriarche (Sara, Rebecca, Rachele e Lea), del commovente incontro tra Noemì e Ruth, dell'eroica profetessa Deborah, della struggente preghiera di Anna: tutte storie raccontate nella Bibbia, troppo spesso colpevolmente ignota agli italiani. Tuttavia, per le strade di Ferrara, negli anni 50 del XVI secolo, passeggiava un'eccezionale donna ebrea, di cui vale la pena raccontare l'avventura, Doña Gracia Nasì (Mendes), nota all'Inquisizione come Beatrice da Luna, nata a Lisbona nel 1510. Figlia di ebrei portoghesi convertiti con la forza al Cattolicesimo, fu sempre intimamente legata alla religione avita.
   Morto il marito, si traferì ad Anversa con la figlia Reyna, la sorella e il nipote per ricongiungersi con il cognato e per fare pubblico ritorno all'ebraismo. Poco dopo, Doña Gracia rispose orgogliosamente alla regina di Olanda che avrebbe preferito veder la figlia morta, piuttosto che sposata con uomini della famiglia reale o della corte. Riparò così con la famiglia a Venezia (1545), ove fu imprigionata dalle autorità veneziane e poi rilasciata. Il nipote Yoseph Nasì nel frattempo sposò la bella Reyna, si trasferì a Costantinopoli, divenendo l'uomo più potente dell'impero. Si vendicò della Spagna, scatenando una rivolta in Olanda, e ripagò la Serenissima delle angherie subite, facendo divampare una guerra in cui i veneziani persero il dominio di Cipro. In particolare, d'intesa con Sulimano il Magnifico, ricreò importanti centri ebraici in Terra di Israele, incrementandovi il ritorno massiccio degli ebrei, specie in Galilea e a Tiberiade, all'epoca in rovina.
   Nel frattempo la zia e suocera Doña Gracia si era trasferita a Ferrara, ove si spese per aiutare i profughi ebrei di Spagna e Portogallo. Ferrara era difatti una città che accoglieva i marrani in fuga, potendo contare sulla benevolenza degli Estensi. Sempre a Ferrara, Doña Gracia patrocinò nel 1553 un'edizione spagnola della Bibbia. I Papi avevano frattanto concesso nella vicina Ancona, all'epoca sotto il governo pontificio, agli esuli ebrei portoghesi di stabilirvisi già sotto il pontificato di Clemente VII, con ratifiche successive di Paolo III e di Giulio III. Tutto questo rese florida la comunità anconetana, tuttavia nel 1555 ascese al soglio pontificio l'implacabile cardinale Carafa, papa Paolo IV, inventore dei ghetti, sicché il 30 aprile 1556 vennero revocati i provvedimenti di protezione e iniziarono le persecuzioni. Doña Gracia nel 1552 aveva abbandonato Ferrara poiché l'opinione pubblica obbligò, contestualmente alla pestilenza di quell'anno, il duca a espellere tutti gli ebrei. Rifugiatasi a Venezia, fu nuovamente incarcerata, perché ricercata dall'Inquisizione, e poi rilasciata. Giunta infine a Costantinopoli alla corte di Sulimano il Magnifico, lo convinse a scrivere una lettera sdegnata al papa (9 marzo 1556) in cui protestava per tanta inumanità. Ciononostante, ad Ancona, nella primavera di quello stesso anno, furono arsi vivi 24 uomini e 1 donna. La reazione di Doña Gracia non si fece attendere: organizzò un boicottaggio internazionale del porto anconetano che durò circa un anno, trasferendo i traffici verso il Levante nel porto di Pesaro, ovvero in un altro Stato, sotto il dominio urbinate.
   Nel frattempo la flotta ottomana, su richiesta di Doña Gracia, mise sotto embargo il porto pontificio. Doña Gracia probabilmente morì in Turchia o in Terra di Israele, ove è sepolta, nel 1569. In tempi più vicini a noi, un'altra straordinaria donna ebrea sefardita, con ascendenze italiane, fu la poetessa americana Emma Lazarus, amica e corrispondente di Ralph Waldo Emerson, recentemente fatta riscoprire da Giuseppe Laras nel suo importante saggio 'Ricordati dei giorni del mondo', la prima completa storia del pensiero ebraico apparsa in Italia (ed. EDB). Celebre per aver composto il significativo sonetto scolpito sul basamento della Statua della Libertà, E. Lazarus anticipò con grande originalità e lucidità le teorie sioniste di T. Herzl, sostenendo fattivamente il ritorno degli ebrei in Terra di Israele. Eccoci restituiti frammenti illuminanti, troppo spesso ignorati, della storia dell'ebraismo, dell'Italia e delle donne. Sovviene inoltre che la prima donna laureata al mondo fu, nel XVII secolo, proprio la nobildonna cattolica Elena Lucretia Cornaro Piscopia. Tanto basti per invitare alcuni a moderare attacchi indebiti a ebraismo e cristianesimo in relazione alla questione femminile, anche se problemi e cattive interpretazioni e pratiche, anche gravi e drammatiche, ve ne furono e, forse, ancora ve ne sono. Stupiscono, però, quei benpensanti da salotto e quelle femministe, solleciti entrambi ad adirarsi contro ebraismo e cristianesimo, al contempo clamorosamente silenti di fronte all'infibulazione obbligatoria ratificata dall'Isis assieme alla pubblica vendita delle donne cristiane e yazide come schiave! Diceva bene Orwell che tutti sono uguali, alcuni tuttavia più di altri.

(il Resto del Carlino, 13 settembre 2014)


Ciclo di conferenze di Georges Bensoussan

Il prof. Georges Bensoussan, tra i più noti studiosi europei dell'antisemitismo e della Shoah - direttore della "Revue d'histoire de la Shoah", terrà nei prossimi giorni un ciclo di conferenze e seminari organizzato dalla Comunità Ebraica di Torino con quelle di Milano e di Trieste, in collaborazione con l'Associazione culturale RectoVerso di Torino e col Mémorial de la Shoah di Parigi.
Calendario delle conferenze:

LUNEDÌ 15 settembre - TRIESTE, ore 18: "Antisemitismo oggi: nuovi volti e nuove maschere di un
   sentimento antico"
, al caffè San Marco.
MARTEDÌ 16 settembre - MILANO: "Gli ebrei del mediterraneo tra storia e memoria. Il luogo del
   cammino"
, conferenza nell'ambito del festival organizzato dalla Comunità Ebraica di Milano.
MERCOLEDÌ 17 settembre - ASTI: "L'eredità di Auschwitz, la Shoah, tragedia storica e usi politici", lezione
   che si terrà nel pomeriggio ad 80 professori provenienti da numerose regioni d'Italia.
GIOVEDÌ 18 settembre - TORINO, ore 18: "Antisemitismo oggi: nuovi volti e nuove maschere di un
   sentimento antico"
(con traduzione simultanea dal francese) presso il Circolo dei Lettori, Via Bogino 9.

(Notizie su Israele, 13 settembre 2014)


"L'occidente servile abbandona gli ebrei". Parla Bensoussan

A colloquio con il grande storico della Sorbona. "Si sta ripetendo il tradimento delle élite del 1940"

di Giulio Meotti

 
Georges Bensoussan
ROMA. "Il destino degli ebrei di Francia è come il canarino nella miniera di carbone: annuncia una conflagrazione molto più grande". Così parla al Foglio il grande storico della Sorbona Georges Bensoussan, ebreo marocchino, uno dei maggiori intellettuali francesi viventi, direttore del Mémorial de la Shoah di Parigi e della Revue d'Histoire, e autore della monumentale "Storia del sionismo" (Einaudi). Nei primi otto mesi del 2014 la Francia è in testa ai paesi di emigrazione verso Israele, una prima assoluta, con quasi cinquemila persone che hanno scelto di lasciare la République per andare a vivere nello stato ebraico. Parigi supera Stati Uniti, Ucraina e Russia.
    "Si tratta di una vera novità, una vera e propria svolta nella storia della aliyah degli ebrei della Francia dal 1945 a oggi", ci spiega Bensoussan. "Ciò che conta è che il tasso di partenze è sconvolto. Mille e cinquecento nel 2010, mentre quest'anno ci saranno seimila ebrei che lasceranno la Francia. E' l'uno per cento della popolazione ebraica di Francia. L'aliyah francese sarà due volte e mezzo più grande della aliyah dagli Stati Uniti per una comunità dieci volte più piccola".
    Ebrei francesi che partono per Israele, musulmani francesi che partono per Iraq e Siria, a fare il jihad. "La Francia offre il maggior contingente di volontari europei per il jihad in Siria", dice Bensoussan. "Il quaranta per cento secondo la polizia. In novecento sono partiti. Ciò riflette, da un lato, lo sconvolgimento demografico. D'altra parte, c'è un mondo intero di non integrazione e di grave dissimulazione. Un fatto sorprendente è la scelta del nome. L'immigrazione araba in Francia è l'unica nella storia dell'immigrazione in questo paese che continui a dare ai propri bambini nomi del mondo originario. Questo processo di dissimulazione è il risultato di fattori storici pesanti, come la colonizzazione e la decolonizzazione, l'Algeria, il risentimento degli ex colonizzati e il risentimento sociale. Questo poi avviene su uno sfondo storico che tutti hanno dimenticato, 'la storia pesa sulle menti dei viventi' diceva Marx".
   E' entrato in crisi il modello integrativo francese. "Il multiculturalismo francese è una sciocchezza. La Francia non è una società fatta di comunità, ma una nazione unita attorno a una lingua, letteratura, storia, collaudate per un secolo e mezzo. Il comunitarismo è antitetico alla storia francese. Il multiculturalismo non funziona da nessuna parte. Funziona ancora meno in Francia per motivi già citati in cui la nazione rimane un 'patto del quotidiano' (Renan)".

- Islamismo minaccia alla democrazia
  Nei giorni scorsi si è appreso che l'attentatore del Museo ebraico di Bruxelles, Mehdi Nemmouche, faceva parte di un gruppo di torturatori dello Stato islamico di Iraq e Siria. "L'islam radicale o islamismo è una minaccia per la democrazia europea", ci dice Bensoussan. "La crescente popolazione della sponda meridionale del Mediterraneo, insieme con lo choc della modernità illuministica, porta a una tensione identitaria. E ignorando il divario tra il temporale e lo spirituale (che è il motivo per cui Gauchet disse che il cattolicesimo è la 'religione dell'uscita dalla religione'), ci sono tutti gli ingredienti di una deriva totalitaria che è il punto di incontro di sofferenza, frustrazione e risentimento provocato dalle società democratiche in cui il destino ha dato forma alla responsabilità individuale. Questo totalitarismo è la risposta allo sgomento".
   Che si tratti di una minaccia per tutti noi? "Ahimé, sì, come il comunismo totalitario e le ideologie fasciste. Inoltre, la minaccia sorge di fronte a un mondo occidentale che ha perso le tracce della guerra e sviluppato una tendenza al servilismo per assicurare la pace civile. Questo avvenne già in Francia nel 1940, con il tradimento di una parte dell'élite. Questo è ciò che sta accadendo più o meno in Europa. La pace civile viene realizzata a danno degli ebrei. Essi lasciano l'Europa, lentamente o a scatti, in silenzio o ad alta voce, ma se ne andranno prima che i cambiamenti demografici in atto lascino loro alcuna possibilità. Resteranno i 'marrani', muti, discreti, cancellati".
    All'Università di Milano, in occasione della Giornata della cultura ebraica, Bensoussan martedì terrà una conferenza sugli ebrei fuggiti dai paesi arabi. Secondo lo storico parigino, "la storia degli ultimi ebrei in terra araba, difficile da costruire, è stata per molto tempo oggetto di negazione. Poiché si preferisce la credenza al pensiero, parte delle élite occidentali ha ridipinto il passato arabo connotato da 'futuri radiosi' dalle mille sfaccettature, non riuscendo a comprendere che un mondo colonizzato e dominato poteva anche essere un mondo colonizzatore, dominatore e oppressore. Né ad ammettere che i 'progressisti' arabi, anticolonialisti militanti, potessero anche essere degli antisemiti e dei reazionari".
   Il grido "morte a Israele" risuona nei boulevard di Parigi e nelle banlieue francesi. "Il rifiuto di Israele ha molti fattori. Oltre al peso della popolazione araba (in Francia nel mese di luglio 2014, quasi l'ottanta per cento dei manifestanti e organizzatori della protesta pro Hamas era di origine nordafricana), c'è la sinistra che ha costruito l''Ebreo astratto' e che poi lo ha trasformato in 'stato razzista e colonialista di Israele'. Aggiungiamoci la ricerca di una causa redentrice, i reprobi della terra che si rinnovano a Gaza. Non si può capire questo accanimento contro Israele che confina con la cecità volontaria. Come si può essere antisemiti dopo Auschwitz? Mostrando che le vittime di ieri non sono meglio dei loro assassini. Che questi sono assassini reincarnati. In breve, il senso di colpa nato dall'Olocausto è indicibile. E poiché è così difficile da sopportare, questo senso di colpa si trasforma in aggressività. In altre parole, è in nome dell'Olocausto, e più in generale contro il razzismo, che oggi si può essere antisemiti".

(Il Foglio, 13 settembre 2014)


Decennale del periodico evangelico "Chiamata di Mezzanotte"

Vogliamo, insieme a studiosi delle profezie bibliche, analizzare il periodo in cui viviamo in relazione
a ciò che sta avvenendo nella nostra società e nel mondo intero, con un occhio particolare all'«orologio» di Dio: Israele.
    «Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque avvedute; le stolte, nel prendere le loro lampade, non avevano preso con sé dell'olio; mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avevano preso dell'olio nei vasi. Siccome lo sposo tardava, tutte divennero assonnate e si addormentarono. Verso mezzanotte si levò un grido: "Ecco lo sposo, uscitegli incontro!"
    (Matteo 25:1-6)     

l'ingresso alle conferenze è libero e gratuito

         Locandina

Se decidi di partecipare inviaci una mail e ti invieremo un coupon con cui potrai, il giorno delle conferenze, ritirare un CD di brani ebraici e il calendario d'Israele oppure puoi riceverli semplicemente conferrmando la tua partecipazione all'evento su FACEBOOK.

(Chiamata di Mezzanotte, settembre 2014)


La nuova rivoluzionaria strategia di Hamas e delle ONG per distruggere Israele

ONG e Hamas, un connubio tanto incredibile quanto reale. Fino ad oggi sono state le ONG straniere e le organizzazione dell'Onu a garantire la sopravvivenza di Hamas diventando persino i suoi esattori o permettendo ai terroristi di usare le loro strutture come deposito di missili o come piattaforme di lancio per i missili stessi. Oggi Hamas cerca addirittura di alzare il tiro e lancia una vera e propria campagna per il reclutamento di cooperanti stranieri mirato a compromettere la capacità difensiva di Israele.
"L'esito della nostra battaglia dipende da voi" è la frase coniata da Eletronic Intifada per lanciare la campagna di reclutamento che non necessariamente prevede il trasferimento a Gaza ma che, anzi, chiede alle varie organizzazioni di agire a tutti i livelli contro Israele anche dai loro Stati di origine attraverso le più disparate campagne che vanno dal boicottaggio dei prodotti israeliani fino alla pressione sui Governi per imporre il congelamento degli aiuti militari a Israele e persino al congelamento dei rapporti di libero scambio con lo Stato Ebraico....

(Right Reporters, 13 settembre 2014)


Milano - Noa ospite a sorpresa a Jewish and the City

di Roberto Zadik

Noa
MILANO - Achinoam Nini, superstar della canzone israeliana contemporanea meglio conosciuta come Noa, parteciperà alla tanto attesa kermesse "Jewish and the City" inserita nella maratona di ospiti dell'evento "Da quale schiavitù dobbiamo liberarci?" che si terrà al Teatro Franco Parenti, domenica 14 settembre, dalle 20.30.
Il tema si preannuncia molto interessante e attuale in questi tempi di crisi e di ristrettezza e nel programma della serata, ci sarà anche lei, accanto a varie personalità di spicco del panorama intellettuale, come il Rabbino Benedetto Carucci, lo psicoterapeuta David Meghnagi, il consigliere comunale e regista Ruggero Gabbai, la studiosa del Cdec Betti Guetta e Lucia Castellano, direttrice del Carcere di Bollate.
Un vero e proprio caleidoscopio di voci, pensieri e approfondimenti, dove però non si sa ancora di preciso quale sarà il ruolo della cantante, che cosa farà nel suo intervento di diciotto minuti, stesso timing per tutti. In ogni modo la sua presenza, annunciata nella conferenza stampa di lunedì scorso, sta già richiamando una fortissima attenzione in questi giorni di conto alla rovescia prima dell'avvio del Festival.
   Famosa per le sue grandi doti vocali e per la sua presenza scenica discreta e al tempo stesso avvolgente, la vocalist israeliana di origini yemenite, come la compianta Ofra Haza, è nata a Bat Yam nel giugno di 45 anni fa. Nella sua lunga carriera si è distinta per l'impegno politico e la sua apertura verso le altre culture e religioni, tanto che è stata nominata nel settembre 2001 "Artista per la Pace" durante l'incontro "United artists for Peace" organizzato dai Frati Francescani.
   A proposito di pace e di diritti umani Noa, domenica 14, sul palco del Franco Parenti interverrà proponendo il tema "Liberarsi dall'odio" assieme al musicista Gil Dor, chitarrista suo connazionale che l'ha accompagnata fin dagli esordi ormai ventitré anni fa nel lontano 1991, e al violinista palestinese Nabeel Abboud Ashkar, 36 anni, membro della Orchestra Divan, fratello del pianista Saleem Ashkar e direttore del conservatorio Poliphony che promuove la cooperazione fra strumentisti arabi e ebrei.
   Ma suonerà? Parlerà? Ancora la risposta a queste domande "soffia nel vento", giusto per citare il grande Bob Dylan. La cantante, sposata con il medico israeliano Asher Barak e madre di tre figli, ha cominciato a entrare nello sfavillante ed incerto mondo della musica a soli 21 anni, nel 1991. Da lì la sua carriera ha avuto un crescendo sfornando bellissime canzoni come "I don't know" nel 1994 e "Beautiful that way" colonna sonora del film "La vita è bella" di Roberto Benigni che l'ha consacrata a livello internazionale.
   Israeliana ma cittadina del mondo, la cosmopolita e vivace Noa, la più internazionale fra i cantanti israeliani contemporanei, si è esibita in vari Paesi. A cominciare dagli Stati Uniti dove ha vissuto per un lungo periodo - la sua infanzia l'ha trascorsa a New York - fino alle tourneè europee, in Canada e in Brasile passando tra vari generi musicali trattati con professionalità e disinvoltura dalla vocalist, dal jazz, al pop e al rock. Una cantautrice completa e versatile influenzata da grandi autori come Leonard Cohen e Paul Simon, che ha eseguito canzoni in varie lingue - ebraico, inglese, spagnolo e arabo - e duettato con artisti del mondo arabo. Viene subito in mente il nome di Cheb Khaled, uno dei massimi esponenti della musica popolare algerina col quale cantò nel 2006 una bellissima cover di "Imagine", classico scritto da John Lennon nel 1971.

(Mosaico, 12 settembre 2014)


Ai confini di Gaza

di Michela Di Nola

La situazione in Israele, dopo la tregua del 26 agosto, sembra essersi momentaneamente stabilizzata. Eppure il ricordo della guerra resta ancora vivo nella mente della popolazione civile. Specie nel Sud del paese, la vita degli israeliani è stata scossa profondamente dal recente conflitto.
   Nelle scorse settimane ho partecipato al "Gaza border tour" organizzato da Media Central, la ONG dove svolgevo un tirocinio, che si occupa di dare supporto ai media, programmando e gestendo visite nei luoghi più colpiti dalla guerra. Sderot, Sud di Israele: su una collina poco al di fuori della città si può vedere da lontano la Striscia di Gaza.
   Molti giornalisti e fotografi si appostavano nella zona per riportare le ultime notizie sulla guerra in atto. A pochi chilometri, era in corso l'operazione "Protective Edge". Dopo i continui attacchi missilistici da parte di Hamas diretti a colpire numerose città israeliane, le forze armate (Tsahal) sono passate all'azione e, una volta entrati a Gaza, hanno cercato di 'stanare' i rifugi di Hamas, cercando di recare il minor danno possibile alla popolazione civile.
   Durante il tour ho avuto l'occasione di incontrare il ministro dell'Economia israeliano Naftali Bennett che ha indetto una breve conferenza stampa proprio a Sderot. Quando i giornalisti, provenienti da svariate testate (americane, inglesi, giapponesi…), hanno chiesto a Bennett di commentare l'operazione, queste sono state le sue parole: "We are now moving from Iron Dome to iron fist". Con un gioco di parole, il ministro ha dichiarato che il governo israeliano ha ritenuto necessario reagire con la forza agli attacchi di un'organizzazione terroristica come Hamas in quanto una mediazione pacifica, purtroppo, non è stata possibile.
   Bennett ha affermato che Gaza aveva l'opportunità di diventare la Singapore del Medioriente e spiegato come Hamas abbia utilizzato il denaro proveniente dalle istituzioni europee e internazionali per costruire tunnel, armi, strumenti di guerra. Invece di aiutare i palestinesi a costruire infrastrutture, scuole ed ospedali, Hamas ha destinato tutte le risorse per la guerra. "È stato il popolo palestinese ad eleggere Hamas - continua il ministro - e Israele si sta solo difendendo". Mentre Bennett veniva intervistato dalla stampa straniera, in sottofondo si sentivano chiaramente i boati delle esplosioni che avvenivano a poca distanza da noi: un'atmosfera alquanto surreale.
   Seguendo la stessa linea di pensiero, l'ex consigliere per la Sicurezza Nazionale, Uzi Dayan, ha dichiarato l'assoluta necessità di demilitarizzare Gaza. Il tour è continuato con la visita al centro ricreativo di Sderot, una struttura costruita per permettere ai bambini di continuare a condurre una vita normale, per far sì che la guerra non li privi della loro infanzia. All'interno del centro, bambini e ragazzi possono giocare con videogiochi, a palla e i rifugi sono molto grandi. Il vice sindaco Mark Ifraimov ha raccontato che a Sderot vivono 50 famiglie arabe e che i loro bambini sono stati invitati a giocare al centro per cercare di alimentare un'atmosfera pacifica tra le due comunità, araba ed ebraica. Il vice sindaco, inoltre, ha dichiarato che al suono della sirena i bambini hanno 15 secondi per arrivare nei rifugi ma che sono talmente abituati a questa realtà che ne impiegano anche 10. Ha sottolineato come a Gaza i bambini siano educati a odiare gli ebrei e a usare le armi mentre a Sderot si cerca di trasmettere un modello diverso, di educare i ragazzi alla coesistenza pacifica.
   L'ultima tappa del tour ha previsto la visita al Kibbutz Allumim, a soli 3 chilometri da Gaza. Il portavoce, Esther Marcus, ricorda come fino a pochi anni fa si poteva andare tranquillamente a Gaza e come suo marito ci andasse spesso. Oggi tutto ciò non è più possibile. I ragazzi del Kibbutz hanno subito diversi traumi a causa della guerra e molti cominciano a comportarsi come se fossero più piccoli, non sono più in grado di prendere decisioni.
   Durante la visita al Kibbutz, abbiamo avuto l'opportunità di parlare con alcuni dei ragazzi. Ciò che ha detto Idan, una ragazzina di appena 13 anni mi ha colpito particolarmente. Idan, infatti, preferisce che i missili cadano vicino ad Allumim piuttosto che in altre città più a Nord, dove non ci sono rifugi e i ragazzi non sono abituati all'allarme. Un'affermazione alquanto coraggiosa se si pensa che a pronunciarla sia stata una ragazza di quell'età!
   Ora che la situazione sembra essersi calmata, la speranza è che si riesca a raggiungere un accordo duraturo in modo tale che la popolazione civile israeliana ma anche palestinese non debba più subire simili traumi.
   Nel frattempo, conoscere la realtà delle persone che hanno vissuto quotidianamente questa guerra e documentarla credo che sia di massima importanza affinché il mondo intero possa capire ciò che è avvenuto in Israele e non solo nella Striscia di Gaza.

(moked, 12 settembre 2014)


Idan Raichel: "La mia musica, un ponte tra le religioni"

Il concerto del musicista di Tel Aviv si terrà sabato 13 a Roma per il Festival internazionale di letteratura ebraica. Un artista della world music diventato ambasciatore di pace.

di Carlo Moretti

Idan Rachel
Idan Raichel è innanzitutto un musicista. Ma è nato a Tel Aviv, dunque è anche un musicista israeliano ed ebreo. Sono tutti elementi importanti nella sua biografia di artista perché la sua natura e i suoi interessi artistici ne hanno fatto il più potente degli ambasciatori del suo Paese. Sabato sera Idan Raichel sarà al Festival internazionale di letteratura ebraica che si apre nell'antico quartiere ebraico di Roma, dove proseguirà fino al 17 settembre con diversi appuntamenti culturali ad ingresso gratuito tra musica, arte, incontri, libri, danza, teatro e cucina.
   Nel suo primo album del 2002, The Idan Raichel Project, il musicista mise subito in luce la sua idea musicale: una world music che fosse il prodotto dell'incontro di diverse culture e il punto di confronto di musicisti provenienti da diversi paesi: "Da quando ho iniziato sono circa cento gli artisti che ho incontrato per le mie canzoni, tra cantanti e musicisti, il più giovane di 16 anni i più anziani di 83 e 91 anni. Musicisti dal Marocco, dall'Etiopia, dallo Yemen, dalla Colombia, dall'Europa dell'Est: in tutti questi anni abbiamo creato un melting pot rappresentativo anche del fenomeno dell'immigrazione in Israele, in ogni canzone abbiamo raccontato un'esperienza diversa, quasi una colonna sonora di questi decenni passati", spiega Raichel.
   "Ma è con il mio album del 2012 The Tel Aviv Session registrato con il Touré-Raichel Collective insieme a Vieux Farka Touré che ho realizzato forse la mia collaborazione più interessante: un chitarrista musulmano e un pianista ebreo, Mali e Israele unite di fatto mentre non c'erano rapporti diplomatici tra i due Paesi. Un chiaro esempio di cosa io intenda per potere della musica a lanciare ponti tra le differenze geografiche, etniche, politiche e religiose. Come andare insomma alle mie radici mettendo assieme due mondi diversi".
Dopo il concerto di Roma, che segue quelli di Londra e Berlino, Raichel lascerà l'Europa per rientrare in Israele dove terrà sette concerti in sette giorni, per poi partire per Giappone, Corea e Taiwan. Non sono momenti facili in Medio Oriente, i razzi su Israele e i bombardamenti sulla Palestina hanno registrato una debole tregua solo negli ultimi giorni.
   Ma Idan Raichel non rinuncia al suo ottimismo e alla sua speranza: "In Medio Oriente i conflitti sono purtroppo legati alle radici della nostra storia. Per questo la soluzione non può essere una ma deve necessariamente coinvolgere molti aspetti diversi. C'è bisogno innanzitutto di educare la gente al rispetto del prossimo e dei propri vicini e io credo che l'Idan Raichel Project, con le sue partecipazioni di artisti di diversi paesi e religioni, abbia lanciato questo messaggio di consapevolezza.
"Il fatto di aver portato canzoni in cui cantano e suonano artisti israeliani e palestinesi nelle radio nazionali israeliane, aver portato per la prima volta la minoranza, ovvero la voce degli immigrati e l'arabo, la lingua dei palestinesi, nelle radio mainstream credo sia stato un risultato molto importante. La musica può educare i giovani alla curiosità di attraversare i confini per incontrare l'altro. Del resto però puoi costruire un ponte dalla tua parte se dall'altra parte c'è qualcuno dall'altra parte qualcuno disposto a raccoglierlo: io so che in Siria e Iraq c'è gente disponibile, solo che ora sono terrorizzati dai combattenti dell'Isis".

(la Repubblica, 12 settembre 2014)


Le bellicose voci dei palestinesi "moderati"

"Crimine contro l'umanità" la partita fra ragazzini ebrei e palestinesi, "estremismo sionista" riconoscere la storia ebraica in terra d'Israele.

Jibril Rajoub, vice segretario del Comitato Centrale di Fatah e capo del Consiglio Supremo Palestinese per lo sport e la gioventù, ha condannato una recente partita di calcio giocata tra giovani israeliani e palestinesi in un kibbutz del sud di Israele definendola "un crimine contro l'umanità".
Rajoub ha affermato che l'incontro, organizzato dal Centro Peres per la Pace come un evento a favore della coesistenza, ha rappresentato "un tentativo da parte degli israeliani di nascondere i loro crimini contro gli atleti [palestinesi]". "Qualsiasi attività di normalizzazione sportiva con il nemico sionista costituisce un crimine contro l'umanità" ha detto Rajoub in un post diffuso su Facebook lo scorso 6 settembre, rilanciato l'8 settembre dal quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestines Al-Hayat Al-Jadida...

(israele.net, 12 settembre 2014)


Hamas vuole fare un golpe contro di noi. Lo sfogo di Abu Mazen

Il rais palestinese attacca i compagni di governo: "Mi faranno impazzire". Il report israeliano e le sorti dell'unità

di Rolla Scolari

 
ROMA - "Hamas vuole farmi impazzire". Non è riuscito a trattenersi il rais palestinese Abu Mazen nelle stanze del potere di Doha, alla presenza dell'emiro del Qatar, quel Tamim bin Hamad al Thani che ospita i capi politici di Hamas e dona milioni di dollari alla Striscia, e le cui immagini spesso ricoprono i muri di Gaza. "Il loro proposito è distruggere la Cisgiordania e creare uno stato di anarchia per orchestrare un colpo di stato contro di noi", avrebbe detto il presidente all'emiro, riferendosi alle attività del gruppo islamista che dal 2007 controlla la Striscia di Gaza. La trascrizione della presunta conversazione avvenuta il 21 agosto - e di quella tenutasi poco dopo l'arrivo nella stessa stanza anche del capo dell'ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal - è stata pubblicata i primi di settembre sulle pagine di un quotidiano libanese, al Akhbar. E' un colpo fatale, e non l'unico durante l'estate di guerra, contro i destini già traballanti del governo d'unità nazionale palestinese, nato senza troppa convinzione agli inizi di giugno, dopo un accordo tra Fatah, movimento del presidente che governa la Cisgiordania, e i vertici di Hamas. Così mentre a Gaza c'è la guerra, mentre sono in corso l'Operazione Margine Protettivo dell'esercito israeliano contro Hamas, il lancio di razzi palestinesi, i tentativi di incursione dei miliziani attraverso le gallerie sotterranee, l'emiro tenta la via della mediazione, invitando al suo tavolo le fazioni palestinesi. La campagna militare israeliana, il crescente numero dei morti civili nella Striscia - duemila il bilancio totale secondo fonti mediche locali al termine dell'operazione - e la necessità di trovare una soluzione a settimane di conflitto avrebbero dovuto unire i ranghi della politica palestinese, creare un fronte compatto per innescare una trattativa. I cablogrammi "rubati" raccontano invece un'atmosfera carica d'astio.
   Davanti all'emiro, Abu Mazen accusa Hamas di aver complottato contro la sua autorità in Cisgiordania proprio durante i giorni tragici del conflitto a Gaza e assicura d'avere prove fornitegli dagli 007 dello Shin Bet, i servizi segreti interni israeliani. "Un funzionario [israeliano] è venuto da me due settimane fa e mi ha raccontato della cellula che è stata arrestata e che stava pianificando un colpo di stato contro di me", avrebbe detto il rais palestinese, prima d'essere accusato da Meshaal di avere più fiducia in Israele che in lui. "Credo al rapporto israeliano", sarebbe stata la secca e poco conciliante risposta di Abu Mazen. Fonti palestinesi hanno poi confermato alla Radio israeliana che in agosto Yoram Cohen, capo dello Shin Bet, ha in effetti visitato Ramallah e gli uffici del presidente palestinese per metterlo in guardia da un possibile colpo di Hamas proprio nella sua Cisgiordania. Sempre in agosto, in una conferenza stampa, i funzionari dei servizi israeliani hanno raccontato alla stampa locale i dettagli sui 93 arresti e 46 interrogatori di palestinesi - operativi di Hamas - portati a termine tra maggio e l'estate, che proverebbero l'esistenza di una cellula del gruppo islamista attiva in Cisgiordania con l'obiettivo di organizzare attacchi contro Israele - con un budget di 170 mila dollari -, creare instabilità e minare il potere dell'Autorità nazionale e del suo presidente. Secondo gli inquirenti, il personaggio dietro la formazione di questa rete sarebbe un ex detenuto nelle carceri israeliane e oggi residente in Turchia: Saleh Arouri, lo stesso nome fatto da Abu Mazen nelle sue accusatorie parole di Doha.
    Abu Mazen è tornato sabato, dal Cairo, su quella conversazione a tre: "L'80-90 per cento di quello che ho detto è vero". E' con un'insistenza che non gli è propria che in queste settimane il rais palestinese attacca i compagni di governo di Hamas. Dall'Egitto - dove sono avvenute le mediazioni per mettere fine al conflitto estivo - ha minacciato di dissolvere l'esecutivo, ha accusato il gruppo islamista di gestire a Gaza "un governo ombra", di aver commesso "atrocità" e giustiziato nella Striscia 120 persone senza processo per sospetti di collaborazionismo. "Se Hamas non accetterà uno stato palestinese con un governo, una legge e una pistola non ci sarà una partnership tra noi", ha spiegato. Prima, davanti alle telecamere della televisione nazionale palestinese, aveva accusato Hamas di aver prolungato la guerra a Gaza per non aver accettato il cessate il fuoco: "Avremmo potuto evitare duemila martiri, diecimila feriti, 50 mila case distrutte".
    L'inquietudine di Abu Mazen segna dopo soli tre mesi l'improbabile destino dell'ennesimo tentativo palestinese di unità nazionale. Quel governo, deciso ad aprile e nato a giugno, aveva messo fine ai deboli e già segnati colloqui tra israeliani e palestinesi. Non sbaglia il Washington Post quando scrive però che "l'apparente unione tra Fatah e Hamas era nata più per disperazione che per reciproca comprensione". E se Abu Mazen ha cercato nell'unità nazionale un modo per tornare a influenzare la politica a Gaza, allargare la sua legittimità, il nuovo esecutivo salvava i vertici della Striscia dall'isolamento politico.
   In questo senso nulla è cambiato nemmeno oggi. La popolarità di Abu Mazen è più che mai bassa. Secondo un recente sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research, se si votasse oggi il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, vincerebbe le elezioni senza nessuno sforzo, spinto anche dall'effetto postbellico che ha rafforzato l'immagine interna di Hamas. La fortuna del rais è da sempre legata alla sua capacità d'unire i ranghi della vita politica palestinese, mantenendo una stabilità in grado di garantire una parvenza di normalità in Cisgiordania. Dall'altra parte, la ricostruzione di Gaza - e quindi la tenuta interna per i vertici di Hamas - passa attraverso Abu Mazen, visto che nessun donatore internazionale è disposto a versare denaro direttamente nelle casse dei padroni di casa della Striscia, considerati da Unione europea, Stati Uniti e Israele un gruppo terroristico.

(Il Foglio, 12 settembre 2014)


Intervista a Marcel Cohen. Che cosa ricorda il bambino ebreo

Tutta la famiglia fu sterminata ad Auschwitz. Dopo 70 anni, Marcel Cohen ricostruisce la storia

a cura di Brunella Schisa

Marcel Cohen
Marcel Cohen aveva cinque anni quando, nel 1943, i suoi genitori, la sorellina, gli zii e i nonni vennero deportati ad Auschwitz. Nessuno fece ritorno. Lo scrittore e giornalista parigino ha aspettato decenni per rimettere insieme i rari ricordi e le testimonianze dei pochi sopravvissuti. Partito da piccoli oggetti familiari: un cane giallo di stoffa, un portauovo, un posacenere, oggetti minuti, seppelliti dal tempo, Cohen usa due registri, i ricordi di bambino e i fatti come gli sono stati raccontati. Ogni capitolo è dedicato a un familiare, Marie, la madre, il padre Jacques. Alla sorellina Monique appena due pagine, di lei non è rimasta nemmeno una foto. Aveva sette mesi quando è stata deportata. Un libro intimo, pieno di pudore. Una dolorosa e frammentaria lotta contro l'oblio.

- Perché ha aspettato settant'anni per scrivere il libro?
  «In realtà questo libro è il lavoro di tutta la mia vita, l'ho costruito poco a poco, con i ricordi della mia infanzia che ho voluto fossero stampati in corsivo per non mescolare ciò che l'adulto ha potuto sapere e ciò che il bambino ricorda. Non sarebbe stato onesto letterariamente, sarebbe diventata una finzione. Volevo che il libro non avesse nulla di letterario in modo che il lettore potesse trovare il suo posto fra le pagine e che si sentisse un po' perduto come lo ero io mentre scrivevo. Per questo c'è molto silenzio, molto bianco nelle pagine che non ho riempito tutte le volte che non conoscevo la storia».

- Fino a che punto ci si può fidare della memoria di un bambino?
  «Non ci si può fidare affatto. Tutti gli psicologi e gli psicanalisti affermano che il bambino nel momento in cui racconta fa della letteratura, quindi l'adulto non deve aggiungere altro».

- Lo psichiatra neurologo Boris Cyrulnik, che ha vissuto una esperienza molto analoga alla sua, sostiene che accanto alla verità esiste anche una falsa memoria di cui diffidare.
  «Non mi sono reso conto della falsa memoria, ho restituito i miei ricordi e la storia così come mi veniva racconta in famiglia, senza cercare la verità. Altrimenti avrei fatto letteratura».

- Oltre agli oggetti lei è stato aiutato anche dagli odori.
  «L'odore è qualcosa di animale, che risale all'epoca in cui l'uomo aveva il bisogno di fidarsi del suo olfatto. Ho ritrovato il profumo dello zio Joseph, non quello di mia madre, anche se sono certo di non averlo dimenticato, lo riconoscerei tra duecento donne con profumi differenti».

- Lei chiama suoi genitori per nome, Marie, Jacques. Perché?
  «Volevo che fossero presenti come esseri umani più che come miei genitori. Il progetto dei nazisti era di cancellare la memoria. Lo sa che per leggere i sei milioni di nomi della Shoah ci vorrebbero due anni di lettura notte e giorno senza interruzione? Dei sei milioni di vittime non sappiamo quasi nulla per questo era importante che non fossero mia madre e mio padre ma delle vittime come altre centinaia di migliaia. Questa storia non è soltanto mia».

(il venerdì di Repubblica, 12 settembre 2014)


Antisemitismo: attacchi antisemiti aumentati del 400% in GB, raddoppiati in Francia

Secondo il Consiglio delle istituzioni ebraiche in Francia (CRIF), che cita fonti del Ministero degli interni francese, gli attacchi antisemiti in Francia sono raddoppiati nei primi sette mesi del 2014. Ancora più preoccupante l'aumento registrato in Gran Bretagna dove gli attacchi antisemiti sono aumentati del 400%....

(Right Reporters, 12 settembre 2014)


"Io e mio padre Amos. Così sopravvive la cultura ebraica"

La figlia primogenita dello scrittore israeliano racconta il libro-dialogo scritto insieme con il genitore.

di Elena Loewenthal

 
Fania Oz Salzberger con il padre Amos
«Ho un piccolo consiglio da dare al lettore: non cercare di scrivere un libro con tuo padre prima di avere compiuto cinquant'anni. Di lì in poi, sì che si può creare un interessante equilibrio di generazioni e punti di vista diversi». Fania Oz Salzberger è arrivata al fatidico traguardo non molto tempo fa, e l'ha celebrato proprio in questo modo: Gli ebrei e le parole (Feltrinelli) porta infatti la firma di lei e suo padre, lo scrittore Amos Oz.
   In questi giorni è in Europa e sabato sera aprirà il festival di letteratura ebraica di Roma.«Mio padre e io abbiamo scritto questo libro insieme in vera reciprocità, e ci siamo divertiti molto. Ci sedevamo in un caffè, a casa sua nel deserto, a casa mia sul Monte Carmelo, una volta persino su una barca in un lago. Parlavamo, io scrivevo sul mio laptop, citavamo fonti a memoria, le controllavo su internet. Lui diceva che i computer sono un male e internet è la fine della civiltà, l'opposto di una vera biblioteca. Io dicevo che i computer sono un bene e che internet è come un labirinto talmudico di testi e significati. Litigavamo un po', e avanti a scrivere. In fondo nelle famiglie ebraiche è sempre andata così. Questo è il segreto: amore, rispetto, disaccordo, dibattito e un continuo riscrivere i testi».
   Fania Oz è la primogenita dello scrittore e porta il nome di sua madre, morta quando Amos aveva tredici anni. E' storica delle idee e del pensiero politico, insegna all'università di Haifa. Ma la sua storia comincia al kibbutz di Hulda.

- Che cosa significa crescere in kibbutz? E' un'esperienza particolare e importante, non è vero?
  «Hulda era un posto molto bello e vicino alla natura, ma anche profondamente idealistico. Era il coraggioso tentativo di creare una vera giustizia sociale, senza ricchi e poveri, forti e deboli. Noi bambini vivevamo in una casa comune, ma trascorrevamo molto tempo con i genitori. Ora che ho tirato su i miei figli, mi rendo conto che al kibbutz avevamo più tempo con loro di quanto non accada in molte famiglie di città, oggigiorno! Casa dei miei era piena di libri. In kibbutz ho avuto il mio primo incontro con l'Italia, attraverso Cuore di De Amicis tradotto in ebraico. Ma solo molti anni dopo ho capito quanto i miei nonni e genitori amavano e odiavano e avevano nostalgia di quell'Europa che avevano perduto, che li aveva cacciati».

- Com'è diventata una storica, in particolar modo di questioni stimolanti e contraddittorie quali il rapporto fra ebrei, israeliani e Germania?
  «Dopo il kibbutz ho fatto il servizio militare come ogni israeliano. Qui sono stata così fortunata da diventare ufficiale dell'intelligente e imparare il lavoro di ricerca. Poi ho frequentato l'università di Tel Aviv e di Oxford. Perché storia? Forse perché è la chiave d'accesso alla tragedia e al mistero del destino ebraico. E fors'anche perché se sei la figlia di un narratore, hai voglia di uscire dalle iridescenti acque della fiction e approdare sul sicuro terreno dei fatti. Mi sono occupata di Illuminismo, ma il mio istinto mi ha poi portato verso la Germania.
   «Cosa è andato nel modo sbagliato? Com'è che il popolo di Goethe e Schiller, quel popolo tedesco che si paragonava agli ebrei nel loro amore per la letteratura e la filosofia, è diventato il mostro del XX secolo? Non ho trovato risposte, ma il mio cammino accademico mi ha dato molti momenti interessanti. Continuo a lavorare sull'itinerario di testi politici e l'incontro - ma anche gli equivoci - fra culture diverse. E' sorprendente quanta incomprensione derivi dalle differenze linguistiche e culturali. Gli italiani stessi sentono certamente tante dissonanze concettuali con altri membri della comunità europea. Noi israeliani siamo a volte molto distanti dal nostro migliore amico internazionale, gli Stati Uniti. Di fatto, capiamo gli europei meglio degli americani, perché molti di noi vengono da un lungo e profondo millennio di coestistenza ebraico-europea. Durante un anno sabbatico in Germania ho scritto Israelis in Berlin, cercando di decifrare la profonda attrazione che questa città esercita su molti giovani israeliani di oggi».

- Poi è arrivata a "Gli ebrei e le parole", scritto a quattro mani con suo padre. Cosa vi ha portato a questo avvincente dialogo fra voi e la storia ebraica attraverso i testi?
  «Il libro è un'interpretazione del segreto della sopravvivenza ebraica attraverso i libri e la lettura in famiglia. Secondo noi esiste un antico segreto ebraico di sopravvivenza culturale, che è oggi più che mai importante per ogni cultura del mondo: se vuoi che i tuoi figli ricordino la loro cultura, la amino, la capiscano e continuino a creare entro di essa - allora leggi insieme ai tuoi figli. Leggi con loro e condividi con loro le idee che ami. Leggi al tavolo di famiglia, associa i testi al cibo e al canto. Insegna loro a discutere con i testi che amano, ma prima di tutto insegna loro ad amarli. E comincia quando sono molto piccoli, prima che siano travolti dalle facili tentazioni. Questo è sempre stato il metodo ebraico, e funziona ancora!»

(La Stampa, 12 settembre 2014)


Ottanta insegnanti e operatori museali di tutt'Italia in visita al ghetto e alla Sinagoga di Asti

L'ingresso dei partecipanti alla Sinagoga di Asti
ASTI - L'antico ghetto di via Aliberti ha aperto la passeggiata sui luoghi della comunità ebraica astigiana che, nei giorni scorsi, ha coinvolto un'ottantina di insegnanti e operatori museali provenienti da varie regioni.
La camminata, alla quale strada facendo si sono aggiunti anche parecchi astigiani, costituisce la prima iniziativa del seminario formativo "Per discutere di Auschwitz: conoscere la storia per trasmetterne la memoria" organizzato da Israt e Associazione culturale "RectoVerso" di Torino con il Memoriale della Shoah di Parigi (spazio museale sull'Olocausto e sugli eventi che lo hanno reso possibile). Il corso è finalizzato, in particolare, a rimuovere stereotipi e luoghi comuni.
I partecipanti sono docenti di ogni ordine e grado residenti, oltre che in Piemonte, in Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lombardia e Sardegna.
Guidata da Nicoletta Fasano, ricercatrice dell'Israt, la passeggiata ha toccato via Ottolenghi, la Sinagoga, dove i corsisti hanno sostato nel tempio, piazza Catena con il Seminario Vescovile (luogo degli arresti e della detenzione degli ebrei astigiani dopo il 1o dicembre 1943), il cortile di Palazzo Ottolenghi (simbolo della storia ebraica cittadina dall'emancipazione alla persecuzione durante la Repubblica sociale italiana). Ad accompagnare gli studiosi anche le parole di Guido Artom tratte da "I giorni del mondo".
Il 17 settembre, intanto, secondo appuntamento del seminario: interverranno come relatori Georges Bensoussan e Albin Perrin, alti rappresentanti del Memoriale della Shoah. Chiusura il giorno dopo con Nicoletta Fasano, il docente universitario Diego Guzzi e Mariacristina Colli (Associazione Artefacta).
Il corso vede la collaborazione di Prefettura, Comune di Asti (Assessorato alla Cultura e Servizio Istruzione-Sistema Educazione Locale), Polo Universitario Asti Studi Superiori, che ospiterà gli incontri, Ufficio Scolastico Provinciale, Comunità ebraica di Torino.

(ATnews.it, 12 settembre 2014)


«Sono tutti i sopravvissuti a volere il museo della Shoah»

Riccardo Pacifici respinge le accuse: «Troppe cattiverie»

di Alessandro Capponi

Riccardo Pacifici vuole «raccontare tutta la storia del Museo della Shaohx». Il Museo della Shoah, almeno nel progetto originario, è al centro di una discussione molto vivace: le prese di posizione si succedono da giorni, e molte sono note. La più recente è quella di Leone Paserman, il presidente della Fondazione che proprio sul Corriere, con voce basa e turbata, ha detto che si «strumentalizzano i sopravvissuti». Dopo averla letta, Riccardo Pacifici telefona. Le otto del mattino.
   Facile immaginare il motivo della chiamata.
   «Adesso parlo io. Allora, mi lega a Leone Paserman un affetto profondo, sono stato a lungo il suo vicepresidente. L'ho chiamato un minuto dopo aver saputo della sede, era il 13 agosto, un minuto dopo. Lui era molto scettico, ma ha detto che se davvero in pochi mesi consegnavano il museo per lui andava bene».

- Paserman dice che i sopravvissuti vengono strumentalizzati.
  Io posso dire ciò che è successo, perché c'ero, ci sono stato fin dall'inizio, dal 2002, con Veltroni, dieci milioni di spesa prevista. Poi sono aumentate le spese e sono passati gli anni, tre amministrazioni, una delle quali di centrodestra».

- Partiamo dall'inizio: come nasce il progetto dell'Eur?
  «Non nasce come progetto dell'Eur, nasce come il desiderio di un sopravvissuto, al quale poi se ne sono aggiunti altri, di vedere il museo della Shoah di Roma».

- Marino ha chiesto alla comunità di esprimersi.
  «Non è la comunità che decide, aspettiamo che sia il Comune a sottoporci un progetto alternativo. E in ogni caso è il museo di Roma e non della comunità, è un pezzo di storia del Paese, della città, di tutti noi. Il desiderio dei sopravvissuti credo sia quello di riposare in pace dopo aver rivissuto mille volte quell'orrore per raccontarlo nelle scuole, nell'accompagnare i ragazzi ad Auschwitz. Al ritorno da un viaggio della Memoria uno dei sopravvissuti ha espresso quel desiderio, vedere il museo, al presidente Zingaretti. Poi si sono aggiunte le parole di altri sopravvissuti. Io stesso ho accompagnato il figlio di Shlomo Venezia, Mario, che è anche il revisore dei conti della fondazione, dal sindaco Marino. Io credo vadano ringraziati sia il presidente Nicola Zingaretti sia l'assessore Paolo Masini per la disponibilità e l'impegno. So di parlare a nome dei molti nella comunità che condividono la speranza dei sopravvissuti. Poi sono state dette cose, tante cattiverie".

- Come quella che vuole, per lei, il museo come un trofeo da spendere in chiave elettorale.
  «Intanto, non posso essere rieletto. E soprattutto: ho lavorato per il Museo della Shoah fin dall'inizio, ho sostenuto, e Luca Zevi può confermarlo, il progetto di Villa Torlonia. Là non ci fu una gara perché il lavoro venne donato alla città di Roma dalla Lamaro dei fratelli Toti, che avevano acquistato il progetto da Zevi e Tamburini. A proposito di campagna elettorale, non so se proprio Zevi abbia intenzione di candidarsi...».

- Cattiverie a parte, scusi, ma abbandonare il progetto originario non espone il Campidoglio, Roma, al rischio di danno erariale?
  «Questo aspetto va valutato con attenzione, dal Campidoglio».

- Ma la posizione della comunità, secondo lei, quale è?
  «La base della comunità è per il museo all'Eur. Sede definitiva, farla temporanea significherebbe triplicare i costi. E la comunità non è disponibile, noi abbiamo il nostro museo».

- Mancano dodici ore al Consiglio della comunità. Poi cosa accadrà?
  «La Fondazione dovrà esprimersi. Ma comunque sono state raccolte tante firme, la volontà dei sopravvissuti è chiara e credo sia diffusa la volontà di aiutarli a realizzare un sogno. Respingo con forza qualunque accusa di strumentalizzazione: sono persone che per anni hanno seminato memoria e che adesso vorrebbero un luogo per il museo».

*

Delibera all'unanimità sulla scelta del luogo

Il Consiglio della comunità: «Decoro e dignità per la struttura»

Fino a tarda sera hanno discusso e si sono confrontati. Poi hanno deliberato all'unanimità il Consiglio della comunità ebraica romana ha evitato di entrare nel merito della scelta del luogo in cui deve essere realizzato il museo della Shoah. Ma ha elencato le tre «inderogabili esigenze» che debbono essere rispettate: «Tempi rapidi di attuazione» e spesa contenuta per la realizzazione «in considerazione delle difficoltà economiche in cui versa il Paese». Ancora, un'ulteriore condizione indispensabile: debbono essere garantiti «decoro e dignità alla struttura». Tutto ciò, dopo aver preso atto della petizione promossa da un gruppo di ragazzi della Comunità (ha raccolto duemila firme) con la quale non si poteva alcun veto alla scelta di un luogo diverso rispetto a Villa Torlonia.

(Corriere della Sera, 12 settembre 2014)


Lettere di fidanzati ebrei cento anni fa

Loredana Leghziel presenta il suo nuovo libro.


 
MANTOVA - 11 settembre - Stasera alle 21 alla libreria Di Pellegrini in via Marangoni 16, verrà presentato il nuovo libro di Loredana Leghziel Colorni, "Corrispondenze d'amore". L'incontro è intitolato "…io ti consacro secondo la legge di Mosè e d'Israele". Il libro infatti, attraverso le lettere di due coppie di fidanzati, di fine Ottocento e inizio Novecento, che erano poi i nonni e i bisnonni di Emanuele Colorni, ci fa entrare nella società ebraica mantovana, friulana e torinese di quel periodo d'oro, in cui finalmente emancipati e cittadini italiani come gli altri, gli ebrei vivevano intensamente la vita sociale oltre che familiare. Si possono così conoscere le usanze, i riti religiosi, le tradizioni familiari tipiche del mondo ebraico borghese. Le lettere, pur lasciando trasparire i sentimenti all'interno delle coppie destinate al matrimonio, risultano molto delicate e si diffondono piuttosto in notizie di tipo pratico, sulle consuetudini legate alla dota, e di informazioni sulle rispettive conoscenze.
Sarà presente l'autrice. E interverranno Stefano Patuzzi, ebraista, e Mauro Patuzzi, curatore del volume
I protagonisti delle lettere sono Elisa De Benedetti con Israel Mòise Levi, e poi la loro figlia Emma, con il promesso sposo Emanuele Colorni.
Emma ed Emanuele furono i genitori di Vittore Colorni, che è stato uno dei maggiori storici italiani esperto di giudaismo che ha lasciato studi e ricerche in particolare sulla comunità ebraica mantovana dal tempo dei Gonzaga e sul movimento degli ebrei in Italia dal medioevo. Ora ecco un quadro del mondo ebraico visto dall'interno delle famiglie.

(Gazzetta di Mantova, 11 settembre 2014)


Hamas prende in giro tutti. Scavano già i nuovi tunnel

Infranta la tregua stipulata con Israele, lo dimostra un video trasmesso da Al Jazeera. La denuncia di un ministro palestinese: aiuti umanitari rivenduti per finanziare i terroristi.

di Michael Sfaradi

GERUSALEMME - Che l'operazione "Margine Protettivo" sia stata interrotta prima di raggiungere risultati concreti contro Hamas è ormai un fatto assodato e in Israele è già in corso il toto-guerra sulla data in cui l'organizzazione terroristica ricomincerà a lanciare missili. Basandosi su questi presupposti il servizio andato in onda qualche giorno fa su Al-Iazeera almeno in Israele non ha fatto scalpore. Semmai è ulteriore benzina alle critiche nei confronti del governo israeliano che ha ceduto ancora una volta alle pressioni internazionali. Nelle immagini del servizio si vede il giornalista che viene bendato e poi portato all'interno di un tunnel in costruzione situato presumibilmente nei pressi del confine con Israele. Le descrizioni del tunnel e delle condizioni di lavoro con cui viene realizzato sono precise e il reporter avanza mentre la telecamera spazia nello stretto cunicolo dove si vede l'ampio uso del cemento che doveva essere invece destinato alla costruzione di edifici civili. II tunnel non è completo è c'è anche il tempo per far vedere i lavori in corso e intervistare il terrorista di Hamas che descrive la scena come se si trattasse di una grande opera di ingegneria, poi, alla fine, la domanda di rito, e cioè l'obbiettivo del tunnel. La risposta, data con tuna l'enfasi possibile è suonata come l'ennesima dichiarazione di guerra «Questi tunnel saranno pronti per la prossima battaglia». E sì, è proprio questa la notizia vera del servizio, lo scoop: nonostante i bombardamenti, nonostante il cessate il fuoco permanente in corso, Hamas ha ripreso, anzi non ha mai terminato, di scavare i suoi tunnel, attraverso i quali passano le armi e i missili con cui bombardano Israele.
   II servizio finisce poi nei pressi di in un altro tunnel, che è un punto di lancio dei missili anticarro Kornet e con le immancabili immagini che mostrano l'abilità con cui vengono preparate le rampe di lancio e i razzi puntati contro i civili israeliani. Da questi tunnel poi passa anche il contrabbando, e non ultimo gli aiuti umanitari "rubati". II 5 settembre scorso, durante un'intervista alla televisione dell'Anp, il Primo Ministro del governo di unità nazionale palestinese Rami Hamdallah ha dichiarato: «Il governo palestinese ha saputo che molti aiuti umanitari non sono mai giunti a destinazione. Generi di tutti i tipi sono conservati nei magazzini e non sono mai stati distribuiti alla popolazione ma ne hanno beneficiato solo ad alcuni gruppi protetti politicamente. L'entità degli aiuti che arrivano a Gaza da tutto il mondo è enorme e nella Striscia c'è una grande eccedenza di prodotti alimentari. Le medicine inviate sono più del necessario e non distribuite. Io vi dico che ci sono più medicine a Gaza che in tutta la Cisgiordania. Finora chiunque voglia dare una mano e rafforzare Gaza non sa cosa succede veramente nella Striscia. Ci sono dei ministri di cui abbiamo perso ogni controllo». Che Hamas facesse mercato nero degli aiuti umanitari non è una novita, il "pizzo" terroristico era stato a più riprese denunciato, e sempre inascoltato, dalle autorità israeliane.
   Ora pertò la notizia è stata confermata da un appello pubblico ad Hamas, da parte dei vertici del governo palestinese, che chiede di distribuire il cibo e medicinali fermi nei magazzini alle classi più povere. Ma anche in questo caso pertò la notizia è passata in sordina in tutto l'occidente. Le cronache di guerra hanno riempito le prime pagine di tutti i giornali, ma quando gli aiuti umanitari per i sopravissuti diventano merce al mercato il silenzio complice e colpevole dell'occidente è assordante.

(Libero, 11 settembre 2014)


Milano - Incontro con il padre di Iron Dome

"Così abbiamo protetto Israele"

di Daniel Reichel

 
Danny Gold
Un lungo e fragoroso applauso è risuonato ieri nell'aula magna della scuola ebraica di Milano. Una calorosa accoglienza per chi, con la sua Cupola di ferro, ha salvato e protetto migliaia di civili israeliani dai missili di Hamas. Un tributo a Danny Gold, il padre di Kippat Barzel, sofisticato sistema antimissile cui sbalorditiva efficacia ha permesso di ridurre al minimo i danni dei razzi sparati da Gaza nel corso dell'ultimo conflitto. Centinaia di persone hanno affollato la sala per ascoltare l'ideatore della Cupola di Ferro, in un evento organizzato dal Keren Hayesod, ente impegnato a sostenere Israele e a rafforzare i suoi legami con gli ebrei della diaspora. Sul palco Gold ha presentato con orgoglio quello che "in molti avevano bollato come fantascienza" e lui, assieme a un team di oltre 300 persone, è riuscito a rendere possibile. A fare gli onori di casa, Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano, a cui è seguito il saluto del presidente di Keren Hayesod Italia Samy Blanga. Nel corso della serata, a cui ha partecipato il vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, è stato presentato da Andrea Jarach la raccolta fondi del Keren Hayesod Italia per finanziare la creazione di rifugi mobili antimissile per la popolazione israeliana. Una testimonianza del lavoro svolto sul fronte della sicurezza e della collaborazione tra comunità della diaspora e Israele è stata portata da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma.
   "All'inizio ci sono stati molti ostacoli", ammette Gold, raccontando il percorso con cui si è riusciti a creare un sistema che ha distrutto il 90% dei missili intercettati. "Fantascienza, dicevano. Tutte le menti ingegneristiche e scientifiche sostenevano che creare Iron Dome non era possibile. Troppo costoso, troppo lungo da realizzare", lo scetticismo con cui venne accolta la proposta di Gold. A dargli fiducia, l'allora ministro della Difesa Amir Peretz, che lo mise a capo del dipartimento di Ricerca e Sviluppo del ministero della Difesa. "Cominciai a selezionare decine e decine di persone. Il team era costituito da oltre 300 persone. Capitava di veder discutere del progetto una ragazza di 25 anni con un uomo di 70 anni, tutti concentrati a lavorare insieme per raggiungere l'obiettivo". Mesi intensi di lavoro che hanno portato alla realizzazione della Cupola di Ferro: un arsenale mobile fatto di un radar e di tre rampe che possono lanciare intercettatori e missili. Impressionanti le immagine mostrate da Gold di alcune intercettazioni. "Il sistema calcola dove andrà a finire il razzo per cui se non è diretto verso una zona abitata, il meccanismo di difesa non si innesca". Vedere per credere. In un video, concluso con ovazione dei presenti, si vedono tre missili sparati da Gaza dirigersi verso il territorio israeliano. Due intercettatori partono per fermarli e uno di questi evita letteralmente uno dei tre missili e fa esplodere quello successivo. Il razzo evitato cadrà infatti in mare. "Oltre 4500 missili sono stati sparati da Gaza - ricorda Gold - Iron Dome ha permesso di ridurre, con un costo basso da sostenere (tra i 50mila e 100mila dollari), i danni a persone, abitazioni e infrastrutture. Ha permesso che le persone vivessero più tranquille e garantito l'economia israeliana da un possibile crollo dovuto al conflitto".
   Tanti i progetti messi in campo dalla difesa israeliana per continuare a proteggere i suoi civili. Oltre ad Iron Dome, spiega Gold, si stanno progettando dei sistemi di difesa che difendano l'intero territorio nazionale (Kippat Barzel funziona infatti in un'area circoscritta), e, vista la minaccia iraniana, che siano in grado di intercettare con largo anticipo un eventuale minaccia nucleare. Il presente e il futuro, in questo campo e non solo, è l'high tech. Telecamere serpente che strisciano e controllano dal basso il campo, macchine telecomandate che ispezionano edifici e tunnel, radar per visualizzare i cunicoli sotterranei. Nuovi strumenti per difendere Israele e la sua sicurezza, con la consapevolezza di dover tenere sempre alta la guardia, sottolinea Gold. "Anche loro (i terroristi) diventeranno più sofisticati, già adesso usano ogni stratagemma per nascondere da dove sparano i missili". Un esempio, un razzo lanciato dal quarto piano di una casa, al primo famiglie di civile usate come scudo umano. E ancora lanciarazzi camuffati nei camion o nascosti sottoterra. "Il 72% dei missili sparati nell'ultimo conflitto da Gaza erano indirizzati fuori bersaglio". Una fortuna ma da tenere in conto possibili migliorie anche sul fronte dei terroristi, che già hanno a disposizione missili di fabbricazione iraniana capaci di raggiungere Tel Aviv e il nord di Israele. Dopo la Cupola di Ferro, continua dunque l'impegno di Gold e dei ricercatori israeliani per sventare future minacce.

(moked, 11 settembre 2014)


Paserman: stanno vendendo sogni ai sopravvissuti

II presidente della Fondazione pronto a lasciare il Museo della Shoah. L'accusa di Leone Paserman: Sopravvissuti strumentalizzati.

di Alessandro Capponi

Leone Paserman, presidente della Fondazione Museo della Shoah
Colpisce il tono di voce, prima ancora dei concetti: deluso e dispiaciuto, basso basso. È evidente che non sono concetti pronunciati a cuor leggero, e che il presidente della Fondazione museo della Shoah, Leone Paserman, parli con un certo dolore: «È chiaro che stanno strumentalizzando i sopravvissuti, con cinismo».
   «Ho accettato l'incarico di presidente della Fondazione perché credevo nel progetto che mi era stato sottoposto. Ma se invece adesso si tratta di illudere i sopravvissuti, di vendere loro un sogno, allora, come ho già scritto al presidente Riccardo Pacifici, io non ci sto...».
   Leone Paserman esordisce dicendo che non vuole «rilasciare interviste». Poi però accetta di mc-contare al Corriere il suo stato d'animo e il suo punto di vista alla vigilia del Consiglio della comunità ebraica, che con ogni probabilità voterà stasera — secondo fonti interne alla comunità — per il Museo della Shoah all'Eur.

- Presidente, cosa pensa della nuova ipotesi del museo all'Eur?
  «Sinceramente non so neanche se abbiano fatto l'accordo. Nessuno mi ha invitato neanche a vedere i locali. Ma sanno almeno quant'è complessa la normativa sulla sicurezza per i musei?».

- Come la normativa sulla sicurezza?
  «Scusi ma stanno dicendo che il nuovo museo sarà pronto per il settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, a gennaio. Peccato che per allestire una nuova sede devono essere messi a norma i locali, poi c'è l'allestimento, e in ogni caso il tempo necessario è superiore, un museo non si allestisce in quattro mesi».

- Quindi la sua sensazione è che...
  «A me dispiacciono due cose. Che nessuno mi abbia informato, come ho già detto. E anche che stanno strumentalizzando i sopravvissuti, cinicamente, perché promettere di aprire un museo in quattro mesi... Comunque, io da presidente della Fondazione recepirò le indicazioni del Consiglio...».

- Quali che siano?
  «Sia chiaro: perché anche l'Eur può andare bene. Ma deve trattarsi di un impegno serio e fattibile».

- Magari una sede provvisoria?
  «In Italia non c'è niente di più definitivo delle cose provvisorie... Se si tratta di allestire una mostra è un conto. Ma per una sede del museo, anche se provvisoria, i tempi non credo proprio siano tanto stretti».

- Quindi lei è pronto a lasciare l'incarico alla Fondazione?
  «Cosa vuole, ho 75 anni e nessuna ambizione personale. Io spero che il progetto sia serio e fattibile, ma se non lo sarà non avrò alcuna difficoltà a farmi da parte».

(Corriere della Sera - Roma, 11 settembre 2014)


L'offerta di al-Sisi's, il no di Abu Mazen

Evidentemente l'obiettivo non è l'indipendenza palestinese né migliorare le condizioni dei palestinesi, ma colpire lo stato ebraico

E' accaduto qualcosa di straordinario. Il 31 agosto scorso il capo dell'Olp e presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha detto, in una riunione di membri di Fatah, che l'Egitto si era offerto di dare all'Autorità Palestinese circa 1.600 chilometri quadrati di terra nel Sinai adiacenti a Gaza, quintuplicando così le dimensione della striscia di Gaza. L'Egitto aveva anche offerto di consentire a tutti i cosiddetti "profughi palestinesi" di stabilirsi nella striscia di Gaza in questo modo allargata. Dopodiché Abu Mazen ha informato i suoi seguaci di Fatah che aveva seccamente respinto l'offerta egiziana. Lunedì scorso un reportage della radio israeliana Galei Tzahal confermava quanto affermato da Abu Mazen, spiegando che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi aveva proposto ai palestinesi di stabilirsi in questo loro stato nella striscia di Gaza ampliata, e di accettare forme di autonomia nelle parti di Giudea e Samaria (Cisgiordania) che sono già sotto controllo dell'Autorità Palestinese. In cambio i palestinesi avrebbero rinunciato alla pretesa che Israele si ritiri sulle indifendibili linee armistiziali del 1949 (cosiddetta Linea Verde). Secondo al-Sisi, il territorio offerto nel Sinai egiziano compenserebbe ampiamente le parti di Cisgiordania cedute dai palestinesi....

(israele.net, 11 settembre 2014)


Bologna - Il Museo Ebraico diventa crocevia della tradizione yiddish e klezmer

Il jazz esplorato da artisti di tradizione giudaica per una terna di concerti che svela inaspettati legami: Apre la serie Uri Caine, l'alchimista che sa abbattere ogni steccato. Poi largo a Gabriele Coen e Zeno De Rossi.

di Gian Aldo Traversi

 
Uri Caine - "Dumah"
Che il coté ebraico del jazz sia relativamente poco conosciuto stupisce solo gli addetti ai lavori. Non tutti sono al corrente nemmeno del fatto che la tradizione popolare afroamericana e quell'ebraica di origine yiddish celebrino con unico, passionale fervore la loro diversa spiritualità al crocevia di culture che nella multietnica New York degli anni '30 finivano per fondersi. Autentico tripudio nella storia musicale del Novecento segnato da star di fama planetaria come George Gershwin, Benny Goodman, Stan Getz o Bix Biedernecke che coniugando il klezmer e la canzone yiddish assieme ad altre culture musicali esploravano, per così dire, le nuove frontiere sonore offerte dal jazz. Questo il tema di fondo di Jewish Jazz! La musica ebraica incontra il jazz, dagli Stati Uniti all'Italia, tre appuntamenti in programma rispettivamente questo sabato, poi il 18 e il 23 settembre dalle 21 nel cortile del Museo Ebraico (via Valdonica 1/5), affidati rispettivamente a un pianista compositore di livello internazionale come Uri Caine, grande interprete del repertorio di John Zorn, il più rilevante interprete contemporaneo della nuova musica ebraica, che esplora in tutte le sue declinazioni appunto sabato (Moloch: Book of Angels volume 6), e a Gabriele Coen e Zeno De Rossi, i due più importanti esponenti dell'incontro tra jazz e musica ebraica in Italia, in concerto nelle date successive.
  Coen (sax, clarinetto e composizione) con il suo sestetto Electric Klezmer Night affronta giovedì 18 il tema Jewish Experience, recuperando le sonorità di Miles Davis ed Herbie Hancock fino a quelle dell'Electric Masada e di The Dreamers di John Zorn. Zeno De Rossi, tra i batteristi più plastici della scena italiana alla testa di un settetto martedì 23 sfoglia Me' or Einaym, una suggestiva raccolta di sonorità estrapolata dall'ebraismo contemporaneo con cui ha inciso due dischi.
  I tre concerti accompagnano la Giornata Europea della Cultura Ebraica in programma domenica, riproponendo i frutti più seducenti sul piano musicale dell'epopea dell'immigrazio-ne ebraica ashkenazita e sefardita nel Nuovo Mondo, sottolineandone le innegabili "liason" con il jazz primigenio degli afro-americani, fino ad arrivare alle creazioni di Zorn.

(il Resto del Carlino, 11 settembre 2014)


Fotogrammi di Israele. Ecco il Florence festival

Nuova rassegna di film

di Giovanni Bogani

FIRENZE - Sono cinque film, tutti provenienti da Israele. E' un piccolo festival, che può avere un importante futuro. E' il Florence Israeli film festival, prima rassegna di cinema israeliano a Firenze. Le proiezioni si terranno da domenica sera fino a martedì, allo Spazio Alfieri. Ingresso gratuito, e sottotitoli in italiano (sonoro originale). «E' una sorta di numero zero di un'iniziativa che vorremmo diventasse un appuntamento fisso per Firenze, che ha già un ricchissimo panorama di eventi cinematografici», dice Giuseppe Burschtein, organizzatore del festival.
A introdurre i film, alcuni tra i più importanti studiosi della cultura ebraica contemporanea. Dal giornalista dell'Espresso Wlodek Goldkorn all'antropologo Ugo Catfaz, dalla giornalista HuIda Liberanome a due rappresentanti di spicco della comunità ebraica come Sara Cividalli e Renzo Funaro. Salta agli occhi che in questi film assai poco si parla di guerra. Alcuni sono commedie, in una di esse — «A Matter of Size», in programma lunedì alle 22.30 — si parla di diete ossessive e di grassissimi lottatori di sumo. Solo in «Yes, miss Commander», in programma lunedì alle 1930, l'ambiente è una base militare in Galilea. Siamo stati abituati a vedere la guerra raccontata in film israeliani che hanno vinto festival internazionali, come «Lebanon», Leone d'oro a Venezia 2009, o come «Valzer con Bashir», candidato all'Oscar 2009. Ora (e Gaza è ancora fumante di distruzione) i film che il festival mostra sono film di pace. E forse proprio questa è una soluzione. Israele vuole fortissimamente essere un paese normale', con vita, cultura, senso dei sentimenti umani che non sia schiacciato dall'incombere permanente di una guerra.

(La Nazione, 11 settembre 2014)


Commemorato l'Olocausto in Slovacchia. Furono 71mila le vittime delle leggi razziali

La cerimonia di commemorazione a Bratislava
Treno di ebrei slovacchi per Auschwitz (1942)
Il 9 settembre 1941 entrò in vigore in Slovacchia il cosiddetto "codice ebraico", che portò alla spoliazione degli ebrei slovacchi dei diritti civili e delle proprietà. Tutti gli ebrei di età superiore ai sei anni dovettero applicare una stella gialla sui loro abiti. Questa legge, emanata dalla dirigenza della "prima" Repubblica Slovacca, forma statuale indipendente sotto l'influenza tedesca che durò dal 1939 al 1945, permise successivamente la deportazione di circa 71.000 ebrei nei campi di concentramento negli anni 1942 e 1944.
Il Parlamento nel 2001 ha dichiarato il 9 settembre "Giornata delle vittime dell'Olocausto e della violenza razziale", unendo all'orrore del genocidio degli ebrei anche un invito a lottare contro ogni forma di razzismo, intolleranza, xenofobia, oppressione e discriminazione.
Ieri 9 settembre 2014 le autorità slovacche hanno commemorato le vittime dell'Olocausto deponendo corone di fiori presso il memoriale ad esse dedicato nella capitale Bratislava, nella piazza Rybne namestie, dove un tempo sorgeva una sinagoga.
Il Premier Robert Fico ha sottolineato nel suo discorso che «l'Olocausto in nome di ideali folli è un peccato e una vergogna eterna per coloro che vi hanno avuto parte», oltre che un monito per il futuro. È necessario conservare la memoria storica sulla Shoa, e provvedere all'educazione delle giovani generazioni sui fatti che vi hanno condotto, per un apprendimento sistematico e veritiero «della disumanità di coloro le cui menti e cuori furono oscurati dalla visione folle e malata di benessere personale alle spese della sofferenza altrui».
Fico ha ricordato che il Ministero dell'Istruzione ha diffuso nuovo materiale aggiuntivo ai libri di testo sulla cosiddetta questione ebraica in Slovacchia tra il 1938 e il 1945, e ha sottolineato il ruolo del Ministero della Cultura nella ricostruzione del Museo dell'Olocausto presso l'ex campo di lavoro e concentramento di Sered (nella regione di Trnava).
Il Presidente Andrej Kiska, presente alla manifestazione, ha scritto sul suo sito web che è dovere di tutte le persone con una coscienza ricordare gli orrori dell'Olocausto, in particolare in questi tempi in cui «sono in aumento espressioni di neo-nazismo e odio razziale».
Il Ministero degli Affari esteri ed Europei ha scritto in una nota che la memoria delle vittime dell'Olocausto «rappresenta un appello urgente anche in questi giorni in cui in varie parti del mondo i diritti umani sono gravemente violati a causa di una discriminazione basata su razza, religione o etnia». L'insegnamento che proviene da quegli eventi è ancora oggi rilevante, si legge: l'Olocausto non prese avvio con le camere a gas, ma con dichiarazioni su «parassiti sul corpo della nazione che devono essere eliminati». Dichiarazioni simili si possono sentire ancora oggi. Gli accadimenti di 70 anni fa dovrebbero «servire da avvertimento su dove puà portare una tale retorica infarcita di razzismo e odio».
Lucia Kollàrovà, portavoce della Federazione delle comunità ebraiche in Slovacchia, ha detto, scrive Sita, che i tragici eventi dell'Olocausto hanno lasciato nella società diversi problemi sociali ed etici. Se da un lato ci sono forze che cercano di analizzare quello che è successo, trovarne le ragioni e mantenere viva la memoria di milioni di vittime, dall'altro ci sono forze non indifferenti «che cercano di relativizzare, mettere in dubbio o addirittura negare certi eventi». Molto spesso chi si rese responsabile del genocidio e di attività definite 'crimine dell'umanità' da parte dei giudici, viene lodato. I membri della comunità ebraica considerano tali celebrazioni un'offesa alle vittime dell'Olocausto, ha detto Kollàrovà.

(Buongiorno Slovacchia, 10 settembre 2014)


Quella particolare forma di antipatia per gli ebrei

L'antipatia può avere molte forme, ma ce n'è una più difficile da riconoscere: l'omissione. Se qualcuno mi è antipatico, posso reagire in due modi: parlarne male con tutti e in ogni occasione, oppure, all'opposto, non parlarne mai, agire come se non esistesse, sorprendermi se qualcuno ne parla, considerare la cosa non meritevole neppure di essere presa in considerazione. Se però qualcuno insiste a parlarne in mia presenza, prima o poi affiora la malignità dell'osservazione velenosa o straripa il fiume dell'invettiva devastante. E' quello che accade spesso quando si tratta di ebrei.
I peccati di omissione sono gravi come i peccati di azione, e per quel che riguarda la "questione ebraica" sono forse i più diffusi. Chi tace sugli ebrei quando bisognerebbe parlarne, e parlarne in modo giusto, prima o poi ne parlerà in modo sbagliato. E i cristiani che con leggerezza parlano in modo sbagliato degli ebrei quasi sempre non si accorgono di dare espressione a quella particolare "superbia dei gentili" contro cui si rivolge il severo ammonimento dell'apostolo Paolo:
    "... non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te... non insuperbirti, ma temi" (Romani 11:18,20).





 

L'esproprio dei beni dei cittadini di razza ebraica

TORINO - "L'esproprio dei beni dei cittadini di razza ebraica e dei 'sudditi nemici' in Piemonte e Liguria (1939-1945)". E' questo il titolo dell'incontro che avrà luogo giovedì 18 settembre alle 16,30 nei locali del Museo diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà (corso Valdocco 4/A). L'iniziativa rientra nella rassegna "Le Conversazioni con l'Archivio Storico della Compagnia di San Paolo" ed è organizzata e promossa dalla Fondazione 1563 per l'Arte e la cultura, ente strumentale della Compagnia di San Paolo, che persegue statutariamente la realizzazione di attività di ricerca e di alta formazione nel campo delle discipline umanistiche. I Provvedimenti per la difesa della razza italiana emanati nel novembre 1938 trovarono attuazione dopo pochi mesi con la costituzione dell'Ente di Gestione e liquidazione immobiliare, incaricato di acquisire, gestire e rivendere i beni eccedenti la quota di proprietà consentita ai «cittadini italiani di razza ebraica».
   In seguito l'Egeli estese le proprie competenze ai sequestri dei beni esattoriali e, con l'ingresso dell'Italia in guerra, ai sequestri dei beni nemici in Italia e nella zona francese occupata. La Repubblica di Salò inasprì le misure contro gli ebrei, stabilendo la confisca totale delle loro proprietà. Dopo la Liberazione iniziarono le restituzioni mentre venivano posti sotto sequestro i beni germanici. La gestione dei beni sequestrati fu delegata a una ventina di istituti di credito fondiario presenti nelle diverse regioni italiane: per il Piemonte e la Liguria fu scelto l'Istituto di San Paolo.
   Il nucleo principale del fondo è costituito da migliaia di pratiche di sequestro di appartamenti di città, di ville della Riviera come la proprietà Hanbury, di terreni alpini. Analitici elenchi descrivono mobili, suppellettili, arredi, oggetti della vita quotidiana. Fonte principale di una innovativa ricerca estesa agli aspetti economici della persecuzione ebraica condotta negli anni Novanta, l'archivio è stato utilizzato dalla Commissione Anselmi per il Rapporto sui beni sottratti agli ebrei ed è consultato per tesi di laurea e ricerche di famiglia. Il nuovo inventario con l'indicizzazione analitica dei nomi di persona e di ente, dei luoghi e degli indirizzi delle proprietà amplia le possibilità di ricerca del fondo, costituito da circa 6300 fascicoli. Tra i relatori saranno presenti, Fabio Levi, docente dell'Università di Torino e Anna Cantaluppi, curatrice dell'Archivio Storico della Compagnia di San Paolo.

Info allo 011/6604991 o su www.fondazione1563.it/
Dove: Corso Valdocco 4/A, Torino
Quando: Da giovedì 18 settembre, alle 16,30

(La Stampa, 10 settembre 2014)


Gaza: la ricostruzione avverrà sotto l'egida di Abu Mazen

L'Egitto sottolinea il ruolo del presidente dell'Anp rispetto a Hamas

IL CAIRO - Si terrà sotto l'egida del presidente palestinese Abu Mazen la conferenza internazionale sulla ricostruzione nella Striscia di Gaza convocata al Cairo per il 12 ottobre. Lo ha sottolineato il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, precisando che il ruolo di Abu Mazen rispecchierà "il ruolo che l'Autorità nazionale palestinese (Anp) avrà nel processo di ricostruzione" nell'enclave controllata negli ultimi anni dagli islamici di Hamas.

(ANSA, 10 settembre 2014)


Ma anche le donne portavano la kippah

Nei ghetti italiani erano autonome, avevano proprietà e facevano affari. Alcune lottavano contro le conversioni forzate e traducevano testi ebraici. Nella Russia zarista facevano politica. In Germania, Regina Jones nel 1935 ricevette il rabbinato e morì ad Auschwitz dopo aver aiutato tanti accanto allo psicologo Viktor Frankl.

di Anna Foa

 
Rabbi Regina Jones
Sono storie diverse nel tempo e nello spazio quelle delle donne ebree: tenute lontane dalla sfera religiosa pubblica e che, ancor oggi, almeno nell'ebraismo ortodosso, non hanno accesso al rabbinato; centrali nella vita familiare, dove sono al cuore di una religiosità fatta di riti e tradizioni domestiche; in grado nel passato di leggere e scrivere più forse di quanto non lo fossero le donne cristiane; munite talvolta di ampi spazi di autonomia lavorativa ed economica; mai sottoposte all'obbligo di coprirsi il volto, come le donne musulmane... E potremmo continuare ad elencare i loro poteri e le loro limitazioni e a confrontarli con quelli delle altre culture, a cominciare da quella cristiana. Un panorama in realtà molto variegato di rapporti di genere, in cui rispetto al mondo cristiano l'elemento forse di maggior differenza è l'inesistenza, fra gli ebrei, del monastero, e cioè della possibilità femminile di rinunciare alla famiglia e di sfuggire così anche alle regole e limitazioni che sempre caratterizzano la vita famigliare. Donne che, come le loro sorelle cristiane, nella maggior parte dei casi hanno attraversato la storia senza lasciare traccia di sé, senza che il loro nome fosse ricordato. Ma non sempre, ma non tutte.
   Durante la prima Crociata, nel 1096, gruppi marginali di Crociati assalirono e distrussero le comunità ebraiche della zona renana della Germania, per sbarazzarsi dei nemici interni prima di attaccare quelli esterni. Numerosi furono fra gli ebrei, soprattutto nelle famiglie rabbiniche, coloro che per evitare la conversione uccisero i loro famigliari e si suicidarono. Nei lunghi elenchi dei martiri, letti per secoli in sinagoga, ci sono anche i nomi delle donne, anche il loro ricordo è entrato nella preghiera.
   Nei ghetti italiani del Cinquecento, le donne erano economicamente munite di notevoli autonomie: potevano recarsi dai notai senza mediatori maschili, possedere beni di proprietà, far testamento autonomamente. Troviamo anche ragazze che rifiutano lo sposo che la famiglia ha loro destinato, che si ribellano con forza ai voleri dei genitori. E troviamo, nel ghetto di Mantova, una cantante ebrea famosa alla Corte dei Gonzaga, Madama Europa, la sorella del compositore Solomone Rossi, e in quello di Venezia una poetessa e scrittrice ebrea, Sara Copio Sullam.
   La prima donna ebrea a scrivere un'autobiografia vera e propria fu nella Germania della seconda metà del Seicento Glueckel von Hameln. Lavorò a fianco del marito mercante, gesti gli affari dopo la sua morte, si risposò, allevò molti figli. Il suo libro, scritto originariamente in yiddish, è un testo prezioso e godibilissimo che ci consente uno sguardo in profondità sul suo mondo, sui suoi affetti, sulla sue religiosità. Diversissimo un secolo dopo il mondo ebraico berlinese di Rachel Vamhagen, il cui salotto fu frequentato dai massimi intellettuali tedeschi del tempo. Scrittrice, si converti nel1814 al cristianesimo. Nella straordinaria biografia che ne ha scritto, Hannah Arendt ce la mostra nella sua drammatica ambivalenza tra ebraismo e cristianesimo. Ed è forse nella via stretta fra le due religioni, nelle conversioni, che le donne ebree emergono a tutto tondo. È attraverso le donne che nelle famiglie "marrane" si tramanda maggiormente l'adesione segreta all'ebraismo. Nella Napoli del secondo Cinquecento, molte donne di origine spagnola sono arrestate come giudaizzanti, ed alcune di loro sono accusate di aver tradotto testi dall'ebraico. Sono donne sapienti, come nel titolo della Giornata della cultura ebraica. Alcune finiranno per questo sul rogo. Con l'avvicinarsi dell'emancipazione, le donne emergono sempre più alla luce nel mondo ebraico. Nella Russia zarista, dove l'emancipazione restava ostinatamente negata agli ebrei, le donne si gettano nella politica, nell'opposizione al regime zarista, nel sionismo. Emigrano per poter frequentare le università, come Anna Kuliscioff, che da Zurigo passa poi in Italia, divenendo uno dei leader del partito socialista, compagna di Andrea Costa e poi di Turati e modello di anticonformismo. Nelle Americhe, nella grande ondata di emigrazione ebraica di fine Ottocento, le donne ebree diventano operaie nelle fabbriche, partecipando della vasta adesione ebraica alla modernità. Nell'incendio del 1911 a New York della fabbrica Triangl, in cui morirono 123 operaie, a cui si fa erroneamente risalire la festività dell'8 marzo, la maggior parte delle vittime erano operaie ebree che venivano dai villaggi ebraici dell'Europa orientale.
   Nelle comunità americane, in maggioranza riformate o conservative, le donne hanno accesso al rabbinato, a differenza che nelle comunità ortodosse. Ma la prima donna a essere ordinata rabbino fu nel 1935 in Germania Regina Jones. Ortodossa, Regina Jones si vide naturalmente rifiutare l'ordinazione dai rabbini ortodossi e la ricevette da un rabbino riformato, senza tuttavia aderire alla Riforma. Regina Jones fu arrestata dai nazisti nel 1942, spedita a Theresienstadt dove lavorò nell'équipe dello psicologo ViktorFrankl aiutando i deportati nella loro battaglia perla sopravvivenza. Mori ad Auschwitz nel 1944 ma nessuno ne ha lasciato menzione fra i sopravvissuti, nemmeno Frankl.

(Avvenire, 10 settembre 2014)


Bolzano - In sette rischiano di finire a processo per antisemitismo

Il pm Igor Secco ha concluso le indagini: prese di mira 165 persone, tra cui politici, giornalisti e imprenditori

di Mario Bertoldi

BOLZANO - Sette richieste di rinvio a giudizio per diffusione di idee fondate sull'odio razziale per motivi religiosi nei confronti della comunità ebraica. Si è conclusa così l'inchiesta del pubblico ministero Igor Secco avviata qualche tempo fa su querela sporta da Federico Steinhaus, noto esponente della comunità ebraica di Merano, che si era visto insultare assieme a molte personalità della politica e dell'informazione, su un paio di siti internet pubblicizzati a livello internazionale.
   In sette ora rischiano il processo per «Vocazione ideologica antisemita» dato che avrebbero contribuito - secondo il capo d'imputazione - alla propaganda e alla diffusione sul circuito internet di idee fondate sull'odio razziale o etnico e sulla discriminazione per motivi religiosi nei confronti della comunità ebraica.
Negli atti vengono pubblicati i documenti carichi di odio nei confronti dell'ebreo «descritto come trasandato, malconcio, col naso aquilino, spilorcio e sempre pronto ad accapararsi denaro...». Fino ad affermazioni di gravità superiore come «gli ebrei incarnano il male assoluto».

(Alto Adige, 10 settembre 2014)


L'amore cantato in yiddish

Mirko Signorile (suona al pianoforte)
e
Giovanna Carone (canta "Far libe")
TORINO - L'amore cantato in yiddish è il filo conduttore di «Far Libe - Per amore», in scena mercoledì 10 al teatro Astra, via Rosolino Pilo 6, con Giovanna Carone, voce e Mirko Signorile, pianoforte (ore 21, ingresso gratuito). Il recital dei due eccellenti musicisti baresi indaga testi e melodie di varie epoche della diaspora ebraica, dalla tradizione medievale sefardita in Spagna a quella ashkenazita del primo '900, e include brani originali composti o reinventati per l'occasione. Il progetto si integra felicemente con scritture di altre fonti, come la «Chanson d'amour» musicata da Gabriel Faurè su una poesia di Armand Silvestre e «This House Is Empty Now» di Elvis Costello e Burt Bacharach.
La Carone ha in catalogo rare incisioni di polifonia secentesca quali «Il primo libro de madrigali a quattro voci» di Pomponio Nenna e la messa «Adieu mes amours» di Rocco Rodio, nella sua prima esecuzione moderna. Alla vocazione di interprete e ricercatrice di repertorio storico e da camera affianca esplorazioni intorno alla musica contemporanea e collabora con l'Università di Bari per il recupero e la diffusione della canzone d'autore in lingua yiddish.
Signorile, che si è esibito con Enrico Rava, Paolo Fresu, Gianluca Petrella e Fabrizio Bosso, ha pubblicato una serie di album di impronta jazzistica; il recente «Clessidra», uscito per Emarcy/Universal, è stato votato da ArgoJazz miglior cd dell'anno.

(La Stampa, 10 settembre 2014)


Il triangolo segreto

Israele dà informazioni all'America per combattere lo Stato islamico, Washington le passa agli arabi

di Daniele Raineri

ROMA - Israele sta passando immagini satellitari e altre informazioni d'intelligence agli Stati Uniti, per appoggiare la campagna aerea contro lo Stato islamico, dice Reuters che ha raccolto le indiscrezioni di un "diplomatico occidentale". Spesso gli americani passano i rapporti agli alleati arabi e alla Turchia, dopo aver cancellato ogni traccia delle origini israeliane - per non causare un problema. Il ministro della Difesa israeliana non ha commentato, ma secondo la fonte le immagini satellitari israeliane sono più utili perché i loro satelliti hanno un'angolazione diversa rispetto a quelli americani e passano sul medio oriente con frequenza maggiore, e questo rende più accurate le valutazioni dei danni inflitti con i bombardamenti (che è un passaggio importante in questa campagna da 150 raid al mese). Inoltre, i servizi israeliani "sono molto bravi con i dati dei passeggeri sui voli internazionali e a estrarre informazioni dai social media arabi", e queste sono caratteristiche importanti per capire la vera identità di chi sta viaggiando e per intercettare cittadini occidentali sospettati di essersi arruolati nello Stato islamico.
   Israele non fa parte ufficialmente della coalizione di paesi che l'Amministrazione Obama sta creando per combattere contro lo Stato islamico, ma dispone di un'intelligence avanzata in Siria e Iraq - come dimostrano i bombardamenti aerei lanciati con poco preavviso contro i convogli del gruppo Hezbollah, quando tenta di spostare segretamente in Libano una parte dei missili dell'esercito siriano. L'identificazione di viaggiatori sospettati di appartenere a gruppi islamisti fa parte inoltre della routine di sicurezza di Israele da decenni. Il diplomatico occidentale non conferma la condivisione delle informazioni israeliane con l'Iran passando per l'America - l'allenza oggettiva tra Teheran e Washington è sulla bocca di tutti, in questi giorni. Il dettaglio delle scritte ebraiche cancellate dai documenti d'intelligence prima che passino di mano rende bene il clima di collaborazione forzata che si respira in medio oriente.

(Il Foglio, 10 settembre 2014)


Non sperare che l'Unione Europea terrà d'occhio Hamas

di Soeren Kern (*)

I leader europei chiedono che l'Unione europea (Ue) abbia un ruolo più incisivo nel far rispettare il cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza. Essi asseriscono che il loro obiettivo dovrebbe riguardare non solo la ricostruzione di Gaza ma dovrebbe anche consistere nel controllare la smilitarizzazione di Hamas e contribuire a rendere sicuri i valichi di frontiera tra Gaza e l'Egitto al fine di garantire che Hamas non possa riarmarsi.
  Ma l'esperienza europea con Hezbollah in Libano dovrebbe far comprendere che non solo Hamas non sarà disarmato, ma che si riarmerà perché gli osservatori europei resteranno a guardare senza muovere un dito.
  Il presidente francese François Hollande, in un importante discorso di politica estera pronunciato a Parigi il 28 agosto scorso, ha detto che l'Europa dovrebbe svolgere un ruolo più importante a Gaza. "Dal 2002, l'Europa ha fatto molto per ricostruire e sviluppare la Palestina (…) ma non può essere semplicemente un bancomat utilizzato per sanare le ferite dopo un conflitto ricorrente", egli ha detto.
  Riferendosi alla proposta in nuce di creare a Gaza una missione di osservatori sotto l'egida dell'Unione europea, Hollande ha aggiunto: "Gaza non può essere più una base militare per Hamas né una prigione a cielo aperto per i suoi abitanti. Dobbiamo procedere verso una revoca progressiva del blocco e la smilitarizzazione del territorio".
  La missione degli osservatori dell'Ue - promossa dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Germania e istituita da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - dovrebbe stazionare al valico di Rafah, al confine tra l'Egitto e la Striscia di Gaza. La missione sarebbe stata incaricata di impedire il
Il governo israeliano ha insistito sul fatto che la ricostruzione di Gaza deve essere legata alla sua smilitarizzazione.
contrabbando di armi a Gaza e assicurare che le forniture edilizie come il cemento e i prodotti in metallo vengano utilizzati per i progetti di ricostruzione civile e non per la costruzione di tunnel e razzi.
Secondo i media tedeschi, la missione sarebbe "più politica che militare", il che significa che non avrebbe il compito di disarmare Hamas.
Il governo israeliano ha insistito sul fatto che la ricostruzione di Gaza deve essere legata alla sua smilitarizzazione. "Il processo volto a impedire che le organizzazioni terroristiche si armino deve far parte di qualsiasi soluzione proposta e la comunità internazionale deve chiederlo energicamente", è quanto asserito il 28 luglio scorso dal premier israeliano Benyamin Netanyahu.
  Questa richiesta è stata reiterata dal ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman. In un articolo titolato "Mettete via le armi e poi parleremo", pubblicato dal magazine Foreign Policy il 27 agosto, Lieberman ha scritto: "Dovrebbe quindi essere del tutto ovvio che se Hamas non sarà disarmato e i suoi unici strumenti di controllo non saranno rimossi, non ci sarà pace né sicurezza". Egli ha continuato dicendo:
  Qualsiasi discussione sull'apertura dei punti di passaggio che controllano l'accesso a Gaza, sull'allargamento della zona di pesca per gli abitanti della Striscia o qualsiasi altra misura necessaria per la rivitalizzazione della Striscia di Gaza e dei suoi abitanti non può aver luogo se l'area è occupata e terrorizzata da Hamas.
  Israele appoggia pienamente un ampio sforzo internazionale per fornire tutti i mezzi necessari per ricostruire le infrastrutture civili e l'economia di Gaza, a condizione che vi sia un concertato sforzo parallelo volto a impedire che Hamas si riarmi con sistemi d'armamenti e ricostruisca la sua infrastruttura terroristica. A Hamas non può essere consentito di ricostruire la sua forza militare e di ostacolare gli aiuti internazionali diretti ai residenti palestinesi.
  Lieberman ha anche sottolineato che il disarmo di Hamas e degli altri gruppi terroristici palestinesi è un elemento essenziale di una lunga lista di accordi e intese raggiunti tra Israele e i palestinesi. Tra essi, l'accordo di Oslo II firmato nel 1995, il memorandum di Wye River negoziato nel 1998 e la cosiddetta Road map approvata dall'Autorità palestinese nel 2003.
  Ma il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, ha promesso solennemente che il gruppo non sarà mai disarmato. "Le armi della resistenza sono sacre e noi non accetteremo che siano tra le priorità all'ordine del giorno" dei futuri negoziati con Israele, egli ha detto il 29 agosto. "La questione non va discussa nel corso dei negoziati. Nessuno può disarmare Hamas e la sua resistenza".
  Meshaal ha anche asserito che il conflitto tra Israele e Hamas non è finito. "Questa non è la fine. È solo una pietra miliare per raggiungere il nostro obiettivo (distruggere Israele), sappiamo che Israele è forte ed
Hamas - un gruppo islamista il cui scopo è la distruzione di Israele - ricorrerebbe alla violenza per contrastare qualsiasi tentativo di disarmarlo.
è aiutato dalla comunità internazionale", ha chiosato Meshaal. "Non metteremo limiti ai nostri sogni e non scenderemo a compromessi".
Hamas - un gruppo islamista il cui scopo è la distruzione di Israele - probabilmente ricorrerebbe alla violenza per contrastare qualsiasi tentativo di disarmare il gruppo. È quindi altamente improbabile che gli europei affronterebbero Hamas in modo proficuo.
La riluttanza a disarmare Hamas ha molto in comune con il fallimento nel disarmare Hezbollah. Nel settembre 2004, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approvò la Risoluzione 1559, che chiedeva, tra le altre cose, il disarmo e lo scioglimento di tutte le milizie libanesi e non libanesi.
  Il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah respinse categoricamente la Risoluzione 1559 poiché a suo dire l'organizzazione è un "movimento di resistenza". Nasrallah asserì:
  Non ci consideriamo una milizia. Il governo libanese non ci considera una milizia, il Parlamento non ci considera una milizia e la maggior parte della popolazione libanese non ci considera una milizia. Pertanto, la risoluzione non si può applicare a noi.
  Nel maggio 2006, il Consiglio di Sicurezza adottò la Risoluzione 1680 che reiterava la "richiesta di una piena applicazione di tutti i requisiti della Risoluzione 1559 (…) e ha chiesto ulteriori sforzi per sciogliere e disarmare tutte le milizie libanesi e non libanesi e per ripristinare integralmente il controllo del governo libanese su tutto il territorio libanese".
  Nell'agosto 2006, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 1701, che pose fine alla guerra di trentaquattro giorni iniziata con la cattura da parte di Hamas di due soldati israeliani in un raid transfrontaliero. Durante il conflitto, Hezbollah lanciò su Israele oltre 4000 razzi e missili, uccidendo 44 civili. La Risoluzione chiedeva il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano, incluso Hezbollah. Essa chiedeva anche:
  la piena attuazione dei ogni regolamento previsto dagli accordi di Taif e dalle risoluzione 1559 (del 2004) e 1680 (del 2006), che obbligano il disarmo di tutti i gruppi armati presenti sul territorio libanese, in modo tale che non possono esserci armi o autorità in Libano se non quelle dello Stato libanese, come sancito dall'esecutivo il 27 luglio del 2006.
  In fin dei conti - come accade ora - i leader di tutto il mondo sembravano maggiormente preoccupati di evitare che Israele si difendesse da solo piuttosto che essere interessati a disarmare i gruppi terroristici islamici che iniziarono a combattere attaccando lo Stato ebraico.
  Durante la sua visita a Haifa del luglio 2006, l'allora ministro degli Esteri francese Philippe Douste-Blazy dovette mettersi al riparo dai razzi Katyusha lanciati da Hamas. Allora, Douste-Blazy disse: "La prima condizione per un cessate-il-fuoco è naturalmente il disarmo di Hezbollah".
  Anche il presidente francese Jacques Chirac mise in guardia contro una continua presenza armata di Hezbollah nel sud del Libano. E in un'intervista radiofonica a Parigi egli disse: "È assolutamente normale avere una corrente che esprime politicamente ciò che parte dell'opinione pubblica libanese pensa di Hezbollah (...) Quello che è inaccettabile è esprimerlo ricorrendo all'uso della forza, con milizie armate. Nessun paese accetta che parte del proprio territorio sia controllato da milizie armate".
  Il ministro della Difesa francese, la signora Michèle Alliot-Marie, promise che le forze di pace francesi avrebbero operato secondo "regole d'ingaggio forti" in modo tale che la missione Unifil agisse "con rigore e forza, se necessario". Ella dichiarò: "Sono queste le condizioni necessarie per cui la Forza sia credibile e dissuasiva".
  Ma non appena la Francia assunse il comando di un'Unifil "rafforzata", che includeva un contingente di 7000 soldati europei, il disarmo di Hezbollah non fu più un argomento all'ordine del giorno. A quanto pare, i funzionari francesi ebbero paura che Nasrallah potesse attivare le cellule dormienti di Hezbollah nelle città francesi.
  "Il disarmo di Hezbollah non è compito dell'Unifil", sono le parole pronunciate nel settembre 2006 dal comandante francese dell'Unifil, il generale di divisione Alain Pellegrini. "Si tratta di una questione prettamente libanese, che dovrebbe essere risolta a livello nazionale".
  Alcuni giorni dopo, la Francia divenne protettrice di Hezbollah, quando, stando a quel che si dice, i jet dell'aeronautica militare francesi pattugliarono i cieli sopra Beirut durante il discorso pronunciato da Hassan Nasrallah per festeggiare la vittoria. Sembra che i francesi stessero proteggendo Nasrallah dagli assassini israeliani.
  A fine settembre, quattro tank dell'Unifil presidiati da soldati francesi fecero scudo ai terroristi di Hezbollah per bloccare i tank israeliani che cercavano di fermare la pioggia di colpi di mortaio su Israele. Poche settimane più tardi, i comandanti del contingente francese dell'Unifil avvertirono che avrebbero
Kofi Annan, respinse ogni responsabilità di disarmare Hezbollah. "Sia chiaro che le truppe dell'Unifil non si recano lì per disarmare", furono le sue parole.
aperto il fuoco contro gli aerei da guerra israeliani se questi avessero continuato a effettuare voli di ricognizione sul Libano in cerca di spedizioni clandestine di armi.
Nel frattempo, l'allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, respinse ogni responsabilità di disarmare Hezbollah. "Sia chiaro che le truppe dell'Unifil non si recano lì per disarmare", furono le sue parole. "In base all'accordo, sarebbe stato compito dei libanesi disarmare Hezbollah", disse Annan sapendo bene che il governo libanese - esautorato da Hezbollah - non avrebbe potuto farlo da solo.
  L'Unifil non solo non fece nulla per disarmare Hezbollah, ma non fece neanche nulla per impedire al gruppo di riarmarsi, anche dopo che il suo rappresentante in Iran, Muhammad Abdullah Sif al-Din, si vantò del fatto che Nasrallah fosse in possesso di un nuovo piano strategico di riarmo in vista "del prossimo ciclo di violenze contro Israele".
  Già nell'ottobre 2006, Terje Roed-Larsen, l'inviato speciale delle Nazioni Unite per il Libano, sosteneva che "in Libano ci sono armi provenienti da oltre confine". Nell'aprile 2007, Walid Jumblatt, un importante politico libanese, disse all'emittente televisiva Al-Jazeera che gli agenti dei servizi di sicurezza libanese stavano aiutando i guerriglieri Hezbollah a contrabbandare armi attraverso il confine poroso con la Siria. A giugno di quell'anno, Roed-Larsen avvertì il Consiglio di Sicurezza dell'esistenza di "un quadro allarmante e profondamente inquietante" di "un flusso costante di armi e di elementi armati attraverso il confine con la Siria".
  Allo stesso tempo, Hezbollah cominciò a fare pressioni contro l'Unifil. Nel giugno 2007, ad esempio, sei soldati spagnoli furono uccisi da un'autobomba, pochi giorni dopo che il contingente di pace spagnolo scoprì un deposito segreto di armi di Hezbollah nel sud del Libano. Il messaggio inviato dal movimento sciita libanese alla Spagna era: "Fatti gli affari tuoi".
  A meno di un mese da quelle uccisioni, emerse che agenti dell'intelligence spagnola si erano incontrati segretamente con gli operativi di Hezbollah, che accettarono di fornire delle "scorte" per proteggere le pattuglie del contingente spagnolo dell'Unifil. In cambio, le truppe spagnole avrebbero volto lo sguardo altrove mentre Hezbollah si sarebbe riarmato per la sua prossima guerra con Israele.
  Nel novembre 2009, la marina militare israeliana intercettò una nave che trasportava 500 tonnellate di armi, razzi e missili iraniani destinati a Hezbollah. Nell'aprile 2010, l'ex-segretario alla Difesa statunitense Robert Gates disse che Hezbollah "ha più missili di quanti ne abbia la maggior parte dei governi del mondo". Nel marzo 2011, un rapporto d'intelligence delle IDF rivelò che Hezbollah aveva costruito circa un migliaio di impianti militari in tutto il Libano meridionale. Gli impianti includevano oltre 550 bunker di armi e 300 strutture sotterranee.
  Nel frattempo, Hezbollah intensificò gli attacchi contro i contingenti di pace europei nel sud del Libano. Nel maggio 2011, sei militari italiani rimasero feriti nell'esplosione di un ordigno esploso al loro passaggio nella città meridionale di Sidone. A luglio, cinque caschi blu francesi rimasero feriti in un attentato
I governi europei decisero di iscrivere nella lista nera del terrorismo solo l'ala "militare" di Hezbollah, facendo una netta distinzione tra i terroristi di Hezbollah e l'ala "politica" del gruppo.
dinamitardo nella stessa zona. A dicembre, ad altri cinque soldati francesi toccò la stessa sorte nella città costiera meridionale di Tiro.
Piuttosto che affrontare Hezbollah negli attacchi, i governi di Francia, Italia e Spagna si acquattarono e annunciarono il ritiro di un numero significativo delle loro truppe dal Libano.
Nel gennaio 2012, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon chiese il disarmo di Hezbollah. "Sono profondamente preoccupato per la capacità militare di Hezbollah e per la mancanza di progressi nel suo processo di disarmo (…) Tutte queste armi, al di fuori dell'autorità statale, non sono accettabili", egli affermò.
  Nasrallah rispose con scherno e disprezzo: "La vostra preoccupazione, segretario generale, ci rassicura e ci piace. Ciò che conta per noi è che siete preoccupati, e che l'America e Israele sono preoccupati con voi", egli asserì.
  Nel luglio 2013, l'Ue annunciò che avrebbe inserito parte di Hezbollah nella sua lista nera del terrorismo, apparentemente per tagliare le risorse fonti di finanziamento dirette al gruppo militante sciita e provenienti dall'Europa. Ma in una classica soluzione di ripiego, i governi europei decisero di iscrivere nella lista nera del terrorismo solo l'ala "militare" di Hezbollah, lasciando così intendere che può essere tracciata una netta distinzione tra i terroristi di Hezbollah e quei membri dell'ala "politica" del gruppo.
  In seguito alle decisione dell'Unione europea, Ibrahim al-Amin, direttore del quotidiano pro-Hezbollah Al-Akhbar, espresse delle velate minacce di conseguenze "militari" per i membri europei dell'Unifil, che a detta di Amin ora operavano "dietro le linee nemiche".
  Tutto questo mentre Hezbollah continuava a costruire un arsenale di armi sempre più potenti e in grado di raggiungere e colpire sempre più in profondità Israele. Secondo le Forze di difesa israeliane, il gruppo militante sciita si è procurato dalla Siria dei sofisticati missili terra-aria a lungo raggio. Il gruppo ha inoltre acquisito degli avanzati sistemi missilistici filoguidati in vista del prossimo conflitto con Israele.
  Secondo il generale di brigata Itay Baron, a capo della divisione di ricerca dell'intelligence militare per le IDF, Hezbollah è ora in possesso di circa 65.000 razzi e missili, un numero maggiore rispetto a quello che annoverava alla vigilia della guerra del 2006. Nasrallah ha accennato a questo riarmo annunciando che un futuro attacco a Israele avrebbe "trasformato la vita di migliaia di sionisti in un inferno vivente".
  Nel corso degli ultimi otto anni di leadership europea dell'Unifil, Hezbollah è riuscito a riarmarsi di tutto punto mentre i soldati europei sono rimasti a guardare senza muovere un dito. Ciò che è chiaro è che i leader europei non si sono mai impegnati a onorare la lettera e lo spirito delle Risoluzioni 1559, 1680 e 1701 delle Nazioni Unite, tutte volte a impedire il riarmo di Hezbollah. E allora perché ora si dovrebbe confidare nel fatto che gli europei riusciranno a garantire il disarmo o potranno impedire il riarmo di Hamas?


(*) Gatestone Institute

(L'Opinione, 10 settembre 2014 - trad. Angelita La Spada)


Milano - Memoriale della Shoah: l'apertura il 14 e 16 settembre 2014

 
Il Memoriale della Shoah di Milano apre alla cittadinanza con visite guidate gratuite dalle ore 9.30 alle 12.30, in occasione della quindicesima Giornata Europea della Cultura Ebraica. La manifestazione è intitolata quest'anno "Donna sapiens. La figura femminile nell'ebraismo". Alle 15.30 di martedì 16 settembre, inoltre, nell'ambito del Festival Internazionale di Cultura Ebraica Jewish and the City, si terrà presso l'Auditorium del Memoriale la conferenza dal titolo "La sfida dell'uomo giusto. Il viaggio verso la libertà", aperta dal vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, Roberto Jarach.
All'incontro, aperto al pubblico fino ad esaurimento posti, interverranno Gabriele Nissim, scrittore e presidente di Gariwo e Rav Paolo Sciunnach, docente presso la Scuola Ebraica di Milano e membro dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia. Tema dell'incontro sarà il percorso dell'uomo giusto, inteso come uscita dal male e come ritrovamento del rapporto con l'altro e con se stessi. Il Festival Jewish and The City, quest'anno alla sua seconda edizione, avrà luogo dal 13 al 16 settembre.
La Fondazione Memoriale della Shoah di Milano onlus è nata nel 2007 con lo scopo di costruire un Memoriale dedicato agli anni più bui della nostra storia presso il Binario 21 della Stazione Centrale, da cui tra il 1943 al 1945 partirono i convogli diretti ai campi di sterminio. Il Memoriale aspira a rappresentare un contesto vivo e dialettico in cui rielaborare attivamente la tragedia della Shoah, per costruire il futuro e favorire la convivenza civile.

(ContattoNews.it, 9 settembre 2014)


Casale Monferrato - Celebrazioni inserite anche nella Notte Rosa

CASALE-SINAGOGA — L'attività della Comunità Ebraica di Casale Monferrato è forse tra le più intense tra le realtà culturali italiane dell'ebraismo, anche considerando il fatto che si trova in una città di 36.000 abitanti con 8 ebrei residenti, ma una delle occasioni in cui Casale si distingue ulteriormente in questo panorama è la Giornata Europea della Cultura Ebraica in programma domenica 14 settembre , che nella sede della comunità di Vicolo Salomone Olper segna anche la ripresa delle attività che continuano a cadenza praticamente settimanale fino alla festa della Chanukkà a dicembre.
  A Casale Monferrato questo significa due giorni di eventi, giocando sulla definizione di "giornata" nell'ebraismo. E questo permette oltretutto una singolare coincidenza con la Notte Rosa in programma a Casale Sabato 13, durante la quale Sinagoga e musei di vicolo Salomone Olper saranno aperti fino alle 24.
  Si comincia quindi dopo il tramonto di sabato quindi con un'anteprima dedicata al tema scelto dall'Europa per queste celebrazioni: "La donna nell'ebraismo". Dato che la Comunità casalese è protagonista di una fortunata rassegna musicale dal titolo "Suono e Segno" si sono scelte le note per iniziare la festa. La serata ospiterà quindi il settimo e ultimo appuntamento di questa serie di concerti alle 21,30 con un'introduzione in cui il direttore artistico Giulio Castagnoli dialoga con il polistrumentista e compositore Mauro Occhionero e si continua con le note dell'Ensemble Yiddish Mame di cui questa straordinaria figura di artistica è direttore. L'ensemble propone "Donna Eterno Presente", un recital dedicato al musical, genere dove certamente non mancano compositori di ascendenze ebraiche: Gershwin e Bernstein in prima linea.
  Il pubblico incontrerà questi artisti e conoscerà frammenti delle loro vicende umane che arricchiscono di sfumature emotive le singole composizioni musicali. Il musical è un costante dialogo con l'opera lirica italiana e più in generale europea, ma anche con la nuova tradizione jazzistica e bandistica americana. Il risultato è spesso l'invenzione di un sogno e il palco una metafora della condizione umana. In particolare Donna : un eterno presente, pone l'attenzione sulle figure femminili all'interno della produzione ebraica per Musical, evidenziando le molte sfaccettature e la centralità della donna nella sua variegata complessità. I brani, per l'occasione, sono interamente arrangiati ed eseguiti al pianoforte da Eleonora Zullo, artista raffinata e sono arricchiti dal commento sonoro del compositore e musicista Mauro Occhionero. I testi di Alberto Milazzo sono attinti a studi sul genere, oltre che a veri e propri "furti" dallo sterminato patrimonio dell'umorismo ebraico.
  Domenica 14 alle ore 11 in Sala Carmi, la "giornata" prosegue con una mostra che esplora l'altro filone di questa stagione culturale e cioè l'iterazione dell'ebraismo con la società italiana, anche qui con uno
Gracia Mendes
sguardo tutto femminile. Paola Mortara inaugura infatti l' Esposizione Fotografica "Donne ebree dell'Italia Unita" - Una storia per immagini, in collaborazione con la Fondazione CDEC. Il centro di documentazione ebraica contemporanea. Sono parte di una collezione enorme di oltre 40.000 scatti e davanti a noi sfileranno le rappresentanti della vita politica e civile, ma anche persone comuni, insegnanti e madri soprattutto, per documentare quello straordinario percorso che dall'uscita del ghetto ha portato gli ebrei all'integrazione, per poi ripiombare nella segregazione delle leggi razziali.
Alle 16 nel cortile delle Cortile Api la giornata si conclude con una presentazione letteraria. Annie Sacerdoti commenta "L'ebrea errante"di Edgarda Ferri, Edito da le Scie-Mondadori. La storia di Gracia Mendes, nata in Portogallo nel 1510. Ebrea di nascita e fede che portò a lungo il nome cristiano di Beatrice de Luna. Nel 1528 si trasferì nelle Fiandre e iniziò ad aiutare gli ebrei perseguitati dall'inquisizione portoghese. Andò poi a vivere a Venezia e poi a Ferrara, dove dichiarò apertamente la propria fede e prese il nome di Grazia Nasi, continuando ad assistere gli ebrei perseguitati. Tutto intorno, a partire dal mattino, mercatino di libri ebraici sul tema delle donne e di prodotti Kasher (immancabili i Krumiri Rossi di Portinaro, dolce tipico di Casale Monferrato ) in collaborazione con la Libreria Il Labirinto.
  Tutte le manifestazioni sono ad ingresso libero. Per informazioni tel 0142 71807.

(Il Monferrato, 9 settembre 2014)


Museo della Shoah - Marino: al momento non ho indicazioni ufficiali

ROMA - ''L'ho detto anche abbastanza sottovoce: c'e' un progetto, io personalmente rimango fermo a cio' che conosco ovvero il progetto discusso dall'assemblea dei soci fondatori. Se la Comunita' Ebraica, come mi sembra di leggere dai giornali, ha delle proposte diverse, la sede e' sempre l'assemblea dei soci e io sono a disposizione. Io purtroppo sono fatto cosi': lavoro sui documenti esistenti non sulle voci. Se esiste una diversita' di vedute che ha una sostanza razionale e' evidente che se ne debba discutere''. A dirlo il sindaco di Roma Ignazio Marino a margine di un'inaugurazione. ''Al momento non ho documentazioni o indicazioni ufficiali se non voci che alcuni all'interno della comunita' ebraica hanno pensieri diversi. Sono addolorato che siano oltre otto anni che si attende questa opera pero' non sono certo io che posso partecipare a un dibattito che ritengo debba essere soprattutto interno alla comunita' che tanto ha sofferto. Certamente - ha aggiunto - e' evidente che deve esserci tutta la concentrazione possibile perche' vanno ascoltate voci per me emotivamente ed umanamente importanti come quelle delle figure carismatiche che ogni anno ci aiutano ad accompagnare i ragazzi ad Auschwitz che ovviamente sentono l'esigenza di poter concludere la propria vita con una testimonianza nella citta' di Roma che ricordi il dramma che questa citta' ha vissuto. Su questo sono assolutamente pronto''.

(ASCA, 9 settembre 2014)


Israele rifiuta l'accredito all'ambasciatore della Nuova Zelanda

È stato inviato anche all'Autorità Palestinese

Israele ha rifiutato di ricevere le lettere di accredito del nuovo ambasciatore della Nuova Zelanda, Jonathan Curr, perché è anche l'inviato presso l'Autorità Palestinese.
Sin dal 2008 l'ambasciatore neozelandese in Turchia è anche il rappresentante diplomatico di Wellington per Israele e per l'Autorità Palestinese, ma il ministro degli Esteri neozelandese Murray McCully ha confermato oggi che le autorità israeliane lo hanno informato che non accettano come ambasciatore una persona che sia anche un rappresentante presso l'Autorità Palestinese, nonostante simili preoccupazioni non siano state mai sollevate in passato.
Il primo ministro John Key ha confermato che storicamente l'ambasciatore presso Israele ha anche trattato le relazioni con la Palestina, aggiungendo che sarebbe logisticamente difficile avere rappresentanti separati presso Israele e presso l'Autorità Palestinese.
La Nuova Zelanda ha riconosciuto lo stato di Israele nel 1949 e da allora ha mantenuto relazioni diplomatiche, ma i rapporti fra i due paesi sono entrati in grave crisi nel 2004, quando Wellington ha sospeso le relazioni con Israele in seguito all'arresto di due agenti del Mossad che utilizzavano falsi passaporti neozelandesi.
Israele aveva presentato le sue scuse nel 2005 e le relazioni diplomatiche erano riprese. Il nuovo edificio dell'ambasciata israeliana a Wellington è stato inaugurato ufficialmente nel 2011 dall'attuale presidente israeliano Reuven Rivlin, allora presidente della Knesset.

(Il Messaggero, 9 settembre 2014)


Oltre cento i partecipanti alla marcia "della memoria"

L'appuntamento al colle Ciriegia, lì dove sono passati gli ebrei in fuga da St. Martin Vésubie

di Vanna Pescatori

Un momento della marcia sul colle
VALDIERI (CN) - La sedicesima edizione della marcia ''Attraverso la memoria", al colle Ciriegia, organizzata dall'associazione Giorgio Biandrata di Saluzzo con tanti sostenitori, fra cui i Comuni di Valdieri e di Borgo San Dalmazzo, domenica è stata la camminata dei giovani.
   Tra gli oltre cento partecipanti che si sono ritrovati, alle 12, sulla sommità del colle, spartiacque dei due versanti - italiano e francese - saliti nel settembre del '43 dagli ebrei in fuga da St. Martin Vésubie - c'erano gli studenti del liceo Soleri- Bertoni di Saluzzo, con le loro insegnanti, Cristina Colonna, Piera Comba, Laura Carletti e Francesca Galliano, Mariangela Aimone, a cui è andato il compito - per la prima volta nella storia della camminata - di portare una testimonianza di integrazione e superamento delle diversità.
   Sandro Capellaro, che di questa iniziativa è da sempre l'organizzatore, l'aveva preannunciato, ma l'emozione che le parole di Alina, rumena, e Xhenia, albanese, hanno pronunciato, commosse, è stata contagiosa. Alina ha raccontato i suoi tre anni in attesa dell'arrivo della mamma che l'aveva lasciata per cercare lavoro in Italia, Xhenia il ''viaggio della speranza'' della zia su un barcone, una dei tanti clandestini, i ''sans papier'' ha tradotto lo storico nizzardo Jean-Louis Panicacci, per i francesi presenti. Poi le note di ''Atikvà'', l'inno ebraico, suonato dalla loro compagna Giulia che si è portata, non senza timore, il prezioso strumento al Colle, che hanno accompagnato una poesia di Michela.

   Poi il ricordo dei bambini deportati e le testimonianze dello Yad Vashem di Nizza. I ragazzi delle IV (ora V) del Liceo Linguistico A e B, hanno partecipato con entusiasmo e grande impegno al progetto ''Un cuore vigile'' che è stato illustrato, al rientro a Borgo San Dalmazzo, dalla dirigente scolastica dell'istituto, Alessandra Tugnoli. Del progetto fa parte la traduzione del libro di Chaya H. Roth ''La Shoah. Memoria e dialoghi famigliari'', che è stato presentato nell'auditorium Bertello, e la pièce teatrale ''Lettera da Varsavia'' che 13 studenti hanno messo in scena, replicando dopo la marcia, la rappresentazione che avevano realizzato con Valerio Dell'Anna, in occasione della Giornata della Memoria, a gennaio, per le scuole medie inferiori.
   Al termine, rinfresco kasher, offerto della Comunità ebraica di Mentone, intervenuta per la prima volta, che prossimamente accoglierà una delle sculture dedicate alla Shoah, realizzate dai ragazzi del liceo Artistico Bertoni partecipi del progetto ''Un cuore vigile'', i cui bozzetti sono stati presentati in mostra nell'atrio dell'auditorium. Molti i presenti, fra cui il sindaco di Borgo San Dalmazzo, Beretta, la senatrice Manassero, la deputata Gribaudo, Livio Berardo, presidente dell'Istituto Storico della Resistenza e Alberto Valmaggia, assessore regionale e ''fedelissimo'' della camminata.

(La Stampa, 9 settembre 2014)


Come Israele aiuta gli Usa contro l'Isis

Foto satellitari e database messi a disposizione del governo di Washington come supporto per pianificare gli attacchi aerei e per prevenire gli attentati terroristici.

di Gianluca Dotti

Secondo quanto riferito ieri sera da Reuters, Israele starebbe aiutando gli Stati Uniti contro i militanti dello Stato islamico (l'ex Isis) in Iraq, fornendo al governo di Washington informazioni di intelligence. In particolare, si tratterebbe di immagini satellitari che mostrano le posizioni dei militanti jihadisti sul territorio siriano e, soprattutto, iracheno.
   Da una fonte diplomatica Usa che ha chiesto di rimanere anonima, infatti, è trapelata l'informazione che i satelliti-spia israeliani puntati sul territorio iracheno hanno catturato foto, con una frequenza e con angolazioni non disponibili ai satelliti statunitensi, che mostrano la distribuzione dei militanti nel Paese. La condivisione delle immagini con il dipartimento della difesa Usa avrebbe, nel concreto, permesso una miglior valutazione dell'occupazione dell'Isis sul territorio, utile per la pianificazione dei raid aerei.
   Tel Aviv
avrebbe anche offerto agli Stati Uniti le informazioni contenute in un database internazionale che riporta i nomi dei sospetti jihadisti occidentali, presumibilmente in lotta per conto dello Stato Islamico. Secondo quanto dichiarato dalla Casa Bianca, si teme che alcune delle persone individuate possano sfruttare i passaporti occidentali per compiere azioni violente o intraprendere attività terroristiche.
   Gli stessi dati (incluse le foto satellitari) sarebbero stati condivisi anche con gli altri alleati, e in particolare con gli arabi e con i turchi. Israele potrebbe essere motivato in questa scelta dal timore che l'avanzata dell'Isis arrivi a minacciare i propri confini, coinvolgendo anche le forze palestinesi.

(Wired.it, 9 settembre 2014)


Il cimitero di Praga e lo spirito del Golem

di Valerio Morabito in Cultura

- Un luogo che affascina la letteratura mondiale
 
Il cimitero ebraico di Praga
  La comunità ebraica di Praga è una delle più antiche e importanti d'Europa. Nel corso dei secoli ha giocato un ruolo di primo piano nel vecchio continente. Oggi, però, la sua autorità è stata ridimensionata. Sia per la barbarie nazista che l'ha falcidiata, sia per la crisi dei valori giudaico-cristiani sul quale si sono rette le nostre società per secoli, gli ebrei della capitale della Repubblica Ceca hanno in parte smarrito la loro essenza, oltre ad essere numericamente inferiori. Questo non ha impedito di perdere quella spiritualità e quel senso della storia che il quartiere ebraico di Praga conserva. In una città tra le più belle d'Europa, il luogo dell'ebraismo locale contribuisce ad arricchire una capitale che sembra uscita da un libro di favole. La visione letteraria sul quartiere ebraico è rinforzata da scrittori come Umberto Eco e Marek Halter che hanno scritto, rispettivamente, "Il cimitero di Praga" e "Il cabalista di Praga".

- Tra sambuchi e silenzio, ecco il vecchio cimitero
  Testi in cui emerge il mistero. Una parola legata, per forza di cose, a questo luogo. Soprattutto nell'antico cimitero ebraico si annida un pensiero mistico. Con un po' di fantasia e amore per la tradizione dei luoghi, si può scorgere negli edifici e nei vari monumenti qualcosa di particolare. Del resto siamo a Praga e non potrebbe essere altrimenti. Pagando 480 corone, che corrispondono a 17.30 euro, il viaggiatore di turno potrebbe accedere in uno dei luoghi più caratteristici dell'Europa. Possedendo un biglietto del genere si può visitare la Sinagoga Maisel, la Sinagoga spagnola, la Sinagoga Pinkas, il vecchio cimitero ebraico, la Sinagoga Klaus, Ceremonial hall e la Sinagoga vecchio-nuova. E' inutile dire che il luogo più affascinante è il vecchio cimitero ebraico. Le sue lapidi secolari e ammassate tra loro, perché nei secoli era vietato agli ebrei seppellire i propri morti al di fuori di questo cimitero, tra l'erba verde e sambuchi maestosi danno un senso di pace unico al mondo.

- Rabbi Loew e il Golem
  Si cammina sulla strada della storia. Un luogo di sofferenza e di fantasia, che nel corso dei decenni ha ispirato leggende. Persino la brutalità dei nazisti si è fermata dinanzi a questo luogo. Le lapidi tardogotiche, rinascimentali e barocche portano il visitatore indietro nel tempo. Non è molto grande e in questa parte del quartiere ebraico è come se le lancette si fossero fermate. La luce, a causa dell'ombra creata dagli alberi, fa fatica a entrare e passare vicino la lapide di Rabbi Loew, uno dei principali studiosi del Talmud e della mistica ebraica, è qualcosa che non si dimentica con facilità. Non a caso sempre un gran numero di turisti fa una sosta e posa i tradizionali sassi della cultura ebraica su questa lapide. Passano i secoli e Rabbi Loew rimane un punto di riferimento per l'ebraismo mondiale. Una figura in grado di suscitare interesse, anche per una serie di eventi legati al suo nome. E' come se le sue riflessioni e i suoi pensieri fossero ancora presenti all'interno del vecchio cimitero. Probabilmente non se ne sono mai andati. Neanche l'ideologia del nazismo ha scheggiato questa sacra lapide e forse il Golem, o almeno il suo spirito, esiste, qua a Praga. Nella città dove ogni favola prende vita.
Favole quindi, solo favole: sia ben chiaro.


(Blogtaormina, 9 settembre 2014)


1o Convegno regionale Edipi Lombardia

MILANO - Sabato 13 e domenica 14 settembre l'associazione Evangelici d'Italia per Israele (Edipi) in collaborazione con la chiesa evangelica Grande Missione di Milano (via Fleming, 8) organizza il suo primo convegno regionale lombardo. Il tema generale del convegno verte su "Israele e la Chiesa: venti anni di esperienza con le congregazioni giudeo-messianiche in Israele".
Sono previsti interventi di Ivan Basana (presidente Edipi), di Andie Basana e dei componenti il viaggio di Edipi in Israele "Sotto Irom Dome" che riferiranno su quanto hanno osservato nelle congregazioni messianiche sotto attacco missilistico. La parte musicale degli incontri è affidata al complesso musicale messianico "Bedros e Rebekah Nassanian" del Ministero Gateways Beyon Geneva

(evangelici.net, 9 settembre 2014)


Gaiamusica di Valenza in Sinagoga - Sabato 13 "La donna nell'ebraismo"

CASALE MONFERRATO — Sono giovani ma già dotati di uno straordinario talento i ragazzi del coro Gaiamusica di Valenza che domenica 7 settembre alla Sinagoga di Casale Monferrato hanno riaperto la stagione culturale della Comunità Ebraica nel segno della musica. In programma il sesto appuntamento della rassegna "Il suono e il segno" diretta da Giulio Castagnoli dal titolo appunto "La vocalità e i giovani" e loro sono in effetti tutti ragazzi in età scolastica, ma il direttore Renato Contino può vantare la costruzione di una formazione già molto matura capace di affrontare un programma che spazia dalla musica barocca fino ai giorni nostri.

LE PROSSIME
Il prossimo fine settimana alla Comunità in vicolo Salomone Olper si prospetta ancora più ricco. Si celebra infatti la Giornata Europea della Cultura Ebraica e a Casale Monferrato questo significa due giorni di eventi, giocando sulla definizione di "giornata" nell'ebraismo. Si comincia quindi dopo il tramonto di sabato 13 settembre con un'anteprima dedicata ovviamente al tema scelto dall'Europa per queste celebrazioni: "La donna nell'ebraismo" L'evento è inserito sia nella rassegna musicale "Suono e Segno" sia nei festeggiamenti casalesi della Notte Rosa: la serata ospiterà quindi il settimo e ultimo appuntamento di questa serie di concerti, permetterà anche di visitare Sinagoga e Musei che resteranno eccezionalmente aperti fino alle 24.
Si comincia alle 21,30 con Giulio Castagnoli e Mauro Occhionero che introducono l'Ensemble Yiddish Mame, mentre domenica 14 alle ore 11 in Sala Carmi, si inaugura "Donne ebree dell'Italia Unita" - Una storia per immagini, mostra fotografica curata da Paola Mortara in collaborazione con la Fondazione CDEC. Il centro di documentazione ebraica contemporanea.
Alle 16 nel cortile delle Cortile Api la giornata si conclude con una presentazione letteraria. Annie Sacerdoti commenta "L'ebrea errante"di Edgarda Ferri, Edito da le Scie-Mondadori.
A partire dal mattino di domenica, mercatino di libri ebraici sul tema delle donne e di prodotti Kasher (immancabili i Krumiri Rossi di Portinaro, dolce tipico di Casale Monferrato) in collaborazione con la Libreria Il Labirinto.
Tutti gli eventi sono ad ingresso libero.

(Il Monferrato, 9 settembre 2014)


Roma - Festival Internazionale di letteratura ebraica

 
 
"Conoscere per unire, non dividere": questo, nelle parole di una degli organizzatori, Ariela Piattelli, il senso del Festival internazionale di letteratura e cultura ebraica che prenderà il via sabato 13 settembre. Tema della settima edizione: What's up family? Cosa succede in famiglia?, un viaggio e un confronto sull'evoluzione del concetto di famiglia partendo dalla tradizione ebraica, attraversando letteratura, fotografia e bioetica.
   La manifestazione, promossa dalla comunità ebraica di Roma, prevede tante e diverse iniziative tra cultura, cucina e musica, tutte a ingresso gratuito. Cinque giorni intensi che animeranno l'antico quartiere ebraico della Capitale. Il primo appuntamento, dunque, sabato 13 con la Notte della Cabbalà, una maratona serale ricca di eventi culturali dedicata alla mistica ebraica nella zona del vecchio ghetto demolito, tra lungotevere De' Cenci e portico D'Ottavia e tra via Arenula e il teatro Marcello. Sarà una lunga serata, dalle 21 alle 2, tra mostre fotografiche, incontri con scrittori, giornalisti, artisti, concerti e la straordinaria apertura del Museo ebraico e della Grande sinagoga dalle 22 per visite guidate. Durante la serata conversazioni con Fania Oz-Salzberger, figlia di Amos Oz, il capo rabbino della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, e l'esibizione musicale di Idan Raichel, stella della musica israeliana.
   Evento importante anche quello di domenica 14 settembre, Giornata europea della cultura ebraica, tra conversazioni sulla cucina ebraica con la chef Laura Ravaioli, teatro e incontri. E poi ancora appuntamenti e protagonisti - tra cui Lia Levi ed Ennio Morricone - fino a mercoledì 17 settembre, giorno di chiusura della kermesse. "L'idea di fondo - ha spiegato Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma - è portare un'immagine del mondo ebraico non solo legata alla memoria, ma facendo vedere chi sono gli ebrei che vivono nella Capitale, presenti da oltre duemila anni. Vogliamo far capire chi è l'ebreo della porta accanto. Quest'anno è importante per non piegarci al messaggio che altri vorrebbero legare al mondo ebraico, creando paura e panico. Immaginare la Notte della Cabbalà con decine di migliaia di persone che vengono a godere di questo quartiere può aiutarci a sovvertire questo meccanismo di chi vuole separarci dagli altri". Il Festival di letteratura e cultura ebraica rientra nella programmazione dell'Estate romana, ed è realizzato con il sostegno di Roma Capitale.

Dal 13 al 17 settembre
Antico quartiere ebraico
Ingresso gratuito

(Romainunclick, 8 settembre 2014)


Shock in Israele: gli arabi-israeliani sostengono l'ISIS

E' davvero scioccante quanto emerso da un sondaggio fatto tra i cittadini arabo-israeliani in merito al loro pensiero sullo Stato Islamico, ISIS. La maggioranza dei cittadini israeliani di religione islamica pensa che l'ISIS sia la soluzione e ne appoggia e condivide le idee.
Lo rivelano questa mattina diversi quotidiani israeliani che riportano anche la notizia della moschea di Umm al-Fahm dove l'Imam ha esposto uno striscione inneggiante all'ISIS, un fatto gravissimo che ha costretto le autorità israeliane a convocare lo stesso imam per chiedere spiegazioni. Ma le spiegazioni sono proprio tra le pieghe del sondaggio: gli arabi con cittadinanza israeliana appoggiano le idee del ISIS e le ritengono perfettamente in linea con il credo islamico. Addirittura arrivano a giustificare le decapitazioni affermando che "è il metodo giusto per uccidere gli infedeli secondo il Corano"....

(Right Reporters, 8 settembre 2014)


Poi si avvicinarono alcuni dei sadducei, i quali negano che ci sia risurrezione, e lo interrogarono, dicendo: «Maestro, Mosè ci ha prescritto che se il fratello di uno muore, avendo moglie ma senza figli, il fratello ne prenda la moglie e dia una discendenza a suo fratello. C'erano dunque sette fratelli. Il primo prese moglie, e morì senza figli. Il secondo pure la sposò; poi il terzo; e così, fino al settimo, morirono senza lasciare figli. Infine morì anche la donna. Nella risurrezione, dunque, di chi sarà moglie quella donna? Perché tutti e sette l'hanno avuta per moglie». Gesù disse loro: «I figli di questo mondo sposano e sono sposati; ma quelli che saranno ritenuti degni di aver parte al mondo avvenire e alla risurrezione dai morti, non prendono né danno moglie; neanche possono più morire perché sono simili agli angeli e sono figli di Dio, essendo figli della risurrezione. Che poi i morti risuscitino, lo dichiarò anche Mosè nel passo del pruno, quando chiama il Signore, Dio di Abraamo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Ora, egli non è Dio di morti, ma di vivi; perché per lui tutti vivono». Alcuni degli scribi, rispondendo, dissero: «Maestro, hai detto bene». E non osavano più fargli alcuna domanda.
dal vangelo di Luca, cap. 20








 

Ora capisco meglio gli israeliani

Cari Italians, quanto è incredibile delle volte dare per scontata la normalità. Gli ultimi due mesi a Tel Aviv sono stati molto caldi, e più che Tel Aviv, per il centro e sud di Israele. Il suono delle sirene che solitamente si sentono solo nei giorni di Yom Hashoà (Giorno del ricordo dei caduti nell'Olocausto) e Yom Hazicaron (Giorno del ricordo dei soldati caduti e delle vittime del terrorismo) che normalmente ti spaccano il cuore, questo ultimi due mesi hanno fatto parte del quotidiano di ogni cittadino o turista presente in Israele, con conseguenti intercettazioni di missili e relative esplosioni. E' proprio vero quel detto che dice che apprezzi le cose solamente quando per un certo periodo sai di non poterne usufruire. Due mesi difficili che hanno cambiato le abitudini, il "mindset" delle persone, e che mi hanno portato ad una realtà che sapevo poteva capitare, ma che non pensavo influisse cosi' tanto nella mente e nella vita di tutti i giorni. Mi sono preso una vacanza di una settimana in Grecia per uscire da questa routine, e per riposarmi. In Grecia, i primi giorni mi stupivo di non sentire sirene, esplosioni, tensioni, e mi rendevo conto che ero pazzamente alla ricerca della normalità. L'idea che non ci fossero sirene, la corsa ad un rifugio, mi ha fatto apprezzare quella routine a cui ero abituato e a cui delle volte do colpa per essere proprio routine. Quanto è bella la normalità, quanto è bello poter uscire di casa, o per andare in giro, o per andare a stendersi in spiaggia, e non essere accolti da quel fastidioso suono. Mai cosi' vicino ad una guerra. Sapere di persone che muoiono a 80 km da casa mia fa strano, fa molto male. Fa male saperlo per i soldati, giovani ragazzi ancora all'inseguimento dei loro sogni, fa male per tanta gente innocente che dall'"altra parte" vive soggiogata da un movimento terroristico. Forse capisco meglio gli israeliani oggi, un popolo molto duro per certi aspetti, e cosi' speciale per altri, in guerra da sessantasei anni. Shalom, davvero.
Gabriele Bauer

(Corriere della Sera - blog di Beppe Severgnini, 8 settembre 2014)


L'Europa stacca la spina alla Palestina?

La frustrazione europea per la mancanza di passi in avanti verso la soluzione dei due stati per israeliani e palestinesi ha indotto alcuni commenti da parte delle massime autorità, secondo cui gli aiuti comunitari verso l'Autorità Palestinese potrebbero essere drasticamente ridotti entro 3-4 anni: «È evidente che la nostra politica non è sostenibile nel medio periodo in assenza di progressi sul fronte politico; e certo il denaro non basta per conseguirli», ha ammesso un funzionario dell'Unione ad EurActiv. «Si sperava che (i generosi finanziamenti, NdT) avrebbero incoraggiato un processo sul piano politico; ma così non è stato».
Il provvedimento scaverebbe un profondo solco nelle finanze palestinesi, dal momento che l'Europa risulta attualmente il principale donatore, con circa milioni di euro erogati ogni anno (a cui si devono aggiungere le elargizioni nei confronti di ONG che fiancheggiano l'ANP, NdT). Un consistente numero di funzionari di Ramallah sono pagati con fondi europei....

(Il Borghesino, 8 settembre 2014)


Israele «apre» a una forza europea nella Striscia

Le truppe verrebbero dispiegate lungo il «corridoio Philadelphia», sotto al quale corrono molti tunnel palestinesi. Il controllo del confine con l'Egitto forse affidato anche a militari americani e Caschi Blu dell'Onu. Netanyahu vuole che i soldati stranieri possano intervenire per impedire il riarmo di Hamas.

di Davide Frattini

GERUSALEMME — Due pagine, quattro proposte, quattordici chilometri da pattugliare. Il ministero degli Esteri israeliano ha presentato un piano al governo di Benjamin Netanyahu per dare il controllo della frontiera di Gaza, almeno quella a Sud verso il Sinai e l'Egitto, a una forza internazionale. I diplomatici privilegiano nel progetto — rivela il quotidiano Haaretz — l'idea di affidare la missione alle truppe europee, perché dai Paesi dell'Unione sarebbe già arrivata la disponibilità durante i cinquanta giorni di guerra fermati con il cessate il fuoco del 26 agosto. Indicano anche l'ipotesi di soldati occidentali (compresi americani, canadesi, australiani, neozelandesi), Caschi Blu delle Nazioni Unite o militari della Nato.
   Qualunque siano le divise, il drappello verrebbe dispiegato lungo quello che è chiamato «corridoio Philadelphia», una striscia di sabbia che preoccupa gli israeliani per quello che avviene sotto al deserto: qui sono stati scavati i tunnel usati per i traffici clandestini di benzina, sigarette, medicine. E soprattutto armamenti. La forza internazionale affiancherebbe il lavoro degli egiziani dall'altra parte della barriera che negli ultimi mesi hanno distrutto le gallerie: temono che il via vai viaggi nelle due direzioni e i kalashnikov o i lanciagranate possano raggiungere gli estremisti nella penisola del Sinai. Il mandato sarebbe definito sul modello del gruppo di monitoraggio dell'Unione Europea stazionato sul confine a Rafah tra il 2005 e i 2007: fino a quando Hamas non ha tolto con le armi il controllo di Gaza al presidente Abu Mazen e Israele ha imposto l'embargo economico contro l'organizzazione fondamentalista. La missione «Eu Bam» è appena stata rinnovata di un altro anno, anche se i controllori non sono per ora operativi sulla frontiera. Il ministero degli Esteri a Gerusalemme raccomanda che le truppe internazionali abbiano il potere di intervenire per impedire il riarmo di Hamas: l'intelligence dello Stato ebraico sostiene di avere le prove che i miliziani abbiano già cominciato a ricostruire i tunnel verso Israele bombardati nel conflitto. «Si stanno preparando alla prossima guerra».
   Abdel Fattah Al Sisi, il generale egiziano diventato presidente, ripete di essere pronto ad aprire i cancelli di Rafah, se le chiavi vengono affidate dal lato palestinese alla Guardia presidenziale di Abu Mazen. Che ieri ha minacciato Hamas di far saltare il governo di unità nazionale creato prima dell'estate, perché — accusa il leader — i fondamentalisti non hanno ceduto il controllo di Gaza ai nuovi ministri tecnici, soprattutto quello delle forze militari. «Se non accettano una sola autorità, una sola legge e un solo esercito, non ci sarà più alcuna unità». Durante le settimane di guerra, i dirigenti di Fatah, la fazione del presidente, sono stati messi agli arresti domiciliari, chi non ha rispettato gli ordini è stato gambizzato.

(Corriere della Sera, 8 settembre 2014)


Come garantirsi che Hamas replichi la sua guerra a Gaza nel giro di pochi anni

Un pratico programma in dodici punti

Il Rapporto Goldstone, che accusò Israele d'aver deliberatamente causato vittime civili nell'operazione anti-terrorismo "Piombo Fuso" del dicembre 2008-gennaio 2009, contribuì a generare gli attacchi missilistici e i tunnel terroristici che hanno poi spinto Israele a condurre l'operazione "Margine protettivo" del luglio-agosto 2014.
Ora Hamas vorrebbe il sequel della commissione Goldstone, affidandola questa volta a un fervente anti-israeliano di provata fede (Goldstone ebbe a ricredersi e sconfessò il proprio stesso rapporto), uno che ha già espresso la propria condanna per crimini di guerra di Israele e del primo ministro Benjamin Netanyahu prima ancora di vedere qualsiasi elemento di prova.
I sequel generano i sequel, ed è facilmente prevedibile che Hamas vincerà questa battaglia mediatica post-bellica fatta di parole e di condanne, e che cercherà di replicare la sua vittoria ricorrendo ancora una volta alla sua collaudata strategia dei "bambini morti" (piazzare lanciarazzi e ingressi dei tunnel terroristici nelle aree densamente popolate e dentro edifici civili in modo che Israele finisca col colpire i civili). Replicherà questa strategia perché funziona sempre. E funziona perché Hamas esibisce ai mass-media le vittime civili, ma impedisce ai mass-media di mostrare i razzi e i tunnel dietro e sotto agli scudi umani civili, di mostrare i terroristi uccisi in mezzo ai civili, di mostrare i ragazzini armati come terroristi. Forse fra un anno o forse fra due, ma lo rifarà....

(israele.net, 8 settembre 2014)


Anche Noè aveva la kippà. Ecco gli Chagall mai visti

Erano gli abbozzi iniziali della «Bibbia» del pittore, figlio della cultura yiddish, Saranno esposti per la prima volta dal l? settembre al Museo Diocesano di Milano, in contemporanea con la grande mostra a Palazzo Reale.

di Armando Torno

 
Marc Chagall - La vocazione di Ezechiele
PARIGI - Piace Dauphine, De de la Cité. Siamo accanto al Pont Neuf, immortalato da Renoir nel 1872 in un quadro ora alla National Gallery di Washington. Nella piazza, in un appartamento luminoso, si conservano le carte di Marc Chagall. Incontriamo tra le antiche mura Meret Meyer, nipote del pittore e rappresentante degli eredi. Insieme a lei Sylvie Forestier, nota per essere stata la direttrice del Museo Chagall di Nizza; quindi Nathalie Hazan-Brunet, responsabile della sezione di arte contemporanea del Museo Ebraico di Parigi. II motivo: la mostra di Milano dedicata all'artista (e notizie su gouache mai esposte che saranno pubblicate per la prima volta). Dal 17 settembre si terrà a Palazzo Reale una grande retrospettiva («La più importante degli ultimi cinquant'anni», sottolinea la stessa Meyer); mentre al Museo Diocesano - con medesima decorrenza - si potranno vedere 22 schizzi inediti del Messaggio biblico di Chagall. Si tratta di piccole e densissime opere che, a detta della Forestier, «sono più spontanee rispetto a quelle conosciute e sembrano riflettere l'inquietudine di un'epoca; anzi, si direbbe che rimettano furtivamente la storia al centro dell'attenzione».
   Meret Meyer parla delle sorprese recate dal ritrovamento. Spiega come le gouache preparatorie per la Bibbia, presenti nel museo di Nizza consacrato al pittore, siano state donate dallo stesso Chagall allo Stato francese; questi inediti, invece, finirono in una collezione che non era ancora ben identificata. In essi l'erede coglie elementi essenziali: «Intese costruire con la sua arte un ponte tra i tempi, cercando nel mondo biblico quanto mancava al Novecento. Forse dovremmo dire che pensò a un trasloco di forza vitale». Così traduciamo il suo déplacer, anche se il termine italiano è poco elegante; tuttavia ci torna utile per comprendere meglio le parole della signora Hazan-Brunet: «Chagall ha trasformato artisticamente la Parola, ha interrogato, entrando e scavando nelle lettere e nella spiritualità che la Bibbia racchiude. II suo legame con il testo rivelato passò per la lingua yiddish. Desiderava prendere dalla storia del popolo di Dio l'energia necessaria per dar senso a un'epoca che aveva smarrito quasi tutto».
   Gli schizzi che si vedranno al Diocesano milanese, e che saranno poi integralmente pubblicati nel volume della Iaea Book Chagall. Viaggio nella Bibbia, colpiscono per la potenza primitiva che scaturisce dai tratti. Sembrano incisi nella carne della storia da un pittore convinto che il nostro tempo sia drammaticamente orfano della profezia. Lui, ebreo di lingua yiddish, decide allora di andarla a cercare dove essa rampolla eternamente; la rintraccia nelle radici del suo popolo e nelle azioni di quel Dio che ordina a Noè di costruire l'Arca (eccolo, in un primo schizzo, con la kippà; copricapo che poi gli è tolto); oppure nel gesto di Abramo che sta per uccidere lsacco per ordine divino; o infine nella lotta di Giacobbe «faccia a faccia» con Dio stesso. Chagall insegue la Parola che sconvolge, scovando i colori, i tratti, le urla di qualcosa che il nostro tempo ha irrimediabilmente perduto.
   La Forestier nota: «Questi 22 inediti sono una finestra che si apre sulla sua arte consentendone una nuova lettura, offrendoci altre percezioni. L'alfabeto biblico di Chagall cambia attraverso le emozioni che nascono in tali studi con acquarello e biacca, con tratti di matita La Bibbia è innanzitutto Parola: e lui, similmente aDa fenice, brucia nel tradurla e risorge offrendole nuove forme». Hazan Brunet sottolinea: «Chagall gioca con la lettera ebraica, che racchiude in sé l'essenza. Cerca la forza eterna che si trova in questi segni visibili. La sua è un'odissea spirituale nel XX secolo, tempo del quale lui conosceva tutto, epoca in cui l'arte guardava altrove e scavava la realtà forse con rabbia ma non certo con la sua sete di assoluto». Meret Meyer precisa: «Non cercava la profezia, la esprimeva». I 22 inediti non sono facilmente databili, comunque siamo intorno al 1931, anno in cui Chagall compie un viaggio in Terra Santa che muta le sue prospettive. Hazan Brunet ricorda di aver letto in un testo, dove rispondeva a un questionario, l'intento di porre il Cristo «poeta e ultimo dei profeti» oltre le consuete coordinate. Ecco le parole del pittore: «Gesù, ci tengo a metterlo tra i profeti ebraici, come ultimo tra essi, di cui mi appresto adesso a dedicare una raccolta di incisioni». La sua Bibbia, meditata nelle radici ebraiche, rompe i confini delle fedi. È forza divina che fugge. E cerca tutti.
   Forestier osserva: nel decennio 1930-40 l'immagine del Cristo diventa forte in Chagall «Ha scritto - confida - che "qualcuno guida la mia mano". Picasso dipinse Guernica nel 1937, lui nel 1938 Crocifissione bianca». Quest'opera, conservata nell'Art Institute di Chicago, è stata tra l'altro indicata come «quadro preferito» da papa Francesco. La Meyer parla delle emozioni provate confrontando gli inediti - i ripensamenti, i dettagli che variano di poco tra l'uno ,e l'altro magari sul medesimo soggetto ~ con i contributi definitivi che il maestro ha realizzato per la Bibbia. Ma qui si apre un altro capitolo della storia di Marc Chagall, le cui origini erano russe. Nel libro Iaea Book, dove saranno riprodotte per la prima volta le 22 opere ritrovate, c'è un saggio di Evgenia Kuzmina, accanto a quelli di Sylvie Forestier e Nathalie Hazan-Brunet, dedicato alla lettura iconografica delle gouache bibliche del pittore. La studiosa si sofferma sulla liturgia dei sensi e sulla memoria delle icone. Non sono che due aspetti di quell'universo che Chagall portava in sé. Già, le icone. Da ultimo bizantino amalgamava i volti santi all'infinito perfetto eikénai (traduciamo: essere simile) che, diventato figura, turberà i pittori, i fedeli, gli interpreti come il sommo Florensk.ij. In pieno Novecento l'essere simile si rifugia, grazie a Chagall, anche in alcune gouache. E in esse grida, senza requie, il disperato bisogno di profezia.

(Corriere della Sera, 8 settembre 2014)


Oltremare - Dafka adesso
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”
“In piazza e fuori”
“Dopoguerra”
“Scuola in guerra”
“Nuovo mese”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

La stagione delle meduse è finita da un pezzo, anche se quest'anno nessuno l'ha notata siccome ha corrisposto quasi interamente con la guerra. I turisti, anche quelli che alla fine erano arrivati durante questa estate di sirene e soldati al fronte, sono ripartiti. L'acqua, sulle spiagge chiare di Tel Aviv, è ritornata limpida e si fa il bagno in mezzo ai pesci. Le scuole sono ricominciate. Stiamo tracimando verso la stagione della feste ebraiche e pochi parlano ancora dell'estate passata: sabato è perfino arrivata la pioggia, al Nord, a segnare la fine di una stagione e l'inizio di una cosa nuova. Forse non ancora l'autunno, ma qualcosa che ci distacca in modo naturale dall'estate del 2014, che qui nessuno rimpiangerà.
Intanto, il ministero del Turismo, uno dei settori più pesantemente colpiti, già da metà agosto tartassa i cittadini israeliani con una campagna strappalacrime in cui famiglie fanno da testimonial del turismo interno, cosa quasi del tutto sconosciuta all'israeliano medio, per il quale "vacanza uguale aereo", uguale "uscire da Israele per ovunque", basta che si debba prendere un aereo, appunto. Fanno quasi tenerezza, le famigliole riprese in luoghi ridenti del Nord (ovvio, adesso non esageriamo, il Sud del paese non è esattamente vendibile come prodotto turistico), che dicono "dafka adesso, siamo venuti qui a goderci le attività per i bambini, la piscina, eccetera".
In quel "dafka", sta tutta la filosofia della campagna: vuol dire "proprio", quindi "proprio adesso", ma anche "apposta", per esprimere il fare una cosa di proposito. Senza il "dafka", diciamolo chiaramente, non si capisce nulla della società israeliana. È la "microribellione" allo status quo, l'espressione di una libertà profonda, puerile, anarchica.
Israele stessa in senso lato, politicamente e filosoficamente, è "dafka".

(moked, 8 settembre 2014)


Milano - Al via il Festival Internazionale di cultura ebraica. Il programma

Dopo il successo del 2013, torna Jewish and the City, il Festival internazionale di cultura ebraica, l'iniziativa annuale promossa dalla Comunità Ebraica di Milano in collaborazione con il Comune di Milano. Alla sua seconda edizione, il progetto si articola in incontri, mostre, concerti, lecture, maratone di pensiero, laboratori per bambini.

MILANO - Dopo il successo del 2013, torna Jewish and the City, il Festival internazionale di cultura ebraica, l'iniziativa annuale promossa dalla Comunità Ebraica di Milano in collaborazione con il Comune di Milano. Alla sua seconda edizione, il progetto si articola in incontri, mostre, concerti, lecture, maratone di pensiero, laboratori per bambini. Il Festival è nato dal desiderio della Comunità Ebraica di Milano di accrescere le occasioni di scambio con i propri concittadini, i quali hanno dimostrato, negli anni e nel corso della prima edizione, vivo interesse nei confronti dei temi vicini all'ebraismo, dalla tradizione religiosa alla filosofia, passando per usi e costumi legati alle pratiche di vita quotidiana.
La seconda edizione di Jewish and the City apre con una performance in bilico fra musica, teatro e narrazione che trae libera ispirazione dal Seder di Pesach, la cena rituale che celebra la Pasqua Ebraica. I chiostri della Rotonda di Via Besana risuoneranno di frammenti di storie recitate, cantate e sussurrate, come frammentario è il testo della Hagga- dah, il libro che narra la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù d'Egitto. Un assaggio di un multiforme e vitale avvenimento, della sua varietà e complessità, ma anche della serena semplicità del narrare, dello stare assieme, del ricordare vivendo. A cura di Andrée Ruth Shammah. Drammaturgia a cura di Miriam Camerini. In collaborazione con Monte dei Paschi di Siena.

(Affaritaliani.it, 8 settembre 2014)


Asti - Per discutere di Auschwitz: conoscere la storia per trasmetterne la memoria

Seminario di formazione (primo livello) sulla storia e l'insegnamento della shoah
Destinatari: insegnanti in servizio presso ogni ordine di scuola o comandati pressi Istituti, musei e associazioni tra le cui finalità rientrino anche la trasmissione della storia del genocidio degli ebrei, educatori, guide e operatori museali. Nel limite dei posti disponibili, l'iniziativa è aperta anche alla cittadinanza, previa iscrizione.

Questo seminario, promosso grazie alla collaborazione tra più enti e associazioni, vuole offrire un contributo in termini di conoscenza sulla shoah, coinvolgendo gli insegnanti e tutti coloro che lavorano su questo tema in una riflessione a più livelli, che indaghi i contenuti minimi della conoscenza storica che sono indispensabili per poter tenere "una buona lezione su Auschwitz" ma anche strumenti e metodi didattici più appropriati a seconda dei destinatari e del contesto.

Asti, 10, 17 e 18 settembre 2014
Polo universitario Asti Studi Superiori (Piazzale De Andrè- corso Alfieri)

Programma

(Mémorial de la Shoah, 7 settembre 2014)


Abu Mazen avverte Hamas: "Non accetteremo un potere condiviso"

Il presidente palestinese minaccia di rompere l'accordo di unità nazionale se al governo non sarà consentito di operare adeguatamente.

Il presidente palestinese Abu Mazen minaccia di rompere l'accordo di unità nazionale con Hamas se il movimento islamista non consentirà al governo di operare adeguatamente nella Striscia di Gaza. "Non accetteremo un'alleanza (con Hamas) se la situazione continua in questi termini a Gaza, dove c'è un governo ombra con 27 vice-ministri che controllano il territorio". Abu Mazen ha lanciato l'altolà sabato notte, arrivando al Cairo, e le sue parole sono state rilanciate dall'agenzia palestinese Wafa.
Abu Mazen ha insistito che l'Anp non accetterà a Gaza "la situazione così come è ora". Il presidente ha anche detto che la leadership palestinese sta facendo "ogni sforzo per alleviare la sofferenza del popolo di Gaza ed è al lavoro per dare urgentemente ogni forma di assistenza" alla gente della Striscia. Ed ha confermato che occorreranno circa 7 miliardi di dollari per la ricostruzione.
Intanto, secondo quanto riferisce il quotidiano Haaretz, il ministero israeliano degli Esteri ha sottoposto al suo governo un documento che propone la presenza di una forza internazionale a Gaza, con una preferenza per l'opzione europea. L'articolo spiega che il documento è stato consegnato al governo il 21 agosto, sulla base di discussioni avute con esponenti tedeschi, britannici, francesi e di altri paesi europei.
L'idea è di ampliare la forza europea di monitoraggio dispiegata al valico di Rafah fra il 2005 e il 2007. Secondo il ministero, tale forza potrebbe venire incontro agli interessi israeliani se svolgesse un effettivo lavoro di sicurezza Gaza. Per questo la forza dovrebbe essere armata e in grado di affrontare "le minacce provenienti da Hamas e altre organizzazioni terroristiche". Dovrebbe monitorare i valichi di confine e impedire l'ingresso di armi nella Striscia, oltre ad avere poteri nell'ambito del controllo degli aiuti umanitari e per la ricostruzione. Inoltre dovrebbe poter ispezionare scuole e siti dell'Onu, per accertarsi che non vi vengano nascoste armi.
La forza dovrebbe essere stazionata dal lato palestinese del valico di Rafah e lungo il confine fra la Striscia di Gaza e il Sinai (la cosidetta striscia Philadelphi), ma anche in alcune aree interne a Gaza come nelle istallazioni dell'Onu. Il coordinamento con l'Egitto sarebbe cruciale e l'intera forza dovrebbe agire sulla base di una risoluzione dell'Onu, dopo un accordo fra Israele, l'Autorità palestinese, l'Egitto, gli Stati Uniti e l'Unione Europea.

(la Repubblica, 7 settembre 2014)


Ha cento anni l'altra sinagoga romana

di Lauretta Colonnelli

Roma ospita ben diciassette sinagoghe. La maggior parte sorti dal 2000 ad oggi.

 
Oratorio Di Castro - Roma
Oratorio Di Castro - Roma
Tutti conoscono la sinagoga di Roma, affacciata sul lungotevere Cenci con quella strana cupola in stile tra liberty e neo-assiro. Ma pochi sanno che la città di sinagoghe ne ospita ben diciassette. La maggior parte sono sorte negli ultimi quindici anni, nelle zone dove la popolazione ebraica è più concentrata, come l'area intorno a viale Marconi, il quartiere Africano, Monteverde e alcuni punti di Trastevere. Ci sono sinagoghe di rito sefardita, altre di rito askenazita, altre ancora dove si prega seguendo ulteriori variazioni, come il rituale romano e quello chiamato, in gergo, tripolino, perché importato dalle comunità scacciate dalla Libia al tempo di Gheddafi. Testimoniano una presenza ebraica che a Roma risale senza interruzioni almeno al II secolo a.C.. Al tempo di Augusto si contavano già dodici templi, in vari rioni dell'Urbe. Scomparvero tutte a metà del Cinquecento quando papa Paolo IV costrinse gli ebrei alla residenza obbligata nel quartiere davanti all'isola Tiberina, chiuso da muri e cancelli che rimasero fino a quando non furono abbattuti dai piemontesi, nel 1870. Con l'apertura del ghetto tornò la libertà di costruire le sinagoghe.
   La prima fu quella a lungotevere Cenci, inaugurata nel 1904 e detta anche Tempio Maggiore. La seconda, chiamata Oratorio Di Castro, fu edificata in via Cesare Balbo 33 esattamente dieci anni dopo. Il progetto fu affidato a Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, gli architetti che già avevano ideato il Tempio Maggiore. Anche gli artisti incaricati delle decorazioni, Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, avevano già realizzato le vetrate e decorato gli interni della prima sinagoga. L'inaugurazione avvenne il 16 settembre 2014. Tra pochi giorni ricorre dunque il centenario di questo tempio e per festeggiare l'evento, l'edificio resterà aperto a tutti nella Giornata europea della cultura ebraica, domenica 14, con un programma che prevede visite guidate, mostre, conferenze, concerti. E la presentazione del libro «L'Oratorio Di Castro. Cento anni di ebraismo a Roma (1914-2014)», curato da Claudio Procaccia (ed. Gangemi). Il tempio, tra l'altro, si inserisce perfettamente nel tema della Giornata di quest'anno, intitolata «Donna Sapiens» e dedicata al tema della figura femminile nell'ebraismo. Fu infatti una donna a permettere la sua costruzione. Si chiamava Grazia Pontecorvo. Rimasta vedova di Salvatore Di Castro, mancò nel 1909, senza lasciare figli né parenti. Lasciò però tutti i suoi risparmi alla comunità con l'intento di far sorgere un nuovo edificio di culto nella zona tra via Cavour e via Nazionale, dove negli anni precedenti si era insediata la nuova borghesia ebraica. «Prima che a Roma vi fossero tante sinagoghe periferiche - ricorda il rabbino Riccardo Di Segni — quella di via Balbo è stata l'alternativa, il luogo più informale, accogliente, sperimentale che vi fosse a confronto con l'edificio monumentale del lungotevere, impermeabile a qualsiasi modifica della sua pompa e del suo stile. Io stesso vi ho cantato l'Arvit del mio bar mizvà, visto che al Tempio Maggiore questa performance era consentita solo a voci degne della struttura monumentale o raccomandate».
   Il programma della Giornata europea della cultura ebraica prevede inoltre l'apertura del Museo ebraico con visite guidate al Tempio Maggiore e al Tempio Spagnolo, in via Catalana. Alla Casa internazionale delle donne la filosofa Katia Tenenbaum parlerà di «Anna O. o Bertha Pappenheim? Storia di una donna ebrea alle origini della Psicoanalisi». Alla Casa dei teatri si assisterà a «Parole e musica da Jézabel di Irène Némirovski», con il clarinettista Gabriele Coen e Lisa Ferlazzo Natoli. Alla Biblioteca del Parco si insegna ai bambini a costruire un libro ebraico e si conversa con Ilana Bahbout intorno al libro «Maschio e femmina Dio li creò. La donna nell'ebraismo» (ed. Sovera). Alla Casa della Memoria e della storia Micaela Procaccia, Giacometta Limentani, Piera Di Segni e Adachiara Zevi raccontano storie di «Donne ebree a Roma».

(Corriere della Sera, 7 settembre 2014)


                 Se uno pensa di conoscere qualcosa, non sa ancora come si deve conoscere;
                 ma se uno ama Dio, è conosciuto da lui.
dalla prima lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi, cap. 8                     





 

Cosa pensano i palestinesi dopo la Guerra di Gaza?

Hamas può aver sacrificato una parte considerevole del suo arsenale bellico, ma poco male: Iran e Qatar sono già pronti a nuove forniture, contando sulla maggiore capacità di penetrazione garantita dal raddoppio delle miglie nautiche disponibili e dal maggiore transito garantito dai valichi fra Egitto e Israele, e Striscia di Gaza.
Sebbene non sia uscito vincitore dalla Guerra dei 50 giorni, Hamas risulta ora largamente prevalente fra l'opinione pubblica palestinese: secondo un sondaggio condotto dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR) di Ramallah, se si tenessero oggi elezioni parlamentari e legislative nel West Bank, l'organizzazione terroristica le vincerebbe a man bassa. Ai palestinesi che abitano a Ramallah e dintorni, piacciono i metodi violenti praticati da Hamas a Gaza: sarà per questo che la polizia dell'ANP sta procedendo in questi giorni a diffusi arresti e perquisizioni fra i simpatizzanti di Hamas residenti ad est del Giordano....

(Il Borghesino, 7 settembre 2014)


Berlusconi: "Nato irresponsabile con la Russia"

“Israele, che è l'unica democrazia nel Mediterraneo e nel Medioriente, ha reagito ai missili di Hamas e l'Occidente redarguisce Israele”.

ROMA - Per Silvio Berlusconi, "a causa di una malaugurata carenza di leadership internazionale" si sta assumendo "un atteggiamento ridicolmente e irresponsabilmente sanzionatorio nei confronti della Federazione Russa, che non può non difendere i cittadini ucraini di origine russa che considera come fratelli".
Berlusconi lo ha detto collegandosi telefonicamente al raduno dei giovani di Fi, a Giovinazzo (Bari), dove è in corso l'ultima delle tre giornate di lavori.
"Siamo in angoscia per la profonda crisi dell'economia che va di male in peggio - ha spiegato Berlusconi - e ancor più per la situazione internazionale e per le decisioni dei vertici occidentali, americani, la Nato, i vertici europei che, direi incredibilmente e irresponsabilmente, hanno cancellato e stanno cancellando il grande lavoro e i risultati che avevamo conseguito noi, nel 2002, con il trattato di Pratica di Mare, mettendo fine a mezzo secolo di guerra fredda che ci aveva angosciati".
"Ora - ha concluso - a causa di una malaugurata carenza di leadership internazionale, tutto questo viene cancellato con un atteggiamento ridicolmente e irresponsabilmente sanzionatorio nei confronti della Federazione Russa, che non può non difendere i cittadini ucraini di origine russa che considera come fratelli".
E su Israele: "Sono sgomento per la riesplosione dell'Islam con le sue pratiche feroci e disumane e con la sua carica di odio soprattutto nei confronti di Israele che, stanno tornando a dirlo, deve essere cancellata dalla carta geografica. Israele, che è l'unica democrazia nel Mediterraneo e nel Medioriente, ha reagito ai missili di Hamas e l'Occidente redarguisce Israele per la sua reazione e lo invita a ritirarsi dal territorio dei suo aggressori. Mi sento di dire, in che mani siamo!"

(blitz quotidiano, 7 settembre 2014)


Polizia della Sharia in Germania: ronde di integralisti per arruolare simpatizzanti

Fermate undici persone

In Germania la polizia ha fermato undici radicali islamici tra i 19 e i 33 anni che stavano 'pattugliando' le strade della città di Wuppertal con indosso casacche arancioni su cui era scritto "Polizia della Sharia". I protagonisti della vicenda, che si ripete già da qualche tempo, sono stavolta indagati per violazione della legge sull'assembramento. Lo ha reso noto oggi la polizia della città del Land del Nordreno-Vestfalia.
Secondo gli agenti, con la loro presenza gli indagati punterebbero a prendere il controllo del territorio, 'arruolando' nuovi simpatizzanti alla causa del radicalismo attraverso volantini su cui è scritto, tra l'altro, 'Shariah Controlled Zone'. Gli agenti hanno invitato a segnalare nuove manifestazioni simili: "Il monopolio della violenza appartiene esclusivamente allo Stato. Un atteggiamento intimidatorio, che crei insicurezza o costituisca una provocazione non sarà tollerato", ha avvertito la presidente della polizia di Wuppertal, Birgitta Radermacher.
"La sharia non sarà tollerata sul suolo tedesco", ha assicurato il ministro degli Interni tedesco Thomas De Maiziere, reagendo al fenomeno delle 'ronde' organizzate da alcuni islamisti nella cittadina di Wuppertal. "Nessuno può arrogarsi il diritto di usurpare il buon nome della polizia tedesca", ha chiarito l'esponente dell'esecutivo Merkel alla Bild. La stessa posizione è stata assunta dal ministro della Giustizia Heiko Maas: "Solo lo Stato ha la responsabilità dell'affermazione del diritto e della legge. E con questo è chiaro che nessuna giustizia parallela illegale verrà tollerata".

(L'Huffington Post, 7 settembre 2014)


Era uno dei carcerieri di Foley il francese che ha fatto strage al museo ebraico di Bruxelles

L'ex ostaggio Hénin: l'ho riconosciuto, cantava e torturava

di Paolo Levi

PARIGI - Il mondo è piccolo, anche quando si tratta di terroristi della jihad. Dopo mesi di silenzio, un ex ostaggio francese in Siria, il giornalista Nicolas Hénin, ha rivelato che Mehdi Nemmouche, il fondamentalista islamico responsabile della strage al museo ebraico di Bruxelles sarebbe stato uno dei carcerieri degli ostaggi occidentali sequestrati dai miliziani dello Stato Islamico (Isis).
   Altri tre giornalisti francesi sequestrati assieme a Henin e liberati in aprile - Didier François, Edouard Elias e Pie-re Torres - lo hanno riconosciuto con diversi gradi di certezza. E, a quanto scrive «Le Monde», vi sono elementi per ritenere che Nemmouche, cittadino francese di origini algerine, sia stato anche fra i carcerieri di James Foley, il giornalista Usa decapitato il 20 agosto.
   L'informazione doveva rimanere segreta. Ma dopo alcune indiscrezioni di stampa, «Le Point», il settimanale per cui scrive Hénin, ha deciso di pubblicare l'«agghiacciante» testimonianza del suo cronista. «Quando Nemmouche non cantava, torturava - ha raccontato, ripercorrendo i mesi della sua prigionia, fra luglio e dicembre 2013, in un ex ospedale di Aleppo trasformato in carcere dagli integralisti dell'Isis - era membro di un piccolo gruppo di francesi il cui arrivo terrorizzava la cinquantina di prigionieri siriani detenuti nelle celle vicine. Ogni sera, nella sala dove ero stato interrogato piovevano botte. La tortura durava tutta la notte, fino alla preghiera dell'alba. Alle urla dei prigionieri, rispondevano a volte dei mugoli in francese». Hénin stesso ricorda di essere stato picchiato da Nemmouche, che conosceva dietro allo pseudonimo di «Abu Omar» e che ribattezzò «Abu Omar il picchiatore». Sulle colonne di «Le Point», il reporter descrive il suo carceriere come un uomo «egocentrico e affabulatore», «sbandato e perverso», per cui «la jihad era solo un pretesto per soddisfare una sete malata di notorietà». Da Parigi, il ministro dell'Interno, Bernard Cazeneuve, ha confermato che gli 007 francesi avevano già «trasmesso alla giustizia alcuni elementi lasciando pensare che (Nemmouche, ndr) poteva essere uno dei carcerieri dei nostri ostaggi». II ministro non ha fornito altri dettagli: «Ora spetta alla giustizia fare il suo lavoro», si è limitato a dire.
   Nemmouche è stato arrestato in Francia ed estradato in Belgio, il 29 luglio. In carcere, a Bruges, ha mantenuto assoluto silenzio. Due mesi prima, il 24 maggio, al museo ebraico di Bruxelles - che il 14 settembre riaprirà i battenti dopo cinque mesi di chiusura -assassinò due turisti israeliani, una francese e un impiegato belga. Venne intercettato dai doganieri francesi qualche giorno dopo, il 30 maggio, assolutamente per caso, durante un controllo di routine a Marsiglia, a bordo di un pullman proveniente da Amsterdam, via Bruxelles. Nella valigia, nascondeva una pistola, centinaia di cartucce e micce e un kalashnikov avvolto in un lenzuolo bianco con la sigla dell'Isis. II 12 settembre la giustizia belga si pronuncerà sul prolungamento o meno della custodia preventiva. Nemmouche è un paradigma della «bolla» jihadista che si insinua in Europa: sarebbero circa 2-3.000 i giovani europei, in gran parte vicini agli slogan di Al Qaeda, andati a combattere al fianco degli integralisti islamici in Siria, tra cui circa 600-700 francesi.

(La Stampa, 7 settembre 2014)


Cyber-sicurezza, Negev al centro

Vi si insedierà l'esercito israeliano

di Ettore Bianchi

È già sede di uffici di multinazionali come Ibm, Oracle e Deutsche Telekom. Ma il deserto del Negev, per la precisione la località di Beer-Sheva, nella parte meridionale di Israele, sta per diventare la capitale nazionale della cyber-sicurezza. Le forze armate vi insedieranno i loro servizi e sono in arrivo 30 mila soldati specializzati nella guerra virtuale insieme alle loro famiglie. Non solo. E' previsto un forte stimolo all'occupazione nelle imprese private, che beneficeranno di sgravi fiscali sugli stipendi dei loro addetti. Così, entro 5-10 anni, almeno 10 mila nuovi tecnici saranno assunti.
   Tra i colossi dell'informatica si trova anche un incubatore che ha finanziato alcune start up. Fra di esse spicca Cyactive, che, partendo dalla constatazione che la maggior parte dei pirati utilizza la stessa sorgente per sviluppare i virus, crea sistemi protettivi capaci di scoprire una possibile evoluzione dei software velenosi. Come spiega il direttore generale Liran Tancman, si lavora su algoritmi di intelligenza artificiale ispirati alla sanità, facendo previsioni sul futuro del virus.
   Gli esperti sostengono che, una volta usciti dall'esercito, i giovani israeliani attivi nel settore hi-tech sono talmente preparati che non si trova capitale umano di questo livello in nessuna parte del mondo, tranne forse negli Stati Uniti. Ad attirare gli investitori privati, più ancora che gli aiuti finanziari, è l'installazione annunciata dalle forze armate. Dominique Bourra, consulente in cyber-sicurezza alla Camera di commercio Francia-Israele, spiega che nello stato mediorientale una tecnologia sviluppata da un individuo nell'ambito dell'esercito comprende il diritto sulla proprietà intellettuale. Così l'innovatore, una volta lasciato il servizio militare, può avvalersi della tecnologia messa a punto per lanciare una start up.

(ItaliaOggi, 6 settembre 2014)


L'ebraismo, luogo fluido dell'occidente secondo l'architetto Zevi

di Alfonso Berardinelli

 
Luca Zevi
Il libro "Conservazione dell'avvenire" di Luca Zevi (Quodlibet, 186 pp., 16 euro) contiene in una sintesi stratificata e labirintica le riflessioni pluridecennali dell'autore. Tutte le strade imboccate convergono tuttavia su un tema centrale: il rapporto reale e possibile fra tradizione culturale ebraica e architettura o urbanistica attuali. Questo rapporto è a sua volta unitario e polimorfo: ha implicazioni storiche, estetiche, morali e politiche. In quanto architetto e urbanista, Luca Zevi vive il suo lavoro come un problema urgente di moralità pubblica. Se è vero che la città, con la sua struttura, la forma e la funzione dei suoi edifici, è una delle fondamentali invenzioni della civiltà umana, il presente e il Muro destino di questa invenzione non può che tenere in stato di allarme. Nel flusso del tempo storico, che contiene una molteplicità di tempi eterogenei, paralleli o incrociati, divergenti o convergenti, il tempo della decisone è l'ora", l'hic et nunc, il presente. Questa idea antica è ricomparsa con una nuova urgenza politica nelle "Tesi di filosofia della storia" di Walter Benjamin, scritte nel momento in cui il nazismo si manifestava come una minaccia radicale per l'intero destino della civiltà: perché "anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se il nemico vince", scriveva Benjamin. Ogni sconfitta e catastrofe, ogni violenza, sopraffazione e amputazione dell'umano hanno forza retroattiva, colpiscono il passato, lo invadono. L'intolleranza e lo sterminio di oggi fanno riaffiorare, rafforzano quelli di ieri e di sempre: si alleano con tutte le violenze della storia, le moltiplicano e le espandono.
   Ho incontrato per la prima volta il giovane Luca Zevi a metà degli anni Settanta. Aveva circa venticinque anni, io qualcuno di più. Mi fu presentato da Elsa Morante che lo aveva conosciuto come appassionato lettore del suo romanzo "La Storia", in cui compaiono pagine indimenticabili sulla deportazione degli ebrei a Roma e sul bombardamento del quartiere San Lorenzo. In quegli anni chi leggeva il romanzo della Morante poteva anche aver letto le tesi di Benjamin sul corso storico, sulla sua continuità negativa e sulla possibilità "messianica" di interromperla, interrompendo il dominio della violenza.
   Dopo aver visto un paio di volte Luca Zevi quarant'anni fa, l'ho incontrato di nuovo solo recentemente, e ora leggendo questo suo libro mi sembra che niente sia andato perduto delle cose migliori che riuscimmo a capire in quegli anni lontani. Non è certo un caso se proprio quel giovane ha realizzato, da adulto, il Memoriale ai duemila caduti del bombardamento di San Lorenzo e se ha progettato il Museo Nazionale della Shoah (sulla cui localizzazione si discute in questi giorni: a Villa Torlonia, come doveva essere, o invece all'Eur?).
   "Conservazione dell'avvenire" è l'autobiografia intellettuale e il manifesto morale, prima che estetico, di un architetto straordinariamente consapevole di ciò che la sua professione significa e può fare per il miglioramento dell'autocoscienza pubblica. Molto spazio del libro Zevi lo dedica a riassumere efficacemente, per scopi non accademici ma attuali e progettuali, le caratteristiche della tradizione culturale ebraica e il contributo che può dare oggi alla concezione di un habitat umano flessibilmente orientato "sulle esigenze d'uso più che su regole compositive". Dobbiamo saper conservare nel presente, in vista del futuro, correggendo ogni razionalità progressiva rigidamente consequenziale e monolineare. Non si tratta di opporre progresso e antiprogresso, ma di arginare pulsioni e volontà di potenza orientate a una produttività che ha bisogno di liberare forze distruttive perpetuando una "sopraffazione dell'uomo
La tradizione culturale ebraica è fatta di mobilità, esodi e diaspore, ha un carattere policentrico e non stanziale.
sull'uomo e dell'uomo sulla natura". La tradizione culturale ebraica, ricorda Zevi, è fatta di mobilità, esodi e diaspore, ha un carattere policentrico e non stanziale: "Gli ebrei non hanno lasciato, nel corso di due millenni, duraturi segni fisici della propria presenza in questo mondo: ciò che hanno prodotto è organicamente mobile, soft, a partire dal Libro, unico monumento in senso proprio che hanno potuto consentirsi". Il loro stesso edificio più caratterizzante, la sinagoga, ha la sua definizione essenziale non in quanto edificio, ma in quanto luogo reso sacro dalla presenza, dalla custodia, dalla lettura e dal commento delle Scritture. Più che una costruzione, la sinagoga è il compimento di un'attività rituale, è lettura in comune dei testi su cui si fonda e si riconosce, ogni volta di nuovo, l'identità di un popolo.
   Questa attività non ha in sé bisogno di un territorio, non ha confini discriminanti. Perciò un monumento che ricordi le vittime della Shoah non può che essere un monumento a tutte le vittime. Questa memoria non perpetua un ricatto, ma una promessa formulata in termini universalistici, i soli su cui possa fondarsi l'attuale ragione di essere di ogni religione particolare.
   L'insistenza di Luca Zevi sulla modernità, sull'attualità della tradizione ebraica nelle sue diverse formulazioni, non ha bisogno di essere giustificata. Quella tradizione, anche grazie a coloro che hanno voluto interromperla, superarla, tradirla o ritradurla, è entrata d'autorità come mai prima nella cultura del Novecento: con Freud, Einstein, Kafka, con i maggiori critici letterari e filosofi del linguaggio, da Wittgenstein a Benjamin, Spitzer, Auerbach... Più recentemente, nessuno ha avuto in questo campo il prestigio di George Steiner e Harold Bloom, nei cui libri il culto ebraico della scrittura e della lettura si è riproposto in forme nuove e polemicamente attuali.
   Nelle pagine finali del suo vademecum morale dell'architetto, Zevi evoca l'evento politicamente catastrofico che l'11 settembre 2001 ha segnato il passaggio dal Novecento al nuovo millennio. In quell'evento carico di significati simbolici e di ammonimenti storici, la creatività prometeica e la distruzione apocalittica si sono incontrate. "Quando le televisioni di tutto il mondo hanno trasmesso le immagini forse più celebri della storia, il grande compositore tedesco Karlheinz Stockhausen ha definito la distruzione delle Twin Towers a New York, che quelle immagini documentavano, la più grande opera d'arte di tutti i tempi'. Il musicista ha detto più tardi di provare orrore per quelle parole. Mi sembra tuttavia che la sua esclamazione sia più significativa del suo pentimento. Che nell'estetica d'avanguardia fosse presente un potenziale distruttivo e autodistruttivo, si era già capito. L'autocritica culturale che l'occidente ha compiuto nel Novecento liquidando il suo passato e idolatrando l'astrazione costruttiva, la pura coerenza formale e la tabula rasa, è sembrata a volte una virtù creativa, ma rivela nelle parole di Stockhausen il suo esibizionismo estetico ottusamente criminoso. L'autonomia feticistica attribuita alla forma e alla sua spettacolarità è un rischio che continua a incombere sulla produzione architettonica contemporanea.
   Con il suo viaggio nella tradizione ebraica, che non ha lasciato monumenti ma ha coltivato nel modo più inventivo l'attualizzazione della memoria, Zevi guarda al Muro. Per "conservare l'avvenire" bisogna avere un passato da redimere, oltre che un presente capace di interrompere il contagio dell'umiliazione e della violenza.

(Il Foglio, 6 settembre 2014)


Il pasticcio del museo della Shoah a Roma

Addio al progetto di Villa Torlonia. Il Comune di Roma è alla ricerca di un altro spazio per allestire il Museo in fretta e furia e celebrare, a Gennaio 2015, il 70esimo anniversario della liberazione di Auschwitz. In barba a spese già sostenute e dieci anni di promesse.

di Zaira Magliozzi e Massimiliano Tonelli

Pianta del Museo della Shoah di Roma
Rendering del Museo della Shoah di Roma
Su i dubbi, le opportunità, le lungaggini e le contraddizioni che riguardano la realizzazione del Museo Nazionale della Shoah di Roma avevamo già detto la nostra un anno fa. Ora la situazione sembra essere arrivata all'epilogo più amaro. Il Museo Nazionale della Shoah di Roma non si farà.
   Almeno non così come era stato pensato dagli architetti Luca Zevi e Giorgio Maria Tamburini al fianco di Villa Torlonia, già residenza di Benito Mussolini. Da giorni si rincorrono diverse ipotesi su quale sarà la nuova sede ma una cosa è certa, vista la volontà di inaugurare il museo per il 70esimo anniversario dell'apertura dei cancelli di Auschwitz - il 27 gennaio 2015 - non ci sono i tempi per realizzare un edificio ex novo. La decisione sarebbe - il condizionale è d'obbligo visto che l'assessore ai lavori pubblici di Roma Paolo Masini e quello alla cultura Giovanna Marinelli non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali - di realizzare solo un grande allestimento all'interno di una struttura esistente. Allestimento, peraltro, progettato da chi non è dato sapere. Accreditate indiscrezioni giornalistiche parlano con certezza del Palazzo Mostra dell'Arte Moderna all'Eur, che oggi ospita il centro commerciale in via di chiusura White Gallery, ma nulla è stato ancora confermato ufficialmente.
   Si tratta, manco a dirlo, dell'ennesimo spreco dei fondi pubblici, tipicamente italiano. Eppure il progetto, dal 2006 quando l'allora sindaco Veltroni ne propose la realizzazione, sembrava essere finalmente arrivato a una svolta. I terreni erano stati acquistati dal Comune per 15 milioni di euro (pagati con permute e compensazioni, ma pur sempre pagati) e la gara d'appalto per l'aggiudicazione dei lavori era stata avviata a maggio del 2013. Si stava aspettando solo di conoscere il nome dell'impresa vincitrice per procedere alla posa della prima pietra. Ma dall'insediamento della giunta Marino l'iter (già andato piuttosto lento durante tutta la sindacatura Alemanno) si arena e, a fine Agosto scorso, sui quotidiani nazionali escono le prime voci.
   Sembrerebbe che l'assessore ai lavori pubblici di Roma si sia attivato per trovare un'alternativa al museo di Villa Torlonia spinto dalle forti pressioni della comunità ebraica. Da più parti era stata espressa la volontà di avere uno spazio commemorativo entro il 70esimo anniversario della liberazione di Auschwitz che ricorrerà tra poco più di un anno. Costi quel che costi (e chissà cosa avrà da dirne la Corte dei Conti, alla quale qualcuno ha già minacciato di ricorrere). Con l'obbiettivo di avere, all'inaugurazione, qualcuno dei superstiti dei campi di sterminio ancora invita.
   Ma già in molti si sono mobilitati. Tra questi l'In/Arch, Istituto nazionale di Architettura, ha lanciato una petizione su change.org per chiedere al sindaco Ignazio Marino di mantenere le promesse e realizzare il museo così come era stato concepito e progettato. E per celebrare adeguatamente propongono "una solenne cerimonia di posa della prima pietra in quella data e, contemporaneamente, l'inaugurazione di una sede provvisoria del museo che possa ospitare un'esposizione temporanea dei materiali raccolti, fino alla conclusione dei lavori dell'edificio definitivo."
   Certo è che tutta questa fretta, sorta solo ora, sembra sospetta.
   Perché non pensarci prima? Il Settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz era noto. Si sarebbero potuti evitare quasi dieci anni di rinvii e ritardi. O forse ci si è resi conto che la realizzazione di un museo ex novo sarebbe andata per le lunghe protraendo quel senso di frustrazione già esasperato da tutti gli anni passati senza risultati? Il sospetto che le lungaggini siano servite per arrivare a questa conclusione c'è. E forse, dopo tutte le critiche, si è preferito scegliere il male minore. L'operazione non ci convinceva in toto, soprattutto perché non scaturita da un concorso internazionale, ma farle fare questa fine, a questo punto della sua gestazione, è la cosa peggiore che si potesse immaginare. Si dilapidano risorse pubbliche, si lascia un'area ormai di proprietà comunale in abbandono (senza nessun progetto alternativo), si priva la città di una nuova architettura contemporanea. E pensare che la Fondazione che doveva gestire il museo (e che forse gestirà anche l'allestimento nella nuova sede? Chissà) ha la sagoma dell'edificio progettato da Zevi&Tamburini perfino nel logo…

(Artribune, 6 settembre 2014)


Il pubblico delle Giornate porta in trionfo il cinema israeliano

Con The Farewell Party di Tal Granit e Sharon Maymon.

di Antonio Galluzzo

Con un'imbattibile maggioranza "bulgara" (il 97,35% di voti favorevoli) il film israeliano The Farewell Party di Tal Granit e Sharon Maymon si è aggiudicato il Premio del Pubblico BNL assegnato alla Selezione Ufficiale delle Giornate degli Autori. Commedia amara nel solco della più tagliente ironia yiddish, dramma commovente sulla fine della vita e racconto umanissimo su un tema "caldo" come l'eutanasia, The Farewell Party ha sbaragliato ogni altro concorrente anche se Ritorno a l'Avana di Laurent Cantet (Venice Days Award 2014) ha messo sostanzialmente d'accordo pubblico e critica piazzandosi al secondo posto e i due film italiani (I nostri ragazzi e Patria) hanno fatto vera doppietta con la stessa, esatta, percentuale di voti (84,95% di consensi) subito alle spalle dei vincitori.
"Per noi - dicono i due registi impegnati nelle ultime battute per l'Oscar israeliano in cui hanno fatto il pieno di nomination candidandosi così alla corsa al vero Oscar per il miglior film straniero - l'anteprima mondiale a Venezia è stata un momento indimenticabile e sentire il calore e la passione del pubblico attraverso questo premio è come aver vinto il Festival". Un risultato a sorpresa, visto il consenso generale dei film delle Giornate nel voto del BNL People's Choice Award, ma che conferma come oggi la cinematografia israeliana sia all'avanguardia nel mondo e conquisti favore con temi ed autori anche diversissimi tra loro. "La profonda umanità di questa storia e il pudore con cui autori ed attori hanno portato a Venezia il loro messaggio di solidarietà e di compassione umana - dice il delegato Giorgio Gosetti - ci ha dato speranza anche per il dramma politico e umano che fa vivere giorni terribili a Israele e alla Palestina. E' la dimostrazione che il cinema israeliano sa parlare di pace e comprensione tra le persone anche quando non si limita a raccontare la ferita che spezza la vita di due popoli" .

(Spettacoli News, 6 settembre 2014)


Viaggio nelle Alture del Golan, a 50 metri dai terroristi

E' impossibile non notare il fermento, impossibile non notare la tensione tra i militari israeliani e tra i contadini della Galilea e del Golan. «Prima o poi cercheranno di colpirci» ci dice Amos Haber, un contadino che guarda i suoi campi mentre a pochi metri, oltre il confine siriano, si notano i miliziani di Al-Nusra che si muovono circospetti ma con una certa calma.
Siamo veramente a pochi metri dai combattimenti tra Al-Nusra e l'esercito siriano. Proprio qui l'altro giorno è piovuto un colpo di mortaio che solo per miracolo non ha colpito nessuno. «Non possiamo andare a lavorare nei campi» ci dice Ahuva, una giovane donna che da due anni vive nel Golan con il marito, «se guardi bene li puoi vedere anche a occhio nudo. Abbiamo paura che ci sparino. Loro ci odiano. Almeno quando c'erano i soldati siriani eravamo più tranquilli». E' questo uno dei paradossi più evidenti, la gente si sentiva più sicura con l'esercito siriano a controllare il confine, nonostante ancora Israele sia formalmente in guerra con la Siria. E c'è pure chi è venuto via dalla Galilea perché nel Golan si sentiva più al sicuro, credeva che qui sarebbe stato meno pericoloso che l'essere sotto il mirino degli Hezbollah....

(Right Reporters, 5 settembre 2014)


Decolonizzare la Palestina: una visione alternativa per la pace

Perché si affermi la pace, l'imperialismo coloniale arabo-islamico deve terminare

In un editoriale sul New York Times, il politologo Ali Jarbawi ha scritto le seguenti sagge parole: "Più a lungo dura un'occupazione coloniale, tanto più tendono a crescere il razzismo e l'estremismo dei coloni. Ciò è particolarmente vero se gli occupanti incontrano resistenza: a quel punto la popolazione occupata diventa un ostacolo che deve essere rimosso o costretto a sottomettersi attraverso l'espulsione o l'omicidio". La sua ipotesi è che Israele sia una potenza coloniale e che i palestinesi siano una autonoma popolazione autoctona.
Propongo un'ipotesi alternativa: gli ebrei sono un autonomo popolo autoctono in Palestina/Terra d'Israele, e l'attuale entità politica palestinese è l'espressione locale di un impero coloniale arabo-islamico. Si tratta di un cambiamento di paradigma che comporta importanti implicazioni per la comprensione del conflitto in Medio Oriente e delle vie per arrivare alla pace....

(israele.net, 5 settembre 2014)


"La Shoah in me. Memorie di un combattente del ghetto di Varsavia"

La testimonianza, inedita in Italia, dell'ultimo combattente ancora in vita del ghetto di Varsavia. Simcha Rotem ha vissuto l'Olocausto in prima persona non appena ventenne. E lo racconta in un libro.

di Veronica De Carolis

 
Immagini impossibili da dimenticare, dettagli che sfuggono alla memoria con la stessa forza con cui sono impressi sulla pelle, c'è molto di non detto e tanto di raccontato in La Shoah in me.
Memorie di un combattente nel ghetto di Varsavia
. Gli eventi sullo sfondo sono tra i più noti e allo stesso tempo tragici che la nostra memoria storica possa ricordare, l'aggressione, la persecuzione, lo sterminio, in una sola parola: l'Olocausto. Il libro, arricchito dalla toccante introduzione di Gad Lerner, si presenta come una sorta di diario degli eventi che, accaduti a Varsavia tra l'aprile e il maggio del 1943, hanno portato all'insurrezione del ghetto.
   Simcha Rotem tutto questo lo ha vissuto in prima persona non appena ventenne, e lo racconta solo quarant'anni dopo mantenendo intatta la freschezza della sua gioventù. Nelle sue parole si legge il dolore ma anche l'incredulità per un vissuto del tutto incomprensibile, per i cumuli di macerie a ogni angolo, per le cataste di cadaveri nelle strade, per i luoghi non più riconoscibili anche solo da un giorno all'altro, per l'intollerabile abituarsi alla morte e al distacco dai propri affetti. Tra i ranghi della Zob, l'Organizzazione ebraica di combattimento, Simcha Rotem - nome di battaglia Kazik - ha sperimentato la militanza clandestina, l'uso delle armi e la pianificazione delle azioni di salvataggio. Tutto questo si legge tra le righe, senza clamore ma con una solidità che emoziona. Gli attimi di disperazione si alternano con quelli dell'azione: Kazik cerca nascondigli per gli altri combattenti e trova vie di fuga sotterranee, fino ad arrivare poi, con un coraggio dettato forse in parte proprio dall'incoscienza, ad affrontare a viso aperto l'aggressore nazista.
   Quella che emerge è senza alcun dubbio una figura eroica, un uomo in cui il rimpianto per le persone che ha dovuto lasciare al proprio destino è forse più forte dell'orgoglio per la liberazione di quei compagni che, se non fossero usciti dal ghetto, sarebbero stati condannati a morte certa. La sua resistenza viene trascritta come testimonianza, non c'è stato un intento letterario nel metterla su carta quanto più la consapevolezza che fosse un dovere far sì che non andasse persa. È l'autore stesso a raccontare che una prima stesura gli era stata commissionata quando ancora militava nella ?ob, ma allora i suoi intenti erano rivolti all'azione e il progetto non si concretizzò. Anni dopo furono i suoi compagni del kibbutz Lohamei HaGeta'ot in Israele a esortarlo affinché portasse a termine l'opera.
   Nonostante la natura schiva e riservata che lo contraddistingue, Simcha si convinse a dettare le proprie memorie a un membro del kibbutz, malgrado sapesse bene quanto sarebbe stato difficile riportare alla mente episodi tanto dolorosi e ricordi tanto strazianti. La grandezza del testo riesce ad andare oltre ogni reticenza, la sensibilità che sprigiona coinvolge senza remore e quello che si coglie leggendo il racconto è l'energia vitale che prende forza dall'oppressione, sono i sentimenti che continuano a esistere negli uomini anche quando questi sembrano destinati a non poter fare altro che cercare di sopravvivere. Va dato merito alla curatrice, Anna Rolli, e alla Sandro Teti Editore per aver colmato un'importante lacuna, rendendo così disponibile al lettore italiano questa preziosissima testimonianza che sarà in libreria entro il mese di settembre.

(il Giornale, 5 settembre 2014)


Gli ingiusti

Chi c'è dietro l'appello dei "sopravvissuti alla Shoah contro Israele"? Altro che "nonnine". Organizzano il boicottaggio e flirtano con Hamas.

di Giulio Meotti

Il titolo su Repubblica faceva un certo effetto: "Gaza, oltre 300 sopravvissuti alla Shoah contro Israele". Purtroppo, i sopravvissuti non erano "oltre", e neppure "trecento". Ma venti. Gli altri erano figli o nipoti o lontani parenti. Eppure, la storia è dilagata sui media di tutto il mondo. La Bbc: "Famiglie dell'Olocausto criticano Israele su Gaza". Poi l'Independent: "Sopravvissuti all'Olocausto e loro discendenti accusano Israele di genocidio". E così via. Ma chi c'è dietro a questa campagna apparsa addirittura a tutta pagina sul New York Times?
   La polemica è scoppiata in risposta a una iniziativa del più noto dei sopravvissuti alla Shoah, lo scrittore e premio Nobel Elie Wiesel. In un annuncio a pagamento sul New York Times e il Washington Post, l'autore de "La notte" ha scritto: "Nella mia vita ho visto bambini ebrei gettati nel fuoco e adesso vedo bambini usati come scudi umani, da fedeli al culto della morte non dissimili da coloro che venerano Moloch. Questa non è una battaglia di ebrei contro arabi o di Israele contro i palestinesi. E' una battaglia tra coloro che celebrano la vita contro i campioni della morte. E' la civilizzazione contro la barbarie". A Wiesel rispondono con un'altra pagina a pagamento sul New York Times e altri giornali 327 firmatari. "Come ebrei sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti e vittime del genocidio nazista, inequivocabilmente condanniamo il massacro di palestinesi a Gaza e l'attuale occupazione e colonizzazione della storica Palestina".
   La lettera pubblicata dal quotidiano newyorchese non è spontanea, ma è una iniziativa lautamente sponsorizzata dall'International Jewish Anti-Zionist Network. Una organizzazione dichiaratamente ostile a
Studiosi della Shoah che hanno analizzato il manifesto e i firmatari dicono che di questi 327, soltanto una ventina sono dei sopravvissuti. Gli altri sono figli di sopravvissu- ti, nipoti di sopravvissu. ti, parenti di sopravvissuti.
Israele, "antisionista". I 327 concludono con un appello per "un totale boicottaggio economico, culturale e accademico di Israele". Studiosi della Shoah che hanno analizzato il manifesto e i firmatari dicono che di questi 327, soltanto una ventina sono dei sopravvissuti. Gli altri sono "figli di sopravvissuti", "nipoti di sopravvissuti", "parenti di sopravvissuti" o semplicemente ebrei che hanno lasciato l'Europa in tempo. In Israele chiunque può dirsi tale.
   I firmatari dell'appello contro Israele sono diversi da Edgar Morin, che sul Monde ha scritto un appello perché la Francia interrompa gli accordi economici con Israele (gli ha risposto il regista Claude Lanzmann, in un articolo ripubblicato dal Foglio). Sono diversi da Zygmunt Bauman, un altro sociologo dalla parte sbagliata della storia che paragona Gaza al ghetto di Varsavia.
   I firmatari dell'appello dei "sopravvissuti" sono attivisti dell'odio, militanti sempreverdi delle campagne contro Israele sulle piazze e persino a bordo delle flottiglie del terrore. Hajo Meyer, il primo nella lista, è un noto militante olandese, autore di un libro intitolato "The end of Judaism", in cui spiega, nemmeno fosse l'allievo di Mahmoud Ahmadinejad, che sionismo e giudaismo sono incompatibili. Meyer paragona Israele al "fascismo" e alla Germania nazista ("ci sono molte similarità", scrive). Meyer ha dichiarato che "la prima causa dell'antisemitismo è lo stesso ebraismo", e che "molti ebrei sono così concentrati sulla Shoah da essere incapaci di riconoscere la sofferenza altrui", per esempio quella palestinese, e via delirando. Meyer non ha esitato a comparire nella televisione del regime iraniano, Press Tv, la voce dei pasdaran nel mondo, gli stessi che condannano Israele a scomparire dalla mappa geografica.
   L'appello è firmato anche da Hedy Epstein, uno dei volti più noti delle Freedom Flotilla lanciate in solidarietà di Hamas. Giornali come Newsweek gongolano quando c'è lei. La "nonnina" è volata persino al Cairo il mese scorso per partecipare alle manifestazioni contro Israele. E di recente ha intrapreso uno sciopero della fame per Gaza. Epstein fa parte del Free Gaza Movement, che il giornalista americano Jeffrey Goldberg ha definito "il leader della campagna internazionale per delegittimare Israele". Sono note le parole della fondatrice del movimento, Greta Berlin: "I sionisti hanno organizzato e gestito i campi di concentramento per uccidere milioni di ebrei innocenti". Sembra di sentire il proclama di un mullah iraniano.
   Nell'appello c'è il nome della poetessa yiddish Irena Klepfisz, scampata al ghetto di Varsavia e figlia dell'eroe bundista Michael Klepfisz, rimasto ucciso durante la rivolta. La scrittrice è una delle animatrici del "Jewish Women's Committee to End the Occupation of the West Bank and Gaza". C'è poi Susan Slyomovics, che ha fatto una brillante carriera come docente di Antropologia alla Ucla, dove il suo nome spicca in cima alla lista dei firmatari del boicottaggio accademico di Israele. Alcuni mesi fa una delle più gloriose e storiche associazioni accademiche statunitensi, l'American Studies Association, ha votato il boicottaggio di università e scuole superiori israeliane. La mossa porterà all'annullamento di ogni rapporto accademico e culturale con lo stato ebraico. Prevede che i professori cancellino ogni collaborazione con gli insegnanti e gli istituti israeliani. E' uno dei successi di Slyomovics. Il 16 aprile 2010, durante un convegno alla Ucla, Slyomovics disse: "Se gli ebrei possono prendere le riparazioni di guerra dalla Germania, allora i palestinesi dovrebbero prendere le riparazioni da Israele. Dopo tutto, quello che i tedeschi fecero agli ebrei è quello che Israele sta facendo ai palestinesi". Che c'è di meglio della volgarizzazione della Shoah da parte di una nipote di sopravvissuti che dirige un centro di "Middle East Studies"?
   Campeggia il nome di Felicia Langer, avvocato tedesco comunista, che paragona Israele al regime
Il primo di questi soprav- vissuti ai lager che insce- narono proteste contro Israele fu Shlomo Schmalzman, che nel 1982, quando l'esercito israeliano entrava a Beirut, intraprese uno sciopero della fame allo Yad Vashem.
nazista e che i boicottaggi li organizza in Germania. C'è la francese Suzanne Weiss, nota per la sua iniziativa "Not in our name", ovvero "le voci ebraiche contro il sionismo". Weiss accusa Israele di una "forma di genocidio". C'è Alfred Grosser, l'autore di un violento pamphlet antisraeliano intitolato "Von Auschwitz nach Jerusalem". Grosser paragona ciò che i nazisti hanno fatto agli ebrei a ciò che gli israeliani starebbero facendo ai palestinesi. Il primo di questi sopravvissuti ai lager che inscenarono proteste contro Israele fu Shlomo Schmalzman, che nel 1982, quando l'esercito israeliano entrava a Beirut, intraprese uno sciopero della fame allo Yad Vashem. E nazificò il suo stesso stato, allora sotto assedio terroristico in Galilea, dicendo: "Vedo Beirut e ripenso a Varsavia".
   Molti di questi sopravvissuti fanno parte dell'International Solidarity Movement, i pacifisti più duri e militanti, quelli che in Cisgiordania sfidano l'esercito israeliano e ne ostacolano le operazioni antiterrorismo. Ma è anche un movimento che durante la Seconda Intifada non ha esitato a dare ospitalità a un componente del commando che si sarebbe fatto saltare in aria a Mike's Place, un celebre locale sul lungomare di Tel Aviv. Molti leader del movimento sono andati in Libano a fare da "scudi umani" per Hezbollah. E i giovani occidentali di cui è composto si fanno spesso fotografare con i fucili Ak47 dei terroristi palestinesi.
   Dell'appello antisraeliano fa parte "il nipote di sopravvissuti" Daniel Boyarin, che da docente dell'Università della California guida la campagna accademica americana contro Israele, uno stato che per lui non doveva essere fondato e andrebbe rimosso. C'è Renate Bridenthal, insegna al Brooklyn College e vuole che gli Stati Uniti interrompano gli accordi militari con lo stato ebraico. C'è soprattutto il docente del Bard College, Joel Kovel, l'autore di "Overcoming Zionism", dove afferma che "la creazione di Israele è stata un errore". Le edizioni dell'Università del Michigan hanno interrotto la distribuzione del libro dopo la denuncia della comunità ebraica. Lo stato ebraico, nelle parole di Kovel, è "maligno". E "una macchina per la produzione di abusi dei diritti umani".
   Le proteste sulla stampa contro questi sopravvissuti è stata dura. La migliore è venuta da un cantante, Peter Himmelman, anche lui parente di reduci dei campi, che ha scritto sull'Huffington Post: "Conosco molti sopravvissuti all'Olocausto, uomini e donne, sia negli Stati Uniti sia in Israele. Il giudizio secondo cui Israele sta commettendo in qualche modo sui palestinesi le stesse atrocità che i nazisti commisero sugli ebrei nella Seconda guerra mondiale proviene da una minoranza estrema tra i sopravvissuti all'Olocausto. Sono tanto pochi da essere difficilmente degni di nota. Equiparare l'assassinio sistematico di sei milioni di innocenti con la difesa legittima della propria patria da gente assetata di sangue è un calcolo morale folle".
   Dello stesso tenore un saggio dello scrittore americano Jack Engelhard, che scrisse la sceneggiatura del film "Proposta indecente": "Nessuno di noi possiede' l'Olocausto. Mi sono sempre proposto di non giudicare i sopravvissuti all'Olocausto, soprattutto quelli che hanno sopportato i campi. Hanno diritti speciali. Ma tali diritti si estendono fino a bestemmiare apertamente contro lo stato ebraico? Non posso rimanere in silenzio. Chiunque essi siano, questi sopravvissuti, se pensano di aver acquistato per se stessi la sicurezza avvolgendosi con la bandiera palestinese, sono invitati a rifletterci nuovamente. Nessuna fratellanza di questo tipo con Hitler li ha risparmiati dai forni".
   E' quella che è stata chiamata "la sindrome Norman Finkelstein", dal nome dell'autore del libro bestseller "L'industria dell'Olocausto". Suo padre, Zacharias, era un sopravvissuto del campo di concentramento di Auschwitz. Sua madre, Maryla, era una sopravvissuta del ghetto di Varsavia e del campo di Majdanek. Dunque Finkelstein è un tipico "figlio della Shoah". Ma questo non ha impedito che lavorasse alacremente per escludere Israele dalla famiglia delle nazioni.
   Nei giorni scorsi a rinfocolare però il sentimento antisraeliano è stata anche la vicenda di Henk Zanoli. Sempre dalle colonne di Repubblica è Gad Lerner, immancabile bastonatore dolente dello stato ebraico, a riprendere la storia, originariamente uscita sul New York Times: "Il Giusto e le terribili lezioni della storia fra Israele e Gaza".
   Zanoli è un anziano signore olandese, che fino a qualche giorno fa era un "Giusto fra le nazioni". Ovvero uno di quei non ebrei che durante l'Olocausto rischiarono la propria vita per salvare quella di un ebreo. Zanoli ha appena restituito la medaglia di "Giusto" ricevuta dalle autorità israeliane e ha chiesto la cancellazione del suo nome dal Giardino dello Yad Vashem. Motivo? La guerra di Gaza.
   La nipote di Zanoli, la diplomatica olandese Angélique Eijpe, ha sposato un palestinese di Gaza. Alcuni suoi familiari sono rimasti uccisi in un raid israeliano. "E' davvero terribile che oggi, quattro generazioni dopo, la nostra famiglia debba sopportare l'uccisione di altri suoi membri", ha scritto Zanoli in una lettera
La stampa non ha citato il fatto che i familiari del bambino ebreo Elchanan Hameiri salvato da Zanoli, tutti cittadini di Israele, abbiano condannato il gesto dell" Ingiusto" olandese.
consegnata all'ambasciata d'Israele ad Amsterdam. "Uccisioni di cui è responsabile lo stato di Israele. Per me, dunque, conservare questa medaglia sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre". Soltanto che l'encomiabile vicenda dell'anziano olandese nasconde una verità rimossa.
La stampa non ha citato il fatto che i familiari del bambino ebreo Elchanan Hameiri salvato da Zanoli, tutti cittadini di Israele, abbiano condannato il gesto dell" Ingiusto" olandese. Rivka Ben-Pazi, una nipote di Hameiri, ha detto che "Zanoli non vede i missili e i tunnel di Hamas". O non vuole vederli. Ma soprattutto la stampa non ha scritto che nei bombardamenti israeliani in cui sono morti quattro membri della famiglia Ziadah-Zanoli, è rimasto ucciso anche un certo Mohammed Maqadmeh. Che, si è scoperto poi, era uno dei capi militari di Hamas (i terroristi lo hanno pianto con un martirologio in grande stile). Non sappiamo ancora se la famiglia di Zanoli stava volutamente proteggendo il suo "ospite" o se i suoi componenti sono stati utilizzati come scudi umani.
   Di certo c'era un terrorista pluriricercato nella casa dei parenti dell'Ingiusto fra le nazioni", il nuovo darling del sentimento antisraeliano in Europa. Ma questo non doveva comparire nell'eroica iniziativa dei "trecento sopravvissuti contro Israele". Né tanto meno nei titoli di Repubblica. Come non doveva comparire la vera identità dei firmatari dell'appello dei sopravvissuti all'Olocausto. Cosa c'è di più struggente e ammaliante di una pagina a pagamento sul New York Times di 327 sopravvissuti", veri o presunti non importa, che hanno dedicato la loro vita a voler distruggere il paese dove oggi vive il settanta per cento dei sopravvissuti all'Olocausto?

(Il Foglio, 6 settembre 2014)


In Israele "questo panico da Stato islamico deve finire"

"Hanno la metà degli uomini di Hamas e non hanno alleati potenti"

di Daniele Raineri

Amos Yadlin
Amos Yadlin è stato direttore dell'intelligence militare israeliana e ora è a capo di un think tank che si occupa di sicurezza a Tel Aviv. Due giorni fa ha scritto un editoriale sul quotidiano Yedioth Ahronoth per spiegare che per quanto riguarda Israele "il panico causato dallo Stato islamico deve finire. A dispetto della scia di orrori che si lascia dietro, quel gruppo opera a centinaia di chilometri dal nostro confine, e anche se fosse più vicino non sarebbe in grado di infliggere danni a Israele e ai suoi abitanti". Yadlin sostiene che in fondo "stiamo parlando di qualche migliaio di terroristi senza nessuno che li freni a bordo di pick-up, con Kalashnikov e mitragliatrici. Assieme ad altre milizie che si sono aggregate (e che potrebbero abbandonarli quando la loro offensiva si impantanerà) lo Stato islamico ha circa diecimila combattenti, la metà della forza militare di Hamas. E a differenza di Hamas, che invece confina con noi, lo Stato islamico non ha tunnel, non ha artiglieria, non ha la capacità di colpire strategicamente lo stato di Israele e non ha alleati che lo riforniscano di armi avanzate".
   Il generale spiega che il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi è un'organizzazione jihadista globale che non è essenzialmente così diversa da al Qaida, una minaccia con cui Israele convive da più di un decennio.
   Se lo Stato islamico avesse concentrato i suoi sforzi su Israele invece che sull'Iraq, sarebbe diventato una preda facile per l'intelligence israeliana, per l'aviazione e per per le armi di precisione a disposizione delle nostre forze di terra, scrive Yadlin. Nel momento in cui inconterà un esercito moderno, il gruppo dovrà smontare dai suoi pick-up - e questo ridurrà ancora di più la sua capacità di muovere verso Israele. Allo stesso tempo, lo Stato islamico è impegnato con un'infinità di altri nemici, alcuni dei quali si frappongono "tra loro e noi: gli eserciti di Iraq, Giordania e Libano, e anche il suo nemico giurato sciita, Hezbollah".
   L'editoriale minimizza il rischio che l'ideologia dello Stato islamico si radichi tra i palestinesi - "E' troppo estrema persino per al Qaida, non dovrebbe essere vista con favore a Gaza o nella West Bank" - e riconosce al gruppo due risultati definiti "incredibili": "Ha unito una coalizione incredibilmente ampia contro di sé. Una lista breve comprende la Russia, la Turchia, l'Iran, le milizie curde, gli stati del Golfo, l'Arabia Saudita, la Giordania, l'esercito siriano, quello libanese, Hezbollah e Israele". Il secondo risultato è quello di avere "riportato l'esercito americano in Iraq durante il mandato dell'Amministrazione Obama". Per tutte queste ragioni, "possiamo togliere il dito dal bottone dell'allarme rosso. Lo Stato islamico non è una minaccia significativa per Israele nel prossimo futuro", e anzi, puo creare chance di cooperazione strategica con altri paesi. L'America, l'Europa, gli stati della regione guidati di sunniti moderati. "In fondo, stiamo tutti lottando contro l'estremismo islamico".
   Se un pericolo c'è, conclude il generale, è che l'attenzione del mondo sia deviata dal programma nucleare iraniano, che è "il vero pericolo strategico per la sicurezza del mondo e per la sicurezza di Israele. Dovremmo conservare un piano d'azione realistico e concentrarci sui problemi più importanti, anche se dalla Siria e dall'Iraq arrivano immagini orrende". Yadlin non aggiunge altro, ma è probabile che il governo israeliano stia seguendo attentamente il nuovo clima di collaborazione oggettiva fra Iran e America, entrambi finiti a combattere sullo stesso fronte iracheno nella guerra di contenimento contro lo Stato islamico.

(Il Foglio, 6 settembre 2014)


Un festival per l'antico cuore ebraico di Budapest

 
Il cuore della città di Budapest ricorda la storia degli ebrei. Sorto nel 1998 il Festival Ebraico d'Estate commemora quest'anno il 70esimo anniversario dell'olocausto.
Il titolo della mostra presso la sinagoga di via Rumbach è "Preghiere dopo Auschwitz".
Nel 1941 dal ghetto di Budapest vennero deportati gli ebrei che finirono i loro giorni in Ucraina.
Quella della via Dohany è forse la piu' bella sinagoga d'Europa. Qui si snoda il vecchio ghetto. E questo è il cuore del festival.
Come accaduto in molte altre città d'Europa il quartiere prima della seconda guerra mondiale era fervido di traffici poi è iniziato il declino. Nel 2000 le cose sono cambiate. Un nuovo fervore ha fatto riaprire ristoranti e locali. Molti degli edifici sono stati restaurati. Concerti, mostre, teatro il Festival Ebraico d'Estate ha una programma molto ricco ma per avere una visione profonda della cultura locale bisogna conoscerne anche la gastronomia.
Il concerto del Coro da Camera dell'Accademia di Gerusalemme esprime il prestigio di questo festival.
In cartellone compare anche la banda ungherese
"Nigun" con Frank London da New York che si è esibita nella strada Rumbach durante il festival.

(euronews, 5 settembre 2014)


Shanghai - Ricordato l'esodo degli ebrei durante la II Guerra Mondiale

Riconoscimento cinese e israeliano del positivo ruolo italiano grazie alle navi del Lloyd Triestino.

Si è tenuta nei giorni scorsi a Shanghai una cerimonia in ricordo dell'esodo ebraico durante la Seconda Guerra Mondiale. All'iniziativa era presente il Console generale italiano, Stefano Beltrame, accompagnato dal segretario del Partito di Shanghai-Hongkou, Wu Qing, e dai Consoli generali di Israele e Germania. Un riconoscimento particolare è stato dato al positivo ruolo svolto dall'Italia grazie alle navi del Lloyd Triestino. Tra il 1937 e il 1941, infatti, circa 20 mila ebrei europei trovarono la salvezza dalle persecuzioni naziste rifugiandosi nella metropoli cinese. La maggior parte arrivò a Shanghai con le navi di linea italiane del Lloyd Triestino, che permise il loro esodo nonostante anche l'Italia avesse adottato una legislazione razziale. "Nei discorsi ufficiali, sia le autorità locali che il collega israeliano - sottolinea il Console italiano - hanno avuto la cortesia di ricordare il positivo coinvolgimento italiano nel salvataggio dei rifugiati grazie alle navi del Lloyd Triestino. Con la recente politica di apertura della Cina, la città di Shanghai ha deciso di mettere in luce questa pagina della storia allestendo un piccolo museo del ghetto dove si è ora costruito un 'muro della memoria' che riporta i nomi de gli ebrei segregati nel 1944".

(il Velino, 5 settembre 2014)


In Germania un gruppo di salafiti fonda la polizia della Sharia

Simpatici, vero?, questi devoti difensori della morale islamica. Vogliono soltanto “scoraggiare” i giovani dal mettersi sulla cattiva strada. In che modo li scoraggeranno? Beh, se sono islamici pii, alla fine anche loro dovranno sottoporsi alla sharia e usare i metodi di “scoraggiamento” che questa religione richiede. Informazioni in merito si possono avere guardando quello che succede nei paesi dove domina la sharia. Se si vuol essere all'avanguardia e precorrere i tempi si può guardare direttamente all'Isis.

Nella regione di Wuppertal, in Germania, un gruppo di salafiti ha fondato una polizia della Sharia. I salafiti, come si può vedere nelle foto che il gruppo ha postato nella propria pagina su Facebook (Shariah Polizei Germania), pattugliano le strade, indossando una giacca fluorescente. Nella parte posteriore campeggia la scritta: "Sharia Police", ovvero polizia della Sharia. Questi poliziotti hanno l'intenzione di sfidare soprattutto quei giovani musulmani che hanno un comportamento ritenuto "deviante" rispetto alla legge islamica.
La pattuglia intende far rispettare i divieti religiosi e verificare che i giovani musulmani non vendano e neppure consumino bevande alcoliche. La polizia della Sharia è normalmente presente la sera nelle vicinanze delle discoteche per dissuadere i giovani di fede islamica a entrare.
I salafiti chiedono ai musulmani presenti in città di condurre una vita pia. Fino a oggi i membri di questa pattuglia non sono stati disturbati dalla polizia tedesca. I salafiti, secondo quanto riporta il sito Media Press in lingua francese, si giustificano dicendo che le loro indicazioni non sono vincolanti, che nelle loro azioni non c'è alcuna violenze e che si limitano soltanto a discutere con i giovani musulmani della città scoraggiandoli a fare "delle cose cattive".

(Spondasud News, 5 settembre 2014)


Libano - Israele fa esplodere una bomba a distanza: morto un membro di Hezbollah

BEIRUT - Israele ha fatto esplodere a distanza un dispositivo di spionaggio installato nel sud del Libano, uccidendo una persona. Lo rende noto l'esercito libanese spiegando che l'uomo, Hussein Ali Haidar, era un membro militante di Hezbollah. Haidar stava cercando di smantellare il dispositivo piantato nella rete di telecomunicazioni del gruppo terroristico nel villaggio di Adlun quando questo è esploso. L'esercito ha confermato che Israele ha fatto saltare il dispositivo "a distanza" attraverso aerei che volavano sopra i cieli libanesi. L'esercito di Tel Aviv ha rifiutato di commentare.

(LaPresse, 5 settembre 2014)


Ebrei lasciano la Francia in numeri da record. Pesa il clima di antisemitismo

In quasi cinquemila hanno lasciato il Paese nei primi mesi del 2014.

PARIGI - Nei primi otto mesi del 2014, la Francia è in testa ai Paesi di emigrazione verso Israele, una prima assoluta, con quasi cinquemila persone che hanno scelto di lasciare la République per partire nello Stato ebraico: è quanto riferisce all'agenzia France presse il direttore dell'agenzia ebraica in Francia, Ariel Kandel. Il numero di persone che ha deciso di fare l''aliyah', l'espressione con cui gli ebrei definiscono la partenza in Israele, potrebbe raggiungere, per tutto il 2014, la quota di circa "5.500 persone", ha aggiunto.
"Oggi, nel 2014, la Francia è il primo Paese al mondo per l'aliyah, non lo era mai stato", continua Kandel, citando il "clima di antisemitismo" e la "situazione economica" francese tra i fattori che spingono a questa emigrazione.

(ANSAmed, 5 settembre 2014)


Roma - Compaiono scritte pro-Isis: «Ci vendicheremo delle stragi Usa»

di Davide Gambardella

 
Sono apparse sui muri di uno dei sottopassi di via Casilina. Sono scritte che inneggiano ai guerrieri di Allah, alla distruzione dei nemici americani, al Dio che non dimenticherà chi, durante la vita terrena, non si è convertito all'Islam. E a pochi metri dalle scritte, spunta quell'inequivocabile bandiera, diventata ormai una icona del terrore, che sventola nelle immagini provenienti dai territori del Medio Oriente in cui imperversano le rappresaglie contro gli infedeli.
È nel versante Sud-Est di Roma che nelle scorse settimane sono state imbrattate le pareti con degli slogan deliranti in lingua araba. Si indaga in queste ore per risalire agli autori delle scritte: di certo si tratta di alcuni simpatizzanti dei miliziani dell'Isis, i terroristi islamici del Califfato. È la prima volta che in Italia compaiono scritte in arabo che predicano la Jihad ed osannano i guerrieri di Allah.

- La mano di un siriano
  Le frasi, realizzate con vernice nera spray scorsi, potrebbero esser state scritte da un siriano, stando ad una prima analisi. Quelli scritti sui muri a pochi metri dallo svincolo con via Torrenova, sono versetti del Corano e slogan violenti che incitano all'odio contro l'America, ma non solo. Tra una frase e l'altra, spunta anche il disegno della bandiera delle truppe del Califfato, spesso utilizzata dai miliziani dell'Isis. «Ci vendicheremo delle stragi degli americani», «Allah è grande», «Maometto è l'unico profeta», «Dove sono i guerrieri di Dio?» si legge sulle pareti imbrattate sul tratto di strada tra Tor Vergata e Torre Angela. E poi ancora: «Ogni guerra contro di noi è una guerra persa», «Allah ti dà tempo, ma non si dimentica di te», «Siria!». La Digos romana conferma di essere a conoscenza dei messaggi. Si lavora per decifrare una eventuale matrice di quelle frasi. La Capitale, secondo quanto rivelato dal Viminale, è una delle città italiane in cui vengono reclutati i nuovi soldati per la Jihad: un allarme dietro cui c'è un'attività investigativa ramificata su tutto il territorio nazionale che non tralascia alcun segnale.

(Il Messaggero, 5 settembre 2014)


"Boicottiamo Israele". Ma a rimetterci sono i palestinesi

"Boicottiamo Israele". Con questo slogan gli anti-sionisti europei ed americani si sono uniti, quest'estate sui social network, in una campagna di boicottaggio dei prodotti "made in Israel" per protestare contro i bombardamenti e l'intervento militare di Gerusalemme in risposta al lancio di missili dalla Striscia di Gaza. La campagna si è accanita soprattutto contro la società SodaStream, produttrice di macchinari che rendono l'acqua frizzante o che trasformano l'acqua in cola e aranciata e ha ottenuto il risultato sperato: vendite crollate. Peccato che, però, a rimetterci non sono stati gli israeliani bensì i lavoratori palestinesi che lavoravano in SodaStream in uno stabilimento in Cisgiordania.
A RIMETTERCI SONO I SOLO I PALESTINESI. I filo-palestinesi europei e americani non avevano fatto bene i conti: se è vero che SodaStream è una multinazionale israeliana, è altrettanto vero che opera (anzi, oramai dobbiamo dire "operava") anche in Cisgiordania, cioè in un territorio controllato dall'Autorità palestinese. Molti filo-palestinesi erano a conoscenza della presenza di questo stabilimento e già in passato era stato preso ad esempio come luogo di sfruttamento "imperialista" di Israele nei confronti dei palestinesi "ridotti in schiavitù". Sta di fatto che con la chiusura dello stabilimento 900 palestinesi non hanno più un lavoro, retribuito ben al di sopra della media locale.
IL VERO OBIETTIVO? Tuttavia, non è da escludere il fatto che la chiusura di quello stabilimento (e quindi il licenziamento di 900 palestinesi) rappresentasse il vero obiettivo di questa campagna. Infatti, proprio in Cisgiordania registriamo tassi di crescita economica importanti e una situazione che va via via normalizzandosi. Pur rimanendo parzialmente sotto il giogo israeliano, l'Autorità palestinese ha intrapreso un percorso che sta isolando le fazioni violente (anche grazie a tassi di disoccupazione in diminuzione, oggi al 19,1%) e mettendo le basi per la crescita civile ed economica dell'area. Così dove non c'è disperazione non c'è lotta armata e l'ideologia anti-semita fatica ad attecchire.

(Diritto di Critica, 5 settembre 2014)


La Giordania pronta ad acquistare 15 miliardi di dollari di gas israeliano

Israele e Giordania sono prossime a firmare un protocollo d'intesa per esportare, nel corso dei prossimi 15 anni, il gas naturale proveniente dal giacimento di Leviathan, a largo delle coste dello stato ebraico, in Giordania. Il valore totale dell'operazione - secondo le fonti del ministero dell'energia israeliano - è di 15 miliardi di dollari.
Secondo il quotidiano finanziario israeliano Globes, l'accordo è un radicale cambiamento nelle relazioni economiche tra Tel Aviv
e Amman e aprirà la strada a un'intensa collaborazione nel campo della cooperazione, con effetti positivi per entrambe le nazioni. Finora, nessuna dichiarazione ufficiale è stata rilasciata dal governo giordano in merito all'accordo.
La Giordania negli ultimi mesi ha sofferto di un grave deficit di energia dovuto al calo della fornitura di gas naturale da parte dell'Egitto. Una circostanza che ha spinto le autorità di Amman ad aumentare i prezzi dei servizi energetici e a limitare la vendita di alcuni dispositivi hardware in base al loro consumo giornaliero.
Il governo giordano, lo scorso mese, ha inoltre accolto l'invito della commissione per lo sviluppo economico, chiedendo la fornitura di gas naturale nelle acque palestinesi della Marina di Gaza, previo coordinamento con l'Autorità palestinese. I palestinesi, infatti, possiedono una partecipazione nel campo situato a 35 chilometri dalla costa della Striscia di Gaza, un giacimento che è stato scoperto alla fine degli anni '90 ma nel quale non è mai stata compiuta alcuna attività estrattiva.

(Spondasud News, 5 settembre 2014)


Torino - Sit-in in piazza San Carlo: "Solidarietà agli artisti israeliani"

Dopo gli inviti al boicottaggio dei giorni scorsi.

di Paolo Coccorese

TORINO - Per attirare l'attenzione dei passanti hanno esposto le drammatiche foto delle targhe appese ai negozi «non ariani» della Germania nazista. Immagini ritornate d'attualità dopo l'apparizione dei volantini che invitano a boicottare gli spettacoli degli artisti israeliani presenti nel cartellone di Mito e Torino danza. «Iniziative da non sottovalutare perché nascondono un sentimento antisemita: diffondono inquietudini simili a quelle degli anni Trenta», dice Dario Peirone, il presidente dell'associazione Italia Israele che ieri ha organizzato un sit-in di protesta contro le ultime minacce apparse sui muri della città.
   In piazza San Carlo si sono ritrovate quasi un centinaio di persone per esprimere la propria solidarietà. In risposta ai ciclostilati dei giorni scorsi, è stato diffuso un volantino dove si chiede: «E' giusto boicottare degli artisti per il passaporto che hanno in tasca, al di là della loro posizione personale? Bisogna rifiutare questa pericolosa deriva razzista. L'antisionismo è una forma di antisemitismo».
   Non è la prima volta che si registrano queste tensioni. «Ogni volta che c'è un conflitto si riaccende la protesta, ma oggi registriamo una pericolosa escalation», aggiunge il presidente Peirone. Beppe Segre, rappresentate della comunità ebraica, invita al dialogo: «Apprezziamo le parole di condanna del Sindaco - dice il presidente della comunità degli 900 ebrei torinesi, la terza in Italia -. Queste iniziative sono frutto di una minoranza. Non bisogna sottovalutarle, ma neanche enfatizzarle».
   A Torino, la fiamma della protesta accesa dai bombardamenti nella Striscia di Gaza, non ha registrato attacchi razzisti come quelli di Roma dove sulle saracinesche dei negozi sono apparse alcune svastiche. «Questo non vuol dire che da noi non ci siano ostilità. La comunità ebraica preferisce quasi non manifestarsi», dice Valerio Venturini dell'associazione pro-Israele. Come conferma lo studente di Veterinaria israeliano, Jacob Saban: «Per andare in Sinagoga molti rinunciano a portare la kippah. E quando parlo con qualche mio coetaneo, cercando di spiegare le ragioni del mio paese, molti mi accusano di essere un assassino».

(La Stampa, 5 settembre 2014)


Con Iron Dome Israele difende i suoi figli
Articolo ottimo! Da leggere e diffondere.


di Naor Gion, Ambasciatore di Israele in Italia

Nel corso dei 50 glomi di attacchi scatenati da Hamas sono stati lanciati da Gaza offre 4.500 razzi, il cui obiettivo era colpire e uccidere deliberatamente civili israeliani. Israele ha sviluppato un sistema d'intercettazione missilistica unico al mondo, chiamato Iron Dome (Cupola di Ferro), in grado di stimare se un missile cadrà in campo aperto o in zone abitate, e di conseguenza di provvedere a eliminarlo in volo. Iron Dome ha intercettato oltre 600 missili, con un impressionante tasso di successo pari al 90 per cento, e ha fatto sì che il numero di vittime civili israeliane fosse relativamente basso in proporzione alla pioggia di razzi caduti. Non v'e dubbio che questo sistema offra un vantaggio significativo alla capacità di resistenza del fronte interno israeliano, che Hamas ha trasformato in fronte principale del conflitto. Consente inoltre ai governanti di prendere decisioni con un livello di pressione molto minore da parte dei cittadini, e di ponderare bene prima di attivare la forza militare.
  Ma il successo di Iron Dome ha avuto un prezzo in termini di opinione pubblica mondiale. C'è chi ha iniziato a lamentare le sproporzioni nei numeri delle vittime, e Israele si è trovato costretto quasi a "giustificarsi" per essere riuscito a difendersi. Bisognerebbe invece domandarsi perché, mentre Israele sviluppava missili per difendere i suoi cittadini, Hamas utilizzava i suoi civili come scudi umani per i suoi missili. Perché, mentre Israele costruiva rifugi, Hamas faceva uso del cemento e del ferro destinati a scuole e ambulatori per costruire bunker peri leader e gli armamenti, o gallese sotterranee che penetrano in territorio israeliano? La risposta è nel fatto che Hamas, temendo le capacità militari israeliane, aveva un chiaro doppio interesse per un unico obiettivo: esercitare pressione internazionale su Israele, mirando non solo a uccidere il maggior numero possibile di civili israeliani innocenti), ma anche a causare un elevato numero di vittime civili fra i palestinesi a Gaza. Ma la reale difficoltà di Israele a far comprendere al mondo le proprie posizioni deriva dal fatto che molti vedono in Gaza un conflitto politico-territoriale. Non capiscono che Hamas è un'organizzazione terroristica, simile all'Is e Boko Harem, che ha preso il potere a Gaza con la forza nel 2007. Un'organizzazione sanguinaria che è sostenuta da Qatar e Iran e mette a morte la sua stessa gente con esecuzioni pubbliche nelle piazze, senza processo; che vessa le minoranze, compresa quella cristiana, il cui numero a Gaza è drasticamente diminuito. Nel suo statuto invoca la distruzione dello Stato d'Israele e l'uccisione degli ebrei ovunque si trovino. Non accetta l'esistenza dello Stato ebraico, quali che siano i suoi confini. E si rifiuta di riconoscere Israele e gli accordi esistenti fra quest'ultimo e l'Anp.
  Spero non occorra troppo tempo affinché l'Occidente si svegli e capisca che Israele è attaccato perché si trova in Medio Oriente e viene percepito dall' Islam estremista come un avamposto degli "infedeli occidentali", e che il vero obiettivo di queste organizzazioni è la creazione di un califfato islamico in tutto il Medio Oriente e in Europa. Per raggiungere l'obiettivo uccidono chiunque non sia esattamente come loro, persino se sono musulmani. Gli Stati pragmatici in Medio Oriente lo hanno già compreso, e si è reso evidente anche con il loro comportamento nel corso dell'operazione a Gaza. Non chiediamo che l'Occidente combatta per noi, ma ci aspettiamo il suo sostegno nella lotta a questa minaccia che riguarda noi tutti. Sono grato dunque agli sviluppatori di Iron Dorne, che ha protetto la vita dei miei figli e della mia famiglia in Israele. Israele è l'unica democrazia liberale in Medio Oriente e l'unico Stato ebraico al mondo, e aspira alla pace sin dal giorno della fondazione, mostrando disponibilità a pagare anche prezzi pesanti per conseguire la tanto desiderata pace. Allo stesso tempo, abbiamo il dovere di difenderci dalle organizzazioni terroristiche, anche per i nostri fratelli ebrei nel mondo, che sentono il peso di un crescente antisemitismo. Se qualcuno dovesse ancora chiedermi della sproporzione nelle vittime a Gaza, gli domanderò quanti civili israeliani devono morire. secondo lui, perché la nostra guerra esistenziale sia considerata proporzionata.

(l'Espresso, 11 settembre 2014)


Articolo semplice, chiaro, che dovrebbe essere preso in considerazione per le cose ovvie che dice. Ma il fatto è che descrizioni così lineari della realtà non vengono contrastate dai nemici d’Israele, vengono semplicemente ignorate, lasciate cadere e sostituite con altri temi più adatti ai loro scopi. Al momento il tema preferito è lo sfacelo di Gaza dopo la guerra, con presentazioni ricche di particolari strappalacrime. Sottintesa o dichiarata, la morale che viene messa in bocca al lettore è quella solita: “L’ho sempre detto io che gli ebrei sono delle carogne!” Fine dell’analisi del problema arabo-israeliano. M.C.


Nel prossimo futuro l'ISIS intende concentrarsi su Israele

 
La tv israeliana Canale 10 ha trasmesso mercoledì sera le immagini di quello che ha descritto come un recente "raduno di sostenitori dello Stato Islamico" tenutosi un venerdì nella spianata delle Moschee sul Monte del Tempio, a Gerusalemme. Formalmente la riunione, cui hanno partecipato migliaia di persone, era organizzata dal partito Tahrir, che il reportage descrive come il "ramo in Palestina" dello "Stato Islamico (in Iraq e nel Levante)". Secondo il reportage, che sarà trasmesso per intero la prossima settimana, il raduno indica che l'ISIS nel prossimo futuro intende concentrarsi su Israele. Le immagini mostrano diverse bandiere nero jihadiste. Il giornalista Zvi Yehezkeli, autore del servizio, ha detto che la fotografia di un giovane palestinese (a lato) con una di queste bandiere che è circolata sui social-network la scorsa settimana è stata scattata vicino a dove lui si trovava. "Lo Stato Islamico che già bussa alle porte della Giordania - ha detto il giornalista - ha marcato la 'Palestina' come il prossimo obiettivo nella sua lista".

(israele.net, 5 settembre 2014)


Genitori israeliani scrivono a Ban Ki moon

Lettera di protesta al segretario dell’Onu dopo l'uccisione del loro figlio

I genitori di Daniel Tregerman - il bambino israeliano di 4 anni e mezzo ucciso nella sua casa del kibbutz Nahal Oz da un colpo di mortaio lanciato da Gaza - hanno scritto al segretario generale dell’Onu Ban Ki moon protestando contro la Commissione di inchiesta Onu sui possibili crimini di guerra di Israele. "Alla Commissione non è stato chiesto di indagare su come i terroristi abbiano sparato da scuole e da strutture Onu.
Daniel è stato ucciso da membri di Hamas. Non è stata una morte accidentale".

(ANSA, 4 settembre 2014)


L'ultima dell'Unesco: poster anti-Israele patrimonio dell'umanità

Le follie dell'Onu

di Enrica Ventura

 
Poster contro Ariel Sharon per la strage dei campi di Sabra e Shatila in Libano nel 1982
Si può mettere sullo stesso piano la Nona Sinfonia di Beethoven con la storia militare palestinese, costellata di attacchi terroristici che hanno fatto migliaia di vittime? Si può avvicinare la prima Bibbia a caratteri mobili di Gutenberg con la propaganda di liberazione della Palestina, che punta alla distruzione di Israele? Si può, e si fa, e lo fa nientemeno che l'Unesco - l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura - che ha avviato la procedura per mettere sotto tutela ciò che è noto come Palestine Poster ProjectArchives. Una decisione che ribadisce la posizione, parziale, dell'agenzia dell'Onu culminata nell'ottobre del 2011, quando l'Autorità nazionale palestinese ha ottenuto per la «Palestina» il riconoscimento come Stato membro a tutti gli effetti, cioè un seggio in seno all'Unesco, surclassando persino lo stesso Onu. Conseguenza è stata la sospensione del finanziamento dei progetti da parte sia di Israele sia degli Stati Uniti - questi ultimi sono i maggiori donatori dell'agenzia dell'Onu - e lo stop dei due Paesi al diritto di voto da parte dell'organizzazione con sede a Parigi.
   Ora, nel pieno del conflitto tra lo Stato ebraico e Hamas (il movimento islamista al potere dal 2007 a Gaza che vuole la distruzione di Israele), ecco un altro caso. L'Unesco, oltre alle due liste Patrimonio dell'Umanità e Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, ha avviato nel 1992 il Programma «Memoria del Mondo», con lo scopo di tutelare i documenti scritti che hanno segnato la storia dell'umanità, dalla Bibbia a quarantadue linee di Gutenberg alla scrittura cuneiforme, da Il Capitale di Karl Marx alle pellicole dei film dei fratelli Lumière. Adesso l'attenzione si è posata su Palestine Poster Project Archives, iniziativa avviata dall'attivista statunitense Dan Walsh, che dagli anni Settanta, ma regolarmente dal 2001, colleziona poster sulla Palestina, visibili on-line; sono oltre 9.500 pezzi.
   All'inizio di agosto l'Unesco ha cominciato a visionare questo immenso e articolato materiale: per terminare la procedura, riferisce la tv Al Arabiya, ci vorrà un anno, dopodiché, se il parere sarà positivo, Palestine Poster Project Archives entrerà a far parte della Memoria del Mondo. Sarebbe la prima volta per dei documenti dello 'Stato palestinese', un riconoscimento al livello planetario, una pubblicità gratuita senza confini, considerato che le testimonianze scritte messe sotto tutela dall'Unesco sono un vero e proprio tesoro: nel 2001 vi entrò a far parte la Nona Sinfonia in Re minore di Beethoven, mentre dieci anni dopo, nel 2011, tutti i documenti sulla costruzione e la distruzione del muro di Berlino. Il fatto stesso che si è voluto prenderli in visione, sottolineano i media arabo-musulmani, è già una vittoria per la 'causa' palestinese.

(Libero, 5 settembre 2014)


Torna la Giornata europea della cultura ebraica

Domenica 14 settembre in programma un centinaio di eventi a Udine, Trieste e Gorizia

Centinaia di eventi tra visite guidate, spettacoli, concerti, mostre d'arte, conferenze, degustazioni, escursioni e attività per bambini:domenica 14 settembre torna la Giornata Europea della Cultura Ebraica, la manifestazione coordinata e promossa in Italia dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che "apre le porte" di sinagoghe, musei e quartieri ebraici, invitando a scoprire i luoghi, la storia e la cultura ebraica di ieri e di oggi.
Un tema, "Donna Sapiens - La figura femminile nell'ebraismo", unirà idealmente le centinaia di iniziative, fornendo lo spunto per parlare del femminile nel mondo ebraico e nella società, tra emancipazione e tradizione: una tematica attuale, che si intreccia alla cosiddetta questione "di genere", cui l'esperienza ebraica può fornire interessanti spunti di riflessione.
In concomitanza con la Giornata prenderanno il via numerose iniziative di cultura ebraica, che proseguiranno nei giorni successivi: in particolare, il festival internazionale di cultura ebraica "Jewish and the city" a Milano e il festival internazionale di letteratura e cultura ebraica a Roma, che si apre con la Notte della Cabbalà.
Diversi appuntamenti hanno luogo anche in FRIULI VENEZIA GIULIA: a partecipare sono quest'anno Trieste, Gorizia e Udine.
- A TRIESTE sono previste visite alla Sinagoga (Via San Francesco, 19) e al Museo ebraico (via Del Monte 5/7).
Presso i locali della scuola ebraica (Via del Monte, 3), approfondimenti del Rabbino Capo Eliezer Shai Di Martino sul ruolo della donna nella cultura ebraica, e di Rav Umberto Piperno sulla poetessa Rachele Luzzatto Morpurgo (Trieste, 1790-1871).
Un reading di autrici ebree triestine accompagnerà l'incontro con Tullia Catalan su "Donne ebree triestine fra Ottocento e Novecento. Fra emancipazione, integrazione e persecuzione". Sarà inoltre inaugurato il nuovo allestimento, con relativa nuova sala audiovisiva, del museo ebraico, con percorso sulle arti ebraiche a Trieste tra '700 e '900.
Maggiori informazioni allo 040 371466 o all'email info@triestebraica.it.
- A GORIZIA, è allestita presso la sinagoga (Via Ascoli, 19) la mostra "La donna nell'ebraismo", dedicata alle donne nella tradizione ebraica e nella Bibbia e a figure moderne come Rosa Luxemburg, Golda Meir, Rita Levi Montalcini.
Alle 19.00, nel cortile della sinagoga, sarà proiettato il film "La sposa promessa", sul mondo degli ebrei ortodossi in Israele, di Rama Burshtein (2012).
Durante la giornata visite guidate gratuite alla Sinagoga ed al ghetto (11.30-15.30-16.30) e al miqveh (il bagno rituale), alle 18.00. Sarà inoltre possibile visitare il cimitero ebraico di Valdirose, che si trova a Nova Gorica (Slovenia).
Infine, sarà a disposizione dei visitatori l'allestimento permanente "La Gerusalemme sull'Isonzo", che illustra la storia del ghetto goriziano e i personaggi più importanti espressi dalla comunità ebraica, e la mostra su "Carlo Michelstaedter: la pittura", sulla produzione pittorica del filosofo goriziano.
Per maggiori informazioni, telefonare allo 0481 532115, email ass_israele_go@yahoo.it
- A UDINE (Palazzo Giacomelli, via Grazzano) alle 17.00 si potrà partecipare alla conferenza di Valerio Marchi su "Ebree italiane fra Otto e Novecento - emancipazione al femminile". Per ulteriori informazioni, telefonare allo 0432 660684 o scrivere all'email italia-israele@giorgiolinda.it.
Alla Giornata Europea della Cultura Ebraica, giunta alla quindicesima edizione, partecipano trenta Paesi europei e settantasette località in Italia, dove risiede la più antica Comunità della diaspora.
In Italia la manifestazione gode dell'Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed è patrocinata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dal Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall'ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani e dall'Adei-Wizo, l'Associazione Donne Ebree d'Italia.
La manifestazione è inoltre riconosciuta dal Consiglio d'Europa.
Programmi e approfondimenti sono disponibili sul sito Giornata della cultura ebraica.
Alla Giornata aderiscono in Italia le seguenti località: Acqui Terme, Alatri, Alessandria, Alghero, Ancona, Asti, Biella, Bologna, Bova Marina, Bozzolo, Brindisi, Carmagnola, Carpi, Casale Monferrato, Catania, Catanzaro, Cento, Cherasco, Chieri, Correggio, Cortemaggiore, Cosenza, Crotone, Cuneo, Ferrara, Finale Emilia, Fiorenzuola d'Arda, Firenze, Fiuggi, Fondi, Fossano, Genova, Gorizia, Ivrea, Livorno, Lugo di Romagna, Mantova, Merano, Milano, Modena, Moncalvo, Mondovì, Monte San Savino, Napoli, Ostiano, Padova, Palermo, Parma, Pesaro, Pisa, Pitigliano, Pomponesco, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Roma, Sabbioneta, Saluzzo, San Nicandro Garganico, Santa Maria del Cedro, Senigallia, Siena, Siracusa, Soncino, Soragna, Torino, Trani, Trieste, Trino Vercellese, Udine, Urbino, Venezia, Vercelli, Verona, Viadana, Viareggio, Vibo Valentia, Vicenza.
Le iniziative dei trenta Paesi europei sono consultabili su www.jewisheritage.org, il sito dell'AEPJ, l'organizzazione che promuove e coordina l'iniziativa in Europa e che nasce per preservare il patrimonio culturale ebraico del Vecchio Continente.

(Il Friuli, 4 settembre 2014)


Io vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.
dal Vangelo di Giovanni, cap. 14




 

Eichmann era un cinico nazista, non la "banalità del Male"

di Mario Avagliano

 
Adolf Eichmann
Adolf Eichmann, ovvero il Male non banale. A 51 anni dalla pubblicazione del libro di Hannah Arendt Eichmann in Jerusalem, proposto in Italia da Feltrinelli con il titolo La banalità del male, una nuova ricerca demolisce le tesi della studiosa tedesca naturalizzata americana, che nel 1961 seguì per la rivista New Yorker le 121 udienze del processo in Israele a uno dei principali responsabili della macchina della soluzione finale, condannato a morte e impiccato l'anno dopo.
E capovolge la rappresentazione del criminale di guerra nazista fatta dalla Arendt come «un esangue burocrate» che si limitava ad eseguire gli ordini e ad obbedire alle leggi. A firmare il saggio, uscito questa settimana negli Stati Uniti per i tipi di Alfred A. Knopf e già recensito con grande rilievo dal New York Times, è una filosofa tedesca che vive ad Amburgo, Bettina Stangneth, che ha lavorato attorno alla figura di Eichmann per oltre un decennio, scavando a fondo sulla sua storia. Ne è venuto fuori un libro provocatoriamente intitolato Eichmann prima di Gerusalemme. La vita non verificata di un assassino di massa, già pubblicato con scalpore in Germania. Se ascoltando Eichmann a Gerusalemme, la Arendt rimase impressionata dalla sua «incapacità di pensare», invece analizzando l'Eichmann capo della sezione ebraica della Gestapo, e poi in clandestinità in Sudamerica, la Stangneth vede all'opera un abile manipolatore della verità, tutt'altro che un "funzionario d'ordine" o «un piccolo ingranaggio dell'enorme macchina di annientamento di Hitler», come si autodefinì nel corso del suo processo. Adolf fu un carrierista rampante e ambizioso e un nazista fanatico e cinico, che agì con incondizionato impegno per difendere la purezza del sangue tedesco dalla "contaminazione ebraica". In passato già vari ricercatori avevano seriamente messo in discussione le conclusioni della Arendt. Ma con questo libro la Stangneth le "frantuma" definitivamente, come ha dichiarato Deborah E. Lipstadt, storica alla Emory University e autrice di un libro sul processo Eichmann. La Stangneth sostiene che la Arendt, morta nel 1975, fu ingannata dalla performance quasi teatrale di Eichmann al processo. E aggiunge che forse «per capire uno come Eichmann, è necessario sedersi e pensare con lui. E questo è il lavoro di un filosofo».

LA RICERCA
La filosofa tedesca ha però lavorato come uno storico, rovistando in ben 30 archivi internazionali e consultando migliaia di documenti, come le oltre 1.300 pagine di memorie manoscritte, note e trascrizioni di interviste segrete rilasciate da Eichmann nel 1957 a Willem Sassen, un giornalista olandese ex nazista residente a Buenos Aires. Un libro che rivela tanti dettagli inediti, come la lettera aperta scritta nel 1956 da Eichmann al cancelliere tedesco occidentale, Konrad Adenauer, per proporre di tornare in patria per essere processato e informare i giovani su ciò che era realmente accaduto sotto Hitler (conservata negli archivi di stato tedeschi), oppure la riluttanza dei funzionari dell'intelligence della Germania Ovest - che sapevano dove si trovava Eichmann già nel 1952 - ad assicurare lui e altri ex gerarchi nazisti alla giustizia. Ma il cuore del libro è il ritratto di Eichmann "esule" in Argentina, dove venne scovato e arrestato dagli agenti segreti del Mossad. All'apparenza era diventato un placido allevatore di conigli, con il nome di Ricardo Klement. In realtà l'ex gerarca nazista aveva conservato l'arroganza di un tempo e non era niente affatto pentito, tanto da spiegare la sua "attività" con una tirata che a leggerla lascia inorriditi. «Se 10,3 milioni di questi nemici fossero stati uccisi - disse degli ebrei - allora avremmo adempiuto il nostro dovere». Altrettanto interessante è la descrizione del cerchio magico di ex nazisti e simpatizzanti nazisti che lo circondava in Sudamerica. Personaggi che formavano una sorta di perverso club del libro, che s'incontrava quasi ogni settimana a casa di Willem Sassen per lavorare nell'ombra contro la narrazione pubblica emergente della Shoah, discutendo animatamente su ogni libro o articolo che usciva sull'argomento. Con l'obiettivo di fornire materiale per un libro che avrebbe raffigurato l'Olocausto come una esagerazione ebraica, «la menzogna dei sei milioni» di morti.

(Il Messaggero, 4 settembre 2014)


La Sinagoga di Asti aperta nelle domeniche del Settembre Astigiano

L'ingresso della sinagoga di Asti
L'interno della sinagoga
Grazie a un contributo assicurato dall'Israt, la Sinagoga è tra i luoghi storici che resteranno aperti nel Settembre Astigiano: sarà infatti possibile visitare il tempio e il museo ebraico di via Ottolenghi nelle domeniche del 7, 14, 21 e 28 settembre.
Turisti e astigiani troveranno ad accoglierli gli operatori della cooperativa ArteFacta.
La Sinagoga resterà aperta dalle 15 alle 18, tranne domenica 14, quando le visite avranno un orario più ampio (dalle 10 alle 19) in coincidenza con la Giornata europea della cultura ebraica.
Per chi sarà ad Asti per Palio, Sagre, Douja d'Or, Arte e Mercanti e per il festival Rosebud, la Sinagoga e il ghetto costituiranno a tutti gli effetti un richiamo sulla storia di Asti e, in particolare, sulla presenza della comunità ebraica in città.

(ATnews, 4 settembre 2014)


Washington Post: Cosa è accaduto davvero durante la guerra a Gaza

La testimonianza di un generale dei servizi segreti israeliani

di Pino Salerno

L'articolo è firmato da William Booth, redattore capo del Washington Post a Gerusalemme. Racconta dell'incontro all'ultimo piano del ministero della Difesa israeliana di alcuni selezionati giornalisti esteri con un generale dell'intelligence israeliana. A condizione dell'anonimato, secondo Booth, il generale dell'intelligence ha raccontato ai giornalisti la sua versione sui dati delle vittime, sull'architettura dei tunnel e sull'impiego dei razzi da parte di Hamas e di altri belligeranti. Ecco la sua "versione", secondo la testimonianza del Washington Post.
  Quei lanciarazzi di Hamas che si sono visti raramente, si suppone siano stati sepolti. Il generale sostiene che i giornalisti, e gli osservatori, non hanno potuto parlare dei lanciarazzi di Hamas, non per codardia, o perchè minacciati, ma semplicemente perchè "non c'era nulla da vedere". "La maggior parte dei lanciarazzi era sotto terra", ha detto il generale. E ha sostenuto che i guerriglieri di Hamas hanno usato comandi a distanza per lanciare razzi, spesso lontani diverse centinaia di metri. Ciò ha reso "molto difficile trovarli e colpirli".
  Gli israeliani hanno ucciso più civili o più combattenti (o entrambi)? Gli israeliani sostengono che le vittime della guerra a Gaza sono state 2.127, un numero che si avvicina molto ai dati ufficiali forniti dall'ONU. Le Forze armate israeliane danno per certo il numero di 616 combattenti e "terroristi" uccisi. Il generale dell'intelligence ha aggiunto che a loro risulta che si arriva a 616 contando 341 di Hamas, 182 della Jihad islamica e 93 di altre fazioni minori. Perciò, l'intelligence smentisce il primo ministro israeliano Netanyahu che aveva parlato di circa mille morti tra i guerriglieri di Hamas e aggiunge che 805 vittime restano ancora "sconosciute". Il generale afferma che le Forze armate israeliane hanno ucciso 706 civili, cifra molto distante da quella comunicata dalle autorità delle Nazioni Unite. Secondo la fonte dell'intelligence, le vittime civili rappresenterebbero il 55% del totale, mentre l'ONU fa salire questa percentuale al 70%.
  Hamas è stata colpita duramente, ma non "così duramente". Se le cifre sono vere, aggiunge il generale, vuol dire che è stato colpito solo il 5 per cento delle forze di Hamas, che ammonterebbero a 16mila uomini, e delle forze della Jihad, il cui numero si aggira attorno ai 5mila guerriglieri. È stata "spazzata via" appena una manciata" di capi di Hamas e della Jihad. Il generale esprime un "no comment" alla domanda se fosse stato davvero colpito il capo di Hamas, Mohammed Deif.
  Hamas vuole una squadra d'assalto marina. Secondo l'intelligence israeliana, si sapeva che Hamas stesse addestrando reparti anfibi d'assalto. "Non si tratta di commandos della Marina", ha detto il generale, "ma erano in ottima forma, davvero. Hanno ricevuto l'addestramento al di fuori di Gaza, ma non posso dirvi dove".
  Ora Hamas possiede i suoi "uccelli". I militanti di Gaza hanno lanciato contro Israele una serie di droni. Almeno due sono stati abbattuti; uno sembra essere tornato a Gaza con aerofotografie. "Non erano droni occidentali, modello UAV", ha detto il generale, "Eppure avevano un motore e volavano".
  C'erano chilometri e chilometri di tunnel. "C'erano dozzine e dozzine di chilometri di tunnel" sotto la Striscia di Gaza, ha detto il generale, "che permetteva loro di muoversi, nascondersi, sorprenderci e sparire". Non è vero quanto sostenuto dai media israeliani, di vere e proprie città sotterranee nella Striscia, ha aggiunto il generale. Si trattava di strutture molto più modeste, dove, sì e no, si potevano ospitare, per non più di dieci giorni, piccoli gruppi di terroristi. Il generale ha detto che l'intelligence israeliana è convinta dell'esistenza di tunnel che porterebbero direttamente all'Ospedale di Shifa a Gaza City. Questa convinzione è nata dal ritrovamento di siringhe con anestetici e di manette di plastica sul corpo di un attentatore suicida. L'intelligence sospetta che gli obiettivi fossero militari israeliani, non civili.
  Hamas ha lasciato cadere razzi sulla popolazione palestinese. L'intelligence calcola che Hamas abbia avuto all'inizio della guerra un arsenale di 10mila razzi. E stima che ne sono rimasti circa 3mila. E migliaia di mortai, tutti assemblati a Gaza. Dei 4.500 razzi lanciati, 875 sono caduti in territorio palestinese. Molti razzi avevano come obiettivo le forze israeliane durante l'offensiva di terra, ma altri, intenzionalmente o no, erano caduti su un altro bersaglio, le popolazioni palestinesi.
  Cosa accadrà? Per il generale dell'intelligence israeliana, è possibile che Hamas si appresterebbe a lanciare i suoi razzi dai giardini delle scuole, delle moschee, degli ospedali e dei cimiteri. "Hamas è pragmatica", conclude il generale, "credo voglia governare in Giudea e in Samaria", usando i nomi ebraici per la West Bank.

(il Velino, 4 settembre 2014)


Israele, wi-fi libero nei posti pubblici

Il Ministero delle Comunicazioni permettera' l'accesso al Wi-Fi in posti pubblici, inclusi Aeroporti e Campus Universitari, gratis. Questo a seguito della decisione del Ministro, Gilad Ardan, di annullare la limitazione vigente sull'installazione di punti di accesso wireless per la navigazione su internet.
Questa decisione permettera' di installare e attivare punti di accesso wireless (hotspot) ovunque e da chiunque; cosi facendo i comuni potranno installare punti di accesso nel loro territorio e fornire accesso illimitato al pubblico.

(Tribuna Economica, 4 settembre 2014)


Un torneo per Arpad Weisz

di Rachel Silvera

 
Arpad Weisz
BOLOGNA - Cappello calato, giacca nera, sorriso sbilenco e pallone di cuoio stretto tra le braccia, il "Josè Mourinho degli anni '30" si chiamava Arpad Weisz. Weisz, allenatore di calcio che ha inanellato trionfi con squadre italiane come il Bologna e l'Ambrosiana (che poi verrà universalmente conosciuta come Inter), verrà oggi celebrato nel torneo, giunto alla seconda edizione, che porta il suo nome. La storia dell'allenatore sempre vincente (nato a Solt e figlio di due ebrei ungheresi) è nel cuore dei grandi amanti del pallone ma non solo: all'apice del suo successo, dopo aver fatto vincere lo scudetto all'Inter, aver scoperto fenomeni come Giuseppe Meazza e salvato squadre sull'orlo del baratro, l'allenatore dovette lasciare il lavoro a causa delle leggi razziali. Iniziò per lui il drammatico errare in cerca di rifugio insieme alla famiglia e al suo inseparabile pallone. Fuga che finì drammaticamente ad Auschwitz, strappando i Weisz a qualsiasi appiglio. La sua storia è stata portata alla luce dal giornalista bolognese Matteo Marani, che gli ha dedicato nel 2007 il libro v. Oltre ad una targa commemorativa dedicata ad Arpad allo Stadio Dall'Ara di Bologna, nel 2012 ne è stata posta una nello stadio che porta il nome del suo enfant prodige: il Giuseppe Meazza di Milano. Dopo aver disputato la prima edizione proprio a Milano, il torneo Arpad Weisz dà appuntamento a Bologna, al centro sportivo Cavina (e non allo Stadio Dall'Ara per lavori di manutenzione) nel quale dal primo pomeriggio, Milan, Inter e DVTK Miskolc affronteranno la squadra felsinea. L'iniziativa avrà il suo culmine alle 19 e 30 quando gli esponenti delle comunità ebraiche di Milano e Bologna consegneranno delle targhe da loro offerte. "Arpad Weisz è un eroe per la città - afferma il presidente della Comunità Ebraica locale, Daniele De Paz- Ogni anno lo ricordiamo insieme al Comune. Anche attraverso il ricordo di un eroe divenuto popolare come Arpad, il cui nome genera una partecipazione di massa da parte dei bolognesi ai quali fece conquistare i campionati 35-36 e 36-37, la Comunità ebraica si avvicina ai cittadini". Perché le vittorie di Arpad Weisz, una delle menti più grandi del calcio italiano, non possono essere dimenticate.

(moked, 4 settembre 2014)


La "vittoria" di Hamas

di Bassam Tawil

Un proverbio arabo dice: "È stato lui a colpirmi per primo, e poi, prima che potessi accusarlo, ha protestato" - il che significa: "Tutto è iniziato quando mi ha contrattaccato".
  In questi giorni, ogni palestinese leale trova molto frustrante ascoltare Hamas vantarsi della sua grande vittoria contro gli ebrei nell'Albunyan Almarsus, in ciò che gli israeliani chiamano operazione "Protective Edge" (Margine protettivo), accusando gli ebrei di aver commesso dei crimini di guerra a Gaza.
  Queste rimostranze richiamano alla mente il modo patetico in cui gli arabi si vantano di aver vinto ogni guerra in cui gli israeliani li hanno sconfitti.
  Ma non c'è nulla di più bizzarro delle accuse lanciate da Hamas contro i "crimini di guerra" commessi da
Secondo l'articolo 7 dello Statuto di Hamas, il movi- mento [di resistenza isla- mico] ha l'obbligo religioso e nazionale di uccidere gli ebrei in Palestina - e in ogni altro luogo.
Israele. Secondo l'articolo 7 dello Statuto di Hamas, il movimento [di resistenza islamico] ha l'obbligo religioso e nazionale di uccidere gli ebrei in Palestina - e in ogni altro luogo:
L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: 'O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me - vieni e uccidilo'".
  L'art.7 dello Statuto di Hamas è tratto da una citazione di Maometto negli Hadith di Bukhari, Volume 4, Libro 52, Numero 177:
  Raccontò Abu Huraira: l'Apostolo di Allah disse che "l'Ora [del Giudizio Universale] non sarà stabilita finché non combatterete con gli ebrei e il masso dietro cui un ebreo si sta nascondendo, non dirà: " O musulmano! C'è un ebreo che si nasconde dietro di me, uccidilo".
  Nel corso della sua esistenza, Hamas si è impegnato a svolgere questo compito, uccidendo e mutilando migliaia di israeliani. Prima che Israele costruisse la propria barriera di sicurezza, gli attentatori suicidi di Hamas partivano dalla Cisgiordania per recarsi in territorio israeliano e far saltare in aria centinaia di autobus, discoteche, alberghi, ristoranti e mercati dello Stato ebraico.
  L'impegno di Hamas "a combattere gli ebrei e ucciderli" è stato visto anche nell'operazione "Protective Edge": i razzi di Hamas hanno colpito esclusivamente i centri abitati dalla popolazione ebraica, grandi e piccoli.
  Tuttavia, gli attacchi veramente massicci sferrati contro Israele, secondo i membri di Hamas catturati dalle IDF, le Forze di difesa israeliane, e interrogati, non erano previsti per luglio ma per la fine di settembre, quando alla vigilia del Capodanno ebraico centinaia di terroristi avrebbero indossato le uniformi dell'esercito israeliano sbucando fuori dai tunnel per uccidere o rapire centinaia di israeliani.
  A quanto pare, Hamas è stato costretto ad agire in anticipo, dopo che le forze del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi hanno distrutto la rete di tunnel costruiti lungo il confine tra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Hamas si è ritrovato lentamente con l'acqua alla gola. Anche il più recente pagamento di 30milioni di dollari promessi dal Qatar, finanziatore del terrorismo, non è mai arrivato nella Striscia di Gaza. Sperando di trovare una via d'uscita dalle proprie ristrettezze finanziarie, Hamas si è unito all'Autorità palestinese (Ap) in un governo di consenso nazionale in modo che il denaro fosse inviato "legalmente" nella Striscia di Gaza da Ramallah.
  I fondi invece sono rimasti a Ramallah. Hamas aveva anche un altro piano: vincere le elezioni dell'Ap, strappare a Fatah il controllo e relegare Mahmoud nel dimenticatoio della storia. Le forze di sicurezza
Sembra che la facciata del governo di consenso nazionale sia stata usata per architettare la presa del potere in Cisgiordania, come quella nella Striscia di Gaza del 2007.
israeliane e dell'Ap hanno di recente arrestato 94 operativi di Hamas, e sequestrato armi, munizioni, esplosivi e quantità ingenti di denaro. Sembra che la facciata del governo di consenso nazionale sia stata usata per architettare la presa del potere in Cisgiordania, come quella nella Striscia di Gaza del 2007.
In prossimità delle elezioni, Hamas ha rapito e ucciso tre adolescenti ebrei, come ha ammesso la settimana scorsa il comandante di Hamas Saleh al-Arouri a una conferenza dei Fratelli musulmani in Turchia. Hamas, a quanto pare, aveva sperato di utilizzare i ragazzi come moneta di scambio per fare uscire di prigione i prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane - tutte azioni che avrebbero potuto aumentare la popolarità di Hamas in Cisgiordania e garantirgli una vittoria elettorale.
  In seguito al rapimento, le IDF hanno lanciato l'operazione "Brother's Keeper", che mirava alla distruzione della rete di Hamas in Cisgiordania e a un nuovo arresto di molti operativi che erano stati liberati nell'ambito dell'accordo per il rilascio del soldato Gilad Shalit.
  Quest'operazione ha esercitato ulteriori pressioni su Hamas, che ha iniziato a bombardare le città israeliane con lanci di razzi e inviando molte squadre di terroristi che uscivano a sorpresa dalla rete di tunnel sperando in qualche tipo di attacco terroristico dimostrativo. Qualche terrorista è riuscito a uccidere i soldati israeliani, altri sono rimasti uccisi a loro volta e qualcun altro è riuscito a tornare nella Striscia di Gaza.
  Hamas ha continuato a violare più di sei accordi per un cessate il fuoco proposti da Israele e uno proposto dallo stesso movimento.
  Hamas è riuscito a spaventare Israele al punto che quest'ultimo ha dovuto richiamare 80.000 soldati riservisti; ed è perfino riuscito a indurre le compagnie aeree straniere a sospendere i voli per Tel Aviv per tre giorni, cosa che ha reso euforica la leadership del movimento islamico intensificando il lancio di razzi contro la popolazione civile israeliana.
  Tenuto conto degli attacchi missilistici e dei tunnel terroristici, solo alcuni dei quali sono noti all'intelligence dello Stato ebraico, il premier israeliano Binyamin Netanyahu non ha avuto altra scelta se non autorizzare un'azione militare. Egli ha esitato e per quattro giorni ha cercato di ritardare la risposta militare; ha proposto un cessate il fuoco dopo l'altro e ha detto più volte ai palestinesi, "La quiete sarà accolta con la quiete" - senza ottenere alcun risultato. Purtroppo per la popolazione civile di Gaza, i leader di Hamas e della Jihad islamica palestinese hanno scambiato le osservazioni di Netanyahu per un segno di debolezza.
  La leadership di Hamas e della Jihad islamica palestinese ha combattuto la propria guerra da una rete di bunker sotterranei sotto i palazzi e sotto l'ospedale al-Shifa di Gaza; e ha lasciato in superficie la popolazione civile esortandola a salire sui tetti degli edifici o a rimanere in casa e rimanere vittima degli attacchi sferrati per colpire gli arsenali di armi e in risposta al lancio di missili. Conducendo la guerra dalle camere degli alberghi a cinque stelle del Qatar o dai bunker sotto Gaza, i leader del movimento islamico hanno collocato i lanciarazzi vicino agli ospedali, alle scuole, alle moschee, alle strutture dell'UNRWA, ai complessi residenziali e perfino nei pressi degli alberghi che ospitano i giornalisti e gli operatori dei media stranieri.
  Sono i leader di Hamas e della Jihad islamica palestinese, e non gli israeliani, i criminali di guerra. Sono questi i responsabili delle morti tra i civili di oltre duemila abitanti di Gaza, mentre loro se ne stavano ben nascosti e al sicuro, limitandosi ad asserire di voler essere degli shaheed (martiri).
  Se la leadership di Hamas ha abbandonato i civili di Gaza al loro amaro destino, gli israeliani hanno utilizzato le camere di sicurezza che avevano costruito per i propri civili e il sistema di difesa aerea Iron Dome per mantenere la popolazione al sicuro. Non facendo unicamente affidamento sull'Iron Dome, le IDF hanno inviato delle unità di fanteria in prima linea nella Striscia di Gaza per proteggere la patria.
  Le forze aeree israeliane hanno colpito rampe lancia-razzi e lancia mortai; le forze di terra hanno distrutto 32 tunnel che collegavano la Striscia di Gaza a Israele.
  Le gallerie in territorio israeliano sono state fatte saltare in aria; i razzi introdotti illegalmente dall'Iran,
La cosa triste è che gli abitanti di Gaza non sono ancora riusciti a liberarsi del giogo di Hamas e il mondo sembra ancora non capire i veri problemi che i palestinesi si trovano a dover affrontare.
dalla Siria, dal Libano e dalla Corea sono stati neutralizzati; migliaia di civili sono stati uccisi e decine di migliaia di abitazioni di Gaza distrutte, e ancora la leadership di Hamas continua a proclamarsi vittoriosa.
La cosa triste è che gli abitanti di Gaza non sono ancora riusciti a liberarsi del giogo di Hamas e il mondo sembra ancora non capire i veri problemi che i palestinesi si trovano a dover affrontare.
La cosa ancora più importante è che il mondo non sembra capire che Hamas, come l'Isis e i Fratelli musulmani, non è circondato dal nulla. È un ingranaggio nella ruota islamista radicale che minaccia il mondo arabo e musulmano e che già ha una base nelle più importanti città europee. Hamas e i Fratelli musulmani sono le capsule di Petri degli islamisti politici che minacciano l'ordine mondiale.
  Gli yazidi intrappolati sul monte Sinjar nel 2014 riportano alla mente gli armeni che trovarono rifugio sul monte Dagh nel 1915 e questo fa intravedere il pericolo che incomberà sull'Europa quando l'Islam diventerà abbastanza potente all'interno dei confini europei. Il mondo occidentale sembra anche non capire che deve rendere inabili o neutralizzare totalmente i paesi che finanziano il terrorismo - come l'Iran, il Qatar e la Turchia - nonostante gli interessi finanziari e in materia di sicurezza degli Stati Uniti. È da irresponsabili continuare a offrire sicurezza e fare patti faustiani con paesi che vogliono la distruzione dell'Occidente.
  Le recenti crocifissioni, le decapitazioni e le altre atrocità perpetrate dagli islamisti radicali in Siria e in Iraq potrebbero aver iniziato ad aiutare la gente a capire che il problema palestinese è un semplice pretesto per paesi come il Qatar e la Turchia, il cui obiettivo è distruggere il mondo occidentale come lo conosciamo e sostituirlo solo con l'Islam.
  Pertanto, è davvero singolare che, quando l'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite ha di recente definito il Qatar un paese che finanzia il terrorismo, che sostiene Hamas e che foraggia la costruzione dei suoi tunnel terroristici, Mary Harf, portavoce del dipartimento di Stato americano si sia precipitata a negarlo. Ella, al contrario, ha ribadito che il Qatar stava contribuendo a trovare un'equa soluzione alla questione israelo-palestinese. E il segretario di Stato Usa John Kerry ha perfino cercato di spacciare il Qatar e la Turchia come mediatori nei negoziati con Hamas, pur sapendo bene che entrambi i paesi sono i principali sostenitori di Hamas nelle sue attività terroristiche contro Israele.
  Le vere cause delle crisi, e non i loro sintomi, devono essere individuate e affrontate. Innanzitutto, secondo il diritto internazionale, non c'è quasi nessun profugo palestinese perché lo status di profugo non è ereditario.
  Ci sono, però, milioni di veri profughi in tutto il mondo le cui vite sono in pericolo, che hanno bisogno di un aiuto immediato e ai quali nessuno presta la minima attenzione. L'UNRWA, che in nome della "causa palestinese" non ha fatto nulla di costruttivo per gli abitanti di Gaza, si limita a perpetuare il problema, è complice di Hamas negli attacchi a Israele, è totalmente corrotta e deve chiudere i battenti e i finanziamenti che riceve andrebbero dirottati altrove.
  I paesi arabi, in cui i palestinesi vivono come cittadini di seconda classe, devono essere considerati dei paesi che praticano l'apartheid. Essi non tollerano nemmeno altri tipi di musulmani, e tanto meno i cristiani, gli yazidi o gli ebrei. La comunità internazionale deve chiedere loro di concedere la cittadinanza ai palestinesi che vivono lì da generazioni. Se Israele ha saputo accogliere i profughi ebrei provenienti dai paesi arabi - pur riconoscendo le sue minoranze arabe quali cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico - allo stesso modo i paesi arabi possono fare la stessa cosa per i loro fratelli musulmani.
  Se invece si continua a tenersi buoni i palestinesi sterminando uno Stato membro delle Nazioni Unite, allora la comunità internazionale è complice dei crimini di guerra e merita di essere - quantomeno - ignorata. Se la comunità internazionale è connivente per motivi di affari, per il petrolio o per evitare di subire degli attacchi, allora tutti noi non possiamo far altro che lasciar perdere e dimenticarci di una
Piuttosto che essere ingannato ancora una volta da Hamas e foraggiarlo per ricostruire le sue capacità militari e terroristiche, il mondo deve esigere che questo movimento venga sciolto.
comunità internazionale del genere - priva totalmente di onore, corrotta, collusa e codarda. In tal caso, non sarebbe migliore di chi cerca di tiranneggiare. Sarebbe meno che inutile: sarebbe pericolosa.
Piuttosto che essere ingannato ancora una volta da Hamas e foraggiarlo per ricostruire le sue capacità militari e terroristiche, il mondo deve esigere che questo movimento venga sciolto e che sia istituita un'agenzia indipendente che abbia il compito di smantellare le sue capacità terroristiche, di sovrintendere alla ricostruzione della Striscia di Gaza, come già stabilito negli accordi di Oslo II, firmari nel 1995. Ma se questa clausola è stata concordata da tutte le parti, perché è ancora in discussione?
  Figure di spicco dell'Olp come Nabil Shaath e Saeb Erekat, il delegato palestinese presente ai colloqui di pace con Israele, hanno ripetutamente affermato che come previsto da un accordo con Israele, tutti i profughi palestinesi del 1948 faranno ritorno alle loro case in Israele, una promessa che è tanto fuorviante quanto incendiaria e falsa. Come lo sono i loghi di Fatah, di Hamas e dell'Olp che devono modificare le loro mappe della "Palestina", avendo rimosso Israele "dal fiume al mare".
  La leadership dell'Autorità palestinese potrebbe davvero arrecare beneficio alla propria popolazione dicendole di abbandonare il sogno di cancellare Israele dalla carta geografica e di dare il via a una "terza Intifada". Di certo, non dovrebbe essere ricompensata per la continua bellicosità.
  Essendo io un palestinese che desidera vedere una pace vera e duratura nella regione, credo che sia responsabilità degli Stati Uniti e dei loro alleati musulmani e arabi moderati dire ai palestinesi di smetterla di ingannare la propria popolazione inducendola ad accarezzare il sogno di distruggere Israele demograficamente e con la storia del "ritorno dei profughi", facendo sì, piuttosto, che i discendenti dei profughi palestinesi del 1948 finiscano per avere la cittadinanza dei paesi dove vivono attualmente. Ma soprattutto gli americani devono porre un freno al sostegno che Hamas e altri gruppi terroristici ricevono dal Qatar. È assolutamente importante esigere che il Qatar smetta di sostenere il terrorismo islamista globale, in particolar modo Hamas, e ponga fine all'istigazione no-stop contro Israele e l'Egitto attraverso il suo mercenario canale televisivo, Al-Jazeera. Il fatto che Hamas sappia di essersi assicurato l'appoggio del Qatar e della Turchia gli permette di violare tranquillamente un cessate il fuoco dopo l'altro e di fare richieste insensate ai negoziati al Cairo.
  Circa una settimana fa, le forze di sicurezza dell'Autorità palestinese e quelle israeliane hanno rivelato che Hamas stava cercando di effettuare un colpo di Stato in Cisgiordania, come fece nel 2007 nella Striscia di Gaza, quando estromise dal potere i suoi rivali politici di Fatah.
  Il piano di rovesciate Fatah in Cisgiordania probabilmente faceva parte del grandioso progetto di Hamas di attaccare Israele il mese dopo con lanci di razzi e inviando squadre di terroristi attraverso i tunnel di Gaza, dando il via al contempo alla "terza Intifada", caldeggiata in Cisgiordania, Gerusalemme e fra gli arabi israeliani in seno allo stesso Israele.
  Azzam al-Ahmad, rappresentante del governo di consenso nazionale di Mahmoud Abbas ai negoziati del Cairo, difende il rifiuto di Hamas di disarmarsi e i suoi tentativi di rovesciare Mahmoud Abbas - mentre quest'ultimo si è impegnato a stabilire uno Stato palestinese demilitarizzato. Questo dimostra quanto siano inaffidabili e ipocriti.
  La tragedia è che, come nelle precedenti guerre, la leadership di Hamas mente a se stessa - e agli abitanti di Gaza - quando afferma di aver vinto.
  Hamas asserisce in modo assurdo di essere uscito "vittorioso" nell'operazione "Protective Edge" e che quindi può dettare le condizioni a Israele. In realtà, non è così: è stato gravemente sconfitto. Mantenere l'illusione che Hamas abbia vinto consente solo di ricominciare a lanciare razzi e a minacciare Israele - ed è il popolo palestinese a pagarne il prezzo.
  Catone il Vecchio soleva terminare ogni discorso dicendo: "Cartagine deve essere distrutta". Questo è l'unico modo per ottenere e mantenere la pace.

(L'Opinione, 4 settembre 2014 - trad. Angelita Spada)


Gaza: campagna israeliana ha provocato distruzioni "senza precedenti"

 
L'ultimo conflitto in ordine di tempo che ha coinvolto la Striscia di Gaza ha provocato una distruzione "senza precedenti", lasciando centinaia di migliaia di persone senza un tetto.
Lo ha detto un portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric, la quale, parlando dal Palazzo di Vetro, ha precisato che grazie alla tregua in corso dal 27 agosto il personale dell'Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) dell'ONU è stato in grado di effettuare una "verifica approfondita dei danni".
Secondo i primi sopralluoghi circa il 13% di tutti gli edifici della Striscia di Gaza hanno subito danni strutturali dal conflitto.
"Le organizzazioni sul terreno definiscono senza precedenti il livello di distruzione provocato da questo ultimo conflitto. Circa 18.000 unità abitative sono state o distrutte o gravemente danneggiate, lasciando 108.000 persone senza tetto" ha precisato la Dujarric.
Oltre 55.000 persone rimaste senza casa per il conflitto sono ancora accomodate in 36 scuole gestite dall'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees (UNRWA).
"Trovare soluzioni abitative temporanee per queste persone sarà una delle maggiori sfide che attendono le autorità locali e la comunità umanitaria nel prossimo futuro" ha aggiunto.
La situazione a Gaza è ancora di piena emergenza, l'elettricità viene erogata per circa 6 ore al giorno e solo il 10% della popolazione riceve l'acqua quotidianamente.
Oltre 2000 palestinesi, in prevalenza civili, tra cui molti bambini, sono stati uccisi e oltre 10.000 feriti da quando l'8 luglio Israele ha lanciato un'operazione militare in risposta al lancio di razzi contro Israele dalla Striscia di Gaza. Dal lato israeliano le perdite ammontano a cinque civili e 64 soldati uccisi.

(Atlas, 4 settembre 2014)


Se Hamas non avesse continuato a lanciare razzi su Israele, tutto questo non sarebbe accaduto, almeno in questa estensione. Ma poiché Hamas ha insistito nel continuare il lancio dei razzi, e poiché la popolazione adesso approva quello che è stato fatto, e poiché considera il risultato ottenuto una vittoria, allora i palestinesi non hanno nessun motivo per lamentarsi e nessuno deve compiangerli. Dopo la seconda guerra mondiale, i paesi alleati che avevano vinto la guerra erano pieni di distruzioni, ma non pensavano a quello, ma al fatto che avevano vinto. E se non si lamentavano i vincitori, tanto meno potevano lamentarsi gli sconfitti, che di tutti quei disastri erano la causa. Dopo la conclusione di una guerra si riflette su chi ha vinto e chi ha perso, ma la conta dei danni non è mai stata un fatto decisivo. Dopo tutto quello che è accaduto, e nel modo in cui è accaduto, i palestinesi e i loro sostenitori dovrebbero soltanto tacere, piangere e proporsi di cambiare atteggiamento. Ma questo, dal momento che c’entra Israele, non accadrà. Perché si ripete un fatto che nella storia periodicamente accade: i gentili che decidono di risolvere alla radice la “questione ebraica” finiscono regolarmente per impazzire. Ma di una pazzia impalpabile, diffusa, irriconoscibile nell’immediato appunto perché estesa, presente in alcuni casi in forma acuta e nella maggior parte degli altri in forma cronica, quindi non avvertibile, indolore. E’ quello che sta avvenendo oggi con la questione di Gaza. Chi è ancora in tempo cerchi di scuotersi e svegliarsi, perché lo stordimento sta estendendosi in modo preoccupante. Un solo indizio: di fronte alle teste che volano, ai massacri e alle atrocità che stanno avvenendo oggi nel mondo, di che si preoccupano il segretario delle Nazioni Unite, il segretario di Stato di quella che è ancora (per poco tempo) la maggiore potenza al mondo, e anche il nostro ministro degli Esteri? Dei 2200 nuovi alloggi progettati dal governo israeliano a Gerusalemme. Non è forse vero che comincia ad avverarsi la parola biblica del profeta Zaccaria: “Ecco, io farò di Gerusalemme una coppa di stordimento per tutti i popoli circostanti”? M.C.


La Biennale di San Paolo rifiuta la sovvenzione di Israele
Esempio di quella follia di cui si parlava nel commento all'articolo precedente.


A pochi giorni dall'inaugurazione della 31esima edizione della Biennale di San Paolo in Brasile che avrà luogo il 6 settembre, la Fundaçao Bienal São Paulo rivede gli accordi di sponsorizzazione stretti con il governo israeliano, rifiutando in blocco il denaro versato da Gerusalemme.
La rinuncia ai 40mila dollari stanziati da Israele risponde alla protesta sollevata dalla maggioranza degli artisti e dei curatori che aderiscono alla manifestazione. Attraverso una lettera aperta, i partecipanti hanno infatti dichiarato: "Accettando questi fondi, il nostro lavoro artistico presentato nell'esposizione viene danneggiato e implicitamente sfruttato per occultare le aggressioni e la violazione della legge internazionale e dei diritti umani compiute da Israele. Rifiutiamo il tentativo di normalizzazione di Israele attraverso il contesto di un evento culturale di tale rilevanza in Brasile".
Alla richiesta ha fatto eco anche la squadra curatoriale attraverso un comunicato di sostegno. E l'unione ha fatto la forza.

(Arte.it, 4 settembre 2014)


"Non c'è posto a Torino per l'intolleranza fanatica"

Il sindaco Fassino: "Respingiamo ogni proposta di boicottaggio".

di Massimo Numa

La minoranza che chiede il boicottaggio degli artisti israeliani in scena sul palco di «MiTo» ieri ha appiccicato altri manifesti sulle locandine della manifestazione
Le parole e la rabbia che ieri sono arrivate dall'area antagonista torinese nei confronti delle collaborazioni tra i festival «MiTo» e «Torinodanza» hanno indignato la città. Per tutti parla il sindaco Piero Fassino: «Manifestazioni di ostilità rabbiosa e di fanatica intolleranza non possono trovare ospitalità in una città come Torino fondata su valori democratici di inclusività, laicità e rispetto. Per questo qualsiasi proposta di boicottaggio è inaccettabile e va respinta». Fassino prende posizione a nome di tutti i torinesi e con la sua esperienza di vicende internazionali contesta anche le modalità della protesta: «Ai conflitti non si risponde con altri conflitti, né alimentando pregiudizi e tensioni. E l'esperienza dimostra che con i boicottaggi si sono prodotte soltanto ulteriori lacerazioni. Di fronte alle tragedie che vive il Medio Oriente quel che serve non è aprire nuove ferite, ma sostenere chi ogni giorno opera per affermare confronto, dialogo convivenza e pace».

- La manifestazione
  Parole chiare che confermano la posizione di Torino e la sua storia. Oggi scenderà in campo anche l'«Associazione Italia-Israele» che alle 17,30 manifesterà in piazza San Carlo per manifestare solidarietà nei confronti degli artisti ebrei.
Non ci sono dubbi su cosa pensa la maggioranza dei torinesi ma la preoccupazione è che l'onda d'odio contro Israele è diventato un mantra dell'area antagonista torinese. Dopo le lettere agli artisti israeliani in cui il Comitato Boycott Israel li invita a disertare le manifestazioni in programma, il prossimo passaggio ora sono stati programmati i presidi di protesta durante gli spettacoli.

- Presidi di protesta
  L'appello del piccolo nucleo di attivisti si concentra proprio su questo aspetto, in un crescendo di accuse. Un grafico di Casale Monferrato ha disegnato una specie di bandiera con la stella di David che si trasforma in una svastica, mentre, nei post dei social network, gli israeliani vengono definiti «nazi-sionisti» o «nazisti» tout court.
Per le forze dell'ordine, gli attivisti anti-israeliani non costituiscono un problema di ordine pubblico. I loro presidi sono costituiti da poche decine di persone, con una prevalente presenza di anarco-insurrezionalisti e da un segmento dell'area autonoma legata ai centri sociali. Gli stessi soggetti che si ritrovano poi in Val Susa nelle manifestazioni No Tav. Nelle ultime iniziative di lotta, in particolare la marcia da Avigliana a Venaus del luglio scorso, l'assemblea aveva deciso di affiancare le bandiere palestinesi ai simboli del conflitto contro il treno superveloce.

- Contro gli architetti
  Il Comitato Boycott Israel nel giugno scorso ha contestato gli architetti israeliani invitati a Torino e aveva tentato di organizzare una protesta «anti-sionista» anche nell'ambito delle celebrazioni del 25 aprile, caduta però immediatamente nell'oblio. In qualche occasione, gli attivisti si sono ritrovati appena in due o tre, sempre gli stessi. con i loro cartelloni appoggiati ai muri e i soliti slogan. Poi le foto dei bombardamenti di Gaza. Neanche una parola sui razzi di Hamas, nè sui tre adolescenti rapiti e uccisi, nè sulle esecuzioni di massa di presunte spie palestinesi, giustiziate in mezzo alla strada.

- «Via al sabotaggio»
  Il 27 luglio ci fu un corteo pro Palestina e questa è la sintesi di un report di Infoaut, organo delll'Autonomia: «.... Ribadire come quella palestinese sia una causa che riguarda in primo luogo un'aggressione indiscriminata di uno stato razzista e segregazionista... in via Po sono state ricordate, partendo dai presidi e dalle opere di controinformazione per arrivare alle diverse pratiche di sabotaggio... » Dalle parole ai fatti.

(La Stampa, 4 settembre 2014)


Nelle domeniche di settembre apre la Sinagoga di Carmagnola

 
La grande sala di preghiera
 
Dal matroneo
 
I lampadari nella sala di preghiera
La Sinagoga di Carmagnola si trova, come tutte le Sinagoghe costruite prima dell'Emancipazione del 1848, all'ultimo piano di un edificio degli inizi del Settecento, nell'area dell'antico ghetto. Alla Sinagoga settecentesca si accede oggi da via Bertini 8. Domenica 7, 21 e 28 settembre apertura per visite dalle ore 15 alle ore 18 (2 euro). Domenica 14 Giornata europea della cultura ebraica, dalle ore 10 alle ore 19. Ingresso libero e gratuito. La sala di preghiera, a pianta quadrangolare, è illuminata da sette ampie finestre verticali, disposte lungo le pareti e sormontate da decorazioni in stucco. Alternate alle finestre vi sono altre decorazioni in stucco, contenenti iscrizioni in ebraico. Al di sotto, in legno intagliato e dorato, vi sono otto appliques a specchi, di fattura settecentesca. Sempre settecenteschi sono i cinque lampadari in legno dorato che pendono dal soffitto di travi lignee. I banchi lignei, di fattura forse ottocentesca, sono disposti lungo le pareti. Il pavimento è di mattonelle quadrate in cotto. Sopra la porta d'ingresso campeggia un'epigrafe lignea che riporta la data 1764. Al centro della sala è la Tevà ottagonale a baldacchino, in legno scolpito e dipinto, che riporta una data, 5526, corrispondente all'anno 1766. La Tevà di Carmagnola si caratterizza per la particolare ricchezza ornamentale; il baldacchino presenta inoltre otto piccoli medaglioni in cui sono dipinte altrettante parole in ebraico, che lette insieme compongono la frase Ed io sarò per loro un Santuario minore nelle terre dove sono giunti. L'Aron, sempre in legno scolpito, è collocato tra due lesene in stucco dipinte in finto marmo al centro della parete est della sala. Ai lati due finestrelle tonde. L'Aron di Carmagnola, dalla ricca decorazione, presenta all'interno delle ante quattro immagini intagliate nel legno dal significato fortemente simbolico: a destra il Tempio di Gerusalemme e il Candelabro a sette bracci, a sinistra le Tavole della Legge e l'Altare per l'offerta dei 12 pani. Nei suggestivi locali al piano terra della Sinagoga dal settembre 2007 è allestita, su iniziativa della Comunità Ebraica di Torino, una mostra permanente curata dagli architetti Franco Lattes e Paola Valentini. Attraverso parole, immagini, disegni, oggetti e suoni, si sviluppa un sintetico itinerario che racconta le sinagoghe piemontesi, e documenta il grande sforzo compiuto negli anni, e che ancora continua, per restaurare gli edifici e conservare le tracce della presenza ebraica in Piemonte.

Dove: Via Bertini 8, Carmagnola
Quando: Da lunedì 01 settembre A martedì 30 settembre

(Torino Sette, 3 settembre 2014)


Sotloff aveva anche cittadinanza israeliana

GERUSALEMME - Il giornalista statunitense Steven Sotloff, ucciso dai combattenti dello Stato islamico (ex Isil) la cui decapitazione viene mostrata in un video diffuso martedì, aveva anche la cittadinanza israeliana. Lo annuncia su Twitter un portavoce del ministero degli Esteri di Israele, Paul Hirschson. "C'è il via libera per la pubblicazione: Steven Satloff era un cittadino israeliano, Rip", ha scritto il portavoce, con un errore di battitura per il cognome del reporter, che è Sotloff. In Israele colleghi e amici del giornalisti lo ricordano come un uomo avventuroso affascinato dal Medioriente.
Sotloff, 31 anni e originario della zona di Miami in Florida, era scomparso in Siria ad agosto del 2013. Lavorava come freelance per i magazine Time e Foreign Policy. È il secondo giornalista americano a essere decapitato dallo Stato islamico dopo James Foley, il cui video della decapitazione era stato invece diffuso lo scorso 19 agosto.

(LaPresse, 3 settembre 2014)


La Norvegia ha superato addirittura i nazisti: gli islamici impongono la cacciata degli ebrei

di Michael Sfaradi.

 
Anne Sender
Gli ultimi 819 ebrei norvegesi stanno per lasciare il Paese, ancora non è deciso il periodo della partenza che probabilmente non sarà di massa ma a scaglioni. La Norvegia sarà così la prima nazione europea dove gli ebrei, di fatto, non potranno più vivere, al loro posto ci saranno le sempre più numerose e agguerrite comunità islamiche che secondo l'andamento delle nascite nel giro di pochi anni saranno la maggioranza della popolazione. Non è difficile capire che le regole democratiche, alla fine, consegneranno la nazione intera in mano a persone che non hanno radici nella penisola scandinava e che seguendo le loro tradizioni politiche e sociali la stravolgeranno completamente. Gli ebrei lasciano il Paese perché in Norvegia la forte presenza musulmana, con l'odio insito nei confronti degli infedeli, con la complicità delle istituzioni che non hanno mai preso provvedimenti al fine di proteggere le persone e i luoghi di culto martellati da continui attacchi antisemiti, è riuscita nel giro di pochi anni a rendere impossibile la vita alle piccole comunità ebraiche. L'appello più accorato è stato di Anne Sender, esponente dell'ebraismo locale, scrittrice e vincitrice del premio «Libertà di espressione», sul quotidiano Aftenposten nel febbraio 2013, dove preannunciava l'abbandono della Norvegia da parte di tutti gli ebrei. La Sender era stata pesantemente criticata dalla stampa norvegese che l'aveva definita una «Cassandra» e a poco più di un anno di distanza scopriamo che Cassandra aveva ragione. In questo pezzo d'Europa si sta realizzando lo Stato «Judenrein» il sogno del vecchio Führer: un'Europa senza ebrei, e a riuscire nell'impresa dove fallì il nazismo è l'Islam estremista che strumentalizza la situazione in Medioriente per giustificare, davanti al complice silenzio di un continente intero, atti che fino a poco tempo fa erano considerati inaccettabili.
   Durante l'operazione israeliana "Margine Protettivo" nella Striscia di Gaza, ci sono state in Norvegia manifestazioni oceaniche contro Israele dove gli slogan antisemiti sono stati urlati senza sosta, mentre le tre manifestazioni di sostegno al governo israeliano, organizzate dalle comunità ebraiche e dalle associazioni di amicizia con Israele, si sono potute tenere unicamente grazie alla presenza delle forze dell'ordine schierate a protezione dei manifestanti. La Norvegia non sarà solo la prima nazione europea senza ebrei, ma visto l'andamento potrebbe avere anche il primato dell'introduzione democratica della Sharia come legge dello Stato, sia dal punto di vista civile che penale. Si tratta però del primo tassello di un domino che in breve tempo coinvolgerà tutto il vecchio continente, i dati sono agghiaccianti. Dopo la Norvegia sono la Svezia e la Finlandia, infatti, le prossime candidate.

(Libero, 3 settembre 2014)


        Locandina


Lettera a un amico di Gaza

Shalom Fathi,
Questa settimana, per pochi minuti, siamo riusciti a rinnovare il nostro contatto. Mi hai raccontato dell'enorme sofferenza, dei bombardamenti, dei morti. Ne ho provato un grande dolore. Abbiamo conosciuto tempi migliori. Abbiamo sognato insieme. Gli anni passano. Nel frattempo sono accadute alcune cose nel mondo mussulmano - in Somalia, in Pakistan, in Nigeria, in Siria, in Iraq. Questa è la regola, Fathi: ogni luogo in cui uno dei rami della Jihad si rafforza, si trasforma in un focolaio di un bagno di sangue. I Talebani, Hamas, Boko Haram, Al-Qaeda, Daash, Al-Shabab, tutti insieme ed ognuno singolarmente, vi promettono solo sangue e sofferenza....

(Right Reporters, 3 settembre 2014)


Fiocco rosa allo zoo di Tel Aviv

I primi passi del piccolo rinoceronte bianco

Grande festa allo zoo safari di Tel Aviv in Israele: dopo venti anni è nato un cucciolo di rinoceronte bianco femmina. La madre, Tanda, di 21 anni, ha già avuto due cuccioli, entrambi maschi, uno nel 2007 e uno nel 2012. Il rinoceronte bianco è una specie protetta e in via di estinzione per cui, probabilmente la nuova nata sarà trasferita in altri zoo per prendere parte al progetto riproduzione White Rhino. Il rinoceronte nero dell'Africa occidentale è stato invece dichiarato ufficialmente estinto l'anno scorso dall'Unione Internazionale per la conservazione della natura (IUCN).

(RaiNews24, 3 settembre 2014)


"Boicottate gli artisti israeliani". Nel mirino MiTo e Torino Danza

La protesta contro Tel Aviv
tocca i concerti. Manifestazione davanti alle biglietterie.


di Massimo Numa

Non erano tanti, ma è l'idea che li ha mossi a essere inquietante. Gli attivisti del «Comitato boycott Israel» di Torino, più alcuni militanti dei centri sociali torinesi, si sono ritrovati ieri pomeriggio in via Rossini, davanti alla biglietteria di Torino Danza per protestare contro il ruolo degli artisti israeliani nelle manifestazioni in programma per tutto settembre.
Un'azione che preoccupa non poco la comunità ebraica, che già lamenta minacce di boicottaggio contro i negozi. «La cultura è dialogo: attaccare gli artisti è una forma grave di antisemitismo», dice Beppe Segre, presidente della Comunità torinese.

- Quattro nel mirino
 
Cartelli e slogan esposti in via Rossini dagli attivisti del "Comitato boycott Israel" di Torino
  La protesta ha portato alla scrittura di un documento-appello, che invita a boicottare «quattro spettacoli con artisti israeliani». Quelli di MiTo, dove il 12 settembre è atteso il trio jazz guidato dal contrabbassista Avishai Cohen, il 19 il pianista Omri Mor, il 21 la cantante Noa. Quelli di Torino Danza, dove al Carignano si esibirà la Kibbutz Contemporary Dance Company nello spettacolo Aide-Memoire. «In conformità con la campagna internazionale di boicottaggio - prosegue il documento -, disinvestimento e sanzioni verso Israele, è importante che tutte le persone e le associazioni sensibili si mobilitino per l'annullamento di questi eventi, come forma di protesta per il regime di apartheid vigente da 66 anni in Palestina e per i terribili massacri perpetrati a Gaza
In particolare s'invita a costruire una forte mobilitazione contro l'evento del Torino Danza Festival del 27-28 settembre, in quanto direttamente sponsorizzato dall'Ambasciata israeliana. La rassegna Torino Danza - continua il documento - sembra essere particolarmente permeabile alle pressioni della "Israel lobby»: due anni fa ospitò la Batsheva Dance Company e, di fronte agli appelli che chiedevano l'annullamento dell'evento il direttore del Festival, tuttora in carica, criticò il boicottaggio definendolo una "censura violenta"».
A proposito di «Aide Memoire», uno spettacolo dedicato allo sterminio degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale, si arriva ad accusare gli israeliani di «strumentalizzare» la storia «per giustificare l'esistenza di «Israele e i suoi crimini».

- L'attacco
  Conclusione: «Si invitano singoli e associazioni a costruire una forte campagna di iniziative, dal 2 fino al 28 settembre, per il boicottaggio degli eventi culturali sopracitati, come forma di solidarietà concreta con la quotidiana Resistenza del popolo palestinese». Infine due lettere aperte, inviate ai musicisti Cohen e Mor, in cui gli artisti sono invitati a prendere posizione esplicita contro Israele confidando in una loro non «neutralità».

- Campagna d'odio
  Da mesi ormai sui siti antagonisti e sui profili dei social network legati ai centri sociali,alle frange estreme del movimento No Tav e ad alcuni settori dell'area anarchica, è in atto una massiccia campagna d'odio contro Israele.
Un crescendo senza soste, culminato con la pubblicazione dei prodotti israeliani da boicottare; non solo multinazionali ma anche piccole aziende che hanno quote di partecipazione in società di medie o piccole dimensioni. Gli elenchi vengono aggiornati continuamente e il boicottaggio si riflette anche sulle aziende italiane che vendono armi, tecnologia e altro a Tel Aviv.
Anche a Torino sono comparsi volantini davanti ai negozi gestiti da membri della comunità ebraica, per invitare i clienti a non entrare.

(La Stampa, 3 settembre 2014)


"Colpire la cultura è antisemitismo"

Il presidente della Comunità Ebraica: noi siamo a fianco d'Israele.

di Maria Teresa Martinengo

«La stupidità umana non ha limiti, purtroppo», commenta il presidente della Comunità Ebraica, Beppe Segre, indignato per l'incitamento al boicottaggio degli artisti israeliani. «Noi crediamo - afferma Segre - che cultura e arte siano il mezzo per creare e approfondire legami, conoscersi per dialogare, posizione che deriva da tutta la tradizione ebraica e che riteniamo appartenga nel profondo alla civiltà occidentale nel suo insieme». Ancora: «La Comunità Ebraica di Torino è assolutamente contraria alle posizioni violente e distruttive espresse da questa protesta e appoggia completamente la posizione dello Stato di Israele, impegnato a difendere i suoi cittadini oggetto di una campagna violenta di odio e di assurda criminalizzazione. La Comunità propende fortemente per l'incontro e la trattativa, verso la quale pare si siano indirizzate le parti in causa, e per questo trova controproducente ogni appello alla messa al bando della cultura solo perché di provenienza ritenuta "nemica"». Segre ricorda che della cantante Noa sono note le posizioni anti-Netanyahu. «Si boicotta un'artista non per le sue idee o azioni, ma semplicemente per la sua cittadinanza israeliana. Questo è razzismo e antisemitismo, non valutazione politica. Una prassi, purtroppo, ampiamente praticata nel mondo sedicente democratico contro Università e intellettuali israeliani».

(La Stampa, 3 settembre 2014)


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Sondaggio frai palestinesi: impennata in popolarità di Hamas

Per la prima volta da 2006 potrebbe vincere presidenziali

TEL AVIV
- In seguito al conflitto a Gaza, un'impennata di popolarità per Hamas è stata rilevata nei Territori in un sondaggio curato dal 'Center for Policy and Survey Research' (Psr). Per la prima volta dal 2006, afferma il Psr, Hamas appare in grado di vincere elezioni sia presidenziali sia legislative nei Territori. In elezioni presidenziali Ismail Haniyeh (Hamas) riceverebbe il 61% dei voti, mentre Abu Mazen (al-Fatah) dovrebbe accontentarsi del 32%.
I curatori del sondaggio precisano che è stato condotto nell'ultima settimana di agosto, mentre l'impressione per il conflitto a Gaza era molto vivida. E' possibile, avvertono sulla base di esperienze passate, che i sentimenti registrati adesso abbiano un carattere di temporaneità.
Dal sondaggio è comunque emerso che: il 79% pensano che Hamas abbia prevalso su Israele; l'86% giustificano nuovi lanci di razzi su Israele se il blocco di Gaza non fosse rimosso; il 57% si oppongono alla smilitarizzazione di Gaza richiesta da Israele; il 52% attribuiscono all'Egitto un atteggiamento negativo nei confronti dei palestinesi in questo frangente; il 62% pensano che la formula dei Due stati per i due popoli non sia più realizzabile. Il 69% degli intervistati, infine, ritengono che il governo di riconciliazione nazionale palestinese (basato su un'intesa politica fra Hamas ed al-Fatah e guidato da Rami Hamdallah) sia degno di essere sostenuto.

(ANSAmed, 2 settembre 2014)


Se è vero che la popolazione di Gaza, dopo tutto quello che è successo, è ancora dalla parte di hamas; se è vero che, pur sapendo che i razzi contro Israele partivano dalle loro case, sono sempre d'accordo sul fatto che quei razzi continuino ad essere lanciati, allora la compassione mondiale per le perdite palestinesi tra i civili dovrebbe essere riconsiderata. Se gli abitanti di Gaza sono pronti a rischiare la morte pur di riuscire a spargere morte fra gli israeliani, sarebbe il caso di spostare la compassione dai palestinesi agli israeliani, che pur di poter rimanere in vita sono pronti a svolgere l'ingrato compito di far morire quelli che li vogliono vedere morti. In linguaggio semplice, questo si chiama "legittima difesa". E' una cosa che normalmente tutti capiscono, ma applicata agli ebrei sembra che non si capisca. Chissà perché. M.C.


Roma - Artiste del Novecento

 
Nell'anno in cui la Giornata Europea della Cultura Ebraica, che si celebrerà il 14 settembre, ha come tema "La donna nell'ebraismo", la Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale ospita, fino al 5 ottobre 2014, la mostra Artiste del Novecento, tra visione e identità ebraica. Un percorso espositivo di circa 150 opere di artiste ebree italiane che rappresenta una riflessione sull'identità di genere, sullo spazio e sul ruolo della donna. "Artiste del Novecento, tra visione e identità ebraica", presso la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Via Francesco Crispi, 24.
In occasione dei 90 anni dalla fondazione dell'Istituto Luce e nell'ambito della mostra in corso al Complesso del Vittoriano "LUCE - L'immaginario italiano", piazza di Santa Croce in Gerusalemme diventa la location di una retrospettiva di film, documentari e cortometraggi prodotti e distribuiti da Istituto Luce dal 1933 al 2013, capolavori del passato e film contemporanei, molti dei quali in copie 35mm. La rassegna, curata da Gianni Canova, racconta le diverse declinazioni del Luce nel ruolo di promotore del cinema pubblico dagli anni '60 al 1999, e si aggiunge alle altre rassegne già in corso al Complesso del Vittoriano e al MAXXI. Piazza di Santa Croce in Gerusalemme, Roma.

(Radio Colonna, 3 settembre 2014)


Golan, spari dalla Siria verso una troupe Tv di Israele

Attimi di spavento, ma nessuna vittima. Questa l'esperienza del giornalista delle televisione di stato israeliana Rubi Hamershlag, inviato oggi nel Golan per riprendere dal versante israeliano i combattimenti in corso a Quneitra (Siria) fra le forze di Bashar Assad e gruppi ribelli. "I ribelli siriani hanno cercato di farci abbassare le testa", aggiorna su Twitter. "Hanno sparato contro la nostra troupe. Nessuna vittima, né danni".

(L'Unione Sarda, 2 settembre 2014)


Venezia, presentazione de "I calici della memoria" di Gianpaolo Anderlini

ROMA - Giovedì 11 settembre alle ore 18.00, nell'affascinante cornice del Banco Rosso di Venezia, si terrà la presentazione de "I calici della memoria. Il vino nella tradizione ebraica", di Gianpaolo Anderlini, edito dalla casa editrice Wingsbert House. Ad accompagnare l'autore sarà il giornalista Mario Ongaro. L'ex banco dei pegni ebraico, oggi sede di un'azienda che produce vini secondo il metodo Kosher, ospiterà un evento che avrà come protagonisti tradizione, ebraismo e degustazione di vini. Come ci racconta l'autore "Non c'è vita e non c'è gioia, in questo mondo e nel mondo a venire, senza vino", e dal connubio tra passione per la tradizione ebraica ed il vino stesso che nasce questo scritto. Il vino ha una sacralità per l'ebraismo tant'è vero che non sarebbe possibile pensarlo senza di esso. I quattro calici di vino Sèder pasquale, il calice per la santificazione dello Shabbàt e delle feste, da parte ebraica (Qaddìsh), e il calice dell'Eucarestia sono una testimonianza del ruolo simbolico del vino nella vita della comunità, delle famiglie e della singola persona. Pertanto, come si fa quando si beve un bicchiere in compagnia (da soli è triste e anche il vino buono perde sapore), auguriamoci l'un l'altro «Lechajim», «Alla vita» e, perché no, anche «Leyàyin», «Al vino»!

(Prima Pagina News, 2 settembre 2014)


Tel Aviv - Incendio al Tempio degli Italkim

Un incendio ha danneggiato nella notte il tempio del Minian Italkim di Tel Aviv, che si trova in rehov Ben Yehuda. "Fortunatamente nessuna persona è rimasta coinvolta - spiega Vito Anav, presidente dell'Irgun Olei Italia, al Portale dell'ebraismo italiano, moked.it - ma il Bet HaKnesset è inagibile". "Secondo le notizie che ci sono state date è escluso il dolo, la causa dell'incendio è probabilmente un cortocircuito", afferma Anav. Nella difficoltà, sospiro di sollievo alla notizia che i Sifrei Torah non sono stati toccati dalle fiamme. "I Sefarim sono salvi - conferma Anav - ma l'edificio ha subito alcuni danni. Ci siamo subito attivati per trovare un altro Bet HaKnesset che possa ospitare il Minian Italkim". Diverse le realtà che frequentano il tempio dove ieri sera, fino alle 23, alcune persone si erano fermate per studiare. L'incendio, dunque, dovrebbe essersi sviluppato dopo quell'ora.
Il minian degli italiani a Tel Aviv, fondato nel 2008, dovrà dunque trovare temporaneamente un altro luogo per le sue attività. "La provenienza dei fondatori dalla comunità libica di Roma - si legge sul sito del Minian Italkim di Tel Aviv - ha determinato il rito principale delle preghiere che fanno riferimento al minhag della comunità ebraica di Tripoli. Questo rimane il rito delle preghiere ma spesso le funzioni si svolgono secondo i riti di altre importanti comunità sefardite". Una realtà in crescita, come scriveva Daniela Fubini su queste pagine, che nel corso degli anni ha saputo diventare punto di riferimento per gli italkim dell'area di Tel Aviv. "Ideatori e fondatori del minian - riporta il sito www.italianitelaviv.com - sono: Elia Habib, Ben Sassun, Arik Bendaud e Shali Arbib.

(moked, 2 settembre 2014)


Partita di calcio tra pulcini israeliani e palestinesi

 
MILANO - Le vie della pace in Medioriente passano anche per un campo di calcio. Dopo una drammatica estate di guerra, lutti e distruzione nella Striscia di Gaza, pulcini palestinesi e israeliani si sono affrontati in una partita di calcio nelle strutture del kibbutz Dorot, nella porzione meridionale di Israele.I giocatori venivano dai villaggi israeliani che circondano l'enclave palestinese assediata e dai villaggi palestinesi intorno a Yatta, in Cisgiordania. Il torneo rientra nell'iniziativa lanciata 12 anni fa e organizzata da un Centro dedicato alla pace tra israeliani e palestinesi, diretto dall'ex presidente israeliano Shimon Peres. "Quando c'incontriamo faccia a faccia, ci accorgiamo che siamo tutti esseri umani, che amiamo la pace, che cerchiamo amicizia e cooperazione" .La partita si è svolta una settimana dopo il difficile accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Ma tutte le apprensioni sono svanite di fronte all'entusiasmo dei giovanissimi calciatori."È bello venire qui per giocare dopo due mesi costretti a restare in casa, spiega un pulcino israeliano. È bello essere qui, per correre e giocare a calcio. E sentire un pochino liberi"."Se Dio vorrà, gli fa eco un omologo palestinese, un giorno ci sarà pace tra arabi ed ebrei".

(TMNews, 2 settembre 2014)


Sarebbe stato il caso di sottolineare che la partita si è svolta in Israele. Si sarebbe potuta svolgere una partita simile a Gaza?


Mahmoud Abbas contro Hamas

di Aviel Schneider
   
GERUSALEMME - Alla televisione egiziana Mahmoud Abbas ha duramente criticato la conduzione radicale di Hamas. "Non dovrebbe accadere che una parte sola dichiari una guerra", ha detto Abbas, intendendo con questo Hamas, con cui recentemente Fatah ha formato un governo di unità nazionale. "Dov'è il discorso di un governo di unità nazionale e la riconciliazione tra Hamas e Fatah?"
Ha anche sottolineato di essere stato ingannato da Khaled Meshal, il leader di Hamas, perché Meshal sapeva del rapimento dei tre bambini israeliani. Inoltre, in un'intervista televisiva Abbas ha detto che non vi è alcuna differenza tra il primo e il secondo cessate il fuoco con Israele. Con la sua testardaggine contro Israele Hamas non ha ottenuto niente di più di quello che Israele e Egitto avevano offerto fin dall'inizio al governo radicale di Hamas. "La responsabilità della morte di civili palestinesi nella Striscia di Gaza è di Hamas, che con la sua ostinazione non ha ottenuto niente", ha aggiunto Abbas.
   Agli occhi dei membri palestinesi di Fatah, il responsabile del disastro nella striscia di Gaza è Hamas, non Israele. Naturalmente si sta attenti a non denigrarsi a vicenda davanti ai media, perché questo non è un bene per la lotta politica contro Israele. Proprio per questo l'intervista televisiva in cui Abbas ha incolpato Hamas per la guerra a Gaza è qualcosa di unico. Il governo di unità nazionale, Fatah-Hamas, contro cui Israele ha ripetutamente messo in guardia, e che è stato più volte elogiato dal mondo, è una finzione politica. Fatah e Hamas si odiano, e il fatto che in Giudea e Samaria il governo palestinese sia guidato dal capo di Fatah Abbas è una cosa che si deve soltanto a Israele. Abbas e Fatah sanno bene che se Israele si ritira da Giudea e Samaria, come ha fatto nel 2005 dalla striscia di Gaza, nel giro di 24 ore Hamas occupa tutta la Cisgiordania.

(israel heute, 2 settembre 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


A proposito di fiducia: l'esperienza con gli arabi di Joschka Fischer


L'Egitto non vuole avere alcun contatto diretto con i miliziani di Hamas

L'Egitto ha condizionato un allentamento delle restrizioni ai transiti attraverso il valico di Rafah (fra Sinai e striscia di Gaza) alla presenza di unità dalla Guardia Presidenziale dell'Autorità Palestinese sul versante di Gaza della frontiera. La Guardia Presidenziale è una delle forze palestinesi agli ordini del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen). L'Egitto ha chiarito che non vuole avere alcun contatto diretto con i miliziani di Hamas. Gli egiziani vorrebbero unità della Guardia Presidenziale lungo tutto il confine tra Sinai e Gaza (il cosiddetto Corridoio Philadelphia). Per le forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese sarebbe il primo rientro nella striscia di Gaza dopo che ne vennero sanguinosamente cacciate da Hamas nel giugno 2007. Dopo il ritiro di Israele nell'estate 2005, venne schierata al confine di Rafah una forza internazionale che tuttavia risultò inefficace e che abbandonò la posizione quando Hamas prese il controllo della striscia con la forza. Israele, che sarebbe favorevole al ritorno della Guardia Presidenziale di Abu Mazen, sta già permettendo l'ingresso a Gaza di materiali per avviare le ricostruzioni. Intanto sta trattando con l'Autorità Palestinese e con l'inviato locale delle Nazioni Unite Robert Serry per la creazione di un meccanismo di controllo sulle merci allo scopo di impedire l'ingresso di materiali "a doppio uso" nel timore che vengano utilizzati da Hamas per costruire altri bunker, tunnel e armamenti. Intese del genere erano già in vigore prima dello scoppio degli scontri di questa estate.

(israele.net, 2 settembre 2014)


Livorno - E' un ex prete l'autore delle scritte "W Hamas"

Pio Gianelli, 71 anni, anima del quartiere di Corea, ha confessato alla polizia che ha indagato per otto giorni sul caso. «Ho scritto per protesta contro la rimozione dello striscione anti Israele affisso sugli Scali del Refugio», ha detto agli investigatori.

di Lara Loreti

Pio Gianelli
«Ho scritto W Hamas per protesta contro la rimozione dello striscione anti Israele affisso sugli Scali del Refugio». La confessione è arrivata nel weekend e lunedì mattina è scattata la denuncia. Nessuna fronda antagonista: c'è la sua barba bianca dietro la vernice rossa delle scritte W Hamas. A 71 anni, animato da un "moto di pancia", come lui stesso ha rivelato agli investigatori, schivando le telecamere del centro, la notte tra il 23 e il 24 agosto, in base all'accusa, Gianelli ha setacciato il centro e Coteto, con in mano una bomboletta dalle sfumature amaranto. Ed è stato incastrato dalle testimonianze della gente. È stato visto, svelano gli investigatori. Le indagini, infatti, si sono basate soprattutto su ricerca di testimoni, comparazione delle scritte e altre fonti di prova tra cui le stesse immagini delle telecamere, che hanno fornito comunque elementi importanti per avvalorare l'accusa.
Il resto l'ha fatto la sua confessione. Non legato a movimenti antagonisti o a formazioni estremiste, nel momento in cui gli sono stati notificati gli atti, il 71enne è autore di un gesto isolato che a suo dire esalta Hamas in quanto organizzazione nata per portare aiuto al popolo palestinese e non per la deriva violenta che ha assunto negli anni successivi alla sua creazione. E' stato scoperto grazie a testimonianze della gente e anche alle telecamere del centro, anche se lui secondo la polizia ha provato a schivarle.
La confessione di Gianelli, musicista, artista di strada, noto anche per aver preso a martellate 4 anni fa la sede del centro civico di Corea e per accese liti con i vigili, mette una pietra sopra alle polemiche legate alle scritte sulle chiese: nella notte tra il 23 e il 24 agosto erano state prese di mira Duomo, Domenicani, Rosario e Coteto, oltre che i portici di via Grande.
Il dibattito nei giorni scorsi ha incendiato gli animi: dalla comunità ebraica e simpatizzanti ai sacerdoti, fino ai centri sociali e alla gente "comune". Una città che, pur nel commento di parte, s'è unita nel condannare chi, inneggiando il terrorismo, aveva scritto per cinque volte "W Hamas", davanti a quattro chiese, tra cui il sagrato del Duomo, e per terra in via Grande. Un gran polverone e otto giorni di indagini serrate della Digos. E alla fine, è spuntato un nome, quello di Pio Gianelli. Il reato che gli viene contestato è di deturpamento ed imbrattamento di cose altrui aggravate dal fatto che il danneggiamento è avvenuto su monumenti di valore artistico come il Duomo.

(Il Tirreno, 2 settembre 2014)


In una precedente occasione l'intraprendente vecchietto aveva preso a martellate una porta. E quando l'hanno scoperto ha detto: "Sono martellate giuste".


Ritorno a scuola per due milioni di bambini israeliani

Le prime due settimane serviranno a rientrare nella routine

ROMA - Piu' di due milioni di bambini israeliani sono tornati a scuola, dopo un'estate per molti di loro trascorsa in rifugi anti-missili o lontano dalle loro case al confine con Gaza.
Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha incontrato gli studenti durante una visita a Kibbutz Saad, vicino al confine con la Striscia di Gaza, nel giorno in cui le scuole hanno riaperto i battenti in quasi tutto il paese.
Sull'onda della tregua che ha messo fine al conflitto di 50 giorni a Gaza, iniziato l'8 luglio e terminato martedi' scorso con piu' di 2.000 palestinesi e 67 israeliani uccisi, il ministero dell'Istruzione ha annunciato sul proprio sito internet che le prime due settimane del nuovo anno scolastico serviranno ad aiutare i bambini a rientrare nella routine.

(Internazionale, 1 settembre 2014)


La sinistra attacca Daniele Nahum, ebreo e responsabile Cultura del Pd

 
Daniele Nahum
Daniele Nahum, 31 anni, ebreo, è consigliere della comunità ebraica, responsabile Cultura del Pd di Milano e Provincia, è stato linciato sul web per aver espresso pareri su Israele e aver definito "cialtroni" coloro che manifestano per Gaza. La maggior parte degli insulti provengono dalla sinistra, quella sinistra antagonista ed extraparlamentare.

AGGETTIVO SBAGLIATO - A far scattare l'odio nei confronti di Nahum sono state le sue dichiarazioni riguardo Gaza e Israele, dichiarazioni che non sono piaciute a quella che lui definisce sinistra antagonista ed extraparlamentare. "Avrei accettato ogni critica nel merito, anche perché io stesso ho corretto nel giro di pochi minuti un aggettivo che ho sbagliato ad usare" confessa Daniele Nahum. Quell'aggettivo "sbagliato" è cialtroni: "Che non era comunque riferito a chi manifesta per Gaza, ma a chi manifesta solo per Gaza". La bufera non gli fa cambiare idea: "Si può discutere sulle proporzioni della reazione israeliana - e aggiunge - ma il conflitto l'ha iniziato Hamas" e conclude: "Perchè vedete solo Israele?". Il segretario provinciale, Pietro Bussolati, ha difeso il responsabile Cultura del Pd di Milano e Provincia.

INSULTI E MINACCE - "Ti vogliamo a testa in giù", "Sei un nazi-sionista", seguono riferimenti poco nobili e intimidazioni anche per la compagna, tanto che Daniele Nahum ha dovuto chiudere la sua pagina pubblica su Facebook. Ma la cosa che gli desta maggior preoccupazione è che la parola sionista sia stata sdoganata come insulto. "Il sionismo è una dottrina nobilissima, paragonabile al risorgimento italiano. Non ha niente di razzista, è socialisteggiante". Nahum, da sempre favorevole alla moschea a patto che rispetti le regole e la Costituzione, si dice "Pronto a scendere in piazza con Forza Italia, che l'8 settembre manifesterà contro i massacri dei cristiani".

(Libero, 1 settembre 2014)


Israele: rallenta la performance economica

Secondo i dati di pubblicazione CBS - Ufficio di Statistica Nazionale, risulta che in Israele la crescita economica nel secondo trimestre è scesa notevolmente e si e' attestata al 1,7%, su base annua, rispetto al 2,8% nel primo trimestre e del 2,5% nell'ultimo trimestre del 2013. Un incremento del 1,7% dovrebbe comportare ad una mancanza di crescita del PIL pro capite, in quanto e' identico al tasso di crescita della popolazione. Si stima che un abbassamento delle previsione di crescita, dovrebbero costringere il Ministero delle Finanze locale ad aumentare le tasse, anche a seguito dell'ultima operazione militare a Gaza.

(Tribuna Economica, 2 settembre 2014)


Israele "sottrae" 1000 acri di terra ai palestinesi: notizia o bufala?

Si discute molto nelle ultime ore della decisione del governo di Gerusalemme di acquisire al demanio pubblico, un'area di circa 4 chilometri quadrati nel Gush Etzion. Ne hanno parlato ovviamente i quotidiani israeliani (per esempio il Jerusalem Post, o Israel Hayom), e non tarderanno a fornire la loro visione parziale i quotidiani europei. Meglio portarsi avanti con il lavoro...
Gush Etzion è un'area, situata ad est delle linee armistiziali del 1949 (conosciute anche come "Linea Verde": sono confini che le parti in conflitto indicarono come provvisori, in attesa di accordi di pace che tuttora tardano ad essere stretti), che include diversi sobborghi; dei quali quello di Beitar Illit (circa 40.000 abitanti) è il più popoloso. Trattasi di insediamenti istituiti in tempi diversi fra il 1970 e il 2002; talvolta legali (settlement), in altri casi illegali (outpost), in quanto non autorizzati, e successivamente smantellati per decisione dell'autorità giudiziaria....

(Il Borghesino, 1 settembre 2014)


Roma - Niente villa Torlonia. In tremila metri all'Eur il Museo della Shoah

Rischia di tramontare il progetto voluto da Veltroni. Comune e comunità studiano la nuova soluzione.

di Gabriele Isman e Giovanna Vitale

 
Piazzale Gugliemo Marconi a Roma
ROMA - "E' molto più di un'ipotesi: il Museo della Shoah si farà all'Eur, in piazzale Marconi, dove sta l'obelisco, ha presente? Sorgerà su 3mila metri quadrati di nostra proprietà e sarà il più grande d'Europa: perciò siamo molto felici di ospitarlo, soprattutto in questo momento di grande tensione per il popolo ebraico". Pierluigi Borghini, presidente di Eur spa, conferma dal Brasile le indiscrezioni circolate in queste ore: il Campidoglio avrebbe deciso di cancellare il progetto avviato da Veltroni, la costruzione di un grande memoriale dell'Olocausto a Villa Torlonia, per allestirlo nel Palazzo Mostra dell'Arte Moderna, più precisamente sui due piani che oggi ospitano la White Gallery, lussuoso megastore in procinto di chiudere i battenti. E pazienza se non sarà, come sostiene Borghini, il più grande d'Europa: il Jüdisches Museum realizzato nella parte ovest di Berlino dal geniale Daniel Libeskind si sviluppa infatti su cinque piani per circa 15mila metri quadri (anche se poi la superficie espositiva complessiva è di 3mila).
  Un'operazione ardita, condotta in gran segreto dall'assessore ai Lavori Pubblici Paolo Masini con alcuni esponenti della comunità ebraica romana, che però rischia di trasformarsi in un pasticcio. Perché se è vero che la fretta è dettata dalla necessità di venire incontro ai desideri degli ultimi sopravvissuti, che da anni aspettano di tradurre un sogno in realtà, diverse sarebbero le controindicazioni. Intanto perché la gara d'appalto per edificare il Museo della Shoah su via Alessandro Torlonia è ormai arrivata alle battute finali (manca solo il nome dell'impresa vincitrice); poi perché il Comune ha già speso la bellezza di 15 milioni per acquisire l'area accanto alla residenza di Mussolini, a due passi dalle catacombe ebraiche; infine perché i 21,7 milioni che il governo Monti escluse dal patto di stabilità e la Cassa depositi e prestiti era pronta a erogare a Roma Capitale (che li aveva regolarmente iscritti in bilancio) per far fronte ai costi dell'opera non sarebbero più utilizzabili. Mandando in fumo 9 anni di progetti, varianti urbanistiche e tanti soldi.
  Ma per l'assessore Masini il fattore tempo pare sia determinante. Tutto dev'essere pronto per il 27 gennaio 2015, settantesimo della liberazione di Auschwitz, dove 1024 ebrei romani (tra cui 200 bambini) vennero deportati nel famoso raid dell'ottobre '43. Solo utilizzando uno spazio già esistente, anziché costruire (in 24 mesi) l'avveniristico cubo nero progettato dagli architetti Zevi e Tamburini, ci si può riuscire. Anche a costo di pagare penali salatissime e affrontare ricorsi milionari: tutte eventualità che il Campidoglio ha già messo in conto. Tant'è che avrebbe promesso al presidente della comunità ebraica, Riccardo Pacifici, la consegna delle chiavi della nuova struttura entro questo mese. "Se così sarà, il museo di Villa Torlonia si può considerare definitivamente archiviato", spiegano alla comunità ebraica.
  La grande mostra sulle liberazioni dei campi di sterminio, con inaugurazione prevista per il 27 gennaio 2015, si terrà dunque all'Eur, nel Palazzo Mostra dell'Arte Moderna: sarà la prima del nuovo Museo della Shoah, coincidente con la sua inaugurazione. E pazienza se più che nuovo, il museo sarà riciclato: in fondo anche in Europa hanno fatto questa scelta, allestendo le esposizioni sull'Olocausto in edifici storici (vedi Parigi) o non esclusivi (a Londra è collocato all'interno e costituisce una sezione dell'Imperial War Museum). Roma farà lo stesso: aspettare altri 2 anni, per la giunta Marino, sarebbe stato troppo tardi.

(la Repubblica, 1 settembre 2014)


Il ruolo inutile (e umiliante) dei caschi blu

Come è possibile che vi sia ancora chi propone di garantire i confini d'Israele schierando delle truppe Onu?

Venerdì 7 aprile 1967, dopo un bombardamento dell'artiglieria siriana sui kibbutz ai piedi del Golan, i jet israeliani si scontrarono con quelli dell'aviazione siriana: sei MiG-21 siriani furono abbattuti. La Siria, che aveva firmato un patto di difesa con l'Egitto, era furibonda con il suo alleato che non era corso in suo aiuto. La risposta egiziana, tuttavia, non si fece attendere. Il presidente Nasser fece entrare nella penisola del Sinai centomila soldati con mille carri armati, e ordinò alle truppe Onu che erano schierate lungo il confine, da Eilat alla striscia di Gaza, di sgomberare immediatamente. I 3.400 caschi blu obbedirono senza fare storie. Poche settimane dopo scoppiava la guerra dei sei giorni.
Circa 25 anni più tardi, il 6 giugno 1982, aveva inizio la guerra in Libano contro le organizzazioni armate palestinesi che spadroneggiavano in tutto il sud del paese. La presenza di forze Onu al confine fra Israele e Libano non impedì quella guerra, così come non aveva mai impedito ai terroristi palestinesi di colpire Israele dal territorio libanese....

(israele.net, 1 settembre 2014)


Oltremare - Nuovo mese
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
“Fronte unico”
“64 ragazzi”
“In piazza e fuori”
“Dopoguerra”
“Scuola in guerra”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Per fortuna è iniziato Elul. Qualcuno di più integralmente religioso di me direbbe: ma è ovvio. Elul è il mese dell'esame di coscienza, i buoni ebrei si preparano ai dieci "giorni terribili" fra l'inizio dell'anno nuovo e il giudizio universale con la"u" minuscola, quello di Yom Kippur che cade fra i festeggiamenti dell'anno nuovo e il vero nuovo inizio. Quindi è perfettamente logico che sia adesso, con la nuova luna di Elul, che è finita la guerra.
Non credo che i terroristi di Hamas seguano il calendario ebraico, e a pensarci bene so molto poco del calendario islamico, e me ne faccio una colpa. Possibile non sapere come divide il tempo su questa terra una cultura di cui oltre un milione e mezzo di individui vive in mezzo a Israele? L'unica cosa evidente è che il Ramadan cade ogni anno in un momento diverso, con oscillazioni ben più forti delle nostre feste ebraiche che danno dal più al meno l'addio all'estate.
Mentre mi riprometto di fare un salto su wiki e imparare i dettagli dei calendari altrui, il mio di calendario ha già dettato uno di quei momenti di tipico smarrimento, quando nell'ultimo weekend al supermercato ho trovato tutto pronto per organizzare la cena di Rosh haShanah. Miele e mele, preparati per torte, offerte su vini e pacchi regalo confezionati, batterie di pentole e set di piatti e posate. Tutto per le Feste, a un mese esatto dal gong.
Lo so che gli americani hanno inventato gli sconti da rapina del giorno dopo Thanksgiving per invogliare il consumatore a spendere e spandere da lì dritto fino a Natale. Ma noi dobbiamo proprio cominciare il primo Elul a comperare qualsiasi cosa perchè non finiscano le scorte troppo vicino alle feste?
Non so, ma anche su queso un minimo di esame di coscienza prima della fine dell'anno si potrebbe fare. Sul resto, e cioè se questa guerra l'abbiamo vinta o persa, e quanto ci è costata, e cosa fare perchè non inizi presto la prossima, meditiamo. Prima vittima possibile: Bibi. Avanti il prossimo.

(moked, 1 settembre 2014)


Omosessualità e Israele. Che c'entra?

di Marcello Cicchese

Una decina d'anni fa o poco più, nel mio lavoro in rete per far arrivare, se non altro a un paio di amici e conoscenti, informazioni più veritiere su Israele, e quindi anche a sua difesa, mi incrociai con un'altra persona che si muoveva per molti aspetti nella stessa direzione, anche se con punti di partenza e principi generali per certi aspetti abbastanza diversi. Per comodità espositiva lo chiamerò Fabio (nome di fantasia), e parlerò al passato solo perché adesso non abbiamo più scambi. Avevamo due cose in comune: 1) volevamo difendere Israele dalla quantità di notizie distorte e menzognere che già allora circolavano abbondantemente; 2) eravamo strettamente laici in politica e di conseguenza critici verso le continue, indebite interferenze della chiesa cattolica in tutti i campi della politica e della morale. La differenza stava nel riferimento a Dio: lui non vi faceva alcun rifermento, io mi presentavo e mi presento sinteticamente come cristiano evangelico, ben sapendo tuttavia che questa dichiarazione ha bisogno di parecchie altre precisazioni.
Un elemento di divisione, non so se fu decisivo, fu proprio la questione dell'omosessualità. Nel papato allora non eravamo ancora arrivati alla formula del "Chi sono io per...?" di francescana attualità. Su questo tema i papi si muovevano ancora su linee di rigorosa tradizionalità. Il 21 gennaio 1999, in un discorso alla Sacra Rota, Giovanni Paolo II, anche in reazione all'andamento che su questo tema stava prendendo il Parlamento Europeo, aveva ribadito la linea tradizionale della chiesa cattolica:
    «Alla luce di questi principi può essere stabilita e compresa l'essenziale differenza esistente fra una mera unione di fatto - che pur si pretenda originata da amore - e il matrimonio, in cui l'amore si traduce in impegno non soltanto morale, ma rigorosamente giuridico. Il vincolo che reciprocamente s'assume, sviluppa di rimando un'efficacia corroborante nei confronti dell'amore da cui nasce, favorendone il perdurare a vantaggio della comparte, della prole e della stessa società. E' alla luce dei menzionati principi che si rivela anche quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà "coniugale" all'unione fra persone dello stesso sesso. Vi si oppone, innanzitutto, l'oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell'essere umano. E' di ostacolo, inoltre, l'assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. E' soltanto nell'unione fra due persone sessualmente diverse che può attuarsi il perfezionamento del singolo, in una sintesi di unità e di mutuo completamento psicofisico. In questa prospettiva l'amore non è fine a se stesso, e non si riduce all'incontro corporale fra due esseri, ma è una relazione interpersonale profonda, che raggiunge il suo coronamento nella donazione reciproca piena e nella cooperazione con Dio Creatore, sorgente ultima di ogni nuova esistenza umana.»
Poiché su questo specifico tema mi trovavo e mi trovo molto più d'accordo con il papa che con i laici tutti d'un pezzo, quelli senza se e senza ma, la cosa fece emergere una biforcazione nei nostri percorsi. Tanto più che su questo tema lo Stato d'Israele appariva ed appare sempre di più come un paladino della libertà, al punto che Tel Aviv è stata dichiarata capitale dei gay. Il fatto singolare è che molti considerano proprio questa città la vera capitale di Israele. Non per questo motivo, certo, ma il fatto resta: non la "città santa" di Gerusalemme è vista dal mondo come capitale dello Stato ebraico, ma la città libertaria (o libertina) di Tel Aviv. Un fatto che può essere assunto come segno.
Una successiva presa di posizione di papa Woitjla contro l'omosessualità fece nascere fra noi due una corrispondenza di cui riporto qui una parte.
    4 agosto 2003
    Caro Fabio,
    il rapporto indiretto intercorso fra di noi in conseguenza del comune desiderio di difendere Israele dalle ingiuste accuse di cui è continuamente oggetto mi impone di essere esplicito con te anche su altri temi in discussione, tra cui l'omosessualità, che in un certo senso è anch'esso un tema legato a Israele, dal momento che è l'unico paese del Medio Oriente che la ammette.
    Dico spesso che quando il diavolo non può impedire che una cosa giusta sia detta, cerca di fare in modo che il primo a dirla sia la persona sbagliata. Diciamo allora che, se non la prima, certamente la persona più in vista che ha parlato ultimamente di omosessualità è il papa, persona sbagliatissima per molti motivi. Alcuni li hai detti tu: l'omosessualità è ampiamente diffusa e tollerata (fino a che non è scoperta) tra i preti cattolici; il Vaticano è uno Stato estero che continuamente si intriga nelle questioni dello Stato italiano, traendone scandalosi privilegi di tutti i tipi (come l'ultima legge sugli insegnanti di religione) e pretendendo di insegnare a tutti come si deve amministrare uno stato laico, senza portarne la responsabilità.
    Ma uno dei guai peggiori è che, soprattutto in Italia, chi sente parlare il papa pensa che quella sia la voce più autentica del cristianesimo. Così non è. Chi vuole può essere contro il cristianesimo e contro tutti i cristiani di qualsiasi tipo, ma è bene almeno che si renda conto che non sono tutti uguali e, se vuole approfondire la cosa, potrebbe anche arrivare a capire che la figura e l'insegnamento del papa non hanno niente a che vedere con quello che è insegnato nel Nuovo Testamento. O meglio, qualcosa a che vedere ce l'hanno, ma il tutto ne risulta nel complesso totalmente deformato.
    Per quanto riguarda l'omosessualità e altri comportamenti umani, riporto un passo di un noto fariseo:

      "L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l'ingiustizia; poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non l'hanno glorificato come Dio, né l'hanno ringraziato; ma si son dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d'intelligenza si è ottenebrato. Benché si dichiarino sapienti, son diventati stolti, e hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Per questo Dio li ha abbandonati all'impurità, secondo i desideri dei loro cuori, in modo da disonorare fra di loro i loro corpi; essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l'uso naturale in quello che è contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento. Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati. Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette."

    Si tratta di un passo scritto da Paolo di Tarso nella sua lettera ai Romani. Come privato cittadino di uno Stato laico, spero di poter continuare a dire che credo nella verità di queste parole, senza con questo pretendere che esse vengano imposte a tutti (tanto meno con la forza). Spero anche di poter continuare ad avvertire che una società che ammette certe pratiche non è una società più libera, ma è una società che introduce elementi di corruzione e disgregazione sociale di cui un giorno pagherà le conseguenze, non solo eterne; esattamente come l'accettazione della droga non rende più libere le persone, ma crea una serie di relitti umani schiavi di forze distruttrici. Come in altri casi, il prezzo di certe "libertà" degli adulti, sarà pagato dagli elementi più deboli della società: i bambini, quando saranno affidati a coppie omosessuali (è solo questione di tempo).
    Questa cultura umanista postmoderna, tollerante con tutto, diventa in certi casi rigidamente intollerante quando qualcuno interviene in modo non allineato alla medesima corrente culturale. Tutto sommato la cosa è comprensibile: non si può tollerare tutto. Se si tollera l'omosessualità, è evidente che qualche altra cosa non potrà essere tollerata. Si tratta dunque di scegliere, e di portarne la responsabilità. "Lo stolto ha detto in cuor suo: Non c'è Dio", recita un salmo del Dio d'Israele (Salmo 14), e il fariseo Paolo aggiunge: "Benché si dichiarino sapienti, son diventati stolti".
    Non sono io a dirlo, anche se mi prendo la responsabilità di riportarlo.
    Un cordiale saluto,
    marcello
Fabio mi rispose, in modo molto pacato e gentile:
    Caro Marcello,
    Sebbene io sia laico fino al midollo, condivido gran parte di ciò che scrivi e non solo in questa mail.
    Una sola cosa non trovo giusta ed è quella di immaginare i gay tutti dediti alla lussuria, come scritto nel brano che hai citato. E' vero, la nostra società tende allo sfascio morale, ma ciò non vuol dire che non ci siano coppie gay "sane", tenere e fedeli come ben poche etero!
    Io non credo che l'omosessualità sia di per sé un abominio (quello esiste in pari misura su entrambe le "sponde"); la considero piuttosto uno fra numerosissimi disturbi della personalità; uno dei più innocui, fra l'altro, ma che (sempre a causa della sessuofobia cattolica) viene da quella parte condannato senza appello, mentre dall'altra (sinistra e radicali) viene difesa strenuamente e ottusamente, quasi fosse una conquista democratica.
    Quando parlo di "piccole agevolazioni, oggigiorno a vantaggio esclusivo delle coppie matrimoniali" da estendere a coppie di ogni tipo e ai nuclei familiari di ogni forma e genere, bada bene, non includo affatto la possibilità di adozione! La società non ha il diritto di "regalare" bambini, già sfortunati in partenza, a persone che non siano più che affidabili. Anch'io considero una follia l'adozione di bambini da parte di coppie gay, ma vedo altrettanto folle l'adozione di bambini da parte di single o di coppie regolarmente sposate di coniugi frenetici o in carriera. I bambini hanno bisogno di due genitori, un uomo e una donna, presenti e attivi, non di due mamme o di due padri, tantomeno di baby-sitter e TV a tempo pieno. E' vero che la natura ci fa nascere a caso, anche in mezzo ai pazzi, ma la società non ha il diritto di fare altrettanto.
    Con la speranza di non apparirti del tutto stolto...
    Ciao
    Fabio
"E' solo questione di tempo", scrivevo undici anni fa. E il tempo è arrivato. La follia dell'adozione da parte di coppie gay, come diceva il laico Fabio, adesso è realtà. Come ho fatto a capirlo? Leggendo la Bibbia, patrimonio che mi è arrivato attraverso Israele. E' lì che ho letto parole come queste (Proverbi 9):
    "La follia è una donna turbolenta,
    sciocca, che non sa nulla, nulla.
    Siede alla porta di casa,
    sopra una sedia, nei luoghi elevati della città,
    per gridare a quelli che passan per la via,
    che van diritti per la loro strada:
    'Chi è sciocco venga qua!"
E gli sciocchi arrivano. Da tutte le parti. E sembra che non ci sia verso di fermarli. Sono persone ardite, risolute: van diritti per la loro strada.
Ma è sempre nella Bibbia che ho letto parole come queste (Proverbi 1):
    La sapienza grida per le vie,
    fa udire la sua voce per le piazze;
    nei crocicchi affollati ella chiama,
    all'ingresso delle porte, in città, pronunzia i suoi discorsi:
    "Fino a quando, o scempi, amerete la scempiaggine?
    fino a quando gli schernitori prenderanno gusto a schernire
    e gli stolti avranno in odio la scienza?
    Volgetevi a udire la mia riprensione;
    ecco, io farò sgorgare su voi lo spirito mio,
    vi farò conoscere le mie parole.
    Ma poiché, quand'ho chiamato avete rifiutato d'ascoltare,
    quand'ho steso la mano nessuno vi ha badato,
    anzi avete respinto ogni mio consiglio
    e della mia correzione non ne avete voluto sapere,
    anch'io mi riderò delle vostre sventure,
    mi farò beffe quando lo spavento vi piomberà addosso;
    quando lo spavento vi piomberà addosso come una tempesta
    quando la sventura v'investirà come un uragano,
    e vi cadranno addosso la distretta e l'angoscia.
    Allora mi chiameranno, ma io non risponderò;
    mi cercheranno con premura ma non mi troveranno.
    Poiché hanno odiato la scienza
    e non hanno scelto il timore dell'Eterno
    e non hanno voluto sapere dei miei consigli
    e hanno disdegnato ogni mia riprensione,
    si pasceranno del frutto della loro condotta,
    e saranno saziati dei loro propri consigli.
    Poiché il pervertimento degli scempi li uccide,
    e lo sviarsi degli stolti li fa perire.
    Ma chi m'ascolta se ne starà al sicuro,
    sarà tranquillo, senza paura d'alcun male".
La speranza viene dalle ultime due righe. Ma la nazione il cui inno nazionale ha come titolo "La speranza", non può pensare di poter trascurare quello che è il suo patrimonio esclusivo più prezioso, che per la benignità di Dio è diventato accessibile a tutti: la Sacra Scrittura. Il tema dell'omosessualità è importante per Israele perché ha carattere di segno: un preciso segno della dichiarata volontà della creatura di opporsi alla volontà del Creatore. Dev'essere proprio questo il segno distintivo dell'unica nazione al mondo che contiene nel suo stesso nome il riferimento a Dio? Dev'essere Sodoma il vanto d'Israele?

(Notizie su Israele, 1 settembre 2014)


Il cacciatore

Quando uccideva terroristi lo chiamavano "Bogart". Nel tempo libero Yaalon, ministro della Difesa d'Israele, pulisce le stalle

di Giulio Meotti

Moshe Yaalon
Ventitré luglio 2002: Salah Shahade, comandante militare di Hamas. 22 marzo 2004: Ahmed Yassin, fondatore di Hamas. 17 aprile 2004: Abdel Aziz al Rantissi, capo politico di Hamas. 21 ottobre 2004: Adnan al Ghoul, padre dei missili di Hamas. 19 agosto 2014: Mohammed Deif, capo militare di Hamas. 21 agosto 2014: Raed al Attar, Mohammed Shmallah e Mohammed Barhoum, tre dei maggiori comandanti di Hamas.
   Cosa avevano in comune tutti questi terroristi palestinesi saltati in aria? Un signore alto, calvo, con una laurea in Scienze politiche, oggi un po' sovrappeso, ma il cui nome è negli annali dell'eroismo israeliano. C'è chi lo paragona al "Dottor Stranamore", interpretato al cinema da Peter Sellers, e non soltanto per gli occhiali. Si tratta di Moshe "Bogie" Yaalon.
   Gli ultimi due omicidi mirati, che hanno segnato la nuova guerra di Gaza, Yaalon li ha ordinati da ministro della Difesa. I precedenti, durante la Seconda Intifada, li ha diretti da capo di stato maggiore, il "ratmakal". In pratica, Yaalon ha liquidato la dirigenza del terrorismo palestinese. Di solito sono operazioni chirurgiche. Una, quella contro il feroce Shahade, andò male. Nell'attacco persero la vita tredici civili, fra cui otto bambini palestinesi. Per anni Yaalon è stato inseguito da un mandato di cattura della magistratura spagnola.
   Alcuni giorni fa Yaalon ha riunito una dozzina fra analisti, ufficiali e politici nella centrale dello Shin Bet, il servizio segreto interno. Sono le due di notte. Due caccia F16 bombardano un palazzo di Rafah. Muoiono due fra i più ricercati capi militari di Hamas. Avevano commesso l'errore di uscire dalla clandestinità dopo giorni trascorsi sotto terra. Schermi al plasma e informazioni di intelligence in diretta fornivano agli ufficiali israeliani presenti una sorta di diretta dell'operazione. Yaalon autorizza l'operazione, in accordo con il premier Benjamin Netanyahu.
   Caduta in disgrazia la stella di Ehud Barak, oggi splende quella di Yaalon. Nessun altro israeliano incarna l'establishment di sicurezza e militare meglio di lui. Secondo Yaakov Katz, autore di "Israel vs. Iran", "Yaalon ha diretto la guerra globale di Israele al terrorismo, di cui molte operazioni restano segrete". Agli occhi dell'israeliano medio, Yaalon è l'uomo che ha fermato il terrorismo suicida durante la Seconda Intifada. E' lui "Mar Bitachon", Mister Sicurezza, il massimo onore per un politico israeliano. "L'opinione pubblica vede i militari come coloro che sono in contatto con il cuore dell'esistenza di questo paese", ha scritto Shevach Weiss, scienziato della politica ed ex speaker della Knesset.
   Sotto il comando di Yaalon, Israele ha attraversato i momenti più difficili: la guerra in Iraq del 2003, la morte di Yasser Arafat, gli omicidi mirati dell'Intifada, il ritiro da Gaza (Yaalon fu "dimesso" da Ariel Sharon per la sua opposizione all'evacuazione dei coloni) e adesso la guerra più lunga e intestina contro Hamas. Eppure, degli eroi di Israele è il più umile e meno chiacchierato sulla stampa. Si dice che l'ex premier Yitzhak Rabin lo ammirasse molto per il suo coraggio ma soprattutto per la sua integrità. E infatti il ministro della Difesa, quando non vive nel kibbutz, risiede in un modesto appartamento a Modiin. Nulla a che vedere con il lussuoso grattacielo Akirov di Tel Aviv, dove viveva il suo predecessore, Ehud Barak. Si
Il padre di Yaalon arrivò in Israele nel 1925, fuggendo dalle persecuzioni bolsce- viche in Russia. Uno dei suoi fratelli venne ucciso dai cosacchi e un altro venne sbattuto in un gulag per "attività sioniste". La madre era una partigiana che raggiunse la Palestina partendo dall'Italia.
torna piuttosto alla modesta casa in legno con il tetto verde in un kibbutz del deserto, dove il fondatore del paese David Ben-Gurion trascorse gli ultimi anni e dove lavorava quattro ore al giorno alla fabbricazione di formaggi, come un qualsiasi "haver" (compagno) della comunità. O all'appartamentino di Tel Aviv dove il suo rivale, il borghese Menachem Begin, ha sempre vissuto con la moglie.
Il padre di Yaalon arrivò in Israele nel 1925, fuggendo dalle persecuzioni bolsceviche in Russia (il ministro ha ebraizzato il cognome da Smilansky). Uno dei suoi fratelli venne ucciso dai cosacchi e un altro venne sbattuto in un gulag per "attività sioniste". La madre era una partigiana che raggiunse l'allora Palestina sotto mandato britannico partendo dall'Italia. Da quei genitori Yaalon avrebbe preso una passione e il talento per le operazioni clandestine, durante le quali il suo nome in codice è "Bogart", dal nome del celebre attore ma anche per scimmiottare quello del futuro ministro, "Bogie".
   Yaalon è il capo della Difesa meno diplomatico della storia. Quando lasciò il Pentagono d'Israele, nel 2005, disse che avrebbe indossato gli scarponi per evitare di farsi pungere dai serpenti. Mesi fa, invece, ha detto al capo della diplomazia americana, John Kerry, di "vincere un Nobel" e di lasciare in pace gli israeliani. Yaalon è cresciuto a Kiryat Haim, il sobborgo operaio e socialista di Haifa. Il padre lavorava in fabbrica. Una famiglia povera, poverissima. Non avevano biciclette, auto, televisore o telefoni. "Sono cresciuto ad acqua e pane nero, il più economico", scrive il capo della sicurezza d'Israele in un libro pubblicato alcuni anni fa sotto il titolo ebraico di "Derekh aruka ktzara". Traducibile come la via lunga più corta.
   Da ragazzo, Yaalon entra in Noar Ha'oved, un movimento collettivista di sinistra, composto in gran parte da idealisti. A Yaalon danno una missione: insediarsi e lavorare nel deserto di Arava, una immensa landa pietrosa, senza acqua né vita. Anche a chi ha visto i più desolati deserti del mondo, l'Arava incute un senso di smarrimento pauroso. A sorvolarlo verso sud, è un susseguirsi di distese bruciate in una gamma di colori dal giallo al marrone al grigio. Solo di tanto in tanto, come smeraldi nella polvere rossastra, spiccano i riquadri verdi dei campi del suo kibbutz. In nessun altro posto, nemmeno nella divisa Gerusalemme, la difficile posizione geografica di Israele appare in tutta la sua drammatica evidenza come lì. Il deserto dove arriva il giovane Yaalon è dominato a oriente dalle montagne della Giordania, il cui porto di Aejaba è visibile a qualche chilometro appena; poco più a sud, comincia a snodarsi la sterminata, arida distesa di alture e di coste dell'Arabia Saudita; a occidente, è subito l'Egitto col Sinai dai brucianti ricordi. In quel deserto, Yaalon e un manipolo di altri pionieri ci si insedia, lo coltiva, ci porta gli animali, fa fiorire la terra dove Abramo stipulò il patto con Abimelech, Rebecca fu turbata dall'inviato di Isacco e Giacobbe disseminò le tende della famiglia.
   Ancora oggi, Yaalon si considera un kibbutznik. "Se mi chiedono da dove vengo rispondo: kibbutz Grofit". Di fatto, Yaalon è l'unico membro di kibbutz che ricopra ruoli strategici nella leadership d'Israele. Nel kibbutz, Yaalon è l'addetto alle stalle. E non teme di indossare i sandali tipici dei kibbutznikim nemmeno nelle riunioni politiche. Nel suo ufficio, Yaalon tiene due fotografie: l'immagine di una falce,
Moshe Yaalon fa parte di un pugno di leader israeliani, assieme agli ex premier Yitzhak Shamir ed Ehud Barak, che ha personalmente preso parte alle uccisioni mirate.
simbolo del duro lavoro nei campi, e quella che ritrae un caccia F15 israeliano che sorvola il campo di sterminio di Auschwitz, dove ha perso l'intera famiglia della madre.
Yaalon è tutta la vita che dà la caccia ai terroristi. Come ha scritto il giornalista israeliano Ronen Bergman, "Moshe Yaalon fa parte di un pugno di leader israeliani, assieme agli ex premier Yitzhak Shamir ed Ehud Barak, che ha personalmente preso parte alle uccisioni mirate". L'ex capo di stato maggiore, l'archeologo Yigael Yadin, diceva che "in Israele un civile è un soldato con undici mesi di congedo". La linea che separa militari e civili è da sempre sottile.
   Fu Yaalon nel 1978 a guidare sul campo l'"Operazione Litani", l'incursione delle teste di cuoio contro il centro di comando dei terroristi palestinesi a Ras-Biada, e su fino a Tiro. C'è sempre Yaalon a guidare l'operazione "Shalechet", contro le installazioni costiere dell'Olp di Arafat. Missioni spettacolari in quella che gli israeliani allora chiamavano "Eretz hefker", terra di nessuno. Allora Yaalon era il comandante delle Sayeret Matkal, i migliori dell'esercito israeliano, le teste di cuoio al centro delle più difficili e spettacolari operazioni. Una unità mutuata sulle Special Air Service, inglesi, il corpo istituito nel lontano 1941, durante la guerra mondiale dunque, per creare "fastidi" con il sabotaggio all'esercito germanico di Rommel impegnato in Africa. Anche il motto delle Sayeret è mutuato da quello inglese "Who dares wins". Ossia, chi osa vince.
   In Libano, Yaalon condusse un'unità di "mista'aravim", ovvero "diventare come gli arabi". Sono chiamati così i soldati israeliani che vestono come i palestinesi, parlano con il loro accento, pensano come loro. Soprattutto Yaalon nel 1988 era su una spiaggia di Tunisi, a guidare e forse premere il grilletto che ha ucciso Abu Jihad, il capo militare dell'Olp.
   Tutto fu fatto con gran rapidità. Una squadra di tre uomini del Mossad, parlanti l'arabo, entrò in Tunisia con falsi passaporti libanesi, ispezionò il luogo dove il commando di Yaalon doveva colpire e prese in affitto tre automezzi per il trasporto del commando. Entra in scena un aereo. Aziona le apparecchiature di disturbo elettronico per isolare i telefoni di Sidi Bou Said, il villaggio sul mare dove risiede Abu Jihad. Un commando composto da trenta uomini, trasportato da una vedetta lanciamissili della marina israeliana, sbarca sulla spiaggia a bordo di gommoni, viene caricato sui tre automezzi e raggiunge la casa di Abu Jihad. Su una delle barche, c'è anche il futuro primo ministro Ehud Barak. Il capo dei terroristi palestinesi muore con la pistola in pugno, guardando in faccia Yaalon. L'attacco è messo a segno innanzi agli occhi terrorizzati di sua moglie e dei due figli che con la donna dormivano in una stanza vicina allo studio di Abu Jihad. Del commando avrebbe fatto parte anche una donna, bassa e bionda. Israele ha riconosciuto di essere stato dietro l'operazione soltanto un anno fa.
   La scelta naturale di Yaalon sarebbe stata quella di lanciare la sfida per la leadership del Partito laburista. Ma gli anni nell'esercito lo hanno spinto nel 2008 ad abbracciare il Likud, con grande sorpresa dei compagni di kibbutz. Si dice che la sua conversione sia avvenuta quando Yaalon guidava l'"Aman", il servizio di intelligence militare. Le conversazioni telefoniche dei capi palestinesi intercettate da Yaalon lo avrebbero convinto definitivamente che dall'altra parte non esiste partner per la pace, che gli arabi vogliano soltanto distruggere Israele. Sui negoziati con i palestinesi, il kibbutzim è un super falco: "Fintanto che l'altra parte non riconoscerà il nostro diritto all'esistenza come stato del popolo ebraico non sono pronto a cedere un millimetro di terra".
   Yaalon non è un oltranzista. Piuttosto è un pragmatico di destra e un cerebrale. Nei corridoi del potere israeliano si dice che il cacciatore di terroristi sia pronto a prendere le redini del Likud una volta tramontata la stella del primo ministro Benjamin Netanyahu.
   A chi gli chiede una definizione di sé, Yaalon risponde così: "Generale e agronomo". I terroristi e la terra. Entrambi da aggredire in quella "villa nel deserto" che è Israele.

(Il Foglio, 1 settembre 2014)


Equivalenza metapolitica: Il mondo sta a Israele come Israele sta al suo Messia
 

Hamas, Israele e terrorismo

Un'analisi del conflitto in corso in Medio Oriente basata sul concetto di "potenza": le differenze tra i contendenti ci sono. Eccome.

di Christian Corsi

Il Medio Oriente precipita nella violenza, nella guerra, nel terrorismo. E puntualmente la galassia dell'informazione evidenzia e porta all'attenzione pubblica quelle prese di posizione e quelle dichiarazioni che, più di altre, spingono alla polarizzazione dei consensi e delle opinioni sugli schieramenti in campo. Quasi sempre si tratta dell'eterno ritorno di argomenti, quand'anche condivisibili, fatti valere al netto di fattori che dovrebbero imporre più prudenza ai giudizi.
  Si consideri il conflitto nella Striscia di Gaza: i morti civili sul versante palestinese sono ciò che instilla in molti un enorme odio verso Israele. Ma come non considerare anche quelle centinaia e centinaia di razzi che, lanciati dall'altro versante - fin da molto prima dell'ultima crisi -, avrebbero potenzialmente potuto provocare migliaia di morti israeliani? Il fatto che quelle vittime siano sono potenziali - o meglio, la maggioranza di esse - fa sì che l'indignazione morale non si scateni a loro difesa. Ma quei morti non sono tali in forza di almeno due fattori: il livello di avanzamento tecnologico-militare raggiunto da Israele - che possiamo sbrigativamente definire "potenza" - e la volontà di utilizzare questa anche e soprattutto a difesa del proprio territorio e della propria popolazione. Hamas non possiede né l'una (trovandosi così in posizione di svantaggio, pur riuscendo a offendere nonché a silenziare e sovrastare l'entità statuale palestinese) né l'altra (quel poco che Hamas mette in piedi, come i tunnel, è off limits per i non combattenti).
  Succede così che la potenza di Israele sia grande abbastanza da nascondere agli occhi di molti la parte migliore del proprio operato e la parte peggiore di quello di Hamas: più i sistemi di difesa israeliani funzionano, meno si fanno evidenti le sofferenze della relativa popolazione e la mortalità dei terroristi. Pertanto si alimentano indirettamente le indignazioni a senso unico, cieche di fronte al fatto che la protezione degli israeliani è assicurata e voluta tanto quanto la non-protezione dei palestinesi da parte di coloro i quali, in tempi di pace relativa, meno vengono accusati per le loro malefatte.
  Ma cosa accadrebbe se quella potenza fosse in dote ad Hamas, all'Isis, o a qualunque altra formazione dell'integralismo islamico armato? Dovremmo aspettarci da parte loro più cura e più protezione dei civili, più tolleranza, più apertura al dialogo e meno terrorismo, o, al contrario, il semplice e lineare incremento della loro capacità di offendere? Non è difficile notare come - a prescindere dalla presenza o meno della guerra - Paesi sotto l'egida dell'Islam radicale amministrino abitualmente la vita dei loro stessi cittadini con la spada; non sarebbe certamente azzardato propendere quindi per la seconda ipotesi. Si dirà che sono congetture, semplificazioni, miopie; ma almeno non quanto quelle che intendono comprendere o addirittura giustificare le barbarie addossandone la colpa all'interventismo dell'Occidente, come se non fosse possibile risalire a piacimento la china della storia - zeppa di scontri tra civiltà - fino alla pretesa dimostrazione dell'esatto contrario (posto che, indubitabilmente, l'11 settembre precede ogni guerra preventiva al terrorismo islamico).
  I conflitti in cui vi è oggi presenza occidentale assumono una forma più lontana da quella tradizionale. Questo fa gridare alla vigliaccheria gli affezionati al "purismo" dei guerriglieri, dato che il militare tecnologizzato cerca di colpire da lontano. Ciò è permesso dalla potenza, ma è anche frutto della crescente allergia alla violenza indiscriminata. Al contrario una falsa veste di coraggio pare avvolgere i terroristi in questione; tuttavia essa nasce molto probabilmente dall'abitudine e dalla confidenza con il sangue che da loro viene fatto sgorgare a ogni piè sospinto, poco importa se di prigionieri stranieri o di loro affini senza colpe ragionevoli. Non c'è appello al dialogo o scusante di sorta capace di occultarlo, se non ignorando quantomeno il legame tra la potenza e le attitudini della civiltà di cui essa è espressione.

(LucidaMente, anno IX, n. 105, settembre 2014)


Per avere il consenso dell'opinione pubblica occidentale gli israeliani avrebbero dovuto fare due cose: 1) astenersi dal bombardare ogni qual volta ci fosse stato anche il minimo rischio che qualche palestinese fosse colpito; 2) astenersi dall'attivare l'Iron Dome ogni qual volta ci fosse stata anche la minima probabilità che qualche israeliano fosse colpito. In questo modo i morti ci sarebbero stati, ma sarebbero stati quelli giusti, quelli che l'opinione pubblica si aspetta di vedere per manifestare simpatia verso gli ebrei. Forse sarebbero arrivati addirittura al punto da rimbrottare Hamas per eccesso di offesa. M.C.


La parola nella cultura ebraica

Parliamo con Andrea Sòcrati, Francesco Colonnelli e Giulietta Gheller della mostra 'PASSAGGI'.

di Maria Chiara Strappaveccia

 
Andrea Sòcrati
ANCONA - La mostra 'PASSAGGI. Le parole dell'umanità attraverso la cultura ebraica' è stata inaugurata il 31 agosto alle ore 19:00 nel Museo Tattile Statale Omero di Ancona presso la Mole Vanvitelliana e rimarrà aperta fino al 14 dicembre prossimo. L'esposizione multisensorialesul tema della parola dell'arte nella spiritualità legata alla cultura ebraica e l'adozione per alcune opere della tecnologia NFC, che esalta questa caratteristica e favorisce, in accordo con il museo che la ospita, una politica di accessibilità possibile per tutti, è curata da Andrea Sòcrati. La mostra è inserita nel calendario del Festival Adriatico-Mediterraneo, con il sostegno dell'Ambasciata Israeliana di Roma e si avvale del sostegno dell'Associazione Per il Museo Tattile Statale Omero Onlus. Essa si svolge anche grazie il contributo del Servizio Civile Nazionale e del Servizio Volontario Europeo ed è organizzata insieme alla Comunità Ebraica di Ancona e con la collaborazione della Biennale di Arte Ebraica e Contemporanea di Gerusalemme.
   Il direttore responsabile di questa Biennale, Ram Ozeri, è stato il tramite per poter coinvolgere quattro artisti di Gerusalemme:Chana Cromer, che con l'opera 'The Distaff Side' si ispira a 'La donna di carattere' del Libro dei Proverbi (in tema con la XV edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica del 14 settembre 2014 dedicata alla donna); Ruth Schreiber, che con 'Love letters', lettere in porcellana, si rifà all'uso di lasciare lettere nelle fenditure del Muro occidentale di Gerusalemme; Andi Arnovitz, che con 'Construct/Destruct' attraverso mattoni serigrafati con e sulle pietre della città vecchia ricorda il Tempio di Salomone; Neta Elkayan, artista tra musica e arti figurative, che propone l'audio dal titolo 'Abuhatzeira', dedicato al rabbino El Yaakov Abuhatzeira. Attraverso quanto espongono questi quattro artisti vengono proposti in mostra lavori che richiamano ed evocano la terra, i suoni e gli umori di questa città israeliana. Oltre a questi abbiamo opere anche di altri tre maestri che lavorano nelle Marche e che intervengono con incontri aperti al pubblico per raccontarsi e presentare le loro opere in mostra: Francesco Colonnelli, Giulietta Gheller e Bruno Mangiaterra.
   La mostra si apre con un grande patchwork di stoffa, ideato e realizzato da Andrea Sòcrati stesso, che non rappresenta una barriera, ma accoglie e vuole essere attraversato, per accompagnare metaforicamente in quel viaggio interiore necessario per raggiungere una possibile differente dimensione, una quarta dimensione che metta il 'mondo sottosopra', dando spazio al sogno e all'immaginazione. Questa installazione è una metafora del Muro occidentale, Kotel in ebraico, conosciuto come il Muro del pianto, uno dei luoghi più sacri e importanti di Gerusalemme e di Israele. Gli ebrei si recano in questo luogo per pregare, per esprimere i loro desideri e i loro pensieri più intimi. È proprio lì che la parola diviene soglia, luogo di incontro tra mondo fisico e mondo spirituale, tra umano e divino: non più solo logos, ma pragma, fatto, gesto, corpo, percezione che passa attraverso tutta la nostra sensorialità. La forza spirituale e mistica del Muro occidentale viene espressa anche attraverso le sculture in terracotta e gesso di Sòcrati e una serie di termografie a rilievo; mentre una seconda serie di termografie e installazioni rievocano il fantastico e visionario mondo di Marc Chagall.
   Tutta la mostra è una sorta di viaggio multisensoriale che accompagna il pubblico attraverso le millenarie e ricchissime suggestioni della cultura ebraica per ritrovarsi in quella che Marc Chagall definiva la quarta dimensione. Un 'mondo sottosopra' dove all'anima, affrancata dal contingente e dal quotidiano, si rivela l'incanto del mondo.


* Abbiamo intervistato in merito Andrea Sòcrati, il curatore della mostra.

- Come mai la scelta di raccontare la cultura ebraica in questa forma?
  La scelta di raccontare la cultura ebraica nasce sostanzialmente da una ricerca sul ruolo della parola nell'estetica e nella spiritualità, che poi sono due campi estremamente affini. Da lì il collegamento con la cultura ebraica è stato abbastanza facile. Il popolo ebraico è legato al libro e sulla parola fonda gran parte della sua cultura, ma anche della sua vita quotidiana. La possibilità di raccontare la cultura ebraica attraverso la parola mi è sembrato davvero un modo molto interessante e adatto per raggiungere l'obiettivo che mi ero prefisso, ossia la parola nell'estetica e nella spiritualità. La metafora passa attraverso quello che è il Muro occidentale, meglio conosciuto come il Muro del Pianto, Kotel in ebraico, uno dei luoghi più sacri e più importanti di Israele. È qui che gli ebrei usano le parole dell'umanità, se così le possiamo definire (che è anche il sottotitolo della mostra) per esprimere le loro preghiere, i loro desideri e i loro pensieri più intimi. In questo luogo la parola, citando Florenskij, assume tutta la sua potenza magica e apre spazi al mondo estetico e spirituale che rende l'individuo più realmente umano: tutto ciò per contrastare il mondo della quotidianità, indagato da vari personaggi, come attualmente per esempio Umberto Galimberti, ma anche prima, dal filosofo Heidegger, il quale affermava che siamo caratterizzati da una forma di pensiero, con l'utilizzo di parole, di tipo calcolante, governato dal mondo della tecnica, dal mondo del lavoro e, se vogliamo, anche dallo stress. Per passare così dalle parole della quotidianità alle parole dell'umanità ecco che ci si serve della metafora del Muro del Pianto e quindi della cultura ebraica.

- Perché definite la mostra multisensoriale?
  La mostra è multisensoriale perché effettivamente coinvolge un po' tutta la sensorialità. La parola di per sé è multisensoriale. Facendo una ricerca sulla Bibbia, possiamo vedere che le parole assumono e rivestono degli aspetti multisensoriali: ad esempio i Salmi ci ricordano che la parola non solo può essere ascoltata, ma può essere toccata, come nella frase «Tendo le mani verso le tue parole che amo»; può essere anche gustata quando cita «Gustose sono le tue parole perché più dolci del miele», può essere odorata «La mia preghiera sia incenso che sale fino a te», può essere vista «Lampade sui miei passi, la tua parola luce sul mio cammino». La multisensorialità nasce da questa caratteristica della parola e nello stesso tempo viene implementata all'interno della mostra con la possibilità di ascoltare dei suoni (per esempio attraverso l'utilizzo di una nuova tecnologia che si chiama NFC), di odorare (per esempio le spezie che vengono odorate e benedette dagli ebrei alla fine dello Shabbat). Tale benedizione sulle spezie si chiama in ebraico Besamim. C'è la possibilità concreta di sperimentare la propria tattilità al buio, in quanto una grande istallazione, che è il Muro del Pianto realizzato in patchwork di stoffa, permette di entrare e fare un percorso al buio, dove ci sono degli oggetti che possono essere 'visti' solo attraverso l'uso del tatto. Si è voluta esaltare anche così la possibilità di un coinvolgimento corporeo totale, quindi non solo visivo.

- Cosa rappresenta il patchwork di stoffa, l'istallazione che troviamo all'inizio del percorso?
  Il patchwork, come dicevo, è una metafora del Muro del Pianto. Quest'ultimo rappresenta l'ultima vestigia di quello che era il complesso più sacro di Gerusalemme, il Tempio di Salomone che è stato più volte distrutto e ricostruito. Io l'ho voluto riproporre, appunto, con della stoffa, perché questa nella cultura ebraica ha una sua valenza e significato particolare. Tra l'altro questo grande patchwork, realizzato con stoffe diverse (damasco e altri tessuti colorati), riproduce i grandi blocchi di pietra squadrati che si trovano e costituiscono poi il muro di Gerusalemme. Si può essere accolti dal muro, che non vuole essere una barriera ma è qualcosa a cui rivolgersi e che possiede un'anima, per percorrere un percorso al buio e ritrovarsi in un altro spazio, che è quello dell'umanità, dell'immaginario, della quarta dimensione, come la definiva Chagall. Tra l'altro ripensando ai sentimenti del Muro, se così possiamo definirli, una canzone popolare israeliana nel suo ritornello dice proprio: ci sono pietre con il cuore della gente, riferito a Kotel, il Muro del Pianto, e sembra anche che il detto «il muro ha orecchie» sia un'antica espressione ebraica riferita proprio al Muro occidentale.

- E le sculture in terracotta e gesso e una serie di termografie a rilievo cosa rappresentano?
  Le termografie a rilievo e le sculture sono sempre riferite al tema del Muro del Pianto. Le prime sono fatte utilizzando una particolare tecnica che viene usata per rendere a rilievo dei disegni per le persone non vedenti e rappresentano degli ebrei ortodossi in preghiera al Muro occidentale di Gerusalemme, così come le sculture in gesso e terracotta rappresentano sempre degli ebrei ortodossi davanti al profilo del Muro, quest'ultimo raffigurato in gesso con simboli dei cinque sensi perché, come dicevo, il Muro ha sentimenti umani, anima e corpo, ma anche la capacità di accogliere in maniera multisensoriale le parole, quindi la presenza dei sensi sul muro sta a significare proprio questo.

- Vi sono anche quattro artisti di Gerusalemme che con le loro opere rievocano la terra, i suoni, gli umori di quel luogo. In che modo ognuno di loro ci propone la visione di questo territorio?
  Mi piace ricordare che l'evento è organizzato insieme alla Comunità Ebraica di Ancona e con la collaborazione della Biennale di Arte Ebraica e Contemporanea di Gerusalemme, il cui direttore responsabile è Ram Ozeri, ospite ad Ancona in occasione dell'inaugurazione della mostra. Grazie a lui abbiamo avuto la possibilità di coinvolgere quattro artisti di Gerusalemme: Chana Cromer, Ruth Schreiber, Neta Elkayan e Andi Arnovitz. Ognuno di loro presenta un lavoro sul tema della mostra: Andi Arnovitz espone dei blocchetti che ripropongono proprio quelli del Muro occidentale di Gerusalemme, fatti con la serigrafia sul muro stesso della città ed è un po' come avere un pezzetto di Gerusalemme in mostra; Neta Elkayan ha proposto un audio dove riproduce i suoni delle preghiere e della quotidianità della città israeliana; Ruth Schreiber presenta in mostra delle lettere ebraiche in ceramica che possono essere composte per dar vita alle parole dell'umanità e infine Chana Cromer ha realizzato un lavoro dedicato alla donna, in quanto il 14 settembre è la Giornata Europea della Cultura Ebraica dedicata alla figura femminile nell'Ebraismo. Ella, rifacendosi a versetti della Bibbia, in particolare del Libro dei Proverbi sulla donna di carattere, ha composto questa sua tela serigrafata in seta che rievoca, anche con materiali tattili, un fuso per filare la lana, proprio come omaggio alla donna.

- Ci saranno in mostra anche artisti che lavorano nelle Marche che interveranno con incontri aperti al pubblico per raccontare e presentare le loro opere. Ci parla di questi maestri e di come sono legati alla cultura ebraica?
  L'idea del coinvolgimento di due artisti che operano nel territorio marchigiano è nata proprio per fare in modo che la mostra non fosse 'esaurita' con la composizione iniziale e gli artisti di Gerusalemme, ma possa avere la possibilità ancora di raccontare qualcos'altro e di avere dei punti di vista diversi. Per questa ragione abbiamo coinvolto due artisti, Francesco Colonnelli e Giulietta Gheller, per avere i loro contributi sul tema che la mostra proponeva: la parola dell'arte nella spiritualità legata alla cultura ebraica. Il primo dei due maestri opera da tantissimo tempo ed è docente in un liceo artistico, quindi ha una storia importante alle spalle, mentre la seconda è giovane, ma si è già fatta notare per diversi lavori molto interessanti. Questi due artisti stanno lavorando per realizzare la loro personale interpretazione di questo tema; le loro opere e la loro poetica verranno presentate in appositi incontri durante il periodo di durata della mostra che sarà aperta fino al 14 dicembre per far vivere ulteriormente l'esposizione ed accogliere altri apporti culturali importanti.

- L'iniziativa 'PASSAGGI. Le parole dell'umanità attraverso la cultura ebraica' è inserita nel calendario del Festival Adriatico-Mediterraneo, con il sostegno dell'Ambasciata Israeliana di Roma e in collaborazione con la Biennale di Arte Ebraica Contemporanea di Gerusalemme e l'Associazione 'Per il Museo Tattile Statale Omero' Onlus e si svolge con il contributo del Servizio Civile Nazionale e del Servizio Volontario Europeo. Questa è un'opportunità per Ancona per far conoscere una realtà nuova, come la cultura ebraica, ma molto presente in città?
  Direi proprio di sì: Ancona vanta la presenza di una comunità ebraica che, pur non essendo molto numerosa, ha invece antiche e ricche tradizioni culturali. La città ha numerosi luoghi legati alla cultura ebraica e questo può e vuole essere un piccolo contributo, per quanto è possibile, a far riscoprire e anche rivalutare una cultura millenaria che è alla base della cultura occidentale e non solo. La cultura ebraica offre anche la possibilità di ritrovare quelle che sono le sue potenzialità e le sue diversità, che si arricchisce di apporti di culture diverse, pur mantenendo sempre fermo il suo 'zoccolo duro culturale', proprio perché è una cultura errabonda ed errante, pensiamo soprattutto nell'Europa dell'Est alla musica klezmer che è un miscuglio di suoni. La mostra diventa così un piccolo contributo per riflettere su questa cultura, farla conoscere e rivalutarla indipendentemente da quelli che sono i fatti contingenti della quotidianità.

- Voi parlate di tecnologia NFC legata alcune opere esposte. Ce ne parla meglio e ci spiega quali sono i vantaggi nell'utilizzo di tale tecnologia?
  La tecnologia NFC è relativamente nuova e consiste nella possibilità di utilizzare i cellulari smartphone che si possiedono per accedere a dei contenuti on-line. Su alcune opere sono applicati dei tag, ossia dei piccoli chip e appoggiando semplicemente il telefono provvisto di questa tecnologia su questi tag si ha la possibilità di ascoltare o vedere dei contenuti multimediali, come audio, video, ecc. C'è quindi la possibilità di arricchire in maniera multifunzionale l'opera e allo stesso tempo di aggiungere dei contenuti. Per fare un esempio concreto, su due opere di due artisti di Gerusalemme, Ruth Schreiber e Chana Cromer, ci sono due chip che consentono, appoggiando il telefono, di vedere dei video delle due artiste che presentano le loro creazioni e si raccontano brevemente; invece in altri casi, come ad esempio l'opera che racconta lo shofar, il corno utilizzato appunto per richiamare il popolo nei momenti solenni e per le preghiere, c'è la possibilità, attraverso l'accostamento del cellulare al chip, di ascoltare il suono di questo strumento. Siccome la mostra vuole essere inclusiva, cioè fruibile ed accessibile a tutti, in particolare alle persone non vedenti, i tag possono anche veicolare la descrizione di alcune opere o le descrizioni audio a beneficio di queste persone. Ci sembra una tecnologia assai economica, molto efficace ed efficiente, per aumentare la fruizione estetica dell'opera e allo stesso tempo la sua accessibilità.

- Il Museo Tattile Statale Omero è stato riconosciuto dal Parlamento nel 1999. Qual è la particolarità di questo museo e quali attività di solito svolge?
  Il Museo Tattile è l'unico statale di questo genere in Italia. Esso ha la caratteristica di ospitare una collezione di scultura che va dal periodo arcaico e classico fino all'Ottocento, formata da calchi dei più grandi capolavori di questo genere della storia dell'arte e da plastici di modelli architettonici, come ad esempio il Pantheon, la Basilica di San Pietro a Roma, quella di Chartres e il Partenone, che sono a beneficio delle persone non vedenti che possono toccandole conoscere queste opere altrimenti loro precluse. Il museo ha anche una collezione di scultura contemporanea, questa volta composta da pezzi originali e molto importanti, che spaziano da De Chirico, a Messina, a Marino Marini, ad Arturo Martini, Pietro Consagra e altri ancora. Anche in questa sezione tutto è a portata di mano. La particolarità è di essere un museo per tutti, non soltanto per non vedenti, dove ognuno può accedere ai contenuti dell'arte in maniera non solo visiva, ma anche attraverso la tattilità. Il museo rappresenta una nuova ricerca di pedagogia multisensoriale applicata all'arte.

- Il Museo è sostenuto dall'imprenditore Diego della Valle dal 2003. Cosa ha cambiato questa intesa nella politica economica e artistica del Museo stesso?
  Dal punto di vista dell'immagine è molto importante per noi avere come testimonial Diego della Valle, ma a parte il discorso di immagine e prestigio, egli ha voluto dare un segno concreto della vicinanza al Museo Tattile Statale Omero e per questo ha donato una raccolta di opere e manufatti relativi al design italiano dagli anni Trenta e Quaranta fino ad oggi. Il museo si arricchirà a breve, grazie alla donazione da parte di questo imprenditore, di una nuova sezione su questo settore in Italia, che penso sia un unicum nel nostro Paese.


* Abbiamo intervistato anche Francesco Colonnelli, artista, performer e videomaker marchigiano che ha
   partecipato alla mostra.

- Qual è la sua idea di cultura ebraica e come l'ha proposta nelle opere esposte in mostra?
  Il tema della mostra è il ruolo della parola, la parola che nomina e la parola che evoca, nella tradizione giudaica le scritture vengono continuamente lette e interpretate. Ho pensato così di realizzare l'idea di un mare pittorico e materico. Il mare come origine del tutto, della vita e metaforicamente anche della parola stessa, dal quale affiorano delle orecchie scultoree, che rappresentano l'allegoria dell'ascolto. Siccome io faccio dei lavori utilizzando anche una pittura che è tridimensionale e molto materica, quello che ho pensato è di illustrare un mare, come origine del tutto, della vita e metaforicamente anche della parola stessa, dal quale affiorano orecchie che rappresentano un'allegoria dell'ascolto, che viene prima della parola.

- Perché è stato presentato proprio questo lavoro? 'Omnia pontus erat'
  è il titolo del mio lavoro: tutto era mare, e dal mare deriva l'origine del tutto. Ecco allora la parola, il nominare le cose, e per nominarle debbono essere osservate, 'ascoltate'.
L'incontro con l'Altro…Un ascolto metaforico è quello che intendo sollecitare con il mio mare e dal quale, come reperti archeologici, affiorano scultoree orecchie…

- In che cosa differiscono, se lo fanno, o se no in cosa sono uguali questi lavori da quelli della sua produzione precedente?
  Anche in questo lavoro è presente la metafora dell'ascolto, un tema che ho inteso sviluppare da qualche tempo, 'indagando' l'umano, attraverso una personale rappresentazione, resa con materiali come la carta, il cartone da imballaggio, la tela, gli acrilici... Parallelamente 'Per mare' è il titolo dell'attuale installazione proposta all'interno della mostra 'Itinerari connettivi' presso la Mole Vanvitelliana di Ancona (dal 30 agosto fino al 30 settembre) e prende il nome dal video che 'dialoga', con il lavoro pittorico su tavola 'Cristoforo', ispirato al dipinto di Lorenzo Lotto, raffigurante San Cristoforo. Il video mostra il mare visto da una visione soggettiva rendendo 'fisicamente' l'idea di essere tra le onde… Il viaggio per mare richiede coraggio, è 'percorso iniziatico', evoca il cambiamento, la trasformazione. Il mare come 'connettore', ovvero il mare che unisce, il mare metafora di Conoscenza.

- La cultura ebraica che lei esprime e che è protagonista di questo evento culturale, ossia 'PASSAGGI' come si pone di fronte a quanto sta accadendo in Israele?
  Di sicuro davanti a quello che sta accadendo in Israele il lavoro che propongo è particolarmente pertinente, questo mare, origine della vita, da cui affiorano orecchi mi auguro possa anche essere monito ed esortazione all''ascolto'

- Questa cultura ebraica ritiene che sia la cultura che esprime lo stato d'Israele ? Sia che sia un sì sia che sia un no, in cosa differisce o in cosa è uguale?
  Io non mi ritengo sinceramente un conoscitore della cultura ebraica e non posso esprimermi in maniera appropriata al riguardo. Ritengo, comunque, che la cultura ebraica sia molto profonda e degna di estrema attenzione ed ascolto, come altre culture. La qualità e la profondità di una cultura, ritengo, che sia ebraica, musulmana, cristiana o buddista, e quello che la rende grande, sia anche la sua capacità di ascoltare l'altro.

- La cultura ebraica come è cambiata nel corso dell'ultimo secolo?
  La cultura ebraica è una grande tradizione si esplica, , attraverso i suoi scrittori e i suoi intellettuali, persone che esprimono una disponibilità molto più ampia al confronto con l'altro, la politica invece si misura con un'altra realtà e con altre prospettive. La parte intellettuale è quella più vera della cultura ebraica, quella politica e militare credo non la rappresenti al meglio.


* Abbiamo anche intervistato Giulietta Gheller, giovane artista che ha partecipato ed esposto in questa
   mostra.

- Qual è la sua idea di cultura ebraica e come l'ha proposta nelle opere esposte in mostra?
  Io ho studiato per altri percorsi personali abbastanza a fondo la cultura ebraica del Rinascimento, quindi dal punto di vista storico è una tematica che conosco, ma il concept della mostra prevedeva una riflessione sul ruolo della Parola nella cultura ebraica, e la parola nell'ebraismo non può che rimandare immediatamente al Verbo divino. Se si legge la Bibbia, soprattutto la Genesi, c'è un continuo richiamo al fatto Dio Crea ogni cosa attraverso la parola, il frase 'E di odisse' torna come un'anafora, e ciò che dio dice, si realizza: il cielo di separa dalla terra, la luce dal buio: questo è quello che mi è sembrato interessante: l'aspetto poietico della Parola di Dio. E' una parola che non descrive (non c'è l'idea iconica che invece prevarrà nel Cristianesimo), ma fonda, realizza, rende possibile.

- Quali lavori ha scelto di realizzare per la mostra 'PASSAGGI. Le parole dell'umanità attraverso la cultura ebraica' e perché sono stati presentati proprio questi?
  Sulla falsa riga di quanto dicevo sopra, la mia idea era di rappresentare il concetto di una parola 'trasformativa' che può cioè trasformare, plasmare, creare. Il problema era trasporre l'idea del Verbo, parola astratta il cui tramite è l'oralità, quindi il sonoro, o la scrittura, quindi un linguaggio bidimensionale con leggi proprie, in una forma plastica. La scultura che ho realizzato si fissa quindi su un momento trasformativo: ho utilizzato il tronco di un albero, di un ciliegio, ho fatto in modo che nella parte alta dello stesso, dove il tronco è stato segato, si inserisse in modo continuativo, come in una metamorfosi in atto, un volto umano. Da un albero fuoriesce una figura umana, molto realistica, con l'espressione di chi sta nascendo: il volto non è di bambino, ma di un adolescente, né maschio né femmina, ossia qualcuno nel massimo del suo divenire, nel massimo dell'indeterminato, un'identità ancora mobile: tra lo stato vegetale, spontaneo, inconsapevole, non individuato,e quello umano, più elevato, più raffinato, più intelligente e perciò più vicino a Dio. L'opera si sviluppa in altezza: l'albero è assolutamente diritto, posto sul terreno verticalmente e si innalza per oltre 2 metri e altri rami aggiunti successivamente tendono ulteriormente a verticalizzare, a tendersi come in un'ascensione. La scultura sarà posizionata al centro di un cerchio di sabbia fluviale, con l'invito, per chi lo voglia e in forma del tutto volontaria, di avvicinarsi alla scultura togliendosi le scarpe per camminare a piedi nudi su questa sabbia. La sabbia è la sostanza attraverso la quale Dio ha creato l'uomo, soffiando su di lui l'essenza della vita.

- Lei realizza varie forme di arte (pitture, disegni, sculture) e con diverse tecniche. Come mai ha privilegiato la scultura in questa mostra?
  Il Museo che ospita la mostra è connotato come 'museo tattile': è richiesto in questa sede, anche se non in maniera discriminante, l'utilizzo della multisensorialità e mi sembrava un po' fuori luogo lavorare esclusivamente sulle due dimensioni e solamente sul visivo. Io ho scelto la scultura, perché è il mio linguaggio e avrei mentito cercando furbi ripari in trovate sonore che, fatte da me, sarebbero state davvero delle improvvisazioni. Ciò che ho realizzato è un lavoro che passa attraverso vari materiali, dal plastoforma, un materiale simile al gesso, al vero legno dei rami. Resterà un elemento simile al gesso e al vero legno dei rami d'edera, questo anche per mantenere quell'ambiguità che costituisce la trasformazione: il passaggio dal potenziale al reale, la polarità tra i due materiali, quello dal quale si parte e quello a cui si arriva, quando però i due ancora sussistono. Questa metamorfosi può così essere apprezzata globalmente inseguita con lo sguardo, ma anche attraverso le mani. Il percorso sulla sabbia per arrivare alla sculura, inoltre, serve ad accrescere l'attenzione sull'impronta che la nostra presenza lascia fisicamente, la concretezza del nostro esistere, e del nostro passare, un passaggio imposto dalla Volontà di Dio, Volontà espressa tramite la sua Parola.

- La cultura ebraica che lei esprime e che è protagonista di questo evento culturale, come si pone di fronte a quanto sta accadendo in Israele?
  In modo abbastanza critico: trovo molto più interessante la filosofia dell'ebraismo, che non questa declinazione attuale, tutta politica di Israele. Gli ebrei, hanno saputo rapportarsi a situazioni veramente difficili, ogni volta riuscendo tanto a reinventandosi quanto a mantenere un'integrità culturale che semmai ha modificato chi li circondava, in termini di influenza e contaminazione. Gli ebrei sono riusciti a non farsi contaminare, ma a contaminare l'esterno in maniera positiva. La situazione attuale mostra al contrario un atteggiamento di chiusura, che nulla condivide con la capacità relazionale tante volte evidenziata nella storia degli ebrei.

- Questa cultura ebraica che lei ha rappresentato con l'opera ritiene che sia la cultura che esprime lo stato d'Israele ? Sia che sia un sì sia che sia un no in cosa differisce o in cosa è uguale?
  Io mi sono soffermata su un aspetto teologico-filosofico, certamente filtrato da motivazioni molto personali che non pretendo affatto siano condivise: mi interessa l'idea del potenziale di Dio. Quello che trovo interessante nella cultura ebraica, è l'aspetto ecumenico perché si può rivolgere effettivamente a tutti. Io sono agnostica, quindi non mi soffermo mai sulla questione dell'esistenza di Dio e di quale Dio esista: questo è un argomento che si rivolge esclusivamente agli adepti di una religione. A me interessa non la religione ma la religiosità: ovvero la spiritualità che riguarda tutti, che è ecumenica. E in questo senso l'impronta spirituale ebraica è più pura di quella cristiana che pure ci pervade, perché non è idolatrica, perché resta all'essenza e alla coscienza. Se mi interessa la parola creatrice di Dio, è perché l'idea del creare è qualcosa che riguarda gli uomini intrinsecamente, la concezione delle idee, il fondare qualcosa di nuovo. E' nella nostra capacità di intervento che esistiamo.
Israele conduce un discorso violento il cui carattere è di natura economico ed etnico, fatto di politiche di esclusione, ben lontane da un'idea ecumenica di umanità e in nessun modo riguardanti la spiritualità delle altre persone.

- La cultura ebraica come è cambiata nel corso dell'ultimo secolo?
  In tutti i posti in cui gli ebrei si sono trovati, nella loro storia, hanno avuto sempre difficoltà più o meno marcate, con politiche di esclusione più o meno rigide ma l'Olocausto è un punto di non ritorno. La situazione è cambiata quando gli ebrei hanno avuto un loro Stato e hanno iniziato a difenderlo in modo indiscriminato. Nessuno ha avuto più il coraggio di prendere una distanza critica, anche perché si doveva a quel popolo un risarcimento morale ovviamente irrealizzabile. Io sono nata in una comunità in cui gli ebrei non ci sono, perché non ci sono più. Coloro che, come me, non hanno mai potuto rapportarsi con la cultura ebraica in modo attivo, ma solo per il tramite dei libri di storia e dei documentari, non possono non avvertire una grandissima distanza fra l'Israele di oggi e l'ebraismo che studiamo.

(L'Indro, 1 settembre 2014)


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